Costa (Ravenna). Filosofo. Grice: “My favourite keyword for Costa
is ‘contrassegnare’!” – Grice: ““I love Costa; for one, he improves on Locke;
on the composition of ideas and how to ‘countersignal’ them with ‘vocaboli
precisi’ – I explored that a little in my ‘Prejudices and Predilections,’ when
I attack minimalism and extensionalism, and provide a way which is meant to
resemble Locke’s way of words, or rather Locke’s way of ‘complex’ words, or
‘composite’ (Costa’s ‘comporre’) out of ‘simple’ ones – as in Quine’s worn-out
‘bachelor’ unmarried male that I play with with Strawson in “In defense of a
dogma.” In this respect, it is interesting to see that Costa also wrote on
‘ellocution’ and ‘sintesi’ versus ‘analisi’!” Figlio di Domenico e Lucrezia
Ricciarelli, studia a Ravenna e Padova. Insegna a Treviso e Bologna, a Villa
Costa, Bologna -- è costretto a riparare a Corfù perché sospettato di essere
affiliato alla Carboneria. Può rientrare a Bologna. Altre opere: “I trattati
della elocuzione e del modo di esprimere l’idea e di segnarla con una
espressione precisa a fine di ben ragionare” – Colla profferenza, “Fa fredo,”
Costa segna che fa freddo. Il trattato filosofico della sintesi e dell'analisi;
i quattro sermoni dell'arte poetica, un commento alla Divina Commedia, la Vita
di Dante, il Dizionario della lingua italiana, poesie (Laocoonte), lettere e
traduzioni. Letterato neo-classico e
dunque tipicamente italiano e anti-romantico, ammira i corregionali Monti e Giordani
e sostenitore del purismo e del “sensismo” lucreziano in filosofia. Nella
lettera a Ranalli di introduzione al Della sintesi e dell'analisi così riassume
le sue concezioni filosofiche. È necessario, per togliere la infinita
confusione che è nelle scienze ideologiche, di dare all’espressione un
determinato valore. Sostengo che questo non si può ottenere, come crede Locke,
colla de-finizione (horismos) (la quale e una scomposizioni di una idea o di
piu idee), se prima la idea non sia stata ben composta. Sostengo che questa non
si puo compor bene, se prima non si conosce quale ne sieno gli elementi
semplici – soggetto e predicato, il S e P -- Sostengo che un elemento semplice
e una reminiscenza relative a una sensazione, e che la idea si compone di almenno
due di sì fatti elementi – il S e P – la proposizione, ‘segno che p’ -- e del
sentimento del rapporto di una reminiscenza e dell’altra, cioè dei proposizione
– nel indicativo o imperative – il giudizio – il giudicato – e la volizione –
il volute. Da ciò conséguita che l'esperienza (se l'esperienza vale ciò che si
sente mediante l'attenzione) è il fondamento della scienza umana. I kantisti ed
altri filosofi distinguono una idea in una idea soggettiva e in una idea
oggettiva, ed attribuiscono un'origine a posteriori e sintetico alla una ed
un'origine a priori e analitico all’ltra. Questa distinzione può esser buona, ma
non è buona l'ammettere che abbiano origini di natura diversa: a posteriori/sintetico,
dal senso – e a priori/analitico – dall’intelleto – nihil est in intellectus
quod prior non fuerit in sensu. Ogni
idea ha un stesso origine. e questo si fa palese per un solo esempio. Da una
idea soggettiva puo nascere sue
proposizioni. Una proposizione: "La reminiscenza S1 e la
reminicenza S2 sono in me”. Altra proposizione: “La reminiscenza S si associa
con la reminiscenza P”. Qual è l'origine dell’idea dalla quale deriva sì fatta
proposizione? Il sentimento. Dire che la reminiscenza del color di rosa è in
me, è dire che sento che è in me, e dico: “Vedo una macchia rosa”. Così direte
dell'altra proposizione. Dall’idea oggettiva puo nascere una proposizione e
altra proposizione. Il corpo pesa. La rosa manda odore. Da che nasce la
proposizione? Dal sentimento (senso). Perciocché dire che questo corpo pesa è
lo stesso che dire che sento il peso di questo corpo; giu-dico, ovvero, sento che
la cagione (causante, causans) della mia sensazione tattile del senso del
tattoo è in questo corpo. Così dire che la rose manda odore è lo stesso che
dire che sento l'odore della rosa, giu-dico, ovvero, sento che l'odore dela
rosa ha una delle cagioni in cose fuori, cioè che non sono in me. Fra una idea
soggettiva e una idea oggettiva non vi è altra differenza, se non che nella che
si suppone oggetiva sento che la cagione
(causans) è nella nostra persona. Nell’idea che si suppone oggetiva sento che
la cagione (causans) è in me (o noi entrambi – nella diada --), nell’idea
soggetiva nella cosa (il reale). fuori. Ma come sentiamo noi che vi sia una
cosa (il reale) fuori? Questo è il gran problema dagl'ideologi non ancora
solute. Ma l'ignoranza in che siamo non dà facoltà legittima alla scuola trascendentali
di concludere che il giudizio dell’idea soggetiva non dipende dal sentire. Il
giudicio è un sentimento, cioè, un rapporto sentito fra una sensazione e altre
sensazione, una reminicenza (il S) e altra reminiscenza (il P); ché se tale non
fosse, nessuno potrebbe dire che l'idea che abiamo di una rosa p.e. ha la sue cagioni
fuori di noi entrambi, perciocché una sì fatta proposizione suppone che l'uomo
che proferisce questa proposizione o explicatura (spiegato) abbia o la
sensazione S e la sensazione P, o le reminiscenza S e la reminiscenza P in
relazione alla sensazione prodotte dalla rosa, e l'idea del sentente. Voi
vedete chiaramente, che nell'uno e nell'altro degli addotti esempii la
modificazione che chiamamo ‘idea,’ e il sentimento dei loro rapporti sono nella
nostre anime ambidue, e che quindi si esprimono falsamente coloro, che dicono
che sentiamo il corpo fuori di noi. Dovrebbero dire, strettamente, che sentiamo
che la cagione (causans) del nostro sentire (sentito) non è in noi entrambe.
Coi fondamenti da me posti si può stabilire una dottrina, se il buon desiderio
non mi acceca, per la quale vadano a terra le opinioni di coloro che disprezzano
il sensismo, e che con odiosa espressione la chiamano dottrina de' “sensuali”.
Con che danno a divedere, che essi mattamente opinano che il materiale organo
del senso (i cinque organi, i cinque sensi) senta e percepisca, senza
accorgersi che se gli occhi (visum) e le orecchie (auditum) e il naso (odore) sentissero
ciascuno separatamente, non potrebbe giammai nascere giudizio alcuno circa la
qualità della sensazione di natura
diversa. L’uomo non potrebbe mai dire che l’odore della rosa mi diletta più del
colore della rosa, e così via discorrendo. Il sentimento di un solo centro,
nostre anime ambidue: e nostre anima ambidue senteno in sé mesima, e non fuori
di sé. Puo parere che questa dottrina del sensismo sia la stessa che quella
dell'idealista irlandese Bercleio; ma essa è diversa, poiché ammette che oltre
la idea vi sieno fuori dell'uomo la cagione (causans) di essa idea. Di questa
cagione (causans) – il reale, il noumeno -- noi conosciamo l'esistenza, e nulla
più. Che cosa e un corpo in se stesso? A questa interrogazione non si può
rispondere se non dicendo che e ignota la cagione della nostra sensazione
condivisa. Sappiamo che esiste, sappiamo che si modifica, e tutto ciò sappiamo,
perché fa della mutazione nell'animo nostro ambedue o nell’anima nostra ambedue.
Dal che si deduce ciò che dianzi vi dissi, che ogni idea ha per loro due primitivi
elementi (il S e P) la sensazione, la reminiscenza, il sentimento che e nelle
nostre anime ambidue, e non fuori di lei. Così la pensa il filosofo chiamato
per beffa dal cattolico romano col nome di sensualista e di materialista.
Materialista a buona ragione si puo chiamare i nostri avversario, o almeno
materialista per metà, giacché ammette che il sentimento del corpo
percepiscano, e giudichino relativamente alla qualità del reale, della cosa
esterna. Leggete le lettere filosofiche di Galluppi stampate non è guari in
Firenze. In Galluppi troverete chiaramente esposte la dottrine sensista, quelle
di Hume circa la cagione, e segnatamente quelle di Kant. Se dalle mie teoriche
si possono ricavare gli argomenti validi a confutare le opinioni del filosofo
trascendentale, o di coloro, che oggi si danno il nome di eclettico – come ha
tempo Cicerone --, io vi prego di compilare alcune note, o vogliam dire
corollarii, pei quali si vegga manifesta la falsità di alcuni principii del
irlandese Bercleio, del scozzese Reid e del scozzese-tedesco Kant, la filosofia
dei quali è fonte della massima parte della moderne follia (Della Sintesi e
dell'Analisi, ed. Liber Liber / Fara Editore). Altre opere: “Alighieri”; “Della
elocuzione” Fara editore, S. Arcangelo di Romagna); “Della sintesi e
dell'analisi” (Giovanni Battista Borghi e Melchiorre Missirini); “La divina
commedia, con le note di Paolo Costa, e gli argomenti dell'Ab.G. Borghi. Adorna
de 500 vignette” (Giovanni Battista Niccolini e Giuseppe Bezzuoli, Firenze, Stabilimento
artistico Fabris,Claudio Chiancone, La scuola di Cesarotti e gli esordi del
giovane Foscolo, Pisa, Edizioni ETS (sulla formazione padovana del Costa, e sulla
sua amicizia giovanile col Foscolo) Filippo Mordani, Vite di ravegnani
illustri, Ravenna, Stampe de' Roveri. Dizionario biografico degli italiani. Una
delle facoltà, onde l'uomo è tanto superiore alle bestie, si è la favella
[fabula – da ‘fa’, speak – cf. fama], mercè della quale i primi uomini non solo
si strinsero in comunanza civile, ed ordinarono la legge ed il governo; ma a
fare più beata e gloriosa la vita crebbero le scienze e le arti, ed ispirarono
con queste l'odio al vizio ed al falso; l'amore della virtù, del vero, del
bello; e i fatti e i nomi degni di memoria ai tardi secoli tramandarono. E qual
cosa è più utile ai privati, ed alla repubblica e più degna e di maggiore onore,
che l'arte di gentilmenle parlare? Per questa ci è aperta la via alla dignità,
alla fortune ed alla fama; per questa le città si mantene ordinata e pacifica;
per questa sono animati i guerrieri –
come Niso ed Eurialo --, encomiato un principio; per questa con più degni modi
si loda e si prega il supremo autore elle cose, e pura e viva si mantiene nel
cuor degli uomini la religione. Laonde, se desiderate onore o giovamento a voi
stessi ed alla Italia, ardentemente volgete l'animo a questo nobilissimo studio
del parlare o discorsare civile. Che se vi fu dolce fatica l'interpretare e
l'imitare gli antichi filosofi romani, non meno dolce vi e il venire meco
investigando il magistero, che è nelle opere loro; imperciocchè, essendo la
favella [la lingua, il parlare] istrumento col quale si commovono e si traggono
gli animi degli uomini, uopo è di volgere sovente la considerazione alle
proprietà dell'intelletto e del cuore umano; il che , pel naturale desiderio,
che abbi mo di conoscere noi stessi, è dilettevolissimo. Mettiamoci dunque
volentieri a quest'opera; e per cominciare con ordine , poniam subitomente al
fine, che si propone chi scrive, perocche non sarà poi difficile temperare ed
ordinare secondo quello il modo del favellare. La favella – nella diada conversazionale
-- intende a *manifestare* (cfr. Vitters) ad altro un pensiero e un affetto
proprio con soddisfazione dell’altro. Ad ottenere questo FINE, sono necessarie
due codizioni. Prima: che la elocuzione sia chiarà – Grice: “imperative of
conversational clarity). Seconda condizione: che l’elocuzione sia ornata
convenevolmente. Parliamo tosto della chiarezza conversazionale, che poco
appresso diremo dell' ornament. La chiarezza da due cose procede. Prima: dalla
qualità dell’espresione, che si pone in uso. Secondo: dalla collocazione –
cum-locatio, syn-taxis -- loro. Prima diciamo della qualità dell’espressione,
L’espressione, che e un *segno* [cf. Grice: Words are not signs] di una idea,
fa perfettamente l'ufficio suo ogni qual volta sia ben determinata, cioè
appropriata a ciascuna idea singolare per nodo, che non possa a verun' altra
appartenere. Per meglio iutendere in che consista la natura loro, bisogna
considerare che ogni idea e composta – il S e P - ; e che alcune, differendo da
altre in pochi elementi, abbisognano di segno particolare, per apparire
distinte. Quell’espressione che la distingue dicesi “proprio”. Vaglia un
esempio. L'idea di ‘frutto’ ha per suoi elementi le idee delle qualità comuni a
ogni frutto; l'idea di “melagrana,” oltre i detti elementi , comprende le idee
delle qualità particolari della melagrana: perciò è che, se chiameremo frutto
la melagrana, quando è mestieri distinguerla, non parleremo con proprietà. (cf.
Lawrence: What is that? E un fiore). Ho qui recato il materiale esempio di un
errore, in che è diſficile di cadere, affinché si vegga chiaramente non essere
molto dissimile da questo l'errore di coloro, che d'altre cose ragionando usano
i vocaboli generali (fiore) per ignoranza' de'particolari (tulipano). Tanto
sconvenevol cosa si repula l 'usare una espressione impropria, dice il Casa,
che si hanno per non costumali coloro, i quali, non dan dosene gran pensiero,
pare che amino di essere frantesi, e nulla curino il fastidio di chi si sforza
d'intenderli: all'incontro coloro, i quali usano l’espressione propria,
mostrano di essere civili, essendo solleciti di alleviare altrui la fatica [cf.
Grice, prinzipio di economia dello sforzo razionale], poichè pare che mercè
della espressione proprie le cose si mostrino, non coll’espressione, ma con
esso il dito. I poeti, che sono lodali per la evidenza, onde le cose ci pongono
dinanzi agli occhi ci somministrano
esempi del modo assai proprio. Giovi recarne qui alcuno a schiarimenlo di
quanto abbiamo detto: Come d'un tizzo verde, ch'arso sia dall'un de capi che
dall'altro geme, e cigola per vento, che va via. È qui da notare come
l’espressione “tizzo” e l’espressione “cigola” meglio ci rappresentano la cosa,
che arde, e l'effetto del fuoco, di quello che se Alighieri avesse detto: un ramo
verde fa romore per vento che va via, essendo questa SIGNIFICAZIONE alta a
denotare altra idea non simili in tutto a quella che si voleva esprimere. Cosi
Petrarca disse propriamente: raffigurato alle fattezze conte, piuttosto che
dire alla persona; e Alighieri: levando i moncherin per Ľaria fosca, in vece di
dire, levando le braccia tronche. Qui si vede come l’espressione “fattezza” e l’espressione
“moncherino” sieno meglio usati per essere espressione di SIGNIFICAZIONE
SINGOLARE. Se la proprietà [cf. be as informative as is required – avoid
ambiguity] è si necessaria a SIGNIFICARE la cosa che cade sotto i sensi, quanto
maggiormente nol sarà ella, quando si vogliono esprimere le idee intellettuali
e le morali, che se non fossero determinata in virtù dell’espressione, o svanirebbero
dalla mente nostra, o vi starebbero disordinate e mal ferme? A quel modo che
dalla precisione delle cifre dell'aritmetica dipende la esattezza de’ calcoli,
cosi dalla proprietà dell’espressione dipende quella delle idee e de' ragionamenti
in qualsivoglia delle scienze astratte; e quindi ottima è quella sentenza del
filosofo: consistere il sommo dell'arte di ragionare nel l'uso di un discorso bene
ordinata. Anche Piccolomini ha detto della sua parafrasi di Aristotele, che la
base e il fondamento della elocuzione si ha da stimar che sia la purità, la
netlezza e candidezza – cf. Grice, the imperative of conversational candour --
di quel discorso, nella quale l'uom parla. Ad acquistare l'abito di discurrire
con proprietà tre cose si richieggono. Prima,
il saper bene dividere le idee fino ai primi loro elementi. Secondo, il
conoscere l'etimologia dell’espressione (etimo: il vero), per quanto è
possibile. Terzo, il rendersi famigliari le opere degli antichi filosofi romani,
ne'quali è dovizia di voci pure e di modi assai propri. Chi non ha uso delle
delle cose è spesso costretto di adoperare le noiose circonlocuzioni in luogo
di un solo vocabolo o di una breve sentenza, e di abusare de sinonimi. Si dice
“sinonimo” l’espressione di una medesima sigoificazione, o quelli, che
rappresentando le stesse idee principali, differiscono in qualche accessoria.
Della prima generazione sono i seguenti: fine e finimenio; abbadia e badia;
consenso e consentimenlo e simili. Aliri ne trov po nella formazione de' tempi,
e de'partecipii, come rendei e rendetli ; visto e veduto; parso e paruto; ma
colali sinonimi non sono in gran numero. La più parle è di quelli che
differiscono per aumento, o diſelto di qualche idea accessoria. Cavallo, corridore,
destriero , palafreno, poledro, rozza, sono espressioni istituite a significare
il medesimo animale; ma ognuna differisce dall'altra. “Cavallo” denola la
qualità della specie; “corridore” la particolarità d'esser veloce; “destriero” ricorda
l'uso di menare il cavallo a mano destra; “palafreno” quello di frenarlo colla
mano; “poledro” la qualità dell'essere giovane; “rozza” quella dell'essere
vecchio e disadalto. Le voci unico e solo sembrano per avventura la stessa cosa;
ma il Petrarca disse la sua donna essere “unica e sola” (one and only), volendo
significare che nessun'altra è nella schiera di Laura, e che nessuna può esserle
dala in compagnia. Incontra alle volte, che le parole istituile a significare
un'idea stessa differiscono per la virtù, che haono di richiainarne alla mente
alcun'altra più o men nobile, o per cagione del suono o vobile o rimesso, o per
cagione dell'uso, che di quella suol esser fatlo in umile o in illustre
componimento. Tali sono , a cagione d'esempio, i vocaboli “adesso” ed “ora”,
che significano ‘il momento presente’, ma “adesso” non sarebbe ricevuto in
nobile componimento ; dal che si vede che sebbene ei denoli il punto presente
del tempo, come fa l'altro, pure trae in sua compagnia alcune idee, che il fanno
parere di bassa condizione. É dunque da por wenle che l’espressione, che si
dice sinonimo, non sempre ci rappresentano stesso complesso d'idee ; e quindi
può intervenire, che ingannali dall'apparenza, alcuna votla siamo lralli ad
usarli impropriamenle. È da avvertire per ultimo, che ogni espressione
antiquale, cioè quelle, che pel consenso universale de’ filosofi sono stale
abolite, non hanno più luogo tra le voci proprie. Si uilmente sono improprie
ogni espressione dei dialelli parlicolari, e l’espressione forastiera, che
dall'uso de' wigliori filosofi non hanno avuto la cile tadinanza. Le quali
tutte non sarebbero bene intese dall'intera Italia; e perciò denuo essere, da
chi desidera di discurrire chiaramente, a lullo polere schivale. Questo basli
aver dello della proprietà, che è la prima cosa, che si richiede a render
chiara le elocuzione. Direino poi a suo luogo come il trasporlare con altra
legge di proprietà l’espressione dal significato proprio all'improprio giovi
maravigliosamente alla chiarezza. In virtù dell’espressione esprimiamo i nostri
giudizii, e collegando insieme il giudizio espresso formiamo i raziocioii, i
quali verranno chiari alla menle altrui , qualvolta sieno osservate le leggi,
di che ora faremo parola; ma prima si vuole avvertire, cha talora il discorso
può es sere ordinato secondo le leggi, per le quali ' riesce chiaro, ma non
avere poi quella forza, quella virtù e quella eſficacia, che avrebbe, se si
disponessero le parole diversamente senza però offendere le delle leggi. A suo
luogo direno della disposizione (sintassi) delle parole, che agagiunge
efficacia al discorso. Ora è a dire solo tanto di quella, che lo fa chiaro. Ogni
giudizio espresso dicesi proposizione. Nel ragionamento, il quale di nolle proposizioni
si compone, alcuna vene ba, che viene modificata dalle altre. Quella, che è
modificata, dicesi principale, le allre suballerne (o minore). Vaglia a ben
distinguerle il seguente esempio del Casa. Menire i nostri nobili cittadini gli
agi e le morbidezze e i privuli loro comodi abbracciano e stringono, l'impera
lore, non dormendo nè riposandu , mu travagliando e fabbricando, ha la sua
fierezza e la sua forza accresciuta. L'imperatore ha la sua fierezza e la sua
forza accresciuta è la proposizione (premessa) principale (maiore), le altre,
che lei modificano, sono le subaltern (premessa minore). La proposizio ne
principale, a somiglianza della principale figura in un dipinto, dee fra tutte
le subalterne campeggiare e risplendere; per ciò è che vuolsi evitare la
frequenza di queste ultime, le quali, allorchè fossero troppe, invece di
raflorzare la principale o premessa maiore, siccome è loro officio, verrebbero
ad indebolirla. Questa si è la prima avvertenza , che circa le proposizioni
subalterne aver dee colui che discurre; indi si prenderà cura di ben'
collocarle. Prima che veniamo a dire quale sia la buona collocazione loro, è
necessario di osservare, che le delle proposizioni subalterne si distin guono
in espresse ed in implicite. Diconsi espresse quelle, nelle quali tutte le
parli loro sono manifeste, come nella seguente : ľuomo è ragionevole. Diconsi
implicite quando il giudizio che si esprime, e significati dall nome addiettivo
o dal nome sustantivo con preposizione o dall’avverbio, come nelle seguenti.
L’uomo GIUSTO è lodato. Pilade ama Oreste. CON. I romani amarono GRANDEMENTE la
patria. Quando si dice “l'uomo giusto” si viene ad affermare che ad esso si
appartiene la giustizia, che è quanto dire giudichiamo che egli è giusto. Si
dica il medesimo delle altre due proposizioni. Ama con FEDE GRANDEMENTE, La
proposizione IMPLICITA (entimema, implicatura) serve a significar del giudizio,
che per abilo la mente umana FEDE amarono suol fare rapidamente; perciò è che
non si denno usare in vece di quelle la proposizione espressa, SPLICITA
(splicatura), perciocchè impedirebbero la spedi tezza dell' intelletto di
nostro compagno conversazionale. Si dovranno ancora nello scegliere la
proposizione implicita (implicatura, impiegato) schivare le inutili, cioè
quelle, che risveglierebbero le idee, che in virtù del solo sustantivo o del
solo verbo possono essere richiamate a mente, e scegliere quelle, che meglio
qualificano il significato. Sarebbe, a cagione d ' esempio, vano (redundante) e
noioso l'aggiunto di “bianca” alla “neve” (salvo se il caso richiedesse di far
conoscere parti colarmente questa qualità), essendo che l’espressione “neve”
trae seco, senz'altro aiulo, la idea di ‘bianco’ (cf. ‘atleta’ ‘longo’).
Rispello alla collocazione della proposiziona suballerna, sia ella implicite o
espresse, la regola (massima, imperativo) si mostra di per sé: imperciocchè, essendo
intese a denotare alcuna qualità del signato o da' sustantivo o da' verbo o da'
participio, deve chiaramente apparire a quali di queste parti dell'orazione (l’otto
parti dell’orazione – partes orationis) vogliono appartenere; e perciò fa
mestieri collocarle in luogo tale, che mai non venga dubbio se sia poste a
modificare piuttosto l'uno, che l' altro o verbo o participio o sustantivo. Quao
do a ciò si manca nasce perplessità (“misleading, but true) come nel seguente
luogo di Boccaccio. E comechè Aligheri aver questo libretto fallo nell'età più
matura si vergognasse. Qui può sembrare che il libretto sia stato falto nell'
età più matura; che se avesse dello: comechè egli aver futto questo libretto si
vergognasse nell'età più matura, la proposizione sarebbe stata chiarissima.
Alcuna perplessità è ancora in quest'a tro di Passavanti: Leggesi, ed è scritto
dal venerabile dottor Beda, che negli anni domini ottocento sei un uomo passò
di questa vila in Inghilterra. Comechè non sia per cadere nel pensiero di
alcuno che colui, che si parle di questa vita, possa andare in Inghilterra,
nulladimeno, per quella collocazione di parole, la mente di chi legge resla
alcun poco sospesa. Molte traspposizioni, che si bia simano nella lingua
italiana, sono spesso con venevoli nella lingua latina, perchè nella lingua
romana gli aggettivi, che per le desinenze diverse nei generi, nei numeri e nei
casi si accordano coi sustantivi, rade volte lasciano dubbio a cui vogliano
appartenere, e rade volte i casi obliqui si confondono col caso retto, comunque
nella proposizione sieno collocati. Bellissimo è in latino il seguente luogo di
Crasso, riportato da Cicerone. Haec tibi est excidenda lingua, qua vel evulsa
spiritu ipso libidinem tuam libertas mea refutabit. Tenendo l'ordine di queste
parole nella lingua italiana si produce falsità nella sentenza: sconvolgendolo
si perde tutta l'efficacia. Se diremo. Questa lingua li è d'uopo recidere:
recisa questa, col fiato stesso la tua sfrenatezza la libertà mia reprimerà,
apparirà che la sfrenatezza reprima la libertà. Se per lo contrario tradurremo.
La libertà mia reprimerà la tua sfrenatezza, toglieremo alla sentenza molto
della sua forza. Vedremo a suo luogo la ragione, per cui la diversa
collocazione di una espressione semplice rafforza o snerva l'espressione
complessa. Ora ci basti osservare, poichè cade in acconcio, che le varie lingue
(parlando ora della sola facoltà, che hanno di permutare il luogo alle parole),
luttochè sieno alle a qua. Junque specie di componimento, nol sono ad esprimere
uno stesso concetto nella stessa forma; perciò è che quando si trasportano le
scritture da una favella ad un'altra non dovrà l'espositore darsi briga di
ritrarre espressione per espressione, ma, avendo rispetto al genio della sua
lingua, cercherà di produrre per altro conve pevol modo negli animi di nostro
compagno conversazionale gli effetti, che l’espressione in lui operarono. Per
fuggire le equivocazioni [cf. Grice, avoid ambiguity] gioverà ancora badare ne'
verbi alla prima voce dell'imperfetto dell'indicativo, la quale è simile alla
terza, dicendosi io amava, colui amava; perciò a distinguerle è sovente bisogno
di pre ineltere all’espressione ‘amava’ il nome o il pronome. Giova spesso alla
chiarezza, e segnatamente nell’espressione complessa o composita, il ben distinguere
le persone e le cose, delle quali si parla (il topico); e perciò sta bene
talvolta il *ripetere* il nome per non confondere l’una coll'altra;
imperciocchè i prononi e i relativi sogliono spesso essere cagione di equivoco
– confusione – cf. avoid ambiguity, be perspicuous [sic], the imperative of
conversational clarity; e questo interviene specialmente, quando nella proposizione
antecedente sono più sustantivi di un medesimo genere e numero, che si possono
accordare coi relativi delle susseguenti; perciò conviene tal volta o giovarsi
di un sinonimo onde porre in luogo di alcun nome mascolino un femminino, o
inulare il numero del più in quello del meno, o viceversa. Può ancora geverarsi
perplessità nell'usare il possessivo “suo” e “suoi” invece de relativo lei, lui
e loro; e perciò alle volle è necessario adoperar questo per quello, come nel
caso seguente. Mai da sè partir nol potè, infino a lanto che egli (Cimone) non
l'ebbe fino alla casa di lei accompagnata. Se Boccaccio avesse detto, fino alla
casa sua accompagnata, si sarebbe potuto credere essere quella di Cimone. Per
far maniſesta (esplicita, chiarissima) la connessione de'ragionamenti sono assai
opportune le particelle copulative (“e”(, avversative (“ma”), illative (“se”) e
somiglianti – disgiuntiva (“o”). Molli fra' filosofi italiani, ad imitazione
de’ filosofi francesi, sogliono scrivere a piccoli membri senza congiungerli insieme
colle particelle, e in ciò sono da biasimare, iaperciocchè costringono la mente
di nostro compagno conversazionale a passare “di salto” da una proposizione
all'altra senza dargli occasione di scorgere subitamente le attenenze
(pertinenza, relevanza – cf. Grice, category of relation – be relevant – a
‘platitude’ -- Strawson) loro. Affinchè si vegga manifestamente quanto la mancanza
de' legamenti tolga di chiarezza al discorso, leverò dal seguente luogo del
Passavanti le particelle che ne conneltono le parti. Qualunque persona sogna,
pensi se il suo sogno corrisponde all affezione sua, a quella che più ta
sprona. Se vede che si , non a . spetti che al sogno suo debba altro segui.
tare. Quel sogno non è cagione, alla quale debba altro effetto seguitare; è
l'effetto dell'affezione della persona. Tale sogno oseservare, cioè considerare
donde proceda, non è in sè male: è l'effetto di naturale cagione. Facciamo
congiunti questi membri colla particella “e”, la particella”imperciocchè, la
particella “ma” e vedremo il discorso apparire più chiaro (“She was poor and
she was honest”) Qualunque persona sogna, pensi se il suo sogno corrisponde
all’affezione sua, a quella, che più lu sprona. E se vede che si, non aspetti
che al sogno suo debba altro seguilare; *imperciocchè* quel sogno non è
cagione, alla quale debba altro effetto seguitare; *ma* è l'effetto del
l'affezione della persona; e tale sogno osservare, cioè considerare donde
proceda, non è in sè male: imperciocchè è l'effetto di natural cagione. Quesli
pochi avvertimenti basteranno, se io non erro, a render cauti i conversatori,
che desiderano di conversare chiaramente. Tralascio le wolle cose, che i
filosofi hanno ragionato in torno la proposizione, poichè mi pare che, qual
volta siasi imparato a distinguere la proposizione principale (premessa maiore)
dalle proposizione subalterna (premessa minore), e siasi conosciuto che la
virtù di queste si è di modificare le parti dell'altra, non faccia mestieri di
*molto sottile* ragionamento a sapere in che modo elle si debbono collocare
nella orazione o espressione complessa; perciò senza più entro a parlare dell'
ornamento. La perſezione dell'arte del conversare, secondo Cicerone, consiste
nell'esporre chiaramente, or nataniente e convenevolmente le cose o il topico,
che a trattare imprendiamo. Di quella chiarezza e di quell'ornamento e decoro,
che dalla invenzione e disposizione della materia procede, si ragiona in altre
due parti della rettorica. Accade qui di parlare delle suddette tre qualità
solamente rispetto al modo di significare (modus significandi) il concetto
ritrovati. Avendo abbastanza detto della prima, diremo ora delle altre due, che
fanno il discorso – la mozione conversazionale -- accetto a nostro compagno
conversazionale. Prima di tullo si vuole osservare che la proprietà delle voci
e l'ordinata (cf. Grice, be orderly) composizione loro generano gran parte della
bellezza del discorso; imperciocchè fanno sì, che esso sia inleso senza fatica,
che è quanto dire con qualche sorta di piacere. Ma questo non basta; chè
nessuno per verità loda il conversatore solamente perchè si fa intendere dal
suo compagno conversazionale; ma lo biasima e sprezza, s ' ei ſa altrimenti.
Chi è dunque che faccia meravigliare gli uomini e tragga a sua voglia le
volontà loro? Chi è applaudito e chi è venerato più che more tale? Colui, che
nel conversare è distinto, copioso, splendido, armonioso, e che queste qualità,
onde si forma l'ornamento, congiunge al decoro. Que' che conversa co'rispetti,
che la qualità delle materia e del compagno conversazionale richiede, solo
merita lode: che qualsivoglia ornamento disgiunto dal decoro diviene sconcezza
e deformità. Di questo decoro diremo più particolarmente a suo luogo; ora
veniamo a discorrere le parti dell'ornamento. Molto leggiadre ed efficaci sono
le voci proprie, che per cagione del loro suono hanno somiglianza col
significato, o quelle che ne ricordano qualche particolare qualità. E
espressiona, che ricorda il significato per somiglianza di suono le seguenti:
“belato”; “ruggito”; “soffio”; “nitrito”; “boato”; “rimbombo”; “tonfo”, e molte
al tre, che per alcuni furono chiamate termini figure, a differenza di quelle,
che, non avendo soosiglianza veruna col significato , furono delle termini memorativi
o cifre. Fra i termini figure voglionsi annoverare, oltre le voci che abbiamo
teste accennat , quelle che o provengono da altr’espressione, che è segno di
cosa somigliante al signficato che si vuol esprimere o communicare (cf. Grice
on the circularity of analyising ‘signare’ e ‘communicare’), o ricordano
l'origine o gli usi del significato. L’espressione “spirito” è bella per certa
tal qual somiglianza, che il significato, cioè l’immateriale sostanza, sembra
avere col fialo o con qualsivoglia altra sottil materia, che spiri. Belle
similmente e l’espressione “moneta” e l’espressione “pecunia”. la prima delle
quali, venen do da “moneo”, significa che il metallo ed il conio ammoniscono la
gente circa il valore di essa moneta. La seconda, venendo da pecus, ricorda
l'origine del denaro, che fu sostituito ai buoi ed alle pecore, antica inisura
delle cose mercatabili. Ho qui posti questi due esempi ancora perchè si vegga '
quanto giovi alcuna volta l'investigare l’etimologia. Concorrono co' termini
propri e co' termini figure a far bella la mozione conversazionale le parole
nobili, qualvolta sieno convenevolmente adoperate. Accade delle parole, dice
Pallavicini, che comunemente accade degli uomini nel civil conversare. Questi
acquistano ripulazione o vilipendio dalla qualità delle persone colle quali
usano farnigliarmente; e le parole dalla qualità delle persone da cui sono
sovente proſerite; e ciò interviene perchè tutti hanno per fermo, che i personaggi
illustri e gli uomini letterati sieno esperti a conversare con legge, e che la
plebe allo incontro parli e cianci barbaramente. Avviene da ciò che alcune
voci, che significano cose vili o laide, sono tuttavia tenute per nobilissime.
All 'opposito altre ve a'ba, che, nobili cose significando, in grave componimento
non sarebbero lodate. Della prima spezie sono in Italia l’espressione “lordo”;
“lezzo”; “tube”; “piaga”, ed altre, che nelle più nobili conversazione sogliono
essere usate. Dall'altro canto l’espressione “papa”, siccome osserva il lodato
cardinale Pallavicini , la quale nobilissimo personaggio rappresenta, non
sarebbe ricevuta in grave componimento poetico. In tre schiere vengono separate
dal Pallavicini le parole rispetto la maggiore o minore nobiltà loro. Nella
prima si collocano quelle, che dal conversatiore in nobile conversazione e
usata a significare un concetto grande ed il lustre. Vocaboli di questa specie
non si potran no senza affettazione adoperare in tenue argomento o in famigliare
discorso. Che se alcuno famigliarmente usasse l’espressione “pugna” in vece di “battaglia”;
“luci” in vece di “occhi”; “accento” o “nota” in vece di “parola”, certo è che
move rebbe a riso il compagno conversazionale. La seconda schiera è di quella
espressione, che vanno egualmente per le bocche degli uomini ragguardevoli e
del popolo, e che si possono senza biasimo usare in ogni occorrenza. La terza
poi è di quelle, che furono avvilite nella bocca della plebe, come e
l’espressione “pancia”; “budella”; “corala” e simili , le quali possono essere
opportune in una conversazione intesa ad avvilire alcuna cosa, come e la
mozione conversazionale ‘satirica’. Anche le espressione antiche, qualvolta
elle abbiano convenevole forma e non sieno passate ad altro significato [non
multiplicare sensi piu di la necessita], vagliono à nobilitare la
conversazione; ma si richiede somma cautela in co lui che a vila le richiama,
poichè, siccome ė detto di sopra, una espressione antiquata, ollrechè spesso
portano seco oscurità [cf. Grice, ‘avoid obscurity of expression, procrastinate
obfuscation], più spesso fanno l'orazione ricercata e deforme. E chi oggi p trebbe,
senza indurre a riso il compagno conversazionale, l’espressione “beninanza”;
“bellore”; “dolzore”; “piota”, “spingare” ed altre simili d’usare. Ora diremo
della metafora (“You are the cream in my coffee), la quale usata opportunamente
è lume e vaghezza della orazione. Prima è a sapere che gli uomini selvaggi per
essere scarsi di cognizioni mancarono dell’espressione, e che volendo eglino
significare alcuna cosa non ancora significata, fecero uso naturalmente di
quella espressione gia usata, la quale e stata inventate a contras-segnare *altra*
cosa somigliante in qualche parte all'idea novella (“You are LIKE the cream in
my coffee”). Occorrendo loro, per esempio, di significare alcun uomo crudele,
il chiamarono “tigre” per la somiglianza dell'indole di colal bestia con quella
dell'uomo crudele. Cosi dissero assetate le campagne asciulle, “volpe” 1'uomo
astuto (“sly as a fox” – he is a fox), “capo del monte” la cima, e “piè” del
monte la falda di quello. Per gli addotti esempi si vede questo trasporlamento (meta-bole,
transferenza, trans-latio) di una expression da un significato propio e vero ad
un significato impropio e falso (“You are the cream”) altro non essere che una
similitudine ristretta in una espressione (“You are like the cream –
simplifcata a “You are the cream”); impercioc chè la seguente similitudine
spiegata. La comparazione vera “Costui è crudele COME una tigre” si restringe (per
brevita) in questa forma metaforica falsa. “Costui è una tigre”. È dunque la
metafora una abbreviata similitudine [an elliptical simile], che si fa recando
una espressione dal significato proprio al signficato improprio: e perciò da
Aristotele è detta imposizione del nome d'altri. Siccome la metaſora fu da
principio usata per *necessità*, potrà parere ad alcuno che crescendo il numero
delle idee determinate e della espressione propria, la metafora divenga
pressochè inutile – o una figura di retorica --; ma non accade cosi: perocchè,
sebbene fra le conversatori civili e culle non sia tanto necessaria quanto fra
le selvagge e rozze, pure la metafora è e sarà sempre luce e vaghezza della
conversazione per virtù e forza di quelle sue qualità, che ora verrewo
particolarmente esponendo. La metafora presenta spesso all'animo più chiaramente
ogni sorta di concetti, poichè, veslendo di forma *sensibile* una idea non-sensibile,
o intelleltuale (nihil est in intellectu quod prior non fuerit in sensu), ce le
pone davanli agli cinque sensi. Voleva Alighieri significare che non è
meraviglia se per la le nuità della nostra fantasia non possiamo per venire ad
imaginare le cose, che Alighieri desiderava narrare del Cielo; e questo con una
metafora dicendo. E se le fantasie nostre son basse a tant'altezza non è
maraviglia. Per tal modo il concetto, che era tutto non-sensibile e intelettuale,
divenne sensibile e per conseguente più chiaro (cfr. Grice, ‘be perspicuous
[sic] – the imperative of conversational clarity] e più popolare. E se taluno
volendo dire che gli uomini bugiardi saono talvolta infingersi e comporre gli
atti e le parole a modo di parer verilieri, dicesse che la menzogna prende talvolta
il manto della verità, non significherebbe egli il suo concetto assai
vivamente. (He said that she was the cream in her coffee, By uttering ‘You’re
the cream in my coffee” U signs – explicitly – THAT the addressee is the cream
in the utterer’s coffee. Fra tutte le metafore poi e più efficace quella
metafora che si cava da una qualità sensibile, corporea, materiale, che si
mostra a le cinque sensi, e forse la ragione si è questa. Alla reminiscenza
della qualità di un corpo, la quale ci vengono all'animo per i cinque sensi,
più tenacemente si associano le idee, che di essi ci vengono per gli altri
sentimenti; quindi è che ogni qualvolta ci riduciamo a memoria una della
qualità sensibile (in questo caso visibile) del reale (un oggetto) quasi tutte
le altre appartenenti a quello pur si risvegliano , e vivamente ed intero lo ci
pongono dinanzi agli “occhi” dell'intelletto. Laonde se belle sono le metafore
– parola dolce. che si cá vano dalla qualità, da cui sono affetto: l'odorato
(secondo senso dell’odore), il tatto (terzo senso del tatto), l'udito (quarto
senso dell’audizione) e il gustato (quinto senso del gusto), come queste: odore
di santità – odore santo, durezza di cuore – duro cuore, ruggir di venti, vento
ruggente -- dolcezza di parole; parola dolce -- più bella, per che più viva si
presenta all'animo, entrando quasi per gli cinque organi de’cinqe sensi, sono
le seguenti. Splende la gloriu (visum). Folgoreggiano gli scudi; ridono i prali
(udito); si rasserena la fronte ; l’anima è oscurata per tristezza. Piacquero
ad Aristotele sommamente quella metafora, che ci rappresenta (re-praesentatum,
rappresentato) la cosa in mozzo, e principalmente quando la metafora
attribuisce a una in-animato una operazione di un animato.Tali sono queste di
Omero. Le saette di volar desiose; inorridisce il mare. Anche Virgilio,
parlando di una satta entrata nel petto di una vergine, disse. Harsit
virgineumque alle bibit hasta cruorem. Si dalla metafora ci pone la cosa
vivamente quasi innanzi agli organi dei cinque sensi, e per la “novità” o vita
(no morte) loro ci fanno maravigliare. La metafora, siccome dice Aristotele,
partorisce dottrina, facendo conoscere fra le idee alcuna attenenza dianzi non
osservata. Quale attenenza scorgesi tosto fra un manto e la no billà della
prosapia? Certamente nessuna: pure veggasi come Alighieri ce la fa scorgere. Opoca
nostra nobiltà di sangue, ben tu se'manto, che tosto raccorce, sì che se non
s'appon di die in die lo tempo ya d'intorno co' la for Coine un bello e ricco
manto adorna la persona di colui che sen veste, così adorna l'animo d' alcuni
uomini quell'onore che ricevono pei pregi degli avi loro, e che chiamasi
nobillà: ma, se per virtù novella non si rinfranca, ei viene di giorno in
giorno scemando. Questi pensieri il divino poeta ci reca alla mente colla nuova
similitudine, e ci dilella e ci illumina. Vale eziandio la metafora a muovere
con maggior forza l’affeto, perciocchè, laddove alcuna volta parole proprie
astretti a recare alla mente di nostro compagno conversazionale le idee una
dopo l'altra, la metafora, rappre sentandole tutte ad un tempo, assale l’animo
con veemenza. Basti un solo esempio del Petrarca, il quale rivolto alla morte
così le dice: con saremmo me dove lasci sconsolato e cieco, poscia che il dolce
ed amoroso e piano lume degli occhi miei non è più meco? Quali e quanli
pensieri si destano nella mente all’espessione “cieco” e la frase/espressione
frasale “lume degli ocehi miei”! Ma circa l'uso della metaſora nell’aſſetto si
vuole por menle che ella non mostra il
lavoro e la fatica dell’intelletto, perocchè non è verisimile che colui, che ha
l'animo perturbato, si perda a far cerca d'ingegnosi concetti e figure
retoriche. È ancora pregio della metafora di coprire con velo di modestia e di
gentilezza il segnato, che espressa con un termino proprio (e non un termino
figura como e la metafora) sarebbero odioso o turpo. Ecco un bell’esempio del
Passavanti. La innata concupiscenza , che nella s vecchia carne e nell'ossa
aride era addor meniata , si cominciò a svegliare : la favilla, quasi spenta si
raccese in fiamma ; e le frigide membra, che come morte si giacevano in prima,
si risentirono con oltraggioso orgoglio. E Virgilio disse. O luce magis dilecta
sorori, Sola ne perpetua moerens curpere juventa? Nec dulces natos, Veneris nec
praemia noris? Questo e i principale vantaggio della metaſora, onde sovente
viene preferita al termino proprio. Diremo ora dei vizii che talvolta elle
possono avere. Se bella e la metafora che fa scorgere una maniſesta somiglianza
tra due segnati (‘you’ ‘the cream in my coffee’), da che si toglie il vocabolo
e l'altra, a cui si reca, chiaro è che deformi saravno quelle, che tengono ji
paragone di rose o polla e poco somiglianti, e che sono male acconcie al pro
posto dne (“a woman without a man is a fish without a bycicle”). Nessuna
somiglianza si vede fra le cose paragonale nella seguente metafora del Marini,
Folendo egli lodare un maestro, che formara bellissimi esempi da scrivere,
esalta la penna di lui, dicendo ch'ella deve essere divina: Perchè una penna
sela, Benchè s'alzi per sè pronto e sicura, Se divina non è tanto non rola. E
qual somiglianza è mai tra il relare e lo scrivere? E tolta da peca somiglianza
quella metafora che volendo segnare una cosa piccola prende da una cosa grande
l'imagine, e al contrario. Mariai assomiglia le lacrime della sua douna
a'lesori dell'Oriente, e Tertulliano il diluvio universale al bucato. Erro
similmente colui che disse a suo amante. Son gli occhi resiri archiòugiati a
ruote, Ele ciglia inarcale archi turcheschi. È bellissina la metafora che
Poliziano tolse al Boccaccio. E le biade ondeggiar come fa il mare. Sarebbe
difettosa quest’altra. E tremolare il mar come le biade. Viziose come le
sopraddeile erano la più parte delle metafore usate dagli scrittori del secolo
XVII, e soprattutto dai poeti, i quali sriscerarano i monti per estrarne i
metalli, face vano sudare i fuochi, ed avvelenavano l'obolio colp inchiostro.
Parmi inutile cosa l'estendermi in questa materia, essendochè il nostro secolo,
sebbene incorra in altri vizii, di così falle baie si mostra nemico. Della
metafora e l’analogia che e alquanto dura, ė da sapere che puo essere
mollificata per certa maniera di dire, quali sarebbero: quasi – per dir cosi e
che alcune ve nha, che sono state ammollite dall'uso, come la se. guente:
Fabbro del bel parlare. Ė da biasimare ancora la metafora , che la sorvenire il
nostro compagno conversazionale di qualche bruttura, o di cosa rile, o che disconvenga
alla gravità della trattata materia o topico. Perciò meritamente Casa
rimprovera Dante per essere talvolta caduto in questo difeilo , siccome quando
disse. L'allo fato di Dio sarebbe rotto se Lete si passasse, e lal vivanda fosse
gustala senza alcuno scollo di pentinento. E altrove. E vedervi, se avessi
avuto di tal tigna brama, colui poteri ec. Questa e una imagine plebea e
sconvenienti alla gravità del subbietto. Cosi merita biasimo Pallavicini,
comechè sia maestro sommo nel l'arte dello stile conversazionale, quando disse,
che il cardinal Bentivoglio aveca saputo illustrar la porpora coll' inchiostro,
e quando per accennare la qualità, ond'è costituita l'eleganza della elocuzione,
disse: saputi distintamente quali ingredienti compongono quesla salsa, cioè
l'eleganza; i quali modi sono da biasimare, essendochè nel primo esempio li
vedi dinanzi agli occhi la porpora brullala d'inchiostro, e nell’altro t’infastidisce
l'abbietta voce che sa di cucina. Similmente non paiono degni di lode coloro,
che sogliono usare per vezzo della conversazione un idiotismo, e segnatamente
quello, che ha origine da certa anticha costumanze dimenticata oggidi. Non
merita lode Davanzali quando volendo dire: o nulla o lullo: disse: o asso o
sette. Questo proverbio, oltre chè si è di vilissima condizione, è tolto da un
giuoco, che potrebbe essere sconosciuto a molli. E proverbio, del quale non si
sa l'origine, il seguente; e perciò freddo od oscuro: Maria per Ravenna, invece
di cercar la cosa dove ella non e. Bastino questi pochi pro verbi per
moltissimi , che qui si po ebbero recare, e de' quali vanno in traccia alcuni
mal accorti conversatori, onde parere versali nella lingua antica. Aucora è biasimevole
alcune volte la metaſora , che si deriva dalle materie filosofiche ;
imperciocchè, se il fine, pel quale il conversatore usa di quella, si è di
rendere più chiaro e più vivo i concetto, questo non si potrà ottenere traendo
la similitudine da cose poco nole o malagevoli ad intendere, come a la
metafisica, che spesso, ond'essere chiarita, hanno bisogno delle similitudini
tolle dalle cose materiali; ma di rado somministrano imagini, che vagliano a
cercar recar luce alle prose ed alle poesie. Pure in questi tempi sono alcuni
conversatori, i quali hanno per vezzo l'usare siffatta metafora, avvisando d'illustrarne
la sua mozzione conversazionale, e di mo strarsi intendente e sottile; ma va
grandemente errato, perciocchè non solamente appor tano ombra ed oscurità (‘avoid
obscurity of expression, be clear) alla sentenza, ma danno segno di
affettazione che è vizio sopra tutti spiacevole. si è dello di sopra che la
metafora diletta, non solamenle perchè ci pone dinanzi agli oc ebi in forma
quasi sensibile un pensiero astratto, ma ancora perchè ci porge ammaestramento
col farci apprendere fra le idee alcuna attenenze prima non osservata; dal che
si deduce che il conversatore, i quali vogliono recar maraviglia, de guardarsi
dall' usare una metafora troppo comunale, come quelle, che, a somiglianza della
monete passata per molle mani, sono rimase senza vaghezza. Non ogni metafora
poi, comechè sia ben derivata, potrà convenire ad ogni conversazione. Poichè
tra le metafore ve n'ha delle più o meno illustri, converrà avvertire che il
grado della nobiltà loro non disconvenga alla qualità del componimenlo.
Similmente nel formare la metafora si vuole avere riguardo al pensare della gente
nella cui lingua si conversa. La diversità de'luoghi e de' climi fa che gli
uomini abbiano diversi i costumi e le usanze , e perciò diverse ancora le idee
e le significazioni di esse. Impercioc chè, traendo ciascuna gente le
similitudini dalle cose, che più spesso le sono dinanzi agli occhi , incontra che
alcun popolo deriva una metafora da una cosa campestre, lal altro da una cosa marittima,
tal altro dal combinercio o dalle arti, secondo suo silo e costume. Il rigore o
la benignità del clima poi è spesso cagione che l'umana imaginativa sia più
vivace in un luogo e meno altrove; e quindi è che una metafora naturalissime
nel Trastevere appaia ardila e strana nel Tevere. Anche l’essere le geoli più o
meno civili cambia la natura della metafora; perciocchè dove sono leggi meno
buone, ivi è più ignoranza del vero; e dove è più ignoranza del vero è più
amore del verisimil ; il che torna il medesimo, ove è minor virtù intelleltiva,
ivi abbonda la forza della fantasia. Cadono perciò in gravissimo errore coloro,
che, imilando il volgarizzamento di Ossian falio da Cesarolli, sperano di
venire in fama di sommi poeli toglieodo sempre la metafora da'venti e dalle
tempeste, dai torrenti, dalle nebbie e dalle nuvole. Paiono a costoro
inaravigliose squisitezze e delizie i seguenti, e simili modi: sparger lagrime di
bellà - i figli dell'acaciaro il tempestoso figlio della guerra siede sul
brando distruzione di eroi dar. deggiano gli sguardi rotola la morle - urlano i
torrenti. Cotale metaſora, che per avventura e naturale a'popoli selvaggi, sono
in Italia ridevoli e sciocche fantasie. Alla diversa indole delle genti debbe
anche por mente chi dall' una lingua all'allra trasporla i versi e le prose, se
non vuole produrre nell'animo di nostro compagno conversazionale effetto
contrario a quello che l'autore straniero o forastiero o del Trastevere
produsse in coloro, ai quali volse le sue parole. Affiuché si vegga
manifestamente che non lutte lete. metafore convengono a tulti i popoli,
recherò qui alcuni esempi che a questo proposito Tagliazucchi toglie dalla
lingua latina. Bella metafora si è questa presso Virgilio: classique im millit
habenas; deformità sarebbe tradu re in italiano: melte le briglie alla flolla.
Così per segnare il pane corrotto dall'acqua dice lo stesso poeta. Cererem
corruptam undis; mal si tradurrebbe: Cerere corrolla dall'onde. Orazio disse.
lene caput aquae sacrae; e si tradurrebbe malissimo in italiano: il dolce capo
dell'acqua sacra. Per segnare il liero sdegno d'Achille dice: gravem sioma chum
Pelidae; e malissimo si tradurrebbe: il grave stomaco del Pelide. Moltssime
altre metaſore potrei qui recare, che sono proprie solamente della lingua
latina; ma chi ha cognizione della lingua latina conoscerà di per sè la verità
di quello che io dico, ed argomenterà quanto debbono differire nella metafora
la lingua italiana e quelle de'popoli da noi disgiunli e per costume e per
clima, se tanto differiscono l'italiana e latina con islrelto vincolo di
parentela congiunte. Una regola o massima o omperativo da osservarsi nell'uso
della metafora si è di non aminassarle nella conversazione, ma collocarvele
parcamente e di guisa, che paiano, come dice Cicerone, esserci venule
volonterosamente, e non per forza nė per invadere il luogo altrui. È da
avvertire in secondo luogo, che la metafora o non si dee congiungere con altra
metafora o con voci proprie di maniera, che fra queste e quella si scorga opposizione
maniſesta. Se per esempio avrai detto che Scipione è un fulmine di guerra, non
dirai tosto che egli trioníò in Campidoglio. Se paragonerai eloquenza ad un
torrente, non le attribuirai poco appresso la qualità del fuoco, ma avrai cura
che la metafora sia sempre collegata (e no mista) colle idee prossime di guise,
che nostro compagno conversazionale non trovi mai contrarietà ne' tuo concetto.
In questo difetto caddero anche alcuni autori eccellenti, come Petrarca nel
Sonetto XXXII, dove, cominciando dal dire metaforicamente, ch' egli ordisce una
tela, prosegue: ſ ' farò forse un mio lavor si doppio fra lo stil de'moderni e
il sermon prisco, Che (paventosamente a dirlo ardisco) Infino a Roma ne udirai
lo scoppio. Ma non così egli fece nel Sonetto che comincia Passa la nave mia
colma d'obblio, chè in esso avendo preso ad assomigliare gli amorosi affanni
suoi alla nave, da questa imagine non si diparte sino alla fine. Non intendo io
però di affermare coll’esempio di questa allegoria, che in breve discorso non
possano star bene insieme più metafore di natura diversa; ma di avveitire che
assai disconviene il trapassare da una similitudine ad un'altra
inconsideratamente e quasi per salto. Giova moltissimo talvolta a render chiare
e naturali quella metafora, che per se medesime sarebbero ardite e spiacenti,
il preparare per convenevole modo l'animo di nostro compagno conversazionale. Se
taluno volendo dire che gli uomini per mal esempio altrui caggiono in errore,
dicesse caggiono nella “fossa” della falsa opinione, use rebbe certamente
ardita e spiacevole metafora: nulladimeno ella diviene bellissima, qualvolta
per le cose antecedenti ne siamo disposti. Va. glia l'esempio di Alighieri.
Dopo aver ricordata la nota sentenza se il cieco al cieco sarà guida cadranno
ambedue nella fossa prosegue: i ciechi soprannominati, che sono quasi infiniti,
con la mano in sula spalla a questi mentitori sono caduti nella fossa della
falsa opinione. Cosi l’ardita metafora divenla parte di una vaghissima
dipintura, che viene quasi per gli occhi alla mente, ed ivi s'imprime e
lungamente rimane. Sono certi scrittori, i quali riducono le idee astratte a
termini più astratti (obscurus per obscurius) di quello che si converrebbe
cercand a tulto potere di al lontanarle da' sensi: indi a questi loro soltilis
simi concelti uniscono molte metafore repugnanti fra loro, il che fa che la
mente di nostro compagno conversazionale tra questi estremi e tra questi
contrari confusa nulla comprenda, come si può di leggeri conoscere nel seguente
esempio tolto da un libro moderno: A giudizio dei savi scorgesi palesement ,
che nelle vedute su blimi della gran madre anche l'emulazione, principio
avvedutamente inserito nella costituzione dell'uom , ' concorrer deve a
scuotere ed a sferzare l'industria , on de riguardo allo sviluppamento di
questa Costa. Vol. Un. 3 50 ec . ( 1 ) Oh quanta confusione ed oscurità in
tanta pompa di parole! Pare che il conversatore volesse dire, che i savi
conobbero che la natura ha posto nel cuore dell' uomo il desiderio d'emulare
gli altri; e che da questo procede l'industri ; ma accoppiando i vocaboli
principio e costituzione, che sono segni d'idee molto astratte, colla
melaforica voce “inserire” ha composto un enigma; perciocchè nessuno polrà
imaginare chiaramente siffallo innesto. Più strana poi diviene la metafor , quando
l'astratto segnato dalla espressione “principio” si fa a scuolere ed a sferzare
l'ind stria falla inopportunamente persona per trasformarsi losto in altra cosa,
che si sviluppa a guisa di una malassa. In questa forma la metafora, che e
vaghezza e luce della favella, diviene tenebre alla mente e vano suono (flatus
vocis) agli orecchi. Conciossiache L’INTENZIONE del conversatore non sia
solamente di render chiaro il concetto, ma di farlo talvolta dilettevole e
maraviglioso, interviene che alcuni, per recare altrui dilelto e maraviglia, si
fango a derivare dalla metafora certe loro conseguenze, come se in quella non
già una simililudine si contenessa, ma come se la cosa a cui si reca il nome
novello, veramente si trasformasse nella cosa, donde esso nome si toglie. Di
questa specie di concetti si presero diletto i prosatori ed i poeti del secolo
decimo settimo, forse per desiderio di avanzare gli scrittori delle altre elà,
ed in fastidirono tutti i sani intellelli . Basti di ques 1 ( 1 ) Atti dell'
Costitulo pazionale. era sti vizi un solo esempio. Ugone Grozio, per mostrare
che non a dolere la morte di Giovanna d'Arco, dopo aver lodate nel principio di
un epigramma le virtù di lei , sog giunse: Necfas est de morte queri, namque
ignea tota aut numquam, aut solo debuit igne mori. Con l’espressione “fuoco”, imposta
a cagione di similitudine, viene il conversatore a trasformare la misera vergine
in vero fuoco materiale; e quindi trae la strana conseguenza, che ella mai non
dovesse morire, o morire nel fuoco. Similmente si è frivolo modo e sciocco il
derivare la metafora dalla somiglianza ed uguaglianza de'noni imposti a cose
diverse, ALLUDENDO all' una di esse mentre si fa mostra di ſavellare
dell'allra. In questo difetto incorse anche il primo de'nostri poeti lirici
quando, piangendo la sua donna, parla del lauro, ed allude freddamente al nome
di lei, come nella canzone, che comincia, Alla dolce ombra delle belle fronde
ed in molti altri luoghi si può vedere. Essendosi fin qui parlato de' pregi e
de'vizi delle metafore, cadrebbe in acconcio il ragionare degli altri traslati
di parole e di concetto e della figura: ma , perciocchè queste cose sono state
definite e largamente dichiarate da tutti i retlorici, stimo che qui basti il
ricordare che siffatte maniera di favellare non e bella, se non in quanto
vengono dal conversatore opportunamente adoperate. Per lo stesso fine, che la
metafora si propone, cioè di rendere più vivo il concetto, melte bene talvolta
il trasportare l’espressione a un segnato improprio o nominando invece del
tutto la parte (metonimia), o invece della cosa la materia, ond'ella è
composta, o il genere per la specie o il plurale pel singolare (majestic plural
– We are not amused), e viceversa. Si può cadere in difetto usando questo
traslato, che fu chiamato “sinedoche”, ogni qualvolla l'imagine della cosa, da
cui si prende l’espressione, non sia bene associata alle idee, che si vo gliono
svegliare in altrui, non sia atta a fare impressione nell'animo più che le
altre ide , che vanno in sua compagnia. Vaglia a dichiarazione di ciò un solo
esempio. Si dirà con maggior efficacia: fuggono per ſalto mare le vele , di
quello ch : fuggono per l'alto mare le prore; poichè l’imagine delle vele
gonfiate dal vento, come quella, che maggiormente percuote la vista di colui,
che mira la nave in alto, più strettamente d'ogni altra idea si associa
all'idea del fuggire: in altro caso però tornerà meglio chiamar la nave o poppa
o carena, cioè quando l'azione, che essa fa, o la passione, che riceve, meno
con venga alla vela che alle altre parti. Veggasi come ne ua Virgilio: vela
dabant laeti. Submersas obrue puppes si nomida ancora talvolla la causa per
l’effetto , o questo per quella: il contenente pel contenuto: il possessore per
la cosa posseduta: la virtù ed il vizio invece dell'uomo virtuoso e del vizioso:
il segno per il segnato ed il contrario; e questa figura, che dicesi “metonimia”,
giova per le delle ragioni, essa pure adoperala opportunamente, a dare evidenza
alla elocuzione. Ma di questi traslati e di quelli di concetto, che consistono
in sentenze da intendersi a contra-senso (ironia), tanto se ne parla, come già
dissi, in tutte le scuole, che qui, facendo la definizione dell'”allegoria”,
dell'”ironia” e di altri simili traslali, avvertirò solamente che questi
saranno diſellosi se verranno a collocarsi nella conversazione senza essere
mossi dagli affetti. Anche rispetto a quelle forme, che sovente adoperiamo per
rendere più efficaci i pensieri, e che si chiama con ispecial nome figura,
ricorderò che alcune ve n'ha, come l’ “interrogazione” e l’ “apostrophe”, che
nascono dall'affetto, ed alcune altre dall'ingegno, come l'”antitesi”
(contrapposizione) e la distribuzione; e che perciò vuolsi avvertire di non far
uso di queste seconde ne'luoghi, ove si possa credere che colui, che favella,
abbia l'animo perturbato. Ma nessuno avvertimento, per ' vero dire, è giovevole
a chi non sente nell'animo la forza degli affetti. Il più delle figure, come
detto è di sopra, muovono dalla passione, e, se dall'ingegno vengo. no cercal ,
riescono fredde e di nessuna virtù: perciò è che male s'imparano da' rettorici.
Con più figure favella la rivendugliola, secondo il detto di un illustre
scrittore, contrattando sua merce, che il retſorico in suo studiato serino ne: tanto
egli è vero che procedono più dalla natura che dall'arte. Questo vogliamo che
ci basli aver dello così alla grossa delle figure. Dappoichè abbiamo detto in
che consista la proprietà dell’espressione e della metafore, e come queste e
quelle si debbano collegare per rendere chiaro ed accelto la mozzione
conversazionale a nostro compagno conversazionale, e fatto alcun cenno de'
traslati e delle figure, vérreio a dire, seguitando le dottrine del Palavicini,
degli elementi, onde è costituita la “eleganza” (cf. Grice, ‘aesthetic
maxims’), senza della quale ogni altro ornamento quasi vano riuscirebbe. L’espressione
“eleganza”deriva dal verbo “eligere” ed è usata a segnare quella certa tersezza
e gentilezza, per la quale una mozzione conversazionale non solamente viene ad
essere scevro da ogni errore, ma in ogni sua parte ornato di qualità che da
tutto ciò che ha del plebeo si allontana. Diciamo delle parti, delle quali ella
si compone, che sono quattro. La prima e la brevità (Grice, ‘be brief – avoid
unnecessary prolixity [sic].” La seconda e l'osservanza delle regole
morfosintattiche. Terzo, la civilita o l'urbanità. Quarta, la varietà
(non-detachability). Sebbene la chiarezza (conversational clarity, be
perspicuous [sic]) spesso si ottenga col l'ampio e largo mozzione conversazionale,
pure talvolta colla brevità si rende il pensiero più lucido e più penetranti
(Brevity is the soul of wit). Le parole, dice Seneca, vogliono essere sparse a
guisa della semenza, la quale comechè sia poca, molto fruttifica. La sovrabbondanza
(over-informativeness) delle parole all'incontro empie le orecchie di vano
suono (flatus vocis) e lascia vuote le menti. Perciò è da guardare non solo che
nostro compagno conversazionale non sia distratto da una vana proposizione
subaltern (premessa minore), ma che non sieno affetti più da un segno che
dall’idea segnata. Saranno perciò utili a togliere questo inconveniente ed
acconce a rendere elegante l'elocuzione quella espressione, che somigliante
alla moneta d'oro equivale al valore di più altre, come le seguenti: disamare,
disvolere, rileggere, ed altre molte, e con queste i diminutivi, gli accrescitivi,
i vezzeggiativi, i peggiorativi, de' quali abbonda la nostra lingua. Vi sono
ancora molti modi, che abbreviano la mozzione conversazione, e questi consistono
nel tralasciare o il verbo o il pronome o la particella o l’affissi, che
racchiusi nella diretta favella puo essere SOTTINTESO. (Implicatura). Basta qui
recarne alcuni ad esempio. Se io grido ho di che dammi bere quo ha di belle
cose onde fosti & cui figliuolo andovui il cielo imbianca - vergognando
tacque a baldanza del signore il baltè иот da faccende non se da ciò vedi cui
do mangiare il mio, ed altri moltissimi somiglianti modi, coi quali si ottiene
questa importantissima parle della eleganza, onde rice. ve nerbo l'orazione,
Avend’io delto che la brevità costituisce gran parte della eleganza, non intesi
di affermare che agli scrillori non sia lecito di esporre le cose
particolarizzando; chè questa anzi è l'arte colla quale si produce l'evidenza;
ma volli avvertire chi brama dilettare altrui colle proprie scritture, di ben
ponderare quali sieno le particolarità, che hanno virtù di far luminoso il
concetto, e di tralasciar quelle, che l'offuscano e pongono l’altrui mente in
falica. Secondo, dobbiamo eziandio osservare la regola morfosintattica, cioè
quelle leggi che la volontà de’ primi favellalori e l'uso di coloro, che
vennero dopo, banno imposto alla lingua italiana. Comechè il trascurarle non
induca sempre oscurità (avoid obscurity of expression) pure importa moltissimo
che sieno osservata, poichè ogni elocuzione irregolare apparisce plebea (un
solecismo). E perciò grande si è la stoltezza di coloro, che vando cercando
negli autori antichi i costrutti contro grammatica, e quelli come pellegrine
eleganze pongono nelle scritture: dal che ottengono effetto contrario al buon
desiderio: per ciocchè o portano oscurità nella sentenza, o in fastidiscono i
lettori facendo ridere gli uomini di lettere, non ignari che quelle strane
forme sono la più parte errori, o di amanuensi o di stampatori o di autori
plebei, de'quali non fu piccol numero anche nel bel secolo dell'oro (errata). Terzo,
siccome sono molli' vocaboli, secondo che è dello, i quali usati già da ' buoni
scrittori han no acquistata certa nobiltà e fanno nobile il conversare, così
pure sono molli modi, i quali, avendo in sè certa gentilezza, il fanno elegante,
e non essendo propri degli stranieri, gli danno quel paliyo colore, e direi
quasi fisonomia , per cui ciascuna favella da ogni allra si distingue. In che
precisamente sia riposta que sta vaghezza, che si chiama civilita o “urbanità”,
si è difficile dichiarare; e perciò assal meglio che con parole, si può
mostrare cogli esempi. Porrò qui dunque alcuni modi volgari, ed al fianco di
essi i moderni urbani o civile. Ciò che loro venisse in grado. A chicsa non
usava giammai. Seppegli reo. Ciò che loro piacesse. Non era solita di andare in
chiesa. Gli parve cosa calli va. Fece rivivere. Il prese per marito. “Era il
giorno in cui” -- Egli domandò al servo certa cosa. Ben io mi ricordo. A vila
recò. Il prese a marito. “Era il giorno che” – “Egli domandò il servo di certa
cosa” -- Ben mi ricorda, o ben mi torna a mente. Vicino di quell'isola.
Non-Upper: Viveva a modo di bestia. “Vicino a quell'isola” Upper: “Viveva come
una bestia” Moltissime sono le forme somiglianti a que ste, le quali, sebbene
non vadano per la bocca de ' comunali scrittori, pure sono chiare e naturali ,
e per cerla loro indicibile gentilezza recano diletto. Vogliono però essere
parcamenle adoperate, perocchè in troppa copia ſarebbero il discorso ricercato;
e questo difetto dobbia mo schivare anche a pericolo di parere negligenti . La
negligenza è mancanza di virtù (salvo quando e falsa – nulla piu difficile che
falsare la negligenza), che rende meno lodevole il discorso, ma non meno
credibile: e l'affettazione è deforme vizio, che al dicitore toglie autorità e
fede. Modo più sconcio si è quello di coloro, i quali, per vaghezza di parere
eleganti ed SUO esperti della PATRIA LINGUA – LINGUA PATRIA -- patria lingua,
compongono prose con parole e modi fuor d'uso, e costruzioni contorte alla
boccaccesca; e della stessa guisa fanno versi oscuri e senza grazia e senza per
bo, e si argomentano poi di avere imitato Aligheri o Petrarca. Ma che altro per
verità fanno costoro, se non se muovere a sdegno i buoni ingegni, e dare
occasione al volgo di ridersi di quei pochi, che studiano a’libri antichi?
Un'altra generazione di scrillori (e questa è dei più ), alzato il segno
dell'anarchia, gridando che l’USO è l'ARBITRO della lingua (Wittgenstein), si
fa beffe di ogni gentilezza e di ogni proprietà: guida per entro l'idioma
nativo parole e forme forestiere, e il guasta sì, che non gli lascia di se non
la sola terminazione delle voci. Cosi due sette di contraria opinione
vorrebbero partire la repubblica letteraria. L'una tiinida e superstiziosa restringe
la lingua a que' termini, in cui stette nel trecento: l'altra licenziosa ed
arrogante vuole che ogni ar gine si rompa sì, che le purissime fonti del civil
conversare si facciano torbide e limacciose. Affinchè appaia manifesto il torlo
di questi se diziosi, dirò che cosa sia lingua ; e dalla sua definizione trarrò
alcune conseguenze. La serie de' segni e dei modi vocali instituiti a rappre
sentare ogni generazione di pensieri, o, per meglio dire, ad esprimerc tulle
quante le idee, ond’è formata la scienza di una patria, è ciò che dicesi lingua
(come l’italiano dal latino, o il pidgin e il creole che e il francese). Da
questa definizione si deduce che nè una sola città nè un'età sola può essere
autrice e signora della lingua italiana – Roma e la citta della lingua romana;
ma che è forza che alla formazione di questa abbia avuto parte la nazione
intera, cioè tutti gli uomini congiunti di luogo e di costumi, che hanno idee
proprie da manifestare; e che a scernere il fiore dalla crusca abbiano dato e
diano opera gl'illustri scrittori . E così avvenne di vero nella formazione e
nell'incremento di questo, che Alighieri chiamò, ironicamente, il volgare
d'Italia, poichè, come dice il Bembo, e un siciliano e un Pugliese e un Toscano
e e un Marchegiano e un romagnolo e un lombardo e un veneto vi posero mano.
Tutte le parole dunque per tal guisa formate, che vagliono ad esprimere con
chiarezza i pensieri, potranno essere con lode usate, sieno elle an tiche o
moderne; chè le moderne ancora deb bono essere benignamente accolle, quando sie
no necessarie a segnare una idea novella. Quella facoltà, che fu conceduta agli
antichi, non si può togliere ai presenti uomini; perciocchè, se non si possono
prescrivere limiti all'umano sapere, nè meno alla quantità dei segni delle idee
si potrà prescrivere (quark, querk). Per la qual cosa ſu e sarà sempre lecito
a' sapienti, qualvolla la necessità il richiegga, l'inventare una nuova
espressione (“Deutero-Esperanto”) e un nuovo modo. Questa risposta è alla selta
dei superstiziosi. Ora ai libertini (Bennett – meaning-liberalismo –
libertinismo semiotico – Locke – liberty) brevemente diremo che la lingua
italica non è la lingua del volgo, ma, come è delto, si è quella, che gli
illustri scrittori di ogni secolo hanno ricevuta per buona, e che perciò quando
si dice che appo l'uso è la signoria, la ragione e la regola del parlare, non
si vuol dire l'uso del volgo, ma de' buoni scrittori. I più antichi die dero
vita e forma alla lingua romana, ed i posleri loro la arricchirono e la
potranno arricchire, non senza grande biasimo potranno toglierle l’essere suo.
Siccome ad ogni mazione è spe ma ciale la fisonomia e certa foggia di vestire,
cosi e speciale al idio-letto le voci ed i modi propri e figurati, i quali
hanno attenenza co'diversi costumi delle diverse genti; e perciò coloro, i
quali vogliono introdurre licenziosamente nell'idioma nativo espressione e modi
forestieri – implicate, non impiegato -- operano “contro ragione”, e, mentre ambiscono di essere tenuti uomini liberi
e filosofi, fanno mostra d'obbrobriosa ignoranza. Non si lascino dunque
sopraffare i gio vanelli da quei beffardi filosofastri, che con trassegnano per
derisione col nome di purista chi studia scrivere italianamente ; ma alla co
storo petulanza coll'autorità di Cicerone ri spondano arditamente che colui ,
il quale la patria favella vilipende e deforma, non solo non è oratore, non è
poela , ma non è uomo (Cic. de orat. I. 3.). Quarta e ultima, se le parole
fossero sempre composte ugualmente, non sarebbero graziose a chi ascolla o
legge; e perciò un altro elemento della eleganza si è la variet . Il discorso
può ricevere varietà da sei luogh , che ad uno ad uno ver remo a dichiarare
brevemente, seguitando Pallavicini. Accade tante volte di dover nominare replicatamente
la cosa medesima, e ciò produce noia agli orecchi, i quali sopra tutti i sentimenti
del corpo sono vaghi di varietà; onde per isfuggire la ripetizione delle voci
sono molto giovevole il sinonimo, quando la piccola differenza, che è in essi,
non tolga al discorso laproprietà necessaria ; per non peccare contro la quale
sarà mestieri aver considerazione, co me allrove si è detto, al vero
intendimento de vocaboli. Se, a cagion d'esempio, dovendo si cambiare
l’espressione “fanciullo”, si prendesse l’espressione “infante”, si osserverà
che questa, venendo dal verbo fari, segna non parlante, e che perciò non può strettamente
essere sempre sostituita a quella di “fanciullo”. Il secondo dai sei luogo
della varietà sta nel ra presentare una cosa pe' suoi effetti congiunti, come,
a cagion d'esempio, se poeticamente dicessimo; il sole velava i pesci, per dire
era il fine dell'inverno: al germogliare delle piante, per dire al tornare
della primavera. Con somma grazia e novità Aligheri rappresentò la sera pe'
suoi effetti dicendo: Era già l'ora, che volge il desio a' naviganti, e
inlenerisce il core lo di, che han detto a' dolci amici addio; E che lo nuovo
peregrin d'amore punge, se ode squilla di lontano, Che par il giorno pianger,
che si muore. Questo fonte di varietà è abbondantissimo, e possiamo vederne un
esempio in Bernardo Tasso, che in cento modi segna il sorgere del giorno. Nel
rappresentare le cose pe' suoi effetti porrai cura che questi non destino al
cun pensiero sordido od abbietlo, e che nel le scritture famigliari la
congiunzione loro coll'oggetto sia mollo nola, sicchè non paia puplo ricercata.
Il terzo luogo dai sei modi sono le definizioni o epiteto o apposizione delle
cose, o sia le brevi descrizioni loro, le quali si possono prendere invece
delle cose stesse , o que ste indicare per alcuna loro speciale proprietà; come
chi per nominare Giove dicesse il padre degli uomini e degli Dei, o per dire la
fortuna, Colei, che a suo senno gi infimi innalza ed i sovrani deprime. Il
quarto luogo dai sei modo si è l'uso promiscuo del signato attivo, medio, o
passivo da un verbio Potrai dire : Raffaele colori questa tavola , ovvero, da
Raffaele fu colorita questa tavola; e secon do che chiederà il bisogno, userai o
questo o quello segno. Il quinto luogo dai sei luoghi è la qualita (categoria
d’Aristotelel'uso negativo (o infinito – privazione) invece dell’affirmativo o
positivo; come chi sosliluisse alla proposizione positiva o affirmative
seguente, ma con signato negativo: Il sole si oscurò, quest' altra proposizione
splicitamente negative, per mezzo dell’adverbo di negazione, “non”: Il sole non
isplendette”. Il sesto luogo dai se luoghi e la metafora (you’re the cream in
my coffee), per la quale si può maravigliosamente variare il discorso, ora volgendo
in “senso” (segnato, strettamente) metaforico – Sensi non sunt multiplicanda
praeter necessitatem – uso metaforico -- un concetto allre volle espresso con
termini propri: ora usando una metafora tolta o dal genere o dalla specie o da
cose animate o da cose inanimate: ora quelle, che si presentano ai sensi : ora
le altre, che si riferiscono agli altri sentimenti del corpo. Ornamento, dal
quale l'elocuzione riceve molta gravità, e la sentenza. La sentenza o dogma o
assioma o principio o adagio o gnomico o proverbo (“Methinks the lady doth
protest too much” what the eye no longer sees the heart no longer grieves for”)
si è verità morale ed universale, segnata con la brevità, che all'intelletto
sia lieve il comprenderla ed il ritenerla. Tali sono le seguenti. Ipsa quidem
virlus sibimet pulcherri. ma ncrces. Quidquid erit, superanda omnis for tuna
ferendo est. La mala ineple non ha mai allegrezza di pace. Proprio de'tiranni è
il temere. La buona coscienza è sempre sicura . Avvegnachè la sentenze sia più
accomodata a quella conversazione che tratta di materie gravi, nulladimeno
possono adornare molte altre specie di componimenti, e perfino le lettere
famigliari, se ivi con moderazione sieno adoperate. Dico che sieno adoperate
con moderazione, perchè il soverchio uso delle sentenze, anche nelle materie
più gravi, è indizio che lo scrittore vuol ostentare sapienza, e perciò il fa
parere affettato . In cotal vizio cadde ro molli scrittori del secol nostro, i
quali me ritamente furono tacciali di “filosofismo” di Borsa, che in una sua dissertazione ra giopò
del presente gusto degl'italiani. Scon venevolissimo è l'abuso e talvolta anche
l'uso delle sentenze pe' discorsi, che trattano di cose mediocri o umili. Ma
che diremo poi росо senno di coloro, che guidano in teatro i servied altre persone
rozze ed agresli a parlamentare ed a spular tondo, come se dal pergamo
predicassero? Questo è modo tanto sconcio, che il volgo slesso ne rimane
infastidito, on d'è qui da passare con silenzio. È da lodarsi segnatamente
nelle opere morali o politiche l'elocuzione, che a quando a quando sia ornata,
ma non tessuta di sentenze, la copia soverchia delle quali, stanca i lettori
invece di sollevarli, come si può sperimentare leggendo le opere morali di
Seneca. Lo scrittore dal quale più che da ogni altro si appren de a fare buon
uso delle sentenze, è Cicerone, nelle cui opere filosofiche mai non pare che
quelle sieno condotle nel discorso a pompa, ina sempre vi nascono naturalmenle
per recar lu ce e diletto. Diciamo alcuna cosa anche del concettoi, onde viene
grazia o piacevolezza ai componimenti. Concelli propriamente si dicono certe
propo sizioni, che per essere nuove ed espresse con brevi parole recano altrui
diletto e maraviglia , e scuoprono il sottile ingegno di chi le dice. Ve n'ha
di due maniere. La prima è dei delti gravi, l'altra dei ridevoli , che con
proprio nome si chiamano facezie . Gli uni e gli altri nascono da'medesimi luo
ghi, e differiscono, secondo Cicerone, solamente in questo : che i gravi si
traggono da cose oneste; i ridevoli da cose deformi o alcun poco turpi : ma
pare veramente che a far ri devole un dello, sia necessario , il più delle 1 volle
, che esso comprenda in sè alcune idee discrepanti congiunte insieme di
maniera, che la congiunzione loro ben si convenga con una terza idea . Ciò sia
chiaro per un esempio. Un buon ingegno de' nostri tempi fcce incidere in rame
la figura di un vecchio venerabile con lunga barba, vestito alla francese,
ornato di frangie e di feltucce e tutto cascante di vezzi, e sotto vi pose
queste parole : Traduzione d' Omero di M. C. Tultii ne fecero le risa grandi .
Se il ridicolo di questa figura consi. stesse nel solo accoppiamento
dell'imagine dell'uomo antico e grave con quella de' gio vani leziosi , ci
ſarebbe ridere anche l'ima gine di una sirena , che è composta di due contrarie
nature ; lo che per verità non acca de, ed accadrebbe solamente qualora si
dicesse che la bella donna , che termina in pesce, figura delle folli poesie
ricordate da Orazio nella Poetica . Pare dunque manifesto che il ridicolo di sì
falta deformità si generi dalla , convenienza , che è tra esse e la cosa , cui
si vogliono assomigliare. Per ciò s'intende quanto diriltamente il Castiglione
dichiari che si ride di quelle cose, che hanno in sè disconvenien za, e par che
slieno male senza però slar male. Affinchè prima di tutto si vegga che da’luo
ghi , donde si cavano le gravi sentenze, si possono ancora cavare i molli da
ridere , re cherò l'esempio, che ne dà il Castiglione. Lodando un uom liberale,
che fa comuni cogli amici le cose proprie, si polrà dire, che ciò ch'egli ha,
non è suo : il medesimo si può dire per biasimo di chi abbia rubato , o con 66
male arti acquistato quello che tiene. Di un buon servo fedele si suol dire :
non vi ha cosa che a lui sia chiusa e sigillata : e que sto similmente si dirà
di un servo malvagio destro a rubare. Le maniere de concelli ingegnosi sono
pres sochè infinile , e di moltissime ha ragionalo Cicerone nel terzo libro
dell'Oratore, ma noi toccheremo qui solamenle alcune principali . Cicerone
distingue primieramente le maniere graziose , che consistono nelle parole, da
quelle che stanno nella cosa , o che si esprimono col parlare continuato . Egli
dice che consistono nella cosa quelle (sieno gravi o piacevoli ), che mulale le
parole non cessano di generare ma raviglia o riso : tali sono le narrazioni
verisi. mili, e fatte secondo il costume e le varie condizioni degli uomini , e
di queste molte ve n'ha nel Decamerone di Giovanni Boccaccio. Una seconda
consiste nella imitazione de' co stumi altrui fatta per modo di parlare conti
nuato , come quella che fece Crasso , il quale in una sua orazione
contraffacendo un uom supplichevole con queste parole , per la tua nobiltà ,
per la tua famiglia, ne imitò cosi bene la voce e gli alti , che mosse la gente
a ridere ; e proseguendo, per le statue, distese il braccio , ed accompagnò la
voce con geslo e con imitazione si naturale, che le risa scop piarono maggiori.
Queste sono le due manie re, che consistono nella cosa, e che si espri mono col
parlar continualo . Quelle che mag. giormente si attengono alla materia , che
qui si tratta , sono le maniere di que'concelli, la grazia de quali sta nella
parola. Recbiamone esempi.Alcuni molli graziosi si generano in virtù della
metafora . Avendo Lodovico Sforza duca di Milano eletta per sua impresa una
spazzet ta, con che voleva significare se essere dispo sto a cacciare
dall'Italia gli oltremontani, do. mandò alcuni ambasciatori fiorenlini, che
loro ne paresse. Quelli risposero : bene ce ne pare, salvochè molle volle
avviene che chi spazza tira la polvere sopra di sè. Più grazioso ė il motto ,
quando ad alcuno , che metaforica mente abbia parlato, si risponde cosa inaspet
tala continuando la melafora stessa. Tale si fu delto il Cosimo de' Medici, il
quale a' Fio rentini ſuoruscili , che gli mandarono a dire che la gallina cova
, rispose : male potrà covare fuori del nido. Anche il paragonare cose vili e
piccole a cose grandi è spesso cagione di ridere , come in questi versi del
Berni: E prima , iodanzi tutto, è da sapere Che l’orinale è a quel modo tondo,
Acciocchè possa più cose tenere, E falto proprio come è falto il mondo.
Dobbiamo in questa maniera di facezie guar darci dal fare sovvenire il lettore
di cose laide e stomachevoli, affiochè la piacevolezza non degeneri in buffoneria
: lo che sovente accade a coloro, che non sono piacevoli per naturale
disposizione. Molti molti ridevoli si formano ' per via di iperbole accrescendo
o diminuendo alcuna cosa . Diminui ed accrebbe a un tempo le cose Ci cerone
parlando giocosamente di suo fratello, 68 che essendo di piccola slatura aveva
cinto il fianco di una spada' smisurata. Chi ha, disse, cosi legato mio
fratello a quella spada ? Dagli equivoci procedono spesso i motti freddi ed
insulsi , ma spesse volte ancora gli arguli . Argulo parmi il seguente in
biasimo di una donna, che fosse di molli: Ella è donna d'assai : il qual molio
potrebbe ancora essere usato per lodare alcuna ſemmina prudente e buona. Molla
venustà è in que'delli, che invece di esprimere due cose ne esprimono una sola,
per la quale l'altra s'intende . Assai leggiadro è questo , in cui si favella
di un'Amazzone dormiente, recato ad un esempio da Demetrio Falereo : in terra
aveva posto l'arco, piena era la faretra , e sotto il capo aveva lo scud : il
cinto esse non isciolgono mai. Similmente è grazioso il nominare con buone
parole le cose non buone , come ſece lo Sci pione , secondo che narra M.
Tullio, con quel cenlurione , che non si era trovato al conflillo di Paolo
Emilio contro Annibale . Il centurione scusavasi di sua negligenza col dire :
io sono rimasto agli alloggiamenti per farli sicu ri ; perchè, o Scipione, vuoi
dunque tormi la civiltà ? Cui rispose Scipione : perchè non amo gli uomini
troppo diligenti. Sono assai argute quelle risposte, per le quali si deduce da
una medesima cosa il contrario di quello che altri deduceva. Appio Claudio
disse a Scipione : lo maraviglio che un uomo ď alto affare, quale tu sei,
ignori il nome di tante persone. Non maravigliare , ri spose Scipione ,
perocchè io non sono mai 69 blato sollecito d’imparare a conoscer molti, ma a
far si, che molti conoscano me. Per egual modo Parnone rispose a colui che
chia- ; mava sapientissimo il tempo : Di pari dunque potrai chiamarlo
ignorantissimo , perchè col tempo tutte le cose si dimenticano. Il concetto
della risposta può essere grazioso solamente perchè racchiude alcun
insegnamento non aspettato da colui che fa la domanda. Fu chiesto ad uno
Spartano , perchè si facesse crescere la barba, e quegli rispose : acciocchè
mirando in essa i peli canuli io non faccia cosa, che all età mia disconvenga.
Hauno grazia similmente alcuni detti, perchè mollo convengono al costume della
persona , alla quale si attribuiscono . Essendo un colal uomo beone caduto
inſermo , era assai mole stalo dalla sete. I medici a piè del suo letto
parlavano tra loro del modo di trargli quella molestia, quando l'infermo disse
: Ponsate di grazia, o signori, a togliermi di dosso la febbre, e del cacciar
via la sete lasciate la briga a me solo. loducono a ridere anche que' detti,
che pro cedono da sciocchezza o goffezza , finta o vera che ella sia . Tali
sono le due seguenti terzine del Berni : lo ho sentito dir che Mecenale Diede
un fanciullo a Virgilio Marone, Che per martel voleva farsi frate ; E questo
fece per compassione, Ch'egli ebbe di quel povero cristiano, Che non si desse
alla disperazione. 70si può similmente cavare il ridicolo dalle parole composte
di nuovo , che esprimono al cuna deformità del corpo, o dell'animo, come furono
queste usate dal Boccaccio : picchia. pello ; madonna poco.fila ; lava-ceci ;
bacia santi. Si falte maniere, che direi quasi deſor mità della lingua , poichè
dall'uso si allonta pano, essendo convenienti alle cose significate stanno
bene, e perciò inducono a ridere e han lode di graziose ; ma se poi in forza
dell'uso divengono proprie , perdono , a somiglianza delle vecchie metafore ,
alquanto della grazia primiera. Osserva Demetrio Falereo che la grazia dei
detti proviene alcuna volla dall'ordine sola mente , quando una cosa posta nel
One pro duce un effello , che posla nel mezzo o nel principio nol produrrebbe ,
o il produrrebbe minore. Egli reca l'esempio seguente di Seno foole , che ,
parlando dei doni dali da Ciro a certo Siennesi, disse : Gli donò un cavallo,
una vesle, una collana, e che i suoi campi non fossero guasti. L'ullimo dono è
quello dove sta la grazia ', parendo cosa nuova, che si donasse a Siennesi ciò
che egli possedeva : se quel dono fosse stalo collocato prima degli altri non
avrebbe avuto grazia alcuna . Bello pel medesimo artificio ci pare un detto di
papa Benedetto XIV. Accomiatandosi da lui due personaggi di religione luterana
, egli av. visò di benedirli e di ammonirli. Era di vero assai agevol cosa il
fare che eglino ricevessero con grato animo quell'atto di amore paterno : ma il
venerabile vecchio ollenne il buon ef fello parlando così : Figliuoli, la
benedizio ne de vecchi è acceita a tulle le genti ; il Signore v'illumini .
Ingegnosissimo si è que sto detto per l'ordine suo maraviglioso . Colla prima
affeltuosa parola , Figliuoli , il papa procacciasi la benevolenza degli
uditori. Nella sentenza , la benedizione de’vecchi è accetta a tulle le genti ,
chiude la prova della con venevolezza di ciò ch'egli vuol fare. In quel l'io io
vi benedico, trae la conseguenza delle promesse. Nella precazione poi ripiglia
la di gnità di pontefice , che accortamente aveva quasi deposta da principio e
solto cortesi pa role nasconde il documento, che a lui si ad dice di porgere a
chi è fuori della chiesa ro mana . Questo ci basti d'aver ragionato pei delli
graziosi e piacevoli , chè il voler parlare di tulle le maniere loro o semplici
o miste sa rebbe officio di chi volesse trattare solamente di questa materia :
e diciamo con maggior brevità de' concetli sublimi. Alcuni haimo chiamato
sublime qualsivoglia concello, coi nulla manchi di grazia e di per. fezione ;
ina qui si vuol prendere la parola nel significato , in che viene usata da '
più de' . moderni reltorici e perciò così detiniamo i concelli sublimi :
Concetti sublimi si dicono quelli , che rappresentano con brevi parole l'idea
di alcuna potenza o forza straordinaria, per la quale chi ode resla compreso di
alla maraviglia . Tali sono i seguenti . Giove nel primo libro dell'Iliade
promette a Teli di ven dicare Achille , e dopo il conforto delle sue parole i
neri Sopraccigli inchinò: sull immortale Capo del sire le divine chiome
Ondeggiaro, e tremonne il vasto Olimpo . Questo concello , il quale ci ſa
maravigliare della potenza di Giove , cesserebbe di essere sublime se con
lunghezza di parole fosse si : gnificato : perchè quella lunghezza sarebbe
contraria alla rapidità dell'alto divino , e fa. rebbe che il pensiero del
poeta non venisse improvviso alla menle dell'ascoltalore , che è quanto dire
non generasse maraviglia. Sublime è ancora quel luogo di T. Livio nella allocuzione
di Annibale a Scipione: Ego Annibal pelo pacem, poichè la parola Annibal reca
al pensiero la virtù, le imprese, la fero cia di quel capitano . Medesigiamente
si fa ma niſesta una straordinaria forlezza di animo ne'due luoghi seguenti .
Seneca , nella Medea , fa dire alla nudrice : Abiere Colchi: conjugis nulla est
fides, Nihilque superest opibus e tantis tibi. Medea risponde : Medea superesto
Corneille, ad imitazione di Seneca : Nerine Dans un si grand revers que vous
reste- t- il ? Med. Moi. In luogo del nome di Medea il poeta francese pose il
pronone, ed oltenne effetto maraviglioso e colla brevità e con quella cotal
pienezza di suono, che è nella voce moi. Il poeta lati no col nome di Medea
destò negli uditori la memoria della potenza, della sapienza e della
magnanimità di quella maga. Divisata così la natura de' motti graziosi e
piacevoli e de' sublimi, e restando a dire al cuna cosa dell'uso, che se ne può
fare, ripe teremo ciò, che già detto abbiamo delle sen tenze, cioè che lo
scrittore si guardi dal fare troppo uso de' concetli ingegnosi e graziosi e de'
sublimi, poichè non è cosa tanto contraria alla grazia e alla grandezza, quanto
l'artificio manifesto e l'affellazione. Le grazie si dipin sero ignude appunto
per insegnare che elle sono nemiche di tutto che non è ingenuo e nalurale. La
grandezza similmente non va mai disgiunta dalla semplicità, e piccole appaiono
sempre quelle cose, che sono piene d'orna menti ; imperciocchè la mente
soffermandosi in ciascun d'essi riceve molle e divise imaginet le in luogo di
quella imagine sola, che ci rap presenta la cosa continuata ed una. Male ado
perano coloro che non avendo rispetto alla materia, di che favellano, nè alle
persone ne alla modestia nè alla gravità conveniente allo scrittore, colgono
tutte le occasioni, che loro porgono o le cose o le parole, per trar ma teria
di motleggiare ; perocchè invece di mo strare acutezza d'ingegno appaiono
loquaci ed insulsi. Che dovrà dirsi poi di que' , che abu . sano dell'ingegno
per empiere le scritture di freddi e falsi concelti , di riboboli, di bislicci
e d'indovinelli ? di que' , che tengono per finis sime arguzie le allusioni
delle parole, che era Cosla. Vol. Un . 4 74no la delizia del Marino e de' suoi
seguaci? Diremo che nali non sono per ricreare gli ani mi e sollevarli dalla
fatica , e per indur ſesta e riso, ma per noia , fastidio e sfinimento di chi è
costretto di udirli .Se il discorso si fa strada all ' animo per gli orecchi, è
necessario che egli sia accompagna• to dall' armonia , della quale niuna cosa
ha maggior forza negli uomini. L'armonia ci dis pone al pianto e all'ira, e ci
rallegra e ci placa ; e lulle le genti, avvegnachè barbare, sono tocche dalla
dolcezza di lei ; laonde gran de mancamento sarebbe, se lo scrittore ad ac
crescere efficacia alle sue parole non se ne valesse. Dalla greca voce d.gpótely
(armosin), che segna connettere, è derivata la voce armonia. I maestri di
musica insegnano , che essa consiste nell'accordo di più voci sonanti nel
medesimo punlo ; ma coloro, che parlano del l'arte rellorica e della poelica,
presero questa parola quasi nel significato , che i maestri di musica prendono
quella di melodia , come si vede aver fatto Aristotele, che usò in questa
significazione ora la voce melos, ora la voce armonia. La melodia consiste
nelle altenenze, che hanno rispettivamente i gradi successivi di un suono nel
salire dal grave all'acuto : e noi direino che rispetto al discorso l'armo nia
sta nell'altenenze delle lettere o delle sil labe o delle parole, che si
succedono con quel la certa legge che si affà alla natura dell'or gano
dell'udito. L'armonia, di che parliamo, è di due ma niere : l'una ba per fine
soltanto la dileltazio ne degli orecchi , l'altra, oltre la dilettazione degli
orecchi, la initazione del suono e dei movimenti delle cose inanimale e delle
anima te, e quella degli umani affetti : colle quali imitazioni inaggiormente
ella si rende accetta all'intelletto e gli animi sigrioreggia . La dilettazione
degli orecchi si ottiene con parole costrutte e disposte in modo analogo, come
è dello , alla natura dell'organo del l'udito e fuggendo tutte le voci e tutti
gli accozzamenli di esse, che producono sensazio ne spiacevole. L'imitazione
poi si fa adope. rando e componendo suoni o gravi o acuti o inolli o robusti,
secondo che meglio si affanno a ciò che si vuole imitare. Diciamo alcuna cosa
più largamente e dell' una e dell'altra armonia, l’armonia semplice e l’armonia
composita o imitativa. Le parole, le quali , come tutti sanno , si compongono
di vocali e di consonanti , sono più o meno armoniche, secondo che le lettere
delle due specie suddelte si trovano disposte con certa proporzione. Le vocali
fanno dolce il vocabolo le consonanti robusto : ma le troppe vocali , che si
succedono , producono quel suono spiacevole , che si dice iato ; le troppe
consonanti fanno le parole aspre e diſ ficili a pronunciare : così l'incontro
delle sil. labe somiglianti produce le cacofonie, Circa le parole non molto
armoniche , ma approvate dall' uso , diremo chę elle non si banno a rigettare ;
ma si deve aver cura di collocarle in guisa , che il loro suono disarmonico
serva al l'armonia di tutto il discorso . Anzi sono da commendare quelle lingue
, che ricche si tro vano di vocaboli diversi di suono , i quali , giunti
insieme con bell'arte, sogliono rendere maravigliosa l'armonia del parlare. Sebbene,
circa l'arte del collocare le parole con armonia , non possa darsi maestro
infuori dell' orecchio avvezzo alla lettura de' classici scrittori, pure non
sarà del tutto vano il dire più particolarmente alcuna cosa delle parti , onde
l'armonia si coropone. E prima di tutto è a sapere che le altenenze tra le
lettere , le sillabe e le parole , dalle quali risulta l'armonia , sono di due
ragioni : cioè altenenze di tempo , poichè si pronunciano o in tempi uguali o
disuguali ; e attenenze di suono, poichè ogni sillaba differisce dall'altra per
aculezza e gravità e per più o meno di dolcezza o di asprezza. Diciamo prima
delle attenenze di tempo. Piede chiamavano i Latini quella certa quan . tità di
sillabe , che pronunciandosi in tempi eguali , si potevano misurare colla
battuta del piede nel modo che oggi ancora fanno i suo . natori. E, poichè si
pronunciavano più o meno sillabe (attesa la varia conformazione delle pa role)
in ispazi uguali di tempo , avvenne che lunghe si dissero quelle che occupavano
la maggior parte del tempo misurato dalla bat tuta, e brevi le altre, che
occupavano la parte minore. Coelum, per esempio , si compone di due sillabe , e
si pronuncia in ugual tempo che ful-mi-na, che è di tre : perciò coelum 77 0 è
un piede di due lunghe, e ſulmina è un pie de di una lunga e di due brevi. I
piedi sono di molte specie, e ciascuna ha il suo nome. Ve n'ha de' semplici di
due sil. labe, che sono o due brevi o due lunghe , una breve e una lunga , o
una lunga e una breve : ve n'ha di tre sillabe, che per la va ria combinazione
delle brevi e delle lunghe risultano di otto specie : ve n'ha finalmente più di
cento specie dei composti, cioè formali dall' unione di due piedi semplici.
Dall'indelernipala quantità di piedi disposti con legge analoga alla natura
dell'organo del l'udilo umano, la qual legge si sente nell'ani. ma e definire
non si può, nasce il numero ; e similmeple dall ' unione delerminata di varii
piedi, i versi, che sono molle maniere, se condo la qualità de' piedi , onde
sono compo sti . Dalla varia qualità e quantità de'versi na. scono poi le
differenti specie dei metri. A ren dere armonioso il verso si congiunge al pu
nero il suono, che, siccome abbiamo accennato , si genera dalla proporzione,
con che sono di sposte le consonanti e le vocali. Da ciò nasce che, sebbene
talvolta i versi abbiano il mede simo número , non hanno il medesimo suono , ma
variano nella loro armonia maravigliosa mente : per la qual cosa interviene che
dalla unione di molti versi che abbiano il medesimo numero, come a cagion
d'esempio, di esametri, si possono generare molle ed assai varie armo pie : la
diversa upione di queste armonie di cesi, ritmo. Come nella poesia dal
ipovimento di molti versi upili nasce il rilmo poelico , così da 78 quello di
minuti membri d' indeterminala mi sura nasce quello della prosa, il quale pure
è di varie sorla , siccome avremo occasione di osservare in appresso . Ora
veniamo a dire del l'armonia della favella italiana. GI' Italiani non hanno
determinata la quan. lità nelle sillabe , come si vede aver fatto i Greci ed i
Latini , per la qual cosa nemmeno i piedi hanno potuto determinare. Alcuni let.
terali del sesto decimo secolo, fra' quali il Caro, tentarono di rinnovare fra
noi i versi esametri ed i pentametri , ma quanto poco ( per la in sufficienza
della lingua nostra ) al buon volere rispondesse l'effetto , apparirà dai
seguenti versi di Claudio Tolomei , i quali, se non sono molto aiutati
dall'arte del recitante , non pos. sono ricevere soavità. Ecco il chiaro rio,
pien eccolo d'acque soavi, Ecco di verdi erbe carca la terra ride : Scacciano
gli alni i soli co' le frondi e co'ra ( mi coprendo; Spiraci con dolce fato
auretta vaga. A noi servono invece di piedi le sillabe é gli accenli, e quindi
è che da un determinato numero di sillabe e da una determinata posi tura di
accenti nasce il numero, onde si gene rano molte specie di versi. Omettendo le
di spute de'reltorici e le loro opinioni circa que sta materia, faremo qui
alcun cenno solamente rispetto agli accenti. Le parole sono di una o più
sillabe : se di una soltanto , l'accento è su quella, come in tu , me, no, si :
se di più o egli è nell'ullima, come in mori, o nella pri 79 ma, come in tempo,
o nella penullima come in andarono, o prima di essa, come in concedea glisi .
Gl'indicati accenti si dicono acuti, perchè alzano la pronuncia : dove questi
non sono, si trovano i gravi, che l'abbassano. Gli aculi e i gravi alzando ed
abbassando il discorso, por tano seco certa proporzione di tempo, e perciò
tengono fra noi il luogo de' piedi Jalini, e for mano varie specie di versi ,
che, secondo, la quantità delle sillabe, si dicono o pentasillabi o senarii o
seltenarii o ottonarii o novenarii o decasillabi o endecasillabi : dalle varie
unioni di questi nascono i diversi metri : e il ritmo nasce nel modo , che si è
detto parlando della lingua latina, e circa il verso e circa la prosa. Non si
contenta l'animo upano dell'armonia, onde è ricreato solamente l'orecchio, ma
gran demente si piace di que' suoni , che più viva menle ci pougono innanzi la
cosa significata ; e questo specialmente egli ricerca nella poesia, la quale o
avendo , o mostrando di avere per suo principal fine il diletto, dee apparire
più d'ogni altro discorso ordinala, e splendida : sarà quindi utile cosa l'investigare
quale sia la virtù imitativa delle parole. Questa e l’armonia imitative. Dalla
mescolanza delle lettere liquide e delle vocali risulta infinita varietà di
vocaboli dell’imitazione delle grida, de’suoini, de’romori e de’movimenti, e
chi, porrà mente alla nostra lingua troverà, secondo 80 che osserva il Bembo ,
voci sciolle , languide, dense , aride, morbide , riserrate, tarde, mutole,
rolle, impedite, scorrevoli e strepitanti ; perciò è che variando la
composizione di questi suoni si potranno ordinare .e versi e ritmi, che ogni
grido o romore o movimento vagliano ad imi. tare. Jofinili esempi bellissimi di
si ſalta imi. tazione sono nella Divina Commedia : ma basti qui la sola
descrizione dello strepito , che Dan te udi nell'Inferno : Quivi' sospiri,
pianti, ed alti guai Risonavan per l'äer senza stelle , Perch'io al cominciar
ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, Parole di dolore, accenti d'ira,
Voci alte ' e fioche, e suon di man con elle Facevano un tumulto, il qual
s'aggira Sempre in quell'aria senza tempo tinta, Come l'arena, quando il turbo
spira . Del medesimo genere sono i seguenti versi del Poliziano : Di stormir,
d'abbaiar cresce il romore : Di fischi e bussi tutto il bosco suona : Del
rimbombar de' corni il ciel rintrona. Con tal romor, qualor l'äer discorda, Di
Giove il foco d'alta nube piomba : Con tal tumulto , onde la gente assorda,
Dall'alte cataratte il Nil rimbomba : Con tal orror del latin sangue ingorda
Sonò Megera la tartarea tromba. 81 Il Parioi ci fece senlir il guaire di una ca
goolina, e il risponder dell' eco in questi bel lissimi versi : Aita, aita ,
Parea dicesse ; e dall'arcate volte A lei l'impielosita eco rispose. Siccome il
succedersi delle parole ora va lento or celere, è manifesto che questo, che si
può chiamare movimento del discorso , ba so miglianza coi movimenti delle cose,
e che per ciò aver dee virtù d'imitare le azioni loro. Recherò qui per maniera
d'esempio alcuni luo ghi cavali da' poeti. Odesi il furore e l'impeto del vento
in questi versi di Dante : Non altrimenti fatto che d'un vento Impetüoso per
gli avversi ardori, Che fier la selva senza alcuu rallento , E i rami schianta
, abbatte, e porta i fiori; Dinanzi polveroso va superbo, E fa fuggir le belve
ed i pastori . Mirabilmente Virgilio descrisse il tumullo dei venti all'uscire
della grotta di Eolo : Qua data porta ruunt et terras turbine per flant.
Incubuere mari, totumque a sedibus imis Una Eurusque, Notusque ruunt, creber
que procellis Africus, et vaslos volvunt ad sidera flu clus. Insequitur
clamorque virum , stridorque rudentum. 4 * 82 Fra i versi che esprimono la
caduta de corpi sono bellissimi i seguenti : E caddi come corpo morto cade ; il
qual verso è cadente, come il corpo che cade. Insequitur praeruplus aquae mons.
In queste parole di Virgilio si sente il piom bare dell'acqua precipitosa : ed
eccellentemente fece sentire il medesimo suono il Caro : E d' acque un monte
intanto Venne come dal cielo a cader giù . In virtù di quest'altro verso dello
stesso Caro, una nave sparisce in un subito, e si sente il romor dell'acqua che
l'inghiotte : Calossi gorgogliando e s'aſfondò. Lo stesso con una sola parola
lunga e scor revole dipinse il procedere del carro di Net tuno : Poscia sovra
il suo carro d'ogni intorno Scorrendo lievemente, ovunque apparve Agguagliò il
mare e lo ripose in calma. Nelle seguenti parole di Virgilio quasi sen tiamo a
stramazzare il bue ; Procumbit humi bos. Dell’armonia che imita gli affetti col
suono , Onde conoscere per qual modo gli affelli vengano imitati dall'armonia ,
uopo è d'inve sligare quali altenenze essi abbiano col suono e quali col
namero. In quanto alle altenenze si ponga mente che ad ogni sorta di affetli (
1 ) risponde un particolar molo del l'organo vocale , per cui si formano voci
di verse secondo la diversità de' medesimi affetli ; all'allegrezza risponde il
riso , alla mestizia il pianto ; ed il riso ed il pianto si manifestano con
suono al tutto diverso : così presso tutte le geoli la subita maraviglia è
significata dal l'esclamazione ah , ovvero oh ; il lamento dall' eh, o dall’ahi
; e la paura dall'uh. Que ste voci, che da principio sono elfelti naturali
delle aſſezioni dell'animo, diventano poi, merce dell'esperienza , segni di
quelle : per la qual cosa interviene che i vocaboli composti di ma, niera , che
facciano mollo sentire il suono di quelle leltere, che alle predette voci
primitive si assomigliano , avranno virtù d'imitare o questa o quella
affezione. Le parole, che s'in, nalzano per la a o per l'o , che sono lettere
di largo suono, saranno acconce ad esprimere l'allegrezza e gli affetti nobili
ed alli : quelle, che declinano per la é e per l'i , che sono lettere di molle
suono , saranno convenienti alla malinconia ed agli umili e miti affetli : ( 1
) Omnis enim motus animi suum quemdam a natura habet vullum , et sonum et
gesium (Cic. de Orat. ). 84 quelle , che si abbassano nell' u potranno e
sprimere le cose paurose e le perturbazioni dell'animo, che ne procedono.
Questa particolare virtù delle parole viene poi rafforzata dalle attenenze ,
che le passioni hanno col numero. Volgendo la considerazione alle varie
passioni , si potrà conoscere che l' uomo'nell'ira è fatto impetuoso ,
frettoloso nell'allegrezza , lento nella mestizia , svarialo nell' amore,
immobile nella paura. Quindi av. viene che la musica non solamente si giova
delle note gravi o delle acute, ma delle rapi de e delle tarde modulazioni a
risvegliare ogni sorta d'affetto . A somiglianza di quest' arte maravigliosa ,
anche la naturale favella, il suono ed il numero adoperando , innalza o abbassa
gli accenli, rallenta od accelera il corso delle parole, secondo la natura
degli affetti , che di esprimere intende. Con quest' arte medesima l'accorto
scrittore compone i ritmi diversi secondo la tenuità o la gravità della
materia, e secondo le qualità della persona che parla. Ma di questo avremo
altrove occasione di favellare. Ora in confer . mazione di quanto abbiamo detto
intorno gli affetti, recheremo alcuni esempi. Come la lettera a innalzi il
verso e lieto il faccia, si può conoscere da quel solo verso del Petrarca : Voi
ch* ascoltate in rime sparse il suono; il qual verso sarebbe rimesso se dicesse
: O voi, che udite in dolci rime il suono ; 85 sostituendo 1'i alla a . Veggasi
come Danle seppe significare uno stesso concetto con due diverse armonie, che
rispondono a due diversi affelti. Il conte Ugo lino sdegnalo, e Francesca d'
Arimino dolente dicono all ' Alighieri di esser presti a rispon dere alla sua
domanda. Ma lo sdegnato dice con suono aspro e terribile : Parlare e lagrimar
vedrai insieme ; e quella mesta con dolcissimo e tenue suono : Farò come colui
che piange e dice. Maravigliosamente esprime Dante con voci aspre lo sdegno : E
disse, taci, maladelto lupo, Consuma dentro le con la tua rabbia. La velocità
de' pensieri, che procedono dal l'aſſello , apparisce in questo esempio dello
stesso poeta : Dunque che è, perchè perchè ristai ? Perchè tanta viltà nel core
allelte ? Perchè ardire e franchezza non bai ? Un verso , che esprime luogo
pauroso e cupo, si è questo : 10 venni in loco d'ogni luce mulo. 86 Dove si
vede che se Dante, in vece di muto, avesse delto privo, il verso non avrebbe
messo nell'animo quel sentimento d'orrore. La e , che è lettera di suono lento,
basso ed oscuro , rende sommamente imitativi i se gucnti versi : Buio d'inferno
e di notte privata D'ogni pianeta solto pover cielo Quant' esser può di nuvol
tenebrata . In virtù di somiglianli armonie producono gli scriltori que'
maravigliosi effetti, che la più parte degli uomini sentono nell'animo , ene
ignorano il magistero. Di queslo cercai mani. festare la natura , non già
perchè io pensi che colui che scrive debba avere di continuo alle mani la
regola ; chè anzi ho sempre creduto la dolcezza e proprietà del suono, al pari
d'ogni allra vaghezza poetica ed oratoria , nascere spontaneamente ; ma questo
volli fare, perchè stimai che l'investigar le occulte ragioni del. l'arte aiuti
l ' intelletto a dirittamente giudi carne , e quindi a formare quell'interior
senso si necessario a comporre lodevolmente, e quel l'abito , che prendono gli
orecchi alla lettura de'ben giudicati esemplari. Nulladimeno per compiacere
agli orecchi non si vuol mai turbare quell'ordine delle parole, in virtù del
quale diventa chiara l'elocuzione. Se per esprimere qualsisia o movimento o
suono od affello coll'armonia, o per formare un pe riodo numeroso e grave ci
faremo oscuri, nes suna lode al certo ce ne verrà. Nè solamente dobbiam sempre
conciliare l'ordine domandato 87 dagli orecchi con l'ordine sopraddello , ma
spesso ancora con quello , che rende più evi. denti o più efficaci i concetti ,
del quale ora ci rimane a parlare, siccome di sopra abbiamo promesso. Parliemo
della collocazione dell’espressione, per la quale si rende ‘efficace’ la
mozzione conversazionale. È manifesto che in ciascun periodo le pa role o le
proposizioni si possono , senza to gliere la chiarezza , alcuna volta posporre
o anteporre l'una all'altra in più maniere ; ma è da por mente che , fra le
molte possibili permutazioni, poche sono quelle che meritino di essere lodate ,
e che spesso una solamente si è l'ottima . Ho udito dire da molti che il più
delle volte l'ordine migliore delle parole nella proposizione si è l'ordine
diretto, e que sto in verità nell'italiana favella è spesso da preferirsi
all'inverso , segnatamente nei die scorsi didascalici o in quelli ove non si ma
nifesta alcun affetto ; ma certo egli è che l'or. dine diretto ( prescindendo
dai mancamenti che aver può rispello all'armonia) è alcuna volla degno di
biasimo, siccome freddo ed inefficace . A quale legge dunque dovremo ubbidire ,
ol. tre a quella già stabilita circa la chiarezza e l'armonia, nel collocare le
parole e le propo. sizioni a fine di rendere più vive le descri zioni e più
efficace l'espressione degli affetti ? La filosofia ci mostra che le idee
tornano alla mente associate in quell' ordine , che vennero all' anima per
l'impressione delle cose ester 88ne, o in quello , che si genera in virtù della
forza particolare di ciascuna idea, essendo che le più vivaci, o quelle che
maggiormente si attengono a' nostri bisogni, si risvegliano pri ma dell'altre ;
e questo mostrandoci , ella ne insegna che , se vogliamo fedelmente ritrarre
nelle menli altrui cio che abbiamo veduto o imaginiamo di vedere, v ciò, che
sentiamo, ci è duopo di formare la catena delle parole se. condo quella delle
nostre idee, per quanto il comporta il genio della lingua. Questa verità
verremo ora con alcuni esempi mostrando, Si osservi primieramente nel seguente
esem pio, tolto dall'Ariosto, come nella descrizione delle cose, che non sono
in moto, sieno poste innanzi all'animo dell'ascoltalore quelle idee, che prima
farebbero impressione ne' sensi del riguardante, e poscia succedano a mano a
mano le altre secondo loro qualità e silo : La stanza quadra e spazïosa pare
Una devola e venerabil chiesa , Che su colonne alabastrine e rare Con bella architellura
era sospesa . Sorgea nel mezzo un ben locato altare, Che avea d'innanzi una
lampada accesa, E quella di splendente e chiaro ſoco Rendea gran lume all'uno e
all'altro loco. La prima impressione, che riceverebbero gli occhi di chi
mirasse un somigliante luogo, sa rebbe certamente la forma e l'ampiezza di
esso, e tosto occorrerebbe alla ' mente la cosa alla quale somiglia , cioè la
devota e venerabil chiesa : indi l'allenzione del riguardante si 89
indirizzerebbe alle parti del luogo più appari scenti, le colonne alabastrine e
rare : queste chiamano il pensiere a fermarsi alcun poco sulle qualità
dell'architellura , indi alle parli . più minute, cioè all'altare, alla
lampada, alla luce, che si spande d'intorno . Quanto giovi disporre le parole
nell'ordine, in che le idee sono naturalmente impresse nei sensi dalle
successive modificazioni delle ester ne cose, si può conoscere da questo
esempio di Virgilio , il quale , volendo rappresentare all'imaginazione nostra
il greco Sinone trallo al cospetto di Priamo, si esprime cosi : Namque ut
conspectu in medio turbatus, inermis Constitit , atque oculis Phrygia agmina
circumspexit. La collocazione di queste parole è secondo l' ordine , nel quale
avrebbero proceduto le sensazioni di colui , che avesse veduto cogli occhi
propri sinone, e che l'imagine di quella vista si riducesse a memoria. La prima
cosa, che gli verrebbe all'animo , sarebbe il luogo ov'era condotto Sipone,
conspectu in medio; indi la persona di lui colle sue più distinte qualità ,
turbatus , inermis ; poi l'azione, constitit ; poi la parte del' vollo , che
subito chiama a sè l'altenzione del riguardante , co Die quella , che è indizio
dello stato dell'ani ma, oculis ; poi le cose , sopra le quali gli occhi si
volsero , Phrygia agmina; infine l'ultima e lenla azione degli occhi dipinta
colla tarda parola circumspesil. go Un altro esempio dello stesso Virgilio
dimo. slrerà come sieno poste nel proprio luogo pro posizioni e parole. Ecce
autem gemini a Tenedo tranquilla per alla ( Horresco referens ) immensis
orbibus (angues Incumbunt pelago , pariterque ad litora tendunt : Pectora
quorum inter fluctus arrecta , jubacque Sanguineae exsuperant undas : pars cae
lera pontum Pone legit, sinualque immensa volumine lerga. Fit Sonitus, spumante
salo , jamque arva tenebant ; Ardentesque oculos suffecti sanguine et igni,
Sibila lambebant linguis vibrantibus ora . و Colui che fosse presente al
descritto caso , osserverebbe primamente di lontano due cose indistinte venir
del luogo che gli fosse al co spetto, gemini a Tenedo ; indi le acque per le
quali nuotassero, tranquilla per alta ; al l'avvicinarsi di quelle due
indistinte cose, egli comiocerebbe a distinguere il loro divincolare ; poi ecco
che le due cose, che da prima indi stinte si mostravano , si vedrebbe essere
due serpenti, angues, i quali più s'accostano e più li vedi , e più discerni
l'azione loro ; prima del gittarsi sul mare , poi del girarsi al lido ,
incumbunt pelago , pariterque ad litora 91 lendunt ; ed a mano a mano più
visibili la . cendosi le qualità de' serpenti , si vedrebbero i pelti erti sui
flutti ed alte le creste sangui. gne, e il rimanente de'corpi con grandi volute
nuolare, pectora quorum ec . Finalmente udi rebbe il suono dell' acque , e ne
vedrebbe le spume. Pervenuti al lido i serpenli, discerne rebbe i loro occhi
ardenli e sanguigni , ne ascollerebbe i fischi, e vedrebbe a vibrare le lingue,
fit sonitus ec . Per l'addotto esempio maniſestamente si vede che nel collocare
le parole secondo la catena di quelle sole idee, che verrebbero al. l'animo di
chi il descritto caso avesse veduto, sta l'arte di rendere evidenti le
descrizioni : di qualità che all'uditore sia avviso non di udir raccontare ma
di vedere cogli occhi pro pri. Nel rappresentare colle parole le sole idee che
vengono naturalmente all'animo di chi mira le cose , e di chi è mosso dagli
affetti, consiste l'arte del particolareggiare : chi tra passasse Test limite
cadrebbe nella prolissi tà, e nella minutezza , la quale rende stucche voli
que' poeti che eccessivamente particola reggiando si pensano di produrre
l'evidenza. Siccome poi le cose hanno più o meno di forza sull'animo nostro a
misura che più o meno vagliano a concitare l'amore o l'odio, o a mettere timore
; così interviene talvolta , che esse al tornar che fanno alla mente tengono
quell'ordine , che è secondo i gradi della ri. spettiva loro forza. Per ciò è
che qualvolta le idee in virtù delle parole sieno ordinate con formemente a
siffatta legge, il discorso è caldo e passionato ; e freddo e di nessun efletto
se 92 l'ordine delle parole discorda da quello delle idee. Nel libro IX
dell'Eneide veggendo Niso l'amico Eurialo già presso ad esser morto dai Rutuli,
cosi esclama: Me me (adsum qui feci) , in me conver : tite ferrum , O Rutuli ,
mea fraus onnis : nihil iste nec , ausus, Nec potuit : coelum hoc , et conscia
si dera testor. Volendo il poeta esprimere le veemenza della passione di Niso,
soppresse il verbo interficile, e pose innanzi alle altre la voce me quarto
caso, poichè la prima idea, che viene all'ani. mo del giovanetlo , si è quella
della propria persona , che egli vuole sacrificare per l'amico suo ; poi
vengono le altre parole ordinata Diente seguitando la della legge. Similipente
il Petrarca : E i cor, che indura e serra Marle superbo e fero, Apri tu , padre,
inlenerisci e spoda . Se invece egli avesse dello : Apri tu , padre,
intenerisci e snoda I cor, che indura e serra Marte superbo e ſero,
l'elocuzione sarebbe riuscita fredda, perciocchè la prima imagine che si
presenta al commosso animo del poeta, sono i cuori, i quali egli con 93 quelle
prime parole quasi pone innanzi a Dio , affinchè si piaccia d'intenerirli.
Accade alcuna volta che lo scrittore vuole accrescere vigore alla propria
sentenza , e in questo caso non dee disporre le sue parole a modo, che all'uditore
paia di aver inteso tutto al prinio detto, ma far sì , che le idee vengano all'
animo di lui crescendo gradatamente, come nel seguente esempio : Tu se' buono,
santo, divino. E in quest'altro del Boccaccio : Ri. prenderannomi,
morderannomi, lacereran nomi costoro. Similmente metterà bene il collocare l'ay
verbio dopo il verbo e l'addiettivo dopo il sustantivo , qualvolla sieno posti
nel discorso alfine di accrescergli vigore. Perciò è che me. glio si dirà : io
ti amerò sempre , che io sempre ti amerò : è facile il sentire come questa
seconda collocazione riesca fredda. Molli preclari ingegni, e Ira questi il
Caro, hanno biasimato il Boccaccio, perchè troppo frequentemente pone il verbo
alla fine del pe riodo ; e per verità l'hanno biasimato a ragio ne ; perchè non
solo con ciò si toglie al di. scorso la varietà, ma anche perchè il più delle
volle si viene a turbare la naturale associa zione delle idee. Alla quale
associazione se porrà mente lo scrittore troverà sempre molivo onde approvare o
disapprovare l'ordine che egli avrà posto nelle sue parole. Lunga opera sarebbe
il trattare qui minutamente questa ma teria e il prescrivere le regole
applicabili a tutti i casi particolari ; queste si possono age volmente dedurre
dalla regola generale, che abbiamo assegnata , e perciò stimiamo che qui 94
basti fare qualche altra osservazione intorno ad alcuni luoghi, ne'quali il
verbo è posto in ultimo. Avendo il principe Tancredi, presso il Boc caccio,
rimproverato Ghismonda di avere eletto per suo amatore Guiscardo di nazione
vile, e non uomo dicevole alla nobiltà di lei, così ella, rinfacciandogli il
fatto rimprovero, gli dice : in che non taccorgi che non il mio pec cato , ma
quello della fortuna riprendi. Qui chiaro si vede che se Ghismonda avesse dello
: non taccorgi che non riprendi il mio pec cato , ma quello della fortuna,
avrebbe par. lalo freddamente. Il figliuolo di Perolla, in T. Livio, sdegnato
che il padre suo gli abbia in. pedito di uccidere Annibale, si volge alla pa
tria dicendo : o Patria , ferrurn , quo pro te armatus hanc arcem defendere
colebam, hodie minime parcens, quando pater extor. que, accipe. Ne'due cilati
luoghi son poste innanzi le idee, che prima si presentano ale l'animo
passionato di colui che favella, e in ullimo è il verbo, che apporta luce alla
mente sospesa dell'ascollatore. Se T. Livio avesse det. to : 0 Patrin , accipe
ferrum ec. , oltrechè avrebbe parlalo fuori del modo naturale di colui che ha
l'animo commosso, avrebbe an cora mancato di quell'arte, che l'altenzione
altrui si procaccia : imperciocchè qualvolta egli ci porge innanzi il ferro,
col quale il giovane voleva difendere ostinatamente la rocca, subito la niente
nostra sta attendendo impaziente menle che cosa esser debba di quel ferro ; e,
poiché ode la risoluzione di esso giovane, re sla preso da subita maraviglia e
ne riceve dilelto. 95 Nel collocare le parole secondo la catena delle idee, si
vuol porre ' grande cura di con ciliare quest' ordine con quello che è
richiesto dall'orecchio e dal genio della lingua , al quale non si può
contrariare. Qualvolta 10 scrittore ciò pervenga ad ottenere, sembra che le sue
parole siensi di per sé poste al luogo loro , e che chiunque avesse voluto dire
la stessa cosa l'avrebbe detta a quel modo. Que sta si è quella facilità, che
molti avvisano di poter conseguire , ma spesso invano a ciò si affaticano e
sudano. Parliamo del carattere del discorso. Avendovi posti innanzitulli gli
elemenli, onde si compongono le prose e le poesie , ac cade ora di ragionare più
parlicolarmente delle leggi della convenevolezza , o sia del decoro , di che
abbiamo di sopra falto cenno alcuna volta . Come dalla mescolanza de'selle
colori fatta con legge si genera la varietà e la vaghezza nella imagine delle
cose dal pittore imitate, cosi dalla mescolanza degli elementi predetti ,
similmente falta con legge, nasce la varietà e la venustà delle prose e delle
poesie . Colui che si facesse ad accozzare e ad ammassare alla rinfusa parole
nobili , modi urbani, mela fore, traslali, igure , sentenze , ec. , verrebbe
certamente a comporre di buona materia as sai deforme Perſella riuscirà Costa.
Vol. Un . 5 CON 98 posizione, allorchè le parole e i modi e l'ar monia e le
figure verranno e ben divisale le une con le altre e lulle insieme , secondo i
fini che lo scrillore si propone , secondo la maleria della quale ſavella,
secondo la condi. zione sua e di coloro che l'odono , secondo i luoghi in cui
parla ; chè in queste tulle cose consiste il decoro. Dal decoro nasce la leggia
dria , che risplende nelle più belle opere del. l'arle, e senza di esso nessuna
cosa al mondo è pregevole. Conciossiachè poi varii sono i fini speciali , che
lo scrittore si propone , varii i subbielli, di che può ragionare, varie le uma
ne condizioni e le circostanze, conseguita che varii pur sieno i generi e le
specie de' con ponimenti per loro proprio carattere distinti. Il qual
carallere, per le cose delle di sopra, definiremo nel modo seguente : Il
carattere del discorso si è la contemperanza degli ele nepli, da ' quali
risultano la chiarezza e l'or. namenlo, ſalta secondo le leggi del decoro. E
perciocchè la principal legge del decoro si è quella , che riguarda il fine,
che ci pro poniano , quando altrui manifestiamo i nostri concelli , a questo
volgeremo tosto la nostra considerazione, Chi scrive inlende o a convincere o ä
pero suadere o dilellare altrui. Secondo questi tre fini nasceno tre generi di
scrivere o tre caralleri si diversi , che vogliono essere di stigli e
particolarmente considerati ; cioè il fi losofico , il persuasivo, il poelico.
Di questi di reno prima alcuna cosa in generale , indi ne accenneremo le
specie. In quanto al carattere del discorso filosofico, Ufficio de'flosofi si è
il mostrare altrui la verità , e perciò le loro scritture intendono a fare che
il lettore od ascoltatore non sola . menle venga di buona voglia nella sentenza
a lui esposta , ma che sia costretto anche suo malgrado a vevirvi, che è quanto
dire ch'egli rimanga convinto . Se pertanto ci verrà fallo di scuoprire quella
virtù del linguaggio , per la quale si genera il convincimento , ci saranno
subito manifeste le qualità , onde il carallere filosofico si distingue dagli
altri. Il convincimento si genera nell'animo o qual volta per via de' sensi
percepiamo l'attenenza ſra alcune qualità, e in questo caso diciamo esser
convinti dal fatto, o qualvolta ci vien posta innanzi una serie di proposizioni
insie me collegate ' e procedenti da una o da più altre conformi a'falli , le
quali si chiamano principii ; ed in questo secondo caso diciamo di essere
convinti con evidenza di ragione . A costringere gli animi con questa evidenza
in . lendono i filosofi, ed a tal fine son loro neces sarii i vocaboli di
singolare significazione ed i modi precisi ; imperciocchè se nella catena delle
proposizioni che formano il ragionamento , una sola vi fosse di perplesso
significalo, o che accrescesse o menomasse di un solo elemento iniportanle
alcuna idea, si mulerebbero le at tenenze delle dette proposizioni, dal che
proce derebbe l'errore , come accade nelle operazioni arilmeliche, qualvolta ,
no solo numero . si pon . ga iu luogo di un allro, Se agli uomini venis 100 se
dalo ( che Dio volesse ) di ordinare la lin gua a modo che dalle percezioni
delle qualità semplici delle cose fino alle più complesse idee d'ogni maniera
non fosse vocabolo di mal fer ma significazione, non sarebbe malagevole il
ragionare dirittamente in qualsivoglia altra Ina teria , come si ragiona nella
matemalica ; inn perciocchè in virtù de'segni ben determinali si verrebbe al
conoscimento delle allenenze delle idee complesse grado per grado fino ai loro
principii ; e per tal forma ciascuno potreb be sempre rendersi certo della
enunciata verità . Da tutto ciò si raccoglie che nella precisio ne delle parole
e dei modi sta la virtù di con vincere ; e che perciò essa precisione esser dee
la prerogativa dello scrivere filosofico . L'uso della metafora pertanto e
delle figure può divenire larghissima fonte d'errori, per ciocchè è facile che
l'animo umano ingannato dalle similitudini, di che si formano le meta fore, e
commosso dagli artificii travegga, e quindi si faccia a comporre le nozioni,
non secondo la natura delle cose , ma secondo le apparenze e la capricciosa
indole della fantasia. Il sistema del Malebranche , ch'ebbe tanti se. guaci e
disputatori (per lacere di molli altri ) procede da una similitudine. E si
dovrà dunque nello scrivere insegnali vo schivare ogni metafora ed ogni figura,
e renderlo secco e ruvido, come quello de'ma temalici ? V'hanno certamente
alcune malerie ( e tale è per avventura la ideologia ) , le quali richieggono
un linguaggio pressochè simile a quello della geometria o dell'algebra ; ma non
101 è perciò che le altre parti della filosofia, ed anche talvolta la stessa
austera scienza delle idee, non dimandino ornamento sobrio e ve recondo. Niuna
materia filosofica vuol essere molto mollo fregiala , acciocchè il verisimile,
in forza degli artifizii oratorii , non venga ad invadere . il luogo del vero,
nė paia che il filosofo voglia invescare e prendere altrui : nulladimeno è
necessario che a quando a quando l'intelletto del leggitore, affaticato dal
lungo ragionare, trovi riposo, e venga alleltato, senza che la esposta verità
rimanga oscurala . Perciò il filo soro collo schivare le parole barbare, rance
, oscure e disarmoniche toglierà ogni ruvidezza al suo discorso, e gli darà
grazia e leggiadria convenevole co' modi urbani e gentili , colle vereconde
metafore scelte a maggiore schiari. mento di quanto per le parole ben determi
nate fu espresso ; colla brevilà e colla varietà de'modi, con alcune naturali
figure, quale sa rebbe l'interrogazione, e specialmente coll’ar. monia facile e
piana , e con tutti gli allri modi naturali alla tempérala favella . Questo
carallere filosofico fu si ben divisato da Cicerone , che io slimo convenevole
cosa di recare le sue parole : « Temperata e famiglia . re è l'orazione
de'lilosofi : non è composta » di modi popolari; non è legata a cerle re » gole
d'armonia , ma discorre liberamente , » Niente sa d'iralo , niente d'invidioso
, niente » di inirabile, niente di astulo. Casla , verecon » da, quasi pudica
vergine, onde piuttosto » ragionamento che orazione può nominarsi » Parliamo
del discorso di carattere persuasive o
protrettico. Poichè abbiamo dato contrassegno del carat tere filosofico ,
veniamo a fare il medesimo del persuasivo. Persuadere significa propriamente
far credere altrui alcuna cosa ; dal che mani. feslo apparisce essere grande la
differenza tra il convincimento e la persuasione. Perchè sia mo convinti è
forza che conosciamo tulle le proposizioni , che compongono un ragionamen . to
fino alle prime percezioni, dalle quali dipen . de il principio fondamentale di
quello ; perchè siamo persuasi basta che il ragionare abbia per fondamento o
l'opinione o l'apparenza o l'autorilà. Molli dicono, a cagion d' esempio , di
essere persuasi che il sole si giri intorno la terra , ed altri che questa si
volga intorno al proprio asse ; gli uni prestano fede all'ap. parenza , gli
allri al dello degli uomini sapienti ; ma di quello che credono non sanno
porgere altrui vera dimostrazione. Da questo esempio , e da infinili allri , si
può vedere che la per suasione non è sempre generala dal conosci. mento di
tulie le proposizioni che si richieg gono nelle filosoficile dimostrazioni, e
che per conseguente a trarre le volontà, ed a tenere le menti del più degli
uomini, non importa semipre il dimostrare sollilmente alla maniera de' filosofi
, ma giova di far uso di qualsi voglia verisimile principio : di comporre ima
ginazioni che abbiano faccia di verilà : di ado perare figure che, perlurbando
l'aninio dele l'uditore, conformino i pensieri di lui secondo 103 la nostra
volontà di guisa , che, se egli sia per venire nella nostra sentenza ,
precipitosamente vi corra . Ma tutte queste cose si vogliono ado perare a modo,
che il discorso abbia sempre apparenza di vera dimostrazione; perciocchè gli
uditori di qualsivoglia condizione sempre domandano all'oratore che sia loro
mostra la verità. Converrà quindi dedurre il discorso, per natural guisa e
chiaramente , e da esso ri . movere ogni proposizione ed ogni artificio, nel
quale apparisca alcuna ombra di falsità. Primo ufficio dell'oratore si è il
provare la sua pro posizione nella divisata maniera ; secondo il dilellare ;
terzo il commovere ; accorgimento si richiede nelle prove ; sobriela degli ornamenti
che intendono al dilello ; veemenza nel conci tare gli affetli. Con queste arti
si perviene a Trionfare ed a governare la volonlà degli uomini. Per le cose
delle si conosce che gli oralo ri, comechè dicano di voler dare esalla dimo .
strazione di quanto affermano, questo non fan no sempre : del che si può aver
prova nelle dispute , che eglino fanno in contraddilorin , per le quali
talvolta appaiono vere due sen . tenze, una delle quali, essendo opposta all'al
tra , deve di necessità esser ſalsa. Non è dun que l'arte oraloria veramente
l'arte di dimo. strare, ( prendendo questa parola nello strello significalo
de'filosofi) ma, come la defini Dio nigi d'Alicarnasso , l'arte di farsi
credere. Ma qui potrà per avventura sembrare che, avendo io nel sopra indicato
inodo divisata la nalura dello scrivere persuasivo, de abbia fat 10 un'arte
d'inganno. Chi però cosi pensasse 104 а porterebbe opinione falsissima ;
perciocchè non si ſa inganno agli uomini adoperando a bene quell'arte, che sola
si conſà all'indole della più parte di essi . Pochi sono coloro, che pos sono
essere falli capaci della verità per via di sollile ed esatto ragionamento ;
anzi av viene il più delle volte che , sembrando molti falsissimo il vero e
piacesse a Dio che così non fosse ) , è forza , per guadagnare l'opi. nione
foro , venire ad alcuna utile verità per le strade del verisimile ; e questo
non è certo ingannare, ma giovare la umana fa . miglia . Vero ufficio degli
scrittori si è l ' usare l'e . loquenza non ad inganno, ma per indurre gli
uomini a fuggire il vizio, a seguitare la virtù e la verità ; per metter fine
alle conlese, per sedare i tumulli, per sollevare l'autorità delle Jeggi contro
il volere di coloro , che il privalo bene antepongono a quello della repubblica
: che se alcuni malvagi intellelli abusano di tut te le arli civili , dovremo
per questo sbandirle dalle città e ricondurre gli uomini a viver di ghiaude
?Finalemente e il discorso di carattere poetico, come in Heidegger. La poesia
fou dal popolo inventata per pro prio dilello , e poscia dagli autori della vila
civile ad ammaestramento di esso popolo ado perala . Piacque ad aleuni a solo
ricreamen to dell'animo usarla , ma i più nobili poeti sot to il velame delle
favole, delle imitazioni e dei mirabili concelli pascosero la dollrina , e con
locuzione accesa nella fantasia e con soavi ar 1 105 monie si aprirono la
strada alle menli volgari, le quali all'insegnamento dei filosofi sarebbero
stale ritrose. Per lo che niuno può dubitare che chiunque si dispone a scrivere
poesie non debba cercare di piacere alla più parte degli uomini. Questo fece ad
imagine degli antichi il nostro Dante, la cui divina Commedia leg gevano anche
le persone d'umile condizione, e ne traevano documenti a ben vivere. Questo
ſecero l'Ariosto e il Tasso, e cosi dee fare chiunque ha vaghezza di essere
salutato poeta . Se dunque investigheremo quali sieno quei modi che dilettano
il più degli uomini, e quali sieno que' che li noiano, giungeremo a cono scere
quali convengano e quali discon vengano al carattere della locuzione poetica .
E primieramente e palese che le parole ap portano diletto e colla materiale
strullura loro e colla qualità delle idee, che recano alla mente ; perciò è che
l'essere del carattere poetico dall'una e dall'altra di queste cose dovrà
generarsi . Una delle qualità necessarie alla elocuzione poetica sarà dunque la
più squisita armonia, onde siano dilettati i sensi ed appagato l'intellello in
virtù della inila zione . Dell'armonia abbiamo dello abbastanza , perchè
passeremo tosto a dire della natura delle idee dilellevoli. Il dilello si
genera negli animi da ciò che, dolcemente i sensi movendo, fa operare la mente
senza tenerla in fatica : e perciò è che le imagini dei corpi diversi e lulte
quelle cose e que'concelti, che hanno virtù di risvegliare gli affetti, ci
recano maraviglioso piacere : .e le idee astralle all'incontro non lo ci
recano, 5 * 106 perciocchè, se non sono mollo complesse, fan . no lieve
impressione nell'animo ; se molto complesse, abbisognano di molta attenzione, e
perciò affaticano la mente. Proprii , saranno dunque del carattere poetico i
vocaboli e i modi acconci a svegliare ad un tempo la ri membranza di molte
sensazioni dilettevoli ed a concitare le varie passioni ed a rendere sen sibili
coll'aiuto delle similitudini tolte dalle cose corporee i più sottili concetti
della mente. Cogli aggiunti opportunamente scelti ven gono significate le
passioni o le azioni, e gli usi delle cose e le qualità loro proprie, le quali
in virtù dei soli nomi sustantivi non verrebbero all'animo dei lellori , o ci
verreb . bero debolmente ; perciò al poeta conviene l'adoperare essi aggiunti
più frequentemente che all'oralore, quale dipinge meno parli colarmente le
cose, siccoine colui che non ha per fine principale il diletlo. Colle melafore
si dà corpo alle astralte nozioni, coi tropi si pone dinanzi agli occhi della
mente quella sola parte o qualità dell'obbietlo, che prima si presenterebbe al
senso di colui che cogli occhi del corpo il mirasse. Adoperando i predelli
modi, si perviene a dare a'concetti intellettuali forma sensibile guisa, che il
lettore , direi quasi, non più per segni percepisce le cose, ma le vede, e con
mano le tocca . Affincho palesemente si vegga questa prerogativa , che sopra
lulle rende il carattere poetico distinto dagli altri , recherò ad esempio alcuni
concell : intellettuali , convertendoli in forma sensibile. Tutti i viventi
muoiono La sede del ro mano impero fu da Costantino trasferitu a 107 Bisanzio
Il popolo facilmente mula con . siglio Quello ch' ei fece dai tempi di Riomolo
, sino a quello dei Tarquinii. Que. sli concetti si dicono intellettuali ,
siccome quelli che si denno giudicare secondo il si . gnificato proprio di
ciascuna parola ; sensibili saranno , qualvolla sieno espressi di maniera che
giudicare si debbano secondo l'apparenza o la similitudine, siccome divengono i
predelti Trasformandoli nel modo seguente : La inorte batte egualmente alle
capanne de poveri ed a' palagi de're Posciachè Costantin lo quila volse Contro
il corso del ciel, che la seguiu Dietro quel grande , che Lavinia Wolse. Infida
è ľaura popolare. E guel cliei fe' dal mal delle Sabine Al do Tor di Lucrezia.
Queste finzioni che assai di lettano , e perchè contengono manifeste simi.
litudini e perchè racchiudono veri intellettuali concelii, sono talmente
proprie della elocuzio ne poetica, ch'elle sarebbero sconvenevoli nei discorsi
, che non hanno per fine primario il dilello. Come queste poi si addicano più a
cerle specie , che a certe altre, vedrenio a suo Juogo. Ora basterà di avere in
genere contras. segnata la natura del carattere poetico , onde apparisca che
tengono mala strada coloro, i quali cercando " fama tra i poeti fanno
pompa ne'loro versi di dollrina e di soltile ingegno, ed espongono i loro
pensieri con ordine troppo minuto e distinto. I concetti che si cavano dal.
l'intrinseco della filosofia , recanó seco molta oscurità e difficoltà,
specialmente quando ven. gono significati co' vocaboli e commodi loro proprii,
e perciò sono contrarii al diletto, che 108 è il fine del poeta , o, come altri
vuole, il mezzo necessario ad indurre il giovamento . E quando si dice che il
poeta dev'essere filosofo , non si vuol dire che a modo dei filosofi debba sce
gliere, ordinare e significare i concetti, wa che egli usi mollo di filosofia
nello scegliere le ma terie più utili agli uomini, e nel dare a quelle e forma
e veste conveniente alla natura di ciascuna . Che se talvolta egli vorrà
togliere alcun concello dalla filosofia , lo toglierà dalla superficie e non
dal profondo seno di lei, in quel miodo, che ha falto il Petrarca, qualvolta si
è giovato della filosofia di Platone, come si vede nel seguente esempio : Per
le cose mortali, Che son scala al fattor chi ben le stima , D'una in altra
sembianza Potea levarsi all'alta cagion prima. E in altri luoghi moltissimi si
vede con qual arle e cautela dalla flosofia nella poesia egli abbia trasportati
i concetti, gli abbia temperati ed ornati, sicchè non hanno nè ruvidezza alcuna
nè oscurità, ma naturalezza , novità , e magni ficenza , che sono qualità
popolari, che è quanto a dire poetiche. C’e una e altra specia del discourse di
carattere filosofico. Le materie, intorno le quali cade l'insegna mento, sono :
la matematica , la fisica , la mela. fisica , la morale, la politica , l'arle
oratoria e la poelica, le arti liberali e le meccaniche, e lulle le conoscenze
che da queste principali proce 109 dono, ciascuna delle quali essendo più o
meno astralla , richiede o maggiore o minore soltigliez za d'ingegno e forza di
attenzione in chi le considera : per la qual cosa interviene che dovendo gli
scrittori usar parole e modi con venevoli alla natura di ciascuna delle dette
materie , ne risultano diverse specie di caralleri insegnativi più o meno
austeri. Rispelto poi alle persone, cui vuolsi mostrare la verità, giova
osservare che elle sono di due maniere. Alcunelelterale ed alcune mezzanamente
istruite. Alle prime, che sono avvezze al ragionamento, si converrà strello
sermone : più diffuso alle altre, le quali hanno bisogno che le cose sieno
esposte loro per minuto , ed anche talvolta per via di similitudini e di esempi
chiarile . Per tal cagione il discorso filosofico prende spesso alcuna delle
forme del persuasivo, senza mai perdere però la precisione, che forma l'essen
ziale sua proprietà. Di tal sorta sono molti libri indirizzati all'insegnamento
de'giovani, e i dialoghi e le epistole filosofiche, le quali ven gono usate
affinchè certe materie depongano alquanto della nativa loro austerità, ed allin
cbè i lellori affaticati trovino riposo nelle di gressioni e in altre parti
accessorie. C’e una e altra specia di discourse di carattere pesuasivo o
protrettico. Se al mondo fossero uomini diriltamente sa pienti e perfettamente
savi, sicchè astuzia e lusinga di oratore non potessero negli animi loro, vana
riuscirebbe l'arte del persuadere, perciocchè tutti richiederebbero di essere
con vinti con precisa e poco adorna favella : ma Blo non sono quaggiù nel mondo
cose perſelle , e perciò è che, sebbene tutti gli uomini avvi sando di poter
essere condotti alla verità per via di vera dimostrazione, sdegnino i manifesti
artificii ; pure non v'ha alcuno , che vaglia a resistere alla seduzione di
astula eloquenza ; dal che si ricava che l'arte del persuadere si può adoperare
con ogni sorta di persone ; po pendo menle però che quanto maggiore negli
ascoltanti è l'aculezza dell'intellello e la sa pienza, altrellanto esser deve
la cura nell'ora tore di occultare l ' artificio . Dovranno dunqne i modi del
discorso persuasivo tanto più avvi. cinarsi a quelli del filosofico , quanto
piu le persone, cui si favella, sono sapienti ed arcor . te ; ed all'incontro
tanto più dovranno lin . gersi , direi quasi , del colore poetico , quanto
negli ascoltatori è minore l'altitudine ad argo nentare sollilmente : e la
ragione di questo si è che , a misura che negli uomini manca l'acı fezza dello
intellello, cresce la forza della fan. tasia, dell'opinione e delle passioni.
Ma no è perciò che, anche favellando a sì falte persone, debba l'oratore ornare
il discorso d'imagini fantastiche a modo che esso perda le appa renze della
buona dimostrazione ; essendo che' il popolo stesso , il qual pure , come è
detto , presunie di sapere ragionare sottilmente , sde gna quella orazione che
gli par vuota di ra gioni . Dovrà dunque il discorso persuasivo aver sempre
l'aspetto di vera dimostrazione; ma colale aspetto poi sarà diverso , secondo
la maggiore o minor perspicacia delle persone, che si vogliono persuadere, le
quali si possono dividere in tre schiere. La prima è degli uo III mini
letterati : la seconda degli uomini che banno convenevole discrezione di mente
: la terza del popolo . Per le quali tre schiere tre specie di carattere
persuasivo procedono. La prima partecipa alquanto delle qualità del ge nere
filosofico : la terza di quelle del poelico : la seconda è media fra le due.
Della prima specie sono le allegazioni , che gli avvocati pronunciano al
cospetto de' giudici; della se. conda i discorsi morali, le istorie , gli elogi
ed altre opere intese a persuadere circa il giusto e l'onesto le persone
discrete ; della terza le prediche e le allocuzioni e i parlamenti , che si
fanno al popolo ed a ' soldati . Siccome poi varia si è la condizione delle
persone che favellano , e varie le cose di cui si può favellare , interviene
che secondo que ste e quelle verrà il carattere persuasivo a di vidersi in
altre specie : e perciocchè le per le cose si possono considerare di tre
ragioni, cioè di nobili, di mezzane e di umili, piacque a'retorici di
restringere sotto tre soli nomi i molli membri del carallere persuasivo, e
questi sono : il sublime , il temperato ed il tenue. Che a ciascuna di queste
specie si addicano e voci e modi particolari, è facile comprendere. e chi non
vede che al discorso rivolto a ce lebrare le lodi di un eroe o di un sapiente
si convengono maniere diverse da quelle , che sarebbero accomodate a descrivere
o a lodare l’amenità della villa ? Che la lellera famigliare intenla a
persuadere qualsivoglia verità ad alcuno, dev'e di natura diversa dall' ora
zione che tralla della cosa medesima ? Paren sone e I 2 domi che qui non sia
bisogno di allargarsi troppo in parole, una sola cosa ricorderò , cioè, che von
solamente si addicano a cfascuna spe. cie particolari maniere , ma ancora
particolare collocazione di parole e particolare armonia . Imperciocchè l'animo
di chi favella , essendo secondo i varii casi o tranquillo o perturbato, o
elevato o umiliato , non è dubbio che , nel seguitare questi diversi affetti ,
variamente si devono ordinare le idee, e colle idee le paro le, e che
similmente dee variare l'armonia , se vero è ch'ella soglia naturalmente ,
qualvolta favelliamo , accompagnare i moti dell'animo , Oltre di che vuolsi
considerare che que' che parlano alla moltitudine , o scrivono cose da
proferirsi ad alla voce , sogliono muoverla e modularla con diverso andamento
da quello che userebbe colui , il quale famigliarmente ragionasse e tranquillamente
in angusto loco alcun fatto narrasse ; e perciò il ritmo di que ste due specie
di favellare è fatto diverso dalla necessità di pronunciare a modo, che le
nostre parole sieno ascoltate volentieri, e quan do in luogo pubblico di gravi
negozii a molti parliamo, e quando in camera a pochi di qual sivoglia materia.
Quale sia poi quella deter minala armonia, che in ciascun caso convenga,
insegnare uon si può. Qui basti l'avvertimen. to, chè l ' esempio de classici
scrittori assai meglio ne può ammaestrarc . Penso che sia convenevole cosa il
collocare fra le specie del carattere persuasivo anche quello che si addice
alla istoria ; e ciò per le seguenti ni. Uſlicio dell'istorico si è di produrre
coll'insegnamenlo la prudenza civile 113 e militare , il che si ottiene col
porre innanzi all ' animo del lettore i fatti importanti e le cagioni e gli
effelli di quelli . Al qual line, è mestieri di descrivere avvenimenti d'ogni
ma piera e particolari e generali , assalti , uccisioni , incendii, battaglie,
saccheggi, trattazioni, páci , congiure , delilli e virtù ; di palesare nelle
concioni poste in bocca ai re, ai magistrati, ai capilani , i gravi consigli e
i documenti della politica ; di esprimere i caratteri delle passioni, e di
usare le più luminose sentenze. Le quali tulle cose vogliono essere significate
con modi che varino secondo il variare della maleria . Comechè uguale a sè
medesimo sia sempre il carattere della isloria , cioè grave , siccome si addice
a chi le gravi cose racconta , certo egli è che secondo la differenza degli
avvenimenti dovrà variare nel sostenersi e nello innalzarsi, ed apparire nelle
concioni più alto ed eſti cace , nelle descrizioni più ameno ed ordinato, e
spesso più veemenle nella persona degli uo mini ivi introdolli a parlare, ma
sempre tem • perato in quella dello scrittore , che da ogni parteggiare dee
mostrarsi lontano. Non può dunque convenire al caraltere storico nè l'au .
torità filosofica , la quale sarebbe contraria alle malerie , nè la poetica
pompa , che torrebbe fede alla narrazione ; perciò é forza che gli sieno
proprie le prerogative generali del ca. rattere persuasivo , dal quale
differisce sola mente per le qualità speciali di sopra accen nale . C’e una e
altra specia del discourse di carattere poetico. Se ſu bisogno dividere in
alcune specie il carattere persuasivo a cagione della maggiore o minore
altitudine delle menti umane a di scerncre la verità , ciò non occorrerà circa
il carallere poetico ; imperciocchè tanto gli uo. mini di sottile ingegno ,
quanto quelli , in cui la fantasia prevale all'intellello , hanno tulli dinanzi
al poela una medesima disposizione. Se il popolo porge orecchio alle finzioni
noe. tiche , quasi come a cose vere, i sapienti le riguardano come simboli
della verità e quasi come leggiadri sogni della filosofia , e in questo loro
dolce ricreamento sdegnano ogni austerilà e fino l'apparenza delle faticose
forme filoso . fiche . Perciò è palese che il poeta rivolge sem . pre le parole
ad vomini, i quali, sieno di qual sivoglia condizione , amano che la mente loro
şia condotta ad operare senza fatica . Da que. sto si ricava che ogni specie di
carattere poe tico dovrà avere sempre la prerogativa di schivare, come dicemmo
di sopra, le idee che tengono in falica l'intellello , e rappresentare quelle ,
che vestile di forme sensibili, eserci. citano la imaginativa. Non sarà dunque
diviso in ispecie questo genere per rispelto della diversità degl'intel letti ,
ma della condizione del poeta o delle persone che introduce a parlare, e delle
varie cose , che ei ſa subbietto del canto. Ma, prima di entrare in questo
proposito , parni che sia da togliere una falsa opinione circa la natura della
poesia. Sono alcuni i quali avvisano che 115 ma il l'essenza di lei consista
nel metro, e fra que sti è il Melaslasio , il quale nella sua esposi zione
della Poetica d'Aristotile sostiene che la lavella metrica , per essere
l'istrumenlo con che l'imitazione si fa , ne forma l'essenza . Ma io domanderei
voleplieri a coloro che cosi la pensano , qual nome vorrebbono dare all'Eneide
tradolla in favella sciolta dal metro ? Le da. ranno per avventura nome di
prosa ? vocabolo prosa altro non significa che discorso senza metro , e per ciò
verranno a dire sola. menle che quell'illustre racconto è fatto sce. mo di
quella sola qualità, di che grandemente si dilelta l'orecchio , ma non già di
tulte le altre , che stabiliscono la natura dei discorsi composti a fine di
dilelto. Dal che appare ma nifesto che un altro general nojne è bisogno per
distinguere i discorsi composti per dilet. tare. E quale è a ciò più accomodalo
vocabolo che quello di poesia ? La voce poeta , secondo sua origine , significa
facilore o vogliam dire fabbricatore ; e perciò poesia sonerà lo stesso che
fabbricazione o finzione, e tali sono di ne cessità quasi tutti i discorsi ,
che si compongo no a fine di dilellare , essendo che il nudo vero non è
dilettevole sempre e in ogni sua parle : perciò Benedello Varchi dice nell'Erco
laro, che il verso non è quello che faccia principalmente il poeta ; e che il
Boccaccio talvolla più poeta si mostra in una delle sue Novelle , che in lulta
la Teseide. Ed Orazio afferma che a distinguere la poesia da ciò che essa non
è, basta disgiungerne le membra , cioè loglierle il metro , e allora si vede
manifesta mente che il carallere non le si toglie. Con 16 chiudiamo pertanto,
che il metro induce diſſe renza di specie ma non determina la natura del genere
; e stabiliamo che a tulli i discor. si , che hanno per fine il dilettare con
metro o senza , si conviene il nome di poesia . Ora veniamo alle specie.
Talvolta il poeta rappre senta la persona d'uomo , che cantando, dice laudi
degli Dei e degli Eroi ; talvolta quella , ch'esprime i moti dell'allegrezza,
dell'affanno o dell ' amore, o solamente gli scherzevoli con cetli . Le poesie
di questa maniera solevano dagli antichi essere cantate sulla lira, e perciò
presero il pome di liriche , e tuttora il con servano. Varie essendo le
passioni e le cose , che esprimere si possono dal poeta lirico , inter viene
che ancora il canto si divide in varie specie, che tutte poi si riducono a tre
, come nel carattere persuasivo : cioè al sublime, al mediocre ed al tenue.
Ciascuno di questi canti ha qualità sue proprie. Magnificenza e gravità di modi
, di sentenze e di arinonia , e splen dore d'illustri parole e di concetti
fantastici convengono a chi celebra le laudi degli Dei e degli Eroi, ed esprime
alte e generose passio ni : più tenui maniere e parole e più soave armonia a
chi esprime. gli affelli meno gravi e canta di subbielli meno nobili : quegli
poi , che dice i mili affetti o gli scherzi o le umili cose, avrà nelle sue
parole piacevolezza e sempli. cità da ogni fasto lontana , ed armonia soave e
varia , ma sempre tenue. Alla delta varielà d'armonie , mirabilmente poi
servono i metri, alcuni de' quali portano secofl'umiltà , altri la mediocrità ,
altri l'allezza dell'armonia. Sono 117 molti esempi di questa varietà nel
Petrarca , Si ponga mente ai modi, al metro , al ritmo delle due Canzoni
d'amore , una delle quali comincia : Chiure, fresche e dolci ucque ; e l'altra
: Di pensiero in pensier, di monle in monte; e si vedrà la prima essere in
tutte le sue parti piena di soavità, di gentilezza e di gra zia, e l'allra di
robustezza e di gravità. Talvolta il poela narra gl ' illustri ſalli ; tal
volla i mediocri ; e talvolta i piacevoli : indi si generano i poemi epici , i
romanzi , i poemi burleschi e le novelle. Talvolta poi introduce a parlare o le
persone illustri o le mediocri o le umili , e quindi provengono le tragedie, le
commedie , le egloghe pastorali e le pisca torie . Ognuna di queste specie,
siccome è pa lese , ha modi ed armonia convenevole alla maleria ed alla
condizione delle persone. Perciò è che il poela , specialmente nella tragedia,
nella commedia e nell' egloga, ove se medesimo nasconde introducendo altri a
par lare, dee rendere alquanto umili i modi, l'ar monia di guisa , che lo
spettatore , ascollando le tragiche persone o le coniche, abbia a dire : così
parlerebbero gli uomini di questa o di quella condizione, se loro naturale
favella fos sero i versi . Giovi questo generale avverli mento , perciocchè non
si possono mostrare i certi limili, fra i quali dee slarsi ciascuna spe 118 rie
. Tutte hanno nell'intero loro corpo faltezze particolari , alle quali colui
che ben vede di stintamente le raffigura : pure a quando a quando or questa or
quella viene a parteci. pare dell ' altrui colore di guisa , che l'epico nelle
forti passioni innalza le parole e i modi al pari del cantore degl'inni; e il
più sublime lirico parra alcuna volla , siccome fa l'epico. Lo stesso interviene
delle allre specie , fra le quali per fino la commedia talora si leva a
gareggiare colla Tragedia , e la tragedia al dire l'Orazio , spesso , si duole
con sermone pe destre . DELLO STILE. Nelle opere dell'arle, siccome in quelle
dels la nalura, si scorge infinita diversilà , ma per questa spesso non è tolto
che moltissimi indi vidui della medesima specie , sebbene molto dissimili, non
sieno egualmente belli e prege voli. Questo vedesi manifestamente per le la
vole colorite da' celebri dipinlori, de'quali uno essendo il fine, cioè quello
dell'imitare la bella natura, non in tutti una apparisce la sembian . za del
loro dipingere. Raffaello , il Correggio, Domenichino , i Caraccio , Tiziano e
Paolo, i quali cerlo non mancano nelle regole invaria bili dell'arte , sono fra
loro assai differenti. Tulli mostrano invenzione lodevole e lodevole
composizione, belle forme , ben disposto colo. rito e conveniente a ciascuna
cosa : lutli espri mono i costumi e gli affelli, ma ciascuno d'essi ſa delle
predetle e di altre virtù una cotale mislura, che siamo condolti a dire che
nessu. 1 Til no di loro ha la maniera dell'altro, comechè Tulli sieno
eccellenti . Questa , che i pillori chia mano maniera, è similmente comune a'
filosofi, agli oratori , agli storici ed a'poeli. Quanti scriltori sono tenuli
meritevoli di pari com mendazione, sebbene tale fra loro sia la diſſe renza,
che spesso ciascuno solamente a sè me , desinio ed a nessun altro assomiglia ?
La rin sposizione dell'ingegno e delle affezioni dela l'animo, che in ciascun
uomo è diversa, è ca gione che le dette maniere sieno di numero pressochè
infinilo . Alcuno de' famosi scriitori ha il pregio della perspicuità , alcuno
della eleganza , allri della grazia , altri dell'aculezza . Questi è grave e
maestoso : quegli delicato e molle : chi è breve e robusto : chi copioso , chi
úrbano e chi veemente : ma tali poi sono tutti, che, se alcuno di noi
desiderasse di ot. tener gloria di ottimo scrillore, sarebbe incerto a quale di
loro volesse essere somigliante. L'accennata maniera particolare, per la quale
ciascuno scrittore è distinto dagli altri , si è quella che gli antichi
chiamarono stile, pren . dendo questa voce dall'istrumento che per iscrivere
adoperavano. La slessa parola stile, presa più largamente che non fanno i
filosofi, significa comunemente il carattere in genere o in ispecie : ma è
palese che , filosoficamente parlando , si è bene d'usarla nel senso leste
dichiarato . Ond'è che assai propriamente dire . mo in generale, carallere
filosofico, caruilere persuasivo o poetico ; ed in ispecie carallere oralorio ,
lirico, epico, tragico, sublime, medio cre e tenue : e stile di Demostene, di
Cicero ne , di Orlensio, di Omero, di Virgilio : percioc 120 chè nei primi fu
il solo carallere persuasivo, negli altri il poelico ; ma in ciascuno ebbe una
particolare maniera , che modificando il carat tere, l ' essere suo non gli
tolse. E chi volesse invesligare le cagioni da che proceda colale maniera, che
stile si appella , vedrebbe ch'elle sono le qualità dell'intellello, della
fantasia di ciascuno scrillore, e le qualità degli affetti, a cui egli ha l'
animo disposto : laonde volendo dare alcuna definizione dello stile, paroi che
far si potesse nel modo seguente : Lo stile si è il carattere modificato
secondo le qualità del. l'intellelto , della fantasia e degli affelli dello
scrittore. Parliamo sommeramente del modo di acquistare la qualita necessaria a
conversare civilmente. Ora che abbiamo poluto conoscere che cosa sia lo stile ,
non sarà indarno l'investigare co me si possa acquistare forza, grazia e
vaghezza nello scrivere ; e che è quanto dire come si possa formare lo stile
convenevole e pulito. Se lo stile si genera per la qualilà dell ' in tellelto ,
della fantasia e degli affetti dello scrit tore, vera cosa è che, a formarlo
convenevole e pulito , bisognerà rendere perfette le mento vate tre cagioni il
più che si può. L'uomo nasce fornilo dell'intelletto , cioè della facollâ di
sentire, di percepire , di alten. dere, di paragonare, di giudicare, di
astrarre, di ricordarsi, di imaginare , ma d'uopo è che queste lacollà vengano
poscia diriltamente usate ed esercitale , onde sia generala quella virtù
pressochè divina , che si appella la ragione, 121 la quale consiste nell'abito
di . paragonare in sieme i sentimenti distinti dell'anima e le idee, di derivar
dai falli pariicolari le nozioni gene. rali ; di anteporre o posporre le une
alle altre, di congiungerie o di separarle, secondo la con venienza o
disconvenienza loro , e secondo i loro gradi di più o di meno. A formare que
sl’abito , sarà bisogno di studiare le opere de' filosoti, che trattano
soltilmente delle cose na lurali, delle proprietà dell'intelletto e del cuore
umano ; di apprendere l ' istoria , senza la co gnizion della quale, al dire di
Cicerone, l'uo mo si rimane sempre fanciullo ; di osservare la nalura , di
pralicare fra le diverse condi. zioni degli uomini , e di operare ne privati
negozii e ne' pubblici . Ad arriccbire l'imagi. nativa, la quale è l'abito di
recare all'animo la reminiscenza delle qualità sensibili che più ci muovono e
dilellano ; di congiugnere insie me con verisimiglianza quelle , che sono di.
sgiunte in nalura , e di significare per siinili tudine delle cose corporee i
concelli astralli, non solo metterà bene di leggere gl'inventori di nuove e
vaghe fantasie , ina di por menle a tutto ciò che ai sensi porge diletlo , sia
nelle azioni degli uomini e degli anigali sia nel l ' esteriore aspelto e
movimento delle cose inanimate ; e soprattullo gioverà di ben con siderare le
somiglianze che fanno fra loro le cose di qualsivoglia genere e specie ; chè
que sto si è il fonte , dal quale si derivano le vuo ve e maravigliose
metafore. Di molla ulilità sarà poi all'intellelto ed all'immaginativa lo
sludio de' precelli dell'arte oratoria e della poetica, i quali, essendo il
compendio di quanto Costa. Vol. Un. 6 122 ove i filosofi hanno osservato
intorno le cagioni, onde piacciono e dispiacciono le opere degli scrillori,
apportano quella luce, che un uomo solo nel breve spazio della vila studierebbe
indarno di procacciarsi colla sola virtù del proprio ingegno . Vuolsi però
sull'osservanza de'precelli av . vertire ciò che nell'arle poetica osserva il
Zanolli; cioè che le cagioni del piacere e del dispiacere trovate da ' filosofi
, essendo cagioni universali ed indeterminale , mostrano bensi i luoghi , non
vogliono che si ecceda o si manchi, ma non prescrivono poi a qual segno si
debba giugnere o rimanere , per non ecce dere o non mancare ; ond' è che, a
fare buon uso del precello , è bisogno di quella discre. zione , che si acquista
con lungo sludio e fa . tica . Rispetto agli affelli, io mi penso che , sel)
bene sieno da natura, pure a conciliarli in al trui grande aiuto si possa
trarre dall'arte . Se l'amore, l'odio , l'ira , la mansuetudine , la
misericordia ed allre affezioni dell'animo na. scono da cagioni determinale,
come per eseni. pio l'amore da bellezza e da virtù, l ' odio da male qualità
del corpo o dell'animo altrui, non v'ha dubbio che gli aſſelti medesimi si deb
bono in chi legge risvegliare per virtù della viva' rappresentazione di quelle
cagioni : dal che si raccoglie che lo scrittore, considerando le varie
disposizioni degli uomini passionali, e le cagioni, per le quali la passione si
genera, avrà materia onde gli animi perlurbare. Cosi per aiuto dell'arte verrà
ad operare in altrui quell'eſello , che imperſellamente avrebbe 123 operalo
mercè della sola naturale sua disposi. zione. Da quanto è dello apparisce che
la scienza avvalora l'intellelto e l'immaginativa , ed aiuta a muovere gli
affetti , e che perciò ella si è il fonte dello scrivere rettamente. La scienza
poi è generala negli umani intel. lelli da due cagioni : queste sono : la
naturale disposizione delle organo corporale e l'azione delle cose esterne
sopra di esso ; sì falte ca. gioni sono di necessità diverse in ciascuno ;
perocchè non è da credere che si possano tro vare due corpi nella stessa
maniera conforma li ; ed è poi certamente impossibile che uno riceva dalle cose
esterne nell'animo le mede sime impressioni che un altro. Per la qual cosa avviene
che diversa in ciascuno si generi la scienza , e quindi diversa la forza
dell'in gegno e dell'imaginaliya , diversa la qualilà degli affetti, e per
conseguente anche lo stile, che da queste procede, deve riuscire diverso . Dal
che si vede che imprendono opera dispe rala coloro, che si affaticano ad
imitare lo stile d'altri . E alcuni pur sono che andando passo passo sull' orme
di Dante, del Petrarca o del Boccaccio , avvisano alla costoro gloria di per
venire ; ma le opere loro per verità , in fuori di un poco di pulita buccia ,
niun sugo hanno. Che cosa dovremo dunque apprendere da . gli scrittori ?
Rispondo che si vuole apprendere la lingua e i modi acconci ad esprimere chia
ramente, ornatamente e convenevolmente i no stri concelli . Da questo scrillore
ci sludieremo di procacciare una cosa , da quello un'altra , a seguileremo
sempre la nostra natura , se 124 condo l'esempio di Dante , il quale lasciò
scritto di sè : lo mi son un che, quando Amore spira , nolo, ed a quel modo Che
delta dentro, vo significando. Che se allrove disse a Virgilio : Tu se' lo mio
maestro e lo mio autore, Tu se' solo colui , da cui io loisi Lo bello stile,
che mi ha fallo onore, non intese già d'avere tolto al maestro la ma niera
propria di quel poeta , ma sibbene la qualità , onde il carattere poetico é
differente dal filosofico e dal persuasivo. E chi è che pon senta la differenza
che è dallo stile di Dante a quello di Virgilio ? Rimane per ultimo a dire
degli autori , che coloro che amano di scrivere nell'italiana fa . vella , devono
scegliere a maestri . Nulla dirò dello studio della lingua greca e della
lativa, perciocchè essendo notissimo che nell'una e nell'altra scrissero
coloro, che insegnarono a tutto il mondo, e che questa nostra da quelle procede
, ciascuno conosce di per sé quanta ulilità trarre se ne possa. Mi ristringerò
dun que a fare alcuna parola de' soli autori italia ni, che agli altri si
devono preporre. E prima è a sapere che nel secolo XIV alcuni prosatori ed
alcuni poeti diedero al volgar nostro tanta proprietà e grazia, che nessuno ha
poi polulo eguagliarli : che nel secolo XV questo volgare ſu quasi abbandonalo
per soverchio amore 125 della lingua latina e per pusillanimità degli uomini d
' Ilalia : che nel secolo XVI ſu dal Forlunio e dal Bembo ridollo a regole
deter. minate ; e da molti ſu nobilmente adoperato in varii generi di scritture
: che nel secolo XVII fu da talupo acconciamente impiegato ed ar ricchito di
voci perlinenti alle scienze , fu da alcun altro scrillo con eleganza, ma venne
da moltissimi in parte corrotto e rivolto in vanilà di falsi concelli : che nel
XVIII finalmente ſu da pochi bene usato , e da moltissimi con pa role e modi
forestieri vituperato . Tale essendo stata la fortuna di questa bellissima
lingua, chi potrà dubitare che oggi non sia a noi sa lutevole il consiglio, che
ci porgono gli uomini sapienli , cioè quello di studiare agli antichi esemplari
? Se nel buon secolo della lingua la lina si stimava essere opera di gran
probllo ai giovani il molto leggere gli antichi scrittori del Lazio , quanto
maggiormente non si dee credere che lo studiare i nostri sia per giovare a noi,
che viviamo in un secolo , ove gl'ita liani, pressoché tutti , più delle cose
forestiere che delle proprie dilettandosi, scrivono sì , che punto non pare alle
loro scritture che sieno stali allevati in Italia ? Verissimo si ė ( anche
parlando delle arti ) .quello che dicono i politi ci, cioè che qualvolta le
cose sieno pervenule a corruzione, bisogna richiamarle ai loro prin cipii .
Questa sentenza dovrebbe essere dinanzi all'animo di tutti coloro, che amano il
profitto de' giovani nelle lettere umane ; pure sono al cuni cbe , deridendo
coloro che studiano i lesti della lingua, dicono essere sciocchezza il darsi
tanto pensiero delle parole ogni qualvolta si 1 126 centisti , abbia cura dei
concelli ; come se il recare alla mente altrui i nostri concelli non dipenda
dalla virtù di ben accoviodate parole. Colali persone, avendo posla loro usanza
o ne'soli domestici negozii o in alcuna scienza o arte, nè mai data opera allo
studio della lingua, vilipendono ciò che non conoscono, e perciò, non avendo
au. torità , non meritano alcuna risposta. Tutti gli uomini di mente discreta
non si maraviglie ranno, se qui vengono consigliati i giovanetti a studiare
prima nelle opere de' trecentisti, ne' quali è dovizia di vocaboli proprii e di
forme gentili, e chiarezza e semplicità e urba nità e maravigliosa dolcezza ,
ed a riserbare agli anni loro più maturi lo studio dei cinque che scrissero
eloquentemenle di cose gravi e magnifiche. Ma per avventura alcuno dirà : non
dobbia. ino noi essere intesi dagli uomini del nostro secolo e cercare di
piacer loro seguendo l'usar za ? Perchè dunque vorremo che la gioventù studii
ancora quelle opere, ove si trovano, ol tre le voci ed i modi, che sono fuor
d'uso, e barbarismi e pleonasmi e solecismi ed equivo cazioni , e talvolta
negligenza e stranezza nel costrutti ? Perchè non vorremo consigliarla
piullosto a leggere i soli scrillori del cinque cento , i quali seguitando le
regole grammati. cali dettate dal Fortunio e dal Bembo, non solo scrissero
correllamente, ma trattarono eloquen temente di varie ed importanti materie ? A
queste obbiezioni risponderemo che si dee se guire l'usanza , de' buoni
scrillori , l'usanza del volgo ; che non si vuole negare che in molle opere del
trecento non si trovino ma non 127 fra la copia delle maniere proprie , nobili
e graziose, varii difelli ; ma che per questo non ci rimarremo da consigliare
la gioventù di avere sempre caro sopra tutti quel secolo bea to , e di leggere
per tempo i suoi eccellenti scrittori, poichè ci teniamo certi che quanto è
difficile il rendersi famigliari e doinestiche le maniere native e gentili ,
altrettanto è facile di perdere l'abito di peccare contro la gram matica e
contro l'uso. La predetta virtù non si può acquistare se non con lungo
esercizio : il diſello si può togliere assai agevolmente dopo lo studio della
grammatica, e dopoche per la tilosofia e per la erudizione ci verrà dato di ben
conoscere il valore delle parole e di ben distinguere la lingua nobile dalla
plebea, e le maniere, che per vecchiezza ban no perduta la grazia e la forza
pativa, da quel le che sono ancora belle ed efficaci. Quanto allo studio
de'cinquecentisti, non du bitiamo che ei sia per essere ulilissimo, essen do
che molli eccellenti scrittori di quel tempo adoperarono la lingua, che
appresero da Dante, dal Boccacio , dal Petrarca e dagli altri tre centisti ,
emulando mirabilmente i Greci ed i Lalini in molli generi di scrilture : ma
tenia mo per ſermo che convenga alla gioventù di avvezzarsi al candore ed alla
semplicità del trecento prima di cercare lo splendore, la ma gnificenza, la
copia e l'altezza de' pensieri nei cinquecentisti. Perciocché lulti coloro, che
sfor zano di parere magnifici e splendidi primaché dalla filosofia sieno ſalli
ricchi di cognizioni, fanno l'orazione loro bella nella buccia, una
nell'intrinseco vana e puerile. Non potendo i 128 giovanelli esprimere con
verila se non quei pensieri e quegli allelli, che sono proprii del la tenera
età , troveranno assai comodale al bi sogno le parole ed i modi usati
da'trecentisti, la più parte de'quali, come que' che vissero nell'infanzia
dell'italico sapere, scrissero di tenui materie. Verrà poi quel tempo maturo ,
in che a'giovani farà mestiero di alzare a'gravi concelli lo stile, ed allora
apprenderanno dal Guicciardini gravità e nerbo ; dal Segretario fiorentino
sobrietà ed evidenza ; dal Caro copia, efficacia e gentilezza ; dal Casa
splendore e magnificenza ; dal Galileo ordine e precisione ; dall ' Ariosto e
dal Tasso i pregi lulli, ond' ė divina la poesia . Ma allo studio di quesli e
degli altri molli, che fecero glorioso il secolo di papa Leone, non avranno
l'animo ben di . sposto se non coloro, cui prima sarà piaciuto di allingere ai
puri fonti del trecento, da'quali derivarono i sopraddetli abbondantissimi
fiumi. Questo, o Giovani, è quanto ho stimato op portuno di porvi dinanzi per
indirizzarvi nel cammino delle lettere, alle quali inolti vanno per vie
distorte e per lo contrario. Vi ho mo strato quali sieno gli elementi della
Elocuzio ne ; come nel contemperarli secondo le leggi del decoro si loronino i
varii caratteri; e final. mente come lo stile proceda da naturale di sposizione
e come col sapere si perfezioni . Darò fine coll'avvertirvi, se vero è che la
scienza e l'esempio fanno l'arte, è vero altresì che arte senza uso poco giova
: onde, se dallo stile cercate onore, vi sarà bisogno di neditare mollo , di
leggere molto e di scrivere mollissimo. Grice: “It may be said that my
transcendental Kantial approach to cooperative rational conversation is a
response to Costa’s totally empiricist (or ‘sensista’ as he prefers)
invocations of ‘chiarezza’ (my imperative of conversational clarity), and
brevita, eleganza, and all the categories that inform the maxims. Paolo Costa.
Keywords: la teoria sensista della communicazione – idea dei chi proferisce la
proposizione “Me diletta l’odore di questa rosa piu del colore”, cooperiamo, e
la risponsa di nostre anime e “Contrariamente, a me mi diletta il colore di
questa rosa piu dell’odore” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costa” – The
Swimming-Pool Library.