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Thursday, April 29, 2021

Grice e Costa

 

Costa (Ravenna). Filosofo. Grice: “My favourite keyword for Costa is ‘contrassegnare’!” – Grice: ““I love Costa; for one, he improves on Locke; on the composition of ideas and how to ‘countersignal’ them with ‘vocaboli precisi’ – I explored that a little in my ‘Prejudices and Predilections,’ when I attack minimalism and extensionalism, and provide a way which is meant to resemble Locke’s way of words, or rather Locke’s way of ‘complex’ words, or ‘composite’ (Costa’s ‘comporre’) out of ‘simple’ ones – as in Quine’s worn-out ‘bachelor’ unmarried male that I play with with Strawson in “In defense of a dogma.” In this respect, it is interesting to see that Costa also wrote on ‘ellocution’ and ‘sintesi’ versus ‘analisi’!” Figlio di Domenico e Lucrezia Ricciarelli, studia a Ravenna e Padova. Insegna a Treviso e Bologna, a Villa Costa, Bologna -- è costretto a riparare a Corfù perché sospettato di essere affiliato alla Carboneria. Può rientrare a Bologna. Altre opere: “I trattati della elocuzione e del modo di esprimere l’idea e di segnarla con una espressione precisa a fine di ben ragionare” – Colla profferenza, “Fa fredo,” Costa segna che fa freddo. Il trattato filosofico della sintesi e dell'analisi; i quattro sermoni dell'arte poetica, un commento alla Divina Commedia, la Vita di Dante, il Dizionario della lingua italiana, poesie (Laocoonte), lettere e traduzioni.  Letterato neo-classico e dunque tipicamente italiano e anti-romantico, ammira i corregionali Monti e Giordani e sostenitore del purismo e del “sensismo” lucreziano in filosofia. Nella lettera a Ranalli di introduzione al Della sintesi e dell'analisi così riassume le sue concezioni filosofiche. È necessario, per togliere la infinita confusione che è nelle scienze ideologiche, di dare all’espressione un determinato valore. Sostengo che questo non si può ottenere, come crede Locke, colla de-finizione (horismos) (la quale e una scomposizioni di una idea o di piu idee), se prima la idea non sia stata ben composta. Sostengo che questa non si puo compor bene, se prima non si conosce quale ne sieno gli elementi semplici – soggetto e predicato, il S e P -- Sostengo che un elemento semplice e una reminiscenza relative a una sensazione, e che la idea si compone di almenno due di sì fatti elementi – il S e P – la proposizione, ‘segno che p’ -- e del sentimento del rapporto di una reminiscenza e dell’altra, cioè dei proposizione – nel indicativo o imperative – il giudizio – il giudicato – e la volizione – il volute. Da ciò conséguita che l'esperienza (se l'esperienza vale ciò che si sente mediante l'attenzione) è il fondamento della scienza umana. I kantisti ed altri filosofi distinguono una idea in una idea soggettiva e in una idea oggettiva, ed attribuiscono un'origine a posteriori e sintetico alla una ed un'origine a priori e analitico all’ltra. Questa distinzione può esser buona, ma non è buona l'ammettere che abbiano origini di natura diversa: a posteriori/sintetico, dal senso – e a priori/analitico – dall’intelleto – nihil est in intellectus quod prior non fuerit in sensu.  Ogni idea ha un stesso origine. e questo si fa palese per un solo esempio. Da una idea soggettiva puo nascere sue  proposizioni. Una proposizione: "La reminiscenza S1 e la reminicenza S2 sono in me”. Altra proposizione: “La reminiscenza S si associa con la reminiscenza P”. Qual è l'origine dell’idea dalla quale deriva sì fatta proposizione? Il sentimento. Dire che la reminiscenza del color di rosa è in me, è dire che sento che è in me, e dico: “Vedo una macchia rosa”. Così direte dell'altra proposizione. Dall’idea oggettiva puo nascere una proposizione e altra proposizione. Il corpo pesa. La rosa manda odore. Da che nasce la proposizione? Dal sentimento (senso). Perciocché dire che questo corpo pesa è lo stesso che dire che sento il peso di questo corpo; giu-dico, ovvero, sento che la cagione (causante, causans) della mia sensazione tattile del senso del tattoo è in questo corpo. Così dire che la rose manda odore è lo stesso che dire che sento l'odore della rosa, giu-dico, ovvero, sento che l'odore dela rosa ha una delle cagioni in cose fuori, cioè che non sono in me. Fra una idea soggettiva e una idea oggettiva non vi è altra differenza, se non che nella che si suppone oggetiva  sento che la cagione (causans) è nella nostra persona. Nell’idea che si suppone oggetiva sento che la cagione (causans) è in me (o noi entrambi – nella diada --), nell’idea soggetiva nella cosa (il reale). fuori. Ma come sentiamo noi che vi sia una cosa (il reale) fuori? Questo è il gran problema dagl'ideologi non ancora solute. Ma l'ignoranza in che siamo non dà facoltà legittima alla scuola trascendentali di concludere che il giudizio dell’idea soggetiva non dipende dal sentire. Il giudicio è un sentimento, cioè, un rapporto sentito fra una sensazione e altre sensazione, una reminicenza (il S) e altra reminiscenza (il P); ché se tale non fosse, nessuno potrebbe dire che l'idea che abiamo di una rosa p.e. ha la sue cagioni fuori di noi entrambi, perciocché una sì fatta proposizione suppone che l'uomo che proferisce questa proposizione o explicatura (spiegato) abbia o la sensazione S e la sensazione P, o le reminiscenza S e la reminiscenza P in relazione alla sensazione prodotte dalla rosa, e l'idea del sentente. Voi vedete chiaramente, che nell'uno e nell'altro degli addotti esempii la modificazione che chiamamo ‘idea,’ e il sentimento dei loro rapporti sono nella nostre anime ambidue, e che quindi si esprimono falsamente coloro, che dicono che sentiamo il corpo fuori di noi. Dovrebbero dire, strettamente, che sentiamo che la cagione (causans) del nostro sentire (sentito) non è in noi entrambe. Coi fondamenti da me posti si può stabilire una dottrina, se il buon desiderio non mi acceca, per la quale vadano a terra le opinioni di coloro che disprezzano il sensismo, e che con odiosa espressione la chiamano dottrina de' “sensuali”. Con che danno a divedere, che essi mattamente opinano che il materiale organo del senso (i cinque organi, i cinque sensi) senta e percepisca, senza accorgersi che se gli occhi (visum) e le orecchie (auditum) e il naso (odore) sentissero ciascuno separatamente, non potrebbe giammai nascere giudizio alcuno circa la qualità della sensazione  di natura diversa. L’uomo non potrebbe mai dire che l’odore della rosa mi diletta più del colore della rosa, e così via discorrendo. Il sentimento di un solo centro, nostre anime ambidue: e nostre anima ambidue senteno in sé mesima, e non fuori di sé. Puo parere che questa dottrina del sensismo sia la stessa che quella dell'idealista irlandese Bercleio; ma essa è diversa, poiché ammette che oltre la idea vi sieno fuori dell'uomo la cagione (causans) di essa idea. Di questa cagione (causans) – il reale, il noumeno -- noi conosciamo l'esistenza, e nulla più. Che cosa e un corpo in se stesso? A questa interrogazione non si può rispondere se non dicendo che e ignota la cagione della nostra sensazione condivisa. Sappiamo che esiste, sappiamo che si modifica, e tutto ciò sappiamo, perché fa della mutazione nell'animo nostro ambedue o nell’anima nostra ambedue. Dal che si deduce ciò che dianzi vi dissi, che ogni idea ha per loro due primitivi elementi (il S e P) la sensazione, la reminiscenza, il sentimento che e nelle nostre anime ambidue, e non fuori di lei. Così la pensa il filosofo chiamato per beffa dal cattolico romano col nome di sensualista e di materialista. Materialista a buona ragione si puo chiamare i nostri avversario, o almeno materialista per metà, giacché ammette che il sentimento del corpo percepiscano, e giudichino relativamente alla qualità del reale, della cosa esterna. Leggete le lettere filosofiche di Galluppi stampate non è guari in Firenze. In Galluppi troverete chiaramente esposte la dottrine sensista, quelle di Hume circa la cagione, e segnatamente quelle di Kant. Se dalle mie teoriche si possono ricavare gli argomenti validi a confutare le opinioni del filosofo trascendentale, o di coloro, che oggi si danno il nome di eclettico – come ha tempo Cicerone --, io vi prego di compilare alcune note, o vogliam dire corollarii, pei quali si vegga manifesta la falsità di alcuni principii del irlandese Bercleio, del scozzese Reid e del scozzese-tedesco Kant, la filosofia dei quali è fonte della massima parte della moderne follia (Della Sintesi e dell'Analisi, ed. Liber Liber / Fara Editore). Altre opere: “Alighieri”; “Della elocuzione” Fara editore, S. Arcangelo di Romagna); “Della sintesi e dell'analisi” (Giovanni Battista Borghi e Melchiorre Missirini); “La divina commedia, con le note di Paolo Costa, e gli argomenti dell'Ab.G. Borghi. Adorna de 500 vignette” (Giovanni Battista Niccolini e Giuseppe Bezzuoli, Firenze, Stabilimento artistico Fabris,Claudio Chiancone, La scuola di Cesarotti e gli esordi del giovane Foscolo, Pisa, Edizioni ETS  (sulla formazione padovana del Costa, e sulla sua amicizia giovanile col Foscolo) Filippo Mordani, Vite di ravegnani illustri, Ravenna, Stampe de' Roveri. Dizionario biografico degli italiani. Una delle facoltà, onde l'uomo è tanto superiore alle bestie, si è la favella [fabula – da ‘fa’, speak – cf. fama], mercè della quale i primi uomini non solo si strinsero in comunanza civile, ed ordinarono la legge ed il governo; ma a fare più beata e gloriosa la vita crebbero le scienze e le arti, ed ispirarono con queste l'odio al vizio ed al falso; l'amore della virtù, del vero, del bello; e i fatti e i nomi degni di memoria ai tardi secoli tramandarono. E qual cosa è più utile ai privati, ed alla repubblica e più degna e di maggiore onore, che l'arte di gentilmenle parlare? Per questa ci è aperta la via alla dignità, alla fortune ed alla fama; per questa le città si mantene ordinata e pacifica; per questa  sono animati i guerrieri – come Niso ed Eurialo --, encomiato un principio; per questa con più degni modi si loda e si prega il supremo autore elle cose, e pura e viva si mantiene nel cuor degli uomini la religione. Laonde, se desiderate onore o giovamento a voi stessi ed alla Italia, ardentemente volgete l'animo a questo nobilissimo studio del parlare o discorsare civile. Che se vi fu dolce fatica l'interpretare e l'imitare gli antichi filosofi romani, non meno dolce vi e il venire meco investigando il magistero, che è nelle opere loro; imperciocchè, essendo la favella [la lingua, il parlare] istrumento col quale si commovono e si traggono gli animi degli uomini, uopo è di volgere sovente la considerazione alle proprietà dell'intelletto e del cuore umano; il che , pel naturale desiderio, che abbi mo di conoscere noi stessi, è dilettevolissimo. Mettiamoci dunque volentieri a quest'opera; e per cominciare con ordine , poniam subitomente al fine, che si propone chi scrive, perocche non sarà poi difficile temperare ed ordinare secondo quello il modo del favellare. La favella – nella diada conversazionale -- intende a *manifestare* (cfr. Vitters) ad altro un pensiero e un affetto proprio con soddisfazione dell’altro. Ad ottenere questo FINE, sono necessarie due codizioni. Prima: che la elocuzione sia chiarà – Grice: “imperative of conversational clarity). Seconda condizione: che l’elocuzione sia ornata convenevolmente. Parliamo tosto della chiarezza conversazionale, che poco appresso diremo dell' ornament. La chiarezza da due cose procede. Prima: dalla qualità dell’espresione, che si pone in uso. Secondo: dalla collocazione – cum-locatio, syn-taxis -- loro. Prima diciamo della qualità dell’espressione, L’espressione, che e un *segno* [cf. Grice: Words are not signs] di una idea, fa perfettamente l'ufficio suo ogni qual volta sia ben determinata, cioè appropriata a ciascuna idea singolare per nodo, che non possa a verun' altra appartenere. Per meglio iutendere in che consista la natura loro, bisogna considerare che ogni idea e composta – il S e P - ; e che alcune, differendo da altre in pochi elementi, abbisognano di segno particolare, per apparire distinte. Quell’espressione che la distingue dicesi “proprio”. Vaglia un esempio. L'idea di ‘frutto’ ha per suoi elementi le idee delle qualità comuni a ogni frutto; l'idea di “melagrana,” oltre i detti elementi , comprende le idee delle qualità particolari della melagrana: perciò è che, se chiameremo frutto la melagrana, quando è mestieri distinguerla, non parleremo con proprietà. (cf. Lawrence: What is that? E un fiore). Ho qui recato il materiale esempio di un errore, in che è diſficile di cadere, affinché si vegga chiaramente non essere molto dissimile da questo l'errore di coloro, che d'altre cose ragionando usano i vocaboli generali (fiore) per ignoranza' de'particolari (tulipano). Tanto sconvenevol cosa si repula l 'usare una espressione impropria, dice il Casa, che si hanno per non costumali coloro, i quali, non dan dosene gran pensiero, pare che amino di essere frantesi, e nulla curino il fastidio di chi si sforza d'intenderli: all'incontro coloro, i quali usano l’espressione propria, mostrano di essere civili, essendo solleciti di alleviare altrui la fatica [cf. Grice, prinzipio di economia dello sforzo razionale], poichè pare che mercè della espressione proprie le cose si mostrino, non coll’espressione, ma con esso il dito. I poeti, che sono lodali per la evidenza, onde le cose ci pongono dinanzi agli occhi  ci somministrano esempi del modo assai proprio. Giovi recarne qui alcuno a schiarimenlo di quanto abbiamo detto: Come d'un tizzo verde, ch'arso sia dall'un de capi che dall'altro geme, e cigola per vento, che va via. È qui da notare come l’espressione “tizzo” e l’espressione “cigola” meglio ci rappresentano la cosa, che arde, e l'effetto del fuoco, di quello che se Alighieri avesse detto: un ramo verde fa romore per vento che va via, essendo questa SIGNIFICAZIONE alta a denotare altra idea non simili in tutto a quella che si voleva esprimere. Cosi Petrarca disse propriamente: raffigurato alle fattezze conte, piuttosto che dire alla persona; e Alighieri: levando i moncherin per Ľaria fosca, in vece di dire, levando le braccia tronche. Qui si vede come l’espressione “fattezza” e l’espressione “moncherino” sieno meglio usati per essere espressione di SIGNIFICAZIONE SINGOLARE. Se la proprietà [cf. be as informative as is required – avoid ambiguity] è si necessaria a SIGNIFICARE la cosa che cade sotto i sensi, quanto maggiormente nol sarà ella, quando si vogliono esprimere le idee intellettuali e le morali, che se non fossero determinata in virtù dell’espressione, o svanirebbero dalla mente nostra, o vi starebbero disordinate e mal ferme? A quel modo che dalla precisione delle cifre dell'aritmetica dipende la esattezza de’ calcoli, cosi dalla proprietà dell’espressione dipende quella delle idee e de' ragionamenti in qualsivoglia delle scienze astratte; e quindi ottima è quella sentenza del filosofo: consistere il sommo dell'arte di ragionare nel l'uso di un discorso bene ordinata. Anche Piccolomini ha detto della sua parafrasi di Aristotele, che la base e il fondamento della elocuzione si ha da stimar che sia la purità, la netlezza e candidezza – cf. Grice, the imperative of conversational candour -- di quel discorso, nella quale l'uom parla. Ad acquistare l'abito di discurrire con proprietà tre cose si richieggono. Prima,  il saper bene dividere le idee fino ai primi loro elementi. Secondo, il conoscere l'etimologia dell’espressione (etimo: il vero), per quanto è possibile. Terzo, il rendersi famigliari le opere degli antichi filosofi romani, ne'quali è dovizia di voci pure e di modi assai propri. Chi non ha uso delle delle cose è spesso costretto di adoperare le noiose circonlocuzioni in luogo di un solo vocabolo o di una breve sentenza, e di abusare de sinonimi. Si dice “sinonimo” l’espressione di una medesima sigoificazione, o quelli, che rappresentando le stesse idee principali, differiscono in qualche accessoria. Della prima generazione sono i seguenti: fine e finimenio; abbadia e badia; consenso e consentimenlo e simili. Aliri ne trov po nella formazione de' tempi, e de'partecipii, come rendei e rendetli ; visto e veduto; parso e paruto; ma colali sinonimi non sono in gran numero. La più parle è di quelli che differiscono per aumento, o diſelto di qualche idea accessoria. Cavallo, corridore, destriero , palafreno, poledro, rozza, sono espressioni istituite a significare il medesimo animale; ma ognuna differisce dall'altra. “Cavallo” denola la qualità della specie; “corridore” la particolarità d'esser veloce; “destriero” ricorda l'uso di menare il cavallo a mano destra; “palafreno” quello di frenarlo colla mano; “poledro” la qualità dell'essere giovane; “rozza” quella dell'essere vecchio e disadalto. Le voci unico e solo sembrano per avventura la stessa cosa; ma il Petrarca disse la sua donna essere “unica e sola” (one and only), volendo significare che nessun'altra è nella schiera di Laura, e che nessuna può esserle dala in compagnia. Incontra alle volte, che le parole istituile a significare un'idea stessa differiscono per la virtù, che haono di richiainarne alla mente alcun'altra più o men nobile, o per cagione del suono o vobile o rimesso, o per cagione dell'uso, che di quella suol esser fatlo in umile o in illustre componimento. Tali sono , a cagione d'esempio, i vocaboli “adesso” ed “ora”, che significano ‘il momento presente’, ma “adesso” non sarebbe ricevuto in nobile componimento ; dal che si vede che sebbene ei denoli il punto presente del tempo, come fa l'altro, pure trae in sua compagnia alcune idee, che il fanno parere di bassa condizione. É dunque da por wenle che l’espressione, che si dice sinonimo, non sempre ci rappresentano stesso complesso d'idee ; e quindi può intervenire, che ingannali dall'apparenza, alcuna votla siamo lralli ad usarli impropriamenle. È da avvertire per ultimo, che ogni espressione antiquale, cioè quelle, che pel consenso universale de’ filosofi sono stale abolite, non hanno più luogo tra le voci proprie. Si uilmente sono improprie ogni espressione dei dialelli parlicolari, e l’espressione forastiera, che dall'uso de' wigliori filosofi non hanno avuto la cile tadinanza. Le quali tutte non sarebbero bene intese dall'intera Italia; e perciò denuo essere, da chi desidera di discurrire chiaramente, a lullo polere schivale. Questo basli aver dello della proprietà, che è la prima cosa, che si richiede a render chiara le elocuzione. Direino poi a suo luogo come il trasporlare con altra legge di proprietà l’espressione dal significato proprio all'improprio giovi maravigliosamente alla chiarezza. In virtù dell’espressione esprimiamo i nostri giudizii, e collegando insieme il giudizio espresso formiamo i raziocioii, i quali verranno chiari alla menle altrui , qualvolta sieno osservate le leggi, di che ora faremo parola; ma prima si vuole avvertire, cha talora il discorso può es sere ordinato secondo le leggi, per le quali ' riesce chiaro, ma non avere poi quella forza, quella virtù e quella eſficacia, che avrebbe, se si disponessero le parole diversamente senza però offendere le delle leggi. A suo luogo direno della disposizione (sintassi) delle parole, che agagiunge efficacia al discorso. Ora è a dire solo tanto di quella, che lo fa chiaro. Ogni giudizio espresso dicesi proposizione. Nel ragionamento, il quale di nolle proposizioni si compone, alcuna vene ba, che viene modificata dalle altre. Quella, che è modificata, dicesi principale, le allre suballerne (o minore). Vaglia a ben distinguerle il seguente esempio del Casa. Menire i nostri nobili cittadini gli agi e le morbidezze e i privuli loro comodi abbracciano e stringono, l'impera lore, non dormendo nè riposandu , mu travagliando e fabbricando, ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta. L'imperatore ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta è la proposizione (premessa) principale (maiore), le altre, che lei modificano, sono le subaltern (premessa minore). La proposizio ne principale, a somiglianza della principale figura in un dipinto, dee fra tutte le subalterne campeggiare e risplendere; per ciò è che vuolsi evitare la frequenza di queste ultime, le quali, allorchè fossero troppe, invece di raflorzare la principale o premessa maiore, siccome è loro officio, verrebbero ad indebolirla. Questa si è la prima avvertenza , che circa le proposizioni subalterne aver dee colui che discurre; indi si prenderà cura di ben' collocarle. Prima che veniamo a dire quale sia la buona collocazione loro, è necessario di osservare, che le delle proposizioni subalterne si distin guono in espresse ed in implicite. Diconsi espresse quelle, nelle quali tutte le parli loro sono manifeste, come nella seguente : ľuomo è ragionevole. Diconsi implicite quando il giudizio che si esprime, e significati dall nome addiettivo o dal nome sustantivo con preposizione o dall’avverbio, come nelle seguenti. L’uomo GIUSTO è lodato. Pilade ama Oreste. CON. I romani amarono GRANDEMENTE la patria. Quando si dice “l'uomo giusto” si viene ad affermare che ad esso si appartiene la giustizia, che è quanto dire giudichiamo che egli è giusto. Si dica il medesimo delle altre due proposizioni. Ama con FEDE GRANDEMENTE, La proposizione IMPLICITA (entimema, implicatura) serve a significar del giudizio, che per abilo la mente umana FEDE amarono suol fare rapidamente; perciò è che non si denno usare in vece di quelle la proposizione espressa, SPLICITA (splicatura), perciocchè impedirebbero la spedi tezza dell' intelletto di nostro compagno conversazionale. Si dovranno ancora nello scegliere la proposizione implicita (implicatura, impiegato) schivare le inutili, cioè quelle, che risveglierebbero le idee, che in virtù del solo sustantivo o del solo verbo possono essere richiamate a mente, e scegliere quelle, che meglio qualificano il significato. Sarebbe, a cagione d ' esempio, vano (redundante) e noioso l'aggiunto di “bianca” alla “neve” (salvo se il caso richiedesse di far conoscere parti colarmente questa qualità), essendo che l’espressione “neve” trae seco, senz'altro aiulo, la idea di ‘bianco’ (cf. ‘atleta’ ‘longo’). Rispello alla collocazione della proposiziona suballerna, sia ella implicite o espresse, la regola (massima, imperativo) si mostra di per sé: imperciocchè, essendo intese a denotare alcuna qualità del signato o da' sustantivo o da' verbo o da' participio, deve chiaramente apparire a quali di queste parti dell'orazione (l’otto parti dell’orazione – partes orationis) vogliono appartenere; e perciò fa mestieri collocarle in luogo tale, che mai non venga dubbio se sia poste a modificare piuttosto l'uno, che l' altro o verbo o participio o sustantivo. Quao do a ciò si manca nasce perplessità (“misleading, but true) come nel seguente luogo di Boccaccio. E comechè Aligheri aver questo libretto fallo nell'età più matura si vergognasse. Qui può sembrare che il libretto sia stato falto nell' età più matura; che se avesse dello: comechè egli aver futto questo libretto si vergognasse nell'età più matura, la proposizione sarebbe stata chiarissima. Alcuna perplessità è ancora in quest'a tro di Passavanti: Leggesi, ed è scritto dal venerabile dottor Beda, che negli anni domini ottocento sei un uomo passò di questa vila in Inghilterra. Comechè non sia per cadere nel pensiero di alcuno che colui, che si parle di questa vita, possa andare in Inghilterra, nulladimeno, per quella collocazione di parole, la mente di chi legge resla alcun poco sospesa. Molte traspposizioni, che si bia simano nella lingua italiana, sono spesso con venevoli nella lingua latina, perchè nella lingua romana gli aggettivi, che per le desinenze diverse nei generi, nei numeri e nei casi si accordano coi sustantivi, rade volte lasciano dubbio a cui vogliano appartenere, e rade volte i casi obliqui si confondono col caso retto, comunque nella proposizione sieno collocati. Bellissimo è in latino il seguente luogo di Crasso, riportato da Cicerone. Haec tibi est excidenda lingua, qua vel evulsa spiritu ipso libidinem tuam libertas mea refutabit. Tenendo l'ordine di queste parole nella lingua italiana si produce falsità nella sentenza: sconvolgendolo si perde tutta l'efficacia. Se diremo. Questa lingua li è d'uopo recidere: recisa questa, col fiato stesso la tua sfrenatezza la libertà mia reprimerà, apparirà che la sfrenatezza reprima la libertà. Se per lo contrario tradurremo. La libertà mia reprimerà la tua sfrenatezza, toglieremo alla sentenza molto della sua forza. Vedremo a suo luogo la ragione, per cui la diversa collocazione di una espressione semplice rafforza o snerva l'espressione complessa. Ora ci basti osservare, poichè cade in acconcio, che le varie lingue (parlando ora della sola facoltà, che hanno di permutare il luogo alle parole), luttochè sieno alle a qua. Junque specie di componimento, nol sono ad esprimere uno stesso concetto nella stessa forma; perciò è che quando si trasportano le scritture da una favella ad un'altra non dovrà l'espositore darsi briga di ritrarre espressione per espressione, ma, avendo rispetto al genio della sua lingua, cercherà di produrre per altro conve pevol modo negli animi di nostro compagno conversazionale gli effetti, che l’espressione in lui operarono. Per fuggire le equivocazioni [cf. Grice, avoid ambiguity] gioverà ancora badare ne' verbi alla prima voce dell'imperfetto dell'indicativo, la quale è simile alla terza, dicendosi io amava, colui amava; perciò a distinguerle è sovente bisogno di pre ineltere all’espressione ‘amava’ il nome o il pronome. Giova spesso alla chiarezza, e segnatamente nell’espressione complessa o composita, il ben distinguere le persone e le cose, delle quali si parla (il topico); e perciò sta bene talvolta il *ripetere* il nome per non confondere l’una coll'altra; imperciocchè i prononi e i relativi sogliono spesso essere cagione di equivoco – confusione – cf. avoid ambiguity, be perspicuous [sic], the imperative of conversational clarity; e questo interviene specialmente, quando nella proposizione antecedente sono più sustantivi di un medesimo genere e numero, che si possono accordare coi relativi delle susseguenti; perciò conviene tal volta o giovarsi di un sinonimo onde porre in luogo di alcun nome mascolino un femminino, o inulare il numero del più in quello del meno, o viceversa. Può ancora geverarsi perplessità nell'usare il possessivo “suo” e “suoi” invece de relativo lei, lui e loro; e perciò alle volle è necessario adoperar questo per quello, come nel caso seguente. Mai da sè partir nol potè, infino a lanto che egli (Cimone) non l'ebbe fino alla casa di lei accompagnata. Se Boccaccio avesse detto, fino alla casa sua accompagnata, si sarebbe potuto credere essere quella di Cimone. Per far maniſesta (esplicita, chiarissima) la connessione de'ragionamenti sono assai opportune le particelle copulative (“e”(, avversative (“ma”), illative (“se”) e somiglianti – disgiuntiva (“o”). Molli fra' filosofi italiani, ad imitazione de’ filosofi francesi, sogliono scrivere a piccoli membri senza congiungerli insieme colle particelle, e in ciò sono da biasimare, iaperciocchè costringono la mente di nostro compagno conversazionale a passare “di salto” da una proposizione all'altra senza dargli occasione di scorgere subitamente le attenenze (pertinenza, relevanza – cf. Grice, category of relation – be relevant – a ‘platitude’ -- Strawson) loro. Affinchè si vegga manifestamente quanto la mancanza de' legamenti tolga di chiarezza al discorso, leverò dal seguente luogo del Passavanti le particelle che ne conneltono le parti. Qualunque persona sogna, pensi se il suo sogno corrisponde all affezione sua, a quella che più ta sprona. Se vede che si , non a . spetti che al sogno suo debba altro segui. tare. Quel sogno non è cagione, alla quale debba altro effetto seguitare; è l'effetto dell'affezione della persona. Tale sogno oseservare, cioè considerare donde proceda, non è in sè male: è l'effetto di naturale cagione. Facciamo congiunti questi membri colla particella “e”, la particella”imperciocchè, la particella “ma” e vedremo il discorso apparire più chiaro (“She was poor and she was honest”) Qualunque persona sogna, pensi se il suo sogno corrisponde all’affezione sua, a quella, che più lu sprona. E se vede che si, non aspetti che al sogno suo debba altro seguilare; *imperciocchè* quel sogno non è cagione, alla quale debba altro effetto seguitare; *ma* è l'effetto del l'affezione della persona; e tale sogno osservare, cioè considerare donde proceda, non è in sè male: imperciocchè è l'effetto di natural cagione. Quesli pochi avvertimenti basteranno, se io non erro, a render cauti i conversatori, che desiderano di conversare chiaramente. Tralascio le wolle cose, che i filosofi hanno ragionato in torno la proposizione, poichè mi pare che, qual volta siasi imparato a distinguere la proposizione principale (premessa maiore) dalle proposizione subalterna (premessa minore), e siasi conosciuto che la virtù di queste si è di modificare le parti dell'altra, non faccia mestieri di *molto sottile* ragionamento a sapere in che modo elle si debbono collocare nella orazione o espressione complessa; perciò senza più entro a parlare dell' ornamento. La perſezione dell'arte del conversare, secondo Cicerone, consiste nell'esporre chiaramente, or nataniente e convenevolmente le cose o il topico, che a trattare imprendiamo. Di quella chiarezza e di quell'ornamento e decoro, che dalla invenzione e disposizione della materia procede, si ragiona in altre due parti della rettorica. Accade qui di parlare delle suddette tre qualità solamente rispetto al modo di significare (modus significandi) il concetto ritrovati. Avendo abbastanza detto della prima, diremo ora delle altre due, che fanno il discorso – la mozione conversazionale -- accetto a nostro compagno conversazionale. Prima di tullo si vuole osservare che la proprietà delle voci e l'ordinata (cf. Grice, be orderly) composizione loro generano gran parte della bellezza del discorso; imperciocchè fanno sì, che esso sia inleso senza fatica, che è quanto dire con qualche sorta di piacere. Ma questo non basta; chè nessuno per verità loda il conversatore solamente perchè si fa intendere dal suo compagno conversazionale; ma lo biasima e sprezza, s ' ei ſa altrimenti. Chi è dunque che faccia meravigliare gli uomini e tragga a sua voglia le volontà loro? Chi è applaudito e chi è venerato più che more tale? Colui, che nel conversare è distinto, copioso, splendido, armonioso, e che queste qualità, onde si forma l'ornamento, congiunge al decoro. Que' che conversa co'rispetti, che la qualità delle materia e del compagno conversazionale richiede, solo merita lode: che qualsivoglia ornamento disgiunto dal decoro diviene sconcezza e deformità. Di questo decoro diremo più particolarmente a suo luogo; ora veniamo a discorrere le parti dell'ornamento. Molto leggiadre ed efficaci sono le voci proprie, che per cagione del loro suono hanno somiglianza col significato, o quelle che ne ricordano qualche particolare qualità. E espressiona, che ricorda il significato per somiglianza di suono le seguenti: “belato”; “ruggito”; “soffio”; “nitrito”; “boato”; “rimbombo”; “tonfo”, e molte al tre, che per alcuni furono chiamate termini figure, a differenza di quelle, che, non avendo soosiglianza veruna col significato , furono delle termini memorativi o cifre. Fra i termini figure voglionsi annoverare, oltre le voci che abbiamo teste accennat , quelle che o provengono da altr’espressione, che è segno di cosa somigliante al signficato che si vuol esprimere o communicare (cf. Grice on the circularity of analyising ‘signare’ e ‘communicare’), o ricordano l'origine o gli usi del significato. L’espressione “spirito” è bella per certa tal qual somiglianza, che il significato, cioè l’immateriale sostanza, sembra avere col fialo o con qualsivoglia altra sottil materia, che spiri. Belle similmente e l’espressione “moneta” e l’espressione “pecunia”. la prima delle quali, venen do da “moneo”, significa che il metallo ed il conio ammoniscono la gente circa il valore di essa moneta. La seconda, venendo da pecus, ricorda l'origine del denaro, che fu sostituito ai buoi ed alle pecore, antica inisura delle cose mercatabili. Ho qui posti questi due esempi ancora perchè si vegga ' quanto giovi alcuna volta l'investigare l’etimologia. Concorrono co' termini propri e co' termini figure a far bella la mozione conversazionale le parole nobili, qualvolta sieno convenevolmente adoperate. Accade delle parole, dice Pallavicini, che comunemente accade degli uomini nel civil conversare. Questi acquistano ripulazione o vilipendio dalla qualità delle persone colle quali usano farnigliarmente; e le parole dalla qualità delle persone da cui sono sovente proſerite; e ciò interviene perchè tutti hanno per fermo, che i personaggi illustri e gli uomini letterati sieno esperti a conversare con legge, e che la plebe allo incontro parli e cianci barbaramente. Avviene da ciò che alcune voci, che significano cose vili o laide, sono tuttavia tenute per nobilissime. All 'opposito altre ve a'ba, che, nobili cose significando, in grave componimento non sarebbero lodate. Della prima spezie sono in Italia l’espressione “lordo”; “lezzo”; “tube”; “piaga”, ed altre, che nelle più nobili conversazione sogliono essere usate. Dall'altro canto l’espressione “papa”, siccome osserva il lodato cardinale Pallavicini , la quale nobilissimo personaggio rappresenta, non sarebbe ricevuta in grave componimento poetico. In tre schiere vengono separate dal Pallavicini le parole rispetto la maggiore o minore nobiltà loro. Nella prima si collocano quelle, che dal conversatiore in nobile conversazione e usata a significare un concetto grande ed il lustre. Vocaboli di questa specie non si potran no senza affettazione adoperare in tenue argomento o in famigliare discorso. Che se alcuno famigliarmente usasse l’espressione “pugna” in vece di “battaglia”; “luci” in vece di “occhi”; “accento” o “nota” in vece di “parola”, certo è che move rebbe a riso il compagno conversazionale. La seconda schiera è di quella espressione, che vanno egualmente per le bocche degli uomini ragguardevoli e del popolo, e che si possono senza biasimo usare in ogni occorrenza. La terza poi è di quelle, che furono avvilite nella bocca della plebe, come e l’espressione “pancia”; “budella”; “corala” e simili , le quali possono essere opportune in una conversazione intesa ad avvilire alcuna cosa, come e la mozione conversazionale ‘satirica’. Anche le espressione antiche, qualvolta elle abbiano convenevole forma e non sieno passate ad altro significato [non multiplicare sensi piu di la necessita], vagliono à nobilitare la conversazione; ma si richiede somma cautela in co lui che a vila le richiama, poichè, siccome ė detto di sopra, una espressione antiquata, ollrechè spesso portano seco oscurità [cf. Grice, ‘avoid obscurity of expression, procrastinate obfuscation], più spesso fanno l'orazione ricercata e deforme. E chi oggi p trebbe, senza indurre a riso il compagno conversazionale, l’espressione “beninanza”; “bellore”; “dolzore”; “piota”, “spingare” ed altre simili d’usare. Ora diremo della metafora (“You are the cream in my coffee), la quale usata opportunamente è lume e vaghezza della orazione. Prima è a sapere che gli uomini selvaggi per essere scarsi di cognizioni mancarono dell’espressione, e che volendo eglino significare alcuna cosa non ancora significata, fecero uso naturalmente di quella espressione gia usata, la quale e stata inventate a contras-segnare *altra* cosa somigliante in qualche parte all'idea novella (“You are LIKE the cream in my coffee”). Occorrendo loro, per esempio, di significare alcun uomo crudele, il chiamarono “tigre” per la somiglianza dell'indole di colal bestia con quella dell'uomo crudele. Cosi dissero assetate le campagne asciulle, “volpe” 1'uomo astuto (“sly as a fox” – he is a fox), “capo del monte” la cima, e “piè” del monte la falda di quello. Per gli addotti esempi si vede questo trasporlamento (meta-bole, transferenza, trans-latio) di una expression da un significato propio e vero ad un significato impropio e falso (“You are the cream”) altro non essere che una similitudine ristretta in una espressione (“You are like the cream – simplifcata a “You are the cream”); impercioc chè la seguente similitudine spiegata. La comparazione vera “Costui è crudele COME una tigre” si restringe (per brevita) in questa forma metaforica falsa. “Costui è una tigre”. È dunque la metafora una abbreviata similitudine [an elliptical simile], che si fa recando una espressione dal significato proprio al signficato improprio: e perciò da Aristotele è detta imposizione del nome d'altri. Siccome la metaſora fu da principio usata per *necessità*, potrà parere ad alcuno che crescendo il numero delle idee determinate e della espressione propria, la metafora divenga pressochè inutile – o una figura di retorica --; ma non accade cosi: perocchè, sebbene fra le conversatori civili e culle non sia tanto necessaria quanto fra le selvagge e rozze, pure la metafora è e sarà sempre luce e vaghezza della conversazione per virtù e forza di quelle sue qualità, che ora verrewo particolarmente esponendo. La metafora presenta spesso all'animo più chiaramente ogni sorta di concetti, poichè, veslendo di forma *sensibile* una idea non-sensibile, o intelleltuale (nihil est in intellectu quod prior non fuerit in sensu), ce le pone davanli agli cinque sensi. Voleva Alighieri significare che non è meraviglia se per la le nuità della nostra fantasia non possiamo per venire ad imaginare le cose, che Alighieri desiderava narrare del Cielo; e questo con una metafora dicendo. E se le fantasie nostre son basse a tant'altezza non è maraviglia. Per tal modo il concetto, che era tutto non-sensibile e intelettuale, divenne sensibile e per conseguente più chiaro (cfr. Grice, ‘be perspicuous [sic] – the imperative of conversational clarity] e più popolare. E se taluno volendo dire che gli uomini bugiardi saono talvolta infingersi e comporre gli atti e le parole a modo di parer verilieri, dicesse che la menzogna prende talvolta il manto della verità, non significherebbe egli il suo concetto assai vivamente. (He said that she was the cream in her coffee, By uttering ‘You’re the cream in my coffee” U signs – explicitly – THAT the addressee is the cream in the utterer’s coffee. Fra tutte le metafore poi e più efficace quella metafora che si cava da una qualità sensibile, corporea, materiale, che si mostra a le cinque sensi, e forse la ragione si è questa. Alla reminiscenza della qualità di un corpo, la quale ci vengono all'animo per i cinque sensi, più tenacemente si associano le idee, che di essi ci vengono per gli altri sentimenti; quindi è che ogni qualvolta ci riduciamo a memoria una della qualità sensibile (in questo caso visibile) del reale (un oggetto) quasi tutte le altre appartenenti a quello pur si risvegliano , e vivamente ed intero lo ci pongono dinanzi agli “occhi” dell'intelletto. Laonde se belle sono le metafore – parola dolce. che si cá vano dalla qualità, da cui sono affetto: l'odorato (secondo senso dell’odore), il tatto (terzo senso del tatto), l'udito (quarto senso dell’audizione) e il gustato (quinto senso del gusto), come queste: odore di santità – odore santo, durezza di cuore – duro cuore, ruggir di venti, vento ruggente -- dolcezza di parole; parola dolce -- più bella, per che più viva si presenta all'animo, entrando quasi per gli cinque organi de’cinqe sensi, sono le seguenti. Splende la gloriu (visum). Folgoreggiano gli scudi; ridono i prali (udito); si rasserena la fronte ; l’anima è oscurata per tristezza. Piacquero ad Aristotele sommamente quella metafora, che ci rappresenta (re-praesentatum, rappresentato) la cosa in mozzo, e principalmente quando la metafora attribuisce a una in-animato una operazione di un animato.Tali sono queste di Omero. Le saette di volar desiose; inorridisce il mare. Anche Virgilio, parlando di una satta entrata nel petto di una vergine, disse. Harsit virgineumque alle bibit hasta cruorem. Si dalla metafora ci pone la cosa vivamente quasi innanzi agli organi dei cinque sensi, e per la “novità” o vita (no morte) loro ci fanno maravigliare. La metafora, siccome dice Aristotele, partorisce dottrina, facendo conoscere fra le idee alcuna attenenza dianzi non osservata. Quale attenenza scorgesi tosto fra un manto e la no billà della prosapia? Certamente nessuna: pure veggasi come Alighieri ce la fa scorgere. Opoca nostra nobiltà di sangue, ben tu se'manto, che tosto raccorce, sì che se non s'appon di die in die lo tempo ya d'intorno co' la for Coine un bello e ricco manto adorna la persona di colui che sen veste, così adorna l'animo d' alcuni uomini quell'onore che ricevono pei pregi degli avi loro, e che chiamasi nobillà: ma, se per virtù novella non si rinfranca, ei viene di giorno in giorno scemando. Questi pensieri il divino poeta ci reca alla mente colla nuova similitudine, e ci dilella e ci illumina. Vale eziandio la metafora a muovere con maggior forza l’affeto, perciocchè, laddove alcuna volta parole proprie astretti a recare alla mente di nostro compagno conversazionale le idee una dopo l'altra, la metafora, rappre sentandole tutte ad un tempo, assale l’animo con veemenza. Basti un solo esempio del Petrarca, il quale rivolto alla morte così le dice: con saremmo me dove lasci sconsolato e cieco, poscia che il dolce ed amoroso e piano lume degli occhi miei non è più meco? Quali e quanli pensieri si destano nella mente all’espessione “cieco” e la frase/espressione frasale “lume degli ocehi miei”! Ma circa l'uso della metaſora nell’aſſetto si vuole por menle che ella non mostra  il lavoro e la fatica dell’intelletto, perocchè non è verisimile che colui, che ha l'animo perturbato, si perda a far cerca d'ingegnosi concetti e figure retoriche. È ancora pregio della metafora di coprire con velo di modestia e di gentilezza il segnato, che espressa con un termino proprio (e non un termino figura como e la metafora) sarebbero odioso o turpo. Ecco un bell’esempio del Passavanti. La innata concupiscenza , che nella s vecchia carne e nell'ossa aride era addor meniata , si cominciò a svegliare : la favilla, quasi spenta si raccese in fiamma ; e le frigide membra, che come morte si giacevano in prima, si risentirono con oltraggioso orgoglio. E Virgilio disse. O luce magis dilecta sorori, Sola ne perpetua moerens curpere juventa? Nec dulces natos, Veneris nec praemia noris? Questo e i principale vantaggio della metaſora, onde sovente viene preferita al termino proprio. Diremo ora dei vizii che talvolta elle possono avere. Se bella e la metafora che fa scorgere una maniſesta somiglianza tra due segnati (‘you’ ‘the cream in my coffee’), da che si toglie il vocabolo e l'altra, a cui si reca, chiaro è che deformi saravno quelle, che tengono ji paragone di rose o polla e poco somiglianti, e che sono male acconcie al pro posto dne (“a woman without a man is a fish without a bycicle”). Nessuna somiglianza si vede fra le cose paragonale nella seguente metafora del Marini, Folendo egli lodare un maestro, che formara bellissimi esempi da scrivere, esalta la penna di lui, dicendo ch'ella deve essere divina: Perchè una penna sela, Benchè s'alzi per sè pronto e sicura, Se divina non è tanto non rola. E qual somiglianza è mai tra il relare e lo scrivere? E tolta da peca somiglianza quella metafora che volendo segnare una cosa piccola prende da una cosa grande l'imagine, e al contrario. Mariai assomiglia le lacrime della sua douna a'lesori dell'Oriente, e Tertulliano il diluvio universale al bucato. Erro similmente colui che disse a suo amante. Son gli occhi resiri archiòugiati a ruote, Ele ciglia inarcale archi turcheschi. È bellissina la metafora che Poliziano tolse al Boccaccio. E le biade ondeggiar come fa il mare. Sarebbe difettosa quest’altra. E tremolare il mar come le biade. Viziose come le sopraddeile erano la più parte delle metafore usate dagli scrittori del secolo XVII, e soprattutto dai poeti, i quali sriscerarano i monti per estrarne i metalli, face vano sudare i fuochi, ed avvelenavano l'obolio colp inchiostro. Parmi inutile cosa l'estendermi in questa materia, essendochè il nostro secolo, sebbene incorra in altri vizii, di così falle baie si mostra nemico. Della metafora e l’analogia che e alquanto dura, ė da sapere che puo essere mollificata per certa maniera di dire, quali sarebbero: quasi – per dir cosi e che alcune ve nha, che sono state ammollite dall'uso, come la se. guente: Fabbro del bel parlare. Ė da biasimare ancora la metafora , che la sorvenire il nostro compagno conversazionale di qualche bruttura, o di cosa rile, o che disconvenga alla gravità della trattata materia o topico. Perciò meritamente Casa rimprovera Dante per essere talvolta caduto in questo difeilo , siccome quando disse. L'allo fato di Dio sarebbe rotto se Lete si passasse, e lal vivanda fosse gustala senza alcuno scollo di pentinento. E altrove. E vedervi, se avessi avuto di tal tigna brama, colui poteri ec. Questa e una imagine plebea e sconvenienti alla gravità del subbietto. Cosi merita biasimo Pallavicini, comechè sia maestro sommo nel l'arte dello stile conversazionale, quando disse, che il cardinal Bentivoglio aveca saputo illustrar la porpora coll' inchiostro, e quando per accennare la qualità, ond'è costituita l'eleganza della elocuzione, disse: saputi distintamente quali ingredienti compongono quesla salsa, cioè l'eleganza; i quali modi sono da biasimare, essendochè nel primo esempio li vedi dinanzi agli occhi la porpora brullala d'inchiostro, e nell’altro t’infastidisce l'abbietta voce che sa di cucina. Similmente non paiono degni di lode coloro, che sogliono usare per vezzo della conversazione un idiotismo, e segnatamente quello, che ha origine da certa anticha costumanze dimenticata oggidi. Non merita lode Davanzali quando volendo dire: o nulla o lullo: disse: o asso o sette. Questo proverbio, oltre chè si è di vilissima condizione, è tolto da un giuoco, che potrebbe essere sconosciuto a molli. E proverbio, del quale non si sa l'origine, il seguente; e perciò freddo od oscuro: Maria per Ravenna, invece di cercar la cosa dove ella non e. Bastino questi pochi pro verbi per moltissimi , che qui si po ebbero recare, e de' quali vanno in traccia alcuni mal accorti conversatori, onde parere versali nella lingua antica. Aucora è biasimevole alcune volte la metaſora , che si deriva dalle materie filosofiche ; imperciocchè, se il fine, pel quale il conversatore usa di quella, si è di rendere più chiaro e più vivo i concetto, questo non si potrà ottenere traendo la similitudine da cose poco nole o malagevoli ad intendere, come a la metafisica, che spesso, ond'essere chiarita, hanno bisogno delle similitudini tolle dalle cose materiali; ma di rado somministrano imagini, che vagliano a cercar recar luce alle prose ed alle poesie. Pure in questi tempi sono alcuni conversatori, i quali hanno per vezzo l'usare siffatta metafora, avvisando d'illustrarne la sua mozzione conversazionale, e di mo strarsi intendente e sottile; ma va grandemente errato, perciocchè non solamente appor tano ombra ed oscurità (‘avoid obscurity of expression, be clear) alla sentenza, ma danno segno di affettazione che è vizio sopra tutti spiacevole. si è dello di sopra che la metafora diletta, non solamenle perchè ci pone dinanzi agli oc ebi in forma quasi sensibile un pensiero astratto, ma ancora perchè ci porge ammaestramento col farci apprendere fra le idee alcuna attenenze prima non osservata; dal che si deduce che il conversatore, i quali vogliono recar maraviglia, de guardarsi dall' usare una metafora troppo comunale, come quelle, che, a somiglianza della monete passata per molle mani, sono rimase senza vaghezza. Non ogni metafora poi, comechè sia ben derivata, potrà convenire ad ogni conversazione. Poichè tra le metafore ve n'ha delle più o meno illustri, converrà avvertire che il grado della nobiltà loro non disconvenga alla qualità del componimenlo. Similmente nel formare la metafora si vuole avere riguardo al pensare della gente nella cui lingua si conversa. La diversità de'luoghi e de' climi fa che gli uomini abbiano diversi i costumi e le usanze , e perciò diverse ancora le idee e le significazioni di esse. Impercioc chè, traendo ciascuna gente le similitudini dalle cose, che più spesso le sono dinanzi agli occhi , incontra che alcun popolo deriva una metafora da una cosa campestre, lal altro da una cosa marittima, tal altro dal combinercio o dalle arti, secondo suo silo e costume. Il rigore o la benignità del clima poi è spesso cagione che l'umana imaginativa sia più vivace in un luogo e meno altrove; e quindi è che una metafora naturalissime nel Trastevere appaia ardila e strana nel Tevere. Anche l’essere le geoli più o meno civili cambia la natura della metafora; perciocchè dove sono leggi meno buone, ivi è più ignoranza del vero; e dove è più ignoranza del vero è più amore del verisimil ; il che torna il medesimo, ove è minor virtù intelleltiva, ivi abbonda la forza della fantasia. Cadono perciò in gravissimo errore coloro, che, imilando il volgarizzamento di Ossian falio da Cesarolli, sperano di venire in fama di sommi poeli toglieodo sempre la metafora da'venti e dalle tempeste, dai torrenti, dalle nebbie e dalle nuvole. Paiono a costoro inaravigliose squisitezze e delizie i seguenti, e simili modi: sparger lagrime di bellà - i figli dell'acaciaro il tempestoso figlio della guerra siede sul brando distruzione di eroi dar. deggiano gli sguardi rotola la morle - urlano i torrenti. Cotale metaſora, che per avventura e naturale a'popoli selvaggi, sono in Italia ridevoli e sciocche fantasie. Alla diversa indole delle genti debbe anche por mente chi dall' una lingua all'allra trasporla i versi e le prose, se non vuole produrre nell'animo di nostro compagno conversazionale effetto contrario a quello che l'autore straniero o forastiero o del Trastevere produsse in coloro, ai quali volse le sue parole. Affiuché si vegga manifestamente che non lutte lete. metafore convengono a tulti i popoli, recherò qui alcuni esempi che a questo proposito Tagliazucchi toglie dalla lingua latina. Bella metafora si è questa presso Virgilio: classique im millit habenas; deformità sarebbe tradu re in italiano: melte le briglie alla flolla. Così per segnare il pane corrotto dall'acqua dice lo stesso poeta. Cererem corruptam undis; mal si tradurrebbe: Cerere corrolla dall'onde. Orazio disse. lene caput aquae sacrae; e si tradurrebbe malissimo in italiano: il dolce capo dell'acqua sacra. Per segnare il liero sdegno d'Achille dice: gravem sioma chum Pelidae; e malissimo si tradurrebbe: il grave stomaco del Pelide. Moltssime altre metaſore potrei qui recare, che sono proprie solamente della lingua latina; ma chi ha cognizione della lingua latina conoscerà di per sè la verità di quello che io dico, ed argomenterà quanto debbono differire nella metafora la lingua italiana e quelle de'popoli da noi disgiunli e per costume e per clima, se tanto differiscono l'italiana e latina con islrelto vincolo di parentela congiunte. Una regola o massima o omperativo da osservarsi nell'uso della metafora si è di non aminassarle nella conversazione, ma collocarvele parcamente e di guisa, che paiano, come dice Cicerone, esserci venule volonterosamente, e non per forza nė per invadere il luogo altrui. È da avvertire in secondo luogo, che la metafora o non si dee congiungere con altra metafora o con voci proprie di maniera, che fra queste e quella si scorga opposizione maniſesta. Se per esempio avrai detto che Scipione è un fulmine di guerra, non dirai tosto che egli trioníò in Campidoglio. Se paragonerai eloquenza ad un torrente, non le attribuirai poco appresso la qualità del fuoco, ma avrai cura che la metafora sia sempre collegata (e no mista) colle idee prossime di guise, che nostro compagno conversazionale non trovi mai contrarietà ne' tuo concetto. In questo difetto caddero anche alcuni autori eccellenti, come Petrarca nel Sonetto XXXII, dove, cominciando dal dire metaforicamente, ch' egli ordisce una tela, prosegue: ſ ' farò forse un mio lavor si doppio fra lo stil de'moderni e il sermon prisco, Che (paventosamente a dirlo ardisco) Infino a Roma ne udirai lo scoppio. Ma non così egli fece nel Sonetto che comincia Passa la nave mia colma d'obblio, chè in esso avendo preso ad assomigliare gli amorosi affanni suoi alla nave, da questa imagine non si diparte sino alla fine. Non intendo io però di affermare coll’esempio di questa allegoria, che in breve discorso non possano star bene insieme più metafore di natura diversa; ma di avveitire che assai disconviene il trapassare da una similitudine ad un'altra inconsideratamente e quasi per salto. Giova moltissimo talvolta a render chiare e naturali quella metafora, che per se medesime sarebbero ardite e spiacenti, il preparare per convenevole modo l'animo di nostro compagno conversazionale. Se taluno volendo dire che gli uomini per mal esempio altrui caggiono in errore, dicesse caggiono nella “fossa” della falsa opinione, use rebbe certamente ardita e spiacevole metafora: nulladimeno ella diviene bellissima, qualvolta per le cose antecedenti ne siamo disposti. Va. glia l'esempio di Alighieri. Dopo aver ricordata la nota sentenza se il cieco al cieco sarà guida cadranno ambedue nella fossa prosegue: i ciechi soprannominati, che sono quasi infiniti, con la mano in sula spalla a questi mentitori sono caduti nella fossa della falsa opinione. Cosi l’ardita metafora divenla parte di una vaghissima dipintura, che viene quasi per gli occhi alla mente, ed ivi s'imprime e lungamente rimane. Sono certi scrittori, i quali riducono le idee astratte a termini più astratti (obscurus per obscurius) di quello che si converrebbe cercand a tulto potere di al lontanarle da' sensi: indi a questi loro soltilis simi concelti uniscono molte metafore repugnanti fra loro, il che fa che la mente di nostro compagno conversazionale tra questi estremi e tra questi contrari confusa nulla comprenda, come si può di leggeri conoscere nel seguente esempio tolto da un libro moderno: A giudizio dei savi scorgesi palesement , che nelle vedute su blimi della gran madre anche l'emulazione, principio avvedutamente inserito nella costituzione dell'uom , ' concorrer deve a scuotere ed a sferzare l'industria , on de riguardo allo sviluppamento di questa Costa. Vol. Un. 3 50 ec . ( 1 ) Oh quanta confusione ed oscurità in tanta pompa di parole! Pare che il conversatore volesse dire, che i savi conobbero che la natura ha posto nel cuore dell' uomo il desiderio d'emulare gli altri; e che da questo procede l'industri ; ma accoppiando i vocaboli principio e costituzione, che sono segni d'idee molto astratte, colla melaforica voce “inserire” ha composto un enigma; perciocchè nessuno polrà imaginare chiaramente siffallo innesto. Più strana poi diviene la metafor , quando l'astratto segnato dalla espressione “principio” si fa a scuolere ed a sferzare l'ind stria falla inopportunamente persona per trasformarsi losto in altra cosa, che si sviluppa a guisa di una malassa. In questa forma la metafora, che e vaghezza e luce della favella, diviene tenebre alla mente e vano suono (flatus vocis) agli orecchi. Conciossiache L’INTENZIONE del conversatore non sia solamente di render chiaro il concetto, ma di farlo talvolta dilettevole e maraviglioso, interviene che alcuni, per recare altrui dilelto e maraviglia, si fango a derivare dalla metafora certe loro conseguenze, come se in quella non già una simililudine si contenessa, ma come se la cosa a cui si reca il nome novello, veramente si trasformasse nella cosa, donde esso nome si toglie. Di questa specie di concetti si presero diletto i prosatori ed i poeti del secolo decimo settimo, forse per desiderio di avanzare gli scrittori delle altre elà, ed in fastidirono tutti i sani intellelli . Basti di ques 1 ( 1 ) Atti dell' Costitulo pazionale. era sti vizi un solo esempio. Ugone Grozio, per mostrare che non a dolere la morte di Giovanna d'Arco, dopo aver lodate nel principio di un epigramma le virtù di lei , sog giunse: Necfas est de morte queri, namque ignea tota aut numquam, aut solo debuit igne mori. Con l’espressione “fuoco”, imposta a cagione di similitudine, viene il conversatore a trasformare la misera vergine in vero fuoco materiale; e quindi trae la strana conseguenza, che ella mai non dovesse morire, o morire nel fuoco. Similmente si è frivolo modo e sciocco il derivare la metafora dalla somiglianza ed uguaglianza de'noni imposti a cose diverse, ALLUDENDO all' una di esse mentre si fa mostra di ſavellare dell'allra. In questo difetto incorse anche il primo de'nostri poeti lirici quando, piangendo la sua donna, parla del lauro, ed allude freddamente al nome di lei, come nella canzone, che comincia, Alla dolce ombra delle belle fronde ed in molti altri luoghi si può vedere. Essendosi fin qui parlato de' pregi e de'vizi delle metafore, cadrebbe in acconcio il ragionare degli altri traslati di parole e di concetto e della figura: ma , perciocchè queste cose sono state definite e largamente dichiarate da tutti i retlorici, stimo che qui basti il ricordare che siffatte maniera di favellare non e bella, se non in quanto vengono dal conversatore opportunamente adoperate. Per lo stesso fine, che la metafora si propone, cioè di rendere più vivo il concetto, melte bene talvolta il trasportare l’espressione a un segnato improprio o nominando invece del tutto la parte (metonimia), o invece della cosa la materia, ond'ella è composta, o il genere per la specie o il plurale pel singolare (majestic plural – We are not amused), e viceversa. Si può cadere in difetto usando questo traslato, che fu chiamato “sinedoche”, ogni qualvolla l'imagine della cosa, da cui si prende l’espressione, non sia bene associata alle idee, che si vo gliono svegliare in altrui, non sia atta a fare impressione nell'animo più che le altre ide , che vanno in sua compagnia. Vaglia a dichiarazione di ciò un solo esempio. Si dirà con maggior efficacia: fuggono per ſalto mare le vele , di quello ch : fuggono per l'alto mare le prore; poichè l’imagine delle vele gonfiate dal vento, come quella, che maggiormente percuote la vista di colui, che mira la nave in alto, più strettamente d'ogni altra idea si associa all'idea del fuggire: in altro caso però tornerà meglio chiamar la nave o poppa o carena, cioè quando l'azione, che essa fa, o la passione, che riceve, meno con venga alla vela che alle altre parti. Veggasi come ne ua Virgilio: vela dabant laeti. Submersas obrue puppes si nomida ancora talvolla la causa per l’effetto , o questo per quella: il contenente pel contenuto: il possessore per la cosa posseduta: la virtù ed il vizio invece dell'uomo virtuoso e del vizioso: il segno per il segnato ed il contrario; e questa figura, che dicesi “metonimia”, giova per le delle ragioni, essa pure adoperala opportunamente, a dare evidenza alla elocuzione. Ma di questi traslati e di quelli di concetto, che consistono in sentenze da intendersi a contra-senso (ironia), tanto se ne parla, come già dissi, in tutte le scuole, che qui, facendo la definizione dell'”allegoria”, dell'”ironia” e di altri simili traslali, avvertirò solamente che questi saranno diſellosi se verranno a collocarsi nella conversazione senza essere mossi dagli affetti. Anche rispetto a quelle forme, che sovente adoperiamo per rendere più efficaci i pensieri, e che si chiama con ispecial nome figura, ricorderò che alcune ve n'ha, come l’ “interrogazione” e l’ “apostrophe”, che nascono dall'affetto, ed alcune altre dall'ingegno, come l'”antitesi” (contrapposizione) e la distribuzione; e che perciò vuolsi avvertire di non far uso di queste seconde ne'luoghi, ove si possa credere che colui, che favella, abbia l'animo perturbato. Ma nessuno avvertimento, per ' vero dire, è giovevole a chi non sente nell'animo la forza degli affetti. Il più delle figure, come detto è di sopra, muovono dalla passione, e, se dall'ingegno vengo. no cercal , riescono fredde e di nessuna virtù: perciò è che male s'imparano da' rettorici. Con più figure favella la rivendugliola, secondo il detto di un illustre scrittore, contrattando sua merce, che il retſorico in suo studiato serino ne: tanto egli è vero che procedono più dalla natura che dall'arte. Questo vogliamo che ci basli aver dello così alla grossa delle figure. Dappoichè abbiamo detto in che consista la proprietà dell’espressione e della metafore, e come queste e quelle si debbano collegare per rendere chiaro ed accelto la mozzione conversazionale a nostro compagno conversazionale, e fatto alcun cenno de' traslati e delle figure, vérreio a dire, seguitando le dottrine del Palavicini, degli elementi, onde è costituita la “eleganza” (cf. Grice, ‘aesthetic maxims’), senza della quale ogni altro ornamento quasi vano riuscirebbe. L’espressione “eleganza”deriva dal verbo “eligere” ed è usata a segnare quella certa tersezza e gentilezza, per la quale una mozzione conversazionale non solamente viene ad essere scevro da ogni errore, ma in ogni sua parte ornato di qualità che da tutto ciò che ha del plebeo si allontana. Diciamo delle parti, delle quali ella si compone, che sono quattro. La prima e la brevità (Grice, ‘be brief – avoid unnecessary prolixity [sic].” La seconda e l'osservanza delle regole morfosintattiche. Terzo, la civilita o l'urbanità. Quarta, la varietà (non-detachability). Sebbene la chiarezza (conversational clarity, be perspicuous [sic]) spesso si ottenga col l'ampio e largo mozzione conversazionale, pure talvolta colla brevità si rende il pensiero più lucido e più penetranti (Brevity is the soul of wit). Le parole, dice Seneca, vogliono essere sparse a guisa della semenza, la quale comechè sia poca, molto fruttifica. La sovrabbondanza (over-informativeness) delle parole all'incontro empie le orecchie di vano suono (flatus vocis) e lascia vuote le menti. Perciò è da guardare non solo che nostro compagno conversazionale non sia distratto da una vana proposizione subaltern (premessa minore), ma che non sieno affetti più da un segno che dall’idea segnata. Saranno perciò utili a togliere questo inconveniente ed acconce a rendere elegante l'elocuzione quella espressione, che somigliante alla moneta d'oro equivale al valore di più altre, come le seguenti: disamare, disvolere, rileggere, ed altre molte, e con queste i diminutivi, gli accrescitivi, i vezzeggiativi, i peggiorativi, de' quali abbonda la nostra lingua. Vi sono ancora molti modi, che abbreviano la mozzione conversazione, e questi consistono nel tralasciare o il verbo o il pronome o la particella o l’affissi, che racchiusi nella diretta favella puo essere SOTTINTESO. (Implicatura). Basta qui recarne alcuni ad esempio. Se io grido ho di che dammi bere quo ha di belle cose onde fosti & cui figliuolo andovui il cielo imbianca - vergognando tacque a baldanza del signore il baltè иот da faccende non se da ciò vedi cui do mangiare il mio, ed altri moltissimi somiglianti modi, coi quali si ottiene questa importantissima parle della eleganza, onde rice. ve nerbo l'orazione, Avend’io delto che la brevità costituisce gran parte della eleganza, non intesi di affermare che agli scrillori non sia lecito di esporre le cose particolarizzando; chè questa anzi è l'arte colla quale si produce l'evidenza; ma volli avvertire chi brama dilettare altrui colle proprie scritture, di ben ponderare quali sieno le particolarità, che hanno virtù di far luminoso il concetto, e di tralasciar quelle, che l'offuscano e pongono l’altrui mente in falica. Secondo, dobbiamo eziandio osservare la regola morfosintattica, cioè quelle leggi che la volontà de’ primi favellalori e l'uso di coloro, che vennero dopo, banno imposto alla lingua italiana. Comechè il trascurarle non induca sempre oscurità (avoid obscurity of expression) pure importa moltissimo che sieno osservata, poichè ogni elocuzione irregolare apparisce plebea (un solecismo). E perciò grande si è la stoltezza di coloro, che vando cercando negli autori antichi i costrutti contro grammatica, e quelli come pellegrine eleganze pongono nelle scritture: dal che ottengono effetto contrario al buon desiderio: per ciocchè o portano oscurità nella sentenza, o in fastidiscono i lettori facendo ridere gli uomini di lettere, non ignari che quelle strane forme sono la più parte errori, o di amanuensi o di stampatori o di autori plebei, de'quali non fu piccol numero anche nel bel secolo dell'oro (errata). Terzo, siccome sono molli' vocaboli, secondo che è dello, i quali usati già da ' buoni scrittori han no acquistata certa nobiltà e fanno nobile il conversare, così pure sono molli modi, i quali, avendo in sè certa gentilezza, il fanno elegante, e non essendo propri degli stranieri, gli danno quel paliyo colore, e direi quasi fisonomia , per cui ciascuna favella da ogni allra si distingue. In che precisamente sia riposta que sta vaghezza, che si chiama civilita o “urbanità”, si è difficile dichiarare; e perciò assal meglio che con parole, si può mostrare cogli esempi. Porrò qui dunque alcuni modi volgari, ed al fianco di essi i moderni urbani o civile. Ciò che loro venisse in grado. A chicsa non usava giammai. Seppegli reo. Ciò che loro piacesse. Non era solita di andare in chiesa. Gli parve cosa calli va. Fece rivivere. Il prese per marito. “Era il giorno in cui” -- Egli domandò al servo certa cosa. Ben io mi ricordo. A vila recò. Il prese a marito. “Era il giorno che” – “Egli domandò il servo di certa cosa” -- Ben mi ricorda, o ben mi torna a mente. Vicino di quell'isola. Non-Upper: Viveva a modo di bestia. “Vicino a quell'isola” Upper: “Viveva come una bestia” Moltissime sono le forme somiglianti a que ste, le quali, sebbene non vadano per la bocca de ' comunali scrittori, pure sono chiare e naturali , e per cerla loro indicibile gentilezza recano diletto. Vogliono però essere parcamenle adoperate, perocchè in troppa copia ſarebbero il discorso ricercato; e questo difetto dobbia mo schivare anche a pericolo di parere negligenti . La negligenza è mancanza di virtù (salvo quando e falsa – nulla piu difficile che falsare la negligenza), che rende meno lodevole il discorso, ma non meno credibile: e l'affettazione è deforme vizio, che al dicitore toglie autorità e fede. Modo più sconcio si è quello di coloro, i quali, per vaghezza di parere eleganti ed SUO esperti della PATRIA LINGUA – LINGUA PATRIA -- patria lingua, compongono prose con parole e modi fuor d'uso, e costruzioni contorte alla boccaccesca; e della stessa guisa fanno versi oscuri e senza grazia e senza per bo, e si argomentano poi di avere imitato Aligheri o Petrarca. Ma che altro per verità fanno costoro, se non se muovere a sdegno i buoni ingegni, e dare occasione al volgo di ridersi di quei pochi, che studiano a’libri antichi? Un'altra generazione di scrillori (e questa è dei più ), alzato il segno dell'anarchia, gridando che l’USO è l'ARBITRO della lingua (Wittgenstein), si fa beffe di ogni gentilezza e di ogni proprietà: guida per entro l'idioma nativo parole e forme forestiere, e il guasta sì, che non gli lascia di se non la sola terminazione delle voci. Cosi due sette di contraria opinione vorrebbero partire la repubblica letteraria. L'una tiinida e superstiziosa restringe la lingua a que' termini, in cui stette nel trecento: l'altra licenziosa ed arrogante vuole che ogni ar gine si rompa sì, che le purissime fonti del civil conversare si facciano torbide e limacciose. Affinchè appaia manifesto il torlo di questi se diziosi, dirò che cosa sia lingua ; e dalla sua definizione trarrò alcune conseguenze. La serie de' segni e dei modi vocali instituiti a rappre sentare ogni generazione di pensieri, o, per meglio dire, ad esprimerc tulle quante le idee, ond’è formata la scienza di una patria, è ciò che dicesi lingua (come l’italiano dal latino, o il pidgin e il creole che e il francese). Da questa definizione si deduce che nè una sola città nè un'età sola può essere autrice e signora della lingua italiana – Roma e la citta della lingua romana; ma che è forza che alla formazione di questa abbia avuto parte la nazione intera, cioè tutti gli uomini congiunti di luogo e di costumi, che hanno idee proprie da manifestare; e che a scernere il fiore dalla crusca abbiano dato e diano opera gl'illustri scrittori . E così avvenne di vero nella formazione e nell'incremento di questo, che Alighieri chiamò, ironicamente, il volgare d'Italia, poichè, come dice il Bembo, e un siciliano e un Pugliese e un Toscano e e un Marchegiano e un romagnolo e un lombardo e un veneto vi posero mano. Tutte le parole dunque per tal guisa formate, che vagliono ad esprimere con chiarezza i pensieri, potranno essere con lode usate, sieno elle an tiche o moderne; chè le moderne ancora deb bono essere benignamente accolle, quando sie no necessarie a segnare una idea novella. Quella facoltà, che fu conceduta agli antichi, non si può togliere ai presenti uomini; perciocchè, se non si possono prescrivere limiti all'umano sapere, nè meno alla quantità dei segni delle idee si potrà prescrivere (quark, querk). Per la qual cosa ſu e sarà sempre lecito a' sapienti, qualvolla la necessità il richiegga, l'inventare una nuova espressione (“Deutero-Esperanto”) e un nuovo modo. Questa risposta è alla selta dei superstiziosi. Ora ai libertini (Bennett – meaning-liberalismo – libertinismo semiotico – Locke – liberty) brevemente diremo che la lingua italica non è la lingua del volgo, ma, come è delto, si è quella, che gli illustri scrittori di ogni secolo hanno ricevuta per buona, e che perciò quando si dice che appo l'uso è la signoria, la ragione e la regola del parlare, non si vuol dire l'uso del volgo, ma de' buoni scrittori. I più antichi die dero vita e forma alla lingua romana, ed i posleri loro la arricchirono e la potranno arricchire, non senza grande biasimo potranno toglierle l’essere suo. Siccome ad ogni mazione è spe ma ciale la fisonomia e certa foggia di vestire, cosi e speciale al idio-letto le voci ed i modi propri e figurati, i quali hanno attenenza co'diversi costumi delle diverse genti; e perciò coloro, i quali vogliono introdurre licenziosamente nell'idioma nativo espressione e modi forestieri – implicate, non impiegato -- operano “contro ragione”,  e, mentre ambiscono di essere tenuti uomini liberi e filosofi, fanno mostra d'obbrobriosa ignoranza. Non si lascino dunque sopraffare i gio vanelli da quei beffardi filosofastri, che con trassegnano per derisione col nome di purista chi studia scrivere italianamente ; ma alla co storo petulanza coll'autorità di Cicerone ri spondano arditamente che colui , il quale la patria favella vilipende e deforma, non solo non è oratore, non è poela , ma non è uomo (Cic. de orat. I. 3.). Quarta e ultima, se le parole fossero sempre composte ugualmente, non sarebbero graziose a chi ascolla o legge; e perciò un altro elemento della eleganza si è la variet . Il discorso può ricevere varietà da sei luogh , che ad uno ad uno ver remo a dichiarare brevemente, seguitando Pallavicini. Accade tante volte di dover nominare replicatamente la cosa medesima, e ciò produce noia agli orecchi, i quali sopra tutti i sentimenti del corpo sono vaghi di varietà; onde per isfuggire la ripetizione delle voci sono molto giovevole il sinonimo, quando la piccola differenza, che è in essi, non tolga al discorso laproprietà necessaria ; per non peccare contro la quale sarà mestieri aver considerazione, co me allrove si è detto, al vero intendimento de vocaboli. Se, a cagion d'esempio, dovendo si cambiare l’espressione “fanciullo”, si prendesse l’espressione “infante”, si osserverà che questa, venendo dal verbo fari, segna non parlante, e che perciò non può strettamente essere sempre sostituita a quella di “fanciullo”. Il secondo dai sei luogo della varietà sta nel ra presentare una cosa pe' suoi effetti congiunti, come, a cagion d'esempio, se poeticamente dicessimo; il sole velava i pesci, per dire era il fine dell'inverno: al germogliare delle piante, per dire al tornare della primavera. Con somma grazia e novità Aligheri rappresentò la sera pe' suoi effetti dicendo: Era già l'ora, che volge il desio a' naviganti, e inlenerisce il core lo di, che han detto a' dolci amici addio; E che lo nuovo peregrin d'amore punge, se ode squilla di lontano, Che par il giorno pianger, che si muore. Questo fonte di varietà è abbondantissimo, e possiamo vederne un esempio in Bernardo Tasso, che in cento modi segna il sorgere del giorno. Nel rappresentare le cose pe' suoi effetti porrai cura che questi non destino al cun pensiero sordido od abbietlo, e che nel le scritture famigliari la congiunzione loro coll'oggetto sia mollo nola, sicchè non paia puplo ricercata. Il terzo luogo dai sei modi sono le definizioni o epiteto o apposizione delle cose, o sia le brevi descrizioni loro, le quali si possono prendere invece delle cose stesse , o que ste indicare per alcuna loro speciale proprietà; come chi per nominare Giove dicesse il padre degli uomini e degli Dei, o per dire la fortuna, Colei, che a suo senno gi infimi innalza ed i sovrani deprime. Il quarto luogo dai sei modo si è l'uso promiscuo del signato attivo, medio, o passivo da un verbio Potrai dire : Raffaele colori questa tavola , ovvero, da Raffaele fu colorita questa tavola; e secon do che chiederà il bisogno, userai o questo o quello segno. Il quinto luogo dai sei luoghi è la qualita (categoria d’Aristotelel'uso negativo (o infinito – privazione) invece dell’affirmativo o positivo; come chi sosliluisse alla proposizione positiva o affirmative seguente, ma con signato negativo: Il sole si oscurò, quest' altra proposizione splicitamente negative, per mezzo dell’adverbo di negazione, “non”: Il sole non isplendette”. Il sesto luogo dai se luoghi e la metafora (you’re the cream in my coffee), per la quale si può maravigliosamente variare il discorso, ora volgendo in “senso” (segnato, strettamente) metaforico – Sensi non sunt multiplicanda praeter necessitatem – uso metaforico -- un concetto allre volle espresso con termini propri: ora usando una metafora tolta o dal genere o dalla specie o da cose animate o da cose inanimate: ora quelle, che si presentano ai sensi : ora le altre, che si riferiscono agli altri sentimenti del corpo. Ornamento, dal quale l'elocuzione riceve molta gravità, e la sentenza. La sentenza o dogma o assioma o principio o adagio o gnomico o proverbo (“Methinks the lady doth protest too much” what the eye no longer sees the heart no longer grieves for”) si è verità morale ed universale, segnata con la brevità, che all'intelletto sia lieve il comprenderla ed il ritenerla. Tali sono le seguenti. Ipsa quidem virlus sibimet pulcherri. ma ncrces. Quidquid erit, superanda omnis for tuna ferendo est. La mala ineple non ha mai allegrezza di pace. Proprio de'tiranni è il temere. La buona coscienza è sempre sicura . Avvegnachè la sentenze sia più accomodata a quella conversazione che tratta di materie gravi, nulladimeno possono adornare molte altre specie di componimenti, e perfino le lettere famigliari, se ivi con moderazione sieno adoperate. Dico che sieno adoperate con moderazione, perchè il soverchio uso delle sentenze, anche nelle materie più gravi, è indizio che lo scrittore vuol ostentare sapienza, e perciò il fa parere affettato . In cotal vizio cadde ro molli scrittori del secol nostro, i quali me ritamente furono tacciali di “filosofismo” di  Borsa, che in una sua dissertazione ra giopò del presente gusto degl'italiani. Scon venevolissimo è l'abuso e talvolta anche l'uso delle sentenze pe' discorsi, che trattano di cose mediocri o umili. Ma che diremo poi росо senno di coloro, che guidano in teatro i servied altre persone rozze ed agresli a parlamentare ed a spular tondo, come se dal pergamo predicassero? Questo è modo tanto sconcio, che il volgo slesso ne rimane infastidito, on d'è qui da passare con silenzio. È da lodarsi segnatamente nelle opere morali o politiche l'elocuzione, che a quando a quando sia ornata, ma non tessuta di sentenze, la copia soverchia delle quali, stanca i lettori invece di sollevarli, come si può sperimentare leggendo le opere morali di Seneca. Lo scrittore dal quale più che da ogni altro si appren de a fare buon uso delle sentenze, è Cicerone, nelle cui opere filosofiche mai non pare che quelle sieno condotle nel discorso a pompa, ina sempre vi nascono naturalmenle per recar lu ce e diletto. Diciamo alcuna cosa anche del concettoi, onde viene grazia o piacevolezza ai componimenti. Concelli propriamente si dicono certe propo sizioni, che per essere nuove ed espresse con brevi parole recano altrui diletto e maraviglia , e scuoprono il sottile ingegno di chi le dice. Ve n'ha di due maniere. La prima è dei delti gravi, l'altra dei ridevoli , che con proprio nome si chiamano facezie . Gli uni e gli altri nascono da'medesimi luo ghi, e differiscono, secondo Cicerone, solamente in questo : che i gravi si traggono da cose oneste; i ridevoli da cose deformi o alcun poco turpi : ma pare veramente che a far ri devole un dello, sia necessario , il più delle 1 volle , che esso comprenda in sè alcune idee discrepanti congiunte insieme di maniera, che la congiunzione loro ben si convenga con una terza idea . Ciò sia chiaro per un esempio. Un buon ingegno de' nostri tempi fcce incidere in rame la figura di un vecchio venerabile con lunga barba, vestito alla francese, ornato di frangie e di feltucce e tutto cascante di vezzi, e sotto vi pose queste parole : Traduzione d' Omero di M. C. Tultii ne fecero le risa grandi . Se il ridicolo di questa figura consi. stesse nel solo accoppiamento dell'imagine dell'uomo antico e grave con quella de' gio vani leziosi , ci ſarebbe ridere anche l'ima gine di una sirena , che è composta di due contrarie nature ; lo che per verità non acca de, ed accadrebbe solamente qualora si dicesse che la bella donna , che termina in pesce, figura delle folli poesie ricordate da Orazio nella Poetica . Pare dunque manifesto che il ridicolo di sì falta deformità si generi dalla , convenienza , che è tra esse e la cosa , cui si vogliono assomigliare. Per ciò s'intende quanto diriltamente il Castiglione dichiari che si ride di quelle cose, che hanno in sè disconvenien za, e par che slieno male senza però slar male. Affinchè prima di tutto si vegga che da’luo ghi , donde si cavano le gravi sentenze, si possono ancora cavare i molli da ridere , re cherò l'esempio, che ne dà il Castiglione. Lodando un uom liberale, che fa comuni cogli amici le cose proprie, si polrà dire, che ciò ch'egli ha, non è suo : il medesimo si può dire per biasimo di chi abbia rubato , o con 66 male arti acquistato quello che tiene. Di un buon servo fedele si suol dire : non vi ha cosa che a lui sia chiusa e sigillata : e que sto similmente si dirà di un servo malvagio destro a rubare. Le maniere de concelli ingegnosi sono pres sochè infinile , e di moltissime ha ragionalo Cicerone nel terzo libro dell'Oratore, ma noi toccheremo qui solamenle alcune principali . Cicerone distingue primieramente le maniere graziose , che consistono nelle parole, da quelle che stanno nella cosa , o che si esprimono col parlare continuato . Egli dice che consistono nella cosa quelle (sieno gravi o piacevoli ), che mulale le parole non cessano di generare ma raviglia o riso : tali sono le narrazioni verisi. mili, e fatte secondo il costume e le varie condizioni degli uomini , e di queste molte ve n'ha nel Decamerone di Giovanni Boccaccio. Una seconda consiste nella imitazione de' co stumi altrui fatta per modo di parlare conti nuato , come quella che fece Crasso , il quale in una sua orazione contraffacendo un uom supplichevole con queste parole , per la tua nobiltà , per la tua famiglia, ne imitò cosi bene la voce e gli alti , che mosse la gente a ridere ; e proseguendo, per le statue, distese il braccio , ed accompagnò la voce con geslo e con imitazione si naturale, che le risa scop piarono maggiori. Queste sono le due manie re, che consistono nella cosa, e che si espri mono col parlar continualo . Quelle che mag. giormente si attengono alla materia , che qui si tratta , sono le maniere di que'concelli, la grazia de quali sta nella parola. Recbiamone esempi.Alcuni molli graziosi si generano in virtù della metafora . Avendo Lodovico Sforza duca di Milano eletta per sua impresa una spazzet ta, con che voleva significare se essere dispo sto a cacciare dall'Italia gli oltremontani, do. mandò alcuni ambasciatori fiorenlini, che loro ne paresse. Quelli risposero : bene ce ne pare, salvochè molle volle avviene che chi spazza tira la polvere sopra di sè. Più grazioso ė il motto , quando ad alcuno , che metaforica mente abbia parlato, si risponde cosa inaspet tala continuando la melafora stessa. Tale si fu delto il Cosimo de' Medici, il quale a' Fio rentini ſuoruscili , che gli mandarono a dire che la gallina cova , rispose : male potrà covare fuori del nido. Anche il paragonare cose vili e piccole a cose grandi è spesso cagione di ridere , come in questi versi del Berni: E prima , iodanzi tutto, è da sapere Che l’orinale è a quel modo tondo, Acciocchè possa più cose tenere, E falto proprio come è falto il mondo. Dobbiamo in questa maniera di facezie guar darci dal fare sovvenire il lettore di cose laide e stomachevoli, affiochè la piacevolezza non degeneri in buffoneria : lo che sovente accade a coloro, che non sono piacevoli per naturale disposizione. Molti molti ridevoli si formano ' per via di iperbole accrescendo o diminuendo alcuna cosa . Diminui ed accrebbe a un tempo le cose Ci cerone parlando giocosamente di suo fratello, 68 che essendo di piccola slatura aveva cinto il fianco di una spada' smisurata. Chi ha, disse, cosi legato mio fratello a quella spada ? Dagli equivoci procedono spesso i motti freddi ed insulsi , ma spesse volte ancora gli arguli . Argulo parmi il seguente in biasimo di una donna, che fosse di molli: Ella è donna d'assai : il qual molio potrebbe ancora essere usato per lodare alcuna ſemmina prudente e buona. Molla venustà è in que'delli, che invece di esprimere due cose ne esprimono una sola, per la quale l'altra s'intende . Assai leggiadro è questo , in cui si favella di un'Amazzone dormiente, recato ad un esempio da Demetrio Falereo : in terra aveva posto l'arco, piena era la faretra , e sotto il capo aveva lo scud : il cinto esse non isciolgono mai. Similmente è grazioso il nominare con buone parole le cose non buone , come ſece lo Sci pione , secondo che narra M. Tullio, con quel cenlurione , che non si era trovato al conflillo di Paolo Emilio contro Annibale . Il centurione scusavasi di sua negligenza col dire : io sono rimasto agli alloggiamenti per farli sicu ri ; perchè, o Scipione, vuoi dunque tormi la civiltà ? Cui rispose Scipione : perchè non amo gli uomini troppo diligenti. Sono assai argute quelle risposte, per le quali si deduce da una medesima cosa il contrario di quello che altri deduceva. Appio Claudio disse a Scipione : lo maraviglio che un uomo ď alto affare, quale tu sei, ignori il nome di tante persone. Non maravigliare , ri spose Scipione , perocchè io non sono mai 69 blato sollecito d’imparare a conoscer molti, ma a far si, che molti conoscano me. Per egual modo Parnone rispose a colui che chia- ; mava sapientissimo il tempo : Di pari dunque potrai chiamarlo ignorantissimo , perchè col tempo tutte le cose si dimenticano. Il concetto della risposta può essere grazioso solamente perchè racchiude alcun insegnamento non aspettato da colui che fa la domanda. Fu chiesto ad uno Spartano , perchè si facesse crescere la barba, e quegli rispose : acciocchè mirando in essa i peli canuli io non faccia cosa, che all età mia disconvenga. Hauno grazia similmente alcuni detti, perchè mollo convengono al costume della persona , alla quale si attribuiscono . Essendo un colal uomo beone caduto inſermo , era assai mole stalo dalla sete. I medici a piè del suo letto parlavano tra loro del modo di trargli quella molestia, quando l'infermo disse : Ponsate di grazia, o signori, a togliermi di dosso la febbre, e del cacciar via la sete lasciate la briga a me solo. loducono a ridere anche que' detti, che pro cedono da sciocchezza o goffezza , finta o vera che ella sia . Tali sono le due seguenti terzine del Berni : lo ho sentito dir che Mecenale Diede un fanciullo a Virgilio Marone, Che per martel voleva farsi frate ; E questo fece per compassione, Ch'egli ebbe di quel povero cristiano, Che non si desse alla disperazione. 70si può similmente cavare il ridicolo dalle parole composte di nuovo , che esprimono al cuna deformità del corpo, o dell'animo, come furono queste usate dal Boccaccio : picchia. pello ; madonna poco.fila ; lava-ceci ; bacia santi. Si falte maniere, che direi quasi deſor mità della lingua , poichè dall'uso si allonta pano, essendo convenienti alle cose significate stanno bene, e perciò inducono a ridere e han lode di graziose ; ma se poi in forza dell'uso divengono proprie , perdono , a somiglianza delle vecchie metafore , alquanto della grazia primiera. Osserva Demetrio Falereo che la grazia dei detti proviene alcuna volla dall'ordine sola mente , quando una cosa posta nel One pro duce un effello , che posla nel mezzo o nel principio nol produrrebbe , o il produrrebbe minore. Egli reca l'esempio seguente di Seno foole , che , parlando dei doni dali da Ciro a certo Siennesi, disse : Gli donò un cavallo, una vesle, una collana, e che i suoi campi non fossero guasti. L'ullimo dono è quello dove sta la grazia ', parendo cosa nuova, che si donasse a Siennesi ciò che egli possedeva : se quel dono fosse stalo collocato prima degli altri non avrebbe avuto grazia alcuna . Bello pel medesimo artificio ci pare un detto di papa Benedetto XIV. Accomiatandosi da lui due personaggi di religione luterana , egli av. visò di benedirli e di ammonirli. Era di vero assai agevol cosa il fare che eglino ricevessero con grato animo quell'atto di amore paterno : ma il venerabile vecchio ollenne il buon ef fello parlando così : Figliuoli, la benedizio ne de vecchi è acceita a tulle le genti ; il Signore v'illumini . Ingegnosissimo si è que sto detto per l'ordine suo maraviglioso . Colla prima affeltuosa parola , Figliuoli , il papa procacciasi la benevolenza degli uditori. Nella sentenza , la benedizione de’vecchi è accetta a tulle le genti , chiude la prova della con venevolezza di ciò ch'egli vuol fare. In quel l'io io vi benedico, trae la conseguenza delle promesse. Nella precazione poi ripiglia la di gnità di pontefice , che accortamente aveva quasi deposta da principio e solto cortesi pa role nasconde il documento, che a lui si ad dice di porgere a chi è fuori della chiesa ro mana . Questo ci basti d'aver ragionato pei delli graziosi e piacevoli , chè il voler parlare di tulle le maniere loro o semplici o miste sa rebbe officio di chi volesse trattare solamente di questa materia : e diciamo con maggior brevità de' concetli sublimi. Alcuni haimo chiamato sublime qualsivoglia concello, coi nulla manchi di grazia e di per. fezione ; ina qui si vuol prendere la parola nel significato , in che viene usata da ' più de' . moderni reltorici e perciò così detiniamo i concelli sublimi : Concetti sublimi si dicono quelli , che rappresentano con brevi parole l'idea di alcuna potenza o forza straordinaria, per la quale chi ode resla compreso di alla maraviglia . Tali sono i seguenti . Giove nel primo libro dell'Iliade promette a Teli di ven dicare Achille , e dopo il conforto delle sue parole i neri Sopraccigli inchinò: sull immortale Capo del sire le divine chiome Ondeggiaro, e tremonne il vasto Olimpo . Questo concello , il quale ci ſa maravigliare della potenza di Giove , cesserebbe di essere sublime se con lunghezza di parole fosse si : gnificato : perchè quella lunghezza sarebbe contraria alla rapidità dell'alto divino , e fa. rebbe che il pensiero del poeta non venisse improvviso alla menle dell'ascoltalore , che è quanto dire non generasse maraviglia. Sublime è ancora quel luogo di T. Livio nella allocuzione di Annibale a Scipione: Ego Annibal pelo pacem, poichè la parola Annibal reca al pensiero la virtù, le imprese, la fero cia di quel capitano . Medesigiamente si fa ma niſesta una straordinaria forlezza di animo ne'due luoghi seguenti . Seneca , nella Medea , fa dire alla nudrice : Abiere Colchi: conjugis nulla est fides, Nihilque superest opibus e tantis tibi. Medea risponde : Medea superesto Corneille, ad imitazione di Seneca : Nerine Dans un si grand revers que vous reste- t- il ? Med. Moi. In luogo del nome di Medea il poeta francese pose il pronone, ed oltenne effetto maraviglioso e colla brevità e con quella cotal pienezza di suono, che è nella voce moi. Il poeta lati no col nome di Medea destò negli uditori la memoria della potenza, della sapienza e della magnanimità di quella maga. Divisata così la natura de' motti graziosi e piacevoli e de' sublimi, e restando a dire al cuna cosa dell'uso, che se ne può fare, ripe teremo ciò, che già detto abbiamo delle sen tenze, cioè che lo scrittore si guardi dal fare troppo uso de' concetli ingegnosi e graziosi e de' sublimi, poichè non è cosa tanto contraria alla grazia e alla grandezza, quanto l'artificio manifesto e l'affellazione. Le grazie si dipin sero ignude appunto per insegnare che elle sono nemiche di tutto che non è ingenuo e nalurale. La grandezza similmente non va mai disgiunta dalla semplicità, e piccole appaiono sempre quelle cose, che sono piene d'orna menti ; imperciocchè la mente soffermandosi in ciascun d'essi riceve molle e divise imaginet le in luogo di quella imagine sola, che ci rap presenta la cosa continuata ed una. Male ado perano coloro che non avendo rispetto alla materia, di che favellano, nè alle persone ne alla modestia nè alla gravità conveniente allo scrittore, colgono tutte le occasioni, che loro porgono o le cose o le parole, per trar ma teria di motleggiare ; perocchè invece di mo strare acutezza d'ingegno appaiono loquaci ed insulsi. Che dovrà dirsi poi di que' , che abu . sano dell'ingegno per empiere le scritture di freddi e falsi concelti , di riboboli, di bislicci e d'indovinelli ? di que' , che tengono per finis sime arguzie le allusioni delle parole, che era Cosla. Vol. Un . 4 74no la delizia del Marino e de' suoi seguaci? Diremo che nali non sono per ricreare gli ani mi e sollevarli dalla fatica , e per indur ſesta e riso, ma per noia , fastidio e sfinimento di chi è costretto di udirli .Se il discorso si fa strada all ' animo per gli orecchi, è necessario che egli sia accompagna• to dall' armonia , della quale niuna cosa ha maggior forza negli uomini. L'armonia ci dis pone al pianto e all'ira, e ci rallegra e ci placa ; e lulle le genti, avvegnachè barbare, sono tocche dalla dolcezza di lei ; laonde gran de mancamento sarebbe, se lo scrittore ad ac crescere efficacia alle sue parole non se ne valesse. Dalla greca voce d.gpótely (armosin), che segna connettere, è derivata la voce armonia. I maestri di musica insegnano , che essa consiste nell'accordo di più voci sonanti nel medesimo punlo ; ma coloro, che parlano del l'arte rellorica e della poelica, presero questa parola quasi nel significato , che i maestri di musica prendono quella di melodia , come si vede aver fatto Aristotele, che usò in questa significazione ora la voce melos, ora la voce armonia. La melodia consiste nelle altenenze, che hanno rispettivamente i gradi successivi di un suono nel salire dal grave all'acuto : e noi direino che rispetto al discorso l'armo nia sta nell'altenenze delle lettere o delle sil labe o delle parole, che si succedono con quel la certa legge che si affà alla natura dell'or gano dell'udito. L'armonia, di che parliamo, è di due ma niere : l'una ba per fine soltanto la dileltazio ne degli orecchi , l'altra, oltre la dilettazione degli orecchi, la initazione del suono e dei movimenti delle cose inanimale e delle anima te, e quella degli umani affetti : colle quali imitazioni inaggiormente ella si rende accetta all'intelletto e gli animi sigrioreggia . La dilettazione degli orecchi si ottiene con parole costrutte e disposte in modo analogo, come è dello , alla natura dell'organo del l'udito e fuggendo tutte le voci e tutti gli accozzamenli di esse, che producono sensazio ne spiacevole. L'imitazione poi si fa adope. rando e componendo suoni o gravi o acuti o inolli o robusti, secondo che meglio si affanno a ciò che si vuole imitare. Diciamo alcuna cosa più largamente e dell' una e dell'altra armonia, l’armonia semplice e l’armonia composita o imitativa. Le parole, le quali , come tutti sanno , si compongono di vocali e di consonanti , sono più o meno armoniche, secondo che le lettere delle due specie suddelte si trovano disposte con certa proporzione. Le vocali fanno dolce il vocabolo le consonanti robusto : ma le troppe vocali , che si succedono , producono quel suono spiacevole , che si dice iato ; le troppe consonanti fanno le parole aspre e diſ ficili a pronunciare : così l'incontro delle sil. labe somiglianti produce le cacofonie, Circa le parole non molto armoniche , ma approvate dall' uso , diremo chę elle non si banno a rigettare ; ma si deve aver cura di collocarle in guisa , che il loro suono disarmonico serva al l'armonia di tutto il discorso . Anzi sono da commendare quelle lingue , che ricche si tro vano di vocaboli diversi di suono , i quali , giunti insieme con bell'arte, sogliono rendere maravigliosa l'armonia del parlare. Sebbene, circa l'arte del collocare le parole con armonia , non possa darsi maestro infuori dell' orecchio avvezzo alla lettura de' classici scrittori, pure non sarà del tutto vano il dire più particolarmente alcuna cosa delle parti , onde l'armonia si coropone. E prima di tutto è a sapere che le altenenze tra le lettere , le sillabe e le parole , dalle quali risulta l'armonia , sono di due ragioni : cioè altenenze di tempo , poichè si pronunciano o in tempi uguali o disuguali ; e attenenze di suono, poichè ogni sillaba differisce dall'altra per aculezza e gravità e per più o meno di dolcezza o di asprezza. Diciamo prima delle attenenze di tempo. Piede chiamavano i Latini quella certa quan . tità di sillabe , che pronunciandosi in tempi eguali , si potevano misurare colla battuta del piede nel modo che oggi ancora fanno i suo . natori. E, poichè si pronunciavano più o meno sillabe (attesa la varia conformazione delle pa role) in ispazi uguali di tempo , avvenne che lunghe si dissero quelle che occupavano la maggior parte del tempo misurato dalla bat tuta, e brevi le altre, che occupavano la parte minore. Coelum, per esempio , si compone di due sillabe , e si pronuncia in ugual tempo che ful-mi-na, che è di tre : perciò coelum 77 0 è un piede di due lunghe, e ſulmina è un pie de di una lunga e di due brevi. I piedi sono di molte specie, e ciascuna ha il suo nome. Ve n'ha de' semplici di due sil. labe, che sono o due brevi o due lunghe , una breve e una lunga , o una lunga e una breve : ve n'ha di tre sillabe, che per la va ria combinazione delle brevi e delle lunghe risultano di otto specie : ve n'ha finalmente più di cento specie dei composti, cioè formali dall' unione di due piedi semplici. Dall'indelernipala quantità di piedi disposti con legge analoga alla natura dell'organo del l'udilo umano, la qual legge si sente nell'ani. ma e definire non si può, nasce il numero ; e similmeple dall ' unione delerminata di varii piedi, i versi, che sono molle maniere, se condo la qualità de' piedi , onde sono compo sti . Dalla varia qualità e quantità de'versi na. scono poi le differenti specie dei metri. A ren dere armonioso il verso si congiunge al pu nero il suono, che, siccome abbiamo accennato , si genera dalla proporzione, con che sono di sposte le consonanti e le vocali. Da ciò nasce che, sebbene talvolta i versi abbiano il mede simo número , non hanno il medesimo suono , ma variano nella loro armonia maravigliosa mente : per la qual cosa interviene che dalla unione di molti versi che abbiano il medesimo numero, come a cagion d'esempio, di esametri, si possono generare molle ed assai varie armo pie : la diversa upione di queste armonie di cesi, ritmo. Come nella poesia dal ipovimento di molti versi upili nasce il rilmo poelico , così da 78 quello di minuti membri d' indeterminala mi sura nasce quello della prosa, il quale pure è di varie sorla , siccome avremo occasione di osservare in appresso . Ora veniamo a dire del l'armonia della favella italiana. GI' Italiani non hanno determinata la quan. lità nelle sillabe , come si vede aver fatto i Greci ed i Latini , per la qual cosa nemmeno i piedi hanno potuto determinare. Alcuni let. terali del sesto decimo secolo, fra' quali il Caro, tentarono di rinnovare fra noi i versi esametri ed i pentametri , ma quanto poco ( per la in sufficienza della lingua nostra ) al buon volere rispondesse l'effetto , apparirà dai seguenti versi di Claudio Tolomei , i quali, se non sono molto aiutati dall'arte del recitante , non pos. sono ricevere soavità. Ecco il chiaro rio, pien eccolo d'acque soavi, Ecco di verdi erbe carca la terra ride : Scacciano gli alni i soli co' le frondi e co'ra ( mi coprendo; Spiraci con dolce fato auretta vaga. A noi servono invece di piedi le sillabe é gli accenli, e quindi è che da un determinato numero di sillabe e da una determinata posi tura di accenti nasce il numero, onde si gene rano molte specie di versi. Omettendo le di spute de'reltorici e le loro opinioni circa que sta materia, faremo qui alcun cenno solamente rispetto agli accenti. Le parole sono di una o più sillabe : se di una soltanto , l'accento è su quella, come in tu , me, no, si : se di più o egli è nell'ullima, come in mori, o nella pri 79 ma, come in tempo, o nella penullima come in andarono, o prima di essa, come in concedea glisi . Gl'indicati accenti si dicono acuti, perchè alzano la pronuncia : dove questi non sono, si trovano i gravi, che l'abbassano. Gli aculi e i gravi alzando ed abbassando il discorso, por tano seco certa proporzione di tempo, e perciò tengono fra noi il luogo de' piedi Jalini, e for mano varie specie di versi , che, secondo, la quantità delle sillabe, si dicono o pentasillabi o senarii o seltenarii o ottonarii o novenarii o decasillabi o endecasillabi : dalle varie unioni di questi nascono i diversi metri : e il ritmo nasce nel modo , che si è detto parlando della lingua latina, e circa il verso e circa la prosa. Non si contenta l'animo upano dell'armonia, onde è ricreato solamente l'orecchio, ma gran demente si piace di que' suoni , che più viva menle ci pougono innanzi la cosa significata ; e questo specialmente egli ricerca nella poesia, la quale o avendo , o mostrando di avere per suo principal fine il diletto, dee apparire più d'ogni altro discorso ordinala, e splendida : sarà quindi utile cosa l'investigare quale sia la virtù imitativa delle parole. Questa e l’armonia imitative. Dalla mescolanza delle lettere liquide e delle vocali risulta infinita varietà di vocaboli dell’imitazione delle grida, de’suoini, de’romori e de’movimenti, e chi, porrà mente alla nostra lingua troverà, secondo 80 che osserva il Bembo , voci sciolle , languide, dense , aride, morbide , riserrate, tarde, mutole, rolle, impedite, scorrevoli e strepitanti ; perciò è che variando la composizione di questi suoni si potranno ordinare .e versi e ritmi, che ogni grido o romore o movimento vagliano ad imi. tare. Jofinili esempi bellissimi di si ſalta imi. tazione sono nella Divina Commedia : ma basti qui la sola descrizione dello strepito , che Dan te udi nell'Inferno : Quivi' sospiri, pianti, ed alti guai Risonavan per l'äer senza stelle , Perch'io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, Parole di dolore, accenti d'ira, Voci alte ' e fioche, e suon di man con elle Facevano un tumulto, il qual s'aggira Sempre in quell'aria senza tempo tinta, Come l'arena, quando il turbo spira . Del medesimo genere sono i seguenti versi del Poliziano : Di stormir, d'abbaiar cresce il romore : Di fischi e bussi tutto il bosco suona : Del rimbombar de' corni il ciel rintrona. Con tal romor, qualor l'äer discorda, Di Giove il foco d'alta nube piomba : Con tal tumulto , onde la gente assorda, Dall'alte cataratte il Nil rimbomba : Con tal orror del latin sangue ingorda Sonò Megera la tartarea tromba. 81 Il Parioi ci fece senlir il guaire di una ca goolina, e il risponder dell' eco in questi bel lissimi versi : Aita, aita , Parea dicesse ; e dall'arcate volte A lei l'impielosita eco rispose. Siccome il succedersi delle parole ora va lento or celere, è manifesto che questo, che si può chiamare movimento del discorso , ba so miglianza coi movimenti delle cose, e che per ciò aver dee virtù d'imitare le azioni loro. Recherò qui per maniera d'esempio alcuni luo ghi cavali da' poeti. Odesi il furore e l'impeto del vento in questi versi di Dante : Non altrimenti fatto che d'un vento Impetüoso per gli avversi ardori, Che fier la selva senza alcuu rallento , E i rami schianta , abbatte, e porta i fiori; Dinanzi polveroso va superbo, E fa fuggir le belve ed i pastori . Mirabilmente Virgilio descrisse il tumullo dei venti all'uscire della grotta di Eolo : Qua data porta ruunt et terras turbine per flant. Incubuere mari, totumque a sedibus imis Una Eurusque, Notusque ruunt, creber que procellis Africus, et vaslos volvunt ad sidera flu clus. Insequitur clamorque virum , stridorque rudentum. 4 * 82 Fra i versi che esprimono la caduta de corpi sono bellissimi i seguenti : E caddi come corpo morto cade ; il qual verso è cadente, come il corpo che cade. Insequitur praeruplus aquae mons. In queste parole di Virgilio si sente il piom bare dell'acqua precipitosa : ed eccellentemente fece sentire il medesimo suono il Caro : E d' acque un monte intanto Venne come dal cielo a cader giù . In virtù di quest'altro verso dello stesso Caro, una nave sparisce in un subito, e si sente il romor dell'acqua che l'inghiotte : Calossi gorgogliando e s'aſfondò. Lo stesso con una sola parola lunga e scor revole dipinse il procedere del carro di Net tuno : Poscia sovra il suo carro d'ogni intorno Scorrendo lievemente, ovunque apparve Agguagliò il mare e lo ripose in calma. Nelle seguenti parole di Virgilio quasi sen tiamo a stramazzare il bue ; Procumbit humi bos. Dell’armonia che imita gli affetti col suono , Onde conoscere per qual modo gli affelli vengano imitati dall'armonia , uopo è d'inve sligare quali altenenze essi abbiano col suono e quali col namero. In quanto alle altenenze si ponga mente che ad ogni sorta di affetli ( 1 ) risponde un particolar molo del l'organo vocale , per cui si formano voci di verse secondo la diversità de' medesimi affetli ; all'allegrezza risponde il riso , alla mestizia il pianto ; ed il riso ed il pianto si manifestano con suono al tutto diverso : così presso tutte le geoli la subita maraviglia è significata dal l'esclamazione ah , ovvero oh ; il lamento dall' eh, o dall’ahi ; e la paura dall'uh. Que ste voci, che da principio sono elfelti naturali delle aſſezioni dell'animo, diventano poi, merce dell'esperienza , segni di quelle : per la qual cosa interviene che i vocaboli composti di ma, niera , che facciano mollo sentire il suono di quelle leltere, che alle predette voci primitive si assomigliano , avranno virtù d'imitare o questa o quella affezione. Le parole, che s'in, nalzano per la a o per l'o , che sono lettere di largo suono, saranno acconce ad esprimere l'allegrezza e gli affetti nobili ed alli : quelle, che declinano per la é e per l'i , che sono lettere di molle suono , saranno convenienti alla malinconia ed agli umili e miti affetli : ( 1 ) Omnis enim motus animi suum quemdam a natura habet vullum , et sonum et gesium (Cic. de Orat. ). 84 quelle , che si abbassano nell' u potranno e sprimere le cose paurose e le perturbazioni dell'animo, che ne procedono. Questa particolare virtù delle parole viene poi rafforzata dalle attenenze , che le passioni hanno col numero. Volgendo la considerazione alle varie passioni , si potrà conoscere che l' uomo'nell'ira è fatto impetuoso , frettoloso nell'allegrezza , lento nella mestizia , svarialo nell' amore, immobile nella paura. Quindi av. viene che la musica non solamente si giova delle note gravi o delle acute, ma delle rapi de e delle tarde modulazioni a risvegliare ogni sorta d'affetto . A somiglianza di quest' arte maravigliosa , anche la naturale favella, il suono ed il numero adoperando , innalza o abbassa gli accenli, rallenta od accelera il corso delle parole, secondo la natura degli affetti , che di esprimere intende. Con quest' arte medesima l'accorto scrittore compone i ritmi diversi secondo la tenuità o la gravità della materia, e secondo le qualità della persona che parla. Ma di questo avremo altrove occasione di favellare. Ora in confer . mazione di quanto abbiamo detto intorno gli affetti, recheremo alcuni esempi. Come la lettera a innalzi il verso e lieto il faccia, si può conoscere da quel solo verso del Petrarca : Voi ch* ascoltate in rime sparse il suono; il qual verso sarebbe rimesso se dicesse : O voi, che udite in dolci rime il suono ; 85 sostituendo 1'i alla a . Veggasi come Danle seppe significare uno stesso concetto con due diverse armonie, che rispondono a due diversi affelti. Il conte Ugo lino sdegnalo, e Francesca d' Arimino dolente dicono all ' Alighieri di esser presti a rispon dere alla sua domanda. Ma lo sdegnato dice con suono aspro e terribile : Parlare e lagrimar vedrai insieme ; e quella mesta con dolcissimo e tenue suono : Farò come colui che piange e dice. Maravigliosamente esprime Dante con voci aspre lo sdegno : E disse, taci, maladelto lupo, Consuma dentro le con la tua rabbia. La velocità de' pensieri, che procedono dal l'aſſello , apparisce in questo esempio dello stesso poeta : Dunque che è, perchè perchè ristai ? Perchè tanta viltà nel core allelte ? Perchè ardire e franchezza non bai ? Un verso , che esprime luogo pauroso e cupo, si è questo : 10 venni in loco d'ogni luce mulo. 86 Dove si vede che se Dante, in vece di muto, avesse delto privo, il verso non avrebbe messo nell'animo quel sentimento d'orrore. La e , che è lettera di suono lento, basso ed oscuro , rende sommamente imitativi i se gucnti versi : Buio d'inferno e di notte privata D'ogni pianeta solto pover cielo Quant' esser può di nuvol tenebrata . In virtù di somiglianli armonie producono gli scriltori que' maravigliosi effetti, che la più parte degli uomini sentono nell'animo , ene ignorano il magistero. Di queslo cercai mani. festare la natura , non già perchè io pensi che colui che scrive debba avere di continuo alle mani la regola ; chè anzi ho sempre creduto la dolcezza e proprietà del suono, al pari d'ogni allra vaghezza poetica ed oratoria , nascere spontaneamente ; ma questo volli fare, perchè stimai che l'investigar le occulte ragioni del. l'arte aiuti l ' intelletto a dirittamente giudi carne , e quindi a formare quell'interior senso si necessario a comporre lodevolmente, e quel l'abito , che prendono gli orecchi alla lettura de'ben giudicati esemplari. Nulladimeno per compiacere agli orecchi non si vuol mai turbare quell'ordine delle parole, in virtù del quale diventa chiara l'elocuzione. Se per esprimere qualsisia o movimento o suono od affello coll'armonia, o per formare un pe riodo numeroso e grave ci faremo oscuri, nes suna lode al certo ce ne verrà. Nè solamente dobbiam sempre conciliare l'ordine domandato 87 dagli orecchi con l'ordine sopraddello , ma spesso ancora con quello , che rende più evi. denti o più efficaci i concetti , del quale ora ci rimane a parlare, siccome di sopra abbiamo promesso. Parliemo della collocazione dell’espressione, per la quale si rende ‘efficace’ la mozzione conversazionale. È manifesto che in ciascun periodo le pa role o le proposizioni si possono , senza to gliere la chiarezza , alcuna volta posporre o anteporre l'una all'altra in più maniere ; ma è da por mente che , fra le molte possibili permutazioni, poche sono quelle che meritino di essere lodate , e che spesso una solamente si è l'ottima . Ho udito dire da molti che il più delle volte l'ordine migliore delle parole nella proposizione si è l'ordine diretto, e que sto in verità nell'italiana favella è spesso da preferirsi all'inverso , segnatamente nei die scorsi didascalici o in quelli ove non si ma nifesta alcun affetto ; ma certo egli è che l'or. dine diretto ( prescindendo dai mancamenti che aver può rispello all'armonia) è alcuna volla degno di biasimo, siccome freddo ed inefficace . A quale legge dunque dovremo ubbidire , ol. tre a quella già stabilita circa la chiarezza e l'armonia, nel collocare le parole e le propo. sizioni a fine di rendere più vive le descri zioni e più efficace l'espressione degli affetti ? La filosofia ci mostra che le idee tornano alla mente associate in quell' ordine , che vennero all' anima per l'impressione delle cose ester 88ne, o in quello , che si genera in virtù della forza particolare di ciascuna idea, essendo che le più vivaci, o quelle che maggiormente si attengono a' nostri bisogni, si risvegliano pri ma dell'altre ; e questo mostrandoci , ella ne insegna che , se vogliamo fedelmente ritrarre nelle menli altrui cio che abbiamo veduto o imaginiamo di vedere, v ciò, che sentiamo, ci è duopo di formare la catena delle parole se. condo quella delle nostre idee, per quanto il comporta il genio della lingua. Questa verità verremo ora con alcuni esempi mostrando, Si osservi primieramente nel seguente esem pio, tolto dall'Ariosto, come nella descrizione delle cose, che non sono in moto, sieno poste innanzi all'animo dell'ascoltalore quelle idee, che prima farebbero impressione ne' sensi del riguardante, e poscia succedano a mano a mano le altre secondo loro qualità e silo : La stanza quadra e spazïosa pare Una devola e venerabil chiesa , Che su colonne alabastrine e rare Con bella architellura era sospesa . Sorgea nel mezzo un ben locato altare, Che avea d'innanzi una lampada accesa, E quella di splendente e chiaro ſoco Rendea gran lume all'uno e all'altro loco. La prima impressione, che riceverebbero gli occhi di chi mirasse un somigliante luogo, sa rebbe certamente la forma e l'ampiezza di esso, e tosto occorrerebbe alla ' mente la cosa alla quale somiglia , cioè la devota e venerabil chiesa : indi l'allenzione del riguardante si 89 indirizzerebbe alle parti del luogo più appari scenti, le colonne alabastrine e rare : queste chiamano il pensiere a fermarsi alcun poco sulle qualità dell'architellura , indi alle parli . più minute, cioè all'altare, alla lampada, alla luce, che si spande d'intorno . Quanto giovi disporre le parole nell'ordine, in che le idee sono naturalmente impresse nei sensi dalle successive modificazioni delle ester ne cose, si può conoscere da questo esempio di Virgilio , il quale , volendo rappresentare all'imaginazione nostra il greco Sinone trallo al cospetto di Priamo, si esprime cosi : Namque ut conspectu in medio turbatus, inermis Constitit , atque oculis Phrygia agmina circumspexit. La collocazione di queste parole è secondo l' ordine , nel quale avrebbero proceduto le sensazioni di colui , che avesse veduto cogli occhi propri sinone, e che l'imagine di quella vista si riducesse a memoria. La prima cosa, che gli verrebbe all'animo , sarebbe il luogo ov'era condotto Sipone, conspectu in medio; indi la persona di lui colle sue più distinte qualità , turbatus , inermis ; poi l'azione, constitit ; poi la parte del' vollo , che subito chiama a sè l'altenzione del riguardante , co Die quella , che è indizio dello stato dell'ani ma, oculis ; poi le cose , sopra le quali gli occhi si volsero , Phrygia agmina; infine l'ultima e lenla azione degli occhi dipinta colla tarda parola circumspesil. go Un altro esempio dello stesso Virgilio dimo. slrerà come sieno poste nel proprio luogo pro posizioni e parole. Ecce autem gemini a Tenedo tranquilla per alla ( Horresco referens ) immensis orbibus (angues Incumbunt pelago , pariterque ad litora tendunt : Pectora quorum inter fluctus arrecta , jubacque Sanguineae exsuperant undas : pars cae lera pontum Pone legit, sinualque immensa volumine lerga. Fit Sonitus, spumante salo , jamque arva tenebant ; Ardentesque oculos suffecti sanguine et igni, Sibila lambebant linguis vibrantibus ora . و Colui che fosse presente al descritto caso , osserverebbe primamente di lontano due cose indistinte venir del luogo che gli fosse al co spetto, gemini a Tenedo ; indi le acque per le quali nuotassero, tranquilla per alta ; al l'avvicinarsi di quelle due indistinte cose, egli comiocerebbe a distinguere il loro divincolare ; poi ecco che le due cose, che da prima indi stinte si mostravano , si vedrebbe essere due serpenti, angues, i quali più s'accostano e più li vedi , e più discerni l'azione loro ; prima del gittarsi sul mare , poi del girarsi al lido , incumbunt pelago , pariterque ad litora 91 lendunt ; ed a mano a mano più visibili la . cendosi le qualità de' serpenti , si vedrebbero i pelti erti sui flutti ed alte le creste sangui. gne, e il rimanente de'corpi con grandi volute nuolare, pectora quorum ec . Finalmente udi rebbe il suono dell' acque , e ne vedrebbe le spume. Pervenuti al lido i serpenli, discerne rebbe i loro occhi ardenli e sanguigni , ne ascollerebbe i fischi, e vedrebbe a vibrare le lingue, fit sonitus ec . Per l'addotto esempio maniſestamente si vede che nel collocare le parole secondo la catena di quelle sole idee, che verrebbero al. l'animo di chi il descritto caso avesse veduto, sta l'arte di rendere evidenti le descrizioni : di qualità che all'uditore sia avviso non di udir raccontare ma di vedere cogli occhi pro pri. Nel rappresentare colle parole le sole idee che vengono naturalmente all'animo di chi mira le cose , e di chi è mosso dagli affetti, consiste l'arte del particolareggiare : chi tra passasse Test limite cadrebbe nella prolissi tà, e nella minutezza , la quale rende stucche voli que' poeti che eccessivamente particola reggiando si pensano di produrre l'evidenza. Siccome poi le cose hanno più o meno di forza sull'animo nostro a misura che più o meno vagliano a concitare l'amore o l'odio, o a mettere timore ; così interviene talvolta , che esse al tornar che fanno alla mente tengono quell'ordine , che è secondo i gradi della ri. spettiva loro forza. Per ciò è che qualvolta le idee in virtù delle parole sieno ordinate con formemente a siffatta legge, il discorso è caldo e passionato ; e freddo e di nessun efletto se 92 l'ordine delle parole discorda da quello delle idee. Nel libro IX dell'Eneide veggendo Niso l'amico Eurialo già presso ad esser morto dai Rutuli, cosi esclama: Me me (adsum qui feci) , in me conver : tite ferrum , O Rutuli , mea fraus onnis : nihil iste nec , ausus, Nec potuit : coelum hoc , et conscia si dera testor. Volendo il poeta esprimere le veemenza della passione di Niso, soppresse il verbo interficile, e pose innanzi alle altre la voce me quarto caso, poichè la prima idea, che viene all'ani. mo del giovanetlo , si è quella della propria persona , che egli vuole sacrificare per l'amico suo ; poi vengono le altre parole ordinata Diente seguitando la della legge. Similipente il Petrarca : E i cor, che indura e serra Marle superbo e fero, Apri tu , padre, inlenerisci e spoda . Se invece egli avesse dello : Apri tu , padre, intenerisci e snoda I cor, che indura e serra Marte superbo e ſero, l'elocuzione sarebbe riuscita fredda, perciocchè la prima imagine che si presenta al commosso animo del poeta, sono i cuori, i quali egli con 93 quelle prime parole quasi pone innanzi a Dio , affinchè si piaccia d'intenerirli. Accade alcuna volta che lo scrittore vuole accrescere vigore alla propria sentenza , e in questo caso non dee disporre le sue parole a modo, che all'uditore paia di aver inteso tutto al prinio detto, ma far sì , che le idee vengano all' animo di lui crescendo gradatamente, come nel seguente esempio : Tu se' buono, santo, divino. E in quest'altro del Boccaccio : Ri. prenderannomi, morderannomi, lacereran nomi costoro. Similmente metterà bene il collocare l'ay verbio dopo il verbo e l'addiettivo dopo il sustantivo , qualvolla sieno posti nel discorso alfine di accrescergli vigore. Perciò è che me. glio si dirà : io ti amerò sempre , che io sempre ti amerò : è facile il sentire come questa seconda collocazione riesca fredda. Molli preclari ingegni, e Ira questi il Caro, hanno biasimato il Boccaccio, perchè troppo frequentemente pone il verbo alla fine del pe riodo ; e per verità l'hanno biasimato a ragio ne ; perchè non solo con ciò si toglie al di. scorso la varietà, ma anche perchè il più delle volle si viene a turbare la naturale associa zione delle idee. Alla quale associazione se porrà mente lo scrittore troverà sempre molivo onde approvare o disapprovare l'ordine che egli avrà posto nelle sue parole. Lunga opera sarebbe il trattare qui minutamente questa ma teria e il prescrivere le regole applicabili a tutti i casi particolari ; queste si possono age volmente dedurre dalla regola generale, che abbiamo assegnata , e perciò stimiamo che qui 94 basti fare qualche altra osservazione intorno ad alcuni luoghi, ne'quali il verbo è posto in ultimo. Avendo il principe Tancredi, presso il Boc caccio, rimproverato Ghismonda di avere eletto per suo amatore Guiscardo di nazione vile, e non uomo dicevole alla nobiltà di lei, così ella, rinfacciandogli il fatto rimprovero, gli dice : in che non taccorgi che non il mio pec cato , ma quello della fortuna riprendi. Qui chiaro si vede che se Ghismonda avesse dello : non taccorgi che non riprendi il mio pec cato , ma quello della fortuna, avrebbe par. lalo freddamente. Il figliuolo di Perolla, in T. Livio, sdegnato che il padre suo gli abbia in. pedito di uccidere Annibale, si volge alla pa tria dicendo : o Patria , ferrurn , quo pro te armatus hanc arcem defendere colebam, hodie minime parcens, quando pater extor. que, accipe. Ne'due cilati luoghi son poste innanzi le idee, che prima si presentano ale l'animo passionato di colui che favella, e in ullimo è il verbo, che apporta luce alla mente sospesa dell'ascollatore. Se T. Livio avesse det. to : 0 Patrin , accipe ferrum ec. , oltrechè avrebbe parlalo fuori del modo naturale di colui che ha l'animo commosso, avrebbe an cora mancato di quell'arte, che l'altenzione altrui si procaccia : imperciocchè qualvolta egli ci porge innanzi il ferro, col quale il giovane voleva difendere ostinatamente la rocca, subito la niente nostra sta attendendo impaziente menle che cosa esser debba di quel ferro ; e, poiché ode la risoluzione di esso giovane, re sla preso da subita maraviglia e ne riceve dilelto. 95 Nel collocare le parole secondo la catena delle idee, si vuol porre ' grande cura di con ciliare quest' ordine con quello che è richiesto dall'orecchio e dal genio della lingua , al quale non si può contrariare. Qualvolta 10 scrittore ciò pervenga ad ottenere, sembra che le sue parole siensi di per sé poste al luogo loro , e che chiunque avesse voluto dire la stessa cosa l'avrebbe detta a quel modo. Que sta si è quella facilità, che molti avvisano di poter conseguire , ma spesso invano a ciò si affaticano e sudano. Parliamo del carattere del discorso. Avendovi posti innanzitulli gli elemenli, onde si compongono le prose e le poesie , ac cade ora di ragionare più parlicolarmente delle leggi della convenevolezza , o sia del decoro , di che abbiamo di sopra falto cenno alcuna volta . Come dalla mescolanza de'selle colori fatta con legge si genera la varietà e la vaghezza nella imagine delle cose dal pittore imitate, cosi dalla mescolanza degli elementi predetti , similmente falta con legge, nasce la varietà e la venustà delle prose e delle poesie . Colui che si facesse ad accozzare e ad ammassare alla rinfusa parole nobili , modi urbani, mela fore, traslali, igure , sentenze , ec. , verrebbe certamente a comporre di buona materia as sai deforme Perſella riuscirà Costa. Vol. Un . 5 CON 98 posizione, allorchè le parole e i modi e l'ar monia e le figure verranno e ben divisale le une con le altre e lulle insieme , secondo i fini che lo scrillore si propone , secondo la maleria della quale ſavella, secondo la condi. zione sua e di coloro che l'odono , secondo i luoghi in cui parla ; chè in queste tulle cose consiste il decoro. Dal decoro nasce la leggia dria , che risplende nelle più belle opere del. l'arle, e senza di esso nessuna cosa al mondo è pregevole. Conciossiachè poi varii sono i fini speciali , che lo scrittore si propone , varii i subbielli, di che può ragionare, varie le uma ne condizioni e le circostanze, conseguita che varii pur sieno i generi e le specie de' con ponimenti per loro proprio carattere distinti. Il qual carallere, per le cose delle di sopra, definiremo nel modo seguente : Il carattere del discorso si è la contemperanza degli ele nepli, da ' quali risultano la chiarezza e l'or. namenlo, ſalta secondo le leggi del decoro. E perciocchè la principal legge del decoro si è quella , che riguarda il fine, che ci pro poniano , quando altrui manifestiamo i nostri concelli , a questo volgeremo tosto la nostra considerazione, Chi scrive inlende o a convincere o ä pero suadere o dilellare altrui. Secondo questi tre fini nasceno tre generi di scrivere o tre caralleri si diversi , che vogliono essere di stigli e particolarmente considerati ; cioè il fi losofico , il persuasivo, il poelico. Di questi di reno prima alcuna cosa in generale , indi ne accenneremo le specie. In quanto al carattere del discorso filosofico, Ufficio de'flosofi si è il mostrare altrui la verità , e perciò le loro scritture intendono a fare che il lettore od ascoltatore non sola . menle venga di buona voglia nella sentenza a lui esposta , ma che sia costretto anche suo malgrado a vevirvi, che è quanto dire ch'egli rimanga convinto . Se pertanto ci verrà fallo di scuoprire quella virtù del linguaggio , per la quale si genera il convincimento , ci saranno subito manifeste le qualità , onde il carallere filosofico si distingue dagli altri. Il convincimento si genera nell'animo o qual volta per via de' sensi percepiamo l'attenenza ſra alcune qualità, e in questo caso diciamo esser convinti dal fatto, o qualvolta ci vien posta innanzi una serie di proposizioni insie me collegate ' e procedenti da una o da più altre conformi a'falli , le quali si chiamano principii ; ed in questo secondo caso diciamo di essere convinti con evidenza di ragione . A costringere gli animi con questa evidenza in . lendono i filosofi, ed a tal fine son loro neces sarii i vocaboli di singolare significazione ed i modi precisi ; imperciocchè se nella catena delle proposizioni che formano il ragionamento , una sola vi fosse di perplesso significalo, o che accrescesse o menomasse di un solo elemento iniportanle alcuna idea, si mulerebbero le at tenenze delle dette proposizioni, dal che proce derebbe l'errore , come accade nelle operazioni arilmeliche, qualvolta , no solo numero . si pon . ga iu luogo di un allro, Se agli uomini venis 100 se dalo ( che Dio volesse ) di ordinare la lin gua a modo che dalle percezioni delle qualità semplici delle cose fino alle più complesse idee d'ogni maniera non fosse vocabolo di mal fer ma significazione, non sarebbe malagevole il ragionare dirittamente in qualsivoglia altra Ina teria , come si ragiona nella matemalica ; inn perciocchè in virtù de'segni ben determinali si verrebbe al conoscimento delle allenenze delle idee complesse grado per grado fino ai loro principii ; e per tal forma ciascuno potreb be sempre rendersi certo della enunciata verità . Da tutto ciò si raccoglie che nella precisio ne delle parole e dei modi sta la virtù di con vincere ; e che perciò essa precisione esser dee la prerogativa dello scrivere filosofico . L'uso della metafora pertanto e delle figure può divenire larghissima fonte d'errori, per ciocchè è facile che l'animo umano ingannato dalle similitudini, di che si formano le meta fore, e commosso dagli artificii travegga, e quindi si faccia a comporre le nozioni, non secondo la natura delle cose , ma secondo le apparenze e la capricciosa indole della fantasia. Il sistema del Malebranche , ch'ebbe tanti se. guaci e disputatori (per lacere di molli altri ) procede da una similitudine. E si dovrà dunque nello scrivere insegnali vo schivare ogni metafora ed ogni figura, e renderlo secco e ruvido, come quello de'ma temalici ? V'hanno certamente alcune malerie ( e tale è per avventura la ideologia ) , le quali richieggono un linguaggio pressochè simile a quello della geometria o dell'algebra ; ma non 101 è perciò che le altre parti della filosofia, ed anche talvolta la stessa austera scienza delle idee, non dimandino ornamento sobrio e ve recondo. Niuna materia filosofica vuol essere molto mollo fregiala , acciocchè il verisimile, in forza degli artifizii oratorii , non venga ad invadere . il luogo del vero, nė paia che il filosofo voglia invescare e prendere altrui : nulladimeno è necessario che a quando a quando l'intelletto del leggitore, affaticato dal lungo ragionare, trovi riposo, e venga alleltato, senza che la esposta verità rimanga oscurala . Perciò il filo soro collo schivare le parole barbare, rance , oscure e disarmoniche toglierà ogni ruvidezza al suo discorso, e gli darà grazia e leggiadria convenevole co' modi urbani e gentili , colle vereconde metafore scelte a maggiore schiari. mento di quanto per le parole ben determi nate fu espresso ; colla brevilà e colla varietà de'modi, con alcune naturali figure, quale sa rebbe l'interrogazione, e specialmente coll’ar. monia facile e piana , e con tutti gli allri modi naturali alla tempérala favella . Questo carallere filosofico fu si ben divisato da Cicerone , che io slimo convenevole cosa di recare le sue parole : « Temperata e famiglia . re è l'orazione de'lilosofi : non è composta » di modi popolari; non è legata a cerle re » gole d'armonia , ma discorre liberamente , » Niente sa d'iralo , niente d'invidioso , niente » di inirabile, niente di astulo. Casla , verecon » da, quasi pudica vergine, onde piuttosto » ragionamento che orazione può nominarsi » Parliamo del discorso  di carattere persuasive o protrettico. Poichè abbiamo dato contrassegno del carat tere filosofico , veniamo a fare il medesimo del persuasivo. Persuadere significa propriamente far credere altrui alcuna cosa ; dal che mani. feslo apparisce essere grande la differenza tra il convincimento e la persuasione. Perchè sia mo convinti è forza che conosciamo tulle le proposizioni , che compongono un ragionamen . to fino alle prime percezioni, dalle quali dipen . de il principio fondamentale di quello ; perchè siamo persuasi basta che il ragionare abbia per fondamento o l'opinione o l'apparenza o l'autorilà. Molli dicono, a cagion d' esempio , di essere persuasi che il sole si giri intorno la terra , ed altri che questa si volga intorno al proprio asse ; gli uni prestano fede all'ap. parenza , gli allri al dello degli uomini sapienti ; ma di quello che credono non sanno porgere altrui vera dimostrazione. Da questo esempio , e da infinili allri , si può vedere che la per suasione non è sempre generala dal conosci. mento di tulie le proposizioni che si richieg gono nelle filosoficile dimostrazioni, e che per conseguente a trarre le volontà, ed a tenere le menti del più degli uomini, non importa semipre il dimostrare sollilmente alla maniera de' filosofi , ma giova di far uso di qualsi voglia verisimile principio : di comporre ima ginazioni che abbiano faccia di verilà : di ado perare figure che, perlurbando l'aninio dele l'uditore, conformino i pensieri di lui secondo 103 la nostra volontà di guisa , che, se egli sia per venire nella nostra sentenza , precipitosamente vi corra . Ma tutte queste cose si vogliono ado perare a modo, che il discorso abbia sempre apparenza di vera dimostrazione; perciocchè gli uditori di qualsivoglia condizione sempre domandano all'oratore che sia loro mostra la verità. Converrà quindi dedurre il discorso, per natural guisa e chiaramente , e da esso ri . movere ogni proposizione ed ogni artificio, nel quale apparisca alcuna ombra di falsità. Primo ufficio dell'oratore si è il provare la sua pro posizione nella divisata maniera ; secondo il dilellare ; terzo il commovere ; accorgimento si richiede nelle prove ; sobriela degli ornamenti che intendono al dilello ; veemenza nel conci tare gli affetli. Con queste arti si perviene a Trionfare ed a governare la volonlà degli uomini. Per le cose delle si conosce che gli oralo ri, comechè dicano di voler dare esalla dimo . strazione di quanto affermano, questo non fan no sempre : del che si può aver prova nelle dispute , che eglino fanno in contraddilorin , per le quali talvolta appaiono vere due sen . tenze, una delle quali, essendo opposta all'al tra , deve di necessità esser ſalsa. Non è dun que l'arte oraloria veramente l'arte di dimo. strare, ( prendendo questa parola nello strello significalo de'filosofi) ma, come la defini Dio nigi d'Alicarnasso , l'arte di farsi credere. Ma qui potrà per avventura sembrare che, avendo io nel sopra indicato inodo divisata la nalura dello scrivere persuasivo, de abbia fat 10 un'arte d'inganno. Chi però cosi pensasse 104 а porterebbe opinione falsissima ; perciocchè non si ſa inganno agli uomini adoperando a bene quell'arte, che sola si conſà all'indole della più parte di essi . Pochi sono coloro, che pos sono essere falli capaci della verità per via di sollile ed esatto ragionamento ; anzi av viene il più delle volte che , sembrando molti falsissimo il vero e piacesse a Dio che così non fosse ) , è forza , per guadagnare l'opi. nione foro , venire ad alcuna utile verità per le strade del verisimile ; e questo non è certo ingannare, ma giovare la umana fa . miglia . Vero ufficio degli scrittori si è l ' usare l'e . loquenza non ad inganno, ma per indurre gli uomini a fuggire il vizio, a seguitare la virtù e la verità ; per metter fine alle conlese, per sedare i tumulli, per sollevare l'autorità delle Jeggi contro il volere di coloro , che il privalo bene antepongono a quello della repubblica : che se alcuni malvagi intellelli abusano di tut te le arli civili , dovremo per questo sbandirle dalle città e ricondurre gli uomini a viver di ghiaude ?Finalemente e il discorso di carattere poetico, come in Heidegger. La poesia fou dal popolo inventata per pro prio dilello , e poscia dagli autori della vila civile ad ammaestramento di esso popolo ado perala . Piacque ad aleuni a solo ricreamen to dell'animo usarla , ma i più nobili poeti sot to il velame delle favole, delle imitazioni e dei mirabili concelli pascosero la dollrina , e con locuzione accesa nella fantasia e con soavi ar 1 105 monie si aprirono la strada alle menli volgari, le quali all'insegnamento dei filosofi sarebbero stale ritrose. Per lo che niuno può dubitare che chiunque si dispone a scrivere poesie non debba cercare di piacere alla più parte degli uomini. Questo fece ad imagine degli antichi il nostro Dante, la cui divina Commedia leg gevano anche le persone d'umile condizione, e ne traevano documenti a ben vivere. Questo ſecero l'Ariosto e il Tasso, e cosi dee fare chiunque ha vaghezza di essere salutato poeta . Se dunque investigheremo quali sieno quei modi che dilettano il più degli uomini, e quali sieno que' che li noiano, giungeremo a cono scere quali convengano e quali discon vengano al carattere della locuzione poetica . E primieramente e palese che le parole ap portano diletto e colla materiale strullura loro e colla qualità delle idee, che recano alla mente ; perciò è che l'essere del carattere poetico dall'una e dall'altra di queste cose dovrà generarsi . Una delle qualità necessarie alla elocuzione poetica sarà dunque la più squisita armonia, onde siano dilettati i sensi ed appagato l'intellello in virtù della inila zione . Dell'armonia abbiamo dello abbastanza , perchè passeremo tosto a dire della natura delle idee dilellevoli. Il dilello si genera negli animi da ciò che, dolcemente i sensi movendo, fa operare la mente senza tenerla in fatica : e perciò è che le imagini dei corpi diversi e lulte quelle cose e que'concelti, che hanno virtù di risvegliare gli affetti, ci recano maraviglioso piacere : .e le idee astralle all'incontro non lo ci recano, 5 * 106 perciocchè, se non sono mollo complesse, fan . no lieve impressione nell'animo ; se molto complesse, abbisognano di molta attenzione, e perciò affaticano la mente. Proprii , saranno dunque del carattere poetico i vocaboli e i modi acconci a svegliare ad un tempo la ri membranza di molte sensazioni dilettevoli ed a concitare le varie passioni ed a rendere sen sibili coll'aiuto delle similitudini tolte dalle cose corporee i più sottili concetti della mente. Cogli aggiunti opportunamente scelti ven gono significate le passioni o le azioni, e gli usi delle cose e le qualità loro proprie, le quali in virtù dei soli nomi sustantivi non verrebbero all'animo dei lellori , o ci verreb . bero debolmente ; perciò al poeta conviene l'adoperare essi aggiunti più frequentemente che all'oralore, quale dipinge meno parli colarmente le cose, siccoine colui che non ha per fine principale il diletlo. Colle melafore si dà corpo alle astralte nozioni, coi tropi si pone dinanzi agli occhi della mente quella sola parte o qualità dell'obbietlo, che prima si presenterebbe al senso di colui che cogli occhi del corpo il mirasse. Adoperando i predelli modi, si perviene a dare a'concetti intellettuali forma sensibile guisa, che il lettore , direi quasi, non più per segni percepisce le cose, ma le vede, e con mano le tocca . Affincho palesemente si vegga questa prerogativa , che sopra lulle rende il carattere poetico distinto dagli altri , recherò ad esempio alcuni concell : intellettuali , convertendoli in forma sensibile. Tutti i viventi muoiono La sede del ro mano impero fu da Costantino trasferitu a 107 Bisanzio Il popolo facilmente mula con . siglio Quello ch' ei fece dai tempi di Riomolo , sino a quello dei Tarquinii. Que. sli concetti si dicono intellettuali , siccome quelli che si denno giudicare secondo il si . gnificato proprio di ciascuna parola ; sensibili saranno , qualvolla sieno espressi di maniera che giudicare si debbano secondo l'apparenza o la similitudine, siccome divengono i predelti Trasformandoli nel modo seguente : La inorte batte egualmente alle capanne de poveri ed a' palagi de're Posciachè Costantin lo quila volse Contro il corso del ciel, che la seguiu Dietro quel grande , che Lavinia Wolse. Infida è ľaura popolare. E guel cliei fe' dal mal delle Sabine Al do Tor di Lucrezia. Queste finzioni che assai di lettano , e perchè contengono manifeste simi. litudini e perchè racchiudono veri intellettuali concelii, sono talmente proprie della elocuzio ne poetica, ch'elle sarebbero sconvenevoli nei discorsi , che non hanno per fine primario il dilello. Come queste poi si addicano più a cerle specie , che a certe altre, vedrenio a suo Juogo. Ora basterà di avere in genere contras. segnata la natura del carattere poetico , onde apparisca che tengono mala strada coloro, i quali cercando " fama tra i poeti fanno pompa ne'loro versi di dollrina e di soltile ingegno, ed espongono i loro pensieri con ordine troppo minuto e distinto. I concetti che si cavano dal. l'intrinseco della filosofia , recanó seco molta oscurità e difficoltà, specialmente quando ven. gono significati co' vocaboli e commodi loro proprii, e perciò sono contrarii al diletto, che 108 è il fine del poeta , o, come altri vuole, il mezzo necessario ad indurre il giovamento . E quando si dice che il poeta dev'essere filosofo , non si vuol dire che a modo dei filosofi debba sce gliere, ordinare e significare i concetti, wa che egli usi mollo di filosofia nello scegliere le ma terie più utili agli uomini, e nel dare a quelle e forma e veste conveniente alla natura di ciascuna . Che se talvolta egli vorrà togliere alcun concello dalla filosofia , lo toglierà dalla superficie e non dal profondo seno di lei, in quel miodo, che ha falto il Petrarca, qualvolta si è giovato della filosofia di Platone, come si vede nel seguente esempio : Per le cose mortali, Che son scala al fattor chi ben le stima , D'una in altra sembianza Potea levarsi all'alta cagion prima. E in altri luoghi moltissimi si vede con qual arle e cautela dalla flosofia nella poesia egli abbia trasportati i concetti, gli abbia temperati ed ornati, sicchè non hanno nè ruvidezza alcuna nè oscurità, ma naturalezza , novità , e magni ficenza , che sono qualità popolari, che è quanto a dire poetiche. C’e una e altra specia del discourse di carattere filosofico. Le materie, intorno le quali cade l'insegna mento, sono : la matematica , la fisica , la mela. fisica , la morale, la politica , l'arle oratoria e la poelica, le arti liberali e le meccaniche, e lulle le conoscenze che da queste principali proce 109 dono, ciascuna delle quali essendo più o meno astralla , richiede o maggiore o minore soltigliez za d'ingegno e forza di attenzione in chi le considera : per la qual cosa interviene che dovendo gli scrittori usar parole e modi con venevoli alla natura di ciascuna delle dette materie , ne risultano diverse specie di caralleri insegnativi più o meno austeri. Rispelto poi alle persone, cui vuolsi mostrare la verità, giova osservare che elle sono di due maniere. Alcunelelterale ed alcune mezzanamente istruite. Alle prime, che sono avvezze al ragionamento, si converrà strello sermone : più diffuso alle altre, le quali hanno bisogno che le cose sieno esposte loro per minuto , ed anche talvolta per via di similitudini e di esempi chiarile . Per tal cagione il discorso filosofico prende spesso alcuna delle forme del persuasivo, senza mai perdere però la precisione, che forma l'essen ziale sua proprietà. Di tal sorta sono molti libri indirizzati all'insegnamento de'giovani, e i dialoghi e le epistole filosofiche, le quali ven gono usate affinchè certe materie depongano alquanto della nativa loro austerità, ed allin cbè i lellori affaticati trovino riposo nelle di gressioni e in altre parti accessorie. C’e una e altra specia di discourse di carattere pesuasivo o protrettico. Se al mondo fossero uomini diriltamente sa pienti e perfettamente savi, sicchè astuzia e lusinga di oratore non potessero negli animi loro, vana riuscirebbe l'arte del persuadere, perciocchè tutti richiederebbero di essere con vinti con precisa e poco adorna favella : ma Blo non sono quaggiù nel mondo cose perſelle , e perciò è che, sebbene tutti gli uomini avvi sando di poter essere condotti alla verità per via di vera dimostrazione, sdegnino i manifesti artificii ; pure non v'ha alcuno , che vaglia a resistere alla seduzione di astula eloquenza ; dal che si ricava che l'arte del persuadere si può adoperare con ogni sorta di persone ; po pendo menle però che quanto maggiore negli ascoltanti è l'aculezza dell'intellello e la sa pienza, altrellanto esser deve la cura nell'ora tore di occultare l ' artificio . Dovranno dunqne i modi del discorso persuasivo tanto più avvi. cinarsi a quelli del filosofico , quanto piu le persone, cui si favella, sono sapienti ed arcor . te ; ed all'incontro tanto più dovranno lin . gersi , direi quasi , del colore poetico , quanto negli ascoltatori è minore l'altitudine ad argo nentare sollilmente : e la ragione di questo si è che , a misura che negli uomini manca l'acı fezza dello intellello, cresce la forza della fan. tasia, dell'opinione e delle passioni. Ma no è perciò che, anche favellando a sì falte persone, debba l'oratore ornare il discorso d'imagini fantastiche a modo che esso perda le appa renze della buona dimostrazione ; essendo che' il popolo stesso , il qual pure , come è detto , presunie di sapere ragionare sottilmente , sde gna quella orazione che gli par vuota di ra gioni . Dovrà dunque il discorso persuasivo aver sempre l'aspetto di vera dimostrazione; ma colale aspetto poi sarà diverso , secondo la maggiore o minor perspicacia delle persone, che si vogliono persuadere, le quali si possono dividere in tre schiere. La prima è degli uo III mini letterati : la seconda degli uomini che banno convenevole discrezione di mente : la terza del popolo . Per le quali tre schiere tre specie di carattere persuasivo procedono. La prima partecipa alquanto delle qualità del ge nere filosofico : la terza di quelle del poelico : la seconda è media fra le due. Della prima specie sono le allegazioni , che gli avvocati pronunciano al cospetto de' giudici; della se. conda i discorsi morali, le istorie , gli elogi ed altre opere intese a persuadere circa il giusto e l'onesto le persone discrete ; della terza le prediche e le allocuzioni e i parlamenti , che si fanno al popolo ed a ' soldati . Siccome poi varia si è la condizione delle persone che favellano , e varie le cose di cui si può favellare , interviene che secondo que ste e quelle verrà il carattere persuasivo a di vidersi in altre specie : e perciocchè le per le cose si possono considerare di tre ragioni, cioè di nobili, di mezzane e di umili, piacque a'retorici di restringere sotto tre soli nomi i molli membri del carallere persuasivo, e questi sono : il sublime , il temperato ed il tenue. Che a ciascuna di queste specie si addicano e voci e modi particolari, è facile comprendere. e chi non vede che al discorso rivolto a ce lebrare le lodi di un eroe o di un sapiente si convengono maniere diverse da quelle , che sarebbero accomodate a descrivere o a lodare l’amenità della villa ? Che la lellera famigliare intenla a persuadere qualsivoglia verità ad alcuno, dev'e di natura diversa dall' ora zione che tralla della cosa medesima ? Paren sone e I 2 domi che qui non sia bisogno di allargarsi troppo in parole, una sola cosa ricorderò , cioè, che von solamente si addicano a cfascuna spe. cie particolari maniere , ma ancora particolare collocazione di parole e particolare armonia . Imperciocchè l'animo di chi favella , essendo secondo i varii casi o tranquillo o perturbato, o elevato o umiliato , non è dubbio che , nel seguitare questi diversi affetti , variamente si devono ordinare le idee, e colle idee le paro le, e che similmente dee variare l'armonia , se vero è ch'ella soglia naturalmente , qualvolta favelliamo , accompagnare i moti dell'animo , Oltre di che vuolsi considerare che que' che parlano alla moltitudine , o scrivono cose da proferirsi ad alla voce , sogliono muoverla e modularla con diverso andamento da quello che userebbe colui , il quale famigliarmente ragionasse e tranquillamente in angusto loco alcun fatto narrasse ; e perciò il ritmo di que ste due specie di favellare è fatto diverso dalla necessità di pronunciare a modo, che le nostre parole sieno ascoltate volentieri, e quan do in luogo pubblico di gravi negozii a molti parliamo, e quando in camera a pochi di qual sivoglia materia. Quale sia poi quella deter minala armonia, che in ciascun caso convenga, insegnare uon si può. Qui basti l'avvertimen. to, chè l ' esempio de classici scrittori assai meglio ne può ammaestrarc . Penso che sia convenevole cosa il collocare fra le specie del carattere persuasivo anche quello che si addice alla istoria ; e ciò per le seguenti ni. Uſlicio dell'istorico si è di produrre coll'insegnamenlo la prudenza civile 113 e militare , il che si ottiene col porre innanzi all ' animo del lettore i fatti importanti e le cagioni e gli effelli di quelli . Al qual line, è mestieri di descrivere avvenimenti d'ogni ma piera e particolari e generali , assalti , uccisioni , incendii, battaglie, saccheggi, trattazioni, páci , congiure , delilli e virtù ; di palesare nelle concioni poste in bocca ai re, ai magistrati, ai capilani , i gravi consigli e i documenti della politica ; di esprimere i caratteri delle passioni, e di usare le più luminose sentenze. Le quali tulle cose vogliono essere significate con modi che varino secondo il variare della maleria . Comechè uguale a sè medesimo sia sempre il carattere della isloria , cioè grave , siccome si addice a chi le gravi cose racconta , certo egli è che secondo la differenza degli avvenimenti dovrà variare nel sostenersi e nello innalzarsi, ed apparire nelle concioni più alto ed eſti cace , nelle descrizioni più ameno ed ordinato, e spesso più veemenle nella persona degli uo mini ivi introdolli a parlare, ma sempre tem • perato in quella dello scrittore , che da ogni parteggiare dee mostrarsi lontano. Non può dunque convenire al caraltere storico nè l'au . torità filosofica , la quale sarebbe contraria alle malerie , nè la poetica pompa , che torrebbe fede alla narrazione ; perciò é forza che gli sieno proprie le prerogative generali del ca. rattere persuasivo , dal quale differisce sola mente per le qualità speciali di sopra accen nale . C’e una e altra specia del discourse di carattere poetico. Se ſu bisogno dividere in alcune specie il carattere persuasivo a cagione della maggiore o minore altitudine delle menti umane a di scerncre la verità , ciò non occorrerà circa il carallere poetico ; imperciocchè tanto gli uo. mini di sottile ingegno , quanto quelli , in cui la fantasia prevale all'intellello , hanno tulli dinanzi al poela una medesima disposizione. Se il popolo porge orecchio alle finzioni noe. tiche , quasi come a cose vere, i sapienti le riguardano come simboli della verità e quasi come leggiadri sogni della filosofia , e in questo loro dolce ricreamento sdegnano ogni austerilà e fino l'apparenza delle faticose forme filoso . fiche . Perciò è palese che il poeta rivolge sem . pre le parole ad vomini, i quali, sieno di qual sivoglia condizione , amano che la mente loro şia condotta ad operare senza fatica . Da que. sto si ricava che ogni specie di carattere poe tico dovrà avere sempre la prerogativa di schivare, come dicemmo di sopra, le idee che tengono in falica l'intellello , e rappresentare quelle , che vestile di forme sensibili, eserci. citano la imaginativa. Non sarà dunque diviso in ispecie questo genere per rispelto della diversità degl'intel letti , ma della condizione del poeta o delle persone che introduce a parlare, e delle varie cose , che ei ſa subbietto del canto. Ma, prima di entrare in questo proposito , parni che sia da togliere una falsa opinione circa la natura della poesia. Sono alcuni i quali avvisano che 115 ma il l'essenza di lei consista nel metro, e fra que sti è il Melaslasio , il quale nella sua esposi zione della Poetica d'Aristotile sostiene che la lavella metrica , per essere l'istrumenlo con che l'imitazione si fa , ne forma l'essenza . Ma io domanderei voleplieri a coloro che cosi la pensano , qual nome vorrebbono dare all'Eneide tradolla in favella sciolta dal metro ? Le da. ranno per avventura nome di prosa ? vocabolo prosa altro non significa che discorso senza metro , e per ciò verranno a dire sola. menle che quell'illustre racconto è fatto sce. mo di quella sola qualità, di che grandemente si dilelta l'orecchio , ma non già di tulte le altre , che stabiliscono la natura dei discorsi composti a fine di dilelto. Dal che appare ma nifesto che un altro general nojne è bisogno per distinguere i discorsi composti per dilet. tare. E quale è a ciò più accomodalo vocabolo che quello di poesia ? La voce poeta , secondo sua origine , significa facilore o vogliam dire fabbricatore ; e perciò poesia sonerà lo stesso che fabbricazione o finzione, e tali sono di ne cessità quasi tutti i discorsi , che si compongo no a fine di dilellare , essendo che il nudo vero non è dilettevole sempre e in ogni sua parle : perciò Benedello Varchi dice nell'Erco laro, che il verso non è quello che faccia principalmente il poeta ; e che il Boccaccio talvolla più poeta si mostra in una delle sue Novelle , che in lulta la Teseide. Ed Orazio afferma che a distinguere la poesia da ciò che essa non è, basta disgiungerne le membra , cioè loglierle il metro , e allora si vede manifesta mente che il carallere non le si toglie. Con 16 chiudiamo pertanto, che il metro induce diſſe renza di specie ma non determina la natura del genere ; e stabiliamo che a tulli i discor. si , che hanno per fine il dilettare con metro o senza , si conviene il nome di poesia . Ora veniamo alle specie. Talvolta il poeta rappre senta la persona d'uomo , che cantando, dice laudi degli Dei e degli Eroi ; talvolta quella , ch'esprime i moti dell'allegrezza, dell'affanno o dell ' amore, o solamente gli scherzevoli con cetli . Le poesie di questa maniera solevano dagli antichi essere cantate sulla lira, e perciò presero il pome di liriche , e tuttora il con servano. Varie essendo le passioni e le cose , che esprimere si possono dal poeta lirico , inter viene che ancora il canto si divide in varie specie, che tutte poi si riducono a tre , come nel carattere persuasivo : cioè al sublime, al mediocre ed al tenue. Ciascuno di questi canti ha qualità sue proprie. Magnificenza e gravità di modi , di sentenze e di arinonia , e splen dore d'illustri parole e di concetti fantastici convengono a chi celebra le laudi degli Dei e degli Eroi, ed esprime alte e generose passio ni : più tenui maniere e parole e più soave armonia a chi esprime. gli affelli meno gravi e canta di subbielli meno nobili : quegli poi , che dice i mili affetti o gli scherzi o le umili cose, avrà nelle sue parole piacevolezza e sempli. cità da ogni fasto lontana , ed armonia soave e varia , ma sempre tenue. Alla delta varielà d'armonie , mirabilmente poi servono i metri, alcuni de' quali portano secofl'umiltà , altri la mediocrità , altri l'allezza dell'armonia. Sono 117 molti esempi di questa varietà nel Petrarca , Si ponga mente ai modi, al metro , al ritmo delle due Canzoni d'amore , una delle quali comincia : Chiure, fresche e dolci ucque ; e l'altra : Di pensiero in pensier, di monle in monte; e si vedrà la prima essere in tutte le sue parti piena di soavità, di gentilezza e di gra zia, e l'allra di robustezza e di gravità. Talvolta il poela narra gl ' illustri ſalli ; tal volla i mediocri ; e talvolta i piacevoli : indi si generano i poemi epici , i romanzi , i poemi burleschi e le novelle. Talvolta poi introduce a parlare o le persone illustri o le mediocri o le umili , e quindi provengono le tragedie, le commedie , le egloghe pastorali e le pisca torie . Ognuna di queste specie, siccome è pa lese , ha modi ed armonia convenevole alla maleria ed alla condizione delle persone. Perciò è che il poela , specialmente nella tragedia, nella commedia e nell' egloga, ove se medesimo nasconde introducendo altri a par lare, dee rendere alquanto umili i modi, l'ar monia di guisa , che lo spettatore , ascollando le tragiche persone o le coniche, abbia a dire : così parlerebbero gli uomini di questa o di quella condizione, se loro naturale favella fos sero i versi . Giovi questo generale avverli mento , perciocchè non si possono mostrare i certi limili, fra i quali dee slarsi ciascuna spe 118 rie . Tutte hanno nell'intero loro corpo faltezze particolari , alle quali colui che ben vede di stintamente le raffigura : pure a quando a quando or questa or quella viene a parteci. pare dell ' altrui colore di guisa , che l'epico nelle forti passioni innalza le parole e i modi al pari del cantore degl'inni; e il più sublime lirico parra alcuna volla , siccome fa l'epico. Lo stesso interviene delle allre specie , fra le quali per fino la commedia talora si leva a gareggiare colla Tragedia , e la tragedia al dire l'Orazio , spesso , si duole con sermone pe destre . DELLO STILE. Nelle opere dell'arle, siccome in quelle dels la nalura, si scorge infinita diversilà , ma per questa spesso non è tolto che moltissimi indi vidui della medesima specie , sebbene molto dissimili, non sieno egualmente belli e prege voli. Questo vedesi manifestamente per le la vole colorite da' celebri dipinlori, de'quali uno essendo il fine, cioè quello dell'imitare la bella natura, non in tutti una apparisce la sembian . za del loro dipingere. Raffaello , il Correggio, Domenichino , i Caraccio , Tiziano e Paolo, i quali cerlo non mancano nelle regole invaria bili dell'arte , sono fra loro assai differenti. Tulli mostrano invenzione lodevole e lodevole composizione, belle forme , ben disposto colo. rito e conveniente a ciascuna cosa : lutli espri mono i costumi e gli affelli, ma ciascuno d'essi ſa delle predetle e di altre virtù una cotale mislura, che siamo condolti a dire che nessu. 1 Til no di loro ha la maniera dell'altro, comechè Tulli sieno eccellenti . Questa , che i pillori chia mano maniera, è similmente comune a' filosofi, agli oratori , agli storici ed a'poeli. Quanti scriltori sono tenuli meritevoli di pari com mendazione, sebbene tale fra loro sia la diſſe renza, che spesso ciascuno solamente a sè me , desinio ed a nessun altro assomiglia ? La rin sposizione dell'ingegno e delle affezioni dela l'animo, che in ciascun uomo è diversa, è ca gione che le dette maniere sieno di numero pressochè infinilo . Alcuno de' famosi scriitori ha il pregio della perspicuità , alcuno della eleganza , allri della grazia , altri dell'aculezza . Questi è grave e maestoso : quegli delicato e molle : chi è breve e robusto : chi copioso , chi úrbano e chi veemente : ma tali poi sono tutti, che, se alcuno di noi desiderasse di ot. tener gloria di ottimo scrillore, sarebbe incerto a quale di loro volesse essere somigliante. L'accennata maniera particolare, per la quale ciascuno scrittore è distinto dagli altri , si è quella che gli antichi chiamarono stile, pren . dendo questa voce dall'istrumento che per iscrivere adoperavano. La slessa parola stile, presa più largamente che non fanno i filosofi, significa comunemente il carattere in genere o in ispecie : ma è palese che , filosoficamente parlando , si è bene d'usarla nel senso leste dichiarato . Ond'è che assai propriamente dire . mo in generale, carallere filosofico, caruilere persuasivo o poetico ; ed in ispecie carallere oralorio , lirico, epico, tragico, sublime, medio cre e tenue : e stile di Demostene, di Cicero ne , di Orlensio, di Omero, di Virgilio : percioc 120 chè nei primi fu il solo carallere persuasivo, negli altri il poelico ; ma in ciascuno ebbe una particolare maniera , che modificando il carat tere, l ' essere suo non gli tolse. E chi volesse invesligare le cagioni da che proceda colale maniera, che stile si appella , vedrebbe ch'elle sono le qualità dell'intellello, della fantasia di ciascuno scrillore, e le qualità degli affetti, a cui egli ha l' animo disposto : laonde volendo dare alcuna definizione dello stile, paroi che far si potesse nel modo seguente : Lo stile si è il carattere modificato secondo le qualità del. l'intellelto , della fantasia e degli affelli dello scrittore. Parliamo sommeramente del modo di acquistare la qualita necessaria a conversare civilmente. Ora che abbiamo poluto conoscere che cosa sia lo stile , non sarà indarno l'investigare co me si possa acquistare forza, grazia e vaghezza nello scrivere ; e che è quanto dire come si possa formare lo stile convenevole e pulito. Se lo stile si genera per la qualilà dell ' in tellelto , della fantasia e degli affetti dello scrit tore, vera cosa è che, a formarlo convenevole e pulito , bisognerà rendere perfette le mento vate tre cagioni il più che si può. L'uomo nasce fornilo dell'intelletto , cioè della facollâ di sentire, di percepire , di alten. dere, di paragonare, di giudicare, di astrarre, di ricordarsi, di imaginare , ma d'uopo è che queste lacollà vengano poscia diriltamente usate ed esercitale , onde sia generala quella virtù pressochè divina , che si appella la ragione, 121 la quale consiste nell'abito di . paragonare in sieme i sentimenti distinti dell'anima e le idee, di derivar dai falli pariicolari le nozioni gene. rali ; di anteporre o posporre le une alle altre, di congiungerie o di separarle, secondo la con venienza o disconvenienza loro , e secondo i loro gradi di più o di meno. A formare que sl’abito , sarà bisogno di studiare le opere de' filosoti, che trattano soltilmente delle cose na lurali, delle proprietà dell'intelletto e del cuore umano ; di apprendere l ' istoria , senza la co gnizion della quale, al dire di Cicerone, l'uo mo si rimane sempre fanciullo ; di osservare la nalura , di pralicare fra le diverse condi. zioni degli uomini , e di operare ne privati negozii e ne' pubblici . Ad arriccbire l'imagi. nativa, la quale è l'abito di recare all'animo la reminiscenza delle qualità sensibili che più ci muovono e dilellano ; di congiugnere insie me con verisimiglianza quelle , che sono di. sgiunte in nalura , e di significare per siinili tudine delle cose corporee i concelli astralli, non solo metterà bene di leggere gl'inventori di nuove e vaghe fantasie , ina di por menle a tutto ciò che ai sensi porge diletlo , sia nelle azioni degli uomini e degli anigali sia nel l ' esteriore aspelto e movimento delle cose inanimate ; e soprattullo gioverà di ben con siderare le somiglianze che fanno fra loro le cose di qualsivoglia genere e specie ; chè que sto si è il fonte , dal quale si derivano le vuo ve e maravigliose metafore. Di molla ulilità sarà poi all'intellelto ed all'immaginativa lo sludio de' precelli dell'arte oratoria e della poetica, i quali, essendo il compendio di quanto Costa. Vol. Un. 6 122 ove i filosofi hanno osservato intorno le cagioni, onde piacciono e dispiacciono le opere degli scrillori, apportano quella luce, che un uomo solo nel breve spazio della vila studierebbe indarno di procacciarsi colla sola virtù del proprio ingegno . Vuolsi però sull'osservanza de'precelli av . vertire ciò che nell'arle poetica osserva il Zanolli; cioè che le cagioni del piacere e del dispiacere trovate da ' filosofi , essendo cagioni universali ed indeterminale , mostrano bensi i luoghi , non vogliono che si ecceda o si manchi, ma non prescrivono poi a qual segno si debba giugnere o rimanere , per non ecce dere o non mancare ; ond' è che, a fare buon uso del precello , è bisogno di quella discre. zione , che si acquista con lungo sludio e fa . tica . Rispetto agli affelli, io mi penso che , sel) bene sieno da natura, pure a conciliarli in al trui grande aiuto si possa trarre dall'arte . Se l'amore, l'odio , l'ira , la mansuetudine , la misericordia ed allre affezioni dell'animo na. scono da cagioni determinale, come per eseni. pio l'amore da bellezza e da virtù, l ' odio da male qualità del corpo o dell'animo altrui, non v'ha dubbio che gli aſſelti medesimi si deb bono in chi legge risvegliare per virtù della viva' rappresentazione di quelle cagioni : dal che si raccoglie che lo scrittore, considerando le varie disposizioni degli uomini passionali, e le cagioni, per le quali la passione si genera, avrà materia onde gli animi perlurbare. Cosi per aiuto dell'arte verrà ad operare in altrui quell'eſello , che imperſellamente avrebbe 123 operalo mercè della sola naturale sua disposi. zione. Da quanto è dello apparisce che la scienza avvalora l'intellelto e l'immaginativa , ed aiuta a muovere gli affetti , e che perciò ella si è il fonte dello scrivere rettamente. La scienza poi è generala negli umani intel. lelli da due cagioni : queste sono : la naturale disposizione delle organo corporale e l'azione delle cose esterne sopra di esso ; sì falte ca. gioni sono di necessità diverse in ciascuno ; perocchè non è da credere che si possano tro vare due corpi nella stessa maniera conforma li ; ed è poi certamente impossibile che uno riceva dalle cose esterne nell'animo le mede sime impressioni che un altro. Per la qual cosa avviene che diversa in ciascuno si generi la scienza , e quindi diversa la forza dell'in gegno e dell'imaginaliya , diversa la qualilà degli affetti, e per conseguente anche lo stile, che da queste procede, deve riuscire diverso . Dal che si vede che imprendono opera dispe rala coloro, che si affaticano ad imitare lo stile d'altri . E alcuni pur sono che andando passo passo sull' orme di Dante, del Petrarca o del Boccaccio , avvisano alla costoro gloria di per venire ; ma le opere loro per verità , in fuori di un poco di pulita buccia , niun sugo hanno. Che cosa dovremo dunque apprendere da . gli scrittori ? Rispondo che si vuole apprendere la lingua e i modi acconci ad esprimere chia ramente, ornatamente e convenevolmente i no stri concelli . Da questo scrillore ci sludieremo di procacciare una cosa , da quello un'altra , a seguileremo sempre la nostra natura , se 124 condo l'esempio di Dante , il quale lasciò scritto di sè : lo mi son un che, quando Amore spira , nolo, ed a quel modo Che delta dentro, vo significando. Che se allrove disse a Virgilio : Tu se' lo mio maestro e lo mio autore, Tu se' solo colui , da cui io loisi Lo bello stile, che mi ha fallo onore, non intese già d'avere tolto al maestro la ma niera propria di quel poeta , ma sibbene la qualità , onde il carattere poetico é differente dal filosofico e dal persuasivo. E chi è che pon senta la differenza che è dallo stile di Dante a quello di Virgilio ? Rimane per ultimo a dire degli autori , che coloro che amano di scrivere nell'italiana fa . vella , devono scegliere a maestri . Nulla dirò dello studio della lingua greca e della lativa, perciocchè essendo notissimo che nell'una e nell'altra scrissero coloro, che insegnarono a tutto il mondo, e che questa nostra da quelle procede , ciascuno conosce di per sé quanta ulilità trarre se ne possa. Mi ristringerò dun que a fare alcuna parola de' soli autori italia ni, che agli altri si devono preporre. E prima è a sapere che nel secolo XIV alcuni prosatori ed alcuni poeti diedero al volgar nostro tanta proprietà e grazia, che nessuno ha poi polulo eguagliarli : che nel secolo XV questo volgare ſu quasi abbandonalo per soverchio amore 125 della lingua latina e per pusillanimità degli uomini d ' Ilalia : che nel secolo XVI ſu dal Forlunio e dal Bembo ridollo a regole deter. minate ; e da molti ſu nobilmente adoperato in varii generi di scritture : che nel secolo XVII fu da talupo acconciamente impiegato ed ar ricchito di voci perlinenti alle scienze , fu da alcun altro scrillo con eleganza, ma venne da moltissimi in parte corrotto e rivolto in vanilà di falsi concelli : che nel XVIII finalmente ſu da pochi bene usato , e da moltissimi con pa role e modi forestieri vituperato . Tale essendo stata la fortuna di questa bellissima lingua, chi potrà dubitare che oggi non sia a noi sa lutevole il consiglio, che ci porgono gli uomini sapienli , cioè quello di studiare agli antichi esemplari ? Se nel buon secolo della lingua la lina si stimava essere opera di gran probllo ai giovani il molto leggere gli antichi scrittori del Lazio , quanto maggiormente non si dee credere che lo studiare i nostri sia per giovare a noi, che viviamo in un secolo , ove gl'ita liani, pressoché tutti , più delle cose forestiere che delle proprie dilettandosi, scrivono sì , che punto non pare alle loro scritture che sieno stali allevati in Italia ? Verissimo si ė ( anche parlando delle arti ) .quello che dicono i politi ci, cioè che qualvolta le cose sieno pervenule a corruzione, bisogna richiamarle ai loro prin cipii . Questa sentenza dovrebbe essere dinanzi all'animo di tutti coloro, che amano il profitto de' giovani nelle lettere umane ; pure sono al cuni cbe , deridendo coloro che studiano i lesti della lingua, dicono essere sciocchezza il darsi tanto pensiero delle parole ogni qualvolta si 1 126 centisti , abbia cura dei concelli ; come se il recare alla mente altrui i nostri concelli non dipenda dalla virtù di ben accoviodate parole. Colali persone, avendo posla loro usanza o ne'soli domestici negozii o in alcuna scienza o arte, nè mai data opera allo studio della lingua, vilipendono ciò che non conoscono, e perciò, non avendo au. torità , non meritano alcuna risposta. Tutti gli uomini di mente discreta non si maraviglie ranno, se qui vengono consigliati i giovanetti a studiare prima nelle opere de' trecentisti, ne' quali è dovizia di vocaboli proprii e di forme gentili, e chiarezza e semplicità e urba nità e maravigliosa dolcezza , ed a riserbare agli anni loro più maturi lo studio dei cinque che scrissero eloquentemenle di cose gravi e magnifiche. Ma per avventura alcuno dirà : non dobbia. ino noi essere intesi dagli uomini del nostro secolo e cercare di piacer loro seguendo l'usar za ? Perchè dunque vorremo che la gioventù studii ancora quelle opere, ove si trovano, ol tre le voci ed i modi, che sono fuor d'uso, e barbarismi e pleonasmi e solecismi ed equivo cazioni , e talvolta negligenza e stranezza nel costrutti ? Perchè non vorremo consigliarla piullosto a leggere i soli scrillori del cinque cento , i quali seguitando le regole grammati. cali dettate dal Fortunio e dal Bembo, non solo scrissero correllamente, ma trattarono eloquen temente di varie ed importanti materie ? A queste obbiezioni risponderemo che si dee se guire l'usanza , de' buoni scrillori , l'usanza del volgo ; che non si vuole negare che in molle opere del trecento non si trovino ma non 127 fra la copia delle maniere proprie , nobili e graziose, varii difelli ; ma che per questo non ci rimarremo da consigliare la gioventù di avere sempre caro sopra tutti quel secolo bea to , e di leggere per tempo i suoi eccellenti scrittori, poichè ci teniamo certi che quanto è difficile il rendersi famigliari e doinestiche le maniere native e gentili , altrettanto è facile di perdere l'abito di peccare contro la gram matica e contro l'uso. La predetta virtù non si può acquistare se non con lungo esercizio : il diſello si può togliere assai agevolmente dopo lo studio della grammatica, e dopoche per la tilosofia e per la erudizione ci verrà dato di ben conoscere il valore delle parole e di ben distinguere la lingua nobile dalla plebea, e le maniere, che per vecchiezza ban no perduta la grazia e la forza pativa, da quel le che sono ancora belle ed efficaci. Quanto allo studio de'cinquecentisti, non du bitiamo che ei sia per essere ulilissimo, essen do che molli eccellenti scrittori di quel tempo adoperarono la lingua, che appresero da Dante, dal Boccacio , dal Petrarca e dagli altri tre centisti , emulando mirabilmente i Greci ed i Lalini in molli generi di scrilture : ma tenia mo per ſermo che convenga alla gioventù di avvezzarsi al candore ed alla semplicità del trecento prima di cercare lo splendore, la ma gnificenza, la copia e l'altezza de' pensieri nei cinquecentisti. Perciocché lulti coloro, che sfor zano di parere magnifici e splendidi primaché dalla filosofia sieno ſalli ricchi di cognizioni, fanno l'orazione loro bella nella buccia, una nell'intrinseco vana e puerile. Non potendo i 128 giovanelli esprimere con verila se non quei pensieri e quegli allelli, che sono proprii del la tenera età , troveranno assai comodale al bi sogno le parole ed i modi usati da'trecentisti, la più parte de'quali, come que' che vissero nell'infanzia dell'italico sapere, scrissero di tenui materie. Verrà poi quel tempo maturo , in che a'giovani farà mestiero di alzare a'gravi concelli lo stile, ed allora apprenderanno dal Guicciardini gravità e nerbo ; dal Segretario fiorentino sobrietà ed evidenza ; dal Caro copia, efficacia e gentilezza ; dal Casa splendore e magnificenza ; dal Galileo ordine e precisione ; dall ' Ariosto e dal Tasso i pregi lulli, ond' ė divina la poesia . Ma allo studio di quesli e degli altri molli, che fecero glorioso il secolo di papa Leone, non avranno l'animo ben di . sposto se non coloro, cui prima sarà piaciuto di allingere ai puri fonti del trecento, da'quali derivarono i sopraddetli abbondantissimi fiumi. Questo, o Giovani, è quanto ho stimato op portuno di porvi dinanzi per indirizzarvi nel cammino delle lettere, alle quali inolti vanno per vie distorte e per lo contrario. Vi ho mo strato quali sieno gli elementi della Elocuzio ne ; come nel contemperarli secondo le leggi del decoro si loronino i varii caratteri; e final. mente come lo stile proceda da naturale di sposizione e come col sapere si perfezioni . Darò fine coll'avvertirvi, se vero è che la scienza e l'esempio fanno l'arte, è vero altresì che arte senza uso poco giova : onde, se dallo stile cercate onore, vi sarà bisogno di neditare mollo , di leggere molto e di scrivere mollissimo. Grice: “It may be said that my transcendental Kantial approach to cooperative rational conversation is a response to Costa’s totally empiricist (or ‘sensista’ as he prefers) invocations of ‘chiarezza’ (my imperative of conversational clarity), and brevita, eleganza, and all the categories that inform the maxims. Paolo Costa. Keywords: la teoria sensista della communicazione – idea dei chi proferisce la proposizione “Me diletta l’odore di questa rosa piu del colore”, cooperiamo, e la risponsa di nostre anime e “Contrariamente, a me mi diletta il colore di questa rosa piu dell’odore” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costa” – The Swimming-Pool Library.