Coloro che s'immergono nella dialettica, dice
Aristone di Chio, fanno come i mangiatori di gam¬ beri : per un boccone di
polpa perdono il loro tempo sopra un mucchio di scaglie. Ma W. Hamilton,
riportando il motto ('), vi aggiunge un’osservazione che non sembra aver
perduto valore ai nostri giorni : da noi, dice, lo studente di logica perde il
tempo senza nemmeno gustare un boccone di polpa. Infatti il giovane matematico
che ha percorso gli studi classici, domanderebbe invano alla logica che gli fu
insegnata, un concetto adeguato di quello che è 1 ordinamento di una scienza
deduttiva come la geometria, nonché una spiegazione del significato e del
valore dei principi che s’incontrano in tale scienza. Che cosa sono
definizioni, assiomi, postulati? che posto occupano nell’organismo della
teoria? quali sono i cri¬ teri che presiedono alla loro scelta o che permettono
di (') Rivista d'Edimburgo, 1833. Enriquei I2 Capitolo I giudicare della loro
accettabilità? Tutte queste domande rimangono senza risposta, pel nostro
studente, se pure ad esse si alluse vagamente da qualche oscura dot¬ trina del
concetto ; certo esse non ricevono lume dalle minute
classificazionisillogistiche, per mezzo delle quali egli vien abilitato, quando
mai, a verificare ciò che non ha alcun bisogno di verifica, cioè la coerenza
formale delle dimostrazioni geometriche. Ora è essenziale rilevare che il
matematico, ponen¬ dosi il problema dell’ ordinamento della propria disci¬
plina, si ritrova in faccia alla logica nella posizione stessa dei pensatori
che hanno lavorato a costruirne l’edifizio, giacche lo sviluppo della scienza
del ragio¬ namento procede appunto dalla critica dei matematici o di filosofi
che hanno riflettuto intorno alla natura e all’ordine delle verità matematiche.
Come padre della logica viene designato Aristo¬ tele; ma egli non può essere
ritenuto se non racco¬ glitore e sistematore di ciò che — in questo campo — fu
elaborato prima di lui, qualunque sia il contributo originale che può aver
recato al sistema ('). L'affer¬ mazione precedente apparirà tosto giustificata
quando si ricordi; 1) Che le matematiche avevano raggiunto, già all’epoca di
Platone, uno sviluppo assai elevato, (*) Il vanto che Aristotele dà a sè stesso
(al termine degli Elenchi Sophistici) di aver creato una nuova scienza, appare,
a chi legga tutto il paragrafo, riferirsi alia scienza della discussione o
dialettica in senso stretto, e ad ogni modo non prova nulla contro il nostro
asserto. La logica degli anlichi fiacche — a partire da Ippocrate di Chic
(circa 450 a C.) — si cominciò a scrivere trattazioni dei suoi Elementi. 2) Che
anzi, proprio all'epoca di Platone, (cioè nella prima metà del 4 sec. a C.), ed
in più o meno stretta connessione colla scuola de! filosofo ateniese da cui
pure è uscito Aristotele, alcune teorie mate¬ matiche furono oggetto di una
profonda elaborazione critica (Eudosso, Teeteto...), che costituisce il
precedente storico degli Elementi d'Euclide. 3 ) Che, d altra parte, la
dialettica aveva rice¬ vuto uno straordinario sviluppo nelle discussioni dei
Sofisti ; sia presso i primi insegnanti salariati che presero tal nome,
filosofi — come Protagora dì Abdera — sostenitori dell’ empirismo avverso il
razionalismo meta¬ fisico delle scuola d Elea; sia, più specialmente, presso i
Megarici ed altri pensatori affini, che — in connessione coi circoli socratici
— ripresero e svolsero in un senso formalistico le vedute eleatiche. La finezza
di alcuni sofismi attribuiti a filosofi di questa scuola, basterebbe da sola a
testimoniare della profondità del¬ l’analisi da essi ragggiunta ; di fronte a
cui fanno talora meschina figura le spiegazioni o confutazioni d’Aristotele
negli Elenchi Sophistici. Aggiungasi che le stesse polemiche aristoteliche
contro avversari non nominati (per esempio intorno alla necessità e al
carattere dei principi negli Analy- tica posteriora, I, 3) valgono ad indicare
che il pro¬ blema logico dell’ordinamento di una scienza deduttiva era stato
dibattuto secondo vedute diverse, alcune delle 4 Capitolo / quali si
riveleranno — ad un esame approfondito — più vicine alle vedute moderne, in
confronto a que'le adottate dal filosofo di Stagira. I trattati d’Aristotele,
che furono raccolti sotto i! nome comprensivo di Organimi, manifestano la
doppia origine : dalla critica delle matematiche e dalla pratica delle
discussioni. Infatti i primi due trattati (Cathe- goriae e Herméneia o De
Interpretatione) si riferiscono alla classificazione delle parole isolate e
delle propo¬ sizioni, formando quasi una introduzione a tutta 1 opera; i due
successivi (Analytica priora e posteriora) svol¬ gono appunto la logica come
scienza, quale risulta dall’analisi del ragionamento matematico; invece i due
ultimi (Topicaed Elenchi Sophistici) concernono l’arte dell'argomentare,
mirante — non al vero ma soltanto al probabile, in rapporto alla pratica delia
discussione. Aristotele ritiene per quest’arte il nome (eleatico-platonico) di
« dialettica », mentre distingue col nome di «analitica» l’esame del
procedimento della scienza dimostrativa, in cui dalla possibilità della scienza
si desumono le condizioni del suo ordinamento questo senso è stato ripreso da
Kant in quella parte della « Critica della ragion pura » che costituisce la «
Analitica trascendentale » ). Il termine « logico » è usato dal Nostro per
designare procedimenti discorsivi che, non partendo da principi, non hanno
valore dimo¬ strativo (')• Ma questo termine s'incontra, già prima, (1)
Quest’o»servRzione è falla da Pranll, Geschichle dtr Logik , voi. 1°, Lipsia,
1855, pag. 116, 336. La logica degli antichi ne j titolo di un’opera perduta di
Democrito d’Ab- <jera (460-360 a C.) : rtepi Xoytxwv i) xavwv ( J ) ; e
nella misura in cui si può ammettere che Aristotele ne abbia conservato il
significato, rivelerebbe una diversa con¬ cezione (più relativa e formale) del
ragionamento: la quale s’incontra di fatto dopo Aristotele, e spal¬ mente
presso gli Stoici. Ora questi filosofi appunto _ a partire da Z e n o n e Cizio
(circa 340-265 a. C.) — designano come xo Àoyixóv (') quella parte della
filosofia che ha relazioneal discorso, e che comprende questioni attinenti al
ragionamento e questioni rettoriciie o gram¬ maticali; mentre la scuola
contemporanea di Epicuro (341-270 a. C.) ha tratto sicuramente da Democrito il
nome di « Canonica », con cui designa le regole del metodo. Siffatte
osservazioni, tendono a mostrare che l’influenza della vasta opera aristotelica
sui suc¬ cessori, non fu così esclusiva come di solito si ammette, e c’inviterà
a ricercare in questi stessi successori il riflesso delle opinioni più antiche,
ed in particolare di quelle del maestro d’Abdera ('“). Ma di ciò più avanti.
Ora, per formarsi un concetto dell’origine della logica, sarebbe interessante
di ricercare se e quali ( l ) Diels, Die Fragmenle Jer Vorsokraliker: Dem.A 33,
B. 10^. (*) Diog. Laert. VII, 33 (In Arnim, Diogenes, 16). CO Aggiungeremo che
Prantl (op. c. pag. 515, 561) opina che il nome proprio vj , come appellativo
della scienza del ragionamento, o come nome comprensivo di esso e della
rellorica, «'introduca piuttosto dai tardi peripatetici che dagli stoici.
Capitolo I rapporti sieno interceduti fra la critica dei matematici e le
sottili disquisizioni dei sofisti. Clairaut, per spiegare il rigore del
ragionamento di Euclide, ha sciitto ( ) che « ce geomètre avait à convaincre des
Sophistes obstinés qui se faisaient une gioire de se lefuser aux vérités le
plus évidentes » e Houel (‘) ha ripetuto che la forma dogmatica d’ Euclide è
dovuta a * sa préoccupation de fermer avant tout la bouche à des sophistes que
la Grece avait le tori de prendre au sérieux ». « De là » egli aggiunge « son
habitude de demontrer toujours qu' une chose ne peul pas ótre au lieu de
demontrer qu’ elle est . ». Queste affermazioni sono state frequentemente con¬
testate, giacche è difficile riconoscere che i sofisti abbiano esercitato
un'influenza diretta, non dico sopra Euclide, ma nemmeno sopra i geometri, suoi
prede¬ cessori, che hanno elaborato criticamente la scienza matematica (').
Tuttavia si può citare, a questo pro¬ posito, qualche accenno ad una polemica
antimatematica di Protagora ( 4 ) e di Antifonte (“) tendente a restituire
(avverso la filosofia razionalistica) il carattere empirico ai concetti della
geometria: argomenti dello (‘) Elementi de geometrie, Parigi, 1741 (pref. pagg.
10-11)., (-) Essai critique sur tea Principe s fondamenlaux de la Géo- métrie,
1“ cd. Parigi, I6b7, (pag. 7). ( 3 ) Nondimeno i rapporti amichevoli di
Protagora col mate¬ matico 1 eodoro di Cirene sono attestati da Platone:
Teeleto 161 b 162 a. ( 4 ) Aristotele, Mei. II, 2. (20). (’’) Cfr. Simplicio in
Aristotele Phvs.: Diels B. 13. La logica degli antichi stesso genere vedonsi
comunemente ripetuti dagli empiristi» e — per quanto concerne l'antichità — si
trovano raccolti da Sesto Empirico (‘). Ma, qualunque veduta si abbia intorno
alle idee espresse da Clairaut e da Hoiiel (che sono errate almeno per quel che
concerne la svalutazione del movimento sofistico I), un altro nesso, più
importante, appare fra la critica logica dei matematici e la dia¬ lettica dei
sofisti, poiché 1’una e l’altra sono generate insieme dalla filosofia eleatica.
Infatti Zenone d’Elea è additato, dallo stesso Aristotele, come inventore di
quell’arte litigiosa che è la dialettica (') ; e — d’altra parte — l’analisi
penetrante di P. Tannery e di H. G. Zeuthen sui celebri argomenti intorno al
moto (la dicotomia, l’Achille, la freccia, ecc.), ha messo in evidenza il loro
significato e valore mate¬ matico, sicché il sottile dialettico — in cui la
tradi¬ zione non ha veduto che un ragionatore paradossale — si scopre ai nostri
occhi come iniziatore di quell’ ordine di considerazioni che costituisce
l'analisi infinitesimale. Ed é sommamente istruttivo riconoscere che proprio
dalle considerazioni infinitesimali — in cui il pensiero i trova esposto a non
sospettate fallacie — trae origine la critica del ragionamento, onde ne esce
fuori la sco¬ perta del principio di contraddizione e il procedi- (*) Adversus
Aialhcmaticos, I. III. ( 2 ) Cfr. Diog., L., Vili, 57; Sesto Adv., Math., VII,
6 (in Diels, Zenone, A, IO); Aristotele ed. Didot, voi. 5°, 2 a parte, pag.
42.Capitolo I dimento di riduzione all'assurdo ('). Democrito che spingerà
innanzi l’analisi infinitesimale, scoprendo il volume della piramide, viene
parimente ricordato da Diogene Laerzio come prosecutore della dialettica
zenoniana. Ma importa spiegare, sia pure con brevità, come le origini
dell’analisi infinitesimale si riattacchino ad un critica dei principi della
geometria, a cui pertanto viene a connettersi lo sviluppo della logica. La
dimo¬ strazione delle cose che qui asseriamo si troverà nei lavori degli
storici sopra citati ( 3 ), ed anche in altri nostri scritti, in cui abbiamo
trattato più particoiar- mente questo soggetto. Secondo le notizie che ci
vengono fornite da Proclo, nel commento al primo libro dell' Euclide, l
principali teorie geometriche che costituiscono gli Elementi furono elaborate
dai pitagorici e ricevet¬ tero già in questa scuola uno sviluppo dimostrativo.
Zeuthen suppone che il punto di partenza di questo sviluppo sia stato il tentativo
di stabilire in generale la relazione fra i quadrati dell’ipotenusa e dei
cateti del triangolo rettangolo, nota sotto il nome di * teorema di Pitagora ».
D altronde vi sono numerosi indizi che la geometria pitagorica avesse come
fondamento una teoria delle proporzioni (o della misura), basata sopra un
concetto empirico del punto-esteso, preso come ( ) Cfr. Enriques, Il
procedimento di riduzione all'assurdo. <c Bollettino della Mathesis », 1919.
{') Cfr. in ispecie P. Tannery, Pour la Science hellcne , cap. X. La logica
degli antichi elemento unitario di tutte le cose (monade) : così l’affermazione
pitagorica che « le cose sono numeri » è da interpretare nel senso che i corpi,
o le figure geometriche — che in questo stadio del pensiero si pensano in maniera
concreta — sono aggregati di punti, cioè unità aventi posizione. Ma l’ipotesi
monadica traeva con se la commen¬ surabilità di due segmenti qualsiansi, che
appunto rendeva senz' altro possibile la misura, e questa con¬ seguenza doveva
urtarsi — nella stessa scuola pitago¬ rica — colla scoperta che la diagonale e
il lato del quadrato sono incommensurabili. Ora, mentre i pita¬ gorici si
affaticavano intorno a questa difficoltà, altri filosofi che del resto sono
usciti dai medesimi circoli ('), iniziano la critica dei concetti geometrici,
riconoscendo che un pensiero razionale, il quale voglia mantenersi immune da
contraddizioni, deve riguardare il punto come privo di estensione, la linea
come lunghezza senza larghezza, la superficie senza spessore, e di qui vengoonaturalmente
condotti alle prime considerazioni infinitesimali. Questi critici razionalisti
sono gli Eleati: Parmenide e il suo discepolo Zenone. La loro specu¬ lazione
(appartenente alla prima metà del secolo 5° a. C.) segna un punto decisivo nella
storia della filosofìa greca, perocché essa proclama nettamente, per la prima
volta, i diritti della ragione: il pensiero coerente viene assunto *) P» r me
ni de è annoverato fra i pitagorici nel catalogo di Giarablico (Diels, Pyth,
45, A.) e delle sue relazioni con altri pitagorici ci viene attestato da
Diogene Laerzio. CapitoloSenz’ altro a misura della verità, cioè dell'
esistenza metafisica, distinta e contrapposta all’ opinione proba¬ bile che si
riferisce alla realtà sensibile. Da questo razionalismo, per cui il pensiero
non esita a staccarsi dalle apparenze fenomeniche per ser¬ bare rigida fede ai
suoi principi, nasce — come si è detto — il metodo dialettico, che è il germe
della logica. La quale ebbe a svilupparsi di poi, mentre fervevano le controversie
fra empiristi e razionalisti, e — per opera di questi — si proseguiva lo
sviluppo dell analisi infinitesimale (Democrito), e se ne inda¬ gava
criticamente i principi (Eudosso). Ma, poiché questa critica — toccando alla
teoria fondamentale degli incommensurabili e delle propor¬ zioni — veniva ad
involgere 1’ intiero problema del- l’assetto rigoroso della geometria, la
ricerca logica non poteva limitarsi all’ analisi dei sottili procedimenti della
deduzione, anzi doveva naturalmente estendersi all’ordi¬ namento della scienza
e alla valutazione dei suoi principi. 2. Giudizi di Platone sull’ordinamento
della cienza. — In rapporto a ciò che precede riescono sommamente espressivi ed
interessanti i giudizii di Plato ne, sebbene forse, si sia esagerata dallo Zeuthen
( ! ) 1' influenza che il filosofo ateniese può ( l ) .« Sur la riforme qu' a
subie la malhématique de Platon à Euclide et gràce à laquelle elle est devenue
Science raisonnée (in danese con riassunto in francese : Memorie dell’
Accademia di Co¬ penhagen, 1917). La logica degli antichi avere esercitato su
pensatori matematici quali EudossoTeeteto, allorché designa il movimento
criticoel tempo col nome di « riforma platonica dèlie matematiche ». Riferiamo
alcuni passi della Republica (‘):Republica ( 510 , c, d, e) * .... Quelli che
si occu¬ pano di geometria e di aritmetica ecc. assumono il pari ed il dispari,
e le figure e tre speciedi angoli, e altri simili supposti nelle dimostrazioni
; e come avendone certa scienza questi supposti li prendono per base, e quasi
fossero evidenti non pensano affato a darne alcuna ragione, nè a se stessi, nè
agli altri ; anzi, di qui partendo, ordinatamente dimostrano lutto il resto
giungendo infine a ciò che si proponevano di dimo¬ strare.... Essi si valgono,
per ciò, di figure visibili, e ragionano su di esse, non ad esse pensando, ma a
quelle di cui queste sono 1' immagine, ragionando sul quadrato in se stesso e
sulla sua diagonale, anziché su quello o quella che disegnano ; e cosìutte le
figure che formano o disegnano (quasi ombre o im¬ magini specchiate dall'
acqua), tutte le adoperano come rappresentzioni, cercando di vedere attraverso
di esse i loro originali, che non sono visibili se nndall’intelligenza
(5:cV3ix).... ». (511) « .... Questa specie invero io la dicevo intelligibile,
e intendevo dire che l’anima nell’ investi¬ gazione di essa, è costretta a
valersi di remesse, e (‘) Ci valiamo dell’ed. Didot e della trad. it. edita da
Laterza, che riportiamo con lievi modificazioni. non procede al principio,
perchè non è in grado di andare oltre alle premesse, ma si vale, come d’ im¬
magini, degli originali appartenenti al mondo di quaggiù, da esse imitali,
valutandoli e stimandoli come eidenti di fronte a quelle, » mentre « il
ragiona¬ meno che usa la forza della dialettica, considerando le remesse non
come principi ma soltanto come pre¬ esse — quasi punti d’ appoggio e di
partenza — giunge a ciò che più non ha premesse, cioè al prin¬ cipio
universale, e raggiuntolo e tenendosi fermo alle conseguenze che ne derivano, perviene
al fine senza far uso di nessun sensibile, cioè procede dalle idee stesse alle
idee attraverso le idee, per finire alle idee *: di qui la distinzione posta
fra la ragione del dialet¬ tico (vo’jc, vóy}oic) e l’intelligenza del geometra
(3:xvo:s() che * sta di mezzo fra 1’ opinione e la ragione ». La stessa
distinzione ritorna in : Rep. (533c,...) «.... la geometria e le scienze
affini... sognano rispetto all’ essere, ma è imposibile che lo vedano ad occhi
aperti, {intanto che si valgono di postulati e li tengon fermi, mentre non
sanno ren¬ derne conto. Veramente la disciplina, che ignora il suo principio, e
che ha la fine e il mezzo legato a ciò che non sa, come si potrebbe chiamarla
scienza ?... » .Vi è qualche difficoltà a comprendere queste vedute. Anzitutto
giova respingere l’ interpretazione più comune, che stabilisce una differenza
radicale fra la ragione del dialettico e l’intelligenza del geometra, giacché
non si riesce a dare alcun significato alle La logica degli antichi idee
platoniche, se non ammettendo che esse « esi¬ stano » nello stesso senso in cui
si afferma l’esistenza di rapporti o di forme matematiche nella natura. L'
apparente contraddizione fra questo modo d'in¬ tendere la dottrina e le parole
del testo sopra accennato, si toglie ammettendo che il posto inferiore
attribuito alle matematiche di fronte alla dialettica, si riferisca non tanto
alle matematiche pure, costruibili come scienze (pafW’yiJ.aT*) secondo l’ideale
del Nostro, quanto alle matematiche considerate come arti (zl'/yy.:) ( ). Ed in
appoggio a tale veduta si possono citare altri passi dello stesso dialogo, p.
es. : Rep. (527) .... anche coloro che sono poco pro¬ fondi in geometria, non
metteranno in dubbio che questa scienza è tutto il contrario di quanto parrebbe
dalla terminologia che usano quelli che la professano... È una terminologia
troppo ridicola e misera, perchè — quasi si trattasse di scopo pratico —
parlano sempre di quadrare, di prolungare o di aggiungere ; invece tutta la
scienza si coltiva collo scopo di co¬ noscere ». Ma qual’ è l’ordinamento della
geometria vagheg¬ giato da Platone? su che base vorrebbe egli edifi¬ carne i
principi ? I passi citati indicano assai chiaramente che per conferire alla
scienza un valore razionale, il filosofo (*) Cfr. G. Milhaud: Les philosophes
géometres de la Grece. Parigi, Alcan, 1900 (Ch. lì). Enriques: Scienza e
razionalismo, Bologna, Zanichelli, pag. 50. vorrebbe eliminare quelle domande
che si pongono a fondamento delle dimostrazioni, sotto il nome di postulati
(«•tr'pzra), mercè cui si assume la possibi¬ lità di certe costruzioni, facendo
appello ad opera¬ zioni pratiche sopra modelli sensibili. La base della
geometria, edificata secondo i criteri della dialettica, consisterebbe duue in
pure definizioni (il procedi¬ mento dialettico ha appunto come scopo di
definire i concetti !) o in principi evidenti — quali gli assiomi — che Platone
riguarderebbe come conoscenze in¬ nate, giusta la teoria della reminiscenza
esposta nel Menone. In tal guisa le proprietà elementari che le figure visibili
hanno porto occasione di riconoscere, merce 1 intelligenza ideahzzatrice
(oixvoia), appari¬ rebbero fondate sulla pura ragione (voO;). . Il concetto
della scienza dimostrativa in ristotele: Analytica posteriora. — Ora, ri¬
volgendoci agli Analytica di Aristotele, vi trove¬ remo notizie più precise sui
criteri adottati dai geo¬ metri nell ordinamento logico della scienza, criteri
che sara interessante di raffrontare a quelli che ap¬ paiono, in atto, negli
Elementi euclidei. Già al principio degli Analytica priora, l’autore definisce
il concetto della scienza di cui imprende lo studio. « Anzitutto e da dire il
soggetto e lo scopo di questo studio : il soggetto è la dimostrazione e lo
scopo è la scienza dimostrativa (à~:a~y.tirj à7to8sM~:xf/) ». Quindi, negli
stessi Analytica priora, viene a sta¬ bilire la teoria del sillogismo, e passa
poi ad esami- nare — nei posteriora — l’ordinamento delle scienze deduttive,
riferendosi perciò continuamente alle ma¬ tematiche. Quest’ ultimo trattato,
che qui occorre special- mente esaminare ('), si apre coll’ enunciato che «
Ogni conoscenza razionale, sia insegnata, sia acquistata, deriva sempre da
conoscenze anteriori. 'L'osservazione mostra che ciò è vero di tutte le
scienze: infatti questo è il procedimento delle matematiche e, senza eccezione,
di tutte le altre arti ». Ora dal concetto stesso del sapere « segue
necessariamente che la scienza dimostrativa procede da principi veri, da prin¬
cipi immediati, più noti che la conclusione, di cui sono la causa ed a cui
precedono » ( 2 ). Aristotele (ibidem, 1, 3) esamina e respinge le obiezioni di
due specie di avversari di questa dottrina, i quali pretendono : 1) o che non
vi sieno principi e però che la dimostrazione riesca impossibile, dando luogo
ad un regresso all’ infinito ; 2) o, all' opposto, che il procedimento della
dimostrazione sia affatto relativo, sicché i principi possano provarsi partendo
dalle conclusioni, così come le conclusioni dai principi: ciò che egli dice
.dar luogo ad un circolo vizioso. Sarebbe assai interessante conoscere gli
avversari (*) Cfr. Enriques: Il concello della Logica dimostrativa secondo
Aristotele in « Rivista di filosofia », Gennaio 1916. ( 2 ) An. post. I, 2 (6).
a cui il Nostro si riferisce: forse la prima obiezione apparteneva alla
polemica antimatematica di filosofi empiristi, mentre la seconda potrebbe
essersi presen¬ tata nei circoli megarici (imbevuti del relativismo eleatico)
ovvero a Democrito o ad altri matematici, critici dei principi della scienza.
Ad ogni modo, della veduta qui espressa — che è solo apparentemente illogica —
ci colpisce l'analogia che essa presenta con talune vedute moderne, come avremo
occasione di rilevare in appresso. Aristotele doveva combattere questo
relativismo, poiché tutta la sua metafisica, ispirata alla dottrina platonica
delle idee, e soggiacente alla sua logica, reagisce appunto alle tendenze
relativistiche delle spe¬ culazioni, che dalla scienza presocratica erano pas¬
sate nel dominio del costume e delle credenze religiose, in guisa da minacciare
le condizioni della vita sociale nel mondo ellenico. 11 parallelismo che gli
Eleati avevano scorto fra il pensiero e l’essere, e che i sofisti (avversari e
prosecutori) avevano interpretato nel senso di proiettare nella realtà
l’arbitrario che è proprio della libera critica, riceve, nella dottrina
socratico-platonica, una interpretazione inversa : infatti la teoria ontologica
delle idee, suppone un ordine assoluto di verità che stanno di fronte al
pensiero come dati, sopra cui esso ha da modellare l’ordine della propria
scienza. Così dunque Platone vede nella classiicazione delle forme geometriche
un modello della gerarchia delle specie naturali, la quale si rispecchia nquel
procedimento più generale di divisione e di definizione che costi- tuisce la
dialettica. Ed analogamente per Aristotele, il rapporto necessario ed
irrversibile fra cause ed effetti, offerto dalla natura, si riflette nel
rapporto fa premesse e conseguenze della scienza dimostrativa; la quale perciò
possiede un ordine naturale che non può essere invertito, onde i suoi principi
appariscno assolutamente indimostrabili : An. post. I, 2 (9): Bisogna che i
principi da cui si parte sieno indimostrabili; altrimenti, non pos¬ sedendone
la dimostrazione, on potrebbero ritenersi noti, poiché sapere in modo non
accidentale le cose di cui la dimostrazione è posibile, è possederne la
dimostrazione ». Ora, proseguendo l’esame degli Analityca po- steriora, veniamo
istruiti più precisamente che i principi della scienza, si lasciano distinguere
in più specie : 1) Termini o definizioni (3 poi), cioè supposizioni del
significato delle parole (in linguaggio moderno : assunzioni di concetti
primitivi non definiti) e defini¬ zioni propriamente dette (*). 2) Supposizioni
d’esistenza del genere e delle sue modificazioni, cioè delle cose designate dai
termini. 3)Proposizioni immediate che occorre necessa- (*) La teoria logica
della definizione è trattata da Aristotele in An. post. II, e specie nei Capi 9
e 12: dove si pscrive la regola di restringere successivamente 1*estensione del
genere aggiungendo — nell’ordine naturale — le differenze che lo delimitano,
fino a che esse circoscrivano, nel loro insieme, l’estensione delsoggetto da
definire. Enriques 2 18 Capitolo I riamete conoscere per apprendere qualsiasi
cosa, le quali vengono chiamate assiomi (ófiwpaTsc) * giacché vi sono
proposizioni di tal natura e ad esse si riserva abitualmente questo nome »( 1
). 4) Infine anche ipotesi o postulati (odr^i-istra), che s'introducono
effettivamente nell’ insegnameto delle matematiche (o anche nella discussione)
domandando al discente di ammettere l'esistenza di qualche cosa di cui egli non
abbia alcuna idea, ovvero abbia un’idea contraria. Qui d concetto d Aristotele
riesce alquantscuro ; giacché da una parte egli sembra ammettere (come Platone)
che i postulati potrebbero essere elim¬ nati : * postulato... e ciò che si pone
senza dimo¬ strazione, quantunque potrebbe dimostrarsi, e di cui ci si serve
senz’ averlo dimostrato » (I, 10 (8) ) ; e d’ altra parte (riferendo evidentemente
le vedute dei geometri) egli avverte (9) che « le definizioni non sono ipotesi
perchè non dicono se le cose definite esistano oppur no... ». Ma probabilmente
il suo pen¬ siero è che il sapere dovrebbe edificarsi su quelle sole
supposizioni d'esistenza che hanno carattere di neces¬ sità, essendo vere di
per sé stesse (xaO’ alili), le quali « non si possono considerare come ipotesi
o postu¬ lati.... » (1, 10(7)), imperocché * la dimostrazione.... si rivolge
non alla parola estariore, ma alla parola interiore dell’animo ». Con ciò il
Nostro fa appello a quel sentimento d’evidenza del pensiero che Platone 0)
Usalo dai pitagorici secondo Giamblico (in Diels, D, 6).La logica degli antichi
19 ha rappresentato come intima sincerità nel Teeteto, servendosi quasi delle
stesse parole ('). Tuttavia Aristotele critica la teoria platonica della
reminiscenza ( 2 ), negando che vi siano conoscenze innate ; la conoscenza
universale dei principi viene per lui acquisita indubbiamente dalla ensazione :
essa si produce mercè 1' unità dell’ esperienza che sussiste nell' anima,
nonostante la molteplicità degli oggetti, in forza della facoltà di fissare ciò
che vi è di simile o d’identico nei particolari e di riconoscerlo come dato del
pensiero. (An. post. 11, 15 (5,6, 7)). Ciò non toglie all’ assoluta verità che
l'intelligenza idea- lizzatrice (òtavaa), fondamento della scienza, confe¬
risce ai suoi principi (II, 1-5 (8)). 4. I principii negli Elementi d’ Euclide.
— Alle dottrine d’Aristotele giova paragonare quelle che appariscono nell’
ordinamento degli Elementi di Euclide ( :! ). ( l ) (189 c.) « (Il pensare è)
un discorso che l'anima rivolge a sè stessa, per sè, intorno alle cose che
consideri ». (190) « .... nemmeno in sogno hai ardito dire a te stesso che....
il dispari è pari, o altra simile cosa ». (-) An. priora II, 21 (7) e An. post.
I, I (7). ( 3 ) Heiberg « Euclidis opera omnia » Teubner, Lipsia, 1883-88.
Secondo le indicazioni del commentatore Proclo di Bisanzio (412-485 d. C.),
Euclide sarebbe vissuto in Alessandria al tempo del re Tolomeo. Così può
argomentarsi che gli Elementi sieno stati scritti intorno al 300 a. C. (Le opere di Aristotele che
conosciamosembrano appartenere all’ultimo decennio della sua vita, terminata il
322 a. C.),Nei quali si trovano tre specie di principi : 1) termini o
definizioni (Spot): 2) postulati 3) nozioni comuni (y.otvof Ivvoiat). Non èqui
il luogo per sottoporre ad un’analisi appio- fondita queste premesse, che — a
dir vero — sono lungi dall’apparire soddisfacenti, tanto che dal Tannery si è
perfino messo in dubbio la loro autenticità ; solo, rife¬ rendoci alla critica
che ne ha fatto lo Zeuthen 0). « limiteremo ad alcune osservazioni logiche. Ma
anzitutto vogliamo arrestarci un momento sopra una questione di parole. Non
pochi si meravigliano che Euclide abbia usato il termine « nozioni comuni » per
designare quelli che Aristotele chiama (coi matematici pitago¬ rici) * assiomi
», tanto più che — si dice — la parola « evvow » compare solo più tardi nel
linguaggio degli Stoici. Ora non è fuor di luogo rilevare che la stessa parola
si trova pure in Democrito ( s ), e in un senso che richiamerà più avanti la
nostra at¬ tenzione. il rilievo assume interesse per la circostanza che
Democrito compose, circa cent’anni prima d’ Eu¬ clide, degli Elementi, che non
sono annoverati nel sunto storico di Proclo, ma di cui Trasillo ci ha
conservato i titoli ( :J ) ; tanto più che questi lasciano (*) Clr. Hisloire
dea malhimallquea traci, dal danese di Mascari (Parigi, Gauthier-Villars 1902):
n. 14, 69 94. ( 2 ) Cfr. Sesto in Diels, A, III. ( 3 ) rsti>|isi?t>t(óv
(A, li ?), Api0|io£, IIspl à/.dyfev Ypxfijitòv stai vxowùv A, li (cfr. Diels B,
II", II 0 , I |P). La logica degli antichi scorgere un ordinamento della
materia simile a quello adottato dallo stesso Euclide. Non sembra fuor di luogo
congetturare che nella terminologia democritea gli assiomi venissero appunto
designati come * no¬ zioni » o € nozioni comuni », e che il geometra
alessandrino, imprendendo a sistemare la stessa ma¬ teria, in rapporto ai
progressi critici del secolo, abbia conservato la denominazione del suo
illustre prede¬ cessore: al quale di preferenza doveva guardare (')• Diciamo
ora che la distinzione fra le nozioni comuni o gli assiomi, e i postulati,
viene spiegata da Gemino in Proclo ( 2 ), come analoga a quella fra teoremi e
problemi, o fra identità e equazioni, in quanto i primi porgono delle
relazioni, per cui certe proprietà resultano conciute come conseguenza di altre
date, laddove i secondi assegnano costruzioni elementari, ciò che — nel
concetto dei Greci — significa affermare l’ esistenza di enti particolari cui
s’impongono certe condizioni. Questo carattere co¬ struttivo sembra mancare
soltanto al post. 4 (tutti gli ngoli retti sono uguali fra loro) ; ma Zeulhen
spiega come in tale affermazione debba vedersi un comple¬ mento del post. 2,
nel senso di affermare che il pro¬ lungamento di una retta è unico. (*) In
appoggio della nostra veduta può valere, forse, un passo del noto commento «
Prodi Diadoclii in primum Euclidis Elemenorum librato commentari! • (ed.
Friedlein, pg. 194, linee 8-9) in cui sembra che Proclo alluda all'uso dei
geometri di chiamare « nozione comune » ciò che Aristotele chiama « assioma ».
( 2 ) 1. c. pg. 193 e seg. Cfr. Vailati, Scritti, pag. 547. Proclo osserva pure
che gli assiomi e i postulati differiscono anche per essere : questi, principi
particolari della geometria, e quelli, principi comuni alle varie scienze ;
infatti si tratta qui delle proprietà generali dell uguaglianza e
diseguaglianza fra grandezze. Infine la distinzione fra le due specie di
principi si accorda anche col criterio d'Aristotele, che rico¬ nosce negli
assiomi delle verità cessarie ed indi¬ mostrabili, perchè evidenti di per se
(xocS' èx jvx), e nei postulati delle verità — partecipanti ad un’ altra specie
di evidenza (sensibile) — che non risultano ugualmente dviyxw dal significato
dei termini che vi figurano : la natura dei principi, enunciati da Euclide come
nozioni comuni, sembra infatti rispondere a questo criterio.Ma se taluni
geometri (al dire dello stesso Proclo) recusavano di distinguere assiomi e
postulati, mancano tuttavia indizi per affermare che essi respingessero il
significato che Aristotele e probabilmente altri ancora (secondo la metafisica
del senso comune) attaccavano a codesta distinzione, così come lo respinge la
critica moderna, che per tale motivo appunto — considera ugualmente le
proposizioni primitive della scienza quali postulati, da ricevere, in una
qualsiasi teoria deduttiva, come dati anteriori allo sviluppo della teoria
stessa. Un piccolo lume ci è recato in tali questioni dal riferimento dello
stesso Proclo (1. c. pg. 194) circa un tentativo di dimostrare l'assioma I
(cose uguali ad una terza sono uguali fra loro), che sarebbe stato fatto da
Apollonio. Infatti della tentata dimostra- La logica degli antichi zione viene
porto il seguente cenno : « Sia a uguale a b, e b uguale a c ; dico che a è
uguale a c. Invero a occupa Io stesso luogo (córto;) di b, e così b occupa lo
stesso luogo di c; quindi anche a occupa lo stesso luogo di c ». Questo
ragionamento indicherebbe forse che Apollonio voleva ricondurre il concetto
euclideo dell’eguaglianza geometrica al caso della sovrappo¬ nibilità delle
figure, facendo appello ad esperienze ideali di movimento, mercè cui poteva
iludersi di ridurre ad una pura proposizione identica laproprietà transitiva di
quella relazione : mentre il ricorso a siffatte esperienze ci avverte appunto
(con Helmholtz e Stolz) che il detto assioma 1 ha un significato sntetico e non
può ritenersi come una semplice proposizione analitica (vera per definizione).
Comunque il rifri¬ mento accennato lascia presumere che la critica deiprincipi
sia stata spinta innanzi da Apollonio, dopo Euclide, con quella penetrazione di
cui volentieri siamo disposti ad accreditare il grande geometra iPerga.
Ritorniamo all' Euclide per esaminare, in breve, i principi eh' egli ha
designato col nome di ós: termini o definizioni. Se essi vengono considerati
come defini¬ zion,non si può a meno di rilevarne la manchevolezza, poiché non
offrono, spesso, che descrizioni atte a indi¬ care la genesi psicologica dei
concetti : così, p. es., in 3 e 3, dove si dice che gli estremi di una linea
sono punti, e che gli estremi di una superficie sono linee. Ma, verosimilmente,
queste ed altre spiega¬ zioni sono da considerare in rapporto alla tradizione
storica precedente, come un richiamo dei caratteri per cui gli enti delia
geometria razionale appaiono idea¬ lizzazioni dell'esperienza: p. es. le I, 2,
5 stanno a ricordare che — secondo il risultato della critica eleatica il punto
è inesteso, la linea è lunghezza senza larghezza, e la superficie non ha
spessore ('). Anche quelle che si presentano come definizioni propriamente
dette, non ottemperano sempre al criterio (ondamentale enuncato da Aristotele,
che l’insieme degli attributi restringa 1 estensione del genere in guisa da non
appartenere ad alcun concetto più esteso. Per questo motivo sembra
insufficiente la def. 4 « linea retta è quella che e posta ugualmente rispetto
ai suoi punti » ; imperocché, se s interpreta come si usa comu¬ nemente « retta
è quella linea che è divisa in due parti uguali da qualsiasi uo punto », si
enuncia una proprietà non caratteristica della retta, che appartiene anche
all’elica (cfr. Apo llonio in Proclo: 105, 5). Ora conviene aggiungere che
Euclide, non sol¬ tanto suppone I esistenza di ciò che viene immedia¬ tamente
designato da alcuni termini, ma sembra anche introdurre surrettiziamente alcune
ipotesi esistenziali, per mezzo di definizioni, laddove — per analogia coi
criten seguiti in altri casi — si sarebbe aspettata l'esplicita introduzione
dinpostulato. Ciò accade, in ispecie, per quel che riguarda le intersezioni di
rette e circoli, le assunoni adoperate nelle prop. I, 12, 22 sembrando giustificarsi
(secondo che osserva 0) Cfr. Proclo 1. c. pg. 94, linea II. La logica degli
antichi lo Zeuthen) mediante la definizione (15) del cir¬ colo come figura
piana compresa da una sola linea. Ma non giova insistere su tali difetti, che
apparten¬ gono all’esecuzione e non modificano i criteri logici del disegno.
Restando nell’ordine d’idee euclideo, avremmo soltanto da completare i
postulati coll’ enun¬ ciare esplicitamente i casi d'esistenza delle interse¬
zioni di rette e cerchi o di due cerchi, che si offrono nelle costruzioni
elementari. Interessa piuttosto di rile¬ vare come queste ipotesi esistenziali,
che la geometria antica introduceva nei singoli casi, mercè appropriate
costruzioni, oggi si lasciano dedurre da un unico prin¬ cipio generale di
continuità (‘), onde l'affermazione d’esistenza si libera dalla ricerca dei
mezzi costruttivi, complicantisi colla natura del problema. E questo un
progresso conforme all'indirizzo preconizzato da Pla¬ tone, che— come si è
visto — repugnava appunto da ciò che sa di pratico o di meccanico nella formu¬
lazione dei postulati. Nota. A complemento di quel che si è detto intorno alla
geometria euclidea, aggiungeremo che Archimede ( 5 ) sembra classificare e
distinguere i principi in modo diverso, poiché (in una lettera a (*) Cfr. p.
e*. I* art. 5° di G. Vii a li nelle Questioni riguar¬ danti le matematiche
elementari raccolte e coordinate daF. Enriques Voi. J, Bologna, Zahelli, 1912.
(-) De sphaera et cilindro in « Archiinedis opera omnia cum commentari^ Eutocii
», ed. Heiberg. Lipsia, 1910. Cfr. The Work* of Archimedes, e. Heath,
Cambridge, 1897. Capitolo I Dositeo) chima « assiomi » (à^:ih\i.xTx) le
definizioni accompagnate da supposizioni d’esistenza : p. es. esi¬ stono linee
piane che giacciono tutte da una parte ecc., e queste si dicono concave ;
mentre poi dà il nome di * assunzioni » (Aa|l3*V0;xsva) a taluni principi
(teoremi precednemente stabiliti o postulati, assai eleganti) da cui muove la
sua trattazione: p. es. la retta è la linea più breve tra due punti. Il commento
d’Eutocio restituisce agli àfjuojtara archimedei il nome di opy.. 5.
Considerazioni sintetiche sulla logica dei Greci; — Se ora, riguardando
soprattutto ai secondi Analitici d’Aristotele e agli Elementi d’Euclide,
cerchiamo di esprimere le nostre impressioni in un giudizio sintetico sulla
logica degli antichi, doman¬ dandoci fino a che punto i loro criteri ci
sembrino accettabili o esaurienti, siamo condotti alle seguenti riflessioni :
I) La logica dei Greci suppone un ingenuo realismo per cui il pensiero appare
come la copia o la visione di una natura esterna. Così il « numero » dai
pitagorici e lo « spazio continuo - dagli eleati, sono pensati in concreto, ad
imitazione di quella sostanza cosmica che viene figurata costituire il sostrato
natu¬ rale (la epa:;) di tutte le cose. La supposizione reali¬ stica è
tipicamente espresa nella teoria delle idee di Platone, che (orma infine la
metafisica soggia¬ cente alla logica d'Aristotele. Da essa deriva il carat¬
tere di necessità dei principi, e quindi la pretesa di un ordine naturale della
scienza, facente capo a pre- messe assolutamente indimostrabili; la qual
pretesa viene corretta, almeno in parte, nelle vedute dei geometri. 2) Ma dallo
stesso realismo, ha origine la radicale manchevolezza della teoria della
definizione. Poiché le oscunta del trattato di Aristotele e le imperfezioni
dell’Euclide, in enere gli errori della critica che si riscontrano in tali
opere, si possono riattaccare a codesto presupposto, quasi a comune radice. Si
ammette infatti che le parole rispondano ad enti di un mondo intelligibile
trascendente il soggetto, che si tratta di fissare univocamentDi qui il
criterio che la deduzione logica debba tener presenti, non soltanto le premesse
esplicitamente enunciate come assiomi o postulati, bensì anche il significato
dei ter¬ mini su cui si ragiona, vedendo, attraverso di essi, quella realtà
(geometrica ecc.) che è oggetto del pen¬ siero. Ma ciò significa autorizzare
nel ragionamento inconfessati appelli all' intuizione, che, dichiarati, si
tradurrebbero in nuovi assiomi. Ora, se l'intuizione (o visione del
significato) rimane sempre presupposta nel ragionamento, quando mai potremo
assicurarci che gli assiomi formino un sistema completo? A stretto rigore di
tale domanda non si riesce neanche a defi¬ nire il senso ! E quindi non si
comprende perchè si senta il bisogno di enunciare — a preferenza di altri —
alcuni fra gli assiomi, che pure sono dichiarati evidenti, necessari ecc. ecc.
3) Aggiungiamo che anche l’analisi aristotelica del ragionamento, facente capo
alla teoria del siilo- gismo (An. priora) sta pure in relazione col presup¬
posto metafisico della logica. E specialmente colla circostanza che i Greci, in
generale, immaginarono la realtà intelligibile rappresentata dalla scienza, sul
tipo statico della classificazione delle forme geome¬ triche : tale è infatti
il carattere dell’ ontologia eleatica, che imprime il suo suggello sulla
dottrina platonica non superata veramente da Aristotele (*). Soltanto
Democrito, come diremo più avanti, si solleva al concetto di una scienza
razionale del moto, ma le sue vedute filosofiche non trovano adeguato sviluppo
se non due mila anni più tardi, all epoca della Rinascita. Qui conviene
rilevare che le critiche mosse alla teoria sillogistica dagli empiristi inglesi
(da Bacone a Stuart Mill), opponenti alla deduzione 1 induzione generahzzatrice
dell’esperienza, hanno fatto perder di vista ciò che manca all’ analisi
aristotelica del ragiona¬ mento, pur riguardato nelle forme rigorose, che sole
appartengono — secondo il concetto del filosofo greco alla logica dimostrativa
propriamente detta. Infatti i brevi cenni che Aristotele dedica all’induzione
(completa), negli Analylica priora, non suppliscono certo all’analisi delle
operazioni logiche costruttive (significate da particelle come « e », * o »
ecc.) che accanto al sillogismo ricorrono nello sviluppo delle dimostrazioni
matematiche. La quale lacuna torna a (i) Cfr. Cli. Werner, Aristotele et V
ideallsme plalonicien, Alcan, Parigi, 1910. riflettersi sulla teoria delle
definizioni, che appunto esprimono codesto lavoro costruttivo del pensiero. 4)
Infine giova rilevare che l’anzidetto realismo si riflette in una concezione
ingenua del linguaggio: la filosofia greca — sia che abbia ammesso l'origine
naturale della lingua (come Platone nel Cratilo), sia che abbia rilevato ciò
che vi è di convenzionale nelle parole (come Democrito (*) e Aristotele ( s ))
— non riesce a scorgere la varietà essenziale delle lingue, che tiene ai
diversi modi di rappresentazione delle cose ed esprimendo la libera attività
del soggetto, dà origine all'intraducibilità. Dice infatti Aristotele: De
Inlerpretatione, 1, (4). Le parole della lingua parlata sono l'immagine delle
modificazioni dell'anima e la scrittura è l’immagine delle parole espresse dal
linguaggio.3) Come la scrittura non è identica per tutti gli uomini, così anche
le lingue differiscono fra loro. Ma le modificazioni dell’anima, di cui le
parole sono i segni immediati, sono identiche per tutti gli uomini, come sono
identiche per tutti le cose che quelle modi¬ ficazioni esattamente
rappresentano ». E chiaro come una siffatta dottrina spieghi quella confusione
fra analisi logica e analisi del linguaggio, (*) Proclo, nel commento al
Cratilo, riferisce appunto questa opinione di Democrito, basata auiromonimia e
la sinonimia delle parole, sul cambiamento dei nomi e sul difetto di analogia
nella formazione di certe espressioni verbali. (Cfr. le note alla trad. frane,
del Cratilc di Cousin). ( 2 ) De Inlerpretatione, 2 (1), 30 Capitolo I che
culmina nel concetto aristotelico di trarre dalle forme grammaticali una
classificazione delle « Ca¬ tegorie ». 6. La logica di Democrito e i suoi
influssi sopra Stoici ed Epicurei. — In ciò che precede ci siamo fermati a
studiare il pensiero degli antichi Greci traverso le sistemazioni scientifiche
che sono a noi pervenute. Ma, per 1 intelligenza dello sviluppo ulteriore che
la logica riceve nelle scuole filosofiche dopo Aristotele, conviene tener conto
dell'influsso che i predecessori dellStagirita sembrano aver esercitato sul
movimento delle idee. Infatti codesto sviluppo si lascia definire, nlle sue
linee generali, come tendente a liberare il pensiero dall ontologismo, che pure
sopravvive — in qualche modo — alla ideologia platonico-aristotelica, nella
misura in cui tale filosofia esprime la metafisica del senso comune. E 1
anzidetta tendenza liberatrice si esplica: 1) in un progresso verso il
formalismo logico, che procede dallo studio degli schemi discorsivi, for¬ mante
oggetto degli Analytica priora : questo progresso si avverte già nei primi
paripatetici, come Eudemo, lo scrittore di una storia delle matematiche, e Teo-
frasto il raccoglitore delle opinioni dei fisici, ma più largamente ancora
negli Stoici, in cui è pure passata 1 eredita dei dialettici megarici ; 2) in
una revisione dei principi della teoria della conoscenza, che ha per oggetto
l’origine e il La logica degli antichi valore dei concetti generali da cui
muove la scienza imostrativa: qui soprattutto vengono in luce delle vedute che
debbono essere riattaccate ai grandi pre¬ decessori di Platone e di Aristotele
; sulle quali l’inte¬ resse della questione c invita a fermarci. Ora, se ci
volgiamo a riostruire induttivamente le idee di codesti predecessori, la figura
di Demo¬ crito d'Abdera, deve attirare, sovra ogni altra, la nostra attenzione.
Democrito, vissuto cent’ anni e nato intorno al 460 a. C. (40 anni dopo
Anassagora e 25 anni dopo il suo concittadino Protagora che è il maggiore
rappresentante della sofistica), deve esser considerato come un contemporaneo
più anziano di Platone (427-348/7) ; così, soltanto i pregiudizii do¬ minanti
la ricostruzione della storia del pensiero greco nel secolo decimonono, hanno
impedito di stdare più da vicino i rapporti fra i due filosofi, relegando
Democrito tra i presocratici e perfino tra i presofisti, in onta alla
cronologia (') Democrito è il ande fondatore della teoria atomica, in cui ha
tuttavia come precursore Leucippo, e che fu svolta da lui come una teoria
cinetica cosmologica ; attraverso questa dottrina egli giunse ad una rigorosa
concezine del determinismo meccanico, e verosimilmente he alla scoperta di
principi (massa, inerzia) chalileo ( ! ) Fanno ecfcezione Windelband e Burnel,
che restitui¬ scono airAbderita il suo posto cronologico, ma che — tuttavia —
non sembrano arne un apprezzamento proporzionato all' importanza del suo lavoro
scientifico. 32 Capitolo I ha riostruito due mil’ anni più tardi, riprendendo
le intuizioni fondamentali del lontano predecessore. Per il suo rigido meccanicismo,
con esclusione di ogni teleologia, Democrito viene considerato come il padre
del materialismo, e da ciò appunto ha origine il pregiudizio da cui in ispecie
la storia svoltasi sotto I influenza hegeliana, nel secolo decimonono, non ha
saputo mai emanciparsi completamente : quantunque un esame accurato avrebbe
permesso di riconoscere ello stesso Democrito anche il padre dello spiri¬
tualismo (così come Leibniz sembra avere intuito!) e forse anche di far
risalire a lui l’argomento per I immortalila dell anima basato sulla sua *
sempli¬ cità » o « indivisibilità », che s'incontra nel Fe¬ done 78, b, c, (‘).
Le opere di Democrito, di cui ci sono trasmessi i titoli da Trasillo, formano
una mole imponente e si riferiscono ai più svariati argomenti, dalle mate¬
matiche alla fisica, alle scienze naturali, all’agricol¬ tura, alla grammatica,
alla poetica, alla teoria della conoscenza ecc. ecc.; fra i frammenti più belli
sono da annoverare quelli morali, conservatici da Stobeo. La posizione
filosofica di Democrito, per ciò che concerne la teoria della conoscenza,
resulta dalla testimonianza di Sesto Empirico, laddove egli parla di Democrito
e Platone sostenitori della verità degli intelligibili (ià vorjra) in
contraddizione con Prota- (*) Di ciò mi propongo fornire altrove la prova col
confronto- dei testi aristotelici. La logica degli antichi 33 aora : (*) si
tratta dunque di un razionalismo, che si contrappone all’ empirismo protagoreo.
Ma, poiqhè a sua volta questo empirismo dei sofisti era sorto come una reazione
di caratere positivistico al razionalismo metafisico della scuola d’Elea, è
naturale che De¬ mocrito avesse a tener conto dell’ esigenza fondamen¬ tale che
i sofisti avevano formulato. Egli non poteva semplicemente riprendere come
oggetto della scienza una Verità (£M)0s:a) indifferente rispetto all* opinione
(tot;*) che si riferisce alle cose sensibili, ma doveva invece cercare una
razionalizzazione dell’ empirico, cioè una verità atta a salvare i fenomeni
(ofttTe'.v ~ì 6|JtSV«); e siffatta veduta si poteva esprimere nel linguaggio
tecnico del tempo, dando per compito alla scienza l’opinione vera, o inverata
mediante il ragio¬ namento. Appunto questa teoria della scienza come lii^x
(isià Xóyo'j, viene riferita e discussa da Platone nel Teeteto, ed una comparazione
analitica del testo con altri dello stesso Platone e di Aristotele, prova che
il riferimento deve essere attribuito a Democrito ( 2 ). Ma, poiché la
spiegazione razionale dei fenomeni suppone dei concetti, per mezzo dei quali si
unifichi la rappresentazione delle cose del mondo empirico, si può domandare su
che Democrito ne basasse il ossesso da parte della mente umana. Qui socco^ rono
alcune indicazioni. / . ' ( l ) Diel. A. 59 i eh. A. 114. ( ! ) Cfr. Enriques:
La teoria democritea delta scienza nel dialoghi di 'Platone, Rivista di
Filosofia, 1920, n. I. 1) Anzitutto Democrito viene additato da Ari¬ stotele
come il primo a trattare delle definizioni di cose fisiche, mentre ei ci dice
che con Socrate crebbe l'uso del definire e si estese soprattutto alle nozioni
morali (‘). Conviene intendere che Democrito inizia quel modo di definire
proprio della scuola so¬ cratica, in cui si ricercano i caratteri comuni delle
cose che rispondono al definito ; è più difficile dire se lo stesso Democrito,
come Socrate, facesse anche appello alla nozione comune che tutti gli uomini si
formano in rapporto a dati oggetti ; e tuttavia questo criterio ei ben poteva
derivare da Eraclito, cui lo stesso Socrate sembra avere attinto. 2) In un
frammento della già citata opera logica di Democrito rtsp: àoyrxtòv noi xzvwv
che ci è statmandato da Sesto ( 2 ), vengono distinte due spcie, di conoscenza,
l’una relativa all’ intelligenza (à7j; Siavaas) l’altra alle sensazioni (Ò:à
rwv aìofi^oetov). Dice precisamente Democrito: * Vi sono due forme della
conoscenza : una cono¬ scenza pura o legittima (yvyjafyj) eduna adombrata o
spuria (av.v.ri). Appartengono a quest’ ultima forma : la vista, l’udito, il
gusto, l’odorato, il tatto. Ma la conoscenza pura è completamente distinta ». Ed
ag¬ giunge ce questa conoscenza pura è relativa ad un (') Mtt. I, 4, (3), De
Partibus Animalium I, 1 (ed. Didot, t. IH, pag. 223, 2). ( ! ) In Diel» B. II.
La logicaegli antichi orbano di pensiero più raffinato che prende il posto di
un vedere o di un udire o gustare o odorre o tastare nel più piccolo
(mettendoci così in rapporto colla vera natura delle cose, cioè cogli
atomi).Anche in altri modi Democrito esprime la rela¬ zione fra le due forme
del conoscere ; per esempio ove dice: ( l ) « apparenza (vòptoi) il colore,
apparenza il dolce, apparenza l'amaro ; in realtà soltanto gli atomi e il vuoto
». Ma poi, facendo parlare i sensi contro l’in¬ telligenza, soggiunge « povera
me,prendendo da noi la tua fede, tu vuoi confonderci ; la tua vittoria è la tua
caduta » . Troviamo qui una notizia estremamente interes¬ sante : Democrito, al
pari di Platone e di Aristotele, e prima di loro, dibatteva il problema dell'
origine delle idee ; egli non si fermava, come il filosofo ateniese alla
supposizione di conoscenze innate (teoria della reminiscenza), anzi piuttosto
sembra derivare le idee dalle sensazioni, sicché è lecito pensare che a lui
possa aver attinto Aristotele la veduta che gli abbiam visto esprimere in An.
Post. Il, 15.Ma, mentre in Aristotele non si vede come possa conciliarsi questa
dottrina colla dignità attribuita alle nozioni induttivamente acquistate, che
debbono costi¬ tuire le premesse necessarie della scienza dimostra¬ tiva, ciò
che sappiamo intorno alla teoria delle sen¬ sazioni di Democo (in rapporto alla
fondamentale (*) Galeno in Die!» B. 125; cfr. Sesto in Diels B. 9. Capitolo I
supposizione atomica) e ben atto a sciogliere la dif¬ ficoltà. Ammetteva
infatti il Nostro (‘), che le sen¬ sazioni in generale derivassero da piccole
immagini (sKoiXa) emesse dai corpi e proprie ad impressionare gli organi di
senso ed anche lo stesso pensiero in quella guisa in cui la luce impressiona
una lastra foto¬ grafica : le immagini rispondenti alle conoscenze intel¬
ligibili partenti direttamente dagli atomi — sono di natura più fine ; si
comprende quindi che esse possano liberarsi dalla mescolanza colle immagini più
grossolane che colpiscono i sensi, quando il confronto di sensazioni ripetute,
in rapporto ad una moltepli¬ cità di oggetti, permette di fissare i caratteri
comuni che definiscono il concetto. 3) Che effettivamente Democrito
riconoscesse il valore logico dei concetti, quasi come anticipazioni
dell'esperienza, resulta anche dalla testimonianza di Diotimo in Sesto (VII,
1401 ('), che egli assu¬ meva « come criterio della comprensione delle cose
oscure il fenomeno, e come criterio della ricerca'il concetto » : èvvoia
xpurr/pwv Z,r\vtpzwq. Qui è notevole lo del termine : Ivvotoe che già notammo a
proposto della designazione di y.oiw.l Ivvs:% adoperata da Euclide per gli
assiomi, giacche ab- biam pur detto che codesto termine non si trova nella (*)
Cfr. p. et. Aetiui in Diel», A. 30. ( 2 ) Diels, A. III. 37La logica degli
antichi letteratura filosofica di Platone ed Aristotele, ma invece, più tardi,
presso gli Stoici. Appunto ad un’opera di Crisippo 7tepì £?jT^7S(0£ sembra fare
allusione Plutarco presso Olimpiodoro (*), ove dice che « oli Stoici allegano a
causa di ciò (cioè della possi¬ bilità di arrivare a cose che non si conoscono)
le nozioni fisiche: tàj qjuaixà; èvvofa? ». D’altronde Dio- oene Laerzio (VII,
54) ( 2 ) c’informa che - Crisippo... dice esservi due criteri della verità, la
sensazione e il concetto » ; qui in cambio di svvoia viene adoperata la parola
TtpóXvjtjt:?, che ricorre anche presso gli Epi¬ curei, designando «
anticipazione (dell’esperienza) ».Ora il significato preciso che gli Stoici
davano alle ÈVV 3 tati, si può rilevare, per esempio, da un passo del De
Civitate Dei di S. Agostino ( 3 ) dove si parla di coloro che riposero la
verità nei sensi, cioè degli Epicurei e degli stessi Stoici :« qui cum
vehementer aaerint sollertiam dispu¬ tando quam dialecticam nominant, a
corporis sensibus eam ducendam putarunt, hinc asseverantes animum concipere
notiones, quas appellant èvvo'st;, earum rerum scilicet quas definiendo
explicant... ». Da questi riferimenti sembra potersi dedurre che gli Stoici
abbiano adottato, al pari di Aristotele, la dottrina democritea dell’ origine
sensibile dei concetti ( l ) Cfr. Arnim, Stoicorum veterani fragmenta. Voi. II,
n. 104. Crisippo, discepolo di Zenone Cizio (280-209 a. C.). (*) In Arnim, op.
c. 105. ( 3 ) In Arnim, 106. Capitolo I (cui soltanto gli Epicurei conservarono
come fonda¬ mento ! ipotesi delle piccole immagini), ma spogliando i concetti
di quella dignità superiore che i razionalisti cercano conferire agli
intelligibili ; così, per loro, la dimostrazione scientifica (àiróSs:^;) viene
ridotta, per dirla con Cicerone (‘), ad una « ratio, quae ex rebus perceptis ad
id, quod non percipiebatur, adducit ». In corrispondenza di queste vedute, di
carattere più empirico, è interessante rilevare come si modifichi la dottrina
democritea della scienza, che Zenone Cizio dice * essere una comprensione
sicura e ferma e immu¬ tabile dalla ragione » (à,u£-*sov ùttò Àóyo j ■/./.-
ovvero anche « un possesso immutabile dalla ragione, nell’acco¬ glienza delle
rappresentazioni » (èv a>xvT5tTO)v r.ozz- a&o oPertanto gli Stoici non
giunsero a quello schietto empirismo, che si vede accolto da Epicurq, per cui è
accettata sempre come vera ogni sensazione o appa- lenza: richiesero anzi che
all apparenza si aggiunga 1 assenso volontario dell animo ("), che per il
saggia ha motivo nell identità fra la ragione individuale e la Ragione o logos
universale. Così il concetto eracliteo del logos, che la scuola (*) Arnim, 111.
( ) Riferimenti di Sesto e Diogene Laerzio in Arnim : Zeno- Citius, n. 68. (' )
Cfr. Sesto e Cicerone in Arnim : Zeno Citius, nn. 63 e 61 . La logica degli
antichi 3stoica ha fatto proprio, doveva pur sempre conservare al pensiero una
certa dignità, e quindi facilitare il trapasso alla veduta posteriore degli
eclettici (Cicc¬ ione), per cu ‘ l e communcs noliones vengono ritenute _ non
più come uniformità della natura bensì come idee innate, attestanti la
reminiscenza della vera origine divina dell' uomo : onde la teoria stoica
(ritor¬ nando in effetto a Platone) viene a fondersi colla neoplatonica. Più
direttamente degliStoici (che pure ne deri¬ varono il principio del
determinismo universale) si riattaccano a Democrito gli Epicurei, che ne adot¬
tarono la teoria atomica, spogliata bensì del suo più profondo significato
meccanico. Ma, come abbiamo già accennato, Epicuro (341-270 a. C.) e lungi dal
razionalismo del maestro d’Abdera. La sua Canonica, comprende poche regole di
cui abbiamo chiaro rife¬ rimento da Sesto Empirico, e che Gassendi ha
ricostruito con precisione nella sua Logica ( )• Riferiamo la parte essenziale
dei canoni epicurei così formulati: I) Sensus nunquam fallitur... II) Opinio
est consequens sensum, sensiomque superadiecta, in quam veritas aut falsitas
cadit. Ili) Opinio illa vera est, cui vel suffragata, vel non refragatur sensus
evidentia. (‘) Petri Gassendi Opera Omnia, Firenze. 1277, Voi. 1. Pari 1, De
Logicae origine el varietale. 40 Capitolo I V) Omnis quae in mente est
anticipatio, seu prae- notio, dependet a sensibus ; idque vel incursione, vel
proportione, vel similitudine, vel compositione. (Questo stesso modo di
formazione dei concetti appare negli Stoici). VI) Anticipatio est ipsa rei
nodo, sive definitio... \ II) Est anticipatio in omni ratiocinadoe prin-
cipium... Vili) Quod inevidens est, ex rei evidenti antici¬ paticele
demonstrari debet. Qui è notevole 1 appello all’evidenza sensibile (ev%ex) che
viene così assunta come criterio di verità. Nonostante la modificazione subita,
è facile riconoscervi lo stesso criterio di Democrito che con¬ trapponendo la
conoscenza pura o legittima alla cono¬ scenza oscura, veniva appunto a ritenere
la chiarezza delle idee come segno del loro valore : senonchè quella che per
Democrito era chiarezza di concepimento, diviene per Epicuro chiarezza
sensibile ('). Toccherà poi a Descartes, diciannove secoli dopo, di ritornare
al criterio dell’evidenza rispetto al pensiero, riguar¬ dando come vere le idee
chiare e distinte (l’aggiunta deriva dal Teeteto 209c-2l0). 7. La logica degli
scettici. — Dopo aver parlato degli Stoici e degli Epicurei, ci convien dire
degli (*) Notisi che già in Teofrasto si applica il criterio dell’evi¬ denza
tanto all’intelligenza che al senso. (Cfr. Sesto Adv. Malh. v La logica degli
antichi sceltici : i quali — per verità — non formano ugual¬ mente una setta o
scuola chiusa, ma — a partire da Pirrone d’Elide (circa 365-275 a. C.) e dal
suo amico Timone — ofno tuttavia una certa continuità di tradizione critica,
mantenendo di fronte alle filosofie dogmatiche un atteggiamento di dubbio
metodico. Arcesilao di Pitane (circa 315-241) e Cameade (che venne ambasciatore
a Roma nel 155 a. C.), portarono la filosofia scettica nella media Accademia.
Più tardi incontriamo Enesidemo di Cnosso (vissuto probabilmente ad Alessandria
sul principio dell’era cristiana), un secolo dopo A grippa, e finalmente Sesto
Empirico (3° secolo dopo Cristo) che rias¬ sume tutto questo movimento nella
sua opera pre¬ gevole, fonte cospicua di notizie per la storia del pensiero
greco. ! rapporti esteriori che la tradizione segnala fra Pirrone e qualche
democriteo come Nausifane, nonché le tendenze scettiche che si attribuiscono ad
altri democritei (Metrodoro, Anassarco) indicano già una certa dipendenza della
scepsi da Democrito. D’altronde il legame appare prima di tutto nel motivo
morale che ispira la riserva degli scettici di fronte alla vera natura delle
cose, giacche la sospensione del giudizio mirava a conquistare quella atarassia
o imperturbabilità dell' animo, che si riduce infine alla vittoria sulle
passioni, inculcata dall'Abderita. Ma il apporto teorico della scepsi con
Democritoresulta da ciò che questi aveva ridotto la realtà alla materia
indifferente degli atomi, negando le qualità Capitolo I sensibili; un passo
ulteriore della critica (riportantealla posizione di Protagora) doveva
naturalmente estendere il dubbio anche a quelle proprietà primarie in cui il
grande atomista aveva scorto l'oggetto intel¬ ligibile della conoscenza. E
certo questo sviluppo era suggerito dal contrasto fra le vedute dei due razio¬
nalisti, sorti a combattere l’empirismo protagoreo: Democrito e Platone.
Giacche questi riteneva proprio come intelligibili quelle stesse qualità
(iposta¬ tizzate sotto il nome di idee) che 1 altro aveva con¬ siderato vane
apparenze. Inoltre, anche nello stesso sistema democriteo, si può riconoscere 1
origine della critica che investirà gli intelligibili, se — come siamo stati
tratti induttivamente ad ammettere — 1 Abderita faceva pur nascere 1
intelligenza dai sensi. In tal guisa il pensiero antico avrebbe percorso una
via non lon¬ tana da quella per cui il pensiero moderno giunse dalla posizione
di Galileo, di Descartes e di Locke (i quali ripresero la distinzione fra le
qualità primariee le qualità secone) alla critica di Berkeley, che — attraverso
la teoria della visione - riusciva a negare anche il significato trascendente
di codesto sostrato geometrico della materia. La teoria degli scettici, si
noti, non nega affatto il mondo fenomenico, bensì oppugna la pretesa dei
dogmatici di affermare qualcosa della verità o della natura delle cose in se
stesse. La critica che essi svolgono a tale scopo, rilevando ciò che vi è di
relativo nei criterii della verità, costituisce in gran parte un acquisto
durevole per la dottrina della conoscenza : lo La logica degli antichispirito
che l’anima è affine a quello del positivismo moderno, salvo il sentimento che
la veduta di una scienza più progredita ispira oggi ai critici della meta¬
fìsica. Ma per la storia della logica interessa soprattutto esaminare gli
argomenti di Cameade contro il con¬ cetto aristotelico della dimostrazione :
intorno ai quali siamo informati da Sesto Empirico (')• Ricompare qui l’idea,
già affacciata dai predecessori di Aristotele e da questi oppugnata, che ogni
prova dia luogo ad un regressus in infmitum, poiché ogni premessa deve essere
dedotta da un’altra premessa. E questo argo¬ mento prende forza dalla negazione
di ogni certezza immediata, alla quale gli scettici pervengono (come si è
accennato) mercè la veduta che i concetti su cui si ragiona traggono pure
origine dal senso, onde 1 incer¬ tezza della sensazione si riflette anche sull
intelligenza. Quindi viene presa in esame l'opinione che sia lecito fondare la
scienza sopra ipotesi, e che queste sieno fatte ferme e valide dalla verità
delle conseguenze che se ne deducono. Il passo di Sesto che critica questa
opinione (") non dice chi ne sia l’autore ; ma resulta assai chiaro che
essa deve riferirsi particolar¬ mente ai fìsici matematici, e vi è forse
qualche motivo di attribuirla già a Democrito, che per primo propose alla
scienza il compito di spiegare razionalmente i feno¬ meni. Infatti abbiamo già
accennato che questi appunto (i) Adv. Math. VII, 159-189 e Vili in ispecie
367-463. ( s ) Vili, 375.Capitolo Ipotesse essere preso di mira da Aristotele,
ove eicontesta che voler provare le premesse mediante le conclusioni
costituisce un circolo vizioso (*). Di nuovo Cameade riprende la tesi
aristotelica, notando che dal vero si può dedurre il falso ; e certo
l'argomento — in stretta logica — non potrebbe essere confutato. Ma, per quanto
o scettico sia portato a dare il maggior peso a questa constatazione negativa,
Cameade non vi si arresta. Dopo aver negato l'esi¬ stenza di criteri
assolutamente certi del vero e del falso, egli accorda pure alla conoscenza un
valore probabile; e questo valore lo riconosce, in primo luogo, ad ogni
rappresentazione dotata di sufficiente evidenza, ma in grado più alto alle
catene di rappresentazioni legate 1’una all'altra in un sistema logico (ibidem,
VII, 176 e seg.). Non diverso è, in ultima analisi, il cri¬ terio positivo con
cui anche oggi possiamo giudicare il valore delle teorie scientifiche :
soltanto appare, ai nostri tempi, un atteggiamento più fiducioso, che è in
rapporto collo sviluppo della trattazione matematica della fisica; mentre il
sentimento degli scettici risponde ad una scienza meno evoluta, ed anche —
piuttosto che alla mentalità di matematici — a quella dei cir¬ coli medici, in
cui Io scetticismo antico ebbe acco¬ glienza. Effettivamente l’uso di ipotesi,
il cui valore probabile viene desunto dalla verifica sperimentale delle
conseguenze che ne dipendono, caratterizza il metodo deduttivo-sperimentale
della scienza moderna. (') L. c. An. posi., I, 2 (6). La loca degli antichi
45quale si disegna in Kepler, Galileo e Descartes: siccome vedremo più avanti.
L' esame intorno allo sviluppo della logica posta¬ ristotelica, in cui abbiamo
cercato l'influsso delle idee di qualche predecessore, ci ha mostrato che — in
verità il realismo logico di Aristotele è stato superato dallo stesso pensiero
greco ; il quale ha toc¬ cato posizioni affatto conformi alle più alte vedute
moderne. Ma della critica speciaente istituita dai geometri dopo Euclide,
abbiamo notizie troppo scarse per misurarne il significato; e — secondo le
appa¬ renze — dobbiamo ammettere che le fini ricerche di Apollonio su questo
soggetto non abbiano tro¬ vato prosecutori. D’altra parte l’opera dei filosofi
che hanno riflettuto sulla scienza, nel periodo elle¬ nistico, non aderendo
propriamente ad uno sviluppo scientifico, e tanto meno matematico, prese spesso
quella forma negativa che nel modo più raffinato ci presenta la dottrina
scettica. Infatti per osservatori cui non sia dato di riprendere e di
proseguire il pensiero pro¬ fondo dei più antichi filosofi matematici, la
confuta¬ zione di un ordine di verità necessario, quale è af¬ fermato da
Aristotele, deve apparire una confutazione dell stessa possibilità della
scienza. Resta nondimeno un esempio pieno d’interesse nella storia, quello che
ci viene offerto dalla scuola stoica, per cui la trattazione formale della
logica si associa ad una dottrina empirica della conoscenza. E, se co- desto
sviluppo formale approdò ad un arido schema-tismo (di fronte a cui comprendiamo
il disprezzo manifestato dallo stoico Aristone di Chio, nelle parole riferite
al princpio di questo scritto), tuttavia non si può disconoscere il valore
delle analisi logico¬ grammaticali, mercè cui si riesce a scorgere — in qualche
modo — nel linguaggio, 1’ espressione di una attività costrttiva de! pensiero.
Fino a che punto gli stici sieno proceduti su questa via, non vogliamo qui
esaminare ; ma certo si scopre in essi quella distin¬ zione fra subiettivo ed
obiettivo, che — elaborata attraverso il travaglio religioso dell'anima
cristiana — 4 riapparirà, agli inizii dell’epoca moderna, come fon¬ damento
della filosofia. 8. Brevi cenni sulla logica medioevale. — Dalla storia greca
passeremo, senza indugiarci al movimento delle idee che accompagna la rinascita
della scienza, agli inizi dell’ Evo moderno. Basterà rilevare il carattere
generale degli sviluppi che la logica ha ricevuto nel periodo intermedio, arido
se non del tutto infecondo. Diremo per ciò come la logica aristotelico-stoica
fu introdotta da Boezio (470-525) presso i Romani : le sue traduzioni dei primi
due trattati dell’Organum (Cathegoriae e De Interpreta- tione), nonché della
Isagoge di Porfirio, e i com¬ menti con cui egli stesso ed altri scrittori
neopla¬ tonici accompagnarono codesti scritti (nel senso della tecnica formale,
secondo la tradizione stoica), costi¬ tuiscono — in questo campo — il
fondamento della -cultura del più antico Medio Evo. Del resto, la cui- tura
generale, nel periodo di cui discorriamo, sembra ^ppjesentata da un certo
numero di Enciclopedie clella bassa antichità, come quella di Marciano Capella
(del 5° secolo): nelle quali si tratta delle sette Artes liberales che, nel
tirocinio scolastico, for¬ marono il trivio (grammatica, rettorica e logica) ed
il quadrivio (geometria, aritmetica, astronomia e musica). specialmente degno di nota che questa prima
parte del Medio Evo non ha conosciuto, nè le altre opere (logiche, fisiche ecc.)
di Aristotile, nè le opere originali di Platone, fuori del Timeo, tradotto in
latino da Calci dio. Una più estesa conoscenza di queste opere, ed insieme del
movimento scientifico antico, è dovuta ai rapporti dell’ Europa colla civiltà
araba, di cui si comincia a sentir l’influenza nel se¬ colo 12" (Pietro
Ispano); più tardi il Rinasci¬ mento umanistico doveva venir fecondato mercè
una conoscenza diretta dei testi greci, in seguito alla caduta dell’impero
d'Oriente, che addusse numerosi profughi greci segnatamente in Italia. Ora
nella logica scolastica due aspetti sono degni di nota : 1) la progressiva
elaborazione della tecnica formale, acuitasi mercè le sottili distinzioni di
origine arabo-bizantina ; 2) e la grande questione della realtà degli
universali, di cui a stento riusciamo a comprendere il carattere drammatico,
traverso la forma aridamente schematica delle discussioni. Sorvoleremo affatto
sul primo punto, sebbene sa-Capitolo I rebbe interessante per la storia della
logica mate¬ matica, di mostrare, per esempio, inBuridano (morto circa il 1360)
il riconoscimento della proprietà di¬ stributiva della particella « non »
rispetto alle « et » e « vel » : non (a et b ) = non a vel non b (notizia
segnalatmi dall’amico Vacca) o di cercare simili analisi in Paolo Veneto. Ma,
quanto alla questione degli universali, diremo che si tratta dell'antica
questionollevata dalla ideo¬ logia platonico-aristotelica, se alle idee
generali cor¬ risponda una realtà fuori della mente umana. La quale questione
fu riaccesada un passo dell’ Isagoge di Porfirio (I, 3) : « E anzitutto, per
ciò che riguarda i generi e le specie, io eviterò di ricercare se esistano di
per sè, ovvero se esistano soltanto come pure nozioni dello spirito; e —
ammettendo che esistano di per sè — se apartengano alle cose corporee o incorporee
; e infine se abbiano esistenza separata ovvero solo nelle cose sensibili... E
una questione troppo profonda che esigerebbe uno studio differente da questo e
troppo este. Nel vasto intreccio della polemica medioevale appare che i
nominalisti (neganti la realtà degli uni¬ versali) rappresentano, in generale,
le tendenze scien¬ tifiche, avverso il misticismo platonizzante dei realisti.
Ciò è vero soprattutto per riguardo ai rinnovatori del nominalismo nel secolo
14°: Guglielmo Occam La logica degli antichi 49 (m 1347) e Giovanni Buridano,
rettore dell'Uni¬ versità di Parigi, ai quali è dovuta la teoria che ha p-eso
il nome di lerminismo. Questa teoria (che si accosta al concettualismo di
Abelardo) ritiene i concetti ( termini ) come segni subiettivi(signa) delle
singole cose, o delle classi di cose, realmente esi¬ stenti : la logica si
riferisce soltanto alle reazioni di questi segni — scritti, parlati o
concettuali — delle cose(Occam, Quodlibeta V. 5). Occam avverte pue che il
concetto assume il suo |proprio significato nella proposizione, e spesso in
unione a qualche altro termine: < terminus conceptus est intentio seu passio
animae aliquid naturaliter significans aut consignificans, nata esse pars
propositionis mentalis ». Sifftta dottrina supera Io stretto nominalismo e
tuttavia nega il realismo : cioè nega che il significato reale delconcetto sia
da cercare nella sua compren¬ sione o connotazione, ossia nell’ insieme delle
note o attributi, di cui esso esprimerebbe l'unità
sostanziale; e si afferra invece all’ estensione o denotazione, cioè all’
insieme degli oggetti rappresentati dal concetto, che — sotto la specie di
certe reali somiglianze — vengono vramente unificati nella mente umana. Al lume
di questa veduta, la definizione scola¬ stica, discendente dal generale al
particlare, e la logica stessa perdono importanza : onde è fatto invito a
volgersi dalle spiegazioni verbali al concreto della esperienza. Ciò spiega abbastanza
l’interesse appas¬ sionato della polemica intorno agli universali che —
Earquet Capitolo I nel mondo sociale e morale — doveva rivendicare la libertà
dell' ndividuo soffocata dalla tirannia delle istituzioni e dall'autorità delle
credenze e dell’inse¬ gnamento tradizionale. Nulla sembrava più proprio a
favorire un tale affrancamento degli spiriti, che abbat¬ tere alla radice
l’albero delle deduzioni infeconde, ricostruendo induttivamente tutto il
sapere. Onde I a stessa tendenza si continua ed esplica nella reazione
antiaristotelica degli umanisti purificatori della logica dalle sottigliezze
scolastiche (Valla , Agricola, Vives) e si manifesta poi — in nuove forme —
nella rinascita del movimento sci entifico.
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