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Monday, April 26, 2021

Grice e Credaro

 Se il nome di Carneade non è completamente igno rato dalle persone colte , che non si occupano di storia della filosofia, si deve alla parte giuridica del suo pensiero , la cui conoscenza è tratta quasi interamente da pochi frammenti della famosa orazione contro la giustizia tenuta a Roma : fram menti conservati da Lattanzio, il quale li ha presi dal trat tato della repubblica di Cicerone. Questa orazione, che fa epoca nella storia della cultura del popolo romano, non deve essere considerata solamente un episodio della vita del filosofo , una semplice millan . teria del facondo oratore, che volesse fare impressione sugli animi degli incolti Romani ; ma il suo contenuto deve venire integrato colle altre vedute di Carneade per cercarne il legame ed esaminarne il valore. A tale fine bisogna anche qui muovere dallo Stoicismo.  L'orazione contro la giustizia ha qualche rapporto con esso ? Si sa che tutti e tre i filosofi ambasciatori, Carneade ac cademico, Diogene stoico e Critolao peripatetico, durante il lungo soggiorno a Roma (anno 155 ), sia per invito avuto dalla cittadinanza, che in quel tempo godeva la pice decorsa tra la battaglia di Pidna ( 168) e la terza guerra punica ( 149), sia di propria iniziativa, per desiderio di far mostra di tutta la po tenza della loro parola e della loro scienza filosofica, a beneficio eziandio della causa che patrocinavano, aprirono un corso di conferenze (1 ) . É probabile che tutti e tre abbiano scelto l'argomento delle loro orazioni dalla filosofia pratica, come quella che interessava vivamente i loro ospiti , tutti dati alle armi, agli affari, alla politica , all'amministrazione; anzi e le cito supporre che ciascuno abbia esposte le idee della sua scuola intorno alla giustizia, il principio più importante della vita pubblica e privata. Il soggetto doveva soddisfare piena mente le esigenze e i desideri dell'uditorio, poichè i Romani, a ragione o a torto , si credevano gli uomini più giusti e alla virtù della giustizia attribuivano la grandezza , alla quale era pervenuta la propria patria. § 2. – In questa ipotesi lo stoico Diogene, con parola mo desta e sobria, come attesta Polibio, che ebbe opportunità di ascoltarlo, spiegò ai Romani l'idealismo morale e il cosmopo litismo della sua setta . L'anima di tutti gli uomini è uguale ; e come tutte le cose uguali si attraggono, cosi anche gli esseri razionali; per ciò l'i stinto della società è insito nella stessa ragione, la quale insegna a ciascuno di noi che esiste una sola città , un solo stato, la grande società umana ; ciascuno si sente parte integrante di ( 1 ) A. Gell . Noct. Att. VI, 14, 8-10. Macrob. Saturn. , 5. Vedi vol . I , p. 147-150.questo immenso organismo governato da una sola legge e da un solo diritto, la retta ragione. Questa legge conforme alla natura si fa sentire in tutti , immutabile, sempiterna , divina ; invita col comando al dovere, col divieto allontana dalla frode. È suprema, assoluta ; non è lecito crearne altre contrarie, nè abrogarla totalmente o parzialmente ; non voto di popolo, non decreto di senato possono dispensare dall'ubbidirla ; nessuno ha bisogno d'interprete per comprenderla ; è la medesima in Atene e in Roina, oggi e domani e sempre ; l'inventore e il promulgatore di essa è uno solo, il maestro e il comandante di tutti, Dio. Chi non vi obbedisce, va contro la natura e per questo fatto solo soffrirà tutte le pene. L'uomo pensa e opera mo ralmente solo in quanto conformasi alla legge; e poichè questa è la medesima in tutti gli uomini, tutti debbono tendere allo stesso scopo, al bene universale. L'individuo non deve vivere per sè, ma per l'umanità ; l'interesse personale deve essere asso lutarnente subordinato a quello umano (1). In questo stato po litico ed etico regna perfetta concordia ed armonia ; tutti i cittadini hanno vivo il sentimento dell'ordine, coltivano la virtù e reprimono gli appetiti irrazionali, che sono la causa delle inimicizie e delle guerre ; sono sottomessi alla vo lontà divina, al fato , alla serie universale e interminabile delle cause e degli effetti. I doveri fondamentali sono la giustizia, in qua virtutis splendor est maximus, e la benefi cenza, due virtù che sono le basi della società civile ( 2 ). Intorno ad esse Diogene potè parlare a lungo ai Romani, perchè nella sua scuola erano state soggetto di molte dispute e di scritti. Il suo maestro Crisippo gli aveva insegnato in pro posito una dottrina propria : tutti gli altri esseri sono nati per il ( 1 ) Cic. , de fin . III , 64 ; de rep ; III, 33 ; Plut. , de comm. notit. XXXIV, 6. Zeller, p. 285 e 8 . ( 2 ) Cic. , de off. I, 20.  bene degli uomini e degli dei , gli uomini per formare società e co munanza; è inerente alla natura che tra l'individuo e il genere umano, come tra parte e tutto, interceda un diritto naturale ; colui che lo osserva è giusto ; ingiusto chi lo trasgredisce. Tra il diritto pubblico e quello privato non avvi opposizione ( 1). Gli uomini non si trovano in rapporti giuridici colle bestie, ma solo coi loro siinili e cogli dei ; la pietà verso gli dei è una parte della giustizia. Affinchè si realizzi il regno della giustizia e della mora lità occorre che la perfetta ragione sia presente in tutti ; essa invece si trova solamente nel sapiente; si formarono quindi gli stati singoli, che tengono divisa l'umanità. Come gli stati, così le istituzioni che li governano sono effetto di errore e stoltezza : quali il matrimonio, la famiglia, la proprietà, la moneta, i tri bunali, i ginnasi , i tempii ( 2). Stato conforme alla natura umana, con istituzioni veramente buone, non esiste. Edotto di questo idealismo politico, potè sul Campidoglio il pretore romano A. Albino, uomo erudito e versato nella lingua greca, dire per ischerzo volgendosi a Carneade : « A te , Carneade, non sembra io sia un pretore, nè questa una città , nè in essa abitino cittadini ). A cui Carneade, che su bito aveva capito di essere stato preso per il collega stoico : « A questo stoico non sembrerà cosi » . Gli scolarchi ateniesi non lasciavano di contendere neppure in paese straniero ; o certo Carneade sarà stato assai lieto di osservare che al senso pratico dei Romani la dottrina de' suoi avversari si presentava come ridicola ; e tornato in patria , credette il fatto degno di essere raccontato a' suoi discepoli ( 3) . $ 3. Sogliono gli storici narrarci che Carneade tenne a ( 1 ) Cic. , de fin . III, 67. (2 ) Diog. L. VII, 33 e 131 . ( 3 ) L'aneddoto è ricordato da Clitomaco. Cic. , Ac. II , 137.  Roma due discorsi ispirati a scopo opposto : il primo giorno di mostrò l'esistenza del diritto naturale e lodò la giustizia ; il secondo sostenne tutto il contrario ; onde gridano all'immora lità , all’audacia e alla sfacciataggine del filosofo , che non si vergognò di difendere contraddizione si anorme. Anche non tenendo conto che, se si applicasse questo cri terio , tutta la filosofia dei Nuovi Accademici sarebbe un' im moralità , perchè il loro metodo era di difendere in ogni qui stione le soluziori opposte , io credo in questo caso particolare che i due discorsi, tenuti in giorni successivi, abbiano un'unità perfetta e si propongano il medesimo fine : mostrare la fal sità della dottrina degli Stoici intorno alla giustizia ; e siccome costoro in questa parte della filosofia , molto più che in altre , erano dipendenti da Platone e da Aristotele, bisognò prendere le mosse da questi. Leggiamo in Lattanzio : « Carneades au tem , ut Aristotelem refelleret ac Platonem , justitiae patronos, prima illa disputatione collegit ea omnia , quae pro justitia di cebantur , ut posset illa , sicut fecit, evertere ..... Carneades, quoniam erant infirma, quæ a philosophis adserebantur, sumsit audaciam refellendi, quia refelli posse intellexit » (1). E al trove : « Nec immerito extitit Carneades, homo summo ingenio et acumine, qui refelleret istorum ( Platone e Aristotele ) ora tionem et iustitiam , quæ fundamentum stabile non habebat, everteret, non quia vituperandam esse iustitiam sentiebat, sed ut illos defensores eius ostenderet nihil certi, nihil firmi de iustitia disputare » (2). Di qui è evidente che la prima ora zione non era che un esordio, un'introduzione, uno sguardo storico alla questione, un'esposizione delle idee accettate dagli Stoici, che l'Accademico s'apprestava a confutare nel vegnente giorno (3) ; confutazione, la quale non aveva per iscopo di ( 1) Lattanzio , Instit. div . V , 14 ; V , 17. 2-4. (2 ) Ibid. Epit. 55, 5-8, (3 ) Cic., de rep. III, 12 .  vituperare la giustizia in sé, ma di colpire i filosofi avversari, o almeno la loro teoria dommatica. Non è la virtù stoica, che Carneade venga demolendo, ma il sapere ; su questo si do vrà tornare più innanzi. E caso a noi pervennero frammenti solamente della seconda orazione; questa sola of friva un pensiero nuovo, dava una scossa inaspettata e forte all'intelligenza dei Romani; perciò eam disputationem , qua iustitia evertitur, apud Ciceronem L. Furius recordatur (1) ; e noi ora possiamo tentare di ricostruire questo singolare di scorso nelle sue linee generali. $ 4. - Non esiste una giustizia naturale nè verso gli uomini, nè verso gli dei; se essa esistesse le medesimecose sarebbero giuste o ingiuste, buone o cattive , morali o immorali, sacre o non sacre, per tutti gli uomini, come le cose calde e le fredde, le dolci e le amare. Invece chi conosce il mondo e la storia, sa che regna una grandissima diversità di apprez zamenti morali e giuridici, di consuetudini e di idee religiose da popolo a popolo , da città a città , da villaggio a villaggio , da tempo a tempo. I Cretesi e gli Etoli reputavano cosa one sta il brigantaggio ; i Lacedemoni dichiaravano loro proprietà tutti i campi che potevano toccare col giavellotto ; gli Ateniesi solevano annunciare pubblicamente che loro apparteneva ogni terra che producesse olive e biade; i Galli stimavano disonore vole cosa procurarsi il frumento col lavoro, invece che colle armi; i Romani vietavano ai Transalpini la coltivazione dell'ulivo e della vite, per impedire la concorrenza ai loro prodotti e dar a questi un valore più elevato. Gli Egiziani, che hanno una storia di moltissimi secoli, adorano come divinità il bue e belve di ogni genere ; i Persiani, disprezzando gli dei dell'Ellade, ne incendiarono i tempii, persuasi essere cosa illecita che gli dei, ( 1) Lattanzio , Instit. dio. I. c.  i quali hanno per abitazione tutto il mondo, fossero rinchiusi tra pareti; Filippo il Macedone ideò e Alessandro mando ad esecuzione la guerra contro i Greci per punire quei numi; i Tauri, gli Egiziani, i Galli, i Fenici credettero che tornassero assai accetti alle loro deità i sacrifizi umani. Si dice essere dovere dell'uomo giusto ubbidire alle leggi; ma a quali ? A quelle di ieri, o a quelle di oggi ? A quelle fatte in questo stato , o in quello? Se una legge suprema, uni versale , costante s'imponesse alla coscienza del genere umano, come pretendono gli Stoici, coteste variazioni non sarebbero possibili; perciò non esiste un diritto naturale, nè uomini giusti per natura. Il diritto è invenzione degli uomini a scopo di uti lità e di difesa ; come prova anche il fatto che non rara. mente le leggi, le quali sono fatte dal sesso maschile, as sicurano a questo particolari vantaggi a danno di quello fem minile. La legislazione di nessun paese, attentamente esami. nata , appare l'espressione di principii fissi, naturali, veri, im mutabili, divini ; invece al profondo osservatore non isfugge che ogni disposizione legale move da ragione di utile e viene cambiata appena non risponde più ai bisogni e agl' in teressi di coloro che hanno nelle mani il potere. Ogninazione cerca di provvedere al proprio bene e considera, per istinto di natura, gli animali e gli altri uomini come istrumenti della pro pria conservazione e felicità ( 1 ). La storia insegna che tutti i popoli che diventarono grandi, potenti, ricchi, non pensarono ai vantaggi altrui, ma unicamente ai proprii : « Voi stessi o Ro mani» , disse Carneade parlando a un Scipione Emiliano, il futuro distruttore diCartagine e di Numanzia , a Lelio il saggio, al lette rato Furio Filo, a Scevola il futuro giureconsulto , all'erudito Sul picio Gallo, algrande oratore Galba ,al vecchio Catone, l'implaca- , bile nemico di Cartagine, al fiore di tutta la cittadinanza e all ( 1) Cic., de rep . III, 12-21.presenza dei colti ostaggi Achei trasportati in Italia, tra i quali il grande storico e generale Polibio, « voi stessi, o Romani, non vi siete impadroniti del mondo colla giustizia; se volete essere giusti, restituite le cose tolte agli altri , ritornate alle vostre capanne a vivere nella povertà e nella miseria. Il criterio direttivo della vostra vita non fu la giustizia , bensi l'utilità , che invano cercate di mascherara; poichè voi , coll'intimare la guerra per mezzo di araldi, col recare ingiurie sotto un pre testo di legalità, col desiderare l'altrui , col rubire, siete per venuti al possesso di tutto il mondo » . Ma per temperare il cattivo effetto, che avesse potuto pro durre negli animi dei Romani questa audace analisi dei fattori della loro grandezza politica, l'avveduto ambasciatore ate niese ricordò altri esempi, che erano celebri e lodati in tutto il mondo. Rammentò la ben nota risposta data dal pirata catturato ad Alessandro il grande : « Io infesto breve tratto di mare con una sola fusta, con quel medesiino diritto, col quale tu , o Alessandro, infesti tutto il mondo con grande eser cito e flotta » . Il patriottismo, questa virtù somma e perfetta, che suole essere portata fino al cielo colle lodi , è la negazione della giustizia, perchè si alimenta della discordia seminata tra gli uomini e consiste nell'aumentare la prosperità del proprio pae se, naturalmente a danno di un altro, coll' invadere violente mente il territorio altrui , estendere il dominio, aumentare le ga belle. Patriotta è colui che acquistò dei beni alla patria colla di struzione di altre città e nazioni, colmò l'erario di denaro, rese più ricchi i concittadini. E, quel che è peggio, non solo il po polo e la classe incolta, ma eziandio i filosofi esortano e inco raggiano a commettere cotali atti ingiusti ; cosicchè alla mal vagità non manca neppure l'autorità della scienza . Ovunque regnano inganno e ingiustizia, che invano si tentano di na scondere e legittimare. Tutti quelli che hanno diritto di vita e di inorte sul popolo, sono tiranni; ma essi preferiscono chiamarsire per volontà divina; quando alcuni, o per ricchezze, o per ischiatta , o per potenza, hanno nelle mani l'amministrazione di una ciltà , co stituiscono una setta ; ma imembri prendono il nome di ottimati; se il popolo ha il sopravvento nelmaneggio dei pub blici affari, la forma di governo si chiama libertà; ma è licenza . Ma poichè gli uomini si temono l'un l'altro, e una classe ha paura dell'altra, interviene una specie di patto fra popolo e potenti e si costituisce una forma mista di governo, dove la giustizia è un effetto non di natura o di volontà , ma di debolezza. Ed è naturale che cosi avvenga . Se l'uomo deve scegliere tra le seguenti condizioni: recare ingiuria e non riceverne; e farne e riceverne; nè farne, nè riceverne, egli reputerà ottima la prima, perchè soddisfa meglio i suoi istinti ; poscia la terza, che dona quiete e sicurezza; ultima e più infelice la con dizione di chi sia costretto ad essere continuamente in armi, sia perchè faccia , sia perché riceva ingiurie . Adun que lo stato naturale dei rapporti tra uomo e uomo è la lotta, la guerra, la discordia , la rapina, la violenza , l'inganno, in una parola, l'ingiustizia . La giustizia è una virtù che si esercita per effetto di debolezza e per proprio tornaconio . Ma gli Stoici, come vedemmo, consideravano la giustizia divisa in due parti, verso gli uomini e verso gli dei.Carneade doveva notare che anche quest'ultima esiste solamente nel l'immaginazione de' suoi avversari e dei filosofi, dai quali essi attinsero i loro principii. Non si acquista , non si allarga potere , non si fondano regni senza le armi, le guerre, le vittorie ; le quali alla loro volta in generale presuppongono la presa e la distruzione di città . E dalle distruzioni non vanno immuni le case degli dei ; ne dalle stragi si sottraggono i loro sacerdoti; né dalle rapine i  tesori e gli arredi sacri. Quanti trofei di divinità nemiche, quante sacre immagini, quante spoglie di tempii resero splen didi i trionfi dei generali romani ! E non sono cotesti sacrilegi? Non sono atti di somma ingiustizia verso gli dei ? No, innanzi al giudizio del popolo, all'opinione della gente colta, degli sto rici, dei letterati, questa è gloria, è patriottismo, è prudenza, sapienza, giustizia. Dunque la giustizia verso gli dei non so lamente non viene osservata in pratica, ma non esiste nep pure in fondo alla coscienza generale degli uomini; anch'essa viene subordinata all'utile. Ma non s'arresta qui la critica di Carneade. $ 5. – Con un esame sottile e profondo dell'antinomia esistente tra i due concetti di sapienza e di giustizia, e della natura morale dell'uomo quale in realtà è, e quale egli si crede e vorrebbe essere, il filosofo greco ha chiarito un con trasto del cuore e della mente umana, che tuttavia rimane e che ha servito di fondamento alle teorie utilitaristiche inglesi di tempi a noi vicini . La sapienza politica comanda ai cittadini di accrescere la po tenza e la ricchezza della patria, estenderne i confini e il dominio, renderne più intensa la vita con nuove sorgenti di guadagni e di piaceri; e tutto questo non si può compiere senza danno di altre genti. La giustizia invece comanda di risparmiare tutti , di be neficare i propri simili indistintamente, restituire a ciascuno il suo, non toccare i beni, non turbare i possedimenti altrui , non sminuire la felicità d'alcuno. Ma se un uomo di stato vuole essere giusto, non avrà mai l'approvazione de' suoi ammini strali, non gloria, non onori, i quali il popolo attribuisce non al giusto e onesto e inetto ; bensì al sapiente, al prudente, all'accorto. Non per giustizia , ma per sapienza i generali di Roma e di altre nazioni ebbero il soprannome di grandi. La violenza, la forza, l'ingiustizia hanno dato potere e consistenza agli stati; ma per nascondere la propria origine e fuggire la taccia d'ingiusti, i popoli , fatti grandi e divenuti dominatori, vanno immaginando delle favole da sostituire alla storia vera, come il mercante arricchito agogna un titolo di nobiltà. Le stesse qualità, e solamente le stesse, mantengono gli stati liberi o forti. Non avvi nazione tanto stolta, la quale non preferisca il comandare con ingiustizia, all'ubbidire con giustizia. La ragione di stato, la salvezza pubblica vincono e soffocano i sentimenti disinteressati. Uno stato vuole vivere a prezzo di qualsiasi ingiustizia, perchè sa che alla vittoria , con qualunque mezzo acquistata, tien dietro la gloria. Nel concetto degli antichi, la fine della propria nazione non sembrava avvenimento natu rale, come la morte di un individuo, pel quale questa non solo è necessaria , ma talvolta anche desiderabile. L'estinzione della patria era per essi in certo qual modo l'estinzione di tutto il mondo. Dato questo concetto e un sentimento della gloria diverso e molto più intenso che non sia in noi moderni, do vevano in certa guisa parere giustificati anche gli atti di vio lenza e di frode, che avevano per iscopo la conservazione e la potenza del proprio stato ; o, per meglio dire, i popoli e gl'individui non avevano coscienza dei principii che governa vano la propria vita ; credevano, i Romani pei primi , di essere giusti e invece erano sommamente ingiusti . Carneade fu il primo a chiarire questa opposizione tra fatto e idea, tra sa pienza politica e giustizia umana (1 ) . Il medesimo conflitto tra giustizia e sapienza dimostrò egli esistere nella vita privata, intendendo per sapiente l'uomo che sa difendere il proprio interesse ; e giusto colui che non lede quello degli altri . Sono suoi i seguenti esempi, tolti dalla vita ( 1 ) Cic. , de fin. II , 59 ,  giornaliera e assai chiari e appropriati alla vita romana af fogata negli affari. Un tale vuole vendere uno schiavo, che ha l'abitudine di fuggire, o una casa insalubre ; egli solo conosce questi difetti. Ne renderà avvisato il compratore ? Se si, s'acquisterà fama di uomo onesto , perchè non inganna,maeziandio di stolto , per che vende a piccolo prezzo, o non vende affatto ; se no, sarà reputato sapiente, perchè fa il proprio interesse , ma malvagio , perchè inganna. Parimenti, se egli s'incontra in uno che vende oro per oricalco, o argento per piombo, tacerà per comperare a buon prezzo, o indicherà al venditore lo sbaglio e sborserà di più per l'acquisto ? Solamente lo stolto vorrà pagare a maggior prezzo la merce. Se un tale, la cui morte a te recherebbe vantaggio, sta per porsi a sedere in luogo, dove si nasconde serpe velenoso, e tu il sai, dovrai avvertirlo del pericolo , o tacere ? Se taci, sarai improbo, ma accorto ; se parli, sarai probo, ma stolto (1) . Dunque qui pure si presenta la contraddizione : chi è giu sto , è stolto ; chi è sapiente, è ingiusto . Ma in questi casi si tratta di una quantità maggiore o mi nore di denaro e di vantaggi più o meno rilevanti, e v'ha chi potrebbe essere contento e felice della povertà. Ma quando andasse di mezzo la vita , il conflitto diventerebbe più spiccato. Un tale in un naufragio , mentre è poco lontano dall'affo gare, vede un altro più debole di lui mettersi in salvo ap poggiandosi a una tavola, che vale a sostenere uno solo ; nessuno testimonio è presente . Si farà sua la tavola e si porrà in salvo , lasciundo che l'altro perisca ? Oppure, se, dopo che i suoi furono sconfitti, incontra nella fuga un ferito a cavallo, che (1) Cic., de rep. III, 34. va sottraendosi al ferro dei nemici inseguenti, lo getterà a terra per porre se stesso in sella, o si lascerà raggiungere e uccidere ? Se egli è uomo sapiente, si salverà a qualunque costo ; ma se poi anteporrà il morire al far morire, sarà giu sto, ma stolto. Tale è il giudizio che intorno al suo operato porteranno gli uomini ; cosicchè la giustizia naturale è stoltezza ; la giu stizia civile è sapienza politica . Tutto è lotta d'interessi. Si ha ragione di credere che Carneade nel suo discorso contro la giustizia toccasse anche la questione della schiavitù, dicendo essere ingiusto che uomo servisse a uomo; principio che, riconosciuto vero, poteva essere assai valido per far co noscere quanto esteso fosse il dominio dell'ingiustizia e dare alla sua tesi una grande forza. E ciò m'induco a credere dal vedere che in più frammenti il difensore della giustizia, ossia il suo contraddittore, viene svolgendo la tesi opposta, perchè la schiavitù, rettamente conservata , torna a utilità degli stessi schiavi, i quali sotto un governo buono e forte vivono in mag giore sicurezza e vengono meglio educati che allo stato di li bertà ; e come Dio comanda all'uomo, l'anima al corpo, la ragione alle parti appetitive dell'anima, cosi i conquistatori tengono a freno i conquistati, i quali diventarono tali appunto perchè erano peggiori di quelli . Un tenue indizio ci sarebbe anche per farci credere che egli risolvesse il rimorso nella paura della pena, negando che fosse un sentimento più profondo e disinteressato. Gli Stoici obbiettavano che in questa ipotesi il malvagio sarebbe sem plicemente un incauto e il buono uno scaltro ( 1.). In conclusione : per gli Stoici , fondamento della morale e del diritto è l'inclinazione ad amare gli uomini e a rispettare ( 1) Cic . de leg. I , 40 e s. la divinità, inclinazione che ha radice nella natura, la quale sola offre la norma per distinguere il giusto dall'ingiusto, il bene dal male : per gli Accademici, generatrice del diritto è l'utilità, e l'utilità sola, e tutti i giudizi morali sono altrettante opinioni, le quali non derivano da principii naturali fissi, come provano la loro varietà e il dissenso degli uomini ( 1). Alla teoria giuridica di Carneade non dobbiamo attribuire un significato dommatico, che sarebbe in cotraddizione colle pre messe teoretiche della sua filosofia. L'egoismo e l'utilitarismo da lui proclamato in opposizione all'idealismo morale degli Stoici, non è una dottrina precettiva, ma l'investigazione e l'esposizione di un fatto psicologico e sociale. Egli non pare credere all'effetto pratico della morale normativa e si limita ad analizzare il cuore umano , il quale, per le sue tendenze native, è assai lontano dal realizzare i precetti stoici; ma da filosofo prudente s'astiene dal proporne dei propri. Nota fatti che si presentano all'osservazione quotidiana con tutti i ca. ratteri della verosimiglianza più alta e sforzano a credere o ad operare ; ma nè costruisce teorie assolute, ne formula dommi.

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