La cura della
filosofia di Cusani d’Ottonello ha il merito di riproporre all’attenzione una
figura di rilievo della cultura filosofica napoletana dell'Ottocento. Benché
scomparso in giovanissima età, nel gennaio 1846 (eranato nel dicembre del 1815,
o forse del 1816, come i piú sostengono), Cusani lascia di sé traccia profonda,
testimoniata dalla considerazione in cui e tenuto, per tacer d’altri, da
Sanctis, o dalla valutazione che di lui dette Gentile. Con Gatti ed altri può
essere inserito - come nota il curatore nella nitida e puntuale introduzione
nell'ambito dell'hegelismo napoletano, oltrecché in quello piú generale
dell'eclettismo alla Cicerone. Opportunamente si avverte però che Hegel costituisce
per Cusani un potente polo d'attrazione, ma non il filosofo fondamentale. In
realtà si può forse con fondamento aggiungere, pur senza ricorrere ad una indagine
falsamente sottile, che resta in ombra, nellepur autorevoli e acute analisi
dedicate alle ascendenze cousiniane ed hegeliane di Cusani, un filosofo fondamentale
che sicuramente ispira la filosofia piú significativa di Cusani: Vico. La costruzione
del sistema eclettico cui Cusani dichiara di dedicarsi segna una fase già tarda
dell'eclettismo napoletano e giungeva al termine di un decennio assai ricco di suggestioni
in questa direzione negli ambienti culturali napoletani. È sicuramente da
condividere l'affermazione del curatore secondo il quale il sincretismo
avvertibile in Cusani non impedisce però l'emergere di un nucleo speculativo
che deborda dalla semplice trama delle affermazioni altrui. In questo senso il
problema del metodo filosofico e il connesso problema della storia italiana
segnano sin dall’inizio lo sforzo speculativo di Cusani, la cui originalità trova
subito sulla sua strada Vico. Collaboratore della Temi napoletana, dell'Omnibus
letterario, scrive prevalentemente sul “Progresso.” Sin dalprimo scritto,
Filosofia in Italia, il tema della storia italiana appare questione teorica centrale.
Non a caso una ricerca storica da l'occasione a Cusani di porre il problema che
gli sta acuore, sin dalla citazione tratta da Guizot che apre la nota. I fatti
sonomeme affermazioni al problema della storia trova subito sumanibus letterario
ma are i grandiuti al fatto che risguardato, en per il pensiero, ciò che le
regole della morale sono per la volontà. Egli è tenuto di conoscerli, e di
portarne il peso, ed è solo allorché ha sodisfatto a questo dovere, e ne ha
misurato e percorso tutta l’estensione, che gliè permesso di montare verso i
risultamenti razional. Il rinnovato interesseper la storia italiana che si
registra-- che né l'Antichità, né i tempi di poco anteriori a questi che viviamo
avevano mai risguardato -- non sembrano a Cusani casuali, ma dovuti al fatto
che l'intendimento si rivolge a indagare i grandi ordini di fenomeni per scoprire
e prendere inconsiderazione i fatti e le ragioni, una storia ed una filosofia. Il
bisogno di comprendere e giudicare il fatto, piuttosto che esserne solo
spettatore (e dunque di verificare una diversa attitudine della storia
italiana), esalta questa parte immortale della Storia, cioè il conoscere il
legamento fatalista della causa e dell’effetto, le ragioni, i fatti generali,
le idee da ultimo ch'essi celano sotto il manto della loro esteriorità. Onde
ch’egli è d'uopo sceverar con chiarezza e con precisione la differenza di
queste due parti della storia italiana che sono per cosí dire il corpo e
l'anima, la parte materiale, e la parte spirituale di tutti gli avvenimenti esterni
e visibili, che compongono la nazione italiana, secondo che dice Vico. Il
rifiuto, che Cusani trae dalla lezione vichiana, di affidarsi a pre-mature
generalità, e con formole metafisiche per soddisfare il mero bisogno
intellettivo, è una traccia decisiva per comprendere il suo pensiero.
L'annotazione di Gentile, secondo il quale l'osservazione storica non è piú
l'integrazione della psicologia, bensí la costruzione stessa della filosofia, può
commentare l'intero itinerario filosofico di Cusani, che si consuma nell'arco
di pochissimi anni. Il discorso sul metodo che Cusani compie si basas in
dall'inizio su una acquisizione precisa: un sistema o una filosofia consistono
nel loro stesso metodo. Nel primo saggio veramente organico (Del metodo
filosofico e d'una sua storia infino agli ultimi sistemi di filosofia che sono si
veduri uscir fuori in Germania – Hegel -- e in Francia -- Cousin) Cusani parla addirittura
di un metodo generale, il quale presiede all'investigazione dell'unica e
universal verità. La filosofia è dunque la regina scientiarum che consente di
ricondurre ad “unità” il sapere, e a tal pro-posito l'assimilazione dei termini
è dichiarata apertamente, a proposito dell’analisi psicologica, la quale segna
il punto di partenza della riflessione, ed è la base unica dell'immenso
edificio filosofico, il solo solido fondamento, il suo atrio e il suo vestibolo.
E nel saggio, “Del reale obbietto di ogni filosofia” (Il Progresso) ribadisce e
chiarisce che lo studio de’ fatti della natura umana, o de’ fenomeni
psicologici, vuoto del tutto riuscirebbe, se invece di tenerlo come base d'ogni
ulteriore investigazione, si volesse considerare come il termine stesso della
filosofia. Il secolo decimottavo si è trovato dunque di fronte al centrale
problema del metodo filosofico. Se è vero che nella storia italiana è tutta
quanta la filosofia italiana, occorre riconoscere il merito insuperabile di quella
mente divinatrice e profonda che avea posta nel mondo la nazione italiana. Vico,
definito – nella nota sul Nuovo Dizionario de sinonimi della lingua italiana di
Niccolò Tommaseo, quell'altissimo lume d'Italia, con una locuzione che
introduce un discorso, ingiustamente trascurato, sulla tradizione filosofica
meridionale, piú volte ripreso dal Cusani. Lo studio di Vico qui esaminato è
appunto il “De antiquissima Italorum sapientia”; nel quale potentemente convinto
della relazione che stà tra il pensiero (l’animus, il segnato) e la parola (il
segno), fecesi ad investigar quello degli antichi romani e italici nostri
maggiori, cavandolo per avventura da quella lingua italiana ch'era nelle bocche
volgari degli uomini. Il rapporto tra spontaneità e riflessione, che tanta
parte ha in Cusani, è dunque introdotto sotto il segno di Vico. Si ponga mente
alle affermazioni che seguono il passo già citato, allorché Cusani insiste sul
fattoche veramente il Vico porta opinione che tutto l'antico (antichissimo)
pensiero o sapienza italiana era in quella lingua italiana ch'egli disamina, e
dalla quale intende rimetterlo in luce, e che se la lingua italiana non e opera
di un filosofo, ma sibbene il prodotto spontaneo delle facoltà nell'uomo
italiano, se innanzi che venissero adoperate nella costruzione e nel
concepimento del sistema di un filosofo, di cui pur e il necessario strumento
espressivo e communicativo, esisteva nella massa de’ popolo italiano. Insomma, quella
che è stata chiamata la svolta hegeliana del Cusani, va valutata alla luce di
una ispirazione legittimamente riferibile a Vico. Si veda il Saggio su la
realtà della humanitas di Vincenzo De Grazia (Il Progresso), già sul crinale
della svolta hegeliana. L'epigrafe di Cousin posta all'inizio ritorna sul problema
che sta a cuore a Cusani, e che ne determina l'originale ricerca. Ci ha due
spezie di filosofie. La prima spezie di filosofia studia il fatto, lo disamina,
e lo descrive, riordinandoli secondo le loro differenze o somiglianze, e potrebbesi
però denominare filosofia “elementare” o immanente. L’altra spezie di filosofia
comincia ove si ferma la prima, investigando la *natura* de’ fatti, e
intendendo di penetrare la loro ragione, la loro origine, il lor fine, e
potrebbesi denominare filosofia trascendente, o filosofia prima. La citazione
dai Frammenti filosofici serve in realtà a Cusani pergiungere alla fondamentale
affermazione secondo cui, esaurita nel secolo precedente la filosofia
elementare, e necessario che si cominciasse asentire il bisogno di nuovi
problemi, e che l'ontologia ricomparisse nel dominio della speculazione
filosofica. Insomma la disamina del fatto immanente elementare (il segno) deve
servire a rintracciarne la natura, le origini, le relazioni, che è il vero fine
supremo della filosofia prima. Ma questo è possibile (e l'eclettismo di Cusani
si dimostra non mero sincretismo, ma sapiente innesto di elementi concorrenti a
rafforzare le personali ipotesi speculative) soprattutto all’italiano, chi può
vantare una tradizione filosofica ininterrotta che ha in Vico il suo vate
supremo. Il bisogno dell’ontologia ha ulteriori ragioni in Italia, dove la
filosofia trova terreno fecondo emotivo di continuità. Ed è la tradizione ontologica
de’ filosofi italiani, e il predominio costante della filosofia prima o
trascendente in Italia sulla elementare o immanente, non solo in tempi che era
cagione universale nel mondo della scienza, ma eziandio allorché fortemente
altrove ponevasi la base d'ogni filosofia ed all'apo genere a nostri e
quell'indole elementare, e molto studiavasi in essa. Di qui nacque quell'indole
speculativa che si è sempre accordata in genere al filosofo italiano, anche
quando discendevano alla pratica ed all'applicazione de’ principi. É di vero se
si pon mente alla Storia, e si consideri che dalla scuola italica di Crotone o
da Pittagora suo fondatore, passando per i filosofi di Velia (Senone),
arrivando fino all’apparizione di quella meraviglia del Vico, si troverà che la
verità da noi accennata apparisce luminosa e in tutta la sua pienezza. Dunque
continuità della tradizione, rivendicazione della propria originalità
speculativa, e soprattutto applicazione esemplare del metodo storico come
proprio della storia della filosofia. Già affrontando il problema della
fenomenologia semiotica, Cusani non manca di annotare, con una affermazione che
resta sostanzialmente immutata nella sua produzione, a riprova del vichismo
naturale della sua ispirazione, che l’italiano è cosí fortemente incluso
intutta la morale che ne forma il subbietto perenne, e non si può farne
astrazione senza far crollare tutto l'edificato da quelle. Del resto nel saggio
Del reale obbietto d'ogni filosofia, posto sotto il segno di Vico – la cui “De
constantia Philosophiae” fornisce l’epigrafe, Cusani ha chiarito che la umana
intelligenza, di cui si ricerca e scopre una storia naturale, una volta
esaurita l’investigazione della natura, ripiega progressivamente verso il subbietto
stesso di quelle investigazioni, e rientrando dall'esterno nell'interno, fa se
stessa obbietto della sua conoscenza. La morale nasconode questo percorso,
allorché il filosofo ritorna sopra se stesso dopo indagare il mondo esterno. La
svolta hegeliana può a questo punto arrivare, ma a sua volta innestandosi su
questa ricerca di una legge onde si regge il mondo. Il dilemma su un oggetto
immutabile della conoscenza, e della mutabilità al tempo stesso del fatto che
il pensiero trascendente va indagando, diventatra la questione centrale. Spesso
Cusani torna nella sua opera, che riesce difficile in questa sede indagare in
dettaglio, sulle permanenze della storia italiana e sulle variazioni. Nel
Saggio analitico sul diritto e sulla scienza ed istruzione politico-legale
d’Albini, significativamente impostato il tema, e sempre ricorrendo a Vico. In
Italia fu primo tra tutti Vico che intende ala ricerca d'un principio
universale ed immutabile del diritto e che questo ponesse nella ragione, unica
fonte dell'assoluta giustizia, distinguendo esattamente il diritto universale,
o filosofico, dal diritto storico. Anzi, la debolezza della cultura filosofica
italiana può essere addebitata al mancato studio di Vico il cui esempio non
frutto gran bene, ch'io mi sappia all'Italia,non essendo le sue teorie accettate
da'suoi contemporanei, perché forse troppo superiori all'intelligenza comune,
fino al punto che l’italiano perde, com'a dire, la sua particolare fisionomia, rivestendo
un'indole forestiera – come i fanatici di Hegel con la sua lingua foresteriera!
-- Se non che questo che al presente diciamo fu molto piú pronunciato in
Beccaria e Verri non furono che perfettissimi seguitatori dell'Helvelvinitius e
del Rousseau, quanto all'ipotesi del Contratto sociale, che in il vichismo
dunque, se accolto, avrebbe garantito la continuità e originalità della
filosofia italiana. Infatti la cultura napoletana da in questo senso
testimonianza della continuità speculativa della filosofia proprio attraverso
la tradizione vichiana. Filangieri, ma soprattutto Pagano, ritennero l'elemento
tradizionale italiano, che li riannodava a tutta l'erudizione. Anche quando nel
Museo di letteratura e filosofia soprattutto, e la Rivista napoletana, piú evidente
si coglie la lettura di Hegel, Cusani testimonia la persistenza sicura della lezione
vichiana. Senza rotture, ma sviluppando le tematiche e gli interessi, nel
saggio Della lirica considerata nel suo svolgimento storico, ove – come ha
notato Oldrinisi incontra un esplicito richiamo alle lezioni hegeliane di
filosofia della storia, Cusani riprende con vigore la questione fondamentale. Ora
poiché l'uomo è il subbietto storico per eccellenza a volere istabilire lal egge
che governa tutte le accidentalità variabili delle vicende umane, la filosofia
non puo che cercarla nelle modificazioni della stessa umanita. Questo punto di
partenza, che il Vico, per il primo, prescrisse alla filosofia della storia,
facendo che le sue ricerche rientrassero nella coscienza psicologica
dell’italiano, e si cercasse di spiegar questo per mezzo della sua propria
natura, ma eziandio tutti i fatti di cui egli è causa, ingenera tanto
vantaggio, che da un lato tolse la specie umana dall'esser considerata come
mezzo da servire ad altri fini, e dall'altro la rialza sopra la natura, di cui
vuole sene fare prodotto o artificio. In che misura l'hegelismo, rintracciabile
nella preoccupazione di garantire l'unità del sistema attraverso l'unità della
filosofia, deve tener con toda un lato della matrice vichiana del pensiero di
Cusani e dall'altro dello sforzo di costruire l'edificio eclettico della
filosofia in modo originale? Andrebbe qui indagato, con cura e minuziosità che
questa sede non consente, il tema del senso comune in piú luoghi richiamato da
Cusani. Sipensi al saggio apparso sul « Museo », Idea d'una storia compendiata
della filosofia, proprio dove il tema della filosofia assume intonazioni
sicuramente hegeliane. Purtuttavia, sebbene l'uomo sia conscio nell'intimo
della sua coscienza della sua libertà, e riconosca in sé stesso il potere di
cominciare una serie di atti, di cui egli è causa; ciò nondimeno non può non
iscorgere eziandio, che la sua volontà è posta sotto il dominio e la soggezione
d'una legge, che diversamente vien denominata secondo che diverse sono le
occasioni, alle quali essa si applica, contrassegnandosi ora come legge morale,
ora come ragione, ed ora comesenso comune. L'indipendenza speculativa che
Cusani manifesta nel rimeditare tutti i contributi all'interno della sua
riflessione è evidente, e su questo tema operante nei confronti dello stesso Vico.
Esaminando la questione del fatalism e della libertà (giustamente si ricorda
come sia questa la questione piú importante che si possa scontrare nella filosofia
della storia, dai primi agli ultimi scritti presente inche di sua volone causar
in Cusani), nell'Idea d'una storia compendiata della filosofia, Cusani ha qualcosa
da rimproverare a Vico stesso, da altri peraltro erroneamente collocate tra gli
storici fatalisti -- cosí Livio si distingue da Machiavello e da Vico; e
sebbene Livio da maggiore influenza alla parte passiva e fatale dell’italiano
nella storia; ciò nondimeno non si è data che ai secondi, a cominciar da Machiavello,
la nota del storico fatalista. Se è vero infatti che Vico cerca nell'italiano il
principio e la legge dello svolgimento dell'umanità, egli ebbe però il torto di
essere esclusivo, in quanto non ha riconosciuto l'influenza della natura
italiana sull'italiano. Si annota come a Cusani fin dai primi studi si affacci il
dilemma tra pensiero come condizione e pensiero come condizionato: se una legge
governa lo svolgimento dell'intelligenza, la storia è da intendersi fatalisticamente
costretta entro i termini di una legge fissa del pensiero? Del resto in un
saggio nel Progresso (e non compresa nei due volumi degli Scritti, forse perché
firmata — come del resto altre note raccolte da Ottonello — con la sola sigla
S. C.), Elementi di Fisica sperimentale e di meteorologia di M. Pouillet,
Cusani ritorna sul metodo delle scienze e sulla accostabilità tra scienze
morali e scienze fisiche. Dappoiché la scienza della natura e sottoposta nella
sua ricerca a metodi certi e sicuri, e l'umana intelligenza punto da quelli non
dipartendosi, seguitò attesamente le sue investigazioni, i progressi rapidi e
continuati succedettero ai lenti e quasi invisibili dell'antichità. Il successo
di queste scienze — come di ogni scienza — è nel metodo, cosi che da meglio che
tre secoli lo spirito umano procede, in questa special branca delle sue
conoscenze con tanta fidanza, e direi quasi, contanta certezza de' suoi
risultamenti, che nissun'altra scienza per avventurapuò con questa venire al
paragone. Si badi, le scienze fisiche non costituiscono altro che una special
branca delle conoscenze dello spirito umano. Dunque occorre applicare anche
alle altre branche metodi certie sicuri, come è possibile dal momento che la
storia universale dell'Umanità, che pone la Storia al centro
dell'investigazione, racchiude,com'a dire, in un corpo tutto lo svolgimento
intellettivo della spezie. Ecco perché nel saggio Della lirica, a proposito
della legge della evoluzione ideale dell'umanità nel progresso storico, Cusani
nota che questo è di proprio particolar dominio di quella scienza, che sorta
gigante in Italia per opera di quella maraviglia del Vico, costituisce ora il
centro intorno a cui si svolgono tutti gli sforzi del secolo. Simili le espressioni
usate nella recensione agli Elementi di Fisica sperimentale, allorché della storia
universale dell'Umanità nota che forma a questi nostri tempi il punto di mezzo,
intorno di cui si volge e gravita tutto il processo del lavori del secolo. Il
ricco saggio “Idea d'una storia compendiata della filosofia” è a questo punto
da considerare fondamentale. La connessione che la storia ci rivelatra libertà
e necessità, ci consente di rintracciare la legge necessaria del progresso
storico. Noi sappiamo che la filosofia del popolo italiano non è altra cosa se
non lo spirito del popolo italianom non già come si manifesta nella sua religione spontanea,
nelle sue arti, nella sua costi-in se stesso aveva, artea, un concertelli
avvenimee metafisica. cipale delle sourcetuzione politica, nelle sue leggi e
costumi, ma come si rivela nell'esilio inviolabile del pensiero puro, che
riferma il piú alto grado al quale possada sé stesso elevarsi. Cusani ha, a tal
proposito, filosofato nel saggio “Della poesia drammatica” un concetto che poi
si ritrova in seguito. Egliè il vero che sotto la varietà degli avvenimenti del
fatto e della vita stessa della società italiana è nascosa la legge suprema e
metafisica che li governa,e che il filosofo tenta di scoprire, e ne fa
l'obbietto principale delle sue ricerche, ma all’italiano, ch'é, come dice
quell'altissimo ingegno di Vico, il senso della nazione italiana e dato tutto
al piú di sentirla, ma non deve essere suo scopo di manifestarla, dove
all'ispirazione vichiana pare già si aggiunga, insinuandosi, una suggestione
hegeliana. Nello saggio Della lirica, Cusani ribadisce l'argomento. Se la
filosofia non deve fat suo scopo, come altrove dicemmo, parlando della poesia
drammatica, la rivelazione di essa legge secondo la quale l'umanità si svolge
nello spazio e nel tempo, puf tuttavia non potrà certo cansarla nella sua
manifestazione storica, cioè nel suo progresso attraverso delle nazio ultima
recension Felice Roman son sottoposti alla legge storica in generale, la quale
le impronta quasi una seconda indole, ed è questa poi, che fa che i filosofi
sieno, come diceVico, il senso della nazione italiana. Sorprendentemente,
nell'ultima recensione pubblicata sulla « Rivista napolitana », Liriche del Cav.
Felice Romani, quasi ad emblematica chiusura, Cusani ripete. Vico innanzi
tuttia veva formolata questa solenne verità, proclamando che il filosofo e ilblematica sblata questa sojeni filosofi ne
sinnestare Hegedea d'uneinnanzi Qui l'eclettismo cusaniano ha voluto innestare
Hegel sulla tradizione italiana custodita e proclamata, specie allorché, nella
idea d'una storia, riprende il tema di una ragione fondamentale, di una idea
filosofica fondante le manifestazioni della vita umana, per cui la religione e
soprattutto la filosofia già ricordata sono riconducibili ad una legge
razionale. Un'altra citazione, non giustificata in questa sede, si rende
necessaria per la sintesi che riesce a conseguire, in specie sul tema del senso
comune. Allorché il movimento filosofico o riflessivo passa dalla fede alla
scienza,e dalle credenze popolari alle idee della ragione, e si trova d'essere
giunto a scoprire il pensiero celato dapprima sotto FORMA SIMBOLICA, e che si
traduce nell’istituzione, nella costume, nella filosofia e e nelle industria,
egli fatto quasi banditore della verità scoperta, l'annunzia per farla
conoscere alle masse, le quali non avrebbero potuto pervenire sino a quel segno
che tardi e lentamente. È in questo senso che il filosofo accelera il movimento
delle masse, e da qui nasce ancora che egli stesso e indugiato nel movimento
che è loro proprio. Dappoiché se le masse accettano la nuova luce che loro
arreca il filosofo, sono d'altra parte lente e ritenute nell'abbandonare le
vecchie opinioni, che il tempo ha rese abituali, e bisogna innanzitutto che
esse comprendano ciò che loro viene rivelato, e lo comprendanoa loro modo, cioè
facendo che discenda in certa guisa dalle forme astratte della scienza alle
forme pratiche del senso comune. Dunque il filosofo comprende e spiega nient'altro
che ciò che l’intelligenza spontanea dei popoli crede istintivamente, e
pertanto, lafilosofia non è che la spiegazione del senso comune. Possiamo a
questo punto scoprire l'errore di chi ha collocato Vico e Machiavelli tra un
storico fatalista como Livio, dappoiché, se a tuttaprima poteva parere, che
l’italiano appo costoro fosse schiavo dell’istituzione, in quanto che queste
venivano considerate come cose non procedenti dall’italiano stesso, pure,
allorché si vide che l’istituzione none che la manifestazione esterna, il
segno, e la realizzazione delle idee del popolo italiano, libertà umana nella
creazione degli avvenimenti del mondo. Come si risolve pertanto il problema
della libertà? Si pone inquesti termini l'interrogativo. La ragione è dunque il
fondamento della libertà; ma ragione e libertà sono da intendersi
esclusivamente riferitisare appunto che il problema della libertà investa
soltanto l'azione soggettiva (non intersoggetiva o collettiva) che ha per teatro
la storia. In realtà però, proprio per l'ampia visuale che egli propone della
storia globalmente intesa, la libertà non è solo quella dell'individuo o
soggetto italiano che si affranca dai condizionamenti dell'istinti -- vità, ma
anche quella che costituisce la linea intelligibile di tutto lohere nelle pella
sciente quella con il. La soluzione che si può intravedere in Cusani, concorde ed
omogenea allo sviluppo della questione della scienza e del metodo nell'intera, intensa elaborazione culturale
di Cusani è forse quella contenuta nella Idea d'una storia. Resta certo il rammarico
del mancato approfondimento delle tante tematiche che a questa risposta devono
riferirsi, in particolare sulla politica e sulla estetica. Ma la sintesi che
Cusani propone rimane oltremodo significativa. L'ordine adunque degli
avvenimenti, la provvidenza, o legge dell'intelligenza umana, è quella legge
che Iddio stesso ha imposta al mondo
morale, e che non differisce dalle leggi della natura, se non per questo, cioè
che la legge imposta al mondo morale non distrugge punto la libertà
individuale, essendo ché è permezzo della libertà che si compiono i destini
della intelligenza, laddovele legge della natura e compita senza il concorso della
libera volontà.
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