evola: (Roma). Filosofo. Grice: “Evola was
a bit of a linguistic philosopher; I enjoyed his rambling on the proper use of
“Latin” versus “Roman;” Evola notes that the implicatures differ. ‘Roman’ he
links with Spartan, and he opposes to the formation, ‘greco-romano’ o
‘classico’ – “Latin” he applies to “lingua romana,” as Orazio and Tacitus had
done!” – Grice: “If I had to think of the equivalent linguistic analysis by an
English philosopher, I can only think of DeFoe, and his satire on what
constitutes an Englishman! Later parodied by Gilbert and Sullivan and put to
good effect in “Chariots of Fire,” where Abrams is seen referred to as “HE IS..
an Englishman! For he himself has said it!” -- - Italian philosopher – Figlio di Vincenzo e Concetta Mangiapane, barone
di Castropignano. Studia a Roma. Manifesta un'opposizione a Roma, soprattutto
in riferimento alla teoria del peccato e della redenzione, del sacrificio
divino e della grazia. Studia filosofia. Entra in contatto con alcuni esponenti del
Futurismo quali Balla e Marinetti. Partecipa alla esposizione futurista a
Palazzo Cova, Milano. Rientra a Roma dopo il conflitto ed attraversa una profonda
crisi esistenziale che lo porta al bordo del suicidio. Aderisce al Dadaismo ed entra in contatto
epistolare con Tzara. Fonda “Bleu” Esce un saggio sull'idealismo magico. Si
deve superare i limiti dell'umano per andare verso “l'oltre-uomo”.Studia la teoria
e fenomenologia dell'individuo assoluto.
Nel “L'uomo come Potenza” compare una concezione dell'io ispirata
ai dettami del tantrismo e del taoismo. Queste ultime opere segnano
un'ulteriore svolta: passaggio da una posizione filosofica di tipo teoretico ad
una di tipo pragmatico. Cerca infatti di individuare strumenti concreti per
mezzo dei quali calare nella vita quotidiana la teoria dell'Individuo assoluto.
Inizia un'intensa esperienza giornalistica: partecipa alla redazione di Lo
Stato democratico e collabora a riviste come Ultra, Bilychnis, Ignis, Atanor e
Il mondo. Frequenta i circoli esoterici romani e partecipa alla vita notturna
della capitale. Disumano qual è, gelido architetto di teorie funambolesche,
vanitoso, perverso, s'è trovato dinanzi a me come a cosa tutta viva, tutta
schietta, mentre aveva fantasticato chissà quale avventura necrofila. E questa
cosa tutta schietta l'ha turbato, l'ha commosso, segretamente. Coordina “Ur”, che
si occupa di esoterismo. Conosce Reghini. Pubblica “Paganesimo.” Attacca
violentemente Roma ed esorta a ritrovare la grandezza della civiltà romana. Oserà
dunque Italia assumere qui, qui donde già le aquile imperiali partirono per il
dominio del mondo sotto la potenza augustea, solare, regale, oserà qui
riprendere la fiaccola della tradizione mediterrane? Influenzato da Guénon
abbandona in seguito le tesi estremiste a favore del concetto di “tradizione"
e fonda “La Torre” destinata a difendere principi sovrapolitici, in realtà una
tribuna di filosofi che si battevano per una Italia più radicale e più
intrepida. Critiche mosse ad alcuni personaggi del Regime dalle pagine de La
Torre, provocano l'intervento di Starace che prima diffida Evola dal continuare
la pubblicazione, poi proibisce a tutte le tipografie romane di stampare la
rivista la cui pubblicazione, alla fine, viene sospesa. Viene sorvegliato
dal regime in quanto accusato di affiliazione all'Ordo Templi Orientis ed è
costretto ad assumere alcune guardie del corpo (come testimoniato da Massimo
Scaligero) . In Meditazioni delle vette, intende l'alpinismo come pratica
ascetica e meditazione spirituale: superamento dei limiti della condizione
umana attraverso l'azione e la contemplazione, che divengono due elementi
inseparabili, un'ascesa che si trasforma in ascesi. Successivamente pubblica
due saggi La tradizione ermetica e Maschera e volto dello spiritualismo. “La
tradizione ermetica” è una disamina dell'aspetto magico, esoterico e simbolico
dell'alchimia. “Il volto e la maschera” è un saggio critico su quella filosofia
che invece di elevare l'uomo dal razionalismo e dal materialismo, lo portano
ancora più in basso: spiritismo, teo-sofia, antropo-sofia e psicoanalisi. In “Rivolta
contro il mondo” traccia un affresco della storia letta secondo lo schema
ciclico tradizionale delle quattro età: oro, argento, bronzo e ferro nella
tradizione occidentale. Analizza le categorie qualificanti l'uomo della
tradizione e le anticha "razza divina” Esamina a fondo Il mistero del
Graal e le sue implicazioni dottrinarie nelle visioni dei diversi periodi
storici, impostando tutta la sua disamina sul concetto di "tradizione
ghibellina dell'impero", cercando di svincolare il Graal e la sua portata
simbolica da Roma. Collabora attivamente con la Scuola di mistica da Giani,
tenendo alcune conferenze e figurando nel comitato di redazione della rivista
Dottrina. La maggior parte degli interventi di Evola in conferenze e scritti,
riguardano principalmente il concetto di “razza divina”, argomento che trova
appoggio da parte di Giani. Il concetto di “mistica” rappresenta
un'incongruenza potendo parlare, al più, di “etica.” Questo perché in realtà la
dottrina non affronta il problema dei valori superiori, i valori del sacro,
solo in relazione ai quali si può parlare di mistica. Evola ravveda nella
mistica un elemento rilevatore di una spiritualità lunare e del polo femminile.
E infatti il sottotitolo di Diorama filosoficola pagina prima mensile e poi
quindicinale curata da Evola nel quotidiano Il Regime è: Problemi dell’etica. Una
serie di scritti di Evola relativi alla scuola di mistica, sono stati
pubblicati dall'editore Controcorrente e aiutano in parte a chiarire le
posizioni assunte dal filosofo all'interno della suddetta corrente. Sia
in fatto o nell’ideale, esiste una opposizione fra l'uomo ariano e tradizionale
europeo e l’altri. L’ariano e capace di concepire e di realizzare un'armonia
fra corpo ed anima (“La civiltà occidentale”, Augustea). In “Mito del Sangue
ricostruisce le concezioni sulla razza dalle civiltà fino alle teorie di Gobineau,
Woltmann, de Lapouge, e Chamberlain. L'ariano (da "Arya") appartiene
al corpo e lo spirito. Si esprime negativamente sul colonialismo giudicando
l'Etiopia conquistata dall'Italia nient'altro che una contraffazione
degenerescente di un organismo tradizionale. Critic ail materialismo zoologico.
Ha una concezione dell'uomo come essere costituito da corpo, anima e spirito,
dove lo spirito deve avere il primato sull’anima e il corpo. L’opportunità di
questa formulazione risiede nel fatto che una razza può degenerare, anche
restando biologicamente pura, se lo spirito è diminuito o obnubilat, se ha
perso la propria forza, come presso certi tipi nordici. Un corpo di una data
razza si liga in un individio lo spirito di un'altra razza. Respinge ogni
teorizzazione del razzismo in chiave “zoologica”! ponendo il pensatore
tradizionale tra coloro che «imboccata una certa strada, la seppero percorrere,
in confronto con tanti che scelsero quella della menzogna, dell'insulto, del
completo obnubilamento di ogni valore culturale e morale, con dignità e persino
con serieta. Non è il solo a prendere le distanze dal razzismo zoologico. Altre
note figure della cultura del tempo, come Acerbo, e meno note, come Mazzei, se
ne dissociano. L'impostazione critica data da De Felice su questo passaggio del
pensiero di Evola è particolarmente apprezzata dagli autori filo-evoliani.
Anche Orano sviluppa, secondo taluni, una forma di razza divina etico-sociale
che rinvia a Il mito del sangue di Evola. Primo, in ordine di tempo fu Orano. Dietro
di lui, con una vena più scadente, comparvero Romanini ed Evola. C’e tre ordini
di razza: corpo, anima, spirito. Dunque, Evola riprende, seppur in maniera meno
esplicita, alcune delle teorie del de Gobineu che cercano di identificare una
gerarchia ideale nei gruppi delle razze umane. Cio non impedisce ad Evola di
avere una "doppia affiliazione" ed essere pure membro della
Massoneria. Evola non aderisce al Partito e tale mancata adesione gli impedisce
di arruolarsi come volontario contro l'Unione Sovietica nel corso della Seconda
guerra mondiale. Critica del germanismo tuttavia l'incompletezza
nell'attuazione di questo programma, non abbastanza radicale e aderente ai
principi della "Tradizione".Per esempio una difesa della razza e improntata
giuridicamente e il potere e derivato dal popolo e non un potere regale di
origine divina come nell'ideale società ario-germanica delle origini. Teorizza
dunque il tradizionalismo puro, ideale e radicale, capace di attuare i propri
principi e di far trionfare la cultura romana pagana delle origini -- un impero
europeo e pagano sotto la guida egemonica della Roma di Cesare. Fa ritorno
nell'Italia liberata solo al termine della guerra. Essendo rigorosamente
contrario all'abrogazione della Monarchia e alla trasformazione dell'Italia in
una Repubblica, intraprende tentativi di influenza.Si occupa di studiare e
combattere le trame occulte e antitradizionali della massoneria. Pubblica
“Impero”.Scrive Evola: “Io potevo aver difeso e potevo continuare a
difendere certe concezioni in fatto di dottrina dello Stato. Si era liberi di
fare il processo a tali concezioni. Ma in tal caso si dovevano far sedere sullo
stesso banco degli accusati: Platone, un Metternich, un Bismarck, il Dante del
De Monarchia e via dicendo.” Si tenta di effettuare una "doppia
lettura" dei suoi testi: una lettura palese per il volgo ed una "esoterica"
per gli "iniziati". Pubblica “Gli uomini e le rovine” che esercita
grande influenza negli ambienti della destra italiana nel quale spiega la
decadenza del mondo moderno in seguito alla distruzione del principio di
autorità e di ogni possibilità di trascendenza per l'affermarsi del
razionalismo, in contrasto con le antiche civiltà e i valori della tradizione. In
“Metafisica del sesso” tratta la forza magica e potentissima dell'atto
sessuale, attraverso lo studio dei simboli esteso a numerose tradizioni. L'«Operaio»
in Jünger. “Cavalcare la tigre”. Scrive sul concetto metafisico ed immanente di
tradizione, come Il Ghibellino. “Gli uomini e le rovine” e “Cavalcare la tigre”
sono considerati due testi fondamentali grazie ai quali c'è una fattiva
adesione al ribellismo anti-sistema”Pubblica Il cammino del cinabro, la sua
autobiografia, e L'arco e la clava. Assiste alla costituzione dei
“dioscuri”, sodalizio dedito al ripristino della cultualità romana ed italica,
di cui è uno degli ispiratori, attraverso i suoi scritti sulla romanità, il
paganesimo e le idee imperiali, oltre che attraverso un particolare rapporto di
intimità con i dioscuri. Solstitivm. Evola è propugnatore del
Tradizionalismo, un modello ideale e sovratemporale di società caratterizzato
in senso spirituale, aristocratico e gerarchico. Tale modello si riscontra, da
un punto di vista storico, in la civiltà romana. La civiltà romana non si basa
su criteri economici, materiali e biologici, ma e suddivisa e gestita in base a
criteri di gerarchia sociale di carattere ereditario e spirituale. Ogni
azione che avviene durante la vita biologica (il divenire) rispecchia
direttamente una medesima azione di carattere metafisico (l'essere) e dunque
imperitura e sovratemporale. Il cammino dell'uomo avviene attraverso un
percorso di tipo circolare. Traccia di questa teoria la si trova, ad esempio,
nella teoria delle *cinque età* (dell'oro, dell'argento, del bronzo, degli
eroi, del ferro). La civiltà romana, ritenuta superiora da Evola si basa dunque
su una più elevata dimensione metafisica e spirituale dell'esistenza, anziché
su criteri di ordine materiale. L'uomo ha la possibilità di elevarsi alla sfera
divina e metafisica attraverso precise strade (il rito e l'iniziazione),
utilizzando determinati strumenti (l'azione e la contemplazione) all'interno di
contesti sociali predeterminati (la casta, l'impero). Non esiste differenza
quantitativa tra l'uomo e il dio. Ogni uomo è un dio mortale. Ogni dio un uomo
immortale. La razza e "spirituale". Rifiuta una visione zoological,
in favore di un patrimonio di tendenze e attitudini che, a seconda delle
influenze ambientali, giunge rebbero o meno a manifestarsi compiutamente.
L'appartenenza a questa razza spiritual si individuerebbe dunque sulla base dello
spirito, e in seguito del corpo, diventandone col tempo questo ultime il segno
visibile. E un concetto metafisico di razza. La romanita spirituale del quale
parla Evola parte appunto dal dato biologico, che gli pare ancora troppo zoologico,
rozzo e deterministico, per sublimarlo e portarlo a pieno compimento sul piano
dello spirito – non romano, ma romanita -- , ossia sul piano metafisico. Intendeva
potenziare e nobilitare la romanita, avvolgendolo in una nebulosa
filosofeggiante e scrostandolo di quel tanto di ruvido zoologismo. Vengono
ritrovate sette lettere da Evola a Croce (più una indirizzata all'editore
Laterza. Evola invia inizialmente a Croce la richiesta di intercedere presso Laterza
per la pubblicazione dei “Idealismo magico” e “Teoria dell'individuo assoluto”.
La seconda e una cartolina postale di Croce ringraziandolo per il giudizio di
apprezzamento sul lato formale dei due manoscritti dell’Idealismo magico e
Teoria dell’individuo assoluto. Laterza, nonostante l'appoggio favorevole
di Croce, Laterza scrive una lettera in
cui precisa di volersi riservare la massima libertà di decidere anche nei
riguardi di autorevoli amici. Evola scrive a Croce chiedendo aiuto per “La
tradizione ermetica”, un saggio sull'alchimia. In una quarta lettera, Evola
ringrazia Croce per l'interessamento. “La tradizione ermetica” esce per i tipi
dell'editore barese. Evola invia quattro lettere a Gentile. Nonostante le
marcate divergenze sul piano filosofico Evola si discosta dall'attualismo
gentiliano in favore di una rigida codificazione teoretica (l'idealismo magico)
il pensatore tradizionale cerca un confronto con uno dei massimi esponenti del
mondo accademico. Tale confronto non produce risvolti interessanti sotto il
profilo speculativo in quanto i due filosofi sono su posizioni eccessivamente
distanti, ed anche i presupposti dottrinali sono inconciliabili. Il
tentativo di Evola di aprire un colloquio costruttivo rimane un fiore che non
sboccia. Evola cerca di costruire, pur senza risultati apprezzabili, un punto
di riferimento culturale alternativo al gentilismo. Nel Cammino dei cinabro
tenta di spiegare così le ragioni di questo mancato incontro.“Ogni riferimento
extra-filosofico di cui il mio sistema filosofico e ricco sirve come un comodo
pretesto per l'ostracismo. Si poteva liquidare con un'alzata di spalle un
sistema che accordava un posto perfino al mondo dell'iniziazione, della
"magia" e di altri relitti superstiziosi. Che tutto ciò da me fosse
fatto valere nei termini di un rigoroso pensiero speculativo, a poco sirve.
Però anche da parte mia vi e un equivoco, nei riguardi di coloro ai quali, sul
piano pratico, la mia fatica speculativa posse servire a qualcosa. Si tratta di
una introduzione filosofica ad un mondo non filosofico, la quale posse avere un
significato nei soli rarissimi casi in cui la filosofia ultima avesse dato
luogo ad una profonda crisi esistenziale. Ma vi e anche da considerare (e di
questo in seguito mi resi sempre più conto) che i precedenti filosofici, cioè
l'abito del pensiero astratto discorsivo, rappresentano la qualificazione più
sfavorevole affinché tale crisi potesse essere superata nel senso positivo da
me indicato, con un passaggio a discipline realizzatrici.” Gentile tuttavia
riconosce ad Evola una certa competenza in campo esoterico-alchemico ed infatti
chiede al filosofo della tradizione di curare la voce “atanor” per
l'Enciclopedia Italiana. Anche alcuni allievi di Gentile riconoscono ad Evola
una certa stima, in particolare Calogero. Giuli successivamente riporta altre
informazioni, relative al carteggio Evola-Gentile, reperite all'interno della
"Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici", occupandosi
dei saggi che Evola invia con dedica a Gentile. Invia sette lettere a
Schmitt che mette in luce da una parte alcune amicizie e conoscenze in comune
tra i due pensatori (Jünger, Mohler e il principe di Rohan), dall'altra il
tentativo di proporre la pubblicazione in italiano del saggio di Schmitt sul
tradizionalista Cortes.Tale tentativo non va in porto, così come fallisce anche
il secondo progetto di pubblicare un'antologia schmittiana. Di rilievo,
all'interno dello scambio epistolare, le due divergenti visioni rispetto al
ruolo dell'uomo politico e la sua autonomia. Evola interpreta il concetto di
dittatura incoronata come «necessità di un potere che decida assolutamente, ma
ad un livello di una dignità superiore, indicata dall'aggettivo incoronata. Per
Schmidt, invece, esiste prima di tutto un passaggio significativo che porta dal
concetto della legittimità del regnare a quello della dittatura. La dittatura
incoronata significa solo un pis-aller pratico mai ha concepito questo
espediente pragmatico come una forma di salvezza. E in questo caso così come
già ampiamente esposto in Rivolta contro il mondo moderno, il costante rimando di
Evola ad un fondamento trascendente dell'ordine politico rimane quell'ineliminabile
discrimine che non può essere in alcun modo occultato o minimizzato. L'epistolario
assume rilievo in relazione al tentativo di fornire di solidi contrafforti
ideologici e culturali il mondo conservatore che, nel dopoguerra italiano, si
trovava a combattere la sua battaglia politica. Entra in contatto epistolare
con Benn, appartenente alla cosiddetta Rivoluzione conservatrice. Il primo incontro
risale durante la tappa berlinese di un viaggio che Evola effettua in Germania.
Da quell'incontro scaturisce una recensione-saggio di Benn alla versione di “Rivolta
contro il mondo moderno” che appare in “Die Literatur di Stoccarda”. Nel
presentare “Rivolta contro il mondo moderno”, Benn espone le sue teorie
convergendo con la visione del mondo di Evola. Si ha rintracciato tre lettere
da Evola a Benn. Le lettere sono importanti in quanto chiariscono la comunanza
di vedute dei due autori rispetto al tema della tradizione e di una visione del
mondo conservatrice, oltre al fatto che entrambi non si riconoscono nel
establishment. “Sono sempre più convinto che a chi voglia difendere e
realizzare senza compromessi di sorta una tradizione spirituale e aristocratica
non rimanga purtroppo, oggi e nel mondo moderno, alcun margine di spazio; a
meno che non si pensi unicamente a un lavoro elitario». E un tentative di
riprendere, nel dopoguerra, i rapporti con i filosofi conservatori. Invia
lettere a Tzara. Si tratta di una trentina di documenti tra lettere e
cartoline. Molte tappe del cammino artistico del filosofo romano sono già note
prima del rinvenimento della corrispondenza con Tzara: in parte perché lo
stesso Evola ne parla nella sua autobiografia, in parte perché dedotte dai
critici e dagli studiosi nelle partecipazioni, in qualità di articolista, che ha
in alcune riviste d'arte dell'epoca: Noi, Cronache d'Attualità, Dada e Bleu. Ciò
che invece non è noto prima del rinvenimento della corrispondenza, sono le
modalità dell'avventura evoliana nella sfera artistica, ovvero come essa si
attuò, come fu vissuta, a che mirava. L'archivio della corrispondenza tra i due
artisti ha, inoltre, il pregio di colmare il vuoto di un periodo poco
conosciuto di Evola. Questo vuoto si colma sia attraverso la ricostruzione di
tappe cronologiche (il recupero di alcune date, partecipazioni a mostre,
riviste, incontri) sia attraverso il recupero di tappe più specificamente
psicologiche. In particolare quelle che portano Evola ad annunciare il proprio
suicidio e che raccontano di un uomo colto nel pieno male di vivere, di una
sperimentazione del travaglio interiore che l'artista vive, dove la sofferenza
acuta si alterna alla disperazione. Altre opere: “Arte astratta, posizione
teorica” (Roma, Maglione e Strini); La parole obscure du paysage intérieur,
Roma-Zurigo, Collection Dada); Saggi sull'idealismo magico, Todi-Roma, Atanòr); L'individuo e il divenire del mondo, Roma,
Libreria di Scienze e Lettere); “L'uomo come potenza, Todi-Roma, Atanòr, “Teoria
dell'individuo assoluto, Torino, Bocca); “Imperialismo pagano, Todi-Roma,
Atanòr); “Fenomenologia dell'individuo assoluto” (Torino, Bocca); “La
tradizione ermetica, Bari, Laterza); “Maschera e volto dello spiritualismo
contemporaneo, Torino, Bocca); “Rivolta contro il mondo moderno, Milano,
Hoepli); “Tre aspetti del problema” (Roma, Mediterranee); “Il mistero del
Graal, Bari, Laterza); “Il mito del sangue, Milano, Hoepli); “Indirizzi per una
educazione” Napoli, Conte); “Sintesi di dottrina” (Milano, Hoepli); La dottrina
del risveglio, Bari, Laterza); “Lo Yoga della potenza, Torino, Bocca); “Orientamenti,
Roma, Imperium”; “Gli uomini e le rovine, Roma, Edizioni dell'Ascia); “Metafisica
del sesso, Todi-Roma, Atanòr); L'«Operaio» in Jünger, Roma, Armando); “Cavalcare
la tigre, Milano, Vanni Scheiwiller); Il cammino del cinabro, Milano, Vanni
Scheiwiller); “Saggio di una analisi
critica” (Roma, Volpe); “L'arco e la clava, Milano, Vanni Scheiwiller); “Raâga
Blanda, Milano, Vanni Scheiwiller); “Il taoismo, Roma, Mediterranee); Ricognizioni.
Uomini e problemi, Roma, Mediterranee); Lao Tze, Il libro della via e della
virtù, Lanciano, Carabba, Cesare Della Riviera, Il mondo magico de gli heroi, Bari,
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Fascismo e l'idea politica tradizionale, Documenti per il Fronte della
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nazionalsocialista, Documenti per il Fronte della TradizioneFascicolo, Raido, Julius Evola, I "Castelli
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Evola, La Dottrina aria di Lotta e Vittoria, Documenti per il Fronte della
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Evola a Tristan Tzara, Elisabetta Valento, Roma, Fondazione Julius Evola,
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a Carl Schmitt, Roma, Fondazione Julius Evola, Lettere a Gentile, Roma, Fondazione
Julius Evola. Julius Evola, La Torre. Foglio di Tradizioni varie e di
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sul fronte dell'Est, in Quaderni del Veltro, Gianfranco De Turris, La
corrispondenza tra Julius Evola e Gottfried Benn, su centrostudilaruna, Gianfranco
De Turris, Profilo di Julius Evola, in Julius Evola, Rivolta contro il mondo
moderno, Roma, Mediterranee, Registro degli atti di nascita di Roma, Archivio
di Stato di Roma Registro degli atti di
nascita di Cinisi, Archivio di Stato di Palermo
Registro degli atti di nascita di Cinisi, Archivio di Stato di
Palermo Registro degli atti di matrimonio
di Cinisi, Tribunale di Palermo Registro
degli atti di nascita di Roma Archivio di Stato di Roma Il Barone Immaginario Il Barone
Immaginario, Gianfranco De Turris, Ugo
Mursia Editore, Milano, Catalogus Baronum,
pagina Vanni Scheiwiller, Nota dell'editore, in Julius Evola, Il cammino del
cinabro, Milano, Scheiwiller); Julius Evola, Il cammino del cinabro, Catalogo
della mostra con tutte le opere in:
Grande Esposizione Nazionale Futurista, Milano, Le Presse, Claudio
Bruni, Evola Dada, in Gianfranco De Turris , Testimonianze su Evola, Roma,
Mediterranee. Julius Evola, Il cammino
del cinabro. Egli prende la terra come terra, pensa alla terra, pensa sulla
terra, pensa 'Mia è la terra' e si rallegra di ciò: e perché? Perché egli non
la conosce, dico io. L'estinzione vale a lui come estinzione, allora egli deve
non pensare all'estinzione, non pensare sull'estinzione, non pensare 'Mia è
l'estinzione', non rallegrarsi dell'estinzione: e perché? Perché impari a conoscerla,
dico io.” Lettere a Tzara, Roma, Edizioni Fondazione Julius Evola, Carlo
Fabrizio Carli, Evola pittore tra futurismo e dadaismo, su juliusevola. Claudio
Bruni, Evola Dada. Per un approfondimento: Vitaldo Conte, Maschere di Evola
come percorso controcorrente, Atti del convegno di studi "Julius Evola e
la politica", Alatri Emiliano Di Terlizzi. Luciano De Maria, Introduzione
a: FT. Marinetti, Teoria e invenzione futurista, Milano, Mondadori,Per un
approfondimento sulla produzione pittorica di Evola si rimanda a due cataloghi:
Evola e l'arte delle avanguardie. Tra Futurismo, Dada e Alchimia, Roma,
Fondazione Julius Evola, e Vitaldo Conte, Julius Evola. Arte come alchimia,
mistica, biografia, Reggio Calabria, Iriti, Julius Evola, Il cammino del
cinabro. Poi ristampati sotto forma di antologia: Gruppo di Ur, Introduzione
alla magia come scienza dell'Io, Torino, Bocca, 1955. Per una trattazione esaustiva dell'argomento
si rimanda a Renato Del Ponte, Evola e il magico gruppo di Ur, Borzano, Sea R, Evola,
Il cammino del cinabro. Francesco Lamendola, Alcuni aspetti del pensiero
filosofico di Julius Evola. Fenomenologia dell'Individuo assoluto, Roma,
Mediterranee, Alessandra Tarquini, Il Gentile dei fascisti, Bologna, Il Mulino,
Giuseppe Gangi, Misteri esoterici. La tradizione ermetico-esoterica in occidente,
Roma, Mediterranee, Evola, Renato Dal Ponte , Meditazioni delle vette, La
Spezia, Edizioni del Tridente, Francesco Demattè, Julius Evola, Meditazioni delle
vette, in Secolo d'Italia, Gianfranco De Turris, Biografia, in Gianfranco De
Turris , Testimonianze su Evola, Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, Alain de
Benoist, Julius Evola, reazionario radicale e metafisico impegnato, in Julius
Evola, Gianfranco De Turris , Gli uomini e le Rovine e Orientamenti, Roma,
Mediterranee, La scuola di mistica fascista. Scritti di mistica, ascesi e
libertà, Napoli, Controcorrente, Il fascismo quale volontà di impero e il
cristianesimo, in Critica Fascista, Silvio Bertoldi, Salò. Vita e morte della
Repubblica Sociale Italiana, Milano, Rizzoli, Roberto Vivarelli, Fascismo e
fascismi, in Nuova storia contemporanea, Evola stipendiato dal Duce, in
Avvenire, Marco Tarchi, Evola e il fascismo: note per un percorso non
ordinario, in Cultura e fascismo.
Letteratura, arti e spettacolo di un ventennio, Firenze, Ponte alle Grazie, Giuseppe
Parlato, Fascismo, Nazionalsocialismo, Tradizione, in Julius Evola, Fascismo e
Terzo Reich, Roma, Mediterranee, Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani
sotto il fascismo, Il Fascismo, saggio di un'analisi critica dal punto di vista
della Destra, Volpe, Roma, Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico
sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, Pino Rauti e
Rutilio Sermonti, Storia del fascismo, Roma, Centro Editoriale Nazionale, Giuseppe
Parlato, Fascismo, Nazionalsocialismo, Tradizione. Cfr. anche, sulla critica
allo stato educatore, Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, Evola, Fascismo e
Terzo Reich, Fascismo e Terzo Reich.
Gianfranco De Turris, Nota del curatore, in Julius Evola, Fascismo e
Terzo Reich, Per un elenco completo delle collaborazioni giornalistiche:
Gianfranco De Turris, Biografia, in Gianfranco De Turris , Testimonianze su
Evola, Julius Evola, Il mito del sangue, Milano, Hoepli, Evola, L'esposizione
antiebraica di Monaco, "Il Regime fascista", Julius Evola, I testi
del Corriere Padano, Padova, Edizioni di AR, Franco Cuomo, I Dieci. Chi erano
gli scienziati italiani che firmarono il manifesto della razza, Milano, Baldini
Castoldi Dalai, Julius Evola, Il mito del sangue. Julius Evola, Il mito del sangue.
Il cammino del cinabro. Evola, Il cammino del cinabro, Franco Rosati, Un
pessimismo giustificato? Intervista a Evola, in La Nation Européenne, Renzo De
Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, Renzo
de Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, Gianfranco
De Turris , Testimonianze su Evola, Roma, Edizioni Mediterranee e Vanni
Scheiwiller, Note dell'editore in Julius Evola, Il cammino del cinabro. Tale è
l'opinione di un'importante testata giornalistica italiana del tempo: Il
Giornale d'Italia (l'articolo è firmato
da Adone Nosari). Il rif. si trova in: Renzo De Felice, Storia degli ebrei
italiani sotto il fascismo, opAttilio Milano, Storia degli ebrei in Italia,
Torino, Einaudi, Francesco Germinario, Razza del Sangue, razza dello Spirito: Evola,
l'antisemitismo e il nazionalsocialismo, Torino, Bollati Boringhieri, Alberto
Lombardo, Razza del sangue, razza dello spirito, Centro Studi La Runa. Francesco
Cassata, A destra del fascism: profilo politico di JEvola, Torino, Bollati
Boringhieri. Gianni Scipione Rossi, Il razzista totalitario. Evola e la
leggenda dell'antisemitismo spirituale, Catanzaro, Rubbettino, Furio Jesi,
Cultura di destra, Milano, Garzanti,Guido Caldiron, Un filosofo buono per tutte
le destre, in Avvenire, Furio Jesi. Luca Leonello Rimbotti, Linea, Massoneria e
fascism: dall'intesa cordiale alla distruzione delle Logge: come nasce una
«guerra di religione», Castelvecchi, Julius Evola, Per un allineamento
politico-culturale dell'Italia e della Germania, in Lo Stato. Il cammino del
cinabro. Fra queste la Piccola Treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Giorgio Bocca, La Repubblica di Mussolini, Roma-Bari, Editori
Laterza, Bruno Zoratto , Julius Evola nei documenti segreti dell'Ahnenerbe,
Roma, Fondazione Julius Evola, G. De
Turris, Julius Evola. Un Filosofo in Guerra, Milano, Mursia, Il cammino del
cinabro, Fondazione Julius Evola, Una biografia di Julius Evola, su Fondazione Julius
evola. Gianfranco De Turris , Lettere di Julius Evola a Girolamo Comi, Roma, Fondazione
Julius Evola, Francesco Carnelutti, In difesa di Giulio Evola, in L'Eloquenza, Julius Evola, Autodifesa, Roma, Edizioni Fondazione
Julius Evola, Pino Rauti, Evola: una guida per domani, in Civiltà, Gianfranco De Turris , Elogio e difesa di Evola,
Roma, Mediterranee, Gianfranco De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, op. Julius
Evola, Razzismo e altri orrori (compreso il ghibellinismo), in L'Italiano, Gianfranco
De Turris , Elogio e difesa di Julius Evola, Felice Pallavicini, Evola,
traditore dello spirito, in Corriere della Sera, Gianfranco De Turris , Elogio
e difesa di Julius Evola. Pino Tosca, Il cammino della Tradizione, Rimini, Il
Cerchio, La via romana, Centro Studi sulle Nuove Religioni. Julius Evola,
Statuto della Fondazione Julius Evola, su juliusevola, Riccardo Paradisi, Gli
Arya seggono ancora al picco dell'avvoltoio, in Giovanni Conti, Evola
tascabile, Roma, Settimo Sigillo, Amalia Baccelli, Ricordo dell'uomo, in
Civiltà, //lastampa// edizioni/ aosta/la-nostra-
fuga- dagli-sul- monte-rosa- per- seppellire- le-ceneri-di-evola- Julius Evola,
Franco Freda Orientamentiundici punti,
Padova, Edizioni di Ar, Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Enzo Collotti,
Il fascismo e gli ebrei, Bari-Roma, Laterza, Alessandro Barbera , La biblioteca
esoterica. Carteggi editoriali Evola-Croce-Laterza, Roma, Fondazione Julius
Evola, Cesare Medail, Julius Evola: mi manda Don Benedetto, in Corriere della
Sera, Cfr. la prefazione del testo
Lettere di Julius Evola a Benedetto Croce, pubblicato dalla Fondazione Evola. Guglielmo Savelli, Cronache di un incontro
mancato. Gli ardui rapporti tra l'attualismo e l'idealismo magico, su
italiasociale.org, Stefano Arcella, Gentile amico e nemico, "L'Italia Settimanale",
Margarete Durst, Il contributo di Julius Evola all'"Enciclopedia
Italiana", in Il Veltro, Guido
Calogero, Come ci si orienta nel pensiero contemporaneo? Sansoni, Firenze, Alessandro
Giuli, Evola-Gentile-Spirito: tracce di un incontro impossibile, in Annali della
Fondazione Ugo Spirito. I volumi sono: Saggi sull'idealismo magico, Teoria
dell'individuo assoluto, Imperialismo pagano e Fenomenologia dell'individuo
assoluto. Alberto Lombardo, Caro
conservatore ti scrivo, su centrostudilaruna, Si tratta del saggio Donoso
Cortes in gesamteuropäischer Interpretation, poi pubblicato in Carl Schmitt,
Donoso CortésInterpretato in una prospettiva paneuropea, Milano, Adelphi, Julius
Evola, Ricognizioni. Uomini e problemi, Roma, Mediterranee, C. Schmitt, Donoso
Cortes Interpretato in una prospettiva paneuropea, Evola, Rivolta contro il
mondo moderno, Giovanni Damiano, Evola e l'utonomia del politico, Atti del
convegno di studi "Evola e la politica", Alatri, Emiliano Di
Terlizzi, Antonio Caracciolo, Due atteggiamenti di fronte alla modernità, in
Antonio Caracciolo , Lettere di Julius Evola a Carl Schmitt, Roma, Fondazione
Evola. Essere e divenire, in Julius Evola, Rivolta contro il mondo modern. Evola,
infatti, oltre a Benn, scrive a Guénon, Eliade e Schmitt e Jünger. Julius Evola,
Il cammino del cinabro, Lettere a Tzara, Roma, Fondazione Evola, Elisabetta
Valent. In italiano Adriano Tilgher,
Giulio Evola, in Antologia dei Filosofi Italiani del dopoguerra, Modena,
Guanda, Gianfranco De Turris, Omaggio a
Julius Evola, Roma, Volpe, Gianfranco De Turris, Testimonianze su Evola, Roma,
Mediterranee,Maura Del Serra, L'avanguardia distonica del primo Evola, in Studi
Novecenteschi, Pier Luigi Aurea, Evola e il nichilismo, Palermo, Edizioni
Thule, Piero Vassallo, Modernità e tradizione nell'opera evoliana, Palermo,
Edizioni Thule, Philippe Baillet, Julius Evola e l'affermazione assoluta, Padova,
Edizioni di Ar, Marcello Veneziani, La ricerca dell'assoluto in Julius Evola, Palermo,
Edizioni Thule, Gian Franco Lami, Introduzione a Julius Evola, Roma, Volpe, Marcello Veneziani, Julius Evola tra filosofia
e tradizione, Roma, Ciarrapico editore, Roberto Melchionda, Il volto di
Dioniso, Roma, Basaia, Giovanni Ferracuti, Julius Evola, Rimini, Il Cerchio, Anna
Maria Jellamo, Julius Evola. Il filosofo della tradizione, in La destra radicale,
Milano, Feltrinelli, Piero Di Vona, Evola e Guénon. Tradizione e Civiltà,
Napoli, Società Editrice Napoletana, Marguerite Yourcenar, Incontri col
Tantrismo, in Il tempo grande scultore, Torino, Einaudi, Gennaro Malgieri,
Modernità e Tradizione, Roma, Settimo Sigillo, Tradizione e/o Nichilismo,
letture e ri-letture di "Cavalcare la tigre", Milano, Società
Editrice Barbarossa. Antimo Negri,
Julius Evola e la filosofia, Milano, Spirali, Luca Lo Bianco, Evola, in
Dizionario biografico degli italiani,
43, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, Marco Fraquelli, Il
filosofo proibito, tradizione e reazione nell'opera di Julius Evola, Milano,
Terziaria, Pablo Echaurren, Evola in Dada, Roma, Settimo Sigillo, Gianfranco De
Turris, Adolfo Morganti;, Julius Evola, mito, azione, civiltà, Rimini, Il Cerchio,
Elisabetta Valento, Homo Faber, Julius Evola fra arte e alchimia, Roma, Fondazione
Julius Evola, Renato Del Ponte, Evola e il magico "Gruppo di UR",
Borzano, SeaR, Sandro Consolato, Julius Evola e il buddismo, Borzano, SeaR, Delle
rovine ed oltre, saggi su Julius Evola, Roma, A. Pellicani. Gianfranco De
Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, il Barone e i terroristi, Roma,
Mediterranee,Adriano Romualdi, Su Evola, Roma, Fondazione Julius Evola, Giovanni
Damiano, La filosofia della libertà di Evola, Padova, Edizioni di Ar, Gigi
Montonato, Comi-Evola. Un rapporto ai margini del fascismo, Lecce, Congedo, Beniamino
Di Dario, La via romana al Divino: Evola e la religione romana” (Padova,
Edizioni di Ar); Francesco Germinario, Razza del sangue, razza dello spirito,
Torino, Bollati Boringhieri, Patricia Chiantera Stutte, Julius Evola. Dal
dadaismo alla rivoluzione conservatrice, Roma, Aracne, Francesco Cassata, A
destra del fascismo. Profilo politico di Julius Evola, Torino, Bollati Boringhieri,
Giovanni Damiano , L'ora che viene. Intorno a Evola e a Spengler, Padova, Edizioni
di Ar, Sandro Consolato, Julius Evola trentanni dopo, Roma, I libri del Graal, 2004. Vitaldo Conte, Julius Evola. Arte come
alchimia, mistica, biografia, Reggio Calabria, Iriti, Thomas Dana, Julius Evola
e la tentazione razzista, Mesagne, Sulla rotta del sole, Alberto Lombardo,
Evola, gli evoliani e gli antievoliani, Roma, Nuove Idee, Gianfranco De Turris,
Esoterismo e fascismo, Roma, Mediterranee, Hans Thomas Hakl, La questione dei
rapporti fra Julius Evola e Aleister Crowley, in Arthos, n. 13, 2006, 269-289. Gianni Scipione Rossi, Il razzista
totalitario, Catanzaro, Rubbettino, 2Marco Iacona, Il maestro della tradizione.
Dialoghi su Julius Evola, Napoli, Controcorrente,Alessandra Tarquini, Il
Gentile dei fascisti, Bologna, Il Mulino, Marco Iacona, Julius Evola e le
vicende processuali legate ai Far (1951-54), in Nuova Storia Contemporanea, Fabio
Venzi, Julius Evola e la libera muratoria, Roma, Settimo Sigillo, Gianfranco De
Turris, Evola. Un filosofo in guerra, Milano, Ugo Mursia Editore, Rene Guenon,
Lettere a Julius Evola, edizioni Arktos, Heliodromos, Speciale Evola, Catania. Documentari
Dalla Trincea a Dada di Maurizio Murelli. DVD dalla Società Editrice Barbarossa di Milano,
della durata di 101 min., che ripercorre il periodo artistico di Evola. Con
musiche di: Ain Soph, Kaiserbund, Roma, Wien, Zetazeroalfa. Pio
Filippani Ronconi, Reghini, Parise, Pitagorismo Tradizionalismo, Paganesimo,
Via romana agli dei, Fondazione Julius evola.
Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani,
Rigenerazion Evola, Centro Studi La Runa. Vatimmo, “Evola, un filosofo scomodo
per tutti”; Approfondimenti sul pensiero Francesco Rosati, Intervista a Evola,
su juliusevola, Giovanni Monastra, Evola tra la seduzione e l’aristocrazia. Michele
Ognissanti, Luci ed ombre su Evola, su salpan.org, Alberto Lombardo, Da Rivolta
contro il mondo moderno a Gli uomini e le rovine. Mario Polia, Linee per una
critica al concetto di tradizione in Evola, Giano Accame, Evola e la Konservative
Revolution, Luca Lionello Rimbotti, Evola così com'era, Vitaldo Conte, Maschere
di Evola come percorso controcorrente, Aleksandr Dugin, Astrazione e
differenziazione in Julius Evola, Opere dadaiste, futur-ism. 2artericerca. 29
dicembre . Interviste Intervista a Julius Evola, su youtube 29 dicembre .
Intervista a Salvatore Tringali, su youtube Intervista a Gian Franco Lami, su youtube
Quando Evola intervistò il conte Kalergi, su rigenrazione evola. The Germans do
not have the concept of virility. Evola’s concept of ‘maschio’ is very complex
– vir sums up best. Julius Evola. “Giulio Cesare Andrea Evola”. Keywords: virilita. pitagora, roma,
origini di roma, romolo, romanita, virilita, pitagora canti d’oro, ercole, male
bonding, virilita, vir, Dioscuri, castore e policce, Weininger, Buehler,
homoerotic, intergenerational male bonding, tutor/tutee, hero, Aryan, European
– Roma, Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Evola," per Il
Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Fabri:
(Spinata
di Brisighella). Filosofo. Grice: “I like Fabri; especially the ardour by which
he fought Duns Scotus – a furriner! – and his malignant influence on the
Continent – he was a thoroughbred Aristotelian, like me!” Insegnò a Padova.
Critica Pico e Galilei, in difesa di Aristotele, dell'unità della metafisica e
della separazione di matematica e fisica. Altre opere: Disputationes
theologicae de restitutione et extrema unction (Venezia). “Adversus impios
atheos” – PHILIPPI FABRI FAVENTINI ORD. MINOR.
CONVENT. Jn Universitate Patauina Olim Sacrae Theologiae Professoris EXPOSITIONES,
ET DISPVTATIONES In XII. Lib. Arist. MATAPHYSICORVM; QVIBVS DOCTIRNA IO. DVNS.
SCOTI Magna cum facilitate illustratur, [et] contra Aduersarior omnes tam
Veteres, quam Recentiores defenditur His Praeijt Auctoris Vita a MATHEO
VEGLENSI, Nunc Sacrum Theologiam in eadem Vniuersitate Publice docente,
Conscripta. Cum Duplici Disputationum, [et] Rerum Memorabilium Indice . Ad
EMINENTIS. ET REVERENDIS. PRINCIPEM D. Dominum FRANSCISCVM CARDINALEM
BARBERINVM S.R.E. Vicecancellarium. Il valore della "Metafisica"
di Aristotele e la distinzione delle scienze speculative. In: Innovazione
filosofica e università tra Cinquecento e primo Novecento. Filippo Fabri.
Filippo Fabbri. His comment on Aristotle’s metaphysics is a gem. It’s divided
in dissertatio – and chapters for each little unit. The following should serve
as kewyords. DISPVTATIO PRIMA. contrarium solution cap,
il Yorum appetitus addat aliquid supra facultatem, cuius De Structura
Metaphysicorum est appetitus, & idem de concupicibile, & irascibile .
cap. III P. 22 BIECTIO ' Adversariorum Aristotelis contra scientiam Metaphy
DISPVTATIO VIL sicorum . Cap. I Excellentia Metaplıyl. explicatur. V trum inter
omnes senſus magis senſum visus Cap. 11 diligamus, o hoc quia vilusfaciat nos
Excellentia Merappyf. inductine din magis scire . scurrendo per diversas
(ciencias, & questa varia pub. Cap. III pag. Is Rationes, quibusallata
propositio Aristoteli videtur Adraciunes Adversariorum Arist. cap.1111 falla Declaratur
alata propositio, & soluuntur rationes DISPVTATIO II . adduciæ . cap . II
DC Inscriptione, Сар. Рnicит, DISPUTATIO VIII . DISPVTATIO II. Utrum in Brutis
sit prudential. Utrum. Metaphys. sit scientia subalternans, Cap. Quid sit
dicendum reiectis opinionibus contrariis, Рівіскі . cap. Vnicum . P. 34
DISPVTATIO IIII DISPVTATIO, VINNI . De Subiecte Metaphysicorum. Utrum ex
experimentis generetur ars, siue scientia. Aliorum opiniones adducuntur, &
reijciuntur, cap.1. Opinio Arist. & Scoti cum suis fundamentis brevi. ter
explicatiil'. cap . I P: 36 Vera Opinio cap.nl p.21 Obiectiones contra
opinionem Aristot.ex! Antiquis Heraclito, Platone, & Avicenna , & earum
con DISPVTATIO. V. futatio, & Solutio . cap . II Obiectiones aliorum contra
quædam dicta in 1. cap. Vtrum ens habeat peras causas, principia. & eorum solutio
Vtruy verum sit quod expertus non habens artein , Quid sit dicendum . cap. 1 p.
22 nec scientiam certius operetur habente , & scienti. Obiectiones aliorum
præfertim contra distinctionem ang, sed inexpertè , formalçın soluuntur . cap.
I I p. 22 DISPVTATIO X. DISPVTATIO VI. Vtrum AEtiones sint circa singularia .
vide lib.7. Vtrum illa propositio Aristot. Omnes homines Diput. natura scire
dederant, sit vera, de quo auctitu DISPVTATIO XI. Opinio Thomist. &
quorumdam aliorum adducitur, Vtrum aliquis SENSVS INTERNVS dividat, come &
refellitur ponat , a discurrat , Opinio Scoti, & eius Comprobatio, &
rationum in P.38 Di OPERA 15 Opinietur . Opinio D. Tho . ac Sectatorum
refellitur, & Opinio Quid sit dicendum.c. vnic. 02 Scoti explicatur.c. Vdic
DISPVTATIO DISPVTATIO V. XII. Vtrum detur Regressus, yorum obiectum per se
sensus sit aliquid fub ra. tione singulariiatis. DISPVTATIO VI. DISPVTATIO XIII
. Vtrum sit ponere Stutum in omni genere catfitri ... ptrum ad Metaphyf.
pertineat cognoscere omnes Quæ fine causæ essentialiter ordinatæ, & quæ
acci. quidditates rerum in particulari. dentaliter, & quæ per se, & quæ
per accidés.c. 1,93 Resolutio quæstionis secund. Scotum . c.2 Aliotum Opiniones
adducuntur , & refelluntur. Obiectiones contrarationes Scoti , &
Propoſitioné 49 Arift .& carundem folutio.c.3 Opinio Scoti explicatur ,
& rationes in oppofitum Coluuntu. DISPVTATIO. VII. DISPVTATIO XIV . Vtrum
cauſæ ſecunde pendeant in sua causalitate ab aliis causis secundis
superioribus, vt Vtrum magis universalia sint difficiliora cogni agentia hæc inferiora
d cælo . DISPVTATIO Opinionibus Contrariis conſideratis, quid sit dicen X V.
dum Itatuitur. Quomodo Celum sit causa lucis, luminis, & caloris trum
metaphyſicæ sit scientia practica, vel Spe. permotum, vbi de generatione
caloris quoque culatiúl, ego idem de logica. agitur. c.2 Quid sit dicendum de
Metaphyſ. breviter explica- Quomodo Cçlu producat calore per lumé.c.z. SS Quid
sit dicendum de Logica DISPVTATIO VIII. SVPER LIBRVM SECVNDVM. Vtrum infinitum
possit à nobis cognolci. DISPVTATIO PRIMA . An poßit à nobis cognosci infinitum
esse in rebus Vtrum prima principia Complexa vel illud de quo- An intellectus
creatus poflit infinitum secundú quod libet perum est AFFIRMARE, VEL NEGARE, de
nullo infinitum cognoscere. Opinio Suarez cun fais amboſimul, sint nobis naturaliternota.
fundamentis Opinio allata reijcitur. Opinio Scoti explicatur, & ra Quid sit
dicendum. ciones in oppositum foluuntur.c.3 An A Genfus principiorum sit actus
distinctus ab apprehensione , & quædam alia dubia mota a Scoto SVPER LIBRVM
TERTIVM . in hac quæst.&non soluta, Coluuntur. DISPVTATIO PRIMA. DISPVTATIO
II. Utrum immobilitas sit causa efficiens, o finalis Vtrum difficultas cognoscendi
resfit ex parte intellectus, vel ex parte rerum cognoscibilium. Quid sit
dicendum breviter explicatur. cOpinio Averr. Thomist. & aliorum cum suis
fundamentis DISPVTATIO II. Opinio Scoti comprobatur, & allaræ refelluntir.
Vtrum genus prædicetur de differentia per se, Opinio Scoti explicatur ,
&rationes Aduerfariorum Quid sit dicendum. Cap. Vnicum ſoluuntur DISPVTATIO
III SUPER LIBRVM QVARTVM rio. DISPVTATIO PRIMA. Utrum substantiæ abstracta
immateriales possint cognosci secundum suas quidditates ab Vtrum ens uni-voce prædicetun
de Deare creaturis intelle &tu nostro pro Aatu iſto. Opinio Thomist.
adducitur substantia, e accidente: vbiquæ ad hancmate, & refellitur riam
spe &tent quæq; tractata sint explicantur, Thomist. responsiones refelluntur.
quædam observanda adduntur. Opiniones Auerr.Themistij, simplicii, &
Platonicorum, ac Avicennæ adducuntur, & refelluntur Utrum ců Univocatione
entis stet ANALOGIA An Analogum mediet inçer UNIVOCVM, & æquivocu. Explicatur
Opinio Scoti, & rationes in oppositum DISPVTATIO IIII DISPVTATIO II. .
Vtrum Privatio , Negatio sit ens rationis, In quo sit felicitas, & summum
bonum hominis se iundum Aristotelem, alios Philosophos. Opinio Aucrc.D. Thoin,
& sectatorium.c Cap. 2 soluuntur Opinio untur .C.2 IX . E Opinio Scoti,
& solutio rationum pro Adversariis DISPVTATIO IX DISPVTATIO 111 Vtrum
vniversale pro prima intentione sit in solo intellectu, an in rebus, a quo fiat,
ứ quid sit. Vtrum cognitionem negatio habeat ab affirmatione
diftinétamcuiformalitatem opponitur ., ca Status quæftionis aperitur, &
opinio Nominal. addu citur, & confutatur Quid sit formalitas Opinio Thomiſt
. & multorum aliorum adducitur, & Quomodo formalitas ſeù
conceptibilitas negationis refellicur.c.2 189 Te habeat ad formalitatein
affirinationis Opinio Scoti Quomodo privatio per affirmatione , & privatio
An intellectus agens, vel possibilis faciat universale, per positiuuin cognoscatur
solutio trium quæftionum à Porphirio excitata rum in Proemio Prædicabil. DISPVTATIO
IV. Rationes pro aliis opinionibus adductæ soluuntur. De ente rationis, e
fecundis intentionibus. DISPVTATIO X. An fir ens rationis, & quotuplex sit Quotuplex
sit ens rationis, Aliorum opiniones reijci Utrum verum ſit paſſio entis , &
quid fit Opinio Scoti explicatur , & rationibus primo capite DISPVTATIO XI
. addictis reſpondetur Quid fit ens rationis,& fecundaintentio. Opinio A.
Vtrum bonum sit passio entis, & quid sit liorum, & eorumdem confutatione
Quid sit ens rationis, & secunda intentio secundum DISPVTATIO XII. Scorú,
& quomodo formatur,& an formetur a voluntate, & fenfitiua potential
Vtrum preter vnum, verum, bonum den An: prædicametu undecimú debcat constitui,
in quo tur aliæ passiones entis entia rationis reponantur Quid sit dicendum
breviter declaratur . c . vnic DISPVTATIO V. DISPVTATIO XIII . virum ens habeat
veras paſſiones , cproprietates. Vtrum iftud principium ,impoſſibile eſt id
eniſimul Variæ opiniones cum eorum fundamentis eſje; non efje fit firmiſſimim .
Allara opinio refellitur Opinio Scoti explicatur, & rationes Aduerſarlorum
Veritas breviter explicatur, & quædam obicctiones ſoluuntur soluuntur
.c.vnic DISPVTATIO ATTO DISPVTATIO VI . XIV Vtrum propria paſio distinguatur
realiter vtrum hoc principium inpossibile est idem fimulef à Juo subiecto. fes
nonesse sit simpliciter primum principi um , e prima omnium dignitatum . Opinio
& Auerroiſt Nominal. quorumdam . breuiter reijcitur cum fuis , & opinio
fundamentis Thom. . Au principiun iſtud ſit diuerſum ab alijs principijs, &
explicatur.c. præſertim ab illo , de quolibet verum eft affirmare 201
velnegare.c.1 Allata opinio reijcitur, & opinio Scoti, quæ eft etiam Auert.
Comprobatur Opinio Allerentium primum principium ſimpliciter Rationes Aduerſariorum
foluuntur elle illud de quolibet verum ett affirinare ,vel nega Rationes
Aduerſariorum contra diftinctionem for re , retellitur. malem inter ſubiectuin
, & paflionem adducuntur, ConGdecancur opinio Antonij Andreæ, obiectiones
& foluuntur.C.4 176 Aduerfarioruin , & quæfituin reſolutur.c.3 204
DISPVTATIO V11. DISPVTATIO XV . V trum vnü quod eft paffio entis, dicat quid
poſitivi Vtrum inter contradictoria detur medium. Opinio Auicennæ reijcitur,
& opinio D.Thom .& re . Quomodo vera fit hæc propofitio , &
aſſertio , inter ctatorum explicatur cum ſuus fundamentis.c.1.177
contradictoria datur mediam explicatur , & ebie Opinio D.Thom . &
ſectatorum refellitar.c.2 179 ctiones quædamin contrario foluuntur. C.1.206 208
Opinio Scoti explicatur , & rationes pro Aduerſarijs Argumenta quædam
contraria toimuntur.c.2. foluuntur SUPER LIBRVM QVINTVM. DISPVTATIO VIII .
DISPVTATIO I. De Vnitate indiuiduali, seu de principio individuationis . Vtrum
cauſæ ſint tantum quatuor . Quierlain adduntur ad ea , quæ in Philoſopbia
naturali Quæ fit diffinitio propria principij, & caufæ , & quod dicta
ſunt de principio indiuiduationis contra Sua corum difcrimen. Suarez, & opinio
Scoti magis confir. Vtrum fint plura quá quatuor genera cauſarú ,vbide caula
XCII Di 202 D D INDE X. 1 c. 308 299 - . caufi fine quanon ,decauſa diſpoſitiua
, obiectiva cxemplaridiecimur.c. 2 Vera explicatio difficultatis propofitæ
,& rationen in oppofitum folutio. Verum cauſa exemplaris fit genas
diſtinctuin caufæ à quatuorgeneribuscaularum pofitis ab Aristotelis. DISPVTATIO
VIII. C. 3 DISPVTATIO II. Vtrum caufe ſint ſibi inuicem cauſa . in quo
conſiſtat cauſalitascauſamaterialis, forma. Quæſtio breuiter reſoluitur,
&quædam obiectiones lis , efficientis . in contrarium foliuntur.c.vnico DISPVTATIO
IX. Opinio aliorum.com 237 Allatæ Opinio opiniones vera cuin luis refelluntur fundamentis,
& folutio racionú verum neceſſaria habeant caufam fui esse Aducrſariorum. DISPVTATIO
X. DISPVTATIO III. Vtrum ens diuidatur in decem prædicamenta per De cauſa
finali. modos prædicandi, vel per modos eßendi. Caula finalem ele caulam realem
, & caulam caliſa- Quid fitmodus rei, & quid modi intrinſeci, aliorum
fum opinionibus reiectis,explicatur.c. I 305 An finis caufct , & moueat
fecundum fuum elle rea . Opinio Scoti.c. 2 le, an secundum elle cognitum in
inente, DISPVTATIO XI . Antinis caulec Meraphorice ,vel efficienter Viruin
ratio formalis conftitutiua finis in proxiina di ſpoſitione ad caufandam
larbonitas tin:s,& Ancau Vtrumſecunda diuiſio vnius , quæ eft in vnum nu
lalitas tinis babeat lociun in diuinis actionibus, in mero, unum specie, unum
genere, & vnum propor mediis relationibus prusacion.bus, & in naturali
tione sit conveniens .bus DISPVTATIO XII DISPVTATIO IV. Vtrum plura accidentia
solo numero diucrſapoſfint De causa instrumentali ere simul in eodem fubie&
to Opinio D. Thomz, & Thomist., cum suis fundamen- Opinio Thoiniſt. cum
fuis fundamentis Alaca opinio celicitur, & opino Scoti explicatur, & conriimtur Allaca opinio refellitur ,
& opinio Scoti explicatur Obectiones quęd.ım ex Suarez adducuntur, &
folur Vtrum inſtrumenta Artium habcant vim activa n . tur, & ndiciva deeius
speratione fertir Plures relaciones diltiactis numcroelli dc facto in co Opinio
Scoti adducitur,& rationes Aduerſariorun , dei lubiecto contraaduerfarios
prob cap.adductæ Coluuntur Rationes Aduerfariorum primo capite adducte lol
muntur DISPVTATIO V. DISPVTATIO XIII . Vtrum onus effe &tus poſſit
prouenire à pluribus caufis. V trum propria ratio quantitatisſit diuiſibilitas.
Quaeslio quoad criamembra, & tres fenfus,breuitcr Diffinitio quantitatis
explicatur cxplicatur Virum quantitas molis fit entitas distincta à ſubstan .
Vtrum idem effectus poflit effe fimul a pluribus cull cia materiali, &
qualitatibusillius ſis totalibus eiuſdeni generis, & ordinis sive speci
Viruin ratio menſuræ fit ratio torinalis quantitaris.De principali quæfito , An
divisibilitas sit ratio esé . DISPVTATIO VI cutis quantitates Qienum fic excentio in quanticate , &
quomodo ina Anidem indiuiduum poſſit produci à diue'ſis agen Ten yenda dit.c.s
tibus , idem numero reproduci naturaliter. DISPVTATIO XIV. An idem effectus
poflit eſſe à pluribus saufis rotali bus divisim, seu Anidem indiuiduum numeio
por Vtrum punctum linea, superficies sint entia rear fit produci à diuerſis
agentib ila vel railonis , An idem numero tam in fubftantia, quam in acciden te
poflit reproduci naturaliter Opinio nominalium negantiuneſſe entiz realia cum
iuus fundamcntis. DISPVTATIO VII . Opin o alaia reiicitur, & finul appo.iti
, quod iint evtia rcalia, que elt com 10HS comprobitiir Vtrum cauſa
particularisin a&u, &ſuus effe &tius in aftuſimulfint, & non
fint :vel fub alio titulo . Opinio Sco: i , & folutio rationum in oppoſituin.
Vtrum caufa fitprior ſuo effectu Quorundam opiniones adducuntur,
&reijciuntur DISPV pas T Opinio Scoti cum fuis fundamentis. DISPVTATIO XV .
Rationes crietani contra hanc opinionem , & rationem Scoti so trum
quantitas discreta ſit proprieſpecies Opinio allata caietani cum suis fundamentis,
& re . quantiiati, sponſionibus refellitur Soluuntur rationes aliorum.c4
Opinio negatiua cum fuis fundamentis Allata opinio refellitur & oppofita
comprobatur , DISPVTATIO XX11 Opinio Scoti , & communis explicatur , &
rationes Vtrum ad relationem realem tria fuffi in oppofitum foluunturçiant ,
Virum in ſpiritualibus tie quantitas diſcreta , & in dili nis fit numerus Relationem habere cauſam efficientem, &
finalem, quæ sunt extrema & relationem multiplicari ad DISPVTATIO XVI multiplicationcm
fubicctorum , & potentialem el fercaliter diftinctam ab actuali. Vtrum
qualitas rectè diftinguatur in qua., De Distinctione fubiecti , &
fundamenti in relation tuor ſpecies ne .c.2 393 Vtrum fundamentum , &
terminus in relatione reali Proponuntur difficultatesquædam generales circa do
neccfiario diftingui debeant realiter. Vbi opinio ctrinam Ariftotelis de
qualitatis ipecicbus.c.de Gregorij, Auscoli, & Okan apperiuntur, & rejciuntur
Quid dicendum circa allatas difficultates DISPVTATIO DISPVTATIO XXIII, XVII. Vtrum
dentur Relationes extrinfecus ad V trum locus fit quantitas . menientes ,
Explicatur quęnio 2. Q.101.b. Scoti, vbi de distin- Opin o Scoti explicatur cum
ſuis fundamentis ctione loci, de existenia duorum corporum in eo dein oco
difertur , & obicctiones Aducrtariorum Rationes aliorurn adduantur , &
rcfelluntur retelluntur Locum non cfle vacuum , quamuis vacuum poflit da Rationes
allaræ foluuntur leteffe ipeciem quantitates Solutio argumentorum conrra
fecundam , & tertiam opinionem DISPVTATIO XVIII, DISPVTATIO XXIV. Vtrum
motus, tempus fint species quantitatis.VNICUMI. Vtrum una relatio possit fundari
in alia keliiione . DISPVTATIO XIX Opinio D. Thomæ cum ſuis fundamentis
refellitur, Utrum relatio distinguatur à fundamento , vbi de distinctione reail
, mondo, contra hea Opinio Scoti, & folutio rationum pro præcedenti opi
cenciures un puitur . nioneadductorum Opinio eorum , qui aſſerunt relationein
non distingui DISPVTATIO XX a fundamento. Opinio præcedenci capite allata,
& doctrina de ditın Virum tres modi relativorum sint reétè clione reali
Suarez iciclisur. allignati ab Aristotele. Opinio alionum allerenijum
relaciones non diſting.is realiter à fundamento. Anomncs relationes
fufficienter contineantur in his Opinio alioulin aflerenuun relationes eſſe
idenirea a b smodis Tejatiliorum.c. I liter cuin fundamento , led dittingu
rationc addu Vuum primus modus relatiuorum Git ſufficienter ani citur , & refellilur.
gnaliis Opiniones aliorum foluuntur Yorum lccundus , & tertilis modus
relatiuorum fic rectè aſiignatus.C.) DISPVTATIO XX. SUPER LIBRVM SEXTVM. Vtrum
omnis relatio contineatur in predica mento relationis , an rerò aliqui fint
DISPVTATIO PRIMA Transcandentales. Per quid scientia speculatina distingua.
Opinio aliorum qui allerunt relationes rationis repo tur à Practica . nu in
prædicamento relationis adducitur, & reijci tul Adversariorum ſententiæ; An
açtus intellectus sie Que tint relationes prædicamentales, & quæ tran
praxis adducuntur , & refellunur scendentales. Opinio Thomittarun a quo
habitus, & scientia di. catur practica cum lius fundamentis DISPVTATIO XXI.
Allaca opinio retellicur , & rationes pro ça Coluuntur, Virum relatiuum
terminetur ad ſuum correlatiuum . DISPV Scou one CRUCI DI De conexione virtutum
moralium acqui ſitarum inter fe . Opiniones aliorum refelluntirr.c.i SOI Opinio
D. Tho. & aliorum refelluntur. Opinio Scoti, & dolutio rationuin sos
DISPVTATIO X. DISPVTATIO III. Utrum scientiam sit una qualitas simplex. Opiniones
aliorum refelluntur, & opinio Scoti ex plicatur Verum ſcientia: n totalis
vt Philoſophia naturalis, vel Mertaph fit vna nuinero fimplex qualitas Opinio
D. Thomæ Opinio Suarez Quomodo opinio nominalium Gt vera, Relponſio caierani
retellitur Pugna inter Suarez & Vaſquez
DISPVTATIO IV De connexione virtutum moralium cum prudentia, Opinio
Henrici, & aliorum reijcitur , & opinio Scou ti explicatur CI sog
Opiniones Aliorum refutantur, & opinio Scoti con firmatur. i foluuntur . 6.4 vtrum trimembris diuifio.ſcientia
ſpeculatiuæ in DISPVTATIO XI . Phisicam Mathematica, de methaphysicam , fut
bona. Vtrum necesse sit ponere charitatem creatam for maliter inherentem naturæ
Beatifica Rationes quibus prædicta diuifio Arist, non vide Diſput. merè Thologica
, cur conueniens Resolucio Difficultatis, & folutio rationum. cap.z.
Homines iuſtificari per iuftitiam inherentem animæ pag. 460 formaliter, non
autem per imputatiuain , contra hæ feticos breuiter probatur DISPVTATIO V.
Opinio Magiſtri adducitur , & refellitur. Opinio catholica explicatur,
& comprobatur ex Do Vtrumfit necefle ponerein habiturationem (trina Scoti. principi
a &tiui reſpectu actus Quid fit dicenduin deſententia Magiſtri quo ad
fubftantiam . Rationes pro opinione Magiftri adductæ coluntur cos 531 Duiz
opinioncs adducuntur, & refelluntur.c. Opinio D. Thomæ Aureoli , &
Durandi' refellitur . DISPVTATIO XI R. Opin o Scoti explicatur, & probatur.
Utrum gratia fit virtus, quæ eſt charitas . Obiectiones contra opinionem Scoti
adducuntur, & 469 Exponitur opinio D. Thomæ Vaum habitusgeneretur per a
& tus, & quomodo opi Allara opinio reijcitur. nio alioruni.cos 474
Exponitur opinio Scoti, &rationibus aliorum tisaltir. DISPVTATIO VI .
DISPVTATIO XIII. Vtrum habitus moralis in quantum virtusſit aliquo modo
principium aétiuum refpectu bo Vtrum gratia fit in eſentia animæ tamquam in ſur
nitatis in actu , biecto vel in potentys . Opinio Scoti cum ſuis fundamentis. Exponitur
opinio illorum qui dicunt gratiain effe in Obiectiones caictani,& ipfius
Scoti contra fe : c. 2 effentiam animæ.c , I 540 480 Rationes in oppofitum
foluuntur DISPVTATIO : XIV . Rationes caietani, & aliorum adducuntur, &
refeilun 484 Virum in patria remaneat habitus fidei . DISPVTATIO VII . Opinio
aliorum refellitur, & Scoti explicatur. cap. SAS De ſubię to babituum ,
DISPVTATIO XV. Opinio Scoti defenditur , & comprobatur , C. vnic. pag. 486
De connexione vtrum intelleétualium inter fe , & Moralium cum Theologicis ,
Theolo DISPVTATIO VIII . gicarum inter fe . De subiecto virtutum. Quod fit
dicendum. In quo conueniant Scoti D Tho. & alij. DISPVTATIO XVI. Opinio ai
lara refellitur, & fimulopinió Scotiproba 492 Vtrum an anıma dertur alij
habitus preter virtue Opinio Scoti explicatur, & rationes aliorum ſolaun
tes morales intelectuales , C Theologicas. vbi de damnis Spiritus Sanéti
beatitudi nibus ex fruitibus, pofiiis a Theo IX . Logis differitur , b 2 Opinio
1 pag. cur.c.4 vnic. DISPVTATIO ill tio DIE llill. Opiniones aliorum
refelluntur Vtrum accidens in concreto primo ſignificet fubięz Opinio Scoti
explicatur.c .. čtum vt eft lub tali forina ; & an accidens in abftrą cto Gt
ens incompletum . DISPVTATIO XVII DISPVTATIO IV. Utrum angumentum cum
intentionefiat fema per per ačtum intenfiorem . Vtrum ſubstantia fit prior accidente
tempore Opinio D.Thomæ . c.1 . $ 57 Opiniones aliorum refelluntur Opinio Scou
explicatur. Opinio Scotiexplicatur , & aliorum ſoluitur DISPVTATIO XVIII .
DISPVTATIO V. De modo augumenti, & remissionis, & Utrum substantia
prior sit accidente diffinitione coruprionis -habitus Opinio Thomiſtarum
fefellitur .com ili Opinio aſſerentium in intentione habitus nihilpræ Opinio
Scou explicatum ibid . exiftentis habicusremanere , & eiuldem confutae
DISPVTATIO VI . Opino D. Thomæ , & aliorum refellitur Opinio Suarez
ieiicitur. y trum ſubſtantia fit prior accidente cognitione . Quomodo habitus
dimmuttur , & corumpitur.cap . Cina ini' 4 : S75 Subſtanțiam ,effe priorem
cognitione accidentibus DISPVTATIO XIX Vtrum de e ne per accidens detur
fcientia , DUI SPYT A FIO VIL Quid fit dicendum de ente per accidens quod
prijat Dediuigone ſubſtantiæ in primam , & ſecundam , & perlelden neut
a.c. cil 577 diferentiam inter prim.im fullt untiam , & ſuppoſi Deente per
accidens quod contingenter non neceta 653 fio caulatur. De comparatione primæ
subftantiæ ad suppositum, & ad lubfiftçocian leu perionalitatem DISPYTAȚIO
XX , Quomodo inteligaty wla propofitio , actiones funç uppulitoruim.c.3 651
Vtruinens verum debe at ſeparari a, confideratione Quomodo mielligatur Axioma
illud, actiones fins Merhapbojica . c.vnico lingubahuin.com SVPER LIBRVM
SEPTIMYM , Rick SPVTATIO vill, DISPVTATIO PRIMA. Vtrum formafit prior compoſito
: V trạm inherentia ſit de eſſentia accidentis. Aduerfariorum opinio fefélitur
, & vera comproba. 664 Quid fit dicendum de inherentia accepta pro per ſe
Rationes in oppofitum ſoluuntur.c.2 666 Tignificato , ieu pro accidentalitate
quæ circuit no nein piedicaincnta. DISPVTATIO IX . Quud lii dicendum de
accidente pro denominaco quod eit relatio . C.2 623 Vtrummateria ſitens, Vtrum
inherentia actualis fit de ejentia ac , DISPY TATIO cidentis abjoluti . V trữ
quod quid est sit idein chillo cüius ejt.c.1.667 Opinio Scoti, & aliorum
reiicitur.C.3 Inherenţiam actualem non ele de jellentia acciden- Explicatur
fenllis verus illius proportionis ,c.2. 669 usabloluti DISPVTATIO XI ,
DISPVTATIO II . Vtrum genita ex putri , “ſemine ſint eiufdem ratio y trum ens
finitum Prima ſui diuiſione diuida . 672 tur in dccem preurcamenta , o
qualisfit bac diuifio , Ü eius analogia DISPVTATIO XII Opiniones aliorum
adducuntar Vtrum Cælum in generatione animalium ex putri Allara opinioncs
refeliuiiur , & opinio Scoti expli materia ſit principale a cris . ibido
Callir.c.2 633 Au rationes adversariorum DISPVTATIO XIII DISPVTATIO III Vtrum
compositum per se generetur Veritas questionis explicain & opinio Scoti
defendi Vtrum accidens in ſe confideratum fit ens . tur .C.2 673 Rationes pro
aliis opinionibus foluuntur, & opinio Veritas aperitur confutata opinione aliorum
Suare , & Zimaræ diluuntur.c.3 675 DISPV : IS 1 ** 31 tur hos 624 nis DISPVTATIO
XIII : Opinio quorundam refellitur. Allaca opinio refelitur , opinio Scoti
explicatur, & ra De Ideis platonis an ſint Admittende. tiones in oppofitum
foluuntur.c.2 720 Germina opinio Platonis. DISPVTATIO III . Rationes Arift .
contra Platonem , & solutio rationú in oppositum.C.2 691 De ſubie &to
accidentium . DISPVTATIO XV An hoc fit potentia qnæ lam paſſiua in . herens
(abſtantiæ . Vtrum forme niturales de potentia matteriæ educantur Opinio
Thomiſt. refellitur Opiniones illorum qui formas naturales produci ab Opinio
quorumdam aliorum.c.2 725 agence leparatu, velab intelligentia vel a Celo ale
runt.C.2 688 Vtrum poum accidens poffit effe fubie &tum Opinio Sco.&
Solutio rationum alterius accidentis. DISPVTATIO XV I. Opinio Scoto , &
folutio rationum . C.3 Vtrum materia fit pars quidditatis re DISPVTATIO IV .
rum naturaliuin . Vtrum ad formationem prolis mater concurrat Quid sit dicendum
. ci vnic. 694 active DISPVTATIO XVII . DISPVTATIO V. 1 728 Vtrum fingulare
ſitper ſe a nobis cognoſcibile. Vtrum cælum fit compoſitum ex mate . rid ,
forni. DISPVTATIO XVIII . Næc Celum, nec animam rationalem , nec Angelam eiſe
compoſica exmateria , & forma contra quoſ daw recentiores Scouſtas . C. Vnic.
731 Vtrum conceptus generis fit alius à concept u diffe rentie , speciei.Thomiltarú
, & aliorú opinio , & confutatio Opinio Scoto, & folutio aliorun.
DISPVTATIO VI DISPVTATIO XIX. Vtrum omnis creatura fit compoſita ex materia ,
como foruba , ex potentib , autu Virum differentia diuifiuig? neris inferioris
inclu . Opinio afferentium omnes creaturas eſſe compoſi. dat differentiam
gencris juperioris formaliter . tas ex materia , & forın potentia &
actu refellitur & opinio Scoti explicatur Opiniones alioruin. Obiectiones A
tucrinorum contra doctrinam alli Alata opinio retellitur , & vin statutis.c.
733 cam Scoti lefel iniur, DISPVTATIO XX DISPVTATIO VII . Virum universale sit
aliquid in rebus. DISPVTATIO Utrum ex
materia, e forma fiat unum per se. Aliorum opinionibus confutatis exponitur opinio
Scou.c. Voici XXI Utrum in compoſito ſubstantiali fint plures forme
ſubſtantiales. 704 SVPER LIBRVM NON VM . DISPVTATIO XXII . DISPVTATIO I. 1
Verum totum eſſentiale diſtinguatur a luis partibus ; De diuiſione entis in
potentiam , actum , in ef fimulfunptis. Seniamy w exiſtentiam , SVPER LIBRVM
OCTAVVM . Vitum potentia , & actus opponantur, &quaoppo tucione ; vbi
op.no Henrici de cflentia , & ex DISPVTATIO PRIMA Itentia conturauir Opinio
Thomiſt. de diſtinctione en is in potentia, Vtrum in motu alterationis oporteat
manere idem & actum retelitur , & opinio Scoti explicatur . fubie
&tum fiinpliciter ſub zeroq; terminorum , 757 Rationes Aduerſariorum primo
, &ſecundo capite Quid fit dicendum , & reſoluțio objęđionum in con
adductæ foluuntur Obiectio ex Saclano,&corundem reiectio DISPVTATIO II.
DISPVTATIO 11 . Vtrum essentia, existentia in ente creato actuanter onijiente
distinguuntur. Utrum accidens sit compoſitum intrixſece Eficntiam trariuin Blora
afikas JIPEL " SI Essentiam, & existentiam non realite , nec ratione
c'tantum, sed formaliter distingui, & opinionem Scoti elleveram defenditur
. c. I Quid ſit exifteptia creaturæ , & an habeat aliquas cau DISPVTATIO I.
Tās , & causalitates, & quædam aliæ quæstiones de existentia enodantur
Utrum verum ſit illud Axioma,primum invnogue que genere eft metrum , o menfura
omnium , que DISPVTATIO III. ſuntin illo genere : y trum potentia ſuficienter
diuidat!ır in actiuam , Quid Ge menſura,& quæ conditiones eius vbi de du o
paſiuam , earum diffinitiones ſint ratione,de æternitate, & to , &
aliis inenfuris agi reita aſſignatæ . tul Verus intellectus propofitiAxiomatis Obicctiones
cótra vtráq ; partem adducútur Diuifionem potentiæ in actiuam, & pafſiuain
eſte DISPVTATIO II . difficientem , & diffiniționės vtriuſq; potenciæ ef de
l'ecrè allignatas Vtrum vnum , multa opponantur contrarie, vbi DISPVTATIO IV .
de paſſionibus entis agitur : 1 Firew.idem moreripoſſit à ſeipſo,velvt alij
loquit Quomodo vnum lic paflio ſimplex , & difuncta en tir' , Vtrum
potentia actiua , & paffiua jem tis, qualis fit diuitio entis in vnum ,
& multa, & qua per ré , ú ſubiecto differant. lis ipforum
oppofitio.c.vbic , 819 Opinio Thomiſt. & aliorum tenenrium parcein nega
DISP V TATIO II.1 ) tiua ,nimirú ide à feipfo moueri non pofle Allata opinio
refellitur V ti un,ptáralitas ſei diuifibilitas fit prior Rationes pro
Aduerfariis primo capite a iductæ ſol vno , jer indiuiſibílı, oc. uunub. DISPVTATIO
V. Quid fit dicendum breuiter aperitur . c.vnic. Vtrum omnis potenti 1.fite tantum
attina, veltātum DISPVTATIO paliud ,vel aliqua fit fimul actiua, o pajuna . V
trum à priuatione ad habitum ſit poſibilis Quedamquæſtiunculæ de potentia
tractaræ à Scoto regreſſus jeù tranſmutatio : an hoclibro Nono breuiter
explicantur ic. i 784 Eamdem potentiam poffe efle actiuam , & paffiuan Ruid
fit dicendup . c.ynic, i $ 23 nedyn selpecriducrforum ,led relpectu tuijpfi us
, & quomodo DIS P Y TATIO YA D'ISP V TATIO VI . Vtrum identitas abſoluta ,
a relatiua fint eadem V tim potentia paſina diuidatur in potentiã notu .
entitas an distinci e realiter . i ralerno upernaturalé,jei obediétialé,a
violétă . Opinio Aduerſariorum refellitur cum ſuis fundansé Diftinctionem
allatam eſſe de potentia paffiua, non tis, & opinio Scoti explicatur, &
prob.c.ynic, 8.24 actina. L'orenciain obedientialem acuvam non da. ri , &
membra omnia fecundum doctrinam Scori DISPVTATIO VI elle intelligenda . C.
vnic. Vtrum idem, & diuerſuin habeant inediú. c.vnic.DISPVTATIO VII . DISP
V TATIO VII . V trum aétus ſit prior potentia .. V triem media cõt: ariorū ſint
cöpoſita ex terninis : 10 cuo ſenſu ſit vera , & quid dicendum explicatur. Duæ
contrariæ opiniones adducuntur in propoſita DISPVTATIO VIII . questione , &
an duo contraria poflint elle in co. dem fubiecto.c.I 828 Vtrum actio fit in
agente, vel in paflor 791 Quid fit dicendum de vtraque, opinio allata , &
opiu nio Scoti explicatur. DISPVTATIO IX . Quodam alia adducuntur ad majorem
declaratione; Kanduio contaria in fumino de potentia Dei ab y trum differentia
,quam alignat Philofophus inter ſoluta pollint elle fimul. c.; potentias
rationales , e irrationales fit conuenienter poſita . DISPVTATIO VIII. Rationes
contra allaraw differentiam aßignatam ab Vtrum formæ ſubſtantiales formaliter repugnantes,
Anttotele opponantur oppoſitione contrarietatis . Resolutio quæstionis. Arguincita
primo capite adducta ſoluiuntur.C.3.794 Opinio aferens formas ſubstantiales
eſſe contrarias cțiin tus fundamencis. DISPVTATIO X. Fundamenta quædam pro
veritate inueftiganda , vbi de natura oppofitorum agitur. Utrum detur aliquis
aétus malus in voluntate ſine Solutio principalis dubitationis, & rationes
pro pri vlla ignorantia in inielletin maopinione DISPUTATIO IX. Obiectio quid
tun'ex Scoto ipfo ,& ex recentioribus aduerſus ſecundam partem quartz conclufionis
fit l'trum corruptibile , e incorruptibile differant perius probatæ , probans
rarionc naturali pode de pluſquam genere monftrari Deum eſtepropriè omnipotentem
,reij. Citur SVPER LIB. VNDECIMVM . Alixrationes exrecentiotibiis ad idem adducuntur,
& foluuntur. DISPVTATIO PRIMA. An verum sit Deum posse saccreomze illud ,
quot non implicat contradictionem. Vtrum primæ quatuor qualitates fint for , An
Deus ponit facere fimul omnia quæ poteft , & an me ſubſtancialeselementorum
. poſit facere in infiniçum Opinio affirmatiua cu niluls fundamentis DISPVTATIO
VIII . i Fundamenta pro opinione Græcorum.c Primaratio contra opinionem
Græcoram adduci- vtrum potentiæ in Deo diſtinguatur abtur.C.3 tia ,&
voluntatealiquomodo,fie cius fcien Aliæ rationes ad idem . C.4 8.46 Intellectum
, &voluntatem detur potentia efe Quædam ali rationes ad idem.c.s 848 cutiua
in Dco , quid in Angelis . 0 Solutio rationum in oppoſitum Deopinione
Auerroes.c.7 , s'agi ! 855 Opiniones aliorum cum fuis fundamentis.c.r924
Explicatio opinionis Scoti ; & confutatio aliarum DISPVTATI II Vtrum
generatio , corruptio fiant in inftanti DISPVTATIO Opinio áfferentium
ſubſtantiam ?ſucceſſiuélgenera. Quid comprahendati fub'obie & o
omnipotentiæ : ricum ſuis tuntamientis Opinio allata refellitur , & omnem
generationem An omnipotentia se extendar'adactis notionales ſe ſubſtantialem
fieri in inſtanci cum Arift.defendi cundum Theologos . cLimas. Anomnipotentia
fe extendat ad creationem Angelo Rationes aduerfariorun foluuntur . C32.862 :
rum , & quid fit dicendum fecunduin Theologos, 00061: Jorcu & quid
fecundum Philosophos.c.2 SVPER LIB. DVODECIM VM . Lupe pie DISPVTATIO X.
Disputatio Vtrum Deusfit ſimplex, & omnis creatura ſit com DISPVTATIO IV .
politan. Utrum omnis productio , velindu &tio cuiufcumque DISPVTATIO XI.
forma sit univoca , ſoue à fuo ſimili perrun solum Deus sit inmutabilis. Quid
sit dicendun aperitur. Rationes in oppositum foluantur, & quomodo meti13
Deum in ſe ele irmutabilem probatut rationibus fit caula caloris Philofophorum,
& Theologorum.co.Analiquid aliud á Deo habeat immutabilitatem , DISPVTATIO
V IWA quid lenſerincPhilofophi Obiectionescontradeterminata tisperivis, &
opinio Vtrum animarationalis it'immortalis . eorum, qui dicunt Deum agere
libere ad extraie cundum Philosophos, & endem confutatio DISPVTATIO VI Rationes
pro' opinione Philoſophorum , quod Deus Venum detur vnum primum ens infinitum ,
quod eſt agat necefario ad extra ,& quod dcntiraiiqua ca Deus,in qua
rationibusnaturalibus demonftratiuis tia ex fe neceffe eiſe ,adducantur , &
eadein opinio proceditur , contra Atheiſtas. retelliill's Cof Quædam præambulæ
conclufiones ad probanda'n Deum effe immutabilem quoad intellectun, & volú
primamens ex triplici primitate prædicta elle in tatem , & quomodo. finitum
præmittunur. Rationes pro Philofophis foluuntur. Primum ens triplici primitate
præmiffa effe infinitú Quæ virtutes cx ijs que conſequentar voluntatein $ erat
fecundum principale intencū prob.c.7 . 399 Tint in Deo. Rationes D. Thom .
& aliorum , quibus probant Deā elle infinitum ,adducuntur, &
reijciuntur. DISPVTATIO XII DISPVTATIO VII . V trum dctur infinitum actu in
permanenti bis , c filceclivis . Vtrum Deum eſſe omnipotentem poſſit natnrali
ratione , neceſjaria demonſtrari . Status queſtionis , & rationes quaſdam
recentiorü , quod mundus non pocucrit elle ab æterno , non có Explicatur
çitalis quæftionis , & quid fit dicendan. cludcre oftendicar , c . 960
quoad demonſtrationem propter quid. Opmio eorunqai affcrun dari infinitum aétu
tam Quid dicendum quoad demonftrationem quia , tam in permanentibus,gratia
fuccelifuis adducitur , & fecundum Philoſophos , quam fecundum Theolo
reijcitur & quoinodo diſcrepent Philosophi à Theolo . Pofitio Scoti, &
folutio rationum in contrariain . gis DDISPVTATIO XXVI. DISPVTATIO XIII. Vtrum attributa diſtinguantur
inter ſe , ab eſſentia Dei DISPVTATIO XIV, De voluntate Dei. Aſignantur loca in
quibus præcipuię difpufationes pertinentes ad voluntatem Dei ab Auctore tracta
. tur, & oftenditur Deum amare le , & alia extra ſe , & quomodo .
Caput Vnicum . i DISPVTATIO XXVII Utrum Deus fit Immenſus. DISPVTATIO X V. An
voluntas Dei semper implicatur
DISPVTATIO XXVIII. INDI Diſputatio primacontra Atheos. DISPVTATIO XVI.
Diſputatio ſecunda contra Atheos . DISPVTATIO XVII . An Deus contingenter velit
, & eius voluntas abalie quo determinetur. DISPVTATIO XXIX. Diſputatio
tertia contra Atheos. De alijs fubjt antiis.è prima distinctis. DISPVTATIO
XVIII. Naturalitatione porce probari dari ſubftantiasabſtra & tas , &
rationes in oppofiuum efle nullas Diſputatio quarta contra Atheos. DISPVTATIO
XIX . Si Aristoteles demonstravit Mundum elle æternum Devi DISPVTATIO XXX . DISPVTATIO
XX . Utrum Angelus, Anima rationalis dif ibi serant specie, OS Opiniones
aliorum . Opinio Scoti, & AnimcellectualitasAngeli , & Ani mæ
rationalis ſpecie diſtinguantur , &An potentiç ſpecie diftinctæ poflint
veulari circa idem object. Utrum primum cælum moueatur immediate a primo motore
DISPVTATIO XXI DISPVTATIO XXXI. Utrum
Philosophus posuerit omnes intelligentias ejse vigoris infiniti. DISPVTATIO
XXII. Utrum Anima intellectiva in corpore habeat pro priumeße existentiæ
diſtincim ab elle compos Jiii , len vtaly ducuntsAn in corpore fubfiftatvel vt
quo , vel vt quod . Opinio D. Thomæ ratiqpibus Scoti confutatur , &
eiuſdein ſententia explicatur , cap.I Defenſio Thomiliarlim . cap . 2 Allata opinio
refellitar , cap.3 Virum Cælum ſit animatum. DISPVTATIO XXIII. Utrum Deus sit
invisibilis, incompræbensibilis, & ineffabilis. DISPVTATIO XXXII Nils An Deus
fit viſbilis oculo corporeo, & quid de his tribus attributis sit dicentum.
DISPVTATIO XXIV. Urum separatio Anime rationalis a corpor , cu Status animæ
rationalis exiia corpus violenter, an naturaliter.compeiani animæ rationali ;.
Opinio Thomiftarum , & Sequaciun cum liris fun damnentis Opinio Scoti
explicatur , & præcedens refellitur . cap.2 V trum Dcus ſit ſubstantia
viuens intellectua lis , felicissima Attributa prædicta competere Deo probatur
DISPVTATIO XXV. DISPVTATIO XXXIII De scientia dei. Utrum omnes potentiæ animæ
rationalis inſint anim & icparita Quid Git dicendum de Vegetativa, &
Sensitiva , reiecta opinione affirmativa. cap . Vnic. Quomodo scientia ponatur in Deo, quomodo
Intellectus, Intellectio, & intellectuin in eo sint idem An scientia sit de
cilentia Dei in primo modo dicendi per se Vtrum secundum Aristotelem Deus
habeat cognitio nein aliarum rerum extra se. DISPVTATIO XXXIV. De cognitione
animæ separate. An anima separata cognoscat quidditates, & res, quas
coniuncta cognoscebat, & quid dicendum reiectis opinionibus opposiris. Filippo
Fabri. Filippo Fabbri. Keywords: The 34 disputationes. Galilei, Pico,
aristotelismo, anti-aristotelismo, platonismo, l’unita della metafisica,
distinzione tra matematica e fisica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fabri” – The
Swimming-Pool Library.
Fabro
(Flumignano). Filosofo. Grice: “I like Fabro; my favourite of his
essays is on Giorgio Hegel, “La dialettica,” which is really about Socrates and
Alcibiades! My Athenian Dialectic which I turned into Oxonian!”. Studia al
seminario degli stimmatini. Si laurea a Roma sotto Reverberi con “Il concetto
di ‘causa’” e la critica di D. Hume. Insegna a Roma. Si dedica quindi allo
studio della biologia filosofica. Pubblica “La partecipazione”. Insegna a Napoli
e Perugia. Si inscrive nell'alveo della neoscolastica, o, più precisamente, del
neotomismo. Il suo apporto più profondo alla metafisica classica, sulle orme di
san Tommaso d'Aquino, è la distinzione reale tra "essenza" e
"atto d'essere”. È questa tesi che lo porterà a riconoscere con sicurezza
le debolezze e le aporie dall'immanentismo del cogito cartesiano, che sfocia
ineluttabilmente nell'ateismo. Trova l'origine dell’ateismo in Cartesio e Spinoza,
nasce nel concetto di "immanenza" contro "trascendenza”.Critica
Severino e Rahner. Valorizza l’esistenzialisto anti-idealista di Kierkegaard. Altre
opere: “Partecipazione in Platone, Aristotele e Aquino, S.E.I., Torino);
“Neotomismo” Piacenza) “La fenomenologia della percezione, Vita e Pensiero,
Milano); “Percezione e pensiero, Vita e Pensiero, Milano), “L’esistenzialismo,
Vita e Pensiero, Milano); “Esistire” (Vallecchi, Firenze); “Dio” (Studium,
Roma); “L'Assoluto nell'esistenzialismo” (Miano-Catania); “L'anima” (Studium,
Roma); “Dall'essere (essuto, suto) all'esistente” (Morcelliana, Brescia); “Il
Tomismo” (Desclée, Roma); “Hegel: La dialettica, La Scuola Editrice, Brescia);
“Partecipazione e causalità, S.E.I., Torino); “Feuerbach-Marx-Engels.
Materialismo dialettico e materialismo storico (La Scuola Editrice, Brescia); “L’ateismo”
Studium, Roma); “L'uomo e il rischio di Dio, Studium, Roma); “Esegesi
tomistica, Pontificia Università Lateranense, Roma); “Tomismo” Pontificia Università
Lateranense, Roma); “La svolta antropologica di Rahner” (Rusconi, Milano); “L'avventura
del progressismo” Rusconi, Milano); “La fede di Kierkegaard” La Scuola
Editrice, Brescia); “La trappola del compromesso storico: da Togliatti a Berlinguer,
Logos, Roma); La preghiera” Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); “L'alienazione
dell'Occidente. Osservazioni sul pensiero di Severino, Quadrivium, Genova); Momenti
dello spirito I, Sala Francescana di cultura «P. Antonio Giorgi», AssisiS.
Damiano; Momenti dello spirito II, Sala Francescana di cultura «P. Antonio
Giorgi», Assisi S. Damiano); Aquino, Ares, Milano); La libertà, Maggioli,
Rimini); Gemma Galgani), Il sopra-naturale, Cipi, Roma); L'enigma Rosmini,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli); Le prove dell'esistenza di Dio, La
Scuola, Brescia); Commento al Pater Noster” Pontificia Accademia di San Tommaso
d'Aquino, Città del Vaticano); Cristianesimo, L'Aquila, Japadre). Essere e
libertà. Studi in onore di Cornelio Fabro, Maggioli, Rimini); Giuseppe Mario
Pizzuti , Veritatem in caritate. Studi in onore di C. Fabro, Ermes, Potenza); Rosa
Goglia, La novità metafisica in Cornelio Fabro, Marsilio, Venezia); Federico
Costantini, Fabro e il problema della libertà, Forum, Udine); Elvio Celestino
Fontana, Fabro all'Angelicum, EDIVI, “Segni (EDIVI) Fabro e l'Esistenzialismo, EDIVI, Segni. Rosa
Goglia, Fabro. Profilo biografico, cronologico, tematico da inediti, note di
archivio, testimonianze, EDIVI, Segni, . Ariberto Acerbi , Crisi e destino della
filosofia. Studi su Fabro, EDUSC, Roma, . Note
Goglia, Rosa, Fabro : profilo biografico cronologico tematico da
inediti, note di archivio, testimonianze, EDIVI, Kierkegaard Neotomismo Ateismo. Fondo Fabro
presso la Biblioteca della Pontificia Università della Santa Croce., su pusc. Cornelio Fabro. Keywords. essere, e, essente,
esuto, suto. L’uomo allo specchio. Dialettica di hegel, tomismo, essere atto
d’essere – immanenza – trascendenza -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fabro” –
The Swimming-Pool Library.
Faggin
(Isola
Vicentina). Filosofo. Grice: “I like Faggin: he is obsessed with love; he
translated Fedro, he selected some passages from the Roman philosopher Plotino
and titled it, implicaturally “Dal bello al divino,” but surely for Plotino,
via hypernegation, the divine IS beautiful – and finally, being an Italian, he
became interested in “Dutch Protestantism” – “il Pellegrino cherubico”!” Si
laurea a Padova sotto Troilo. Insegna a Padova, Bassano del Grappa, Campobasso,
Vicenza. Studioso del platonismo, della
tradizione mistica e dell'occultismo, commenta le Enneadi di Plotino. Altri
suoi lavori riguardano Meister Eckhart e la mistica medioevale, Schopenhauer,
la stregoneria e l'occultismo rinascimentale.
Altre opere: “Van Gogh, Padova, CEDAM); Plotino, Milano, Garzanti); “Eckhart
e la mistica” Bocca, Milano); “Schopenhauer: il mistico senza Dio, Firenze, La
nuova Italia); “Le streghe: trentatré incisioni dell'epoca, Milano, Longanesi
& C.); “Gli occultisti dell'età rinascimentale, Milano, Marzorati); “Storia
della filosofia: ad uso dei licei classici, Milano, Principato); “Dal
Rinascimento a Immanuel Kant, Milano, Principato); “La filosofia antica”
(Milano, Principato); “Diabolicità del rospo” (Vicenza, Neri Pozza); “Dal
Romanticismo alla scuola di Francoforte, Milano, Principato); “Enneadi” Milano,
Istituto Editoriale), “Sulla libertà del volere”; “Sul fondamento della morale”
(Torino, Boringhieri); Eckhart, Trattati e prediche, Milano, Rusconi); Inni
orfici, Giuseppe Faggin, Roma, Āśram Vidyā). Giuseppe Faggin. Keywords:
philosophy of the toad – rospo – l’orfismo nella Roma antica; filosofia antica
– l’antico nel rinascimento italiano – occultismo – misticismo – protestantismo
italiano – Italia contro Roma. Fedro – Dal bello al divino – Il peregrine
cherubico – l’arbero come simbolo – il fuoco come simbolo – la luce come
simbolo – canti orfici – sul bello -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Faggin” –
The Swimming-Pool Library.
Falamonica – (Taggia). Filosofo. Grice: “It seems
every philosopher has a catabasis – as Eneas did!” “Falamonica spends a
‘stagione’ in hell, too!” -- “I do like Falamonica – the way he makes
‘Aristoteil’ rhyme! “E vidi alfin colui, che fra’ mortali / più degno par di
tutto quell Collegio, / levarsi contra tutti, e batter l’ali; / dico
Aristotil.” – Grice: Falamonica is interesting: there is Socrates teaching
Alcibiades, and Socrates teaching Plato, and Plato teaching Aristotle, and
Aristotle teaching Alexander!” Figlio di Pancrazio Falamonica Gentile e
Violantina Piccamiglio. Venne in contatto coll’astrologia. Compose i Canti,
poema dottrinale in terzine di 42 canti, chiaramente derivato dalla Commedia di
Dante. Grice: “It is a fun philosophical comedy: “E vidi alfin colui, che fra’
mortali / più degno par di tutto quell Collegio, / levarsi contra tutti, e
batter l’ali; / dico Aristotil.” Opere: “Canti. Dizionario Biografico degli
Italiani. Falamonica. Bartolomeo Fallamonica Gentile. Keywords: parodies of the
Divine Comedy, Raimondo Lullo, Bruno e Lullo, il libro dell’amante e
dell’amato, ars amative. Commedia filosofica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Falamonica” –
The Swimming-Pool Library.
Falciglia.
(Salemi).
Filosofo. rice: “I like Falciglia; for one, he took dialectic seriously, as any
Aristotelian does! So he wrote on sensus compositum, on ‘definitio,’ on
‘demonstratio,’ and he even ventured on moral philosophy – in a nutshell, the
perfect Aristotelite!” -- Studia a Salemi
per essere poi trasferito a Padova per proseguine negli studi sotto Paolo da
Venezia e Giovanni di Cipro. Insegna a Siena, Bologna, Rimini. Altre opere: “Statuta
pro conventu Parisiensi”; “De sensu composito”; “De medio demostrationis” , “De
sophistarum regulis, Terminorum moralium, tractatus singularis, Definitiones et
additions super constitutions, necnon formularium et privilegia ordinis -- Dizionario
biografico degli italiani. Grice: Falciglia’s “De sensu composito” should not be mistaken with “De sensu composito et
diviso” by another Philosopher – Paolo di Pergamo -- Giuliano Falciglia.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Falciglia” – The Swimming-Pool
Library.
Falzea.
(Messina). Filosofo. Grice: “I like Falzea; for one he applies
Apollonian principles to H. L. A. Hart’s analysis of ‘discorso giuridico’ –
alla ‘discorso musicale’ – after all, there is ‘armonia’ in justice!” – Si
laurea sotto Pugliatti a Messina. Insegna a Messina. Lincei. Sua costante
preoccupazione è stata quella di integrare, sempre ed opportunamente, la
prospettiva astratta logico-formale e filosofica con quella pragmatica del
diritto mirante a fornire quel necessario ordine giuridico indispensabile alla
co-esistenza pacifica di vita materiale, vita spirituale e vita sociale. Fra i
suoi maggiori risultati, la centralità della nozione dell’’intersoggettivo”,
“l’interazione” – “l’interpersonale” -- pensato sia astrattamente che in
relazione alle correlative persone la fondazione di una etica giuridica e
l'elaborazione di una assiologia del diritto, frutto rispettivamente della sua
incisiva indagine critica ed ampia comprensione concettuale delle nozioni di
”valore“ da porre, al centro della sua filosofia giuridica, assieme a quello di
“interesse” (cf. Prichard), e di “categoria giuridica” formale, quali nuclei
fondanti del corpus dottrinario della giurisprudenza. Da qui, la constatazione
di principio secondo cui “il giuridico”, nella sua accezione più ampia come
fatto storico-sociale dinamico e non statico, si analizza nelle sue due
componenti principali, quella ”formale“ e quella “materiale”, da considerarsi
sempre in un reciproco, razionale equilibrio co-relativo garante di quella
realtà umana fattuale del interesse e del valore. Il perno epistemologico
dell'impianto teorico, quale presupposto ineludibile per l'esistenza di un
qualsiasi “stato di diritto”, è quello che fa leva sull'imprescindibile ruolo
formalizzante che ogni determinazione giuridica cogente deve avere nel catturare,
indi razionalizzare (forma), quel nucleo affettivo-emotivo (materia) insito in
ogni fatto umano consuetudinario della vita. Il diritto, come realtà
assiologica, è quella naturale concezione cui si perviene allorché si abbandona
quella riduttiva visione formalistica ed astratta della giurisprudenza la
quale, invece, deve guardare alla realtà fattuale ed alle sue dinamiche
complesse e multi-fattoriali, ai suoi contenuti pragmatici, di valore ed d’interesse.
Da qui, la necessaria interdisciplinarità cui deve sottostarepur mantenendo la
propria autonomia la costante giurisprudenza per non cadere in un anacronistico
e sterile formalismo privo di materia. La forte, quasi esasperata dimensione
teoretica (ma mai grettamente dogmatica) espressa non solo da un punto di vista
meramente logico-formale ma sempre contestualizzata alla variegata
problematicità e storicità della realtà umana, si evince, in tutta la sua
evidenza, dagli scritti dedicati ai problemi di teoria generale del diritto,
affrontati, oltre che in alcuni suoi lavori monografici, in certe voci la lui
redatte per l'Enciclopedia del Diritto, sì da costituire dei classici della
letteratura giuridica contemporanea: fra queste, accertare, apparire, efficacia
giuridica, fatto giuridico. Fra i molti contributi dati da Falzea
all'elaborazione teorica dell'ordinamento giuridico, in raccordo a quanto detto
sopra, degno di nota è l'aver egli richiamata l'attenzione nella voce ”I fatti
del sentimento“, sulla scia di parte del pensiero di Pugliatti sulla rilevanza
giuridica del sentimento, inteso non come un principio generale
dell'ordinamento, bensì come un vero e proprio sentimento soggetivo ed
intersoggetivo – shared feelings -- fattualmente rilevante per l’interazione
interpersonale, che la norma giuridica, specie quelle del diritto civile,
classificano come un valore positivo, da rispettare dunque, o negativo (“disvalore”),
da reprimere invece. Da questa presupposizione quindi, con metodo
contraddistinto da ampiezza dell'indagine storica e improntato al rigore
concettuale, consegue uno dei suoi maggiori risultati, riguardante l'analisi
del concetto generale di diritto, quale diritto positivo, cioè effettivamente
vigente, incardinato entro un sistema assiologico fondato su un ordine
razionale intersoggetivo che rispetta il valore di una determinate
intersoggetivo in un assegnato luogo ed in un certo tempo (storicità del
diritto), secondo una scala della loro importanza. Quest'ordinamento razionale
è un tratto distintivo sia del sistema intersoggetivo che dei suoi sottosistemi,
fra i quali preminenti son oil sistema di comunicazione, e quello giuridico,
che è il sistema normativo attualizzato dell'interazione. Da questa
prospettiva, anche sulla base di un parallelo analogico-concettuale con la
struttura della logica, perviene, tra l'altro, ad una elementare quanto
fondamentale distinzione meta-giuridica fra teoria generale del diritto e
dogmatica giuridica, argomentando solidamente a favore della tesi per cui
la teoria generale del diritto opera ad un livello superiore di generalità
rispetto a quello in cui si colloca la dogmatica giacché quest'ultima è sempre
inerente a diritti positivi storicamente attualizzati, oggetti di studio della
teoria generale che, in quanto tale, non discende dunque da alcun diritto positivo
particolare, e quindi neppure dalla dogmatica. La teoria generale del diritto è
piuttosto riflessione meta-teorica su quei particolari sistemi vigenti di
diritto positivo, sistemi che verranno quindi interpretati speculativamente e
spiegati razionalmente (interpretazione giuridica) tramite metodi centrati
sulla individuazione e ordinazione concettuale. Solo in questi termini, si può
allora più propriamente parlare di ”filosofia del diritto”. Altre opere:
“L’intersoggetivo giuridico” Dott. A. Giuffrè Editore, Milano);
“L’intersoggetivo giuridico, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); La separazione
personale, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); L'offerta reale e la liberazione
co-attiva del debitore, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); Il fatto naturale,
CEDAM-Casa Editrice Dott. Antonio Milani, Padova); Voci di teoria generale del
diritto, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); Il gene giuridico” Dott. A. Giuffrè
Editore, Milano, Introduzione alle giurisprudenza filosofica”. “Il concetto di
diritto” Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); Teoria generale del diritto, Dott.
A. Giuffrè Editore, Milano,Ricerche di teoria generale del diritto e di
dogmatica giuridica, Dogmatica
Giuridica, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano,
Scritti d'occasione, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano. giuscivilista. Il civilista. Il nesso fra la
fattispecie, ossia la premessa normativa (ovvero, il caso particolare
fattuale), e la conseguenza, ossia il suo possibile effetto giuridico. norma giuridica Diritto e interpretazione.
Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto. Il diritto può essere consuetudinario.
consuetudine. Antropologia giuridica. diritto civile, Oltre il ”positivismo giuridico“,
regola giuridica. Motivi volontaristici e imperativistici sono presenti nel
pratico e volitivo spirito dei romani. Nemmeno tra i romani tuttavia troviamo
formulate dottrine filosofiche che si propongano di ricondurre compiutamente il
diritto alla volontà o al comando. Il lato imperativistico del diritto emerge
piuttosto in singole tesi o massime di giuristi. Si ricordi il noto passo di
Modestino riportato nel Digesto: « Legis virtus haec est: imperare, vetare,
permittere, punire" (D. 1, 3, 7); o l'altro detto, di Ulpiano, ancora piu
indicativo sotto il profilo volontaristico che sottolinea l'importanza della
volonta del sovrano per la validita della legge: "quod principi placuit
legis habet vigorem" (D. 1, 4, 1). Ma le espressione forse piu
significative si trovano in un luogo di Gaio, nel quale egli, dopo aver
distinto varie fonti del diritto romano, le caratterizza cosi: "Lex est
quod populus iubet atque constituit. Plebiscitum est quod plebs iubet atque
constituit ... Senatusconsultum est quod Senatus iubet atque constituit"
(Gai 1, 3, 5). Il rapporto regola giuridica-commando risulta ormai fissato in
maniera esplicita, mentre e IMPLICITAmente enunciato il rapporto tra il comando
(iubere) e l'imperativo (constituere). Rientra in questa configurazione
volontaristica e imperativistica del diritto la concezione della consuetudine
come iussum populi, un comando del popolo alla stessa stregua della legge: lex
lata sine suffragio. Ma e con la compilazione giustinianea che, associato al
processo politico dell'epoca imperiale, il volontarismo giuridico ottiene la
sua prima grande e compiuta affermazione. A cio concorsero due fattori
strettamente collegati. La volonta d'onde promana la regola giuridica e adesso
individuata e circoscritta nella persona dell'imperatore. La netta separazione,
su piano empirico, tra interpretazione e applicazione della legge e la regolar
rigorosa che riservava allo stesso imperatore il POTERE INTERPRETATIVO (nel
senso di risoluzione dei casi dubbi) esaltano il peso della volonta imperiale,
impedendo che altri, giurista o giudice che sia, possa sustituirsi, alterandola
o integrandola, a quella volonta. E ben noto il monito che Giustiniano, sulla
presunzione della completezza e perfezione della propria opera di legislatore,
rivolgeva ai giuristi: « ... nullis iuris peritis in posterum audentibus
commentarios illi adplicare et verbositate sua supra dicti codicis
compendium confundere: quemadmodum et in antiquioribus temporibus factum est,
cum per contrarias interpretantium sententias totum ius paene conturbatum est
sed sufficiat per indices tantummodo et titulorum subtilitatem quae paratitla
nuncupantur quaedam admonitoria eius facere nullo ex interpretatione eorum
vitio oriundo" (C. 1, 17, 1, 12); e quello ancor piu energico e perentorio
che gia in precedenza era stato fato ai giudici da Valentiniano e da Marciano:
"Si quid vero in idsem legibus latum fortassis obscurius fuerit, oportet
id imperatoria interpretatione patefieri duritiamque legum nostrae humanitati
incongruant emendari" (C. 1, 14, 9). La prassi non poteva non smentire
questo ambizioso proposito, la cui formulazione, tuttavia, giova a chiarire
come una concezione volontaristica possa trovare un effetivo riscontro nella
realta solo a patto che la VOLONTA legistlativa venga aggiunta a fonte unica
del diritto al di fuori di ogni condizionamento esterno e risultati garantita
nella sua fedele applicazione ed esecuzione. Grice: “Falzea interprets,
correctly, Roman law as imperativistic or better, volitive – volontarismo
giuridico – My reflections on “Aspects of Reasons” point to the same direction.
Indeed my focus is on the conversational IMPERATIVE!” Angelo Falzea. Keywords:
interesse, valore, disvalore, assiologia, accertare, apparire, efficacia, interesse,
does moral philosophy rest on a mistake, duty cashes on interest, on desire.
‘sentimento condiviso’ -- H. L. A. Hart. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Falzea” – The Swimming-Pool Library.
Fano (Trieste).
Filosofo. Grice: “I like Fano; for one, he took very seriously Plato’s Cratilo
– “origine e natura del linguaggio,’ he has also explored a rather extravagant
trend for Italian philosophers, when philosophy is reduced to ‘analisi del
linguaggio’!” Neo-idealista, appartene a quel gruppo di artisti, letterati, e
scrittori che hanno reso famosa Trieste. Legge in modo originale l'opera di
Croce e Gentile. Sottolinea l'importanza delle scienze naturali e della
matematica, che nel suo sistema non sono governate dagli pseudo-concetti. Da
molta importanza agli aspetti più semplici e ferini dello spirito seguendo le
riflessioni di Vico. Suo padre Guglielmo era un medico affermato, sua madre
Amalia Sanguinetti. Il padre fu uno dei pochi ebrei di allora che passano al
cattolicesimo per sincera fede. Ma tale conversione e accompagnata da manie
religiose e disordini mentali precoci. Fin dall'adolescenza Fano ha un
impulso di rivolta contro gli adulti, il loro conformismo, il loro spirito
oppressivo. Nel romanzo Quasi una fantasia di Ettore Cantoni si parla di due
ragazzi, in cui è facile riconoscere l'autore Ettore e Fano, che viaggiano e
arrivano addirittura in Africa, appunto per sfuggire all'atmosfera pesante
instaurata dagli adulti. Fu un ragazzo ribelle, non volle accettare la
disciplina della scuola. Un episodio contraddistingue il suo carattere, quando
getta nella stufa il registro di classe. Frequenta la scuole austriaca con
scarso profitto. Afferma che una parte delle sue difficoltà era dovuta al fatto
di avere poca memoria (non quella concettuale, in cui eccelleva, ma quella
specifica, dettagliata, necessaria ad es. nello studio della storia e della
geografia). Così abbandona gli studi assai prima di aver conseguito la
maturità. Ritiratosi da scuola, i suoi congiunti gli procurarono un posto
di impiegato. Ma abbandonò l’impiego e affitta, assieme ad alcuni coetanei, una
cameretta sul colle di Scorcola, dove si dedica non solo a discussioni senza
fine con gli amici, ma passò ore e ore a studiare filosofia. Più tardi a Vienna
poté sentire le lezioni universitarie di alcuni luminari del tempo. Fu la
lettura dei classici tedeschi, da Leibnitz a Schopenhauer, da Kant a Fichte e
Hegel, a dare al suo pensiero un indirizzo al quale sarebbe rimasto fedele per
tutta la vita, a fargli trovare le armi per la sua personale battaglia contro
il dogmatismo, il fideismo, il clericalismo del proprio ambiente
familiare. Certo alla formazione di Fano ha contribuito anche l'ambiente
eccezionale della Trieste di allora. Fu suo amico Poli, il cui pseudonimo,
Saba, fu inventato proprio da lui. Si ispira certamente alla figura di
Fano anche il sesto de I prigioni di Saba: «L’Appassionato/Natura, perché ardo,
m’ha di rosso/pelo le guance rivestite e il mento./ Non è una brezza lo
spirito: è un vento /impetuoso, onde anche il Fato è scosso. /…../ Ero Mosè che
ti trasse d’Egitto, / ed ho sofferto per te sulla croce. / Mi chiamano in
Arabia Maometto». Saba e Fano comprano in società la libreria antiquaria
Mayländer, la futura "Libreria antica e moderna", ma non andano
d’accordo, perché Fano non era persona da accollarsi diligentemente troppi
compiti "noiosi". Così i due decisero di separarsi e, poiché entrambi
volevano rimanere proprietari, Fano propose di giocare questo diritto a testa o
croce e vinse. Ma Saba, che era amante e cultore di libri antichi, non accettò
il verdetto della sorte e convinse l’amico a cedergli ugualmente la libreria. Un'altra
persona dell'ambiente triestino con cui Fano ebbe grande amicizia è stato Giotti.
E un incontro come di un artista toscano con un profeta ebreo. Io ne ebbi un
grande giovamento. Egli leggeva a quel tempo Zola, Maupassant e Flaubert che io
non conosco. Per il suo carattere indolente, in molte cose esteriori della vita
fece ciò che gli consigliavo io. Se ne venne via da Trieste, poi fece venire la
famiglia a Firenze e cose simili. Ma l'amicizia fra i due subì un tremendo
contraccolpo a causa delle drammatiche vicende in cui fu coinvolta Maria, sorella
di Virgilio, che Fano sposa. Ebbero un figlio minorato mentale, Piero, che fu
ucciso dalla madre, la quale si tolse a sua volta la vita. Fu una tragedia che
scosse profondamente tutto Trieste. Sposa Anna Curiel, da cui ebbe un figlio di
nome Guido. Durante il periodo della grande guerrafu irredentista, come
molti dei suoi amici, Benco, Saba, Giotti, Schiffrer e altri. In seguito il suo
atteggiamento fu molto simile a quello di Croce, e per analoghi motivi
ideologici. Gli ideali egalitari non facevano presa su di lui e gli sembrava
utopistico, e comunque non desiderabile, l’instaurare una società comunista.
Anzi si oppose con decisione al socialismo massimalista e turbolento di allora,
tanto da dimostrare, per un breve periodo, una certa comprensione per la
reazione fascista. Ma, già prima di Croce, divenne un antifascista, che non
perdeva alcuna occasione per manifestare apertamente le sue opinioni. Si
laurea in filosofia a Padova con “Dell’universo ovvero di me stesso: saggio di
una filosofia solipsistica” pubblicata sulla Rivista d’Italia. Probabilmente
non frequenta le lezioni universitarie a Padova, anche perché era già sposato e
doveva pensare a mantenere la sua famiglia. Semmai la sua formazione si compì,
oltre che a Vienna, a Firenze, dove aveva trascorso qualche anno prima della
guerra e dove aveva frequentato l’ambiente de La Voce. Professore di
filosofia presso vari licei di Trieste, Fano aspira tuttavia all’insegnamento
universitario, a cui giunse dopo molte traversie causate da intralci posti
dalle autorità. Il motivo di queste difficoltà si deve alla fama di
antifascista che egli si procurò quando, commemorando il cugino Enrico Elia,
volontario nella grande guerra e morto sul Podgora, tenne un discorso in cui
traspariva, in maniera non molto velata, la convinzione che il sacrificio di
tante vite per la libertà veniva rinnegato dal regime politico allora
dominante. Questa sua presa di posizione gli costò alcuni giorni di carcere
nella fortezza di Capodistria e la fama di antifascista si ripercosse sulla sua
carriera universitaria. Attorno a quegli anni a Trieste si andavano diffondendo
le idee della psicoanalisi di Weiss, discepolo di Freud. A Fano non piaceva
questa teoria, affermando che si basava su supposte attività del pensiero immaginarie
e non verificabili. Il concetto di inconscio non posse venir accettato da chi
come lui basava tutto sull' ‘auto-coscienza’. Studioso di Croce, che conosce, pubblicò
vari articoli sulla filosofia crociana. Il saggio “La negazione della filosofia
nell’idealismo” gli procurò l’attenzione di Radice, che gli offrì un posto di
assistente a Roma. Da notare che nel suo primo saggio viene esposto
organicamente il suo pensiero, Il sistema dialettico dello spirito. Dopo
l'invasione tedesca trova rifugio a Rocca di Mezzo, in Abruzzo. La tranquilla
sicurezza, la noncuranza dei pericoli non gli vennero mai meno, né per il
rischio di venir scoperti dai tedeschi (lui e la moglie avevano falsificato le
carte d’identità), né per i bombardamenti alleati. I tedeschi lo usarono spesso
come interprete e poiché la sua casa stava proprio sulla strada maestra, spesso
la cucina era piena di soldati che avevano bisogno di qualcosa. Lì, in quella
cucina mal riscaldata, incurante dei rischi immediati, lavora forse più di
quanto non avesse mai fatto in precedenza e portò a termine l'opera: La
filosofia del Croce. Saggi di critica e primi lineamenti di un sistema
dialettico dello spirito. Finita la guerra ritrovò il suo posto a Roma. Nel saggio
sul Croce aveva rivendicato l'importanza delle scienze empiriche, che nella
filosofia crociana non avevano dignità conoscitiva. In Teosofia orientale e
filosofia greca troviamo una descrizione
dello sviluppo storico del pensiero umano, in cui tra l'altro viene rivendicata
l'importanza della matematica, mentre Croce sostene che la matematica è uno
pseudo-concetto. Inoltre cura la traduzione integrale dei Prolegomena ad ogni futura
metafisica di Kant. Infine le sue ricerche lo portarono ad esaminare il
problema dell'origine della lingua, su cui espresse il suo pensiero nel Saggio
sulle origini del linguaggio, poi riedito accresciuto a cura di Guido Fano.
Altre opere: “Il sistema dialettico dello spirito” *Roma, Servizi editoriali
del GUF/); “La filosofia del Croce. Saggi di critica e primi lineamenti di un
sistema dialettico dello spirito” (Milano, Istituto editoriale italiano); “Teosofia
orientale e filosofia greca. Preliminari ad ogni storiografia filosofica”
(Firenze, La nuova Italia); “Saggio sulle origini del linguaggio. Con una
storia critica delle dottrine glottogoniche” (Torino, Einaudi); “Origini e
natura del linguaggio” (Torino, Einaudi); “Neo-positivismo, analisi del
linguaggio e cibernetica” (Torino, Einaudi);
“Prolegomeni ad ogni futura metafisica” (Firenze, G. C. Sansoni). Ettore
Cantoni, Quasi una fantasia: romanzo, Milano, Treves, Cantóni, Ettore, su
treccani. Giorgio Voghera su Il Piccolo.
Viene venduta a Giorgio Fano e Umberto Poli, il poeta Umberto Saba, che ne
diventa proprietario unico. Dice che una teoria può essere accettata solo se si
prospettano anche delle ipotesi — che poi appariranno assurde e non si
verificheranno concretamente — nelle quali essa dovrebbe venir respinta. La
psicanalisi, invece, si mette accuratamente al coperto da ogni prova contraria.
L'estetica nel sistema di B. Croce, L'Anima, da filosofia di B. Croce, Giornale
critico della filosofia italiana, Un episodio illustra bene sia l’importanza
che egli annetteva al suo lavoro, sia il suo coraggio. Una mattina, scendendo
in cucina, che e diventata il suo studio, la trova invasa da soldati tedeschi
che cercano acqua ed altro. Con l’abituale tono tranquillo, dimenticando con
chi aveva a che fare, lui l’ebreo, col suo viso di profeta, addita ai soldati
della Wehrmacht la porta. Prego, dice in tedesco se lor signori avessero la
compiacenza di andare da un’altra parte. Io ho da lavorare. Senza fiatare, i
soldati infilano la porta ed egli si rimise tranquillamente al suo tavolo di
lavoro per battagliare con Croce, dimentico che la più superficiale inchiesta e
sufficiente a convogliarlo assieme alla sua famiglia verso i campi di sterminio.
L'ottimismo di Fano e il pessimismo di Voghera. Brani da lettere e testi,
Milano, Mimesis, Silvano Lantier, La filosofia del linguaggio (Trieste, Riva);
Silvano Lantier, “Vico e Fano: motivi di un'affinità ideale, Udine, Del
Bianco); Dizionario biografico degli italiani, Roma. Giorgio Fano. Fano insists
that the semiogonia, i. e. the origin of meaningful gestures will provide a
clue as to the essence of the semiotic communication. He relies on Morris,
Ferruccio Landi, Peirce, and Croce. He is interested in Croce’s views on
‘expression’ and Landi’s views on ‘lavoro.’ Fano is critical of Peirce. This is
going on at the same time as Grice is giving seminars on Peirce at Oxford.
Grice: “I agree with Fano that ontogenesis repeats phylogenesis, and that we
should concentrate on utterances which are meaningful generally – ‘signare’ is
a good verb in Italian for that.’ Grice: “In my view, it is the agent who signs
that… ‘signa che’ – signat quod. The ‘-ficare’ only complicates things. A dark
cloud ‘signa’ rain. And, by my hand gesture, I sign that going out is not a
good day in view of the coming rain. Keywords: glossogonia, glottogonia, teoria
glottogonica, dottrina glottogonica, teoria glossogonica, dottrina
glossogonica, semiotics of the tongue, Croce. La glossoRefs.: Luigi Speranza,
“Grice e Fano” – The Swimming-Pool Library.
Fardella.
(Trapani).
Filosofo. Grice: “I like Fardella; for one, he is a systematic philosopher; for
another, he compares Aristotle (‘demonstratio peripatetica’) with Cartesio, as
the Italians call him (‘demonstratio cartesiana’) – And while Italians consider
him a reactionary Cartesian, I deem him
a closet Aristotelian!”. Studia a Messina sotto Borelli, dal quale accetta
l’atomismo di Lucrezio, ma abbracciò il pensiero di Cartesio, dopo averne
appreso gli insegnamenti durante il suo soggiorno a Parigi, grazie alle
conversazioni con Arnauld, Malebranche e Lamy.
Insegna matematica a Roma, Modena, e Padova. Tenne corrispondenza con
Leibniz e polemizza con Giorgi attacca il cartesianesimo. Il suo razionalismo,
per quanto riconosca che solo Cartesio trova, fra gli antichi e i moderni, il
retto e naturale metodo di filosofare, è tuttavia relativo, adeguato com'è al
platonismo. Il mondo è organizzato secondo principi d’aritmetica e geometria.
Ogni cosa ha peso, numero e misura, ossia secondo le leggi statiche,
aritmetiche e geometriche. Mediante l’aritmetica e la geomtria si comprende il
mondo e si comprende così la logica. Nel
punto, che non ha peso, non ha grandezza, non è divisibile, è tuttavia l'origine
di ogni estensione. Nel punto, come il numero nell'unità, si risolve
l'estensione. L'anima, che non ha estensione (non e ‘res extensa’), è un punto.
Non è possibile dimostrare l'esistenza indipendente della realtà materiale. La
stessa esperienza ci insegna che spesso nel sogno percepiamo oggetti che
veramente non possiamo ammettere realmente esistenti. Quante volte, la notte,
mentre dormo, vedo splendere il sole sopra l'orizzonte e vedo muoversi in vari
modi moltissime cose prodigiose, che non sono niente extra ideam? Dunque, quel
che sento e *vedo* non può in nessun modo essere dedotto come realmente
esistente. E se si obbietta che una cosa è sognare, altra cosa è la veglia, per
lui le cose che percepiamo nella veglia potrebbe anche essere soltanto cose
percepite con maggiore chiarezza, distinzione e ordine, benché non siano niente
in sé. I sensi non danno certezza del mondo, la quale può ritrovarsi soltanto
in la legge dell’aritmetica e della geometria.
Altre opere: “Universae philosophiae systema, in qua nova quadam et
extricata Methodo, Naturalis scientiae et Moralis fundamenta explanantur
(Venezia); “Universae usualis mathematicae theoria” (Venezia); “Utraque
dialectica rationalis et mathemathica”; “Animae humanae natura ab Augustino
detecta in libris de Animae Quantitate, decimo de Trinitate, et de Animae
Immortalitate” (Venezia); Pensieri (Napoli); “Lettera antiscolastica” (Napoli).
Recensito immediatamente dopo la pubblicazione del primo e unico volume sulla
rivista scientifica Acta Eruditorum Universae Philosophae Systema, Descartes e
l'eredità cartesiana in Italia” Dizionario biografico degli italiani. Fardella
elaborated a Cartesian philosophy of language, pretty much avant Chomsky, but
using the same sources: Arnauld. While Chomsky focuses on Harris and others, he
could at least have dropped the “Fardella” name! Grice: “He possibly did have
some Italian friends in the Bronx!” -- Michelangelo Fardella. Keywords:
metafisica, ontologia, razionalismo, aritmetica, geometria, solipsismo,
percezione, vedere – sentire – atomismo di lucrezio, sensismo di Giorgi –
Cartesio is actually borrowing it all from Platone’s Timeo – for whom the world
is also only interpretable ‘more geometrico’. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Fardella” – The Swimming-Pool Library.
FASSÒ. (Bologna). Filosofo. Grice: “I like Fassò;
for one, he was, like my friend H. L. A. Hart, a philosophical lawyer! But
unlike Hart, Fassò, being a Roman, knew what he was talking about!” “My
favourite is his explication of Bruto’s reaction when being brought the corpses
of his two sons!” Fassò, mi viene a conforto col suo ottimo lavoro, che dà una
diligentissima ed acuta interpretazione ed esposizione del corso non già logico
ma storico, o per meglio dire, psicologico della formazione della Scienza
nuova; esposizione che è utile possedere e che si segue con curiosità. Con pari
bravura è condotta la ricerca di quel che Vico attinse o credette di attingere
ai quattro suoi autori. Croce, Illusione degli autori sui “loro” autori,). Figlio
di Ernesto, generale dell'esercito, e Caterina Barbieri, discendente dalle
famiglie Barbieri (il di lei nonno era Lodovico Barbieri) e Dallolio (Maria
Sofia, moglie di Lodovico, era sorella di Alberto e Alfredo Dallolio), trascorre
i suoi primi anni, fino all'adolescenza, fra il Piemonte (Mondovì),
l'Emilia-Romagna (Parma) e la Lombardia (Mantova). Temperamento religioso,
ereditato dall'educazione famigliare e dalla frequentazione con un anziano
sacerdote, si caratterizza sempre per il rigore negli studi (perciò Mazzetti,
suo compagno di gioventù, poté definirlo schivo degli incontri e quasi della
società, teso in un impegno di chiarezza mentale, di serietà e finezza di
sentire. Conseguita la maturità classica al Virgilio di Mantova, si laurea a Bologna,
sotto Borsi con “L'elemento demografico nelle provvidenze assistenziali a
favore dei lavoratori: la legislazione del lavoro”. Dopo aver rinunciato ad
impiegarsi come funzionario nell'Unione industriale, ottiene anche la laurea in
Filosofia, sotto Saitta, con “Vico e Michelet”. Confiderà poi al suo allievo,
Enrico Pattaro, che la scelta della filosofia, lungi dall'essere redditizia, è
un matrimonio con «madonna povertà», cui egli, tuttavia, non volle sottrarsi,
non essendo versato, come rivelò a Fausto Nicolini, nella «professione
forense». Svolse, quindi, l'attività di docente di storia e filosofia,
inizialmente come supplente al "Galvani" di Bologna, poi a Forlì e,
infine, al Liceo scientifico "Augusto Righi" di Bologna. Il suo saggio,
dedicato a Il Vico nel pensiero del suo primo traduttore francese, che, però, a
causa dell'indisponibilità degli editori, sarebbe stato pubblicato, grazie
all'intervento di Giuseppe Saittacome memoria dell'Accademia delle scienze
dell'Istituto di Bologna. Vicino al Partito Liberale Italiano, a guerra
conclusa accetta di candidarsi, per il medesimo partito, alle elezioni comunali
bolognesi. Divenuto assistente volontario di Filosofia del diritto
nell'Ateneo felsineo, fu convinto da Felice Battaglia a concorrere per la
libera docenza, che ottenne nel 1949. Nel medesimo anno, all'Parma, gli viene
quindi assegnato l'incarico in Filosofia del diritto. Aggiudicatosi l'ordinariato,
si trasferì successivamente a Bologna , dove insegnò filosofia giuridica,
presso la Facoltà di Giurisprudenza, e Storia delle dottrine politiche, nella
Facoltà di Lettere e Filosofia. Si occupò di studi vichiani (della cui
validità scientifica è testimonianza una epistola di Gioele Solari del 17
maggio 1949, in cui si apprende che «l'interpretazione giuridica della Scienza nuova
proposta da Fassò supera la visione Croce-Nicolini», ponendosi al livello
qualitativo di quelle del Fubini e del Donati) e groziani, della cura e
traduzione dei Prolegomeni al diritto della guerra e della pace di Grozio e
scrisse Vico e Grozio, nonché, la Storia della filosofia del diritto in tre
volumi, giudicata da Bobbio come la «storia della filosofia del diritto più
completa» esistente «sulla faccia della terra». Oltre Croce, Fassò
criticò anche Gentile, autore di una «concezione speculativa indubbiamente
grandiosa», che si risolveva, però, in «vana retorica», negante, entro la
dialettica dello spirito, la realtà del fenomeno giuridico. Fra le altre opere,
La democrazia in Grecia; Il diritto naturale; dello stesso anno è La legge
della ragione, considerata una «tra le opere migliori di filosofia del diritto
uscite in Italia» al tempo, e consistente in una «appassionata rivalutazione»
del diritto naturale; Società, legge e ragione, apparso nell'anno della morte
(i due ultimi volumi citati, tuttavia, ripropongono scritti precedenti). Le
pubblicazioni in cui si esprime con più chiarezza l'ispirazione teoretica di
Fassò sono, invece, La storia come esperienza giuridica (in cui, ha commentato Bobbio, si dimostra che
tutti i rapporti che l'uomo ha con gli altri uomini, contengono un germe di
organizzazione, e quindi sono istituzioni giuridiche») e Cristianesimo e
società, che susciterà un vivace dibattito nell'ambiente cattolico, incontrando
financo il favore di Prezzolini. Il suo testament disponeva funerali semplici,
«senza fiori e senza seguito di estranei». In un codicillo, inoltre,
soggiungeva che, «se si trovassero miei scritti incompiuti, manoscritti o
dattilografati, non si stampino, perché non possono essere stati riveduti come
avrei ritenuto necessario», congiuntamente all'invito a non raccogliere «in
volume opuscoli sparsi o "scritti minori", operazione che non
dovrebbe mai esser fatta se non dall'autore». Alla memoria di Fassò, oltre che
a quella di Augusto Gaudenzi, è intitolato il Centro Interdipartimentale di
Ricerca in Storia del Diritto, Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica
Giuridica a Bologna,. Benché Fassò abbia apprezzato il Romano sostenitore della
concezione non normativistica del diritto, egli non poté tacerne il limite,
consistente nell'assenza di una «definizione esauriente» dell'istituzione,
dovuto alla volontà di Romano di tenersi «fuori dal campo della filosofia». Il
più limpido storico del giusnaturalismo». Formatosi filosoficamente nella
temperie culturale neoidealistica, Fassò se ne distaccò, rifiutandone
soprattutto l'immanentismo, con La storia come esperienza giuridica, opera
ispirata dalle suggestioni istituzionalistiche di Santi Romano (ma di questi
deplorerà, nella successiva Storia della filosofia del diritto, il circolo
vizioso, per cui una «istituzione è giuridica [solo] quando è giuridica» A
Croce, che faceva coincidere storia e filosofia, Fassò replicava con
l'identificazione di storia e giuridicità, estendendo il concetto di
istituzione — contrariamente a quanto aveva fatto Romano, e risolvendone così
il «circolo vizioso» — a «tutti gli aspetti della vita sociale, cioè della vita
dell'uomo nella storia, che è sempre vita dell'uomo in società». L'elisione
dell'identità fra realtà storica e razionalità filosofica non implica la
rimozione dell'Assoluto, ma egli ne negava ogni possibilità conoscitiva,
ricadendo la «concreta unità del reale» (sotto l'aspetto gnoseologico) nell'ambito
del privo di senso, sebbene restasse attingibile in uno slancio mistico,
descritto, in una pagina de La legge della ragione, come partecipazione
dell'«uomo al Valore divino, ma solo quando si faccia anch'egli Dio per unirsi
a lui, trascendendo la propria umanità, la propria soggettività empirica,
storica». È importante tener fermo come Fassò, quantunque abbia legato
l'Assoluto a uno slancio mistico, non si sia fatto teorico di un irrazionalismo
misticheggiante, ma — giusta l'osservazione di Lombardi Vallauri — abbia
formulato un «dittico» in cui si afferma, da un lato, la «sopragiuridicità
dell'etica intesa come esperienza religiosa» e, dall'altro, «la funzione
essenziale della ragione giuridica nel mondo». Proprio il riconoscimento della
centralità della ragione giuridica nel governo della «concreta molteplicità del
reale» costituì, per Fassò, un ulteriore motivo critico nei confronti dell'anti-gius-naturalismo
crociano, da cui, dopo l'approfondimento della storia del giusnaturalismo,
prese più convintamente le distanze. La concezione giusnaturalistica fassoiana,
infatti, cerca di non cadere nell'errore proprio della tradizione precedente
(errore che nella Storia della filosofia del diritto, non esitò a indicare
quale «difetto capitale» della scuola del diritto naturale, consistente
nell'«astrattismo e nel conseguente antistoricismo»), intendendo il diritto
naturale quale «ordine che nasce dalla storia, e nel quale l'uomo non può non
essere inserito proprio per la sua dimensione storica, che è la sua dimensione
essenziale». Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e
dell'artenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'oro ai benemeriti della
scuola della cultura e dell'arte. B. Croce, Illusione degli autori sui “loro”
autori , su Quaderni della Critica, Laterza, Ora anche in Id., Indagini su
Hegel e schiarimenti filosofici, A. Savorelli, Napoli, Bibliopolis, Cfr. E.
Garin, Cronache di filosofia italiana, Bari, Laterza. La sua ricerca di Saitta,
anche storica, sembra inscindibile da una polemica e da una protesta. Polemica
e protesta che attraversano ugualmente l'attività così del Calogero come dello
Spirito, annoverati talora col Saitta fra gli esponenti della
"sinistra" gentiliana, e come lui accusati a volte, e non certo
benevolmente, di crocianesimo». E.
Pattaro, Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di Guido Fassò.
Fassò segue con particolare attenzione i corsi di Saitta, che gli suggerì di
approfondire Michelet, che lo avrebbe condotto a Vico. Scheda senatore Dallolio Alberto, su Scheda
senator Dallolio Alfredo, su senato. Le parole di Mazzetti sono riportate in Faralli,
Il maestro e lo studioso, in Rivista di filosofia del diritto, Bologna, Il
Mulino, Elenco dei laureati e diplomati nell'Anno Scolastico, in Annuario dell'Anno
Accademico, Bologna, Società Tipografica già Compositori,Elenco dei laureati e
diplomati nell'Anno Scolastico, in Annuario dell'Anno Accademico. Bologna,
Tipografia Compositori, E. Pattaro, Alcuni ricordi personali e cenni sulla
gnoseologia, ontologia e concezione della filosofia di Fassò, in Rivista di
filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino. “Mi disse che ci sarebbe stato un
concorso per assistente ordinario alla cattedra e mi chiese se fossi
interessato a partecipare. Ma mi prevenne con due avvertimenti sui quali avrei
dovuto meditare prima di dargli una risposta. Essi sono: "chi fa filosofia
del diritto in una facoltà di Giurisprudenza sposa madonna povertà e nell'università
occorre sapere ingoiare amaro e sputare dolce perché l'intelligenza degli
accademici è di regola superiore a quella dei comuni mortali, e ciò implica che
essi siano capaci di cattiverie più raffinate e perfide di quelle di cui sono
capaci i comuni mortali. La citazione è tratta dal carteggio Fassò-Nicolini,
richiamato da E. Pattaro, nel suo Sull'Assoluto. Contributo allo studio del
pensiero di Guido Fassò, premesso. In altre lettere allo stesso Nicolini, scrive
di non sentire nessuna vocazione per la professione forense. Curriculum vitae
di Andrea Fassò, Consiglio Nazionale del Notariato.. Gli studi vichiani di
Guido Fassò , in Bollettino del Centro Studi Vichiani, 5, Napoli, Guida, Ha ultimato Il Vico nel
pensiero del suo primo traduttore francese nel ma causa la difficoltà di
trovare un editore — non gli fu possibile pubblicarlo allora: soltanto poté
presentarlo all'Accademia delle scienze di Bologna per il tramite di Giuseppe
Saitta. E. Pattaro, Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero dFassò,
in G. Fassò, Scritti di filosofia del diritto, E. Pattaro, C. Faralli, G. Zucchini, 1, Milano, Giuffrè. Dopo i disagi della
guerra, aveva ripreso le proprie ricerche incoraggiato da Felice Battaglia, che
lo convinse ad affrontare l'esame di libera docenza in filosofia del diritto. Conseguita
la libera docenza in filosofia del diritto, nello stesso anno Fassò ebbe il suo
primo incarico in questa materia, all'Parma. Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, F. Battaglia, Guido Fassò:
in memoria, in Rivista internazionale di filosofia del diritto [giunse] alla
libera docenza, e nello stesso anno lo abilitarono a tenere l'incarico della
filosofia del diritto nella Parma, ove divenne professore della materia. Passa
all'Bologna, dove rimase titolare della disciplina, tenuta con alto prestigio e
qualificata dignità fino alla morte che ne chiuse la laboriosa giornata». Enrico Pattaro, Gli studi vichiani di Guido
Fassò, in Bollettino del Centro Studi Vichiani, Napoli, Guida. Tra le carte
personali di Guido Fassò ho trovato una cartolina postale, vergata fitta fitta
da Gioele Solari. In essa, tra le altre cose, è scritto: ‘Da tempo ero convinto
della verità della interpretazione giuridica della Scienza Nuova: ma Lei ne ha
dato ampia, profonda, persuasiva dimostrazione. La cautela con cui è sostenuta
è frutto della Sua modestia, e della Sua serietà di studioso. Il suo saggio sui
quattro autori può stare a paro cogli scritti vichiani del Donati e del Fubini
e supera la visione Croce-Nicolini che sul punto della genesi giuridica della scienza
nuova stanno ancora sulle generali. Finalmente esiste in Italia (dico in
Italia, ma potrei dire sulla faccia della terra) una storia della filosofia del
diritto, non angustamente scolastica, non puramente nozionistica e per di più
complete. Così Bobbio saluta la Storia della filosofia del diritto. In tutta la
filosofia del Gentile si ha una concezione speculativa indubbiamente grandiosa,
ma che si risolve in vana retorica, negante l'esperienza della realtà
effettuale. Non è tuttavia dalla negazione della molteplicità dei soggetti che
discende la negazione della realtà del diritto nella filosofia gentiliana. Come
in quella del Croce, essa è compiuta in relazione alla dialettica dello spirito,
cioè del soggetto assoluto. È importante, infine, sottolineare il valore di
impegno civile che il filosofo bolognese riconosceva al testo e che ad esso
venne riconosciuto dalla traduzione greca. Thessalonike, Poseidonas], all'epoca
della dittatura militare in Grecia». Bobbio,
Giusnaturalismo e positivismo giuridico, prefazione di Luigi Ferrajoli,
Roma-Bari, Laterza, Norberto Bobbio, La
filosofia del diritto in Italia , in Jus, Milano, Faralli, I momenti della riflessione critica
su Guido Fassò, Prezzolini chiosa Cristianesimo e società sia in un articolo su
Il resto del carlino sia nel libro Cristo e/o Machiavelli. Conservo la prima
edizione di Cristianesimo e società, egli scrive. La volli come compagna perché
dovevo moltissimo a quel libro, cioè non dirò l'apertura, ma la conferma dotta,
serena, eppure appassionata di un punto di vista importante. Prezzolini ritiene
di aver trovato in Fassò, argomentate con un'alta filologia, sempre al corrente
della produzione critica e accompagnata dalla conoscenza dei testi filosofici,
quelle stesse idee che anch'egli aveva manifestato ‘lanciate piuttosto da un
intuito che da un sapere storico Annuario, Bologna, Tipografia Compositori, E.
Pattaro, Ricordo, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, Centro
Interdipartimentale di Ricerca in Storia del Diritto, Filosofia e Sociologia
del Diritto e Informatica Giuridica, sStoria della filosofia del diritto, edizione
aggiornata C. Faralli, Roma-Bari,
Laterza. Romano si tiene deliberatamente fuori dal campo della filosofia, non
sfruttando neppure quegli indirizzi di essa, primo fra tutti quello del Croce,
che potevano valere a suffragar la sua tesi. Questa è sostenuta unicamente sul
terreno della considerazione empirica del diritto, e non vuole avere né
premesse né conclusioni che stiano al di fuori o al di sopra di essa.Neppure il
Romano dà del concetto di istituzione una definizione esauriente». G. Marini, Il giusnaturalismo nella cultura
filosofica italiana del Novecento, in Storicità del diritto e dignità dell'uomo,
Napoli, Morano, Cfr. N. Matteucci, recensione a G. Fassò, Cristianesimo e
società, Giuffrè, Milano, in Il Mulino, «L'esigenza filosofica fondamentale che si palesa
nei lavori del Fassò è quella di uscire dallo storicismo immanentistico dei
Croce e dei Gentile che vedeva nella storia la manifestazione di un principio assoluto
(lo Spirito, l'Atto. Cfr. E. Pattaro, In che senso la storia è esperienza
giuridica: l'istituzionalismo trascendentale, in appendice a G. Fassò, La
storia come esperienza giuridica, C. Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino. L'esperienza
che Fassò aveva avuto della filosofia idealistica egemone in Italia nella prima
metà del secolo, la quale all'interno dei suoi precedenti studi vichiani,
condotti in chiave di storia della filosofia, non necessariamente costituiva
un'ipoteca con cui dover fare conti precisi, in sede teoretica, sia pure di
filosofia del diritto, venne chiamata ad un inevitabile redde rationem. G.
Fassò, Storia della filosofia del diritto, edizione aggiornata C. Faralli, Roma-Bari,
Laterza, Il giudizio, tuttavia, è già presente in G. Fassò, La storia come
esperienza giuridica. È proprio questo, del resto, il punto debole della
dottrina del Romano, che fu subito rilevato dai suoi critici: il circolo
vizioso in cui egli si aggira, presupponendo la giuridicità di quella
istituzione che poi identifica con il diritto. In altre parole, il Romano
afferma che sono istituzione, ossia ordinamento giuridico, ossia diritto,
quegli enti o corpi sociali che hanno carattere giuridico. B. Croce, Logica
come scienza del concetto puro, C. Farnetti, con una nota al testo di G. Sasso,
Napoli, Bibliopolis, B. Croce, La storia come pensiero e come azione, M.
Conforti, con una nota al testo di G. Sasso, Napoli, Bibliopolis, «Si può dire
che, con la critica storica della filosofia trascendente, la filosofia stessa,
nella sua autonomia, sia morta, perché la sua pretesa di autonomia era fondata
appunto nel carattere suo di metafisica. Quella che ne ha preso il luogo, non è
più filosofia, ma storia, o, che viene a dire il medesimo, filosofia in quanto
storia e storia in quanto filosofia: la filosofia-storia, che ha per suo
principio l'identità di universale ed individuale, d'intelletto e intuizione, e
dichiara arbitrario o illegittimo ogni distacco dei due elementi, i
quali realmente sono un solo. La storia come esperienza giuridica. L'esperienza
giuridica non è altro che l'esperienza umana nella sua totalità, la storia
stessa insomma dell'uomo. In che senso la storia è esperienza giuridica:
l'istituzionalismo trascendentale di Guido Fassò, «La concreta unità del reale,
l'universale concreto, è un residuato della grandiosa retorica metafisica
idealistica. Fassò, con l'onore delle armi, lo colloca nella dimensione che gli
compete, ossia dell'inconoscibile, indicibile, incomunicabile per definizione:
dell'indiscutibile che è tale non perché sia vero o certo di là da ogni
ragionevole dubbio, bensì perché non è possibile oggetto di discorso, non è
suscettibile di ragionamento, sfugge ad ogni comprensione e spiegazione
razionale. Lo colloca nella dimensione del privo di senso. Enrico Pattaro, In
che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale. Resti
chiaro, peraltro, che Fassò rinvia sì al piano mistico l'unità del reale,
l'assoluto, l'universale concreto, ecc., ma che, non per questo, egli professa
una filosofia mistica intuizionistica. Il giudizio di Lombardi Vallauri è
espresso nel suo Amicizia, carità, diritto, Giuffrè, Milano. Considerata nel suo
arco complessivo, forma un dittico, che da un lato ribadisce rigorosamente la
sopragiuridicità della esperienza cristiana giunta al suo culmine (identificato
nella carità), e dall'altro lato riconosce la funzione preziosa della ragione
giuridica ‘nel mondo, dove ogni individuo limita e contraddice l'altro e dove
una norma di coesistenza è indispensabile’») e accolto in Guido Fassò, Società,
legge e ragione, Milano, Edizioni di Comunità, Enrico Pattaro, In che senso la
storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di Guido
Fassò, La concreta molteplicità del reale, il flusso eracliteo dei particolari
concrerti, l'eterogeneo continuum di cui parla richiamando Ross, è la realtà
empirica, fenomenica: molteplicità infinita di eventi originali e irripetibili,
non essendovi nello spazio, e più ancora nel tempo, due fenomeni perfettamente
identici. Sulla posizione crociana rispetto al giusnaturalismo cfr., per
esempio, Croce, Filosofia della pratica. Economica ed etica, M. Tarantino, con
una nota al testo di G. Sasso, Napoli, Bibliopolis. Contraddittorio è altresì
il concetto di un codice eterno, di una legislazione-limite o modello, di un
diritto universale, razionale o naturale, o come altro lo si è venuto
variamente intitolando. Il diritto naturale, la legislazione universale, il
codice eterno, che pretende fissare il transeunte, urta contro il principio
della mutevolezza delle leggi, che è conseguenza necessaria del carattere
contingente e storico del loro contenuto. Se al diritto naturale si lasciasse
fare quel che esso annunzia, se Dio permettesse che gli affari della Realtà
fossero amministrati secondo le astratte idee degli scrittori e dei professori,
si vedrebbe, con la formazione e applicazione del Codice eterno, arrestarsi di
colpo lo svolgimento, concludersi la Storia, morire la vita, disfarsi la
realtà. Sulla presa esplicita di distanza di Fassò da Croce, cfr. Società,
legge e ragione. Ho continuato a ripetere la stessa cosa. Il diritto nasce
dalla natura umana, la quale è natura storica e natura sociale. Ho rifiutato
dapprima, sotto la suggestione dell'anti-gius-naturalismo del tempo in cui ero
cresciuto, di chiamare naturale un siffatto diritto. Più tardi, dopo avere
approfondito la conoscenza storica del gius-naturalismo ed essermi meglio
chiarito la parte che esso ha avuto nella difesa della libertà contro
l'assolutismo politico, mi sono deciso a designare con quell'aggettivo in
realtà equivoco il diritto che la ragione trova nella natura della società. Laddove,
invece, si è riscontrata coincidenza cronologica, si è preferito seguire
l'ordine alfabetico. Altre opere: “I quattro auttori del Vico: saggio
sulla genesi della Scienza nuova” (Milano, Giuffre); “La storia come esperienza
giuridica, Carla Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Cristianesimo e
società” (Milano, Giuffrè); “La democrazia in Grecia, Carla Faralli, Enrico
Pattaro e Giampaolo Zucchini (Milano, Giuffrè); “Il diritto naturale” (Torino,
ERI, “La legge della ragione, Carla Faralli, Enrico Pattaro e Giampaolo
Zucchini (Milano, Giuffrè); “Storia della filosofia del diritto, Roma-Bari,
Laterza); “Vico e Grozio” (Napoli, Guida); “Società, legge e ragione” (Milano, Edizioni
di Comunità); “Scritti di filosofia del diritto” (Milano, Giuffrè); Diritto della
guerra” (Napoli, Morano). Dizionario biografico degli italiani,.Gli studi
vichiani di Guido Fassò, Centro Studi Vichiani,
5, Napoli, Guida),“Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di
Guido Fassò” , “In che senso la storia è esperienza giuridica:
l'istituzionalismo trascendentale di Guido Fassò”, “Lo storicismo di Guido
Fassò”, “Sulla annosa e ricorrente disputa tra positivisti e giusnaturalisti”,
“Un itinerario filosofico tra diritto e natura umana”. Guido Fassò. Keywords:
ius, Grice on Hart, Hart’s failure as a jurisprudentialist – “La filosofia
romana” “La giurisprudenza romana” la genesi logica della scienza nuova di
Vico, la genesi storica della scienza nova di vico, Michelet, filosofo uganotto
discipolo di Vico, Croce su Fasso, Fasso su Gentile, Fasso su Romano –
iurisprudenza, ius-naturalismo – legge e raggione, legge raggione, societa –
positivismo – storia come esperienza giuridica, l’assoluto giuridico – natura
umana – grozio e vico -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fassò” – The
Swimming-Pool Library.
Fazzini.
(Vieste). Filosofo. Grice: “I like Fazzini; he can be too theological, but
that’s okay!” Divulgatore
di materie filosofiche e il fondatore
dell'omonima scuola private a Napoli, una delle più celebri nel Regno delle Due
Sicilie. Figlio di Tommaso e Porzia Medina, che appartenevano a due delle
famiglie più agiate della città. Il suo talento per la matematica fu notato fin
dai primi anni; i genitori decisero quindi di far proseguire i suoi studi in
ambienti che potessero garantire una formazione adeguata. Fazzini si trasferì a
Foggia, poi a Benevento e in ultimo nel seminario di Nusco. Qui trascorse
l'adolescenza approfondendo anche lo studio dei classici. Terminato il
seminario, torna a Vieste. Lì, poco dopo il suo rientro, recita in Duomo
un'orazione in lode dell'Arcangelo Michele che fu molto apprezzata dal clero e
dai fedeli. Il rientro nella città natale fu comunque di breve durata. Desiderando
continuare i suoi studi, Fazzini si trasferì a Napoli. Venne ordinato sacerdote
e nello stesso anno ebbe come insegnante Fergola. La scuola di quest'ultimo era
un rinomato centro per la formazione e un punto di incontro per studiosi e
ricercatori del Mezzogiorno. Ne fu uno degli allievi più illustri. Proseguì
anche gli studi in filosofia. Si era avvicinato al sensismo (empirismo). Ottenne
dalla Chiesa il permesso di acquisire testi proibiti sul sensismo, a patto che
non ne divulgasse i contenuti. Questo aspetto della formazione filosofica influirà
sulla sua docenza e sulla sua personalità, determinando una contraddizione che,
secondo le testimonianze di allievi e amici, lo accompagnò per tutta la
vita. Apre una scuola privata in cui venivano insegnate filosofia,
matematica e fisica. La scuola aveva sede nella Strada nuova dei Pellegrini,
nel quartiere di Montecalvario, e divenne uno dei centri di studio più rinomati
di Napoli. Nel periodo di maggior
successo La Fazzini arrivò a contare tra i 300 e i 400 allievi. In una data non
precisabile, dovette quindi spostare la scuola in una sede più grande, in via
Magnacavallo, nello stesso quartiere. Anche dopo aver aperto la propria
scuola, comunque, insegnò presso altre scuole private. Dedica all'insegnamento
sei o sette ore al giorno. La maggior parte del tempo di insegnamento di
Fazzini e dedicata alla matematica. Al servizio di questa attività Fazzini
pubblica aritmetica, geometria piana e geometria solida. Oltre all'insegnamento
della filosofia, si dedica alla ricerca e alla divulgazione. Al servizio di
queste tre attività allestì anche un laboratorio scientifico, considerato
all'epoca uno dei migliori di Napoli. Per Fazzini venne composta da Gaetano
Donizetti una Messa da Requiem oggi perduta, mentre Basilio Puoti recitò un
elogio di Fazzini, di cui era amico. Si occupa a lungo di ricerche scientifiche
in vari campi della fisica. In particolare, studiò l'induzione
elettromagnetica, il magnetismo in generale e la relazione tra luce e
magnetismo. Non pubblica però quasi nulla a proposito di queste ricerche, che
sono note soprattutto attraverso le testimonianze di Tellini e di Gaetano
Fazzini. Era convinto che diverse delle forze naturali allora note, e in
particolare il calorico, la luce, l’elettricismo, il galvanismo e il
magnetismo, fossero in realtà diverse manifestazioni di un'unica forza. Partendo
da questa idea di base, studia soprattutto il magnetismo, e in particolare due
fenomeni di induzione, oggi spiegati in base alla Legge di Faraday, che erano
stati scoperti negli anni immediatamente precedenti: il magnetismo di
rotazione, scoperto da Arago -- il fenomeno per cui un ago magnetico posto
sopra un disco di rame in rotazione inizia a sua volta a ruotare -- l'induzione
tellurica, scoperta da Faraday: la generazione di una corrente elettrica
indotta in un circuito che si muove attraverso il campo geo-magnetico
Per quanto riguarda il magnetismo
di rotazione, ripeté e approfondì le esperienze di Arago notando che la
rotazione dell'ago magnetico si verificava anche quando al di sopra del disco
di rame si sovrapponeva materiale isolante, mentre non si verifica se il disco
di rame veniva sostituito da un disco di materiale isolante. Per quanto
riguarda l'induzione tellurica, ne identifica con maggiore chiarezza le
modalità. Cerca poi di combinare lo studio di questo fenomeno con quello del
magnetismo di rotazione, costruendo per questo tre diversi apparecchi. Una
ricostruzione dettagliata del modo in cui gli apparecchi operano è fornita sulla
base delle testimonianze lasciate da Cirelli e Gaetano Fazzini. Descrisse una
delle sue esperienze sull'induzione tellurica in una lettera a Faraday.Questa
lettera è l'unica descrizione lasciata da Fazzini in persona riguardo ai propri
esperimenti. Eseguì inoltre esperimenti sul rapporto tra luce e magnetismo,
proiettando raggi di luce su un ago magnetico. Le testimonianze rimaste, tutte
indirette, non permettono però di ricostruire in modo sicuro le intenzioni di
Fazzini e i risultati dei suoi esperimenti. Opere: “Elementi di geometria
piana” (Napoli), “Geometria solida: la sfera e il cilindro (Napoli); Elementi
di aritmetica (Napoli). Dizionario biografico degli italiani. Lorenzo Fazzini. Laurentis
Maria Antonius. Keywords: la matematica di Pitagora, Platone, aritmetica,
geometria, definizione di assioma, problema, lemma, numero, demonstrazione,
ragione, postulato, ecc. Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fazzini” – The
Swimming-Pool Library.
Feliceto
search.
Ferdinando.
(Mesagne). Filosofo. Grice: “I like Ferdinando; for one he describes himself as
a ‘philosophus,’ which is good – second, he deals with ‘philosophia’ in terms
of this or that ‘theorema,’ which is good, and third he follows Aristotle!” Definito
dai suoi concittadini “Socrate Salentino”, studia grammatica, poetica, greco e
latino sotto Riccio, intimo amico di Paolo e Aldo Manuzio. Si trasferì successivamente
a Napoli dove studia filosofia. Si laurea in filosofia. Ebbe dieci figli. Tra
le saggi principali del Ferdinando grande rilievo assumono i “Teoremi
Filosofici”, dedicati alla sua amata città natale; Morso della tarantola, che
testimonia l'importanza del tarantismo e della tradizione salentina nel suo
pensiero; Centum Historie o Casi Medici, raccolta di cento casi clinici più
peculiari analizzati dal medico nella sua vita professionale; infine Antiqua
Messapographia, attenta e appassionata analisi della storia di Mesagne. Dal punto di vista culturale, l'opera di
riferimento per eccellenza del Ferdinando è fuor di dubbio Centum Historiae, dedicata
a Giulia Farnese, Marchesa di Mesagne, di cui l'autore fu medico di fiducia,
intimo amico e compagno di viaggio, come quello che li condusse a Roma dove
Epifanio conobbe Cinzio Clemente, medico di Paolo V e fu contattato, per la sua
fama, da noti scienziati e medici romani dell'epoca tra cui Marco Aurelio
Severino, con cui ebbe una disputa riguardo al metodo migliore di operare
l'incisione della salvatella, la vena presente sul dorso della mano che parte
dalla base del mignolo e si connette con la vena ulnare. Profondo conoscitore dei classici e seguace
non solo delle teorie di Ippocrate di Kos e Galeno, ma anche di quelle
formulate da Mercuriale, Eustachio, Falloppia e Fracastoro, attento alle
tradizioni della sua terra, propose un nuovo metodo di insegnamento con lezioni
al letto del malato, in una perfetta sinergia tra lo studio teorico e la sua
applicazione clinica. Per la sua grande cultura e competenza fu richiesto non
solo in tutta la provincia, ma anche a Bari, Napoli e Lecce. Noto fra i concittadini
per la sua bontà d'animo, curava anche senza compenso somministrando farmaci
costosi pure ai poveri. Nelle sue diagnosi si concentrava sull'importanza delle
analisi del sangue valutandone consistenza, opacità, densità e colore e
riteneva centrale per la terapia attenersi ad una adeguata dieta. Per curare i
suoi pazienti si serviva non solo di salassi, purghe e clisteri, secondo la
prassi ordinaria, ma preparava anche dei farmaci di origine vegetale ottenuti
miscelando quantità variabili di erbe mediche a seconda della terapia. Nella
sua vita si occupò anche di due casi di interesse neurologico e pediatrico,
descritti nei particolari nelle Centum Historiae, e nutre anche uno spiccato
interesse nei confronti del tarantismo e della musica come terapia “certissima”.
Grazie alle sue opere, in cui l'impostazione medico-scientifica si compenetra
con quella storica, grazie ad uno stile tendente al genere narrativo, ed ai
contatti che mantenne con i medici napoletani, fu uno dei più importanti
intermediari fra la cultura medica napoletana e quella di Terra d'Otranto. Studiosi,
soprattuto Ferdinando, si sono interrogati sulla natura del tarantismo, o
tarantolismo, dopo essere venuti a conoscenza delle cure previste dalla
tradizione popolare per questo morbo, tra cui la più importante di tutte è
senza dubbio la “musico-terapia”somministrata al malato da vere e proprie
orchestre composte da violinisti, chitarristi e soprattutto tamburellisti a
pagamento. Proprio il tamburello assume una funzione fondamentale in questo
tipo di terapia poiché scandisce il tempo modificando via via il ritmo del
brano che, divenuto frenetico, viene assecondato dai movimenti della danza del
tarantato. La credenza vuole che il malato dopo essere stato morso dovesse
espellere il veleno scatenandosi a ritmo di musica, ma non di una qualunque. Il
tema musicale doveva essere scelto in base al colore della tarantola
responsabile del morso. Il primo documento che testimonia il legame tra musica
e taranta è il Sertum Papale de Venenis redatto, presumibilmente da Guglielmo
di Marra da Padova, nel primo anno del pontificato di Urbano V. Il secondo a
documentare per esperienza diretta questa connessione fu Ferdinando. Nelle sue
Centum Historiae analizza, tra gli altri, il caso di un suo giovane concittadino,
tale Pietro Simeone, pizzicato mentre dormiva di notte in un campo. Il medico
credette fermamente nella musica come terapia “certissima” criticando chi
sosteneva che il tarantismo non fosse necessariamente scatenato da un morso
tanto reale quanto velenoso. Inoltre, fu il primo a proporre come metodo di
cura per i tarantati morsi da tarantole le malinconiche (nenie funebri). Kircher riferisce nel suo Magnes un episodio
accaduto ad Andria, nel barese, talmente singolare da destare ragionevoli sospetti
su quanto starebbe alla base di questa terapia. Come il veleno stimolato dalla
musica spinge l'uomo alla danza mediante continua eccitazione dei muscoli, lo
stesso fa con la tarantola; il che non avrei mai creduto se non l'avessi
appreso per testimonianza dei Padri ricordati, che son degnissimi di fede. Essi
infatti mi scrivono che in proposito fu tenuto un esperimento nel palazzo
ducale di Andria, in presenza di uno dei nostri Padri, e d tutti i cortigiani.
La duchessa infatti, per mostrare nel modo più adatto questo ammirabile
prodigio della natura, ordina che si trovasse a bella posta una taranta, la si
collocasse, librata su una piccola festuca, in un vasetto colmo d'acqua, e che
fossero quindi chiamati i suonatori. In un primo momento la taranta non dette
alcun segno di muoversi al suono della chitarra. Ma poi, allorché il suonatore
dette inizio ad una musica proporzionata al suo umore, la bestiola non soltanto
faceva le viste di eseguire una danza saltellando sulle zampe e agitando il
corpo, ma addirittura danzava sul serio, rispettando il tempo. E se il
suonatore cessa di suonare anche la bestiola sospendeva il ballo. I Padri
vennero a sapere che ciò che in Andria ammirarono in quella circostanza come
episodio straordinario, era a Taranto fato consueto. Infatti i suonatori di
Taranto, i quali erano soliti curare con la musica questo morbo anche in
qualità di pubblici funzionari retribuiti con regolari stipendi (e ciò per
venire incontro ai più poveri, e sollevarli dalle spese), per accelerare la
cura dei pazienti in modo più certo e più facile, sogliono chiedere ai colpiti
il luogo dove la taranta li ha morsicati, e il suo colore. Dopo ciò i medici
citaredi sogliono portarsi subito sul luogo indicato, dove in gran numero le
diverse specie di tarante si adoperano a tessere le loro tele: e quivi tentano
vari generi di armonie, a cui, cosa mirabile a dirsi, or queste or quelle
saltano. E quando abbiano scorto saltare una taranta di quel colore indicata
dal paziente, tengono per segno certissimo di aver trovato con ciò il modulo
esattamente proporzionato all'umore velenoso del tarantato e adattissimo alla
cura, eseguendo la quale essi dicono che ne deriva un sicuro effetto
terapeutico. Altre opere: Theoremata philosophica (Venezia); “De vita
proroganda seu iuventute conservanda et senectute retardanda” (Neapoli); “Centum
Historiae seu Observationes et Casus medici” (Venezia); Aureus De Peste
Libellus (Napoli); “Libellus de apibus”; “Tractatus de natura leporis”; “De
coelo Messapiensi”; “De bonitate aquae cisternae”; “Libellus de morsu
tarantolae.” Ernesto De Martino La terra del rimorso,Milano,Est, Magnes sive de
arte magnetica opus tripartitum, Le notizie biografiche sono tratte da: Mario Marti e Domenico Urgesi , Epifanio
Ferdinando, medico e storico del Seicento. Atti del convegno di studi, Besa
Editrice, Nardò, Altre fonti: Atanasio
Kircher, Magnes sive de arte magnetica opus tripartitum, Ernesto De Martino, La
terra del rimorso, Est, Milano, M. Luisa Portulano Scoditti, A. Elio Distante,
Roberto Alfonsetti, Enzo Poci. Edizione Assessorato alla Cultura Città di
Mesagne, Mesagne, Nicola Caputo, De tarantulae anatome et morsu, Lecce, M.
Luisa Portulano Scoditti e Amedeo Elio Distante, La peste, traduzione italiana
del De peste aureus libellus, M. Luisa Portulano Scoditti e Amedeo Elio
Distante, Epifanio Ferdinando Le centum historiae e la medicina del suo tempo,
Città di MesagnM. Luisa Portulano Scoditti e Amedeo Elio Distante, Epifanio
FerdinandoDe Vita Proroganda, Città di Mesagne, traduzione italiana del De Vita
Proroganda seu juventute conservanda..., Napoli, M. Luisa Portulano Scoditti e
Amedeo Elio Distante, , Atti del XLI Congresso Nazionale della Società Italiana
Storia della Medicina, Mesagne, Epifanio Ferdinando. Keywords: mito, taranta,
tarantella, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ferdinando” – The Swimming-Pool
Library.
Fergnani.
(Milano). Filosofo. Grice: “I love Fergnani; especially his “Il gesto e la
passione,” which I apply to them extravagant Victorian male-only interactions!”
Si laurea a Milano sotto Banfi. Insegna a Crema e Bergamo, Milano. Saggi in “Il
pensiero critico”, “Rivista di filosofia”, “aut aut”, “Rivista critica di
storia della filosofia” e “Nuova corrente”. Fu figura di spicco nell’esistenzialismo. Si
dedica a Sartre, Marx, Merleau-Ponty, Bloch, Lukács, Althusser, Heidegger,
Lévinas, Bergson. Altre opere: “Marx” (Padus, Cremona); “Un critico di se stesso”;
“More geometrico” (TET, Torino, “Prassi di Gramsci” (Unicopli, Milano); “Materialismo”
(il Saggiatore, Milano); “La dialettica dell’esistere” Feltrinelli, Milano); L'essere e il nulla” (Il Saggiatore, Milano);
“Da Heidegger a Sartre, Farina Editore, Milano, “Sartre sadico” (Farina Editore,
Milano); “Esistire” (Farina Editore, Milano); Kierkegaard (Farina Editore,
Milano); “Il gesto e la passione” Farina Editore, Milano, “Merleau-Ponty”,
Farina Editore, Milano . “L’Esistenzialismo”
Farina Editore, Milano, “Sartre” (Farina Editore, Milano); “Jaspers, Farina
Editore, Milano); F. Manzoni, “Il
filosofo che ci “spiega” Sartre”, Corriere della Sera. La lezione di Franco Fergnani", in
Materiali di Estetica,Massimo Recalcati, L'ora di lezione, Einaudi, Torino, F. Papi. Franco Fergnani. Keywords, exist,
Grice on ‘a is’ Grice on ‘a exists’ – E-committal – Peano on ‘existent’ – esistono
– es gibt, there is/there are, some, or at least one, il y a, c’e, Warnock on
‘exist’ -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fergnani” – The Swimming-Pool
Library.
Ferrabino.(Cuneo). Filosofo. Grice: “I like Ferrabino; if I were not into
the unity of philosophy, I would say he is a philosophical historian – and a
Roman historian, too! Strictly, a philosopher of Roman history, alla Gibbon!” “Si compie il mio ottantesimo anno. Declinano
le stelle della sera sulla diuturna milizia di storia e di magistero che fu la
mia vocazione, non tradita ma superata. Misticamente m'accoglie la dimora del
Verbo dove l'Io s'incontra col suo Dio nascosto.” Figlio di Angelica Toesca,
donna sensibile e generosa e di Vincenzo Agostino, funzionario dello Stato,
uomo dalla natura affettuosa e sobria e di idee agnostiche, che per questo
motivo non volle far battezzare i figli. Compì il primo ciclo di studi
dimostrandosi subito allievo modello e con rare doti di intelligenza. Prosegue
gli studi classici a Cremona, e quando la famiglia dovette nuovamente
trasferirsi in Alessandria, terminato il Liceo, si iscrisse a Torino. Inizia a
frequentare assiduamente l'ambiente universitario dedicandosi con il massimo
impegno allo studio e dando lezioni private per non dover pesare troppo sulle
finanze paterne. Il suo tutore fu Graf. Verso il terzo anno iniziò a seguire con
crescente interesse la filosofia antica frequentando le lezioni di Sanctis,
sotto il quale si laurea con “Kalypso”. Insegnò a a Torino, Palermo, Napoli, e
Padova. Fu rettore dell'Ateneo fino al anno in cui ottenne la cattedra di
filosofia romana presso a Roma. Morta la prima moglie Mercedes, Ferrabino
concluse il suo periodo di avvicinamento alla religione cattolica facendosi
battezzare. Sposa Paola Zancan, proveniente da agiata e cattolica famiglia, con
la quale si stabilì a Roma. Inizia in quel periodo a frequentare "La
Cittadella di Assisi" diventando grande amico di Rossi, fondatore di “Pro
Civitate Christiana” e “La Rocca”. Ad Assisi, Ferrabino prese l'abitudine di
trascorrere con la moglie e le nipoti lunghi periodi durante le vacanze estive
alternate a quelle trascorse a Fregene. Venne eletto senatore per la Democrazia
Cristiana e rimase al Senato. Divenne presidente della Enciclopedia Italiana,
incarico che detenne, insieme a quello di direttore scientifico. Era stato intanto incaricato di presiedere al
Consiglio Superiore delle Accademie e promosse il Centro nazionale per il
catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche
diventandone il presidente. Divenne
corrispondente dell'Accademia del Lincei e corrispondente nazionale della
stessa e presidente dell'Istituto italiano per la storia antica. Presidente della Società Nazionale
"Dante Alighieri" e insieme a Vincenzo Cappelletti, fonda "Il Veltro". Pubblica sull'Italia romana, l'età dei
Cesari, la filosofia fatalistica della storia. Alter opere: “Calisso: la storia
di un mito” (Bocca, Torino) – with a
section on the myth among the Latins, and a later section on the
treatment by Roman authors, “Arato di Sicione e l'idea federale” (Le Monnier,
Firenze); “L'impero ateniese” – note that it’s Roman empire and impero
ateniense, but BRITISH empire not London empire, and American empire, rather
than Washington empire – “La dissoluzione della libertà nella Grecia antica”
(Cedam, Padova); “L'Italia romana” (Mondadori, Milano); “Giulio Cesare” (Unione
Tipografica, Edizione Torinese); “La vocazione umana” (Nuova Edizione Ivrea, Ivrea); “L'esperienza Cristiana”
(Libreria Draghi, Padova); “Le speranze immortali” (Casa Editrice Società per
Azioni, Padova); “Trilogia del Cristo” (Casa editrice Le tre venezie); “Adamo”
(Morcelliana, Brescia); “Le vie della storia romana” (Sansoni, Firenze, “Rivelazione
e cultura” (La Scuola, Brescia); “Storia dell'uomo avanti e dopo Cristo” (Edizioni
Pro Civitate Christiana, Assisi); “L'essenza del Romanesimo” (Tumminelli,
Roma); “L'inno del Simposio di S. Metodio Martire” (G. Giappichelli, Torino);
“Storia di Roma” (Tumminelli, Roma); “La filosofia della storia” (G. C.
Sansoni); “Trasfigurazioni” (Aldo Martello, Milano); “Pagine italiane, Il Veltro, Roma); “Misticamente” (Stamperia
Valdonega, Verona); “La bonifica benedettina” (Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Enciclopedia dell'Arte Antica: Classica e Orientale, (presidente), Istituto
della Enciclopedia Italiana, Roma, Dizionario Enciclopedico Illustrato, Jannaccone, Sturzo, Istituto della
Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma, Nel Centenario Della
Battaglia Del Volturno, Ente Autonomo Volturno, Napoli. Prefazione in Misticamente, Verona, L'Erma di Bretschneider,
Il figlio dell'uomo (nella testimonianza di S. Matteo) II : Il figlio di Dio
(nella testimonianza di S. Giovanni) III : Il risorto (nella testimonianza di
S. Paolo), Lincei, Roma. Treccani, Dizionario biografico degli italiani. Aldo
Ferrabino. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ferrabino” – The
Swimming-Pool Library.
Ferrando (Roma). Filosofo. Grice: “I like
Ferarndo; for one, he is what I would call an Anglo-Italian – cf.
Anglo-Argentine; so he philosophised on Otello, Coroliano, la creazione di
Carpenter and the forces of Prentice Mulford; on Byron’s Manfredi, and more
beyond!” Si laurea a Pisa. Insegna a Firenze. Direttore della Biblioteca
Filosofica. In qualità di filosofo s’interessa a Bergson, il misticismo, il
transcendentalism (saggi per L’Annuario Filosofico), come filosofo anglista
s'interessa a Shakespeare (“Otello”, “Corolliano”), e S. T. Coleridge, Carpenter
(“La creazione”), Coleridge, Byron (“Manfredi”), “Le forze che dormono in noi”
(Prichard). dando di alcuni di questi anche delle versioni. Fu inoltre studioso
di psicologia e redattore della rivista Psiche. Collabora con Salvemini alla
propaganda antifascista e firmò il Manifesto di Benedetto Croce. Espatriò a New
York, dove continuò la sua attività antifascista, divenne professore d'italiano
e filosofia presso il e sposa Wilhelmina Anieka Leggett, con cui adottò la
figlia Vasanti. Contribuì più tardi a fondare la Besant Hill School di Ojai,
California, praticandovi l'insegnamento more socratico. L’istruzione è un
processo d'indagine dove gli studenti imparano *come* pensare, non *cosa*
pensare". RootsWeb's World Connect
Project: LEGGETT of ELY, CAMBRIDGESHIRE, ENGLAND and WEST FARMS (BRONX), NEW
YORK Guido Ferrando appointed Chairman
of italian dept. in «Vassar Miscellany News», Besanthill. Opere: Saggi, “La
Voce” -- Guido Ferrando. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ferrando” –
The Swimming-Pool Library.
ferrari: (Milano). Filosofo. Grice: “Ferrari
is important in at least two fronts: as a philosopher, he promotes what has
been called a ‘critical illuminism’ – and who but an Italian philosopher can
have as a claim to fame a treatise on ‘the philosophy of revolution’? The
second front is my proof of the latitudinal unity of philosophy; for Ferrari
counts as the best interpreters, with his ‘La strana sorte di Vico,’ of Vico!” essential
Italian philosopher. Federalista, repubblicano, di posizioni democratiche e socialiste,
fu deputato della Sinistra nel Parlamento italiano per sei legislature e
senatore del Regno. Nato da una famiglia borghese il padre era medico -- dopo
la morte dei suoi genitori poté godere di una rendita grazie alla quale visse
senza particolari problemi economici. Fece i suoi studî nel ginnasio S.
Alessandro, fu poi alunno dell'Almo Collegio Borromeo. Si laurea a Pavia. Fu
però più interessato dalla filosofia, che coltivò nel cerchio di
Romagnosi. Giunto a posizioni irreligiose e scettiche, nutre per la
cultura filosofica, storica e politica francese un'ammirazione che lo porta a
Parigi. Si laurea in filosofia alla Sorbona, con “Sull’errore, ossia, De
religiosis Campanellae opinionibus. Nella prima parte presenta positivamente la
filosofia di Campanella. Nella seconda parte giunge ad una conclusione scettica
a proposito dei giudizî. Un giudizio infatti non consente di giungere alla
verità oggettiva. Grice: “The problem with Ferrari’s analysis is etymological.
For the Romans, indeed the Indo-Europeans – cf. German irren --, to err was to
wander FROM THE TRUTH. It’s a metaphor, a figure of speech. Un giudizio è
indissolubilmente intrecciato a questo che Ferrari chiama un “errore”. Ferrari
define un ‘errore’ come ‘un vero’ – un vero relativo, non assoluto.
Similarmente, il vero e un errore relativo – giudizio vero relativo al soggetto
– errore intersoggetivo. -- una vero
relativo. Speaking of relative/absolute allows you to avoid ‘objective’ and
‘subjective’, but we do want to use ‘subjective’ and inter-subjective. An error
can still be inter-subjective, for Ferrari, un ‘vero relativo’ a S1-S2. Introdotto
nei circoli intellettuali di Parigi da lettere di presentazione di Peyron e Valerio
(due allievi piemontesi di Cattaneo) e di Ballanche, Ferrari frequenta Cousin,
Thierry, Fauriel, Michelet e Quinet, come pure gli che si riunivano nel Palazzo
Belgiojoso. Insegna a Rochefort-sur-mer e Strasburgo dove, attaccato da Roma per
le affermazioni irreligiose e scettiche espresse nel suo corso sulla filosofia
del Rinascimento e per la sua presentazione favorevole della Riforma luterana,
fu anche accusato di insegnare dottrine atee e socialiste e sospeso
dall'insegnamento, e, benché avesse ottenuto la cittazidanza francese e il
titolo di "professore di filosofia” che lo abilita ad insegnare non fu più reintegrato nell'insegnamento, poiché
la raccomandazione di Quinet per una sua nomina a professor al Collège de
France, benché accettata dalla Facoltà, fu rifiutata dal ministero
dell'Educazione. L'allontanamento di Strasburgo fu all'origine del suo rapporto
con Proudhon che, avendo appreso il "caso Ferrari" dalla stampa,
s'interessò a lui e ai suoi scritti e dette inizio ad un'amicizia. Ferrari fu
tra gli avversari repubblicani della monarchia orleanista, con Schoelcher. Durante
il sollevamento delle cinque giornate di Milano contro il governo austriaco fu
accanto a Cattaneo ma, deluso dai risultati della rivoluzione, fece rientro in
Francia, dove fece un altro tentativo infruttuoso (per l'opposizione di Cousin)
di ottenere una cattedra a Strasburgo. Insegna filosofia a Bourges. Divenne
il colpo di Stato che mise fine alla repubblica e porta al trono Napoleone III.Ricercato
come repubblicano, si rifugia à Bruxelles. Ritorna definitivamente a Milano per
partecipare alle vicende che porteranno all'unificazione e alla nascita dello
stato italiano. Fu eletto deputato al Parlamento del Regno di Sardegna nel
collegio di Luino (elezioni suppletive), confermato nelle elezioni (eletto in
secondo scrutinio nello stesso collegio di Luino, nel frattempo allargato a
Gavirate). Sedette ala Camera dei deputati sui banchi della sinistra per sei
legislature. Fu pure eletto nel primo collegio di Como, ma si mantenne fedele
ai suoi primi elettori. Il suo programma politico può essere riassunto
nella formula: "irreligione e legge agraria", cioè lotta contro Roma
e il clericalismo e riforma della proprietà terriera dei latifondi, con la
distribuzione di terre coltivabili ai contadini. Roma e i proprietari terrieri,
sostenendosi a vicenda sono i nemici naturali dell’uguaglianza. Per quel
che concerne la forma dello stato italiano, Fdomandava una costituzione federale,
con un esercito, delle finanze e delle leggi federali comuni, ma anche con la
più ampia de-centralizzazione amministrativa possibile. Dopo essersi
recato sul posto, scrisse una relazione parlamentare sul Massacro di
Pontelandolfo e Casalduni. Fu nominato dal re Cavaliere Ufficiale
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, e rimanda immediatamente il decreto
di nomina al ministro della Pubblica Istruzione, che glielo aveva inviato. Ma
la nomina era irrevocabile, essendo stata pubblicata nella Gazzetta
ufficiale. Nominato professore di filosofia a Milano, benché non ci fosse
a quel tempo nessuna indennità parlamentare e i parlamentari non godessero di
nessun beneficio, rinuncia allo stipendio per poter rimanere in Parlamento pur
continuando a insegnare. Prese posizione in sede di discussione
sull'intitolazione degli atti del governo, contro la denominazione di secondo,
e non primo re d'Italia, assunta da Vittorio Emanuele, a più riprese contro uno
stato unitario, in favore di una costituzione federale e dell'autonomia delle
regioni, in particolare del Mezzogiorno. Nonostante riconoscesse
nell'articolo che l'unità italiana non esiste che nelle regioni della
filosofia. In una regione astratta come e la filosofia, non si trova un popolo,
non si posse reclutare un esercito, non si può organizzare nessun governo.
Esprime l'auspicio che l'Unità Italiana si potesse prima o poi realizzare.
L’Italia tutta deve domandare alla libertà. La liberta non ha leggi, né costumi
politici, essa non appartiene a se medesima; essa non è né una né confederata;
essa non progredirà se non col cominciare a chiedere costituzioni, poi la
confederazione, indi la guerra, da ultimo l’Unità, se la fatalità lo permette.
Nel Parlamento di Torino sconfessa queste sue parole dicendo. “Io non muto
d'avviso.” “Sono stato avversario dell'unità italiana.” “Credo l’unita tragica nell'azione
sua, destinata a creare immemorabili martirii e crudelissimi disinganni, benché
necessaria come gli scandali alla storia, come i sacrifizi e gli olocausti alle
religioni.” Si è pure pronunciato contro la cessione di Nizza e della Savoia
alla Francia, contro il trattato di commercio con la Francia e contro gli
accordi con il governo francese per la ripartizione del debito già pontificio (lui,
"francese al peggiorativo", come ama definirlo il suo irriducibile
avversario, Mazzini), in difesa di Garibaldi per i fatti d'Aspromonte in favore
della Polonia e dello spostamento della capitale da Torino a Firenze, prese
parte attiva ai dibattiti parlamentari sulla proclamazione di Roma capitale,
sul brigantaggio, sulla situazione finanziaria del nuovo regno. E fatto
senatore. Assolutamente solitario e
totalmente estraneo ad ogni gruppo politico e ad ogni consorteria, non ebbe
seguito. è una delle illustrazioni del parlamento, ma non esprime se non che le
sue idee individuali. La sua azione parlamentare è stata così caratterizzata e
riassunta. Sedeva suo banco della Sinistra difendendo le opinioni liberali,
combattendo gli arbitri e gli errori dell'amministrazione, denunciando nel
piemontesismo l'indebita preminenza di una consorteria, vagheggiando la demolizione
di ogni privilegio romano, e per tutto questo poteva sembrare d'accordo con i
suoi colleghi dell'Estrema, anche se talvolta si divertiva a pungerli e
sgomentarli con l'indisciplinata libertà dei suoi atteggiamenti; ma intimamente
non era con loro. Discorsi: Contro la cessione di Nizza e della Savoia alla
Francia. Contro le annessioni incondizionate. Sulla interpellanza del deputato
Audinot intorno alla questione romana. Interpellanza relativa alle condizioni
delle province meridionali. Il battesimo del Regno. Contro il prestito di 500
milioni, La questione romana e le condizioni delle province meridionali. La
ferrovia da Gallarate al Lago Maggiore. Sull'esercizio provvisorio (bilancio, Interpellanza
sul proclama del Re (Aspromonte) Interpellanza sugli affari di Roma. Sulla
questione della Polonia. Contro il trattato di commercio con la Francia. Intorno
al bilancio dell'Interno. Sulla situazione del Tesoro e sulle condizioni
finanziarie del Regno. Il trasporto della capitale. sul giuramento politico.
sulle giornate di Torino, Interpellanza al Ministero sulla crisi del Ministero
Ricasoli. Contro la convenzione col governo francese per l'assunzione del
debito pubblico degli ex Stati pontifici. Contro le trattative con Roma e la
nomina dei vescovi da parte del Papa. Sulla violazione del diritto del non intervento,
Interpellanza su Mentana. Inchiesta sul corso forzoso. Per la guardia nazionale.
Legge sul macinato. Sulla sospensione dei professori all'Bologna. Sulla Regia
cointeressata dei tabacchi. Sull'assassinio di Monti e Tognetti. Sui disordini
per la legge sul macinato. Inchiesta sulla Regia. Sul bilancio dell'Interno. Sul
consiglio Superiore d'Istruzione. I fatti di Francia. Contro la convalidazione
del decreto di accettazione del plebiscito di Roma. Interpellanza per la
pubblicazione del Libro verde. Contro la politica estera. Sulla nomina dei
vescovi. Interpellanza intorno al divieto del comizio popolare al Colosseo, Sulla
politica estera. Sul ripristinamento dell'appannaggio al principe Amedeo. La
soppressione degli ordini religiosi in Roma. Gli arresti di Villa
Ruffi.Carriera universitaria, Professore supplente di storia all'Strasburgo. Professore
onorario dell'Napoli. Professore di Filosofia della storia all'Accademia
scientifico-letteraria di Milano, Professore di Filosofia all'Torino. Professore
di Filosofia della storia all'Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento
di Firenze. Direttore e fondatore della rivista L'Ateneo. Membro corrispondente
dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano.Membro ordinario della
Società reale di Napoli. Membro effettivo dell'Istituto lombardo di scienze e lettere
di Milano. Membro straordinario del Consiglio superiore della pubblica
istruzione. Membro ordinario del Consiglio superiore della pubblica istruzione.
Socio corrispondente della Deputazione di storia patria per le antiche province
modenesi. Socio nazionale dell'Accademia dei Lincei di Roma. Onorificenze
Cavaliere dell'Ordine al Merito Civile di Savoianastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere dell'Ordine al Merito Civile di Savoia, Ufficiale dell'Ordine dei
Santi Maurizio e Lazzaronastrino per uniforme ordinariaUfficiale dell'Ordine
dei Santi Maurizio e Lazzaro, Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino
per uniforme ordinaria Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia. Come tutti
i socialisti italiani, Ferrari è fortemente influenzato dall'Illuminismo e da
Proudhon. Il suo socialismo si costituisce come una radicalizzazione del
principio di uguaglianza affermato dalla rivoluzione francese. Riconosce
come unico fondamento della proprietà il lavoro. Propone quindi un socialismo
che, non strettamente in opposizione al liberalismo, fosse fondato sul merito
individuale e sul diritto di godere dei frutti del proprio lavoro. Più che con la
nascente borghesia, si pone dunque in contrasto con i residui feudali ancora
presenti in Italia, e auspica uno sviluppo industriale e una rivoluzione
borghese. Partecipa anche attivamente al dibattito risorgimentale. Contrario
all'unificazione della penisola, propone come obiettivo la formazione di una “federazione”
di repubbliche, in modo da tutelare le particolarità e l'unicità delle singole
regioni. Questo progetto dove essere attuato attraverso un'insurrezione armata,
aiutata dall'intervento francese. Al contrario della maggioranza dei teorici
risorgimentali (in particolare Mazzini), i quali credevano che l'Italia avesse
una missione storica, credeva abbastanza pragmaticamente che fosse necessario
l'intervento di uno stato estero per sconfiggere gli eserciti organizzati dei
diversi stati italiani. L'opinione pubblica dove essere preparata alla
rivoluzione (che dove avvenire spontaneamente e non guidata da un gruppo di
cospiratori) da un partito di stampo democratico, repubblicano, federalista e socialista.
La questione sociale era infatti inscindibile da quella istituzionale. Il stato
federale dei republiche regionali sarebbe stato gestito da un'assemblea
nazionale e da tante assemblee regionali. Insieme a Pepe elaborò il “neo-guelfismo”
-- per sottolineare il carattere re-azionario di restaurare la presenza attiva
di Roma nella vita politica d’Italia. Critico verso la formula liberale Libera
Chiesa in libero stato, e afferma la superiorità dello stato d’Italia rispetto
alla Roma, corrispondente alla superiorità della ragione rispetto alla credenza
religiosa, un rapporto Stato-Roma che si riallaccia alla politica ecclesiastica
di Giuseppe II in Lombardia e a quella di Leopoldo I di Toscana. Consta
dai registri della Parrocchia di S. Satiro , che Giuseppe Michele Giovanni
Francesco dei coniugi Giovanni e Rosalinda Ferrari nacque. Cenno su Giuseppe
Ferrari e le sue dottrine", di Luigi Ferri. Altre opere: “Romagnosi” (O. Campa,
Milano); “Sulle opinioni religiose di Campanella” (Milano, Franco Angeli);
"La fede in Dio è l'ERRORE più primitivo, più NATURALE del genere umano.”
“La religione è la pratica della servitù.” “Roma presenta tutti i vizi della ri-velazione
sopra-naturale.” “Roma conduce alla dominazione dell'uomo sull'uomo.” “Il
romano cè morto, l'uomo deve nascere, è nato, ha già respinto dallo Stato gli
apostoli e la Chiesa”. Filosofia della rivoluzione, in: Scritti politici di
Giuseppe Ferrari, Silvia Rota Ghibaudi, Torino, UTET, Camera dei Deputati, Atti
del Parlamento Italiano sessione, discussioni della Camera dei Deputati,
Torino, Eredi Botta, Atti del parlamento italiano, Le più belle pagine di
Scrittori italiani scelte da scrittori viventi. Giuseppe Ferrari, Milano,
Garzanti, Altre opere: “Romagnosi”; “Vico”; “La Federazione repubblicana”; “Filosofia
della rivoluzione”; “L'Italia dopo il colpo di Stato”; “Opuscoli politici e
letterari”; “La mente di Giambattista Vico, Corso sugli scrittori politici
italiani, Corso sugli scrittori politici italiani; Il governo a Firenze, “Giannone”;
Lettere chinesi sull'Italia, Storia delle Rivoluzioni d'Italia; Teoria dei
periodi politici, L'aritmetica nella storia; Proudhon (Andrea Girardi, Napoli,
Edizioni Immanenza);La Rivoluzione e i rivoluzionari in Italia, Il genio di
Vico, I partiti politici italiani, Le più belle pagine, Opere (Ernesto Sestan);
Scritti politici, Silvia Rota Ghibaudi, I filosofi salariati, L. La Puma, “Scritti di filosofia” e di politica, M.
Martirano, Il genio di Vico, Sulle opinioni religiose di Campanella, Epistolario
Franco Della Peruta, "Contributo all'epistolario di Giuseppe
Ferrari", in: Franco Della Peruta, I democratici e la rivoluzione
italiana, Milano, Franco Della Peruta (ed.),"Contributo all'epistolario di
Ferrari", Rivista storica del socialismo, Lettere a Proudhon, Annali
dell'Istituto Giangiacomo Feltrinelli, C. Lovett, "La Questione
Meridionale con lettere inedite", Rassegna storica del Risorgimento”; “Milano
e la Convenzione di Settembre dalla corrispondenza inedita di Ferrari",
Nuova rivista storica, Lombardia dalla corrispondenza inedita di Ferrari",
Nuova rivista storica, Lovett, "Il Secondo Impero, il Papato e la
Questione Romana. Lettere inedite di Wallon a Ferrari", Rassegna storica
del Risorgimento e la politica interna della Destra. Con un carteggio inedito, Milano.
Altro A. Agnelli, "Giuseppe Ferrari e la filosofia della
rivoluzione", in: Per conoscere Romagnosi, Robertino Ghiringhelli e F.
Invernici. La vita sociale e politica nel collegio di Gavirate-Luino", in:
Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, Il nuovo stato italiano,
Milano, Luigi Ambrosoli, "Cattaneo e Ferrari: l'edizione di Capolago delle
opere di Ferrari", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, Il
nuovo stato italiano, Milano, Paolo Bagnoli, "Ferrari e Montanelli", in: Silvia Rota Ghibaudi, e
Robertino Ghiringhelli, Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, Bruno
Barillari, "Ferrari critico di Mazzini", Pensiero mazziniano, Francesco
Brancato, Ferrari e i Siciliani, Trapani, Bruno Brunello, Ferrari, Roma, Bruno Brunello,
"Ferrari e Proudhon", Rivista internazionale di filosofia del
diritto, Michele Cavaleri, Ferrari, Milano, Cosimo Ceccuti, "Ferrari e la
Nuova antologia: il destino della Francia repubblicana", in: Silvia Rota
Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, Arturo
Colombo, "Il Ferrari del Corso", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino
Ghiringhelli, Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, Luigi Compagna, "Ferrari
collaboratore della "Revue des deux mondes", in: Silvia Rota
Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano,
Milano, Maria Corrias Corona, "Il filosofo "rivoluzionario"
visto da Giorgio Asproni", in : Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino
Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, Carmelo
D'Amato, Ideologia e politica in Giuseppe Ferrari", Studi storici, Carmelo
D'Amato, "La formazione di Giuseppe Ferrari e la cultura italiana della
prima metà dell'Ottocento", Studi storici, Franco Della Peruta, "Il
socialismo risorgimentale di Ferrari, Pisacane e Montanelli", Movimento
operaio, Franco Della Peruta, Un capitolo di storia del socialismo
risorgimentale: Proudhon e Ferrari", Studi storici, Franco della Peruta,
"Ferrari", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, Giuseppe
Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, Aldo Ferrari, Giuseppe Ferrari,
Saggio critico, Genova, Luigi Ferri, "Cenno su Giuseppe Ferrari e le sue
dottrine", in: Ferrari, La mente di G. D. Romagnosi, Milano. Gian Biagio
Furiozzi, " Angelo Oliviero Olivetti e Giuseppe Ferrari", in: Silvia
Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, Giuseppe Ferrari e il nuovo stato
italiano, Milano, Paolo Virginio Gastaldi, "Nella galassia
dell'Estrema", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura
di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, Robertino
Ghiringhelli, Robertino Ghiringhelli, "Romagnosi e Ferrari", in:
Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, Ferrari e il nuovo stato
italiano, Milano, Carlo G. Lacaita, "Il problema della storia in Ferrari",
in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, Ferrari e il nuovo stato
italiano, Milano, Eugenio Guccione, "Il laicismo politico di Ferrari",
in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, Ferrari e il nuovo stato
italiano, Milano, Anna Maria Lazzarino Del Grosso, "Il Medioevo in Ferrari",
in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, Ferrari e il nuovo stato
italiano, Milano, Lovett, "Europa e Cina nell'opera di Giuseppe
Ferrari", Rassegna storica del Risorgimento, Maurizio Martirano, “Ferrari,
interprete di Vico”. Maurizio Martirano, Filosofia, storia, rivoluzione. Saggio
su Ferrari, Napoli, Liguori, Gilda Manganaro Favaretto, Angelo Mazzoleni, Ferrari.
Il pensatore, lo storico, lo scrittore politico, Roma, Angelo Mazzoleni, Ferrari.
I suoi tempi e le sue opere, Milano, Antonio Monti, "La posizione di Ferrari
nel primo Parlamento italiano", Critica politica, Giulio Panizza,
L'illuminismo critico di Ferrari, Giulio Panizza, "La teoria della fatalità
nell'Histoire de la Raison d'Etat", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino
Ghiringhelli, Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, Giacomo Perticone,
"La concezione etico-politica di Ferrari", Rivista internazionale di
filosofia del diritto, Luigi Polo Friz, "Ferrari e Frapolli: un rapporto
di amore e odio tra due interpreti del Risorgimento Italiano", in: Silvia
Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, Il nuovo stato italiano, Milano, Nello
Rosselli, "Italia e Francia in Ferrari", Il Ponte, Silvia Rota
Ghibaudi, Ferrari, lFirenze, Silvia Rota Ghibaudi, "Ferrari e la Teoria fatalista
dei periodi politici", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli,
Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, Silvia Rota Ghibaudi, e
Robertino Ghiringhelli, Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, Luciano
Russi, "Pisacane e Ferrari: esiti socialisti dopo una rivoluzione
fallita", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, Ferrari e il
nuovo stato italiano, Milano, M. Schiattone, Alle origini del federalismo italiano,
Ferrari, Nicola Tranfaglia, "Ferrari e la storia d'Italia", Belfagor,
Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, Giuseppe Ferrari e il nuovo
stato italiano, Milano, Luigi Zanzi, "un filosofo"militante",
in:Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, Ferrari e il nuovo stato
italiano, Milano, Stefano Carraro, "Alcuni aspetti del pensiero politico",
BAUM, Venezia. Gian Domenico Romagnosi Carlo Cattaneo Cinque giornate di Milano
Lodovico Frapolli Pierre-Joseph Proudhon Giuseppe Mazzini Carlo Pisacane
Federalismo. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giuseppe Ferrari, su
siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Opere di
Giuseppe Ferrari, su Liber Liber. Il primo radicalsocialista italiano, dal sito
del Movimento RadicalSocialista. Giuseppe Ferrari.
Giuseppe Michele Giovanni Francesco Ferrari. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e Ferrari," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
ferrari: (Arcola).
Filosofo. Grice: “I like Ferrari; he was a philosopher AND a poet – a combo we
don’t find too often at Oxford!” -- Ferrari
(alias Novatore) Renzo Novatore «Oggi cerco un'ora sola di furibonda anarchia
e per quell'ora darei tutti i miei sogni, tutti i miei amori, tutta la mia
vita.» Refrattario a ogni disciplina fin da giovanissimo, frequenta la
scuola soltanto per alcuni mesi prima di abbandonarla definitivamente ed essere
costretto dal padre a lavorare nei campi. Il suo profondo desiderio di
conoscenza, unito ad una notevole forza di volontà, lo spinse però ad un
personalissimo studio da autodidatta che lo portò a leggere Stirner, Nietzsche,
Palante, Wilde, Ibsen, Schopenhauer, Baudelaire. Non rinunciò comunque ad
elaborare una visione autonoma, che costruì giorno dopo giorno, come ricorda il
suo amico Auro D'Arcola, attraverso una costante attività meditativa. Si
sposa con Emma Rolla e con lei ebbe tre figli, uno dei quali morto in tenera
età. Gli altri due, Renzo e Stelio, proseguirono sulle orme paterne una
personalissima riflessione esistenzialista che svilupparono nell'ambito della
produzione artistica e letteraria. Questo nonostante fosse contrario alla
famiglia tradizionale e alla visione idealizzata della donna: «O ciniche
prostitute, o espropriatrici audaci, ergetevi sopra la putredine ove il mondo
sta immerso e fatelo impallidire sotto la luce perversa dei vostri grandi occhi
profondi. Voi siete il sole più bello che oggi il sole bacia. Voi siete di
un'altra razza. E l'anima vostra è un canto, un sogno la vostra vita.
Scardinate il mondo o libere prostitute, o espropriatrici audaci. Io canterò
per voi. Il resto è fango!” (Le mie sentenze) L'anarchico disertore La
prima volta in cui le cronache s'interessarono di lui fu nel 1910, quando un
incendio distrusse la chiesa della Madonna degli Angeli nella notte tra il 15 e
il 16 maggio: le indagini dei regi carabinieri portarono infatti a identificare
i responsabili del gesto in un gruppo di giovani anarchici del posto, tra i
quali anche Abele Ferrari. Contrario alla guerra, nel 1915 venne
richiamato sotto le armi ma si rese irreperibile. Venne dunque imputato di
diserzione e condannato in contumacia alla pena di morte. Sarà poi arrestato e
scarcerato in seguito ad amnistia. “E le rane partirono... Partirono
verso il regno della suprema viltà umana. Partirono verso il fango di tutte le
trincee. Partirono.... E la morte venne! Venne ebbra di sangue e danzò
macabramente sul mondo. Danzò con piedi di folgore... Danzò e rise... Rise e
danzò... Per cinque lunghi anni. Ah, Come è volgare la morte che danza senza
avere sul dorso le ali di un'idea... Che cosa idiota morire senza sapere il
perché.” (Dal poema Verso il nulla creatore) Anarchico individualista, assunto
lo pseudonimo di Renzo Novatore, fu protagonista con i suoi compagni Dante
Carnesecchi e Tintino Persio Rasi di alcuni dei più importanti episodi della
lotta operaia del biennio rosso nella Provincia della Spezia: episodi la cui
importanza non si comprende se non tenendo conto che allora La Spezia era una
delle più importanti roccaforti militari italiane, circondata da una serie di
forti e polveriere che ne dominavano il golfo, e caratterizzata dalla presenza
di un arsenale militare e di alcune delle più importanti industrie belliche. In
quel periodo molti lavoratori anelavano a "fare come in Russia",
tanto che era in molti anarchici, come Errico Malatesta, la convinzione che la
rivoluzione fosse dietro l'angolo e bastasse dare solo una spallata
decisa. L'antifascismo e la morte Coerente fino alla fine nella prima
lotta al nascente fascismo, entrò nel mirino delle camicie nere, coadiuvate
dalla polizia di Stato, e dovette fuggire per garantirsi l'incolumità; per
sopravvivere si unì al bandito piemontese Sante Pollastri che era noto anche
per proteggere e finanziare gli anarchici con la sua banda di rapinatori, data
la simpatia politica che aveva per loro e il suo odio per il fascismo. Qualche
tempo dopo la banda di Pollastri rapinò un importante cassiere di una banca,
che portava una borsa piena d'oro: durante la colluttazione il ragionier
Achille Casalegno venne colpito da un proiettile e morì; sebbene probabilmente
fu Pollastri, che aveva già diversi omicidi di poliziotti e fascisti alle
spalle, ad esplodere il colpo, al processo del 1931 costui avrebbe accusato il
defunto Novatore. Le forze dell'ordine, su incarico del governo
Mussolini, intensificarono la caccia alla banda Pollastri. Un mezzogiorno, il
maresciallo Lupano e i carabinieri Corbella e Marchetti entrarono in abiti
civili nell'Osteria della Salute di Teglia, nel genovese, perché avevano
individuato Pollastro ed intendevano arrestarlo. Novatore era seduto accanto al
celebre bandito e ad un altro componente del gruppo, e probabilmente fu proprio
lui il primo a sparare sui carabinieri, scatenando la risposta di quest'ultimi.
Nello scontro a fuoco rimasero uccisi il maresciallo Lupano e un amico del bandito,
il cui corpo crivellato di colpi si rivelò essere quello dell'anarchico Abele
Ricieri Ferrari, noto come Renzo Novatore, ricercato per attività sovversiva e
antifascismo, mentre Pollastri e l'altro compagno riuscirono a scappare.
Novatore, al momento della morte, aveva con sé una pistola Browning, due
caricatori di riserva, una bomba a mano ed un anello con spazio nascosto
contenente una dose letale di cianuro, per suicidarsi se fosse caduto vivo
nelle mani dei fascisti, oltre ad un documento falso recante il nome di
Giovanni Governato. Si define anarchico individualista. Lotta per la
libertà e per i diritti delle masse, ma era anche sicuro, dopo il fallimento
delle insurrezioni del 1919, che non si potesse fare affidamento sul
popolo: «Le masse che sembrano adoratrici di Errico Malatesta sono vili e
impotenti. Il governo e la borghesia lo sanno e sogghignano.» «Io so, noi
sappiamo, che cento uominidegni di questo nomepotrebbero fare quello che
cinquecentomila "organizzati" incoscienti non sono e non saranno mai
capaci di fare.» Il suo pensiero nichilista, anticlericale, anarchico e
iconoclasta si caratterizzava soprattutto per il fortissimo individualismo, un
individualismo fine a sé stesso che lo pose spesso in conflitto con altri
membri del movimento anarchico di quegli anni, come Camillo Berneri (di
ispirazione anarco-comunista). «L'individualismo com'io lo sento, lo
comprendo e lo intendo, non ha per fine né il Socialismo, né il Comunismo, né
l'Umanità. L'individualismo ha per fine sé stesso.» (Dallo scritto Il mio
individualismo iconoclasta in Iconoclasta!) «L'anarchia è per me un mezzo per
giungere alla realizzazione dell'individuo; e non l'individuo un mezzo per la
realizzazione di quella. Se così fosse anche l'anarchia sarebbe un fantasma. Se
i deboli sognano l'anarchia per un fine sociale; i forti praticano l'anarchia
come un mezzo d'individuazione.» «Nella vita io cerco la gioia dello
spirito e la lussuriosa voluttà dell'istinto. E non m'importa sapere se queste
abbiano le loro radici perverse entro la caverna del bene o entro i vorticosi
abissi del male. Nessun avvenire e nessuna umanità, nessun comunismo e nessuna
anarchia valgono il sacrificio della mia vita. Dal giorno che mi sono scoperto
ho considerato me stesso come meta suprema.» Rimaneva salda nel suo
pensiero la convinzione che agire e schierarsi fosse una necessità
irrinunciabile tanto che di lui si disse che scriveva come un angelo,
combatteva come un demonio. Su di lui restò sempre fortissima
l'ispirazione di Max Stirner e di Nietzsche. Opere scritte Le opere
e il ricordo del Novatore sono state in gran parte distrutte dal regime
fascista e sostanzialmente a lungo dimenticate anche da alcune parti del
movimento anarchico. Le sue firme compaiono con molti pseudonimi diversi
(oltre al già citato "Renzo Novatore", anche "Mario
Ferrento", "Andrea Del Ferro", "Sibilla Vane",
"Brunetta l'Incendiaria") su svariate pubblicazioni anarchiche
dell'epoca, tra cui Il Libertario (pubblicato a La Spezia), Gli Scamiciati
(Pegli), Cronaca Libertaria (Milano), Il Proletario (Pontremoli), Pagine
Libertarie, Iconoclasta! (Pistoia), L'Avvenire Anarchico, Vertice (La Spezia),
Nichilismo, L'Adunata dei Refrattari (New York) e Veglia (Parigi). Da
ricordare inoltre due libri di pubblicazione postuma: "Verso il nulla
creatore" e "Al di sopra dell'arco". Libri ed
opuscoli Renzo Novatore, prefazione de Il figlio dell'Etna, Verso il
nulla creatore, Siracusa, "Figli dell'Etna", Renzo Novatore,
prefazione biografica di Auro d'Arcola, appendice di Totò Di Mauro,
illustrazioni di G. Scaccia, Al di sopra dell'arco, Siracusa, "Figli
dell'Etna", Renzo Novatore, prefazioni di Virginio De Martin e Il figlio
dell'Etna, Verso il nulla creatore, New York, Renzo Novatore, prefazione di
Auro d'Arcola, Il mio individualismo iconoclasta, Firenze, Pistoia, Albatros, Renzo
Novatore, Camillo da Lodi [Camillo Berneri], Mario Senigallesi, Polemica, Firenze,
Pistoia, Albatros, Renzo Novatore, prefazioni di Totò Di Mauro, Tito Eschini e
Lato Latini, illustrazioni di G. Scaccia, Al di sopra dell'arco, Firenze,
Pistoia, Albatros, Renzo Novatore, prefazione biografica di Auro d'Arcola,
appendice di Totò Di Mauro, illustrazioni di G. Scaccia, Al di sopra dell'arco,
Torino, Reprint Assandri, “Verso il nulla creatore, Catania, Centrolibri, RAlberto
Ciampi, Un fiore selvaggio. Scritti scelti e note biografiche, Pisa, BFS
Edizioni, Renzo Novatore, Toward the Creative Nothing, Portland, Venomous
Butterfly Publications, Renzo Novatore, introduzione di Alfredo M. Bonanno,
Verso il nulla creatore, Trieste, Edizioni Anarchismo. Renzo Novatore,
Novatore, Ardent Press, . Renzo Novatore, Le rose, dove sono le rose?, Gratis
Edizioni, . Renzo Novatore, Flores silvestres, Lisbona, Textos Subterraneos. Novatore:
una biografia Archiviato iRenzo NovatoreAnarchopedia, su ita.anarchopedia.org. dal
personaggio di Sybil Vane, presente nel romanzo Il ritratto di Dorian Gray di
Oscar Wilde Maurizio Antonioli (diretto
da), Dizionario biografico degli anarchici italiani, Biblioteca Franco
Serantini, Massimo Novelli, La furibonda anarchia. Renzo Novatore poeta, Bra
(CN), Araba Fenice, Scritti, citazioni e aforismi di Renzo Novatore Archivio di
testi di Renzo Novatore . ‘Renzo Novatore’ -- Abele Ricieri Ferrari (Arcola),
filosofo. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ferrari” – The
Swimming-Pool Library.
Ferraris (Galatone). Filosofo.
Grice: “I like Ferraris – he analyses all the implicata of The Lord’s Prayer –
pretty complicated – my favourite is his excursus on the implicatum of ‘thy
will be done’” Figlio Pietro De Ferraris e Giovanna d'Alessandro. Studia a
Nardò. Passa quindi a Napoli. Molte sono le conoscenze che fa all'Accademia.
Entra in contatto con Gareth detto il Chariteo, Attaldi, Pontano, Gaza,
Caracciolo, Pardo, Lecce, Sannazaro. Si laurea a Ferrara, dove soggiorna. Si
trasferì poi a Venezia per poi ritornare a Napoli ed entrare nel giro della
reggia partenopea, nella corte di Ferdinando I. Si adatta a Gallipoli,
dove si sposa Maria Lubelli dei baroni di Sanarica. La serenità della sua vita
fu turbata dall'invasione di Otranto da parte dei Turchi. Cerca rifugio a Lecce
annotando gli eventi drammatici che in seguito sarebbero stati il canovaccio
per un'opera composta in latino. Si sposta ripetutamente fra Napoli, apprezzato
dottore al servizio della corte aragonese, e la Puglia, sua zona d'origine e di
residenza. Inizia anche a scrivere, inizialmente in forma epistolare. Manda i
ringraziamenti a Ermolao Barbaro per la dedica ricevuta; è seguente la
redazione di Altilio Galateus εὐ πράττειν e Ad M. Antonium Lupiensem episcopum
de distinctione humani generis et nobilitate; e una seconda epistola a Barbaro
e il saggio Ad Marinum Pancratium de dignitate disciplinarum. Dopo la
morte di Ferdinando e Alfonso II, abbandona Napoli non prima di avere composto
l’Antonius Galateus medicus in Alphonsum regem epitaphium. Torna a Lecce dove
forma assieme L’Accademia dei lupiensi. Scrisse Ad Chrysostomum De villae
incendio, per celebrare la propria villa di Trepuzzi che era andata distrutta
dal fuoco. Fu a Napoli, convocato dal re Federico d’Aragona che lo volle con
sé, ma l'inasprimento del conflitto con Francia lo spinse a ritornare nella provincia
salentina. Godette dell'ospitalità di Isabella d’Aragona, presso cui ebbe modo
di comporre in latino lavori di filosofia, filosofici. Una delle pochissime
trasferte dal Salento fu quella che effettuò a Roma presso Giulio II, a cui
offrì una copia dell'atto di Donazione di Costantino, che era conservata nella
biblioteca di Casole. Fu uno studioso che, come gli intellettuali suoi
contemporanei, riuscì a coniugare una vasta erudizione umanistica con nozioni
scientifiche. Le sue conoscenze erano di ampio respire. Il suo bagaglio
filosofico include la cultura classica di Aristotele, Platone ed Euclide.
Considera che la filosofia classica era stata traviata dai filosofi come
Alberto Magno e Duns Scoto, e dei filosofi dei secoli bui salvò solo Boezio e
la sua Consolatio philosophiae. Prediligeva la civiltà classica e autori come
Omero, Senofonte e Plutarco; Terenzio, Catullo, Ovidio, Seneca, Svetonio,
Virgilio e Orazio; e insieme il mondo del volgare, con letture di Dante,
Petrarca, il Morgante e Sannazaro fra i tanti. Si interessa anche delle opere di
Strabone, Tolomeo e Plinio. A questo patrimonio di conoscenze associò Ippocrate
e Galeno.Non trascurò gli usi e i costumi della sua terra d'origine, e
descrisse in termini molto particolareggiati le zone del salentino, illustrando
con realismo Gallipoli ed esaltando uno stile di vita meditativo in alcune sue
opere. Ma non sfuggì a Ferraris il quadro generale della società dei suoi tempi
e della corruzione morale e politica che la attanagliava; e che fu anch'essa
soggetto degli scritti di De Ferraris nei quali criticò la diffusione delle cattive
consuetudini. Il suo De Situ Japygiae e un autorevole trattato
storico-geografico sul Salento. Mentre era a Bari ha notizia della
"Disfida di Barletta" e ne narrò per primo la storia nel suo De pugna
tredecim equitum. Altre opere: Oltre a saggi e trattatelli, compose le
seguenti epistole: Ad Accium Sincerum de inconstantia humani animi, Ad Accium
Sincerum de villa Laurentii Vallae, Ad Franciscum Caracciolum de beneficio
indignis collato, Marco Antonio Ptolomaeo Lupiensi episcopus, Antonio Ptolomaeo
Lupiensi episcopo, De Heremita, De podagral, Ad Chrysostomum, suo salutem de
nobilitate, Ad Chrysostomum de morte fratris, Ad illustrem comitem Potentiae,
Ad comitem potentiarum, Ad Maramontium de pugna singulari veterani et tyronis
militis Ad Belisarium Aquevivum marchionem Neritonorum Federico Aragonio regi
Apuliae, Ad Chrysostomum de morte Lucii Pontani Ad Ferdinandum ducem Calabriae,
ad Chrysostomum de pugna tredecim
equitum, Ad Hieronymum Carbonem de morte Pontani, Ad Prosperum Columnam, ad
Chrysostomum de Prospero Columna, phiilosophi praestantissimi de situ
elementorum ad Accium Syncerum Sannazarium, Esposizione del Pater noster De
educatione Ad illustrem dominam Bonam Sforciam, ad Antonium de Caris Neritinum
episcopum, regem Ferdinandum, Beatissimo
Iulio II pontifici maximo; philosophi epraestantissimi De situ Japigiae
ad clarissimum virum Ioannem Baptistam Spinellum, comitem Choriati, Ad Nicolaum
Leonicenum medicum, Petro Summontio De suo scribendi genere, Summontio suo
bonam valetudinem Callipolis description, Pyrrum Castriotam, Illustri viro
Belisario Aquevivo, (Vituperatio litterarum), Ad Ioannem et Alfonsum Castriotas,
Ugoni Martello episcopo Lupiensi B. V. La Iapigia. Itinerari e luoghi
dell'antico Salento (Lecce, Messapica Editrice), “Gallipoli” (Lecce, Messapica
Editrice). Galatone, che ha una strada "Antonio Galateo", onorato il
poeta nel marzo con l’apposizione in
Piazza Crocefisso di una lapide dedicata alla sua memoria. Dizionario
biografico degli italiani, TreccaniEnciclopedie, Galatone, in Treccani Enciclopedie.
Antonio De Ferraris, Antonio De Ferrariis. Galateo. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Ferraris e
Grice” – The Swimming-Pool Library.
Ferraris (Torino). Filosofo. Grice:
“Ferraris is what the in the Renaissance used to be called a ‘Renaissance man.’
My favourite of his essays is “La svolta testuale” – he is into Derrida and
Yale, but I’m into Grice and Harvard, and I still connect!” Si laurea a Torino
sotto Vattimo. Insegna a Macerata, Trieste, Torino al Laboratorio di Ontologia
dal Centro interdipartimentale di
ontologia. Studiato a Torino.In ambito teorico, ha legato il suo nome al
rilancio dell'estetica come teoria della “sensibilità” a un'ontologia sociale
intesa come ontologia dei documenti (documentalità) e a un superamento del
postmodernismo attraverso la proposta di un nuovo realismo. Centro
interuniversitario di Ontologia Teorica e Applicata.I primi interessi di
Ferraris si rivolgono alla filosofia post-strutturalista (“Differenze”;
“Tracce” e “La svolta testuale”). Specificamente a Derrida, Ferraris ha dedicato:
Postille a Derrida, Honoris causa a Derrida Introduzione a Derrida, Il gusto
del segreto e, infine, Jackie Derrida. Ritratto a memoria.Lavorando invece a
contatto con Gadamer, a partire dai primi anni Ottanta si rivolge all'ermeneutica,
scrivendo: Aspetti dell'ermeneutica, Ermeneutica di Proust, Nietzsche e la
filosofia del Novecento, e soprattutto Storia dell'ermeneutica.Ferraris
sviluppa un'articolata critica alla tradizione heideggeriana e gadameriana (si
veda in particolare Cronistoria di una svolta, dpostfazione alla conferenza di
Heidegger La svolta), che fa valere, in particolare, l'apporto del
post-strutturalismo come contestazione del retaggio romantico e idealistico che
condiziona tale tradizione. La conclusione di questo percorso critico sfocia
nella riconsiderazione del rapporto tra lo spirito e la lettera e in un
ribaltamento della loro contrapposizione tradizionale. Spesso i filosofi e gli
uomini comuni disprezzano la letterale norme e i vincoli che sono istituiti
attraverso documenti e iscrizioni di vario genere anteponendole lo spirito il
pensiero e la volontà e riconoscendo la libera creatività del secondo rispetto
alla prima. Per Ferraris è la lettera a precedere e fondare lo spirito.Abbandona
il relativismo ermeneutico e la decostruzione di Derrida per abbracciare una
forma di oggettivismo realistico secondo cui l'oggettività e realtà,
considerate dall'ermeneutica radicale come principi di violenza e di
sopraffazione, sono di fatto e proprio in conseguenza della contrapposizione
tra spirito e lettera di cui si è dettola sola tutela nei confronti
dell'arbitrio.Questo principio, valido in ambito morale, ha nel riconoscimento
di una sfera di realtà indipendente dalle interpretazioni il suo fondamento
teorico.Il mondo esterno, riconosciuto come inemendabile, e il rapporto tra
schemi concettuali ed esperienza sensibile (l'estetica, riportata al suo
significato etimologico di “scienza della percezione sensibile”, acquisisce una
rilevanza primaria si vedano, in particolare, Analogon rationis, Estetica (con
altri autori), L'immaginazione , ed Estetica razionale sono temi dominant.Rilegge
Kant attraverso la fisica ingenua del percettologo triestino Paolo Bozzi (Il
mondo esterno e Goodbye Kant!La “ontologia critica” ferrarisiana riconosce il
mondo della vita quotidiana come largamente impenetrabile rispetto agli schemi
concettuali. Il mancato riconoscimento di questo principio risale alla
confusione tra ontologia (la sfera dell'essere) ed epistemologia (la sfera del
sapere), di cui Ferraris articola una tematizzazione critica fondata
sulcarattere di inemendabilità che è proprio dell'essere rispetto al sapere (si
vedano in particolare: Ontologia e Storia dell'ontologia.La sua riflessione
sul realismo sfocia nell'elaborazione del Manifesto del New Realism. L'esito
naturale dell'ontologia critica è il riconoscimento accanto al mondo
inemendabile di un dominio di oggetti in cui la filosofia trascendentale
kantiana trova la sua adeguata applicazione: gli oggetti sociali,
l’intersoggetivo (Dove sei? Ontologia del telefonino, Babbo Natale, Gesù adulto, Sans Papier, La
fidanzata automatic, Il tunnel delle multe.La tesi di fondo è che la
distinzione tra ontologia ed epistemologia, unita al riconoscimento
dell'autonomia ontologica dell’intersoggetivo, della sfera degli oggetti
sociali (regolata dalla legge costitutiva “oggetto = atto iscritto”), consente
di correggere la tesi derridiana secondo cui "nulla esiste al di fuori del
testo" (letteralmente, e a-semanticamente, “non c'è fuori testo”) per
teorizzare che “niente di sociale esiste fuori del testo”. Documentalità.
Perché è necessario lasciar tracce.In seguito la sua si arricchisce di piccole ma significative
metafisiche dei costumi artistici e scritturalifin anche ultratecnologici con Piangere
e ridere davvero e Filosofia per dame, vere e proprie grammatologies, insomma,
ma ri-viste, e robustamente visionarie, oltre che re-visionate, come del resto
tutti gli articoli di intervento culturale (si cfr. esemplarmente quelli per
Alfabeta e Alfabeta). La svolta realista compiuta da partire dalla
formulazione dell'estetica non come filosofia dell'arte, ma come ontologia
della percezione e dell'esperienza sensibile trova un'ulteriore declinazione
nel Manifesto del nuovo realism. Il Nuovo realismo, i cui principi sono
anticipati da Ferraris in un articolo uscito su Repubblica l'8 agosto e che avvia un imponente dibattito, è in
primo luogo un consuntivo di alcuni fenomeni storici, culturali, politici
(l'analisi del postmoderno sino al suo deteriorarsi in populismo mediatico). Da
queste considerazioni consegue la messa in chiaro degli esiti prodotti dalle
derive del postmoderno nel pensiero contemporaneo (l'interpretazione dei
realismi filosofici e delle “teorie della verità” che si sviluppano a partire
dalla fine del secolo scorso come reazione a una devianza del rapporto tra
individuo e realtà).Da questo scaturisce la proposta di un antidoto alla
degenerazione dell'ideologia postmodernista, alla prassi degradata e mendace
della relazione con il mondo che questa ha indotto.Il Nuovo Realismo si
identifica infatti nell'azione sinergica di tre parole-chiave, Ontologia,
Critica, Illuminismo. Il Nuovo Realismo è stato oggetto di discussioni e
convegni nazionali e internazionali e ha sollecitato una serie di pubblicazioni
che implicano il concetto di realtà come paradigma anche in ambiti
extrafilosofici. In effetti, il dibattito sul nuovo realismo, per
quantità di contributi e media implicati, non ha equivalenti nella storia
culturale recente, tanto da essere stato assunto 'case study' per analisi di
sociologia della comunicazione e linguistica. Il nuovo realismo ha sollecitato
una serie di pubblicazioni che ne discutono le tesi, a cominciare da Della
realtà: fini della filosofia, Milano, Garzanti
di Vattimo e Inattualità del pensiero debole, Udine, Forum, di Rovatti sino a Il senso dell'esistenza.
Per un nuovo realismo ontologico, Roma, Carocci, , di Markus Gabriel,
Bentornata Realtà. Il nuovo realismo in discussione (M. De Caro e M. Ferraris),
Torino, Einaudi, e a Sociologia e nuovo
realismo, Milano-Udine, Mimesis, di Luca
Martignani (che fa parte della collana “Nuovo Realismo” diretta da Ferraris e
De Caro, che conta numerose pubblicazioni). Al Nuovo Realismo di Ferraris
hanno aderito sia filosofi di formazione analitica, come Mario De Caro (cfr.
Bentornata Realtà, a c. di De Caro e Ferraris), sia filosofi di formazione
continentale, come Mauricio Beuchot (Manifesto del realismo analogico, ), Luca
Taddio (Verso un nuovo realismo) e Markus Gabriel (Campi di senso. Un'ontologia
neo-realista), che ha raccolto il sostegno di pensatori come Umberto Eco,
Hilary Putnam e John Searle, e che si incrocia con altri movimenti realisti
sorti in modo indipendente ma rispondendo a esigenze affini, come il “realismo speculativo”
di Meillassoux e di Harman. Per il nuovo realismo, il fatto che sia sempre più
evidente che la scienza non è sistematicamente la misura ultima della verità e
della realtà non comporta che si debba dire addio alla realtà, alla verità o
alla oggettività, come aveva concluso molta filosofia del secolo scorso.
Significa piuttosto che anche la filosofia, così come la giurisprudenza, la
linguistica o la storia, ha qualcosa di importante e di vero da dirci a
proposito del mondo. In questo quadro, il nuovo realismo si presenta anzitutto
come un realismo negativo: la resistenza che il mondo esterno oppone ai nostri
schemi concettuali non va considerata come uno scacco, ma come una risorsa,
come una prova dell'esistenza di un mondo solido e indipendente. Se le cose
stanno in questi termini, però, il realismo negativo si trasforma in un
realismo positivo (Cfr. M. Ferraris, Realismo Positivo, Rosenber e Sellier ):
nella sua resistenza la realtà non costituisce soltanto un limite, ma offre
anche delle possibilità e delle risorse, il che spiega come, nel mondo
naturale, forme di vita differenti possano interagire nello stesso ambiente
senza condividere alcuno schema concettuale; e come, nel mondo sociale, le
intenzioni e i comportamenti umani siano resi possibili da una realtà che è
anzitutto data, e che solo in un secondo momento potrà essere interpretata e,
se necessario, trasformata. Esauritasi la stagione del postmoderno, il nuovo
realismo ha intercettato un diffuso bisogno di rinnovamento in ambiti extradisciplinari
come l'architettura, la letteratura, la pedagogia, la medicina. L'ultima
corrente filosofica inaugurata ha provocato resistenze e critiche da parte dei
sostenitori del postmodernismo e del pensiero debole. Altre opere: “Differenze.
La filosofia dopo lo strutturalismo” Milano: Multhipla); “Tracce. Nichilismo
moderno postmoderno, Milano: Multhipla); Mimesis, La svolta testuale. Il
decostruzionismo in Derrida, Lyotard, gli “Yale Critics”, Pavia: Cluep); L’ermeneutica
(Genova: Marietti); Proust, Milano: Guerini e associati, Storia dell'ermeneutica, Milano: Bompiani);Nietzsche
(Milano: Bompiani; Cronistoria di una svolta, in Martin Heidegger, La svolta,
Genova: il Melangolo (traduzione e conclusione,
Postille a Derrida, Torino: Rosenberg & Sellier); La filosofia e lo
spirito vivente, Roma-Bari: Laterza); Mimica. Lutto e autobiografia da Agostino
a Heidegger, Milano: Bompiani); “Storia della volontà di potenza, Milano:
Bompiani) Analogon rationis, Milano: Pratica filosofica, 1nterpretazione ed emancipazione. Milano:
Raffaello Cortina); L'immaginazione, Bologna: il Mulino); Estetica, (con altri
autori), Torino: Utet); Il gusto del segreto, con Jacques Derrida, Roma-Bari:
Laterza); Estetica razionale, Milano: Raffaello Cortina); Honoris causa a Derrida,
Torino: Rosenberg & Sellier); Una Ikea di università, Milano: Raffaello
Cortina); Il mondo esterno, Milano: Bompiani); L'altra estetica, (con altri
autori), Torino: Einaudi); Derrida, Roma-Bari: Laterza); Ontologia, Napoli:
Guida); Goodbye Kant!, Milano: Bompiani); “Dove sei? Ontologia del telefonino,
Milano: Bompiani); “Babbo Natale, Gesù adulto. In cosa crede chi crede?,
Milano: Bompiani); Sans papier. Ontologia dell'attualità, Castelvecchi: Roma); La
fidanzata automatica, Milano: Bompiani); Il tunnel delle multe. Ontologia degli
oggetti quotidiani, Torino: Einaudi); Storia dell'ontologia, Milano:
Bompiani, Una Ikea di università. Alla
prova dei fatti, nuova edizione, Milano: Raffaello Cortina; “Piangere e ridere
davvero. Feuilleton, Genova: Il melangolo); Documentalità. Perché è necessario
lasciar tracce, Roma-Bari: Laterza); Ricostruire la decostruzione. Cinque saggi
a partire da Jacques Derrida, Milano: Bompiani); Filosofia per dame, Parma:
Guanda); Anima e iPad, Parma: Guanda); Manifesto del nuovo realismo, Roma-Bari:
Laterza, Bentornata Realtà. Il nuovo
realismo in discussione , con Mario De Caro, Torino: Einaudi); Lasciar tracce:
documentalità e architettura, F. Visconti e R. Capozzi, Milano: Mimesis); Filosofia
Globalizzata, con Leonardo Caffo, Milano: Mimesis); Realismo Positivo, Torino:
Rosenberg & Sellier); Spettri di Nietzsche, Guanda: Parma); Mobilitazione
Totale, Roma-Bari: Laterza); I modi dell'amicizia, con Achille Varzi, Napoli-Salerno:
Orthothes); Emergenza, Torino: Einaudi); L'imbecillità è una cosa seria,
Bologna: il Mulino); Filosofia teoretica, con Enrico Terrone, Bologna: il
Mulino, Postverità e altri enigmi,
Bologna: il Mulino); Il denaro e i suoi inganni, con John R. Searle, Torino:
Einaudi); Intorno agli unicorni. Supercazzole, ornitorinchi, ircocervi,
Bologna: il Mulino); Il capitale documediale. Prolegomeni, in Scienza Nuova.
Ontologia della trasformazione digitale, Torino: Rosenberg&Sellier. Responsabile
scientifico di "Pensiero in movimento", Pearson Libri in collana di
quotidiani: Oltre che diverse curatele e interventi per il "Caffè
Filosofico" del settimanale l'Espresso e la collana "Capire la
Filosofia" de la Repubblica si segnalano: "Felicità. Cos'è la ricerca della
felicità?", Roma, la Repubblica, "Libertà.
Quando si è davvero liberi?", Roma, la Repubblica, "Arte. Perché certe cose sono opere
d'arte?", Roma, la Repubblica, "Male. È possibile vivere senza il
male?", Roma, la Repubblica, "Uguaglianza. C'è qualcuno più uguale
degli altri?", Roma, la Repubblica, "Bellezza. C'è una regola del
bello?", Roma, la Repubblica, s
"Mente. La mente è soltanto il cervello?", Roma, la Repubblica,
"Morale. C'è un solo modo giusto di
vivere?", Roma, la Repubblica, "Potere. Perché si lotta per il
potere?", Roma, la Repubblica, "Pensiero. Che cosa significa
pensare?", Roma, la Repubblica, "Violenza: La violenza è
inevitabile?", Roma, la Repubblica, "Passione: Chi decide, la ragione o la
passione?", Roma, la Repubblica, "Senso: Che cosa ci manca quando diciamo
che la vita non ha senso?", Roma, la Repubblica, "Linguaggio: Si può pensare senza
parole", Roma, la Repubblica, s"Scienza: Che cosa sanno gli
scienziati?", Roma, la Repubblica, v "Filosofia: A cosa servono i
filosofi?", Roma, la Repubblica, sha curato, oltre a partecipare con
singoli interventi, la seconda serie del "Caffè Filosofico" di
Repubblica curandone gli epiloghi. Nel biennio - ha diretto e condotto
tre serie del programma televisivo Zettel Filosofia in movimento in onda su Rai
Scuola. Nel e nel ha continuato tale lavoro nel programma
televisivo "Lo stato dell'arte", in onda su RAI5. Ha condotto la
rubrica di Rai cultura "Opera aperta", in onda sullo stesso
canale. "Maurizio Ferraris", in D. Antiseri e S. Tagliagambe ,
Filosofi italiani contemporanei, Milano: Bompiani, "Maurizio Ferraris", la Repubblica, Per una rassegna completa del dibattito sorto
intorno al "Manifesto del New Realism" si veda Copia archiviata, su
labont. Nuovo Realismo | Il sito ufficiale della rassegna nuovo realismo R. Scarpa, Ilcaso Nuovo Realismo. La lingua
del dibattito filosofico contemporaneo, Milano-Udine, Mimesis,Reperibileonline,
fascicolo di Giugno. Questi ealtri riferimenti, con resoconti e presentazioni
degli incontri, sono quireperibili: nuovorealismo Si vedano ancora, tra gli
altri, Emiliano Bazzanella, La filosofia e il suo consumo. Il nuovo New
Realism, Trieste, Asterios, ; Perché essere realisti? Una sfida filosofica,
Andrea Lavazza e Vittorio Possenti, Milano-Udine, Mimesis, ; L. Somigli (a
curadi), Negli archivi e per le strade. Il ritorno alla realtà nella narrativa
di terzo millennio, Roma, Aracne, ; Architettura e realismo, Milano Maggioli, Il Caffè Filosofico. La filosofia raccontata
dai filosofi Lo stato dell`arteIl di RAI Cultura dedicato alla filosofia, in
Il di RAI Cultura dedicato alla
filosofia. "Maurizio
Ferraris", in D. Antiseri e S. Tagliagambe , Filosofi italiani
contemporanei, Milano: Bompiani, "Ontologia analitica e ontologie
continentali: Maurizio Ferraris e i filosofi italiani di impostazione
analitica", in C. Esposito ePorro , Filosofia contemporanea, Roma-Bari:
Laterza, dal Rassegna Stampa Nuovo Realismo, sul sito del
Labont: raccolta estesa di tutti gli interventi a proposito della proposta
teorica sul realism. Documentalità Ontologia Ermeneutica Realismo. Treccani. CTAOCentro
Interuniversitario di Ontologia Teoretica ed Applicata, LABONT Laboratorio di
Ontologia, su labont. Il «questionario Proust» a Maurizio Ferraris, su elapsus.
Maurizio Ferraris, il Nuovo Realismo, sul
RAI Filosofia, su filosofia.rai. Maurizio Ferraris. Keywords: the
ontology of the intersubjective – intersoggetivo – a functionalist approach to
the inter-subjective – Grice as an ‘intersubjectivist’ – Grice as a
meta-theorist of the inter-subjective. The intersubjective conditions for the
understanding of pretty subjective utterances like, “That pillar-box seems red
to me.” Collective intentionality, shared intentionality, and the
inter-subjective – inter-subjective and inter-personal. ‘conversational’ as short
for ‘inter-subjective’ and ‘inter-personal’. Grice’s definition of
‘implicature’ as relying on utterer AND addressee. Grice’s definition of
communication as relying, obviously, on utterer and addressee. Ferraris
reccognises the rhapsodies of Austin needed some systematization, and whie
Ferraris refers to Grice, he does so superficially -- and Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Ferraris” – The Swimming-Pool Library.
FERRERO.
(Torino). Filosofo. Grice: “Just for having written on the influence of
Pythagoras on the Roman world, Ferrero is highly commendable! Pythagoras is
crucial for Plato; and Pythagoras taught of course at what would be a Roman
cives, ‘Croto.’ So it all relates!” -- Italian philosopher, author of
“Pigatorismo nel mondo romano.” La Storia del Pitagorismo nel mondo romano vide
la luce grazie al contributo della Fondazione Parini-Chirio e della Facoltà di
Lettere dell’Torino e rappresenta ancora oggi uno dei contributi più alti alla Storia
della Filosofia Romana. Animato da uno spirito che potrebbe senza dubbio
definirsi per mezzo del sentimento dell’importanza maggiore, nella storia delle
idee dell’Antichità, di coloro che Aristotele chiamava “i filosofi italiani”,
di coloro che hanno fatto fiorire sulla terra d’Italia uno dei rami più vigorosi
del pensiero filosofico occidentale. Ricco di elementi ed agile nella prosa, il
libro è uno dei più importanti, se non l’unico, contributo che rende ragione
della relazione tra filosofia romana e
pitagorica, rinvenendo l’importanza del pensiero speculativo alla base
della cultura romana classica. Su questa
base l’a. arriva a sostenere l’idea nuova ed originale dell’ideale che
l’organizzazione pitagorica ha, in ogni tempo, proposto alla classe dirigente
romana che l’accolto e realizzato, non dimenticando che il fine della filosofia
pitagorica è la formazione del politico.
Il piano dell’opera è semplice e chiaro. Due parti e cinque capitoli
solamente permettonodi abbracciare una storia che si estende sui secoli storici
della Roma antica, arricchite da un’ampia consultazione delle fonti e da un
indice analitico che ne facilita la consultazione. Si laurea con Rostagni, a Torino. Insegna a
Trieste. Ferrero is not the first to
claim Italianita and Romanita for Pythagoras. After all Pythagoras’s father was
an Etruscan! Numa learned from him! Cicero corrects here – it’s the tradition
that counts – Livio also notes that a book by Numa was destroyed: by that time,
the republic had an official religion and Pythagorianism was not part of it!
The Cusano thought that the Holy Trinity is Pythagorean. Ficino claims Plato is
Pythagorean via his tutor who was Pythagoras’s tutee – Pico asks Ficino for
advice on these maters. Caparelli thinks it’s all Pythagoreian. The important
bit is politic, and ethnic. Pythagoreanism became popular in the rest of Europe
via Italy, that always showed more of an interest for ancient history than the
Germanic peoples – perhaps because runes do not give so easily to history! Leonardo
Ferrero. Keywords: pitagorismo romano. Cf. uomo, scuola pitagorica, filosofia
italiana, filosofia italica, il pitagorismo comparato con altri scuole. Cf.
Luigi Ferri, L’interpretazione dei filosofi italiani sull’origine del
pitagorismo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Ferrero” – The Swimming-Pool Library.
FERRETTI:
(Brusasco). Filosofo. Grice: “I like Ferretti,
for one, he wrote on intersubjectivity which is a problem for Husserl:
cogitamus; nobody speaks of ‘cogitamus --; one has to distinguish between my
favoured –‘inter-subjectivity’ and ‘alterity’!” – Grice: “Ferretti has also
philosophised on the infinite, which poses a problem to my principle of conversational
helpfulness.” Si laurea a Milano. Insegna a Milano, Torino, Macerata. Altre
opere: Persona (Milano). Storia della filosofia romana (SEI, Torino),
“L’ntersoggettivo (Macerata); “L’ontologia di Kant” (Rosenberg & Sellier,
Torino). Giovanni Ferretti. While subjectivity and objectivity are pompous,
intersubjectivity seems fine, only that it can always be replaced by the
Italian ‘l’intersoggetivo’. “The inter-subjective” sounds Butlerian in English!
Keywords: ‘l’intersoggetivo’ -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ferretti” – The
Swimming-Pool Library.
FERRI.
(Bologna).
Filosofo. Grice: “I love Ferri; for one, he wrote on Ficino’s ‘dottrina
dell’amore,’ which is of course Plato’s – and which I may call the most
complicated philosophical doctrine of love ever conceived!” Insegna a Firenze e
Roma. Linceo. Discusse in tre lettere le
“Confessioni di un metafisico” di Mamiani ed elabora in tre memorie le sue concezioni. Pubblica la “Rivista italiana di filosofia.” La filosofia
platonica poggia su due basi: cioè sulla dottrina dell’idea e sulla dottrina dell'amore.
Da esse provengono le teoria del vero e del bene, l'ordine dialettico e
l'ordine morale in ogni sistema che accolga i principii e il metodo di Platone
o della sua scuola. Ne segue che per conoscere in modo sufficientemente
esatto la dottrina dell’amore di Ficino, non basta di esaminare la sua dottrina
delle idee e dell'intelletto; conviene eziandio studiare i suoi pensieri
sull'amore. Consideriamone adunque con lui la natura, l'oggetto, il fine,
le specie, gli effetti, le attinenze coll'uomo, col mondo e con Dio;
osserviamolo o immaginiamolo, com' egli fa, in se stesso e nei varii ordini
degli enti; seguiamo rapidamente sulle sue traccie la splendore del bello e
l'efficacia dell'amore nell'Antropologia, nella Cosmologia, nella Teologia,
cioè nell'intera enciclopedia filosofica da lui percorsa nel suo Commento al
Simposio platonico. (v. il fascicolo preceden to Conf. La Dottrina dell'amore
secondo Platone, lezione e note, questa
Rivista. Questa esposizione Firenze. Dopo d'allora fu pubblicata da Giovanni.
L'amore generalmente considerato è desiderio del corpo bello, e il bello è una grazia
che risulta da corrispondenza delle parti del corpo o da unità. Questa
corrispondenza delle parti o unità del corpo bello è di tre specie; o è affatto
spirituale e consiste nell'armonia delle virtù interiori dell'animo, o è
percettibile mediante li sensi ed è composto di una forma corporea o di voci.
Dal che segue che il bello, non essendo riferibile se non ai sensi, altra
facoltà e esclusa dal privilegio di conseguir e di goder il bello, e quindi che
l'amore non ha altri strumenti da applicare. Grato è a noi, dice Ficino,
il vero e ottimo costume dell'animo; grata è la speziosa figura del corpo
bello. E perchè queste tre cose, l'animo Università di Palermo un'analisi
accurata del Commento di Ficino sul Simposio platonico. Il lettore la troverà
nelle sue Lezione di Filosofia (Palermo). Di questo Commento che è unito alla
traduzione romana e italiana delle opere di Platone si hanno tre edizioni in
toscano. Due sono del medesimo anno, delle quali una fatta in Venezia senza
nome di stampatore: “Il Commento di Marsilio Ficino sopra il Convito di Platone
e il esso Convito tradotlo in lingua toscana per Hercole BARBARASA da Terni con
dedica al maguifico messer Gio. Battista Grimaldi”. Il Convito platonico vi è
effettivamente tradotto in toscano ed unito al Commento. Un'altra è di Firenze,
per Neri DORTELATA con dedica di un Bartoli al Duca Cosimo de' Medici. La terza
è pure di Firenze e dovuta a GIUNTI. Entrambe queste ultime hanno per titolo
“Sopra lo Amore ouver Convito di Platone”. Vi è premessa una dedica di Marsilio
Ficino a Bernardo del Vero, cad Antonio Manetti, da cui risulta che la versione
in lingua Toscana del Commento edito a Firenze dal Dortelata e riprodotto dal
Giunti è opera propria di Ficino. Le citazioni fatte in questa esposizione
come gli estratti dati nell'appendice sono tolti da essa. « come a lui
accomodate e quasi incorporali di più prezzo « assai stima che l'altre tre, però
è conveniente che egli più avidamente queste ricerchi, con più ardore abbracci,
con più veemenza si maravigli. E questa grazia di virtù, figura o voce che
chiama l'animo a sè e rapisce per mezzo della ragione, viso e udito, rettamente
si chiama il bello (pulchrum, to kalon). Se si vuole conoscere la vera natura
d'amore occorre, secondo Ficino, formarsi un giusto concetto del suo oggetto. I
ragionamenti di Ficino su questo punto meritano di essere riferiti. Trovandosi
il bello nella forma del corpo bello, è mestieri che il bello sia una essenza
comune. Non sarà dunque corporea, altrimenti non converrebbe agli animi; anzi
tanto manca che il bello possa dirsi corporeo, che il bello da noi ammirato in
una ‘forma’ non procede dalla ‘materia’, ma da un principio diverso ed è esso
pure incorporale. Difatto, il corpo puo perdere il suo bello. Quantunque,
la ‘materia’ del corpo sostanzialmente non cambi, e può conservaro la stessa
grandezza o la stessa piccolezza diventando brutto. La condizione del bello non
corrisponde alla condizione della quantità e dell'estensione. Il bello e le sue
vicende non dipendono punto dalla natura corporea e dai suoi più essenziali
attributi. Nè si dica come fanno alcuni, che il bello è una certa
posizione di tutti i membri del corpo o veramente commisurazione – simmetria --
e proporzione “pro portione” – portio cognate with Greek parao, to divide in
parts --– analogia -- con qualche soavità di colori. [ocr errors]
(")
Objectum placitum res piacere Oggetti
e piaceri del gusto, dell'odorato e del tatto relativi alla nutrizione, conservazione
e generazione. Questa opinione non è ammissibile, imperocchè essendo
questa disposizione delle parti solo nell’organismo o cosa o corpo composto, nessuna
cosa semplice sarebbe speciosa. Ma noi veggiamo « i puri colori, i lumi, una
voce, un fulgor d'oro, il candor « dell'argento, la scienza, l'anima, la mente
e Dio, le quali « cose sono semplici, esser belle. (bello naso romano) --. Il
bello pue dunque esser in un composto, ma non s'anifica col composto, può
essere nella pro-porzione, ma non s'identifica con essa. Avviene che stando
ferma la medesima proporzione e misura della membra, un corpo non piace quanto
prima. Certamente oggi nel corpo bello è la figura medesima che l'anno passato
e non la medesima “grazia” – non genera il medisimo gratitudo -- Nessuna
cosa più tardi invecchia che la figura, nesssuna più tosto invecchia che la
grazia. E per questo è manifesto non essere tutt'uno figura e il pulcro. E
ancora spesso veggiamo essere in alcuno più retta disposizione di una parte e
misura che in un altro; l'altro nondimeno non sappiamo per che cagione si
giudica più “formoso” e più ardentemente si ama. E questo ci ammonisce che
dobbiamo stimare la forma bella essere
qualche altra cosa, oltre alla disposizione de' membri. La medesima ragione ci
ammae stra che noi non sospettiamo il pulcro essere soavità di colori : perchè
spesse volte il colore in Socrate è « più chiaro , e in un giovane Alcibidiade
è maggior grazia. E negli uguali di età alcuna volta accade che quello
che supera l'altro di colore è superato di grazia e di bellezza. Il bello non è
dunque nè mistione di figure e colori, nè proporzione di parti, nè materia, nè
quantità, e quantunque apparisca in un corpo bello, non ne risulta come da sua
causa ; il bello si conferma ancora considerando le condizioni del suo
conoscimento nell’amante; imperocchè cid che piace, ciò che desta il senso
della grazia è la specie o immagine dell’amato accolta nell'animo; e questa
specie è incorporale poichè è dentro allo spirito ; essa è una similitudine di
un corpo bello – una statua --, non il corpo bello stesso, dal suo concorso o
forma proviene il sentimento estetico di piacere e non dalla materia incapace
di conferircelo fintantochè la sua forma non e posta in relazione con noi
mediante li sensi. Infinita è la differenza fra la piccolezza della pupilla e
l'ampiezza del cielo, ma in un punto solo lo spirito ne accoglie l'immagine e
l'ammira. Finalmente mentre l’istinto corporali si acquietano e soddisfano
mediante un determinato conseguimento del loro fine (l’orgasmo mistico),
l'amore è insaziabile, e il suo andamento ci prova che havvi qualche cosa di
superiore al corpo bello e al finito in lui stesso e nel suo oggetto. Difatto
in che guisa si genera l'amore? In che modo commossi dal bello ne ammiriamo lo
splendore? Eccolo. L'animo porta come impresse nel segreto di sua sostanza le
ragioni delle cose ; quivi sono le primitive idea del vero, del bello,
dell'onesto, dell' utile: quivi le cause più profonde di nostro desiderio, le
norme universali e spontanee che guidano il giudizio degli incolti, e formano di
verità il senno naturale e istintivo dell' uomo. Se l'immagine di una
persona passando nell' animo concorda con quella figura dell'uomo che l'animo
porta in sè stampata come un sigillo, subito piace, e come bello si ama.
Per a qual cosa accade che alcuni scontrandosi in noi, subito ci
piacciono, benchè « noi non sappiamo la cagione di tale effetto. Perchè l'animo
« impedito dal ministerio del corpo, non riguarda le forme « che sono per
natura dentro a lui, ma per la naturale e « occulta sconvenienza o convenienza,
seguita che la forma della cosa esteriore, con la immagine sua pulsando la forma
della cosa medesima, che è dipinta nell'animo consuona, e da questa occulta
offensione, ovpero allettamento, 'l'animo commosso, la detta cosa ama. Il bello
è dunque corrispondenza di un corpo alle loro idea, e quella eziandio che
risplende nel corpo bello è un certo atlo di vivacità e di grazia che dipende
dal loro influsso. Poichè ordine. modo e specie, cioè distanza commisurata di
parti, debita grandezza di membri, conveniente qualità di linee e di colori
concorrono ad abbellire la figura umana, quando convengono fra loro e nella
unità del suo tipo, quando concordano con le ragioni di ciascuna parto e con
quella del tutto. L'amore osservato in noi è dunque rivolto a un oggetto
intelligibile; il bello che egli ricerca è cosa spirituale ; l'idea, la verità,
a cui si riferisce la sua più profonda inclinazione tende a separarlo dal corpo
bello, a innalzarlo sopra gli enti sensibili, a trasportarlo sulle ali della
mente fra gli oggetti divini e immutabili. Ma che cosa è adunque allora
l'ainore in sè, l'amore come principio di tutti gli amori; è egli dunque un
Dio, è egli perfetto e beato, felice, ricco, virtuoso, bastante a se stesso? Ovyero
continuando a rappresentarlo sotto la forma del mito, dobbiamo figurarcelo ,
secondo il Convito di Platone, come un “demone”, cioè sotto la specie di
un ente imperfetto, di un genio tramezzante il divino e l'umano, bello e brutto,
ricco e povero, sapiente e ignorante, felice e infelice, nato dalla povertà e
dall’abbondanza il giorno che i celesti celebravano i natali di Venere? Ficino
ammette l'uno e l'altro concetto, ma dà più importanza al primo che al secondo
e quest'ordine è conforme allo spirito generale del suo sistema. Mentre Platone
nel Convito lasciando l'amore nel punto della sfera del finito che tocca
l'infinito, ne fa soltanto un “demone” che aspira alla perfezione, ma che non
giunge a conseguirla, Ficino, unendo il demiurgo del Timeo all'amore del
convito, ravvisa in lui un demone e un dio, e più spesso il secondo che il
primo, anzi egli attribuisce positivamente l'amore all'essere infinito. Il Dio
del Timeo, che non ha invidia , mentre vuole il mondo perchè ne ama l'idea; il
Dio di Filone e per Ficino il vero Dio, il suo Dio è come quello di Aligheri un
amore infinito che spande la bellezza nell' uni verso. Ma prima di
salire con lui alla regione più alta in cui possa recarsi la filosofia
dell'amore, rimaniamo per qualche tempo ancora in terra e rendiamoci conto
della sua vera natura nell'uomo. A malgrado della tendenza mistica che
distingue tutta la dottrina di Ficino ed era profondamente radicata nelle sue abitudini
e nel suo carattere, a malgrado dell'indirizzo spirituale e religioso che in
tutto il suo commento al Convito platonico egli si sforza di dare all' amore, è
per altro ben costretto di confessare che oltre al desiderio della verità e di
quell bello che si attiene alla mente, un'altra inclinazione l'accompagna, un
altro istinto e un altro fine ne determina nell' uomo le fasi e lo svolgimento.
Cosicchè dopo averlo definito semplicemente “desiderio del bello”, corregge con
Platone l’analissi quando si tratta di applicarla all’amante e ammette che è “appetito
– cupido -- di generare nel subbietto bello, per conservare vita perpetua nelle
cose mortali. Questo è il fine del nostro amore, questo è l'amore degli uomini
viventi in terra. Ne segue che egli pure debba con Socrate distinguere i
due influssi di Venere celeste o urania e di Venere volgare (sub-lunary) , dividere
fra esse l'attività umana; le nostre aspirazioni e i nostri bisogni; che debba
attribuire all’amore volgare o sub-lunare la tendenza alla generazione e al
godimento materiale, all'amore celestial il desiderio della contemplazione e
dei piacere virtuoso, e che congiungendo questa doppia direzione dell' amore
con la triplice forma della vita sensibile, attiva e contemplativa di cui
l'uomo è capace, egli ravvisi nell'uva delle due Veneri la causa che ci innalza
dalla voluttà al godimento della virtù e della scienza, nell'altra la cagione
che ci abbassa dalla scienza e dalla virtù al piacere materiale; in quella la
forza che ci fa salire per gli ordini della perfezione, in questa l'impulso che
ci fa discendere i gradi della decadenza morale. Ficino svolge con compiacenza
il concetto di questa opposizione e insiste lungamente sulla superiorità
dell'amore celestiale ; il sentimento cho lo guida, la qualità del suo
carattere, l'indole stessa della sua filosofia, i fini che egli si propone
scrivendo dell'amore, gliene ne fanno per così dire una legge. E per fermo
nella sua filosofia lo spirito signoreggia talmente che il corpo (soma) bello diventa
una sua creazione, che l'anima dimora nella materia come ospite e
prigioniera, finchè ne abbia infranto per così dire i cancelli e sia tornata
nella regione sopra-celeste (non sub-lunare) fra le anime beate. Immensa è la
catena degli spiriti che Ficino, guidato dalla mistica, stende fra la terra e
il cielo, e come ce ne convinceremo fra poco, l'Angelologia non è meno connessa
presso di lui con la dialettica dell' amore che con quella
dell'intelletto. Inoltre il sentimento religioso e l'onestà della
coscienza lo spinsero a combattere la scostumatezza dei contemporanei, a
portare l'amore verso la meta più alta, a sollevarlo dal fango delle passioni
epicuree. Difatto, sogliono i mortali, quelle cose che generalmente o spesso fanno,
dopo lungo uso, farle bene, e quanto più le frequentano farle meglio. Questo
per la nostra stoltiza falla in amore.
Tutti continuamente amiamo in qualche modo, tutti quasi amiamo *male*, e quanto
più amiamo, tanto peggio amiamo e cid avviene perchè entriamo in questo
faticoso viaggio d'amore, senza conoscer ne il termine e i passi. È dunque nella
cognizione di questo termine che si travaglia la sua filosofia. Trasmessa da
Socrate a Platone essa viene significata da Ficino ai suoi concittadini per
innalzare la loro mente al vero fine della vita. Ed egli è talmente persuaso
della importanza della sua missione che l'insegnamento platonico su questo
soggetto è per lui l'effetto d'un decreto della provvidenza, una vera
rivelazione dello Spirito divino, un mezzo onde l'amore infinito riduce a sè
gli amori erranti dei mortali, e li guida al godimento della bellezza assoluta.
E così in questa coine nelle altro parti della sua filosofia si ritrova
quel miscuglio entusiastico di Platonismo e di Cristianesimo indefinito e largo
che senza dubbio era frutto dei tempi, ma forse più ancora si atteneva al suo
intelletto e a un'indole ondeggiante fra i dogmi alquanto incerti di una
erudizione non sempre ben coordinata e precisa. Ma prima di giudicare la
dottrina di Ficino sull'amore e di additare la causa dei suoi pregi e dei suoi
difetti, facciamo di esporla il più completamente possibile. Arriviamo
con lui al termine della dialettica e prima vediamo che via convien tenere per
conseguirlo. È quella medesimá che Platone insegnò nel Convito sotto il nome di
Diotima, mostrando come l'animo nostro dai vestigii esteriori della bellezza
sparsa nei corpi di una medesima specie, raccolga l'idea di uno bello solo e
limitato, poi come delle bellezze distinte e coordinate delle specie corporee
formi la bellezza più estesa di un solo genere ; poscia in che guisa passando dall'ordine
fisico allo spirituale, dalle bellezze visibili alle invisibili, componga le
specie, poi il genere del bello intellettuale e morale sparso nelle virtù,
nelle scienze, nelle facoltà e doti tutte dell'essere spirituale, fintantochè
accorgendosi che i due ordini partecipano a una medesima idea di perfezione e
beltà infinita , sciolta da ogni limitazione, superiore ad ogni genere e
specie, la mente si riposi nell'assoluta unità, e quella ami senza modo e
misura. Tale è finalmente il termine della salita d'amore, tale è la fonte in
cui si appaga la sua sete inestinguibile. « Bi« sogna, dice Ficino, cercarla
altrove che nel fiume della ma« teria, e nei rivoli della quantità, figura e
colori. O miseri « amanti in che luogo vi volgerete voi ? Chi fu quello
che [ocr errors][ocr errors] « accese l'ardentissima fiamma nei vostri
cuori ? Qui è la « grande opera, qui è la fatica. Io ve lo dirò, ma attendete. La
divina potenza superiormente allo universo, agli « angeli, e agli animi da lei
creati, clementemente infonde, « siccome a suoi figliuoli, quel suo raggio, nel
quale è virtù « feconda a qualunque cosa creare. Questo raggio divino in «
questi, como più propinqui a Dio, dipinge l'ordine di « tutto il mondo, molto
più espressamente che nella materia « mondana. Per la qnal cosa questa pittura
del mondo, la « quale noi veggiamo tutta, negli angeli e negli animi è più «
espressa che innanzi agli occhi. In quella è la figura di « qualunque specie,
del sole, luna, stelle, degli elementi , « pietre, alberi e animali. Queste
pitture si chiamano negli « angeli esemplari e idee, negli animi ragioni e
notizie, nella « materia del mondo immagini e forme. Queste pitture son «
chiare nel mondo, più chiare nell'animo e chiarissime sono « nell'angelo.
Adunque un medesimo volto di Dio riluce in « tre specchi posti per ordine
nell'angelo, nell'animo e nel « corpo mondano. Così Ficino congiunge la sua
dottrina degli enti con quella dell'amore, la sua Angelologia con la sua
Estetica ; così egli unisce il suo dogmatismo mistico con le belle osservazioni
e i profondi concetti che ha ricavati da Platone e dalla scuola d’Alessandria ;
così egli varia gli aspetti della filosofia dell'amore, non senza dilettare o
abbagliare l'immaginazione e fornire all'animo poetico e religioso un pascolo
dilettevole quantunque non sempre con uguale profitto per la so da
scienza. Di tre simboli si serve principalmente Ficino per espri
mere la relazione della bellezza divina colle bellezze create e la sua
diffusione nel mondo; il lume, lo specchio e il cerchio. Ora seguendo le
traccie di Platone egli ci rappresenta Dio come un sole intelligibile che non
diversamente dal sole sensibile produce un lume universale, crea colle forze
fecondate dal suo calore l'occhio e la facoltà di vedere, suscita e rende visibili
nella materia le forme che l'adornano; ora volgendosi a considerare l'idealità
delle cose mondane e a significarne l'origine, ce la rappresenta come un raggio
che uscito dalla mente divina accende l'intelletto puro degli angeli, vi
produce come in ispecchio gli esemplari degli enti, e di là si ripercuote come
in altro specchio nei corpi, per giungere così riflesso all'animo nostro ed
unirsi con quello che ci viene direttamente da Dio. Ora finalmente ci figura
Dio come un centro posto in mezzo ai quattro cerchi concentrici della mente,
dell'anima , della natura e della materia, ce lo dipinge come una forza
infinita che da un punto solo raggia a tutti i punti delle circonferenze
l'essere e la verità, il bene e la bellezza. Unità assoluta Dio penetra per
tutto senza dividersi, proroca e regola il moto senza muoversi, produce il
multiplo e il vario senza uscire di sua perfetta semplicità. Con un medesimo
lume con una medesima efficacia egli raggia nel cerchio delle menti angeliche
le idee o verità , in quello delle anime le ragioni o pensieri; nel cerchio
della natura i semi; in quello della materia le forme. In questi cerchi
sono tre mondi che mediante la divina virtù passano dal nulla all'essere, dal
caos all'ordine, dall'ordine alla perfezione; i mondi cioè della mente, delle
anime e dei corpi. Ciascuno di essi è creato, attratto e perfezionato da
Dio, il quale come fattore è principio, come perfezionatore è fine, come
potenza attrattiva è mezzo universale degli enti. E il ternario della vita universale,
mentre si manifesta nel ritmo cosmico della creazione, attrazione, e perfeziono
delle cose, si palesa eziandio nella sostanza dei tre mondi della mente,
dell'anima e della materia, e più alto ancora nel triplice attributo di Dio:
Bontà, il bello e Giustizia. La Bontà crea, la Bellezza attrae, la Giustizia
consuma l'opera dell'una e dell'altra. Cosicchè per ultimo tutto procede
fontalmente da Dio, tutto è a Dio rapito e in lui tutto ritorna e consiste per
atto terminativo o perfetto; tutto viene dall'unità e all'unità si riduce; e la
causa principale di questo movimento è la bellezza, l'atto per così dire
centrale di questa circolazione della vita è l'amore, amore perfetto e pieno
possessore del bello in Dio, amore imperfetto e ricettore meno ampio del suo splendore
nel mondo e nell'uomo, nell'angelo, nell'anima e nel corpo. « Con essa
(bellezza) dice Ficino, Dio rapisce a se il mondo « e il mondo è rapito da lui;
un certo continuo attraimento è « tra Dio e il mondo; che da Dio comincia e nel
mondo « trapassa, e finalmente in Dio termina, e come per un « certo cerchio,
d'onde si ripartì, ritorna. Sicchè un cerchio « solo è quel medesimo da Dio nel
mondo, e dal mondo in « Dio, e in tre modi si chiama. In quanto ei comincia in
« Dio o alletta, Bellezza; in quanto ei passa nel mondo o « quel rapisce,
Amore; in quanto, mentre che ei ritorna nello « autore, a lui congiunge l'opera
sua, dilettazione. Lo amore « adunque cominciando dalla bellezza, termina in
dilettazione». Egli è a questa dilettazione o beatitudine che Ficino ci
chiama, facendosi interprete della religione che suol chiamarsi naturale,
del Cristianesimo e del Platonismo; egli ce la promette nella vita
sopramondana; in quell' Iperuranio che Platone da sublime poeta dipinge nel
Fedro, in quel Cielo che il genio di Dante sparge di luce e letizia crescente
di sfera in sfera fino alla bellezza sfolgorante dell'Empireo e alla maestà del
trono divino. Nella sua immaginazione, riscaldata dal misticismo, i due
concetti si fondono, i due cieli si unificano, le due religioni si mescolano in
una essenza comune, e la intuizione poetica guida e signoreggia la mente del
filosofo. Il linguaggio di Dante e di Platone viene successivamente e
promiscuamente sulle sue labbra; poichè ora egli vede l'amor divino menar gli animi
alla mensa dei celesti abbondante di ambrosia e di nettare, ora contempla
l'ordine in cui il medesimo amore dispone per così dire i loro scanni, e la
distribuzione con cui li rende quieti e beati. Ficino ammira la perenne
effusione e letizia di un affetto che sempre si rinnova e si bea nella sua
fonte eterna; congiungendo la terra al cielo, la vita mondana alla celeste,
egli ravvisa nell'amore il vincolo dell'una e dell'altra, una medesima forza
che si svolge e si perfeziona e quasi un medesimo dramma che s'inizia nella
prigione del corpo e si compie in una esistenza pienamente libera e spirituale.
Imperocchè i gradi di quelli che seggono nel convito celeste, dice Ficino,
seguitano i gradi degli amanti; quelli che più eccellentemente Dio amarono, di più
eccellenti vivande quivi si pascono. Ciascuno lo göde sotto un aspetto, e cioè
sotto quel medesimo che più amd e imitd sulla terra; in lui la giustizia, la
fortezza, la temperanza contempla il beato e fruisce secondo la virtù che lo
distinse, secondo il mezzo onde il suo amore si sublimo, e l'idea onde la sua
mente fu più inva ghita. Ma qualunque sia il principio che informa la
beatitudine di ciascun'anima, esso è sempre un aspetto di Dio, e per così dire
uno splendore del suo volto; cosicchè la gerarchia delle idee divine
costituisce i gradi della beatitudine e la medesimezza della divina natura ne
forma l'unità. Ecco ora spiegato l'enigma dell'amore secondo Marsilio
Ficino; nell'ultima parte di questa dottrina voi ravvisate un predominio del
sentimento religioso e dell'intuizione poetica sulla ragione filosofica,
un'abitudine di dogmatizzare che si sostituisce all'atto schietto
dell'osservare e del ragionare, o nondimeno una sintesi di concetti e di
rappresentazioni che formano un tutt'insieme elevato e degno della nostra
ponderata considerazione; sopratutto per le sue attinenze coi fini che Marsilio
si proponeva, colla causa della religione allora cosi decaduta nei costumi e
nelle credenze, e alla quale ogli si consacrava; colla poesia pazionale che mercè
do'suoi commenti si ricongiungera all'Estetica di Platone; finalmente coll'arte
che nella patria di Giotto e del Beato Angelico conseguira, mediante i suoi
lavori, una coscienza più piena della propria idealità, e una spiegazione più
compiuta delle sue inspirazioni. Grau differenza certo è fra Platone c
colui che volle essere suo schietto discepolo, ma non vi riuscì, nè poteva
impedito dal suo proposito di conciliare la dottrina del filosofo Atoniese col
Neoplatonismo degli Alessandrini e l'uno e l'altro col Cristianesimo. Platone
avera bensì additato all'anima umana la bellezza incrcata e perfetta como
termino supremo della sua contemplazione; aveva egli detto veramente che il
corpo è una prigione per essa, e che la sua vita comincia colla morte corporeil
; aveva insegnato como un sublime do [ocr errors] vere la fuga dalle cose
sensibili alle intelligibili, dai fenomeni alle idee, e qualche altro
pronunciato si troverebbe ancora nelle sue opere che divenne pei posteri germe
prolifico di dottrine mistiche ed esclusive. Ma egli aveva pure fatto
dell'amore un demone, e come un mediatore fra l'uomo e Dio, una sintesi dei
contrarii, un misto di perfezione e d'imperfezione; per cui innalzandolo al
cielo non lo separava dalla terra, rendendogli le ali non lo dividera dalle
passioni e dagli istinti che nei suoi miti stupendi sono rappresentati dai
cavalli del cocchio dell'anima e si connettono con le necessità, i fini e le
vicende della vita terrena. Egli definisce 'propriamente l'amore il desiderio
di generare nella bellezza, e dividendo questa generazione in materiale e
spirituale, egli vede soggiacere all'impero e al connubio fecondo dell'amore e
del bello la vita filosofica, religiosa, morale artistica e fisica dell'umanità
; per lui le opere belle e buone provengono tutte dall'idea e dall'amore, e la
unione e fecondità di entrambi si scorgono nella vita dei grandi poeti, dei
fondatori della religione, dei legislatori più sapienti, dei filosofi più
sublimi, come nelle leggi secrete che astringono la vita del mondo al
mantenimento dell'ordine universale e nei moti istintivi che portano gli
animali all'accoppiamento e alla perpetuazione della specie. Così è,
Platone, a malgrado della tendenza profondamente idealistica della sua
filosofia, non separa l'amore dalla realtà, e anzi talvolta lo lascia
cosiffattamente errare fra gli scogli dei costumi e della società greca, che vi
rompe spesso e perde le penne leggiere che debbono volgerlo all' alto e
portarlo dalla terra al cielo. Nella dottrina platonica il carattere
religioso dell'amore si fondava sul razionale, rimaneva dialettico e non
si tramutava in un processo mistico. Sotto la guida dell'intelletto saliva
dall'umano al divino per ricongiunger questo a quello, benchè i due termini non
vi fossero uniti in quella intimità profonda che la trascendenza delle idee
platoniche non poteva ammettere. La separazione originaria dell'intelligibile
dal sensibile vi apriva bensì un adito al misticismo, come un mezzo di supplire
alla insufficienza speculativa della metessi o partecipazione, ma non
l'introduceva se non accessoriamente col mito e la immaginazione, chiamati a
simboleggiare i misteri dell'oltretomba e a rappresentare artisticamente
concetti scientifici sulle attinenze dell'anima col corpo e sulla produzione
del mondo. Ma la dialettica ontologica di Ficino foggiata su quella di Proclo
non poteva mantenersi in questi confini. Presso di lui l'amore sembra non
avere altr'ufficio sulla terra che di indirizzarci al cielo, i suoi ministerii
antropologici, sociali, artistici, scientifici non valere che a rispetto della
sua meta suprema. Era questi mezzi Ficino ne distingue principalmente quattro,
la poesia, la religione, la divinazione o dono profetico e l'amor divino, e,
nel suo modo di vedere, l'opera del sentimento predomina in essi talmente sulla
ragione che dilatando il concetto attribuito dal Socrate platonico nel Fedro a
Stesicoro e applicato nello Jone specialmente alla facoltà poetica, egli chiama
furori gli affetti dai quali dipendono e misura i loro pregi dall'impulso
entusiastico col quale concorrono ad unificar l'animo, toglierlo all'agitazione
e al moto, accostarlo all'immobilità dell'angelo, e finalmente rapirlo in
estasi sopra la moltitudine delle cose mondane fino all'essenza e unità divina
('). M) A conferma del carattere mistico del Commento di f'icino si
aggiunga che nell'orazione quarta detta dal Landino il grazioso mito. In
Platone l'amore collegandosi colle simpatie naturali e colle tendenze ideali
nobilitava gli istinti, stendeva un velo di bontà morale sulla passione,
rendeva gli amanti intenti al reciproco, perfezionamento, desiderosi della
vicendevole felicità, ammiratori di una comune bellezza; di guisa che in forza
della efficacia ideale, dell' amore, un raggio di poesia e di virtù si stendeva
sulle sue condizioni reali, ne purificava le funzioni e i fini, ne connetteva
i' risultamenti col bene dell'individuo e della società. Questo aspetto
stupendo dell'affetto umano in cui risplende il bene pratico e civile, che si
connette con l'eroismo e la gloria, con le virtù operative e feconde, o è stato
trascurato o almeno non ha ricevuto il necessario srolgimento nella dottrina di
Marsilio. Egli ci ammonisce per vero che dobbiamo, amar Dio in tutte le cose, e
tutte le cose in Dio, e che per gịungere a questa purificazione dell'amore ci è
mestieri di contemplare la pura essenza delle cose nella luce dei loro tipi
ideali, che sono il raggio immediato della Verità e Bontà divina. Là noi
troveremo il vero uomo , là vedremo la natura e il fine degli enti, il vero
oggetto di tutti i nostri ufficii. Ma in che modo questi bei precetti possono
essi applicarsi alla vita ? Ficino non ce lo dice; Ficino non discende da
quest'altezza. Mentre Platone segue l'amore nelle sue fatiche e nelle sue
ansie, mentre abbracciando con ardore il doppio ordine della degli
Androgini esposto da Aristofane nel Convito platonico è nel Commentu di Ficino
trasportato dalla integrità e divisione dell'uomo alla integrità o divisione
delle relazioni della conoscenza o attività psichica col lume sopranaturale e
naturale. Separata. da Dio e aflidata al solo lame ingenito l'anima è come
ridotta alla metà di se stessa, frutto della sua superbia. Essa non ritrova
l'altra sua metà e non si reintegra che ritrovando il lume sopranaturale.
vita attiva e contemplativa lo conduce di grado in grado ad ammirare le
bellezze del mondo ideale per farne penetrare la luce nelle operazioni e nelle
forme del mondo reale, Ficino si contenta d'allontanarlo il più possibile dal
corpo e dai suoi piaceri, di persuaderlo che la vista, l'udito e l'intelletto
sono i soli mezzi di cui possa giovarsi al suo vero scopo. Ottimi intendimenti,
eccellenti consigli, e certamente efficaci sugli animi ben naturati, quando
vadano congiunti a due importanti condizioni, e cioè 1° di non dimezzare la
natura umana dimenticandone gli imperiosi bisogni, gl' istinti e i fini
provvidenziali, e 2o d'aprire all'umana attività una carriera in cui le sue
passioni abbiano sfogo regolandosi colle norme della scienza della virtù. No,
le idee non son fatte soltanto per essere vagheggiate da solitarii ed egoisti
contemplativi, ma eziandio per essere recate all'atto, e sposate per così dire
al mondo con fecondo connubio. L'idealismo non può essere la guida della
umanità senza l'appoggio del realismo; l'uno e l'altro presi isolatamente sono
esclusivi; la loro unione soltanto è vera e feconda. Invano Ficino rapito dalla
idea della bellezza assoluta e vedendola scaturire dall'unità divina, mi
traccia la via d'amare e mi consiglia di cercarne l'oggetto nell'unità degli
enti spirituali, salendo dal corpo (forma) all'anima, dall'anima all'angelo,
dall'angelo a Dio; in questa salita in cui la scienza gli rimprovera di
realizzare l'astratto, separando la mente dall'anima per crear l'angelo, e di
trasportare le tradizioni religiose nelle dottrine filosofiche, il cuore umano
separato dalla realtà gli domanda imperiosamente di far ritorno alle sue vere
condizioni; egli vuol essere innalzato, ma al patto di riportar tosto dalle sue
peregrinazioni celesti, e, per cosi dire dal convito dei beati, [ocr
errors][ocr errors][merged small] quel nettare e quell' ambrosia che spargono
di giustizia e bellezza le relazioni della vita, che pascono lo spirito di
verità ideale per renderlo efficace operatore di beni e di virtù reali. Invano
Ficino conforta i suoi contemporanei a contentarsi, nell'amore, degli atti
della vita contemplativa; inutilmente egli deplora i corrotti costumi di una
società scettica e dimentica del dovere. La baldanza trionfante dei sensi e
della materia resiste alla sua voce come a quella del Savonarola. Lorenzo il
magnifico non si distoglie dal suo epicureismo, e la gioventù fiorentina
concorre avida e frequente a crescere il numero dei suoi imitatori. L'ascetismo
del frate riformatore e il misticismo del sacerdote filosofo sono rimedii
troppo superiori alle abitudini della società contemporanea. Essi sarebbero
insufficienti a ricondurre qualunque altra società a quelle virtù che
rampollando dalle nostre relazioni colla famiglia, colla patria e coll'umanità,
innalzano l'amore pei gradi di una gerarchia disposta dalla natura fra
l'individuo e l'autore del mondo morale. In questo ordine non bene apprezzato
dall'idealismo stesso di Platone, consiste la vera salita d'amore; in queste
sfere egli pud essere ad un tempo divino e umano, religioso e civile; egli pud
diventar sublime senza cessare di essere pratico, prender per guida l'idea
senza perdere di vista la realtà; in esse può spiegarsi la sua forza dal
modesto affetto che nudrisce e veglia la vita infante delle mortali generazioni
fino all'eroismo che rapito dalla bellezza della giustizia sacra e immola se
stesso al trionfo della libertà e del diritto. A questo segno aveva
mestieri di essere condotta Firenze, a questa meta avrebbe dovuto rivolgersi
l'Italia sulla fine del 400, per rifare le proprie convinzioni, per
correggere i suoi costumi, per dare alla forza materiale un
fondamento incrollabile nella forza morale. In questo modo essa avrebbe
dovuto provvedere per tempo a se medesima, e opporre l'usbergo della virtù e
del coraggio allo straniero che stava per immergerle il ferro nel seno. Egli
venne attratto dalla sua bellezza; la trovò mal difesa, la vinse e se ne
insignor). Videro i sapienti di quel tempo lo strazio ch'egli ne fece
schernendo la sua debole resistenza, e Ficino era fra essi. Lagrimò il
pio sacerdote su tanto male, ricordd agli uomini i loro trascorsi e i segni del
cielo forieri di punizione; gl'invitd a rassegnarsi e a pentirsi. Un altro
conforto egli porse a Firenze afflitta, interponendosi fra essa e Carlo VIII, e
con orazione più informata a carità che a fermezza, si sforzo di volgere
l'animo di lui a miti e clementi consigli. Cristiane intenzioni, pietosi
ufficii! Ma altri aiuti, altri difensori richiedevano i tempi, e l'energia di
Capponi mostrd di che tempra sono gli animi da cui dipende la salvezza dei popoli.
Il libro di Ficino sopra l'Amore consta di Orazioni che espongono e commentano
con indirizzo neoplatonico, quelle che sono contenute nel Convito di Platone.
Ficino stesso narra nel capitolo primo l'origine e lo scopo del suo
lavoro. Platone spird (secondo la tradizione) in un convito
nell'ottantunesimo anno di sua età il 7 di ottobre, giorno anniversario della
sua nascita, cosicchè gli antichi platonici, ogni . anno, celebravano cotesto
giorno in un convito. Abbandonato per mille e dugento anni da Porfirio in
poi il rito solenne, fu restaurato con regale apparato per ordine di Lorenzo il
Magnifico nella villa di Caregri, sotto la direzione di Francesco Bandini che
ne fu costituito Architriclino. I convitati furono 9, pari cioè al numero
delle muse. Sette figuransi le orazioni dette e corrispondono a quelle che sono
contenute nel Convito platonico. Si trassero a sorte le parti da sostenersi e
la sorto presaga dell'intenzione del vero commentatore le distribui
precisamente nel modo più conveniente alle qualità dei personaggi del nuovo
Simposio. Cosicchè la orazione di Fedro, bello e giovane retore, tocca a
Giovanni Cavalcanti, che per virtù e nobiltà di animo come per bellezza esteriore
fu chiamato l'eroe del Convito; la seconda detta da Pausania ad Antonio degli
Agli vescovo di Fiesole, la terza di Erissimaco medico a Ficino; la quarta di
Aristofane a Cristoforo Landino; la quinta di Agatone a Carlo Marsuppini, la
sesta di Socrate a Tommaso Benci, la settima di Alcibiade a *Cristoforo*
Marsuppini. Ma il vescovo e il medico debbono partire per la cura delle
anime e dei corpi e commettono le loro disputazioni a Giovanni Cavalcanti.
Ficino non poteva essere più cortese coi suoi discepoli e amici platonici. In
questo banchetto reale la cui fatica ideale e commemorativa è tutta sua egli si
è ecclissato. Anche il Nuti e il Bandini che insieme cogli oratori compiono il
numero sacro delle nove muse non sono da lui dimenticati. Al Bandini ordinatore
del banchetto non aveva bisogno di attribuire altra parte che quella
assegnatagli da Lorenzo. Dal Nuti suppose fatta la lettura del Simposio
platonico premessa ai commentarii. Secondo Bandini sarebbe Cavalcanti che
avrebbe persuaso Ficino a scrivere il dialogo dell’amore per invogliare la
gioventù del celeste bello. La versione toscana del Commento di Ficino al
Convito essendo divenuta ziuttosto rara, e desiderando far conoscere con
qualche particolarità le speculazioni del filosofo fiorentino sull'Amore, stimo
opportuno di aggiungere alcuni estratti alle citazioni contenute nel
testo. Definizione della Bellezza e dell' Amore. Il bello è una
certa grazia, la quale massimamente e il più delle volte nasce dalla
corrispondenza di più cose; la quale corrispondenza è di tre ragioni. Il perchè
la grazia che è negli animi è per la corrispondenza di più virtù. Quella che è
nei corpi, nasce per la concordia di più colori e linee. È ancora grazia
grandissima ne' suoni, per la consonanza di più voçi. Adunque di tre ragioni è
la bellezza; cioè degli animi, de' corpi e delle voci. Quella dell'animo con la
mente sola si conosce : quella de' corpi con gli occhi ; quella delle voci non
con altro che con gli oreochi si comprende. Considerato adunque che la mente e
il vedere e lo udire son quelle cose, con le quali sole noi possiamo fruiro
essa bellezza ; e lo amore di fruire la bellezza desiderio sia ; bo. Amore
sempre della mente, occhi è orecchi é contento. Lo appetito che gli altri sensi
seguita, non amore, ma piuttosto libidine o rabbia si chiama. Finalmente
che cosa è un corpo bello? Certamente è un certo atto, vivacità e grazia , che
risplende nel corpo. Questo splendore con discende nella materia, s' ella non è
prima attissimamente preparata. E la preparazione del corpo vivente in tre cose
s'adempie, ordine, modo e specie. L'ordine significa la distanza delle parti, il
modo significa la quantità, la specie significa lincamenti e colori. Perchè in
prima bisogna che ciascuni membri del corpo abbino il sito naturale, e questo è
che li orecchi, li occhi, il naso e. gli altri membri siano ne' luoghi loro, e
che gli orecchi" 'amendoi egualmente sieno discosti dagli occhi. E questa
parità di distanza che s'appartiene all'ordine, ancora non basta, se non vi
s'aggiunge il modo delle parti: il quale attribuisce a qualunque membro la
grandezza debita, attendendo alla proporzione di tutto il corpo. E questo è che
tre nasi posti per lungo adempino la lunghezza d'un volto ; e ancora li due
mezzi cerchi delli orecchi insieme congiunti, faccino il cerchio della bocca
aperta: e questo medesimo faccino le ciglia se 1222, me si congiungono. La
lunghezza del naso ragguagli la lunghezza del labbro e similmente dello
orecchio : e i due tondi degli occhi , ragguaglino l' apertura della bocca,
otto capi faccino la lunghezza di tutto il corpo: c similmente le braccia
distese per lato e le gambe distese faccino l' altozza del corpo. Oltre a
questo stimiamo essere necessaria la spezie; acciocchè li “artificiosi” tratti
delle linee e le crespe, e lo splendore degli occhi adornino l'ordine e modo
delle parti. Queste tre cose benchè nella materia siano, nientedimeno parte
alcuna del corpo essere non possono. L'ordine de'membri, non è membro alcuno :
perchè lo ordine è in tatti. i membri, o nessun membro in tutti i membri si
ritrova. Aggiugnesi che lo ordine non è altro che conveniente distanza delle
parti; e la distanza ė o nulla , o vacuo , o un tratto di lince. Ma chi
dirà le linee essere corpo? Conciossinchè manchino di latitudine, e di profondità
, necessarie al corpo. Oltre a questo il modo non è quantità, ma è termine di
quantità. I termini sono superficie, linee, punti, le quali cose non avendo
profondità non si debbono corpi chiamare. Collochiamo ancora la spezio non
nella materia, ma nella gioconda concordia di lumi, ombre e linee. Per questa
ragione si mostra essere il bello dalla materia corporale tanto discosto, che
non si comunica a essa materia, se non è disposta con quelle tre preparazioni
incorporali, le quali abbiamo narrate. Tre mondi pongono (i Platonici): tre
ancora saranno i caos. Prima che tutte le cose è Iddio autore di tutto, il
quale noi esso Bene chiamiamo. Iddio prima crea la mente angelica : dipoi
l'anima del mondo come vuole Platone: ultimamente il corpo dell' Universo. Esso
sonimo Iddio non si chiama mondo, perchè il mondo significa ornamento di molte
cose composto : ed cgli al tutto semplice intendere si debbe. M:: esso Iddio
affermiamo essere di tutti i mondi principio e fine. La mente angelica è il
primo mondo fatto da Dio; il secondo è l'anima dell'universo, il terzo è tutto
questo edifizio che noi veggiamo. Certamente in questi tre mondi, ancora tre
caos si considerano. In principio Iddio creò la sostanza della mente angelica,
la quale ancora noi essenza nominiamo. Questa nel primo momento della sua
creazione è senza forme e tenebrosa: ma perchè ella è nata da Dio, per un certo
appetito innato , a Dio suo principio si rivolge: voltandosi a Dio, dal suo
raggio è illustrata, e, per lo splendor di quel raggio, s'accende l'appetito
suo. Acceso tatto a Dio si accosta ; 'accostandosi piglia le forme; imperocchè
Iddio che tutto può, nella mente che a lui si accosta, scolpisce la natura di
tutte le cose, che si creano. In quella adunque spiritalmente si dipingono
tutte le cose che in questo mondo sono. Quivi le spere de' cieli, e degli
elementi, quivi le stelle, quivi la natura de' vapori, le forme delle pietre ,
de' metalli, delle piante, e degli animali si generano. Queste spezie di tutte
le cose, da divino aiuto, in quella superna mente concepute, essere le idee non
dubitiamo ; e quella forma e idea de' cieli, spesse volte Iddio cielo
chiamiamo; e la forma del primo pianeta Saturno, e del secondo Giove, e
similmente si procede ne' pianeti che seguitano. Ancora quella idea di questo
elemento del fuoco si chiama Iddio Vulcano, quella dell'aria Junone, e
dell'acqua Nettuno, e della terra Plutone ; per la qual cosa, tutti gli dei
assegnati a certe parti del mondo inferiore, sono le idee di queste parti in
quella superna mente adunate. Ma innanzi che la mente angelica da Dio
perfettamente ricevesse le idee, a lui si accostò; e prima che a lui si
accostasse, era già di accostarsi acceso lo appetito suo ; e prima che il suo
appetito si accendesse, aveva il divino raggio ricevuto : e prima che di tale
splendore fosse capace , lo appetito suo naturale a Dio suo principio già si
era rivolto E il suo primo voltamento a Dio è il nascimento d'amore; la
infusione del raggio, il nutrimento d'amore, e lo incendio che ne seguita,
crescimento d'amore si chiama. Lo accostarsi a Dio è lo impeto d'amore ;
[ocr errors] la sua formazione è formazione d'amore, e lo adunamento di tutte
le forme e idee i latini chiamano Mondo, e i greci Cosmo, che ornamento
significa. La grazia di questo mondo e di questo ornamento è la bellezza alla
quale subitamente che quello amore fu nato, tirò e condusse la mente angelica ,
la quale essendo brutta (caos) per suo mezzo bella divenne. Però tale è la
condizione di amore che egli rapisce le cose alla bellezza, e le brutte alle
belle aggiugne. Amore legame universale. Secondo che mostrammo, questo
desiderio di amplificare la propria perfezione, che in tutti è infuso, spiega
la nascosta e implicata fecondità di ciascuno, mentre che costringe germinare
fuori i semi : e le forze di ciascheduno trae fuori : concepe i parti , e quasi
con chiave apre i concetti e produce in luce. Per la qual cosii, tutte le parti
del mondo, perchè sono opera di uno artefice, e membri di una medesima
macchina, tri se in essere e vivere simili, per una scambievole caritii insieme
si legano. In modo che meritamente si può dire lo Amore nodo perpetuo, e
legaine del mondo, e delle parti sue immobile sostegno, e della universa
macchina primo fondameuto. Bonghi ha intrapreso sino dalla sua giovinezza il convito.
Le implicature di Bonghi non valgono solo per lo sforzo quasi sempre felice di
rendere i pregi mirabili del convito, segnatamente di quelli che si distinguono
maggiormente per la forma arguta, agile e briosa del conversare, ma ben anco
per gli studi profondi che da ellenista consumato e da pensatore acuto e
vigoroso, egli ha compiuti sul testo e sulla dottrina del grande filosofo, e
che in varia maniera e intento diverso di scritti, allargano la sua
pubblicazione alle proporzioni di un commento filologico e filosofico, nonché
di una illustrazione storica della dottrina dell’amore. L'erudizione di cui
Bonghi dispone e a cui non isfugge nulla delle letterature straniere che
risguardi l’Ellenismo in generale e particolarmente la filosofia romana, gli permette
di trattar il soggetto in guisa da abbracciare i risultati delle ullime
ricerche e della critica più recente. La distribuzione di questo volume, che è
il sesto pubblicato, benchè porti la cifra IX e tale debba esser il suo posto
nell'intera versione dei Dialoghi, può dare un'idea del modo di procedere in
questi lavori. Bonghi apre il convito con un messagio ad un ignoto in cui si
discorre con quello spirito arguto e vivace e veramente romano che tutti
riconoscono nel Bonghi, dell'amore che, nonstante un titolo diverso, forma veramente
la sostanza del convito, non senza toccare lo scabroso argomento degli amori
greci e far intendere con delicatezza perchè la dedica di un tal dialogo non potesse
rivolgersi ad un ignore, ma dovesse, per così dire, farsi in petto e rimanere
misteriosa. Non possiamo trattenerci sulla rapida scorsa data da Bonghi in
questa prefazione alla storia della dottrina dell’amore, ovveramente sugli
accenni ch'egli fornisce a chi vorrà intraprenderla. Ci basti rilevarne queto
tratto che, a suo avviso, la dottrina dell'amore assai probabilmente non
sarebbe nata senza la depravazione del bisogno e del sentimento che ha spinto l'animo
di Socrate a sublimare tanto l'amore, quanto nei costumi romani, era divenuto
basso e turpe; congettura suggerita certamente da un fatto storico e dalla sua
connessione con una grande filosofia, ma che può parere soverchia considerando
che la dialettica romana eleva lo spirito dal finito all'infinito per le due
vie unite del pensiero e dell'amore, il cui oggetto comune è l'idea. Non v'ha
dubbio che il vizio dell’amore ‘volgare’ combattuto da Socrate porse
un'occasione e una forma particolare allo svolgimeno e sopratutto alla esposizione
di questa dialettica. Ma essa è talmente connaturata all'intero corpo della
dottrina dell’amore e e penetra del suo influsso talmente la psicologia filosofica,
da permettere di vedere nella salita dell'amore in dio una parte della su’essenza.
Anche senza gli amori cosi detti romani, il sentimento umano avrebbe sempre
offerto nelle sue inevitabili deviazioni qualche altra occasione a questa dottrina. Dopo
la prefazione anzidetta viene nel volume un proemio nei quali si tratta successivamente
del convito di Senofonte, del convito di Platone, del paragone dei due conviti,
della dottrina esposta nel convito di Platone, poi della storia della dottrina
dell’amore affini in Aristotele (amore del amico, amicizia, l’aporia
dell’amicizia), negli Stoici e negli Epicurei, e nel Paganesimo rinascimentale.
Seguono copiose ed erudite note alla prefazione ed al proemio, poi il Convito
platonico e il convito di Senofonte, ugualmente accompagnate da note e
commenti. Con molta acuratezza ed analisi finissima, si espone il soggetto e
l'ordito del convito senofonteo mostrando come bensi l'arte non vi sia
estranea, ma come anche vi si ritragga un fatto realmente avvenuto coi
personaggi che vi presero parte. Senofonte può avere abbellito o modificato in
qualche parte i discorsi che vi furono tenuti, ma egli ne ha, senza dubbio,
riferita la sostanza e conservato il carattere. Callia, Autolico, Antistene,
Socrate e gli altri vi assistettero e vi presero la parola e doveltero farlo in
modo conforme all'indole nota di ciascuno. Inducono tanto più a crederlo il
modo, il soggetto e l'ordine vario dei discorsi di questo Convito. Ciascuno dei
convitati parla di ciò di cui più si tiene, di guisa che se la relazione di
Callia col giovane Autolico porge occasione a discorrere dell'amore, e l'amore
ne diventa tanta parte, ognuno peraltro loda ciò che è più conforme al suo
gusto e gli pare più degno. Il vero scopo del convito senofonteo è di
mostrare uno degli aspetti molteplici della personalità di Socrate e
precisamente di dipingerla quale era in una allegra brigata fra amici che si
ricambiano piacevolmente lo scherzo. E difatto Socrate vi è chiamato ruffiano,
ed egli stesso accetta e si piace di essere chiamato cosi e si tiene del suo
ruffianesimo più che di ogni altra cosa, ma la sua arte di mezzano è altamente
morale e civile. Essa intende a mettere ciascuno in relazione col proprio
spirito, e gl'individui che meritano le sue premure in relazione gli uni cogli
altri in modo da porre concordia di virtù e d'amore fra i cittadini, amicandoli
con sè stessi e rendendoli utili alla patria. Essa è ben più ri-formatrice dei
costumi romane relativi all'amore, e tale appare negli atti e nei discorsi di
Socrate riferiti in questo convito, poichè egli, olre allo insegnare il modo di
volgere al bene intellettuale e civile l'amore pei fanciulli
spiritualizzandolo, per cosi dire, mostra chiaramente di condannarlo nella sua
parte materiale coll'additare la legittima via segnata dalla natura alla
passione amorosa. Il convito di Platone deve essere succeduto al convito del
suo con-discepolo Senofonte. I personaggi non sono i medesimi che quelli del
convito senofonteo. L'ordine dei discorsi non è libero come in quello, nè il
soggetto loro vario e a scelta, ma l'uno e l'altro sono prestabiliti secondo il
disegno di svolgere nei suoi vari aspetti l'argomento filosofico sull’amore; il
quale successivamente da Fedro, da Pausania, da Erissimaco, da Aristofane, da
Agatone e da Socrate -- che riferisce un altro dialogo -- è considerato, descritto
e lodato come un dio e come un sentimento, un simbolo mitico e un fatto fra
l’amante e l’amato, ora come forza cosmica e funzione essenziale della vita
universale, principio della generazione e della perpetuità delle specie, ora
nel mito festevolmente inventato da Aristofane come mezzo di completare la
nostra imperfetta natura mediante l'unione delle facoltà e delle attitudini che
ci mancano e il cui complesso si trova in origine fuso nella unità della
essenza umana primitiva, finalmente come mezzo d'innalzarsi, dietro la scorta
delle idee, dal bello individuale o particolare alla unità di sua specie e di
suo genero. Noi non possiamo riprodurre dalla dotta e particolareggiata
esposizione del Bonghi questi discorsi. Ci limiteremo a riferire i gradi della
scala dialettica segnati, nel discorso Socrate per salire all'ultimo oggetto
dell'amore. La corpo bello è il primo scalino. Ma in questo primo passo è un singolo
corpo bello quello a che muove l'amante. Un secondo gradino consiď ste nel distaccarsi
dal corpo bello singolare, considerando il bello che splende nel singolo corpo.
C’e un genero del corpo bello. Questo fatto ha occasione di montare un terzo
gradino. Questo e la comparazione generale e superior di una multitudine di
corpi belli singolari. Il quarto gradino e l’orgasmo mistico dell’amante altre
il singolare corpo bello iniziale dell’amato. L'azione ch'egli esercita su questa,
intrattenendola con ragionamenti adatti a renderla migliore e ricercandone di
tali, gli è motivo a riconoscere che v'ha un genero del bello, il quale
irraggia del pari (ogni condotta di vita e ogni prescrizione di legge. Questo e
il quinto gradino. Dal quale l'ascensione prossima è alla contemplazione del
bellissimo, ch'è sesto gradino. A questo punto egli ha già contemplate
molte corpi belli; s'è già distaccato da ogni corpo bello singolo; si ha già
liberato da ogni attaccamento particolare; sicchè è già in grado di contemplare
un bello, che su tutte « tal bello s' elevi e tutto le raduni, e acquistarne
scienza. Questo è il gradino settimo. Ma v'ha ancora più in su di quea sto, un
bello, in cui ogni molteciplità o differenza si consuma e spira. Dal bello di
cui vi ha scienza, vi s'ascende, (e colla contemplazione di esso si giunge al
sommo della « scala. Che natura ha questo bello supremo ? Perenne, immutabile, perfetto,
senza principio nè fine, sovrasensia bile inaccessibile a ragionamento o a
scienza, comuni cabile a ogni cosa integro sempre e non accresciuto (nè
scemato mai. Qui è il fine e la beatitudine della vita, qui è la fonte d'ogni
virtù vera. Nella contemplazione di questo bello si a raggiunge la maggiore
intrinsichezza col divino, e si diventa davvero immortali. Prima di giungere a
tanta altezza di pensiero e di esporre il processo dialettico di Socrate e
servendosi del suo metodo, tratteggia un'analisi di psicologia filosofica sull’amore
che s’inizia con la percezione dell’amante del corpo bello dell’amato -- in due
modi e cioè in termini concettuale e sotto i colori del mito giungendo col
primo alla definizione o concetto che ‘amore’ e ‘desiderio’ – ma un desiderio
specifico: di generare nel corpo bello. Questo concetto e simbolizzato nel mito
che representa l’amore come partorito dalla povertà unita al Dio Poro (Acquisto)
nel giorno in cui gli dei celebravano il natalizio di Venere. Quindi la natura
dell’amore: demone e non dio. Ma di tramezzante fra l’amante e l’amato sempre
povero e ricco insieme, pel bisogno che soddisfatto rinasce e si perpetua nella
vita perenne della specie dell’uomo. Il mito suddetto fece credere a parecchi
interpreti e critici che Platone quivi, come in altri luoghi, ricorresse a
invenzioni poetiche, quasi per nascondere la sua impotenza di arrivare
coll’analissi concettuale la perfezione espositiva delle parti più astruse
delle sue dottrina dell’amore. Ma al Bonghi sembra, e secondo noi con
ragione, che la spiegazione si trovi nel doppio aspetto dell'ingegno
tutt'insieme concettuale e figurative di lui. Questo e per esporre sotto forma
di iniziazione una dottrina esistente ancora allo stato di intuizione e non sviluppata.
Lo spazio ci manca per seguire l'autore nelle vicende dottrinali subite dal
concetto dell'amore nelle scuole sopraenumerate che il Bonghi conduce colla sua
solita perizia ed erudizione fino agli ultimi tempi del Paganesimo
rinascimentale di Ficino. Altre
opere: Il
genio di Aristotele. Discorso, Tip. delle Muse, Firenze, Stato e relazioni
della volontà, della coscienza e della personalità nel sonno, «Il Cimento», Della
filosofia e del metodo di Rosmini, «Il Cimento», Della filosofia del diritto
presso Aristotele, «Il Cimento», Estr.: Tip. Franco, Torino, Intorno alla
filosofia esposta nelle Confessioni del Mamiani e alle dottrine platoniche,
«Riv. cont.», Sulle dottrine platoniche e sulla loro conciliazione colle
aristoteliche. Lettera a T. Mamiani, «Riv. cont.», Estr.: Torino, Sulle
attinenze della filosofia e sua storia colla libertà e coll'incivilimento.
Prolusione a un corso di storia della filosofia, Tip. Niccolai, Firenze, Ciò
che possa la Filosofia per l'istituzione civile dei popoli. Discorso inaugurale
per la riapertura del R. Istituto di Studi Superiore di Firenze, Firenze, Rec.
di P. L. da Savigliano, La filosofia di Bossuet; di S. Turbiglio, Storia della
filosofia; di C. Cantoni, G. B. Vico, NA, La libertà del pensiero e la
filosofia nelle università italiane, NA, L’epicureismo e l’atomismo.
Considerazioni storico-critiche a proposito di un libro recente, FSI, IEstr.:
Cellini, Firenze, Le Meditazioni cartesiane rinnovate nel sec XIX da T.
Mamiani, NA, L'arte della rinascenza e i suoi recenti critici, NA, Il
materialismo e la scienza moderna, NA, Rec. di Sesto Empirico, Delle
istituzioni pirroniane. Libri tre, tradotti da S. Bissolati, Imola, Anassagora
e la filosofia greca prima di Socrate, Polemica contro il materialismo, FSI, Rec. di R. Bobba, La protologia di Ermengildo
Pini, Torino, FSI, Vico e la filosofia della storia [Rec. di C. Cantoni, Studi
critici e comparativi; P. Siciliani, Sul rinnovamento della filosofia positiva
in Italia; T. Mamiani, Principii di cosmologia (Teorica del progresso), FS, Vinci
e la filosofia dell'Arte. Discorso, Unione tipogr. editr., Torino, Rec. di F.
Fiorentino, Pietro Pomponazzi. Studi storici su la scuola bolognese e padovana
del sec. XVI con molti documenti inediti, Firenze, ASI, sEstr.: Cellini,
Firenze, Niccolò di Cusa e la filosofia della religione, NA, Le forme del
pensiero filosofico o il metodo, FSI, IIl senso comune nella filosofia e sua
storia, FSI, IEstr.: Bernabei, Roma, Dei giudizi sintetici a priori nelle dottrine
italiane, FSI, Rec. di G. E. Kirchmann, La teorica del sapere, FSI, Filosofia
della Religione. Sulle attinenze della religione e della filosofia e sulla
incomprensibilità divina. Lettera al Conte Mamiani, FSI, Rec. di F. Fiorentino,
La filosofia della natura e le dottrine di Bernardino Telesio, Firenze, FSI, Estr.:
Paravia, Torino Del principio e concetto di ‘causa’ nella scuola di Herbart,
FSI, Vinci filosofo. Vita e scritti secondo nuovi documenti, NA, Vinci e l'idea
del mondo nella Rinascenza, NA, L'ultimo libro di Strauss e i suoi critici, La
forma del pensiero filosofico e l'ideale platonico della filosofia, FSI, Janet,
La dottrina dell'amore secondo Platone, FSI, Estr.: Tip. Paravia, Roma, L'evoluzione
storica dell'idea dell'anima e i sistemi filosofici, NA, Importanza della
psicologia nella filosofia moderna, FSI, La coscienza. Studio psicologico e
storico, FSI, L’Avvenire, Herbart, NA, Sulle vicende della filosofia in Roma.
Discorso, Tip. Civelli, Roma, Il metodo psicologico e lo studio della
coscienza, FSI, Cenni biografici su Giuseppe Ferrari, «Acc. Lincei. Memorie», Estr.:
Tip. Salviucci, Roma, La psicologia di Pietro Pomponazzi, secondo un
manoscritto della Biblioteca Angelica di Roma, T, 3, 8, intitolato: Pomponatius
in libros de anima. Memoria del prof. Luigi Ferri, «Acc. Lincei. Memorie», Estr.: Salviucci,
Roma, Sulle vicende della fìlosofia in Roma. Discorso per la inaugurazione
degli studi nella Università di Roma «Annuario Univ. di Roma». Estr.: Civelli,
Roma, La questione dell'anima nel Pomponazzi, FSI, Estr.: Tip. dell'Opinione, Roma, “L'io e la
coscienza di sé”, (Grice’s “The I”), FSI,
L’epicureismo, Firenze, NA,I Limiti dell'idealismo, FSI, L'Idea, FSI, Sulla
dottrina psicologica dell'associazione considerata nelle sue attinenze colla
genesi delle cognizioni. Saggio storico critico, «Acc. Lincei. Memorie», Estr.:
Tip. Salviucci, Roma, La psicologia dell'associazione dall'Hobbes ai nostri giorni,
Bocca, Roma, Rec. di G. Allievo, Il problema metafisico studiato nella storia
della filosofia dalla scuola ionica a Giordano Bruno(«Acc. Scienze Torino.
Memorie», FSI, “L'assoluto”, FSI, Cicerone
sui Doveri. Conferenza, FSI,Rec. di A. Conti e G. Rossi, Esame della filosofia
epicurea nelle sue fonti e nella storia, Firenze, FSI, L’Accademia Platonica
fondata in Firenze dai Medici. «Acc. Lincei. Transunti», FSI, Helmholtz sulla
percezione, FSI, Delle Idee e propriamente della loro natura, classificazione e
relazione, FSI, Il Positivismo e la
Metafisica (L'essenza delle cose), Estr.: Salviucci, Roma, Mamiani sulla
religione, NA, L'Accademia romana di S. Tommaso d'Aquino e l'istruzione
filosofica del clero, NA, s. II, vol. XXIV, 1880, pp. 613-635.
1880-1881 - Sulla recente restaurazione della filosofia scolastica e
tomistica considerata in ordine ai metodi degli studi ed alle attinenze dei
sistemi colla scienza e colla storia, «Acc. Lincei. Transunti», Vera, «Acc.
Lincei. Transunti», Sulla percezione esteriore e sul fenomeno sensibile, «Acc.
Lincei. Transunti», Rec. di Documenti intorno a Giordano Bruno, a cura di D.
Berti, Roma, FSI, La filosofia d’Aquino, FSI, Petrarca e il suo influsso sulla
filosofia del Rinascimento FSI, 316-340.
Estr.: Salviucci, Roma, FSI, Zanotti, La
filosofia morale di Aristotele. Compendio. Con note e passi scelti dell'Etica
Nicomachea per cura di L. Ferri e F. Zambaldi, G. B. Paravia e Comp., Torino, Dottrina
aristotelica del bene e sue attinenze colla civiltà greca e italiana, FSI, Spaventa,
«Acc. Lincei. Transunti», Relazione sul concorso al premio reale per le Scienze
filosofiche, «Acc. Lincei. Transunti», Il fenomeno nelle sue relazioni con la
sensazione, la percezione e l'oggetto, FSI, Ficino e la ‘causa’ della
rinascenza del platonismo nel quattrocento [unita longitudinale della filosofia
– la struttura delle revoluzione filosofiche] FSI, Vinci, NA, Il concetto di
sostanza e sue relazioni coi concetti di essenza, di causa e di forza. Come
contributo al dinamismo filosofico, «Acc. Lincei. Memorie», s«Acc. Lincei.
Rendiconti», Estr.: Salviucci, Roma, Il platonismo del Ficino, FSI, La dottrina
dell’amore del Ficino, Una lezione elementare di psicologia. Fatti psichici e
fatti fisici, FSI, La giustizia nella repubblica utopica di Platone. A
proposito di recenti pubblicazioni, Storia della filosofia. Il platonismo di
Marsilio Ficino. Le idee e la dialettica. La dottrina dell'amore, FSI, Estr.:
Salviucci, Roma, Le malattie della memoria e la sostanzialità dell'anima, FSI,
Psicologia. I fatti psichici e i fatti fisici, Ercole, «Acc. Lincei.
Rendiconti», Conti, «Acc. Lincei. Rendiconti», sVera, «Acc. Lincei. Rendiconti»,
“Il concetto di sostanza e sue relazioni coi concetti di essenza, di ‘causa’ e
di forza. Contributi al dinamismo filosofico. Memoria, Salviucci, Roma - Di
alcuni uffici della filosofia nelle condizioni morali del nostro tempo, FSI, La
psicofisiologia dell’ipnotismo), FSI, Il concetto di persona [cf. person and
personality – Grice’s transubstantiation], FSI, Rec. di A. Chiappelli, Del
suicidio nei dialoghi di Platone, FSI,
Mamiani, Lincei, «Acc. Lincei.
Rendiconti», Estr.: Tip. della R. Accademia dei Lincei, Roma, Delle condizioni
del sistema filosofico nel nostro tempo, «Acc. Lincei. Rendiconti», Mamiani,
RIF, I, Il fenomeno sensibile e la percezione esteriore, ossia i fondamenti del
realismo, «Acc. Lincei. Memorie», Estr.: Tip. Acc. Lincei, Roma, Il monismo
filosofico, RIF, Rec. di A. Chiappelli, La cultura storica e il rinnovamento
della filosofia, RIF, ILettera a Pennisi-Mauro, RIF, Rec. di D. Levi, Giordano
Bruno o la Religione del pensiero. L'uomo, l'Apostolo e il martire, RIF, «Acc. Lincei. Rendiconti», Rec. di E. Dal
Pozzo di Mombello, L'evoluzione geologica inorganica animale ed umana, RIF, Le
lauree in filosofia, RIF, Della idea del vero e sua relazione colla idea
dell'essere, «Acc. Lincei. Rendiconti», «Acc. Lincei. Memorie», Estr.: Tip.
Salviucci, Roma, La filosofia politica in Aristotele, RIF, Rec. di M. Panizza,
La fisiologia del sistema nervoso e i fatti psichici, Roma, RIF, La definizione
del concetto, RIF, Rosmini e il decreto del Sant'Uffizio, Il Convito di Platone
tradotto da R. Bonghi, Roma, RIF, Della idea dell'essere, «Acc. Lincei.
Memorie», Estr.: Tip. Acc. Lincei, Roma, Berti, «Acc. Lincei. Rendiconti», Benzoni,
«Acc. Lincei. Rendiconti», La psicologia fisiologica e l'origine dei fatti
psichici, NA, sFranchi, NA, La dottrina della cognizione nell’hegelianismo
secondo Spaventa, RIF, La dottrina della conoscenza nell'Hegelianismo, RIF, Rec.
di E. Colini, Mamiani, Jesi, RIF, Rec. di D. Berti, Giordano Bruno da Nola, sua
vita e sue dottrine. Nuova edizione riveduta e notabilmente accresciuta,
Torino, RIF, Rec. di L. Credaro, Lo scetticismo degli Accademici, Le fonti - la
storia esterna - la dottrina fondamentale, Roma, RIF, Iordani Bruno Nolani
Opera inedita, manu propria scripta, RIF, Sui sistemi unitario e trinitario
dell'essere, RIF, Cenni bibliografici di pubblicazioni filosofiche di Tocco,
«Acc. Lincei. Rendiconti», - F.
Cicchitti-Suriani, Della dottrina degli affetti e delle passioni secondo la
filosofia stoica: saggio storico di psicologia morale con prefazione di L.
Ferri, Tip. Aternina, Aquila,Intorno al Pitagorismo in Italia, Nota, «Acc.
Lincei. Rendiconti», Estr.: Roma, Il problema della coscienza divina in
‘Esperienza e metafisica’ di Spaventa, RIF, Rec. di C. Lessona, Elementi di
Morale Sociale ad uso dei Licei (3° corso) e degli Istituti Tecnici, compilati
secondo gli ultimi programmi, RIF, L'Accademia Platonica di Firenze e le sue
vicende, NA, Estr.: Roma, Carle, «Acc. Lincei. Rendiconti», Della conoscenza
sensitiva, RIF, Alcune considerazioni sull’eclettismo, RIF, VAlcune
considerazioni sulle categorie, «Acc. Lincei. Rendiconti», Il Teeteto, tradotto da Bonghi, Roma NA, La
percezione intellettiva e il concetto, «Acc. Lincei. Rendiconti», Rec. di G.
Zuccante, Saggi filosofici, Renan, «Acc. Lincei. Rendiconti», Taine, «Acc.
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Taine, RIF, Moleschott, RIF, Il carattere dello spirito italiano nella
storia della filosofia, NA, La psicologia dell'associazione da Hobbes ai nostri
giorni, Bocca, Roma); Estr.: Tip. Balbi, Roma); “Il carattere nazionale e il
classicismo nell’etica degli italiani, NA, Estr.: Tip. Forzani e C., Roma, Rec.
di F. Maltese, Socialismo, RIF, “L'evoluzione filosofica dell'idea dell'anima e
i sistemi filosofici” RIF; Cenno su Giuseppe Ferrari e le sue dottrine, in G.
Ferrari, La mente di G. D. Romagnosi, Libreria Editoriale Milanese, Milano, a
cura di O. Campa, La Voce, Firenze 19243. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Treccani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Luigi Ferri. Keywords: fisiologia dell’amore come desiderio –
psicologia filosofica dell’amore – l’amore e una specie di desiderio – con
relazione alla percezione dell’amante del corpo bello dell’amato --. il convito
di Platone nella traduzione di Bonghi ‘’ “Il convito di platone tradotto da R.
Bonghi” RIF, Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Ferri” – The Swimming-Pool Library.
Ficino. (Figline
Valdarno). Filosofo. Grice: “If Ficino had JUST commented on Plato’s symposium
that would be already a magnificient achievement! So Renaissance – it taught
the Romans and the Italians, and us, that the dialogue IS the philosophical
form per tradition, whatever Cicero tried!” Figlio di
Diotifeci d'Agnolo e da Alessandra di Nanoccio, studia a Firenze sotto
Bernardi, Comandi, Castiglione e Tignosi – filosofo aristotelico autore di “De
anima” e di “De ideis”. Conseguenza di questo è la “Summa philosophiae”,
dedicata a Mercati in cui tratta di fisica, di logica, di Dio e di aliae multae
quaestiones. Nella dedica a Mercati, scrive di volerlo introdurre “a quegli
studi che devono impegnare la nostra età, secondo la regola del nostro
Platone.” Studia Epicuro e Lucrezio, scrivendo i Commentariola in Lucretium, il
De voluptate ad Antonium Calisianum, il De virtutibus moralibus e il De
quattuor sectis philosophorum, dove tratta di questioni morali e dell'anima
riportando opinioni platoniche, aristoteliche, epicuree e stoiche, e
l'exercendae memoriae gratia, come esercitazione mnemonica e senza pretese
sistematiche. Scrive vari libri di Institutionum ad platonicam
disciplinam, tratti da fonti latine e per questo motivo trascurati per la
sentita esigenza di abbeverarsi alla diretta fonte greca. Sembra che il suo
interesse al platonismo abbia indotto Pierozzi, preoccupato di possibili deviazioni
del Ficino verso eresie platoniche, a consigliargli di studiare l'opera d’Aquino
a Bologna. Ma la permanenza a Bologna non è documentata e resta certo
l'ininterrotto interesse per la filosofia platonica. Traduce Alcinoo,
Speusippo, i versi attribuiti a Pitagora e l'Assioco attribuito a Senocrate.
Tradotti gli inni di Orfeo, di Omero, di Proclo e la Teogonìa di Esiodo, riceve
in dono da Cosimo de' Medici un codice platonico e una villa a Careggi, che
divienne sede del circolo dei “Platonisti”, fondato dallo stesso Ficino per
volere di Cosimo, con il compito di studiare la filosofia di Platone e dei
platonici, al fine di promuoverne la diffusione. Qui inizia la traduzione dei
Libri ermetici, portati in Italia da da Leonardo da Pistoia. La sua opera di
traduzione avrà un notevole influsso nella filosofia rinascimentale. Vede in
quella sapienza antica la presenza di una rivelazione, di una pia philosophia
che si è attuata nel Cristianesimo ma della quale l'umanità di tutti i tempi
era sempre stata partecipe. Nella dedica a Cosimo, scrive che Ermete
Trismegisto per primo disputò con grandissima sapienza della maestà divina,
della gerarchia degli spiriti (daemonum ordine) della trasmigrazione delle
anime. Per primo fu chiamato teologo. Lo seguì, secondo teologo, Orfeo, poi
Aglaofemo, Pitagora e Filolao, maestro del nostro divino Platone. Esiste
dunque, una concorde e antica tradizione teologica, una priscae theologiae
undique sibi consona secta, che nasce con Ermete e culmina con Platone. La «pia
filosofia», antitetica alle correnti di pensiero atee e materialiste, si
propone di sottrarre l'anima dagli inganni dei sensi e della fantasia per
elevarla alla mente; questa percepisce la verità, l'ordine di tutte le cose, sia
esistenti in Dio che emanate da Lui, grazie all'illuminazione divina, affinché
l'uomo, tornato fra i suoi simili, possa renderli partecipi delle verità
rivelategli dalla fonte divina (divino numine revelata). La sua
traduzione latina del Corpus hermeticum, già tradotto in volgare da Benci, viene
stampata. Inizia la traduzione latina dei dialoghi platonici, e vi aggiunge i
suoi commenti, al Filebo, al Fedro e al Convivio (tradotto anche in italiano),
al Timeo, e al Parmenide. Stende l'opera più importante, i diciotto libri
della Theologia platonica de immortalitate animarum, dedicata a Lorenzo de' Medici.
Compone la Religione cristiana, in italiano, di cui darà poi la versione latina
nella De christiana religione. Scrive la Disputatio contra iudicium astrologorum
e viene dato alle stampe il suo Consiglio contro la pestilenza, dopo il flagello
dell'epidemia. Inizia la traduzione delle
Enneadi di Plotino e traduce le opere di Giamblico, Proclo, Prisciano, Porfirio,
Sinesio, Teofrasto, Psello, la Mistica teologia e i Nomi divini dello
Pseudo-Dionigi, e i frammenti di Atenagora. Con questo ampio corpus platonico persegue
la sua teorizzazione della continuità della tradizione teologica da Ermete ai
platonici prolungatasi attraverso Dionigi Areopagita, Agostino, Apuleio,
Boezio, Macrobio, e Bessarione. I tre libri del De vita gli procurano accuse di
magia dalle quali si difende con un'Apologia. Pubblica dodici libri di
Epistulae che comprendono anche opuscoli come il De furore divino, la Laus
philosophiae, il De raptu Pauli, le Quinque claves Platonicae sapientiae, il De
vita Platonis, i De laudibus philosophiae, l'Orphica comparatio Solis ad Deum,
la Concordia Mosis et Platonis, gli Apologi de voluptate quattuor. Scrisse
un Commento a San Paolo. È noto come
Aristotele concepisca l'essere umano come sinolo, unità ordinata e
indissolubile di materia e forma, di corpo e anima, cosicché il suo principale
commentatore dell'antichità Alessandro di Afrodisia poteva ben dedurne
esplicitamente la mortalità dell'anima contemporanea a quella del corpo. Al
contrario, Platone ha già distinto le due sostanze, concedendo all'anima una
vita separata e indipendente dal destino del corpo. A questa concezione
aderisce Ficino, che in polemica contro Aristotele esalta la dottrina
platonica, al punto da interpretarla come una forma di religiosità propedeutica
alla fede cristiana. La sua Theologia platonica o De immortalitate animarum si
apre dunque con un «Soluamus obsecro
caelestes animi caelestis patriae cupidi, soluamus quamprimum uincula compedum
terrenarum ut alis sublati Platonicis, ac Deo duce, in sedem aetheream liberius
peruolemus, ubi statim nostri generis excellentiam feliciter contemplabimur. Liberiamoci
in fretta, spiriti celesti desiderosi della patria celeste, dai lacci delle
cose terrene, per volare con ali platoniche e con la guida di Dio, alla sede
celeste dove contempleremo beati l'eccellenza del genere nostro” (Ficino,
Theologia Platonica). Per comprendere la sostanza
dell'anima è necessario comprendere la struttura dell'universo, composto da
cinque livelli gerarchici: Dio; gli angeli; le anime; le qualità; la
materia. Al grado inferiore sta la materia, concepita come pura quantità.
La materia non ha di per sé nessuna forza che possa
produrre le forme», diversamente da chi la concepisce come «sostanza
produttrice di forme, fonte piuttosto che soggetto delle forme. È la qualità il
principio formale che dà sostanza alle realtà corporee, grazie a «una sostanza
incorporea che penetra attraverso i corpi, della quale sono strumento le
qualità corporee»: questa sostanza incorporea nell'uomo si eleva al rango di
anima «che genera la vita e il senso della vita anche dal fango non vivente.
Al di sopra delle anime sono gli angeli. Sopra quelli
intelletti che alli corpi s'accostano, cioè l'anime ragionevoli, non è dubbio
che sono assai menti, dal commercio dei corpi al tutto divise. E se l'intelletto dell'anima è mobile e parte interrotto e
dubbio, l'intelletto angelico è stabile tutto, continuo e certissimo. Al di sopra del tutto è Dio, che è unità, bontà e verità
assoluta, fonte di ogni verità e di ogni vita, è atto e vita assoluta. Dove un continuo atto e una continua vita dura, quivi è un
immenso lume d'una assolutissima intelligenza» che è luce per gli uomini perché
si riflette in tutte le cose. Attraverso Dio «tutte le cose son fatte, e però
Iddio si trova in tutte le cose e tutte le cose si veggono in lui... Iddio è
principio, perché da lui ogni cosa procede; Iddio è fine, perché a lui ogni
cosa ritorna, Iddio è vita e intelligenza, perché per lui vivono le anime e le
menti intendono. Dio e materia rappresentano i
due estremi della natura, e la funzione dell'anima, che è considerata,
diversamente da Aristotele e da Tommaso, realtà in sé e non solamente forma del
corpo, è quella di incarnarsi per riunire lo spirito e la corporeità:
Amore sacro e amor profano (Tiziano): eros come mediatore dei contrary.
L'anima è tale da cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori per
istinto naturale, sale in alto e scende in basso. E quando sale, non lascia ciò
che sta in basso e quando scende, non abbandona le cose sublimi; infatti, se
abbandonasse un estremo, scivolerebbe verso l'altro e non sarebbe più la copula
del mondo Theologia Platonica. La "copula mundi" è l'anima razionale
che ha sede nella terza essenza, possiede la regione mediana della natura»
(obtinet naturae mediam regionem) «e tutto connette in unità». La sua opera
unificatrice è resa possibile dall'amore, inteso come movimento circolare
attraverso il quale Dio si disperde nel mondo a causa della sua bontà infinita,
per poi produrre nuovamente negli uomini il desiderio di ricongiungersi a Lui.
L'amore di cui parla Ficino è l'eros di Platone, che per l'antico filosofo
greco svolgeva appunto la funzione di tramite fra il mondo sensibile e quello
intelligibile, ma Ficino lo intende anche in un senso cristiano perché, a
differenza di quello platonico, l'amore per lui non è solo attributo dell'uomo
ma anche di Dio. Lo stesso Platone viene
interpretato in una chiave di lettura che oggi definiamo piuttosto
neoplatonica, sebbene Ficino non faccia distinzione tra platonismo e
neoplatonismo. Per lui esiste una sola
filosofia, che consiste nella riflessione su quelle verità eterne, le Idee, che
in quanto tali restano inalterate nel tempo e trascendono la storia.
Congiungendo tutti i campi del reale secondo una concezione propria peraltro
dell'astrologia e della magia, a cui Ficino rivolge notevoli interessi in virtù
dell'unione vitale del mondo da essi presupposta, filosofia e religione si
fondono così in una visione d'insieme di reciproca complementarità,
sottolineata anche nell'accostamento di termini come «pia philosophia», o
«teologia platonica». Strumento dell'amore nel suo farsi portavoce dell'uno è
il bello. Nel pensiero di Marsilio Ficino, Gesù Cristo è considerato un maestro
spirituale spirito-guida, inviato da Dio per il bene dell'umanità. Cos'altro
era Cristo se non una specie di manuale di etica, cioè di filosofia divina, il
quale visse come un inviato dal cielo, essendo lui stesso una divina Idea di
virtù, manifestata agli occhi degli uomini. De Christiana religione. Elevando
il cristianesimo a religione suprema, Ficino asserì che l'Incarnazione del
Cristo era avvenuta anche perché Dio si potesse riunire «a tutti gli aspetti
della creazione». Pur esercitando un fortissimo impulso al rinnovamento del
panorama filosofico dell'Europa, in cui da diversi paesi si faceva costante
richiesta delle sue opere, dopo la fine del Rinascimento venne commentato
sempre meno, fino ad essere accusato, immeritatamente, di un ritorno al
paganesimo. In Italia, dove è riconosciuta la sua influenza sull'ermetismo
cinquecentesco, e in particolare su Bruno, e Vico a raccogliere nel Settecento
l'eredità platonica di Ficino, di cui lesse l'opera di traduzione,
rammaricandosi del fatto che la filosofia moderna si fosse allontanata da lui,
rinchiudendosi nelle angustie mentali di Cartesio. Sottoposto ad attacchi nel corso del Novecento che giudicarono
retorici e privi di valore» i suoi scritti, è stato rivalutato como uno
«psicologo del profondo» e «precursore della psicologia junghiana», per il suo
incitamento a leggere e interpretare ogni affermazione proveniente dai campi
più disparati, sia della scienza che della teologia, nell'ottica
dell'esperienza psicologica dell'anima, la quale viene vista cioè come mediazione
e compendio» dell'universo. La conoscenza dell'anima è infatti la quintessenza
del neoplatonismo italiano, in cui giacciono sepolte le fantasie mistiche di
questo strano uomo che suonava inni orfici sul liuto, che studiava la magia e
componeva canti astrologici, quest'uomo gobbo, bleso, politicamente timido,
senza amore, malinconico traduttore di Platone, Plotino, Proclo, Esiodo, dei Libri
Ermetici, autore lui stesso di alcuni tra gli scritti più diffusi e influenti
(Commento al Simposio) e scandalosamente pericolosi (Liber de vita) del suo
tempo. La centralità attribuita da Ficino all'anima, per la quale, ancora
ragazzo, Cosimo de' Medici lo considerava prescelto alla cura delle anime come
suo padre medico lo era dei corpi, convinse che egli ebbe un impatto
paragonabile per estensione ed intensità solo a quello prodotto oggi dalla
psicoanalisi. Notevole è ad esempio l'intuizione di Ficino del potere
psicosomatico nella cura delle malattie, e in quello che la medicina moderna considera
un effetto placebo. Io sono del parere che l'intenzione dell'immaginazione
abbia il suo peso su immagini e medicine, non tanto al momento della preparazione,
quanto in quello dell'applicazione: ad esempio, se un tale, a quel che si dice,
porta indosso un'immagine fatta nei modi debiti, o certamente, se facendo uso
analogo di una medicina, desidera intensamente soccorso da quella e crede senza
ombra di dubbio e spera con incrollabile fermezza, da questo atteggiamento
deriva certo il massimo di incremento all'aiuto che essa può dare. De vita. Altre
opere: “De Voluptate; De Amore o Commentarium in Convivium Platonis; De
religione Christiana et fidei pietate; Theologia Platonica de immortalitate
animarum; Compendium in Timaeum; De triplici vita; De lumine; In Epistolas
Pauli commentaria (Venezia) El libro dell'amore De vita Teologia platonica; Sopra
lo amore ovvero Convito di Platone La religione cristiana Epistolarum
familiarum, liber I. R. Zerilli, Marsilio Ficino: alla lente dell'astrologia,
Edizioni Capone, Ove non diversamente riportato, le notizie sulla vita e la
dottrina ono tratte da Garin, Storia della filosofia italiana, I, Einaudi, Giuseppe Saitta, Marsilio Ficino
e la filosofia dell'umanesimo, Fiammenghi & Nanni, Giornale storico della
letteratura italiana, Francesco Novati, Egidio Gorra, Vittorio Cian, Giulio
Bertoni, Carlo Calcaterra, Loescher, Giorgio Bàrberi Squarotti, Storia della
civiltà letteraria italiana: Umanesimo e Rinascimento, UTET, Giovanni Semprini, I platonici italiani,
Edizioni Athena, La Letteratura italiana: Storia e testi, E. Garin, Riccardo Ricciardi Editore, A.
Della Torre, Storia dell'Accademia Platonica di Firenze, Istituto di Studi
Superiori Pratici e di Perfezionamento in Firenze, Eugenio Garin, Ermetismo del
Rinascimento, Ed. Riuniti, «Primus de
maiestate Dei, daemonum ordine, animarum mutationibus sapientissime disputavit.
Primus igitur theologiae appellatus est autor. Eum secutus Orpheus, secundas
antiquae theologiae partes obtinuit. Orphei sacris initiatus est Aglaophemo
successit in theologia Pythagoras, quem Philolaus sectatus est, divi Platonis
nostri praeceptor. Andrea Cusimano, Storia del pensiero occidentale, Lulu.com,
. L'immenso lavoro di traduzione compiuto da Marsilio Ficino è stato
documentato in particolare da Paul Oskar Kristeller, in Supplementum
ficinianum: Marsilii Ficini florentini philosophi platonici Opuscula inedita et
dispersa, Firenze, Leo S. Olschki, Cfr. anche: Arnaldo Della Torre, Storia
dell'Accademia Platonica di Firenze, Istituto di Studi Superiori Pratici e di
Perfezionamento in Firenze, Alessandro di Afrodisia, L'animaAccattino eDonini,
Roma-Bari, Laterza, Parodos. I sentieri della
ragione, Le divine lettere del gran Marsilio Ficino, S. Gentile, Edizioni di
storia e letteratura, Sopra lo amore o ver' Convito di Platone, G. Ottaviano,
S. Gentile, Trad. in Storia sociale e culturale d'Italia: La cultura filosofica
e scientifica, Guido Ceriotti, Bramante,
IoanCouliano, Eros and the Magic in the Reinassance, University of Chicago
Press,Il termine "neoplatonismo" è stato coniato solo nel XIX secolo
per indicare le interpretazioni platoniche che si erano andate via via
sovrapponendo a partire dall'età ellenistica, ma che erano sempre state
identificate col pensiero stesso di Platone, ritenuto quasi un loro capostipite
(cfr. Cenni sulla tradizione platonica). Sebastiano Gentile, Il ritorno di
Platone, dei platonici e del "corpus" ermetico. Filosofia, teologia e
astrologia nell'opera di Marsilio Ficino, in C. Vasoli, Le filosofie del Rinascimento,
P.C. Pissavino, Milano, Bruno Mondadori, La prospettiva storiografica, di E. Lo
Presti, Università degli Studi di Bologna. Battista Mondin, Storia della
teologia: epoca moderna, Edizioni Studio Domenicano, Citazione da A. C.
Grayling, Una storia del bene. Alla riscoperta di un'etica laica, Storia e
civiltà, Bari, Edizioni Dedalo, Cesare
Vasoli, Quasi sit deus: studi su Marsilio Ficino, Cfr. anche A. Jugegno, Bruno e l'influenza, in
«Rivista critica di storia della filosofia. Hillman, Plotino, Ficino e Vico,
precursori della psicologia junghiana, J. Hillman13, ivi. Aneddoto rintracciabile in Coenobium, Casa Editrice del Coenobium. De vita, trad
it, Edizioni Biblioteca dell'Immagine, Pordenone. Marsilio Ficino, Commentarius
in Convivium Platonis, in Venetia, Giovanni Farri e fratelli, De christiana
religione, Firenze, Nicolò di Lorenzo, Marsilio Ficino, De triplici vita,
Lugduni, apud Gulielmum Rouillium sub scuto Veneto, Theologia Platonica De
immortalitate animorum, Gilles Gourbin, apud Aegidium Gorbinum, Opera omnia,
Torino, Bottega d’Erasmo, Marsilio Ficino, Opere. Lettere e carteggi, in
Vinegia, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, Marsilio Ficino, Opere. Lettere
e carteggi, in Vinegia, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, De vita libri
tres, Albano Biondi e Giuliano Pisani, Biblioteca dell'Immagine, Pordenone, Scritti
sull'astrologia, Ornella Pompeo Faracovi, Milano, Il neoplatonismo nel
Rinascimento, Roma. Il ritorno a Platone, Firenze, con ficiniana). Tamara Albertini, Marsilio
Ficino. Das Problem der Vermittlung von Denken und Welt in einer Metaphysik der
Einfachheit, Monaco, Cesare Catà, Il Rinascimento sulla via di Damasco. Il ruolo
della teologia di San Paolo in Marsilio Ficino e Nicola Cusano, in “Bruniana
& Campanelliana”, Cesare Catà, L'idea di “anima stellata” nel Quattrocento
fiorentino. Andrea da Barberino e la teoria psico-astrologica in Marsilio
Ficino, in “Bruniana & Campanelliana” Gian Carlo Garfagnini, Marsilio
Ficino e il ritorno di Platone. Studi e documenti, Olschki, Garin, Storia della
filosofia italiana, I, Einaudi, James Hankins, Plato in the Italian
Renaissance, Leida, Paul Oskar
Kristeller, Il pensiero filosofico, Firenze,Paul Oskar Kristeller, Il pensiero
filosofico, Le Lettere, T. Moore, Pianeti interiori. L'astrologia psicologica,
Moretti & Vitali, Erwin Panofsky, Il movimento neoplatonico a Firenze e
nell'Italia settentrionale, in Studi di iconologia, Einaudi, Torino), A. Polcri,
L'etica del perfetto cittadino: la magnificenza a Firenze tra Cosimo de'
Medici, Timoteo Maffei e Marsilio Ficino, in "Interpres: rivista di studi
quattrocenteschi" Roma–Salerno, Michele Schiavone, Problemi filosofici,
Milano, Zerilli, Alla lente dell'astrologia, Edizioni Federico Capone, Torino. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Progetto Gutenberg.
di Marsilio Ficino, su Internet Speculative Fiction Database, Al von
Ruff. Marsilio Ficino, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Sito della società ficiniana, su ficino. Marsilio
Ficino: dalla cristianizzazione della magia alla "magicizzazione" del
cristianesimo, su aispes.net. Eugenio Garin , Una sintetica presentazione del
pensiero di Ficino, RAI. James Hillman, Plotino, Ficino e Vico precursori della
psicologia Junghiana , su rivista psicologi analitica. Il mito greco alla corte
dei Medici. IL CONVITE (traduzione al toscano di
Hectore Barrabasa). Apollodoro: Credo proprio di essere ben preparato per
soddisfare la vostra curiosità. L'altro giorno, infatti, venivo in città da
casa mia, al Falero, quando uno che conosco, dietro di me, mi chiama da lontano
in tono scherzoso. Ehi tu, del Falero, Apollodoro, mi aspetti un momento? Mi
fermo e l'aspetto. E quello: Apollodoro, t'ho cercato ovunque. Volevo
domandarti dell'incontro di Agatone, di Socrate, di Alcibiade e degli altri che
erano con loro al simposio, e così sapere quali discorsi lì si sono fatti
sull'amore. Mi ha già raccontato qualcosa un altro, che ne aveva sentito
parlare da Fenice, il figlio di Filippo; mi ha detto che tu eri al corrente di
tutto, ma lui, purtroppo, non poteva dir niente di preciso. E quindi ti prego,
racconta: nessuno meglio di te può riportare i discorsi del tuo amico. Ma
dimmi, per cominciare. Eri presente a quella riunione o no? Si vede bene,
rispondo io, che quel tizio non ti ha raccontato niente di preciso, se credi
che la riunione che ti interessa sia avvenuta da poco, e io abbia potuto
parteciparvi. Io credevo così. Ma com'è possibile, Glaucone? Sono molti anni.
Non lo sai? -che Agatone manca da Atene. E poi sono passati meno di tre anni da
quando io frequento Socrate e sto attento tutti i giorni a quello che dice e che
fa. Prima me ne andavo di qua e di là, credendo di fare chissà che cosa, ed ero
invece l'essere più vuoto che ci sia, come te adesso, che credi che qualsiasi
occupazione sia meglio della filosofia. Non mi prendere in giro, disse, e dimmi
piuttosto quando c'è stata quella riunione. Noi eravamo ancora dei ragazzini,
gli rispondo. Fu quando Agatone vinse il premio con la sua prima tragedia, il
giorno successivo a quello in cui offrì, con i coreuti, il sacrificio in onore
della sua vittoria. Ma allora son passati molti anni. E a te chi ne ha parlato?
Socrate stesso? No, per Zeus, dico io, ma la stessa persona che l'ha raccontato
a Fenice, un certo Aristodemo, del demo Cidateneo, uno mingherlino, sempre
scalzo. C'era anche lui alla riunione: era uno degli ammiratori più
appassionati di Socrate, allora, a quel che sembra. Io poi non ho certo mancato
di chiedere a Socrate su ciò che avevo sentito da Aristodemo. E lui stesso mi
ha confermato che il suo racconto era esatto. E allora racconta, presto. La
strada per la città sembra fatta apposta per chiacchierare, mentre andiamo. Ed
eccoci dunque in cammino, parlando di queste cose. è per questo che sono così
preparato, come v'ho detto all'inizio, per parlarne adesso. Se dunque questo
racconto deve essere fatto anche a voi, son ben felice di farlo. Del resto,
quando parlo io di filosofia, o altri ne parlano in mia presenza, provo la
gioia più grande. Al contrario, quando sento parlare certe persone, e
soprattutto i ricchi, gli uomini d'affari, la gente come voi, allora mi annoio
e ho anche un po' pena per voi, che credete di fare chissà cosa e invece fate
cose che non valgono niente. Da parte vostra, del resto, mi giudicate un
poveretto, e forse lo sono davvero. Ma che siate voi dei poveretti, questo non
lo sapete affatto, e io invece lo so.Amico di Apollodoro: Sei sempre lo stesso,
Apollodoro. Dici sempre male di te e degli altri. Tu hai l'aria di pensare che,
Socrate a parte, tutti gli altri siano dei poveretti, a cominciare da te
stesso. Da dove ti viene il soprannome di Tranquillo, proprio non si sa. Tu non
cambi proprio mai. Ce l'hai sempre con te stesso e con tutti gli altri, a parte
Socrate. Ma carissimo, non è evidente? Questa opinione che ho di me e degli
altri non prova forse quanto sia folle, quanto deliri? Dai, Apollodoro, non val
la pena adesso di star qui a litigare. Fa' piuttosto quel che ti abbiamo
chiesto e raccontaci: che discorsi si fecero quella notte? E va bene, ti
racconterò più o meno cosa si disse. Ma forse è meglio che parta dall'inizio e
cerchi di rifare per voi, a mia volta, il racconto di Aristodemo. Incontrai
Socrate, mi disse, che usciva dal bagno e si era messo dei sandali, contro le
sue abitudini. Gli domandai, dove andasse, visto che si era fatto così bello. E
lui mi rispose, Vado a cena da Agatone. Ieri alla festa in onore della sua
vittoria me ne son venuto via, perché mi dava fastidio tutta quella gente. Ma
ho accettato di andar da lui oggi e così mi son fatto bello. Voglio esser bello
per andare da un bel giovane. E tu? Che ne pensi di venire anche se non sei
stato invitato? Io risposi, Ai tuoi ordini. Allora seguimi, mi disse. Per
questa volta faremo una piccola modifica al proverbio e diremo che le persone
per bene vanno a cena senza invito dalle persone per bene. Del resto anche
Omero non solo l'ha modificato questo proverbio, ma ha quasi rischiato di
capovolgerlo. Rappresenta Agamennone come un guerriero di prim'ordine e Menelao
come un guerriero senza coraggio. Ma poi al pranzo offerto da Agamennone dopo
un sacrificio ci fa vedere che arriva anche Menelao, che viene alla festa senza
esser stato invitato. L’uomo che val poco che va al festino di un uomo
valoroso. E a questo Aristodemo mi disse di aver risposto così. Allora corro
proprio un bel rischio, ma non per quel che dici tu, Socrate; credo piuttosto
di essere, come in Omero, il pover'uomo che si presenta senza invito dal
grand'uomo. Vedrai tu che mi ci porti quali scuse trovare, perché io non dirò
certo di non essere stato invitato, dirò che mi hai invitato tu. Due che vanno
insieme, mi rispose, l'uno provvede all'altro. E allora andiamo, che per via
penseremo a cosa dire. E con questo proposito, mi disse, ci mettemmo in
cammino. Ma Socrate, concentrato nei suoi pensieri, rimaneva indietro. Quando
l'aspettavo, mi diceva di andar pure avanti. Arrivo da Agatone, la porta è
aperta e mi trovo subito in una situazione un po' comica. Uno schiavo mi viene
incontro dalla casa e mi porta nella sala dove gli altri avevano già preso
posto, già pronti per la cena. Mi vede Agatone e mi dice. Aristodemo, arrivi al
momento gusto per cenare con noi. Se sei venuto per qualcos'altro, rimanda
tutto a più tardi, perché ieri ho cercato di invitarti ma non t'ho trovato. E
Socrate? non è con te?Allora mi volto, mi disse Aristodemo, e non lo vedo più.
Non mi era dietro. Spiego dunque di essere venuto con Socrate, e che era stato
lui ad invitarmi alla cena. Ben fatto, disse Agatone. Ma lui dov'è? Era dietro
a me sino ad un istante fa. Dove può essere finite? Ragazzo, disse allora
Agatone ad un servo, va ben a vedere dov'è Socrate e portalo da noi. Tu
Aristodemo intanto prendi posto su questo divano a fianco d'Erissimaco. E
raccontava che mentre un domestico gli lava i piedi per potersi stendere sul
divano, un altro arriva dicendone una nuova. Questo Socrate di cui parlate s'è
rintanato nel vestibolo dei vicini, ed è fermo là. Ho avuto un bel chiamarlo,
non è voluto venire. Certo che è ben strano, disse Agatone. Ritorna subito a
chiamarlo e non lasciarlo lì. Non fate niente, dissi io, lasciatelo là
piuttosto. E' un'abitudine che ha quella di mettersi in un angolo, non importa
dove, e di restare là dov'è. Verrà presto, penso; non disturbatelo, lasciatelo
tranquillo. E va bene, facciamo così, disse Agatone, se lo dici tu. Quanto a
noi, ragazzi portateci da mangiare. Voi portate sempre da mangiare quel che vi
pare, quando non c'è nessuno a controllare - cosa che io peraltro non ho mai
fatto nella mia vita. Ma oggi, fate finta che io e i miei amici siamo vostri
invitati e portateci il meglio, tanto da meritare i nostri complimenti. E così,
disse Aristodemo, eccoci a tavola, ma Socrate non veniva. Agatone insisteva
tutti i momenti per mandarlo a chiamare, ma io lo fermavo. Alla fine arrivò,
diciamo verso la metà del pranzo, senza essersi poi fatto troppo aspettare, come
spesso faceva. Allora Agatone, che si trovava da solo sull'ultimo divano, gli
disse subito. Vieni qui, Socrate, mettiti accanto a me, che io possa apprendere
subito per contatto diretto i tuoi pensieri là nel vestibolo. A qualcosa devono
pure aver condotto le tue riflessioni, se no saresti ancora là. Socrate si
siede e fa. Sarebbe una buona cosa, Agatone, se i pensieri potessero scivolare
da chi ne ha più a chi ne ha meno per contatto diretto, quando siamo accanto,
tu ed io. Come l'acqua che, attraverso un filo di lana, passa dalla coppa più
piena alla più vuota. Se è così, voglio subito mettermi al tuo fianco, perché
la tua grande e bella saggezza possa riempire la mia coppa. Che per la verità è
un po' così, incerta come un sogno, mentre la tua sapienza è limpida e può
sfavillare ancora di più, lei che ha brillato con lo splendore della tua
giovinezza e ier l'altro ha fatto faville davanti a più di trentamila greci,
che prendo tutti a miei testimony. Che fai, mi prendi in giro, Socrate?, disse
Agatone. Sulla saggezza faremo i conti più tardi, te ed io, e prenderemo
Dioniso a nostro giudice. Ma intanto pensiamo a cenare. E così, disse
Aristodemo, Socrate prese posto sul divano. Dopo aver cenato, e gli altri con
lui, e dopo aver fatto le libagioni, i canti in onore del dio e le cerimonie
d'uso, ci si preparò a bere. Fu Pausania, allora, a prendere la parola per dire
più o meno così. Carissimi, come si fa adesso a bere senza star male? Io, ve lo
dico subito, non mi sento troppo bene dopo la festa di ieri, perché ho bevuto
un po' troppo e vorrei andarci piano stasera. Del resto voi dovreste essere più
o meno tutti nelle mie condizioni, perché c'eravate anche voi ieri. Allora,
come possiamo fare per bere senza star male? Intervenne Aristofane. Ben detto,
Pausania. Ti do proprio ragione, anch'io vorrei andarci piano a bere perché
sono di quelli che ieri sera hanno forse un po' esagerato. A queste parole,
disse Aristodemo, intervenne Erissimaco, il figlio di Acumeno. Avete ragione,
disse, ma sentiamo gli altri: tu che ne dici, Agatone, hai ancora la forza di
bere? Per nulla, rispose, non ce la faccio proprio. A quanto sembra, disse
Erissimaco, è proprio una fortuna per tutti - per me, per Aristodemo, per
Fedro, per tutti quanti - che voi, i migliori bevitori, dobbiate adesso
rinunciare, perché noi non ce la faremmo a starvi dietro. Farei un'eccezione
per Socrate. è tanto bravo a bere che a non bere, per lui andrà sempre bene,
qualunque cosa decidiamo. E, visto che nessuno qui mi sembra disposto a bere
del gran vino, forse riuscirò a non essere sgradito a nessuno dicendovi la
verità sull'ubriachezza. Come medico devo subito dirvi che è evidente che
ubriacarsi fa male. Del resto io non mi sento portato a bere fuori misura, né a
consigliare ad un altro di farlo, soprattutto se ha la testa ancora pesante per
il giorno prima. Poi intervenne Fedro, quello di Mirrinunte. Quanto a me, io ti
credo sempre se parli di medicina, ma oggi ti crederanno tutti, se non sono
matti. Queste parole furono ascoltate e all'unanimità si decise che non si
sarebbe passata la serata ad ubriacarsi e che ciascuno avrebbe bevuto quanto si
sentiva. E dunque, riprese Erissimaco, visto che siamo d'accordo che ciascuno
beva quanto vuole, senza nessun obbligo, io proporrei adesso di congedare la
nostra giovane flautista che è appena entrata: per stasera suoni da sola o, se
lo desidera, per le donne di casa. Noi, invece, passeremo la serata
chiacchierando. Di cosa possiamo parlare? Io quasi quasi un'idea ce l'avrei, se
volete ve la dico. Tutti furono d'accordo, disse Aristodemo, e chiesero a
Erissimaco di fare la sua proposta. Questi riprese dicendo. Parlerò, per
cominciare, alla maniera della Melanippe di Euripide, perché non son mie queste
parole, che adesso vi dirò, ma di Fedro, che è lì. Lui mi dice sempre, tutto
indignato. Non è strano, Erissimaco, che per tutti gli altri dèi vi siano inni
e peana composti dai poeti e che in onore dell’amore, un dio così potente, così
grande, non vi sia stato ancora un solo poeta, tra tutti, che abbia composto il
più piccolo elogio? Prendi, se vuoi, i sofisti di fama. Scrivono in prosa
l'elogio di Eracle, e d'altri ancora, come ha fatto l'ottimo Prodico. Ma c'è di
peggio. Non mi è capitato l'altro giorno di vedere il libro di un sapiente che
faceva l'elogio del sale, per la sua utilità? Ed altre cose dello stesso
genere, lo sappiamo, sono state fatte oggetto di elogio. Ci si è data molta
pena di trattare di parecchi argomenti, ma l'amore, lui non ha trovato ancora
nessuno sino ad ora che abbia avuto il coraggio di onorarlo come merita. Ecco
come ci si dimentica di un grande dio. Ebbene, io credo che su questo Fedro
abbia ragione. Desidero dunque, da parte mia, portare il mio contributo
onorandolo, facendo qualcosa che gli sia gradito. Adesso quindi potremmo fare
tutti un elogio di questo dio. Se siete d'accordo, avremmo così un argomento
senza alcun dubbio davvero assai interessante con cui passare il nostro tempo.
Potremmo, cominciando da sinistra verso destra, fare un elogio dell'amore, il
più bell'elogio di cui siamo capaci. Fedro parla per primo, perché è al primo
posto ed è allo stesso tempo il padre di quest'idea. Nessuno, mio caro
Erissimaco, disse Socrate, voterà contro la tua proposta. Non sarò io ad
oppormi, che dichiaro subito di non saper nulla di nulla, ma dell'amore son
proprio esperto. Non Agatone o Pausania, e certo neppure Aristofane, che
trascorre tutto il suo tempo fra Dioniso e Afrodite, né gli altri che vedo qui
stasera. Certo il compito è più difficile per noi che occupiamo gli ultimi
posti. Ma se quelli che parlano prima di noi lo faranno davvero bene, ne saremo
soddisfatti. Che Fedro cominci, con i nostri auguri. che faccia l'elogio
dell'amore. Furono subito tutti d'accordo e tutti si unirono all'invito di
Socrate. Aristodemo non si ricordava più esattamente ciò che ciascuno disse e
io stesso non ricordo più bene ciò che lui mi raccontò. Le cose più importanti,
o quel che a me è sembrato più degno di essere ricordato, adesso ve lo
riporterò nella forma in cui ciascuno l'ha detto. E così, secondo Aristodemo,
il primo a parlare fu Fedro, cominciando il suo discorso più o meno in questi
termini. E' un gran dio l'amore, un dio che merita tutta l'ammirazione degli
uomini e degli dèi per diverse ragioni, non ultima la sua origine. E'
annoverato tra i più antichi dèi, e questo, aggiunse, è un onore. Di questa
antichità abbiamo una prova. L’amore non ha né padre né madre, e nessuno, né in
poesia né in prosa, glielo ha mai attribuito. Esiodo ci dice che innanzitutto
vi fu il Caos, e la Terra dall'ampio seno, sicura sede per tutti i viventi e l'amore.
E, in accordo con Esiodo, anche Acusilao dice che dopo il Caos sono nati questi
due esseri, la Terra e l'amore. Quanto a Parmenide, parlando della generazione
dice che di tutti gli dèi, l’amore fu il primo che la dea partorì. Così c'è
ampio accordo nel dire che l'amore è uno degli dèi più antichi. Essendo così
antico, è per noi la sorgente dei più grandi beni. Per me, io lo affermo, non
c'è più grande bene nella giovinezza che avere un amante virtuoso e, se si ama,
trovare eguale amore in chi si ama. Infatti i sentimenti che devono guidare per
tutta la vita gli uomini destinati a vivere nel bene non possono ispirarsi né
alla nobiltà della nascita né agli onori né alla ricchezza, né a null'altro:
devono ispirarsi all’amore. Ora, mi chiedo, quali sono questi sentimenti? La
vergogna per l’azione cattiva, l'attrazione per l’azione bella. Senza questo,
nessuna città, nessun individuo potranno far mai nulla di grande e di buono.
Così, io lo dichiaro, un amante, un uomo che ama, se sorpreso in flagrante a
commettere un'azione malvagia o a subire per vigliaccheria, senza difendersi,
una grave offesa, soffre certamente se a scoprirlo saranno suo padre o i suoi
amici o chiunque altro. Ma soffrirà molto di più se a scoprirlo sarà il suo
amante, il suo amato. Ed è lo stesso per l'amato. è davanti al suo amante, noi
lo sappiamo bene, che l’amato sente la più grande vergogna, quando sarà
sorpreso a fare qualcosa di cui vergognarsi. Se esistesse un mezzo per mettere
insieme una città o un esercito fatti solo da amanti e dai loro amati, essi si
darebbero certamente il miglior governo che ci sia. Allontanerebbero infatti da
loro tutto ciò che è cattivo e rivaleggerebbero sulla via dell'onore. E se
questi amanti combattessero l'uno di fianco all'altro potrebbero vincere,
per così dire, il mondo intero, anche se fossero soltanto un piccolo gruppo,
perché sarebbero molto uniti tra loro. Infatti per un amante innamorato sarebbe
più intollerabile abbandonare i ranghi o gettare le armi sotto gli occhi del
suo amato che sotto gli occhi del resto dell'esercito. Preferirebbe piuttosto
morire cento volte. Quanto ad abbandonare l’amato chi si ama, a non aiutarlo in
caso di pericolo, nessuno è così vigliacco che l'amore non riesca a ispirargli
una forza divina rendendolo eguale a quelli che per natura hanno grande
coraggio. Esattamente come in Omero l’amore viene a ispirare l'ardore per la
battaglia a certi eroi, così l'amorefa questo dono agli amanti innamorati, ed
essi lo accettano da lui. Meglio ancora: morire per l'altro. Soltanto l’amante
accetta questo. La figlia di Pelia, Alcesti, ha dato un esempio chiarissimo di
ciò che dico. Soltanto essa acconsentì a morire per il suo sposo, che pure
aveva un padre e una madre. La sua figura si eleva così in alto su di loro per
la forza nata dal suo amore da farli apparire estranei al loro stesso figlio,
senza altro legame con lui che il nome. Avendo agito in questo modo, il suo
gesto è sembrato bellissimo, non solo agli uomini ma anche agli dèi. Essi
concedono davvero a pochi il privilegio di richiamare in vita la loro anima dal
fondo dell'Ade, una volta morti. Ebbene fra tanti eroi, autori delle più belle
azioni, concessero questo privilegio proprio ad Alcesti ricordandosi del suo
gesto che avevano tanto ammirato. A tal punto gli dèi onorano la dedizione e il
coraggio al servizio dell'amore. Al contrario essi mandarono via dall'Ade
Orfeo, figlio di Eagro, senza ottenere nulla. Gli mostrarono soltanto
un'immagine della donna per la quale era venuto, senza concedergliela. La sua
anima, infatti, sembrava loro debole, perché altri non era che un suonatore di
cetra; non aveva avuto il coraggio di morire, come Alcesti, per il suo amore,
ma aveva cercato con tutti i mezzi di penetrare da vivo nel regno dei morti. E'
certamente per questa ragione che essi gli hanno inflitto questa punizione e
hanno fatto in modo che morisse per mano delle donne. Non hanno agito nello
stesso modo con Achille, il figlio di Teti. L’hanno trattato con onore,
aprendogli la via per le isole dei beati. Achille infatti, avvertito dalla
madre che sarebbe morto se avesse ucciso Ettore, e sarebbe invece tornato a
casa finendo i suoi giorni da vecchio se non lo avesse fatto, scelse con
coraggio di restare al fianco di Patroclo, il suo amante, vendicandolo: scelse
non di morire per salvarlo, perché era già stato ucciso, ma di seguirlo sulla
via della morte. Così gli dèi, pieni di ammirazione, gli hanno tributato onori
eccezionali, per aver posto così in alto il suo amante. Eschilo scherza quando
pretende che Achille sia l'amante di Patroclo. Achille era più bello non
soltanto di Patroclo, ma anche di tutti gli altri eroi messi insieme. Era un
ragazzo, non aveva ancora la barba, ed era quindi assai più giovane di
Patroclo, come dice Omero. Così se gli dèi onorano soprattutto questo
particolare tipo di coraggio che si mette al servizio dell'amore, essi
ammirano, stimano, ricompensano ancor di più la tenerezza dell'amato per
l'amante che quella dell'amante per i suoi amati. L'amante, infatti, è più
vicino al dio dell'amato, perché un dio lo possiede. Ecco perché gli dèi
hanno onorato Achille, aprendogli la via per le isole dei beati. Ecco dunque,
io lo dichiaro, l'amore è tra gli dèi il più antico e il più degno, ha i
maggiori titoli per guidare l'uomo sulla via della virtù e della felicità, sia
in vita che nel regno dell'aldilà. Fu questo pressappoco, secondo Aristodemo,
il discorso di Fedro. Dopo Fedro parlarono altri, ma lui non si ricordava bene.
Non me ne ha parlato e invece mi ha riportato il discorso di Pausania, che si
espresse in questi termini. Io credo, Fedro, che l'argomento sia mal posto
quando ci si domanda semplicemente di fare l'elogio dell'amore. Se dell’amore ve
ne fosse uno solo, potrebbe anche andar bene. Ma non è così. Non ce n'è uno
soltanto, e allora è bene prima spiegare di quale amore dobbiamo tessere
l'elogio. Cercherò dunque, da parte mia, di chiarire le cose su questo punto,
di precisare innanzitutto quale amore si debba lodare e quindi pronuncerò un
elogio che sia degno di questo amore. Tutti sappiamo che non c'è Venere senza
amore. Se dunque non vi fosse che una Venere, non vi sarebbe che un solo amore.
Ma Venere è duplice, e quindi, necessariamente, abbiamo due amori. Come negare
che esistano due Venere? Una Venere, senza dubbio la più antica, non ha madre:
è figlia di Urano, e la chiamiamo quindi la dea del cielo, Venere Urania.
L'altra Venere, la più giovane, è figlia di Zeus e di Dione, e la chiamiamo quindi
la dea popolare, Venere Pandemia. E allora necessariamente l'amore che serve
Venere Pandemia dovrà chiamarsi Amore Popolare (o volgare) Pandemio.
Quell’amore che serve Venere Urania Amore Uranio. Certo, bisogna lodare tutti
gli dèi. Ma, detto questo, qual è il dominio dei due amori? E' questo che
dobbiamo provare a dire. Ogni azione si caratterizza per questo, che in sé non
è né bella né brutta. In quello che adesso facciamo, bere, cantare,
chiacchierare, non c'è nulla di bello in sé. è piuttosto il modo in cui si
compie un'azione a dar questo o quel risultato, e così seguendo la regola del
bello e della rettitudine un'azione con rettitudine diventa bella, al contrario
senza rettitudine l’azione diventa brutta. E lo stesso avviene per l'atto o
l’azione dell’amore (l’amore). Non tutto l'amore è bello e degno di elogio: lo
è soltanto quello che porta all’azione di “amare bene”, la azione dell’amore e
bella. Ora l'amore volgare, compagno di Venere popolare, certo è volgare e
opera a casaccio: è proprio degli uomini da poco. Questi uomo si innamora di un
ragazzo. Poi, l’amante ama il corpo bello. Voglie arrivare dritto al loro
scopo. Capita quindi che si imbattano nel bene, e capita anche il contrario.
Come è ovvio, quest’amore volgare, dell’uomo volgare, si unisce alla più
giovane delle due dee, che sin dal suo concepimento partecipa sia del maschile
che del femminile. L'altro Eros, invece, partecipa dell'Afrodite Urania che da
sempre è estranea all'elemento femminile e partecipa soltanto del maschile; e poi
è la più antica e non conosce alcun impulso brutale. Per questa ragione, l’uomo
che e ispirato dall’amore volgare Eros e attrato dall'elemento maschile. Ama
teneramente il sesso per natura più forte. E proprio da questa inclinazione ad
innamorarsi di un ragazzo si posse riconoscere quanto e posseduto con purezza
da quest’amore volgare, perché l’uomo volgare non ama i giovani prima che
abbiano dato prova d'intelligenza. Ora, questo è impossibile che accada prima
che il giovane sia abbastanza grande da avere la prima barba. E' questa l'età
dell’efebo in cui è bene cominciare a rivolgere ad essi attenzioni d'amore, per
restare poi con loro per tutta la vita, per legare le proprie esistenze,
piuttosto che abusare della credulità di un giovane sciocco, farsi gioco di lui
e piantarlo poi per correre dietro ad un altro. Ci vorrebbe una legge che
proibisse di amare un ragazzo troppo giovane. Così non si sprecherebbero
tante cure per un risultato imprevedibile. Non è infatti possibile prevedere
che cosa ne sarà di un ragazzino, se avrà vizi o virtù nel corpo efebo. L'uomo
che vale si pone senza dubbio da sé, e di buon grado, questa legge. Ma
bisognerebbe anche che chi coltiva l’amore volgare abbia un limite. E proprio
quest’ amante volgare, infatti, che hanno screditato l'amore e dato a certuni
il coraggio di dire che è una vergogna cedere ad un amante. Chi dice questo, lo
fa perché ha davanti agli occhi la mancanza di tatto e di onestà di
quest’amante volgari, mentre nessun gesto al mondo merita d'essere criticato quando
la convenienza e la legge sono rispettate. Ancora di più. La regola di
condotta, per quel che concerne l'amore, è facile da comprendere nelle altre
città, perché la sua definizione è semplice. Nell'Elide, presso i Beoti, e nelle
altre città in cui gl’uomini non sono abili nel far grandi discorsi, la regola
ammessa è semplice. è un bene cedere all’amante e nessuno dirà mai che c'è da
vergognarsi. Il fine è di evitare l'imbarazzo di dover convincere il giovane
con la parola, perché non e gran parlatore. Nella Ionia, al contrario, e in
diverse altre zone, la regola dice che questo non va bene.Sono paesi dominati
dai barbari. Presso i barbari, infatti, a causa dei loro regimi tirannici, il
giudizio comune è che ci sia da vergognarsi a cedere a un amante. Lo stesso
giudizio si dà per l'amore per l'esercizio fisico. Senza dubbio, ai loro capi
non conviene che nascano grandi intelligenze tra i sudditi, e neppure una
grande amicizia saldamente unita, come in effetti l'amore, più di ogni altra
cosa al mondo, sa produrre. Di questo hanno fatto esperienza anche i tiranni
qui da noi. L’amore di Aristogitone e l'amicizia di Armodio, sentimenti solidi,
hanno distrutto il loro potere. Così là dove si ritiene che ci sia da
vergognarsi a cedere a un amante, questa convinzione è nata dalla debolezza
morale dell’uomo: desiderio di dominio presso i capi, vigliaccheria presso i
sudditi. Là invece dove la regola ammette in tutta semplicità che è cosa buona,
essa è nata per la pigrizia dell'animo di quell’uomo. Presso di noi la regola è
molto più bella e, come ho detto, non è facile da comprendere. C'è da
rifletterci, in effetti. è più bello, si dice, amare apertamente piuttosto che
in segreto, e soprattutto amare il giovane di nascita migliore e di meriti più
alti, anche se meno belli di altri; di più, chi è innamorato è
straordinariamente incoraggiato da tutti, e nessuno pensa che faccia qualcosa
di cui vergognarsi: il successo è il suo onore, lo scacco è la sua vergogna. E
nei tentativi di conquista la regola elogia l’amante per delle stravaganze che
esporrebbero alle critiche più severe chiunque osasse comportarsi così per
altri scopi. Supponiamo infatti che uno voglia ottenere del denaro da qualcuno,
che voglia esercitare una magistratura, o una qualsiasi funzione importante. Se
accetta di fare ciò che fanno l’amante per il suo amato - assillarli con
preghiere e suppliche, pronunciare grandi giuramenti, dormire dietro le loro
porte, abbassarsi volontariamente ad ogni sorta di schiavitù che nessuno
schiavo accetterebbe di buon grado - ebbene tutto questo gli e impedito sia dai
suoi amici che dai suoi nemici. L’amico gli rimprovera la sua adulazione e la
sua bassezza; il nemico lo fa ragionare e arrossiranno per lui. Queste cose,
invece, sono ben viste per l'innamorato e la nostra regola non le critica
affatto. E qualcosa che si sta ad ammirare. E la cosa più strana è, secondo il
detto popolare, che lui solo può giurare e ottenere grazia davanti agli dèi se
tradisce i suoi giuramenti. Dinanzi a Venere, a quanto si dice, nessun giuramento
vale. Così l’uomini danno all’innamorato una libertà totale: lo dice la nostra
regola. E questo porta a pensare che la regola nella nostra città giudichi cose
perfette il bello e l'amore, e l'amicizia che ricompensa l’amante. Ma quando d'altra parte un padri fa
sorvegliare da un pedagogho il suo figliolo innamorato, in modo che non possa
parlar d'amore con il suo amante. Quando i giovani della loro età, i loro
amici, li rimproverano per il loro amore. Quando gli adulti non si oppongono a
queste critiche e non le biasimano come fuori luogo. Allora se si considera
tutto questo si potrebbe credere, al contrario, che questo tipo di amore goda
presso di noi di cattiva fama. Ecco, io credo, come stanno le cose. La
faccenda non è per nulla semplice, come ho già detto all'inizio. In se stessa
non è né bella né brutta. E' bella se l’azione d’amar bene rettamente e bella,
è brutta se l’azione d’amare male sono brutte. E' cosa brutta cedere ad un uomo
cattivo e per un cattivo motivo. è cosa bella cedere ad un uomo di valore e per
un bel motivo. Ora chi si comporta male è, come prima dicevo, l'amante volgare,
che ama il corpo bello. Non ha costanza, perché l'oggetto del suo amore – il
corpo bello -- è incostante. All'affievolirsi del bello del corpo che ama, "s'invola e va
via", e tradisce senza vergogna alcuna tante belle parole, tante promesse.
Ma l’uomo chi ama il carattere di una persona per le sue alte qualità, resta
fedele tutta la vita perché il suo amore riposa su qualcosa di costante. La
nostra regola si propone di mettere l’uomo alla prova della serietà e dell'onestà,
perché si ceda al’uomo che valgono e si fuggano gli altri. Incoraggiano quindi
a sceglier bene tra il cedere e il fuggire, creando delle prove che permettano
di riconoscere di che natura sia l'amante. Su questo si fonda evidentemente la
massima: «a cedere subito c'è da vergognarsi». Più tempo passa, infatti, più si
ha la prova, sembra, della serietà dell'amore. Una seconda massima, poi, dice
che c'è da vergognarsi a cedere per denaro o per averne vantaggi politici, sia
che ci si intimorisca di fronte ad un'azione decisa, che rende incapaci di
reagire, sia che non si respingano con sdegno le lusinghe della ricchezza e del
successo politico: niente di tutto ciò ha l'aria d'essere solido e stabile, e
dunque non può venirne alcuna generosa amicizia. Non resta dunque, secondo
la nostra regola, che una sola via onesta perché l'amato possa cedere
all'amante. Presso di noi la regola è la seguente. Come tra gli amanti non c'è
nulla di umiliante nel far di se stessi degli schiavi consenzienti, secondo
quella forma di schiavitù che prima dicevo, e non c'è il rischio di essere
criticati, nello stesso modo rimane una sola altra forma di schiavitù
volontaria che sfugga a ogni critica: quella che ha la virtù come proprio
oggetto. La nostra regola infatti dice questo, che se si accetta di essere al
servizio di un altro pensando di diventare migliori grazie a lui, in la virtù, questa
servitù liberamente accolta non ha niente di cattivo e non è umiliante. Bisogna
dunque riunire in una sola regola, che riguarda l'amore dell’uomo verso i
ragazzo. Vogliamo che si abbia un bene dal fatto che l'amato ceda all'amante.
Infatti quando le vie dell'amante e dell'amato si incontrano, ed essi insieme
seguono la stessa regola, il primo di rendere al suo amato tutti i servizi
compatibili con la giustizia, il secondo di dare all'uomo che cerca di farlo
diventare buono tutte le forme di assistenza compatibili con la giustizia. L’uno
potendo contribuire a dare la virtù, l'altro avendo bisogno di progredire
nell'educazione, allora in verità quando queste regole convergono, e in questo
caso solamente, questa coincidenza fa sì che sia cosa bella che l'amato ceda
all'amante. Altrimenti, è da escludere. Nel bene, anche se chi cede è
completamente vittima della situazione, non c'è alcun disonore, ma in tutti gli
altri casi, che si sia vittime o meno, c'è di che vergognarsi. Infatti se c'è
qualcuno che per arricchirsi ha ceduto a un'amante che crede ricco, e viene poi
ingannato e non ottiene nulla, perché il suo amante si rivela povero, la cosa
rimane riprovevole anche se si è una vittima. Un simile uomo sembra mostrare il
fondo della sua anima: per denaro si presta a tutto verso il primo venuto, e
questo non è affatto bello. Secondo lo stesso ragionamento, se si cede a
qualcuno credendolo pieno di qualità e pensando di diventare migliori legandosi
a questo amante, e se in seguito ci si trova ingannati scoprendo la sua
malvagità, quanto sia povero nella virtù, ebbene chi è stato ingannato non ha
nulla di cui vergognarsi. Anche in questo caso, infatti, sembra rivelarsi la
qualità dell'anima. La virtù e il progresso morale, in tutto e per tutto, sono
l'oggetto della propria passione - e questa è la cosa più bella che ci sia.
Quindi è bellissimo cedere, quando si cede per la virtù. Quest’amore viene da
Venere Urania, ed è davvero divino e prezioso per la città come per l’uomo,
perché esige dall'amante e dall'amato che entrambi veglino su se stessi, per
essere ricchi di virtù. Quanto agli altri, essi rivelano il legame con l'altra
dea, la Venere volgare. Ecco, mio caro Fedro: io non ho fatto che improvvisare;
è questo il mio tributo per l’amore. Dopo la pausa di Pausania - uso questo
gioco di parole sullo stile dei maestri della parola - era venuto il turno di
Aristofane. Ma caso volle che, o per la cena troppo abbondante o per qualche
altra ragione, avesse il singhiozzo e non riuscisse a parlare. Chiese allora a
Erissimaco di parlare lui al posto suo. Bisogna, Erissimaco, o che tu fermi il
mio singhiozzo, o che tu parli al mio posto in attesa che mi passi. E va bene,
rispose Erissimaco, farò l'uno e l'altro. Parlerò al tuo posto e tu parlerai al
mio quanto ti sarà passato il singhiozzo. Mentre parlo, se trattieni a lungo il
respiro il tuo singhiozzo si deciderà ad andarsene. Se non se ne va, fai dei
gargarismi con dell'acqua. E se non se ne va ancora, cerca qualcosa per
solleticarti il naso e starnutire. Se lo farai una o due volte, per quanto
tenace sia il tuo singhiozzo, se ne andrà. A te parlare, dunque, disse
Aristofane, io seguirò i tuoi consigli. Allora Erissimaco prese la parola.
"Io credo che dopo un buon inizio tu non abbia risposto del tutto alle
esigenze del soggetto trattato, ed è quindi necessario che io cerchi, da parte
mia, di completare il suo discorso. La tua distinzione tra i due tipi di amore
mi sembra eccellente. Ma essa non riguarda soltanto l’uomini nei loro rapporti
con le persone belle. Riguarda anche i rapporti tra altri oggetti d'amore, tra
altri esseri, che si tratti dei corpi degli animali o delle piante che la terra
nutre: in una parola, riguarda tutti gli esseri viventi. La medicina, la nostra
arte, credo mi consenta questa osservazione. Essa permette di vedere che
l’amore è un grande dio, un dio meraviglioso, e che la sua azione si estende su
tutto, sia nell'ordine dell'umano che del divino. Comincerò dalla medicina, per
fare onore alla mia arte. La natura dei corpi comporta un duplice amore. Ciò
che è sano nel corpo è ben diverso e dissimile da ciò che è malato, questo lo
ammettono tutti. Ora, il dissimile ama e desidera il dissimile. L'amore che è
proprio della parte sana è dunque diverso dall'amore che è proprio della parte
malata. Dunque, proprio come Pausania diceva che è cosa bella accordare i
propri favori agli uomini che se lo meritano ed è cosa brutta cedere ai
dissoluti, così quando si tratta dei corpi stessi favorire ciò che vi è di
buono e di sano in ciascuno è cosa bella e necessaria, ed è questo che
chiamiamo medicina, mentre bisogna rifiutarsi di favorire ciò che è malvagio e
malsano, se si vogliono seguire le regole dell'arte. La medicina infatti, se
vogliamo definirla in una parola, è la scienza dei fenomeni d'amore propri dei
corpi, nei loro rapporti con il riempirsi e il vuotarsi, e chi da questi fenomeni
sa diagnosticare il buono e il cattivo amore, ebbene questi è il miglior
medico. Chi sa operare dei cambiamenti grazie ai quali si acquista un
amore al posto dell'altro; chi sa far nascere l'amore nei corpi in cui manca e
sa eliminarlo quando è di troppo; ebbene costui è davvero padrone di
quest'arte. Senza alcun dubbio. Il medico deve essere capace di ristabilire
l'amicizia e il mutuo amore tra gli elementi del corpo che più si odiano. Ora,
gli elementi che più si odiano sono quelli contrari: il freddo e il caldo,
l'amaro e il dolce, il secco e l'umido, e così via. E' per avere saputo mettere
l'amore e la concordia tra questi elementi che il nostro antico padre Asclepio
- a quel che dicono i nostri poeti, e io lo credo - è il fondatore della nostra
arte. La medicina è dunque, come dicevo, tutta quanta governata da questo
dio. E questo vale anche per la ginnastica e per l'agricoltura. Quanto alla
musica, non occorre una grande riflessione per vedere che è la stessa cosa.
Senza dubbio è questo che vuol dire Eraclito, benché la sua espressione non sia
felice. Egli dichiara infatti che l’uno «in sé discorde con se stesso si
accorda, come l'armonia dell'arco e della lira56».Ora, è molto illogico
affermare che l'armonia consiste in una opposizione o che essa è composta da
elementi che si oppongono ancora. Ma egli voleva forse dire che a partire da
una opposizione originaria, tra l'acuto e il grave, i due elementi in seguito
si accordano e l'armonia si realizza grazie alla musica. Infatti, se veramente
l'acuto e il grave si opponessero ancora, non si vede come potrebbe nascere
l'armonia. L'armonia infatti è una consonanza, e una consonanza è una sorta di
accordo. Ora, l'accordo di elementi opposti, se permangono opposti, è
impossibile, e d'altro canto non può esserci armonia tra ciò che si oppone e
non si accorda: nello stesso modo il ritmo nasce dal rapido e dal lento, cioè
da elementi all'inizio opposti che in seguito si accordano. E come prima la
medicina, adesso è la musica che introduce l'accordo tra tutti questi elementi,
creando amore reciproco e accordo. E dunque la musica è essa stessa,
nell'ordine dell'armonia e del ritmo, una scienza dei fenomeni dell'amore. Ora,
se nella costituzione dell'armonia e del ritmo i fenomeni dell'amore possono
essere osservati facilmente, questo accade perché non vi sono due specie
d'amore. Ma quando per il pubblico si eseguono ritmi e armonie, sia
componendole (in quella che si chiama composizione musicale) sia servendosi a
seconda dei casi di composizioni melodiche o metriche composte da altri (in
quella che si chiama educazione musicale), allora la cosa diventa difficile e
si ha bisogno di un uomo del mestiere, che sia abile. Ecco allora tornare il
discorso di prima: se bisogna cedere, è bene farlo con uomini dai costumi ben regolati,
proprio per migliorarsi quando ancora non si hanno le stesse qualità; l'amore
di questi uomini deve essere ben difeso e bisogna quindi rivolgersi all'Eros
bello, all'Eros Uranio, quello della Musa Urania. L'altro è quello di Polimnia,
l'Eros Pandemio57, che bisogna offrire con prudenza a chi viene ad offrirlo a
noi, in modo da trarne piacere senza strafare; è come nella nostra arte, la
medicina, che deve saper ben dosare il gusto per la buona cucina, per imparare
a goderne senza ammalarsi. Così dunque in musica, in medicina, in tutto
l'ordine delle cose divine e umane, è necessario proteggere nella misura del
possibile l'uno e l'altro amore, poiché vi si trovano entrambi. Anche l'ordine
delle stagioni dell'anno è riempito da questi due amori, e quando gli elementi
di cui parlavo prima - il caldo e il freddo, il secco e l'umido - incontrano
nei loro reciproci rapporti l'amore ben regolato, essi si armonizzano
combinandosi nella giusta misura, allora portano l'abbondanza e la sanità
agli uomini, agli animali, alle piante, senza causare alcun danno58. Ma
quando nelle stagioni dell'anno prevale l'amore senza misura, rovina ogni cosa
ed è causa di grandi disastri. La pestilenza, infatti, ha origine da questi
fenomeni e così le più varie malattie che aggrediscono animali e piante: gelo,
grandine, i mali delle piante, provengono dal desiderio senza limiti e misura
nelle relazioni reciproche fra questi fenomeni, governate dall'amore. C'è una
scienza che tratta nello stesso tempo del movimento degli astri e delle
stagioni dell'anno: si chiama astronomia. Tutti i sacrifici, poi, e tutto ciò
che ha a che fare con la divinazione (cioè tutto ciò che mette in comunicazione
gli dèi e gli uomini) non hanno altro scopo che quello di proteggere l'amore e
di guarirlo. L'empietà nasce abitualmente dal non cedere all'amore ben
regolato, dal non onorarlo, dal non riverirlo con ogni propria azione, ma
dall'onorare l'altro amore, nei rapporti sia con i propri genitori, viventi o
morti, sia con gli dèi. Questo è il compito assegnato alla divinazione:
sorvegliare coloro che amano e guarirli. Ed è ancora lei, la divinazione, che
permette l'amicizia tra gli dèi e gli uomini, perché essa conosce, nell'ordine
degli umani, quei fenomeni d'amore che tendono al rispetto degli dèi e alla
pietà.Questa è la molteplice, l'immensa o piuttosto l'universale potenza che è
propria dell'Eros. E' lui ad agire, con moderazione e giustizia, per produrre
delle opere buone, sia tra noi che tra gli dèi, con la più grande potenza: ci
procura ogni felicità e ci rende capaci di vivere in società, di legare con
vincoli di amicizia gli uni con gli altri ed anche con quegli esseri a noi
superiori, gli dèi. Anch'io, senza dubbio, ho tralasciato alcune cose nel mio
elogio dell'Eros, ma non l'ho fatto apposta. Se ho dimenticato qualche punto,
spetta a te, Aristofane, di colmare la lacuna. Però, se ti proponi di lodare il
dio in un altro modo, fai pure, visto che il tuo singhiozzo se n'è
andato."Allora, disse Aristodemo, Aristofane prese la parola. Il fatto è
che se n'è sì andato, ma ho dovuto proprio applicare il tuo rimedio e
starnutire. Non è strano che il buon ordine del mio corpo abbia bisogno di
rumori e di solletico per starnutire? Sta di fatto, però, che il singhiozzo è
passato appena ho starnutito. Aristofane, amico mio, che dici?, riprese
Erissimaco. Ci fai ridere prendendomi in giro un attimo prima di fare il tuo
discorso? Così mi costringi a sorvegliare bene le tue parole, che tu non abbia
ad esser comico proprio quando puoi parlare in tutta tranquillità. Aristofane
si mise a ridere e disse. Hai ragione Erissimaco, ritiro tutto. Ma non mi
sorvegliare. Nel discorso che farò, infatti, dovrò dire non poche cose che
faranno un po' ridere - e questo è un vantaggio, perché così la mia Musa si
troverà su un terreno familiare -, ma ho proprio paura di essere un po' preso
in giro! Eh, Aristofane, tu prima lanci una frecciatina, poi te ne vuoi
scappare, non è vero? Ma t'avverto, parla piuttosto come un uomo che deve
rendere conto di quel che dice! Sta' tranquillo, però, da parte mia ti farò
grazia, ma solo se vorrò!"Discorso di Aristofane "A dir la
verità, Erissimaco - disse Aristofane -, ho intenzione di parlare diversamente
da te e da Pausania. Infatti mi sembra che gli uomini non si rendano
assolutamente conto della potenza dell'amore. Se se ne rendessero conto,
certamente avrebbero elevato templi e altari a questo dio, e dei più magnifici,
e gli offrirebbero i più splendidi sacrifici. Non sarebbe affatto come è
oggi,quando nessuno di questi omaggi gli viene reso. E invece niente sarebbe
più importante, perché è il dio più amico degli uomini: viene in loro soccorso,
porta rimedio ai mali la cui guarigione è forse per gli uomini la più grande
felicità. Dunque cercherò di mostrarvi la sua potenza, così potrete essere
maestri a vostra volta. Ma innanzitutto bisogna che conosciate la natura
della specie umana e quali prove essa ha dovuto attraversare. Nei tempi
andati62, infatti, la nostra natura non era quella che è oggi, ma molto
differente. Allora c'erano tra gli uomini tre generi, e non due come adesso, il
maschio e la femmine. Ne esisteva un terzo, che aveva entrambi i caratteri degli
altri. Il nome si è conservato sino a noi, ma il genere, quello è scomparso.
Era l'ermafrodito, un essere che per la forma e il nome aveva caratteristiche
sia del maschio che della femmina. Oggi non ci sono più persone di questo
genere.Quanto al nome, ha tra noi un significato poco onorevole.Questi
ermafroditi erano molto compatti a vedersi, e il dorso e i fianchi formavano un
insieme molto arrotondato. Avevano quattro mani, quattro gambe, due volti su un
collo perfettamente rotondo, ai due lati dell'unica testa. [190] Avevano
quattro orecchie, due organi per la generazione, e il resto come potete
immaginare. Si muovevano camminando in posizione eretta, come noi63, nel senso
che volevano. E quando si mettevano a correre, facevano un po' come gli
acrobati che gettano in aria le gambe e fan le capriole: avendo otto arti su
cui far leva, avanzavano rapidamente facendo la ruota. La ragione per cui
c'erano tre generi è questa, che il maschio aveva la sua origine dal Sole, la
femmina dalla Terra e il genere che aveva i caratteri d'entrambi dalla Luna,
visto che la Luna ha i caratteri sia del Sole che della Terra64. La loro forma
e il loro modo di muoversi era circolare, proprio perché somigliavano ai loro
genitori. Per questo finivano con l'essere terribilmente forti e vigorosi e il
loro orgoglio era immenso. Così attaccarono gli dèi e quel che narra Omero di
Efialte e di Oto, riguarda anche gli uomini di quei tempi: tentarono di dar la
scalata al cielo, per combattere gli dèi.Allora Zeus e gli altri dèi si
domandarono quale partito prendere. Erano infatti in grave imbarazzo: non
potevano certo ucciderli tutti e distruggerne la specie con i fulmini come
avevano fatto con i Giganti, perché questo avrebbe significato perdere
completamente gli onori e le offerte che venivano loro dagli uomini; ma neppure
potevano tollerare oltre la loro arroganza. Dopo aver laboriosamente
riflettuto, Zeus ebbe un'idea. «lo credo - disse - che abbiamo un mezzo per far
sì che la specie umana sopravviva e allo stesso tempo che rinunci alla propria
arroganza: dobbiamo renderli più deboli. Adesso - disse - io taglierò ciascuno
di essi in due, così ciascuna delle due parti sarà più debole. Ne avremo
anche un altro vantaggio, che il loro numero sarà più grande. Essi si
muoveranno dritti su due gambe, ma se si mostreranno ancora arroganti e non
vorranno stare tranquilli, ebbene io li taglierò ancora in due, in modo che
andranno su una gamba sola, come nel gioco degli otri65». Detto questo, si mise
a tagliare gli uomini in due, come si tagliano le sorbe per conservarle, o come
si taglia un uovo con un filo. Quando ne aveva tagliato uno, chiedeva ad Apollo
di voltargli il viso e la metà del collo dalla parte del taglio, in modo che
gli uomini, avendo sempre sotto gli occhi la ferita che avevano dovuto subire,
fossero più tranquilli, e gli chiedeva anche di guarire il resto66. Apollo
voltava allora il viso e, raccogliendo d'ogni parte la pelle verso quello che
oggi chiamiamo ventre, come si fa con i cordoni delle borse, faceva un nodo al
centro del ventre non lasciando che un'apertura - quella che adesso chiamiamo
ombelico. Quanto alle pieghe che si formavano, il dio modellava con
esattezza il petto con uno strumento simile a quello che usano i sellai per
spianare le grinze del cuoio. Lasciava però qualche piega, soprattutto nella
regione del ventre e dell'ombelico, come ricordo della punizione subita.Quando
dunque gli uomini primitivi furono così tagliati in due, ciascuna delle due
parti desiderava ricongiungersi all'altra. Si abbracciavano, si stringevano
l'un l'altra, desiderando null'altro che di formare un solo essere. E così
morivano di fame e d'inazione, perché ciascuna parte non voleva far nulla senza
l'altra. E quando una delle due metà moriva, e l'altra sopravviveva,
quest'ultima ne cercava un'altra e le si stringeva addosso - sia che
incontrasse l'altra metà di genere femminile, cioè quella che noi oggi
chiamiamo una donna, sia che ne incontrasse una di genere maschile. E così la
specie si stava estinguendo. Ma Zeus, mosso da pietà, ricorse a un nuovo
espediente. Spostò sul davanti gli organi della generazione. Fino ad allora
infatti gli uomini li avevano sulla parte esterna, e generavano e si
riproducevano non unendosi tra loro, ma con la terra, come le cicale. Zeus
trasportò dunque questi organi nel posto in cui noi li vediamo, sul davanti, e
fece in modo che gli uomini potessero generare accoppiandosi tra loro, l'uomo con
la donna. Il suo scopo era il seguente: nel formare la coppia, se un uomo
avesse incontrato una donna, essi avrebbero avuto un bambino e la specie si
sarebbe così riprodotta; ma se un maschio avesse incontrato un maschio, essi
avrebbero raggiunto presto la sazietà nel loro rapporto, si sarebbero calmati e
sarebbero tornati alle loro occupazioni, provvedendo così ai bisogni della loro
esistenza. E così evidentemente sin da quei tempi lontani in noi uomini è
innato il desiderio d'amore gli uni per gli altri, per riformare l'unità della
nostra antica natura, facendo di due esseri uno solo: così potrà guarire la
natura dell'uomo. Dunque ciascuno di noi è una frazione68 dell'essere umano
completo originario. Per ciascuna persona ne esiste dunque un'altra che le è
complementare, perché quell'unico essere è stato tagliato in due, come le
sogliole69. E' per questo che ciascuno è alla ricerca continua della sua
parte complementare. Stando così le cose, tutti quei maschi che derivano da
quel composto dei sessi che abbiamo chiamato ermafrodito si innamorano delle
donne, e tra loro ci sono la maggior parte degli adulteri; nello stesso modo,
le donne che si innamorano dei maschi e le adultere provengono da questa
specie; ma le donne che derivano dall'essere completo di sesso femminile,
ebbene queste non si interessano affatto dei maschi: la loro inclinazione le
porta piuttosto verso le altre donne ed è da questa specie che derivano le
lesbiche. I maschi, infine, che provengono da un uomo di sesso soltanto
maschile cercano i maschi. Sin da giovani, poiché sono una frazione del maschio
primitivo, si innamorano degli uomini e prendono piacere a stare con loro, tra
le loro braccia. Si tratta dei migliori tra i bambini e i ragazzi, perché per
natura sono più virili. Alcuni dicono, certo, che sono degli spudorati, ma è
falso. Non si tratta infatti per niente di mancanza di pudore: no, è i loro
ardore, la loro virilità, il loro valore che li spinge a cercare i loro simili.
Ed eccone una prova: una volta cresciuti, i ragazzi di questo tipo sono i soli
a mostrarsi davvero molto bravi nell’occuparsi di politica. Da adulto, ama il
ragazzo. Il matrimonio e la paternità non li interessano affatto - è la loro
natura; solo che le consuetudini li costringono a sposarsi ma, quanto a loro,
sarebbero ben lieti di passare la loro vita fianco a fianco, da celibi. In una
parola, l'uomo cosi ffatto desidera un ragazzo e li ama teneramente, perché è
attratto sempre dalla specie di cui è parte. Quest’uomo - ma lo stesso,
per la verità, possiamo dire di chiunque - quando incontrano l'altra metà di se
stesse da cui sono state separate, allora sono prese da una straordinaria
emozione, colpite dal sentimento di amicizia che provano, dall'affinità con
l'altra persona, se ne innamorano e non sanno più vivere senza di lei - per
così dire - nemmeno un istante. E queste persone che passano la loro vita gli
uni accanto agli altri non saprebbero nemmeno dire cosa desiderano l'uno
dall'altro. Non è possibile pensare che si tratti solo delle gioie del far
l'amore: non possiamo immaginare che l'attrazione sessuale sia la sola ragione
della loro felicità e la sola forza che li spinge a vivere fianco a fianco. C'è
qualcos'altro: evidentemente la loro anima cerca nell'altro qualcosa che non sa
esprimere, ma che intuisce con immediatezza. Se, mentre sono insieme, Efesto si
presentasse davanti a loro con i suoi strumenti di lavoro e chiedesse:
"Che cosa volete l'uno dall'altro?", e se, vedendoli in imbarazzo,
domandasse ancora: «Il vostro desiderio non è forse di essere una sola persona,
tanto quanto è possibile, in modo da non essere costretti a separarvi né di
giorno né di notte? Se questo è il vostro desiderio, io posso ben unirvi e
fondervi in un solo essere, in modo che da due non siate che uno solo e viviate
entrambi come una persona sola. Anche dopo la vostra morte, laggiù nell'Ade,
voi non sarete più due, ma uno, e la morte sarà comune. Ecco: è questo che
desiderate? è questo che può rendervi felici?» A queste parole nessuno di loro
- noi lo sappiamo - dirà di no e nessuno mostrerà di volere qualcos'altro.
Ciascuno pensa semplicemente che il dio ha espresso ciò che da lungo tempo
senza dubbio desiderava: riunirsi e fondersi con l'amato. Non più due, ma un
essere solo. La ragione è questa, che la nostra natura originaria è come l’ho
descritta. Noi formiamo un tutto: il desiderio di questo tutto e la sua ricerca
ha il nome di amore. Allora, come ho detto, eravamo una persona sola; ma
adesso, per la nostra colpa, il dio ci ha separati in due persone, come gli
Arcadi lo sono stati dagli Spartani77. Dobbiamo dunque temere, se non
rispettiamo i nostri doveri verso gli dèi, di essere ancora una volta
dimezzati, e costretti poi a camminare come i personaggi che si vedono
raffigurati nei bassorilievi delle steli, tagliati in due lungo la linea del
naso, ridotti come dadi a metà. Ecco perché dobbiamo sempre esortare gli uomini
al rispetto degli dèi: non solo per fuggire quest'ultimo male, ma anche per
ottenere le gioie dell'amore che ci promette Eros, nostra guida e nostro capo. A
lui nessuno resista - perché chi resiste all'amore è inviso agli dèi. Se
diverremo amici di questo dio, se saremo in pace con lui, allora riusciremo a
incontrare e a scoprire l'anima nostra metà, cosa che adesso capita a ben
pochi. E che Erissimaco non insinui, giocando sulle mie parole, che intendo
riferirmi a Pausania e Agatone: loro due ci sono riusciti, probabilmente, ed
entrambi sono di natura virile. Io però parlo in generale degli uomini dichiaro
che la nostra specie può essere felice se segue Eros sino al suo fine, così che
ciascuno incontri l'anima sua metà, recuperando l'integrale natura di un tempo.
Se questo stato è il più perfetto, allora per forza nella situazione in cui ci
troviamo oggi la cosa migliore è tentare di avvicinarci il più possibile alla
perfezione: incontrare l'anima a noi più affine, e innamorarcene. Se dunque
vogliamo elogiare con un inno il dio che ci può far felici, è ad Eros che
dobbiamo elevare il nostro canto: ad Eros, che nella nostra infelicità attuale
ci viene in aiuto facendoci innamorare della persona che ci è più affine; ad
Eros, che per l'avvenire può aprirci alle più grandi speranze. Sarà lui che, se
seguiremo gli dèi, ci riporterà alla nostra natura d'un tempo: egli promette di
guarire la nostra ferita, di darci gioia e felicità. Ecco, Erissimaco, questo è
il mio discorso in onore di Eros. T'ho già pregato, non prendermi in giro per
quel che ho detto. Dobbiamo ancora ascoltare, non dimenticarlo, i discorsi
degli altri, di quelli che restano, Agatone e Socrate."Erissimaco, riferì
Aristodemo, rispose così:"Sì sì, farò proprio come dici tu, perché il tuo
discorso mi è piaciuto molto e anzi, se non sapessi che Socrate e Agatone sono
gran maestri nelle cose d'amore, penserei quasi quasi che siano a corto di
argomenti, tante sono le cose che sono state dette. Ma ho piena fiducia in loro".E
Socrate allora disse. Dici così perché hai già fatto la tua parte, Erissimaco.
Ma se fossi al mio posto, ora o peggio ancora dopo il discorso di Agatone - che
ti figuri se non sarà bellissimo -, avresti una gran paura e saresti proprio in
imbarazzo, come me in questo momento"."Non mi fido mica di te
Socrate, disse Agatone, tu vuoi farmi tremare all'idea che il nostro pubblico
sarà attentissimo e si aspetta da me un discorso stupendo. Ma Agatone, rispose
Socrate, vuoi che mi dimentichi di tutte le volte che ti ho visto sul palco coi
tuoi attori, sicuro di te, mentre ti rivolgevi ad un gran pubblico per
presentare una tua opera? Non eri per niente emozionato, affatto,e adesso
dovrei credere che lo sei davanti a noi, che siamo così pochi?""Come,
Socrate? disse Agatone. Non mi crederai, spero, così innamorato del teatro da
non capire che agli occhi di un uomo di buon senso poche persone intelligenti
sono più da temere di una folla ignorante?""Farei molto male se lo
credessi, mio buon Agatone, rispose Socrate, una simile mancanza di stile non
ti si addice. Io so bene, invece, che se trovi gente che ritieni saggia, dai
loro molta più importanza che alla folla. Però non credo affatto che noi siamo
saggi. Perché c'eravamo anche noi tra il pubblico, là tra la folla. Ma se
trovassi altra gente, dei saggi veri, ti vergogneresti,senza dubbio, davanti a
loro al pensiero di far qualcosa di cui ci sia da vergognarsi. Che ne
dici?""E' vero", rispose."Ma davanti alla folla non ti
vergogneresti se pensassi di fare qualcosa di cui ci sia da
vergognarsi?"Fedro a questo punto prese la parola e disse:"Mio caro
Agatone, se rispondi, a Socrate non importerà proprio nulla se la conversazione
prenderà una piega o l'altra, perché a lui basta avere qualcuno con cui
chiacchierare, soprattutto se è un bel ragazzo. Ora, a me piace moltissimo
ascoltare Socrate quando discute, ma adesso dobbiamo proprio occuparci
dell'Eros, dobbiamo raccogliere il tributo da ciascuno di noi: i nostri
discorsi in suo onore. Pagate il vostro debito verso il dio, poi tornerete a
chiacchierare tra voi". Discorso di Agatone"Hai proprio ragione,
Fedro, disse Agatone, e in effetti niente mi impedisce di rimandare la risposta
perché avrò ancora ben l'occasione di chiacchierare con Socrate! C'è
tempo.Voglio dirvi subito come intendo condurre il mio discorso, prima di
cominciare. Tutti coloro che hanno già parlato non hanno per nulla, mi sembra,
fatto l'elogio del dio. Hanno chiamato felici gli uomini per i beni che gli
devono, ma chi egli sia esattamente, per aver fatto loro questi doni, ecco questo
nessuno l'ha detto. Ora, il solo modo corretto per fare un elogio, qualunque
sia l'argomento, è quello di spiegare la natura dell'oggetto del discorso e la
natura di ciò di cui è responsabile. E così dobbiamo procedere anche noi
nell'elogio dell'Eros: mostrando innanzitutto la sua natura e quindi i doni che
ci ha fatto.Dichiaro dunque che tra tutti gli dèi, esseri felici, Eros - mi sia
permesso dirlo senza risvegliare la loro gelosia - è il più felice, perché è il
più bello e il migliore. E' il più bello perché questa è la sua natura.
Infatti, mio caro Fedro, è il più giovane tra gli dèi. Una grande prova
dimostra che quel che dico è vero, e ce la offre lui stesso: Eros fugge la
vecchiaia, che è rapida, si sa, e ci sorprende prima di quanto dovrebbe.
L'Eros, è chiaro, la odia e non le si avvicina nemmeno da lontano. Ma è sempre
in compagnia della giovinezza, le resta vicino. Ha ragione il vecchio detto:
"Il simile cerca il simile". Io sono spesso d'accordo con Fedro, ma
non trovo giusto dire che Eros sia più antico di Cronos e di Giapeto. Io
dichiaro, al contrario, che è il più giovane tra gli dèi, che è sempre giovane
e che le vecchie lotte tra gli dèi di cui parlano Esiodo e Parmenide sono
figlie della Necessità, ma non di Eros, se questi poeti hanno detto il vero.
Infatti gli dèi non si sarebbero mutilati l'un l'altro, non si sarebbero messi
in ceppi né fatto tanta violenza se l'Eros fosse stato tra loro. Avrebbero
conosciuto invece l'amicizia e la pace, come adesso, nel tempo in cui sugli dèi
l'Eros stende il suo dominio. Dunque, l'Eros è giovane, e non soltanto è
giovane ma anche delicato. A lui è mancato un poeta, un Omero, che ne sapesse
far vedere la delicatezza. Omero dice di Ate che essa è una dea e allo stesso
tempo che è delicata, o almeno che lo sono i suoi piedi. Dice: "Son
delicati i suoi piedi e non sfiorano il suolo, ella avanza sfiorando le teste
degli uomini". Un chiaro indice della sua delicatezza, ai miei occhi: la
dea non posa i piedi sul duro, ma sul morbido. Utilizzeremo anche noi a
proposito dell'Eros lo stesso indizio per affermare che è delicato: non cammina
infatti sulla terra, né sulle teste, che poi tanto morbide non sono, ma si
muove e abita in ciò che è più tenero al mondo. Eros infatti ha stabilito la
sua dimora nel cuore e nell'anima degli uomini e degli dèi. Ma non senza
distinzione in tutte le anime. Se ne incontra una che abbia un carattere duro,
fugge via e va ad abitare in quelle in cui trova dolcezza. E' sempre a
contatto, coi piedi e con tutto il suo essere, con ciò che tra tutte le cose
tenere è più tenero, ed è quindi assai delicato, necessariamente. Ecco
dunque, l'Eros è il più giovane e il più delicato degli esseri. E inoltre dobbiamo
ricordare la flessibilità della sua forma, perché non potrebbe andare
dappertutto né passare inosservato quando penetra nelle anime e quando ne esce,
se fosse rigido. Dell'armonia, della duttilità della sua natura, ebbene di
questo la sua grazia ne dà una prova eclatante, quella grazia che l'Eros
possiede in massimo grado perché tra l'aspetto sgraziato e l'Eros la reciproca
ostilità c'è da sempre. E che dire della bellezza della sua carnagione? Eros
indugia tra i fiori. Su ciò che non fiorisce, sul fiore appassito, nel corpo o
nell'anima o in ogni altra cosa, Eros non si posa: ma là dove i fiori e i
profumi abbondano, là si posa, là sceglie la sua casa. Sulla bellezza del dio
basta così, anche se davvero resta ancora molto da dire. Vorrei adesso parlare
delle sue virtù. Ecco la più importante: Eros non fa né subisce ingiustizia,
non fa torto a nessuno, uomo o dio, e non ne subisce da nessuno, né uomo né
dio. La violenza non ha alcuna parte in ciò che subisce, ammesso che subisca
qualcosa, perché la violenza non ha presa sull'Eros; non ne ha bisogno in tutto
quel che fa perché tutti in tutto si mettono di buon grado al suo servizio. E
gli accordi che si fanno di buon grado sono chiamati giusti dalle «leggi, le
regine della città86».E con la giustizia ecco la più grande temperanza. La
temperanza, si sa, è dominare piaceri e desideri. Ora, non c'è piacere più
grande dell'Eros: gli altri piaceri sono più deboli e possono essere dominati
dall'Eros; dominando piaceri e desideri, allora l'Eros deve essere temperante
in massimo grado.Quanto al coraggio, «Ares stesso non può lottare contro
Eros87». Infatti non è Ares che domina su Eros, ma Eros possiede Ares, se è vero
che è innamorato di Afrodite, come dicono. Ora colui che si impadronisce di
qualcuno, è più forte di lui e chi riesce a possedere un altro che è pieno di
coraggio deve avere ancora più coraggio di lui89.Fin qui ho parlato della
giustizia, della temperanza e del coraggio del dio. Rimane la sua scienza e,
nella misura della mie forze, devo proprio completare il mio elogio.
Innanzitutto, poiché desidero onorare la mia arte come Erissimaco ha fatto con
la sua, dirò che il dio è poeta così sapiente che rende poeti gli altri, a sua
volta. Ogni uomo infatti diventa poeta quando l’Eros lo possiede, «anche se prima
non conosceva le Muse». Questo fatto, è chiaro, deve essere per noi una prova
che Eros è abilissimo in tutte le arti governate dalle Muse. Infatti ciò
che non si ha, o non si sa, non lo si può certo dare o insegnare agli altri. Meglio
ancora, nella creazione degli esseri viventi, di tutti, chi oserà negare che
l'Eros possiede una scienza grazie a cui nascono e crescono tutti i viventi?
Osserviamo d'altra parte la pratica delle arti: non sappiamo forse che l'uomo
che ha avuto questo dio come maestro diviene celebre e illustre mentre quello
che Eros non ha nemmeno sfiorato non ha alcun successo? E certo: il tiro con
l'arco, la medicina, la divinazione sono delle abilità che Apollo deve al
desiderio e all'amore che lo guida; così questo dio può dirsi discepolo
dell'Eros, come le Muse lo sono per le arti che portano il loro nome, Efesto
per l'arte di forgiare i metalli, Atena per la tessitura e Zeus infine «per il
governo degli dèi e degli uomini». Così tutti i conflitti tra gli dèi si sono
appianati all'apparire di Eros tra loro, dell'amore per il bello, certo, perché
Eros non si lega mai a ciò che è brutto. Ma prima di questo, come ho detto
all'inizio, ogni specie di orribili eventi erano accaduti tra gli dèi, secondo
quanto narrano le antiche storie, perché regnava la Necessità. Quando poi
nacque questo dio, dall'amore per le cose belle nacque ogni bene, per gli dèi
come per gli uomini. Ecco perché, mio caro Fedro, posso dire che l'Eros è pieno
del bello, e bontà al più alto grado ed è quindi, per tutti gli esseri, la
fonte dei più alti beni. Vorrei dirlo in versi, questo: Eros è il dio che dà
«la pace agli uomini, la calma al mare, la tregua ai venti, il riposo al
dolore». E' lui a liberarci dall'odio, lui a donarci l'amicizia; di tutti i
conviti, come il nostro adesso, è il fondatore; nelle feste, nei cori, nei
sacrifici, è lui a farci da guida; vi porta la dolcezza, allontana ogni
rancore, generosissimo di ogni bene, non sa cosa sia la malvagità, propizio ai
buoni, esempio ai saggi, ammirato dagli dèi, è cercato da chi non ha amore,
prezioso per chi lo possiede. Il Lusso, la Delicatezza, la Voluttà, le Grazie,
la Passione, il Desiderio sono i suoi figli. E' pieno di attenzione verso i
buoni ma si allontana dai malvagi, e nel dolore, nella paura, nel desiderio,
nel discorso, egli è sempre lì, pronto a combattere. E' il nostro sostegno, la
nostra salvezza per eccellenza. E' l'onore di tutti gli dèi, di tutti gli
uomini; è la guida più bella, la migliore, e ogni uomo deve seguirlo, celebrare
la sua gloria con splendidi inni e cantare con lui quel canto con cui conquista
i cuori di tutti gli dèi e di tutti gli uomini.Ecco il mio discorso, carissimo
Fedro: che sia la mia offerta al dio! La lieta fantasia e la grave serietà vi
hanno avuto ciascuna la sua parte94, bilanciate come meglio è stato in mio
potere fare. Quando Agatone ebbe finito di parlare tutti applaudirono perché si
era espresso da par suo, in modo davvero degno del dio Eros. Allora Socrate si
voltò verso Erissimaco e gli disse. Erissimaco, figlio d'Acumeno, non avevo
forse ragione? Non ho parlato in modo profetico prima, quando ho detto che
Agatone avrebbe parlato divinamente e io, dopo, sarei stato in
imbarazzo?""Sul primo punto - rispose Erissimaco - sei stato buon
profeta, io credo, dicendo che Agatone avrebbe parlato bene. Ma che tu sia in
imbarazzo adesso, questo non lo credo proprio.""E come si potrebbe
non esserlo, carissimo Erissimaco, - riprese Socrate - dovendo parlare dopo un
discorso così bello, così seducente! Non è stato tutto perfetto, questo è vero;
ma nella conclusione chi può non esser stato preso dall'incanto delle parole e
delle frasi? Io mi riconosco subito incapace di avvicinarmi a tanta bellezza
con le mie parole, e per un po' ho anche pensato di sgattaiolare via senza dir
nulla. Ma non è possibile farlo. Il discorso di Agatone mi ha ricordato Gorgia,
al punto da farmi temere quel che dice Omero: ho quasi creduto che Agatone alla
fine del suo discorso gettasse sulla mia la testa di Gorgia, il terribile
oratore, e mi trasformasse in pietra, facendomi diventare muto95. Ho
capito allora di esser stato proprio un ingenuo quando vi ho promesso di fare
anch'io, al mio turno, l’elogio di Eros, e quando ho detto di essere ben
esperto delle cose d'amore: in effetti, devo confessare di non sapere affatto
fare un elogio. Credevo, nella mia piena ignoranza, che si dovesse dire la
verità sull'oggetto del proprio elogio, che questo fosse fondamentale: che
bisognasse scegliere le verità più belle e disporle nell'ordine più elegante.
Ero, naturalmente, tutto fiero al pensiero che avrei parlato bene: non
conoscevo forse la vera maniera di fare un elogio? Ma, stando a quanto ho
sentito, il metodo corretto di fare un elogio non è questo: bisogna piuttosto
attribuire all'oggetto del proprio discorso le più grandi e le più belle
qualità - che le abbia davvero o non le abbia non importa affatto. A quanto
sembra il nostro accordo era di giocare a far le lodi di Eros, non di lodarlo
veramente per quel che è. Ecco perché, io penso, voi muovete cielo e terra per
attribuire ad Eros ogni cosa bella e proclamare l'eccellenza della sua natura
come la grandezza delle sue opere: voi volete così farlo apparire il più bello
e il più buono possibile - ma non si ingannano coloro che sanno. E certo è una
bella cosa un elogio simile. Ma io ignoravo evidentemente questo modo di far le
lodi, e siccome lo ignoravo, promisi anch'io di pronunciare un elogio al mio
turno: «ma la lingua promise, non certo il mio cuore97». Dunque, addio alla mia
promessa! Io un elogio così non ve lo faccio, non ne sono capace. Però, a
condizione di dir solo la verità, se lo desiderate io accetto di prendere la
parola, alla mia maniera e senza rivaleggiare con l'eleganza dei vostri
discorsi, perché non ho nessuna intenzione di diventare ridicolo. Vedi tu,
Fedro, se c'è ancora bisogno di un discorso di questo genere, che lasci
intendere la verità su Eros - ma con le parole e lo stile che mi verranno al
momento.Allora - disse Aristodemo - Fedro e gli altri lo pregarono di parlare
come riteneva di dover fare."Ancora un momento, Fedro, - disse Socrate -:
lasciami porre alcune piccole domande ad Agatone, in modo che possa mettermi
d'accordo con lui prima di cominciare il mio discorso.""Ti lascio
fare - disse Fedro -; domanda pure."E così - disse Aristodemo - Socrate
cominciò pressappoco con queste parole:"Per la verità, mio buon Agatone,
io dico che tu hai aperto bene la via dichiarando che bisognava innanzitutto
mostrare qual è la natura dell'amore e come agisce: io trovo questo inizio
davvero eccellente. Andiamo avanti, però, ti prego; dopo tutto quello che hai
detto di bello e di buono sulla natura di Eros, rispondi a questa domanda: è
nella natura dell'Eros essere amore di qualche cosa, oppure di niente? Io non
ti domando se la sua natura è di essere amore per una madre o un padre, perché
sarebbe comico domandare se l'Eros è una forma d'amore che si rivolge a una
madre o a un padre. Ma se, a proposito del padre in quanto padre io domandassi:
il padre è padre di qualcuno o no?,tu mi risponderesti senza dubbio - se
volessi darmi una buona risposta - che il padre è padre di un figlio, o di una
figlia. Non è vero?""Certo", disse Agatone."E non dirai la
stessa cosa della madre?" - Agatone ne convenne."Rispondi ancora -
disse Socrate - ad alcune domande, per meglio comprendere dove voglio arrivare.
Se io domandassi: «Il fratello, in quanto fratello, è fratello di qualcuno o
no?»Rispose che lo era."Dunque è fratello di un fratello o di una
sorella?" - Agatone fu d'accordo."Prova allora - riprese Socrate - a
far la stessa domanda per l'Eros: Eros è amore di niente o di
qualcosa?""Di qualcosa, evidentemente".[200] "Tieni bene a
mente questo carattere dell'Eros, allora, e dimmi ancora se egli desidera ciò
che ama". "Lo desidera certamente", disse."Quando possiede
ciò che desidera, è allora che l'ama, o quando non lo
possiede?""Quando non lo possiede: è probabile che sia così" -
disse. "Ma pensa bene - disse Socrate - se invece che probabile non è
una certezza: non dobbiamo forse dire che desidera ciò che non possiede, e che
non desidera affatto ciò che possiede già? Per me, mio caro Agatone, questo è
chiarissimo. Tu che ne pensi?""Sono dello stesso avviso",
disse."E fai bene ad esserlo. Dunque un uomo che è grande potrà forse
desiderare di esser grande? O di esser forte se è forte?""E
impossibile, visto quel che abbiamo detto.""Non potrebbe infatti
mancare di queste qualità, poiché ce le ha.""E così.""Però
supponiamo - disse Socrate - che un uomo forte voglia esser forte, che un uomo
agile voglia esser agile, che un uomo in buona salute voglia essere in buona
salute. Si potrebbe forse pensare, per quel che riguarda queste qualità e tutte
quelle dello stesso genere, che gli uomini che le hanno desiderano averle
ancora. Lo dico per difenderci contro questo possibile errore. Se ci pensi,
Agatone, è necessario che essi abbiano, al momento, ciascuna delle qualità che
hanno, che le vogliano o meno: com'è possibile desiderare ciò che si ha già? Ma
se qualcuno ci dicesse «Io sono adesso in buona salute, e desidero esserlo; io
sono ricco, e desidero esserlo, desidero possedere quel che già possiedo»,
allora noi gli risponderemmo: «Tu hai la ricchezza, la salute, la forza; quel
che desideri, è di averle ancora in futuro, perché per il presente, che tu lo
voglia o no, le hai già. Dunque quando dici: io desidero ciò che adesso ho già,
queste parole significano semplicemente: ciò che io ho adesso, desidero averlo
anche per l'avvenire». Sei d'accordo, non è vero?Agatone - disse Aristodemo -
lo riconobbe, e Socrate proseguì: "Se tutto questo è vero, desiderare
le cose che non si hanno ancora, che non si possiedono, non è forse volere per
l'avvenire che queste cose ci siano conservate?""Certo", disse.
"Quindi l'uomo che si trova in questa situazione, e cioè chiunque provi un
desiderio, desidera ciò che non ha ancora e che non è nel presente. E ciò che
egli non ha, ciò che egli stesso non è, quel che gli manca, insomma, ecco
l'oggetto del suo desiderio e del suo amore." "Sicuramente è
così" - disse."Andiamo avanti, allora - disse Socrate. Ricapitoliamo
i punti su cui siamo d’accordo. Non è forse vero, innanzitutto, che l'Eros si
indirizza verso certe cose e, in secondo luogo, che queste cose sono quelle di
cui sente la mancanza?""Sì", disse. "E adesso, Agatone,
ricordati cosa hai detto nel tuo discorso sulle cose verso cui si indirizza
l'Eros. Se vuoi, te lo ricordo io stesso: più o meno, tu ci hai detto, credo,
che gli dèi hanno risolto i loro conflitti grazie all'amore per la bellezza,
perché non ci può essere amore verso quel che è brutto. Son più o meno le tue
parole, non è vero?""Certo", disse Agatone."Tu rispondi
come si deve, mio caro - disse Socrate -, e se le cose stanno come tu ci hai
detto, l'Eros dovrebbe amare il bello, non certo la bruttezza, non è
vero?"Agatone fu d'accordo."Ma non ci siamo trovati d'accordo anche
su questo, che si ama ciò di cui si sente la mancanza e che non si
possiede?""Sì", ammise."L'Eros manca quindi della bellezza
e non la possiede?""Per forza", disse."Ma come? Chi manca
della bellezza e non la possiede affatto, tu lo chiami bello?""No di
certo.""E allora, se le cose stanno così, sei ancora dell'avviso che
Eros sia bello? Temo proprio - disse Agatone - di aver parlato senza sapere
quel che dicevo"."Però il tuo discorso era molto elegante, Agatone.
Ma ancora una piccola domanda: le cose buone sono allo stesso tempo belle,
secondo te?""Lo sono, a mio avviso"."Allora se all'Eros
manca la bellezza e se le cose buone sono anche belle, all'Eros deve per forza
mancare anche la bontà"."Di sicuro, Socrate - disse Agatone -, io non
sono in grado di contraddirti: ammetto quel che tu dici"."No,
carissimo Agatone - disse Socrate -, non me, ma la verità tu non puoi
contraddire: Socrate, lui sì che è facile contraddirlo. Adesso ti lascerò un
po' in pace. Ecco il discorso su Eros che ho ascoltato un giorno da una donna
di Mantinea, Diotima, molto competente su questo come su tanti altri argomenti.
Fu lei che una volta, prima della peste, fece fare agli Ateniesi quei sacrifici
che ritardarono di dieci anni l'epidemia. Proprio lei mi ha fatto capire molte
cose su Eros. Adesso cercherò di fare del mio meglio per riportarvi le sue
parole, partendo da tutto quello su cui Agatone ed io ci siamo trovati
d'accordo. Come tu stesso hai detto, Agatone, bisogna innanzitutto chiarire la
natura dell'Eros, i suoi attributi e le sue azioni. Forse la cosa più semplice
è seguire nella mia esposizione lo stesso ordine che seguì la straniera
nell'esame che mi fece. Io, infatti, le rispondevo un po' come adesso ha fatto
Agatone con me: io dichiaravo che Eros è un grande dio e che ama le cose belle.
Lei mi dimostrava che ero in errore con le stesse argomentazioni di cui mi sono
servito discutendo con Agatone: Diotima diceva che Eros non è né bello, per
usare le mie parole, né buono. E io le dicevo: «Ma come Diotima? Allora Eros è
cattivo e brutto?»«Che dici? Questa è una bestemmia! - mi rispose -. Credi
forse che tutto ciò che non è bello debba essere per forza brutto?»«Ma
certo!»[202] "E perché mai? Chi non è sapiente deve per forza essere
ignorante? Non ti sei mai accorto che c'è una via di mezzo tra la sapienza e
l'ignoranza102?» «E qual è?»«Avere un'opinione giusta, senza però saperla
giustificare. Questo non è vero sapere: come posso parlare di scienza, se non
so dimostrare che è vero quello che penso? Ma non è neppure piena ignoranza,
perché per caso la mia opinione potrebbe corrispondere ai fatti. L'opinione
giusta è quindi, suppongo, simile a quel che dicevo: sta a metà strada tra la
piena conoscenza e l'ignoranza103».«E' vero», risposi.«Dunque chi non è bello
non per questo è per forza brutto, né chi non è buono deve essere cattivo. E
così è per l'Eros: poiché tu sei d'accordo con me che non può essere né buono
né bello, non devi per questo credere che sia necessariamente cattivo e brutto.
Eros - così mi disse Diotima - è a metà tra questi estremi».«Però - ripresi io
- tutti concordano nel pensare che Eros sia un dio potente».«Dicendo tutti,
parli degli ignoranti o di coloro che parlano sapendo cosa dicono?»«Io parlo
proprio di tutti».Diotima si mise a ridere. «Come possono dire di lui che è un
dio potente se dicono che non è affatto un dio?» «Ma chi dice questo?» dissi
io.«Tu per esempio - disse - ed anch'io!»Ed io: "Ma cosa dici?»«E' tutto
semplice - rispose -. Dimmi: non sei forse convinto che tutti gli dèi sono
felici e belli? o oseresti sostenere che qualcuno degli dèi non è né bello né
felice?»«lo non oserei proprio», risposi.«Ma chi è felice? non è chi possiede
cose buone e belle?»«Certo».«Ma tu hai riconosciuto che Eros, mancando delle
cose buone e belle, le desidera proprio perché gli mancano».«È vero, ero
d'accordo con te su questo».«E allora come può essere un dio se le cose buone e
belle gli mancano?»«Sembra impossibile, in effetti».«Come vedi - disse -, anche
tu ritieni che Eros non sia un dio».«Chi sarà dunque Eros? un mortale?»«No di
certo».«E allora?»«E come negli esempi precedenti, la sua natura è a mezza via
tra il mortale e l'immortale».«Che vuoi dire, Diotima?»«E' un dèmone potente,
Socrate. I demoni, infatti, hanno una natura intermedia tra quella dei mortali
e quella degli dèi. Ma qual è il suo potere», chiesi.«Eros interpreta e
trasmette agli dèi tutto ciò che viene dagli uomini, e agli uomini ciò che
viene dagli dèi: da un lato le preghiere e i sacrifici degli uomini, dall'altro
gli ordini degli dèi e i loro premi per i sacrifici compiuti; e in quanto è a
mezza via tra gli uni e gli altri, contribuisce a superare la distanza tra
loro, in modo che il Tutto sia in se stesso ordinato e unito. Da lui viene
l'arte divinatoria107, ed anche il sapere dei sacerdoti sui sacrifici, le
iniziazioni, gli incantesimi, tutto quel che è divinazione e magia. Il divino
non si mescola con ciò che è umano, ma, grazie ai dèmoni, in qualche modo gli
dèi entrano in rapporto con gli uomini, parlano loro, sia nella veglia che nel
sonno. L'uomo che sa queste cose è vicino al potere dei dèmoni, mentre chi sa
altre cose - chi possiede un'arte, o un mestiere manuale - resta un artigiano
qualsiasi o un operaio. Questi dèmoni sono numerosi e d'ogni tipo: uno di essi
è Eros».«Chi è suo padre - domandai - e chi sua madre? E' una lunga storia - mi
disse -. Adesso te la racconto. Il giorno in cui nacque Afrodite, gli dèi si
radunarono per una festa in suo onore. Tra loro c'era Poros110, il figlio di
Metis. Dopo il banchetto, Penìa era venuta a mendicare, com'è naturale in un
giorno di allegra abbondanza, e stava vicino alla porta. Poros aveva bevuto
molto nettare (il vino, infatti, non esisteva ancora) e, un po' ubriaco, se ne
andò nel giardino di Zeus e si addormentò. Penìa, nella sua povertà, ebbe
l'idea di avere un figlio da Poros: così si sdraiò al suo fianco e restò
incinta di Eros. Ecco perché Eros è compagno di Afrodite e suo servitore:
concepito durante la festa per la nascita della dea, Eros è per natura amante della
bellezza - e Afrodite è bella.Proprio perché figlio di Poros e di Penìa, Eros
si trova nella condizione che dicevo: innanzitutto è sempre povero e non è
affatto delicato e bello come si dice di solito, ma al contrario è rude, va a
piedi nudi, è un senza-casa, dorme sempre sulla nuda terra, sotto le stelle,
per strada davanti alle porte, perché ha la natura della madre e il bisogno
l'accompagna sempre. D'altra parte, come suo padre, cerca sempre ciò che è
bello e buono, è virile, risoluto, ardente, è un cacciatore di prim'ordine,
sempre pronto a tramare inganni; desidera il sapere e sa trovare le strade per
arrivare dove vuole, e così impiega nella filosofia tutto il tempo della sua
vita, è un meraviglioso indovino, e ne sa di magie e di sofismi. E poi, per
natura, non è né immortale né mortale. Nella stessa giornata sboccia rigoglioso
alla vita e muore, poi ritorna alla vita grazie alle mille risorse che deve a
suo padre, ma presto tutte le risorse fuggono via: e così non è mai povero e
non è mai ricco. Vive inoltre tra la saggezza e l'ignoranza, ed ecco come
accade: nessun dio si occupa di filosofia e nessuno desidera diventare
sapiente, perché tutti lo sono già. Chiunque possieda davvero il sapere,
infatti, non fa filosofia; ma anche chi è del tutto ignorante non si occupa di
filosofia e non desidera affatto il sapere. E questo è proprio quel che non va
nell'essere ignoranti: non si è né belli, né buoni, né intelligenti, ma si
crede di essere tutte queste cose. Non si desidera qualcosa se non si sente la
sua mancanza».«Ma allora chi sono i filosofi, se non sono né i sapienti né gli
ignoranti?»«E' chiaro chi sono: anche un bambino può capirlo. Sono quelli che
vivono a metà tra sapienza ed ignoranza, ed Eros è uno di questi esseri. La
scienza, in effetti, è tra le cose più belle, e quindi Eros ama la bellezza: è
quindi necessario che sia filosofo e, come tutti i filosofi, è in posizione
intermedia tra i sapienti e gli ignoranti. La causa di questo è nella sua
origine, perché è nato da un padre sapiente e pieno di risorse e da una madre
povera tanto di conoscenze quanto di risorse. Così, mio caro Socrate, è fatta
la natura di questo dèmone. L'idea, però, che tu ti eri fatta dell'Eros non mi
sorprende per nulla: da quel che capisco dalle tue parole, tu credevi che Eros
fosse l'amato, non l'amante. Per questa ragione, senza dubbio, ti sembrava che
fosse pieno di ogni bellezza. Infatti l'oggetto dell'amore è sempre bello,
delicato, perfetto, sa dare ogni felicità. Ma l'essenza di chi ama è
differente: è quella che ti ho prima descritto117». Io allora ripresi:«E sia,
straniera: tu hai proprio ragione. Ma se questa è la natura dell'Eros, a cosa
può esser utile a noi uomini? Adesso cercherò di spiegartelo, Socrate. Eros ha
dunque questo carattere e questa origine: ama il bello, come tu ben sai. Ora,
prova a domandarti: che cos'è l'amore per le cose belle? o più chiaramente: chi
ama le cose belle, le desidera; ma in che cosa consiste esattamente il desiderio
che si prova quando si ama? Noi desideriamo che l'oggetto del nostro amore
ci appartenga, risposi io. Questa tua risposta - disse - apre un nuovo
problema: che cosa accade all'uomo che possiede le cose belle? Io dichiarai che
non ero affatto capace di rispondere a una domanda simile. E allora -
disse lei - parliamo del bene invece che del bello. Cosa mi dici se ti domando:
chi ama le cose buone, le desidera: ma cosa desidera? Che siano sue»,
risposi.«E cosa accade all'uomo che le possiede? In questo caso posso
rispondere più facilmente - dissi -: sarà felice. In effetti proprio possedere
ciò che è buono fa la felicità delle persone. Così non abbiamo più bisogno di
domandarci che cosa vuole chi vuole essere felice, perché parlando della
felicità abbiamo già toccato il fine ultimo del desiderio».«E' vero», dissi."Ma
questa volontà, questo desiderio, tu pensi sia comune a tutti gli uomini? Tutti
vogliono sempre possedere ciò che è buono? Dimmi cosa ne pensi»,«E' così,
questa volontà è comune a tutti».«Ma allora, Socrate - riprese -, perché non
diciamo che tutti gli uomini amano, se tutti desiderano sempre le stesse cose?
Come mai, al contrario, diciamo che alcuni uomini amano ed altri non amano
affatto?"«Sono stupito anch'io di questo», risposi.«Non devi stupirti,
però - disse -. Il fatto è che l'amore ha molte forme, ma noi prendiamo una
sola di queste forme e le diamo il nome generico di amore come se fosse
l'unica. Questo nome andrebbe dato a tutte, ma per le altre forme usiamo nomi
diversi».«Mi fai un esempio?», chiesi.«Certo. Tu sai che la capacità creativa
delle persone può manifestarsi in molti campi. La creatività entra in gioco
tutte le volte che qualche cosa viene prodotta, perché prima non c'era e poi
c'è; così le opere degli artigiani, in tutti i campi, sono frutto della
creatività e gli uomini che le fanno sono tutti dei creativi, degli
artisti."«E' vero».«Però - continuò - tu sai che non li chiamiamo tutti
artisti, ma diamo loro altri nomi. Tra tutti quelli che svolgono attività che
hanno a che fare con la creatività, soltanto ad alcuni diamo il nome di artisti,
di poeti: solo a quelli che compongono musica e versi. In realtà tutti lo sono.
Solo i versi in musica chiamiamo arte, e soltanto questo è il dominio che
riconosciamo agli artisti».«E' vero», dissi.«Ed è lo stesso per l'amore. In
generale, ogni desiderio di ciò che è buono, che è bello, è per tutti
"amore possente, Eros ingannevole. Il desiderio umano ha mille forme
diverse: alcune persone hanno la passione del denaro, o dello sport, o dello
studio, ma noi non diciamo che amano, che sono innamorati. Altri, che seguono
una particolare forma d'amore, ebbene solo per loro usiamo le parole che
dovremmo usare per tutti: amore, amare, innamorati. Sei proprio convincente»,
risposi.«Molti dicono, però, che “amare” significa cercare la propria metà. Io
non sono d'accordo, perché non c'è affatto amore né per la metà né per
l'intero, mio buon amico, se l'oggetto del nostro desiderio non è buono: le
persone accettano di farsi tagliare anche i piedi o le mani, se sono convinte
che queste parti possono portare dei mali. Io non credo affatto che ciascuno si
affezioni a ciò che gli appartiene, a meno che non sia convinto che ciò che è
suo sia buono e ciò che gli è estraneo sia cattivo. Gli uomini, infatti, non desiderano
altro che il bene. Non la pensi così anche tu?» «Certo, per Zeus»,
risposi.«Allora possiamo dire semplicemente che gli uomini desiderano ciò che è
buono?»«Sì».«E non dobbiamo forse aggiungere che essi desiderano possedere ciò
che è buono?»«Certo che dobbiamo».«E non soltanto possederlo, ma possederlo
sempre». «Dobbiamo aggiungere anche questo».«Quindi - disse - l'amore è il
desiderio di possedere sempre ciò che è buono? E' così», dissi.Se è dunque
chiaro - disse - che l'amore è questo, dimmi in quale forma, in quale genere di
attività, l'ardore, la tensione estrema che accompagna lo sforzo di raggiungere
questo fine, deve ricevere il nome di amore. Di quale tipo d'azione si tratta?
Me lo sai dire? » «Certamente no - risposi -. Se lo sapessi, non sarei così
pieno d'ammirazione davanti al tuo sapere e non verrei da te come allievo per
imparare quel che sai».«Allora - riprese -, te lo dirò io: amare, per il corpo,
significa creare nella bellezza». «Bisognerebbe essere degli indovini per
capire cosa vuoi dire con queste parole, e io non lo sono affatto». «Mi esprimerò
più chiaramente. Tutti gli uomini, mio caro Socrate, hanno capacità creative
sia nel corpo che nell'anima. Tutti noi, quando abbiamo raggiunto una certa
età, per natura proviamo il desiderio di generare, ma non si può generare nulla
nella bruttezza: si può solo nella bellezza. Nell'unione dell'uomo e della
donna c'è qualcosa di creativo, qualcosa di divino. Tutte le creature viventi
sono mortali, ma in loro c'è una scintilla d'immortalità: è la fecondità dei
sessi, la capacità di generare nuovi esseri viventi. Ma questo non può avvenire
se non c'è armonia123: e non c'è armonia tra la bruttezza e tutto ciò che è
divino, perché solo la bellezza è in armonia con gli dèi. Dunque nel concepire
una nuova vita, la dea della Bellezza fa da Moira e da Ilitia124, la dea della
nascita. Per questo, chi ha dentro di sé qualcosa di creativo, quando si
avvicina a ciò che è bello prova gioia nel suo cuore, si apre al fascino della
bellezza. E' il momento della generazione: egli crea. Ma quando si avvicina a
ciò che è brutto, allora si chiude in se stesso scuro in volto e triste, cerca
di allontanarsi, e così non crea affatto, anche se porta ancora dentro il suo
seme fecondo,e ne soffre. Per questo chi sente la propria creatività pronta
alla vita, è fortemente attratto dalla bellezza: soltanto chi possiede la
bellezza è libero dalle sofferenze che ogni atto creativo comporta. E dunque
Eros - concluse - non desidera affatto la bellezza, mio caro Socrate, come tu
credi. E cosa allora?»«Desidera creare e far nascere nuova vita nella bellezza.
Ammettiamolo», dissi.«E proprio così - ripeté -. Ma perché creare nuova vita?
Perché per qualsiasi essere mortale l'eternità e l'immortalità possono
consistere solo in questo: nel creare nuova vita. [Ora, il desiderio
d'immortalità accompagna necessariamente quello del bene - lo sappiamo, ormai -
se è vero che l'amore è desiderio di possedere per sempre il bene. E così da
tutto quello che abbiamo detto segue questo, che l'amore ha come proprio
oggetto l'immortalità126».Ecco quello che Diotima mi insegnava, parlando delle
cose d'amore. Un giorno mi chiese:«Quale pensi che sia, Socrate, la causa
dell'amore e del desiderio? Non vedi in che strano stato sono gli animali,
quando il loro istinto li spinge a procreare? Tutti gli animali - che si muovano
sulla terra o volino nell'aria - sembrano impazziti, l'amore li tormenta, e li
spinge ad accoppiarsi. Poi quando viene il momento di nutrire i loro piccoli,
sono sempre pronti a combattere per difenderli: anche i più deboli affrontano
animali più forti di loro e sono pronti a sacrificarsi per amore dei loro
piccoli. Soffrono loro le torture della fame, pur di sfamare i figli e far
tutte le altre cose necessarie. Presso gli uomini si può pensare che tutto
questo sia il frutto di una riflessione razionale. Ma presso gli animali, da
dove proviene questo amore che li mette in tale stato? Puoi dirmelo?»Ancora una
volta risposi che non ne sapevo nulla. E allora riprese:«E tu pensi di
diventare un giorno davvero esperto nelle cose d'amore senza sapere questo? Ma
è ben per quello, Diotima, come ti dico sempre, che ti sto vicino, perché so di
avere bisogno di una guida. Allora dimmi perché accade tutto questo e
quant'altro riguarda l'amore». «Se sei convinto - disse - che l'oggetto
naturale dell'amore è quello sul quale abbiamo più volte discusso, non devi
certo meravigliarti. Infatti su questo punto la natura mortale segue sempre lo
stesso principio quando cerca, nella misura dei suoi mezzi, di perpetuare la
vita e divenire immortale. E non può farlo che in questo modo, attraverso
l'amore, che fa sì che un nuovo essere prenda il posto del vecchio.
Riflettiamo:quando si dice che ciascun essere vivente rimane se stesso (per
esempio che dalla nascita alla vecchiaia permane la sua identità), ebbene
questo essere non ha mai in sé le stesse cose. Diciamo sì che è sempre lo
stesso, ma in realtà non cessa mai di rinnovarsi ogni momento in certe parti,
come i capelli, le ossa, il sangue, insomma in tutto il suo corpo. E questo non
è vero soltanto per il suo corpo, ma anche per la sua anima: i sentimenti, il
carattere, le opinioni, i desideri, i piaceri, i dolori, i timori, niente di
tutto questo rimane costante per ciascuno di noi, ma tutto in noi nasce e
muore. E accadono cose più strane ancora. Non solo in generale certe conoscenze
nascono in noi mentre altre spariscono - e quindi nel campo della conoscenza
noi non rimaniamo mai gli stessi -, ma ciascuna conoscenza in particolare
subisce la stessa sorte.Infatti noi dobbiamo esercitarci nello studio proprio
perché alcune conoscenze ci sfuggono continuamente: le dimentichiamo, tendono
ad andare via, e con lo studio, inversamente, fissando nella memoria ciò che
vogliamo ricordare, le conserviamo. E' per questo che sembrano le stesse: in
realtà le conserviamo rinnovandole. E' così che tutti gli esseri mortali si
conservano: non sono sempre esattamente se stessi, come l'essere divino.
Sembrano conservare la loro identità perché ciò che invecchia e va via è subito
sostituito da qualcosa di nuovo, molto simile. Ecco in che modo - Socrate - ciò
che è mortale partecipa dell'immortalità, nel suo corpo e in tutto il resto;
l’immortale vi partecipa in modo del tutto diverso128. Non meravigliarti dunque
se ciascun essere è dominato dall'amore e si preoccupa tanto dei propri figli,
perché questo è nella natura dei viventi: è al servizio dell'immortalità129».
Queste parole mi riempirono di stupore e glielo dissi: «Ma come, saggia
Diotima, le cose stanno veramente così?»Ella mi rispose col tono serio di chi
insegna:«Devi esserne certo, Socrate. Pensa alle ambizioni che hanno molte
persone e ti meraviglierai senza dubbio della loro assurdità; se rifletti,
meditando sulle mie parole, ti accorgerai di quanto è strano lo stato di coloro
che desiderano diventare celebri e acquistare gloria immortale per l'eternità:
sono disposti per questo a correre ogni rischio, più ancora che per difendere i
loro figli. Sono pronti a mettere in gioco il loro denaro, ad affrontare tutti
i disagi, a rischiare la loro stessa vita. Pensi forse che Alcesti sarebbe morta
per Admeto, che Achille avrebbe seguito Patroclo sulla via della morte, che il
vostro re Codro avrebbe affrontato la morte per conservare il regno ai suoi
figli, se essi non avessero creduto di lasciare l'immortale ricordo del loro
valore, che è giunto sino a noi? E' così, disse. A mio avviso, è per rendere
immortale il loro valore, per acquisire un nome glorioso, che gli uomini fanno
quel che fanno, e questo tanto più se le loro qualità personali sono alte -
perché è l'immortalità che essi desiderano. Allora, disse, gli uomini fecondi
nel corpo pensano soprattutto alle donne: il loro modo d'amare è tutto nel
cercare di generare dei figli e così assicurare alla loro persona l'immortalità
- questo essi credono - e la memoria di sé e la felicità per tutto il tempo a
venire. Altre persone, però, sono feconde nell'anima: c'è infatti una
fecondità propria del nostro spirito che a volte è superiore a quella del
corpo. Ecco qual è: è la forza creativa della saggezza e delle altre virtù in
cui il nostro spirito eccelle. Questa fecondità eccelle nei poeti e in tutte le
altre persone che per il loro mestiere devono usare la creatività. Ma dove la
saggezza tocca le vette più alte e più belle è nell'ordinamento e
nell'amministrazione della città attraverso la prudenza e la giustizia. Quando
un uomo fecondo nel suo animo, simile agli dèi, coltiva sin da giovane il
proprio spirito, e divenuto adulto sente il desiderio di mettere a frutto le
sue capacità, allora cerca in ogni modo la bellezza - perché mai potrà essere
creativo nella bruttezza. I suoi sentimenti si dirigono allora verso le cose
belle piuttosto che verso le brutte, proprio perché la sua anima è feconda. Se
incontra un'anima bella e generosa e sensibile, allora le dà tutto il suo
cuore: davanti a lei saprà trovare le parole giuste per esprimere la sua forza
interiore, per esaltare i doveri e le azioni di un uomo che vale: così potrà
guidarla educandola. E secondo me, attraverso il contatto con la bellezza
dell'anima dell'altro, con la sua costante presenza, potrà venire alla luce
quanto di meglio portava in sé da tempo: in questo senso la sua anima crea,
genera nuova vita. Che sia presente o assente, il suo pensiero va sempre
all'altro che ama e così nutre ciò che nel rapporto con lui in sé ha generato.
Tra gli esseri di questa natura si crea così una comunione più intima di quella
che si ha con una donna quando si hanno dei bambini, un affetto più solido.
Sono più belle, in effetti, ed assicurano meglio l'immortalità, le creature che
nascono dalla loro unione. Chiunque vorrà senza dubbio mettere al mondo simili
creature piuttosto che bambini, se si pensa ad Omero, ad Esiodo e agli altri
grandi poeti. Si osserverà con invidia quale discendenza essi hanno lasciato,
capace di assicurare loro l'immortalità della gloria e della memoria, perché
anche i figli spirituali di quei grandi sono immortali. O ancora, se vuoi -
disse -, puoi pensare quale eredità Licurgo abbia lasciato agli Spartani per la
salvezza della loro città e, si può dire, della Grecia intera. Per le stesse
ragioni voi onorate Solone il padre delle vostre leggi, e in tutti i paesi -
greci e barbari - sono onorati gli uomini che hanno prodotto grandi opere,
mettendo a frutto le più alte capacità del loro spirito. In onore di quello che
queste persone hanno saputo creare si sono già innalzati molti templi135,
mentre questo non è mai accaduto fino ad oggi, per i figli nati dall'amore di
un uomo e di una donna. Ecco, Socrate, le verità sull'amore alle quali tu
puoi certamente essere iniziato. Ma le rivelazioni più profonde e la loro
contemplazione - il fine ultimo della ricerca su Eros - non so se sono alla tua
portata. Voglio però parlartene egualmente, senza diminuire il mio sforzo.
Cerca di seguirmi, almeno finché puoi. Chi inizia il cammino che può portarlo
al fine ultimo, sin da giovane deve essere attento al bel corpo. In primo
luogo, se chi lo dirige sa indirizzarlo sulla giusta strada, si innamorerà di
una sola persona e troverà con lei le parole per i dialoghi più belli. Poi si
accorgerà che la bellezza sensibile della persona che ama è sorella della
bellezza di tutte le altre persone: se si deve ricercare la bellezza che è
propria delle forme sensibili, non si può non capire che essa è una sola,
identica per tutti. Capito questo, imparerà a innamorarsi del bello di tutte le
persone belle e a frenare il suo amore per una sola: dovrà imparare a non
valutare molto questa prima forma dell'amore, a giudicarla di minor valore.
Poi, imparerà a innamorarsi della bellezza delle anime piuttosto che della
bellezza sensibile: a desiderare una persona per la sua anima bella, anche se
non è fisicamente attraente. Con lei nasceranno discorsi così belli che
potranno elevare i giovani che li ascoltano. E giunto a questo punto, potrà
imparare a riconoscere la bellezza in quel che fanno gli uomini e nelle leggi:
scoprirà che essa è sempre simile a se stessa, e così la bellezza dei corpi gli
apparirà ben piccola al confronto. Dalle azioni degli uomini, poi, sarà portato
allo studio delle scienze, per coglierne la bellezza, gli occhi fissi sull'immenso
spazio su cui essa domina. Cesserà allora di innamorarsi della bellezza di un
solo genere, d'una sola persona o di una sola azione - una forma d'amore che lo
lascia ancora schiavo - e rinuncerà così alle limitazioni che lo avviliscono e
lo impoveriscono. Orientato ormai verso l'oceano infinito della bellezza142,
che ha imparato a contemplare, le sue parole e i suoi pensieri saranno pieni
del fascino che dà l'amore per il sapere143. Finché, reso forte e grande per il
cammino compiuto, giungerà al punto da fissare i suoi occhi sulla scienza
stessa della bellezza perfetta, di cui adesso ti parlerò. Sforzati - mi disse
Diotima - di dedicarti alle mie parole con tutta l'attenzione di cui sei
capace. Guidato fino a questo punto sul cammino dell'amore, il nostro uomo
contemplerà le cose belle nella loro successione e nel loro esatto ordine;
raggiungerà il vertice supremo dell'amore e allora improvvisamente gli apparirà
il bello nella sua meravigliosa natura, quella stessa, Socrate, che era il fine
di tutti i suoi sforzi: eterna, senza nascita né morte145. Essa non si accresce
né diminuisce, né è più o meno bella se vista da un lato o dall'altro. Essa è
senza tempo, sempre egualmente bella, da qualsiasi punto di vista la si
osservi. E tutti comprendono che è bella. Il bello non ha forme definite: non
ha volto, non ha mani, non ha nulla delle immagini sensibili o delle parole.
Non è una teoria astratta. Non è uno dei caratteri di qualcosa di esteriore,
per esempio di un essere vivente, o della Terra o del cielo, o non importa di
cos'altro. No, essa apparirà all'uomo che è giunto sino a lei nella sua
perfetta natura, eternamente identica a se stessa per l'unicità della sua
forma. Tutte le cose belle sono belle perché partecipano della sua bellezza, ma
esse nascono e muoiono - divenendo quindi più o meno belle - senza che questo
abbia alcuna influenza su di lei. Iniziando il proprio cammino dal primo
gradino della bellezza sensibile, l'uomo si eleva coltivando il suo fecondo
amore per i giovani e così impara a percepire in loro i segni della pura e
perfetta bellezza: allora potrà dire di non essere lontano dalla meta. Così, da
soli o sotto la guida di un altro, la perfetta via dell'amore ha inizio con la
bellezza sensibile ed ha per fine la contemplazione della Bellezza pura: l'uomo
deve salire come su una scala, da una sola persona bella a due, poi a tutte,
poi dalla bellezza sensibile alle azioni ben fatte e alla scienza, fino alla
pura conoscenza del bello, e ancora avanti sino alla contemplazione del bello in
sé. Questo, mio caro Socrate - mi disse la straniera di Mantinea -, è il
momento più alto nella vita di una persona: l'attimo in cui si contempla la
Bellezza pura. Se la vedrai un giorno, al suo confronto sfioriranno le
ricchezze, i bei vestiti, i bei ragazzi che ti fanno girare la testa: eppure tu
e tanti altri accettereste di non mangiare né bere, per così dire, pur di
poterli ammirare e poter stare con loro148. Cosa proverà l'anima
allora nel fissare la Bellezza pura, semplice, senza alcuna impurità, del
tutto estranea all'imperfezione umana, ai colori, alle vanità sensibili? Cosa
proverà il nostro spirito nel contemplare la Bellezza divina nell'unicità della
sua forma? Credi forse che possa ancora essere vuota la vita di un uomo che
abbia fissato sulla Bellezza il suo sguardo, contemplandola pur nei limiti dei
mezzi che possiede, ed abbia vissuto in unione con essa? Non pensi, disse, che
solamente allora, quando vedrà la bellezza con gli occhi dello spirito ai quali
essa è visibile, quest'uomo potrà esprimere il meglio di se stesso? Non una
falsa immagine149 egli contempla, infatti, ma la virtù più autentica, in piena
verità150. Egli coltiva in sé la vera virtù e la nutre: non sarà forse per
questo amato dagli dèi? non diverrà tra gli uomini immortale?» Ecco,
Fedro, e voi tutti che mi ascoltate, quel che mi disse Diotima. Ed è riuscita a
convincermi, così come io - a mia volta - cerco di convincere gli altri: per
dare alla natura umana il possesso di ciò che è bene, non si troverà miglior
aiuto dell'Eros. Così - io lo dichiaro - ogni uomo deve onorare Eros; io onoro
l'amore che è in me, io mi consacro all'Eros ed esorto gli altri a fare
altrettanto. Per quanto è in mio potere fare, ora e sempre voglio esaltare la
forza dell'Eros, e il suo valore. Ecco il mio discorso, Fedro. Consideralo, se
vuoi, un elogio dell'Eros, altrimenti dagli il nome che vorrai". Questo
disse Socrate. Mentre tutti si complimentavano con lui e Aristofane cercava di
dirgli qualcosa perché Socrate di sfuggita aveva fatto una allusione al suo
discorso151, ecco che si sentì bussare alla porta dell'atrio, e un gran vociare
di gente allegra, e la voce di una suonatrice di flauto. "Ragazzi - disse
Agatone - andate a vedere, presto. Se è uno dei miei amici, invitatelo ad
entrare. Altrimenti dite che abbiamo già finito di bere e che stiamo andando a
dormire." Un istante più tardi si sentì nell'atrio la voce di Alcibiade,
non più molto in sé per il vino, che urlava a squarciagola. Domandava dove
fosse Agatone, voleva essere accompagnato da lui. E così lo accompagnarono
nella sala e stava in piedi solo perché una flautista e qualcun altro dei suoi
compagni lo sostenevano. Fermo sulla soglia, portava in capo una corona di
edera e di viole, la testa avvolta nei nastri. "Signori - disse - buona
sera! Accettereste un uomo completamente ubriaco per bere con voi? oppure
dobbiamo limitarci a mettere questa corona in testa ad Agatone e andar via
subito? Siamo venuti per questo, infatti. Ieri, in effetti non sono potuto
venire. Vengo adesso con i nastri sulla testa per passarli dalla mia alla testa
dell'uomo che - nessuno si offenda - è il più sapiente e il più bello: voglio
proprio incoronarlo. Ah, ridete di me perché sono ubriaco! Ridete, ridete,
tanto lo so che è vero. Allora, mi volete rispondere? posso entrare o no?
volete o no bere con me?" Allora tutti si misero ad applaudirlo, e
gli dissero di entrare e prendere posto in mezzo a loro. Agatone lo chiamò,
Alcibiade si diresse verso di lui, aiutato dai suoi compagni, e cominciò a
togliersi i nastri dalla fronte per incoronare Agatone. Anche se ce l'aveva
sotto gli occhi non si accorse di Socrate e andò a sedersi accanto ad Agatone,
quasi addosso a Socrate che dovette fargli posto. Si sedette dunque in mezzo a
loro, abbracciò Agatone e gli mise la corona sulla testa. "Ragazzi - disse
Agatone - slacciate i sandali ad Alcibiade, che sia terzo in mezzo a
noi.""Benissimo - disse Alcibiade -, ma chi è terzo con noi?"
Dicendo così si voltò e c'era Socrate. Appena lo vide fece un balzo indietro e disse:
"Per Eracle, chi c'è qui? Socrate? Che tiro mi hai teso! sdraiato accanto
a me! Ti par questa la maniera di comparire quando uno meno se l'aspetta? E che
ci vieni a fare qui? Potevi metterti accanto ad Aristofane o a un altro che
voglia far lo spiritoso! E' che tu hai trovato il modo di sdraiarti accanto al
più bello della compagnia!" "Agatone, per favore difendimi tu - dice
Socrate -. Essere in amore per quest'uomo non mi costa certo poco. Dal giorno
in cui mi sono invaghito di lui non ho più il diritto di guardare un solo bel
ragazzo, nemmeno di rivolgergli la parola. E' geloso, invidioso, mi fa delle
scene, me ne dice di tutti i colori e poco manca che me le dia. Dunque,
attenzione, che non faccia adesso una scenata! Tenta di riconciliarci tu o, se
tenta di picchiarmi, difendimi perché la sua ira e la sua follia d'amore mi
fanno una paura terribile." "No - disse Alcibiade -, è impossibile:
tra te e me nessuna riconciliazione. E per quel che hai detto faremo i conti
un'altra volta. Per il momento, Agatone, passami qualcuno di quei nastri, che
cinga la sua testa, questa testa meravigliosa. Voglio evitare che poi si
lamenti che ho incoronato te mentre ho lasciato senza corona lui, che per i
suoi discorsi vince tutti sempre, e non solamente una volta come te ieri."
Dicendo questo prese dei nastri, incoronò Socrate e poi si sdraiò. Si mise
comodo e disse:"Amici miei, avete proprio l'aria di voler far gli astemi.
Ma questo non vi è permesso: bisogna bere, l’abbiamo convenuto tra noi! Sarò io
il re del simposio, finché voi non avrete bevuto a sufficienza. Allora,
Agatone, fammi portare una coppa, una grande, se c'è. No, no, non c'è bisogno.
Ragazzo dice - portami quel vaso per tenere il vino in fresco." Ne aveva
appena visto uno, che teneva otto cotili153 abbondanti. Lo fece riempire e
bevve per primo. Poi ordinò di servire Socrate, dicendo: "Con Socrate,
amici miei, non c'è niente da fare: quanto vorrà bere berrà, e non ci sarà
verso di farlo ubriacare."Il servo allora portò il vino a Socrate che si
mise a bere, mentre Erissimaco chiedeva:"E poi cosa facciamo, Alcibiade?
Restiamo così, senza parlare di niente, la coppa in mano, senza cantare niente?
beviamo soltanto, come degli assetati?" "Erissimaco - gli fa
Alcibiade -, grande figlio di un padre grande e saggio, io ti
saluto.""Ti saluto anch'io - dice Erissimaco -. E adesso cosa
dobbiamo fare?""Siamo tutti ai tuoi ordini perché un medico, da solo,
vale molti uomini. Obbediremo dunque ai tuoi desideri.""E allora
ascoltami - dice Erissimaco -. Prima che tu arrivassi, avevamo deciso che
ciascuno al suo turno, andando da sinistra verso destra, avrebbe fatto un
discorso sull'Eros, il più bel discorso d'elogio. Noi l'abbiamo già fatto,
adesso tocca a te, perché hai bevuto ed è giusto che anche tu faccia il tuo
discorso. Poi ordina a Socrate quel che vuoi, e lui farà lo stesso con chi sta
alla sua destra e così via.""Ben detto, Erissimaco - risponde
Alcibiade -. Solo che se uno ha bevuto troppo, non può dire cose che stanno
alla pari con chi è sobrio. E poi c'è Socrate: credi forse una sola parola di
quel che ha appena detto? non lo sai che è tutto il contrario? Perché lui, se
in sua presenza faccio l'elogio di qualcuno, d'un dio o di un'altra persona che
non sia lui, non ci pensa due volte a menarmi.""Ma che dici!",
gli fa Socrate."Per Poseidone - dice Alcibiade -, è inutile che protesti,
perché in tua presenza io non posso fare l'elogio di nessuno, se non di
te.""E allora fa così - dice Erissimaco -, se vuoi: fa un elogio di
Socrate."Che dici? - riprese Alcibiade - tu credi che dovrei... Vuoi che
me la prenda con un tipo così e mi vendichi davanti a voi?""Ma
ragazzo, che ti passa per la testa? - dice Socrate. Perché mai vuoi fare il mio
elogio? per prendermi in giro?""Voglio solo dire la verità: a te
accettare o meno.""La verità? Benissimo, allora accetto. Anzi ti
chiedo io di dirla." "Presto fatto - dice Alcibiade -. Quando a te,
ti assegno un compito: se dico qualche cosa che non è vera, tronca a metà le
mie parole, se vuoi, e dimmi che su quella cosa lì io mento, perché io volontariamente
non racconterò certo delle balle. Però mescolerò un po' tutto nel mio discorso,
e tu non meravigliarti, perché tu sei proprio un bel tipo e non è certo facile,
nello stato in cui sono, ricordare con ordine proprio tutto. Discorso di
Alcibiade: Per fare l'elogio di Socrate, amici, ricorrerò a delle immagini.
Sono sicuro che lui penserà che voglia scherzare, e invece sono serissimo,
perché voglio dire la verità. Io dichiaro dunque che Socrate è in tutto simile
a quelle statuette dei Sileni che si vedono nelle botteghe degli scultori, con
in mano zampogne e flauti. Se si aprono, dentro si vede che c'è l’immagine di
un dio. E aggiungo che ha tutta l'aria di Marsia155, il satiro: eh sì, Socrate,
gli somigli proprio, non vorrai negarlo! E non solo nell'aspetto! Ascoltami
bene: non sei forse sempre tracotante? Se lo neghi, io produrrò dei testimoni.
Ma, si dirà, Socrate è forse un suonatore di flauto? Sì, e ben più bravo di
Marsia. Lui incantava tutti con quel che riusciva a fare col flauto, tanto che
ancora oggi chi vuol suonare le sue arie deve imitarlo. Anche le musiche di
Olimpo, io dico che erano di Marsia, il suo maestro. Le sue arie, suonate da un
grande artista o da una ragazzina alle prime armi, sono sempre le sole capaci
di incantarci, di farci sentire quanto bisogno abbiamo degli dèi: ci vien
voglia di essere iniziati ai misteri, perché quelle musiche sono divine. Tu,
Socrate, sei diverso da Marsia solo in questo, che non hai affatto bisogno di
strumenti musicali per ottenere gli stessi risultati: ti bastano le parole. Una
cosa è certa e dobbiamo dirla: quando ascoltiamo un altro oratore, il suo
discorso non interessa quasi nessuno. Ma ascoltando te, o un altro - per
mediocre che sia - che riporta le tue parole, tutti, ma proprio tutti, uomini,
donne, ragazzi, siamo colpiti al cuore: qualcosa che non ci fa star tranquilli
si impadronisce di noi. Quanto a me, amici, non vorrei sembrarvi del tutto
ubriaco, ma bisogna che vi dica - come se fossi sotto giuramento - quale
impressione ho avuto nel passato, ed ho ancora, ad ascoltare i suoi discorsi.
Quando lo sento parlare, il mio cuore si mette a battere più forte di quello
dei Coribanti158 in delirio e mi emoziono sino alle lacrime: e ne ho vista di
gente provare le stesse emozioni. Ora, ascoltando Pericle ed altri grandi
oratori, mi accorgevo certo che parlavano bene, ma non provavo niente di
simile: la mia anima non era travolta, non sentiva il peso della schiavitù in
cui era ridotta. Ma lui, questo Marsia, mi ha spesso messo in un tale stato da
farmi sembrare impossibile vivere la mia vita normale - e questo, Socrate, non
dirai che non è vero. E ancora adesso - lo so benissimo - se accettassi di
prestar ascolto alle sue parole, non potrei farne a meno: proverei le stesse
emozioni. Socrate con i suoi discorsi mi obbliga a riconoscere i miei limiti:
io non cerco di migliorare me stesso, e continuo lo stesso ad occuparmi degli
affari degli Ateniesi160. Devo quindi fare violenza a me stesso, tapparmi le
orecchie come se dovessi fuggire dalle Sirene, devo andar via per evitare di
passare con lui il resto dei miei giorni. Soltanto davanti a lui ho provato un
sentimento che nessuno si aspetterebbe di trovare in me: io ho avuto vergogna
di me stesso. Socrate è il solo uomo davanti al quale io mi sia vergognato. E
questo perché mi è impossibile - ne sono perfettamente cosciente - andargli
contro, dire che non devo fare quello che mi ordina; ma appena mi
allontano, cedo al richiamo degli onori della folla intorno a me161. Allora mi
nascondo, come uno schiavo scappo via, ma quando lo rivedo mi vergogno per quel
che prima ero stato costretto ad ammettere. Ci sono volte che non vorrei più
vederlo al mondo, ma se questo accadesse so che sarei infelicissimo. Così, io
non so proprio che cosa fare con quest'uomo. Ecco l'effetto delle sue arie
da flauto, su di me e su tanti altri: ecco cosa questo satiro ci fa subire. Ma
ascoltate ancora: voglio proprio mostrarvi come somigli alle statuette a cui
l'ho già paragonato, e come il suo potere sia straordinario. Sappiatelo per
certo: nessuno di voi lo conosce davvero e io, siccome ho già cominciato,
voglio mostrarvelo sino in fondo. Guardatelo: Socrate ha un debole per i bei
ragazzi, non smette mai di girar loro attorno, perde la testa per loro. D'altra
parte lui ignora tutto, non sa mai niente - questa almeno è l'immagine che vuol
dare. Non è questa la maniera di fare di un Sileno? Sì certo, perché questa è
l'immagine esterna, come quella della statuetta di Sileno. Ma all'interno? Una
volta aperta la statuetta, avete idea della saggezza che nasconde? Amici miei,
sappiatelo: che uno sia bello, a lui non interessa affatto, non se ne accorge
neppure - da non credersi - e lo stesso accade se uno è ricco o ha tutto quello
che la gente ritiene invidiabile avere. Per lui, tutto questo non ha alcun valore,
e noi non siamo niente ai suoi occhi163, ve lo assicuro. Passa tutta la sua
giornata a fare il sornione, trattando con ironia un po' tutti. Ma quando
diventa serio e la statuetta si apre, io non so se avete mai visto che immagini
affascinanti contiene. Io le ho viste, simili agli dèi, preziose, perfette e
belle, straordinarie: e così mi son sentito schiavo della sua volontà. Ero
giovane, e credevo seriamente che lui fosse preso dalla mia bellezza; ho
creduto fosse una fortuna per me, e un'occasione da non lasciar scappare. Ero
veramente fiero della mia bellezza e così speravo che, ricambiando il suo
interesse, avrei potuto aver parte della sua saggezza. Convinto di questo, una
volta allontanai il mio servitore - di solito ce n'era sempre qualcuno quando
vedevo Socrate, e non eravamo mai soli - e così restai da solo con lui. Devo
proprio dirvi tutta la verità: ascoltatemi bene, e tu Socrate, se non dico bene
correggimi. Eccomi dunque con lui, amici, da soli. Io credevo che avrebbe ben
presto cominciato a parlare come si parla fra innamorati, e ne ero felice.
Invece non fa assolutamente niente. Parla con me come sempre, restiamo tutto il
giorno insieme, poi se ne va. Allora lo invitai a far esercizi di ginnastica
con me, e così ci esercitavamo insieme: io speravo proprio di
concludere qualcosa. Facemmo ginnastica insieme per un certo tempo, e
spesso facevamo la lotta, ed eravamo soli. Che dirvi? Nessun passo avanti. Non
riuscendo a niente con questi sistemi, pensai allora di puntar dritto al mio
scopo. Non volevo affatto lasciar perdere, dopo essermi lanciato in questa
impresa: dovevo subito vederci chiaro. Lo invito dunque a cena, come un
innamorato che tende una trappola al suo amato167. Ma non accettò subito, anzi
ci mise un po' di tempo a convincersi. La prima volta che venne, volle andar
via subito dopo cena. Io, che mi vergognavo un po', lo lasciai andare. Ma feci
un secondo tentativo: e in quell'occasione dopo cena io prolungai la
conversazione, senza tregua, fino a notte fonda. Così quando lui volle andarsene,
con la scusa che era tardi lo convinsi a restare. Era dunque coricato sul
letto accanto al mio, là dove avevamo cenato, e nessun altro dormiva con noi.
Fin qui, quel che ho raccontato potrei dirlo davanti a tutti. Ma quel che segue
voi non me lo sentireste affatto dire se, come dice il proverbio, nel vino
(bisogna o no parlare con la bocca dell'infanzia?) non ci fosse la verità. Del
resto non mi par giusto lasciare in ombra quel che di meraviglioso fece
Socrate, proprio adesso che ne sto facendo l'elogio. E poi io sono come uno
morso da una vipera: queste persone, si dice, non raccontano affatto quel che
han passato, se non ad altri che sono stati anch'essi morsi, perché solo loro
possono comprendere, e scusare tutto ciò che si è osato fare o dire per
l'angoscia del dolore. E io son stato morso da un dente più crudele, e in
una parte della persona che aumenta la crudeltà: nel cuore, nell'anima (poco
importa il nome). La filosofia con i suoi discorsi mi ha trafitto col suo
morso, che penetra più a fondo del dente della vipera168 quando si impadronisce
dell'anima di un giovane non privo di talento e gli fa fare e dire ogni sorta
di stravaganze - ed eccomi qua con Fedro, con Agatone, con Erissimaco, con
Pausania, con Aristodemo, ed anche con Aristofane, senza parlare di Socrate, e
con tanti altri, tutti attenti come me al delirio filosofico e alla sua forza
dionisiaca. Vi chiedo dunque d'ascoltarmi perché certo mi perdonerete per quel
che ho fatto allora e per quel che dico oggi. E voi servitori, voi tutti che
siete profani, se state ascoltando, tappatevi le orecchie con le porte più
spesse. E allora, miei amici, quando la lampada fu spenta e i servi se ne
furono andati, io pensai che non dovevo più giocare d'astuzia con lui, ma dire
francamente il mio pensiero. Gli dissi allora, scuotendolo: "Dormi,
Socrate?" "Per nulla", rispose. "Sai cosa penso?"
"Che cosa?" "Penso che tu saresti un amante degno di me, il solo
che lo sia, e vedo che esiti a parlarne. Quanto ai miei sentimenti, mi son
convinto di questo: che è stupido, io credo, non cedere ai tuoi desideri in
questo, come in ogni cosa in cui tu avessi bisogno, la mia fortuna o i miei
amici. Niente, infatti, è più importante ai miei occhi che migliorare il più
possibile me stesso, e io penso che su questa strada nessuno mi può aiutare più
di te. Quindi mi vergognerei dinanzi alle persone sagge di non cedere ad un
uomo come te più di quanto mi vergognerei dinanzi alla massa degli ignoranti di
cedere." Mi ascolta, prende la sua solita aria ironica e mi dice:
"Mio caro Alcibiade, se quel che dici sul mio conto è vero, se ho davvero
il potere di renderti migliore, devo dire che ci sai proprio fare. Tu vedi
senza dubbio in me una bellezza fuori del comune e ben differente dalla tua. Se
l'aver visto questo ti spinge a legarti a me e a scambiare il bello con il
bello, il guadagno che tu pensi di fare alle mie spalle non è affatto
piccolo. Tu non vuoi più possedere l'apparenza della bellezza, ma la bellezza
reale, e quindi sogni di scambiare - non c'è dubbio - il bronzo con l'oro. Eh
no, mio bell'amico, guarda meglio! T'illudi sul mio conto: io non sono
niente171. Lo sguardo della mente comincia davvero a esser penetrante quando
gli occhi cominciano a veder meno: e tu sei ancora molto lontano da quel
momento." Al che io rispondo: "Per quel che mi riguarda, sia ben
chiaro, io non ho detto niente che non penso. A te, adesso, decidere ciò che è
meglio per te e per me." "Hai ragione - mi fa -. Nei prossimi giorni
noi ci chiariremo, e agiremo nella maniera che sembrerà migliore ad entrambi,
su questo punto come su tutto il resto." Dopo questo dialogo, io credevo
di aver lanciato un dardo che l'avesse trafitto. Mi alzai e, senza permettergli
di reagire, stesi su di lui il mio mantello - era inverno - e mi allungai sotto
il suo, ormai vecchio, e presi tra le mie braccia quest'essere veramente
meraviglioso, demonico173, e restai con lui tutta la notte. Adesso non dirai
che mento, Socrate. Ma tutto questo dimostra quanto lui fosse più forte: non
degnò di uno sguardo la mia bellezza, non se ne curò affatto, fu quasi
offensivo in questo. E dire che credevo di non essere affatto male, miei
giudici (sì, giudici della superiorità di Socrate). Ebbene sappiatelo - ve lo
giuro sugli dèi e sulle dee - io mi alzai dopo aver dormito a fianco di Socrate
senza che nulla fosse accaduto, come se avessi dormito con mio padre o con mio
fratello maggiore. Immaginate il mio stato d'animo! Certo, mi ero quasi offeso,
ma apprezzavo il suo carattere, la sua saggezza, la sua forza d'animo. Avevo
trovato un essere dotato di un'intelligenza e di una fermezza che avrei credute
introvabili: e così non potevo prendermela con lui e privarmi della sua
compagnia, né d'altra parte vedevo come attirarlo dove volevo io. Sapevo bene
che era totalmente invulnerabile al denaro, più di Aiace davanti alle armi. Sul
solo punto in cui credevo si sarebbe lasciato catturare, ecco, era appena
fuggito175. Insomma, completamente schiavo di quest'uomo, come mai nessuno lo è
stato d'altri, gli giravo vanamente attorno. Tutto questo accadde prima della
spedizione di Potidea. Entrambi vi partecipammo, e prendemmo anche i pasti
insieme. Quel che è certo, è che resisteva alle fatiche non solo meglio di me,
ma di tutti gli altri. Quando capitava che le comunicazioni fossero interrotte
in qualche punto, e in guerra succede, e noi restavamo senza mangiare, nessun
altro aveva tanta resistenza alla fame. Al contrario, se eravamo ben riforniti,
sapeva approfittarne meglio degli altri, in particolare per bere; non che ci
fosse portato, ma se lo si forzava un po', lui poi superava tutti e - cosa
assai strana - nessuno ha mai visto Socrate ubriaco. E credo che questa notte
stessa avrete la prova di quanto dico. Quanto al freddo - e nella zona di
Potidea gli inverni sono terribili - Socrate è del tutto straordinario. Vi
racconto un episodio. Era un giorno di terribile gelo, quanto di peggio potete
immaginare, uno di quei giorni in cui tutti evitano di uscire e se lo fanno si
infagottano tutti, i piedi avvolti in panni di feltro o in pelli di agnello.
Socrate se ne uscì coperto solo dal mantello che porta sempre andando a piedi
nudi sul ghiaccio con più tranquillità di quelli che avevano le scarpe: e così
i soldati lo guardavano di traverso, perché pensavano li volesse
umiliare. E c'è dell'altro da dire. "E' straordinario ciò che fece e
sopportò il forte eroe", laggiù in guerra: vale veramente la pena di
sentire la storia che ho da raccontare. Un giorno si mise a meditare sin dal
primo mattino, e restava fermo a seguire le sue idee. Non riusciva a venire a
capo dei suoi problemi, e così stava lì, in piedi, a riflettere. Era già
mezzogiorno e gli altri soldati l'osservavano, stupiti, e la voce che Socrate
era in piedi a riflettere sin dal mattino presto cominciò a circolare; finché,
venuta la sera, alcuni soldati della Ionia dopo cena portarono fuori i loro
letti da campo - era estate - e si sdraiarono al fresco, a guardar Socrate, per
vedere se avrebbe passato la notte in piedi. E così fece, sino alle prime luci
del mattino. Solo allora se ne andò, dopo aver elevato una preghiera al Sole.
Adesso, se volete, dobbiamo dir qualcosa della sua condotta in combattimento -
perché anche su questo punto bisogna rendergli giustizia. Quando ci fu lo
scontro per il quale i generali mi assegnarono un premio per il mio coraggio,
riuscii a salvarmi proprio per merito suo. Ero ferito, lui si rifiutò di
abbandonarmi e riuscì a salvare sia me che le mie armi. Allora io chiesi ai
generali di assegnare il premio a te: non potrai certo, Socrate, dire adesso
che io mento, e neppure rimproverarmi per quel che dico. Ma i generali,
considerando la posizione in cui ero, volevano dare a me il premio, e tu hai
personalmente insistito più di loro perché il premio invece andasse a me.
Ricordo un'altra occasione, amici, in cui valeva la pena di vedere Socrate: fu
quando il nostro esercito a Delio179 fu messo in rotta. In quell'occasione fu
il caso a farmelo incontrare. Io ero a cavallo, e lui era oplita. Stava
ripiegando insieme a Lachete180, tra le truppe sbandate, quando io capito lì
per caso, li vedo e per incoraggiarli dico loro che non li avrei abbandonati.
In quell'occasione ho potuto osservare Socrate ancora meglio che a Potidea,
perché avevo meno da temere, essendo a cavallo. Aveva più sangue freddo di
Lachete - e quanto! - e dava l'impressione (uso le tue parole, Aristofane) di
avanzare come se si trovasse in una strada d'Atene "sicuro di sé, gettando
occhiate di fianco", osservando con occhio tranquillo amici e nemici e
facendo vedere chiaramente, e da lontano, che si sarebbe difeso sino in fondo
se qualcuno avesse voluto attaccarlo. E così andava senza mostrare alcuna
inquietudine, insieme con il suo compagno: gli opliti che, in simili
situazioni, si comportano in questa maniera di solito non vengono affatto
attaccati dai nemici, che invece inseguono chi scappa in disordine. Molti altri
aspetti del carattere di Socrate potrebbero essere oggetti di un elogio, perché
sono veramente ammirevoli. Riguardo a queste cose, però, anche altri uomini
probabilmente meritano gli stessi elogi. C'è qualcosa in Socrate, invece, che
lo rende meravigliosamente unico, assolutamente diverso da tutti gli altri
uomini del passato e del presente. Infatti, volendo, si può trovare l'immagine
di Achille in Brasida e in altri, Pericle può ricordare Nestore o Antenore, e
questi casi non sono isolati: si possono fare paragoni simili a proposito
di tanti altri. Ma l'incredibile di quest'uomo è che lui e i suoi discorsi non
hanno paragoni né nel passato né oggi, per quanto si cerchi con attenzione, a
meno che non lo si voglia paragonare come facevo io prima: non ad altri uomini,
ma ai Sileni e ai Satiri - che si tratti di lui o delle sue parole. Sì, perché
c'è una cosa che ho dimenticato di precisare: anche i suoi discorsi sono simili
alle statuette dei Sileni che si aprono. Infatti, se si ascolta quel che dice
Socrate, a prima vista le sue parole possono sembrare quasi comiche, tutte
intrecciate con strani discorsi: esteriormente ricordano proprio gli intrecci
della pelle di un satiro insolente. Parla di asini da soma, di fabbri, di
sellai, di conciatori di pelli, ed ha sempre l'aria di dire le stesse cose con
le stesse parole. Chi non sa o è poco attento, c'è caso che rida dei suoi
discorsi. Ma se li apri e li osservi bene, penetrandone il senso, scopri che solo
le sue parole hanno un loro senso profondo: parla come un dio, e la folla delle
immagini che usa, affascinanti, rimandano sempre alla virtù. Chi lo ascolta è
portato verso le cose più alte; anzi, meglio, è guidato a tenere sempre davanti
gli occhi tutto quel che è necessario per diventare un uomo che
vale. Ecco, amici, il mio elogio di Socrate. Quanto ai rimproveri che ho
da fargli, li ho mescolati al racconto di quel che mi ha combinato. Del resto
non sono il solo che ha trattato in questo modo: ha fatto lo stesso con
Carmide, il figlio di Glaucone, con Eutidemo, il figlio di Dioele, tutta gente
che ha ingannato con la sua aria da innamorato, con la conseguenza che furono
loro ad innamorarsi di lui. Io ti avverto, Agatone: non farti ingannare da
quell'uomo! Che la nostra esperienza ti sia di monito! Che non accada come dice
il proverbio: "l'ingenuo fanciullo non impara che soffrendo." Quando
Alcibiade ebbe parlato così, l'ilarità fu generale, anche perché s'era capito
ch'era ancora innamorato di Socrate. E così Socrate gli disse: "Tu non hai
affatto l'aria d'aver bevuto, Alcibiade. Altrimenti non avresti fatto un
discorso così sottile, tutto fatto per nascondere il tuo vero obiettivo, che è
venuto fuori solo alla fine: ne hai parlato come se fosse una cosa secondaria,
e invece tu hai fatto tutto un lungo discorso solo per cercare di guastare
l'amicizia tra Agatone e me. E tutto perché sei convinto che io debba amare
solo te, nessun altro che te, e che Agatone debba essere amato soltanto da te,
da nessun altro che da te. Ma non t'è andata bene: il tuo dramma satiresco, la
tua storia di Sileni, abbiamo capito tutti cosa significhi. E allora, mio caro
Agatone, bisogna che lui non vinca a questo gioco: sta ben attento che nessuno
possa mettersi tra me e te." E Agatone di rimando:"Hai detto proprio
la verità, Socrate. E ne ho le prove: si è venuto a sdraiare proprio tra te e
me, per separarci. Ma non ci guadagnerà niente a far così, perché io torno
proprio a mettermi accanto a te." "Oh, bene, - disse Socrate - ti voglio
proprio vicino! Per Zeus, - disse Alcibiade - quante me ne fa passare
quest'uomo! Pensa sempre come fare per aver l'ultima parola con me. Socrate,
sei proprio straordinario! Ma lascia almeno che Agatone stia tra noi due. E'
impossibile - disse Socrate -. Perché tu hai appena fatto il mio elogio, e io
devo a mia volta far quello della persona che sta alla mia destra. Quindi, se
Agatone si mette al tuo fianco, alla tua destra, dovrà mettersi a fare il mio
elogio prima che io abbia fatto il suo. Lascialo piuttosto stare dov'è, mio
divino amico, e non essere geloso se faccio il suo elogio, perché desidero
proprio cantare le sue lodi. Bravo! - disse Agatone -. Lo vedi tu stesso,
Alcibiade: non è proprio possibile che resti qui. Voglio a tutti i costi cambiar
posto, e ascoltare il mio elogio da Socrate". "Ecco - disse Alcibiade
-, finisce sempre così. Quando c'è Socrate, non c'è posto che per lui accanto
ai bei ragazzi. Guarda che razza di ragione ha saputo trovare adesso per
farselo stare vicino!" Agatone si era alzato per andarsi a mettere accanto
a Socrate, quando all'improvviso tutta una banda di gente allegra spuntò dalla
porta. Qualcuno era uscito e l'avevano trovata aperta, e così erano entrati e
s'erano uniti alla compagnia. Gran baccano in tutta la sala: senza più alcuna
regola, si bevve allegramente un sacco di vino. Allora, mi disse Aristodemo,
Erissimaco, Fedro e qualcun altro andò via. Lui, Aristodemo, fu preso dal sonno
e dormì tanto, perché le notti erano lunghe. Si svegliò ch'era giorno e i galli
già cantavano. Alzatosi, vide che gli altri dormivano o erano andati via.
Solo Agatone, Aristofane e Socrate erano ancora svegli e bevevano da una gran
coppa che si passavano da sinistra a destra. Socrate chiacchierava con
loro. Aristodemo non ricordava, mi disse, il resto della conversazione, perché
non aveva potuto seguire l'inizio e dormicchiava ancora un po'. Ma in sostanza,
disse, Socrate stava cercando di convincere gli altri a riconoscere che un uomo
può riuscire egualmente bene a comporre commedie e tragedie, e che l'arte del
poeta tragico non è diversa da quella del poeta comico. Loro furono costretti a
dargli ragione, ma non è proprio che lo seguissero del tutto: stavano
cominciando a dormicchiare. Il primo ad addormentarsi fu Aristofane, poi, ormai
in pieno giorno, s'addormentò anche Agatone. Allora Socrate, visto che si erano
addormentati, si alzò e andò via. Aristodemo lo seguì, come sempre faceva.
Socrate andò al Liceo, si lavò e passò il resto della giornata come sempre
faceva. Dopo, verso sera, se ne andò a casa a riposare. Marsilio
Ficino. Keywords: desire, love, beauty, il bello, amore, cupido, desiderio,
platonismo, walter pater – Plathegel e Ariskant, sensibile, percezione, “I
platonisti” -- --. Refs.: Ficino’s “Commentaries on Plato,” Tatti -- Luigi Speranza, "Grice e Ficino," per Il
Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
fidanza: (Bagnoregio).
Filosofo. Grice: “Italians call Fidanza an ‘anti-dialectician’ but then they
have Aquinas, who is an hypoer-dialectiician!” essential Italian philosopher. Figlio di Giovanni di Fidanza, medico, e di Rita. Inizia i suoi studi al convento di San
Francesco "vecchio". Si recò a Parigi a studiare nella facoltà delle
Arti. Ddvenne maestro e ottiene la licenza d'insegnare. Francesco predica agli uccelli. Intervenne nelle
lotte contro l'aristotelismo. Attacca quelli
che erano a suo parere gli errori dell'aristotelismo. Morì a causa di un
avvelenamento. è considerato uno dei filosofi maggiori, che anche grazie a lui
si avviò a diventare una vera e propria scuola di filosofia. Combatté apertamente l'aristotelismo, anche se ne acquisì
alcuni concetti, fondamentali. Inoltre valorizza
alcune tesi del platonismo. La distinzione della filosofia in ‘filosofia
naturale’ (res) (fisica, matematica, meccanica), filosofia razionale (signa,
segni) (logica, retorica, grammatica) e filosofia morale (azione) (politica,
monastica, economica) riflette la distinzione di res, signa ed actiones -- la
cui verticalità non è altro che cammino iniziatico per gradi di perfezione
verso l'unione mistica. La parzialità delle arti è non altro che il rifrangersi
della luce con la quale Dio illumina il mondo. Nel paradiso, Adamo sapeva
leggere indirettamente Dio nel Liber Naturae (nel creato), ma la caduta è stata
anche perdita di questa capacità. Per aiutare l'uomo nel recupero della
contemplazione della somma verità, Dio ha inviato all'uomo il Liber Scripturae,
conoscenza supplementare che unifica ed orienta la conoscenza umana, che
altrimenti smarrirebbe se stessa nell'auto-referenzialità. L’intelletto agente
è capace di comprendere la verità inviata dall'intelletto passivo. Nel “Itinerario della mente" spiega che la filosofia
serve a dare aiuto alla ricerca umana, e può farlo riportando l'uomo all'anima.
La "scala" dei 3 gradi e un “primo grado”
esteriore, è necessario prima considerare il corpo. L’anima ha anche tre diverse direzioni. La prima direzione si
riferisce al corpo, e la sensibilità o animalita. La seconda direzione
dell’anima ha per oggetto lo spirito, rivolto in sé e a sé. La terza direzione ha
per oggetto la “mente” -- che si eleva spiritualmente sopra di sé. Tre
indirizzi che devono disporre l'uomo a elevarsi a Dio, perché ami Dio con tutto
il corpo, l’anima, e la mente. La sinderesi è la disposizione pratica al
bene. Cf. Moore – ‘external world’ – mondo del corpore. Tre modi. Il primo modo e il vestigium (vestigio) o
improntum. Il secondo modo e l’immagine, che si trova solo nell’uomo, l’unica
creatura dotata d'intelletto, in cui risplendono la memoria, l’intelligenza e la
volontà. Il terzo modo e la “similitudine”, che è qualità propria di una buona
persona, una creature giusta, animata di benevolenza e carità. La natura e un segno sensibile. «Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le
pietre.»» (Lc, 19,38-40). The stones
will shout. The shout of the stone MEANS that thou shalt be benevolent. Una
creatura, dunque, e una impronta o
vestigio, una immagine, una similitudine (Per Lombardo, ‘imago e similitude’ is
redundant). La pietra "grida" – la pietra e una impronta – la pietra
significa – la pietra segna che p. Altre opere: “Breviloquio; Raccolte
su dieci precetti; Raccolte sui sette doni dello Spirito Santo; Raccolte nei Sei
Giorni della Creazione, Commentari in quattro libri delle sentenze del maestro
Pietro Lombardo, Il mistero della Trinità; questione disputata, La perfezione
della vita alle sorelle, La riduzione della arti alla teologia), Il Regno di
Dio descritto nelle parabole evangeliche, La conoscenza di Cristo ed il mistero
della Trinità, Le sei ali dei Serafini, La triplice via, Itinerario della mente
verso Dio, La leggenda maggiore di San Francesco, La leggenda minore di San
Francesco, L'Albero della vita, L'Ufficio della passione del Signore, Questioni
sopra la perfezione evangelica, Soliloquio, Complesso di teologia, La vite
mistica. Eletto Ramacci, S. Bonaventura e il Santo Braccio, Bagnoregio,
Associazione Organum, Oggi del convento restano solo i ruderi. Grado Giovanni Merlo, Storia di frate
Francesco e dell'Ordine dei Minori, in Francesco d'Assisi e il primo secolo di
storia francescana, Torino, Einaudi, G. Bosco, Storia ecclesiastica ad uso
della gioventù utile ad ogni grado di persone” (Torino, Libreria Salesiana Editore,
con l'approvazione di Lorenzo Gastaldi, arcivescovo di Torino, Cesare
Pinzi,Storia della Città di Viterbo,Tip.Camera dei Deputati, Roma, Pinzi parla
dettagliatamente degli interventi di Bonaventura a Viterbo in occasione del
Conclave e dell'amicizia con Gregorio X.
Testi: Bonaventura da Bagnorea presunto, Meditationes vitae Christi,
Venezia, Nicolaus Jenson, Legenda maior, Milano, Ulrich Scinzenzeler, Opera
omnia, Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre; Arnaud, Laurent, Bonaventura da
Bagnorea, Expositiones in Testamentum novum, Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre;
Arnaud, Laurent, Bonaventura da Bagnorea, Sermones de tempore ac de sanctis,
Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre; Arnaud, Laurent, Bonaventura da Bagnorea,
Opuscula, Lyon, Borde, Philippe ; Borde, Pierre ; Arnaud, Laurent, Opuscula, Lyon,
Borde, Philippe; Borde, Pierre; Arnaud, Laurent, Bonaventura da Bagnorea,
Commentaria in libros sententiarum, Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre ;
Arnaud, Laurent, Commentaria in libros sententiarum, Lyon, Borde, Philippe ; Borde, Pierre ;
Arnaud, Laurent, 1668. Studi Bettoni E., S. Vita e Pensiero, Milano, Bougerol
J.G., Introduzione a S. Bonaventura, trad. it. di A. Calufetti, L.I.E.F.,
Vicenza, Corvino F., Bonaventura da Bagnoregio francescano e filosofia, Città
Nuova, Roma, Cuttini E., Ritorno a Dio. Filosofia, teologia, etica della “mens”
in Fidanza. Rubbettino, Soveria Mannelli, Di Maio A., Piccolo glossario
bonaventuriano. Prima introduzione al pensiero e al lessico di Bonaventura da
Bagnoregio, Aracne, Roma, Barbara Faes, da Bagnoregio, Biblioteca Francescana,
Milano, Mathieu V., La Trinità creatrice secondo san Bonaventura, Biblioteca
francescana, Milano 1994. Moretti Costanzi T., San Bonaventura, Armando, Roma, Ramacci
Eletto, S. Bonaventura e il Santo Braccio, Associazione Organum, Bagnoregio, Todisco
O., Le creature e le parole in sant'Agostino e san Bonaventura, Anicia, Roma, Vanni
Rovighi S., Vita e Pensiero, Milano); Raoul Manselli, Dizionario biografico degli italiani, 11, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Emiliano Ramacci, Un Inno, Associazione Organum, Bagnoregio, Emiliano
Ramacci. TreccaniEnciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Bonaventura
da Bagnoregio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Bonaventura
da Bagnoregio, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. (DE) Bonaventura da Bagnoregio, su ALCUIN,
Ratisbona. Opere. Audiolibri di Bonaventura da Bagnoregio, su LibriVox. Bonaventura
da Bagnoregio, su Santi, beati e testimoni, santiebeati. Biografia di San
Francesco d'Assisi , su assisiofm. scritta da San Bonaventura da Bagnoregio
Itinerario della mente in Dio , su lamelagrana.net. Itinerarium mentis in Deum, Peltiero Edente,
su documentacatholicaomnia.eu. San
Bonaventura online, su dionysiana.wordpress.com. L'Opera omnia nell'edizione
dei padri francescani di QuaracchiSalvador Miranda. Findanza. Keywords:
Lc. 19:38-40 ‘grideranno le pietre’ ‘la pietra grida’ – i segni trinitari - primo grado: vestigio o impronta; secondo
grado: immagine; terzo grado: similitudine --. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Fidanza," per Il Club Anglo-Italiano,
The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
FIGLIUCCI
(Siena).
Filosofo. Grice: “Of course I love Figliucci, who doeesn’t? Of course, there is
Figliucci and [Vincenzo] Figliucci, both moralists at Siena; what I love about
Figliucci is that he championed the big ones: Plato’s Fedro – with the
charismatic metaphor of the winged warrior; and then Fedro is an interesting
character for maieutica; and Aristotle’s ethical ‘books,’ which we hope he
instilled on Alexander!” – Studia a Padova. Dopo aver vissuto le piacevolezze mondane
della corte, entrò nel convento domenicano di Firenze. Altre opere: “Del bello”
(Roma); “Ficino” (Venezia); “Le undici Filippiche di Demostene con una Lettera
di Filippo agli Ateniesi. Dichiarate in lingua Toscana” (Roma, Appresso Vincenzo
Valgrisi); “Della Filosofia morale d'Aristotile” (Roma); “Della Politica,
ovvero Scienza civile secondo la dottrina d'Aristotile, libri VIII scritti in
modo di dialogo” (Venezia, Gio. Battista Somascho); “Catechismo, cioè
istruzione secondo il decreto del Concilio di Trento”; TreccaniEnciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. FIGLIUCCI,
“IL FEDRO O VERO IL DIALOGO DEL Bello di Platone, Tradotto in lìngua Toscanà
per Felice Figliucci Sense. IN ROMA Con
priuilegio del Sommo Ponstefice per anni X.IL FEDRO. Ó VERO il D/4iWa id Bello
di Telatone. TRADOTTO in lingua Tofcana» Perfone del Dialogo, SOCRATE, ET
FEDRO. O Fedro mio caro,doue uai tu,ac Soc. donde uieni ^ F E D. Socratc,io
uego da cafa di Lifia figliuolo di Cefalo,flC hora me ne uh un poco à fpafTo
fuor della città : per ciò che buona peza feco à ragionar fedendo, da quefta
mattina per tempo, per fino à hora fon dimorato. Et hora,c(rendo à ciò ftato
perfuafo,da Acumeno tuo amico, fiC mio,fò caminando efTercitio : il qual modo
di efTercitarfi, egli affai più facile, CC molto più gjoueuole giu:sdica, che
laftaticarfi nel correre, come molti fanirsno. SOCR. Certamente Fedro mio, eh*
egli ti configlia bene^ma fecondo il tuo dirc,Lifu dee elTere nella città, è
uero ^ F E D, Ve^sro,fi£ alloggia infieme con Epicrate nella cafa di
Morico,uicino al Tempio di GioueOlimpiót SOCR. rimali di gratia,clie faceuate
uoi quiui f Inuitouui forfè Lifia al parto delle fuc orationii' F E D. Tu lo fapra!,par
clic tu babbi tempo di uenire i(ifieme coumeco^fin che io te l habbia narrato .
SOCR. Che dici tu.^ Hor Don penfi tu, che io proponga à ogni mia facen <ìa (
come di^Te Pindaro) il ragionamento di Li:s fia,fl£iltuo? FED, Seguitami
adunque S 0,C R. Di pure^ F E D. Et fappi Socra;^ tc.che quella difputa, che
nacque fra Lifia^a ine.è {lata à punto degna delle tue orecchie. Per ciò che il
parlare,che Ci\ ùilto,(ìx in un cers; to modo tutto intorno alle cofe d'amore
;.pcr ciò che Lifia haueua fcritto una oratioue doftiG::
fima,fi£eIegantiflima,manoDÌn fauore d'uno 'amante,anzi pier quello era
artificiofa.fi: Icggias: dra,che egli in quella prouaua,che più toftofi dee far
ccfa grata à chi non ama, che à chi ama» S O C . O huomo certamente digniffuno
; uo:s lefTe lddio,che egli haueffe fcritto,che fi hauefe fe à fave bene più
tofto à unpoueio.che à un ricco, ftàunuecchio, che à un giouane,aà
moltialtrijiquali in molte altre cofe fono mal condotti, come me : per ciò che
fe tale fufTe fta^ ta la fua oratione .all' bora fi poteua degnametc ^nc ce
piaccuole.a utile . Non di meno anchora che ella non fia (lata cefi, egli m'è
foptags giunta una fi gran uogliad' udirla, che (e tu cdis minando te ne
andaflj perfino à Mcgara,flC fc ( comeècoftume di Hcrodico ) tofto che alle
mura della città fiifli giunto .indietro te ne tornaflì,io per queflo fon
difpofto di non ti aK? bandonarmai. FED, Che dici tu Socrate^' Penfi turche io
giouane inefperto poffa hora narrarti, flC ramentarti quelle cofe,chc Lifia moi
te più dotto di quanti Sìcrittori hoggi fi troua:^ no, in molto tempo à fua
commodità compofe/ Sappi,che io fono affai lontano da quello ti uoglio dire,chc
iouorrei più prefto fimil cofa faper fare, che effer d' infinite riccheze
poffeffo? re. SOCR. Fedro cparrebbe.cheip non fi conofcefL , non fai tu, che
tanto à me farebbe il non fapere chi tu fei, quanto lo fcordarmi di me
medefimo.^ Delle quali^ofe neffuna è uera: per ciò che io fo beniflimo,che tu
non udirti una uolta fola quefta Oratione di Lina,ma te U facefli replicare
affai uolte. Et Lifia fo io, che uo lentieri ti ubidiua: ne quefto anchora ti
fu affair ma fattoti al fine dare m mano il libro. doue eri
fcritta,confiderafti ineffo tutte quelle cofe,U quali maggiormente defideraui
fapere : il che come hauedi fatto, fianco di hauere in quel Iugo fi fungamciife
fedufo,(i partifti per andare tene a fpafTo . Et io giiiraréi,che bora tela
mefe teui alla memoria, fé gii non fufTeftata troppo lunga, te neandaui fuor
della città^perconi fiderare date ftefloà quello, che haueui letto» Ma poi che
tu ti fei abbatuto ì un'huomo pazo di udire fimili ragjonamèti,come fono
io,toflo che iMiaiucduto, ti fei oltra modo rallegrato, quafi che tu fufli
certo di hauerc uno, che dei niederimo,che tu,tecori hauefli à rallfgrare,flc
fare feft^,flC cofi mi bai commefTo.che io uenea teco. Quindi pregato da me
defiderofiflimo di ud/rti, che à dir cominciaflj, bai finto ciò efTerti
difficile, come fe tu non hauefli bauto uoglia di raccontarmi quefta cofa : flC
io fon certo, che. al fine, quando alcuno qui non fuffe ftato,che ti haueffe
per fe fteflo uoluto udire, tu haueui tan ta uoglia di dire quello, che haueui
udito, che tu cri per sforzare qualunque fi fuffe.à udirti à fuo mal grado. Et
però Fedro mio caro, non tt fare pregare à mia fòdisfatione di fare queU lo,
che eri ogni modo per fare fenza che alcuno te ne ricercaffe^ F ED. Sarà
adunque me;s gbo dirti quefla cofa, come jo faprò,purcbc io la dica ; per ciò
che e mi pare, che tu non fia per abbandonarmi mai, fin che non Thabbia
fentita. <^ Sccr. I o S O C R. Certamcnfe che tu hai^buon credtere* F E Cofi
adunque faro : ma per dirti il uero Socrate, io non ho imparate le parole tutte
à mente, ma io mi ricordo bene quafi di tutte le ragioni, flC argomenti : per
li quali egli dimcftra un'amante efferdifTimile da chi no ama, fiC cofirdì fon
deliberato nan-artele tutte ordinatamen:? te. S O C Moftrami di gratia prima
quel, che tu hai nella man fiftiftra fotto il mantello, che à dirti il uero, io
dubito che tu non habbia quel libro proprio : il che fe è uero, pen(à che io ti
ftimo afTai ; non di meno fe io poffo udire jLifia,non uoglio ftarc à udir te.
Ma che fai tu, che ncn me' 1 moftrif F E D • Deh fta fermo: tu m'hai leuato
d'una grande fperanza o Socrais te, che io haueua di efercitait hoggi il mio
ingc^ gno con teco: ma poi che io non poffo farlo, po niamcd à federe , per
leggere doue più fi piace • S O C Aridiamocene, prima che à leggere.
cominciamo,dj U dal fìume Iliffo, ftquiui ci porremo à federe, doue più ci
parrà FED. A tempo mi truouo difcalzo,ma fu non uai mai altrimenti : & però
ci farà ageuole paiTare quefta piccola acqua, ne anchora ci douerà difpiaccre,
tnaflimamente in quefta ftagionc,&à quefta hcra. SOCR. Va uia adunque, ft
in tanto confiderà , doue po(&amo federe » F £ Vedi tu quel Platano cofi
alto S O G R . Si ueggo. F E D. Qoiui è una piaceuolc ombra, •fiC un uentolino
fcaue.flC l'herba tenera in ogni parte: fi che pofTjamo porci à federe,© à
giacere, doue più ci piacerà. S O C R . Va Ij^adaquc. F E D, Dimmi un pooc
Socrate, non fi dice egli, che già in quefto luogo Borea rapì Oriss
fhia,uicinoaI fiume Iliffoi' S O C R, Col; fi dice» F E D. Non ti pare egh, che
qui fi uegga una acquetta grata, pura, fiC chiara, nella quale commodatamcte
pofTano le fanciulle fcher zarci' SOCR» Non é quefto il luogo, ma po co più di
fotto, lontano due ò uero tre ftadi,do:s ue habbiamo trouato il Tempio di
Diana, flc in quel medefimo luogo è un certo altare fatto ad honore di Borea. F
E D . Io non fq bene quc ftacofa. Ma dimmi per tua fe Socrate, penfi tu che
quefta fauola fia ftata uera t S O C R . Se -io non penfafli^che fuffc uera,
come fanno an^s chora tutte le perfone fauie.non per quefto farei da elTere
ftimato fcioccho: ma non uolendola in tutto negare, potrei fingermi quefta
cofa,fiC dire, che il uento Borea ulcito da quefte pietre ui:s cine à
(chcrzare.flC foUazarfi con Farmacia, fi ina; contro in Onthia,cCla
fecegrauemente à terra cadere, della qual cola ella ne. mori: OC di qui hanno
finto, che ella fò rapita da Borea , non già da qiiefto luogo, ma dallo
Ariopago.doue bora fi giudicano le caufe : per ciò che è /ama affai da quefta
diuerfa^che ella non fu rapita da quello^ . ma da quel luogo. Hora io Fedro
mio, giudico certamente quelle cofe molto diletteuoli, ma da huomini troppo
curiofi, & folkcjti di quello» che poco importa, fiC da perfone anzi poco
fortunate, che non: le quali fe per altro non hauefs fimo à chiamare infelici,
quefta però farebbe cas:gione giuftf/Tima^che eglino tégono cofa neceffarla,
che bifogni interpretale la forma de i Centauri, delle Chimere, flC di molte
altre fintioni inutili. Et non folo fi truouano quefte fi fatte figure, ma à
chi fi intrica in fimili cofe.gli pio^ uonoà doffo.k turbe de i Serpenti, delle
Gorgoni,fiC la bugia del cauallo Pegafo,& di moU te altre forme contrafatte
; onde fe alcuno di quefti cofi diligenti non crederà, che quefte co^ fe fienò
flate nel modo, che fi narrano, ma uorrà Qgni cofa ridurre alla fua allegoria,
& al fenfo più, fecondo lui,conuenienfe,coftui certo bara otio d'auanzo,flf
fi fiderà di elTér ricordato per uia d'una fcientia roza,flc di poco memento»
Maio,à dirti il uero,non ho tempo à cercare (i^ mili ccfe ; perche non anchora
pc/To ccnofcerc me fl:e(ro,ri come ci infegna clie dobbiamo fare 1 oracolo
Delfico . Et per qnefto à me pare cofa da ridere, il uoler cercare di fapere le
cofe d altri,' Don conofcendblhcTìora quelle, che à me fi ap35 partengono,flf
che fono in me ftefTo. Per il che laiciate andar quefte cofe.ft crededo
paramene» te à quello, che credono gli altri intorno à qucfto,non perdo il
tempo nella cqnfidcrafione Io ro,malo metto à confiderare me {lefTo. ft^cofi ^
taì'hora fra me dico. Sono io una beftia più (u^ riofa,flC più rabbiofa,che non
fu il gigante det^ to Tifone,© pure ( come è uero ) fono nato ani^ m^ile più placabile,
fiC humano,fiC più femplice; participc per natura della mente diu{na,fiC nato
per godere al fine uno ftafo.ft una forte felicif^s fimar Ma non è egli
quefl:o,al quale ragionado, fiamoarriuati, quello albero, doue tu mimenas ui^
FED, Quefto é d elfo . SOCR. Cerato che quefto è flato un viaggio degno: per
ciò che quefto Platano hai rami larghifTimi.fiC è molto alto,£( la alteza di
qpcllo Agnol cafto; infieme con l'ombra che fa, è bella oltra modo,'
ficpiaceuole : fichoraè il tempo, nel quale più che mai,fiorifce : per il che
il luogo tutto intorbi noe ripieno di foauiflìmo odore. Oltra ciò, è quefto
fonte,che fotlo il Platano la terra riganjs s ^ do. (io bagna, cliiariflìmo, CC
di acqua frefca puc afrai,comeripaoconofcerenel metterci dren^ to un piede. Et
le fanciullesche quiui fcolpitc j] ueggono.&lealfre belle
imagini.dimoftra:? no chiaramente, che il fonte c ftatofagratoak le
Ninfe.&ad Acheloo. Non ti accorgi olfra di quefto, quanto gioconda,
écfoanefia Taura^ (che quiui fpjrar fi lente r Oltra ciò/i ode una
moifitu'crine di cicale : ìe quali, fecondo il temrs po cantando, ne fanno
fentiie un concento non fo come fcaue.fiC piaceiiole. ma più dbgni altra
'Cofa,mj pare degna deffcr lodata quefta tenera herbetta,Iaquale.4 mirarla,
pare che ella beni:s griamenteafpetfi, che altri ripofiil capo fopra 4/ lei
perriceuerlo.tìcfoftenerlo commodiffima mente . Per il che Fedro mio caro, fu
mi hai me nato hcggi qui, doue io fono come foreftiero, per farmia ftare più
uolenfierijl che hai fatto prudentemente. F E D. Chi ti.fentifre.crede:^ rebbe
che tu fufli huomo da pochiTIimo: flC cer:s tamente a quel. che tu dici, tu
pari più prefto un foreftiero.che uno del paefe : talmente di^ moftn non hauer
mai pafTato i noftri confini, ne effer mai ufcito delle noftre porte, S OCR,
Perdonamf Fedro mio da bene,|) ciò che io, coxnc (u fai^foiamente defidero
imparare:& fu bea falche gli alberi, fiele unie,& li campì, non ttìì
pofTono ifegnare cofa alcuna, ma fi bene gli huo >mini , che habitano la
città . Ma tu , fecondo me> hai truouato un modo da allettarmi all'ufcircì
qualche uolta : per ciò che fi come coloro , che à *gli animali moftrano
frondi,ac porgono frutti, li menano doue uogliono : cofi tii,moftrando5 mi
queftolibro,mi menareftiper tuttq il contar no d' Atene, doue tu uoleffj . Hora
poi che fias mo giunti qui, mi pare di pormi à federe : fiC tu acconciatoti in
quel n(iodo,che più commodo ti parrà , comincerai à leggere , F E D * Odi
adunque» • I N Q^V E S T O (lato certamente fi trubuano le cofe mie : flC
quefto.comc fai,p0:s co fì intefo da me,penfo che m' babbi à gioua:^ re affai .
Hora io uoglio che fappi , che io ftimp, ce giudico, fecoia alcuna io ti
domanderò, dos: uerla da te per quefta cagione impetrare, per ciò che io non
fon prefo del tuo amore • Et che ciò Ca il aero, tu fai che gl'amanti, come
prima han no la lor libidine fatiata,fi pentono de i benefiis cii,che ti hanno
mai fatti : ma quelli, che dall'ai mor legati non fono, non fi pentono per
tempo alcuno, la ragione è quefta, Che eglino fanno li bcneficii per fe fteflì
penfatamente, fiC fecondo che pofTono.fif che le facalfà loro compocifanot
& non fono à ciò sforzati, còme gli amanti . Ob tra cib,gli amanti alle
uolte tra fe ftcflj penfand quanto negligentemente dall'amore impediti J
habbino le lor faccende condotte à fine,ft quaa li beneficii habbino con troppo
danno loro à gli amati fatto.flC quanti affanni,» quante fati^ che habbino
fofferto : fif per quefta cagione mai hanno da gli amati bene alcuno,tengonù
per certo non glie n'effere obligati.mahauera gliene per J'addietro dato degno
guiderdone^ Ma coloro, che dall'amore non fi truouanoinii ' - gannafi,nonfi
lamentano di effere ftati pccd accorti nelle faccende lóro: non gli duol delle
paffate' fatiche, non fi rammaricano, per cagion deiramato,hauer con li parenti
fatte grauiHime nimicitie,come fpeffe uolte fuol auuenire . Onai k de tolti uia
tanti mali, che à gli amati fòlamenie interuengono, refta folo,che quelli, che
non amano, come fo io. fieno fempre pronti,» para^ tiffimi à fare tutte quelle
cofe ,che penfano potergli arrecare giouamento. Sono molti che dicono,che per
quefta cagione fi douerebbond affai gli amanti appiezare : per ciò che grandif^
fima è la carità , che uerfo gli amati loro hanno « tutte le bore, flC che
fempre apparecchiati fi truo «ano à ubbidire air amato, ec a fargli cofagri!*
fa ce con le parole, & con le opere, anchora che perqucfto ceruffimi
fuffcro, doucre offendere pgni altra perfona. il qual parere di qui faciU
xncnfe fi può confidcrare non edcr uero.chè Ic^s uafa alle uoltc la
beneuolentia da uno,* in ua^ litro portala, affai più confo de i nuoui amanti
0inno,chc di quelli, che prima haucuano : fiC che pm,fequefti amanti più
frcfchi gli el com mette/fero, diuentarieno c^udeh/Tjmi inimici de Ipaffati.
Etin qual modo pofTjamo noi dirc^ che ne gli amanti fia cofi ardente amore,
efTenj: do à quella infelicità, & calamità fottopofii, dals: la quale
perfona alcuna quantunque fauia,& acs: corta, mai potrebbe rimuouerhV Et
quefto è, che codoro ccnfeffano per loro fleffi effere anzi fuor di loro, che
non^ft dicono conofcere la loro fcioccheza,a: pazia,ft non di meno non poa»
tjfrfene rifenere,o i;ifliuouerc. Et pero gli huoismini faui, come potranno
approuare,& giudicar hiioai i configli ,fiC i pareri di perfone da tal
mancamento macchiate.'' Olfra CIO, fe tu uorrai fciogliere un'huomo in ogni
parte perfetto tra gli amanti, bifognerà che tu faccia quella fcelfà tra pochi,
che pochi fono quelli, che amantifi poffano dircma fe tu uorrai procacciarti
ungami tò.ì)totnpagfio,recòr)(5ofl Mi^ctio tuo,^acl t^nicofa
atto;&accommodato^tra quelli, chè non amano Jo potrai più fàcilmente fare
:pct tiòchc tra molte petfone ti ùd toncefTo fctrglict lo:^ più debbi fpcrare
di bauere un buono ami co tra molti, cHc tra pochi, à trotianc- Et fe al fi* ne
tu temi,» fuggi, come debbi fjre,l'in6mf* publica.i8C il biafimo unuierfale,
quale per òrdi ration delle leggi fi può ffTet dato.ti & bifos^ gno ramf
n(arti,che gli amanti\li quali per quel la cagione uoriebbono tfTer^ amati ^
per \m quale amanoilogliono poi che al defiderato fint fi ueggono giunti,
gloriarfi, OC uantarfi alla fco3f perta,che eglino non hanno m uano ncHorol
«more confumato il tempo. Ma quelli,che noft tìmano, con ciò fvache facilmente
pofTano taccsi re,a: tenerfi di due quel , che hanno fatto, han^a no coftume di
cercar più toilo quel, che penfa^j no eflérottim.o per loro.fiì per lamico^che
Tefa fer dalla moUitudine,fiC dal nolgo ricordati,^! portati per bocca.
Aggiugnc anchora à que^s fto.che acccrgendofi la plebe, che un'aman:^ te fegua
un' amatorie afliduaménte in ogni cofa Mclcntierrgli ubbidifca,^< fimilmente
gif compiace a, fubito entra in fofpùlto^ che tr* loro non fu flato, o nori fia
càttiuo defidcdQ^ ma non ha già ardire di bafitnarc le amicitie dr coloro, che
non amano : per ciò che ben fa, che à gli huomini fa di bifogno ben fpelfo
infieme ritroiiarfi.ò uero per cagione di amicitia,ò uera per qualche
lorocommodità. Etfe forfè tu teis fnefTì di quelli, che non amano, fic
penfaffi, che fuffecofa diffìcile, che con quei tali Tamicitia durafTe, anzi
nata qualche guerra, ò nimicitia, du^jitafTe che ne ne fu(Te per uenire danno
deU r uno, ài deir altro : CC (e poi tu , concedendo i un, che non t'ama,
quello che più d'ogni altra Éofa apprezi,ne uenifli per quello non poco ofss
fefo,fiC faccfTì non piccola perdita, facendo cofa grata à chi poco, ò niente
ti appreza, ti dico^^che per quefta cagione barai maggiormente da te^s mere gli
amanti.per ciò che molte cofe fon quel le, che gli offendono, CC fenipre
penfano che ciò the fi fa, per danno loro fia fatto» Et per quefto uietano à
gli amanti loro il conuerfare tra gli aU fri, temendo fempre che quel l'i, che
di loro più ricchi fono, non li fuperino de benefici!, ò uero che gli huomini
dotti non li uincano di fape:^^ re . Et in fomma fe perfona conofcono. che in
fc babbi cofa alcuna di buono, quàto più poffono, fi sforzano da coftui
rimuouere gli amici, flC cofi perfuadendoli, che da fimil pratiche fi guardi^
no. no,à poco à poco li prfuanó di tutti gli amfciv^ ^ Hora le tu penlerai bene
à te, « a quelJo,chc>i fi conuiene,flC Te farai miglior deliberafione di
loro, non fi appiglierai al parer loro, ma te ne difcofterai quanto potrai .
AlT incontro coloro^ che del tuo amore non fon preri,ma fanno quei le cofe,che
ueggonoefTer conuenienti,& fi fcr^ uono ne i bifogni,folo per operare
uirtuofameij te,(5f efortati à ciò da una mrtù,a: bontà d'ani:? mo, non ti
haranno inuidia,fe ti ucdranno prassticar con altrui, ma piu tofto quelli
harani>ojp odio, che à te non fi uor ranno accoftare,penfando ( come è uero
) che coftoro li fprczino,£Ì gli amici ti giuouino,à; aiutino : flC per qucftp^
molto maggiore fperanzafi dee hauerc,che da quefta praticane uengano
amicitic,che inimù citie.Aqueftecofe fi può aggiugnere,che la maggior parte de
gli aitanti, prima defiderano pofrcdere,flC godere il corpo dell amato.che hab
biano conofciuti li coftumi fuoi,ò l'altre cofe^ che debbono in un'amato
ritrouarfi. Et di quì uiene.che fi dubita,fe latiatala uoglia loro,dei bano
nella amicitia perleuerare. Ma traquelli^^ che non amano , li quali efTcndo per
T addietro flati amici, non laceuano quelle fimihcofe in bf neficio dell'
amico, per che eglino fuffero trop:? po afFcttionatl urrfo Ai hì^t cofa
ragicneuolc, che l amieitia fia minore : ima bifogna ben cons; fefEire,chc i
beneficii, che Tannargli facciano, accio che per quel mezo habbiano à efier
iicor:s ciati daqnelli,che dopo loro iierranno,doue gli amanti ad altro, che al
prefente,no attendono. ©Ifra di quefto(credi à nfie)diuenterai affai nusj
gliore,fc afcolterai un che non ti ama, che fe à un amante prederai le orecchie
: per ciò che gli amanti con lodi infinite inalzano oltra modo tutte le
cofe,che fu fai, odici : parte per che te:J tnono,fecendo altrimenti di non ti
offendere : parte per che dallo ardente defiderio loroacce:^ catione! giudicare
fi ingannano : per ciò che la^ more fa, che coloro, che ne i cafi d'amore poco
fortunati Ci ritruouano, fono sforzati à giudicare quelle cofe trjfte.ft
infelici, chea gli altri non darebbono moleflia alcuna ^ Et per il contrario
quelli^che hanno buona fortuna^flf che dtll'as worlofo fi godono, a mal ior
grado fonconrx dotti a lodar quelle co(è, come fauoieuoli.fiC gioconde, che non
meritano, ne poffono fare ftar contento huomo alcuno : ££ però più toflo
farebbe di b/fogno di quelli tali hauer compaf? fione. che fegui tarli ♦ Hora
fe tu uorrai credere . alle ter alle mie parole, io primieramente uoglio effe*
tuo amico,ac darti apprcfro,non per il piac^re^t che di te al prefente potrei
haiiere, ma per la utf lifà,che la mia amicitja per Io auuenire ti potrà dare.
Et non farò quefto, legato, òuinto.ò fog^ gietto all' amore, ma uorrò effer
patrone di mcs ftefTo : a non douerai temere, che io per cagiost ne alcuna, ben
che leggiera, habbia fra noi à (xt nafcerc grauiffime nimicifie,anzi fc pure
alle- uolfe mi altererò alquanto, non lo farò fenza grandiflìma cagione. Et non
di menoqnclli er:s rori che inauuertentemente mi uetran fatti, al fine
liconofcerò : ft quelh,nelii quali uolontariamente incorrerò, mi sforzerò
emendare, AC»- fchifare.flCquefli fono ucri fegni d'unaami^ dtia,che habbia
lungamente à durare . Etfe for fé tu pcnfi,che non pofla truouarfi una ueia^CC
' durabile amfcitia,fe dall'amore non è cagtona^. fa, debbi confiderare,che per
quefta medefinia cagione noi non appiezeremo gli figliuoli, ne ameremo li
padri, ne terremo cari, flC fedeli co:s, loro.che per buoni ufficii,a:
beneficii fattici, d fuffero diuentati amici, fe da quefto ardore amo rofo non
haueflcro hauto principio ♦ Potrecs ftr dirmi. Si dee fempre fare bene à queU li
huomini^ che ne hanno più di bifogno; ft però è cofa conucnientc.non cercar di
giouars rcàglihuonnini,chepcr fe fteflì hanno, mai quelli, che fono più
bifognofi : per ciò che co:^ ftoro^fe da me ne i maggior bifogni loro farani;
no aiutati, mi renderanno Tempre infinite gra:^ tie. Aqueftofirifpondo,chefe
ciò fuffe uero, nelle fpefe^che priuatamcte facciamo,fiC ne i do ©eftici
conuiti, non haremo à inai tare gli amis; Ci.ma più torto gli affamati, fiC li
mendichi : per che coftoro molto più apprezeranno un tal bcis ,neficio,ti
feguiteranno,ti corteggieranno, ti fanno fefl:a,ti ringratieranno
infinitamente, fiC pregherano iddio per te. Onde tu puoi uedere, che fi
conuiene non compiacere à i bifognofi principalmente, ma fi bene à quelli, che
ti pof:^ fono riftorare . Et per quefto non à gli amanti^ comeà bifognofi, ma à
quelli, che mentano, debbi far piacere : & non debbi fodisfare à quei
lische della tua belleza fi delettano,maà queU lische anchora quando farai
uccchio,ti fono per dare utile : ft non debbi giouare à quelli, i quali hauendo
il defideno loro adempiuto, fcoperta^: mente fe ne uanteranno^ ma a quelli, che
uer:^ gognofi taceranno. Et non debbi far cofa gra^s ta à coloro, che per
ifpafio di breue tempo ti ho BorerAoao.ma a quelli^che tutto il tempo dell*
uifa tua ugualmente ti ameranno : 6C non debb accarezare coloro,! quali, fpeto
l'ardore del loro sfrenato defiderio,cercherano Tempre cagioni di far nafcere
nimicitie^ma quelli,! quali ( anchora che la belleza manchi ) Tempre moftrano
la fcrj: meza^flCla conftantialoro. Ricorderatì aduns: que di quelle cofe, che
io ti ho dette, flC penfej: rai che gli amanti fono da i loro amici riprefi,fiC
accufati,per chc.ramoreècofa brutta, OC inde^ gna,ma nenuno uitupera,ò biafima
quelle, che non ama, dicendogli, che egli fi gouerni male, come fi può dire à
gl'amanti. Foife mi domane: derai.fe io fi uoglioconfegliare.che tu debbia
ubidire à tutti quelli, che non tramano. Al che io ti rifpondo,di nò : perciò
che io focerto^chc iimilmentc un tuo amante con ti comandereb be.chc tu à un
medefimo modo amafli tutti quelli che ti amanorper ciò che quelli, che han no
da hauere gli benefici! da te, non meritano tutti ugualmete.nc à te farebbe
cofa facile coms: piacere à tutti, fe uolefll che uno non s'accorgef fi
dell'altro ;&bifogna che di quefto feruirc nonne uenga danno alcuno, ma fi
bene/che r uno a l'altro ne cauì qualche utilità. Hora io penfo hauer detto à
baftanza : fe à te pare, che io ci debbi aggiugnere qualche coU ,Aor.uujgi
da,ch^ io ti fodisfarò. Cloe ti pare di quefla Ora fione Socrate r' Non é ella
fiC nelle altre cofe,& nelle parole comporta mirabilmen ter S O C R* Ella è
tanto marauigliofa, che mi ha fatto ft(i:s pire,fif tutto, per tua cagione
Fedro mio, mi (os no fentito commouere, mentre che io guardauj gli attrae i
gefti,chc nel leggere quefta Oratio^: ne faceui . Et però penfando che tu
meglio, che io, conofca^flC intenda fimili cofe,ho hautoad ufcir di me per
troppa allegreza infieme con tes: co^ F E D. Inqueftomodo mi uuoi burss lare ?
S O C R. Adunque parti, che io ti burhf' Non penfi tu,ch'io dica da aero/ F E
D. , Non certo: Ma dimmi un poco per tua fe^penss fi tn,che altro Greco intorno
à fimil materia po fede dire più cofe,« pia d9ttes* S O C R, Pen
fiamonoi.chcfia da effer lodato uno Scrittore folamente per che gh babbi detto
quelle cofe, che fono ftate necefTarier'òpure diremo, che me^: riti lode, per
che egli babbia tutte le fue paroledifpcfl:e,£( ordniate chiaramente,
numeroiamen te, a elcgantementes' Se à te pare, che bifogni lodare Lifia per la
inuentione, IO per farti pia^: cere, tei concederò ma io per la mia fciocche^:
za,(S( ignorantia,non Tho in luì conofciuta.pcr ciò che folamente ho attefo
alla eloquentia dei • pariate : al che poter perfettamente fare, io non penfo
che Ljfia fteffo hc'^bbia penfato d' efier fla fo bafteuole. Et cerfainenfe à
irìeè parfo( fé già '^tu non uolefh dire il contrario) che egli habbia
leph'cato dne,flC tre uolte le medefime cofe.co^ me fe gli fufTe fnacata copta
di faper dire diuerfe cofe fopra una mcdefima materia.ò uero uoglia^ 'imo dire,
che egli no babbi hauto Ibcchio à quc fto. A me certo, fe tu uuoi,cheio ti dica
la mia cpintone,è parfo che egli habbia uolufo parere •^di faper moftrare
elegantemente in ogni modo, *cKe à lui pareua quella cofa,che fi metteua à dl^
chiarare, dicendola bora in uno,& hora in un' al tro modo. F E D . Socrate
tu no dici niente: per ciò che quella Oratione h*a in fe quefto,chc neffuna
cofa ha lafciato in dietro di quelle, che intorno à tal fuggietto accomodar fi
poteuano: "onde io giudico, che neffuno poffa di quefto me defimo più cofe
dire.tt phi uerifimili di quelle, che egli ha dette. S O CR. Quefta cofa non
'fi poffo io hormai più concedere, per ciò che gì' huomini raui,chc ne tempi
paffafi furono, flC le donne, che di queflo hanno parfato.ficfcritto mi
riprenderebbono,* mi arguirebbono con:? 1ra,fe io per la tua fodisfàttionc tei
concedeffi ^ J £ D . Chi fono eglino quefti huomini, flC qiicftc donne Et
douchai tu udite migliori cofc diqueftes' SOCR. Al prcfente io non me ne ricordo
cofi bene, ma fappia cerfo,che io non fo in che luogo ho letto,flC udito quel,
che io ti dico, & potrebbe efTere.che fufTe ò nelle opere della^èlla Saffo.
buero ne libri del fa:5 aio Anacreonte,ò uero d'altri Scrittori: fiC faps; pi,
che non per altra cagione fo ioquefta coniet 4ura,cheper fentirmi pieno d'altri
argomenti non forfè peggiori de fuoi,che intorno à ciò fi potrebbonp addurre ,
Et per che io conofco be^ ni/Timo la mia ignoranza, fiC confcfTo che io non fo
cofa alcuna, fenon per hauerla ueduta in aU tri^fiCnonperhauerla imparata da
me, hi fogna che io confeffi di hauere attinte quefte cofe daU le fonti
d'altrui à guifa di un uafo : ma per U piia rQizeza,mi fono fcordato da chi io
le habbù .iaiparate,flCinche modo. F E D. O Socrate da bene, tu fai bene à dir
cofi.ne uoglio che tu ,dica anchor che io te'l.comanda(ri.dachi,fi( eoa? .me
babbi quefte cofe apprefe : ma uaglio benc^ che tu mi moftri ( come confeffi di
poter fare.) .quelle ragioni, che dici, che fai più efficaci, OC più dì quelle
che Lifia intorno a ciò fcriffe.ll che fe farai, non dicendo le cofe, che diffe
Lifu^ ti prometto confegrare in Delfo una ftatuadcl mcdefimo pefo,chc fci tu j1
che fcgliono fare i none noftri Magiflrati,come fai» SOCR* Tu mi uuoi Fedro
caro un gran bene,& fei uc^^ ramente d'oro,fe tupenfi che io poffa dirti,
che Lifia habbia errato, ftche fi pofTano fcriuerc cofe migliori di quelle, che
egli ha fcritto. Io uo glio che tu fappia,che io non direi, che ciò po:5 tefTe
accadere à un uiliflTimo Scrittore, non che i lui. Ma per dirti anchora quelle
cofe,che io fo, non già per riprendere lui, primieramente parlando folo di
quello. che fi appartiene à quc ftonoftro ragionamento, penfi tu che colui, che
uorra prouarc.che fi habbia più tofto à fare pia:^ cere à chi non ama, che à
chi ama.fe prima^nbh prouerà,chechi non ama,fia fauio,flf pruden:? te,ft
l'amante infano, flC fe quello non loderà, flC queflo non biafimerà ( le Squali
cofe fenza dù bio alcuno, ne uengono di neceffità ) poffi nel proceder fuo dir
cofa alcuna, che alle prime fia corrifpondente (Non di meno io giudico, che
quefte fimili cofe, che di neceflìtà ne fegucno, fi habbiano à rimettere nella
uolòta de gli Scrit tori,ficfe non le dicono, gli fi pofTa perdonare: per ciò
che di queftj tali non fi dee lodare la in:^ uentione,man bene la
difpofitfone.Ma di quel le cofe,che neceffanamente non fi concedono, flCcIie
difficilmente firitruouano,non foìo pèfì55 fo io, che fi babbi à lodare la
difpofitione^niala muentione anchora. F E D. Ti concedo che fu uero quello, che
tu dici: per che mi pare, che tu habbia detto apprcfTo che bene, OC ioanchora
intendo non indugiare k fare quefto.che hai detto : « però ti concedo^che tu
prefupponga, che un' amante fia peggio trattato, che uno che Jima. Hora fe tu
nelle altre cofe,che dirai, mi fass rai fentire p/u dotte ragioni, flC più
degne parole che egli nò fece, ti prometto, che ti farò una ftass tua d'oro
nella Olimpia apprcfTo alle ftatue de gli fucceffori diCipfelo. SOCR. Tu liai
Fedro forfè hauto per male, eh' io habbia ripres: fo un'huomo tantoàtecaro,ma
io mi burlaua teco. E penfi forfè tu, che io fia per pigliare(la:i fciamo andar
le baic)un imprefa di hauere à di^ recofa alcuna più elegantemente di Iui,che.c
fauifrimo,C£dottiffimorF ÈD. Tu fei ritor* nato Socrate mio in un medeftmo,
dicendo que fte parole. Tu hai da dire in ogni modo quel, che tu fai;ft eoe
potrai: flcfopra tutto auuertifct^ che in quefto noftro ragionamento non ci
con:» uenga fare quel, che fanno coloro, che recitano le Comedie.ciÒTè
rifponderci troppo fpeiTo T un 1 altro;il che é.fccondo me.mokftjflimo. E non
far fi, che io fja sforzato à dire, come tiJ,pòco fi dicefti. Se ici no fapefli
chi fufle Socrate, potrei dire dj non conofcere anchora me ftefTotperchc
certamente fo,che tu hai defidcrio di fodisfarmi: ma tu uuoi fingere, che
quefta cofa ti fia difficii k,'Et per dirtela, finalmente tu hai da penfare,
che tu non Tei per partirti di qui ^ prima che tu non mi habbi dette tutte
quelle cofe ,che tu dirs ceui fapere migliori di quelle, che hai udite: pei! ciò
che tu uedi,che nei fiamo foli,(3C in luogo re moto.fiC regreto,fiC io fon più
giouane,(!f più ga gliardo di te. Si che per quefte cofe tu puoi ìn^ tendere
per difcrctione quel, che io uoglia infes? rire : ne uoler più tofto hauere i
ragionare sfor^> zatOjChe di tua uolontà.. S O C Io lo fo mal uolentieri
.-perche io conorco,chc io farò degno delTer beffato, fe io, che fon rozo flC
fciòc co al poflibIle,uorrò coptcdere con uno cofi per fetto Scrittore, flC fe
io uorròalla fprouifta difpu tare di quel mcdefimo,di che eglipenfafamentc ha
ragionato . F E D , Sai tu f^gmc la co(a ua^ Lafcia andar quefte cofe meco: per
che io credo quafi hauer trouato una uia,|) la quale io ti con durrò.flC
sforzerò à dir quel, ch'io defidero , Soc. Non mei dire di gratia. Fed.Come no
mei diref anzi Io uoglio dire , io mi uolterò alli giurameff^ poi che alfro non
mi naie . Io ti giuro per qatW iddio clie tu uuoi, flC anchora,fe ti pare, per
quc fto Platano, che fe tu non dici quel, che tu fai al la fua prefentia,fiC
fotto quefta fua ombra, io da qui innanzi non ti moftrerò.ne ti manifefterò mai
più oratìone di perfona alcuna. S O C R. OfceIerato,chehaitudettor'Ocomc bene
hai ritrouato il modo di sforzare un'huomo defide» rofo di udire orationi,come
fono io,à fare queU lo,che ti fuffe in piacere, FE D. Hora fe tu ne fei, come
dici,cori defiderofo,che indugi tu più? S O C R. Io nonindugierò più lunga^
mente, poi che tu4iai fatto un fimil giuramen:? to : per che come potrei io
uiuere.fe io fuffe pri uo di cofi dolce cibo ? FED. Hor dì aduns: que. SOCR,
Saituqucl,cheiouogliofa5: re ? F E Che cofa t' S O C R. Io dirò quel,che io
intendo dire, col uolto.fiCcol capo coperto, per dire più pretto : per che fe
io mirafs fi a te, farei impedito dalla uergogna. F E Di Pur che tu dica, fa
quello, che fi piace. S O C R; Hor fu dunque ò Mufe dolci, il qual cognome ui
fi dà perii modo del uóftro cantare, ò uero perladolceza della Mufica uoftra,la
quale fi dolcemente fuona,fauoritc ui prego,& aiutate quello mio
ragionamento, il quale mi sforzai éitt quefto huòino da bene : accio che poi
che mi harà udito^giudichi anchora molto più pru^ dente il fuo caro amico Lina,
che prima cefi uìó gli pareua* T V haicla fapere,chefik già un fanciullo^anzi
pure un giouane di gen:i tiliflìmoafpetto:coftui haueua molti amanti^ tra li
quali un'huomo certamente allato gli diede ad intendere, che non Tamaua^nc per
ciò punto meno de gli altri il fencua caro, fif gli uo leuabenc.Hora
auucnne.che un giorno egli lo pregò , che al fuo defideno compiacer doucli
fe,flC per impetrare quello, che egli domanda» ' ua,gliprouò che maggiormente
fi doueuafare cofa grata à colui, che non amaua,che à colui^ che amaua • Et per
farglielo intendere, gliCi moflrò con quefte ragioni » In tutte le còfe fall
v^>^^> ciuUo mio à coloro, che confultar bene,ò difpuf-^'^-^\ tar
uorranno,fa di bifogno hauere un folo.qjìj roedefimo principio, quale è il
conofcere,flC insK ^ ^/ tendere che cofa fu quella, intorno alla quale fl'^;:^
^o' confulta, ce difputa: altrimenti è neceffario in tutto errare» E fonomolti,chenonfi
accorga:» no di non conofcere, ne fapcre la fuftantia della cofa, della quale
ragionano; fif cofi come fc egli» nolafapeffero^nel principio della difputaloro
' altrimenti non la dichiarano: tal chenel lor pioi^ cedere ne feguc,come è
hccefTario che inferuerii: ga.che eglino dicano cofe fuor del loro propos:
fito^adagli altri male intefe. Adunque acciò che ne à me, ne à tc interiienga
quei, che in al:: ^rui biaCimiamo,pofcia che egli è hora differctiìi tra noi,
Te fi dee più tofto pigliare Tamicitiadi colui, che non ama, che di colui, che
ama, farà buono che uediamo, che cofa fia amore, & che forza egli habbia,
dandogli qualche difFinifio^ ne, alla quale l'uno, fif l altro di noi
acconfenta» tt cofi dipoi, hauendo fcmpre 1 occhio, flC ogni . fìoftio
argomento drizandoà quella dijffinitio:: ne, confideraremo fé egli dannoso
utile near^ reca. E adunque ccfa manifefta a ciafcuno,che l'amore altro non è,
che un certo defiderio. Sap piamo anchora,che fimilmente queni,che non ainano,
hanno queflo defiderio di cofe belle, fiC buone . Per intendere aduBque in che
fia diffe^ rente l'amante da quel, che non ama, tu dei fa:5 pere, che in ogni
perfona fono due idee, le quali ci fignoreggiano,ó: doue più li piacerci uolta^
no Je quali noi fumo à feguitare sforzati ouunis que elle ci conducono . Vna
delle quali infiemc con noi è nata.fiCqucftaè j1 defiderio de i piacer ri, L
altra T-habbiamodopo il nafcimento noftro acquiftata ; fiC quella è quella
opinionc,che ne gli ììiiomfni (5el fonimo Wne fi ut je,per fa qn* ic tanto
afìetfuofamc'jntc lò defider/arho. Qaeftft: alle uoltefono in noi fra loro
amiche, alle uoltèi' in difcordia fi truouano,& bora quefla uince^ feor
fupera quella Quando adunque quella opf fìione del fortìmo bene, cÌ>e
difopra hò detto^ dalla ragione guidafa,à qrfel'lo ciie è nero b^nc^; •ci
conduce, uincendo il defideriode i .piacen\ quefto'nTodo di uiirere fi domanda
femperanfiaS ma quando quello sfrenato defiderio, lontano al tutto dalla
ragione, ci fpingc.flf sforza à feguià tare ipiaceri,& amai grado noftro fi
fa di nof ^padrone, quello fuo imperio fi domanda libidi^si w : ài efTcndo h
libidine di moìu fòrti, £( ha^j uendo molte parti, anchorà è nominata in molss
li modi. Et di quelle molte forti di libidine, chfi io dico, quella cbe più ch'altra
T alc'unb fi ritrud ua,dj à colui quel nome,col quale ella é chiais mata me può
à coloro, li quali ella fignoregà già, nome alcun dare bonefto,ò buono- per chè
quel defiderio, che intorno alli cibi uince &Ia ragione, fiC ogni altra
uoglia,fi domanda golo^s fità : 8C colui ;che ha in fe quefto alt pigi ian:^ do
il.nome medcfimo, fi chiama golo(o, Anà chora quel deficlcno, che intorno al
bere,d'ù'à no fi impadronifcc^è co(a chiara, flC maiiifefta^donic fi douerà
chiamare, fiC anchora che nome liauerà colui, che da tal noglia fi lafcerà
uincere: àfimilmentc pofTono cfTer chiarina manifefti . ì nomtde gli altri
defiderii congiunti à quefti. Hora io penfo,che quafi fia fcoperto.perqual ca
gionc 10 ti habbia dette quefte cofc, ma uoglio io tacerlo. òuoglio dirlo.'' Io
lo dirò pure, per elle più fi intende una cofa à dirla, che à non dirla. Et
pero dicp,che quel defiderio priuo di ragione, il qual fupera,&: uince
quella opinion: ne, che è Tempre al giufto,fiC all' honefto indirirs zata,a ci
rapifce à cercare il piacer della belles: za, quindi col moftrarci quei
diletti, che dalìa bellezadiun corpo fi cauano, pigliando non piccole forze.
fiC rinfrancandofi, ci uincealtutrs to>flC ^^^p^t^aquel defiderio, dico é
detto ^§cù9» ciòèamore,daf 6J/^K?,che uuol dire gagliardia. Parti egli, tedio
mio caro,comc ì me, eh' io habbia détto diuinamente T F E D » Certamente ò
Socrate che fuor del tuo folito,ti fei non fo co:5 me più ampiamente allargato.
S O C R . Taci adunque,^ odimi ; per ciò che qucfto luogo è certamente diuino,flC
pero non ti marauigliare, fe nel parlare farò dalle Ninfe di quefto luogo
iafpirato à dire cofe diuinc : fif tu puoi hauer co fiofciuto,chequci]o,che
iopocofa,diceua,non fono Tono (late molto difllmili da i uerfi Ditirambi ' che
fogliono dire le facerdoti di Bacco all'horaj^, che dal loro iddio fono ripiene
di diuinità^ FED. Tudiciiluero. SOCR. Di que? (le cofe ne fei cagion tu fenza
dubio alcunormk odi quelle cofe, che reftano, accio che io non nji fcordi di
quello, che hora me fouuenuto,al che fo certo io che iddio mi aiuterà, ft no mi
ufciran no di mente. Et pero ritorniamo, feguitando il ragionamcto noftro,al
fanciullo,col quale. diao zi parlaua.Hora fanciullo mio, noi habbiamo detto flC
dichiarato che cofa fia quella, della quacs le noi ragioniamo. Adunque hauendo
feraprc- I occhio à quefto.confideriamo .lora quel, che nercftaà dire,flCquefto
è,Chegiouamento,Ó: che danno fia per uenirc per cagion di un aman te,ò di un
che non ami,à colui, che gli ubidirà. E adunque neceffario.chc un' huomo uinto
dal la libidine, Sedato alli piaceri, cerchi femprc con ogni fuo sforzo, che
ramato più che altra cofa,gli babbi da piacere. Sai àhchora che ad uno che é
infermo,gli piacciono, flC gli fon gra^ te tutte quelle cofe, che alla uolontà
fua non re:^ pugnano, f5C quelle gli fonomo(efte,fi£ difpia^ ceuoli^che fono di
lui migliori, ò feno migliori, ugualmente buone /£t pero efTendo T amante
\t)fcmo,fìon potrà mai pafifc,clìe uno amato jpaà lui uguale, ò da pia, anzi
cercherà femprc- ^^uanto potrà, fìflo da manco di lui.a più bifors ' ^^nofo. Et
per che tu fai, che un ignorante è d:a^ manco che un dct(o,8C d'un forte
un'timìdo,* 'id'un oratore,© olequente uno inelegante. fi( po^ co atto adire,»
d'uno acuto, «uiuo ingegna kinofcmplice,er fcioccho.fe qaefti,»: molti ali. |ri
mancamenti dell' animose per natura conofcè; Ìitfóuar(ì,ò per ufo in un'amato
efTcr nati, ali Thora godeva fi rallegra lamantetS: non gli bi ìftando quello,
fi sforza anchor de gli altii pro^:^ cacciargliene ;altrimenti non gli pare
poter ca^ Ilare dell' amor fuo piacer alcuno . E adunque- HeccfTario, che un
amante habbia Tempre inui* ^laall'amato & rimoucndolo da ogni amicitia,^
ite da ogni efercitio^per il quale "pò te (Te diuenà tare eccellente,
bifogna che grandemente glii inuoca; a k non gli nocelle per altro, per quei,
■fio al meno gli è dannofc,che lo prfua di queli |a co6,che ne fa prudentflimr.
Per cièche la di iiina fìlofofia è quella.per la quale ueniamo pru^
"déntiffimi'dalla ì]*tiafc lamanfe e sforzato rfmua ll^rc quanto può ì'
amato, temendo Tempre di' •pon effcre'fprezato da lui, fé pm prudente chft; V
?li nQO è.diuentaiTe ,.CC in fomnia fi sforza f?r« ogni cofa,'pèr la qaale egli
al fu((o ignorate dh uenga.&fimaraiiigli folo di quelle parti, che ramante
pofTiede. Qriando adunque farà tale la niato,airhora farà ali amante
carilIìmo,ma dans: nofiffimo a fe ftefTo : fiC cofi puoi uedere,che in torno à
quelle cofc,che al fapere fi appartengo:?. no,è lamicitia con un'amante nocina.
Debbia^ mo bora confiderare in che modo colui, che c sforzato à anteporre il
dilefteuole al buono, hab bia da hauer cura di quel corpo, che egli ama,ca fo
che a lui fuffe una tal cura commefTa . Certas: mente che egli defiderà che
quel corpo non fia fchietto,fiC duro, ma delicato. & molle, non nus: ,
trito.aauuezo al Sole nelle fatiche, ma fottò - l'ombra nelle dchcateze. Vorrà
che fiaalleuato lontano da futri Ij pericoli,» fatiche, che non habbia mai
prouato fudore,» lo farà uiuere con cibi feminili.ac delicati . Lo auezerà à
crnarfi di colorila fàccia,» di ftranieri,fiC nuoui ucftimeti la perfona,» à
fimili altre cofe,le quali tutte eù fendo dishonefte,» brutte à raccontare pia
lun gamente,perpafrare ad altro le lafciercmo an:? dare.Vn corpo adunque fi
fattamente allcuato^ nelle guerre,» in ogni altra pericolofa necefll^
ta,incmicì ficuramente uincono; onde li faci amici,» gli amanti hanno femprc
più paura, che à coftui qualche male n5 interuenga^che ad *ltri : ma
qiicftacofa.efTcndo per fc fteffa cliias ra.lapoflTiamolafciarc andare. Hora
habbiama da dire che dannoso che giouamcnto nelle co^ fesche di fuor
uengonojaamicitia.flC laguar^: dia d* un amante ci arrechi, Qnefto adunque è
chiaro à tutti, flC nnafiime à un amante, che egli ' defidera.che il fuo amato
fia priuato di tutte quelle cofe.che egli pofTjcdeJe quali amiciflì^
lfte»gratiffime,tì:peift:ttiffimegli fono: perciò che egli defidera, che gh
fieno tolti li parenti,, Ce gli amici, penfan do che quelli gli dieno gran df
impedimento à goder la dolceza della ami^ citia dell'amato, Ol tra ciò
penfa,che un fanciul lo ricco dbro.o di qual fi uogli altra cofa,non poffi cofi
facilmente effere prefo d'amore : flC fe pure è prefo.uede che troppo
lungamente in quello amore non può durare . Et pero bifogna che
un'amante^comejnuidiofo,fi dolga della felicità dell' amato, flC fi rallegri
della miferia del medefimo, Defidera anchora,che lungo tempo uiua fenw moglie,
fenza figliuoh\OC fenza cala^ bramando goderfi quel pucere,che quando co:^ (Ifi
ritruouano,foIamente e/fj fentono. Sono ^^n(;hora molti altri mali in quefto
amore, ma nel ia maggior parte di quefti mali, come prima (i comincia i amar
qualche fpirita diuino,mefco5i. la fubifo un certo piacere, come ha fatto à uno
adulatore, il quale è certamente una dannofifljs: ma fiera, fiC una grandifljma
calamità : non di meno la natura ha mefcolato con quefta adulai tione un non
foche di piacere non al tutto da fprezare . Oltra di quefto farà alcuno, che
biafi:s mera le meretrici, come cofa noceuole^fiC altri fimili animali, ò uero
fi fatti ftudi, quali foglio:? no al prefente deiettarci, douc 1 amante non fo^
lamente è noceuole^ma anchora nel praticarlo c moleftifTimo • Per ciò che tu
fai , che il prouerbio antico è. Che li pari facilmente con li pari s*a^
nifconorper ciò che la ugualità dei tempo, della età di due(con ciòfiache per
lalomiglian za de gli anni conduca gh huomini à delet^ tarfi de i medefimi
piacerijpartorifce facilmente 1 amicitia.Ma ne gli amanti la età non pure non
genera amicitia.ma arreca un faftidio troppo grande : per che la neceflìtà in
ogni cofa à cia^ . fcuno è mole{la,la quale più che ogni altra cofa è in uno
amante uerfo T amato, accompagnata dalla difTomiglianza de gli anni , Et che
fia il uc ro,tu fai, che amando una perfona attempata qualche giouane,mai ne il
dì, ne la notte per fc ftcffo da Uh partir fi uorrebbe,ma è coftretto dal la
necefljtà.à; dalla pafFionc amorofa^tt è fcm^prc dalle carcze de i piaceri
allctfato.lc quali nel ucdcre, l'amato gufta , ft pruoua nell' udirlo, ne!
toccarlo. fiC in fomma nel goderlo con qual fi uogli fciitimento : tale che con
grandifTimo fuo piacere fempre fi ftudia compiacergli. Ma r amato da qual forte
di piacere, ò da qual follai zo potrà effer trattenuto, che in ogni modo egli
non fu da grandilTima molcftia oppreiTo.^ Eflcn do fempre sforzato mirare una
feccia d' un huos ino di tempo,flCbrutto.<5C molte altre cofe.che Don folo à
colui fono molcfte.à chi elle intera ncngono,maanchoraà chi l'ode.tiouatc folo
per una certa neceflità.che ha l'amante di farfi r amato bèneuolo : flC qucfto
è l'effer fempre disf lìgentemcnte guardato quanti pafll faccia, l'udì re ogn'
hora quelle faftidiofe lodi.tt quelle ima portune riprcnfioni, delle quali
fempre gl'aman* ti abbondano, flC con le quali ogni giorno li ma ' Iettano : le
quali cofe accafcandoà uno, che fia padron di fe.fono però intollerabili : ma à
uno, the è fuor di fe,come uno amante, non folo fos no intollerabili .ma
anchora per la troppa licerla tia,chefj pigliano di dire apertamente quel, che-
gli' pare, fono brutttffime. Oltra di quefto men» tre che uno ama, è fempre dannofo.flC
importa* no : ina quando poi ha l'aujor fine.diuenta perI auuenirc contra dj
quello poco fedele, quale . ,.con molti giuramenti, flc preghi, & promcflc
^ pena potè condurre. che egli dalla fpeme di pre mioàciòperfuafo.fidifponcflj
à Apportare la moIeftafuaamicitia.Ai fine quandòpur glie concelTo ritornare in
fe.fi rifolucà pigliare un nuouo padrone,ac ubidire ad altro fignore : £C cofi
in uece dell'amore.a: della pazia.feguita lo intcllctto.a la ragione.* la
temperanza ; onde ùtto un altro,cerca fempre dall' amato fuggire, <f
afcondcrfi. All'hora l'amato ricordandofi del* le cofc die tra loro fi fono
dette flC fatte, de i dati beneficii la mercede domanda, penfando che la mate
habbia feco à ufar le mcdefime parole,chc prima ufaua . Ma l'uno per la ucrgogna
non ar* difce confe/Tare d'elTer mutato,ne fa tronarc in ' che modo egli
fodis6cci alli giuramenti, A pro:^ mefle,che mentre fotto la crudel fignoria
d'amo refi ffouaua.inconfideratamenfc fece : « teme, «flendo già diuentato
temperato. & nhidictc alli ragione, facendo le medefime cofe che prima.di
non diuétare il medefimo.che dianzi era. £t di qui nafce.che colui. che poco
fa. amaua, bora ua da fuggcndo.ac fchifando l'amato.ft mutatofi di fantafu.fi
allontani da lui.come fe un di coloro |u|fc,a cui il gittato uafo fw cafcato à
contrailo. tome ben fai.clic nel giuoco infcrutène, elici noftri fanciulli
foglion fare. L altro all'incontro è sforzato à feguifare T amante. flC
parendogli pur mal ageuclc cfler lafciato/j uolta al fine alle ma* le parole. Ne
ciò gli accade contra ragione.per ciò che nel principio quefto tale no
fapeuaquan tomai fi conuenifle, ce quanto poco lecito.» honefto fufTe à
un'amante far cofa grata. quale è di neceffità fuor di mente.» quanto ben fatto
fu (Te compiacere à un'huomo dall'amor libero, che fuor di fe non fi ritrouaffe
. Ne tonofccns dofimilmente.che fidandofi di un'amante .G fida d'un huomo
fttano.inuidiofo, moleflo, dannofo.a inutile, prima alla roba. «poi ai corpo.ma
molto più noceuole alla fcientia del* ■ l'aoimo.della quale nefTuna cofa è
certamente . pia oenerabile a appreffo Dio,» apprelTo gii huomini. Qucfte cofe
adunque douiamo fans ciullo mio confiderare.CC oltra di quefto fi ha da
luuertirc.chc l'aroicitia d' uno amante da bene» uolcntia alcuna non nafce, ma
da una certa aui» diùdi faturfi.comc gli a ffamati : & però ben diffe colui
in quelli uet6, fe^omeillupo l'agnello. Cefi un giouin l' amante ardendo brama.
Qiiefte fono ò Fedro quelle cofc.che io h Uf ua promcffo narrarti : flC però
non uoglio pa bora dire altro, ma farò fine al mio ragionamens: to,anchòra che
io penfaua d efTer folamcff giun toalmezodcl mio parlare, flC ci reflaffe à
dire altrettanto di quelle, che non ama,&piouarc che più torto fi haiièffi
ad ubbidire i un tale: oltra di quefto penfaua hauere i raccontare di quanti
beni, flC di quante utilità uno, che non ama,fia ripieno, F E D, Perche adunque
fi reftii' SOCR. Non hai tu confiderato,chc io non fo più quei uerfi Ditirambi,
che dianzi m'ufciuano di bocca,quantuque il mio ragiona:? meto fin qui fia
flato nel uituperarei* Hoia le io feguitado uolefli lodare quel, che n6ama,quan
tohobiafimato l'amante, che penfi turche io dice/Iìf' Non ti accorgi tu, che io
fono aiutato,, flC ripieno di fpirito dalle Ninfe di quefto iuos^ go,fiCper
tuagratia,fiC per aiuto diurno l'Per la qualcofaio concluderò breuemente,che
tanti beni fono in quello, che non ama, quanti mali ti ho moftrato truouarfi in
un'amante ; ft però iion ci bifogna far più lungo ragionamento, ha:? uendo già
dell' uno, fiC deiTaltrò a bailaiiza ra^ gionato. Et pare à me, che la noftra
fauola hab^ bla hauto quel fine, che era conuenientc & pcs^ "
ròpaffando d fiunic^mi uoglio partire, prima D i i i the fu mi %(orz\ atìirc
quatcKc altra cofa piuvfm portante , F E D • Non ti partire anchora So^ crate,
prima che il caldo non fe ne uada:n6 uedi tu,chehoraè à punto il mezo giorno,
nel qual tempo è il caldo grandiflimoi^ Et peròafpettani: <Joqui^ 6C
ragionando infieme delle cofe, che habbiamo dette, come prima il caldo farà
mcinrs cato, ci partiremo. SOCR. Certamente Fe^ dro, che nelle tue parole tu
(ci diuino,fiC uerais mente mirabile : flC però io penfo certo^che dcU
JeOrationi.qualialtuoìtempo fonoftafe fatte, nefTuno ne habbia dato più
cagione, che tu,flC neiTuno altro à più Thabbi potuto pcrfuadere.ò aero
conletue efoifationii quello conducenrs |Cloli,ò uero in qualche altro modo
sforzandoli • Et certamente m quefto(cauatonc SimiaTebac no)tu auanzi tutti gli
altrirJC bora 'fecondo me) tu folo fei (lato cagione, che io habbia à dire di
nuouo,non fo checofe,che nella mente mi fo^ no fopraggiunte. Il che facendo tu,
pollo dire, che tu mi facci una guerra. FED, Etinche modo ti fo io guerra flC
che cofe fon quefte.chc tu mi uuoi.dire^ SOCR. In quel, che io uo leua paffare
il fiume, quel mio fpìnto fohto,chc tu faì,paiuc che mi faccffe lufato cenno :
il che ogni uol tacche mi accade^ nò è uietato fare quel lo.cJic fogia
farpeniaua,Quindi mi paruc udi:^ re una uocejaquafe mi liietana il partire.
prima che io non lùuefTe placato gli dei,cofl:ie fe con^: fradiIoroIiaueflìconiiiìe(To
qualche errore. Io adunque fono fcnzadubiohoggi indouino,fiC flC fe io non fono
cofi de buoni, fono al meno di forte^che forfè à me farà affai, come battano,
anchora le poche lettere a coloro, che male le hanno apprefe , Lt però Fedro mio,
hormai ip chiammente concfco il mio fallo : per ciò che c ,mi pare hauer
neiranimo un no fo che, che mi indouini r erfor,che,^ ho fatto . Et quefta cofa
dianzi,mentre che ioragionaua,mi turbò tnt^ to : per il che io cominciai in un
certo modo à temere di non acquiftarmi gloria apprefFo gli huomini del
mcndo^all'hora che io contra gli iddìi grauemente erraua ( fecondo che già
dilTe Ibico nella fua opera )flc bora al fine conofco, come t'ho detto T error
mjp. f £ D , Qnale er^ rorc è quefto/ S O C R, Ò Fedro.un trillo ra:^
gionamento.un tritio ragionamento edro hai hoggi mcfTo in carapo.fic sforzatomi
i ragiona|C ne. FED. In che modqj' S O C R. E (lata cofa ftoIta.dC empia, della
quale che fi può egli più tpfto.a: noccuolc ritrouarcs' FED. N is cnte.fc tu
dici iJ uero. SOCR. Ohimè, non fai tu quel, che fia amore i Non è egli fi^
gliuolodi Venerei Non penfi tu,che^gli fu uno iddio 1^ F ED. Cofi fi tiene per
certo. S O C R . Et non di meno Lifia non ha detto .quefto^nc manco il tuo
ragionamento, il quale non io, ma tu hai fatto : per ciò che tu me T hai à
forza canato di bocca, come per incanto, Hora fc [amore è Dio, come e
certamente, ò uero qual che cofa diuina.non può efler cattiuo,& non di meno
noi habbiamo parlato di lui, come fe fuÉ: fe cattiuo. In quefta cofa adunque
habbiamo peccato contra amore. Et certamente quefte no ftre qùeflioni fono moho
fuor di propofito,an^ chora che forfè paiano piaceuoli : le quali non ritenendo
in fe cofa alcuna di fincero,ò di uero, nondi meno fc per cafo faranno approuate
da qualche huomiciuolo di poco fapere, quelli, che le fanno, fe ne gloriano,
come fe fulTero di granrs de importanza. Hcraàme fa di bifcgno per quefto
errore, placare gli iddii : & hai da fapere^ che a quelli, che nel
ragionare, ò nello fcriuerc errano,è ordinato un certo modo di placare gli
iddii antico, il quale Homeronon feppe cono^ fcert.mafi bene Steficoro : per
ciò che efTendo (lato priuato de gli occhi, per che haueua uituis perata
Helena, conobbe come huomo amico del le Mufe.pfrqual cagione cieco fu/Te
diuentafo, il che non fece Homero ; per il che fubito fece quei uerfi,>^Non
fu uer quel parlarne in l'alfe naui Fuggendo, andafle alle troiane mura. Et
cofi fatto un'altro poema di nuouo al conai trario di quello, che prima
comporto haueua,fu bitoglifurendutoil uedere.Ma io in quefto farò più fauio
d'ambe due loro, per ciò che in^ ^ nanzi che male alcuno mi interuenga per il
hh fimo, che all'amore ho dato, mi sforzerò dire il contrario di quello, che tu
hai udito r il che fa^ ' cendo mi uogli fcoprire il capo, flC non uoglio
tenerlo per uergogna afcofo,come ho fatto nel mio primo ragionamento. F E D. Tu
non mi puoi fare ò Socrate il maggior piacer di ques fto. SOCR.
Telcredo,perchetu tidebbi ricordare con quanta poca uergogna habbiamo letto
quelle cofe.che il libretto di Lifu contess "^Tieua,fiC quanto anchora
fciocchamente io hab^ bia ragionato di amore. Per che fe qualche huo mo di
generofo animo, modello, che al pre:s fente ama(Te qualche fuo uguale, ò uero
per lo addietro l'hauede amato, ci haueffe fentito dire, che gli amanti fanno
per Iteui cagioni nafcerc grandiiTime nimicitie^flc che fono huomini in^
niàìofi^a noccuolia gli amati, certo clic egli harebbc pcnfato udire tanti
huomini auuezi fo Io,flCalIeuati dentro alle naui,liquali nonco:s nobbero mai
un uero,fiC gentile ancore : CC unaperfonafauia non ci concederà in modo
alcuno, che quelle cofe fieno Licre, che in biafmio d'sts: more habbiamo
ritrouate . F E D . Certo che ,io crcdo^chc tu dicail ueio per mia fe. S O C R.
Et però temendo, che qualche huomo cofi fat^i lo, non rhabbia à fapcre,
fichauendo anchorz paura d' amore, defidero lauare^fli nettarela mea tc.ÓL le
orecchie noftrc di quello amaro, flC no^, ceuole ragionamento, cbe habbiamo
fatto, con qualche altro più foaue parlare, & al gufto no:2 ^ftro più
giocondo. Lo fo anchora pergiouare à lifia,perfuadèdogli che cglifubito debbia
fcri:^ ucre.che più toftofi habbia da fodisfarc à unoamante,che à uno che non
ama, quando l'amor re è tra li fimili. F E D . Sappi certo, che egli lo farà ,
per ciò che dipoi che ti barò fenti to lo;: .dare l'amante, farà necefrario,che
io lo sforzi à criuereanch egliii medefimo. S O C So certo, che ti uerrà 6tto
fin che durerai dVfferc co mefei alprefente, F E D. Hor dì adunque arditamente.
S O C R. Hor fu ; douc è egli quel fanciullo, col quale dianzi ragionaua,ac:s
ito clic egh oofi ancìiora cfue^o mio nuouo pire lare, che fe forfè non
infendelTe altro cIa me^ cercarcbbe anch' egli lemerariamente fare pia:: éere
a.chi non Tama, F E D. QLieftofaticiulis lohauendotelo finto,tì è
femprcappreflo : gni uolti^che louuoif SOGR. Fa aduns: quc conto fanciullo mio
gentilesche il mio pr^ mo ragionamento Cu flato detto dà Fedro Mirjs
rinefe,figh(ioIo di Pitoclc,ÒC queflo che hora di ro^da Steficoro.figkuolo di
Eufemio,fauomo degno d' eiTere daciaiciino amato .il qual ragio namcnto in
quefto modo cominceifemo. Q^V E L ragionamento non è uero,ìneI ^uale fi è
detto, che per edere l'anì^inte pieno di fiiWc^À quello, che non ama da tal
furore lifae^s ro,fi debba mjggriormente fare cofa grata m pri feotia d^i
un'amante, à chi non ama, che per iì contrario : per ciò che fe fuflè in tutto
uero^che il furoretuifecattiuo,haremo per certo ragioncj» uolmente parlato. Ma
io ti uoglio dife,,ch^mol tì.ac grandiffimi beni ci intcraengonoper mcjs zo del
furore, concefTo certamente folo iptxbt^ neficiodiuino.Etchcfia il uero^ucdiche
pri-? ma quella Sacerdote, che in Delfo predice il futuro, fiC qudla altra
apprefTo Gioae Dodosc nco . fono cefliflimamente ripiène di furóre^non di meno
hanno Tempre date molte, C( gran diflimc commodità i gli huomini di Grecia flC
priuataniente,flf publicamcnte: ma mentre che da tal furore fon libererei fanno
o poco, ouero nefTuno giouamento. Et fc io uoleflì horara^s gionare delle
Sibille, &dituttiquegli altri^chc hanno per uirtù diuina indouinato il
futuro, flC feiotiuolefli dire cjuanfo eglino predicendo molte cofe da
uenirc,habbino giouafo, troppo farei nel mio parlare lungo, ol tra che io direi
co fa chiara à ciafcuno. Non di meno par cofagiu^ (la dimofl:rare,che li noftri
antichi, li quali pos: fcròi nomi alle cofc.uiddero.fif conobbero, che il
furore non era cofa brutta, o uituperofa.che fc gli haue(Tero altrimenti
penfato,non harebbo:^ ^ noqucfta arte perfettiflima^con la quale il fu:s turo
fi conofce, chiamata ^àyiKHv » che tanto uuol dire, quanto furore diurno : per
eie che il furore uiene à gli huomini peruolontà diuina, & pero parendo k
coftoro,chc fufle come è quers. fto furore, un gran bene,à quefta fi honcfta
arte uolfero mettere un fi honorato norhe . Ma hogs gi quefti pia moderni
interponendo i quella uoce un poco confideratamentc hanno qn erto furore
chiamato fuy-v7JH«f , che uuot ^ire arte di ifadouinare.d: non furore. Et hai
da fapcrc,chc il modo dello indoufnarc il /ufuro^' che hanno gli huomini priui
di quel furore dis aino,pcr uiadegh* uccelh^flf delle conietturc, parendo à
efli,chc procedere da difcorfo huma^ nojl domandarono oÌovohsìkh : ma quelli,
che fon uenuti dipoi, mutando Io piccolo nel Io6)grande,]' hanno con più
honefta uocc chiamato oiqvisihm • Et pero quanto è più perfetto,a: più nobile
lo indouinare per uirtù dinina,chc per coieffure,flC per uccelli, tt qiun fo il
nome diuino,chc è /xocvmK? , c più de^ gnocheThumano^cheè fMy^Kug, ftpiuun
opera, che l'altra perfetta, tanto i noftri antichi hanno detto, che il furore,
che uiene dal ciclopc più degno, che la prudentia^flC l'arte humana. Tu debhi
purfapere,che già per riparare alle grandi infirmiti. che ueniuano,flC per
liberarci da qualche auuerfità troppo grande, che alle uolte per gli antichi
errori li popoli minacciai uano,ueniua à una certaforted'huominique^ (lo furore
diuino non fo donde. Et da quellconfigliati,queirimedii ritrouauano,che erano
alla falute loro neceffarii^facendoli quel furore ricorrere alli uoti.&
alli preghi, al raccoman^ darfi à Dio : per quefla uia impetrando mife^ f
icordia/i rendeuano da ogni infirmità.dCpe^ rìccio fahii CT per quel te nripo,*
pcrquc1To,chc haueua da uenifc : K cofi acquiftauano.fiC rice:^
iieuancpfrmczodi qucfto furore dal' cielo la sflblutione del II errori loro,
pur che di furore de gno,&: buono fuffeflo ripieni. Il terzo furore è
quello,che uien? dalie Mufe, il quale rapifcc .J'i^nima altrui, anchor dafimile
forza non più of fefa,a cefi la fjfiieglia.flC k infpira. Per il che è per uu
di cantico facccdo qualche t^pbile poe fia, ornando con Ufuoi numeri,
fiffcriucndouirs finiti ùtti òc gli antichi, per tal uiainfegnaà colorii, che
dopo Ihì uerranno. #Jf quello, che fenzail furc^l■ delle Muk ha ardire di
accoftarfi pure alla porta delb poefia,fidajndofi per quaU che fuaingfgnofà
arte haiieicà diuentar buoi^ poeta^ti d'jco,che qiicfto tale 4 fine farà tenu:^
to fciocco: a lapoefia di un'hUdmoda que:s furore hbero , «i^fce finalmente
uana , fit, fenza fugo alcuno, i couipararione d/ quella^ che da un' huorao
funofo è ritruouata . Tut:^ quefli , a molti altri' nobilj/Timi effetti del.
furor djuifìo tipofloio raccontare: per la qual cofà noi non hsbbiamo hoimai
più da temersi rè ua furiofo.Ne aTgomento-^ò neramente ra:?- gioac
alQU<w.CJllM da fpau.Gntarc^moftrandoci clìepiu foflo fi Iiabbfa ad eleggere
un'amico prudente, & fano,che uno incitato, flC furiofo*. Ma lafciamo
andare quefto.jMoftiimi coIlui,fc può, flC in quefto uincami, che i' ancore non
fia da Dio (lato truouato per utilità dell' aman^s le.flC dell'amato. Doae io
hora per il contrae rìogli uog!iomoflTare,chequcflo tal furore e flato dato da
Dio à gli huomini per una gran^ difllma (cìicità.LsL qual mia dimoflratione à
quelli, chehtigiofi fono, & che ogni cofa tropss po minutamente uogliono'
fapere,tt che ogni cofa uituperano,fiCà ogni cofa appongofièf.fàà rà forfè
incredibile : ma afii faui farà il con^ frario. Ma prima che à quefto ucnga,ci
fa di bifogno,confiderando bene le operationi,fiC gli affetti dell'anima
humana, fiC diuina, troitare la uerità di quello, che intorno à lei fi può ra^
gionare,flC difputarc. Sari adunque il princi:? pio di queda mia dimoftratione
cofi fatto. OGNI anima c immortale, per ciò che quella cofa, che fcmpre da fe
fi muoue^queU. la douiamo direefTere immortale : ma quella co^ fa,che altri
muouc,tì: da altro è mofra,con ciò fia che ilfuomoto fia terminato, ha anchora
il termine, 6: il fine della fua uita. Et pe:sr rò folamente quella cofa^ che
fe (leda muoue/ per ciò che mai non fi abbanclona.nonfi rcfta mai di muouere^anzi
quella e fonte, ££ principi pio del moto di tutte le altre cofe.che fi muos:
iiono.Ettufai,cheil principio è fenzanakis: mento alcuno ; per ciò che egli è
neceffario, che tutte le cofe^che fi generano, nafchino da un principio, flC
quel pnncipio non ha altro prin^s cipio : per ciò che sci principio nafceffe da
qual che altra cofa, non potrebbe gii nafceredaun principio, cfTendo il
principio egli • Ma cfTendo il principio fenza nafcimento.è necffTario che
;inchorafia fenza mancamento, o fine alcuno; per ciò che fe il principio
mancaffe,© morilTc^ non potrebbe più ne egli nafcere da un'altro,, tie un'altro
rifufcitare da lui, con ciò fia che fu neceffario, che tutte le cofe nafchino
da un pria cipio. Se adunque il principio è un moto,chc inuoue fe ftefro,queflo
principio non può ne mancarcene nafcere da un'altro* & fe altrimenti fuffe,
farebbe neceffario, che tutto il cielo man:s caffè, a fi diftruggeffe,flC ogni
altra cofa creata» ^oltra di quello non fi potrebbe mai fapere on^ de quefte
cofe nafchino, & da chi fieno moffe^ Adunque effendo chiaro, che quella
cpfa^che fc flefla muoue^è immortale, non harà da temere di due il falfo.chi
affermerà che la fuftantia del l'anima è cofi fatta;Ia ragione è quefi:a,chc
ogiiìi corpo, che ha il nìoto da altri ,è corpo inanima:^ to. Ma quel corpo,
che ha il moto in fe ileffo^ . & per (e fi miioue, quello è animato :
fimilc» adunque puoi penfare,che fia la natura dell'ara nima . Et però (e gli è
uero.che altra cofa non fi truoui,che in fe fle/Tafi muoua, fuor che Tanis: ma,di
neceflìta ne fegue, che I anima Tia fenzi principio, fiC immortale. Dell'
immortahtà dela l'anima habbiamo detto affai . Voglio bora u:: gionare della
fua ideà;ò aero della fua forma,» ìmagine in quefta guifa . Se io uolefli
narrarti tutte le Tue qnalità,CJ particularità,bifognareb:à becheio (i\([ì
un'huomo diuino, fiC poi farei troppo lungo. Ma può bene un'huomo motà
tale,comcfonio,defcriuere una certa fimilitua dine,flC figura di quefta anima,
flC quella porre dauanti à gli occhi ; & à far quefto,fari cofa pia
breue,che à entrare nelle altre diffic ulta, che nel ragionar di lei fi
ritruouano. Et però diremo per bora cofi, Facciamola per quefta uolta fimi^i le
à un carro alato, che habbia il fuo rettore : la qua! figura ci è affai nota,
flf (a intendiamo be:s nifijmo. Hai adunque dafapere.che tutti li cast
:Ualh\flC li rettori de i carri de^li iddii fon buo^ ni,tt nati df buoni •De
gli altri^che non fona fddii, parte fono buoni, & parte non . Primierajf.
mente colui, che dell'anima. della mente norx j ftra tiene il gouerno,
raffrena, guida, flf corrfg:^ geli duecaualli,cbe il carro noftro tirano con .
le briglie in mano.Oltra diquefl:o,un di quefti duecaualliè buono.fiC bello,flC
nato di ftmilfó Taltro è il contrario, & nato di contrarii. Per ii che accade,
che quefta noftra moderatione,flf reggimento di caualli fia di ncceflifà
difficile • Horamiuoglio sforzare moftrarti breuementc. perqual cagione fia
detto un'animale mortale, 6: uno immortale , Ogni anima ha cura di tuts?: i to
il corpo inanimato, flc difcorre per tutto il cielo bora pigliando una forma,
bora un' aU fra ; fiC mentre che ella è anchora perfetta, « riaij tiene le fue
ale intere inalza in alto,fiC gouer:P na air bora tutto il mondo. Ma quella
anima, alla quale fieno per qualche cafo, come ti dirò^ cafcatc le 3lc,rouiDa
al bado, ne mai fi ferma, fin che non fi intoppi in qualche corpo fohdo,clic la
ritenga. Quando poi quella anima ha trouas^ to doue habitare,* ha per fua
ftanza prefo qual che corpo (errenp ( il qual corpo fabitp che ha, in fe quefta
anima, par che comincia à muo^^ ucrfi,macpera lapotentia della anima, che
lomuoue} muoue) ali 'bora tatto qucfto fi chiama ani? male : & qucfta anima
unita infieme con un cor po terreno ( come ho detto ) U un'animale.il quale fi
domanda mortale. Ma il corpo immorj: tale fi conofce non per ragione alcuna per
ora' didifcorfo ritruouafa.ma quel, che fi dices'd fingono gli huomini da fe
ftefli ; perciò che quefto corpo non lo habbiamo mai ueduto. ne à baftanza ci è
maj flato dato ad intendere, Ids dio adunque è un certo animale immortale il
quale fenzadubioha ranima.flcfimilmentc il corpo,flCquefte due cole fono liate
per natura in fempiterno infieme congiunte. Ma queflc cofé bifogna dire che
fieno, come piace i Id* dio, a ragionandone, à lui bifogna' riferirfcne. Hora
ci rcfta à dire per qual cagione le ale caa (chino all'anima. Tu ha» da
fapere,che la nas tura.ef il proprio delle ale di quefta anima.é il- leuare il
graue in alto uerfo quella parte del'cics lo, la doue habilano gli iddiU Sappi
anchos ra, che di tutte le cofe.chc in un corpo fi nst truouano, ranima,piu
d'ogni altra cofa.della diurna cognitione è participe. Qiiefta diuinità tengo
io che fi pofli dire, che fia cofa bella.iaa uia, bHona,flC ciò che i tali cofe
c fimilc.Da quc* (lo adunque prindpaimclìfc fc ale dell'anima fono nutrite,*
per quefto più che per altro crc:s fcono,flC mchora per le cofe brutte, flC
trifte>ac per le altre à quelle'contrarie, che di fopra ti ho dette,
mancano, fl£ uengono à niente. Oltra di quefto hai da intendere, che in cielo è
un gran Principe^il quale fi chiama Gioue . Coftui pd^ mo à tutti gli altri,
guida con uelocità un fuo carro alato, ornando, fiC affettando ciafcuna cofa,.
ce con fomma diHgentia al tutto procurandoé Dopo coftui feguita lefercito de
gli altri iddiì^ femidei,fiC fpiriti diuini, diuifo, flC ordinato in undici
parti, 6C folamènte nella cafa de gli iddii f cfta la Dea Vefta . Ma gli altri
iddii ( dico fola^ mente quelli, li quali fono poftì nel numero de j dodici )
fe ne uanno ordinatamente, fecondò che fono difpofti,& ordinati . Et hai da
fapere^ che dentro al cielo fono molti fpettacoli,fiC mol ti uiaggi,difcorrendo
Intorno fi fanno diuinifTì^ mi,& beatifTjmi : alli quali i beati iddii
femprc ftanno intenti, & ciafcuno fa quello ufficiosa! quale è fl:ato
pofto,CC che gli fi conuiene.fiC cofi ua feguitando ciafcuno iddio fempre
potendo ugualmente,* uolendo : per ciò che dal diuin choro è femprc ogni
inuidia,* ogni maleuolen tia lontana, Quando poi fe ne uanno al celeftc
cofluifo, ce à guflarc le diuinc uiuande, all'ho:: ra inalzate, & già in
alfo afcendendo^caminano per la circunfèrentiade i cieli. Li carri delli do5
dici iddìi bene accónci, flC aflettati, con le briglie de i caualli uguali, flf
parimente da ogni banda pefando, fàcilmente caminano. Ma gli altri carri che
cofì no fi truouano.à fatica fi poflono muo uere : per cicche quel caualio
trifto è dalli uitii aggrauato,6C cofi uerfo la terra fi p^^ga, & feco il
carro, & il rettore à forza tira.fiC quefto à quelsj li rettori interuiene,che
j1 caualio non buono, hanno troppo ingraflato,fiC alThora patifcono le anime
una fatica eftrema^fic fono in un graridifs fimo combattimento . Per ciò che
quelle anime; che fon chiamate immortali, ciò è quelle, che no fono dal trifto
caualio sforzate, quando allafom miti giunte fono,allontanatefi dalle altre, fi
fer mano nel dorfo del cielo, fiC quiui pofatc,fono dalla circunferentia
attorno rotate : ft quefte fos: no quelle anime, che ueggono quelle cofe,chc
fuor del cielo fono pofte, Et quel diuino luogo (opra tutti li cieli non è
anchorada alcuno dei noftri Poeti flato fin qui lodato: ne alcuno fi tro
uerà,che mai quanta egli menta, lodar lo pofla. Quefto luogo è fatto in un tal
modc(& mi met^: to i dire quefto ; per che parlando della uerità, pofTo tiene
hiuctt ardire di dire il acro ) è adun que fcnza colore, fenza figtira alcuna.
non fi può toccare.è una cfTcntia ; la quale fola fi può dire.chc ucramcntc
fiaft qucfta effentia fola» mente li Icrue dello intelletto, guida, flf gouer^
Inadore dell'anima, il quale intelletto femprc fta in continoua contemplatione
del (omwo bello^Etla uera fcientia, flCil perfetto fapere altro luogo non ha,
che quello, che c pofto ins: torno i quefta effentia ucra,£c nella fuacognfc
ttònc. Come adunque il penficro^a: la contems plationc diuina è poftafolo
intornò i un'ina tellettopuro,fiCà una fcicntia immaculata, cefi il penfiero,
flc la contemplatione d'ogni ani^: ' ìna,che habbia i pigliare che corpo, ò
forma fi uoglia ( pur che à lei fia conuenientc ) rifguarp dando per qualche
tempo in quella efienfia, che io dico, che fola fi può dire che fia contea!? ta
della contemplatione della uerità,di quella fi nutrifcc,a: di quella fi con
tenta, fin che un'aia: tra uolta la circa nfercntia aggirandola, non la ritorni
in quclmedefimo luogo.Et in quefto fuo aggiramento uede la giuftitia, con
tempia la temperanza, fcorgc la fciehtia, K non uedc (jueftc uirlù come
generate/flCpoftein uno,ò^in un'alfrc (Ti comé potiamo dire ) che fiend quelle.
che noi qua giù confiderandaci paio^ nouirtù,ft cofi le chiamiamo, ma uede
quella iiera fcientia, che è in colui, che folamcntcfi può dire che
fia.-flCinquefto medefimo mo:s do ucde, flC contempla tutte le altre uirtù,chc
fono uirtù ueranente. Quindi di quefti cibi nutrita, a fatia. ritornando di
nuouo dentro al cielo, fc ne ritorna à cafa, dalla quale dianzi fi parti : flC
dipoi che è ritornata, il Rettore mets: fendo li cauallr nella ftalla à
ripofarc.gli da :per cibo T Ambrofia. (JC gli fa bere il Nettati :rc,fif quefta
è la uità de gli iddii/te altre ani^ .-jne poi, alcuna che dirittamente ha gli
iddìi feguitato,6tta che è à lorofimile, fa tanto, che :4inchora ella inalza il
capo del fuo Rettore à ^uedere quel bellifllmo luogo, che iotihodet^: oefTer
fopra li cieli rftcofi ancho ellainfies» me con gli iddii è dalla
circunferentia de i cicjs li aggirata, a portata, ma à T ultimo dalli cauals:
li e trafportata fuor della uia : talmente che à grandiflìma fatica può mirare
quelle cofe, che in quelli Iuoghj,di uentà piene fi ritruouais no* Alcuna altra
anima hora il capo del Ret^ Jore in alto leua^tt hora la abbafTa : onde daU £
ini Ifcaiialli sforzata, parfe ucde quel bcne,flf parte non . Et le altre anime
tutte ugualmente defiderando ftar di fopra.feguitano quefte tutte ins , fj
fiemc confufamente: a non potendo in alto le:: I uarfi,premendofi tra loro,
fono à torno portate: ! fCcalcandofi^ficrunaialtra fpingendo,ft ciafcu i :na
quanto più può di pafTare innanzi sfor7an5; dofi, fanno tra loro grandiffima
contefa :.onde j ne nafce un romore,un. combattimento, una fafica grandiffjma:
nella qual con(éfa,per uitio, ce difetto de i rettori, molte fi azoppano, molte
delle altre rompono le penne delle ale,a al fin tutte dopo un;i lunga, flC gran
fatica, fen za p 0:5 ter pur uedcre quella effentia diuina.che io di:^ , co,
che è ueramente,fi partono, flC dopo quefta lor partita fi pafcono folo
d'opinione, non potendo quel fommo bene per altra uia conofcerc: a ciafcuna fi
sforza, quanto può, di poter haue:5 re quefto cibo,defiderando conofcere doue
fia il bel campo della uerità. Per ciò che di quefto prato la natura dell'anima
per fe fteffa ottima, xaua conucniente cibo,Cf di quefto fi nutrifcc la natura
delle ale,con le quali in alto fi leua^ La potentia diuina poi ( la qual non
può in al:^ <un modo fallire ) tiene quefta regola, che cia:^ felina animaja
quale mentre che gli iddii ac:$compagnaua.C6mpagnaua,puotc ucdèrc qualche
fcintiTIa del la uerità ,quefta tale dico, uuolc che per fin che un'altra uolta
non fia dalla circunferentia aggi^ rata ( come ho detto difopra ) fia fuor del
perb xólo di perder le ale, òdi riceuere danno alcu» no:fiC fe Tempre potefle
girando quella uerità uc •dere,non farebbe mai in parte alcuna offefa,Ma fe non
potendogli iddii Seguitare, non fi fuffc potuta condurre i uedere quel fommo
bene,flC per qualche cafo contrario ripiena d' ebliuione, ce di malignità fuffe
dalli uitii al baffo aggraua:^ ta,flC in queftoabbaffarfi.a deprimcrfi rompete
fi le ale, fiC cefi rouinando in terra cafcafre,al2s rhora la diuina legge
uieta,che quefta tale anb ma la prima uolta, che qua giù à forma alcuna -s
accoda, fi uada ad accompagnare con la natus ra di beftia alcuna fenza ragione,
ma uuolc, che •quella anima, che molte cole fa in cielo habbia uedute^uadaà
trouare lageneratione d'un huo tno,che habbia da effer Filofofo,ò uero defiders
rofo di belleza,ò uero Mufico,ò uero d' un huo modato alle ccfe d'amore.
C^ell'altra, che non ^quanto la prima habbia ueduto, ma nel fecon:5 do luogo fu
pofta, comanda quefta legge, che difcendainuncorpo,chehabbia da effereRc per legge,
fiC ragioneuolmete.ò uero in un bua iao dato alle guerre, flC atto ad efferc
Impera^s <lore,ò Capitano ♦Quelle poi, che nel terzo Iuoj: go fi
fruouano.ordjna che fi mettino jn un huomo.chc habbia da efTere gouernatore
d'una Rcpubhca^òuero in uno, che debba difpenfa^ re,ft diftribuire la robba.ft
hauer cura della fajs miglia, ò in uno,chefia dato al guadagno. Quel
k.chcpiugiu tengono il quarto luogo, fe ne uarino in un huov(}o,Ql}€ hsihbìà da
durar ùth .ca,òaeroin uno, che fi habbia daefercitare in^: torno alla Medicina,
fif alla cura de i corpi .Quel Ic,che più di foltonel quinto luogo fon pofte, é
s'accoftanoà coloro, che debbono fare l'arte di indouinarc,òuero di augurare
per uia di facrb jficii,ò d'altri mifteri, Quelle, che la fefta fede tengono,defcendono
in un'huomo,che hab:s bia da diuentare pQeta,ò ucro in uno di coloro, che fono
nati ad imitare altrui. Quelle, che fono le feftime dalle prime, uanno;fn
uno.che habs biada efTere òartefii^e^ò agricoltore. Le ottauc in un
fofifta,òucro in una perfona plebea.flC iiile. Quelle finalmente, che nel nono,
flfultis: mo luogo fi ritruouano.fc ne uanno a diuentare uno, che debbia efTer
tiranno. Et in tutti quefli •fiati di Ulta qualunque giuftamente haràmes».
-fiato i giorni fuoi.dopo la morte harà miglior forte, clic quelli, che
friftamcnte fono uirtuH: flf quelli, che ingiufti fono flafi,uannOÌ pcg:^ |fóré
fl'a(o,che colore), che fono ftafi buòni : pei d'oche non ritoma Tiinimatn quel
medefimo luogo,dcnde prima fi partì. più preflo che ih fpatio di dieci hhirlia
anni .Per ciò che auanti i queftofpatiodifefnponon può racquiflare le àie, fuor
che l'anima di coluj,che uitiendo hà fenzauitio alcuno atfefo alla
Filofofia,òuer«5: mcnfeha amato la helleza^fiC infieme grande^ ifnente
defiderafo la fapienfia : per ciò che quei ftefali arfime/enza dubio alcuno,
dipoi che ^treuolte fono paiTate mille anni ( purché efs Icno^ uoglino dopo la
prima morte, tre uolte tornare in quefta uita ) all' bora hauendo rac» quiftate
le ale dopo tre milia anni,al cicl uo^ landò fi partono. MoHé altre aniine,
morte che fono, la prima uolta fono da Iddio gJu^ dicate, a dannate r ttcofi
giudicate, altre an^- dando fh^un'iù'ògo,il qaaTé ne! cèntro dcU la terra è
porta per punit»one delle anime cgitti tiue.quiui patono del fallir loro meritcnoli
pe:» he. Altre pòi dal giudicio dìuino innalzai te, in certo luogo del cielo
forio in quel modo trattate, che fi hannoqnagiu in terra uiucns do meritato :
flf poi tra mille anni qucfte due- forti d'anime, ritornando al mondo fi
eleggono una feconda uita,ec ciafcuna può pigli^rfi queU la forma, che uuole.
Quindi uienc, che l'anima humaha pafTa alla uita d'una beftia^flC dipoi
dunabeftiadiuenta di nuouo huomo,pur che quella anima fia (lata un'altra iiolta
in un'huo mo. Per ciò che quella anima, che non harà mai ucdutaìauerità,òpoco,b
a(rai,non potrà mai pigliare la humana figura : per che bifogna che quello, che
l'huomo mtende, l'intenda per me:s zo delle fpetie delle cofe,che dauanti gli
ii ap:5 prefentano.a quefte fpetie per uia di molte, ÒC uarie cognitioni nella
mente noftra raccolte, fo^ ijoalfine con difcorfo infieme pofte,eCc9m5s prefe.
Et quefta cofa altro non è, che la rimems: branza di quelle cofe,che già Y
anima noftra in C4elouidde,air bora che infieme con iddio era perfetta.-a
quando ella fprezaua quelle cofe,che noi fcioccamente diciamo che fono,riuolta
fola:? mente allcontemplatione di colui, che è uera^ mente . Per la qual cofa
l'anima folo del Filofoss fo meritamente racquifta le ale.per ciòchequan to p-r
un'huomo è poflibile,fempre con la mera móna fi riflringe,flC fi accofta à
quelle cofe^allc quali accoftandofi,(5f riftrfngendofi iddio, è di^ uino» Colui
adunque, che farà quefta confide^, ratione din'ttamenfe,&
ragioneuoImente,flC cefe cherà fempre di nempirfi la mente di qucfti cofi pcrfet(i,fi£
fanti mifteri, quefto folo diucnterà perfetto. Et cefi diiiifo dalli ftu di,
che fanno gli altri huomini,flf accoftandofi alla diuinità,è th prcfo,flC morfo
dal uolgo,comc fe egli fufle ufci to di fe. Ma egli ripieno, flC ebbro della
contem plationc di Dio, non fi lafcia cònofcere alla mol titudine. Per quefto
adunque ho fatto io qùc^ fto mio ragionamento, il quale è porto intorno alla
quarta forte di furore-peri! qual furore quan do alle uolte uno di quefti tali
nel uederequa giù qualche belleza, fi ricorda di quella uera, che gii uìde in
cielo,rimettc fubito ralc,fiC cofi rimelTe che V ha, fi sforza,quanto
puo,uolando al cielo inalzarfi. Ma non potendo ciò fare^coje me gli uccelli
po(rono,guarda,flC confiderà pur uerfo il cielo, fprezando qucfte cofe bade
«onde ne è biafimato fiC ne riporta uergogna,dicendo:j gli ciafcuno,che egli è
poco fauio,flC ripieno di furore . Per la qual cofa quefta diuina feparatio:^ •
ne dell'anima dal corpo è fopra tutte le altre, che interuehire ne poffano
migliori, Et da ca:^ gioni ottime nata,d: non folo è gioueuole à chi in
tuttolapo(riede,ma à chi qualche poco ne participa. Et coiui,che di quefto
iurore fanto.tt |>uotio è ripiano, con ciò fia clic egli afmrla bel:?
ilcxa.quefìo ueramente fi può dire arhantc. Per ciò che, fi come ho difbpra
detto.ogni anis ma huroana già ha iieduto quelle cofe , che ue^ ramente fono :
per ciò che fe non le haueffe uc jàiite, non farebbe difcefa in quefto animale
hu mano: & non, è f^c^le i tutte le anime ricor:i darfidclfecòfedilàfù.per
uedere quelle/cbc qui fono. Et prima lo poflono mal fare quelle; che per breue
fpatto di tempo fù in ciclo gli fu conceffo uederic : dipoi non è conccfTo
anchora ^ quelle, che nel mondo uenendofono fiate ina felici, ce Ila nno hauto
mala fortuna: di modo che corrotte da alcuni coftumi cattiui.che qui
pjgliano/ifccrdano in tutto di molte cofe (st^ gre,©: buone, nelle quali in
cielo erano gii ammacftrate. Perii che poche anime fi ritruor? uano,che
àbaflan2a delle cofe celefti fi ricors dino. Ma quelle poche quando tal'hora
qua giù- fcorgono qualche iomiglianza di quelle cofe^^ che in cielo gii
urdderò, fi ftupifcono, ftquafi cfcono di fe. Et non di meno non fanno don^ de
quefto lor mouimcnto proceda ; per ciò che non conofcono in tutto la uerità.ne
a baftanza fe ne ricordano. Ne pct/amonoi fcorgere,menp tKchcqyagiàftiaDoioin
quelle fi^ure,« imaa gini,fplrndòrucro alcuno di giuflitia, di tfmp< ranza ,
fiC delle altre uirtù ,che gl'animi npftji J)<^ norano.flC amano. Ma per
certi inftruirenti,fiC fxìczi imperfetti ofcuri à pena pochiflimi huomini
accoftandofi pure alle imagi ni> di iq^cl le uirtùcelefti,che nel mondo fi
ritruQuano, tifguardanoin qaelle imagini quella forte, di uirtù,che fimile
imagine gli. rapprefej?ta. ali' hora ci era lecitc,<X conceffo uedere una
chi^ riflima^flC pmiflìma belleza, quando con quel beato choro fegiutando noi
quella felice uìGq:» ne, 6: quella fanti/Tjma contemplatione. della quale
dianzi fi ragionai, noi infiemc conGio:^ ut ,& ìt aìttc 2nitrìc inficmecon
qualche altro iddio , fecodo che era ordinato, pQtcmo con teni:^ piare la
diuiniti : flC quando à quelli miftcri,fl£ cofc fagre dauamo opera, li quali
potiamo ragio iicuolmentc dire efTer più di tutti gli altri miftc ri fagri,flC
beati, alli quali all'hora noi poteuamq attendere, quando anchora immaculati.
flC nò of fefi da mille mali efauamo,che poi habbianio in quefto modo
prouati.Onde confiderando all'ho ra quelli celeftì fpcttacoli cafti
,femplici,durabi li^tt beafi^poteuamo beniflìmoà tal fanto efcr^l tic fcruirc
ftado noiin una luce pura pun^ttfen M machia alcuaa,Iib^ri,&fciolti da
c^uedo^chcWtor chiamiamo <;orpo,il qiul crbifogna ì torno portarci noftro
mal grado, efTendo à quello le:5 gati,6f in quello rinchmfi à guifa d'oftnchej
ce quefte cofc non fi fanno, feno per uia di mc^: nicria,per che noi ci ueniamo
à ricordare delle cofe padatecdallaqual ricordaza hora io fon fpin to : ce
efortato perii defiderio) che ho di quelle xofe.che già ho altre uolteuedute,
ti ho fàtto queflo ragionamento, Hora la belleza( come ti ho detto ) quando già
erano le anime in cielo,^ Infieme con loro caminando rifplcndeua,fiC di poi,
chequi fumouenuti.rhahbiamo riconos fciuta, per ciò che ella chiariffimamente
rifplen:? de,& fi moftraà quel fenfo dellj noftri,che più •di tutii gli
altri ha in noi forza, flC quefto é il feri fo del uedere : per ciò che quello
é il più acuto di tutti gl'altri noftri fenfi^che permezo del tòVpo fon
cagionati, col qual corpo, flC con li quali fenfi non fi può cognofcere.nc
uedcria fapientia: per ciò che ella farebbe nafcere in noi ìun'ardentiffimp
amore di po(rcderla,fe un qual chcfimulachro,òimagine di ki dauanti à gli occhi
manjfefìamcnte ci fi pofgefTe: fiC il medefi mò potiamo dire di tutte l'altre
cofe,che fono degne de/Tere amate. Non dimenolabellezsi fok ha jpiu dellaltre
haute quella preminentfa^^ che ella più ;d- ogni altra ci fi fa uederc,&
piu che ogni altra cofa ad amarla ci muoue. Et però colui, che dianzi non
atteie à quelli fagri miftc;? ri, ch'io ti difli,anzi più tofto e, dando qua
gm^ corrotto da quefte cofe bafle^non cofi preftofi inuoue,fiC leua ranimo all'
amor di quella bels: Ieza,anchor che qui uegga una certa fc^iglian za di
quella, che da quella eterna il^ nome pi:^ ghando.pur belleza fi chiama. £t per
quello nel uederla non l'ha in ueneratione,flC non l'ha nora,maà guifa d' una
beftia.dato folamente al piacere, uorrebbe pure à quella belleza acco:5 ftarfi,
flC generare, & produrre figliuoli : fiC cofi importunamente afTaltandola,
non teme punto fargli difpiacere.ne.fi ucrgogna dandofi in prc:? dai quel fuo
difordinato appetito, pafTar gli or^s dini della natura , Ma colui , che alli
detti mifte;^ ri poco fa diede opera, fiC che già in ciclo con^ tempio, molte
cofe degne, flC (ante, quando egli uede un uolto ben fatto,ft di belleza diuina
ot^ nato, il quale perfettamente quella diuina, & uc ra belleza
rapprefenta,ò uero quando contems? pia nò pure il uolto, ma qualche altra parte
ben fatta del corpo, primieramente fi empie dihorrs rore,fiC tofto teme di lui,
come fe fufleunacofa (ckfte già dalui pa altri tempi u^duta: quindi più
minutamente rifguarclandolò come Iddio lifaonora.flC fé egli non temefTc di
edere accuiaj«; to per matto, ti dico che egli non altrimenti aUj l amato fuo
facrifìcarebbe^chc farebbe à una fta^r tua di iddio. Et mentre che egli pure il
contem pla/ifentequcU'hprrore. del quale era pieno, in fudore,fl( in ardore
conuertire, dal quale in brcuc tempo tutto fi truoua occupato. Per ciqr che air
hora,che egli per gli occhi beue quclU bcllcia Cubito tutto dentro fi riicalda
: dal qual caldo la natura delle penne della lua anima é co me matfiata,a dipoi
che egli è bene infuocai^ to,fi intcncnkono quelle parti delle ale,clic
pullular doueuano.ac che dalla dureza riftrctte, metano alle penne il poter
gernpogliare. Qjiianp do poi per gli occhi e ben penetrato il nutrìs; nicnto di
queftc alenali' hora il germoghar delle penne, che prima comincia dalla radice
i ingrof (àfC,ìmpetuo{amente per tutta 1 anima moftrarfi (i sterza per ciò che
Tcinima era già tutta dalle pcnne copcita.fif da quelle io alto foftenuta}
tak^^ in quello tempo ci anima tutta in grao dèiiìmo leiuore^tt uonebbe pure
inaizarii : flC non aitranrti che làccino ifanciuUt. quali allW u che pruni
mcttoiìo i depti^t^no da on certo iociOiC iMfitfi, aiiiciué dà un dolore delie
gicQ gfc moleftatì.cofi l anima iicl meffere le penne tutta fi commuoucflffi
riempie in un tempo dj piacere,» di moleftia. Per il che mentre che eia la uede
un giouane bello, beucndo per gli ocs chi quel piacere, «quel defiderio.chc da
lu|'t uiene,airhora inaflìata.come ho detto, fi rifcalr da,flC all'hora nó fi
duole. ma fi rallegra cifra mo do. Ma quando poi egli s allontana.flC che
quefcl li meati fi rifeccano.per li quali l'ala uoleua ufcir fuon.allliora
andi.fif riftretti.uiefano il gcrmoa gliare delleale : di modo che quefta ala
infieme2i con quello amorofo defiderio, parendogli elTcr dentro rinchiufa,
uolendo pur' "faltar fuori dai (e flcfTa, richiude quei meati.donde ufcìr
po* trcbbe.fif fa che di nuouo ne nafce ali anirra nó poco dolore. Et pe^quéfto
è tutta l'anima da ogni banda oii'efa,fiC grandemente dimoiata,» mal trattata
Ma ricordandofi poi di nuouo del? la ueduta belleza,in quello fi diletta.» di
quel Io folo fi rallegra. Et cofi da ambe due queftc paffioni infiemc
mefcolate.ciò è da quello sfor* zamento.ec impeto di rimettere le ale. &
dalU maraiiiglia della piacciuta belleza è in un fems po moleftata.Onde piena
di anfietà,<urio(à d/» licnfa flCè daqucftofuror in tal modo condotta, che
ne la notfc può dormire, ne il giorno in lue go alcuno fermarfi, ma quinci, 6f
quindi fi ags gira,fiC fi fbatte,mofra pure dal defidcrio di riue dcre quella
bcUeza, la quale di nuououedcn^ tìo,& beuendoquel defiderioamorofo per gli
occhi, CQmc ti ho detto, all' hora di nuouo apre, & ageuola quelle parti
delle fue penne, che prtp ma erano infieme riftrette.fic chiù fé : fiC cefi àh
poiché ella ha cominciato à rifpirare,fiCriha2: uerfi,à poco à poco fi hbera da
quelli ftimoli'i ft da quelli dolori, dalli quali prùr^a era offef^é Tale che
da quefto foaui/Tjmo piacere 6nto è in quei tempo uinta,che mai per fe da
quelli allet^: tamenti non fi partirebbe, ne altra perfona più appreza,chc
l'amato, ma fi fcorda del padre, CC della madre, de i fratelli, fif di tutti
gli amici ' fuoirttfe tal' bora (come interuiene ) manda in quefto amoremale.ft
confuma il fuo,non fe ne cura punto. Oltra di quefto fpreza tutte le
'.amicitie,flC dignità, che haueua fuo padre, delle quali gli fi farebbe tra
gli altri gloriato,^ fole fi contenta di feruire^fiC diefler foggietto àogni
''«olontà dell' amato, pur cbe egli pofTa efferaps: prefTo al fuo fuoco • Per
ciò che non folo honoi^ ra,ficha in ueneratione quefto b^llo,chc tgli ama^ma
anchora Io truoua ottimo medico d' gni fiu grauifTima paflionc. Quefto afFetto
adun qac,2(quefl:o mouimento,b giouane gentile, gìihuomini l'hanno chiamafc
ef^SiDC cioè amore. Et fe io ti dicelTe in che modo quefto amore è chiamato fu
in cielo dalli dei, certamen te,che per cfTer tu giouane, harefli ragione di
ridere. Et che fi^il uero, certi imitatori d' Hos: fnero compofero già due
iierfi fopra quefto amo re.cauati ( come penfo ) dalli fecreti.flC mifteri
diuini,delliquali unoèin uenti affai goffo,flC poco elega n te, flC dicono
cofi, Chiamano amor uolatore i mortali. Li dei alato, per che à forza uola. , ^
A quefti uerfi in ^arte fi può credere, in parte non : ma fia come (ì uoglia,un
tratto quefta^ che io di fopra ho detta, è la aera cagione damo rc,fiC lo
affetto, flC la paffione de gli amanti ; Ci però tutti quelli, che ameranno, h
quali già fe^ guitarono Gioue,po(fono più fauiaméte,fiC più conftanfemente
portare il pefodi quello alato, che io ti ho detto. Ma coloro, che già
honoraro^ no Marte, Ce fu in cielo infieme con lui andoro^ no intorno, poi che
dall' amore allacciati fi truo^ uano,fe mai penfano di riceuere dall' amato in^
giuria alcuna, facilmente corrono à far dei ma^ lc,fi£ à uccidere ; cefi
furiofamente ò fe ftefli, è gTi amati loro priuano uifa/SimìImfnfc eia fcuno
honoraquel roedefimo iddio, col quale già andò in fchicra: flC quello cerca
fcmprc quan to più può, in Ulta fua di imitare, fin che egli non fi lafda da i
uifii corrompere. & in quefto modo mena i giorni della prima fua uita,t3C
cofi fafto a gli amati fuoi^flC à gli altri Tempre fi mos: ftra , Et però
cfaicu nò, fecondo i coltumi fuci.fi elegge à amare uno, che à lui paia bello .
Qujns: di,comc fé quello fufTe il fuo iddio, fe ne labri^ ca una imagine.fiC
quellaorna & fa bella in quel modp,che fe à quclla,flC non ad altro idolo
ha:? uedeà dare honcri,flCà facrificare» Onde co:5 loro.che di GiòUe furono
feguaci ,flf che quello honorarono, cercano d'amare uno . che Simiù mente
habbia T animo giouiale : fiC per quefto / confiderano , prima che l'amino ,
molto bc5: nc,fe quefto tale è atto per naturatila FìIoì: fofia, òueramente al
regnare , alle quali cofe Gioue inclina. Et poi che conofcmto(o,fiC ri:^
truouatolo tale, lo amano, fi sforzano con ogni ftudiodi farlo diuentare fimile
al fuo iddio. Et fe forfè eglino non fapeffero per loro quel, che à gli altri
uogliono inregnare,airhora ol:? tra modo fi sforzano, flC cercano di imparar
fem:5 pre qualche co(à per qualunque uia gli è con:s cef?o : flf coli infiemtf
con gli amati à queftrf coli honcfta.flclodeuole opera fi mettono, (alt che
diligentemente ricercando, fif in fc fteffi inue^ ftjgando la natura di quello
iddiojl quale ad honorarc fono inclinati tanto fanno. che al fu: re pur uengono
a capo di quefto loro honc;^ ftodcfiderio. Etnon'c ciòmarauiglia,per ciò che
eglino fono dall' angore sforzati à dirizarc la mente, ftconfiderare con
intentione gran^ dilTjnia à quel fuo iddio : di modo che pur al fine
ricordandofene, fono fubito di undiuino fpiiito ripieni : il quale fpirito fa,
che eglino pt^ .glino coftumi, fif ftudi tali, che in brcuc tem^s pofi fanno
participi della cognitione di Dio, tanto però, quanto à un'huomo è lecito. Et
per che di tutte quefte cofe fanno che ne è cas: gione l'amato, ogni giorno più
ardentemente nel fuo amore fi accendono. Et fe cclloro th ceuono quefta
diuinità da Giouc ( come anchoss ra le Sacerdoti di Baccho,cheda lui di furor
fono ripiene ) infondendola tutta ncir animo dell'amante, in breuefpatio di
tempo, quanto poffono.à Gioue lor proprio iddio, fimilifTimo Io rendono. Tutti
quelli poi, che già in cielo feguitarono Giunone, cercano per amato loro un
giouane d'animo regio: ilqual poi che han^ ìfìo frbuato.dfucntano Cmili à
*q!iclli\che di fos prati ho detto.fiC uerfo di quello operano in quel mcdefimo
modo» Oltra di quefto, quelli, che honorano Apollo, ò qualunque altro iddio,
ciafcuno il fuo proprio iddio, imitando, cercano ' tutti un giouanc.che per
natura habbi il medcsi fimoanimq^chc loro : il quale poi che hanno trouato,
prima il lor proprio iddio imitando, poi alli giouani pcrfuadendo,che li
medehmo faccino,flC moderandogli in ogni loro cperatio:? ne, fecondo il lor fine,
quanto le forze loro com portano, di condurlo fi sforzano alla imitatione del
proprio loro iddio, fiC alle loro fimili operai troni «Non portano coftoro alli
fuoi giouani ìnis uidia,òmaleuolentia alcuna, ma con ogniftu^ dio fi sforzano
di conformarli alla loro perfetta Ulta, ùmilmente a quella di quello iddio^ che
ambe due naturalmente honorano . La cura ' adunque, & il fine di quelli,
che ueramente fo5 no amanti ( pur che eglino fi conducano à poÉs federe
quel,che io ti ho detto, che defidcrano ) fenza dubio alcuno altra non è, che
qucftachc io ti ho defcritta . Et è quefto fine per cagion del Tamtete per amor
furiofo in ultimo all'amato lodeuole, 2C feliciflìmo.fe quefto amato farifi^
inamente prefo d'amore, £t per che tu fappu irCome un amafo fi conofce dallamor
uinto.te Io ;:dirò. In quefto inodo adunque qualunque ama ^(ofarà d'amor
prelo,fi conolceri. Nel prii ci pio di quefta noftr^. fintione diuidemmo ogni
anima in tre parti, flfdimoftrammo li caualli di ;due lorti.ò: cofi
ppncmo^fpiDjC due parti dell'ai fili ma, li Rettore fu poi la terza parte .
Quefte me ;defime cofe ci fa di bifogno cònfiderare al pre:? rfente,Già tu fai,
che di quelli caualli uno ne è buono, flc uno trjrto; ma qual.uirtù habbia quel
ivjibuon cauallo,fi( qual fia la malignità del trifto non Thabbiamo ar)chor
detto^flf però bora deb biamo dirlo. Il caual buono è di perfonapiu ^
j.grande,(Sf più ben formato, ben compofto,flCà »^artei parte tutto ben fatto,
con la tefta alta, le narici affai bene aperte, come quelle dell' Aqui^ 'la, di
color bianchifTimo.coJi gli occhi negri, . defiderofo folamente di honore, fiC
ripieno di temperantia,fiC di uergcgna, & amiciffimo del { aero; non ha
bifogno di ftimulc^òdifprone al:» ccuno^ma folamente fi regge, fl£ guida con l'
efor .Catione, & con la ragione. L'altro poi è torto, uario,CC malifTimo
fatto, di una oftinata "oglia, }{b col collo bado, ha il modaccio
fpàanato,^^ fchiaciato di color fuko,cò gl'occhi brutti,flC di color fanguigno
macchiatile garofo^bcftiale, con le orecchie pelofe OC forde^flf à pena
ubedi> fcc alle battiture, fiCalli ftimoli .Oliando adun^ quc il Rettore
uede un uolfo degno defTer ama to.fiC infiamma tutta I anima del piacere, che
ne fente,è fubito da una certa allegreza commofc fo, flC da certi ftimoli di
defiderio. all'hora quel cauallo, che delìi due è al rettore ubedienfe,co me è
fuo coftume, dalla uergogna raffrenato da fe fte/To indietro fi ritin per non
andar' ali amac (oàd doflo. Ma l'altro non fi può far reftare ne con gli
ftimoli.ne con le battiture, anzi auanti fi fcaglia,ft per forza il cauailo,che
è feco con^s giunto, ac il rettore infiemc rcompigIia,flCà/cit mal grado li
tira à uoler fentire il piacere, che da Venere fi caua . Ma quelli due nel
principio no l'ubidifcono,fdegnati che dal rio cauallo à cofc indegne &
ingiufte fieno à forza tratti.finalmefc lìoncefTando quello importuno diùxcil
peg^: g/o, che j può, sforzati purfilafciano portare, flC cofi gli cedono,
& Io contentano di fare quello^ che à lui piace; (ale che in qucfto modo fi
ucn^i gono ad accodare al piaciuto bello, flC uaghegs .giano tutti infiemc il
charo afpetto di quella, Ilqualpoiche ha bene il Rettorconfiderato, a poco à
poco della uera natura di quella bclleza Ti uien ricordando^& cofi un'
altra uolta^come già in del fece, col pènderò riiiede.mà u^clc quella nera
dalla temper^ntia accompagnata, fiC ftabilita nel fermo fondamenfo della
caftjia : però parendogli pur iiedcre quella uera,& diui na t'elfeza,
comincia di lei riucrentcmente à tc^r mere ; flc dairhonoiT.che gli porta
uintojn tcx^ ra hufnilmente fi lalcia andare.-fiC facèdo qucfto, c sforzato di
tal forfè tirare le briglie delli due ca ual!(,che bifogna che k forra dieno
dellegropsc pe in ferrala uno di quelli per fe flelfc,ptf ciò che non fa ali'
incontro sforzo alcuno, ft l' altro, che è tiif(o,fiC beftiale,C! na al tatto
contrafua fcogliartì ariojifanandod poi da quella belleza^ iìV dì quelli per la
uergogna,d marauiglia grafi che hahauta,tuttaranifnadi fudor lafcial^a gnatafiC
laltro libero da quel' dolore, di che il tia rar del freno,5C il cafcar in
terra Thaiiea ripieno,i fatica può tr^it* il fiato.-ma poi eli e tn fe r
itornaK)', tutto da fdtgno comoffo il Rettore, & il cauallo feco congiunto
riprede, che per paura, fiC da po^ cagine di là fi fieno pattiti, doue egli
tirati gl'ha ue*i.Quindi non uolcdo però eglino ritornargli, di nuouo
sforzadcglf ,pur al fine à fatica gli con cede, che con preghi da lui
impetrino, che per fino all'altro giorno fi indugi à ntornare!il quale ordinato
tempo'uentndo, fingono di non (e nt ricordare ;.ma egli con tutto cicgh el
rammcna ta,ftdi nuouo sforzandoli, 2f gridandoli, flf df nuouo à forza feco
tiradoli , pur li conduce à uo Icr dire all'amato le medefime parole, che hieri
gli differo. Ma dipoi che più appre/Tati fi fono, egli torcendofi.flCabbafTandofi
(tendendo la co da,ftringeil freno, flCcofi furiofamcntc feco li tira. Ma il
Rettore. che l'altra uolta affai mags giormentehaueua lemedefimc forze
fofFerto. pur in altra parìe uoltandofi, molto più forte, . che dianzi, le
briglie ritirala: cofi sforza la dura bocca del triftocaiiallo, flC bagnandoli
in que^s fto modo la brutta linguacce le mafcelle di fan^i gue,lo butta al fuo
difpetto di nuouo à ferra, fiC còfi del fuo errore gli fa patir le pene, il che
poi the più uolte hail trifto cauallo fofFerto,lafcia pur al fine la fua
pazia,fif cofi horamai diuenu:^ to piaceuoIe,ubidifce alla prouidentia del Ret^
tore.flCinfiemecon lui, quando l'amato bello rifguarda, tutto per la paura
trema : di modo che affai fpeffoauuienc, che egli feguiti le pe:^ date dell'amante
con reuerentia, flC honorc.flC quelle dell'amato con timore . L amato aduns que
connfcendo efTer dall'amante fuo, come fe à iddio fufTc uguale, ubbedito,
flCofreruatò,fl£ ucdendo che egli no finge, ma è à ciò fare dalla inore
sfor2ato(ac maffime che ogni perfona ho^ fiorata, per natura pare che fia amica
di colui,' che r honora ) al fine fi diTpone hauer la mcdc^ fima uoiontà,che
l'amante. Et ben che pnipai tt dalli amici fuoi,CC da quelli, che infieme feco
ftudiauano,flC da gli altri, forfè per dargli biafis ino,fufli flato ingannato,
elTendcgli da quei tali detto efTercofa brutta, che un giouane appreffo al fuo
amante fia ueduto, fl£ per quefto forfè habbia già l'amante da fe fcacciato,non
di me^ no air ultimo per fpatio di tempo &' la età, fiC r ordine debito
delia natura del fuo amante lo rendono amico : per ciò che non fi trouò mai,
che un trifto non fufTe amico d' un trifto,flC un buono d' un buono. Et però
poi che un gioua-* ne comincia à praticare col fuo amante, & afcoU ta i
fuoi ragionamenti, airhora facendo lamanar te ogni giorno più il fuo amore
conofcere,sfor:j za ramato à marauigliarfenc nel confiderare: che fe la
beneuolentia de i parenti, flC di tutti gli altri amici à paragon fi metterà di
quella di un' amante ripieno di furore, a di fpirito diui:? no, farà per certo
di pochifTimo,© di nefTuno momento. Et fe quello huomo di più età, che (ara
amante, feguiterà in queftaguifa per quaU che tempora: fempre « nelle
fchuole,ft in fijs miìi altri luoghi apprefTo all' amato cercherà ri^ frcnaifi,alI*hora
il fonte di quel liquore f quale già G ione, quando dall'amor di Ganimede fu
prefo, dicono che chiamò inf]ufroarDororo)qua le nell amante dall'amato belìo.
più abbondanti temente, che nell'amafo è infufo, parte nelTarJ mante fi uùz^Ct
parte di fuor traboccndo fi fpar ge.flC cofi in quel modo,che fapiamo fare
laerc. ^ flC quella ucce,ché chiamiamo Eccho,qua!e da qualche corpo
c)heue,òfòIfdo percoda/tn quel luogo, donde prjma fi partì, ritorna: cofi
quello influffo amcrcfo ritornando per uia de gli rechi i in quel bello. donde
già fi lcuò,p€r li quah egli hacoftume di penetrare alTanima noftra,di tali)
forte inaffia,& bagna i meati delle penne della anima delTamafo/che
facilmente po/Tono.fiC co minciano à germcgliare : flc cofi T amante lanist model
fuo amato ikmpie d'un corntpondentc ^ amore. Et di qui uiene, che egli ama, ma
non fa certo quel,che egli ami, ne conofce quefta fua paflicne.ne la può, ò (a
dire. Ma ;ion altrimenti che fe perlagiiaLdafLU-i d'uno, che hauc/Tegli cechi
mal fàni, fi fei] ti ffe hmiimcnte gli occhi fuoiguafti, cofi non fa .dire ia
cagione di quella Uia infirmiti, ne fi accorge, che egli uede.a ua4 gbeggia fe
ftcfTo nell'amante. come in uno fpec «hia*Oi:ide cientre.che gli ci amante
prcfente^ fcnfc anch' egli mancare il dolore : fic quan dog, poi r ha lontano,
in quel modo, che egli é defi^ dèrato, altrui defidera: flC cofi in fe haiiendo
unt ìmaginfe ucra d' un cortifpon dente amore , non- più amore, ma amicitia la
chiama, flc cofi penfa^ chefia* Defidera adunque quafi quanto Ta^ mante ( hen
che alquanto più moderatamente) uederlo, goder (empre deirefTer con lui,fiC
femprechegli è concelTo» cerca, flcfj sforza di farlo. Per jl che durando
quella pratica tra co:$ ftoro,iI cauallo trifto dell'amante al Rettore ri*
uolto, domanda per tante fue fatiche un breue, flCinhonefto piacere . Il
cauallo all'incontro del giouane non fa quello,che fi habbia à dire, ma tutto
anfio^fiC nell'amor commoflo,ama raman te tanto,quanto egli é amato.à: fi gode
di luti uer uno ritruouato^che tanto lo ami,£C di qucU io con lui fa
fefta,&fi rallegra. Et ftando iti quefta conuerfatione.è paratiiTimo quanto
à lui è poiTibile à ogni defideno dell' amante fcdif^ fare : ma l'altro cauallo
col Rettore inficroe.dalis la uergogna,à: dalla ragione ammaefiirati/ems pre in
fimili cofe gli tono contrani. Per la qual cofa fe coftoro, fecondo un
giuftomodo di uiuerc, fi: fecondo li ftudi della Filofofia^ fi empieranno di
buom^belii^ft Unti pcijiien^^ .meneranno la uita loro feliciffima, flcbeata^con
concordia grandiffima.di loro fteflì padronf;^K in ogni loro affare modefti.
Hauendo quella parte foggiogata, OC uinta, nella quale fta tutto il ultio dell
anima noftra,a: per il contrario quel là altra libera, alla quale la
prudentia,& la bon^ tà fi appartiene . Et cofi al fine di quefla uita ha^s
'^uejidogià le ale racquifl.ate,ueloci al cielo uo^ landò fe n'anderanno, con
ciò fia che habbino uinto un combattimento delli tre, nelli quali fi fono
ri{rouatì,come hai innanzi udito, quale bc ne fi può dire efTere della maniera,
che fon quel li, che olimpici fi domandano ; del quale bene nefTuno più degno
può à gli huomini arrecare l'humana temperantia,ò uero quel diuino furo^
re,chehabbiamo detto. MafeqMeftì tali fegui^; fcranno nell'amor loro una uita
brutta. fiC in tut lo di Filofofia priua,& non di meno piena d am
bitione,gli potrà auuenire,che li intemperati cauallj asfalteranno le poco
auucrtite anime lo^: ro,nnientre che ò à qualche difordinato defideno
fodisfaranno,ò mentre che in qualche altra ma:: -niera licentiolamente
perderanno tempo:& con ^ducendoli pure à delettarfi di quelli piaceri^ nel
liquali gli hanno troaati (ommerfi^lj sforzerano ri fejguitare qudk forte di
follazo^chc è dal uoU go perfettifTimo giudicato. Tale che poi femprc fi
daranno inuol(i,flf occupati nella fantafia fodjsfare à quel trifto defidcrio.
Ma haranno queftafodisfattione,che cercano di rado: per ciò che il penfiero
deir animo non confente tutto à far qucfto, & però quefti fimili amici
anchora f ben che manco amicitia fia la loro che quella, che di fopra ho detto)
fiC mentre che 1 amor loro bolle, fiC poi che egli è eftinto infieme amrche^
uolmente uiuono; per ciò che tengono per cer^j to di hauerfi lun 1 altro data
una ftabiliffima ks de : flC però giudicano eder cpfa ingiufta quel^ la fede rompere,
flc doue già erano amici, inimiss ci diuenìre. Finalmente quando poi alla
natura cedono, fiC dal mondo fi partono, non hauendo anchor mefTe le ale, ma
folo hauendo cominciai to à mettere le penne, non riportano poco pre^t .mio del
loro amorofo furore. P^r, ciò. che la diui^ na legge non uuole,che coloro, che
già haueua no cominciato à caminare per quel uiaggio,chc al ciel può
condurre,difcendino nelle tenebre fottola terra.Ma quelli, che qualche lodeuolc
uita fanno, mentre che infiemc uiuono amore^ uolmente, ac infieme rimettono le
ale.comanda (}ue(U legge.che fieno beati : di queflo ne c folo cagione amoVe.
Tante adunquc^fl: fi fatte utilità giouancmio gentile, dall' amicitia d'u^» fio
amante, come da cofa diuina ti faranno dars t2,Ma la compagnia di coluiche non
ama,con:s / giunta folamente con la temperantia del mons: do,fiC non con la
diuina, come è lamicitia d uno amante , & data in tutto ad atti,ft
operationi mortali, fiC uili, genererà nell'animo del fuo ami co quella
licentia di parlare, che pare al uolgo uirtù:fiC farà fi che dopo la fua morte
preftamens: teanderànoue miliaanni intorno allaterra,fiC fotto aggirandon,&
errando . Quefta nuoua can zona,ò amatiflimo amore, flc contraria in tutto à
quella, che prima detta haueua. quanto più dottamente, fif in quel migliore
modo, che ho U puto,con paroIe,flC figure poetiche, pereforta:/ (ione di Fedro
in tuo honore ho cantato ; per il che perdona à quelle parole,che prima diffu ,
Etqqefte cofc afcoltan do, dette da me con gra^s to ànimo^ benigno, flcfauoreuole
mi ti moftra^ fiC non mi priuare per qualche fdegno dell' arte damare, la quale
già m'hai conceffa, ne manco punto fcemar la uogli.anzi più tofto fammi gra
tia,che per Tauuenire io fia per que(la cofa più apprezato^chc per 1 adictro
ftato non fono.oUra eli qucflo fe io.ò Fedro co/à alcuna foco degna del tue bel
nome habbiamo det(o,accofa di ciò lifia.il quale fu primo autore del noftro
ragios namento.acfa.che egli per lo auueiiire più di fimili cofc non patii : JC
riuoltalo alla Filorofia, ' ^ome il fuo fratello Polemarco.acciò che Fes
dro.chcfommamentc io ama, non habbia da tenere bora una opinione, fic bora un'
altra, co* me fino à hoggi ha fatfo,ma più torto nello ftu dio dell'amore.
& della Filofofia meni / giorni della Ulta fua. F E£>. Ioanchora.fe gh è
il •meglio, prego Iddio, che ciò mi conceda. Ma io ti dico benejl uero. che io
flupifco del ragios Bar, che hai fatto, ucdendo di quanto babbiauanzato quel di
piima : tale che io comincio à dubitare.che il parlare di Xifia non mi babbi à
parer ba(ro,«humile.fe forfè un nuouo ragios mmento facendo, à qucfto tuo lo
uorrà aiToes oiigliare , Et uoglio che tu fappi,che pochiffB mi giorni fono,
che un certo noftro cittadino lo uituperò grandemente, folamente per qucs fto
fuo fcriuere.* in tutu la fua accufationc lo chiamaua, per largii ingiuria.
Scrittore d'oratio* ili. Tale che per qucfto potrebbe forfe,fe egli c punto
defidcrqib di. hpnore.per lo aiuenire •fteocriidircriucrc, $ 0 C R. Fedro que»
Ha tua opinione c degna certamente di rifo, ficfarcftimolto lontano dalla
fàn(afia, & dals la mente di Lifia.fe tu pcnfafli. chc eglifufs fc cofi
timido . Ma forfè che tu credi, che quel fuo accufatore dicefli il nero in
tutte quelleco* fe;checon(raLifiadiflc. FED. Certamente Socrate che à me parue
cofi.ne anchora à te è oc culto, che gl'huomini grandi, flC nobili delia no
(Ira Republica temono, fiC fi guardano di coms porre orationi.flC no
uogliono.chc fieno uedutc fcritte,per non moftrarc à quelli, che uerranno,
dcÀTcr flati fofifti.effcndocofa facile lo fcriuerc ttnaOratione. SOCR. A
quefto modo ò Fedro tu non intendi il prouerbio del gombito dolce, ilqual
prouerbioc tratto dal lungo, fiC trifto gombito del Nilo.flC debbi pen fare,
che ^ , dicendofi dolce, fia facile, come pare che tu cress da, anchora che il
fare Orationi fia di poca fiti* ca.eiTtndo però di grandi (Ti ma. Et ne
folamens te iiò fai quefta cofa.ma anchora penfo che non ti fia noto.che quelli
cittadini. li quali per pruss dcntia fono eccellenti, attendono grandemente à
fcriuerc Orationi.CC à fare che quelli, che uers ranno,le po/Tino uedere.
Etqueftì tali di mo* do amano quelle perfone, che lodano le compo iitioni
loro,che la prima cofa di quelli fanno mentione.meutione.che hano ufanza dir
bene delli fcrifs ti daltrui.douc 11 truouano. F E D. Come dici tu queftoJ'Io
non ti intendo a mio modo •r. SOCR, Non fai tu,chc nel principio d'un libro,
che da qualche huomociuile fia corapo^ fto.fi fa fempre mentione di colui, che
l'ha lo^ dato? FED, Inchcmodof* SOCR* La primacofa,che,dicono,cquefta. La opinione
noftra,òuerolanofl:rafcrittura fu appruouafa dal Senato, ò dal popolo, ò da
ambe duerquindi con una certa ambitiofa ricordatone di loro ftef fi, mettono
per ordine tutte quelle parole, che quei tali in fauor loro hanno dette, fempre
dando colui, à cui è il lor parere piaciuto .Dopo quefto dicono quello, che
intendono di fcriucj^ re; fempre faccendo moftra del lor faperc à cos^ loro,
che li lodano, flC quefto lo fanno affai uol^s te : ce non folo nel principio,
ma anchora dipoi che una lunghiffima Orationc haranno detta. Parti egli quefto
altro, che uno fcriuerc Oratici ni? FED. Ccrtamentcnon. SOGR. Ho rafe queftò
dir loro è approuato,fubitOj d' allc:s greza ripieni, fi partono dal
Senato,comc fareb bc un Poeta dal Teatro, fe la fua Comedia fuffe ^ piaciuta.
Ma fe per forte fuffe riprouato,ò rifiu^s Wo^ac il lor configlio non fuffe
ammeffo, ne ri:s pìlfafo dfgfiò di cffere fcritfò con gTi àlfrf /non foJofi
cnvpfono di triftitìaqufi tali, ma li loro amici anchora. F E D. Sitrattnftano
certa:* in rn te non pòco. SOCR. In queflo mo^ do adunque dimcftrànò,chc eglino
non fanno poco conto di qnefto efercitio di fcriuerc,anzi diapprczirloafTai.
FED. Grandemente cer toloftimano. S OC Dimmi un poco, Se qualche grande
Oratore, ò ucro uu Re/i haueCs feacquiftata t^nta facultà,a: tanta fcientia nel
dire, che come Ligurgo, Solonc.o Dario, pote& fe degnamente nella fna città
efTer tenuto Scritii tore perfettifllmo^flC immortale, non gli parria f/Tcre,
mentre che anchor qua giù uinefTe quafl fimile^ò uguale à Iddio / Et quelli,
che dopo luiuengono,conriderandoIeccfe,che egli ha lafciato Tcritto, non hanno
di lui quel medefi^ mocrcderer' FED. CertifTimo. SOCR. Pcnfi tu adunque, che
alcuno ( fia pur quanto fi lioglia trillo, ft inuidicfo) Uituperi quefto flu
dio dì fcriuerc? E E D. Per quelle core,chc tu hai dette, non par conucniente:
per che eia:» {cuno,pare à me,uituperarcbbc quelle cofe,del le quah egli fi
diletta. SO CR. Etperòque^ fto può efferc à ciafcuno chiaro, che alcuno non c
daelTerc uituperato folamentc per che egli i • fciiua. fcriua. F E D. Per che
adunque f SOCR. Ma quello c bene, come io penfo, brutto, par:^ lare, a fcriuere
cofe brutte, ftcattìuc. T E D. Quefto è ccrtiflimo . S O C R , Qual farà adun
qtie la ragione dj fciiuerc benc,tt male f Non penfi tu Fedro, che ci facci di
bifogno di firoili cofe domandarne Lifia^ò qualunque altri, che ò nero habbia à
qualche tempo fcritto qualche cofa.ò uerohabbiada fcriueie ò qualche fatto
publico d una citta, ò qualche faccéda priuata, quefto lo facci in uerfi, come Pceia,ò
uero in profa come perfona priuata f E E D. Mi doman di fe io penfo,chc facci
di bifogno domandare, & cercar di fapere quefla Cofaf' Dimmi un pocd, nó
fono alcuni, che uiucndo ad altri piaceri non , attcdono,che à quelli di
domandare K di uoler da ciafcuno fapere la ragioe delle cofef Et quefti tali
come faui, nò attendono nella loruitaà quel li piaceri,]^ quali di ncceflltà
hanno prima quaU chedifpiacere,altrimeti il piacere no fi potrebbe godere.il
quale effetto interuiene quafi à tutti li piaceri del corpciflfp quello
ragioneuolmetc fo no chiamati piaceri uili H di poco momcio. Soc. Noi habbiamo
tepo ÓC cfio aliai, & ancora mi par ueder,che quefte cicaie,<:he fopr'il
Capo noftro , .cantano^com'è ufan«Joio:ncl caJdo,att^ndar^o à quefta noftra
difputa . Se adunque elleno ci uedefTcro addormentati, come fpeffo molti altri
fanno, li quali nel mezo giorno non difputan:: do, ma più prefto dormendo, fono
al fonno per poca anuertenza loro da quelle allettati, merita^ mente fi
potrebbono ridere di noi,confideran2: do,fl£uedendo che dal fonno uinti
fuffimo. Ma fe elleno ci uedranno difputare,fiC conofce^: tanno, che noi non
fiamo flati uinti dà loro(co:5 me fono alcuni dalle Serene, per il che non pof
fono pigliar porto ) forfè che uolentieri ci donc fanno quel premio, del quale
per gratia de gli iddii poffono à gli huomini fare dono. F E Chedonoèquefto? A
me non pare hauerlo mai intefo. SOCR. Non fi conuiene,che uno huomoftudiofo,flC
amico delle Mufe, come fci tu, non fappi una fimil cqfa. Si narra che quc^: (le
cicale inanzi che fuffero le mufe, crono huo mini : ma nate che furono le
Mufe,fiC poi che il canto hebbero moftrafo,fi dice che ad alcuni di quelli
tanto quel canto piacque, che per cantare non fi curauano di mangiare, ne di
bere : £C cofi imprudentemente fi lafciarono mancare la uita: delti quali
nacque la fpetie delle cicale, le quali hanno dalle Mufe quefta gratia,che non
han bi fogno di nutrimento alcuno.ma mentre che ui iooà uono, foci lO'lOOf
IfìOt Sì nono, ftmprc cantando fi mantengono fcnza mangiare,flC fenza bere,
Dipoi finiti i lor gior^ ni, (e ne uanno à trouar le U iife per dargli no^
titia,fl: informare quali fieno quegli huoniini^ che qua giù amano più una
Mufa,che un'altra» Per il che dimoftrando. à^.Tcrficore quelli, che ^iu che in
altro, ne i canti, flC nelle fefte femprc fi ritruouano, gliela rendono
propitia, OC fauo^ reuole, A Erato poi moftrano tutti coloro, che ne i càfi
amorofi Vitrouandofi, hanno il fuo ftu:: dio&ìmitato,6Chonorato.Et cofi
fimilraentc fanno con le altre Mufe,flC gli mettono in gratia coloro, che più
che h altri lamano.Rapportano anchoraà Calliope, OC à Vrania,che fippreflogli
ua,la uita.flC i fitti di coh)ro,che nella Filofofia fi efercitano;fiC honorano
la loro fcientia.Lc qua li oltra tutte le altre Mufe*hanno cura della cojs -
gnitione del cielo, ficfi efercitano in ragionai menti cofi diuini, come humani
con uocifoa^ uiflime* Et però per molte cagioni dobbiamo dir qualche cofa,ne in
modo alcuno habbiamo nel mezo dì a dormire . F E D , Habbiamo à dire per certo.
S.O C R . E adunque hormai tempo di dichiarare quello, di che poco fa ordisi
nammo di difputare,ciò è in che modo un'huo inofcriua,ò parli bene, fiC non
bene, £ £ Qocfto c propfo quello, fopra il qnalf ha da eù: fere il noflro
ragionamento. S O C R. Non pcnfi turche fia neceffario^chc colui, che habx^
fcia da dire qualche cofa/e ne uorrà ragionare a pieno, fiC bene,
habbiapiena^flCuera cognitio:: ne^flCintelIigcntia di quella coia, della quale
pirlaf' F ED. Io c Socrate, ho udito dire, che a uno, che debbi diuentare
Oratore, non e nes: ceflario il fapcre quali fieno quelle cofe.che ue^s ramentc
fieno giufte, ma debba folamente quel le conofcerc,che al giudicio del uolgo
parran:: no cofi : ne manco debba fapere quelle cofe^ che ueramente fono buone,
« hcnefte,nia quel Ie,chc compaiono. Perciò che dicono quefti tali, che per uia
di quefte cofe non uere^fi può più facilmente perfuadere.che ccn la uerità, ^.
OCR. Mai òf fdromio,non fi hanno da iprezare li detti de gli huomini faui,anzi
fi deedil/gentemente considerare quel, che fignifichi:? :iio. Et però à me non
pare di iafciar pacare quel le parole,che hai poco fa dette, F E D. Tu parli
bene, S o C R. Confideriamo adunque quefta cola in quefte modo • T ED. Cowtf S
O C R. Cefi, Se io per cafo fi uolefFi perfuasi dcre,che tu fuffiper uinceregli
tuoi inimici. ;quando tu haueffi un buon cauallo,nc alcuno Ai noi f^ipein che
coA Me quefto cauallo,m4'tb fohtfìtnìt tkpm:chc kù ndtì fai gii come uh
tJiaalfo fia fatto, ma che tu penfi ,ch'C egli fià ti*» ànimale domefì/co con
gì Wcxhi gridi. F E Dv Sequeftofu/fe/ceftameinte farebbe cofa da rr* <ìere .
S O C R , N òn ^t^u cfto non bafta . Ma quando io con ogni sforzo nìi
?ngegfìaffi di pet fuaderti ( non f^pendo nt tu^nfc io àltfC ) chè quello
anÌTTidefurti^ un cauàlJo/a per quefto iò liaue^S compóflÀ nna Òrationeìn lode
dell'Afiis no, chiamando quello anrm^lè càuàilo, afferà mando efTere animale
pérfètdfTinìo, utile per ca fa, perle facccnde/tSc prontiiTimo/fiiore aib
battaglia, atto à p citar fome.'fiC à molte altre cofe tommodiffiiT>o> f
ED. CJi^^efto fi /che farebì be fuòrd^* pfopofitóalpònTjble. S |0 C K. Kon è
egli meglio, che un'amico fia ficetó,fit piaceuò!e,5Cche faccia ridere, che
ftrano,ttdi malanimof F '£ O.Cofi par à me. S OG.Qnan do adunque un oratore
ignorate del male,tt deì bene perfuade i una città fimilmenre ignoranti non con
una oratione compofta in lodxr d'uno Afino, penfando che fia un Caudillo, ma
ragion Dando. flC difputado del male,cr€dedo che quel lo fia bcnetflC cofi
tirando à Tua diiiotionc le opf n oni del uolgo, metta in quella citta
tìn'ufanzà dì far male in cambio dì b'efie,che ricolta pcnfi tu che un fimile
oratore facci della fua (cmtiìUi FED. Non troppo buona. SOCR. Non
confeffihoratu,chc noi habbiamo uitupcrato l'arte dell'orare un. poco più fcioccamcnte.chc
non fi conueniuai' Et fc per cafo ella ci haucfle fentifo, flf bora fiuoltafTc
à noi, «ci dicertr* Seteuoiimpazati Socrate, fiC Fedro mici cari^ 10 n5 sforzo
alcuno à orare, che prima non hab bia cognitione del uero : ma fé gli huomini
fa;? ranno à mio modo,airhora mi imparerano quan do la ueriti haranno
cpnofciufa.fiC io ui pofTo af fermare quefto con uerifà ( il che è certamente
gran co(à)che anchor fenza l'aiuto mio, pur che uno fappi render ragione delle
cofe.flC le cono:? fca,harà in fe ogni modo l'arte del perfuadcre 5, Se coftei
dicerte cofi,non harebbe ella ragione-^ F ED. Io te'lconfertb^purche molte
ragion ni, che io ho intefo, faccino teftimonio,che il fa per folamente fia
arte ; per che è mi pare hauer^ udito certe ragioni, che prouano^che l'arte del
dfre fenza il fapere dicendo d'eflèr l'arte, nò dice 11 uero : per cièche altro
non è, che un' ufo fen za arte . Et Lacone difre,che la uera arte del dire
fenza la uerità trouar non fi può, ne mai fi tro^s uerà . Qtjefte ragioni ò
Socrate fanno hor di bi? fogno, flC però adducendole moftrami un po^
coqucl,checoftoro dicano, flCin qual modot^ S O C R , Soccorrlnmi adunque, ft
ucngano -in mio faiiore tutti gli animali generofi.fiC pcrsx iiiadinoà Fedro,
che fc egli non attenderà alla Filofofia^non faperà mai di cofa alcuna à baftan
■ za ragionare, flC Fedro mi rifponda ogniuolta, che io lo domanderò . F E D.
Domandami adunque • S O C Dimmi un poco,la Ret^ torica non diremo noi, che (la
una arte, che per mezo delle parole alletti gli animi de gli huos mini^ Et
queflo lo fa non folamcnte dauanti al li giudici, flC nelk altre publiche
raunate di huo mini.maanchoraquefta medefima arte difpu^ .terà nelli priuati
ragionamenti Mi ciafcunacofa cofi d'importantia,comc non . Per ciò che nien^ te
è più honoreuoie,ò più degno il parlare con arte nelle materie grandi,che fia
nelle piccole* Hai tu mai udito dire quefto.^ F E D . Non io certamente,anzi ho
intefo,che quefta arte fola^ mente (ì efercita nelli giudicii,flC nelle
Orationi al populo,ne ho mai udito, che ella fi di^lenda più in la. S O C R •
Hai tu mai intefo ragion tiare della grande arte del dire, che Neftore,fiC
VlifTe efercitauano, mentre che erano à Troia? Hai intefo quella di Palamede 1*
F E D. Non io,fe gii tu nò uoleffe dire che Gorgia fuffe Nes ilore,£C
Kimilmente che Trafimaco^ Teodoro fttfléio \Wc . $ O C R . forfè che io !o pos»
♦rei dire. Ma Ufciamo andate ccfloro.fiC rifpon» aiini à quefto, ISe i gindicii
gliauuerfani^cb* liàtaftcìoi «gUno r Non cercheranno feinprc dt cònfradire à
tutto quello ^che dice la parfc con;* frariac Puoi tu dire,che .faccino altro;'
F E I>. Quefto ianno.ft non altro. SOCR. Non contendono, & djfputano
fempre cjual fia il giù ftoi,« qua! fu k) iingiiifto f f E D . Cofi è, j^P C R
. Colui.che faprà fare quefta cofa con jirtc,i.ion potrà fare anchora che a
quelli mede» fin^i pai» uni cola ficflahora giufta.fthora in;s giufta,.^ f E
I>. lo potrà fare per certa» / S O C R.. Ijtfuwlmeute egli orerà in pu*»
l>ljco,potrà fàre,cheaHi fuoi cittadini le medes fitBCCQf? parranno Upra
buone, <SC hora triftc;* F E , Cerfaaiente. SOCR. Et quefta
nonèsnarauigliofo.perchc noi habbiamo rn* tefo.ehe.i^aUiBede Eleaf€,eol fuo
artificio del dire era fclito far fi che à chi,!f)..udÀua.pareflero ie noe
defw«.<pfe bora fimili.Sf bofa'diuerfe,ho ta una c.o{a,iibU,ft hor» wp] te-,
bora che ogni cq. fafufreiaiwobile.&hora che i'ufliuerfa fcms: pre fteffe
i,n moto, f E D . l' ho intefo ans ^' io pei certQ. S Q C R , Adunque quefta
jppteftUa, di confradiKiik fiofe d^tte innanzi^ . non folo è porta nélli
giud/di, ft nelle pubfi^' che radunate, ma anchora^come ti ho moflratoj fi
truoua in ogni ragionamenfo,che fi fa: per ciò che dò che fi dice tutto è
un'arte, con la qui le ciafcuno potrà fingere, flc dare ad intendere à ogni
perfona, che tutte le cofe fieno fimih'^ac faperi trouare i nìodi di moftrare
quefta cofa,fl( intenderà come habbia a fare, chiare quefte. fo:*. miglianze. F
E D. In che modouuoi tu,' che fi facci quefto.^ S O C R. In quefto* Dimmi un
poco,rngannanfi gii huomini in quelle cofe, che fono tra loró molto differenti,
ò in quelle. che fono poco? F E D. Inquelle^ che poco fono diffimili , S Ò C R
, Bene ha( rifpofto. Hora fe tua poco i poco pafferaida un fimile all' altro,
più facilmente potrai inganni naregli auditori,che fe in un tratto dfalterai^*
F E D . Chi dubita di queftof' S O C.Adunquc bifogna.che ogniuno,che uorrà
ingannare un* altro, facci prima in modo, che no fia ingannata egli . Et però
farà necefrario,'che conofca beijiJ(fi ino le fomigliaze flf le diffomigllanze
delle cofe* F E D , Quefto è neceffario, S O C R. Potrà adunque uno che fia
ignorate della uerftà di eia fcuna cofa dar giuditio della fimilif udine ò gran
de^ò piccola di quella cofa eh egli non cooofcc/ FED. Qnéftocimpofribile. SOCR.
Et però c cofa chiara, che coloro, che hanno qual^s che opinione fuor del
naturale, ò credono il fal^ fó di qualunche 'cofa, non per altra cagione fo^ no
in quella fantafia, flCin quel falfo parere, che per qualche finiilitudine,che
gif ha ingan^ mti. FED. Cofi interuiene. SOCR. Potrai tu dire adunque che
alcuno, fé farà di quellocheuorriadifputare ignorante, pofTa con con arte,flC
aftutamente à poco à poco rimuoue^ re uno dal uero,fiC fargli credere il falfo
per uia di qualche firnilitudinej'ò crederai, che quefto tale poffa fardi non
cafcarc nell'errore, nel qua^? Ic'cerca gli altri condurre FED. Certo che io
noi crederò mai. SOCR. Et per quefta cagione qùàlutìque perfona farà ignorante
della uerità dolina cofa, & folo dairopinione fi lafirie* rà guidare,
coftui dimoftrerà di hauere un'arte di dire fciocca.flC più da fare altrui
ridere, che buona ad altro, FED. Cefi mi pare certe. S D C R . V noi tu hora
uedere, ft confiderare flC neiroratione di Ljfia,che hai in mano,& nel
feritire il mio ragionamento, douc fi parli artifi^t. ciofamentc,a: doue fénza
arte^" FED . Que^i fto uorrei io più che altra cofa ♦ Per ciò che al
prefcnU noi ragioniamo troppo feccamcnte.no potendo pofendo dimoftrarc ercnopi
chiari di quelle co* fc. che diciamo. SOCR. Si.ma ionogho, che tu fappia.chc la
maggior parte delle Ora* tioni fon dette à cafo.come è manifefto: le quaxs li
ci moftrano chiaramente, che un' huomo.chc appia bene.flc conofca la uerità
delle cofe.men tre che egli con parole fcherza, ec fenza punto
penfarci.ragiona.conduce l'audifore à quello, che uuole. Et io certamente
Fedro, penfo che gliiddìi di quello luogo habbiano hoggi cagio nato in me
quefto effetto di perfuaderti.ft forfè potrei anchor dire.che le cicale
interpreti delle Mufe.le quali fopra di noi cantano,mi habbias no fatto quefta
gratia. per che in foma in me nó è arte alcuna di dire. F E D . Sia come tu
uuoi. pur che tu mi moftri qucl.che mi hai promelfo. SOCR. Leggi adunque il
proemio dell' Os catione di Lifia. FED. «■ IN Q^V E S T O (lato certamente fi
truouano le cofe mierflC quefto.come hai poco fa intefo da me, penfo che mi
babbi à gjouarc affai . Hcra io uoglio che fappia.chc io ftimo,a: giudico, fe
cofa alcuna io ti domanderò.doucrs la da te per quefta cagione impetrare : per
ciò che 10 nó fon prefo del tuo amore. Et che ciò fu iluero,tu fai che gli
amanti, come prima han*; 1)0 la !or libidine faflata/i pentono de i benefis
ci.che t'hanno mai fatti . S O C R . Non legge/ pili . Bifogna bora dire in che
cofa coftm erri.flC quel, che dica fenza artt. Nò ti par cofi:' F E D. Certamente.
SOCR. Dimmi un poco, non è quefto chiaro à ciafcuno.che in molte cofe ne i
ragionamenti noftri tutti crediamo à un modo, fi( in molte altre non habbiamo
il medefimo ere derei? F E D. Ben che mi paia intendere quel, che tu dici, però
io uorrei che lo diceffi più chia ro. SOCR. Quando unofa mentione del fer ro,ò
dell' argento, tutti fubito intendiamo una incdefima cofa. F E D. Certo. SOCR.
Inter uiene egli cofi.quado fentiamo il nome del giù fto.ò del buono, nò crede
all' bora ciafcuno dis uerfamente ? Et non pure non ci accordiamo con
l'opinione de gli altri .ma anchora fiamo in dubio della noflra. F E D. Cofi
ua. S O C R. tt però in molte cofe acconfentiamo tutti à un inedefimo.flC in
molte fiamo di uarie opinioni . 5 E D. Cofi è., S 0 C R. Doue potiamo noi più
facilméte effere ingannati. « in qual d,i que ftc cofe ha la Rettorica più
forza:* F E D . E cofa chiara, che in. quelle. delle quali più dubis(iamo.piu
ha forza l'arte del dire. S O C R , Et per quefto fa di bifognoi colui, che
uuolc ini* . parare. jwirare, R atrquiflare la Retorica, prima di uederc quefte
cofe tutte ordinatamente, & feparare Tuss na dair altra, & gli è
neccflàrio ccnofcere di quaf forte fieno le cofe tatte,intorno alle quali fi
può . ragionare, ò uero della forte delle dubitò pero delle certe:fiC fapere
doue maggiormete il uolgo poffi elTere ingannato,fiC doue nà, J^Jf. U. Ccf
tamente Socrate che colui, che col penfiero ^ja^ piffe quefta cofa,che tu
dici,harel)l>c una bella cognitione. SOCR» Dipoi io penfo, che quc fto tale
debbia fapere la natura diciafcunacofa, acciò che dj quella quado gh' farà
bifognOjpofFa render ragione : fiC uoglioche ingegnofamente intenda di qual
forte, fiC di che genere fia quella cofa, intorno alla quale fi debba ragionare
ò delle dùbie,Q delle certe. F E D. Perche noni S O C R. Diremo noi, che 1
amore fia poftq tra le cofe certe, ò tra le dubiei' F E D.Trale dùbiecertamente
. S O C, Penfi tu ch'egli fi conceda .maliche tu dica di lui quelle cofe, che
poco, fa .hai dettecelo è eh egli fia noceuole all' amato, flC ali amante Et
dipoi ch'egli fia il maggior bene chefitruoui:'' F ED, Tu parli bene. SOC, (Ma
dimmi un poco anchora quefta cofa, per cheÀdirti il uerojo non mene ricordo
troppo bene Ì>er effer ^ato io nel ragionamcto mioi occupato a uinto da quella
diuinifà,clic fu (af. Ho io nel principio della mia difpufa difBnifo^chc cofa
fia amore? F E D. Si hai,flC beniflimo. S O C O quanto tu dimoftri ( dicendo
che io fi bene rho diffinito ) che le Ninfe d' Acheloo.flC Pan figliuolo di
Mercurio, fono più ingegnofi al comporre Orationi, che no fu Lifu,per ciò che
quefti mi hanno fatto dire. Non ti pare egli, che iodica il ueroi' Ma
Lifiaanchora nel principio della fua Oratione ci sforzò ad intendere, che la
more ( come egli uoleua ) era un non fo che po fto fra le cofe dubbie, flC
incerte ; flC cefi accom:^ modando a quefta cofa tutto il feguente fuo ra^
gionamento,fini la fua Oratione • Vuoi tu, che un'altra uolta leggiamo il fuo
principio.'' F ED . Come tu uuoi,ben che quel,che tu cerchi, ih efTo non ci fia
• S O C R . Leggi , acciò che io loda. F ED^ I N Q^V E S T O flato certamente
fi truouano le cofe mie : ft quefto,come hai po:s co fa intefoda me^penfo che
mi babbi à gioua^ re affai . Hora io uoglio, che fappi,che io iiimo, ce
giudico, fe cofa alcuna io ti domanderò, do:s uerla da te per quefta cagione
impetrarerper ciò che io non fon prefo del tuo amore ♦ Et che ciò fu il uero^tu
fai che gì' amanti^come prima haa DO la lor libidine fatiata,fì pentono de i
bcnes: fìci , che ti hanno mai fatti . S O C R • Egli c molto lontano, fecondo
me, da quello, che noi cerchiamo r perciò che egli pare, che fi sforza di
ordinare il fuo ragionamento, non cominciando dal principio, ma dal fine, con
un certo modo à contrari0,ac fotto fopra» Et che fu il ucro,uedi che comincia da
quelle cofe,che l'amante rin^j fàccia al l' amato , dipoi che T ancore è
eftinto , "N 5 tifare egli.che 10 habbia detto il uero^ F E D. Senza dubio
che quello, di che egli nel princirs pio ragiona,è.il fine. SOCR. Che diremo
noi delle altre cofer Non ti pare egli, che tutte le parti di qiiefla Oratione
fieno fparfe confufa:? mente Pcnfi tu che quello, ch^ egli nel fecon;? do luogo
ha detto della fua Oratione, egli V hab bia congiunto con la prima parte,
conofcendo cheneceffariamentegli bifognaffefàrlor Et fi:: milmentc le altre
cofe,che^egIi ha dette, credi tu, che le habbia con ordinc,flC con modo difpo
fte^ Per ciò chea me, che fono dbgp.i cofa igne rante.pare che tutte le
cofe,che da uno fcrittore fono dette, non debbano cfler dette, flC ordinate fenza
cagione . £ t però uedi , fe tu fapefli truo;? uare qualche cagione
nectffaria^per la quale noi potiamo.dirc,che egli fi fia mcflo à ordinare,flC H
ili djTporrc il fuo ragionamento nel moclo,chc hib biamo ucdiifo. FED,
Troppofareblfc ò So crafe,fe io cefi fcttilmente fapeffi dare giudicio
dellifcritti d'altrui* SOCR. Io penfopu:^ rechebjTogneri,che al meno tu
dica,a:con5: fe/Tj quefio^cbe tutta un'Orationc debbia ciictc come Ufi animale,
fiC debbia bauete il fuo corpo, i\ quale non fia fenza capone non gli manchi:^
no li piedi, ma che gli babb/a ciafcuna fua parJe conuemente,a: coirifpondente
al tutto . F ED. Che uuoitu dire per qucfto?' SOCR. Cons: fiderà ti prego, fc
TOratione del tuo amico Ga fatta cofi,c) altrimcnte,truouerai che ella none
punto difterenfe da quello Epigramma Jl^ua^s le alcuni dicono,che fu fatto
(opra il fepolcro diMida Frigio. F E Che Epigramma è ques fto,ftdicheforte/
SOCR, Odilo,egli di^ ccuacofi, Son fu' 1 fepolcro una Vergìn di Mida/ Fin
ch'andran T acque, & fien le piante ucrdi. Qui dando, ammonirò cialcun che
pafTj, Che nel mefto fepolcro Mida giace . tìora 10 penfo, che per te fteffo
beniffimo co nofca, che non importa qua! parte di quello •ponghi prima^flC qual
dopo^ ^F E D . A ques: fto modo ò Socrate^ tu bufimi,fi£ mordi la no^ ftra
Oràtiòìiè S O C R . Lafciamo adunque àhdare.acciòche tu non (i corrucci meco,
ben che in efTa fi potrebberotroirarcmolti efempi, li qaali confidcrati^ci
uerrebbe quefta utilità, che non imitafiTimofinrili modìdi dire. Ma pafe fiamo
alle Orationi di certi altri, le quali certa:^ irierife hanno in fe qualche
ccfa degna d' cfTerc offeruata da coloro, che di quefta arte fono fturs dioG. F
E D. Che cofa è quella, che in que:s fte Orafionifj pnoofTeruarer S D C R.
Queftc' Oratfoni erano tra loro contrarie, per c òchc una irfFernnaua,cbe un
giouane aniato fi douefle ac:? coftare alTamante : <3C un'altra à uno, che
non amafTe. F E D. Beniflimo certamefc. S O C R: Io penraua,chc tu rifpondeflj
con più uerità,flC che tu diceffi non bcniflimo^ma pazamente,flC furiofamenfe
certifTimo/non di meno quel, che 10 uoglio dire flC che io cercaua,che tu
diccffi nò può efTerc alfritnenti^come fi ixìoftrerò. Nò hab biamo noi detto
che lanDore abro non è, che un certo furerei' ÌF E D.Cofl hàbbiam detto. Soc;
Horaio pogo due forti di furore J'una delle qua 11 èda mancamèto humano
cagionata, lai tra prò cede da una diuina alienatone dr menfe^per la quale è
l'huomo rapifoflC leuato d^lla fu a ordina Ila uita. F BD. Cofi è per certo.
Soc. le parti adunque di qucfto furor diuino fon quattro, aU le quali anchora
quattro iddii fono propoftjrpcr dò che noi diciamo, che Apollo fia di quella
inrs fpiratione cagione, che à quelli Sacerdoti uiene, che poi indouinano quel,
che debbe efTere nel tempo auuenire, Dionifio della cognitione di quelli
mifteri,che fono più occulti, flC delle co^ fe, che s appartengono al culto
diuino. Le Mu fc della Poefia, Venere, & Amore dell'amorofo furore affai
migliore di tutti gli altri, £C io non fo in che modo,metre che dianzi uolfi
con imagi^ fìijflC fimilitudini moftrar l'effetto d' amore /orfc può cffcre che
io habbia detto qualche uerità,flC forfè anchora ho trapaffati li termini del
uero. Et perqueflomefcolandocofi quelle cofe,chc hora ho dette, quel
mioragionamento, il quale non fu al tutto da efler biafimato,tu fai, ch'io or
dinai,flC compofi quella mia fabulofa diceria, flC quafi fcherzando,fiC per
giuoco, modeflamentc lodai il tuo, ce mio Signore Amore, protettore de giouani
gentil* & belli, come fei tu , F E D. Qiiefle cofc l'odo molto uolentieri.
S O C Et però bora da quella mia Oratione potremmo cauare,fiCfapereinchemodo la
noftra difputa uenifTe dal biafimo,onde la cominciamo, alle iodi* F E
Etcomeuuoitu fare queflof SÒCR, A mccertamchff pare, che fin qui habbiamo
parlato per burla . Ma fe farà alcuno, che artificiofamente conofca la forza
delle due forti, flc delli due modi di difpufare, nelle quali bora fiamo à cafo
incorfi,coftui certo harà fatto un'opera degna. & bella* F E D . Che forti,
fiC che modi di dire fono qriefl:i,che tu dkii S O C La prima è qucfta. Che
colui, che uuol dirputare,facendofi nella mVnte un'idea di tutte le cofe,che
uuol dire:& hauendo à quel [a folamente l'occhio, metta infieme tutte le
co^ fe,che fono fparfe fif diuife, acciò che uedendole tutte raccolte, dando
poi la uera dìffinitione di ciafcuna.quello facci chiaro,&
manifeftp,intor:3 no al quale fi difputerà : come al prefente hab:* biamo fatto
noi, che habbiamo diffinito che cofa fia amore, flC ò bene, ò male, che
Thabbiamo fat^ to,hai pure hauuto la noftra difputa,per quefta cagione una
chiareza, flC una concordanza in tutte le cofe,che dipoi fi fono dette. F E Le
altre forti di direnò modi, quali iiuoi tu che Heno ò Socrate.'' S O C R . L
altro modo é quc fto. Che come egli ha tutte le cofe raunatein uno, di nuouo parte
per parte, fecondo la natu^ ra loro, le diuida,flC parta, flf non
fpezi,ògua{|ti membro alcuno del fuo ragionamento, come farhora li cuocKi mài
pratichi fogliono farc,rna faccia quel medefimo.che habbiamo fatto noi ne i
ragionamenti pafTati ; nelli quali habbiamo tntefo quella mutati6e,ò
alienatione della mtrte generalmente, ac con parola commane, anchora che fia
buona,& cattiua, Ma fi come in un cot^ po quelle membra, che fono doppie,
fi chiama:? nocol medefimo nome. ma uno é detto dcftro; raltrofiniftro",ccfi
qiicfta forma della aliena:: tione deliamente noftra,la quale è dall'amor
cagionata, è per natura fua in noi una foIa;flC cefi babbiamo detto nel
ragionamento noftro. Et pero quel pripio parlare,che facemmo, diuij dendola
parte finiftra di quella alienatione, ò mouimento della mente, fiC di nuouo poi
pars: fèndola,non fi reftò,fin che egli ritruouò unais mor finiflro.il quale
conofciuto come cofa non conueneuolfe, uìtuperò. L'altro ragionamene: fo/he
dipoi habbiamo fatto, ci con du (Te à co:s nofcere la deftra parte di qucfto
furore, doue un amor ritruouando inquanto al nome fimile al fJrimo, inquanto à
gh effetti diuinojo lodò, & ingrandì con parole, come cagione di gran^s
diffimi noftri beni . F ED. Tu dici il uero. SiÒGR. Io certamente o Fedro fon
molfo. imito di quefle dmifioni, fiC diquefti raccogli:?* tendere quel, che io
ucgl/o più facilmente ;Ò[ meglio ne polfa ragionare . Et fé mai io ueggo
alcuno, che fo penfi^ che egh* fia atto a confide^ ' fare bene prima quella
idea unfueifale,chc io fi ho detto, pei particolarmente la moltrfudinc delle
cofe fecondo la Datura tero di coftai io feguito le. pedate, ftgli uo dietm mn
altrias menti, che fi fuffe diuino : & colcrO;che tal eoa: fa fono atti à
fare, io gli cKiiimo Dialettici, fc io li chiamoo bene,o male. Iddio lo fa lui
. . Ho:* ra dimmi tu di grafia in che modo /fecondo il parer tuo , ò di Lifia
,tu chiamavcfti coftoro . pare à te quefta q^iella'^arte del dire, che ufb
Trafi^ maco,'flC molti altri faui, li quali per il dir lo? ìfo furono fenzadubio
fiut,coiiìeho detto, flC anchora fecero gli altris" Talmente che q^ielli^
che da loro impaiono, uorrehbero o'fterirgli do:? *)i,come fi fuol fare à
grvndifTimi Re • F E t), Certamente che cometudici.qucUi tali huo* mini
fonodiqncllo honore meriteucli,chealli Re darfi uediamo,ma non per qaeflo fon
dotti in quelle cofe, delle quali hoxa tu domandi. Ma à me pare, che qnefto
fìuouo modo di ragiò nare,tt di difputare^che hai truccato, il quale tu chiami
Dialettica Jo chiami cofi r^ioneuob mcntc.manon per qucdo fappiamo anchora;'
ihccofafialaRettorica.ma fi bene la Dialets fica. S O C R . Come dici tu quefto
!" Penfi tu che cofa alcuna bella,ò ben detta pofli efTerc giudicata, che
quefti miei ordini non feguitf, quantunque con arte fi impari i Hora per ciò che
queftofolononbafta.non uoglio che noi lafciamo à dietro quello.che oltra ciò
nella Ret torica faccia di bifogno. F E D . Molte cofe ò Socrate fonoftate
lafciafe fcritte ne i libri, che dell'arte del dire fono flati compofti . S O C
R . Hai detto beniflimo , Pcnfo aduque.che il proc mio fi debbi dire la prima
parte della Oratione^ Non domandi tu quefte fimili cofe gli orna* menti iieri
di quefta arte;' F E D . Senza diibs tio . S O C R . Seguita nel fecondo luogo
la fiarrationé.flC infieme il produrre de i teftimos ni , nel terzo ucngono le
conietture.flC nel quar to gli argomenti, cauati da cofe uerifimili . Et pa re
à mecche un gran compofitor d'Orationi.chc fu da Bizantio,ci mettelTe anchora
le pruoue,CC le ragioni, che faceuanoper colui, chcoraua. F E D ; Tu uuoi dire
Teodoro, che fu fi eccels lente, è ucro;" S O G R . Si certamente . Coftui
anchora trojiò nella accufatione,fiC nella difens fione^i argomèti raddoppiati,
£t per che non faciamo fìoi ricordanza di Euano Parìo? il qùàfc prima à tuffigli
altri frouò le dichiarafioni : flC cifra di quefto fu inucntorc delle
Oratiohi.chc in lode d'altrui fi fanno, fiC non mancano molti che dicano, che
egli per meglio à memoria ntc^ nerlc,tramezaua le fuc Orationi con certe uifua
pcrationi fatte in uerfi. Et di ciò non è da mara^ uigliarfi^per che egli è un
huomo fauio.Lafcia^ mo pur andare Tifia,flC Gorgia, li quali propone gonoil
uerifiHiile al aero, flc con la forza delle Orationi fanno le cofe grandi parer
piccole, flC le piccole grandi,* fimilmcnte che le cofe uec:s chic moftrino
effcr nuoue,& le nuouc uecchie, hanno trouato una breuità di parlare moza,
ft poi per il contrario una infinita lunghcza di parole ♦ Le quali cofe gii
fentendomi raccontare Prodico,fe ne rife,a moftromi.chc egli folo ha:^ ucua trouafo,
quali parole à quella arte (àceffe;* ro di bifogno ; & mi difTe^chc ella
'non haucua di bifogno di molte, ne di pochc^ma fi gouer^ naua in quel mezo. F
E D . Sauiamentc difTcProdico. SO CR. Non fa di bifogno ricor^s dare Hippia,per
che io penfo,chc con lui s'ac* cordi anchora il noftro hoftc Helienfe. F E Non
bifogna per certo ♦ SOCR, Che dirc^ mo noi della confonante concordanza.che ha
rif rollato Toh? il q irate In qu arte introcìufjs le repllcationi delle parole
Je fent?tie,le com paratìoni Je fi m i li fri di ni, & Tufo de i nomi con.
elegantia in quel n5odo,che egli da Lidmnionc l'apprefTe.F D D. Dimmi un poco
Socrate^ li (critti di Protcìgora non erano quafi fimilià Èjuefti.^ S O C R .
f^edro mio, il parlar di Pros rtagora è buono, fif propio,££ nel luo ftilc fi
truo uaJiomoltecofcnurauigliofe.tTia nel niuouerc à pietà, fiC a
milericordia^ccl ricorJfe41i iiecchie za^ò la pouerfà lorafore di Calccdonia fù
cccel:r Jente , & aiicliora ikH' incitare ,fl£ mitigare l' ira ^cra
potentifiìnio^fii non altrimenti placaua una .ifato^che fe egli liane/Te
adoperato li incanti : fa anchcra fopia tutti gl'altri nel difendeifri,fif pur
garfi dalle calumnie dateli, & nel darle ad aU tri ogni uolta,che gli
bilognaua. Ip forno al fi:? ne delloratione pare a mecche tutti s accordino
infieme^ma-ino^ti chiamano quello fìne,Repe;{ titione,5( molti Ju altro modo. F
F D . Voi tU che li fine fu il ridurre nella memoria alli audi:^ toribrtuemente
tutte k cofe^che difopra fono fiate detter S O C R . Q^ieflo uoglio che fia^,
Ci fe tu inforno à ciò fapeifi qualche altra ccfa; dillà,cheiouolentieri ti.
afcolfo» F ED. Io certamente non fo fenoa cofe di poco moipens! to,ac non degne
d'efTer rfcordafe. SO CR.^ le cofe di poca importanza lafciamole andare;' flC
pm predo attendiamo à dichiarare che forza habbia qiiefta arte quando quefta
arte fi pot ficonofccre. F E Grande certamente, fes; condo me,è.la forza della
oratoria apprefTo alla moltitudine, flf al uolgo, S O C R. Grande per certo. Ma
confiderà un poco di gratia,co^ me fo io, come queftì Oratori, uanno con tutu
quefta loroarte.non di meno male in ordine, flC mefchinamente, FED. Dimmi un
poco^ quefta cofacome uaf' S O C R. Stammià udì:: te, Se fuffe unoxhe trouando
il tuo amico Lifi:^ inaco,gli djccfli in quefto modo ( o uero a fuo padre
Acumeno ) Io ui dico, che io fo beniffi;: 8ìo,flC conofco quelle cofe, che
accoftate à nn corposo uero da un corpo adoperate ufate,fa rò chea mio fenno
quel corpo fi rifcalderà^flC raffredderà .oltra di quefto io fo prouocare il uo
mito,fo fare reuacuatione,fo ordinare lepurga^. tioni,& intedo molte altre
cofe funili : per il che io fo profeffione di Medico, flC dico di poter fare
diuetare Medico ciafcuno che uprrà. Se uno gli parlalTi cofi,che penfi tu che
gli rifpondeffero^ •Ped.Che uuoi tu ch'io dica altro, fenó ch'eglino
i'^auefferoàdomadareje anco egli fa à quali per fonc.in che fempi.ft fin quanto
queftc tali co* fe.chc egli dice fapere.fic conofcere/i hauefles ro à operare,
fif ordinare. SOC'R. Seaduns quc colui gli rifpondeflé.che egli di qucfto nó
(àpe/Tj render ragione. ma che faccfTc di bifos gno.che colui che hauelTe
imparato da lui quel le cofe che egli fa/apeffe per fe fteflo.fiC potcfle fare
il rcfto.fiC conofcefle i tempi, £t le perfonc, uerfo di chi.fic quando fi
haucfTerà à mandare à effetto . Se quefto tale gli dicelTe cofi.che penfi
tu.che eglino gli rifpondelTero.'' FED. Cers tamente che altro non potrebbono
dire.fenon che quefto (al'huomo fiifTe fuor di fe, con ciò fia.che hauendo
folamente da qualche libro di Medicina udito una pocp cofa.ft elfendogli nel
leggere uenutoalle mani qualche modo di mes dicare, & non di meno non
intendendo di quel la arte cofa alcuna, penfi per quefto effere diuen tato
Medico . S O C R . Ma che diretti tu.fe fulfe uno,che.andaffe à dite a Sofocle,
flf à Èus ripide.che egli fa i -una piccola cofa fare un lungo parlamento, ec
per il contrario fopra una grande parlar breuemeute.'' Oltra di quefto che ogni
yolta.ehe uuole.fa commouerc gli audis tori à mifericordia ; flC fimilmentc
all'ira.che è fua centuria, fa far nafcere horrore.ec fpauento/ fa minacciarci
fa fare fimili altre còfc, fiCchc fieli' infegnarle egli penia faper moftrare
Tartc, ce la Poefia Tragica • F E D . Io penfo , che co ftoro fimilmcnte fi
riderebbero di lui,uedendo che egli teneffe per fernìO,che la Tragedia folas
niente fi conteneffe nel far quelle cofc^chc egli dice fapere.CC non
peniaffe^chc la uera Trage:? dia uuole tutte quefte cofe bene infieme compo
fte,a ordinate, fic uuole hauere tutte le parti tra loro corrifpondenti.flC
conuenicnti alla materia, CCalfubiettodellacofa* SOCR. Etnopea fo io, che per
quefto eglino lo riprendeffero uiU lanefcamentc, ma farebbero come un Mufico,
che fi abbatteffe in un'huomo,che fi pcnfafTe d'efTer Mufico folo per fapere in
che modo le corde fi faccino fonare, hor bafre,hor alte.Que^ fto Mufico, che fi
deffe in coftui,non gli direb^: be con un mal uolto, O pouero \ te, tu impazi (
iome ogn' altro forfè farebbe ) ma come Mu^i fico.h quali fono tutti
piaceuoli.cofi più amo$ reuolmente lo ammonirebbe. O huomo da be^ ne,colui che
debba effer Mufico, bifogna che fappia quelle cofe, che fo io: £C colui, che fa
deU la Mufica quello^che fai tu/i può dire, che non ne fappia cofa alcuna : per
ciò che tu folamente conofci quelle cofe, che dauanti all'armonìa fof^ no nfceffaric^ma
della armonia ne fefignoranfc; F E D , Beniflimo, S O C R . Similmcnfe potrebbe
Sofocle dire à colui, che gli fi facciTe incontro, come io ti ho detto, ciò è,
che egli più predo fapcfTe quelle cofe,che uanno innanzi alla Tragedia, che
eghconofceffe, che cofa fuflc Tragedia. Et fimilmente Acunieno Medico po trebbe
dire à quello altro, che egli fapcffe queU le cofe,che uanno innanzi alia
Medicina, ma che la Medicina non la intendere • F E Cofièper certo. SOCR, Ma fe
lo clegans: tifljmo Adraflo,flC Pericle udifTero quelle parole fcelte,
ftartificiofe, quelli parlari mozi, quelle fimilitudini,fi£ quelle altre
cofe,chepocol'arac contauamo,fiC narrandole giudicauamo effer da confiderare^
penfiamo noi, che eglino ( come forfè faremo noi ) fi adiraffero con coloro,
che tal cofc infegnando,penfafrero infegnare l'arte ora^ toria,òpure uogliamo
dire, che eglino, come più faui di noi,in quefto modo dicendo ci ris:
prendefferoi'O Socrate, Fedro Je fonoalcu:? tti.che elTendo ignoranti dell'
arte della Diale t^ tica non pofrono,ne fanno diffinireche cofafia
Rcttorica,con coftoronon dobbiamo adirarci, ma più tofto hauergh compaflione,
££ perdos: nargli • Et fono aUuni^chc ftandofi in quella lo ro fgnorantia,
mentre ch'eglino folamenfepof^s^^ggono,fiCfanno gli amniacftramcnfi, che quel
lecofe inlegnano, che uanno innanzi all'arte della Rettorica,fi uantano,fiC
gloriano di hauer troua(a,ec di faper perfettanìente la Rettorica! ce
infegnando folamente quelle cofe che fanno, ^penfano,tt dicono di infegnare
l'arte dell'orai fc perfettamente. Ma poi il modo di teffeie in^j Cerne, 6f
commettere tutte quelle cofe in un cor po,in tal modo, che à chi
rafcoIta,po(rano per:? fuadere, dicono che fa di bifogno,che lo fcho;s lare fe
lo guadagni, fiC per fe ftelTo Timpari^cois me le à ciò non fi facelle di
bifogno il maeftro, F £ D. Tale certamente, fecondo me,èquellaarte, che coftoro
in cambio di Rettorica infegna no,a: fcriuono ; & mi pare, che tu habbia
detto il uero . Ma dirami un poco in che modo,flC per che uia potremmo noi acquiftare
l'arte d'uno Oratore.flCd'unperfuaforeuero S O C Egh è cofa conueniente Fedro,
& forfè neceffa^ ria, che fi come in ogni altra cofa,cori in quefta
un'huomochclauuole acquifl:are,fia in ogni parte perfetto . Per ciò che fe la
natura ti incih nera à effere oratore, fc poi ci aggiugnerai la dot trina,a la
efercitatione,diuenterai un'oratore ec celiente, Ma fe una di quelle due
cofe,prarte,ò la natura tì nianclicri.noii farai perfetto. Hora quanto quefta
arte fia grande, non fi puojecod do me, per quella uia fapere,chc Gorgia.A
Tra:s fimaco feguifarono.ma per altra. F E D . Per qualef' SOCR, Non fenza
cagione Pericle è flato giudicato il più perfetto Oratore,che mai fufTe/FED.
Perches' SOCR. Tutte le arti granxij hanno di bifogno della efercitatione nella
Dialettica, & della contemplatione delle cofe celefti,fiC della cognitione
della natura del le cofe : per ciò che quella alfeza^che nella men te noftra fi
uede,flC quella efficace forza di po^: tereciafcunaimprefa cominciata condurre
à ne, pare che nafchi in noi per Io ftimolo^chc quefte cofe baffe^fiC terrene
ci danno, il che Pe^^ ride congiunfe con la fottiglieza del fuo inge^ gno : per
ciò che fidatofi nella domefticheza,CC amicitia di AnafCigora ritrouafore di
fimili cofe, n de in tutto alla contemplatione,tt cofi com^ prefe^^ imparò la
natura della mente noflra^flC anchora del mancamento di quella, il quale
•Anaffagora copiofamente dichiarò,flC di quiui ca uò tutto quello, che à lui
parue,che fuffe al prp porito,flC utile per l'arte della Rettorica. F E D. Come
andò queftacofa^ SOCR. 'Tu fai, <he il modo di medicafe^flC di orare è quafi
il medefimo» Hiedefimo. FED. ìnchcmodo^ SÒCR. In ambe due ijfticftc arti
fcifogha diuidcrc la na tura, ma in una fi parte la naturi del corpo, nek
l'altra quella della anima. Pur che non fole per uia di efercitio^flC di far
buona, & moderata ui^ fa.maanchora con Tarte habbia un Medico à dare à un
corpo & medicine, ÓCcibi, di forte che Io faccia fano, ac rcbufto
diuentare.Et fimik niente,pur che fi habbia à metteré in una anà ma la
urrtii.flf la perfùafione per ragioni, flC per giufte,fiC legittime
ordinatiorri. F E Cofi ò Socrate fi dee credere che fia . S O C R • Uo^ ra
penfi tn,chefi pòfll conofcere la natura di djuefta stnitn^t
bafteuolmente,fenza là cognitiòij ne di tutto quefto noftro compofto.il quald
chiamiamo huomor F E t). Se fi debba crcs^ dcre a Hippocratc fucceffore di
AfcIepo,non fo lamenfe diremo che non fi pofla conofcere la n* turi! della
a'tìima fenza quella cognittónc,che ta dici,maalnchorache non fi poffa fapcre
queib del corpo. S O G R . Dottamente parlò Hip:^ pocrate. Hòra è bifògria^
eòrifiderare,fe quefta cofa,ché io t'ho detto, fa al propofito della no^
ftradifputa. FED. Faccificome tu uuoi. S O C R. Attendi adunque qitello,che non
iblo Hipjpocrate^i^ia anchora la uera ragione di^cario di qucftainucftfgationc
della na(uta,cli€ IO t'ho detto. Cofi adunque la natura di ciafcurs nacofa fi
ha da confiderare* Principalmentehabbiamo da uederc.fe quella cora,,della quale
noi uorremmo fapere 1 attera: ad altri ifegnarla, èYcn)plice,flC d'una loia
natura, ò pure di molte forti. Dipoi cafo che fia fempUce,fi ha da confi
derare, che natura fia la Tua neiradoperarri,ac nel fare, conìe anchora
nell'effere adcperata,fiC nel patire.Mafequefta cola harà più capi,diui dendoh*
prima tutti ;& raccontandoh ordinata^ mente, in ciafcuno habbiamo à cercare
particors larmcnte quella fua natura, & intorno al farc,flC intorno al
patire. F E D. Cofi pare, che s'hab bia da fare . S O C Et fenza far quefto
fasi fi il procedere di colui , come il caminó d' un cieco . Ma colui, che
qualche cofa tratta con ar^ , non fi harà adafTomigliare à un decorò à un
Tordo, anzi bifognerà dire, che qualunque farà, che con arte parli à un altro,
prima cercherà chia ramente moftrarc la natura di colui, al quale parlerà, flC
quefto altro no è che lanima. F E D,; Senza dubbio* S O C R, Dimmi un poco, •
Vno che parli ccaarte ad un' altro, non fi sforss za egli fopra ogni altra cofa
perfuadergli tutto ^ fluello,che auolei* F E D. Certamente, S O C.'Et péro c
cola chiara.che Trafimaco.Cf qualuns que altro attende à infegnare la
Reftorica, prima donerà con (omnia dilic;entia defcriuere.ìBC di^ chiarare fe
l'anima è per natura Tua una cofi fo^ la^ficfimile tutta afe fl:e(Ta,òuero fe à
fimilitu^ dine del corpo , fia di pia forti . Per ciò che qtian do 10 dico, che
fi debba moftrare la natura della anima, non uogiio intendere altro, che
quefto# F E U . Cofi douerà fare certamente. S O C Patto che farà quello,
bifognerà che egli dimo^: ftri che potentia fia la fua,fiCuerfo che cofc la
polTi ufare,C(à che paffioni ella fia fottopofta^ r E D. Certamente. S O C R.
Dipoi ha:^ ucndo già diftinte,CC diuife tutte le forti degli affetti
dell'animala de li difcorfi, & ragionai menti fuoi,gli farà di bifogno
raccontare tutte le cagioni, per le quali tali affretti in lei nafcono,
accommodando fempre le cagioni a gli affetti fuoi,& infegnando le qualità
dell'anima, Cf che difcorfi fiano I fuoi,fiCper che cagione qucfta ftia
fcmprcin confideratione,flC in nioto,flC quel la mal à contemplatione alcuna ne
fi leui,flC fem pre fi ftia ferma . F E D • Quefta farebbe una cofa
ingegnofiHima.Soc.Et perciò ti dico, che no fi potrìmai dire, che uno fratti, ò
ragioni bene di cofa alcuna, non pur di quefta, di che t'ho ragio mtòjc alfrimcti
procccJèrà.Ma li fcritfbri Ai qut fta arte de i noftri tepidi quali tu anchora
puoi haucre uditi, fono aftuti.flC conofccndo beniffi^: mo quefta natura
deiranima,chc io dico, non di meno ce la afcondono,flC non ce la
uoglionomoftrare. Et io ti dico, che fé eglino non parler ranno^flCnon
fcriueranno.feguitando il modo mio, non dirò maliche con arte, ò bene fcriua^
no. FED Qual modo dici tu SOCR. Io non ti potrei cofi facilmente dire le
parole, che ci uanno,ma in che modo ci bifognaffe feri ucre,fe l'hauefTemo à
fare,te'l dichiareiò in quel miglior modo, che mi farà poffibile. FED* Dillódì
grafia, SOCR. Poi che noi hab:s biamo ueduto^che la fcientia del dire altro non
è, che un tirare à fegP animi, flC un dikttarfi,bi^ fogna che colui, che debba
effere Oratore, cono^j (ca quante parti habbia quefto animo . Hora quc fte fono
affai, flC di molte, flC uarie qualità, fiC for^ ti,per le quali gli huomini
uengono anch' efli diucrfi.ft di molte qualità. Confiderate quefte
cofCiCjpuiamo dire, che fieno tante forti di Oras: ' tioni,fl( di parlari, di
quante forti fono le qua:: • liti delle anime noftre.Etperò quelli animi, che
peir le qualità loro fono à qualche lor parti:? «olar dcfiderio
difpofti/fàcilmente con quellimodi di dire fi perfuadono, che alla natura loro
fieno fimili : doue che fe tu in un modo parler rai,a; 1 anime di chi ti ode,
fia altrimenti difpo:? fto,non lo perfuaderai mai. Et però à colui, che harà
bene quefte cofc confiderato,poi che hariueduto,flf conofciuto la natura d'uno,
flC le ope:: re,fif le attioni comprefe.farà di bifogno potere in un fubito nel
Tuo ragionamento a{regnare,flC dimoftrare ijuefte Tue attieni, flc dimeftrare
di conofcerle: ft fe altrimenti farà, potrà dire di no Tapere altro che quelle
core,che già dalli maeftri gli furono infegnafe. Ma colui, che può con uc rità
dire,flCconofcecon qual forte di parole fi può ciafcuno huomo perruadere,flC
ingegnofa^ mente auuertifce,checolui,che gli è dauanti,c di quello ingegno, flc
di quella natura, della qua le egli ha dimoftrato,flC fapendo fimilmentc, che
un tale huomo ha bifogno di parole tali^ quale egli è ^per uolerlo condurre à
far quelle co fe,alle quali egli è dalla fua natura inchnato^co^ ftui dico, che
cefi farà ammae (Irato, all' hora po trà u erame n te affermare di poffedere qneftaarte
del dire. Quando aggiugneràà quefte cofe,che iotihodettedifopra,ilfapere quando
fi habs bia à tacere, ce quando à parlare, quando fi habsj bia à effer breue
nel direna quando non^Oltca di qucfto quando conofccrà, quando fi haràda -uCire
una Commiferatione, & qciando una uehe mcntia di parlare più afpra, quando
s'habbia da fare una Amplificaticnc,flC qtiando in fomma fa , prà in quefto
fimil modo uiarc tutte le altre par ti della Oratione,che fono dalli maeftn
(late in:5 degnate : flf prima che tal cofa non fappia^non potrà in modo alcuno
e(Ter detto Oratore . flC co^ lui^al quale una di quelle cofe.qual fi fia^mans;
cheràònel dire,ò nello rcriucrè.òhello infe:? gnare,flC non di meno affermerà
parlare con ar:? tc.airiioraquel tale, che tenia eller perfuafo fi partirà da
lui, fi potrà dire uincitore. Ma forfè qualcuno di queftì Sciittoridi Rcttorica
ci po^ trebbe direnò Socrate, & Fedro. peniate uoi che l'arte del dire fi
habbiaa imparare in quefto mo do.flC non in altroi' FED. Socrate à me pare
impoffibiìe/he fi pcffi intendere altiimcnti, quantunque quefta dimodri eflere
una opera, & una fatica gianiffima, SOCR. Tu dici il acro, per ciò che ella
è, come tu dici.dilfi:: Cile. bifogna parlando, & ri£arlando di quefta.
cala più uolte,ceicare,tt confiderare fe forfè po teffjmo ntrouare una uia,che
più facilmente, fl£ in più breue tempo iui ci pofc/Ie menare, acciò che noi
noli ^iidiaaioinconfideratamente er;i rando ' ranJo per ufa lunga, d:
difficile, pofendo noi ca minare per una piana, & breue : per il che fé a
qucfta cofa tu mi pcteffi dare qualche aiuto coiji quelle cofe^che hai ò da
Iifia,ò da altri imparai te,uedi di ricordartene, & dichiaramele» F ED.
Potrei forre, per prnnare k mi riufcifle/arquci; che tu dici , ma non in queflo
tempo. S O C Vuoi adunque,che io ti racconti un ragionai irento^che io gii non
fo quando, udì intorno a queftacofaf FÉD, Digratia, SOCR. E fi dice.che egh
ègiufto iddio quello, che uno ha neir animo, come coloro, che pagano quelli
danari alla fiatuii di Lupo, come (ai, F E D. Cefi uoglio che ^cci , S O C R .
Dicono ^diin qne coftoro,clie non fa di bilbgno tanfo con pa role inalzare (e
cofe,che un dice, ne con lunga Oratione ingrandirle, come fare fi fuole :
perciò che uogliono quefti tali ( come habbiamo det^s to nel pnijcipio del
ncftfo ragionam.ento)chc à uno,che habbia da eHere Oratori, non faccia di
bifogno ccncfcere la uerifà delle ccfe giufte, & buone A dicendo quefto,
intendono cofi/dcl le cofe,come de gli hucmini òper naturalo pcf ufo giudi. Et
allegganoquefla ragione à prora uare che non bifognjfapere,che cofa Ca il gitH
&o: per che ueJii gmcUcu h Oiatori nò fogliono hauer cura dimoftrarc la
uerità,ma pia prefto at fendono à pcrfuaderc l'opinioni Io . C£ pero dico. Ilo,
che è cofa uerifimile à credere che ia perfuac iìone fola fia quella, alla
quale debba indrizar la mete colui, che con arte uorrà faper dire . Et che» fii
il ucro, dicono cofloro che nefTuna cofa fi ere àttì mai che fia (lata fatta,
fé prima non farà mo ftrato effer cofa probabile fiC aerifimile,che pcfTì
<ffercaccaduta. Ma pure uogliono coftoro,chc -jpiu tofto fi habbino à
addurre le cofe uerifimili neiraccufare.che nel difendere: flC cofi afferma-
no, che un' Oratore fa poco conto della uerità, & che folo feguita il
uerifimile^flC uogliono che fe quello loro Oratore feruerà in tutte le fue Ora
tioni quefto ordine di moftrare il uerifimile,fi pofli dire, che egli moftri di
faperc l' arte orato^ ria beniflimo • F £ D . Socrate tu hai raccon^ fato
quelle cofe, che fogliono dire coloro, che fanno profeffione di infegnare la
Rettorica.Et io mi ricordo.che nel ragionamento noftro po^ co fa toccammo un
poco di quella cofa*& quel, che haidetto,foche debba parere cofa troppo
grande à coloro, che in quella arte fi efercitano . Ma io ti fo dire, che tu
hai dato una buona ba^ donata à Tifia. S O C R • Poi che tu mi hai
ticordatoTifia^uorrei che egli mi dice/Te, fe e pcnfa.chcii probabile, flC il
ucrifimilc fia alfro;^ che quello, che pare al uolgo. F ED, Che uuoi fu che
riaaltrof* S O C R. Trono olxra di quefto, fecondo me, Tifia qucfta altra
cofabeU la,& degna di lui, & la fcrifle anchora. Et que:* fto è, che fé
per cafo un'huomo debole, ma au^ dace.che hauc/Te battuto, flC
fpogiiatouD'huoi^ mo forte, flC timido^fafTe menato in giudicio, , uiiole TiTia
che nefTuno dicoftoro habbia à con fefTare il uero,ma uuole che il timido
dica.chc egli non è (lato battuto folamente dall'audace, & 1 audace l'ha à
negare,* moftrare d effer ft^ (0 folo,flC pigliare quefto argomento. Come uo^
leteuoi,chcio,chefon debole, habbia aflalita coftni,che è gagliardo^Ma quel
timido no coraj fefTerà per quefto la fua timidità, ma penfando, ritruouando
qualche falfità,cercherà di accu^ fare Tanuerfario, Et cofi fimilmcntc in molte
altre cofe accafcono fimili cafi, nclli quali( dicc^ ua Tifia ) bifogna haucrc
quella arte. Non ti p;i re egli cofi FedroJ' F E D , Cofi certo. S O O quanto
aftutamente dimoftra TifiadihauejCieritruouata un'arte afcofa,* diffìcile, ò
ueroqua^ lunche altro (ìa (lato, che habbia tenuta quefta Tua opinione, ft
habbia nonfe^comc £i uoglU»! Ma uuoi tu, ch'io dica quefta coiàio od^ JF £ p« '
Chccofaèqucfla.clicfu uuofdìre^ SOCR. 'Io uoglio parlare un pcco con Tifia.O
Tifia ih» «anzi che tu ueniffi con quefta tua atte, noi tes ncuamo per certo,
che quefto probabile ,fiC ucris fimile.nonfipotefii al uolgo per altro iTiodo
moftrarc.checonlafomiglianza della ucrità.fiC pcnfauamo.che quelle fomiglianie
del uero fos lo da colui potefTero cfTer trouate,chc peifettas niente la uerif
a ccnofceffi . Per il che fé tu cidi'raiintorno àqiicfta arte qualche altra
cofa.uo* lentieri ti afcol faremo: ma Te non dirai altro, noi ci ftarenso à
quello, che poco fa habbiamo defcs to.ft^ 9^*^^*^ crederemo. Et quefto è.chc fe
• uno non conofcerà bene gli ingegni delli audfe tori.ft fe quelli l'un da l'ahro
non. diftinguerà, a fe non diuiderà le cofe.di che egli ha da pars lare nelle
fue parti fe quindi di tutte un'idea fola facendo, in quel modo non le
comprendes rà auefto tale nó potri mai acqui{lar*e quella ars te del dire. che
può hauere un'huonrto. Etques > fta cofa non la può imparare fenza,un lungo
uu, dio. Nella qua! cofa un' huomo prudente nófo lamentc fi affaticherà per
poter dùe.a orare in modo, che piaccia a gi'huomini , ma anchora ut cherà di
poter djre.a tare quelle cofc.chc habs jj^j^jano da e(ftr gxate a Dio . Per
cièche io uoglioche tu fappia Tifia/he quelli Iiuomini,chc fors no flati più
faui di noi, bino detto che un'huo mo fauio non debba follmente penfare di (om^
piacere à tutte le bore à quelli, che feco fono fa un niedefimo fcruitio, ma fi
ha da cercar di ubi dire à buoni Signori . Per il che non ti maraui^: gliarc.fe
io ufoquefta lunghcza di parole, per ciò che gh è neceffario che io fia
lungo^efTcndo le cofc,che io tratto, di importanza, il che forfè tu non
credi.Etfappi,che ( come fi fuol dire ) che dalle cofe buone ne nafcono le
buone, cofi anchor dalle uere pofTono uenirne le uerifimili. F E D . Qyefta
cofa pare à me che fia beniffimo detta. SOCR. Egli è certo difficile, ma egl'è
anchora cofa hoaorata,flf degna lo sforzaifi (em predi aitiuare air acquifto di
cofe eccellenti, fl( degnerà patire tutti quelli difagi ,che in tale sforzo ne
interuengcno. F E Tu hai ragio ne. SOCR, Habbiamo horaà baftanza ra^ gionato
della arte j ce del trifto modo del comrs porre Orationi . F E D • A baftanza
per certo* SOCR. Ci refla bora à ragionare intorno alla bclleza dello
fcnuere^flC à dire onde nafca labru teza dell'orare, F E D . Quefto ci refla. S
O C. Sai tu in che modo ò ragionandolo orando lì f offa nelle parole piacere a
Iddio f' F £ D , Non ccrfo^ft tu? Spc. Io ho udito dire no fo che cog. fc, le
quali già furono infegnate dalli noflri anti chiamala uerità di qucfta cofa la
fanno cffi^fif ilo io . Hora fe noi ritrouaffemo modo di piacer nel parlate a
iddio, pefi tu che ci bifognafTe più haucre cura di quello,che gl'hucmini
intorno a ciò fciocamente pcnfanor F E D. Qnefla tua do ìiiada è da ridere. Ma
raccontami un poco quellecofe^chc tu dici hauere udite • S O C lo - ho udito,
che là prefTo al Naucrato di Egitto; fu già un certo iddio de gli antichi. al
quale e dedicato quello uccello, che chiamano Ibin^flC quefto iddio é detto
Theute. Quefto dicono, che fu il primo^che trouòii numerosa la com:?
putatione,flf raccpglimento de i numeri, non folo uogliono che fuffi
ritrouatore di quefta co::^ fa, ma anchora della Geometria, & della Aftrono
miarritrouò anchora- fecondo loro, Tufo de i das di.fiCil mododi fare le forti,
flC finalmente fu inuenfore delle lettere. Era in quel tempo Re di tutto r
Egitto Tamo,2C ftaua in quella granr: di/Tima, CL nobilifTima Città, che
chiamano li Greci Thebe di'Egitto ; flC queftì popoli hannp po(]:o nome à Iddio
Ammone. A quello Reue nendo Theute, gli moflrb le fue arti, flf gli diC^ (e.che
farebbe flato buono, che egli à poco à pp co le diftribuifcc à tuffi li popoli
dì Egitto. Ma egli domandò a Thcute,che utilità ciafcuna di quelle arti à gli
huomini apportai » Il che di^ chiarandoli Thcute,Tamo approuaua quello,) che
gli pareua ben detto : quello poi, che non gli piaceua.lo biafimaua.fiC all'
hora fi dice.che Tamo dichiarò^a moftrò à Theute intorno à eia fcuna arte molte
cofe,flC per una parte^ & per la altra; le quali fe io tutte uolcffi
nan-arti/arei trop po lungo. Ma poi che uennero al ragionar dcU le lettere^
di/Te Theute, Sappi Re.chequeftadifciphnafaràdiuentaregli Egitfii più faui^flC
di maggior memoria: per ciò che ella è ftata tro:j uata per rimedio della
fapientia^ft della memo:^ riamai che egli rifpofe, Aftutiflimo Theute uo:s glio
che (àppia,che fono alcuni^che fono atti k ^ fabricare gli inftrumentijchc per una
arte fono neceflarii,ac buoni ; alcuni altri faranno poi più pronti à giudicare
che dannoso che utile quelli arte debba an:ecare. Matu,chefci padre delle
lettere, forfè perla troppa bcneuoIcntia,che gli porti,haidimofl:ratodi
conofcer poco la forza loro,hauendo affermato che elle cagionano in noi quello
efFetto,del quale niente é uero,anzi fanno il contrario. Per ciò che T ufo
delle lettere facendo che noi poco ci curiamo di tenere à me moria
co(aa!cuna,pàrtoriTcfnciram eli chi fe impara^obliaionc di ciafcuna cofa • Et
qiìefto ne auuicne,pcr db che confidati nelli fcritti dal tri,non uogliamo
cercare di rauuoUarci troppo ncir animo le cofe : per il che tu non puoi dire
d'haucr troiiato il rimedio della memoria, tna più tofto d' un rammentarfi
delle cofe già fapuis (e.Oltra di quefto à me pare, che tu più preda infegni
alli tuoi fcholari una opinioe della Icien ha , che la uerità : per ciò che
hauendo quelli fen za la dottrina del maeftro lette, flC imparate mol:^ te
cofe^parràal uolgo.anchor che fieno ignors ranfi,che non di meno molte cofe
fappiano,oU fra di queflo diueterànno nel praticarli più mos:
lefti,flcfafl;idiofi,ne ciòauuerrà fenza cagione: per ciò che efFi non
pofTederanno la ucra fapien tiajfhapiutofto feranno ripieni d' un"
opiniors ne di hauerla. ¥ ED. O Socrate, tu con po^ ca fatica fingi, che li
Egittii parlano, ft qualunis que altro più ti piace, pur che ti uenga bene^ S O
C Qaefta non è gran cofa, per che an:^ chora quelli, che ftanno nel Tempio di
Giouc Dodoneo, affermano che le prime parole del fufuro indouine, che effi
udirtera,ufcirono d'una Querele : li che à quelli popoli del tempo anti^ co (
per CIÒ che eghno non erano cofi faui.co^ TOC fetc uot del dì d'^hoggi )
baftaua pci fr disfare alla loro fcioccheza udire ie^.pktrf ^i) k Qucrcie.pur
che elle gli diceflero il uero* Ma (i5 peni! che importi qualche cofa chi fia.ò
d'onde lia qucllo,ckc parlj . Et ciò ti auuiene,pcr >ch^ tu non confideri
folo fe qucUo.che parla, dice il uero,ò non, ma uuoi udire parlare i p^erfone à
tuo modo, F E P. Ragion^uolmcntc finii h«ii riprefo • fif à me certamente pare,
che nelle letiP tere interaenga quello, che fecondo il tuo dire, diceua
Tama;chc à coloro accadeua.chc U (ape tiano* S O C R.- Et pero qualunque
perfona penfa fcriuendo intorno à quefta arte, 6 quelle cofc imparando. che da
gli altri di lei fono itatc fcritte , per queftoche dalli fuoi fcritti fi habs»
bla certeza alcuna i cauare.ò uero per il fuo im^ parare,douer faper cofa
ucra.coftui certamente c fciocco,a: di poco ceruello.flc fi può dire, che egli
fia in tutto ignorante dello Oracu lo di Gìq ue Ammonio, con ciò fia che egli
penfi^che le Orationi fcritte pifi poffuio,che non potrà uno chcdafe fteffo
fappia quelle cole, delle quali Quelle Orationi ragionano. F £ BeùiSì^, tno. S
O C Queftoo Fedro ha la fcnttura piena di grauità,& dignità, che ella è
fimihdl^ ina alla pittura : per ciò cIk ie^opere della pittUiP ra pare clic
fìcno ufue^ma fc tu gli domanderai qualche cofa, uergognofam ente fi taceranno.
Hon altrinienti delle Orationi potrai dire,fif ti parrà, che elleno intendendo
qualche cola, U polfano anchora dire,ft moftrarc. Ma fe poi for^ (e di
laperdefiderofo, gli domanderai di quaU che fuo detto la cagione^ femprc ti
diranno una cofa, & ^<^»^pre ti lignificheranno il medefimo: <3CogniOratione,comeellaè
feritta una uolta, Tempre. flf in ogni luogo la medéfima lì ritruo^ ua,fiC
moftra le cofe fue à quelli, che fanno,* à gh' altri ,'alli quali forfè niente
importa, flC non faella,o puo dire à chi bifogni manifeftarfi, 6 àchi
nonb]fogni,2(fe mai gh è ingiulla:^ mente fatto ingiuria,© detto mal di
lei,femprc ha bifogno dell'aiuto di fuo padre, ciò è di chi rha fcritta,per ciò
che ella al .nemico non rcpu? gna,ne à fe fteffa può dare aiuto. • F E D.Quc
Ite còfc anchora pare à me, che fieno ueriffimc,. S O C R . Ma che dirai tu à
quello? Credi tu, che fi polU uedere un'altra forte di parlare fras: tello di
i^ueftof Et che fi polfa concfcere come quello, che io ti dico,fia legittimo,
fiC quello del quale habbumo ragionato badando, & quanto migliore, flC più
potente nafcai' F E D. Che parlare è queltof CC come uuoi tu che fi facciaf^
tu' ' Soc* S O G R . Qucfto parlare è queIIo,chc fi kwt ncir animo di chi
impara per mezo della fcipnjs tia,flC è migliore, per che quefto può aiutare à
fc flefro,fif conofce co qua] forte di p<rfonc fi bia a parlare., flC con
quale à tacere . F E D . Xji uuoi dire il parlare d' un dotto, che fia uiuo,flC
che habbia fpirito,deI quale una Oratione fcri(» ta ragioneuolmente potremo
chiamare un fimu^s lacro. S O C R. Quefto dico fenza dubbio. Ma dimmi anchora
quefta altra cofa, Vno agr(^ culflcre che fia fauio^ credi tu che uorrà
fpargerc^ ft gettare nel tempo della ftate quelli femi.chc egli bara più
cari.ft delti quali egli afpetta con defiderioil frutto, ne gli horti d'Adone,
cor» ogni ftudio,fiC diligentia,acciòche perfpatio di otto giorni ne pQ)[fi
uedcre i fiorii ( comelai^chc miracolofamenfe in quel terreno ìnteruiene) ò
nero dirai, che fe egli pure il farà, Io farà per pat fac tempo in qualche
giorno di fefta.fif per darfi piacere, fiC no per cauarne utile alcuno^Ma quan
do egli farà da uero, ce che uorrà "attendere alla agricuItura,non li
feminerà in quelli horti,ma in terreni conueneuoli,flC gli parrà hauere affair
fc con interuallo di otto meli, flC non d otto gior ni la fuafementafi
maturerà. F E D. Certas mente Socrate, che come tu dici, quel tale femi;? fi^^è
gfi WrH (!• AcJdftc pft btirla.ft per foU lazt),^ nel terreno buono da uero^ S
O C R . t>^jf nfaremo noi, che un^huomo. ch^ (appia xke toù'fu il giudo, Ce
il buono, ft« rhonefl-o, fi^ iiello fj^argere la fua fementa pia fciocco d u
fio-agricultorer F B In neffuno modo, O C R Ef pero egli no femmerà i (noi
detti ftudiòfamente con la penna nell'acqua negra, ^órtmietten doli alle
fcritturc,fapendo egli che ft'mai poi portaflero pericolo alcuno non gli po tra
dare aiuto : flC conofcendo anchora^che con lèfcriuere non fi può moftrare à
pieno la ueri:? ti. F E D. Certo ch^ il feminare^come hai dctfe,è fuor di
propofifo. S O C R^ Certo, ma prahìerà beh coilui gli horti delle lettere per
darfi in quella follazo,fiC per pafTarc il tempo/ ce in quelli feminerà^ftcofi
fcriuerà qualche co Éi^t'Af pofcia che fi uederà hauerc fcritto,terrà qùéli
fuoi (catti per mcmoria,&' gli harà cari, come fe fu (fero tefori atti à
fargli fcordaie gli afi^ tìnni/che gli ha da arrecare la futura uecchieza.
Etnonfelopenferà,chcgli habbino à cagioni rtàrecjUefto in lui^ma in tutti
coloro'^che feguis teranno le fue pedate, ecinfieme fi rallegrerà di tiedere
già nati i fuoi teneri frutti: fif mentre che Ili altri huomini uanno pur altri
piaceri fegui» tando. tando,cclebràndo conuit?,& fimili altri cU; :»*ti%
egli lafciate quefte cofe folamcntc attenderà a ui nere nclli piaceri^ che
danno li piaceuolj,& "dotti ragionamenti* FED, Socrate tu mi nioftli
un trattenimento molto più degno di molti altri,cheà me paiono nili, narrandomi
quei di co^ lui, che può Tempre hauer piacere ne i ragionamenti, a disputare
della giuftitia,«di quelle altre cofe, che tu dici • SO CR* Cofièccrtamente
Fedro mie caro, ma molto più degno ftio c quello di quefti tali ( fecondo me )
quan^ do alcuno, poi che ha ritrouata un animala quel locheegh intende
infegnarli afta, ufaudo Tarlc della Dialettica, piantala: femina in quella
ani^; male fue parole con la fcienfia : le quali parol^c fonobafteuoliàgiouarà
fe ftefre,& à colui, che le pianta : per ciò che non folamentc portano fc
co grandilTinìO frutto, ma anchoia il if me doa^s de nuoui frutti pedano
nalcetc.Onclt^ pafTando poi quefte paroÌe,6: quefte fcientie <A]ixn hixf:^
mo in un' altro, mantengono qucftft.gtiecic^ dono immortale : colui, che Ila in
fe tal do:? no, pongono in qdello ftato di beatitudine, che è ^oflibile à
un'huomo. F E D, Qaxtlh è an^ chora molto più degno, & honoreuole* S o
Hormaio Fedro hauendg noi le cofe^ che Labe L un biamo dette diTopra conceflc,
potiamo beniflirs- ino confiderarc quelle cofe,che^tu fai . F E D . Quali S O C
Qijelle, che per conofccrlc fin giù habbiamo ragionato, ilqual ragionamen tb
non habbianìo per altro fatto, che per poter ^ confxderare il modo di
uitupcrare Lifia tuo in^ quanto all'arte dello fcriuere : non folamcte Liria,ma
anchora tutte quelle Orationi.che con arte.ò fenza arte fi fcriuono .Età me
pare, che già à baftanza habbiamo dichiarato , chi fia
colui,cheartificiofofipofli dire, ficchi quello, che fia priuo d' arte • F E D
. Cofi pare à me • SOC R. Et però bifogna di nuouo ricor^ darfi,che alcuno non
può perfettamente faperc l'arte del dire,ò uoglila faperc per perfuaderc
Viltrni,òper infegnarla ( fi come le ragioni di fo |)ra ci hanno dichiarato )fc
prima non conors fcerà la uerità di quelle cofe.ch' egli dice,òfcri^: uc t ce
fe non faprà diffinire tutta la materia deU la cofa,che tratta : fl£ fatta
qùeftà diffinitione,di nuouó diuidere tutte le parti, tenendo alle co:s fc particolari,
ftindiuidue,fl£cofi contemplanti do,flC confiderando in quefto modo un'anima,
alla quale habbia da perfuadere qual fi uogli co • fa,ac haucdo quelle cofc
ritrouate,che con ogni forte di ingegni fi accompagnano, flC fono con:: '
uenienti. 'ucjjJenti.cofi fopra fu«o ordini^ fi: acconci il fuo parlare, che co
un' anima uaria.fi: di diuerle fantafie.accommodi parole, & modi di dire
uas rii.flC di molte forti.flt con una anima femplice, fi£ di un fol uolere ufi
parole femplici.fl£ pure. FED. Cofifièdetto. SOCR. Chedires mo hora noi di
quella queftionc, che di fopra habbiamotocco.ciòè feegli è cofa honefta.ò
bratta il comporre Orationi.fi: in che modo qucfto ftudio fi poffi
ragioneuolmente uituperarc, a in che modo non . Non ti pare egli,che le ras
gioni dette di fopra ci habbiano dichiarato ques fto paHb i baftanza ^ P E D.
QjaaU ragioni ? SOCR. Quefte.che fe Lifia.ò altri.Ccfiachi uuole ignorante
della uerità fcyfTe mai.ò ucro ■fcnue al prefente.ò fcriuerà cofa alcuna
priuatas rmcnte.ò ucro che fi appartenga al publico.cos me farebbeno certe
ordinationi ciuili.ó fimili cofe ,flC che coftui penfi.che di quefti fuoi
fcritti fe ne poffa cauare unacerteza.flC una fermiflima ftabilità.quefta tal
cofa T uno fcrittore fe fi ha da giudicare che fia^brutta.Dichinlo le perfonc.ò
noi dichino.chequefto imparta poco:|> ciò che il non fapere,che cofa fia il
uero.ne il falfo intot no alle cofe giufte.fiC ingiufte, buone, CCtriftc,
(anchora che il uolgo tutto lodoiTe quefta igno .twifia}non può pero effefc.che
confidcrarK^o il uero non fu bruttiflima. F E D. Bruftiflima pcrccrfo. SOCR.
Perii contrario poi. colui che penfa che fu neceflàrio qualche uolta per
trattenimento, fif per fcherzo fcriuere^at nó giù <ljca che Oratione alcuna
oin profa.o iq ucrfi mcrti^che fi perdi un gran tempo nel comporta '{come fanno
quelh. che fenza confidcratione al tuna.CC fcnza dottrina, folamentc per daxad
ins tendere una cola.fogliono alle uolte recitare ucr fi)ma terrà per certo.chc
li fcritti,che buoni fi poflono dirc.fieno flaticompofti folo à quelli,
chefanno.ma faprà che nelli ragionamenti, che fi &nno per cagione di
imparare.fif di infegnarc adaltri.fifchc jicrauientc fi fcriuono.fiCimpria:
^tnono nell'animo d' uno.li quali trattano delle cofe
gi"uftc,hcnefte.abuone,in quelli folas mente è ia uera chiareza flC la
pcrfettione. A quc ragionamenti foli tienc^che mcntino ftudio, ttquefti/olifuoi
figliuoli legittimi chiama.dt di queftl ragionamenti primieramente appr/za
quello.chc m fe ftefTo efler conofcc(pur che in fe h ntroui}dipoi tutti quelji,che
di quel fuo parto.comc %lmoli,Cf fratelli,© nel fuo ania wo.ó nell'altrui menti
fono nati : fic. tutti gl'als tri difpreza, a difcaccia, quefto tale, dico,
pare 4 me mt telile fia tale,qualc <3a noi fi potrcì>fyé^8drK!*« rare. F
E D. lo acmi ò S cerate, efièr conife t:olui,cIic ttì ilici di queflo ne priego
Aìhàtas mente Iddio. SOCR. Ma fia detto aflai^cl r^rte del dire per qaefta
uolta^iiauendo noiparr lato più per{ratteiiimtnto,-clTe per altra cagioine . E
t però tu potrarf dire à Lifia , ciré ncrtlTenfi do andati doue è il fonte
delle Ninfe, ideile Mufe,habi>iaino uditi certi ragion ameti, li cpali hanno
comandato, che noi dtcfatno A à itif » ^(à tutti gli altri Scrittori d' Orat
foni : ol tra dì quefto à Honicro,ò;fe altri è (lato che c qualche ftuda,CC
bada Poefia babbi compofl:o,ó pùre or nata, fiC niimerofa,ul{irnaoien(e à
Solone/fiCi tutti gii altri^che delle ordinationi tiiiili hanno fcritto,che fe
eglino tali<cofe <:onìpofero con faji peucli della ue<ità,flC col
difputarc, pofTono dì: difendere le cofe^cbe eglino hanno trattato ,iÓC con
ragioni fa^r fi ,chc li fcritti dinioftrano c{{ctc dainanco,ft pia uili delle
parole loio,fif dclU noce uiua,fe quefto che io dico, faranno • Farei
ine,<he habbiano à pigliare il nome ne da quel le cofe,che con la penna
fcrifTero^twa pio prcftat da quello, che doftamete ccnfiderarono.F E U. Etchc
cognome lata quefto, <££ in the modelli lo darai tui' S O C il gran ccgncMM
ài piente folo à iddio/ccondo me, fi conufener flC pero à qucfti tali huomi ni,
ch'io tlio difopradc^ fcritti,gli porrci più conucnicntemete il cogno:: medi
Filofofo,ò di qualche altra uoce fimile. F E D, Certo che quefto no fi
difconuerrebbc. S OCR. Et pero dimmi un poco, chiamerai tu ragioneuolmcnte
Poeta, ò vero fcritfore d'Os: rationi.òdi leggi colui, che in fé cofa alcuna no
habbia migliore di quelle, che ha fcrittof' Et che lungo tempo rauuollendofi,
fiC aggirandofi il ceruelIo,con una affidua emendafione finalmen te habbia
fatto una compofitionef F E D. Che uuoitudircperquefto? SOCR. Voglio di
re,chetudica tutte quefte cofe al tuoLifia. F ED^ Et tu non farai il medefimo
col tua amico. ^ per che in uero non mi pare da lafciarlo andare. SOCR. Q^ale
amico dici tu^ F E Dico Tfocratcgiouanc perfetto. Che dirai tu à coftui Socrate
Chi diremo noi, che egli fia (SOCR. Ifocrate ò Fedro, è anchora giouanetto^ma
io non uoglio lafciarc di dire quek lo,cheioindouinodilui, FED. Che cofa f S O
C R. A me pare, che egli fia di migliore ingegno,chenon dimoftra d'eflcrLifia
per li fuoi Sritti, & oltra di quello di più gencrcfi cofiumi ornato» Per
il che io non mi marauigliarci punto. punto,fccrcfcendoinIuigIi anni, egli
diuens tafTc più eccellente nelTarte del dire, nella qua le hora fi efercita di
quànti mai à quella fi fono dati : flC credo, che egli non contento di queftc
cofe per un certoinftintodiuino,cheè in lui, fi inalzerà ad imprefe maggiori ;
per ciò che io uo glio che fappi,che nel fuo ingegno è (lata daU la natura
poftain un' certo modo la Filofofia, Quefte cofe adunque, che da quefti iddìi
hofa^ pute,manife(leròal mio amicilTimo irocrate,& tu dirai al tuo
cariffimo Lifia quelle altre cofe. F E D. Cofì farò. Ma partiamoci di qui,con
ciò fia che il caldo fu hormai calatto à fatto* S O C« InnanziportajrCjò trarre
feco,fen6colui,che fia t» perato, Penfi tu che fi debba domandare altro ò Fedro
^ A me par hauerc con preghi domandato uclfo,cbefaceuadi fxifognó, F E Pieg
afichoia,che quel trcdcfmio conccdinoa me : pei* ciò che tra gli amici cani
cola è conh SOCR* Partiamoci Adunque. Felice Figliucci. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Figliucci” – The Swimming-Pool Library.
FILANGIERI.
(San Sebastiano). Filosofo. Grice: “The importance of Filangieri
is in the concept of ‘ragione retorica;’ indeed, on the footsteps of Vico,
Filangeri ‘posseduto della ragione,’ shows that illuminism is incompatible with
the ancien regime!” Dei principi di Arianello, figlio di Cesare, principe di
Arianiello, e di Marianna Montalto, figlia del duca di Fragnito, nacque in Villa
Filangieri, nel Casale di San Sebastiano di Napoli. Nella medesima villa Filangeri
morì Giovan Gaetano Filangieri: il nonno dell'illuminista. Da una delle
famiglie più antiche della nobiltà partenopea: lo zio arcivescovo era Serafino
Filangieri. Riceve un'educazione severa che si svolse privatamente nel Palazzo
Filangieri di Largo Arianello. Se ne occuparono lo zio Serafino, e soprattutto
Luca. Si dedica alla filosofia. Si laurea. A seguito della carica di gentiluomo
di camera presso Ferdinando IV, si dedica al progetto della riforma di
giustizia e divenne ufficiale di marina. Il suo illuminismo è considerato
napoletano in quanto non assimilato dall'esterno. Si tratta di un illuminismo
prodotto nella Napoli. La città partenopea si era dimostrata sì come uno dei
maggiori laboratori di idee d'Italia, ma in essa allo stesso tempo esistevano
sempre i privilegi feudali e il lusso sfrenato di nobiltà, mentre la massa
plebea continua a vivere nell'ignoranza. Si parla a questo proposito di
"questione meridionale" in quanto vi si impediva non solo il progresso,
ma si metteva in discussione anche l'esistenza di una civiltà, dato che il
tessuto sociale era ridotto a brandelli. In tale contesto rappresenta la voce riformatrice,
la cui efficacia e tuttavia limitata dalla precoce morte, prima delle vicende rivoluzionarie.
Scrisse un saggio, “Morale de' legislatori”, nel quale dichiara di essere
favorevole alla pena di morte, mettendo in discussione le tesi di Beccaria.
Afferma infatti che nello “stato di natura” – non lo stato civile -- ciascuno
ha il diritto di togliere la vita a tutti per proteggere la propria
ingiustamente minacciata". Tali temi vengono poi ripresi e trattati ne “La
scienza della legislazione”. Stampa a Napoli le riflessioni politiche su l'ultima
legge del sovrano. Le riflessioni riguardano la riforma dell'amministrazione
della giustizia. In particolare afferma la necessità, per il magistrato, di
motivare la propria sentenza in base alla legislazione scritta nel regno,
permettendo in questo modo di eliminare gli abusi e i privilegi per il giudice. L'Illuminismo napoletano di Filangieri emerge
in particolar modo in “La Scienza della Legislazione”. Analizza le linee sistematiche di una scienza
pratica destinata a essere guida delle riforme legislative e basata sulla *felicità
individuale* del cittadino come premessa *utilitaristica* allo stato buono.
Filosofi come d'Alembert e Montesquieu, con il loro spirito di classici
dell'Illuminismo, contribuirono a influenzare Filangieri. Ottenuta la
dispensa dal servizio di corte, si trasferì a La Cava, poco lontano da Napoli.
Qui si dedica interamente alla filosofia. Arrivano le prime condanne da parte
dell'Inquisizione, anche se la Chiesa romana non contesta la legittimità dei
provvedimenti assunti dal governo borbonico sulla scorta delle proposte contenute
in “La scienza della legislazione”. Divene capitano di fanteria. Consigliere
del Supremo Consiglio delle Finanze e, preso dagli impegni politici, non riusce
“La Scienza”. Si ritira a Vico Equense. Essendo
stato iniziato in massoneria in una loggia napoletana, ebbe solenni funerali
massonici, ai quali parteciparono delegazioni di tutte le logge napoletane. A
Filangieri e intitolato il carcere minorile di Napoli. A Milano è intitolata la
piazza antistante il carcere di San Vittore. Composta da otto libri, “La
Scienza della legislazione” è un'opera di alto e innovativo valore in materia
di filosofia. E così apprezzata per la sobrietà della critica e per la concreta
esposizione sul piano giuridico. Espose una filosofia frutto della grande
cultura napoletana antecedente all'Unità d'Italia, rappresentata in particolare
da Vico e Giannone, che interpola con
Montesquieu e Rousseau. Porta alla luce le ingiustizie sociali che
affliggevano Napoli, pervasa dal lusso sfrenato dei privilegi feudali di
aristocrazia, sfruttatori del popolo. Al tempo stesso essa chiede alla Corona
di farsi portatrice di una rivoluzione pacifica, una sorta di modello di
monarchia illuminata, secondo i canoni illuministici, da conseguire attraverso
una seria azione riformatrice da attuarsi sugli strumenti giuridici.
Importanti l'affermazione dell'esigenza di attuare una codificazione delle
leggi e di una riforma progressiva dalla procedura penale, la necessità di
operare un'equa ripartizione delle proprietà terriere e anche un miglioramento
qualitativo dell'educazione pubblica oltre ad un suo rafforzamento su quella
privata. Per ciò che attiene al diritto criminale dà un'innovativa
definizione di delitto. Una azione A puo essere contraria alla legge L ma non
un ‘delitto’. Un agente che commette A (non delitto) non e un ‘delinquente’. Un’azione
A disgiunta dalla volontà V non è imputabile dallo stato civile. La volontà V disgiunta
dall'azione A non è punibile dallo stato civile. Un delitto consiste dunque in
una azione che viola la legge L, accompagnata dalla *volontà* dell’agente
‘delinquente’ di violar la legge L. Tratta le principali proposte di riforma,
nel campo politico-economico (abolizione del privilegio feudale, ecc.), penale,
dei rapporti tra religione e legislazione, e, in modo particolare, nel campo
educativo. Essa comprende il Libro I, dedicato a “Le regole generali” della
scienza legislativa, il Libro II a “Leggi politiche ed economiche”; Libro
III, “Leggi criminali (procedura; delitto e
pena), Libro IV, “Leggi che riguardano l'educazione, i costumi – Kant
‘zitte’ Varrone, mos, ethos -- e
l'opinione pubblica), Libro V, “Leggi che riguardano la religione”; Libro VI,
“Leggi relative alla proprietà, rimase abbozzato (ne fu steso soltanto il sommario),
e Libro VII, (Leggi sulla famiglia). Tra le varie tesi esposte in questo libro
emerge la considerazione che ha dell'agricoltura. Sotto l'influenza di
Genovesi, di Verri e dei fisiocratici, la considera un settore importante del
sistema economico e propose la rimozione di ogni ostacolo giuridico, fiscale ed
economico al suo sviluppo e alla libertà del commercio dei suoi prodotti,
sostenendo altresì l'imposta unica sul prodotto della terra. Il trattato
fu messa all'Indice dalla Chiesa romana per le sue idee giacobine. Infatti
critica l'atteggiamento di Roma, ritenendo appunto che questa pesasse sulla
società e si avvalesse di privilegi. Ha messo in campo proposte (giustizia
sociale e giuridica, uguaglianza, pubblica istruzione, espropriazione dei beni
ecclesiastici donati dai fedeli, ecc.) miranti al progresso in senso
rivoluzionario attraverso un'azione legislativa fondata sulla ragione (non la
fede) e rivolta ad un altrettanto presunto sviluppo della realtà di Napoli, ma
con i metodi tipicamente giacobini basato su coercizione e sentimento massonico
e anti-romano. Stampa altri due saggi, i quali ebbero grande successo, con
elogi entusiastici rivolti all'autore, come quello di Franklin, il quale avviò
una corrispondenza con Filangieri e lo tenne presente per la stesura della
Costituzione. Suscita interesse e discussioni anche grazie all'attenzione
dedicatagli da Constant. Altre opere: “Riflessioni politiche su l'ultima legge
del sovrano, che riguarda la riforma dell'amministrazione della giustizia” (Napoli);
“La scienza della legislazione” (Napoli); “Il mondo nuovo e le virtù civili: l'epistolario”
(Napoli. Ricca); “Discorso genealogico dei Filangieri estratto dall'istoria del
feudo di Lapio” (Napoli, Bernardo Cozzolino); “San Sebastiano: un itinerario
storico artistico e un ricordo” (Poseidon Editore, Napoli); “Signore di Lapio,
Rogliano e Arianello, Patrizio Napoletano aggregato al Seggio di Capuana, fu
decorato con diploma imperiale di Carlo VI d'Asburgo, col titolo di principe di
Arianello. Vittorio Gnocchini, “L'Italia dei liberi muratori. Brevi biografie
di massoni famosi” (Roma-Milano, Erasmo Editore-Mimesis); Giampiero Buonomo,
Quei lumi accesi nel Mezzogiorno, in Avanti!, BECCHI, PAOLO. De Luca, S. Il
Pensiero Politico di Gaetano Filangieri. Un'Analisi Critica. Il Pensiero
Politico; Firenze, Seelmann, Kurt. La proporzionalità fra reato e pena.
Imputazione e prevenzione nella filosofia penale dell'Illuminismo” (Società
editrice il Mulino); Trampus, Antonio, Diritti e costituzione” (n.p.: Soc. Ed.
Il Mulino, Domenico
Valente,"Poliorama Pittoresco", Conferenza tenuta dal comm. Giovanni
Masucci al Circolo giuridico di Napoli, n.p.: Napoli, Tip. gazz. Diritto e
giurisprudenza, Gerardo Ruggiero, Un
uomo, una famiglia, un amore nella Napoli del Settecento, Alfredo Guida Editore
Pecora Gaetano, Il pensiero politico. Una analisi critica, Rubbettino Editore, Ferrone
Vincenzo, La società giusta ed equa. Repubblicanesimo e diritti dell'uomo, Roma-Bari,
Laterza, Cozzolino Bernardo, San Sebastiano: Un itinerario storico artistico e
un ricordo” (Edizioni Poseidon, Napoli 2006 Giancarlo Piccolo, “Cappella
Filangieri. Indagini sulla Parrocchia Immacolata e Sant'Antonio, Cercola (NA),
IeS Edizioni, Cercola F.S. Salfi, Franco
Crispini, Elogio, Cosenza, Pellegrini, "Frontiera d'Europa" (Rivista
storica semestrale, Esi editore Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), intitolato
“Studi filangieriani” Berti, F., Il repubblicanesimo, Pensiero politico Mongardini,
C., Politica e sociologia, Giuffrè, Trampus, A. e Scola, M., Diritti e
costituzione. Pensiero politico. Ascione Gina Carla e Cozzolino Bernardo,
Cappella di San Vito Martire a San Domenico: Il restauro del dipinto della
Madonna del Carmelo di Giovanni Antonio d’Amato, Pref. S.E. Card. Crescenzio
Sepe, San Sebastiano. Filangieri Illuminismo in Italia. Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Open MLOL, Horizons
Unlimited srl. Il pensiero politico di .Una analisi critica, su politica magazine.
Gaetano Filangieri. Keywords: ‘stato naturale’ ‘stato civile’ – costume – il
romano – le costume dei romani – devere e volonta – implicatura deontica –
passione e ragione – illuminismo – anti-clericalism – anti-Roman – Grice:
“Catholicism gives a bad name to ‘Roman’!” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Filangieri” – The Swimming-Pool Library.
FILLIPIS
–
(Tiriolo). Filosofo. Grice: “Fillippis is an interesting one, for one there is
a Palazzo De Fillippis; for another he was into the philosophy of mathematics;
he was executed, but not for this.”
Martire della Repubblica Napoletana. Nato in una famiglia di piccoli
proprietari terrieri, studia al Real Collegio di Catanzaro. Si recò a Napoli
dove fu allievo del grande economista Genovesi. Ebbe modo di frequentare gli
ambienti illuministici entrando in contatto fra gli altri Pagano. Proseguì in
seguito gli studi in filosofia a Bologna sotto Canterzani. Insegna a Catanzaro.
Fu fra i principali artefici della Repubblica Napoletana. Entra nel governo
come ministro degli Interni. Con la caduta della Repubblica, venne messo a
morte per impiccagione in Piazza Mercato. Scrisse importanti opere di
filosofia, quali “Etica”; “Metafisica”, Vite degl'Italiani benemeriti della
libertà e della patria, Torino, Bocca); Albo illustrativo della Rivoluzione
Napoletana; B. Croce, G. Ceci, M. D'Ayala, S. Di Giacomo, Napoli, Morano); La Repubblica
napoletana” Roma, Newton), Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vincenzo
De Filippis. Keyowords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fillipis” – The
Swimming-Pool Library.
FINESCHI:
(Siena). Filosofo. Grice: “Fineschi shows
how COMPLEX Marx’s theory of cooperation is!” -- Grice: “I like Fineschi; when at Harvard I
played with ‘cooperation’ I didn’t really know what I was talking about!
Fineschi does! He calls me a Marxist – and that’s why I dubbed my ontological
occam’s razor as ‘ontological marxism’!” Studia a Siena sotto Mazzone con “Marx
rivisitato”. Per il suo dottorato, svoltosi sotto Domanico a Palermo, si occupa
del rapporto Marx-Hegel. Ha vinto la prima edizione del premio
David-Rjazanov-Preises. Altre opere: “Ripartire da Marx. Processo storico ed
economia politica nella teoria del “capitale”, Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici La Città del Sole, Napoli); “Marx: rivisitazioni e prospettive, Mimesis,
Milano (Itinerari filosofici) “Marx e Hegel. Contributi a una relectura”
(Carocci editore, Roma); “Un nuovo Marx. Filologia e interpretazione dopo la
nuova edizione storico critica” Carocci editore, Roma). Roberto Fineschi.
Keywords: Grice’s ontological Marxism, implicatura filologica – Kantotle,
Plathegel. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fineschi” – The Swimming-Pool
Library.
Fioramonte.
(Roma). Filosofo. Grice: “Fioramonti, like Hart, and myself, has
philosophised on human right, legal right, moral right.” Frequenta il liceo a Roma,
situato nel quartiere di Tor Bella Monaca. Si laurea a Roma con una tesi in
Storia della economia filosofica, incentrata sul ruolo dei diritti di proprietà
ed individuali. Studia Politica comparata a Siena. Insegna a Pretoria, ed
è direttore del Centro per lo studio dell'innovazione Governance (GovInn) dello
stesso ateneo. È inoltre membro del Center for Social Investment dell'Heidelberg,
della Hertie School of Governance e dell'Università delle Nazioni Unite.
Si occupa di economia e integrazione economica europea. Per il Financial Times,
sostiene che il PIL è "non solo uno specchio distorto in cui vedere le
nostre economie sempre più complesse, ma anche un impedimento a costruire
società migliori". I suoi articoli sono inoltre apparsi su The New
York Times, The Guardian, Harvard Business Review, Die Presse, Das Parlament,
Der Freitag, Mail & Guardian, Foreign Policy e open democracy.net. Ha una
rubrica mensile nel Business Day. È stato co-direttore della rivista
scientifica The Journal of Common Market Studies. è inoltre coautore e
co-editore di diversi libri. Oltre ai best seller Gross Domestic Problem: “La politica
dietro il numero più potente del mondo e Il modo in cui i numeri governano il
mondo: l'uso e l'abuso delle statistiche nella politica globale, pubblica “Economia
del benessere: successo in un mondo senza crescita, Presi per il PIL. Tutta la
verità sul numero più potente del mondo e Il mondo dopo il PIL: economia,
politica e relazioni internazionali nell'era post-crescita. Ha avuto
un'esperienza come assistente parlamentare, collaborando a titolo gratuito con
Antonio Di Pietro (IdV) a sviluppare politiche per i giovani nelle
periferie. Viene resa nota la sua candidatura col Movimento 5 Stelle alle
imminenti elezioni politiche di marzo, risultando eletto alla Camera dei
deputati nel collegio uninominale di Roma-Torre Angela con il 36,65% dei
voti. è stato nominato sottosegretario presso il Ministero
dell’istruzione, dell'università e della ricerca nel Governo Conte I. Nominato Dino
Giarrusso suo segretario particolare, affidandogli l'incarico di coordinare la
comunicazione del suo ufficio e curare le relazioni istituzionali. L'onorevole
ha inoltre aggiunto di aver chiesto a Giarrusso di aiutarlo anche ad evadere le
segnalazioni inviate al Ministero sulle presunte irregolarità che si verificano
all'interno dei concorsi universitari. Il 13 settembre il Consiglio dei ministri, su proposta di Bussetti,
lo ha nominato vice ministro all'istruzione, università e ricerca. Proposto
il 4 settembre come ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel Governo Conte II, viene
nominato ufficialmente. All'inizio del suo mandato ha istituito un comitato
scientifico di consulenza, composto tra gli altri da Shiva. Nel mese di
ottobre intervenendo ai microfoni della
trasmissione radiofonica Un giorno da pecora ha affermato di "credere in
una scuola laica" e di essere favorevole alla rimozione del crocifisso
nelle scuole, per sostituirlo piuttosto con una mappa del mondo. In seguito, e
criticato dalla Conferenza Episcopale Italiana. Annuncia l'introduzione in
Italia, primo Paese al mondo, dello studio del cambiamento climatico e dello
sviluppo sostenibile come materia scolastica. Dichiara di essere pronto a
rassegnare le proprie dimissioni qualora nella Legge di bilancio non fossero stati trovati fondi per 3
miliardi di euro da destinare all'istruzione. Invia al Presidente del Consiglio
Giuseppe Conte una lettera in cui annuncia le proprie dimissioni e dichiara
che, a proprio avviso, sarebbe opportuno rivedere l'IVA al fine di incassare i
fondi che chiedeva per il proprio ministero. Comunica la propria uscita
dal Movimento 5 Stelle e la propria adesione al Gruppo Misto alla Camera.
Annunciato la fondazione del nuovo partito politico Eco. Eco rappresenta
un'ipotesi, un'idea guidata dalla volontà di costituire una entità in
collaborazione tra società civile e parlamentari, ma la cui concretizzazione in
una nuova realtà non è ancora certa. Entra a far parte di Green Italia,
insieme all'onorevole Rossella Muroni e Elly Schlein, vicepresidente
dell'Emilia Romagna. Dopo che il quotidiano il Giornale ha pubblicato
alcune dichiarazioni fatte nel passato su Twitter da Fioramonti, ritenute
inappropriate per la carica da ministro, diversi partiti (tra cui Lega, FI e
FdI) chiedono le sue dimissioni dal dicastero, annunciando il deposito in
Parlamento di una mozione di sfiducia È stata effettivamente depositata? Che ne
è stato? Il ministro ha quindi dichiarato sui social che tali opinioni erano
state scritte di getto e si è quindi scusato. Nello stesso periodo
suscita polemica il fatto che, secondo quanto riportato dalle chat di alcuni
genitori, il ministro avrebbe scelto di iscrivere il figlio alla scuola inglese
e di non fargli fare l'esame di italiano. A seguito di tale notizia, scrive un
post sui social in cui si definisce turbato come padre e cittadino ed annuncia
di voler presentare un esposto al garante della privacy. Altre opere:
Diritti umani 50 anni dopo. Aracne); “Fuori. Fermento, . Poteri emergenti
nell'economia politica e internazionale. Il caso di India, Brasile e Sudafrica
. ETS, . Presi per il PIL. Tutta la verità sul numero più potente del mondo.
L’Asino d’oro edizioni, . Il mondo dopo il Pil. Economia e politica nell'era
della post-crescita. Edizioni Ambiente, . Un'economia per stare bene. Dalla
pandemia del Coronavirus alla salute delle persone e dell'ambiente. Chiarelettere.
Vincenzo Bisbiglia, chi è il candidato M5S: dalla laurea in Filosofia alla
critica al pil. Con tappa alla Rockefeller foundationIl Fatto Quotidiano, in Il
Fatto Quotidiano, Professor Lorenzo Fioramonti, su up.ac.za. Has GDP become an
impediment to a better society?, su Financial Times. 1World needs a new Bretton
Woods with Africa in the lead, su bdlive.co.za, Business Day. Eligendo: Camera
[Scrutini] Collegio uninominale 05 ROMA ZONA TORRE ANGELA (Italia) Camera dei
Deputati Ministero dell'Interno, su Eligendo. F.Q., Governo, nominati 45 tra
viceministri e sottosegretari: Castelli e Garavaglia al Mef. Crimi
all'Editoria. Dentro anche SiriIl Fatto Quotidiano, in Il Fatto Quotidiano, Università,
dietrofront su Giarrusso. Fioramonti: "è solo il mio segretario, non un
controllore", in Repubblica, Governo: Galli, Rixi e Fioramonti nominati
viceministriTgcom24, in Tgcom24, Crocifisso a scuola, la Chiesa contro il
ministro Fioramonti che vorrebbe toglierlo dalle classi, su Repubblica, Fioramonti:
da settembre il clima sarà materia di studio a scuola Fioramonti: 3 miliardi per l'istruzione o
confermo le mie dimissioni -, su Orizzonte Scuola, Il ministro dell’Istruzione
Fioramonti ha dato le dimissioni, Corriere della sera, Fioramonti lascia il
gruppo M5S: «C'è diffuso sentimento di delusione», Il Messaggero, 30 L’ex
ministro Fioramonti: «Un altro governo non è un tabù. Ora un’area civica
progressista», su Il Manifesto. Bufera su Fioramonti per alcuni tweet. Meloni
chiede le dimissioni, per Lega e Pd deve chiarire, su L'HuffPost, Bufera su
Fioramonti per offese web, ministro si scusa Politica, su Agenzia ANSA, Chi è
Lorenzo Fioramonti, nuovo ministro del MIUR, su theitaliantimes, Governo Conte
II Ministri dell'istruzione, dell'università e della ricerca della Repubblica
Italiana. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Openpolis,
Associazione Openpolis. Radio
Radicale. PredecessoreMinistro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca della Repubblica Italiana Successore
MinisteroIstruzione. png Marco Bussett, Giuseppe Conte (ad interim) PredecessoreViceministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca della Repubblica Italiana Successore
MinisteroIstruzione. Anna Ascani. Lorenzo Fioramonti. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Fioramonte: l’implicatura” – The Swimming-Pool Library.
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