Enriques (Livorno).
Filosofo. Grice: “I like Enriques; of course his “Problemi della scienza’
implicates that philosophy does not have any!” Il Dipartimento
"Federigo Enriques" di Matematica dell'Università degli Studi di
Milano, via Saldini, Milano. Nato in una famiglia ebrea, si trasferì a Pisa.
Suo fratello Paolo Enriques, uno zoologo, fu padre di Enzo Enriques Agnoletti e
Anna Maria Enriques Agnoletti. Dopo gli studi liceali, compì gli studi
universitari a Pisa e la Scuola Normale Superiore. Si laurea. Frequenta in
seguito un anno di perfezionamento a Pisa e uno a Roma, dove ebbe modo di
incontrare e collaborare con Castelnuovo. Inizia inoltre a collaborare con
Cremona, Segre e Amaldi. Lincei. Insegna a Bologna. Fu invitato presso
l'Roma, per occupare la cattedra di matematiche superiori e di geometria
superiore. Venne invitato da Neurath a divenire un collaboratore
dell'Encyclopaedia of Unified Science, la cui pubblicazione era stata
individuata come lo strumento per lo sviluppo del movimento per l'unità della
scienza (cf. Grice, “Einheit des Wissenschaft”). Quando però furono promulgate
le leggi razziali anti-ebraiche, e espulso dall'insegnamento e da qualsiasi
altra occupazione legata all'attività culturale. Durante l'occupazione tedesca
fu dapprima nascosto in casa di Frajese
e poi a San Giovanni in Laterano. Insegna a Roma nella scuola ebraica clandestina
fondata da Castelnuovo per i giovani ebrei estromessi dalle università
italiane, e riusce a pubblicare alcuni articoli in forma anonima sul Periodico
delle Matematiche, di cui era stato direttore. Torna a insegnare. Tra i
fondatori della scuola italiana di geometria algebrica, allarga gli orizzonti
del dibattito scientifico occupandosi di filosofia, storia e didattica della
matematica. Fonda la Società filosofica italiana (di cui fu presidente),
assieme a Bruni, Dionisi, Rignano e Giardina fonda la rivista internazionale Rivista
di Scienza ed e nominato direttore del Periodico di matematiche, organo della
Mathesis. Diresse, tra l'altro, la sezione di matematica dell'Enciclopedia
Italiana. Fu un filosofo di notevole livello e la sua fama fu
internazionalmente riconosciuta. I suoi contributi allo sviluppo della
geometria algebrica furono rilevanti, per importanza e originalità. Il periodo
in cui si trova a vivere era un periodo di cambiamenti epocali, cambiamenti che
interessarono anche i concetti base della matematica e della fisica. Enriques
recepì immediatamente la portata delle novità introdotte dalle opere di
Einstein, che fu da lui invitato a tenere una conferenza a Bologna. Nel campo dei
fondamenti della matematica si ricordano i testi scolastici di grande diffusione,
rivolto all'insegnamento nei licei e scuole superiori, nei quali la geometria
euclidea, l'algebra elementare e la trigonometria vengono presentate con il
metodo razionale deduttivo. Fra le sue opere più diffuse di matematica
elementare si ricordano: Questioni riguardanti le matematiche elementare,
Questioni riguardanti la geometria elementare, Bologna Zanichelli); Elementi di
Geometria ad uso delle scuole superiori (con U. Amaldi), Zanichelli Bologna e
successive edizioni e ristampe); Nozioni
di matematica ad uso dei licei moderni (con U. Amaldi), Zanichelli Bologna); Gli
elementi di Euclide e la critica antica e moderna (Roma e Bologna, Le
matematiche nella storia e nella cultura, Bologna. Come opere principali di
matematica superiore si ricordano in particolare: Lezioni di geometria
proiettiva, (it, de). Lezioni di geometria descrittiva, Bologna, Lezioni sulla
teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche. Bologna. Lezioni
di geometria descrittiva, Le superficie algebriche, Oltre alla sua attività
come matematico, sviluppa significative ricerche di epistemologia, storia della
scienza e filosofia della scienza. Questo suo impegno per il rinnovamento della
cultura, avvenne in un periodo non facile, sia per gli eventi bellici, sia per
la cultura dominante nella prima metà del Novecento, caratterizzata dalla
filosofia idealistica e dal ridotto interesse verso la cultura scientifica. Fra
le sue numerose saggi in queste materie si ricordano: Problemi della
scienza” (Zanichelli, Bologna); “Razionalismo e storicismo in "Rivista di
Scienza", Zanichelli, Bologna, Il pragmatismo in "Scientia",
Zanichelli, Bologna); “Scienza e razionalismo, Zanichelli, Bologna. Matematiche
e teoria della conoscenza in "Scientia", Zanichelli, Bologna); “Per la
storia della logica, Zanichelli, Bologna. Storia del pensiero scientifico,
Bologna, scritta con G. Santillana. Il significato della storia del pensiero
scientifico, Bologna, ripubblicato da Barbieri, La teoria della conoscenza
scientifica da Kant ai nostri giorni, Bologna. Le dottrine di Democrito d'Abdera.
Testi e commenti, con M. Mazziotti, ripubblicato per Edizioni immanenza. Sviluppò
una corrente di pensiero vicina al razionalismo. Assieme a Peano si può
considerare uno dei principali filosofi italiani che si sono dedicati allo
studio della logica e della filosofia della scienza nella prima metà del Novecento.
Ha messo in luce due aspetti fondamentali del pensiero scientifico nella prima metà del sec XX: la sempre
maggiore specializzazione delle discipline fisiche, tecniche, ecc. e la
tendenza al rinnovamento che si è avuta sia nei fondamenti della matematica,
sia nella fisica moderna. Assieme a Bruni, Dionisi, Giardina e Rignano,
fonda la rivista di ricerca e divulgazione scientifica Rivista di scienza
(rinominata successivamente Scientia), con l'obiettivo dichiarato di superare
le divisioni disciplinari in nome dell'unità del sapere e contro l'eccessiva
specializzazione accademica. Contro codesti criterii ristretti intende reagire
soprattutto il movimento nuovo di pensiero verso la sintesi; una Filosofia
libera da legami diretti coi sistemi tradizionali, sorge appunto a promuovere
la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e delle teorie, e ad
affermare un apprezzamento più largo dei problemi della Scienza. Pel quale il
particolarismo stesso viene compreso in un aspetto più adeguato nella interezza
del processo scientifico. (Programma, Rivista di Scienza). Condusse la rivista,
quando un articolo di Rignano sulle cause della guerra lo costrinse a
rassegnare le dimissioni. Torna alla direzione alla morte di quest'ultimo e
sotto sua esplicita richiesta fino al’anno delle leggi razziali. Abbandonato
ogni incarico, ritorna infine alla guida di Scientia a due anni dalla morte. Il
primo saggio significativo dedicato da Enriques a questioni di metodo e
filosofia della conoscenza è l'opera Problemi della scienza nella quale compie
un'analisi articolata delle varie discipline della matematica, della geometria,
della meccanica, della fisica edella chimica alla fine del XIX secolo. Mette in
evidenza l'importanza che lo scienziato deve analizzare con la massima
attenzione, sia i fondamenti logici e sperimentali delle diverse
discipline, sia il contesto storico e le situazioni in cui i principi
scientifici sono stati scoperti. In quest'opera Enriques indica che una
visione dinamica della scienza, porta naturalmente nel terreno della storia. I
fondamenti della scienza quindi non possono essere capiti completamente se non
si analizza anche il contesto storico e culturale nel quale sono stati
formulati. L'opera ebbe maggiore fortuna e diffusione all'estero, che non in
Italia, dominata agli inizi del Novecento dalla cultura letteraria e della
filosofia idealistica. Il suo pensiero trova riscontro nelle teorie elaborate
dai massimi epistemologi filosofi fra cui Popper, Lakatos e Kuhn. In
particolare nel pensiero di Lakatos e di Kuhn viene sviluppata la concezione
della formazione storica dei concetti scientifici, come opera di più autori e
ricercatori, che in un determinato periodo storico elaborano una serie di
principi-base sui quali viene sviluppata una teoria ipotetico-deduttiva e le
successive verifiche sperimentali. Importante è anche la presa di
posizione sia rispetto alla filosofie idealistiche del ‘900, che hanno
tralasciato gli aspetti della filosofia della scienza, sia la sua posizione
critica rispetto alla filosofia di Kant. In particolare, critica il concetto di
giudizio sintetico a priori di Kant (Critica della ragion pura). Secondo
Enriques, i principi fondamentali delle scienze sono elaborazioni razionali
derivate per induzione dall'esperienza e dalla percezione sensoriale e non sono
giudizi sintetici a priori. In questo saggio porta alcuni esempio fondamentali.
I postulati della geometria sono generalizzazioni, per astrazione, di semplici
esperienze geometriche, che ogni allievo compie fin dalle prime osservazioni
razionali del mondo esterno, svolte anche in ambito scolastico. I principi
della geometria sono generalizzazioni di esperienze sensoriali concrete.
Allo stesso modo anche i principi della Fisica e della Chimica derivano
direttamente da generalizzazioni di esperimenti reali. Ad esempio la Legge di
conservazione della massa dovuta a Lavoisier non è un giudizio sintetico a
priori, come crede Kant. È noto infatti che deriva da semplici esperimenti
fisici, svolti pesando i composti chimici prima e dopo una reazione
chimica. La nuova impostazione razionalistica e storica fu avviata in
Italia da Enriques, in Francia da Duhem e in Austria da Mach e da altri autori
riunitisi intorno al Circolo di Vienna. Fu poi sviluppata ulteriormente in
Italia da Geymonat e dalla sua scuola milanese che ha ripreso gli studi di
Enriques, sviluppando i temi di storia della scienza e di filosofia della scienza.
Un'altro saggio fondamentale è Per la storia della logica che mette in evidenza
l'importanza della deduzione, della induzione e gli altri aspetti
interpretativi ed epistemologici della logica. Il saggio ha un approccio
storico e descrittivo della logica è ricco di citazioni originali, e affronta
questo difficile argomento anche con una certa ironia ed eleganza letteraria.
Nell'opera, sono illustrati in modo semplice e sintetico i contributi portati a
questa disciplina dai vari filosofi nelle varie epoche. Si può considerare uno
dei pochi testi in cui la materia è esposta in modo chiaro, essenziale e
interessante. Di notevole interesse per le fonti storiche citate e per la
narrazione della genesi dei concetti scientifici sono la serie di opere
dedicate alla storia della scienza. Il primo saggio fu la “Storia del pensiero
scientifico” scritto in collaborazione con G. Santilana. Quest'opera ripercorre
la storia delle scienze matematiche, geometriche, astronomiche, meccaniche e
fisiche dall'antica Grecia fino ai giorni nostri, con numerose citazioni e
fonti storiche degli autori originari. A esso seguirono altri testi di
approfondimento, fra cui, “Il significato della storia del pensiero scientifico
e La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni; Lineamenti
di filosofia della scienza. Dei numerosi saggi dedicati agli aspetti filosofici
della scienza si desumono i principali lineamenti del suo pensiero
razionalista, che, a titolo orientativo si possono cercare di sintetizzare nei
seguenti punti: Equilibrio fra intuizione e ragionamento logico. Nelle
opere scientifiche gli argomenti sono esposti in modo intuitivo, evidenziando i
motivi sperimentali e oggettivi alla base di alcuni concetti astratti. Dopo la
descrizione dei suoi principi, si sviluppa poi la materia con criteri logici,
deducendo razionalmente le principali leggi, teoremi e applicazioni. Questo
carattere, comune anche ai grandi scienziati del passato (Galilei, Cartesio,
Newton, Eulero, Coulomb, ecc.) contraddistingue il metodo di Enriques, rispetto
agli indirizzi formalisti che si sono avuti nella logica e nella
matematica del XX secolo. Problema della specializzazione delle scienze: ha
colto questo aspetto critico delle numerose edeterogenee discipline
scientifiche nel XIX e XX secolo. Per superare il problema della eccessiva
frammentazione del sapere ha proposto di ripensare i concetti fondamentali
della fisica, della geometria, della matematica e delle altre scienze naturali
con criteri unitari, approfondendone il significato intuitivo, sperimentale e
la sua genesi storica. Approccio storico alla conoscenza scientifica. Questo
aspetto caratterizza il metodo di Enriques, che ha sviluppato con passione e
impegno moltissimi aspetti di storia della scienza. La storia della scienza fa
parte della scienza stessa. Per capire veramente un teorema non è sufficiente
capire solo la sua dimostrazione, ma anche il contesto storico nel quale è
stato formulato, quali sono stati i problemi tecnici che hanno portato alla sua
formulazione e come sono stati risolti tali problemi con l'applicazione delle
teorie scientifiche. Sviluppato in Italia il nuovo approccio di storia della
scienza avviato da Mach e da Duhem, precursori del gruppo di filosofi e
scienziati Professore del Circolo di Vienna. Valenza fisica dei concetti
geometrici. La geometria può essere considerata come il primo capitolo della
fisica, diversamente dai matematici e filosofici formalisti che la considerano
una scienza astratta. L'orientamento formalista nella geometria è stato
delineato da Kant (Critica della ragion pura) per il quale i postulati
geometrici non derivano solo dall'esperienza visiva, ma sono giudizi sintetici
a priori di carattere soggettivo e indipendenti dalle percezioni sensoriali. La
tesi di Kant è stata discussa dai massimi esperti di filosofia teoretica con
orientamenti contrastanti. Nel XIX secolo in opposizione a Kant si è delineato
un approccio fisico-sperimentale ai principi geometrici, al quale hanno aderito
molti storici e filosofi della scienza. Ha contribuito alla riscoperta del
significato più autentico, di carattere storico, intuitivo e sperimentale alla
base della geometria, della matematica e delle scienze fisiche. Contributi su
Scientia Articoli “Eredità ed evoluzione” su amshistorica.cib.unibo. “I numeri
e l'infinito” su amshistorica.cib.unibo. “Il pragmatismo” su
amshistorica.cib.unibo. “Il principio di ragion sufficiente” su
amshistorica.cib.unibo. “Il problema della realtà” su amshistorica.cib.unibo. “Il
significato della critica dei principii nello sviluppo delle matematiche” su
amshistorica.cib.unibo. “Importanza della storia del pensiero scientifico nella
cultura nazionale” su amshistorica.cib.unibo.
su amshistorica.cib.unibo. “L'infinito
nella storia del pensiero” su amshistorica.cib.unibo. La filosofia positiva e
la classificazione delle scienze, I motivi della filosofia di Eugenio Rignano,
su amshistorica.cib.unibo. Recensioni (in francese) Ailly (D'),Imago mundi, Aliotta, A. L'esperienza
nella scienza, nella religione e nella morale, su amshistorica.cib.unibo. Archibald, R. C. Outline of the History of
Mathematics, su amshistorica.cib.unibo.
Bignone, E. L'Aristotele perduto
e la formazione filosofica di Epicuro, su amshistorica.cib.unibo. Blanche, R. Le rationalisme de Wewell, su
amshistorica.cib.unibo. Bouasse H.Bachot
et bachotage, su amshistorica.cib.unibo.
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la connaissance de soi, su amshistorica.cib.unibo. Carbonara, C. Scienza e filosofia ai principi
dell'età moderna, su amshistorica.cib.unibo.
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Science et la Metaphysique devant l'analyse logique du langage, su
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Della Volpe, G. La filosofia dell'esperienza di Davide Hume, su
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cheminement de la pensee, su amshistorica.cib.unibo. Ness, A.Erkenntnis und Wissenschaftliches
Verhalten, su amshistorica.cib.unibo.
Nordstrom, J.Moyen age et Renaissance, su amshistorica.cib.unibo. Platone e la teoria della scienza, su
amshistorica.cib.unibo. Reflexions sur
l'art d'ecrire un traite: a propos d'un traite de mathematiques, su
amshistorica.cib.unibo. Rensi, G. Le
ragioni dell'Irrazionalismo, su amshistorica.cib.unibo. Rey, A.Rey, A.Les mathematiques en Grece au
milieu du V siecle, su amshistorica.cib.unibo.
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su amshistorica.cib.unibo. Smith, D.
E.The Poetry of Mathematics and other Essays, su amshistorica.cib.unibo. Spirito, U. Scienza e filosofia, su
amshistorica.cib.unibo. Stefanini, L. Platone,
su amshistorica.cib.unibo. Stefanini, L.
Platone, su amshistorica.cib.unibo.
Tannery, P.Puor l'histoire de la science hellène, su
amshistorica.cib.unibo. Wind, E. Das
Experiment und die Metaphysik, su amshistorica.cib.unibo. Wolf, A. A History of Science, Technology and
Philosophy in the 16 and 17 Centuries, su amshistorica.cib.unibo.L'autore ha
curato una decina di manuali didattici di geometria e algebra elementare e
oltre 20 trattati di matematica superiore. Ha inoltre pubblicato un'ampia serie
di testi di storia e di filosofia della scienza e numerosi articoli
specializzati. L'elenco completo delle sue opere comprende oltre 300 titoli,
fra saggi, articoli e trattati scientifici. Questo testo proviene da Mille anni di
scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della
Scienza di Firenze Spoglio di articoli e recensioni disponibile sul Catalogo
Italiano dei Periodici (ACNP). Informazioni sulla storia editoriale di
Scientia. Silvia Haia Antonucci e Giuliana Piperno Beer, Sapere ed essere nella
Roma razzista. Gli ebrei nelle scuole e nell’università, Roma, Gangemi editore,
Collana Roma ebraica-7, Tina Nastasi,Federico
Enriquez e la civetta di Atena, ed plus,Pisa, Comunità ebraica di Livorno. TreccaniEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Federigo Enriques / Federigo Enriques (altra versione), in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Federigo Enriques, su MacTutor, University of St Andrews, Scotland.
Federigo Enriques, su Mathematics Genealogy Project, North Dakota State
University. Opere di Federigo Enriques,
su Liber Liber. Opere di Federigo
Enriques, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Federigo Enriques, Gaspare
Polizzi, ENRIQUES, Federigo, in Il contributo italiano alla storia del
Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Edizione nazionale
delle opere. Digitalizzazione completa di Scientia e Rivista di Scienza su AMS
Historica. Sito ufficiale del Centro Studi Enriques di Livorno. "Le
Armonie Nascoste", un recente documentario su Enriques su lalimonaia.pisa.
Coloro che s'immergono
nella dialettica, dice Aristone di Chio, fanno come i mangiatori di gamberi:
per un boccone di polpa perdono il loro tempo sopra un mucchio di scaglie. Ma Hamilton,
riportando il motto, vi aggiunge un’osservazione che non sembra aver perduto
valore ai nostri giorni. Da noi, dice, il filosofo perde il tempo senza nemmeno
gustare un boccone di polpa. Infatti il filosofo che ha percorso gli studi
romani antichi classici, domanderebbe invano alla dialettica che gli fu
insegnata, un concetto adeguato di quello che è l’ordinamento di un calcolo
deduttiva come la geometria, nonché una spiegazione del significato e del
valore dei principi che s’incontrano in la geometria. Che cosa e una
definizione, un’assioma, un postulato? Che posto occupano nell’organismo della
teoria dialettica? Quali sono i criteri che presiedono alla loro scelta o che
permettono di giudicare della loro accettabilità? Tutte queste domande rimangono
senza risposta, pel filosofo, se pure ad esse si alluse vagamente da qualche
oscura dottrina del concetto. Certo esse non ricevono lume dalle minute
classificazioni sillogistiche, per mezzo delle quali egli vien abilitato,
quando mai, a verificare ciò che non ha alcun bisogno di verifica, cioè la
coerenza formale di una dimostrazione geometrica. Ora è essenziale rilevare che
il filosofo, ponendosi il problema dell’ordinamento della propria disciplina, si
ritrova in faccia alla dialettica nella posizione stessa dei filosofi che hanno
lavorato a costruirne l’edifizio, giacche lo sviluppo della dottrina del ragionamento
procede appunto dalla critica dei filosofi che hanno riflettuto intorno alla
natura e all’ordine della consequenza logica. Come padre della dialettica viene
designato Aristotele. Ma Aristotele non può essere ritenuto se non raccoglitore
e sistematore di ciò che nella dialettica e elaborato prima di lui, qualunque
sia il contributo originale che può aver recato al sistema. L'affermazione
precedente apparirà tosto giustificata quando si ricordi che le matematiche
avevano raggiunto, già all’epoca di Platone, uno sviluppo assai elevato, [Il
vanto che Aristotele dà a sè stesso (al termine degli Elenchi Sophistici) di
aver creato una nuova scienza, appare, a chi legga tutto il paragrafo,
riferirsi in modo stretto alla scienza della discussione o dialettica o
collequenza e ad ogni modo non prova nulla contro il nostro asserto. La logica
degli anlichi fiacche — a partire da Ippocrate di Chio — si cominciò a scrivere
trattazioni dei suoi Elementi. Anche, che anzi, proprio all'epoca di Platone, ed
in più o meno stretta connessione coll’accademia da cui pure usce Aristotele,
alcune teorie aritmetiche furono oggetto di una profonda elaborazione critica
(Eudosso, Teeteto...), che costituisce il precedente storico degli Elementi
d'Euclide. Anche, che, d’altra parte, la dialettica aveva ricevuto uno
straordinario sviluppo nelle discussioni dei Sofisti, sia presso i primi
insegnanti salariati che presero tal nome, filosofi — come Protagora dì Abdera
— sostenitori dell’ empirismo avverso il razionalismo metafisico del circolo di
Velia, sia, più specialmente, presso i Megarici ed altri pensatori affini, che,
in connessione coi circoli socratici, ripresero e svolsero in un modo
formalistico la veduta veliatica. La finezza di alcuni sofismi attribuiti a
filosofi di Velia, basterebbe da sola a testimoniare della profondità dell’analisi
da essi ragggiunta, di fronte a cui fanno talora meschina figura le spiegazioni
o confutazioni d’Aristotele negli Elenchi Sophistici. Aggiungasi che le stesse
polemiche aristoteliche contro avversari non nominati (per esempio, intorno
alla necessità e al carattere dei principi negli Analytica posteriora) valgono
ad indicare che il problema logico dell’ordinamento di un calcolo
analitico-deduttivo si dibatte secondo vedute diverse, alcune delle quali si
riveleranno — ad un esame approfondito — più vicine alle vedute moderne, in
confronto a quelle adottate dal filosofo di Stagira. I trattati d’Aristotele,
che furono raccolti sotto il nome comprensivo di Organo, manifestano la doppia
origine, dalla critica dell’aritmetica e dalla pratica della colloquenza.
Infatti, i primi due saggi (Categoriae e De Interpretatione) si riferiscono
alla classificazione o tassonomia delle espressione isolate e della
proposizione, formando quasi una introduzione a tutta l’opera. I due saggi successivi
(Analytica priora e Analytica posteriora) svolgono appunto la colloquenza come
calcolo, quale risulta dall’analisi del ragionamento. Invece i due saggi
(Topica ed Elenchi Sophistici) concernono l’arte della colloquenza o argomentare,
mirante — non all’analitico ma soltanto al ‘desirabile’ ed al ‘credibile’ o ‘probabile’
in rapporto alla pratica della colloquenza. Aristotele ritiene per quest’arte
il nome eleatico-platonico di ‘colloquenza’, mentre distingue col nome di
propedeutica analitica – lo studio dell’analitico -- l’esame del procedimento
della scienza dimostrativa, in cui dalla possibilità della scienza si desumono
le condizioni del suo ordinamento questo senso è stato ripreso da Kant in quella
parte della Critica della ragion pura che costituisce l’Analitica
trascendentale. L’espressione ‘logicus’ è usato dal nostro per designare
procedimenti del discorso che, non partendo da principi, non hanno valore
dimostrativo. Ma quest’espressione s'incontra, già prima, [Quest’osservazione è
fatta da Pranll, Geschichte der Logik. La logica degli antichi nel titolo di un
saggio di Democrito d’Abdera: rtepi
Xoytxwv i) xavwv. E nella misura in cui si può ammettere che Aristotele ne
abbia conservato il ‘significato’, rivelerebbe una diversa cocezione (più
relativa e formale) del ragionamento: la quale s’incontra di fatto dopo
Aristotele, e spalmente presso gli Stoici. Ora questi filosofi, appunto a
partire da Zenone Cizio, designano come “to logikón” quella parte della
filosofia che ha relazione al “logo” o discorso, e che comprende questioni
attinenti al ragionamento e questioni rettoriche o di grammatical della
profundita; mentre la scuola contemporanea di Epicuro ha tratto sicuramente da
Democrito il nome di canonica, con cui designa le regole del metodo. Siffatte
osservazioni, tendono a mostrare che l’influenza della vasta opera aristotelica
sui successori, non fu così esclusiva come di solito si ammette, e c’inviterà a
ricercare in questi stessi successori il riflesso delle opinioni più antiche,
ed in particolare di quelle del maestro d’Abdera. Per formarsi un concetto
dell’origine della logica, sarebbe interessante di ricercare se e quali
([Diels, Die Fragmente der Vorsokraliker: Dem.A 33, B. 10^. Diog. Laert. VII,
33 (In Arnim, Diogenes, 16). CO Aggiungeremo che Prantl opina che il nome
proprio vj , come appellativo della scienza del ragionamento, o come nome comprensivo
di esso e della rettorica, introduca piuttosto dai tardi peripatetici che dagli
stoici] rapporti sieno interceduti fra la critica dei matematici e le sottili
disquisizioni e implicature dei sofisti. Clairaut, per spiegare il rigore del
ragionamento di Euclide, notta: ce geomètre avait à convaincre des Sophistes
obstinés qui se faisaient une gioire de se lefuser aux vérités le plus
évidentes. Houel ripette che la forma dogmatica d’Euclide è dovuta a “sa
préoccupation de fermer avant tout la bouche à des sophistes que la Grece avait
le tori de prendre au sérieux.” “De là,” egli aggiunge, “son habitude de
demontrer toujours qu' une chose ne peul pas ótre au lieu de demontrer qu’ elle
est.” Queste affermazioni sono state frequentemente contestate, giacche è
difficile riconoscere che i sofisti abbiano esercitato un'influenza diretta,
non dico sopra Euclide, ma nemmeno sopra i geometri, suoi predecessori, che
hanno elaborato criticamente la scienza matematica. Tuttavia si può citare, a
questo proposito, qualche accenno ad una polemica antimatematica di Protagora e
di Antifonte tendente a restituire (avverso la filosofia razionalistica) il
carattere empirico (alla Mills, i. e., sintetico, non analitico) ai concetti
della geometria: argomenti dello [Elementi de geometrie, Parigi] [Essai
critique sur les Principes fondamenlaux de la Géométrie” Parigi] Nondimeno i
rapporti amichevoli di Protagora col matematico Teodoro di Cirene sono
attestati da Platone: Teeteto 161 b 162 a. (Aristotele, Met. II, 2. (20). Cfr.
Simplicio in Aristotele Phys.: Diels B. 13. La logica degli antichi] stesso
genere vedonsi comunemente ripetuti dagli empiristi» e — per quanto concerne
l'antichità — si trovano raccolti da Sesto Empirico (‘). Ma, qualunque veduta
si abbia intorno alle idee espresse da Clairaut e da Hoiiel (che sono errate
almeno per quel che concerne la svalutazione del movimento sofistico I), un
altro nesso, più importante, appare fra la critica logica dei matematici e la
dialettica dei sofisti, poiché l’una e l’altra sono generate insieme dalla
filosofia di Velia. Infatti Zenone di Velia, è additato, dallo stesso
Aristotele, come inventore di quell’arte litigiosa che è la dialettica e,
d’altra parte, l’analisi penetrante di Tannery e di Zeuthen sui celebri
argomenti intorno al moto (la dicotomia, l’Achille, la freccia, ecc.), ha messo
in evidenza il loro significato e valore matematico, sicché il sottile
dialettico in cui la tradizione non ha veduto che un ragionatore ‘paradossale’,
si scopre ai nostri occhi come iniziatore di quell’ ordine di considerazioni
che costituisce l'analisi infinitesimale. Ed é sommamente istruttivo
riconoscere che proprio dalle considerazioni infinitesimali — in cui il
pensiero i trova esposto a non sospettate fallacie — trae origine la critica
del ragionamento, onde ne esce fuori la sco¬ perta del principio di contraddizione
e il procedimento [Adversus Aialhcmaticos, I. III. ( 2 ) Cfr. Diog., L., Vili,
57; Sesto Adv., Math., VII, 6 (in Diels, Zenone, A, IO); Aristotele ed. Didot]
di riduzione all'assurdo, o eliminazione della negazione. Democrito che
spingerà innanzi l’analisi infinitesimale, scoprendo il volume della piramide,
viene parimente ricordato da Diogene Laerzio come prosecutore della dialettica
zenoniana. Ma importa spiegare, sia pure con brevità, come le origini
dell’analisi infinitesimale si riattacchino ad un critica dei principi della
geometria, a cui pertanto viene a connettersi lo sviluppo della logica. La dimostrazione
delle cose che qui asseriamo si troverà nei lavori degli storici sopra citati, ed
anche in altri nostri scritti, in cui abbiamo trattato più particoiar-mente
questo soggetto. Secondo le notizie che ci vengono fornite da Proclo, nel
commento al primo libro dell' Euclide, le principali teorie geometriche che
costituiscono gli Elementi furono elaborate dai pitagorici e ricevettero già a
Crotone uno sviluppo dimostrativo. Zeuthen suppone che il punto di partenza di
questo sviluppo sia stato il tentativo di stabilire in generale la relazione
fra i quadrati dell’ipotenusa e dei cateti del triangolo rettangolo, nota sotto
il nome di teorema di Pitagora. D’altronde vi sono numerosi indizi che la
geometria pitagorica avesse come fondamento una teoria delle proporzioni (symmetria,
o della misura o analogia), basata sopra un concetto EMPIRICO del punto-esteso,
preso come [Cfr. Enriques, Il procedimento di riduzione all'assurdo, Bollettino
della Mathesis ».Cfr. in ispecie Tannery, Pour la Science hellcne , cap. X. La
logica degli antichi] elemento unitario di tutte le cose (monade). Così l’affermazione
pitagorica che le cose sono numeri è da interpretare nel senso che un corpo, o
una figura geometrica, che in questo stadio della filosofia si pensa in maniera
concreta, e un aggregato di punti, cioè unità aventi posizione. Ma l’ipotesi monadica
traeva con se la commensurabilità (simmetria) di due segmenti qualsiansi, che appunto
rendeva senz' altro possibile la misura, e questa conseguenza doveva urtarsi —
nel stesso circolo pitagorico— colla scoperta che la diagonale e il lato del
quadrato sono incommensurabili. Ora, mentre i pitagorici si affaticavano
intorno a questa difficoltà, altri filosofi che del resto sono usciti dai
medesimi circoli, iniziano la critica dei concetti geometrici, riconoscendo che
un ragionamento, il quale voglia mantenersi immune da contraddizioni, deve
riguardare il punto come privo di estensione, la linea come lunghezza senza
larghezza, la superficie senza spessore, e di qui vengoo naturalmente condotti
alle prime considerazioni infinitesimali. Questi critici razionalisti sono i
filosofi di Velia: Parmenide e il suo discepolo, l’italiano Zenone. La loro
speculazione segna un punto decisivo nella storia della filosofìa, perocché
essa proclama nettamente, per la prima volta, i diritti della ragione: il ragionamento
coerente viene assunto [Parmenide è annoverato fra i pitagorici nel catalogo di
Giarablico (Diels, Pyth, 45, A.) e delle sue relazioni con altri pitagorici ci
viene attestato da Diogene Laerzio. Senz’ altro a misura della verità, cioè
dell' esistenza metafisica, distinta e contrapposta all’ opinione probabile che
si riferisce alla realtà sensibile. Da questo razionalismo, per cui il pensiero
non esita a staccarsi dalle apparenze fenomeniche per serbare rigida fede ai
suoi principi, nasce — come si è detto — il metodo dialettico, che è il germe
della logica. La quale ebbe a svilupparsi di poi, mentre fervevano le
controversie fra empiristi e razionalisti, e — per opera di questi — si
proseguiva lo sviluppo dell analisi infinitesimale (Democrito), e se ne indagava
criticamente i principi (Eudosso). Ma, poiché questa critica — toccando alla
teoria fondamentale degli incommensurabili e delle proporzioni — veniva ad
involgere l’intiero problema dell’assetto rigoroso della geometria, la ricerca
logica non poteva limitarsi all’ analisi dei sottili procedimenti implicaturali
della deduzione, anzi doveva naturalmente estendersi all’ordinamento della
scienza e alla valutazione dei suoi principi. In rapporto a ciò che precede
riescono sommamente espressivi ed interessanti i giudizii di Plato ne, sebbene
forse, si sia esagerata dallo Zeuthen l’influenza che il filosofo ateniese può.
“Sur la riforme qu' a subie la malhématique de Platon à Euclide et gràce à
laquelle elle est devenue Science raisonnée, “Memorie dell’ Accademia di
Copenhagen”)] avere esercitato su pensatori matematici quali Eudosso Teeteto,
allorché designa il movimento critico el tempo col nome di riforma platonica
dèlle matematiche. Riferiamo alcuni passi della Republica 510. Quelli che si
occupano di geometria e di aritmetica ecc. assumono il “pari” ed il “dispari”,
e le figure e tre specie di angoli, e altri simili supposti nelle dimostrazioni;
e come avendone certa scienza questi supposti li prendono per base, e quasi
fossero evidenti non pensano affato a darne alcuna ragione, nè a se stessi, nè
agli altri; anzi, di qui partendo, ordinatamente dimostrano lutto il resto
giungendo infine a ciò che si proponevano di dimostrare. Essi si valgono, per
ciò, di figure visibili, e ragionano su di esse, non ad esse pensando, ma a
quelle di cui queste sono l’immagine, ragionando sul quadrato in se stesso e
sulla sua diagonale, anziché su quello o quella che disegnano; e cosìutte le
figure che formano o disegnano (quasi ombre o immagini specchiate dall' acqua),
tutte le adoperano come rappresentazioni, cercando di vedere attraverso di esse
i loro originali, che non sono visibili se nndall’intelligenza (5:cV3ix).... ».
(511). Questa specie invero io la dicevo intelligibile, e intendevo dire che
l’anima nell’ investigazione di essa, è costretta a valersi di remesse. Ci
valiamo dell’ed. Didot e della trad. it. edita da Laterza, che riportiamo con
lievi modificazioni. non procede al principio, perchè non è in grado di andare
oltre alle premesse, ma si vale, come d’ immagini, degli originali appartenenti
al mondo di quaggiù, da esse imitali, valutandoli e stimandoli come eidenti di
fronte a quelle,” mentre “il ragionamento che usa la forza della dialettica,
considerando le remesse non come principi ma soltanto come pre¬ esse — quasi
punti d’ appoggio e di partenza — giunge a ciò che più non ha premesse, cioè al
principio universale, e raggiuntolo e tenendosi fermo alle conseguenze che ne
derivano, perviene al fine senza far uso di nessun sensibile, cioè procede
dalle idee stesse alle idee attraverso le idee, per finire alle idee. Di qui la
distinzione posta fra la ragione del dialettico (vo’jc, vóy}oic) e
l’intelligenza del geometra (3:xvo:s() che sta di mezzo fra l’opinione e la
ragione”. La stessa distinzione ritorna in : Rep. (533c,...): la geometria e le
scienze affini sognano rispetto all’ essere, ma è imposibile che lo vedano ad
occhi aperti, intanto che si valgono di postulati e li tengon fermi, mentre non
sanno renderne conto. Veramente la disciplina, che ignora il suo principio, e
che ha la fine e il mezzo legato a ciò che non sa, come si potrebbe chiamarla scienza
?... » .Vi è qualche difficoltà a comprendere queste vedute. Anzitutto giova
respingere l’ interpretazione più comune, che stabilisce una differenza
radicale fra la ragione del dialettico e l’intelligenza del geometra, giacché
non si riesce a dare alcun significato alle idee platoniche, se non ammettendo
che esse esistano nello stesso modo in cui si afferma l’esistenza di rapporti o
di forme matematiche nella natura. L' apparente contraddizione fra questo modo
d'intendere la dottrina e le parole del testo sopra accennato, si toglie
ammettendo che il posto inferiore attribuito alle matematiche di fronte alla
dialettica, si riferisca non tanto alle matematiche pure, costruibili come
scienze (pafW’yiJ.aT*) secondo l’ideale del nostro, quanto alle matematiche
considerate come arti (zl'/yy.:). Ed in appoggio a tale veduta si possono
citare altri passi dello stesso dialogo, p. es.: Rep. (527) anche coloro che sono poco profondi in
geometria, non metteranno in dubbio che questa scienza è tutto il contrario di
quanto parrebbe dalla terminologia che usano quelli che la professano. È una
terminologia troppo ridicola e misera, perchè — quasi si trattasse di scopo
pratico — parlano sempre di quadrare, di prolungare o di aggiungere. Invece
tutta la scienza si coltiva collo scopo di conoscere”. Ma qual’ è l’ordinamento
della geometria vagheggiato da Platone? su che base vorrebbe egli edificarne i
principi? I passi citati indicano assai chiaramente che per conferire alla
scienza un valore razionale, il filosofo [Cfr. G. Milhaud: Les philosophes
géometres de la Grece. Parigi, Alcan; Enriques: Scienza e razionalismo,
Bologna, Zanichelli] vorrebbe eliminare quelle domande che si pongono a
fondamento delle dimostrazioni, sotto il nome di postulati (axioma), mercè cui
si assume la possibilità di certe costruzioni, facendo appello ad operazioni
pratiche sopra modelli sensibili. La base della geometria, edificata secondo i
criteri della dialettica, consisterebbe duue in pure definizioni (il procedimento
dialettico ha appunto come scopo di definire i concetti !) o in principi
evidenti — quali gli assiomi — che Platone riguarderebbe come conoscenze innate,
giusta la teoria della reminiscenza (annamnesis) esposta nel Menone. In tal
guisa le proprietà elementari che una figure visibile ha porto occasione di
riconoscere, merce 1 intelligenza ideahzzatrice (dianoia), apparirebbero
fondate sulla pura ragione (nous). Rivolgendoci agli Analytica di Aristotele,
vi troveremo notizie più precise sui criteri adottati dai geometri nell ordinamento
logico della scienza, criteri che sara interessante di raffrontare a quelli che
appaiono, in atto, negli Elementi euclidei. Già al principio degli Analytica
priora, l’autore definisce il concetto della scienza di cui imprende lo studio.
Anzitutto e da dire il soggetto e lo scopo di questo studio: il soggetto è la
dimostrazione e lo scopo è la scienza dimostrativa (à~:a~y.tirj à7to8sM~:xf/). Quindi,
negli stessi Analytica priora, viene a stabilire la teoria del sillogismo
(teorico o aletico, e pratico o volitivo), e passa poi ad esaminare — nei
posteriora — l’ordinamento delle scienze deduttive, riferendosi perciò
continuamente alle matematiche. Quest’ ultimo trattato, che qui occorre
specialmente esaminare, si apre coll’ enunciato che ogni conoscenza razionale,
sia insegnata, sia acquistata, deriva sempre da conoscenze anteriori. L'osservazione
mostra che ciò è vero di tutte le scienze. Infatti questo è il procedimento
delle matematiche e, senza eccezione, di tutte le altre arti. Ora dal concetto
stesso del sapere segue necessariamente che la scienza dimostrativa procede da
principi veri, da principi immediati, più noti che la conclusione, di cui sono
la causa ed a cui precedono. Aristotele (ibidem, 1, 3) esamina e respinge le
obiezioni di due specie di avversari di questa dottrina, i quali pretendono o
che non vi sieno principi e però che la dimostrazione riesca impossibile, dando
luogo ad un regresso all’ infinito; o, all' opposto, che il procedimento della
dimostrazione sia affatto relativo, sicché i principi possano provarsi partendo
dalle conclusioni, così come le conclusioni dai principi: ciò che egli dice dar
luogo ad un circolo vizioso. Sarebbe assai interessante conoscere gli avversari
[Cfr. Enriques: Il concetto della Logica dimostrativa secondo Aristotele in «
Rivista di filosofia ») An. post. I, 2 (6). a cui il nostro si riferisce. Forse
la prima obiezione apparteneva alla polemica antimatematica di filosofi
empiristi, mentre la seconda potrebbe essersi presentata nei circoli megarici
(imbevuti del relativismo veliatico) ovvero a Democrito o ad altri matematici,
critici dei principi della scienza. Ad ogni modo, della veduta qui espressa —
che è solo apparentemente illogica — ci colpisce l'analogia che essa presenta
con talune vedute moderne. Aristotele combatte questo relativismo, poiché tutta
la sua metafisica, ispirata alla dottrina platonica delle idee, e soggiacente
alla sua logica, reagisce appunto alle tendenze relativistiche delle speculazioni,
che dalla scienza presocratica erano passate nel dominio del costume e delle
credenze religiose, in guisa da minacciare le condizioni della vita sociale nel
mondo ellenico. Il parallelismo che i veleiatici avevano scorto fra il logo o
ragione e l’essere, e che i sofisti (avversari e prosecutori) avevano
interpretato nel modo di proiettare nella realtà l’arbitrario che è proprio
della libera critica, riceve, nella dottrina socratico-platonica, una
interpretazione inversa. Infattim la
teoria ontologica delle idee, suppone un ordine assoluto di consistenza che
stanno di fronte alla ragione come dati, sopra cui esso ha da modellare
l’ordine della propria scienza. Così dunque Platone vede nella classificazione
delle forme geometriche un modello della gerarchia delle specie naturali, la
quale si rispecchia nquel procedimento più generale di “divisione” (diaresis) e
di definizione (horismos) che costituisce la dialettica. Ed analogamente per
Aristotele, il rapporto necessario ed irrversibile fra causa ed effetto,
offerto dalla natura, si riflette nel rapporto fa premesse (p) e conseguenze (q)
della scienza dimostrativa (p implicat q); la quale perciò possiede un ordine
naturale che non può essere invertito, onde i suoi principi appariscno
assolutamente indimostrabili, An. post. I, 2 (9): Bisogna che i principi da cui
si parte sieno indimostrabili. Altrimenti, non possedendone la dimostrazione,
on potrebbero ritenersi noti, poiché sapere in modo non accidentale le cose di
cui la dimostrazione è posibile, è possederne la dimostrazione, Ora,
proseguendo l’esame degli Analityca posteriora, veniamo istruiti più
precisamente che i principi della scienza, si lasciano distinguere in più
specie. Primo, i Termini o definizioni (3 poi), cioè supposizioni del ‘significato’
(semiosis,segno) dell’espressione (in linguaggio moderno: assunzioni di
concetti primitivi non definiti) e definizione propriamente detta. Secondo, Supposizioni
d’esistenza del genere e delle sue modificazioni, cioè delle cose designate dai
termini. Terzo, Proposizioni immediate che occorre necessariamente [La teoria
logica della definizione è trattata da Aristotele in An. post. II, e specie nei
Capi 9 e 12: dove si pscrive la regola di restringere successivamente l’estensione
del genere aggiungendo — nell’ordine naturale — la differenza specifica che lo
delimitano, fino a che esse circoscrivano, nel loro insieme, l’estensione del soggetto
da definire] riamete conoscere per apprendere qualsiasi cosa, le quali vengono
chiamate assiomi (ófiwpaTsc) giacché vi sono proposizioni di tal natura e ad
esse si riserva abitualmente questo nome. Infine anche ipotesi o postulati
(odr^i-istra), che s'introducono effettivamente nell’ insegnameto delle
matematiche (o anche nella discussione) domandando al discente di ammettere
l'esistenza di qualche cosa di cui egli non abbia alcuna idea, ovvero abbia
un’idea contraria. Qui d concetto d Aristotele riesce alquantscuro, iacché da
una parte egli sembra ammettere (come Platone) che un postulato potrebbe essere
eliminato * postulato... e ciò che si pone senza dimostrazione, quantunque
potrebbe dimostrarsi, e di cui ci si serve senz’ averlo dimostrato » (I, 10 (8)
) ; e d’ altra parte (riferendo evidentemente le vedute dei geometri) egli
avverte che una definizione non e un’ ipotesi perchè non dice se la cosa
definita esista oppur no. Ma probabilmente il suo pensiero è che il sapere
dovrebbe edificarsi su quelle sole supposizioni d'esistenza che hanno carattere
di necessità, essendo vere di per sé stesse (xaO’ alili), le quali non si
possono considerare come ipotesi o postulati.. (1, 10(7)), imperocché la
dimostrazione si rivolge non alla parola esteriore, ma alla parola interiore
dell’animo. Con ciò il Nostro fa appello a quel sentimento d’evidenza del
pensiero che Platone. Usalo dai pitagorici secondo Giamblico (in Diels, D, 6). ha
rappresentato come intima sincerità nel Teeteto, servendosi quasi delle stesse
parole. Tuttavia Aristotele critica la teoria platonica della reminiscenza, negando
che vi siano conoscenze innate. La conoscenza universale dei principi viene per
lui acquisita indubbiamente dalla sensazione. Essa si produce mercè l’unità
dell’ esperienza che sussiste nell' anima, nonostante la molteplicità degli
oggetti, in forza della facoltà di fissare ciò che vi è di simile o d’identico
nei particolari e di riconoscerlo come dato del pensiero. (An. post. 11, 15
(5,6, 7)). Ciò non toglie all’ assoluta verità che l'intelligenza idealizzatrice
(òtavaa), fondamento della scienza, conferisce ai suoi principi (II, 1-5 (8)). Alle
dottrine d’Aristotele giova paragonare quelle che appariscono nell’ ordinamento
degli Elementi di Euclide: Il ragionare è un discorso che l'anima rivolge a sè
stessa, per sè, intorno alle cose che consideri nemmeno in sogno hai ardito
dire a te stesso che il dispari è pari, o altra simile cosa. An. priora II, 21 (7)
e An. post. I, I (7). Heiberg, Euclidis opera omnia, Teubner, Lipsia, Secondo
le indicazioni del commentatore Proclo di Bisanziom Euclide sarebbe vissuto in
Alessandria al tempo del re Tolomeo. Le opere di Aristotele che conosciamo sembrano
appartenere all’ultimo decennio della sua vita. Nei quali si trovano tre specie
di principi : 1) termini o definizioni (Spot): 2) postulati 3) nozioni comuni
(y.otvof Ivvoiat). Non è qui il luogo per sottoporre ad un’analisi appiofondita
queste premesse, che — a dir vero — sono lungi dall’apparire soddisfacenti,
tanto che da Tannery si è perfino messo in dubbio la loro autenticità ; solo,
riferendoci alla critica che ne ha fatto lo Zeuthen, Limiteremo ad alcune
osservazioni logiche. Ma anzitutto vogliamo arrestarci un momento sopra una
questione di parole. Non pochi si meravigliano che Euclide usa l’espressione
‘nozione comune’ per designare quelli che Aristotele chiama (coi matematici
pitagorici) * assiomi», tanto più che — si dice — l’espressione « evvow » compare
solo più tardi nel linguaggio degli Stoici. Ora non è fuor di luogo rilevare
che la stessa espressione si trova pure in Democrito. Il rilievo assume
interesse per la circostanza che Democrito compose, circa cent’anni prima d’ Euclide,
degli Elementi, che non sono annoverati nel sunto storico di Proclo, ma di cui
Trasillo ci ha conservato i titoli ( :J ) ; tanto più che questi lasciano (*)
Clr. Hisloire dea malhimallquea traci, dal danese di Mascari (Parigi,
Gauthier-Villars): n. 14, 69 94. Cfr. Sesto in Diels, A, III. ( 3 )
rsti>|isi?t>t(óv (A, li ?), Api0|io£, IIspl à/.dyfev Ypxfijitòv stai
vxowùv A, li (cfr. Diels B, II", II 0 , I |P)] scorgere un ordinamento
della materia simile a quello adottato dallo stesso Euclide. Non sembra fuor di
luogo congetturare che nella terminologia democritea gli assiomi venissero
appunto designati come nozione o nozione comune, e che il geometra
alessandrino, imprendendo a sistemare la stessa materia, in rapporto ai
progressi critici del secolo, abbia conservato la denominazione del suo
illustre predecessore: al quale di preferenza doveva guardare. Diciamo ora che
la distinzione fra le nozioni comuni o gli assiomi, e i postulati, viene spiegata
da Gemino in Proclo come analoga a quella fra teoremi e problemi, o fra
identità e equazioni, in quanto i primi porgono delle relazioni, per cui certe
proprietà resultano conciute come conseguenza di altre date, laddove i secondi
assegnano costruzioni elementari, ciò che, nel concetto dei antichi, significa
affermare l’ esistenza di enti particolari cui s’impongono certe condizioni.
Questo carattere costruttivo sembra mancare soltanto al post. 4 (tutti gli
ngoli retti sono uguali fra loro) ; ma Zeulhen spiega come in tale affermazione
debba vedersi un complemento del post. 2, nel modo di affermare che il prolungamento
di una retta è unico. In appoggio della nostra veduta può valere, forse, un
passo del noto commento. Prodi Diadoclii in primum Euclidis Elemenorum librato
commentarii (ed. Friedlein), in cui sembra che Proclo alluda all'uso dei
geometri di chiamare nozione comune ciò che Aristotele chiama assioma. Cfr.
Vailati, Scritti, Proclo osserva pure che gli assiomi e i postulati
differiscono anche per essere: questi, principi particolari della geometria, e
quelli, principi comuni alle varie scienze; infatti si tratta qui delle
proprietà generali dell uguaglianza e diseguaglianza fra grandezze. Infine la
distinzione fra le due specie di principi si accorda anche col criterio
d'Aristotele, che riconosce negli assiomi delle verità cessarie ed indimostrabili,
perchè evidenti di per se (xocS' èx jvx), e nei postulati delle verità —
partecipanti ad un’ altra specie di evidenza (sensibile) — che non risultano
ugualmente dviyxw dal significato dei termini che vi figurano : la natura del principio,
enunciato da Euclide come nozione comune, sembra infatti rispondere a questo
criterio. Ma se taluni geometri (al dire dello stesso Proclo) recusavano di
distinguere assioma e postulato, mancano tuttavia indizi per affermare che essi
respingessero il significato che Aristotele e probabilmente altri ancora
(secondo la metafisica del senso comune) attaccavano a codesta distinzione,
così come lo respinge la critica moderna, che per tale motivo appunto —
considera ugualmente le proposizioni primitive della scienza quali postulati,
da ricevere, in una qualsiasi teoria deduttiva, come dati anteriori allo
sviluppo della teoria stessa. Un piccolo lume ci è recato in tali questioni dal
riferimento dello stesso Proclo circa un tentativo di dimostrare l'assioma I (cose
uguali ad una terza sono uguali fra loro), che sarebbe stato fatto da
Apollonio. Infatti della tentata dimostrazione viene porto il seguente cenno. Sia
a uguale a b, e b uguale a c; dico che a è uguale a c. Invero a occupa Io
stesso luogo (córto;) di b, e così b occupa lo stesso luogo di c; quindi anche
a occupa lo stesso luogo di c. Questo ragionamento indicherebbe forse che
Apollonio voleva ricondurre il concetto euclideo di ‘eguaglianza’ geometrica al
caso della sovrapponibilità delle figure, facendo appello ad esperienze ideali
di movimento, mercè cui poteva iludersi di ridurre ad una pura proposizione
identica la proprietà transitiva di quella relazione. Mentre il ricorso a
siffatte esperienze ci avverte appunto (con Helmholtz e Stolz) che il detto
assioma 1 ha un significato o carattere sintetico e non può ritenersi come una
semplice proposizione analitica (vera per definizione). Comunque il rifermento
accennato lascia presumere che la critica dei principi sia stata spinta innanzi
da Apollonio, dopo Euclide, con quella penetrazione di cui volentieri siamo
disposti ad accreditare il grande geometra iPerga. Ritorniamo all' Euclide per
esaminare, in breve, i principi eh' egli ha designato col nome horós: termine o
definizione. Se essi vengono considerati come definizione, non si può a meno di
rilevarne la manchevolezza, poiché non offrono, spesso, che descrizioni atte a
indicare la genesi psicologica dei concetti. Così, p. es., in 3 e 3, dove si
dice che gli estremi di una linea sono punti, e che gli estremi di una
superficie sono linee. Ma, verosimilmente, queste ed altre spiegazioni sono da
considerare in rapporto alla tradizione storica precedente, come un richiamo
dei caratteri per cui gli enti delia geometria razionale appaiono idealizzazioni
dell'esperienza: p. es. le I, 2, 5 stanno a ricordare che — secondo il risultato
della critica veliatica il punto è inesteso, la linea è lunghezza senza
larghezza, e la superficie non ha spessore. Anche quelle che si presentano come
definizioni propriamente dette, non ottemperano sempre al criterio fondamentale
enunciato da Aristotele, che l’insieme degli attributi restringa l’estensione
del genere in guisa da non appartenere ad alcun concetto più esteso. Per questo
motivo sembra insufficiente la def. 4, inea retta è quella che e posta ugualmente
rispetto ai suoi punti. Imperocché, se s interpreta come si usa comunemente, retta
è quella linea che è divisa in due parti uguali da qualsiasi uo punto’, si
enuncia una proprietà non caratteristica della retta, che appartiene anche
all’elica (cfr. Apollonio in Proclo: 105, 5). Ora conviene aggiungere che
Euclide, non soltanto suppone l’esistenza di ciò che viene immediatamente
designato da alcuni termini, ma sembra anche introdurre surrettiziamente alcune
ipotesi esistenziali, per mezzo di definizioni, laddove — per analogia coi
criteri seguiti in altri casi — si sarebbe aspettata l'esplicita introduzione
di un postulato. Ciò accade, in ispecie, per quel che riguarda le intersezioni
di rette e circoli, le assunoni adoperate nelle prop. I, 12, 22 sembrando giustificarsi
(secondo che osserva ) Cfr. Proclo 1. linea II] Zeuthen) mediante la
definizione (15) del circolo come figura piana compresa da una sola linea. Ma
non giova insistere su tali difetti, che apparten¬ gono all’esecuzione e non
modificano i criteri logici del disegno. Restando nell’ordine d’idee euclideo,
avremmo soltanto da completare i postulati coll’ enunciare esplicitamente i
casi d'esistenza delle interse¬ zioni di rette e cerchi o di due cerchi, che si
offrono nelle costruzioni elementari. Interessa piuttosto di rile¬ vare come
queste ipotesi esistenziali, che la geometria antica introduceva nei singoli
casi, mercè appropriate costruzioni, oggi si lasciano dedurre da un unico principio
generale di continuità, onde l'affermazione d’esistenza si libera dalla ricerca
dei mezzi costruttivi, complicantisi colla natura del problema. E questo un
progresso conforme all'indirizzo preconizzato da Platone, che— come si è visto
— repugnava appunto da ciò che sa di pratico o di meccanico nella formu¬
lazione dei postulati. Nota. A complemento di quel che si è detto intorno alla
geometria euclidea, aggiungeremo che Archimede (5) sembra classificare e
distinguere i principi in modo diverso, poiché (in una lettera a (Cfr. p. e*.
I* art. 5° di G. Vii a li nelle Questioni riguardanti le matematiche elementari
raccolte e coordinate daF. Enriques Voi. J, Bologna, Zahelli. De sphaera et
cilindro in « Archiinedis opera omnia cum commentari^ Eutocii », ed. Heiberg.
Lipsia, 1910. Cfr. The Work* of Archimedes, e. Heath, Cambridge, Capitolo I
Dositeo) chima «assiomi» (à^:ih\i.xTx) le definizioni accompagnate da
supposizioni d’esistenza : p. es. esi¬ stono linee piane che giacciono tutte da
una parte ecc., e queste si dicono concave ; mentre poi dà il nome di *
assunzioni » (Aa|l3*V0;xsva) a taluni principi (teoremi precednemente stabiliti
o postulati, assai eleganti) da cui muove la sua trattazione: p. es. la retta è
la linea più breve tra due punti. Il commento d’Eutocio restituisce agli àfjuojtara
archimedei il nome di opy. ConsiderazioSe ora, riguardando soprattutto ai
secondi Analitici d’Aristotele e agli Elementi d’Euclide, cerchiamo di
esprimere le nostre impressioni in un giudizio sintetico sulla logica degli
antichi, domandandoci fino a che punto i loro criteri ci sembrino accettabili o
esaurienti, siamo condotti alle seguenti riflessioni. La logica dei antichi
suppone un ingenuo realismo per cui il pensiero appare come la copia o la
visione di una natura esterna. Così il numero dai pitagorici e lo spazio
continuo dagli eleati, sono pensati in concreto, ad imitazione di quella
sostanza cosmica che viene figurata costituire il sostrato naturale (la epa:;)
di tutte le cose. La supposizione realistica è tipicamente espresa nella teoria
delle idee di Platone, che (orma infine la metafisica soggiacente alla logica
d'Aristotele. Da essa deriva il carat¬ tere di necessità dei principi, e quindi
la pretesa di un ordine naturale della scienza, facente capo a pre- messe
assolutamente indimostrabili; la qual pretesa viene corretta, almeno in parte,
nelle vedute dei geometri. Ma dallo
stesso realismo, ha origine la radicale manchevolezza della teoria della
definizione. Poiché le oscunta del trattato di Aristotele e le imperfezioni
dell’Euclide, in enere gli errori della critica che si riscontrano in tali
opere, si possono riattaccare a codesto presupposto, quasi a comune radice. Si
ammette infatti che le parole rispondano ad enti di un mondo intelligibile
trascendente il soggetto, che si tratta di fissare univocament Di qui il
criterio che la deduzione logica debba tener presenti, non soltanto le premesse
esplicitamente enunciate come assiomi o postulati, bensì anche il significato
dei termini su cui si ragiona, vedendo, attraverso di essi, quella realtà
(geometrica ecc.) che è oggetto del pensiero. Ma ciò significa autorizzare nel
ragionamento inconfessati appelli all' intuizione, che, dichiarati, si
tradurrebbero in nuovi assiomi. Ora, se l'intuizione (o visione del
significato) rimane sempre presupposta nel ragionamento, quando mai potremo
assicurarci che gli assiomi formino un sistema completo? A stretto rigore di
tale domanda non si riesce neanche a definire il senso ! E quindi non si
comprende perchè si senta il bisogno di enunciare — a preferenza di altri —
alcuni fra gli assiomi, che pure sono dichiarati evidenti, necessari ecc. ecc. Aggiungiamo
che anche l’analisi aristotelica del ragionamento, facente capo alla teoria del
sillogismo (An. priora) sta pure in relazione col presup¬ posto metafisico
della logica. E specialmente colla circostanza che i Greci, in generale,
immaginarono la realtà intelligibile rappresentata dalla scienza, sul tipo
statico della classificazione delle forme geome¬ triche : tale è infatti il
carattere dell’ ontologia eleatica, che imprime il suo suggello sulla dottrina
platonica non superata veramente da Aristotele. Soltanto Democrito, come diremo
più avanti, si solleva al concetto di una scienza razionale del moto, ma le sue
vedute filosofiche non trovano adeguato sviluppo se non due mila anni più
tardi, all epoca della Rinascita. Qui conviene rilevare che le critiche mosse
alla teoria sillogistica dagli empiristi inglesi (da Bacone a Mill), opponenti
alla deduzione 1 induzione generahzzatrice dell’esperienza, hanno fatto perder
di vista ciò che manca all’ analisi aristotelica del ragionamento, pur
riguardato nelle forme rigorose, che sole appartengono — secondo il concetto
del filosofo greco alla logica dimostrativa propriamente detta. Infatti i brevi
cenni che Aristotele dedica all’induzione (completa), negli Analylica priora,
non suppliscono certo all’analisi delle operazioni logiche costruttive
(significate da particelle come « e », o » ecc.) che accanto al sillogismo
ricorrono nello sviluppo delle dimostrazioni matematiche. La quale lacuna torna
a (i) Cfr. Cli. Werner, Aristotele et V ideallsme plalonicien, Alcan, Parigi]
riflettersi sulla teoria delle definizioni, che appunto esprimono codesto lavoro
costruttivo del pensiero. Infine giova rilevare che l’anzidetto realismo si
riflette in una concezione ingenua del linguaggio: la filosofia greca — sia che
abbia ammesso l'origine naturale della lingua (come Platone nel Cratilo), sia
che abbia rilevato ciò che vi è di convenzionale nelle parole (come Democrito e
Aristotele) — non riesce a scorgere la varietà essenziale delle lingue, che
tiene ai diversi modi di rappresentazione delle cose ed esprimendo la libera
attività del soggetto, dà origine all'intraducibilità. Dice infatti Aristotele:
De Inlerpretatione, 1. Una espressione e una l'immagine delle modificazioni
dell'anima. L’espressioni differiscono fra loro. Ma una modificazione
dell’anima, di cui l’espressione e i SEGNO immediato, e identica per tutti gli
uomini, come sono identiche per tutti le cose che quelle modificazioni
esattamente rappresentano. E chiaro come una siffatta dottrina spieghi quella
confusione fra analisi logica e analisi del linguaggio, Proclo, nel commento al “Cratilo”, riferisce
appunto questa opinione di Democrito, basata auiromonimia e la sinonimia di una
espressione E1 e una espressione E2, sul cambiamento dei nomi e sul difetto di
analogia nella formazione di certe espressioni verbali. (Cfr. le note al Cratilo
di Cousin). De Interpretatione, 2 (1), che culmina nel concetto aristotelico di
trarre dalla forma o materia dell’espressione grammaticale una classificazione o tassonomia di questa o
quella categoria. In ciò che precede ci siamo fermati a studiare il pensiero
degli antichi traverso le sistemazioni scientifiche che sono a noi pervenute. Ma,
per l’intelligenza dello sviluppo ulteriore che la logica riceve nelle scuole
filosofiche dopo Aristotele, conviene tener conto dell'influsso che i
predecessori del Stagirita sembrano aver esercitato sul movimento delle idee.
Infatti codesto sviluppo si lascia definire, nlle sue linee generali, come
tendente a liberare il pensiero dall ontologismo, che pure sopravvive in
qualche modo alla ideologia platonico-aristotelica, nella misura in cui tale
filosofia esprime la metafisica del senso comune. E l’anzidetta tendenza
liberatrice si esplica in un progresso verso il formalismo logico, che procede
dallo studio degli schemi discorsivi, formante oggetto degli Analytica priora.
Questo progresso si avverte già nei primi paripatetici, come Eudemo, lo
scrittore di una storia delle matematiche, e Teofrasto il raccoglitore delle
opinioni dei fisici, ma più largamente ancora negli Stoici, in cui è pure
passata 1 eredita dei dialettici megarici. Questo progresso si avverte anchein
una revisione dei principi della teoria della conoscenza, che ha per oggetto
l’origine e il valore dei concetto generale da cui muove la scienza dimostrativa:
qui soprattutto vengono in luce delle vedute che debbono essere riattaccate ai
grandi predecessori di Platone e di Aristotele; sulle quali l’interesse della
questione c invita a fermarci. Ora, se ci volgiamo a riostruire induttivamente
le idee di codesti predecessori, la figura di Democrito d'Abdera, deve
attirare, sovra ogni altra, la nostra attenzione. Democrito, vissuto 40 anni
dopo Anassagora e 25 anni dopo il suo concittadino Protagora che è il maggiore
rappresentante della sofistica), deve esser considerato come un contemporaneo di
Platone. Così, soltanto i pregiudizii dominanti la ricostruzione della storia
della filosofia greco-romana nel secolo decimonono, hanno impedito di stdare
più da vicino i rapporti fra Democrito e Platone, relegando Democrito tra i pre-socratici
e perfino tra i pre-sofisti, in onta alla cronologia. Democrito è il ande
fondatore dell’atomismo, in cui ha tuttavia come precursore Leucippo, e che fu
svolta da lui come una teoria cinetica cosmologica. Attraverso questa dottrina
Democrito agiunse ad una rigorosa concezione del determinismo meccanico, e
verosimilmente he alla scoperta di principi (massa, inerzia) chalileo. Fanno eccezione
Windelband e Burnel, che restituiscono airAbderita il suo posto cronologico, ma
che tuttavia non sembrano arne un apprezzamento proporzionato all' importanza
del suo lavoro scientifico] ha riostruito due mil’ anni più tardi, riprendendo
le intuizioni fondamentali del lontano predecessore. Per il suo rigido
meccanicismo, con esclusione di ogni teleologia, Democrito viene considerato
come il padre del materialismo, e da ciò appunto ha origine il pregiudizio da
cui in ispecie la storia svoltasi sotto l’nfluenza hegeliana, nel secolo
decimonono, non ha saputo mai emanciparsi completamente. Quantunque un esame
accurato avrebbe permesso di riconoscere ello stesso Democrito anche il padre
dello spiritualismo (così come Leibniz sembra avere intuito!) e forse anche di
far risalire a lui l’argomento per l’immortalita dell’anima basato sulla sua
semplicità o in-divis-ibilità, che s'incontra nel Fedone 78, b, c. Le opere di
Democrito, di cui ci sono trasmessi i titoli da Trasillo, formano una mole
imponente e si riferiscono ai più svariati argomenti, dalle matematiche alla
fisica, alle scienze naturali, all’agricoltura, alla teoria dei segno e
dell’espressione, la dialettica, la grammatica, alla poetica, alla teoria della
conoscenza ecc. ecc.; fra i frammenti più belli sono da annoverare quelli
morali, conservatici da Stobeo. La posizione filosofica di Democrito, per ciò
che concerne la teoria della conoscenza, resulta dalla testimonianza di Sesto
Empirico, laddove egli parla di Democrito e Platone sostenitori della verità
degli intelligibili (ià vorjra) in contraddizione con Protagora [Di ciò mi
propongo fornire altrove la prova col confront dei testi aristotelici] aora. Si
tratta dunque di un razionalismo, che si contrappone all’ empirismo protagoreo.
Ma, poichè a sua volta questo empirismo dei sofisti era sorto come una reazione
di caratere “positivistico” al razionalismo metafisico della scuola di Velia, è
naturale che Democrito avesse a tener conto dell’ esigenza fondamentale che i
sofisti avevano formulato. Democrito non posse semplicemente riprendere come
materia della scienza una Verità (£M)0s:a) indifferente rispetto all’opinione
(doxa) che si riferisce alle cose sensibili, ma doveva invece cercare una
razionalizzazione dell’empirico, cioè una verità atta a salvare i fenomeni
(ofttTe'.v ~ì 6|JtSV«); e siffatta veduta si poteva esprimere nel linguaggio
tecnico del tempo, dando per compito alla scienza l’opinione vera, o inverata
mediante il ragionamento. Appunto questa teoria della scienza come lii^x (isià
Xóyo'j, viene riferita e discussa da Platone nel “Teeteto”, ed una comparazione
analitica del testo con altri dello stesso Platone e di Aristotele, prova che
il riferimento deve essere attribuito a Democrito. Ma, poiché la spiegazione razionale
dei fenomeni suppone dei concetti, per mezzo dei quali si unifichi la
rappresentazione delle cose del mondo empirico, si può domandare su che
Democrito ne basasse il ossesso da parte dal soggeto percipiente. Qui soccorono
alcune indicazioni. / . ' ( l ) Diel. A. 59 i eh. A. 114. ( ! ) Cfr. Enriques:
La teoria democritea delta scienza nel dialoghi di 'Platone, Rivista di
Filosofia, n. I. 1) Anzitutto Democrito viene additato da Aristotele come il
primo a trattare delle definizioni di cose fisiche, mentre ei ci dice che con
Socrate crebbe l'uso del definire e si estese soprattutto alle nozioni morali. Conviene
intendere che Democrito inizia quel modo di definire proprio della scuola socratica,
in cui si ricercano i caratteri comuni delle cose che rispondono al definito; è
più difficile dire se lo stesso Democrito, come Socrate, facesse anche appello
alla nozione comune che tutti gli uomini si formano in rapporto a dati oggetti;
e tuttavia questo criterio ei ben poteva derivare da Eraclito, cui lo stesso Socrate
sembra avere attinto. In un frammento della già citata opera logica di
Democrito rtsp: àoyrxtòv noi xzvwv che ci è statmandato da Sesto, vengono
distinte due speecie, di conoscenza, l’una relativa all’intelligenza (à7j;
Siavaas), l’altra alla sensazione (Ò:à rwv aìofi^oetov). Dice precisamente
Democrito: “Vi sono due forme della conoscenza : una conoscenza pura o legittima
(yvyjafyj) ed una adombrata spuria (av.v.ri). Appartengono a quest’ ultima
forma adombrata spuria le cinque sensi: la vista (visum), l’udito (uditum), il
gusto (gustatum), l’odorato (odoratum), il tattoo (tactum). Ma la conoscenza pura
è completamente distinta. Ed aggiunge ce questa conoscenza pura è relativa ad
un (') Mtt. I, 4, (3), De Partibus Animalium I, 1 (ed. Didot, t. IH, pag. 223,
2). ( ! ) In Diel» B. II) orbano di pensiero più raffinato che prende il posto
di un vedere o di un udire o gustare o odorre o tastare nel più piccolo
(mettendoci così in rapporto colla vera natura delle cose, cioè cogli atomi. Anche
in altri modi Democrito esprime la relazione fra le due forme del conoscere;
per esempio ove dice che « apparenza (vòptoi) il colore, apparenza il dolce,
apparenza l'amaro. In realtà soltanto gli atomi e il vuoto. Ma poi, facendo
parlare i sensi contro l’intelligenza, soggiunge povera me, prendendo da noi la
tua fede, tu vuoi confonderci ; la tua vittoria è la tua caduta. Troviamo qui
una notizia estremamente interessante. Democrito, al pari di Platone e di
Aristotele, e prima di loro, dibatteva il problema dell'origine dell’idea.
Democrito non si fermava, come il filosofo ateniese alla supposizione della
conoscenze innata (teoria della reminiscenza -- anamnesis), anzi piuttosto
sembra derivare la idea dalla sensazione, sicché è lecito pensare che a lui
possa aver attinto Aristotele la veduta che gli abbiam visto esprimere in An.
Post. Il, 15. Ma, mentre in Aristotele non si vede come possa conciliarsi
questa dottrina colla dignità attribuita alla nozione induttivamente
acquistata, che debbe costituire le premesse necessarie della scienza dimostrativa,
ciò che sappiamo intorno alla teoria delle sensazione di Democrito (in rapporto
alla fondamentale (*) Galeno in Die!» B. 125; cfr. Sesto in Diels B. 9.] supposizione
atomica) e ben atto a sciogliere la difficoltà. Ammetteva infatti il Nostro, che la sensazione in generale derivassero da
piccole immagini (sKoiXa) emesse dai corpi e proprie ad impressionare gli
organi dei cinque sensi ed anche lo stesso pensiero in quella guisa in cui la
luce impressiona una lastra fotografica. L’immagini rispondente alla conoscenza
inteligibile partenti direttamente dagli atomi — sono di natura più fine. Si
comprende quindi che esse possano liberarsi dalla mescolanza colle immagini più
grossolane che colpiscono i cinque sensi, quando il confronto di sensazioni
ripetute, in rapporto ad una molteplicità di cose, permette di fissare i
caratteri comuni che definiscono il concetto. Che effettivamente Democrito riconoscesse
il valore logico del concetto, quasi come anticipazioni dell'esperienza,
resulta anche dalla testimonianza di Diotimo in Sesto (VII, 1401), che egli
assumeva come criterio della comprensione delle cose oscure il fenomeno, e come
criterio della ricerca'il concetto, èvvoia xpurr/pwv Z,r\vtpzwq. Qui è notevole
lo del termine. Ivvotoe che già notammo a proposto della designazione di
y.oiw.l Ivvs:% adoperata da Euclide per gli assiomi, giacche abbiam pur detto
che codesto termine non si trova nella [Cfr. p. et. Aetiui in Diel», A. 30. ( 2
) Diels, A. III. 37]letteratura filosofica di Platone ed Aristotele, ma invece,
più tardi, presso gli Stoici. Appunto ad un’opera di Crisippo 7tepì £?jT^7S(0£
sembra fare allusione Plutarco presso Olimpiodoro, dove dice che gli Stoici
allegano a causa di ciò (cioè della possibilità di arrivare a cose che non si
conoscono) le nozioni fisiche: tàj qjuaixà; èvvofa?. D’altronde Diogoene
Laerzio (VII, 54) (c’informa che Crisippo dice esservi DUE criteri della
verità, la sensazione e il concetto. Qui in cambio di svvoia viene adoperata l’espressione
TtpóXvjtjt:?, che ricorre anche presso gli Epicurei, designando l’anticipazione
dell’esperienza. Ora il significato preciso che gli Stoici davano alle ÈVV 3
tati, si può rilevare, per esempio, da un passo del De Civitate Dei di S.
Agostino dove si parla di coloro che riposero la verità nei sensi, cioè degli
Epicurei e degli stessi Stoici. Qui cum vehementer aaerint sollertiam disputando
quam dialecticam nominant, a corporis sensibus eam ducendam putarunt, hinc
asseverantes animum concipere notiones, quas appellant èvvo'st;, earum rerum
scilicet quas definiendo explicant. Da questi riferimenti sembra potersi
dedurre che gli Stoici abbiano adottato, al pari di Aristotele, la dottrina
democritea dell’ origine sensibile dei concetti – nihil est in intellectu quod
prior non fuerit in sensi ( l ) Cfr. Arnim, Stoicorum veterani fragmenta. Voi.
II, n. 104. Crisippo, discepolo di Zenone Cizio (280-209 a. C.).In Arnim, op.
c. 105. In Arnim, 106. (cui soltanto gli Epicurei conservarono come fondamento
l’ipotesi delle piccole immagini), ma spogliando i concetti di quella dignità
superiore che il razionalista cerca conferire agli intelligibili ; così, per
loro, la dimostrazione scientifica (àiróSs:^;) viene ridotta, per dirla con
Cicerone, ad una “ratio, quae ex rebus perceptis ad id, quod non percipiebatur,
adducit.” In corrispondenza di queste
vedute, di carattere più empirico, è interessante rilevare come si modifichi la
dottrina democritea della scienza, che Zenone Cizio dice essere una
comprensione sicura e ferma e immutabile dalla ragione » (à,u£-*sov ùttò Àóyo j
/./.- ovvero anche un possesso immutabile dalla ragione, nell’accoglienza delle
rappresentazioni » (èv a>xvT5tTO)v r.ozz- a&o. Pertanto gli Stoici non
giunsero a quello schietto empirismo, che si vede accolto da Epicuro, per cui è
accettata sempre come vera ogni sensazione o apparenza: richiesero anzi che all
apparenza si aggiunga 1 assenso volontario dell animo, che per il saggia ha
motivo nell identità fra la ragione individuale e la Ragione o logos
universale. Così il concetto eracliteo del logos, che la scuola Arnim, 111. ( )
Riferimenti di Sesto e Diogene Laerzio in Arnim : Zeno- Citius, n. 68. (' )
Cfr. Sesto e Cicerone in Arnim : Zeno Citius, nn. 63 e 61 . 3] stoica ha fatto proprio, doveva pur sempre
conservare al pensiero una certa dignità, e quindi facilitare il trapasso alla
veduta posteriore degli eclettici (Cicerone), per cui le commune notio vengono
ritenute non più come uniformità della natura bensì come idea innata, attestanti
la reminiscenza della vera origine divina dell' uomo, onde la teoria stoica
(ritornando in effetto a Platone) viene a fondersi colla neoplatonica. Più
direttamente degli Stoici (che pure ne derivarono il principio del determinismo
universale) si riattaccano a Democrito gli Epicurei, che ne adottarono la
teoria atomica, spogliata bensì del suo più profondo significato meccanico. Ma,
come abbiamo già accennato, Epicuro e lungi dal razionalismo del maestro
d’Abdera. La sua “Canonica” comprende poche regole di cui abbiamo chiaro riferimento
da Sesto Empirico, e che Gassendi ha ricostruito con precisione nella sua
Logica. Riferiamo la parte essenziale dei canoni epicurei così formulate.
Sensus nunquam fallitur. Opinio est consequens sensum, sensiomque superadiecta,
in quam veritas aut falsitas cadit. Opinio illa vera est, cui vel suffragata, vel
non refragatur sensus evidentia. Petri Gassendi Opera Omnia, Firenze. 1277,
Voi. 1. Pari 1, De Logicae origine el varietale]. Omnis quae in mente est
anticipatio, seu prae-notio, dependet a sensibus, idque vel incursione, vel
proportione, vel similitudine, vel compositione. (Questo stesso modo di
formazione dei concetti appare negli Stoici). Anticipatio est ipsa rei nodo,
sive definitio. Est anticipatio in omni ratiocinadoe principium. Quod inevidens
est, ex rei evidenti anticipaticele demonstrari debet. Qui è notevole 1 appello
all’evidenza sensibile (ev%ex) che viene così assunta come criterio di verità.
Nonostante la modificazione subita, è facile riconoscervi lo stesso criterio di
Democrito che contrapponendo la conoscenza pura o legittima alla conoscenza
oscura, viene appunto a ritenere la chiarezza delle idee come segno del loro
valore: senonchè quella che per Democrito era chiarezza di concepimento,
diviene per Epicuro chiarezza sensibile. Toccherà poi a Descartes di ritornare
al criterio dell’evidenza (cf. Grice, “Descartes on clear and distinct
perception) rispetto al pensiero, riguardando come vera la idea chiara e
distinta (l’aggiunta deriva dal Teeteto 209c-2l0). Dopo aver parlato degli
Stoici e degli Epicurei, ci convien dire degli [Notisi che già in Teofrasto si
applica il criterio dell’evidenza tanto all’intelligenza che al senso. (Cfr.
Sesto Adv. Malh.)] scettici i qual per verità non formano ugualmente una setta
o scuola chiusa, ma — a partire da Pirrone d’Elide e dal suo amico Timone —
ofno tuttavia una certa continuità di tradizione critica, mantenendo di fronte
alle filosofie dogmatiche un atteggiamento di dubbio metodico. No Diogene, ma Arcesilao
di Pitane e Carneade (che venne ambasciatore a Roma nel 155 a. C.), portarono
la filosofia scettica nella media Accademia – e che fascina a Scipione! Più
tardi incontriamo Enesidemo di Cnosso, Agrippa, e finalmente Sesto Empirico che
riassume tutto questo movimento nella sua opera pregevole, fonte cospicua di
notizie per la storia della filosofia romana. I rapporti esteriori che la
tradizione segnala fra Pirrone e qualche democriteo come Nausifane, nonché le
tendenze scettiche che si attribuiscono ad altri democritei (Metrodoro,
Anassarco) indicano già una certa dipendenza della scepsi da Democrito.
D’altronde il legame appare prima di tutto nel motivo morale che ispira la
riserva degli scettici di fronte alla vera natura delle cose, giacche la
sospensione del giudizio mirava a conquistare quella atarassia o
imperturbabilità dell' animo, che si riduce infine alla vittoria sulle
passioni, inculcata dall'Abderita. Ma il apporto teorico della scepsi con
Democrito resulta da ciò che questi aveva ridotto la realtà alla materia
indifferente degli atomi, negando le qualità sensibili; un passo ulteriore
della critica (riportantealla posizione di Protagora) doveva naturalmente
estendere il dubbio anche a quelle proprietà primarie in cui il grande atomista
aveva scorto l'oggetto intel¬ ligibile della conoscenza. E certo questo
sviluppo era suggerito dal contrasto fra le vedute dei due razio¬ nalisti,
sorti a combattere l’empirismo protagoreo: Democrito e Platone. Giacche questi
riteneva proprio come intelligibili quelle stesse qualità (ipostatizzate sotto
il nome di idea) che 1 altro aveva con¬ siderato vane apparenze. Inoltre, anche
nello stesso sistema democriteo, si può riconoscere 1 origine della critica che
investirà gli intelligibili, se — come siamo stati tratti induttivamente ad
ammettere — l’Abderita faceva pur nascere 1 intelligenza dai sensi. In tal
guisa il pensiero antico avrebbe percorso una via non lon¬ tana da quella per
cui il pensiero moderno giunse dalla posizione di Galileo, di Descartes e di
Locke (i quali ripresero la distinzione fra la qualità primaria e le qualità seconda)
alla critica di Berkeley, che — attraverso la teoria della visione - riusciva a
negare anche il significato trascendente di codesto sostrato geometrico della
materia. La teoria degli scettici, si noti, non nega affatto il mondo
fenomenico, bensì oppugna la pretesa dei dogmatici di affermare qualcosa della
verità o della natura delle cose in se stesse. La critica che essi svolgono a
tale scopo, rilevando ciò che vi è di relativo nei criterii della verità,
costituisce in gran parte un acquisto durevole per la dottrina della conoscenza
: lo La logica degli antichispirito che l’anima è affine a quello del
positivismo moderno, salvo il sentimento che la veduta di una scienza più
progredita ispira oggi ai critici della metafìsica. Ma per la storia della logica
interessa soprattutto esaminare gli argomenti di Carneade contro il concetto
aristotelico della dimostrazione : intorno ai quali siamo informati da Sesto
Empirico. Ricompare qui l’idea, già affacciata dai predecessori di Aristotele e
da questi oppugnata, che ogni prova dia luogo ad un regressus in infmitum,
poiché ogni premessa deve essere dedotta da un’altra premessa. E questo argo¬
mento prende forza dalla negazione di ogni certezza immediata, alla quale gli
scettici pervengono (come si è accennato) mercè la veduta che i concetti su cui
si ragiona traggono pure origine dal senso, onde 1 incer¬ tezza della
sensazione si riflette anche sull intelligenza. Quindi viene presa in esame
l'opinione che sia lecito fondare la scienza sopra ipotesi, e che queste sieno
fatte ferme e valide dalla verità delle conseguenze che se ne deducono. Il
passo di Sesto che critica questa opinione non dice chi ne sia l’autore ; ma
resulta assai chiaro che essa deve riferirsi particolar¬ mente ai fìsici
matematici, e vi è forse qualche motivo di attribuirla già a Democrito, che per
primo propose alla scienza il compito di spiegare razionalmente i feno¬ meni.
Infatti abbiamo già accennato che questi appunto (i) Adv. Math. VII, 159-189 e
Vili in ispecie 367-463. ( s ) Vili, 375] potesse essere preso di mira da
Aristotele, ove eicontesta che voler provare le premesse mediante le
conclusioni costituisce un circolo vizioso (*). Di nuovo Cameade riprende la
tesi aristotelica, notando che dal vero si può dedurre il falso ; e certo
l'argomento — in stretta logica — non potrebbe essere confutato. Ma, per quanto
o scettico sia portato a dare il maggior peso a questa constatazione negativa,
Cameade non vi si arresta. Dopo aver negato l'esistenza di criteri
assolutamente certi del vero e del falso, egli accorda pure alla conoscenza un
valore probabile; e questo valore lo riconosce, in primo luogo, ad ogni
rappresentazione dotata di sufficiente evidenza, ma in grado più alto alle
catene di rappresentazioni legate 1’una all'altra in un sistema logico (ibidem,
VII, 176 e seg.). Non diverso è, in ultima analisi, il cri¬ terio positivo con
cui anche oggi possiamo giudicare il valore delle teorie scientifiche :
soltanto appare, ai nostri tempi, un atteggiamento più fiducioso, che è in
rapporto collo sviluppo della trattazione matematica della fisica; mentre il
sentimento degli scettici risponde ad una scienza meno evoluta, ed anche —
piuttosto che alla mentalità di matematici — a quella dei circoli medici, in
cui Io scetticismo antico ebbe acco¬ glienza. Effettivamente l’uso di ipotesi,
il cui valore probabile viene desunto dalla verifica sperimentale delle
conseguenze che ne dipendono, caratterizza il metodo deduttivo-sperimentale della
scienza moderna. L. c. An. posi., I, 2] quale si disegna in Kepler, Galileo e
Descartes. L' esame intorno allo sviluppo della logica post-aristotelica, in
cui abbiamo cercato l'influsso delle idee di qualche predecessore, ci ha
mostrato che in verità il realismo logico di Aristotele è stato superato dallo
stesso pensiero greco; il quale ha toccato posizioni affatto conformi alle più
alte vedute moderne. Ma della critica speciaente istituita dai geometri dopo
Euclide, abbiamo notizie troppo scarse per misurarne il significato; e secondo
le apparenze dobbiamo ammettere che le fini ricerche di Apollonio su questo
soggetto non abbiano trovato prosecutori. D’altra parte l’opera dei filosofi
che hanno riflettuto sulla scienza, nella filosofia romana, non aderendo
propriamente ad uno sviluppo scientifico, e tanto meno matematico, prese spesso
quella forma negativa che nel modo più raffinato ci presenta la dottrina
scettica. Infatti per osservatori cui non sia dato di riprendere e di
proseguire il pensiero profondo dei più antichi filosofi matematici, la confutazione
di un ordine di verità necessario, quale è affermato da Aristotele, deve
apparire una confutazione dell stessa possibilità della scienza. Resta
nondimeno un esempio pieno d’interesse nella storia, quello che ci viene
offerto dalla scuola stoica, per cui la trattazione formale della logica si
associa ad una dottrina empirica della conoscenza. E, se codesto sviluppo
formale approda ad un arido schematismo (di fronte a cui comprendiamo il
disprezzo della dialettica manifestato dallo stoico Aristone di Chio), tuttavia
non si può disconoscere il valore dell’analisi logico-grammaticale
dell’espressione, mercè cui si riesce a scorgere in qualche modo nel
linguaggio, l’espressione di una attività costrittiva. Fino a che punto gli
stici sieno proceduti su questa via, non vogliamo qui esaminare. Ma certo si
scopre in essi quella distinzione fra subiettivo ed inter-soggettivo, che
riapparire agli inizii dell’epoca moderna, come fondamento della filosofia.
Dalla storia della filosofia romana si passa, senza indugiarci al movimento
delle idee che accompagna la rinascita della scienza, agli inizi dell’ Evo
moderno. Basta rilevare il carattere generale degli sviluppi che la dialettica riceve
nel periodo intermedio (medius aevus), arido se non del tutto infecondo. Diremo
per ciò come la logica aristotelico-stoica fu introdotta dal filosofo romano
Boezio presso i Romani. La traduzione di Boezio del greco al romano dei primi
due trattati dell’Organum (Categoriae e De Interpretatione – the only two that
Grice lectured on with J. L. Austin and P. F. Strawson), nonché dell’Isagoge di
Porfirio [arbor griceana], e i commenti con cui egli stesso ed altri scrittori
neo-platonici accompagnarono codesti scritti (nel senso della tecnica formale,
secondo la tradizione stoica), costituiscono il fondamento della cultura del
più antico (alto) Medio Evo. Del resto, la cultura generale sembra ^ppjesentata
da un certo numero di enciclopedie clella bassa antichità, come quella di Marciano
Capella, nelle quali si tratta delle sette artes liberales che, nel tirocinio
scolastico, formarono il trivio (I. grammatica, II. Rettorica, III. Dialettica)
ed il quadrivio (IV. Aritmetica. V. Geometria. VI. Astronomia. VII.
Musica). Specialmente degno di nota che
questa prima parte del Medio Evo non ha conosciuto, nè le altre opere (logiche,
fisiche ecc.) di Aristotile, nè le opere originali di Platone, fuori del “Timeo”,
tradotto in romano da Calcidio. Più tardi, il Rinascimento umanistico doveva
venir fecondato mercè una conoscenza diretta dei testi, in seguito alla caduta
dell’impero romano d'Oriente, che addusse numerosi profughi segnatamente in
Italia. Ora nella logica scolastica due aspetti sono degni di nota. Primo,la
progressiva elaborazione della tecnica formale, acuitasi mercè sottili distinzioni.
Secondo, la grande questione della realtà degli universali, di cui a stento
riusciamo a comprendere il carattere drammatico, traverso la forma aridamente
schematica delle discussioni. Sorvoleremo affatto sul primo punto, sebbene sarebbe
interessante per la storia della dialettica, di mostrare, per esempio, in
Buridano il riconoscimento della proprietà distributiva della particella
(adverbium) ‘non’ (~) rispetto a “et” (/\) e “vel” (\/). non (p et q), ~ (p /\
q) ≡ non p vel non p (~p \/ q). (notizia
segnalatmi da Vacca) o di cercare simili analisi in Paolo Veneto. Ma, quanto
alla questione della realta degl’universale, diremo che si tratta dell'antica
questionollevata dalla ideologia platonico-aristotelica, se all’idea generali
corrisponde una realtà. La quale questione fu riaccesada un passo dell’Isagoge
di Porfirio (I, 3). “E anzitutto, per ciò che riguarda il genero o la specie,
io evito di ricercare se esiste di per sè, ovvero se esiste soltanto come pure
nozione; e — ammettendo che esista di per sè — se apartengano alla cosa
corporea o incorporee; e infine se abbiano esistenza separata ovvero solo nella
cosa corporea sensibile. E una questione troppo profonda che esigerebbe uno
studio differente da questo e troppo este. Nel vasto intreccio della polemica
medioevale appare che il nominalista (negante la realtà dell’universale)
rappresentano, in generale, le tendenze scientifiche, avverso il misticismo
platonizzante del realista. Ciò è vero soprattutto per riguardo ai rinnovatori del
nominalismo nel secolo come Guglielmo Occam e Giovanni Buridano, rettore
dell'Università di Parigi, ai quali è dovuta la teoria che ha preso il nome di
terminismo. Il terminista (che si accosta al concettualismo di Abelardo)
ritiene i concetto (o termino) come un segno intersoggettivo (signa) della
singola cose, o di una classe di cose, realmente esistenti. La dialettica si
riferisce soltanto alle reazione di questo segno della cose (Occam, Quodlibeta
V. 5). Occam avverte pue che l’espressione assume il suo proprio significato
nella proposizione, e spesso in unione a qualche altro termine. Terminus
conceptus est intentio seu passio animae aliquid NATURALITER SIGNIFICANSaut
consignificans, nata esse pars propositionis. Sifftta dottrina supera lo
stretto nominalismo e tuttavia nega il realismo: cioè nega che il ‘significato’
(o ‘signato’) dell’espressione sia da
cercare nella sua comprensione o connotazione, ossia nell’ insieme delle note o
attributi, di cui esso esprimerebbe l'unità sostanziale; e
si afferra invece all’estensione o denotazione (denotatum, relatum), cioè all’
insieme delle cose rappresentati dall’espressione (‘homo’), che — sotto la
specie di certe reali somiglianze — vengono vramente unificati. Al lume di
questa veduta, la definizione scolastica, discendente dal astratto generale universale
al concreto particulare individuo, e la logica stessa perdono importanza: onde
è fatto invito a volgersi dalla spiegazione dell’espressione al concreto della
esperienza. Ciò spiega abbastanza l’interesse appassionato della polemica
intorno agli universali che nel mondo sociale e morale deve rivendicare la
libertà dell'individuo soffocata dalla tirannia delle istituzioni e dall'autorità
delle credenze e dell’insegnamento tradizionale. Nulla sembra più proprio a
favorire un tale affrancamento degli spiriti, che abbattere alla radice
l’albero della deduzione infeconda, triviale, analitica, ricostruendo induttivamente
tutto il sapere. Onde la stessa tendenza si continua ed esplica nella reazione
anti-aristotelica (platonista) degli umanisti italiani purificatori della
logica dalla sottigliezza o implicatura scolastica (Valla, Agricola, Vives) e
si manifesta poi in nuove forme nella rinascita del movimento scientifico. Federigo
Enriques. Keywords: unity of science, history of logic, foundations of
mathematics, the synthetic a priori. Grice e Enriques su Peirce. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ed Enriques” – The Swimming-Pool Library.
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