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Wednesday, July 21, 2021

Grice e Buonafede

 Il genio bellicoso di Romolo ammansato un poco dalla pacifica Egeria , che era il Genio di Numa, nella signoria dei seguenti Regoli di Roma tornd alla primiera ferocità. Nè altramenle potea inter venire in una città e in un popolo composto di uo mini violenti e perturbatori , e per delitti e per ti mor delle pene fuggitivi dalle lor terre, e riparati nella nascente ciltà come nell'asilo delle scellerag gini ; i quali assuefatti al sangue e alla rapina , se fosser mancate guerre esteriori, avrebbero infero cito contro le viscere della lor medesima società. Perchè fu mestieri esercitarli senza riposo in im prese e rubamenti perpetui; e questa che parve prima necessità , divenne appresso costume, e fu l'origine primaria della grandezza romana. Un po polo cosi funestamente educato non potea esser amico di alcuna filosofia : e ' veramente, come alcuna volta si offersero le opportunità d'introdurla, con molta ruvidezza la impedirono per timore che non ammollisse l'austerità militare , e non traviasse la gioventù romana dalla usurpazione del mondo. Nel ( 1 ) J. Brucker 1. c. QUARANTESIMOTTAVO 289 campo d'an uom consolare furon trovati sotterra alcuni manoscritti di filosofia attribuiti a Numa, e il pretore comando risolutamente che fossero ab bruciati ( 1 ) . Un altro pretore per consultazione del senato, e poco dopo anche i censori dichiararono, non piacere che soggiornassero nella città certi fi losofi e retori maestri d'un nuovo genere di disci pline diverse dalla consuetudine e dal costume de maggiori; per la qual novità i romani giovani in torpidivano ( 2) . Questo avvenne intorno al fine del sesto secolo dalla fondazione di Roma nel conso Jato di C. Fannio Strabone e di M. Valerio Mes sala ; ed è ben degno di considerazione che quei grand' uomini avean già messa ad effetto gran parte del lor latrocinio, e la filosofia era ancora un nuovo genere di disciplina contrario alle loro consuetu dini. In quel torno medesimo , e non so bene se poco prima o poco dopo , accadde quella famosa ambasceria ateniese de tre filosofi Carneade, Dio gene e Critolao (3) . Gli Ateniesi avendo saccheg giata Oropo città della Beozia , furono dai Sicionj con l'autorità de' Romani condannati in cinquecento talenti. Ma questa multa sembrando soperchia, spe dirono a Roma i prefati filosofi per ottener condi zioni più sopportabili. Nella dimora e nella espet tazione di essere ascoltati dal senato, tennero dotte assemblee nei cospicui luoghi di Roma, e ostenta rono dottrina incognita ed eloquenza inaudita alle orecchie romane; e Critolao la usò erudita e roton da , Diogene modesta e sobria , Carneade violenta e rapida: ma comechè ognuno ottenesse gran lode, l'Accademico sopra tutti risvegliò le meraviglie inu ( 1 ) Plinio lib . III , cap. 12 . (2) A Gellio Noc. Att. lib. XV, cap. 2. ( 3) Vedi presso P, Bayle (artic. Carneade, not . N ) i litigj in-. torno a quest'epoca. BUONAFEDE. Ist. Filos. Vol. II. 19 290 CAPITOLO sitate e fino i furori pubblici, massimamente della gioventù, che dimentica de' piacerifu rapita quasi fanatica dalla nuova filosofia ( 1 ) . E convien certo che molto singolar cosa fosse questa eloquenza di Carneade , mentre fu detto che ora a guisa d'un fiume incitato e rapace sforzava e svelleva ogni cosa e seco rapiva l'uditore con grande strepito , e ora dilettando lo imprigionava, e per una parte manifestamente predando, e per un'altra rubanilo nascostamente, o con laforza o con la frode vin cea gli animi più prepurati a resistere ( 2). Ma ciò che maggiormente rileva, da Cicerone medesimo maestro tanto eccellente di queste cose , fu delto che avrebbe pure desiderato di possedere la divina celerità d'ingegno e l'incredibil forza di dire e la copia e la varietà di Carneade , il quale in quelle sue disputazioni niuna sentenza difese che non pro vasse, niuna oppugnò che non mettesse a compiuta ruina (3) . Consapevole di queste sue viltoriose vee menze, ardì, stabilita la giustizia in un giorno con molto copiosa orazione, distruggerla in un altro alla presenza di Galba e di Catonemaggiore,in quella età oratori grandi alla maniera romana. Lattanzio ci serbd in poche parole la sostanza di questa con futazione della giustizia. Carneade la divise in ci vile e naturale, e l'una e l'altra mise a niente; per chè la civile è prudenza, non è giustizia; la natu rale è giustizia , non è prudenza . Quella si varia secondo i tempi e i luoghi, e ogni popolo l'attem pera a suo comodo: questa è una inclinazione verso l'utilità che la natura infuse in ogni animale , alla quale chi volesse ubbidire incorrerebbe in mille fro ( 1 ) Pausania lıb. VII. Plutarco in Catone Majore.A. Gellio lib .VII, cap. 14. Macrobio Saturnal. lib . I , cap . 5. (2) Numenio presso Eusebio Praep. Ev. lib. IV, cap. 8. (3) Cicerone De Oratore lib. II, 38 ; III, 18. QUARANTESIMOTTAVO 291 di. Moltissimi esempj dimostrano cosiffalta essere la condizione degli uomini, che volendo essere giu sti, sono imprudenti e stolti; e volendo essere pru denti e avveduti, sono ingiusti: laonde non può concedersi una giustizia che è inseparabile dalla stoltezza. Nel quale proposito trascorse in queste parole abborrite dai conquistatori: Se i popoli fio renti per signoria e i Romani oggimai possessori del mondo volessero esser giusti restituendo l'al trui, dovrebbono ritornare alle capanne e giacere nella miseria ( 1 ) . Cicerone , che molto avea medi tate queste e più altre difficoltà di Carneade , le trascorse senza risposta ( 2) ; e altrove avendo sta tuito un diritto naturale indipendente dalle istitu zioni degli uomini , prega l'Accademia e Arcesila e Carneade a volersi tacere, perchè assalendo queste ragioni, indurrebbono grandi ruine ; e desidera ben molto di placar tali uomini , non ardisce rispinger li (3). Ma M. Porzio Catone censore uom di ri gida innocenza e di antichi costumi e di senatoria e militare austerità (per le quali virtù era già nata e crescea la grandezza di Roma), udite queste am bigue e scandalose orazioni , e veduti i furori della gioventù romana, e considerate le conseguenze fu neste alla fortuna della repubblica, le quali poteano sorgere da quella molle e licenziosa filosofia, pre stamente e fortemente dimostrò nel senato che non era bene sopportare più a lungo nella città quegli ambasciatori filosofi che persuadevano quanto loro piacea, e confondeano il vero col falso , e aliena vano dalla robusta e antica istituzione la gioventù ; 2 ( 1 ) Lattanzio lib . V, cap. 14 , 16. V. P. Bay le I. c. G , H, et art Porcius, H. (2) Cicerone De Repub. presso S. Agostino De Civ. Dei lib . II, cap . 21 , e Lallanzio I. c . ( 3 ) Ciceronc De Legib. lib . I. 292 CAPITOLO e quindi era mestieri conoscere e risolvere di quella legazione , e tosto rimandando gli ambasciatori ad istruire i fanciulli di Grecia, ricondurre i giovani romani ad ascoltar come dianzi i maestrati e le leg gi (1). Di questo modo Catone parlo , e gli amba sciatori furono congedati. Non è però che questo Catone fosse nimico del sapere , mentre è noto per la istoria ch'egli in gioventù militando a Taranto ascoltò volentieri da certo suo ospite pitagorico dottrine contrarie alla voluttà , e crebbe nell'amore della frugalità e della continenza : indi in età più matura fu interprete delle leggi , e difensore e ac cusatore instancabile del Foro , e scrittore di ora zioni e di cose rustiche e delle origini romane; nelle quali opere mostrò copia e gravità di dottrina; e, in breve, tutta la sua lunghissima vita distribuì tra la milizia e tra le leggi e le lettere , e tra la più austera pratica della virtù e la persecuzione più vio lenta de vizj ( 2). Onde fu detto che le sue guerre perpetue contro i malvagi costumi non erano alla repubblica meno utili delle vittorie di Scipione con tro i nimici ( 3) . Il perchè non credo io già ch'egli per odio di Carneade o per altra malevolenza ab . borrisse la filosofia greca; ma piuttosto perchè la militare e severa indole di Roma ne' suoi dì così domandava, e perchè l'esempio di Grecia ammol lita e scaduta in mezzo a tanto lusso di filosofia forse lo spaventava. E siccome egli era per natura inclinato all'eccesso de' rigori, parlava forse più for leinente che non sentiva; e nella guisa che esage rando dicea che le adultere erano avvelenatrici ile' loro mariti (4) , e che tutti i medici greci erano da 5. ( 1 ) Plinio lib. VII, cap. 30. Plutarco in Catone. (2) Cicerone de Ci. Or. 17. Tito Livio lib. XXXIX, 41. C. Nie pote Frag. Vitae Catonis. Plutarco I. c . (3) Seneca Ep. 87: (4 ) Quintiliano lib . V , 11 . QUA RANTESIMOTTAVO 293 fuggirsi, dacchè aveano giurato di uccidere tutti i Barbari e quindi anche i Romani (1); così per av. ventura ingrandiva gli abborrimenti di tutta la fi losofia de Greci, e dicea a suo figliuolo : Pensa che io parli da vate : indocile ed iniquissima è la ge nerazione de' Greci. Quando avverrà che quella gente a noi dia le sue lettere, saremo tutti corrotti e perduti ( 2 ). Di queste sue amplificazioni, oltre il suo amore per la disciplina pitagorica, può essere argomento lo studio ch ' egli mise negli scrittori e nelle lettere greche non solamente nella sua grave età , quando le meditò avidamente , come chi vuole estinguere una lunga sete, ma nella sua pretura di Sardegna, e ancor prima ; poichè, per testimonianza di Plutarco, egli in età di quarantacinqueanni parlò agli Ateniesi per un interprete , ma potea parlar greco, se avesse voluto, e i suoi libri erano ornati e ricchi di opinioni, di esempi e di istorie fonti, e di sentenze morali tradotte fedelmente dal greco ( 3) . Da questi riscontri jo deduco che Catone disprezzando i Greci in pubblico e leggendoli in privato, non era veramente tanto nimico loro quanto ostentava; e che meditando egli e usando ne' suoi componimenti le opinioni greche, è chiaro che vi erano dunque in Roma i libri greci, e che non erano incognite le greche opinioni a quella età , e quindi prima della ambasciata de tre filosofi vi era tra i Romani qualche tintura di greca filosofia. Frattanto Furio, Lelio, Scipione e altri di genti patrizie furon del numero di que' giovani accesi nell'amore delle dottrine greche, i quali venuti a matura età e assunti al comando degli eserciti che soggiogavan la Grecia, prese da' greci ( 1 ) Plinio lib. XXIX , cap. 1 . (2 ) Plinio I. c. Plutarco l . c. (3) Cicerone De Senectute 1, 8. Val. Massimo lib. VIII, cap. 10. Plutarco I , c. Aurelio Vittore De Viris Illustr, 294 CAPITOLO e al governo delle provincie conquistate, ebbero agio di veder da vicino e di ascoltare i valenti uomini e i filosofi greci , coi quali strinsero dimestichezza, e vollero finanche averli compagni nelle lor case, nei viaggi enelle medesime spedizioni militari. Cosi leg. giamo che Scipione Africano volle aver seco assidua mente in casa e nella milizia insiem con Polibio, isto rico singolare egrande uomo di Stato e di guerra, anche Panezio filosofo stoico. Era questi un Rodiano ingenuo e grave, il quale salito ai primiluoghi del Portico , oltre alcun altro componimento, scrisse i libri lodatissimni degli Uffizj secondo quella disci plina; ma non gli piacque la stoica divinazione e l'apatia , e le spine della disputa e l'asprezza delle parole e l'orror de costum ; e più gentilmente e umanamente fiolsofo , non così legandosi a Zenone e quegli altri , che non amasse anche Aristotele Senocrate e Teofrasto e Dicearco, e non ammirasse Platone come divino e sapientissimo e santissimo e come l'Omero de' filosofi , sebben quella sua or poetica, or ambigua immortalità degli animi non gli tornasse a grado. Fu dunque Panezio uno Stoico modesto e libero e degno della famigliarità di Sci pione , il quale erudito in questa temperata stoica dottrina fu mansuetissimo ed umanissimo; e ripar lendo la sua vita tra la milizia e la filosofia , sali per fama di valore e di lettere fra i massimi am plificatori della gloria di Roma ( 1). Ad illustre ed esimia indole aggiungendo la ragione e la dottrina, e assiduamente conversando col medesimo Panezio e con Diogene stoico e con altri eruditissimi uo mini greci, furono in compagnia di Scipione pre ( 1 ) Cicerone Acad. Quaest. lib. II, 33 ; De Fin. lib . 1 , 2 , et IV , 9,28; De Off. lib. II, 14 ; III , 2 ; Tusc. Disp. lib . I , 32 ; De Div. lib . I , 3 , 7; JI , 42 ; Or. pro Murena 33 ; De Or. lib. III; De Nat. : Deor. lib . I, II. A. Gellio Noc. At . lib. XII, 5. Suida v.Panaetius. QUARANTESI MOTTAVO 295 clari e singolari per modestia e per continenza L. Furio e C. Lelio cognominato Sapiente ( 1 ) . Si acco starono a Panezioea questi medesimi studj L. Fi lippo e C. Gallo e P. Rutilio e M. Scauro e Q. Tube rone e Q. Muzio Scevola , e altri soinmiuomini nella repubblica, e massimamente i giureconsulti ( 2 ); i quali invitati da lanta luce di esempi e dalla ma gnificenza e dal metodo della stoica morale , pen sarono che niun'altra potesse congiungersi più co modamente alla giureprudenza romana. In queste narrazioni è facile a vedersi che la stoica filosofia entrò la prima in Roma con molto nobil fortuna ; e quantunque Carneade esultasse sopra i compagni suoi, quando non però si ebbe a prender partito , quei medesimi che lo aveano ascoltato con tanto furore, si rivolsero alla stoica disciplina; la quale benchè non possa mostrar tra i Romani una suc cessione continua di maestri e grande strepito di scuole e di libri, mostra iudizj cospicui della rive renza in cui era tenuta e; tra gli altri il grande Porn peo, che approdato a Rodi volle ascoltar Possido nio da Apamea stoico di primo nome, che avea cat tedra in quella Isola , e recatosi alla sua casa, vietà prima che il littore percotesse la porta, e per som ma testificazione d'onore comando che si abbas sassero i fasci; indi entrato , vide Possidonio gia cere gravemente per dolori in tutta la persona , e salutatolo con onorifiche parole gli disse,molto mo lesto .essergli per quella sua malattia non potere ascoltarlo. Ma tu veramente puoi , rispose Possi donio, nè io concederò mai che il dolore fuccia che ( 1 ) Cicerone De Or. II ; De Fin . II ; Or. pro Archia. ( 2) Cicerone Or. pro Murena ; De Or. Il ; in Bruto 30 , 31. V. Vincenzo Gravina De Or. Juris cap. 57, 59; Giovanni Schiltero Manud. Phil. Moralis ad Jurispr. cap. 1, 3; D. Westphal De Stoa Juriscon. Rom. ; Everardo Ottone De Stoica Juriscons.Philosophia. d 296 CAPITOLO un tanto uomo sia venuto indarno a vedermi. E cosi giacendo disputò gravemente e copiosamente, che niente era buono, salvo l'onesto. E intanto ardendo pure come per fiaccole il dolore, spesso dicea: Niente fai, o dolore: sebbene tu sia molesto, io non confes serò mai che tu sia male. Pompeo si congedò richie dendo il filosofo se niente volesse ordinargli, ed egli rispose: Rem gere praeclare, atque aliis prestare me mento ( 1 ) . Cicerone poi lo ascoltà come scolare ( 2); e M. Marcello si tenne in grande onore di condurlo a Roma( 3 ), ove fu in altissima estimazione per li suoi libri della Natura degl'Iddii, degli Uffizj, della Di vinazione, e per altrenobili scritture che andarono a male (4 ); e poichè era cultor non vulgare dell'astro nomia, ebbe gran lode nella composizione di quella sua sfera , la quale in ognuna delle sue conversioni rappresentava nel sole, nella luna e ne' pianeti quello che si fa in cielo nel giorno e nella notte (5) . Pos sidonio adunque dopo Panezio fu ornamento grande e propagator sommo della fortuna stoica tra i Ro mani. Altri Greci di minor nome sostennero la me desima fatica, e accompagnarono e amınaestrarono altri Romani, che molto si dilettarono di quella di sciplina; e tra questi non è giusto tacere di Q. Lucilio Balbo , divenuto stoico eguale ai Greci medesimi, cosicchè Cicerone nei Dialoghi della Natura degļId dii gli diede a sostenere le parti della stoica teologia. Ma niuno tra i Romani, nè forse pure tra i Greci agguagliò la persuasione , la pratica e la costanza stoica di Catone Uticense, onde ottenne da Cice ( 1 ) Cicerone Tusc. Disp. lib. II,25.Plinio Juniore Ep.lib. VI, 30. ( 2) De Nat. Deor. lib . I , 3. ( 3) Suida v. Possidonius.Aieveo ( lib. XIV) lo dice famigliare di Scipione domator di Cartagine ; ma è anacronismo. ( 4) Cicerone De Div.lib .1, 3;De Nat.Deor. lib .1,44;ad Att . XVI, ep. 11 ; De Off. lib. I, 45. (5) Cicerone De Nat. Deor. lib . II , 34. QUARANTESIMOTTAVO 297 rone il nome di Stoico perfetto, che in tanti uo mini di quel genere ricordati e variamente lodati nelle sue opere non avea saputo ancora concedere a veruno ( 1 ) . E di vero parve che la natura mede sima si dilettasse ad organizzare in quest'uomouno Stoico singolare ; perciocchè è fama che fino dalla puerizia con la voce e col volto mostrò ingegno se rio , rigido, intrepido, inflessibile alle lusinghe e alle minacce, e fin d'allora spirante immobilità nell'amor della patria. Ma fatto adulto ebbe famigliari e mae stri Antipatro Tirio e Atenodoro Cordilione , uom solitario e alieno dai rumori e dalle corti ; e dap poi tende sempre dimestichezza con altri filosofi stoici , e con la forza della istituzione confermò ed accrebbe la natura già molto propensa , e non per la disputa , ma per la vita fu Stoico. Éntrato nei maestrati della repubblica e negli strepiti del Foro e della milizia , usò tal forma di parlare e di vive re , che le meraviglie furon grandissime di tutti i Romani , massimamente che di quei di oramai era mutata e corrotta ogni cosa. Con una voce la cui intensione e forza era inesausta , parlava al popolo e al senato non eleganze e novità , ma ragioni giu ste , piane, brevi, severe e degne della stoica di sciplina e di Catone. Le usanze sue non eran dis simili dalle parole , e con forti esercitazioni si ad destrava a sostenere il calore e la neve col capo ignudo, e a viaggiare a piedi in ogni stagione. Nella guerra civile in mezzo alla militare licenza fu tem perante , e combatte con fortezza congiunta a pru denza , e ottenne lodi e onori , che rifiutò. Eletto tribuno de' soldati per la Macedonia , fu simile ai soldati nelle fatiche; ma nella grandezza dell'animo e nella forza dell'eloquenza fu maggiore di tutti i ( 1 ) Cicerone Praef. ad Parad. Strabone lib . VII , XI , XIV. 298 CAPITOLO capitani. Visild l’Asia per conoscer l'indole di quelle terre e i costumi degli uomini, e per conquistare il solitario stoico Atenodoro Cordilione, che riputò la più ricca di tutte le prede. Ritornato a Roma, di vise il suo tempo tra Atenodoro e la repubblica. Non curò di esser questore prima di aver cono sciute a fondo tutte le leggi questorie ; e in quel maestrato corrotto pessimamente tante cose mutò per la giustizia e per la salute della repubblica, che nell'amore della giustizia e della temperanza fu te nuto maggiore di tutti i Romani. Nel senato fu sem pre il primo a venire e l'ultimo a ritirarsi. Dalla sua solitudine di Lucania, ove si era raccolto per viver tranquillamente tra i libri e i suoi filosofi, de siderò il tribunato della plebe unicamente per re sistere ai magnati prepotenti, e in questa ardua con tenzione dimostrò giustizia , fede, candore, magna nimità ; a segno che Cicerone con molta licenza di giuochi agitando lo stoicisino di Catone nella causa di Murena , incorse il biasimo di rettorica dissolu tezza ; di che però l'uomo apato non si commosse per niente , e solamente ammonì un poco il licen zioso giuocatore con quelle brevi ma significanti parole : Buoni Iddii ! Noi abbiam pure il ridicolo Console ; e poi nella congiurazione Catilinaria vi gilanteinente lo soccorse, come amico di lai e delle repubblica. Ma si accrebbero fuor d'ogni termine le invidie , le emulazioni e le violenze de' cittadini potenti, e i consigli di perder la patria e la libertà preponderarono ad ogni virtù. Catone resistè for temente; e mentre altri erano Pompejani e altri Cesariani, egli perseverò ad esser repubblicano. Si attenne poi a Pompeo come a male minore, e guer reggid e parlò da grande soldato e da filosofo. Dopo la battaglia farsalica, nella successione continua delle disgrazie e nella ruina di tutte le cose si riparò ad QUARANTESIMOTTAVO 299 Utica , disse ai suoi che provvedessero a sè mede simi con la fuga o con altri consigli , entrò nel ba gno , e poi cend e bevve lietamente e disputò co' suoi filosofi, e sostenne , il solo sapiente esser li bero. Coricatosi lesse due volte il Fedone , dormi ancora, e svegliato si uccise (1). Con molta prolis sità si è voluto disputare delle cagioni del suicidio di Catone ; il che secondo il pensier mio si è fatto assai vanamente (2) ; perocchè dalle cose fin qui rac contate si conosce , senza bisogno di tante dispu tazioni, che il nimico alle porte, la dignità e la li bertà perduta , la speranza del fine de' mali pre senti e del riposo futuro, e il sistema e il costume stoico e romano furono le cagioni palesi di quel suicidio. A queste cagioni fu aggiunta la trasfusione degli animi nell'anima del mondo, ossia Iddio im merso necessariamente e indivisibilmente nella ma teria ; il che fu raccolto non solamente dalla indole del sistema stoico, ma da quelle parole che Luca nio prestò a Catone : Iupiter est quodcumque vi des , quocumque moveris (3) , per cui il prode Col lin allogó Catone tra i Panteisti (4 ). Maperchè quel verso può essere più del poeta che di Catone, e perchè posto ancora che sia di questi , può aver senso che Iddio è presente per tutto, e in fine per chè la teologia stoica non è così empia come al cuni immaginarono, secondochè dianzi abbiam det to , perciò non possiamo acconsentire al Panteismo di Catone. Sebben fosse propizia e luminosa , così come si ( 1 ) CiceroneOrat. pro Murena; Paradox. I. Plularco in M. Ca tone Uticensi. Seneca Ep. 14 , 24,95; et De Provid . ( 2 ) Lattanzio lib . III, c. 18. Siollio Hist. Ph. mor. Gentil . S 177. J. Brucker De Phil . Romanor. S XXIII. (3) Phars. lib. IX, 580. ( 4 ) De la liberté de penser. G. F. Buddeo De l’Ath. et de la superst. cap. J , S 22. J. Brucker l . c. 300 CAPITOLO è divisato , la fortuna della scuola stoica tra i Ro mani; tulta volta non è da pensarsi che ad altre sette mancassero affatto gli amici ; che anzi alcuni furono che indifferentemente estimaron tutte le scuo le, e quelle parti preser da esse , che più sembra ron concordi a certe forme di verità , a cui avean l'animo assuefatto . Così L. Licinio Lucullo nella Grecia e nell'Asia , mentre sostenea il peso del go verno de' popoli e mentre vincea Tigrane e Mitri date , coltivava le buone lettere e conversava coi filosofi greci ; e dappoichè ebbe trionfato , mise a guadagno le ricchezze predate , e dai militari pec cati raccolse piaceri e felicità. Si congedd dai tur bamenti della guerra e della repubblica, e tutto ri volto a pensieri di riposo edificò ville e palagi di meraviglioso lavoro e d'incredibil magnificenza , e intese a pranzi e a cene e ad ogni guisa di ame nità , di eleganza e di delizia ; nelle quali mollezze se tra le acclamazioni degli uomini dilicati incorse ne' biasimi degli animi austeri, certamente ottenne l'applauso di tutti, allorchè di tanto amò la filo sofia , che raccolta a gran costo insigne copia di li bri compose una biblioteca di pubblico uso, e edi , ficò stanze e portici e scuole , e le dedicò in do micilio delle Muse e della pace e in ospizio dei greci maestri , che fuggendo i tumulti di guerra si riparavano a Roma. Per questo egregio uso gli fu rono quasi perdonate e quasi rivolte a lode le ru berie della guerra. Egli dissimile da que' signori che prendono per sè il pensiere di comperare le biblio teche, e lasciano alirui il pensiere di leggerle, pose gran parte delle sue delizie ne' libri e nelle consue tudini coi dotti e filosofi uomini, e ascolto ed esa minò ogni genere di filosofia , e molto ebbe in pre gio e in continua familiarità Antioco Ascalonita, uom di robusto parlare e principe in quei giorni QUARANTESIMOTTAVO 301 della vecchia Accademia , il quale si argomentava a mettere in amicizia con lei gli Stoici e i Peripa tetici; e a Lucullo piaceano questi pensieri: onde Cicerone , amico e lodatore magnifico di lui, nel Dialogo intitolato al suo nome gl'impose la difesa della vecchia Accademia ( 1 ) . Con questa magnifi cenza e splendore di esempj non solo la casa di Lucullo , ma Roma istessa fu quasi ripiena di filo sofi e d'imitatori, tra i quali altri si attennero al genio riconciliatore di Antioco , altri spaziarono nella liberlà di Carneade, altri si accostarono ad altri greci maestri, e niuno in tanta copia d'ingegni elevati , di cui Roma egregiamente fioriva in quella età , seppe aspirare a nuovi principati nella filoso fia , mentre affettavano pure il principato istesso del mondo. Molti han fatto le meraviglie come i Ro mani, così nimici di servitù e così avidi di signo ria, fossero poi tanto propensi a servire nella filo sofia, in cui agli eccelsi animi dee parer tanto bello il regnare. Ma non è meraviglia niuna che uomini intenti perpetuamente ad infinito dominio non aves ser ozio di componer nuovi sistemi , e volendo pure esser filosofi seguisser gli antichi per brevità. M. Giunio Bruto, nato verisimilmente dagli amori furtivi di Servilia e di Giulio Cesare, che percid molto lo amava e lo dicea figliuol suo , venne a massimo nome nella istoria di Roma non solamente perchè fu tra i sommi repubblicani e tra quei fer rei uomini che nè per lusinghe di beni nè per ter rore di mali si piegano, e all' onesto , al giusto e al vero sacrificano la gratitudine, i benefattori, i consanguinei e sestessi; ma perchè grandemente amò la filosofia , e quasi tutti i filosofi greci nella (1 ) Cicerone nel lib . II o IV Acad. Quaest. Lucullus. Plutarco in Lucullo. Svelopio in Julio 83. 302 CAPITOLO sua età rinomati ascoltò, e tutte le sette conobbe , e si attenne poi alla vecchia Accademia , la mez zana e la nuova non molto approvando, e fu an miratore di Antioco, e Aristone di lui fratello ebbe compagno e domestico ( 1 ) . Per questi studj con in signe amore coltivati nella gravità immensa , quasi nella oppressione continua de' civili e dei militari negozi e delle turbazioni e degli estreini pericoli, egli adornd la filosofia col sermone latino, talche non rimase a desiderarsi altro dai Greci ( 2) ; e ol tre i componimenti di eloquenza e d'istoria, scrisse i libri della Virtù e degli Uffizj; ed è memoria che desse opera a cose letterarie fino in mezzo al inag. gior émpito di guerra e in quella gran notte che andd innanzi alla battaglia farsalica. In questa con giunzione de' gravissimi affari e della filosofia e nel lo studio di tutti i filosofi greci Bruto imitò Lucil lo ; ma non volle già initarlo nell'abbandonamento della repubblica e nel termine della dignità e della gloria tra i molli ozj e i senili piaceri ; che anzi amd meglio imitare Catone fratello di sua madre , e a somiglianza di lui filosofò per la vita , ed ebbe animo grande e libero dalle cupidigie e dalle vo luttà , e tanto costante ed immobile nella fede e nell'amor della patria e nella sentenza dell'onesto e del giusto , che per difesa di questi principj non sentà ribrezzo di mettere il pugnale nelle viscere di Cesare suo benefattore e suo padre, e poi nella per dizione della libertà e di tutte le cose romane met. terlo nelle sue viscere istesse ( 3) . Alcune belle qui stioni furono agitate in questi propositi . E prima ( 1) Cicerone De Cl. Oraloribus 97 ; Acad. Quaesi. lib. I , 3. Plutarco in Bruto. (2) Cicerone Acad. Quaest. I. c. (3) Cicerone Tusc. Disp . V , 1 ; De Fin . lib . III. Seneca Consol. ad Helviam 9 , e Ep. 95. Plutarco I. c . V. gli Storici Romani. QUARANTESIMOTTAVO 303 se Brulo malvagiamente facesse cospirando alla morte di Cesare; la quale investigazione richie dendo un diligente esame dei diritti e delle abbli gazioni di Cesare e di Roma ; e una esatta idea del usurpatore e del tiranno, e dei doveri e de' limiti del patrizio e del cittadino non può esser nè breve nè affaccevole al nostro istituto. In secondo luo go , se Bruto possa essere escusato allorchè nella ruina della buona causa giunto al mal passo di uc cidersi con le sue mani , vituperò la virtù escla mando con gli ultimi fiati: Infélice virtù ! io ti cre dea una realità e sei un nome. Tu vai schiava della fortuna, che è più forte di te ( 1 ) . Pietro Bayle presto a Bruto alcune difese che secondo me non posson molto piacere (2); e la difesa migliore è che quelle parole non pajon di Bruto ; sì perchè Plutar co , diligente narratore di tutte le avventure della sua vita , niente racconto di quella esclamazione , sì perchè non è verisimile che un tanto uomo in così corte parole dicesse assurdità e contraddizio ni; chè tale certamente è negare la realità alla vir tù , e poi affermare che ella è meno forte e che è schiava della fortuna , il che senza stoltezza non può dirsi di cose che non esistono. In terzo luo go , fu quistione se Bruto avesse a numerarsi tra gli Stoici. È stato detto che lo Stoicismo di Bruto è un sogno ( 3) . E veramente risguardando l'auto rità delle parole citate di Cicerone e di Plutarco egli abbracciò la prima Accademia ; ma siccome dai medesimi scrittori è detto che si dilettò in tutte le dottrine de' greci filosofi e ammirò Antioco famoso conciliatore del Portico coll'Accademia e col Peri ( 1 ) Dione lib. XLVII. Floro lib. IV, cap . 7. (2) Art . Brutus, C, D. ( 3 ) Paganido Gaudenzio De Phil. Rom . . 25. J. Brucker l. c. S XIII. 304 CAPITOLO pato , e perchè d'altronde è noto che parlò e scrisse gli Ufficj in istile stoico , e fu iinitatore e lodatore di Catone, e lo imitò finanche nel suicidio , che è la più ardua di tutte le imitazioni ( 1 ) ; io credo bene che abbracciasse or l'una, or l'altra senten za , come gli venne a grado , e la stoica forse più spesso e più fortemente di tutte . Onoriam breve mente Porcia , figliuola di Catone e moglie di Bru to , la quale avversa alle sfrenatezze delle zie e della madre, ed erudita nella filosofia del padre e del ma rito, non la insegnò già vanamente da qualche cat tedra per farsi o adulare o deridere , ma la praticò valorosamente nella educazione de'figliuoli, e nel governo della famiglia, e nella robustezza virile , e nella custodia de' segreti domestici , e nella fede e nell' amor maritale, a cui da intrepida stoica sacri ficò volontariamente la vita in guisa molto crude le ; e questa ultima parte vorremmo poter toglier dalla sua istoria per non offuscare la chiarezza di tanta lode ( 2) . M. Terenzio Varrone , a similitudine di Lucullo e di Bruto , gli studi delle lettere e della filosofia coltivò insieme coi pensieri e con le opere militari e cittadine. Ma veduto il naufragio della repub blica, e campato per maraviglia dall'ira di Cesare e dalla proscrizione de' Triumviri , si riparò di buo n'ora, come in un porto , nell'ozio delle lettere e della filosofia, e tutto intero s'immerse in questa beata tranquillità; cosicchè avvennero gli estremi cangiamenti di Roma e la compiuta ruina della li bertà della dominazione assoluta di Ottaviano , ed egli nascosto nella sua biblioteca , e intento a com (1) Cicerone ad Att. lib. XII , ep. 46. Seneca ep. 95. Plutarco e i citati dinanzi. (2) Plutarco in Bruto et in Catone Minore. Val. Massiino l . IV, cap. 6. QUARANTESIMOTTAVO 305 za , porre sempre nuovi libri, che si numerarono fino a qualtrocentonovanta , appena si avvide di tanti movimenti, e passando la sua lunghissima vita in ogni maniera di lettere fino all' ultima decrepitez divenne il più dotto ed universale uomo, che non i Latini solamente, ma i Greci ancora avesser mai conosciuto ; e fu detto di lui che innumerabili cose avendo lette, era meraviglia come gli fosse ri masto ozio di scrivere, e che pure lante cose avea scritte, quante appena può credersi che alcuno ab bia mai lette. Altre lodi si leggon di lui; e noi ine desimi in questa gran lontananza di età come vo gliamo esaltare la vastità della sapienza di alcuno , usiam dirlo un Varrone ( 1 ). Ma niuna commenda zione agguagliò quella di Cicerone, il quale amico ed ammiratore essendo del valentuomo , conobbe e adunò le opere di lui in quel magnifico elogio. I tuoi libri, o Varrone, noiperegrinie vagabondi nella nostra città , quasi come forestieri , ridussero a casa , perchè alfine potessimo chi e dove siamo conoscere. Tu la età della patria, tu le descrizioni de tempi, tu i diritti delle cose sagre e de' sacer doti , tu la domestica e la bellica disciplina , tu la sede delle regioni e de' luoghi, tu delle cose umane e delle divine i nomi, i generi, gli ufficj, le cagioni ci palesasti, e la luce grandissima spargesti ne' no stri poeti e nelle latine lettere e nelle parole; e tu istesso un vario poema ed elegante per ogni ma niera componesti, e la filosofia in molti luoghi in cominciasti assai veramente per iscuoterci, mapoco per ammaestrarci (2) . Nel medesimo dialogo , in cui ( 1 ) Cicerone Acad. Quaest. I ; Tusc. Disp . I , e altrove. Se neca Cons. ad Helviam . Arnobio adv. Gentes lib. V. S. Agostino De Civ. Dei lib. IV et VI , e altri. V. Popeblount Cens. cel. Aut .; G. A. Fabrizio Bibl. Lat. tom. I. ( 2) Cicerone Acad. Quaest. lib. III. BUONAFede. Isi. Fil. Vol. JI. 20 306 CAPITOLO Cicerone loda Lanto nobilmente il suo amico, gli assegna ancora la difesa della prima Accademia , e lo colloca nelle parti di Antioco e di Bruto (1). Ove si vede la falsità o almeno la inesattezza di coloro che lo misero tra gli Stoici ( 2) ; perchè sebbene se condo il sistema di conciliazione egli potesse amare inolte dottrine sloiche , ne potea amare ancora di altre scuole, e non dovea dirsi Stoico assolutamen le. Molto meno era poi da numerarsi tra i dubita tori della mezzana Accademia sul tenue fondamento d'una sua satira intitolata le Eumenidi, in cui gli uomini erano accusali d'insensatezza ; e su quel l'altra dottrina sua , che niuna stranezza venne mai nell'animo agl'infermi deliranti, la quale non fosse affermata da qualche filosofo, il che molte volte suol dirsi anche da uomini che certo non sieguon Carneade e Pirrone ( 3). Ma non era giusto per al cun modo condurlo stoltamente ad accrescere l'ar mento degli Atei, perchè insegnò molte favole es servi nella religione de' suoi di, che offendeano la dignità e la natura degl'Iddii imınortali (4) . Impe rocchè egli queste cose insegnando , distinse gl'Id dii in favolosi, civili e filosofici; e parve bene che contro tutti avesse a ridire, e non senza ragione; ma pure affermò che i primi erano del teatro, secondi della città , e i terzi del mondo ; e mostrò che disputava contro le favole poetiche, cittadine e filosofiche, non contro gl'Iddii, e parve che avesse gran voglia di onorare i filosofici, quando fosser purgati dalle fiuzioni, mentre li disse, i Numi del mondo (5). Di que' tanti libri di M. Varrone non ri ( 1 ) Cicerone l . c. ( ) L. Cozzando De Mag. Ant. Phil. I. III. G. A. Fabrizio Bibl. Graec. vol. II . (3) Uezio De la Forblesse de l'Esprit humain liv. I , ch. 14. (4) S. Agostino De Civ. Dei lib. VI , cap. 5. ( 5 ) S. Agostino I. c . QUARANTESIMOTTAVO 307 mangono altro che i nomi o alcuni frammenti delle intichità divine ed umane, e della Forma della Fi losofia , e della Lingua Latina, della vita del Po polo Romano, delle Ebdomade, de' Poeti, e delle Origini sceniche, e delle Menippee, per le quali fu cognominato Menippeo e Cinico Romano, e delle Cose rustiche, che sole vennero a noi salve dall' in giuria del tempo ( 1 ) . Questi furono i più cospicui Sincretisti roniani, ai quali si potrebbe aggiungere ancor Cicerone, il quale vagò per varie filosofie, e lentò riconciliazioni di sistemi ; ma perchè amò con molta parzialità i metodi della seconda Accademia, lo allogheremo tra que' filosofi romani che si atten nero a certe scuole, e ora amarono i placiti pita gorici, ora gli aristotelici, ora gli epicurei, ora gli stoici, siccome si è detto , ora altre guise di greca filosofia . Molta fu veramente la fama della filosofia pitago rica ; ma fosse colpa sua o d'altrui, sofferse dissipa zioni e disgrazie che la misero ad oscurità. Tutta volta i Romani udirono qualche novella di Pitagora , al lorchè nella guerra sannitica persuasi dall'oracolo di Apollo Pitio a dedicare in celebre luogo della città una statua al più forte e l'altra al più sapiente deGre ci , l'una innalzarono ad Alcibiade e l'altra a Pitagora: il che facendo, mostrarono, secondo l'avviso di Pli nio , di non sapere nè la civile nè la filosofica istoria di Grecia ( 2) . Dopo quella dedicazione non è meno ria che i Roinani tenessero alcun conto di Pitagora, se non quando il maggior Catone ascoltò il Pitago rico Tarantino , e nella medesima età il Calabrese Ennio appard alcune dottrine pitagoriche in quella terra ove Pitagora avea insegnato , e le sparse nel (1 ) Cicerone Tusc. Disp. l. I. S. Agostino De Civ. Dei lib. XII, cap . 4 , cap (2 ) Plinio lib . XXXIV, cap. 6. 308 CAPITOLO suo poema, nel quale ardì sognare che l'anima di Omero era passata in lui. Ma non persuase di que ste idee nè Catone a cui insegnò le lettere greche, nè P. Scipione Africano di cui godè la famigliari tà , nè altri Romani che udirono volentieri i suoi versi eroici e lo tennero sommo Epico senza voler essere pitagorici ( 1 ) . Io però vorrei che meglio si esaminasse se un poeta per alquanti versi che sen ton di Pitagorismo possa trasformarsi in filosofo pi tagorico. Potrebbe parere che questa metempsicosi somigliasse quella di Omero in Ennio. P. Nigidio Figulo tuttochè fosse riputato vicino alla univer sale dottrina di Varrone, e fosse senatore e pretore e amico intimo e consigliere e compagno nei grand affari di Cicerone , che molto lo riverì, come acre investigatore de' segreti della patura e uomo dot tissimoe santissimo, e come quello che dopo i no bili Pitagorei polea rinnovare la lor disciplina quasi estinta, non si sa che persuadesse niuno, e fu stretto a ridurre la sua grande sapienza fisica e matema tica e astrologica alle indovinazioni de' ladri che talvolta rubavan le borse de' suoi amici , e a com poner gli oroscopj di Augusto e del Triumvirato, e a disegnare la rapidità del cielo con gli avvolgi. menti della ruota del vasajo , donde ottenne il so prannome di Figulo ( 2 ) ; le quali avventure non so no veramente degne d'un senatore e d'un pretore pitagorico , ma posson forse mostrare che si pochi ( 1 ) Cicerone pro Murena 14 ; Acad. Quaest. I ; De Fin . I , e altrove. Persio Sat. VI. V. Vossio De Hist. Latinis , e A. Baillet Jugem . ( 2) Cicerone Fragm . de Universitate. S. Agostino De Civ. Dei lib. V , cap: 3; Ep. fam. lib. IV , ep. 13. Plutarco in Cicero ne. A. Gellio lib . X , cap. 2 ; lib. XI, cap . 2. Macrobio Saturn. lib. II, cap. 12; VI, cap, 8. Apulejo in Apolog. Dione lib. XLV. Svetonio in Augusto 94: Lucano Phars. I , 639. V. P. Bayle art. Nigidius. ICO QUARANTESIMOTTAVO 309 LER affari di scuola esercitaron questo Nigidio , ed ebbe tanto vuoto nella vita, che gli storici ainici della sua gloria pensarono bene a riempierlo di favole. Non è questa la prima nè l'ultima panegirica istoria colpevole di supplementi favolosi. A confermazione della tenue fortuna di questo Pitagorico fu scritto, che avendo egli composti i libri degli Animali, de gli Uomini , delle Viscere, delle Vittime, degli Au gurj, de' Venti , della Slera grecanica , e di altri moltiplici argomenti, per la cui abbondanza fu quasi eguale a Varrone, ove però le scritture di questo si divulgarono e si lessero assai, le Nigidiane per la sottigliezza e per la oscurità giacquero abbando nate; e l'autore poi avendo seguite le parti di Pom peo , per timore di Cesare morì in esilio volonta rio. Poco appresso Anassilao Larisseo professò il Pitagorismo, ed esplorando i segreti della natura per la medicina e per uso di certe sue magiche me raviglie, e con le sue scoperte armirabili venendo in sospetto di magia e forse uccidendo i malati più che gli altri medici con meno segreti, fu da Augu sto condannato all'esilio ( 1 ) . La filosofia pitagorica ebbe adunque assai avversa fortuna tra i Romani in questa età. La peripatetica ottenne qualche mi gliore , ma non molto illustre accoglienza; perchè sebbene Catone e Crasso e Pisone e Cicerone istes so non abborissero i peripatetici uomini , e nelle memorie di questi tempi sieno ricordati con onore Andronico Rodiano e Demetrio e Alessandro An tiocheno e Stasea Napoletano e Cratippo Mitileneo maestro del figliuolo di Cicerone e di altri nobili giovani Romani; tuttavolta per le narrate disgrazie e depravazioni degli aristotelici libri , o per quali In : TIK ita pi V Ci I Jedi ( 1 ) Eusebio in Chr . Plinio lib . XIX ,cap . 1 ; XXVIII , cap. 2 ; XXXV , cap . 15. Irenco lib . I , cap: 7. Epifanio Haer. 34. V. Vos . sio De Idol . lib . I , 6 ; Fabrizio Bibl. Graec. vol. I. 310 CAPITOLO che fossero altre cagioni, il nome di Aristotele fuori di molto pochi era , per testimonianza di Cicerone, ignoto ai filosofi de' suoi giorni ( 1 ) . Ma gli Epicurei quantunque spesso ripresi e più spesso calunniati e singolarmente flagellati da quella sottile eloquenza di Cicerone, che sapea persuadere finanche il ' falso quando volea, pure in onta di tanto travaglio videro assai Romani di nome e di opere illustri non arrossirsi di essere Epicurei. Lucio della tanto antica e nobile famiglia Torquata , e G.Vel lejo sostenitore delle ragioni di Epicuro nel dialo go della Natura degli Iddii di Cicerone, e principe degli Epicurei che allora erano in Roma, eC. Tre bazio , como di somma scienza nel Diritto civile , a cui Cicerone intitold la Topica , e L. Papirio Pe to , egregio oratore e soldalo, e L. Saufeio e T. Al buzio e C. Amafanio , e più altri numerati da Pie tro Gassendo , furono nobilissimi Epicurei ( 2) . Ma C. Cassio e T. Pomponio Attico per singolarità di fama e d'ingegno emersero splendidamente dalla folla degli altri. Il primo fu quel prode assassino di Cesare, che nell'ardor dell' assalto ad uno de' con giurati che dietro a lui si aslenza dal ferire, disse: Feriscilo anche per mezzo alle mie viscere ( 3). Egli vincitore de' Parti e soldalo di primo valore e som mo Epicureo, parld secondochè l'émpito militare e le disperazioni della sua scuola lo animavano, e per gli stessi principj nella perdita della battaglia e della libertà si fece uccidere, e si uccise egli mede simo con quello stesso pugnale con cui avea ferito Cesare , e fu acclamato e pianto come l'ultimo de' Romani (4) . Alcune avventure filosofiche di que ( i ) Cicerone Topic.Praef. V. P. Bayle art. Cratippus; J. Bru cker De Phil. Rom. & XXIV, XXV. (2) De Vila et mor. Epicuri lib. II , cap. 6 . (3) Aurelio Vittore De Vir . III. (4 ) Plutarco in Caesare, in M. Antonio , in Bruto . QUARANTESIMOTTAVO 311 st'uomo domandano qualche riflessione. Bruto vide uno spettro d'inusitata grandezza,einterrogato chi fosse , rispose : Io sono il tuo mal Genio, o Bruto : tu mi rivedrai a Filippi; ove lo rivide e fu vinto. Di questa apparizione ebbe discorso con Cassio, il qual disse, non esser credibile che vi fossero Genj , ed esser nostre immaginazioni; e quando pure vi fossero, nè aver figure di uomini, nè forza che giun ga a noi. Ma sarebbe pur bene che fossero, aggiun se, acciocchè noi condottieri di bellissimi e santis simi fatti andassimo forti non solamente per fanti e cavalli e navi, ma per la protezion degl' Iddii ( 1 ). Bruto si consolo per questo discorso. Ma Cassio medesimo ebbe la sua visione , e parve che conso latore degli altri non sapesse consolare sè stesso. Nella giornata di Filippi vide G. Cesare in sem biante sovrumano e minaccioso che a tutta bri glia veniva a combattere contro lui , ed egli spa ventato disse: Che ci rimane più oltre, se è stato poco averlo ucciso ? ( 2) Di lui è anche raccontato che nel giorno della uccisione di Cesare invocò l'a nima e l'ajuto del grande Pompeo ( 3) , e che rive dendo insieme con Bruto le truppe romane , disse loro : GlIddii, che prendon cura delle guerre giu ste, vi rendan premio di tanta fede. Noi abbiam prese tutte le giuste misure : il rimanente si aspetta dalla vostra virtù e dagl Iddii favorevoli. Se essi vorranno, noi vi ricompenseremo della grand'opera di questa vitloria (4). Le siffatte visioni e preghiere divote non parvero proprie d’un Epicureo, il quale se non affatto rifiutava i fantasiuni, certo non.co noscea gli animi immortali e la provvidenza de ( 1 ) Plutarco in Brulo. ( 2) Val. Massimo lib. I , сар. ult .' ( 3 ) Plutarco in Caesare et in Bruto . (4) Appiano Aless. Bell. Civ. lib. IV. 312 CAPITOLO gl'Iddii ; onde quelle apparizioni e invocazioni o vo glion tenersi per favole del popolo e degli storici, o per fanatismi di Cassio, il quale agitato dalla gran dezza de' casi lasciò trasportarsi nelle idee e nelle parole comuni, e si scordò di essere Epicureo (1). Io non dissento da questi pensieri; maquanto agl'Id dii e alla provvidenza io desidero ehe i miei leg gitori si ricordino di quanto abbiam disputato in questo argomento esaminando la teologia epicurea con quella diligenza che abbiam saputo maggiore; e non diffido che le preghiere di Cassio possano porgere alcun nuovo indizio della provvidenza non affatto distrutta nel sistema Epicureo. Tito Pomponio Attico fu il più sincero e ilpiù costante ornamento della scuola epicurea ; e se Cas sio ed altri con lui troppo s'immersero nel comore e nel fumo di Roma, e deviarono dal piacere e dalla felicità che erano i fini dell' Epicureismo, egli fer mamente rivolto a queste mire, già prima nelle tur bazioni di Silla si riparò ad Atene, e ascoltando Fe dro e Zenone Sidonio visse tranquillamente negli ozj e negli orti d'Epicuro, e con la gravità ed uma nità dell'ingegno ottenne tanta benevolenza, che dai Greci ebbe statue e dai Romani il hel scprannome di Attico; indi ritornato alla patria , si allontand dagli onori offerti e da tutti gli affari civili, e niuna parte prendendo nelle contese de' potenti, e ser bandosi amico de litiganti, e usando fede con tutti e liberalità e cortesia , non si sa ben dire se più fosse amato o riverito ; e vivendo a sè medesimo e non per ostentazione d'ingegno , ma per governo della vita filosofando , campo dalla proscrizione di tanti cittadini , e caro ai vincitori menò vita riposata e luminosa ; alla quale però nè il suo genero Agrip ( 1 ) P. Bayle art. Cassius Longinus ( Cajus) Primo. QUARANTESIMOTTAVO 313 pa , nè il progenero Tiberio , nè il pronipote Druso dieder tanto splendore quanto la intima amicizia di Cicerone, le cuiLettere e i libri della Vecchiezza e delle Leggi lo consecrarono alla immortalità ( 1 ) . In questa beatitudine di vita giunto a grave età fu preso dalla dissenteria e dalla febbre. Ubbidì prima ai medici inutilmente, e poisperimentata l'ostina zione del male , alla presenza di alcuni amici suoi, Voi siete buoni testimonj, disse, della cura e dili genza mia nel difendere in questo tempo la mia sa nità . Io ho dunque soddisfatto al debito mio . Ri mane ora che io provveda a me stesso. Voglio che voi il sappiate. Imperocchè ho statuito di non vo lere più oltre alimentare il mio male; perchè in questi giorni truendo innanzi la vita col cibo, ho accresciuto i dolori miei senza speranza di sanità. Per la qual cosa io prima vi domando che il mio consiglio approviate ; indi che non vogliate sfor zarvi a dissuadermi. Dette queste cose con tale co stanza di voce e di vollo che parea non uscisse dalla vita , ma da una casa per passare ad un'al tra , gli amici piansero e pregarono, ed egli le la grime e le preghiere compresse con un ferino silen zio. Così avendo digiunato due di , la febbre cessd ; inè mutò proposito per questo , ed essendo a mezza via , non volle tornare indietro e andò oltre digiu nando, e morì ragionatamente secondo i principi di Epicuro, e non già come Cassio impetuosamen te e a mal tempo. Questo inumano errore di moda e di scuola fu in Attico error di ragione ee di gran d'uomo (2 ) Tito Lucrezio Caro , inferiore certo ad Attico e a quegli altri nella dignità della vita , ma nella poe ( 1 ) . Cicerone De Fin . e nelle Epistole ad Attico e altrove. C. Ni pote in Artico. Seneca Ep. 21 . ( 2 ) C. Nipote I. c. 314 CAPITOLO lica gloria de componimenti epicurei maggiore di quanti fiorirono in quella scuola. Nella elà di Cice rone e di Attico vide anch'egli Atene, e ascoltò Fe dro e Zenone e visse negli Orti di Epicuro, e per mostrare a Roma i suoi progressi nella guisa più dilettevole , scrisse in esametri latini sei libri della Natura delle Cose , ne' quali fu delto non essere meraviglia che profondesse tutte le empietà e le pazzie di Epicuro , perciocchè gli avea composti ne' corti intervalli di ragione che gli rimaneano al quanto liberi dalla frenesia contratta per certa be vanda amorosa ( 1 ) . Ma noi invitiamo ancora qui i leggitori nostri a volersi ridurre a memoria le ra gioni altrove disputate contro i malevoli di Epicu ro , le quali secondo la nostra estimazione posson molto valere contro gli oppressori di Lucrezio. Non sarebbe difficile una dissertazione, giacchè le dis sertazioni sembrano facilissimi affari, ove si pro vasse che Lucrezio non fu il più pazzo de' poeti, e non sarebbe difficile un'altra in cui si mostrasse che molti filosofi furon più pazzi di questo poeta. Ma non so se queste dissertazioni con tutta la biz zarria de'loro titoli, che sogliono pur essere di qual che raccomandazione, potrebbono riuscir dileltose a chi le componesse e a chi le ascoltasse. Imperoc chè sarebbe necessità recitar molti di que' versi epicurei che secondo il ruvido carattere della scuola non sono i più molli e i più eleganti, e non sono poi tanto chiari da mettervi fondamento sicuro. Noi adunque, senza pretendere in dissertazioni, direm così per passaggio,come gli fu dato a colpa di vio lata religione ch'egli attribuisse alla natura degl'Id dii il godimento di somma pace e la divisione dai ( 1 ) Eusebio in Chr. V. G. A. Fabrizio Bibl. Lat. vol. I; P. Bayle art. Lucrece. QUARANTESIMO STAVO 315 dolori e dai pericoli nostri, e che insegnasse non aver essi bisogno di noi, nè esser presi da benevo lenza o da ira ; e che giacendo la vita degli uo mini sotto grave religione, la quale dal cielo mo strava il capo con orribil risguardo soprastante ai mortali, un uom greco fu il primo che ardì levar gli occhi contro di lei e resistere. Lui nè la fama degl'Iddii, nè i fulmini nè i minacciosi romori del cielo raffrenarono ; che anzi l'acre virtù del suo anino s'irritò , e ruppe le strette porte della natu ra , e con la vivida forza della mente vinse e tras corse oltre i confini del mondo, e misurò tutto l'Im menso; e c'insegnò quello che può nascere e quello che non può, e quali sieno le potestà e i termini fermi delle cose. Onde la religione a sua vicenda è calpestata dai nostri piedi, e la vittoria ci aggua glia al cielo ( 1 ). Ma si è già detto abbastanza al irove che le divine tranquillità possono avere nel sistema di Epicuro sensi non affatto distrutlori di ogni provvidenza ; e veranente lasciando pure stare il Deslandes, che fa una pielosa predica a Lucrezio per questo disprezzo suo della religione (2), è ben molto che Pietro Bayle (3) non abbia saputo ve dere che la religione, contro cui Lucrezio usa qui tanto disprezzo, non è altro che quella superstizio ne che insieme con altre scellerate opere insegnò ai Greci le vittime umane; onde egli dopo la descri zione d'Ifigenia all' altare conchiude : che tanto di mali potè la religione persuadere. Io certo non ar direi affermare che Lucrezio insegnasse la Provvi denza ove scrisse , una certa forza nascosta strito lare le cose umane , e sembrare che conculchi e 1 ( 1 ) T. Lucrezio De Rer Nat. lib. I. ( 2) Deslandes Hist. De la Phil. tom. III. ( 3) P. Bayle I. c . E. 316 CAPITOLO prenda in ludibrio i fasci e le scuri ( 1 ) ; o dove in vocò V'enere origine e regolatrice di tutta la na tura , o dove implorò l'ajuto della governante For tuna nei disordini e nelle ruine del mondo ( 2 ) . Ma non ardirei pure accusarlo di Ateismo (3 ), e im porgli più errori di quelli che secondo la sentenza nostra abbiamo veduti nel suo maestro Epicuro, di cui fu seguace tanto rigido , che permettendosi il suicidio in quella filosofia, egli neusò a suo agio, e nel settecentesimoterzo anno di Roma, quaranta quattresimo di sua età, si uccise di propria mano. È stata opinione che C.Giulio Cesare, uomo di estraordinaria forza d'ingegno e di cuore, sebbene potendo ottener' somma gloria dalle lettere e dalla filosofia, volesse averla piuttosto dalla politica e dalle arme, tuttavia non isdegnasse alcuna volta di starsi tra i filosofi, e gli piacesse di essere Epicureo. Im perocchè dicono che parlando al senato non dubitò di affermare ardimentosamente , di là dalla morte non esservi tormento nè gaudio (4) ; e non ebbe poi timore per voglia e comodo suo di tagliar boschi sacri e di seguir le sue imprese contro gli avvisi de sacerdoti e della religione (5) . Ma a dir vero , que sti non sono i caratteri propri dell'Epicureismo : e poi si potrebbe dubitare se Cesare così parlasse al senato, come Sallustio lo fece parlare ; e se così ta gliasse gli alberi sacri , come Lucano con la poetica licenza racconto; e date eziandio per vere queste leggende, è molto ben noto che anche Cicerone, usando della rettorica volubilità , predicò talvolta pubblicamente la mortalità degli animi senza essere ( 1 ) De Rerum Nat. lib . V, 1225. V. Rondel Vila Epicuri. ( 2) De Rer. Nat. lib I ; V, 105. (3) V.G.F. Reimanno Hist. Ath . cap. XXXVII , $ 5. ( 4 ) Sallustio De Bello Catilivario 51. ( 5) Lucano Phars. lib . III. Svetonio in Cesare 59, 81 . QUARANTESIMOTTAVO 317 Epicureo, anzi senza recarsi ascrupolo di predicarne la immortalità in altre pubbliche orazioni , ove il bi sogno della causa lo domandasse ( 1 ) . Così gli ora tori romani costumavano , e agli stessi metodi Ce sare ubbidi ; e così pur fece nell'affare de'presagi e della religione, mentre se è scritto che talora tras scurò le romane superstizioni, è scritto ancora che spesse volte le uso , e parve che le avesse per ve re ( 2) . Molto meno io poi ardirei imporre a Cesare l'Epicureismo, perchè fu accusato di osceni amori con Nicomede re di Bitinia , e perchè molte nobili donne romane e alcune reine corruppe, e perchè fu detto la moglie di tutti i mariti e il marito di tutte le mogli ( 3 ), e perchè sostenne assai altre infauna zioni di lascivo costume ; le quali oltrechè possono essere alterate dalla malevolenza e dalla effrenatezza popolare di Roma , che le lodi e i trionfi de gran d'uomini solea contaminare con le satiriche licenze, non posson poi essere argomenti di doltrine epicu ree, giacchè nè gli Epicurei professavano questa dis solutezza, nè la corruzion de costumi è buon argo mento per la corruzione delle massime; e siccome non sarebbe buon discorso dai regolati costumi di Cassio e di Attico didurre che non erano Epicurei, così non sarebbe pure conchiuder che Cesare era per la sregolatezza de'suoi. Piuttosto si potrebbe rac cogliere alcun indizio di Epicureismo dalla replicata avversione che Cesare mostrò verso i costumi di Ca tone , contro cui scrisse due libri intitolati gli An ticaloni (4). Gli Epicurei erano i giurati nimici de ( 1 ) Cicerone Orat. pro Cluentio et pro Rabirio. ( 2) Plutarco e Svetonio in Caesare. Floro lib. IV, cap. 2. Dione lib . XLII. V. P. Bayle art. César. ( 3 ) Svetonio in Caesare 49 e segg. ( 4 ) Svetonio I. c. Plutarco in Cicerone V. Adriano Baillet Des Satires personelles , .ou des Anti, Entr. I , S 1 . 7 318 CAPITOLO gli Stoici , e Catone era Stoico grande. Pare adun que che Cesare non potesse prorompere a tanta av versità contro tutti i costumi di Catone senza es sere Epicureo. Vaglia questo come pnò il meglio. Ma qualunque fosse la setta di Cesare, certamente il solo pensiere di correggere il Calendario Romano disordinato dalla negligenza de' sacerdoti, e l'Anno Giuliano, ch'egli diede a tanta parte di mondo, mo strano in loi genio filosofico e gasto di astronomnia. Quella versatile eloquenza di cui gli avvocati e i pubblici parlatori di Roma usavano nella varietà e lalora nella contraddizione delle cause, fu la ori gine primaria dell' applauso in cui venne tra i Ro mani la filosofia della nuova Accademia ; la quale insegnando a disputare per tutte le parti, e colo rendo di probabilità il pro e il contro, e somınini strando argomenti per tutti i casi, era molto oppor tuna a quella eloquenza forense che potea dirsi la grande e forse la prima via delle soinme fortune. Sembra adunque ben detto che la stoica filosofia per la gravità degli uffizj e de' principj sociali fu tra i Romani la disciplina de' giudici, de' legislatori e de' giureprudenti; la epicurea fu lo studio quasi domestico e privato di uomini desiderosi di vivere Jictamente; la pitagorica e l'aristotelica fu la cura di pochi; la platonica confusa alla stoica si riputò degna de' sacerdoti, e l'accademica fu la delizia de causidici e degli oratori; siccome, a dir vero, pare che fusse pure in altre terre e in altre età , e che sia ancor nella nostra . È però mestieri avvertire che parlando di accademica filosofia , non vuole inten dersi un pirronismo effrenato , che forse non ebbe esistenza salvo ne' capricci di uomini esageratori ; ma un temperato genere di filosofare per cui si esa minano i placiti di tutte le scuole , e si sceglie il buono , e si cerca il vero , e si crede di trovar solo QUARANTESIMOTTAVO 319 il probabile ,e secondo questo si governa la vita . Cicerone fu il ipaggior lume di questa filosofia tra i Romani ; il quale con la forza d'una singolare elo quenza e con l'abbondanza della dottrina e con la varietà de' libri così la nobilitò egli solo , che gli altri furon dimenticati. Ma egli sarà ben tale da po ter valere per tutti. Mentre io ora mi accosto a que sto sommo maestro del nobil parlare , e vedo che la eccellenza della sua lode e la grandezza degli ob bligbi nostri domanderebbono eloquenza pari alla sua , sento vergogna della mia lontananza da quel sublime esemplare, e volentieri sfuggirei per ros sore il difficile incontro, se la vergogna non fosse vinta dalla necessità. CAPITOLO XLIX. re , 0 Della Filosofia di M. Tullio Cicerone. M. Tullio Cicerone Arpinate , o che suo padre fosse purgatore di panni e i suoi avi cultori di ceci , o che la sua gente avesse origine dai che nascesse onorato dagli oracoli e dai prodigj, o all' uso comune nel silenzio degl' Iddii e nell'ordine della natura , siccome variamente si raccontò ( 1 ) ; niente più e niente meno fu il medesimo uomo non molto cospicuo tra i soldati , non affatto pic ciolo tra i filosofi, grande tra i maestrati e tra i consoli, massimo tra gli oratori. Nell'adolescenza e appresso nella età anche matura amò i poeti e scrisse versi, de' quali rimangon frammenti biasi mati più del dovere , e coltivò le lettere greche e ( 1 ) Plutarco in Ciceroue. Dione lib. XLVI. V. G. A. Fabrizio Bibl. Lat. vol. II. 320 CAPITOLO la eloquenza ( 1 ) . Cresciuto. si accostó ai filosofi. Ascoltỏ gli Epicurei per disprezzarli allora e dap poi , senza averli forse intesi. Conversò con gli Stoici e coi Peripatetici , e apprese i luoghi e i fonti del disputare , e altre loro dottrine non ab borri: ma singolarmente coltivo gli Accademici per amore di quella versatile e forense eloquenza di cui abbiam detto ( 2) . Su questi fondamenti, con quel buon metodo non inteso dai nostri pedanti, appog. giò e poi confermò viemaggiormente la sua arle oratoria. Presa la toga virile si attenne ai giore consulti ( 3) . Militò un poco nella guerra Marsi cana , e venuta la pace ritornò molto volentieri alle lettere . Visse dimesticamente con Diodoro stoi co eruditissimo , frequentò Molone oratore Rodia no , e Ortensio , che era il primo parlatore di Ro ma : non trascurò fino di apprender le più gen tili eleganze del dire da Cornelia , da Lelia e da altre dame romane, colà imparando eloquenza ove altri ora sogliono disimpararla: non fu giorno che non usasse nuove diligenze erudite , e non decla masse e disputasse ora con parole latine , ora con greche. Trasse nel vulgare di Roma alcune scrit lure di Protagora e di Senofonte e altre di Platone, e singolarmente il Timeo , di cui ci rimane una parte , per la quale conosciamo che Platone po trebbe sopportarsi tradotto da Cicerone, laddove non si può nelle versioni di altri. Ci rimangono ( 1 ) Cicero pro Archia I. Plutarco l . c. Svetonio de Cl. Ret . 2 . Vossio De Poel. Lal. V. Andrea Scollo Cicero a calumniis vin . dicatus . ( 2) Cicerone De Off.lib . I , 1 ; II , 1 ; Ep. fam . lib . XIII, ep . I et 16 ; Paradox. I ; De Or. lib. III , 28 ; Tusc. Disp. lib . II , 2 ; in Bruto 90 ; De Nat. Deor. e altrove. Plutarco I. c. (3 ) Cicerone in alcuni luoghi citati, e De Fio. lib . V , el De Div. II; e vedi i Frammenti, Plutarco 1. c. Quintiliano l. 1 , 2; III, 1 ; X, 5. S. Agostino De Civ. Dei lib . V, cap. 8. QUARANTESI MONONO 321 pure alcuni frammenti di sue traduzioni diOmero, le quali non ci nojano come quelle degl' interpreti nostri ( 1 ). Istruito da tante esercitazioni e animato da questi presidj , nel suo venticinquesimo anno , che era il seicento settantaunesimo di Roma ( 2) non dubitò di mostrarsi nella luce del Foro, e agitd la sua prima causa, che alcuni dicono esser quella in difesa di Sesto Roscio Amerino , contro la vo lontà di Silla , e ne uscì vincitore con tanta ammi razione , che niuna altra causa parve poi superiore al suo patrocinio (3). Ma poichè Silla raffrenatore di Mitridate e domatore di Mario era in quei giorni dittatore e quasi signore assoluto delle vite e delle cose romane , fu voce che Cicerone temendo la ira di quel fiero autore delle proscrizioni, rifuggisse in Grecia (4 ). Altri pensarono che si desse a viaggiare per ricuperare la sanità afflitta per troppa veemen za nella declamazione (5) . Comunque fosse , visitò Atene e molto usd col famoso Sincretista Antioco, e visse congiunto a Pomponio Attico con quella amicizia che durò tra loro fino alla morte. In que sto viaggio verisimilmente fece iniziarsi nei misteri Eleusini, de' quali così parld come se la loro so stanza fosse l'unità d'Iddio e la immortalità degli animi (6) . Tale fu l'avviso nostro nella esposizione del sistema arcano d'Egitto , e tale è del dotto Warburton e del Middleton, il che molto consola ( 1 ) Cicerone in alcuni luoghi citati, e De Fin. I. V, e De Div. II; e vedii Frammenti. Plutarco I. c. Quintiliano I. I, 2 ; III, 1; X, 5. S. Agostino De Civ. Dei lib. V, cap. 8. (2) V. Middleton Vita Cicer. lib . I. ( 3) Cicerone in Bruto 91. Middleton I. c . (4) Plutarco l . c. (5) Cicerone in Bruto. Cicerone De Nat. Deor. lib. I, 42 ; De Leg. lib. II, 14 ; Tusc. Disp. lib. I , 15. BUONAFEDE. Ist. Filos. Vol. II . 21 322 CAPITOLO le nostre conghietture ( 1 ) . Da Atene navigò nell'A sia , e conversò cogli oratori e coi filosofi di quelle terre, e sopra tutti con Possidonio; e declamo in greco nel mezzo a nobil frequenza con tale fecondità, che i greci oratori piansero il loro destino, per cui non solamente le fortune, ma le arti e le scienze dalla Grecia trapassavano a Roma ( 2). Silla morì, e Ci cerone restaurato nella sanità ritornò alla patria , ove fu prima negletto come un grecolo scolastico; ma poi eguagliando e spesso vincendo la gloria di Cotta e di Ortensio oratori lodatissimi di quella età , rimosse Roma dalla sua negligenza , e ottenne prestamente la questura ed ebbe in sorte la Sicilia, ove avendo ricevuto lodi e onori inusitati , s'im maginò che tutta Roma fosse piena della sua glo ria. Masbarcato a Pozzuolo in tempo che grande era il concorso di molti uomini romani , ebbe il dispetto di vedersi ignoto, e conchiuse adirato che iRomani aveano le orecchie sorde e gli occhi acuti. Dopo questa mortificazione, grave di vero in uomo perduto nella fantasia della gloria , egli deliberò di battere assiduamente il Foro e i pubblici luoghi, e starsi tuttodì presente a quegli occhi acuti che dif finivano le sorti de' cittadini ambiziosi ( 3) . Agitò cause nobilissime, e fu edile, pretore e console non meno per favore degli ottimati , che per giudizio del popolo ( 4) . Egli ricevè la repubblica piena di sollecitudini,e non vi erano mali che i buoni non temessero e i ribaldi non aspettassero. I tribuni e Catilina e i suoi compagni teneano consigli di ruina. Ma Cicerone li compresse e salvò la repubblica (5). ( 1) Warburton Della divina Legazione di Mosè vol. I. Middle ton I. c. (2) Plutarco I. c. ( 3) Div. in Verr. I , et lib . II , 2 ; pro Planco 26. Plutarco i . c. ( 4) Cicerone in più luogbi, e Plutarco l. c. (5) Sallustio De Bello Calilinario e gli altri Storici Romaui. QUARANTESIMONONO 323 ze Tire! Per la grandezza dell'opera venne a somma grazia de' patrizi e del popolo, e fu acclamato padre della patria ; e poco appresso vinto dalla invidia e dalla frode di P. Clodio, fu spinto in esilio, e le sue ville incendiate e le sue case con ogni sostanza arse e saccheggiate. Andò errando con animo assai abbat tulo per l'Italia e per la Grecia , nel che mostrd di essere più oratore che filosofo; finanche richia mato per pubblico consenso , e restaurati i suoi danni per sentenza del senato , ritornò a Roma , incontrato da tutte le città , e portato, siccom'e gli raccontò, sulle spalle di tutta l'Italia ( 1 ) . Ebbe in provincia la Cilicia , e parve che volesse eser citar nella guerra le arti della pace. Ma come si accese la discordia civile, egli seguendo le parti di Pompeo , e pretendendo in valor militare, dopo la sconfitta farsalica si pentì d'esser soldato e ricuso di guerreggiare più oltre; cosicchè il giovin Pom peo sdegnato di quella codardia , lo avrebbe uc ciso se Čatone non lo campava (2) . Venne poi a riconciliazione con Cesare, e nella mutazione della repubblica , che assai gli gravava nell'animo, si ri volse alle lettere e alla filosofia , e istruì nobili gio vani romani , e leggendo e scrivendo libri passò la maggior parte de' suoi giorni nella dolcezza degli studj e nei silenzi della sua villa Tusculana.Ritorno anche ad Atene per alleggerimento di noja e per la memoria delle passate esercitazioni. In questo spazio ripudid Terenzia, e mend in moglie una ricca donzella, e pianse puerilmente la morte di Tullio la , e ripudid la nuova moglie perchè non volle 702 ber che V. i luoghi di Cicerone presso Francesco Fabrizio nella Vita di Cicerone. ( 1 ) Plutarco I. c. et in Caesare. Dione lib . XXXVIII. Vellejo lib . 11. Cicerone Or. pro Domo sua ct post Rcd. ad Quir, et post Red . ad Sen. e altrove. (2) Plutarco lic. 1 334 CAPITOLO pianger con lui ; nelle quali avventure fu accusato di amori sozzi é ridicoli, e di animo debole per temperamento o per anni ( 1 ) . Con tutti questi do mestici fastidj avrebbe potuto esser felice, se avesse perseverato nell' amore del letterato ozio e dellafilosofia. Ma dopo l ' assassinamento di Cesare gli piacque di rientrare nella tempesta civile , e seb · bene non fosse tra i congiurati , si attenne al loro portito, e M. Antonio già suo pernico irritò mag giormente con le Filippiche. Dopo varie vicende si compose il Triumvirato, e Cicerone ne fa la vit tima più sacra e più pianta da Roma , già ridotta a pochi, e da tutta la posterità. Egli poichè ebbe udita la fama della proscrizione, fuggì prima al mare e s'imbarcò con venti contrarj , onde presa terra a Circejo, tra molti pensieri niuno piacendogli quanto la morte , disegno di recarsi a Roma e uccidersi nella casa istessa di Cesare per versare sopra l'in grato la vendetta del suo sangue. Indi persuaso da nuovi pensieri navigò ancora e prese pur terra,e nojato del mare e della vita , lo morrò , disse , in quella patria che spesse volte'ho conservata ; e non morendo pur questa volta, si adagi ) e dormà nella sua villa Formiana. Mentre i suoi domestici spa ventati dal romor de' soldati lo guidavano a forza verso il mare, apparvero i carnefici, contro cui i servi si prepararono a combattere. Cicerone co mandd che stessero: guardò con fermo occhio gli assassini e singolarmente il lor condottiere Popilio Lena, che reo di parricidio era stato difeso e salvato da lui : sporse dalla letlica il capo, e, Fale, ( 1 ) Cicerone Tusc. Disp. lib. I, 1; De Off. lib . II, 1, 2 ; e in più Lettere ad Allico e ai suoi amici. Plutarco I. c. V. l'Orazione al tribuita a Sallustio. — Donato ( in VI Eneid. ) accomoda a Cice rone quel verso diVirgilio: Hic thalamos invasit Natac velitos que hymeneos. V. P. Bayle art . Tullie , 0 . QUARANTESIMONONO 325 disse , l'opera' vostra , e quello prendelo , di che avete bisogno : l'ingralo " Popilio con parricidio maggiore del primo gli recise il capo e le mani , e recò l'iniquo fardello ad Antonio, il quale con gran festa affisse su i rostri quel capo sublime e onorato e quelle mani benefiche, spettacolo miserabile e argomento di pianto ai buoni Romani e di trastullo agli schiavi, ai traditori e ai tiranni ( 1 ) . Nell'anno di Roma settecendecimo e di Cicerone sessanta qualtresimo avvenne questa tragedia , in cui si vide la morte di Cicerone e della repubblica. Daquesto tenore distudj e di vita non solamente si può conoscere che Cicerone era pieno d'un de siderio smoderato di gloria , che lo rendea forte e magnanimo nella buona sorte e timoroso e pian gente nella disgrazia (onde Cristina di Svezia, con una regia libertà che sarebbe licenza in uomini pri vati , usava dire, Cicerone essere il solo poltrone che fosse capace di grandi cose ); ma si pud an cora scorgere facilmente che il sommo fine poli tico di Cicerone fu l'acquisto delle maggiori for tune nella repubblica : che due essendo i mezzi per giungervi, la scienza militare e la oratoria , e co noscendo egli di valer poco nella prima , comechè molto si tormentasse per giungervi , si attenne vi gorosamente alla seconda ; e che egli avendo sen tenza, niuno essere oratore perfetto il quale non abbiascienza di tutte le grandi cose, vago per qua Junque facoltà, e sopra tutto per le opinioni di ogni filosofia, e tutto questo adunamento di dottrine in dirizzo al suo desiderio di essere oratore perfet to ( 2). Questo studio è palese nelle sue opere, le ( 1 ) T. Livio Epit. 121. Plutarco in Cicerone et in Antonio. Sve. tonio in Augusto. Vellejo II ,8 , 65 , 66.Dione lib. XLVII. Ap piano lib. IV . Seneca Súas. I et VI. V. Massiino lib. V, 3. Floro PADOV ,6. (2) Cicerone De Or. lib. I , 6; II , 2 . 326 CAPITCLO quali a ragionatori severi appariscono più eloquenti che filosofiche, e mostrano maggior cura del bel dire che del corretto pensare. Cicerone adunque sempre intento alla eloquenza e sempre caldo d'una immaginazione vivace e feconda e d'una voglia ine sausta di meraviglie rettoriche, e sempre frettoloso per la moltitudine dei gra rissimi affari, trascorse e quasi sfiorò le nozioni filosofiche, e divenne gran dissimo nel dipingere , nell'adornare e nel persua dere; ma nel vigore del discorso e del giudizio e nelle sottili distinzioni del vero e del falso parve che le più volte l'oratore fosse smisuratamente più grande del filosofo. Gli è però vero che nel silen zio delle lettere forensi e senatorie, e nell'ingenuo ozio in cui la usurpazione di pochi lasciava i grandi uomini di Roma, Cicerone ottenne dalla disgrazia questa utilità, che riposatamente e liberamente me dità e scrisse argomenti filosofici ( i ) , e massima mente si esercitò nella parte teologica e morale cui appartengono i libri notissimi della Natura degl'Id dii, della Divinazione, del Fato, del Sogno di Sci pione , dei Fini, della Vecchiezza, dell'Amicizia , delle Leggi, degli Uffizj, le Disputazioni Tuscula ne, i Paradossi Stoici e le Quistioni Accademiche; nelle quali si argomentd particolarmente a distrug gere i greci sistemi alla maniera di Carneade, e pa lesò il suo. Coopose ancora l'Ortensio ossia l'Am monizione alla Filosofia, e i libri della Repubbli ca , che sono perduti ( 2). Ma per quanto ozio egli avesse e per quanto meditasse, non seppe mai di vezzarsi dall'esagerato linguaggio oratorio, e di lui usd pomposamente nella esposizione de sistemi e delle ragioni filosofiche; e poi vi aggiunse i suoi ( 1 ) Cicerone De Off. lib. II, 1 , 2 . ( 2) Cicerone ne fa memoria, De Fin. I. I ; De Div. I. II ; Tusc. Disp. lib. III. S. Agostino De Civ. Dei e Lattanzio in più luoghi. QUARANTESIMONONO 327 amori e i suoi odj per certe scuole , e questi an cora rettoricamente amplifico ; e per giunta di am biguità gli piacquero le platoniche forme de' dialo ghi e le accademiche dispute e le confutazioni per ogni parte e gl'inclinamenti ora ad un lato, ora ad un altro; donde risultarono equivoci e dubbj e opi nioni diverse intorno alla filosofia . Ma noi pensia mo di poter mettere alcun ordine in tanto invi luppo ragionando di questa guisa. - Non fram mezzo alle pompe eloquenti delle orazioni e alle asluzie forensi, e non tra le epistole di complimen lig di raccomandazioni, di condoglienze, di affari, nè tra i parlamenti e i dialoghi di uomini ora epi curei , ora stoici, ora peripatetici passionati, è da cercarsi la filosofia di Cicerone, siccome alcuni fe cero e fanno incautamente, ma è giusto rintrac ciarla in que' luoghi delle sue opere filosofiche ove egli parla in persona e sentenza sua propria. —Cid statuito , ascoltiamo Cicerone medesimo , il quale senza equivocazione e mistero alcuno ci racconta ch'egli professa la filosofia della nuova Accademia ; perciocchè a coloro che si meravigliavano come egli principalmente approvasse quellafilosofia che toglie la luce e quasi sparge una nottesopra le co se , e protegesse impensatamente una disciplina de serta , egli risponde: « Non imprendiamo già noi « il patrocinio di cose deserte. Questo metodo, per « cui si disputa di tutto e non si giudica aperta « mente di niente, nato da Socrate, ripetuto da « Arcesilao, confermato da Carneade, invigorì fino u alla nostra età ; il qual metodo ascolto essere u ora abbandonato in Grecia , il che io credo av « venuto non per vizio dell'Accademia , ma per pi u grizia degli uomini : mentre se gran cosa è ap prendere alcuna disciplina, quanto è maggiore u apprenderle tutte ! la qual cosa è necessario che 328 CAPITOLO quelli facciano , i quali hanno proposto per la investigazione del vero disputare contro tutti i « filosofi e a favore di tutti ; e questa difficile fa « coltà non penso io di avere acquistata, solamente u penso di averla seguita. Nè già noi a questa gui u sa filosofando , riputiamo , niente esser vero , ma piuttosto al vero essere congiunto il falso con « tanta rassomiglianza, che manchi il certo criterio « di giudicare e di assentire ; dalle quali dottrine siegue questo precetto , nolto essere il probabi le, il quale benchè non sia bene compreso, non « pertanto avendo certo uso insigne ed illustre, « dee governare la vita del savio ( 1 ) . » - E altro ve : « Io vorrei ( egli dice ) non a nome di Attico , di Balbo o di Vellejo, ma a suo , che fosse ben u conosciuta la nostra sentenza ; imperocchè non « siamo noi vagabondi nell'errore, nè manchiamo « di quello che è da seguirsi; poichè quale sarebbe « la mente e quale la vita , tolta la regola del di sputare e del vivere? Ma noi , ove gli altri dicono u alcune cose certe , alcune incerte, dissentendo da essi , altre diciamo probabili, altre improbabili. « Perchè adunque non potrò attenermi al proba « bile e riprovare il contrario , e dechinando dalle « arroganti affermazioni, fuggire la temerità , che « è tanto lontana dalla sapienza ? Ma i nostri Ac « cademici disputano contro ogni sentenza, peroc « chè questo lor probabile non può risplendere se « non si fa contesa per l' una parte e per l'al « tra ( 2) . » Oltreacciò egli c’invita a leggere le sue Quistioni Accademiche, ove questi propositi erano esaminati più diligentemente (3) ; cosicchè può dirsi che quando egli ne'suoi Dialoghi disputa ( 1 ) Cicerone DeNat. Deor. lib. I , (3) De Off. lib. II , 2; Tusc. Disp. I. I,9; Ii, 3 ; De Div. I. II, 3. (3) Cicerone II. cc. Acad. Quaest . lib . II , 3 . 5. QUARANTESIMONONO 329 per le parti accademiche , parla in propria perso na , e quindi par fuori di ogni dubitazione che egli è nel metodo di quegli Accademici che ogni cri terio poneano nella probabilità. Di qui s'intende com ' egli ora si attemperava agli Stoici, ora ai Pla tonici , ora ai Peripatetici, senza abbandonar l'Ac cademia ; perché ove cercava i doveri dell'uomo e le leggi sociali, trovava maggiore probabilità nelle dottrine del Portico; e dove investigava i principi delle cose e trattava la psicologia e la teologia, credea forse trovarla maggiore nel Platonismo e nel Peripato ( 1 ) ; e dove di queste e di altre filo sofie disputava e ne bilanciava le vantate eviden ze , sospendea il giudizio ed era Accademico; e così pure quando persuadeva il popolo e il senato, pas sava a grande suo comodo nelle sentenze contra rie , e non avea ribrezzo alcuno di contraddirsi ac cademicamente. La moda del Foro era di potere essere Accademico Probabilista, ed egli serviva alla scena, e lo era con gli altri. Cicerone adunque così disposto tratto di tutte le parti della filosofia ove più diligentemente, ove meno. E certamente egli coltivò la logica e la in segnò con gran cura ne' suoi Libri Rettorici, ma a sua maniera, vuol dire per servigio della eloquen za e del Foro. Parve chepensasse con Socrate non essere molta la utilità della fisica per la probità e beatitudine della vita ( 2). Conobbe tuttavia i mag giori sistemi antichi , e vide nella rimota vecchiaja della filosofia certe nozioni che si vantano scopri menti di questi ultimi tempi, come il moto della terra , gli antipodi, la gravitazione o attrazione uni versale , che tiene il mondo nell'ordine ( 3). Ma nella ( 1 ) De Off. lib. I , 2 , 3 ; Tusc. Disp. lib. 21 . ( 2) De Nat. Deor. lib . 1, 21 ; Acad.' Quaest. lib. II , 39. ( 3 ) De Nat. Deor. II , 45; Acad. Quaest. II , 38. 330 CAPITOLO naturale teologia e nella morale pose ogni sua cu ra . « È fermissimo argomento della esistenza d'Id « dio ( egli dice ) che niuna gente sia tanto fiera e « niun uomo tanto crudele, che non serbi nell' a. w nimo la opinion degl'Iddii;e questo consenso di a tutte le genti dee riputarsi una legge di patu « ra ( 1 ) . La bellezza del mondo e l'ordine delle cose « celesti stringe a confessare una prestante ed eter a na natura , e un fabbricatore e moderatore della « grand' opera ( 2) , il quale è da immaginarsi come « una mente sciolta e libera e segregata da ogni « componimento mortale, che tutto sente e muo « ve , ed è fornita di moto sempiterno (3) , e come a un maestro e signore che le celesti e le terrene « ed umane cose e tutto l'Universo amministra, sen « za la cui provvidenza quale tra gli uomini sarebbe « pietà , quale santità , qual religione? le quali virtù tolte, sorgerebbe il disordine e la confusion della u vita , e non rimarrebbe società alcuna nel genere « umano ( 4) . Io così mi persuado e così sento, che « tanta essendo la celerità degli animi e tanta la « memoria delle cose passate e la prudenza delle future, e tante le arti e le scienze e le scoperte, quella natura che le contiene non può esser mor « tale ( 5) ; e semplici essendo gli animi e senza mi « stura, é movendosi per sè medesimi, nè possono « dividersi e dissiparsi, nè cessare di moversi; ed « essendo celesti e divini e sempre desiderosi della - immortalità, non possono essere ingannati dachi « li produsse, e debbono essere eterni (6). E quindi ( 1 ) Cicerone Tusc. Disp. lib. I , 13 ; De Nat. Deor. III , 3 . ( 2) De Div. II ,72 ; Tusc. I , 29. ( 3) Tusc. Disp. I, 27. (4 ) De Fin .IV, 5 ; Acad. Quaest. I , 8 ; De Nat. Deor. I, 2 , 44 ; I1, 66 ; III , 36 ; Fragm. De Repub. III. (5) De Senectute . (6 ) De Senect. et Tusc. I , 27, 29. QUARANTESIMONONO 331 gmni su stenza 1: anto fra serbi mi Consen ne deres ante de erator& ginarsi az ata dan ente en (3), es e le to pinista i miniars le quali pfusica ja nelset si senta je tapis denta 1 comechè Cerbero tricipite e il fremito di Cocito u e il tragitto di Acheronte sieno favole senili, deb « bon perd rimanere dopo la morte i premj e le pe. ne, e quelle due socratiche vie per cui gli empj si « dividono e i buoni si congiungono agl' Iddii (1). ” - Su questi grandi principj egli collocò l'edifizio del naturale diritto e di tutta la morale ; e primie ramente dalla eterna ragione e volontà' di Dio, e dalla comune ragione degli uomini, e dalla natura e relazion delle cose dedusse la origine e la realità e l'autorità e la obbligazion d'un naturale e pub blico diritto . - « La legge ( egli dice ) è un eterno impero che governa l'Universo con la sapienza del comandare e del proibire , ed è la mente di « Dio che costringe e divieta; e non solamente è più antica della età de' popoli e delle città, ma eguale a quell' Iddio che difende e regge i cieli e « le terre. La mente divina non può esser senza ra gione , nè la ragione divina può esser senza la « forza di fermare le cose giuste e le ingiuste. Una legge sempiterna fu sempre e una ragione appog u giata alla natura delle cose ; la quale non allora che fu scritta , cominciò ad esser legge , ma al « lora che nacque , e nacque insieme con la mente divina ; il perchè la legge vera e primaria , idonea á a comandare e a proibire, è la diritta ragione del « sommo Giove ( 2) ; la quale non è legge scritta , « ma nata , e la quale non abbiamo imparata, non ricevuta, non letta, ma l'abbiamo attinta dalla « medesima natura e dalla comune intelligenza, per u cui giudichiamo il diritto e il torto , è l'onesto « e il turpe; imperocchè estimar queste cose dalla BST PEN ne par 2017 depositse . Em opinione, non dalla natura, è stoltezza (3) . ( 1 ) Tusc. 1,5,6 , 21 , 30 ; De Ainic. 4 ; De Nat. Deor. II , 2. ( 2) De Leg. II , 4, 5 . ( 3) Pro Milone; De Leg. I , 10 , 15. zar. 1,1 332 CAPITOLO Io non posso astenermi dalla ricordanza di quelle parole memorabili di Cicerone nel terzo libro della Repubblica, le quali da Lattanzio ci furono conser vate ( 1 ) . — La retta ragione è certamente la vera legge consentanea alla natura diffusa in tutti, co « stante , sempiterna, la quale comandando chiama « al dovere, e ci spaventa dalla frode vielando. « Niente è lecito toglier da lei , niente cangiare, e « molto meno abborrirla. Nè dal senato , nè dal popolo possiamo essere sciolti da questa legge, w nè altro dichiaratore o interprete è da cercarsi; « nè altra legge è ad Atene, altra a Roma , ma ella « sola ed una , sempiterna ed immutabile governa « in ogni tempo tutte le genti, e uno è il comune « quasi maestro e comandante di tutti , Iddio. Egli è di questa legge l'inventore, il disputatore, il pro mulgatore, al quale chi non obbedisce fugge sè « stesso e disprezza la natura dell'uomo, e per que « sto istesso paga massime pene, quantunque sfugga « tutti quegli altri eventi che si riputano supplizj." - Oltre questi nobili conoscimenti della origine, del fondamento , della realità , della forza, della im mutabilità delle leggi naturali, Cicerone conobbe la utilità della religione nella società; di che niuno vorrà dubitare ( egli dice ) che intenda come sien molte le cose che si ferman col giuramento, e quan ta salute apportino le religioni de' patti, e quanti sieno distolti dalla scelleraggine per timore del di vino supplizio, e quanto sia santa la società di que' citladini che fra loro interpongon gl'Iddii come giu dici e testimonj ( 2). Egli conobbe ancora la sanzio ne ossia la intimazion della pena contro i violatori, senza cui le leggi non avrebbon forza di obbligare, ( 1 ) Lallanzio Div. Inst. lib. VII , cap. 8. De Leg. lib . II , 7. QUARANTESI MONONO 333 ma diverrebbono avvisi e consigli ; e non ebbe so lamente quella sanzione come una conseguenza aa turale della colpa , ma come una vera imposizion di castigo, se non in questa , certo nella vita av venire, siccome già sopra abbiam divisato ( 1 ) . Co nobbe egli non meno quella così semplice e cosi vera divisione del codice della umanità in doveri verso Dio, verso noi medesimi e verso la società; e insegnò che la filosofia dono e ritrovamento di vino ci erudisce nel culto degl'Iddii, e poi nel diritto degli uomini posto nella società del genere umano : che l'uouo non è nato a sè solo ; che anche parte di lui ne domanda la patria e parte gli amici: che gli uomini sono prodotti per gli uomini acciocchè si giovino a vicenda; e che debbono ricevendo e dando permutare gli uffizj , e con le arti , con le le facoltà stringere la compagnia degli uomini con gli uomini (2). — Questa succinta immagine della giure prudenza e della morale di Cicerone offre nella sua medesima brevità una idea molto elevata e molto magnifica e superiore a quante opere di antichi uo mini giunsero a noi in questo argomento, e forse a quante mai furono composte prima di lui. Tutta volta non è già vero che la morale Ciceroniana con tenga una disciplina compiuta, e discenda con per fetto ordine e verità in tutti i particolari; percioc chè anzi con buon accorgimento fu avvertito essere diffettuosa in assai parti necessarie, e gli argomenti nella maggior parte esser trattati leggiermente, e per decisioni assai rigide palesarsi che il severo giu reprudente non conoscea i verj principj donde po teano di dursi gli scioglimenti di certi casi ( 3 ). Ma con tutto ciò neppure è vero che Cicerone ne' suoi opere, con ( 1 ) V. Ubner Essai sur l'Hist. du Droit Nat. Par. I , S 12 . ( 2) Tusc. Dis . 1, 26 : De Oll. I , 7. ( 3) G. Barbeyrac Pret, à Pufendorf. 334 CAPITOLO 0 trattati di morale fosse un Pirronista , e nelle sue dispute di naturale teologia un distruttore di tutte le religioni. La primaimputazione assume per fon damento che Cicerone avendo statuiti i principi della morale, prega l'Accademia di Arcesila e di Carneade perturbatrice di tutte queste cose a ta cersi, perchè volendo assalire i principj che sem bran così bene composti, fara troppe ruine, e desi dera placarla, e non ardisce rimoverla ( 1 ). La se conda accusazione è dedotta da quello spirito di dubitazione che domina in tutte le sue opere e sin golarmente nei libri della Natura degl Iddii, ove mostra gran voglia di confutare e deridere tutte le antiche dottrine della Divinità , e concede alla fine tutti i trionfi all'Accademico Cotta . Al che si ag. giunge unagrande incostanza e può dirsi contrad dizione nell'affare gravissimo della immortalità de gli animi ; perciocchè in molte epistole sue , nelle quali scopertamente parlava co' suoi amici , o du bita di quella immortalità , o rappresenta la morte come l'ultimo de' mali e il fine delle sensazioni e di tutte le cose (2). Noi , per quello che dinanzi si è avvertito , dobbiam consentire che Cicerone fu Accademico, e non altro conobbe che sole proba bilità; nel che certo errò gravemente, e grande fra gilità iufuse in tutto il suo sistema teologico e mo rale: tuttavolta perchè al suo probabile diede la forza e l'autorità che noi diamo al vero e all' evi dente , riparò un poco il dauno che fin d'allora il Probabilismo minacciava. Fuori di questo errore, egli molte affermò di quelle medesime verità che ( 1 ) Ciecrone De Legibus l . 13. V. G. Barbeyrac l. c . ( 2) Ep. Fam . lib. V, 16 , 21 ; lib. VI, 3 , 4 , 21; Ad Attic. IV, 10; e altrove. V. P. Bayle art. Spinoza , M., e Cont. des Pens.div . 105; A. Collin De la liberté de penser; G. F. Buddeo De l'Athéisme ch . I , 22. QUARANTESIMONONO 335 . noi stessi affermiamo, e nel naturale Diritto molte ne vide di quelle ancora che furon vantate come scoprimenti del nostro fortunato secolo , di che po tremmo tenere amplissimi discorsi se qui fosse luo go. Egli veramente sparse assai dubbi e molte risa sulle teologie antiche , e non era nel torto. Tenne ancora ragionamenti ipotetici intorno alla immor talità degli animi ; e alcuna volta scrivendo a tali che la negavano, si attemperò alle loro opinioni per consolarli e persuaderli più speditainente. Per altro, quando fu sciolto da siffatti riguardi, parlò di que sti argomenti con quella dignità che abbiam rac contata.Adunque nè Cicerone fu di quegli Ateinè di quei Pirronisti esagerati che non conoscono Di vinità e moralità nè vera nè probabile. Non si vuol qui tralasciare che la scuola pirronica o scettica, sia che fosse oscurata dalla modestia e serietà del l'Accademia, sia che la fama di negligenza , di stra nezza e di stolidità la mettesse a pubblico disprez zo , non ebbe accoglienza niuna tra i Romani; di forma che uncerto Enesidemo da Gnosso intorno all'età di Cicerone avendo tentato in Alessandria di sollevare dalla dimenticanza lo Scetticismo , e con questo intendimento avendo scritti più libri pirronici, che intitold a L. Tuberone uoino prima rio tra i Romani, nè gli sforzi dello scrittore nè l'autorità del Mecenate valsero a far leggere que libri e a persuadere amore per quella filosofia ( 1 ) . Donde si prende un nuovo argomento che Cicero ne, il quale raccolse tutti gli applausi di Roma, non potè essere Pirronista. Per questa descrizione della romana filosofia si conosce che tutto lo splendore di lei si restrinse alla età di Cicerone , e si rinnova . (1) E. Menagio in Laertium lib. IX , 62 e 116. J. Brucker De Phil. Rom . cap. I , S XXVIII. 336 CAPITOLO quella meraviglia come i grandi uomini appariseo no insieme ad un tratto , e poi sopravviene la bar barie che li prevenne. Prima di quei dotti uomini che vissero in compagnia di Ciceroneo poco prima, i Romani eran tutt'altro che filosofi. Dappoi dechino la filosofia , come la eloquenza e la latinità. Noi an cora siccome abbiam ricevuto , così possiamo tras mettere alla posterità gli esempi vicini e forse pre senti di queste subite mutazioni. CAPITOLO L. Digressione intorno alla Filosofia di Archimede. Prima che Cicerone, compiuta la sua questura partisse dalla Sicilia , aind di conoscere le rarità di quella isola , e visitò singolarmente Siracusa , città per gloria di armi e dilettere nobilissima. Quivi presso la porta Agrigentina tra i vepri e gli spineti vide una colonnetta , nella quale era la figura di una sfera e d'un cilindro , e per tai segni scoperse quello essere il sepolcro diArchimede , e mostran dolo ai Siracusani che l'ignoravano, molto si ral legrò che se un uomo Arpinate non avesse disco perto il monumento di quell' acutissimo cittadino , essi per avventura sarebbon rimasti al bujo ( 1 ) . Da questa narrazione prendiamo opportunità di ono rare Archimede Siracusano, il quale tuttochè av volto in un silenzio ingrato degli antichi e dei mo derni scrittori e in una negligenza che move lo sde gno , anche tra i pochi e dispersi frammenti appa . risce il maggiore di quanti matematici e meccanici avanzino nelle memorie di tutta l'antichità . Forse ( 1 ) Cicerone Tusc. Disp. lib . V, 23. CINQUANTESIMO 337 alcuni si meraviglieranno che noi disordinatamente prendiamo a scrivere di Archimede dopo Cicerone, che fiorì quasi due secoli dopo di lui . Ma sappiano cotesti autori cronologisti che non abbiamo finora trovato parte più opportuna ove allogare un uomo che non ebbe vaghezza di setta alcuna nè greca ne romana, e la ebbe piuttosto di essere filosofo da sè ; e poi sappiano che senza bisogno non vogliamo essere rigoristi in cronologia , e sappiano in fine che se è pur un errore trasportare la memoria di Ar chimede a dugento anni dappoi , io credo certo che sia errore molto più grande trasportarla nel vuoto, siccome gli Stoici della filosofia usaron finora. Nac que adunque questo divino ingegno, siccome Cice rone ( 1 ) lo nomina, intorno all'anno ccccLvII di Roma; e o ch'egli fosse della regia stirpe di Gerone re di Siracusa (2), o che fosse un umile omuncolo fatto chiaro dalla verga e dalla polvere , vuol dire dalla geometria (3) , o che fosse nudo di ricchezza e solamente pago di ben intendere i cieli e le ter re (4 ), non superbo e non depresso per niente di quelle varie fortune, cercò nella sapienza la nobiltà e la grandezza della sua sorte. Le matematiche pure e le applicate all'utile della patria e alla felicità della vita furono la sua cura perpetua. Nella mi sura delle grandezze curvilinee , argomento allora nuovo o poco famigliare agli anteriori matematici , aperse incognite strade e immaginò metodi fecon di, che appresso germogliarono ampiamente e fu rono i semi e , per testimonianza di Giovanni Wal lis, i fondamenti di tutte le invenzioni onde si vanta la nostra età. Sono già note le sue scoperte nelle ( 1 ) Tusc . Disp. I. (2) Plutarco in Marcello. (3) CiceroneTusc. Disp. V, 23. ( 4 ) Silio Italico de Bello Pun. lib. XIV, 343. BUONAPEDE. Ist. Filos. Vol . II . 22 338 CAPITOLO misure e nelle proporzioni della sfera e del cilin dro, di cui tanto si compiacque , che volle scolpite nel suo sepolcro quelle due figure come caratteri di singolar distinzione. Sono ancor note le sue spe culazioni intorno alla conoide e alla sferoide, e la quadratura della parabola , e le proprietà delle spi rali; e queste cose, onde si crede che molto si di latassero i confini dell'antica geoinetria, Archimede Irattò in libri che tuttavia esistono , quali sono , della Sfera e del Cilindro, della dimensionedel Cir colo, della Conoide e della Sferoide, del Tetra : 0 nismo, della Parabola, delle Linee spirali, a cui come opera teoretica si può aggiungere l'Arenario Ossia del Numero delle arene ; nel quale trattato , supponendo ancora che l'Universo ne fosse pieno, calcolo quel numero contro l'opinione di tali che lo riputavano infinito ( 1 ). Lode eguale e forse mag giore ottenne Archimede allorchè le astrazioni geo metriche condusse alla pubblica utilità ; e sebbene io non sappia indurmi a credere ch'egli fosse il creatore della meccanica ( 2 ) , mentre studiò pure in Egitto , ove ognun sa che la meccanica non potea esser negletta ; tuttavolta egli fu certamente assai benemerito di questa facoltà. Nei due celebri suoi libri che tuttavia esistono , l'uno intitolato degli Equiponderanti, e l'altro dei Galleggianti, ovvero delle cose che nuotano o che si traggono per li fluidi, egli stabilì i principj statici ed idrostatici, ai quali dicono che siamo debitori della presenteesten sione de' nostri scoprimenti; e aggiungono che Ar chimede istesso dando assai contrassegni di altis sima penetrazione in questo genere di studj , mo ( 1 ) V. Claudio Francesco de Chales in Cursu Math. tom. I , de Progressu Maibes.; Giammaria Mazzucchelli Notizie intorno ad Archimed ”, e Moniucla Ist. delle Malem. lib. IV. ( 2) Montucla l . c. CINQUANTESIMO 339 strò che avrebbe potuto pervenire a questa nostra estensione medesima, se non si fosse rivolto ad al tri pensieri ( 1 ) . Il re Gerone avendo affidata ad un artefice una massa di oro perchè lavorasse una co rona dedicata agl' Iddii, venne a sospetto che il buon artefice gli avesse fatto furto ; onde impose ad Archimede che studiasse di conoscere la verità . È fama che il matematico entrato nel bagno si avvide che quanto del corpo suo entrava nell'acqua, tanto ne usciva ; donde preso lo svoglimento della qui stione, uscì fuori tutto ignudo e correndo gridava per via expriua evprzo, ho trovato ho trovato ; e se condo questo esperimento immerse la corona in un vaso pieno di acqua; indi successivamente v'immerse due masse di egual peso, l'una di oro , l'altra di ar gento , ed esaminò quant'acqua spandessero i tre corpi, e quindi conobbe quello che investigava( 3). Ma questo metodo , quando pur fosse possibile , non è sembrato , e non è veramente degno della elevazione di Archimede ; nè egli per così poco sa rebbe fuggito via ignudo, nè Gerone avrebbe det to che dopo così gran prova tutto era da credersi ad Archimede. È dunque più verisimile e più de gno di lui, che avendo già egli nel suo Trattato de' Galleggianti stabilito questo principio : i corpi immersi in un fluido vi perdono tanto del proprio peso, quanto è un volume loro eguale del'fluido; di qui raccogliesse che l'oro siccome più compatto vi perda meno del suo peso e l'argento più , e un misto dell'uno e dell'altro in ragione del suo com ponimento. Bastava dunque pesare nell' aria e nel l'acqua la corona e le due masse di oro e di ar gento per ferinare quanto ciascuna perdeva del ( 1 ) Montucla l. c. (2 ) Vitruvio lib. IX , cap. 3. 340 CAPITOLO proprio peso , e dopo questi passi il problema non avea più difficoltà per un uomo come Archimede. Questo fecondo principio valse al valentuomo per la scoperta di molte verità idrostatiche, le quali po trebbono leggersi nel lodato suo libro, se a questi dì non fossero molto divulgate ( 1 ). Ben quaranta invenzioni meccaniche si onorano col nome di Ar chimede ( 2) ; ma solamente alcune vanno errando disperse negli scritti di antichi autori , e non fuor di ragione può credersi che secondo lo stile usitato molte si abbian volute render mirabili col prestito di un gran nome. Dicono di Archimede la chioc ciola , strumento ingegnosissimo e utilissimo, per cui usando la propensione medesima del grave alla caduta si produce la sua elevazione , e con tale or degno s'innalzano le acque ove bisogna, e si asciu gano le navi e le terre ( 3). Sono però alcuni che lo credon più antico di Archimede (4) . L'organo idraulico portò già il nome di Archimede (5) ; ma questo grato arnese benchè dia segno di musica perizia , è piuttosto un gioco dilettevole che un ri trovamento sublime. Laforza infinita e la moltipli cazione delle girelle furono poste fra le invenzioni di Archimede ; ma altri affermano, altri negano, ? niuno ha migliori argomenti. Dammi fuori di qui ove io fermi i piedi, e moverò dal suo luogo la terra , disse Archimede a Gerone. E veramente ap presso ai suoi principj si posson in teoria immagi nar macchine le quali rendano idonea una potenza minima a sollevare un peso inassimo ( 6 ). Nella pra ( 1 ) Vedi Mazzucchelli e Montucla II. cc . ( 2) Parpo lib. VIII. Pr. VI, prop. 10. (3 ) Diodoro lib. I et V. Ateneo lib . V. ( 4) V. Catrou e Roville Hist. Rom. tom . VIII. ( 5) Tertulliano De Animo. ( 6) Plutarco in Marcello : Dic ubi consistam ; caclum terramque movebo. CINQUANTESIMO 341 tica Archimedle volle dar segno a Gerone che avreb be saputo mettere ad effetto le sue promesse, e pri mieramente una grandissima nave tutta carica, la quale non potea moversi senza molta fatica e as sai numero di uomini, egli solo qutto e sedente, senza sforzo alcuno e coll' ordinario impulso della mano aggirando l'ordegno suo , mosse e guidd co me gli piacque; indi per comandamento del me desimo principe avendo disegnata e messa a per fezione una molto maggiore e inolto meravigliosa nave , nella quale oltre le parti usitate in siffatti la. vori, e tutte di estraordinaria sontuosità e grandez za , vi erano giardini e peschiere e cisterne e acque correnti e sale e bagni e fino una biblioteca, e poi vi sorgeano olto gran torri armate , e ai loro luo ghi erano baliste e mani ferrate e altri strumenti da guerra per gli assalti e per le difese , e di smo derato carico e di molto popolo era grave, Archi mede non ostante la enormità di tanta mole, che tutti i Siracusani insieme non valsero a smovere , fece per certo ingegno suo che il solo Gerone la traesse in mare ( 1). È stato detto che questi rac conti ridondino di gran favola, il che pud benesser vero; ma non penso che vi sia fondamento alcuno di affermarlo. Vedute queste meravigliose opere il Re Siracusano sapientemente avvisò di esercitare la stupenda fecondità di questo Genio tutelare di Si racusa, e lo pregò a comporre ogni genere di mi litari strumenti per riparo del regno e per offesa dell' inimico. Archimede, buon amico del suo Re e della sua patria, siccome i sapienti sono o debbono essere , ubbidì volentieri. Questi ritrovamenti bel lici furono inutili, mentre Gerone visse nella pace e nell'amicizia de' Romani. Ma lui morto , arse una ( 1 ) Plutarco in Marcello. Ateneo lib. V. 342 CAPITOLO guerra molto crudele, e Siracusa fu assediata dal console Marco Claudio Marcello, nobile capitano e rinomato per Viridomaro re de' Galli ucciso, e più per Annibale da lui sconfitto più volte. Egli con oste gravissima e con gran forza di navi e con macchine e con militari stratagemmi e con la fama di prode e felice soldato strinse e assalì Siracusa per terra e per mare. In tanta fierezza di arma mento i Siracusani furono presi da tacita paura e da terrore. Archimede solo non ismarrì, e vepne con le sue macchine a ricomporre i cuori dissipati de cittadini, e a sostenere la patria, e a mostrare a Marcello che un filosofo potea esser maggiore del Re de' Galli e di Annibale, e bilanciarsi con la forza e con la fortuna istessa di Roma. Per scienza e per avvedutezza di questo uomo le muraglie di Si racusa erano guernite di copia incredibile di bale stre, di catapulte e di altri macchinamenti per lan ciar dardi e palle e sassi di ogni grandezza, e da vi cino e da lontano, secondo tutti i bisogni. Vi erano ordegni che facendo cadere grossissime travi cari che di pesi immensi sopra le galee e le navi nimi che, le abissava subitamente nelle acque. Vi erano ancora certe mani di ferro con le quali si abbran cavano quelle navi e quelle galee e si levavano per aria, e poi si lasciavancadere tutte subito con som mersione e ruina , e altre volte si traevano a terra e si aggiravano e si stritolavano nelle rupi , su cui stavanle mura della città. Dietro queste mura, che in più luoghi erano pertugiate, stavano scorpioni tesi a cogliere i nemici, che per isfuggire dai lan ciamenti lontani si avvicinavano, onde non rima nea luogo sicuro dalle offese; e Marcello colpito da tutti i lati senza saper d'onde e come, usa va dire: Questo geometra Briareo sorpassa ben molto i Giganti centimani; tante sono le vibrazioni sue CINQUANTESIMO 343 contro di noi ( 1 ) . I Romani in terra e in mare erano anch'essi molto ben provveduti di macchine mi litari , e singolarmente sopra otto galee levavano certo congegno nominato per similitudine sambu ca , con cui agguagliavano le mura e poteano in trudersi nella citlà . Ma il Briareo Siracusano lanciò alcuni sassi gravi oltre a seicento libbre, e battute quelle sambuche, le rovesciò con grande strepito e danno ( 2) . In somma un solo vecchio geometra rendè Siracusa invincibile, e confuse il valore di Roma e il miglior capitano che ella avesse in que' giorni (3 ). Gli assalitori furono stretti a rimetter molto della loro baldanza e ridurre ad un lungo blocco quella tanta vivacità di assalti. Appresso non si parld più di Archimede, e Siracusa fu pre sa , e il suo invito difensore , quasi dimentico della patria e di sè stesso e ozioso nella pubblica ruina, si fece ammazzare per fatua ostinazione nel dise gno d' una figura di geometria. Io non so bene se sia troppa offesa di gravi narratori gettare tra le fa vole queste sconnessioni attribuite al più connesso uomodel mondo. Forse per liberare Archimede da cosiffatte inezie e quasi deserzioni nel maggiore bi sogno della patria , alcuni pensarono di riempiere questo vuoto col meraviglioso racconto dell'incen dio delle navi di Marcello con gli specchi ustorj. Un medico riputato grande (4) , un istorico medio cre (5) e un picciol poeta (6) furono i divulgatori di quel famoso incendio. Ma la tenue autorità di cosiffatti uomini non vale per niente a fronte del (1 ) T. Livio lib . XXIV. Polibio Excerp. lib. VIII, 5. Plutarco ) . c. V. il cav. Folard nel suo Commento sopra Polibio. ( 2) Polibio e Plutarco II . cc. (3) Cicerone De Fin. V. Livio lib. XXV, 31 ; e altri . ( 4 ) Galeno De Teinp lib . III , cap. 2. ( 5) Zonara tom . I , lib. IX . ( 6 ) Tzetze Hist. XXXV, chil. II. 344 CAPITOLO sana , silenzio di Livio , di Polibio e di Plutarco, i quali diligentemente avendo scritto della guerra siracu non avrebbono mai taciuto unavvenimento tanto stupendo, e insieme di tanto ammaestramento nell'arte della guerra, così nel guardarsi da quegli specchi incendiari, come per usarne contro i nimi ci; e certo io credo che se quel terribil metodo fosse stato veramente messo ad effetto, non sareb bono mancati imitatori , e l'armata navale di Mar cello non sarebbe stata la sola incendiata . Noi me. desimi , studiosissimi quanto altri di spopolare il mondo con le militari invenzioni , non avremmo, io credo, all'economico e facile artifizio di Archimede anteposti altri dispendiosi e incomodi metodi. Molti veramente hanno studiato assai nella catottrica per trovar modo di suscitare quel funesto esperimento, e alcuni son giunti a provare che certo con un solo specchio di convessità continua o sferica o parabo lica non era possibile quell' incendio in tanta di stanza, ma era ben possibile con molti specchi pia ni ; e tra altri in questi ultimi giorni il Buffon com pose uno specchio formato diquattrocento specchi così disposti, che tutti riflettevano i raggi ad un punto comune; e questo adunamento nella distanza di centoquaranta piedi liquefaceva il piombo e lo stagno in corto tempo, e in distanza maggiore in ceneriva il legno , il che parve che mostrasse pos sibile il metodo di Archimede ( 1 ) : ciò non ostante queste pratiche per ostacoli non superabili giaccion neglette, e le nostre armate navali si distruggono a vicenda con altro, che con raggi di sole. Non è le cito partire dalla istoria di Archimede senza dire alcuna cosa de' suoi studj astronomici, e di quella (1) A.Kircker Ars magna lucis et umbrae lib. X , P. III. Buf fon Mém. de l'Acad . 1948. V. Montucla I. c. CINQUANTESIMO 345 t 1 tanto celebre sfera e tanto lodata dai poeti, dagli oratori, dagli stoici e , ciò che più vale, dai filo sofi ( 1 ). Era questa una macchina o di rame o di bronzo o di vetro , la quale o a forza di aria o di acqua , o di ruote e di molle e di pesi o di forza magnetica, o di altri ingegni movendosi, esprimeva tutti i rivolgimenti e i fenomeni celesti, senza eccet tuarne finanche i tuoni e i fulmini (2); e secondo alcuni rappresentava questi movimenti secondo il sistema Copernicano ( 3). Le quali cose , se sono vere , come possono essere , attese le altre grandi opere di quest'uomo, e massiinamente perchè egli si compiacque assai di questo lavoro e di lui solo volle lasciar memoria alla posterità con un libro intitolato Spheropeia, che si è poi smarrito, pos siamo raccogliere con nuovo argomento, se altri pur ne mancassero, che nelle scienze più utili l'an tichità davvero ne sapea almen quanto noi( 4 ). Mol. te edizioni furono promulgate delle opere di Archi mede, e illustri uomini o in tutto o in parte le ador narono con somma diligenza , fra i quali si distin sero assai Gianalfonso Borelli, Giovanni Wallis, Isacco Barow , Andrea Tacquet e Evangelista Tor ricelli (5 ). Oltre le pubblicate vi è memoria di al tre scritture di Archimede, che si dicono ascose in qualche biblioteca , come della Frazione del cir colo, della Prospettiva e degli Elementi di Mate matica ; o perdute affatto, come de' Numeri, della Meccanica, degli Specchi comburenti, della Nave ( 1 ) Ovidio Fast. II e VI. Claudiano Epigr. Cicerone De Nat. Deor. II ; Tusc . I. Sesto Empirico con. Math. VIII. Lattanzio lib. II, 5. Franc. Giunio Cath .'Archit. mechan. ec. Cardano, Vos. sio , Kircker, e altri molti. (2) V. G. Mazzucchelli I. c. ( 3) Girolamo Cardano De Subtilitate lib. XVII. Pappo in Prooemi. lib. VIII. ( 5) v . G.A. Fabrizio Bibl. Graec. vol. II. G. Mazzucchelli 1. c . 346 CAPITOLO di Gerone , della Archiettura, degli Elementi Co nici, delle Osservazioni celesti ( 1 ). E nel proposito di questa ultima opera è bene ricordarci che Ma crobio accenna certo metodo con cui Archimede pensò di avere misurate le distanze della terra dai pianeti e dalle stelle, e di queste di quelli fra loro. Ma qual fosse quel metodo non è scritto, che sa rebbe molto grato a sapersi. — In questa breve, ma non iscorretta nè vana immagine degli studj di Ar chimede noi vediam un uom serio , che non dise gna sistemi sul vuoto e non fa calcoli inutili , e non va sempre oltre senza saper dove vada ; ma che studia le forze e gli effetti della natura, e trascura l'ignoto e si ferma sul certo , e di questo usa per utilità de' suoi cittadini e per accrescimento della pubblica felicità. Invitiamo a rallegrarsi quei filo sofi e quei matematici che somiglian questo grande esemplare. E preghiamo a correggersi quegli altri che pensano sempre e non operan mai , e mentre divagano per sentieri che non riescono a fine al cuno, e mentre ostentano linguaggi che il più de gli uomini e talvolta essi medesimi non intendono, non sanno poi levare un peso di alquante libbre,o tenere un po' d'acqua disordinata senza impoverir le famiglie e le città, e senza amplificare i mali con la perversità de' rimedj. CAPITOLO LI. Della Filosofia del regno di Augusto. Dopo la battaglia di Azzio C. Cesare Ottaviano Augusto divenuto re senza prenderne il nome, chiuse ( 1) Fu stamprlo un libro da Giovanni Gogava degli Specchi Ustorj, da lui tradotto dall'arabo , e un altro intitolato Lemma ta ; ma non sono estimati degni di Archimede. - Montucla e Mazzucchelli II. cc. CINQUANTESIMOPRIMO 347 il tempio di Giano e arò la pace e le lettere. La sua età ebbe ed ha tuttavia la lode del più collo e più letterato tempo di Roma; al qual vanto io so certo che Lucullo e Attico e Cicerone repugnerebbono , e non so come non repugniamo noi stessi. Impe rocchè gli è ben vero chenon solamente Roma era già assuefatta alla filosofia e non potea divezzarsi così d'improvviso, e che Augusto anch'egli secondo la consuetudine romana fu amico de filosofi ed en trò vincitore in Alessandria tenendo per la mano il filosofo Areo, per cui amore non distrusse quella città, e poi ebbe assai caro Atenodoro di Tarso e lo ascolid attentamente ( 1 ) , e quindi avvenne che la filosofia seguì a coltivarsi nella nuova' domina zione, e per costume e per desiderio di applauso e per cortigianeria fiorirono a quei di molti uomini sapienti: tutta volta io non so vedere in quella età i gran simulacri che si videro nel fine della repub blica, e vedo anzi che come tutti i costumi ro mani , così anche la filosofia piegò a mollezza , e quindii poeti assunser la toga filosofica e otten nero gli applausi maggiori , a tal che la istoria let teraria della età di Augusto sarebbe assai tenue senza questi poeti, de' quali adunque sarà mestieri scrivere in primo e quasiin unico luogo. Publio Virgilio Marone, nato nel contado man tovano, con estraordinario ingegno poetico studiò di piacere ad Augusto e a Roma; e conoscendo che a riuscire nel suo desiderio era mestieri condire le sue poesie con dottrine filosofiche , così fece, e salì alla gloria di Bucolico e di Georgico eguale ai Greci, e di Epico secondo alcuni riguardi mag giore di Omero ( 2) , e quello che è ora nel nostro ( 1 ) Svetonio in Augusto et Claudio. Plutarco in Antonio. Se neca Cons. ad Helviam . Luciano in Macrob. Zosimo lib. I, cap. 6. (2) A. Baillet Jug. des Scayans t . IV, des Poét. Lat. 348 CAPITOLO proposito ,di poeta filosofo. Mainvestigandosi poi di quale filosofia si dilettasse , insorser varie sen tenze. Alcuni lodissero Epicureo, perchè ascolto Si rone maestro di quella scuola, e perchè un tratto racconto che l'orto Cecropio spirante aure soavi di fiorente sapienza lo cingea con la verde ombra (1); e altrove condusse Sileno briaco a cantare come nel gran vuoto si adunassero i semi delle terre, dell'aria, del mare e del fuoco (2) ; e in altri versi nomninò felice colui che potè conoscere le cagioni delle cose , e calpestò tutti i timori e il Fato ine sorabile e lo strepito dellavaro Acheronte (3) : nelle quali parole l'Epicureismo parve evidente ad al cuni; mentre ad altri l'orto Cecropio e il peda gogo di Bacco e i semi nel vuoto parvero equivoci e scherzi di poesia , e il Fato e l'Acheronte calpe stati e comuni ad altre filosofie non sembrarono argomenti di Epicureismo; massimamente perchè nello stesso tenore di canto il poeta disse anche felice colui che conosce gl’iddii agresti Pane e il vecchio Silvano e le Ninfe sorelle (4) , che di vero non erano cose epicuree. Per queste difficoltà fu soggiunto che Virgilio potea esser Platonico là dove insegnò il compimentodella età vaticinata dalla Si billa Cumana, e il grande ordine de' secoli , e i mesi dell'anno grande di Platone , e il ritorno di Astrea e di Saturno e degli aurei giorni (5) ; il quale mescolainento io non credo certo che Platone po tesse mai riconoscer per suo. Si abbandonò adun ( 1 ) Virgilio Ceiris. Servio in Ecl. VI. P. Gassendo De vila Epi. curi lib . I , cap. 6. G. A. Fabrizio Bibl. Graec. vol. II , et Bibl. Lat. lib. I , cap . 4 , S 4 . ( 2) Virgilio Ecl.VÍ, 31 . ( 3 ) Georgic. II , 490. ( 4) Georg. ivi , 493. (5) Ecl. IV, 5. V. Servio in h . I.; Paganino Gaudenzio De Phil. Rom . cap. 174 ; J. Brucker De Phil. sub Imp. $ II. CINQUANTESIMOPRIMO 349 que questo pensiere, e fu estimato che Virgilio era stoico, perchè narrò che vedute le ingegnose opere delle api, alcuni aveano detto esservi parte della mente divina in esse , e Dio scorrere per tutte le terre e per li tratti del mare è per lo cielo pro fondo , e dar vita a tutti i nascenti, e tutti a lui ritornare e risolversi in lui , e non esser luogo d morte, e tutti vivere nel numero delle stelle e nel l'alto cielo ( 1 ) . Ma se Virgilio ci narra che altri di ceano queste sentenze , non le dicea dunque egli stesso. Anche nel sesto libro della Eneide, che è il più magnifico e più profondo di tutto il poema, Virgilio conduce Anchise a filosofare della origine e natura del mondo e degli uomini ; e questa tro jana filosofia senzamolti discernimenti fu messa a conto del poeta. Uno spirito dice il Trojano, in ternamente alimenta il cielo, le terre , i mari e la luna e le stelle, e una mente infusa per le mem bra agita tutta la mole, e al gran corpo si mesce. Quindi scaturiscon tutti i viventi , in cui è ignea forza e origine celeste, per quanto i nocenti corpi non li ritardano , e le terrene e mortali membra non gli affievoliscono; onde avviene che desiderano e temono e godono e si dolgono, e non mirano al l'alto, chiusi datenebre e in carcere oscuro. Dopo la morte soffrono i supplicj degli antichi peccati: indi son ricevuti nell'ampio Eliso,finchè per lungo tempo si tolgan le macchie, e ritorni puro l'etereo senso e il fuoco del semplice spirito. Compiuto il giro di mille anni, un İddio convocava gli animi in grandeschiera al fiume Leteo , perchè dimen tiche rivedano il cielo, e comincino a desiderare i ritornamenti ne' corpi ( 2) . Così parld Anchise, e ( 1 ) Georg. IV, 220. ( 2) Æneid. lib. VI, 719. 350 CAPITOLO Virgilio fu accusato di Ateismo stoico da uomini cheinsegnando sempre a non precipitare i giudi zj , li precipitarono essi medesimimolto più spesso che non può credersi (1). Ma primieramente l'A teismo stoico è una falsa supposizione, siccome ab biarno veduto in suo luogo ; e poi le parole spirito e mente she è infusa e che alimenta le cose, e il foco e l'etereo senso sebben possano avere sentenza stoica , la possono anche avere di altre scuole che fecero uso di simili formule. Inoltre quelle parole sono miste agli Elisi e al fiume della Oblivione, e al millesimo Anno, e all'Iddio evocatore degli animi smemorati, ma immortali a rigore; le quali giunte non sono stoiche per niente. E in fine siccome Vir gilio apertamente ammonì , le antecedenti parole della Georgica, che parvero stoiche, essere dial tri; così dovrà dirsi in queste della Eneide, quando egli ancora non lo dicesse. Ma disse pure che eran di Anchise, il quale qualunque uomo si fosse, e fosse ancora una favola, certamente non era Virgilio. Dopo queste considerazioni, io molto mi sdegno che uo mini non vulgari citino tutto giorno questidue passi come una tessera dell'Ateismo stoico e dello Spi nozismo , e mi sdegno ancor più che si producano come un argomento della empietà di Virgilio. Non essendo adunque plausibile questa attribuzione, fu immaginato da altri che Virgilio amasse il Pitago rismo, e da altri , che molto sanamente sentisse delle cose divine; il che io non saprei come potesse pro varsi ( 2 ). Ma un autor celebre prese a mostrare che lo scopo di quell' incomparabile sesto libro della ( 1 ) R. Simon Bibl . crit. P. Bayle Cont. des Pensécs sur les Co mètes. G.G. Leibnitz Théodicée disc. prél. G. Gundling. Gun dliogiao. P. XLIV, S 8. J. Brucker L. c . (2) Lattanzio lib. 1.5.R. Cudwort System . intell. cap . IV , S 19 ; Cap. V , sect. IV, S 29. CINQUANTESIMOPRIMO 351 Eneide era la dipintura simbolica del sistema de misterj Eleusini e della unità di Dio, e de' premj e delle pene nella vita avvenire(1).A persuaderci di questo nuovo pensamento il valente autore con molto studiati riscontri d'antichità e con bell'appa rato di dottrine incomincia ad insegnarci che la Eneide non è già una favola inutile da raccontarsi ai fanciulli o da rappresentarsi agli oziosi nelle lun ghe sere d'inverno, ma è un sistema di politica e di morale e di legislazione, per cui si vuol dilet tarc e istruire Augusto che è l'Enea e l'eroe del poema, e insieme tutto il mondo romano , e anche il genere umano intero. Per la qual cosa il poeta assumendo il carattere di maestro in Etica e di le gislatore, usa i vaticini e i prodigi per contestazione della Provvidenza , e introduce ilsuo eroe intento ai sacrifici e agli altari e portatore degl' Iddii nel Lazio , e pieno di tanta religione , che a taluno , cui piaceva di averne meno, sembrò che Enea fosse più idoneo a fondareunmonastero,che un regno ( 2) . L'amicizia, l'umanità e le altre virtù sociali entrano nel sistema di legislazione , e la Eneide n'è piena. Vi entrano ancora i premj e le pene dopo la morte, e il poeta ne fa amplissime narrazioni. Orfeo , Er cole,Teseo celebri legislatori furono iniziati nei mi steri , e le loro iniziazioni si espressero simbolica mente con le discese loro all'inferno. Cosi Enea le gislatore del Lazio si fa discendere all' inferno per significare la sua iniziazione negli arcani Eleusini, ne' quali è noto che Augusto ancora era iniziato. E veramente è grande la similitudine Ira le ceri monie eleusine ei riti della discesa di Enea all in ferno. Il Mistagogo o Gerofanta , ora maschio , ora ( 1 ) Warburlou Diss. de l'Initiation aux mystères. (2) S. Euremond presso il Warburton. 352 CAPITOLO femmina, era il condottiere de proseliti, e la Si billa è la guida di Enea. Proserpina era la Deità de' misterj, ed è la reina dell' inferno Virgiliano ; negl'iniziati si volea l'entusiasmo , e in Enea lo vuol la Sibilla. Nel ramo d'oro sono figurati i rami di mirto dorati, che gl'iniziati portavano e di cui si tessevan corone. L antro , l'oscurità , le visioni, i mostri , gli ululati, le formole Procul esto, profa ni, si trovan comuni ai misterj e alla Eneide, come sono ancora comuni il Purgatorio , il Tartaro e gli Elisi e le esecrazioni contro gli uccisori di sè me desimi , contro gli Atei e contro altri malvagi . Di cendo queste ineffabili cose, Virgilio domandaprima la permission degl' Iddii : E voi, egli dice , Numi dominatori degli animi, e voi tacite Ombre,e tu Caos, e tu Flegetonte, luoghi ampiamente taciturni per tenebre, concedete ch'io parli le cose ascoltate, e col favor vostro divulghigli arcani sommersi sotto la profonda terra e la caliginc ( 1 ) . Questa preghiera dovea ben farsi da chi sapea gli spaventosi divieti che gl'iniziati sofferivano di non divulgar mai la tremenda religion dell'arcano. Da quesli, che erano i piccioli misterj, passa Virgilio ai grandi significati nella beatitudine degli Elisi. Enea si lava con pura acqua , che era il rito degl' iniziati , allorché dai piccioli erano elevati ai grandi misterj. Fatta la lu strazione, il pio Trojano e l'antica sacerdotessa pas sano ai luoghi dell'allegrezza , e alle amene ver dure dei boschi fortunati e alle sedi beate , ove i campi dal largoaere sono vestiti di purpureo lilme, e conoscono il loro sole e le loro stelle. I legisla tori, i buoni cittadini, i sacerdoti casti , gl’inven tori delle arti, e tutti que' prodi che ricordevoli di sè stessi fecero con le opere egregie che altri si ri ( 1 ) Æncid . VI, 264. CINQUANTESIMOPRIMO 353 cordasser di loro, quivi coronati di candida benda soggiornano ( 1 ). Queste immagini erano mostrate ne' grandi misteri, come qui negli Elisi. Adunque le pene e i premj della vita futura erano ! argo inento della istituzione Eleusinia e del sesto canto di Virgilio. Finalmente la confutazione del Poli teismo e la unità di Dio era figurata nello spirito interno alimentatore, e nella mente infusa alle mem bra di tutta la mole, di che i nostri pii metafisici agguzzaron tanti commenti. Così disse il dotto Inglese, a cui rendiamo onor grande per la erudi zione e per l'ingegno , e mediocre per la rigorosa verità . Ma comechè non consentiam seco in tutta la serie de' confronti, non sappiam discordare che in quel libro diVirgilio e in tutto il suo poema non sieno palesi gl'insegnamenti delle sociali virtù , de' premj e delle pene future, e talvolta non apparisca alcun indizio di sublime dottrina nel sommo argo mento dell' unica Divinità. Ora per la varietà di queste sentenze intorno alla filosofia di Virgilio , e perchè già sappiamo che i begli spiriti e gli ora tori di Roma nel torno di questa età trovavano as sai comoda quella filosofia, nella quale era usanza prendere da tutte le scuole il verisimile e l'accon cio alle opportunità, e non si metteano a colpa oggi essere Stoici e domane Epicurei , e talvolta l'uno e l'altro insieme nel medesimo giorno ; perciò noi portiamo sentenza che ancora i poeti ( lasciando stare quegli che strettamente cantarono alcuna par ticolare filosofia , come Lucrezio e forse Manilio ) usarono le mode istesse de' begli spiriti e degli ora tori ; e servendo alla scena e al gusto dominante e al comodo, e volendo piacere al genio superficiale di Augusto e della sua corte , filosofarono alla gior ( 1 ) Encid. VI, 630. BUONAFEDE. Ist . Filos, Vol. ll . 23 354 CAPITOLO nata e misero nei loro poémi quella filosofia che l'argomento e il diletto chiedeano , pronti a met terne: un'altra in bisogno diverso. Se noi vorremo domandare ai nostri poeti , come trattino la filoso fia nei loro componimenti, risponderanno che gli aspergono di Stoicismo quando parlano ai nostri Catoni, di Epicureismo quando lusingano i dame rini e le fanciulle, di Platonismo quando adulano le pinzochere , senza però giurare nelle parole di quelle scuole , anzi senza aver mai conosciuto a fondo i loro sistemi. A tale guisa io ho per fermo che poetasse Virgilio, e gli altri poeti della età di Angusto. Questo genere d' uomini fu sempre uso a fingere molto e a dir quello che accomoda e piace, piuttosto che quello che sentono. Quanto alla mo rale di Virgilio, tuttochè sia stata da alcuni solle vata a grandi altezze ( 1 ), e sia veramente superiore assai alle dissolutezze degli altri poeti di quella età, si vede in essa talvolta questo genio di scena e di comodo poetico e di pubblico diletto. Non dispia ceano a Roma le vittime umane ; piaceano assai gli amori , e sommamente le conquiste e il sangue de' nemici. Quindi egli conduce il suo eroe, chedicono essere il maestro della morale virgiliana , ad inmo lare i prigionieri , a sedurre e tradire Didone , ad uccider Turno supplichevole, a turbare e conqui star le altrui terre; e allorchè prese a lodare M. Clau dio Marcello figlio di Ottavia sorella di Augusto, tutta quella amplissima laudazione che fece pian gere il zio e svenire la madre e che arricchì il poe ta, si rivolse finalmente nella cavalleresca e guer riera virtù ( 2) a cui non so se la filosofia non af ( 1 ) Lodovico Tommasini Méthode d'étudier chrétiennem. les Poéles. R. le Bossu Du Poéme Épique ch. IX. ( 2 ) Du Hainel Diss. sur les Poésies de Brebeuf.Jacopo Peletier Ari Puélique V. A. Baillet Jug. des Savans. Des Poétes Lalios. CINQUANTESIMOPRIMO 355 fatto cortigiana vorrà senza molte restrizioni con cedere questo bel nome.Si potrebbono amplificar molto le querele filosofiche; ma in tanta copia di ornamenti e di lodi è giusto usar moderazione ue? biasimi (1 ) Q. Orazio Flacco Venosino, amico intimo e am miratore di Virgilio , fu non meno di lui ornamento sommo della età di Augusto. Parve che questi due incomparabili ingegni dividesser fra loro il regno poetico, e fedelmente si contenessero nei limiti sta biliti , e l'uno non entrasse mai nella provincia del l'altro. Orazio adunque ceduta la poesia bucolica , georgica ed epica a Virgilio , assunse la satirica, la epistolare e la lirica ; e cosi' i due amici potendo essere sommi in tutti questi generi, amarono me glio esserlo in generi diversi senza emulazione e senza invidia. Questi, che posson dirsi i Duumviri della poesia latina , ebbero , siccome in parte si è veduto , campi amplissimni ove seminare le filosofi che doltrine. Ma Orazio , per lo genio spezialmente della satira e della epistola , gli ebbe anche mag giori, ed egli usò di questo comodo assai diligen temente per piacere ad Augusto , a Mecenate e a sè stesso , e alla età sua e alla seguente posterità. Dappriina educato nelle lettere romane, visitare Atene. Mi avvenne , egli dice , di essere nu drito a Roma, e quiviimparare quanto nocesse ai Greci l'ira –Achille. La buona Atene mi condusse ad arte migliore, e a discernere il diritto dal torto, e a cercare il vero nelle selve di Accademo. Ma i duri tempi mi rimosser dal dolce luogo , e il ca lore della guerra civile mi spinse a quelle arme che non furono eguali alle forze di Augusto. Umile par tü da Filippi con le penne recise e privo della casa volle poi ( 1 ) Encicl. VI. 356 CAPITOLO furono ag e del fondo paterno : l'audace povertà mi strinse a far versi ( 1 ). E altrove non ha ribrezzo di raccon tare che nella sconfitta Filippica militando nelle parti diBruto , fuggi e gettò lo scudo ( a). Così mal concio venne a Roma, e nato ad altro che a spar gere il sangue degli uomini e il suo, divenne poeta, ed ebbe parte non infima nell' amicizia di Mecenate e di Augusto, dai quali ottenne soccorsi alla sua povertà. Da queste avventure fu raccolto che Ora zio erudito nelle selve di Accademo era dunque Ac cademico. Ma questo sembrando poco, giunte quelle altre parole di Orazio : La sapienza è il principio e il fonte dello scrivere rettamente, e le carte socratiche possono dimostrarlo (3) . Ove si vede l'amor suo grande alle dubitazioni di So crate, che forse somigliavano quelle di Arcesila e di Carneade. In una bellissima epistola a Mecenate, la quale è certo scritta nella vecchia età di Orazió o nella prossima alla vecchiaja, lo sciolgo per ten po , egli dice , il cavallo che invecchia , acciò non faccia rider le genti ansando e cadendo nella fine del corso . Depongo i versi e gli altri sollazzi. Le mie cure e le mie preghiere si rivolgono al vero e all onesto.Adunoe compongo dottrine per usarle in buon tempo. E perchè niun mi domandi a quale guida e a quale albergo miattenga, io, non istretto a giurare nelle parole di alcun maestro, vado ove mi menano i venti. Ora sono agile e m'immerso negli affari civili,ora custode e seguace rigido della vera virtù , ora furtivamente scorro ne' precetti di Aristippo, e le cose a me sottopongo , e non voglio io essere sottoposto alle cose (4). Ove non oscura ( 1 ) Orazio Epist. I. II , 2 . (2 ) Carm . lib. II , Ode VII. ( 3) De Arte Poet. ( 4 ) Ep. lib. I , ! . CINQUANTESIMOPRIMO 357 diente si vedono i pensamenti d' un uomo che pren de secondo le occasioni quello che più gli torna a piacere dalle sette diverse. Fu aggiunto ch'egli acre mente derise gli Stoici in più luoghi ( 1 ) , il che era secondo il costume accademico ; e che secondo il medesimo uso affermò e negò le istesse dottrine sen za eccezione delle più solenni, come la esistenza degl' Iddii , i prodigj, le cose del mondo avvenire, la provvidenza, il fine dell' uomo; donde non sola mente dedussero le idee accademiche di Orazio, ma ancora il suo pirronismo. A queste osservazioni se vorremo sopraggiungere il genio del secolo e il co. modo dell'Accadernia, e quel di più che abbiam detto della filosofia di Virgilio , non sembrerà in giusto consentire alle accademiche propensioni di Orazio ; non mai perd ad un pirronismo esagerato, di cui non possiamo avere alcun fondamento ; anzi lo avremo in opposito guardando a tante risolute sentenze sue , e all'abborrimento di tutti i più dotti Romani contro quella estremità ; e non ha similitu dine di vero che un uom tanto destro ed elegante volesse esporsi al disprezzo di tutta Roma senza proposito alcuno. Ma comechè le cose ragionate fin qui sembrino bene congiunte a verità, alcuni pur sono che vorrebbono Orazio epicureo ( 2). Raccolse le altrui ragioni e aggiunse le sue per convincerlo di Epicureismo teoretico e pratico Francesco Al garotti in un suo Saggio della vita di quel poeta. Insegna egli adunque che molti sono i luoghi epi curei ne' versi di Orazio, perciocchè scrisse in una sua satira di certo strano prodigio che potea ben crederlo un Giudeo circonciso, non egli, perchè avea ( 1 ) Satyr. lib. I , 3 ; 11 , 3. (2) P. Gassendo De Vita Epicuri lib .II, cap. 6.G.A. Fabrizio Bibl. Lat. lib. I, cap. 4. Reimanuo Hist . Alh. cap. 37. Stollio Hist . Pbil. mor. Geni . J. Brucker I. e. S III . 358 CAPITOLO porco del apparato che gl' Iddii menan giorni sicuri e non mandan gid essi dall'alto tetto del cielo le meravi. glie della natura ( 1 ) . E in una epistola a Tibullo : Come tu vorrai ridere , guarila me pingue e nitido gregge epicurco (2) . Ma se queste ed al tre parole epicuree vagliono a fare Orazio epicu reo , varranno adunque le stoiche, le peripatetiche, le socratiche, le platoniche, lequali sono pur molte ne' suoi versi, a renderlo scolare di quegli uomini ; e queste varietà non potendo comporsi in uno senza che egli fosse Accademico , o se vogliamo Eclettico a buona maniera , adunque io non so altro dedurre salvochè quello che dianzi abbiamo riputato simile al vero. Oltre a questo abbiam poi una molto so lenne abiurazione dell'Epicureismo in una sua ode, che è di questa sentenza: Già scarso e rado ado rator degl' Iddii, erudito in sapienza insana errai; ora mi è forza ritornare indietro. Vedo Iddio che gli umili cangia coi sommi, e attenua il grande, e mette a luce l'oscuro , e gode toglier l'altezza di colà e qui collocarla (3 ). E abbiano ancora un an tiepicureismo in quelle sue magnifiche parole: lo non morrò intero , e la massima parte di me evi terà la morte (4). La maggior forza però è , siegue a dire il valente Algarotti, che si vede la conformità grande tra i precetti di Épicuro e le massime e le pratiche di Orazio. L'uno e l'altro predicarono che de' pubblici affari non dee inframmettersi il sapien te, che ha da abborrire le laidezze dei Cinici, efug. gire la povertà e lasciare con qualche opera din gegno memoria dopo sè, e non farmostra delle cose suc , e dover essere amatore della campagna, e non ( 1 ) Satyr. lib . 1,5. ( 2) Epist. lib. I , 4 . ( 3) Od. lib. I , 34. ( 4) Od. lib. III, 30. CINQUANTESIMOPRIMO 359 1 tenere uguali le peccata , e amare la filosofia, e non temere la morte e non darsi pensiere della sepol tura ( 1 ) . Ma , secondochè io estimo, questa forma di argomentazione è cosi burlevole, come sarebbe quell altra , che Orazio fosse epicureo perchè avea il naso e gli occhi come avea Epicuro ; senza dir poi che questo discorso medesimo potrebbe abu sarsi per intrudere Orazio in qualunque scuola; per chè nel vero molti altri maestri erano in Grecia e fuori, che insegnavano doversi fuggire i pubblici affari e le lordure ciniche e la povertà , e amare la campagna e il piacere e la utilità, e non brigarsi della morte e del sepolcro. Adunque non pud es ser provato che Orazio fosse epicureo, perchè disse molte parole o usate dagli Epicurei insieme con al tri, o anche rigorosamente epicuree, nella guisa che non può provarsi che fosse stoico o peripatetico , perchè disse molte sentenze prese dal Peripato é dal Portico ; e ritorna quello che di sopra fu detto, questa indifferenza per tutte le scuole e quest'uso appunto di ogni placito che torni a comodo, pro vare solamente la filosofia accademica di Orazio. Trar poi le frasi oscene ei costumi dissoluti di Ora zio a prova di Epicureismo , con pace di chiunque io dico che questa diduzione non è consentanea al vero sistema epicureo , nè all'umano. Abbiam già veduto altrove che il legittimo orto epicureo non era quella terra immonda che alcuni si finsero , e possiamo veder facilmente che , riunpetto a molte oscenità sentenziose di Orazio , moltissime parole sue sono gravi, austere e diritte per narrazione dei contraddittori medesimi (2). E vediamo tutto dì che (1) Laerzio in Epicuro. Orazio Epist. lib. I , 1 , 10 , 17; lib. II, 2. Salyr. lib. II , 4. Od. lib. III , 20 , 30 , e altrove. ( 2) F. Algarolii Saggio sopra Orazio. V. Francesco Blondel Comp.dePindare et d'Horace. L. Tominasini Mélode d'étudier ec. A. Baillet I. c. 360 CAPITOLO se la depravazione delle parole e de' costumi fosse argomento di Epicureismo, oggimai sarebbe epicu. rea tutta la terra. Stabiliamo per compimento di questo esame, che se vorremo da tutti gli scherzi canori de' poeti raccogliere inconsideratamente i si stemi e le vite loro, comporremo piuttosto poemi che istorie. Spargiamo dunque fiori, non spine, so pra il sepolcro del più filosofo di tutti i poeti. P. Ovidio Nasone Sulmonese fiori alquanti anni dopo Orazio , nella età anch' egli di Augusto ; al quale comunquepotesse piacere per la fecondità e per la vivezza , dispiacque per la lascivia de' versi, o piuttosto, siccome alcuni pensarono e come Ovi dio medesimo disse , per aver veduto imprudente mente una certa colpa che volle tacere , e si para gond ad Atteone che fu preda a' suoi cani , percioc chè vide senza pensarvi Diana ignuda ( 1 ) ; e questa Diana parve a taluno Giulia sorpresa nelle brac cia di Augusto suo padre ( 2) , e altri indovinarono altri arcani di oscenità. Ma è molto più giusto ta cere ove tacque Ovidio medesimo, tuttochè punito ed esigliato alle rive dell'Eusino fosse pienissimo d'i ra, che fa parlare pur tanto la generazione irrita bile de' poeti. Questo ingegno, nato per la poesia , amoreggio, e pianse in versi, e fu antiquario , e se gretario degli eroi e delle eroine anche in versi , e disse le mutazioni delleforme in nuovi corpi dalla origine del mondo fino a' suoi tempi ; e sempre in versi, perchè s'egli prendea a scriver prose, usci vano versi spontanei suo malgrado. Nel molto nu mero de' suoi poemi il più reputato per serietà e per certo condimento filosofico è quello che ha per titolo le Metamorfosi ; delle quali benchè sia stato ( 1 ) Ovidio De Ponto lib. II , el . IX; lib . III el. III. Tristium II et lll , e altrove. (2) V. P. Bayle art. Ovide, B , K. CINQUANTESIMOPRIMO 361 detto che sentono la decadenza della buona Lati nità e preparano il mal gusto che poi sopravven ne , e mostrano il fasto giovanile ( 1 ) , noi pensiamo di poter dire che sono certamente menogiovenili delle altre poesie di Ovidio , e ch' egli medesimo, il qualepotea giudicarne quanto i nostri critici dili cati, le tenne in gran conto, e poichè l' ebbe com piute , Io, disse , ho tratta a fine un'opera che nè l'ira di Giove, nè il fuoco , nè il ferro , nè la vo race vecchiaja potrà abolire. Quel giorno che sul corpo solamente ha diritto, metta amorte quando vorrà lo spazio diquesta vita incerta. Con la parte migliore di me volerò sopra le stelle, e il nome no stro sarà indelebile. Dovunque la romanapotenza nelle terre vinte si estende , sarò letto dalla bocca del popolo ; e se niente hanno di vero i presagi de' vati, viverò per fama nella eternità de' secoli ( 2). Senza involgerci ora nell' esame delle virtù poeti che diquesto componimento, o epico o ciclico ch'ei voglia dirsi, o di una azione o di mille , o contra rio ad Omero e ad Aristotele , o favorevole ai poe tici libertinaggi, di che gli scrittori dell'arte sapran no disputare;noi diremo piuttosto della meraviglia grande che questo poema eccitò con le narrazioni di tanti mutamenti di forme, i quali non si seppe mai bene che cosa significassero. Chi dicesse che questi sono delirj d'un poeta infermo per febbre, direbbe forse lo scioglimento più facile della qui stione , ma non il più verisimile, nè il più cortese alla fama e all'ingegno di Ovidio. Onde vi ebbe chi disse, sotto quelle metamorfosi ascondersi la serie Jelle mutazioni della nostra terra, e un certo siste ma di storia naturale ( 3) ; il che parendo poco ido ( 1 ) V. A. Baillel l . c. (2) Metamorph. lib. XV. ( 3) Roberto Stooekio Act . Erud . 1907. G. A. Fabrizio Bibl . Lat. vol. II. 362 CAPITOLO neo a spiegare tutte quelle favole, fu soggiunto che le idee di Pitagora, di Empedocle e di Eraclito e la mitologia e la opinione corrente a quel tempo sono le chiavi di quello enimma. Il perspicace War burton immagindche le metamorfosi sorgono dalla metempsicosi; e che siccome questa è la condotta della Provvidenza dopo la morte, così quelle lo sono per lo corso della vita: e in fatti Ovidio dapprima espone le metamorfosi come castighi della scelle raggine, e poi introduce nell'ultimo libro Pitagora ad insegnare ampiamente la metempsicosi ( 1 ). Que sto è il più ragionevole aspetto che possa prestarsi a quel poema; e se per molte gravi difficoltà non è forse affatto vero , meriterebbe di essere per la bellezza del pensiere e per onore del nostro poe ta . Già altrove abbiamo parlato con qualche dili genza della famosa cosmogonia e teogonia di Ovi dio, e della diversità sua dagli altri sistemi de' poeti greci, e del Dio anteriore al Caos e agl'Iddii sub alterni, il quale è Uno e Anonimo nella descri zione Ovidiana ( 2) . Diciamo ora alcuna cosa del l'accennato luogo delle Metamorfosi ove Pitagora è introdotto ad insegnare il suo sistema della me tempsicosi, accompagnato coi pensieri di Eraclito e di Empedocle; imperocchè ivi è scritto che gli uomini attoniti per la paura della morte temono Stige e le tenebre, ei nomi vani e gli argomenti de' poeti, e i falsi pericoli del mondo : che le anime non muojono, ma lasciando la prima sede vivono e alloggiano in nuove case : che tutto si muta , niente finisce: che lo spirito erra , e di colà viene qui, e di qui altrove, e occupa tutte le membra , e dalle fiere trascorre ne' corpi umani, e da questi in quel 6) Warburton Diss. IX . ( 2) Metamorp. lib. I. V. il cap. XVII e XVIII di questa Istoria. CINQUANTESIMOPRIMO 363 le , e non si estingue in tempo veruno : che niente è fermo in tutto il giro , e ogni cosa scorre a so miglianza di fiume, e ogni vagabonda immagine si forma ( 1 ) . Chiunque vorrà legger tutta intera que sta prolissa narrazione, potrà conoscere che qui ve ramente parla Pitagora; ma poi tanto vi parla an cora Empedocle ed Eraclito , e tanto Ovidio me desimo , che finalmente non s'intende chi parli. A dunque il nostro poeta non puddirsi professore di niuna di queste sette, e pare molto più giusto pen sare ch'egli o era Accademico, o niente. La serie di questi poeti e il genio di Augusto e del secolo appresentano un sistema quasi generale di filosofia accademica , e perciò non si può ameno di ripren dere la franchezza del Deslandes e di altri, che senza pensare più oltre affasciano insieme Augusto , Me cenate, Agrippa, Virgilio , Orazio, Ovidio, Tibul lo , Properzio , Livio , e tutti gli altri grandi uomini di quella età , e li dicono Epicurei ( 2 ). Si vorrebbe separare da questa general regola M. Manilio, il quale intitold ad Augusto un poema delle Cose Astronomiche, e si mostro contrario agli Epi. curei e favorevole agli Stoici ; e, Chi vorrà credere, disse , che il mondo e tante moli di opere sieno pro dotte da corpuscoli minimi e da cieco concorso ? Una natura potente per tacito animo e un Iddio è infuso nel cielo , nella terra e nel muré , e go verna la gran mole, e il mondo vive per movimento d'una ragione, e lo Spirito Uno abita tutte le par ti , e inaffia l’orbita intera , la quale si volge per Nume divino , ed è Iddio, e non siadunò per ma gisterio di forluna ( 3). Per queste e per altre parole ( 6 ) Metarnorp. XV. ( 2) Deslandes Hist. cril. de la Philos. lib . VII , cap. 30. V, P. Gassendo l. c . (3) Manilio Astronom . I , II et IV . .364 CAPITOLO di Manilio fu immaginato ch'egli non era Accade mico , ma Stoico e Panteista e precursore dello Spi noza ( 1 ) . Noirichiamiamo a memoria le cose dette qui degli altri poeti del tempo di Augusto , e più innanzi degli Stoici, e affermiamo che un verso o due che involti in dubbj e in equivoci possono sen tir forse un poco di Stoicismo, non fanno uno Stoi co perfetto , e quando pur lo facessero, uno Stoico non è un Panteista nè uno Spinoziano. Se le ingiurie de' secoli, che dispersero tanta parte della Istoria di T. Livio Padovano, non avessero affatto distrutti i suoi dialoghi istorici insieme e fi losofici, e i suoi libri in cui scrivea espressamente della filosofia (2) , io credo che noi potremmo co noscere la filosofia della età di Augusto molto più chiaramente che per tutte le immagini poetiche delle quali finora abbiam detto, e inoltre potremmo ve dere a quale sistema si atteñesse egli stesso. Ma non rimanendo altro di lui che parte della sua Istoria , i curiosi ingegni hanno voluto raccoglier da essa un qualche assaggio della sua filosofia ; e alcuni lo hanno dileggiato come un superstizioso narrator di miracoli assurdi e un uom credulo e popolare. Ma per le clausole filosofiche apposte a molte narra zioni di prodigj ( 3) , e per la fede istorica onde ri putò necessario raccontare le pubbliche opinioni e i casi scritti negli annali e nelle memorie antiche , fu molto bene difeso. Giovanni Toland, vaneggian. do di volerlo difendere assai meglio , lo gravò della maggior villania ; perocchè lo fece tanto poco su perstizioso, che lo trasformò in Ateo , e poi lo com ( 1 ) A. Collin De la liberté de penser. Gio. Toland Orig. Ju daic G. L. Mosemio ad Cudwort System. int. cap. 4 , S 20. J. Brucker 1. c. S V. ( 2) SenecaEp.100. G.A.Fabrizio Bibl. Lat. vol. I. )(3) Lipiec 20.Gxva CINQUANTESI MOPRIMO 365 mendo come uomo di buon senno e di esquisito giudizio, e come un saggio filosofo e un ingegno elevato ( 1 ). Queste arditezze furono confutate am piamente ( 2) ; e noi lasciando pure da parte molte altre sentenze di Livio , lo confuteremo con una sola , ove di certi tempi romani disse : Non ancora era venuta la negligenza degl'Iddii, che ora tiene il nostro secolo , nè ognuno a forza ďinterpreta zioni si formava comodigiuramenti e leggi, ma piut tosto ai giuramenti e alle leggi si accomodavano i costumi ( 3). Queste parole non sono del Catechi. smo degli Atei.

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