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Thursday, April 22, 2021

Grice e Cusani

Nasceva in Solopaca, una volta Distretto di Caserta, oggi Circondario di Cerreto Sannite (Benevento) il 23 dicembre 1816, Stefano Cusani da Filippo e Caterina Cardillo. Suo padre, insigne avvocato, fu sollecito della educazione di questo come di altri quattro suoi figliuoli, che, affidati alle cure di un suo fratello germano a nome Matteo, sacerdote, mandolli in tenera età a imcominciare e compiere i loro studî in Napoli. Ivi Stefano, ch'era il secondogenito di cinque fratelli, frequentava i più rinomati Istituti privati di quel tempo (che allora l'insegnamento pubblico esisteva sol di nome),  si distingueva fra gli altri condiscepoli in ognuno di questi, così che in breve, compiuti gli studi letterarî fu giocoforza mettersi a studiare le scienze della facoltà che doveva seguire. Fu questo il solo brutto periodo di sua vita. Suo padre voleva fare di lui un Avvocato civile, come suol dirsi, e quindi fu obbligato a studiare leggi e pandette, per le quali discipline non si sentiva la benchè minima inclinazione, anzi, a dir vero, sentiva per esse la più marcata avversiono; ma buon figlio e docile essendo, per non dispiacere al padre, che tanti sacrifizî avea fatti e faceva per lui, come per gli altri fratelli, a malincuore sempre, ma sempre tacendo, giunse fino ad esser Avvocato, ed a fare la pratica presso uno de'luminari del Foro Napoletano. Da questo momento incomincia il suo grande sviluppo intellettuale. Non potendone più, la rompe col padre, dicendosi avverso ai processi, ed allo studio di essi, e ad ogni altro artifizio da causidico. La rompe con quella pratica noiosa, che tralascia ed abbandona; ed ottiene dal padre stesso, che ragionevole e savio uomo era, di poter attendere a quegli studi che più alla sua indole si affacevano. Fioriva in quel tempo, a Napoli, la scuola del Marchese Basilio Puoti, ed egli, incontratosi con Stanislao Gatti che fu poi indivisibile amico e compagno, vi si getto a capofitto, e fu in poco tempo il più caro e pregiato discepolo del Marchese, come l'amico e compagno del De Sanctis, del Mirabelli, e di tutta quella pleiade che in quel tempo arricchirono Napoli di filosofi insigni.  Ma a quell'ingegno che s'andava ogni giorno più sviluppando e fortificando di sani e severi studî, parve angusto oramai quest'orizzonte, o volse l'ala, e la di instese con intensità ed ardore allo studio della filosofia. Ben cinque anni decorsero di volontaria prigionia nel suo studiolo, ovo ridottosi, o giorno e notte indefessa mente attendeva a' prediletti studî, e si beava di leggere Platone nel testo, chè familiare la lingua gli era ; come pure si fece a studiare la lingua alemanna per  mettersi al corrente dei progressi della filosofia, e per meditare e studiare le dottrine e teorie dell'Hegel, ultimo filosofo tedesco di quella epoca.  Uscito dopo questa epoca a nuova vita incominciò a scrivere sul Progresso, una Rivista di scienze e letteratura, diretta dal Baldacchini, articoli su questioni filosofiche; e, dopo un anno, era già conosciuto in tutta la Napoli pensante. In questo torno di tempo si apri un concorso per la Cattedra di filosofia e matematica, nel Collegio Tulliano di Arpino, e lui fu prescelto per titoli ad occuparla. Vi andò e vi trovò il suo amico Emmanuele Rocco, che v'insegnava letteratura. Vi stette un anno e vedendosi in una cerchia troppo angusta alla sua attività, si dimise, e fece ritorno in Napoli, conducendo con sè anche l'amico Rocco. Quivi apri studio privato unitamente al Gatti di filosofia, e dal bel principio quello studio fioriva per numerosa gioventù, che accorreva a udire le sue lezioni. In breve fu lo studio più affollato di Napoli. Le ore che aveva libere dallo insegnamento le occupava a scrivere articoli di filosofia che si pubblicavano sulle Riviste Napoletane di quel tempo, il Progresso che usciva in fascicoli voluminosi, la Rivista Napoletana di Scienze, Lettere ed Arti, il Museo di Scienza e Letteratura, ove collaboravano per la lor parte Antonio Tari, Francesco Trinchera, ed altri; e sul Progresso il Colecchi  ed altri.  Non andò guari e s'incontrò col Mamiani in quistioni di alta Metafisica, o ne usci onorato dell'amicizia e della riverenza dell'insigno filosofo. Il suo intelletto altamente speculativo destava ammirazione perchè si elevava ad altezze tali filosofiche che non gli si potevano contrastare. In quel tempo si agitò una polemica tra V. Cousin, filosofo francese, ed un insigne filosofo inglese, il cui nome ora non mi sovviene; dopo varî articoli scambiatisi parea che l'inglese avesse preso il di sopra, ed il Cousin, che lui credeva più dell'altro stare nel vero, avesse dovuto soccomberé. Allora senza frapporre tempo in mezzo egli entrò terzo nella quistione e scrisse epubblico una serie di articoli che costrinse l'inglese a desistere dalla polemica, ed il Cousin a scrivergli una lettera di ringraziamenti e di felicitazioni, e con la quale lo chiamava, e si firmava suo cugino.  Si radunava il Congresso dei Filosofi in Napoli nell'ottobre del 1845, o lui ne dovea far parte; ma non sapendosi se il Borbone lo avesse permesso, o meno, erasi ridotto in patria a villeggiare con la moglie e due piccini, l'uno lattante e l'altro di due anni. Il Congresso fu permesso, i filosofi si riunirono in Napoli, e lui fu invitato espressamente a farvi ritorno; che anzi il Presidente della Sezione “Filosofia speculativa” a cui egli apparteneva, non volle aprire la sessione s'egli non fosse arrivato. Cosi corse in Napoli solo, lasciando in patria la famiglia, che poi sarebbe andato a rilevare, dopo finito e sciolto il Congresso. Fu questa la causa della sua morte! Arrivato in Napoli vede gli amici - con essi si intrattiene passeggiando -- suda; è l'ora già che s'apre la Sessione -- essi ve lo accompagnano a piedi per goderselo di più -- vi si arriva. Egli era sudatissimo -- entra e n'esce dopo quattro lunghe ore di discussione; quel sudore lo avea già colpito a morte. Si riduce a casa, si ricambia le mutande - la camicia  era troppo tardi! Incomincia dopo poco tempo una tosse secca, stizzosa, ch'egli non cura, perchè forte e robusto era; e questo fu il peggiore dei divisamenti. Ritorna in patria per ripigliare la famiglia e ridursi in Napoli, poiché si era alla vigilia del novembre. Si riapre lo studio, si riprendono le lezioni; il maggior numero degli alunni affluito gli rinfocola l'ardore, ch'ei metteva in esse, e parla dalla cattedra per lunghe ore, e poi agli alunni più provetti che gli propongono dubbi o problemi a risolvere, parla pure ad alta voce, e quella tosse insidiosa non lo lascia, anzi invida della sua noncuranza lo avverte spesso del suo malefico potere, interrompendogli il discorso, e forzandolo per poco a tacere. Le cose durarono ancora così per altri 10, o 12 giorni, e finalmente la emottisi tenne dietro a quella tosse funesta, e fu giuocoforza sottomettersi a quanto l'arte salutare poteva e sapeva consigliare, ma invano tutto! Chè una tisi florida si svolse, ed in meno di due mesi si spense la robusta complessione di S. Cusani! Tale fu quest'uomo, che a 30 anni la morte rapiva a'suoi, alla scienza, alla patria. Nato a 23 dicembre 1816, moriva a 2 gennaio 1816. Dissi rapito alla patria, e giustamente, poichè egli da giovanissimo appartenne alla Giovine Italia, e in Napoli fu sempre il più ardente fra i patrioti. Egli con altri preparò e cooperò con ardore al movimento del '18 che poi non potė vedere! La sua casa era il convegno di Carlo Poerio, L. Settembrini, S. Spaventa, P. Mancini, e di tutti gli altri illustri compromessi politici di quel tempo, con i quali  si congiurava, si faceva propaganda, e si organizzava la rivoluzione. Fu cosi caro a questi tutti che se un giorno solo nol vedeano, si tenea por certo la visita loro in sua casa; ed il Poerio, addoloratissimo della sua malattia, volle ed ottenne che fosse stato medicato, curato ed assistito infino all'ultimo istante di sua vita dal fido o dotto medico Alessandro Lo Piccolo. L'esequie furono imponenti pel concorso di amici, che  formavano tutte le notabilità scientifiche, patriottiche e letterarie. Il lutto per la sua perdita fu sentito generalmente per Napoli, che in lui salutava la giovine scienza, e che per lui si metteva a paro di altre città d'Italia, che fiorivano per altissimi ingegni ed insigni filosofi, come il Mamiani, il Rosmini, il Gioberti, ed altri, se quella vita non si fosse spenta nel mezzo del cammino! 


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