Come dell'Oriente non si può narrare una vera storia del pensiero del pensiero come esame di sè e del suo oggetto, del pensiero come scienza così e per la medesima ragione non si può del diritto. Il diritto sorge come rivendicazione della persona o individua o collettiva, e la rivendicazione per virtù del pensiero, cioè del l'esame che comincia col rifermare la tradizione e finisce col distruggerla. U n a vera storia del diritto anteriore alla storia del pensiero è un sogno, una favola. Nell'Oriente l'immaginazione e la fantasia tengon luogo del pensiero, e lo simulano in quanto lo prenunziano l'immagi nazione più nella Cina, la fantasia più nell’India l'immagina zione che riproduce l'unità morta, la fantasia che variat rem prodigialiter unam (nol so dir meglio); e, mentre prenunziano il pensiero, non arrivano ancora nemmeno all'arte, nel senso più proprio di questa parola. Fanno e custodiscono, cristalliz zandola, la tradizione; e però sono il basamento psicologico di tutte le religioni. Il mondo orientale, dunque, è religioso, semplicemente reli g i o s o ; è p r e i s t o r i c o , i n q u a n t o p r e n u n z i a il p e n s i e r o , n o n l o a n nunzia ; non dà la grande arte che non procede nè dalla i m maginazione monotona nė dalla fantasia irrefrenata. Se in Oriente - 51 Roma je, CO am ia olisi Ca , he - 52 l'inno e l'epopea avessero raggiunto quella eccellenza che vien sognata, si sarebbero per necessità geminate nelle arti sorelle, rimaste li tra il bizzarro, il deforme, l'industrioso e il fucato. E lo Stato orientale è veramente Stato quanto quella scienza è scienza, ed arte quell'arte. La tradizione è indiscutibile, è immobile : l'esame nè la riferma, nè la modifica, nè la distrugge, nè la integra. Non il popolo, che si disse e fecesi dire eletto, pose primo il problema antropologico ; lo pose l'egizio, e lo simboleggiò nella Sfinge, problema irresoluto, perchè senza risposta. Il Greco ri sponde, primo, a questo perchè. La Sfinge muore innanzi ad . Edipo e gli rinasce dentro. Edipo sparisce nella notte colonea, come Prometeo che con una favilla rapita al Sole aveva ani mato la statua l'uomo orientale immobile sconta il fallo nella notte scitica. La favilla doveva esser presa di dentro, non di fuori. Nosce te ipsum . Tal'è il destarsi del pensiero, tale il cominciamento della storia, e la protasi è greca. Quindi dalla preistoria, che è orientale, alla protostoria, che è greca, il passaggio è il problema egizio posto e non risoluto. L’Oriente è la fanciulezza che ripete, l'Egitto è l'adolescenza che interroga, la Grecia è la giovinezza che risponde. Cotesto pensiero consapevole avventa il dilemma : o greco o barbaro. Più che negli altri antichi questo dilemma è lucido in Aristo tile, dove con la disamina tempera l'arroganza e pondera le co stituzioni secondo il carattere de'popoli. Agli orientali egli då la scaltrezza, non la scienza (disse meglio del Ferrari sin d'al lora), e la viltà che è degli scaltri ; nota la selvatichezza ed il coraggio dei popoli nordici ; e il coraggio e la scienza serba agli Elleni. Agli Elleni il pensiero e gli ardimenti del pensiero. E insieme con questo primo sorgere del pensiero è storica mente possibile alla Grecia la prima rivendicazione umana, cioè la prima determinazione giuridica. L'uomo, infatti, nella Grecia rivendica una parte di sé, quella che è più comune e fa più possibile la saldezza dello Stato che sorge come organismo p o litico insieme con la prima rivendicazione giuridica: l'uomo in Grecia non è più strumento inconscio di un potere sordo e in discutibile, m a si fa cittadino : e però la prima determinazione del diritto è puramente civile. Nè più nè altro poteva essere. O che prevalga l'aristocrazia come a Sparta, o la democrazia come in Atene, o che un Solone, per equilibrare le due parti, riesca semplicemente a mutare l'oligarchia eupatrida in oligar chia plutocratica, o che lo Stato si presenti federale come nella Tessaglia e nella Etolia, o che egemone come nella Laconia e nell'Attica, il certo è che alla rivendicazione dell'individuo non si arriva neppure come sentimento e assai meno come concetto. Né la lirica che in fondo è epica frammentaria sia gueriera come quella di Tirteo, sia molle come quella di M i m nermo, o sentenziosa con Teognide, o solenne con Simonide, nė il pensiero — sia il più largo e più trasmesso — come quello di Platone e di Aristotile superano questa posizione storica. Il pensiero non smentisce il fatto, e l'etica di Platone e di Ari stotile sono a fondo civile. Quando lo stoico, superando il cit tadino, si eleva sino all'u o m o astratto, e l'epicureo prefigura l'individuo, Ja Grecia gloriosa, la Grecia del pensiero, della p a rola e delle armi, è passata, e noi siamo innanzi ad altro pen siero, ad altra parola, ad altre armi. Roma è il campo dello stoico e dell'epicureo. Prima di toccare R o m a e seguirla dalla prima alla terza, ei mi par di udire chi mi ripeta che la storia svolta sin qui sia del pensiero piuttosto che del diritto.Era storia del pensiero e del diritto, non separabili. I giuristi sogliono occuparsi men che poco de'filosofi, perchè, in generale, poco li conoscono ; m a il naturalismo che vede la storia derivar dal pensiero in quella medesima guisa e proporzione onde il pensiero deriva dalla n a tura, non può procedere in altro modo. E se, giunto al mondo romano, avrò più ad indugiarmi intorno alle istituzioni e sulle testimonianze che ce le trasmettono,non è già ch'io non faccia 53 . egual conto delle istituzioni e degli scrittori greci, m a perchè il mio sommario va tutto raccolto da Roma ad oggi.Della Grecia e dell'Oriente si è detto quanto strettamente occorreva a l u m e g giare il mondo latino e ciò che gli venne appresso. Due cose,belle a sapere,ma non assolutamente richieste dal sommario , io lascio del tutto : la storia geologica d'Italia e la storia etnografica. come intui il Leopardi, e gli sterminati periodi tellurici dal l'èra protozoica all'antropozoica, legga la geologia d'Italia nello Stoppani e nel Negri,e la misura del tempo nella geologia,nel Cocchi. Anche le terre d'Italia testimoniano da ogni regione nell'età archeolitica la presenza de'cavernicoli o, alla greca, trogloditi. Probabilmente &'incavernarono nelle montagne subalpine ed appenniniche, contro le spaventose vicissitudini dell'epoca dilu viale, e parlarono quello strano linguaggio che diè loro P o m ponio Mela : strident magis quam loquuntur. Stridono a guisa di pipistrelli, aveva già detto Erodoto, che dié lor pasto di ser penti e di lucertole. E di questi non abbiamo a far parola,perchè sono, come si è notato, diis, arte, jure carentes, o, secondo Virgilio : gens duro robore nata Queis neque mos, neque cultus erat. fumassero le Alpi e gli Appennini - 54 Dove andrei, se volessi rifar la storia geologica del mio paese, ed a che pro per il corso di questo anno ? Chi voglia, dunque, conoscere l'una dopo l'altra tutte le epoche di questa terra italica, dall'eocenica alla pliocenica, e sapere perchè un giorno Come or fuman Vesuvio e Mongibello, Nè mi occorre far la storia etnografica dell'Italia. Dovrei correr dietro alle tradizioni d'una Italia popolata dalle i m m i g r a zioni de'Tirreni, degl'Iberici e degli Umbri ? E poi investigare se i Tirreni ci sien venuti dalle falde del Tauro, cioè dal m e z zodi dell’Asia minore,e gl'Iberici dall'Asia centrale, e se gli Umbri, della gran famiglia de'Celti, sian entrati ad accasarsi nell'Umbria, partendosi tra Vilumbri ed Olumbri ? Troppe le opinioni de'dotti e troppo disparate, più di cento le congetture, *1 non di poca importanza il dissenso tra Micali e Niebhur, l'uno risalendo agli autoctoni e l'altro negandoli,e ad un antropologo italiano fu forza conchiudere essere ancora oscurissima letno logia italiana: oscurità, che imponendo silenzio al Mommsen circa le altre due o tre immigrazioni, fecegli dire degli Umbri soltanto che la lor memoria giunge a noi come suon di cam pane di una città sprofondata nel mare. Questo a m e par certo ed indiscutibile, che più genti si sieno incontrate e mescolate in Italia più che in ogni altro paese di Europa cosi ne'tempi preistorici come dopo la ca duta dell'impero romano,donde poi la mirabile varietà non solo del genio m a del tipo italiano, e dell'uno perchè dell'altro. Quella che ne'tempi preistorici fu nella Italia nostra differenza tipica tra'crani brachicefali e i dolicocefali, differenza rimasta alquanto notevole tra il tipo dell'Italia superiore e quello della inferiore, ne'tempi storici divenne differenza di genio, di scuole, di sistemi, di governi, di dialetti, di tendenze, onde l'Italia è, per eccellenza, il paese più vario di Europa e più aborrente da qualunque forma e successione di governi accentratori. E questo fondamento naturale del nostro pensiero e della nostra storia vuol essere considerato non solo secondo la v a rietà delle genti che qui s'incontrarono, si urtarono, s'incrocia rono e si fusero, ma secondo la non meno lieve varietà del suolo, del clima, delle acque e de'prodotti. Senza boria nazio nale si può affermare che la nostra unità è la più ricca, perchè risulta della più disparata e molteplice varietà. Però, come a traverso i tanti dialetti suona armoniosa e pieghevole ad ogni sentimento la nostra lingua, c o m e a traverso le tante scuole a r tistiche e regionali si scorge a prima vista la precisione e la contemperanza greco-latina della linea italiana, così a traverso 55 1, Pe mani TE can lo sperimentalismo dell'Italia superiore e l'idealismo dell'Italia meridionale si vede la qualità dello ingegno italiano, che, con temperando la sintesi con l'analisi e il sentimento coll'esame, non disquilibra le funzioni della psiche, le quali, storicamente, si vanno a tradurre sempre nella politica del festina lente. Questa unità ricca, questa unità multiforme costituisce per eccellenza armonico il genio italiano; e quesť armonia lo fa ar tista in ogni cosa. E infelicemente riusciamo in quelle cose,nelle quali non portiamo dell'arte,non portiamo cioè del nostro genio. Allora per parere tedeschi o inglesi ci facciamo semplicemente bastardi. Fu detto che il mondo romano così poco artista, cosi stret tamente giuridico e praticamente prosaico, fu non pertanto gran dissimo e maestro inimitabile di grandezza. E d ora accostiamoci ad osservare se il mondo romano disdica il carattere del genio italiano. Quando oggi i giuristi e gli storici più pensanti vogliono trovare un fondamento razionale alle istituzioni ed ai fatti di un popolo, prima salgono al genio ed al carattere del popolo stesso, in ultimo alle necessità naturali determinate, cioè al naturale ambiente, in cui sorge e si svolge la vita di quel dato popolo. Questo processo implica un sistema presupposto appunto il naturalismo. Donde i fatti e le istituzioni di un popolo ? Dal genio e dal carattere:vuol dire,in fondo,dalpensiero.Donde ilgenio e il carattere ? Dall'ambiente naturale, di cui primo prodotto è il tipo. E proprio così move il naturalismo: la natura si svolge e riflette nel pensiero ; il pensiero si svolge e riflette nella storia . La differenza, nella esposizione, è questa: il filosofo move dalla natura e guarda alla storia; lo storiografo move dal fatto sto rico e ascende al fatto naturale. Non si è potuto fare altrimenti, quando si è voluto investi gare la causa dei fatti di Roma nel genio romano, e di questo genio nell'ambiente naturale di Roma. Anche quando, spostati 56 - i fatti, si riesce a spostare il genio di un popolo, si è costretti a spostare in ultimo il fondamento naturale. È un errore di fatti,che attesta la verità e la necessità del metodo.Cosi M o m m sen, quando vuol dimostrare che il rapido crescere di R o m a in ricchezza e potenza è dovuto al genio commerciale de'romani, ricorre come ad ultima causa, a questo fondamento naturale : Roma è posta sopra un fiume grande,navigabile enon lontano dal mare.Sbagliata laprima causa – ilgenio romano sba glia la seconda il fondamento naturale, quello che Dante chiama È costretto, dopo, a sforzare alcuni fatti ed alcuni testi, per sottometterli alla causa prestabilita. M a più tardi egli corregge sè stesso, non rispetto al processo che è vero, si bene rispetto alla più sincera determinazione de'fatti e delle cause. Egli si accorge che in Roma mancava il primo fatto, una classe di commercianti ; poi, che non poteva essere stato di commercianti il g e n i o d i R o m a ; i n u l t i m o , c h e il T e v e r e , t e n u t o c o n t o d e l l a sponda etrusca, non poteva avere una grande posizione c o m merciale. Quando il processo dello storico non va sino al fondamento naturale, simula le sembianze storiche, m a rimane metafisico. Si dice, per esempio, per ispiegare alcuni fatti ed istituzioni, che tale è il genio, tale il grado di coscienza o di pensiero in questo o quel popolo.Va bene,ma lastoriacosièfattaa mezzo, è fatta con la sola psiche, con lo spirito astratto, che, evulso dal fondamente naturale, diventa un fenomeno miracoloso. proprio questo il difetto della cosi detta scuola storica. Savigny, se voleva fare storia intera, non dovea dire soltanto che un tale o tal altro dritto è prodotto dalla naturale coscienza giuridica del popolo ; m a doveva dimostrare il fondamento n a turale di questa naturale coscienza giuridica. Così non facendo, l'evoluzione rimane astratta, e le parole coscienza , genio, i n - 57 Il fondamento che natura pone. È dole, carattere diventano altrettante astrazioni, e,a dispetto del l'espressione naturale coscienza, la dottrina rimane puramente metafisica . Anche Hegel – il metafisico per antonomasia nire militare il genio di Roma, senti la necessità di salire sino ad un quasi dato etnografico,e di stimare, secondo le tradizioni, la prima società romana come una compagnia di ladri.E sopra questo dato giustifica la colluvies e poi la repentina nobilitas ex virtute di Livio ; e la virtus dalla bravura, non pure perso nale, m a collettiva, quella appunto che giustifica le violenze ; e dalla violenza la manus, la quale si manifesta dal matrimonio, in m a n u m conventio, sino alla patria potestas, rispetto alla quale la schiava condizione del figlio era significata dal mancipium . Quindi,ladurezzadellafamiglia,delloStato,delleleggi inRoma ; quindi, il cittadino romano da una parte schiavo, dall'altra de spota, perchè della durezza che soffriva nello Stato se ne ripa gaya nella famiglia ; e tutta questa durezza compendiata in un assioma politico di Machiavelli, qui ripetuto da Hegel, cioè che uno stato formato da sè e adagiato sulla forza conviene che sia sostenuto con la forza Il corollario poi affatto hegeliano - è che tutto ciò che derivò da tale origine e da tale Stato, non fu un convenio etico e liberale,ma una posizione forzata di subordinazione. Un carattere romano proprio cosi fatto non ispiegherebbe, io penso, l'origine, il valore e la diffusione invidiata non rag giunta del dritto romano nello spazio e nel tempo.Hegel,te nendo conto del dato naturale, non solo lo limita al puro èle mento etnografico, ma impiccolisce anche questo, e non m o stra tener conto del dato geografico, che è più obbiettivo del primo, e sforza il popolo romano a farsi non solo militare, m a agricolo . Questa indole agricolo-militare, questa appunto, fa la reli gione romana cotanto diversa dalla greca, e cosi spiacevole ad Hegel che la chiama la religione prosastica della limitazione, - 58 per defi della corrispondenza allo scopo, la religione dell'utile. Ed ecco, troviamo,la seconda volta,negato il genio artistico a Roma :la prima, perchè è il popolo del diritto ; la seconda perchè è il popolo dell'utile, a cui gli Dei giovano come i servi o come gli strumenti del campo. Hegel trova che i romani adorano la dea pace ( pax, vacuna) e la sua contraria angeronia ; la salute e la peste; trova che in Roma Giunone non è bianchi-braccia,ma ossipagina, e che Giove è capitolino piuttosto che olimpico. Chiama prosaiche queste divinità,ma nè cerca le divinità cam pestri, nè se le spiega, passando dal campo arato allo Stato. Nell'arte - continua Hegel specialmente in Virgilio, cre duto il poeta religioso per eccellenza, la religione è d'imita zione,la quale porta le divinità ex marhina, non con la fan tasia e col cuore. I giuochi stessi rimangono qualcosa di esterno, in quanto il romano è spettatore, non attore, e non ha poeta che di propo sito li celebri : giuochi duri e prosaici come la famiglia,lo Stato, la religione, le leggi. La somma del discorso è E dietro questa somma del discorso si scorgono le conse guenze , alle quali il filosofo tedesco vuol pervenire : 1° noi dobbiamo l'origine ed il progresso del diritto posi tivo all'intelletto non libero, privo di spirito e di sentimento, proprio del mondo romano ; 2o che, se i romani giunsero a distinguere il diritto dalla morale, ed a liberarlo dalla variabilità del sentimento, concre co'romani si ebbe la prosa della vita, prosa, in ultimo, riflessa sopra Roma proprio dal carattere italico.– Che è l'arte etru egli può conchiudere che sca ? 59 Noi troviamo nell'arte etrusca la massima prosa dello spirito, quanto più perfetta nella tecnica tanto più priva del l'idealità greca : è la stessa prosa che vediamo nello svol gimento del diritto romano e della religione romana. Que sto giudizio circa l'arte italica sarà più tardi esagerato dal Mommsen . tandolo in alcun che di esterno e di obbiettivo, non arrivarono a conciliarlo con la libertà e con l'intimo dell'uomo ; 3o che però non può essere il dato supremo della sapienza. Ben'altra parola avrà a dirsi sul diritto, quando si tratterà di connetterlo con la libertà. Certo, un altro mondo la dirå. E già s'intravvede che questa gloria il filosofo tedesco vuole serbarla al mondo germanico che succede al romano. Solo due cose si vedono : che Hegel lavora sopra un dato naturale incompiuto, e che la parte naturale soppressa è sosti tuita con rapidità magica dalla costruzione metafisica. Noi osiamo affermare che,se il dato naturale fosse compiuto cosi dal lato etnografico come dal geografico, il genio ed ilca rattere di R o m a si mostrerebbero sotto altra forma. E si par rebbe che nè assolutamente prosaico e tutto pago della esterio rità è il genio italico, nè Roma – la severa Roma – con la rigidezza della formula giuridica riesce a rinnegare il genio co 60 - Egli è davvero cosi? mune. # tan CAPITOLO SETTIMO. Carattere di Roma Allora, come oggi, la metafisica mi pareva vuota, l'avevo d e finito udenologia, ed il naturalismo mi si presentava come il successore storico d'ogni metafisica ; m a nel farne applicazione, si volava ancora, ed al volo bastavano poche penne in spazio illimitato, senz'aria e senza tempo. Oggi non si vola, ma si misura il cammino, e si ha ragione di dire ai giovani che non facciano sostituzioni estetiche alla storia, le quali poco servono alla scienza. Espongo,adunque,ciò che intorno alcaratterediRoma pub blicai molti anni addietro, e noto senza indulgenza i miei errori di allora, perché molti li ripetono e non trovano più scusa. - 11: C'è un altro modo,più metafisico di quello usato da Hegel, di costruire il carattere romano, ed è di derivarlo non da un mezzo dato naturale, abbandonando l'altro mezzo a discrezione della metafisica, come vedesi aver fatto il filosofo tedesco, ma di costruirlo sopra alcuni documenti classici che si prestano alle più contrarie interpretazioni ed a tutt'i giuochi dell'estetica applicata e della critica letteraria. Non sarà inutile poiché questo modo,per essere il più comodo,è il più frequente presentarne un saggio,valevolecome criticasopra me medesimo, che, nella giovinezza, credei sostituire gli esercizii di estetica alla storia, ed al naturalismo la subbiettiva critica letteraria. 61 Utopista scrivevoallora- non èchisogna,machipensa, 62 e tanto più profonda è l'utopia quanto più il pensiero coglie la relatività dei tempi. Greca è, dunque, l'origine della utopia e utopista tipico fu Socrate che osò primo al costume civico con trapporre alcun che d'individuale : Io Socrate sono nato a liberamente filosafare, e, se cento volte per questo io fossi morto e rinascessi, tornerei a filosofare. Non pena dunque mi è do vuta,ma ilPritaneo. Questo tentativo di ribellione dell'individuo, contro il citta dino, dell'individuo che osa pigliarsi un mandato individuale che non solo valga il mandato civile, m a ardisca riformare il costume, questo è punito, e, in quella natura di tempi, era ve ramente crimine di Stato. Socrate,anch'esso,come atterrito dal colpo ch'ei tenta, sente che al cittadino è dovuta l'espiazione individuale, e rifiuta au silio, e si apparecchia alla immolazione di sè non pure perchè sente compiuta la sua missione e non gli piace vivere super stite a sè medesimo,ma perché vuolegrecamente spirare:Dum patriae legibus obsequimur.Che è quell'ultimo pensiero del gallo, che, rimosso il lenzuolo dal viso, ei vuole sacrificato ad Escu lapio? Vuol finire sul letto del carcere come fosse ad Anfipoli o a Potidea,e vuol morire con religione e costume attico, come a punizione di alto trascorso individuale.L'individuo fu Socrate filosofo ; il moribondo è l'ateniese rassegnato : m a il più grande è questo, che proprio questo ateniese punisce quell'individuo e non glidà scampo.Pericle non potè salvare Anassagora;So crate non vuole salvare se stesso. Come,secondo ilmito,la Sfinge, negata di fuori, rinasce dentro Edipo, cosi, secondo la storia, lo Stato attico, offeso di fuori, si riafferma dentro di So crate. O l'esilio di Colono o la cicuta, è sempre l'immolazione dell'individuo alla comunanza rappresentata dallo Stato. Quando gli Dei patrii percossi dalla riflessione socratica su pinarono nell'Olimpo muto, Epicuro, sorridendo, gittò sopra di loro un gran panno funereo e si rallegrò coll'uomo liberato dai divini terrori: Diffugiunt animi terrores. Però quel panno che Epicuro gittava sull'Olimpo,copriva tutta la Grecia; giacchè quel panno che soffocava la lotta semi-divina, era indizio della mis sione greca già finita. Perciò Epicuro lascia i giardini greci, le dolcezze e i profumi arcadici, e se ne viene nel Foro romano, e siede e sentenzia e giudica e genera di sè due uomini diver sissimi, Orazio e Lucrezio, e da Orazio poi il tipo di Munazio Planco e da Lucrezio quello di Papiniano.Sono troppe cose che io dico insieme, delle quali molte 'non dette, m a provabili con la forma del discorso e col testimonio dei fatti.Cicerone, vedendo Epicuro alle porte di Roma, si arma di poma soriane, inserte in forma di fulmini, e cerca saettarlo con furore iperbolico, pro prio nel modo onde il papato fulminava da Roma la rinascenza. Ma,come larinascenza,malgradoifulminipapali,siaccasava in R o m a , invadeva il Vaticano, e faceva poetare e sermoneggiare i papi con civetteria anacreontica, cosi Epicuro spunta tra due dita i fulmini di Cicerone, come avea già spuntato quelli del Giove greco, e, toccata appena la spalla dell'oratore romano,se lo fa suo.Ma, appena entrato in Roma,Epicuro prende la natura del Giano latino, si fa bifronte, ed una sua faccia è quella di Orazio,l'altradiLucrezio.Non èmiracolo,èilsistemaepicureo che, sotto la dialettica, manifesta queste due fronti. L'una viene adirecosi:La vitaèbreve;di là non sicontinua;dunque, godiamola di presente. La morte cicolga,quando possiamo git tarle in faccia la scorza del pomo soave,tutto premuto.L'altra, cosi:La vita è breve; di là non si continua;osiamo,dunque, eternarla con un'opera degna della immortalità della fama . Per chè tentare la gioia stolta, se nel punto di asseguirla la morte può spegnermi ? Ecco le due fronti di Epicuro. L'una di Orazio : Vitae s u m m a brevis nos vetat spem inchoare longam .Di là non c'è vita: Non regna vini sortiere talis. La conseguenza che ei porge all'anima tua,è sempre una : Carpe diem quam minimum credula postero. Illazione esprimibile con un grugnito del porco epicureo. 63 L'altra è di Lucrezio : Omnia migrant, omnia commutat n a tura et vertere cogit. Dalla quale migrazione eterna dell'essere deriva il s u m m u m crede nefas. Importa sol consegnare integra la lampada della vita alle generazioni sopravvenienti: Vitae l a m pada tradere. Da Orazio nasce Munazio Planco,prima Cesariano, poi P o m pejano, poi repubblicano, poi di Antonio e di Cleopatra, poi cor tigiano di Augusto e sprezzato da tutti : tipo del galantuomo di Guicciardini ; e fini nella sua villa di Tivoli come Guicciardini , nella solitudine di Arcetri. Da Lucrezio nasce il tipo del giureconsulto, Papiniano, che intese il diritto come bonum aequum, e non volle in senato di fendere un imperatore fratricida, e piuttosto che l'onore volle lasciare la vita. Morendo, come aveva sentenziato, provvide alla immortalità della fama, et lampada juris tradidit. Da Epicuro il mondo romano prende il senso della positi vità, ed è però mondo di prosa, non di arte, con missione giu ridica, con lingua giuridica, con monumenti, storia, tradizioni giuridiche.La Grecia ci ha tramandato due insuperabili documenti, l a t r a g e d i a e p i c a e l a t r a g e d i a f i l o s o f i c a , l ' I l i a d e e il F e d o n e ; R o m a il Corpusjuris,con due potenti sommarii,l'epigrafe e ilresponso. Quanto all'epigrafe, specie suggestiva di letteratura, come direbbesi in Francia,nessun altro popolo nė lingua ha ilquarto della maestà e rapidità dell'epigrafe latina, nata rebus agendis : onde nazioni nordiche e neolatine e transatlantiche pigliano a n cora,e avverrà per lungo tempo,da Roma antica l'epigrafe!e il responso. E la più bella dell'epigrafi ha contenuto epicureo e giuridico : Et creditis esse Deos ? 64 Cosi abbiamo della medesima scuola il porcus de grege E p i curi,e de acie Epicuri miles. Nè questo doppio tipo fu smar rito nel periodo del risorgimento, quando dopo la scolastica pla tonica e aristotelica si riaffaccið l'epicureismo: dall’una parte si ebbe ilPontano,cantoredellavoluttà,dall'altrailCavalcante,cer catore austero, tra’sepolcri, dell'immortalità della fama. La tomba, data umile a Catone, negata a Pompeo, ė superba mente elevata ad un mimo ! Se gli Dei sono ingiusti, gli Dei non sono. E le epigrafi più solenni nascondono certa finezza d'ironia epicurea nel senso giuridico. L'epigrafe latina è solenne, perché è breve come il responso : Questa rapidità di percezione è dalla lingua istessa giuridica per eccellenza, imperativa e, se mi è lecito a dire, dittatoria : onde l'epigrafe è quasi sempre responsiva, cioè di senso giuri dico, e il responso è sempre epigrafico. E d in R o m a fu possibile il tipo del giureconsulto, dell'uomo cioè che ha intera la percezione del dritto, rapidamente e pro priamente la significa e sa comandarla a sè stesso prima che agli altri. È tipo raro , tutto assorbito dalla meditazione etica, che traduce nella parola e nel fatto. R o m a ne ebbe pochissimi che dopo quella Roma furono comentati,non risatti; e,quando oggi odo chiamare giureconsulti alcuni legisti che tirano a m e stiere il codice, dico che o le parole non s'intendono o sono stravolte dall'adulazione. Quandolalingualatinacantadiamore,amepare- libero da preoccupazioni di scuola udire il Ciclope favellare a G a latea. I romani potean prendere le Sabine meglio con le braccia checolcanto:manu,haudcarminibuscaptae.Non ène'carmi la missione di R o m a : dica rapidamente il diritto, dica il fatto ; il responso e l'epigrafe, questo è il gran contenuto della lette ratura latina, questo è suo proprio, è originale, è collatino, oso dire : il rimanente vien di fuori e porta il mantello peregrino. Ed ha tre uomini massimi, Lucrezio, Papiniano e Tacito. L u crezio non ha cantato un poema, nè si dà al mondo poema di dascalico,ma ha dato l'esposizione epicurea della natura, la cui Venus non viene da Milo,ma dal Foro, e può somigliare ad Astrea. Papiniano ha dato il più alto responso, nel quale è la G . B O V I O . D i s e g n o d i u n " S t o r i a d e l D i r i t t o , e c c ., e c c . * - 65 Quidquid praecipiens, esto brevis, ut cito dicta Percipiant animi. 5 UNIVERSITÀ DI Qurais ROMA CCHIO Lucrezio, Papiniano e Tacito sono tre che si somigliano nella forma di concepire e nella rapidità scolpita dell'espressione. Tacito, che segna la decadenza e lavora come il Sisifo di L u crezio, qui semper victus tristisque recedit, spesso ti accusa la maniera e quando è breve, quando è corto ; m a è l'ultimo dei grandi romani . Chi cerca la grandezza del pensiero latino fuori di questi,e vuol trovarlo o nella lirica di Orazio, ambigua, quanto alla forma, traPindaro ed Anacreonte,e ambigua nella sostanza tra lo stoico e l'epicureo, o trovarlo nell'epica incerta tra Vir gilio e Livio, cioè tra le reminiscenze omeriche e le favole tra dizionali, è come chi, cercando l'anima del trecento, invece di volgersi a Dante e a Boccaccio, la spia negli occhi estatici di Caterina da Siena o nel cipiglio di Passavanti. In questo teatro giuridico, che è il mondo latino, il conte nuto della lotta si trasforma e di semi-divino diviene pienamente umano . Qui non han luogo cause per divinità. Qui Lucrezio può vuotare il Pantheon che accoglie indifferentemente tutti gl’Iddii per vederli indifferentemente sfatare dal sistematore della N a tura.Lucrezio morrà non per accusa di Melito, di Anito, di Licone; norrà, se gli piace, di sua mano, se il destino del l'uomo gli parrà troppo somigliante a quello di Sisifo. Allora la 66 sintesi della missione latina,e lo ha suggellato, come dovea, con la morte. L'olocausto di Socrate ci mandò la tragedia filosofica che è greca ; l'olocausto di Papiniano ci tramanda la tragedia giuridica che è latina. Perchè dopo il Nerone e la Messalina non tentare anche questa che è più romana? La storia di Ta cito suona sulle rovine imminenti dello Stato latino come la ser ventese dell'ultimo degli albigesi. Tacito è fosco come la sera nebbiosa di una splendida giornata; è riflessivo come chi rasenta le rovine; è triste come chi cerca una virtù che ei sa di non trovare. Perciò ei ritrae Tiberio assai meglio che Tiziano non ritragga Filippo II,ma,dove pinge la virtù,non è pittoremolto ispirato. È grande col pennello onde lo Spinelli ritraeva Satana; m a , se gli dai la tavolozza di Raffaello, ei te l'annacqua . 67 Venus genctrix gli si muterà in Venere Libitina, ed egli userà della vita secondo quello che gli parrà suo diritto. Io non credo all'aconito; credo suicida Lucrezio, e questo suicidio proprio di forma Romana , come quello di Catone, cioè per jus necis etiam in sc. Questa lotta umana,iniziata,non compiuta in Roma,questa che è tutta e sempre lotta civile dal ritiro della plebe sull’Aven tino sino ad Augusto, qui omnium munia in se trahere coepit ; questa epopea lutta latina, più in Livio che in Virgilio, ha due periodi principali: l'uno'tra plebe e patriziato per una cerla equa partizione di cose e di ufficii, e generò il tribuno, ignoto alla Grecia ; l'altro tra l'individuo e la comunanza per una certa equa emancipazione dell'individuo, e generò Spartaco, ignoto alla Grecia. La plebe fu vendicata da Mario,e più da Cesare,che se op presse il tribuno,era segno che non v'era più patriziato sovrano ed operoso.Spartaco,sopraffatto da Crasso e da Pompeo e morto nella pienezza della sua protesta, trovò poco dopo più grande vendicatore, Cristo. Ciò significa: Il mondo greco, cominciato religiosamente, fi nisce nellairreligionediEpicuro;ilmondo romano,pienodella dotta irreligione di Epicuro, finisce nel mistero cristiano. La catastrofe religiosa in Grecia è spiegabile con la natura del pensiero, che comincia col rifermare le religioni e finisce col dissolverle; la catastrofe della irreligione in R o m a è spie gabile con la natura del pensiero istesso, che, se è dommatico, finisce col divorare se stesso. Chiariremo questo vero, quando saremo innanzi al cristianesimo. Questo vien chiaro di presente,che il contenuto giuridico in Roma non pud porgersi come jus civile abstractum, ma come primo sentimento di equità, onde si genera il Pretore, istitu zione profondamente etica, ignota anche questa alla Grecia, e urbano e peregrino, e il cui fine è sempre l'aequitas, affinchè il summum jus non si faccia summa injuria o summa malitia. Quindi, il placito del giureconsulto nella costituzione delle leggi : In rebus novis constituendis eviders esse debet utilitas, ne a n i mus recedat ab eo jure, quod diu AEQUUM visum est (Fideicom . L. IV). Chiaro è che l'equità costituisca la misura del diritto; che questa equità lungamente saggiata, traducendosi in diritto, genera l'utile sincero; e che questo utile debba essere evidente ai popoli nella costituzione delle leggi. Quindi l'iniquum erat injuria. Quindi l'acquilas appo i latini non è il concetto volgare che ci viene da Ugone Grozio : è l'assoluta, continua, ascendente correzione del diritto civile, cioè del diritto greco ; e però cosi coloro che veggono pura medesimezza del diritto greco e ro m a n o , quanto quegli altri che continuano a favoleggiare intorno alla origine greca delle dodici tavole,mostrano ignorare la diffe renza delle due storie, dei due popoli, delle due lotte, delle due civiltà. E il testo canta chiaro : Jus praetorium adiuvandi, vel supplendi, vel CORRIGENDI iuris civilis gratia est introductum , propter utilitatem publicam ... Che è quel ius civile bisognoso di correzione ? È quello appunto che in R o m a comincia a p a rere s u m m a injuria , la cui correzione costituisce l'istituto p r e torio,cheètutto romano,ilcuiprogramma siassomma nella sentenza : Placuit in omnibus rebus praecipuam esse iustitiae ac AEQUITATIS q u a m STRICTI juris rationem . Quello stretto diritto è greco, è puramente civile, è quiritario, è aristocratico, e tra smoda nell'ingiuria, o per violenza o per malizia, aut vi, aut fraude. Quell’aequitas è la correzione pretoria, è la grandezza dello spirito latino, che tutto si manifesta e dimora nella giu stizia pretoria e urbana e peregrina. E quell'aequitas deriva dallalottaumana,cosidellaplebecontroilpatriziatocome del servo contro il padrone. Il jus civile è il risultamento della lotta semi-divina, l'aequitas è il prodotto della lotta civile: quella è greca,questaèlatina:quellahailsuofastigiostoricoda So crate ad Epicuro, questa dalle dodici tavole a Spartaco : quella è lotta filosofica, questa è giuridica : i canoni di Epicuro sono 69 l'orazione funebre all'Olimpo e però alla Grecia, la protesta di Spartaco è il vale al superbo civis romanus.Insomma la gloria storicadiRoma nonèildittatore,néilconsole,nèilsenato, nè il magister equitum e l'imperatore e n e m m e n o il tribuno, è il Prelore : il suo editto è la sintesi dei responsi; lo spirito dei responsi è l'equità ; l'equità è il prodotto della lotta u m a n a ; questa lotta è il contenuto della civiltà latina. Hegel che vede si addentro la cagione della rovina della repubblica romana e con Tacito giudica vana l’uccisione di Cesare, non vede con pari intensità in quella repubblica l'istituto pretorio e, sfuggi togli, tien conto solo della ratio strirti juris. Tutto il diritto r o mano gli si stringe nel summum jus. Non vide che la lotta umana era ed è l'equilà. Con questo spirito di equità torna agevole a Tacito descri vere il tiranno, scolpirlo. Volere parendo di rifiutare, c o m a n dare parendo di obbedire,far tuito parendo di non fure, questo è il tipo del tiranno, questo è il Tiberio di Tacito, rispetto al quale gli altri tiranni venuti di poi sono volgari, ubriachi,troppo scoperti e però troppo esposti al essere tiranneggiati. Tipico é questo Tiberio in Tacito, come Ettore in Omero, come Ugolino in Dante, come Otello in Sakespeare, e non patiscono ritocca menti di nessuna mano : chi si attenta a rifarli, solto qualunque altra forma,disfà. In Grecia fu possibile il sentimento del ti ranno, in Roma il ritratto tipico,perchè in Roma è delineato il concetto dell'equità. Tiberio non può esser veduto se non dielro il seggio del Pretore. Nè Riccardo III, nè Arrigo VIII, nè Fi lippo II,nè Alessandro VI o Paolo IV ritrassero Tiberio : vollero troppo, si chiarirono troppo, furono troppo tiranneggiati: ma il tipo, spento individualmente, risorse collettivamente nella C o m pagnia di Gesù , che per 333 anni dilargò l'oligarchia nera sulla terra, parendo di non volere, di non comandare, di non fare. Ma e il gesuitismo tiberiano e il cesarismo gesuitico non pos sono essere tanto chiusi,che ilpensiero e la natura non v'entrino. Fu però equità piena,sincera, spiegata questa di Roma,si che la si trovi tulta adempita nella ragione pretoria ? La lotta umana di Roma diede per risultamento il diritto umano ? In somma il dirittoromano sicontinua a studiare,a chiosare, ogni giorno in ogni paese civile, perchè effettualmente è l'ultima parola del diritto ? L'acquilas in omnibus spectanda, quando non voglia essere un nome,ma cosa, non un concetto,ma un sistema, non in somma un'esigenza,ma un adempimento,bisogna che simani festi come connessione ed equazione dei contrarii, cioè del ge nere con l'individuo, del cittadino con la persona, affinchè ne risulti l'interezza dell'uomo.Ora, questa equazione torna possi bile,quando l'individuo si sia affermato e contrapposto al citta dino e abbia avuto nella storia tanto valore e tanta evoluzione quanti il cittadino se ne prese. Senza quest'azione e reazione, o, come altri dicono, senza questa tesi e antitesi nessun'ar monia finale e completiva, nessuna sintesi piena e durevole, nessun equilibrio, nessuna equazione insomma è effettualmente possibile : e, se l'equità non è questa equazione, è ancora un presentimento Se ne deduce che Roma non poteva ancora sistemare la vera equità giuridica, perchè l'individuo non aveva dato tutti gl'istituti che dovevano nascere di se, dalla sua antitesi o c o n trapposizione al cittadino. Dove s'era fatta la storia dell'indi viduo, l'autobiografia, perchè ilPretore potesse consapevale con temperare i contrarii, connetterli, equilibrarli? Vedesi, dunque, che questa equità è l'avvenire dellastoria,non ilpassato;spetta alla giornata travagliosa dei posteri, non alla lotta civile di Roma.Or, dunque,è stata spuma d'acqua sonante l'equità ro mana ? Troppo sarebbe stato il rumore ! La cosa sta in questi termini: L'equità scientificamente in tesa spetta all'avvenire, che sarà la sintesi del cittadino con l'individuo per costruire tutto l'uomo : l'equità latinamente intesa fu il transilo dal cittadino all individuo per costruire l'individuo. Il transito non è la sintesi, è il semplice avviamento dal - 70 l'uno all'altro dei contrarii, a traverso i quali si vien costruendo l'uomo chiamato sintesi dell'universo e non divenuto ancora sintesi di sé medesimo ! Fu larva dunque di equità: e nondimeno anche come larva quel diritto è rimasto solenne, tipico nella storia, concetto più che presentimento di quello che il diritto è destinato ad essere. Dunque,nellastoriailmondo romano èl'esodo,ilpassaggio dal cittadino greco all'individuo germanico. E in questo transito dall'uno all'altro dei contrarii consiste, chi consideri, l'universalità dell'impero latino. Il quale perde la sua ragione di durare, quando Cristo annunzia l'emancipa zione individuale. 71 - CAPITOLO OTTAVO. Esame e conchiusione intorno al carattere di R o m a Come ho detto nel capitoloprecedente,cosi me ladiscorrevo intorno al contenuto storico ed al carattere di Roma. Alcune delle cose dette, oggi, non ripeterei; m a ne accetto anche oggi moltissime,principalmentedue:chelalottainRoma èumana e senza neppur l'ombra del carattere religioso; e che risulta mento precipuo della lotta umana è l'istituto pretorio. Bastano queste due affermazioni per determinare tutto il ca rattere della prima Roma , e dal caratlere la sua missione, la gloria, l'universalità, la decadenza. A queste due affermazioni manca la giustificanza storica il metodo. Perché in Roma la lotta è del tutto umana ? A questa interrogazione, quando non si voglia dare una ri sposta astratta, come la darebbe la scuola di Hugo e di Savi gny,cioè tal era la coscienza o ilgenio di Roma,ci sono due modi di rispondere, l'uno metafisico, l'altro naturale. Il primo risponde: Alla lotta semidivina dovevo succedere la lotta umana : la prima, compiuta in Grecia, non si poteva ri p e t e r e i n R o m a . L e d u e lotte s o n o d u e m o m e n t i d e l p e n s i e r o ; e però Epicuro passa dalla Grecia a R o m a . Il secondo dice che questo lavorio del pensiero, affatto in d i sparte dal fondamento naturale, spiega la storia più che non - 72 - Quindi l'evidenza di lumeggiare la storia col naturalismo che le traccia il metodo. Ora, il naturalismo storico attraversa tre periodi notevoli : prima è teleologico, poi empirico, finalmente è scientifico È teleologico, quando presuppone i fini, e i fini diventano cause, e la natura è in gran faccenda a lavorare i mezzi per questi fini. In questo primo periodo il naturalismo non si è li berato ancora dalla metafisica, e, se non è essenzialmente antro pomorfico, è tale abitualmente . Questo periodo è rappresentato da Herder, il quale è vero che presume cercare la storia degli uomini nella storia del cielo, della terra e delle relazioni tra cielo e terra ; m a , presupponendo ancora i fini nella storia dell'uomo e della natura, viene abitual mente a credere divino quel che dev'essere tutto e semplice mente naturale, e – ciò ch'è ancora più teologico -- ad esclu dere i popoli fieri e sanguinarii dalla possibilità di adempiere nella storia un qualche fine provvidenziale. Che cosa sarà per Heder il cristianesimo ? — Il regno della giustizia e della verità ! Ecco la civiltà tedesca in forma di fine provvidenziale, che non poteva essere adempiuto dal popolo romano, perché aveva animo tirannico e mani insanguinate. E - 73 - il genio o il carattere astratlo, m a in ultimo riesce astratto ed enigmatico anch'esso, perché il pensiero presuppone qualco saltro, da cui non si può divellere. È vero che altro è il genio greco, altro il romano ; è vero che la lotta fatta in Grecia non si può rifare a Roma ;è vero pure che Epicuro,passando dalla Grecia a Roma,accenna alla lotta umana che succede alla lotta religiosa : ma non si vede ancora perchè il pensiero si sia cosi determinato, e piuttosto in Italia che in Germania , e dell'Italia piuttosto in Roma che nell'Etruria o in altra regione. Sono, per conseguenza, da tenere in gran conto i momenti del pensiero che nè in sè nè nella storiasi ripete mai; ma re stano momenti vuoti, astratti ed inesplicati senza tenere in pri missimo conto il dato naturale. 74 - il genio giuridico di R o m a ? e l'universalità del dominio romano ? e la successione storica della civiltà romana alla greca ? e l'am biente naturale di R o m a , rispetto alla terra ed all'aria ? Tutto ciò sparisce, e restano un fine provvidenziale il cristianesimo, e l'odio tedesco contro R o m a , compagnia di ladri e nel principio e nel mezzo,cosi pel genio naturalista di Herder come per il genio metafisico di Hegel. Egli è perchè quella natura non è libera ancora da quella metafisica. È empirico il naturalismo, quando contende ogni investiga zione intorno agli ultimi fini e alla prima causa, e que'fini e quella causa respinge da se come contenuto della metafisica e campo Questo periodo è rappresentato da Comte, il quale respinge l'assoluto con troppo assolute negazioni,come Stuart Mill negava il sistema, sistemando ; e però l'uno si dà a cercare l'invaria bile attraverso i fenomeni naturali, e l'altro il permanente attra verso i bisogni umani . Vanno cercando quell'assoluto che hanno assolutamente negato. Avviene, in questa scuola de'puri senomeni,che le catastrofi sono sostituite all'evoluzione; che il passato sarebbe assoluta mente morto, non trasformato ; e che, come nell'ordine della successione filosofica il positivismo annunzia la morte di tutto il contenuto metafisico, cosi nell'ordine della successione politica ilperiodo industriale,p.e.,supporrebbeaffattospento ilperiodo legale, come questo supporrebbe spento del tutto il periodo m i litare.Da che sarebbe indicata la cessazione del periodo mili tare? Dalla caduta di Roma.Ed ecco che questaRoma,o forza di ladri o di soldati, non sarebbe stato altro che forza ! E ne il naturalismo teleologico nė l'empirico arrivano a vedere che in quella R o m a universale la forza fu universale quanto il diritto. - come reazione mutila il contenuto scientifico, e non si accorge che quanto sot trae alla scienza tanto consegna alla religione. sino dal nome metafisica, dell'inconoscibile. In questo secondo periodo il natura lismo,aborrendo Finalmente il naturalismo storico esce dallo stato teleologico, 75 - dallo stato empirico, e diviene scientifico sotto queste determi nate condizioni : 1a sottraendo la statica e la dinamica so ciale all'indeterminato delle analogie e sottomettend le al cal colo determinato, nel quale sparisce l'uomo individuo e sorge l'uomo medio ; 2a sottraendo il calcolo ai ritmi misteriosi o ca balistici e riducendolo alla legge di proporzione tra causa ed ef fetto ; 3a sottraendo le cause allo indeterminato del numero e riducendole ad una causa sola, e facendo convergere tutti gli effetti verso un fine proporzionato alla causa medesima. Allora si viene a veder chiaro che la statica e la dinamica sociale fanno una fisica sociale che deriva dalla psico -fisica ; che il pensiero si traduce nella storia con la medesima proporzione, onde procede dalla natura ; che il calcolo, al quale sottostanno le scienze naturali, entra a dominare il mondo della storia ; e che in ultimo l'uomo individuo,il quale sparisce innanzi all'uomo medio, vuol dire l'arbitrio che sparisce innanzi alla libertà. Più sparisce l'arbitrio come causa, e più si chiarisce la libertà come fine. A tutto ciò, che è pur grande, il mondo moderno non può sottrarsi. Ha prodotto tre saggi,che sono saggi ancora, ma che aspettano con irremovibile certezza la sistemazione scientifica, e sono la Fisica sociale di Quetelet, la Storia dell'Incivilimento in Inghilterra di Buckle e i Periodi politiri di Ferrari. Anch'io nel 1872 — nel Saggio Crilico del Dritto Penale e del Fondamento etico avevo cercato dimostrare in che ra gione si movono nel tempo storico le istituzioni avverse e per chè il tempo stesse rispetto alla successione del pensiero come lo spazio rispetto alla successione de'corpi; m a anche quel mio libro, come porta il titolo, rimane saggio, ed aspetta la sistema zione scientifica che si determina co' criterii sopra stabiliti, senza de'quali non è possibile un naturalismo scientifico. E con questo proposito io mi sento libero da qualunque ar bitrio individuale, da qualunque monomania di originalità so litaria ed astratta, perchè da una parte veggo di obbedire alla ragion de'tempi e dall'altra al genio italiano. Questo genio, o che si manifesti nello sperimentalismo più cauto del Galileo o nel più libero idealismo di Bruno,ha sempre ultimo fondo delle cose la natura, fuori della quale nulla vede e nulla spiega. È però genio matematico per eccellenza, perchè ogni legge natu rale si stringe in numero. Fu, quindi, possibile nella scuola di Galileo un Vincenzo Viviani che faceva ciò che appena Leibnitz osava desiderare, sommettere cioè gli atti umani alla misura, l'etica alla matematica. Risalendo i tempi, incontravasi nella scuola di Metaponto ; discendendo, preoccupava i periodi poli tici di Ferrari. Se è una sistemazione anche questa, perchè afferma l'evo luzione come processo dall'omogeneo all'eterogeneo, e non con sidera che l'evoluzione sarebbe impossibile senza la coesistenza dell'omogeneo con l'eterogeneo ? Perchè non considera se quella che appare coesistenza immediatamente al senso,non si faccia mediatamente connessione ? E , se cotesta connessione è recipro cità, perchè egli non mi lascia vedere le scienze esatte nelle naturali ? Ne deriverebbe che, esclusa la possibilità di ogni ente metafisico, il suo positivismo farebbesi naturalismo. E tanto m e glio ! Tutte le perplessità finirebbero, e non si parlerebbe a n Spencer pose gran cura a distinguere sė da Comte,ciò che oggi vuol dire positivismo inglese dal francese. Molte sono le differenze notate dallo Spencer, m a fan capo ad una : che S p e n cer cre le necessaria l'analisi psicologica, da Comte giudicata impossibile. E dietro quest'analisi Spencer perviene a quel s a pere unificalo, sotto il principio universale della evoluzione, che costituisce la sistemazione del positivismo. 76 Innanzi all'universalità di queste leggi non vi sono per noi i riserbi, le oscillazioni dell'inconoscibile e del positivismo in glese ; vi sono invece l'universalità e l'ardimento del naturalismo italiano, del quale cosi, senza taccia di orgoglio nazionale, ra gionavo nella mia conferenza a Torino : Che cosa manca ? Noi abbiamo affermato l'inconciliabilità tra l'infinità della natura e il vecchio caput mortuum della teologia.Non possiamo tornare indietro ; e le perplessità del positivismo sono sdegnate dal naturalismo italiano. La parola stessa positivismo per noi è un equivoco : scientificamente ci suona semplice reazione alla metafisica, e moralmente dice negazione di ogni elevato ideale. La parola è sciupata. Il naturalismo dura quanto la natura, ed è proprio nelle nostre tradizioni, nel nostro indirizzo e nel n o stro genio. Non temo le conseguenze : la Verità e la Libertà sono, in fondo, una medesima natura (1). Dietro questi criterii, tenuto conto non di uno o due , m a dei precipui elementi naturali ch'entrano nella storia primitiva di Roma e che possono essere determinati come i faltori elemen tari dell'incivilimento romano, ne risulta che l'indole violenta ed il costume erratico de'primi congregati devono essere dal vasto campo costretti a farsi agricoli, e che il prodotto di questi due fattori, la violenza e l'agricoltura,doveva essere il genio m i litare di R o m a . E militari si annunziano il primo re, le prime istituzioni,iprimi fatti che aprono lastoria di Roma,come mi litare la postura della città istessi, ottima delle posizioni stratc giche in tutlo il Lazio. Or,dato un popolo agricolo e militare,un popolo,cioè,che (1) G. Bovio : Il naturalismo. Torino, Roux e Favale, 1882. -77 - vora dell'assolutamente inconoscibile, campo tetro,in cui possono rientrare tutti i vecchi pregiudizi, tutt'i terrori infantili e tutte le senili speranze sfatate dal naturalismo italiano. Diritto, ardito, impavido è l'ingegno nostro : è Colombo che, se ha da guardare verso l'America, non riguarda la Spagna ; è Galileo che, se s'in china, non nega il moto ; è Bruno che, se ode la sentenza, non disdice l'infinità della natura ; è Cardano che ha più timore di smentire il proprio oroscopo, che di morire. Cosi pensa e cosi vuole : italianamente volere è come il supremo fato storico. 78 stabilisca il mio e il tuo e con la forza faccia rispettare il li mite,quale sarà la risultante di queste attitudini,quale lamis sione o il destino di questo popolo ? È già evidente : sarà u n popolo giuridico per eccellenza, il popolo del diritto. Cosi va : la violenza e l'agricoltura fanno un popolo militare; l'agricoltura e la milizia fanno un popolo giuridico. La violenza temperata dall'agricoltura diventa milizia, a c u stodia del proprio c a m p o ; la milizia raddolcita dall'agricoltura diventa forza di equità. Cosi si scoprono i primi naturali fattori del genio romano : non forza contro il diritto (barbarie); non diritto contro la forza (decadenza ); m a diritto e sorza (civiltà giuridica ). N o n basta dire il m o n d o greco fu della scienza e dell'arte, ilmondolatinofudeldirittoedelgoverno,ma bisognasapere perchè fu cosi. Allora occorre vedere non solo la successione cronologica delle idee e delle civiltà, m a indagare i naturali fattori che dispongono una nazione,piuttosto che un'altra, ad una deterninata civiltà, e proprio quella e non altra nazione. E per convincersi che quello fu davvero il genio di Roma e quelli i fattori dello incivilimento romano,gli studiosi rivolgano a sè m e desimi alcune domande.Eccole ordinatamente: 1 . ° Q u a l e f u , i n g e n e r a l e , l ' i n d o l e d e ' p o p o l i i t a l i c i, e q u a l e tra le genti italiche la postura di Roina ? 2. Quali i rapporti tra gli agricoltori e quale il costume ? 4. Perchè fu tenace il costume e lento in R o m a l'accu mularsi della ricchezza ? 5.9 Perchè gl'idillii greci in R o m a diventano georgiche, come le cosmogonie diventano poemi della natura, ed in qual conto R o m a ebbe gli scrittori de re rustica e le divinità c a m pestri ? 6." Qual'è la forina più latina del pensiero latino ? 7.* È vero, in ultimo, che quel pensiero e quella forma — 3. Che cosa più occorre, quando questi rapporti e questo costume si elevano a missione giuridica ? sostanza e modo di un mondo affatto prosaico alito di arte? - non hanno Se ciascuna di queste domande non avesse in sè molta im portanza, tutte insieme parrebbero da fanciullo per la loro di sparatezza, mentre, per la loro intima connessione, posson fare una sola domanda. E l'ordine delle risposte può far bastare una pagina, dove occorrerebbe un volume. Le genti italiche – per quell'armonia di facoltà, della quale abbiamo sopra toccato l'origine portano in ogni cosa che pensano e che fanno,non solo un senso finissimo di arte,m a g giore dove meno appare,ma quella che chiamano nota giusta ed è espressione di senso pratico, che, in fondo, è senso poli tico.E dico senso non per traslato nè per uso di linguaggio co mune,ma proprio nel sensopiùitalianamente scientifico,perchè intelletto e volontà sono evoluzioni del senso (1). Quindi sono popoli che hanno meglio equilibrati gli ordina menti politici, e più disciplinati gli ordinamenti giuridici e m i litari. R o m a , e per i fattori del suo genio e perchè posta nel cuore della penisola,veniva naturalmente a concentrare tutto il genio italico e a dargli quella espansione che può raggiare da una città nel medesimo tempo giuridica e militare. Il genio di Roma,insomma,traperl'origine e per la postura è nelle con (1) Non sarà inutile ricordare ciò che scrissi nel citato discorso sul n a turalismoap.19: Ilsensoeraumiliatoedepressodaduepresupposti: che lo avevamo comune con le bestie e coi zoofiti; e che la ragione p o teva far senza di esso, come l'anima senza del corpo. Presupposti, come è chiaro, della vecchia psicologia metafisica, esagerati dalla scolastica, raffi nati dall'idealismo più recente. Il senso che si osserva,e che si sente,si alza,si riabiliti e testimonia e scrive di sè stesso : Il senso avverte il fatto naturale, il movimento del fatto e in ogni fatto la coesistenza dei contrarii, per es., identità e differenza, genere ed individuo, comune e proprio. Il senso avverte sè,ilmovimento da cui deriva e in cui si deriva,ed in sè la connessione dei contrarii, per es., infinito e finilo, causa ed effetto, necessità e libertà. Il senso avrerte la 79 dizioni più naturali per concentrare ed espandere il genio ita liano. E ne'popoli agricoli, più che ne'commercianti,sorge schietto il sentimento del diritto e poi dell'equità, perchè più semplici tra gli agricoltori, che non tra'commercianti,sorgono i rapporti sociali. E , sorti, trovano subito stabilità nel costume e certezza nelle forme, come stabile e certa è la terra, sulla quale e per la quale l'agricoltore vive, come certo e stabile il limite del colto. E da questa medesima stabilità e certezza, la tenacità del costume e la rigidezza avversa ai subiti e pericolosi guadagni del commercio . Però in R o m a fu lento l'accumularsi della ric chezza e ancora più lento il contagio del lusso. Se poi questi rapporti e questo costume, ne'quali si accentra il genio di tutto un paese, sono destinati ad elevarsi a missione giuridica, ciò che più occorre per tradurla in atto cotesta m i s sione segnatamente in mezzo ad un mondo barbaro è la forza. Perciò una grande missione giuridica, la quale non sia militare nel medesimo tempo,è un'astrazione da missionarj,come una gloriosa missione militare che insieme non sia giuridica e non si ordini a qualche alto fine civile, è un'astrazione da nar ratori ciclici. Il dominio di R o m a è pari alla forza, e l'uno e l'altra sono pari al concetto ed alla missione giuridica. Quindi, propria tendenza a trasmutare ilfatto naturale in fatto storico, a insi nuare nella storia il proprio moto e a determinare il fine del moto sto rico nell'equilibrio dei contrarii, per es.,persona e Stato, lavoro e pro dotto, dovere e dritto. Volete questi diversi gradi del sentire chiamarli senso,intelletto e vo lontà ? Ritragga il linguaggio con queste parole questa distinzione di gradi, ma distinzione di gradi, non separazione di facoltà: distinzione di gradi nella evoluzione del senso,come ilsenso è dellanatura,non tante ipostasi di tante facoltà.Come l'evoluzione delle forze chimiche perviene sino al l'organismo e dell'organismo sino alla vita e della vita sino al senso,così l'evoluzione del senso sino all'intelletto e alla volontà. Nessuna ragione, m a il solo pregiudizio può condurci a moltiplicare i principii e le leggi. 80 col crescere e determinarsi del concetto giuridico si giustifica l'egemonia di Roma sopra tutto il mondo mediterraneo, e con la coscienza che Roma desta del medesimo concetto negli altri popoli, si spiega il testamentu di Augusto in Tacito : Addiderat consilium coercendi intra terminos imperii. Quindi , si spiega perchè in R o m a ,mentre tutto è militare e la procedura giuridica non si scompagna dalla lancia, tutte le distinzioni civili e politiche sono derivate dalla terra. È patrizio chi possiede terra ed il segreto de'diritti inerenti al dominio ; sono clienti, colientes,quelli che coltivano il campo del patrizio; plebei, quelli che coltivano e costumano vivere sul proprio campo ; proletarii, quelli che non hanno campo, fuori del quale non c'è avere. E si ponga mente a questo, che nel cliente c'è la radice del colono ; che ne' rapporti tra cliente e patrono è adombrata la prima tradizione feudale, che non si è interrotta mai nella storiadelmondo;cheilclienteècittadino,ma non saclasse di cittadini; e che in ciò principalmente si distingue dal servo che nè è persona, nè cittadino, nè fa classe di cittadini. Agraria è principalmente la lotta tra le parti in R o m a ; agraria l'origine del dominio bonitario ; agrario il fondamento del censo ; agrarie le leggi provocatrici de'più grandi dissidii e di radicali riforme negli ordinamenti politici e civili di R o m a . L'evoluzione dello spirito romano porta sempre questa impronta del principale fattore del suo genio. Tra la legge licinia e la legge sempronia c'era sempre sull'agro pubblico tesa una corda, che, tocca, consuonava con l'animo romano . Campestri da Saturno al Dio Termine sono le deità indigene diRoma;ilcampoaratoèara;proarispugnare inanticoè difendere il campo ; e da un fanciullo uscito dall'aratro impara rono l'arte degli aruspici, di gran momento nel cominciare le imprese civili e militari.Censorino scrive$ 4:Nec non in agro Tarquiniensi puer dicitur exar atus, nomine Tages, qui disci plinam cecinerit extispicii.– Anche negati gli aborigeni,restano gl’Iddii autoctoni che si piacevano di riti e canti campestri e 6 – G. B Vic.Disegno di una Storia del Diritto,ecc.,ecc. - 81 82 da'campi mandaron voce ad Ercole di preferire le offerte di lampade accese ai sacrifizj umani. Gli Dei che dal primo anno urbe condita sino alla prima dittatura perpetua entrano in R o m a insieme co'popoli vinti, sono costretti ad entrare anch'essi in servigio del vincitore, dal quale assumono forma e costume. La Giunone di Grecia non è quella de'Latini,nè il Giove di Atene è quello di Roma. Quando non più assumono il costume del vincitore, non sono più adorati. Ma nė per numi peregrini nè indigeni c'è mai guerra tra i popoli latini, né dissidio civile, nè giudizio per divinità. L'aco nito di Lucrezio - se mai fu provato - non somiglia alla cicuta di Socrate : non ci fu accusa, da che i dotti di R o m a sentirono che il poema della natura era l'espressione più vera del senti mento contemporaneo. In Roma gli Dei sono piuttosto per l'uomo,che l'uomo per gli Dei, i quali più si allontanano come più si determina il sentimento del diritto, che ha dato alla lotta romana principalmente l'impronta agraria. — E l'ager romanus da prima determina le tribù, le quali sono non solo personali, m a locali secondo la partizione dell'agro. Nell'arte non si smentisce questo elemento precipuo del genio romano, anzi vi si determina e spiega. Se l'idillio greco entra in R o m a , si fa georgica, le quali Di patrii, Indigetes det tano ad alto fine : Quid faciat laetas segetes, quo sidere terram Vertere,... ulnisque adjungere vites Conveniat. Aureus hanc vitam in terris Saturnus agebat. Ma,seèvero,comesentiHegel,chegliDeidiVirgilio ven gon giù dalla macchina, in queste georgiche la macchina è più visibile: mostrano abbastanza che vengono dopo il poema della natura, e che secondo leggi schiettamente naturali la terra vuol essere pulsata. E l'arte romana non ha nulla di più perfetto di 83 questo poema della natura e di questa applicazione che delle leggi naturali si fa nelle georgiche, poema agrario. Celebrati, dopo questi, sono scriptores rei rusticae et Gromatici veteres, per la tradizionale venerazione della coltivazione e della misura dell'agro: tra'primi M. Porcio Catone, Varrone e Colunella ; tra'secondi Sesto Giulio Frontino, Aggeno Urbico, Igino. Humana ante oculos foede cum vitajaceret In terris oppressa gravi sub relligione Primum Grajus homo mortaleis tollere contra Est oculos ausus,primusque obsistere contra (2). Ed è chiaro:sarà questo in Roma il contenuto filosofico:lo stoicismo non sarà che di reminiscenze, e l'eclettismo, di s c m plice erudizione. Quinto Sestio,stoico più che eclettico, non saprà parlare di Giove che con un motto sarcastico, tramanda toci da Seneca : Iovem plus non posse, quam bonum virum ; a Cicerone, eclettico più che stoico, morto otto anni dopo L u crezio, non saprà ammettere l'esistenza degli Dei che in via di sempliceopinione:Deosessenaturaopinamur.E idottisinno quanto questo opinatore magno, come Cicerone chiama sè stesso, confidi nelle sue opinioni teoretiche e teologiche. Intravedesi E la filosofia? Dove sviluppato è il sentimento del diritto, e per questo appunto la lotta si fa tutta umana e principalmente agraria, gli Dei, a breve andare,si allontanano dalla scena.Epi curo occupa Roma è il suo campo naturale e Amafinio pubblicamente lo insegna in buona prosa latina come Lucrezio lo espone in versi mormorati a lui dalla natura ch'ei canta : Perchè ? (1)Lib.3. Te sequor, o Graiae gentis decus, inque tuis nunc Fixa pedum pono pressis vestigia signis (1): (2)Lib.1. 84 che la macchina teurgica non manca a Cicerone che prelude ai politici di razza latina, invocando gli Dei piuttosto a rincalzo dello Stato che a fondamento di religione. Ma sopra tutt'i poemi e tutte le prose latine l'epigrafe mi parve sempre la più latina forma del pensiero latino. Versi e prose se ne scrivono in ogni lingua, più o meno classica,e morta e viva; ma l'epigrafe, che non è nè prosa nè verso, non mi parve mai vera in altra forma fuor della latina. N'è prova il fatto costante: sempre che si voglia far vivo un pensiero sopra una pietra e quasi comandarlo alla memoria degli uomini,lo si fa latinamente. E ,perchè il pensiero trovi equazione con la forma, bisogna che abbia alcun che di universale e d'importanza umana : una epigrase latina, oggi, sulla tomba di una giovinetta, di un fanciullo, di un uomo oscuro, accusa gli eleganti ozii di un pe dante, anche quando egli riesca alla pietosa eleganza di Antonio Epicuro, che gemeva in latino del cinquecento, e in dotte a n titesi, la sostituzione della morte alle nozze. Nam tibidumquevirum,tedas,thalamumqueparabam, Funera et inferias anxius ecce paro. Anche il nostro Settembrini, che avea gusto finissimo del bello,silasciòingannaredalsingultoin antitesieleganti,enon seppe distinguere tra l'epigrafe dotta e l'epigrafe latina. È vano sfatare l'epigrafe : sempre che si voglia dire con ef ficace brevità un pensiero universale o un fatto d'importanza universale, si dirà epigraficamente e latinamente.In altra forma e lingua apparirà lo sforzo, anche coperto dalla maestria del Giordani che sopra Colombo e Machiavelli scrisse le epigrafi meno incomportevoli. Noterò breve la ragione di questo fenomeno letterario. Quando si dice la lingua latina, imperatoria, ellittica, essere percið epigrafica, il discorso rimane all'esterno; e però viene a dire che la lingua latina è epigrafica, perchè è.– L'intimo è che il pensiero latino — giuridico Si dirà, per afferrare transiti dove sfuggono, che l'epigrafe è il passaggio dal verso alla prosa,dalla fantasia alla riflessione, e tiene però dell'una e dell'altra. No : l'epigrafe esprime il sommo della riflessione, perchè determina ciò che in una gene razione c'è di più universale, o come pensiero o come senti m e n t o , e l o s t r i n g e s o t t o n o n il n u m e r o d e ' p i e d i o d e l l e s i l l a b e , ma delle parole,ed ha però forma egualmente discosta dal metro poetico e dalla licenza prosastica. Chi consideri come l'universalità del dirittosi determina nella precisione massima della parola, scopre subito l'equazione tra il responso e l'epigrafe, e conchiude senza peritanza, che, ri spetto al genio romano, sono di eguale importanza il corpus iuris e il corpus inscriptionum latinarum . Tutte le regole di Morcelli de stylo inscriptionum fanno la rettorica epigrafica, la più fatua melensaggine letteraria. Al g e suita mancava il pensiero. Intanto questa indole epigrafica di R o m a, che riappare da ogni carta e da ogni pietra,in ogni parola e in ogni lettera latina, questa appunto per la sua espressione nuda e severa ha fatto dire che il genio di R o m a non ha nulla di artistico. Quel che di fluido e più abbondante s'incontra nella letteratura latina, è greco. Per gli odiatori del nome romano, Roma è la città della forza; per i più benevoli, è la città del di ritto; per gli uni e per gli altri il genio romano è meno estetico del cinese. Conchiudiamo questo capitolo, esaminando questa affermazione. Che il mondo romano sia stato poetico davvero, come fu la Grecia, e come la nostra rinascenza greco-latina da Dante in poi, non si può dire, si perchè nell'arte di R o m a non troviamo l'individuazione de'caratteri poetici, e si perchè il canto vera 85 è universale, imperatorio, categorico. Per cosa ingiusta e con parole indecise non c'è forza di comando.Perciò ripeto che inRoma ilresponso è epigrafico, l'epigrafe è responsiva. . mente poetico non si leva mai solo in un popolo, ma in un pe riodo in cui gli vengono successivamente compagne le altre arti: lapittura,lascultura,lamusica,l'architettura.Non c'èragione, perchè, una volta accesa la fantasia di un popolo, si debba tutta e solamente stringere ne'metri poetici e non cercarsi il ritmo nelle altri arti: c'è invece la ragione contraria, che, nato il canto, si presentano l'una dopo l'altra tutte le altre forme della individuazione poeticil. I caratteri poetici migrano per le diverse forme dell'arte, finchè si adagino nella forma più propria, dalla quale sdegnano essere rimossi. Così il Giove di Omero passa in Fidia,e ilgiudizio di Dante in Michelangiolo. Ma,se ilmondo romano non è poetico, nel senso estetico della parola, è nondi meno artistico in grado inimitabile, perché non neglige la forma dietro la ricerca di un contenuto informe, ma la cerca in equa zione perfetta col contenuto, anzi dal contenuto si studia deri varla, perchè sente che un pensiero che si deterinina, facendosi, si crea determinatamente la sua forma. Il contenuto, la sostanza propria del pensiero latino è il diritto, il quale in Roma si connatura con la forma romana, come il Giove greco con la forma greca. La parola del giure consulto latino scolpisce come la subbia di Fidia. Come da quella subbia esce il sopracciglio cuncta movens, cosi da quella parola erompe l'imperativo giuridico. Or, questa perfetta equazione tra pensiero e forma, tra l'im perativo giuridico e il grammaticale, tra l'imperio concitato e la forma ellittica, quasi tronca, onde Leibnitz, dopo gli assiomi de'geometri, niente vede più certo de' responsi latini, questa appunto è intensamente artistica. Il giureconsulto non è il poeta, è l'artista del diritto. 86 E per provare col fatto, io ben ricordo che la lex XII T a bularum fu chiamata carmen necessarium , e, cresciuta l'equità, -orrendocarme;chequesto carme fugiudicato un severopoema, ricco d'immaginazione e a desinenze quasi ritmiche; che fu salto imparare a coro da'fanciulli; che Cicerone ne parla con quell'entusiasmo (1),onde iGreci ricordavano l'Iliade; che i R o mani derivavano più onore dalle XII tavole,che non dalle guerre puniche ; m a so pure che la voce carmen presso i latini ha si gnificato assai più largo che poesis, e mi baderò dal definire poema di qualsivoglia natura il carmen necessarium . Ma ag giungo subito che in queste medesime tavole si manifesta il genio artistico del legislatore romano, per una mirabile equa zione tra contenuto e forma, la quale ferma e stabilisce quelle tavole come tipo di tutta la legislazione romana, e le fa perenni nel culto di quel popolo togato e armato. Al primo sguardo sulla tavola prima si legge: SI IN IUS VOCAT,NI IT,ANTESTETOR ;IGITUR EM CAPITO. Non un articolo, nè un pronome in caso reito ; due impera tivi in cadenza, e tra'due, come a temperarne la durezza,l'igi tur, che presume parere la razionalità ed è la semplicità pri mitiva della legge.Ogni legge scritta è igilur in sè medesima, è il corollario particolareggiato di un principio generale e di una applicazione sottintesi ; e però l'igitur espresso non è trovabile fuor della semplicità infantile della legge. Basta averlo trovato in prima, e non pare che vi s'incontri due volte.Hegel direbbe che questa procedura non solo insita nella legge m a soverchiante, ed a cadenze d'imperativi della specie di capito, ricorda troppo la manus.Due cose sono da rispondere:l’una,che laprocedura molta e stabile, diffusa in tutte la dodici tavole, anche nelle due ultime che Cicerone chiama inique (duadus tabulis iniquarum (1) Per Livio è fonte ; per Tacito è fine; per entrambi è corpo del diritto : quindi, fons publici privatique juris in Livio ; finis aequi juris in Tacito ;corpus omnis romani juris ne'due storici e ne'giureconsulti. Ma più se n'esalta Cicerone nel De Oratore : Fremant omnes licet, dicam quod sentio.E dirà,giurando per Ercole,che ilsolo libretto delle dodici tavole per peso di autorità e di utilità avanza di assai le biblioteche di tutt'ifilosofi.Questo unus libellus era l'Iliade de'Romani. 87 legum additis), svelano l'indole di un popolo agricolo; l'altra, che tutta questa procedura primitiva, che è o la forza o simbo leggiata dalla forza, in R o m a è sempre in servigio di un diritto che determina un rapporto tra gli ordini noverati sopra, o tra due del medesimo ordine rispetto ad una medesima cosa. REM UBI PAGUNT,ORATO, Qui, nelle dodici tavole, é evidente, è propria, sto per dire, è bella : certo, come legge, questa evidenza epigrafica non è s o l o il s o m m o d e l l a b r e v i t à , m a d e l l ' a r t e . F u o r i d e l l a l e g g e , i n Tacito, assai volte la brevità perde l'evidenza e diventa cortezza, l'arte si svela e si fa sforzo, e l'oscurità della frase indica l'o scurità de' tempi e l'animo oscuro di chi si trova solo in mezzo a que' tempi. Bella ancora nelle XII Tavole la seguente procedura che sta bilisce equazione tra l'esrcizio della legge e del Sole : SOL OCCASUS SUPREMA TEMPESTAS ESTO. Tutt'i verbi trovansi all'imperativo, e l'imperativo nel rit mo,ma più di frequente questo verbo essere, come se l'essere in Roma questo dovesse significare principalmente: l'impera tivo giuridico. Parrebbe ai meno accorti soverchia la parola rem innanzi a pagunt : la levino e sarà come levata la parola inducias innanzi al pepigit di Livio. Le parole in quelle tavole sono numerate 88 Notinsi intanto l'evidenza nella brevità epigrafica, la rapidità del comando, la risolutezza della procedura. Non si saprebbe quale parola o monosillabo levare od aggiungere . È il getto di un pensiero giuridico, nato insieme diritto e procedura, impera tivo nella essenza e nel modo,ritmico senza esser verso, arti stico senza nulla di poetico. Notisi in questa ilmaximum della breviloquenza: ১9 come nelle epigrafi, e risermano, con l'esempio, la dottrina espo sta intorno al genio di Roma . L'arte della legge,propria dello spirito romano, si annun zia sin da queste dodici tavole; e i primi ed i,secondi decem viri furono artisti. Coloro che anche in queste dodici tavole vollero vedere Atene, ed una legazione uscita romana e tornata attica, ed Ermodoro esule d'Efeso primo glossatore, e dietro le dodici tavole la statua di Ermodoro, furono confutati da Vico, e la confutazione fu di quelle che non ammettono replica. Non solo nella essenza delle dodici tavole c'è lo spirito originario di Roma,ma c'è ilgetto del pensieronellaforma.Le dodicitavole in greco suonano come l'Iliade in latino:chi sotto la forma indi gena non sente il pensiero esotico, è sordo ad ogni risposta di Cirra . Le dodici tavole,come forma,svelano ilgenio diRoma,mi rabile nella concezione ed espressione della legge, mirabile per quella equazione in che dimora l'arte di una qualunque disci plina; come fine, svelano un'altra equazione che è tutto il dise gno di un popolo giuridico:summis infimisque iura aequare; come origine, svelano la prima equità nella notizia del diritto, la promulgatio . La promulgatio accenna il transito dal s u m m u n ius all'ae quum bonum in un popolo che ha congenito il sentimento del diritto e lo sente e lo celebra come sua missione. Il Tribuno, provocando la promulgalio, astringerà il diritto consuetudinario e il quiritario a fissarsi sulle tavole; il Pretore, secondo i casi particolari, tradurrà il diritto scritto nell’equità naturale;ilGiureconsultotradurrà l'equità nelle regole uni versali di ragione. Il Tribuno sorge una generazione dopo ilregifugium ed una generazione prima delle dodici tavole : e, sorto tra queste due generazioni, significa, con la sua presenza, che, mutala forma di governo, si è mutato lo spirito di una nazione. Il Pretore, non quello semplicemente da prae ire, m a quello appellato urbanus, Considerata l'origine del Tribuno, e i due primi, Giunio Bruto (forse nipote del primo) e Sicinio Belluto, tra patriziato e plebe ; considerati nel Tribuno il vus auxilii, il ius interces sionis e il veto ; considerata l'inviolabilità, ond’ era sacra la per sona del Tribuno, ed il violatore era caput Jovi sacrum ; fu detto che il Tribuno è un tipo affatio italico, e del tutto italica l'istituzione del Tribunato. Doveva dirsi invece che il Tribuno, il Pretore ed il Giureconsulto sono tre grandi momenti dell'equità romana ;e tre risultamenti memorabili della lotta umana ed agraria tra patrizio e plebe sono la promulgatio, l'editto ed il responso. E qui due considerazioni : la prima, come risultamento della lotta romana sono il Tribuno, il Pretore ed il Giureconsulto, tali hanno ad essere le dodici tavole, e tutte le leggi che da quelle promanano ; l'altra, che chi credesse ancora tutto e solo della forza questo mondo di Roma, dovrebbe correggersi innanzi al Tribunato, al Pretorio ed al responso. In R o m a , desto il sentimento dell'equità, fondamento p e renne della lotta umana che si agita in tutti i tempi di Roma, si desta insieme l'accorgimento politico, onde il patriziato cerca prevenire gli strappi e capitanare le riforme che non può nè respingere nè fermare :quindi, è possibile vedere da una parte la lotta agraria, le guerre servili, la guerra sociale e la guerra gladiatoria, dall'altra Spurio Cassio, patrizio, giustificare col suo sangue la prima legge agraria, F. Camillo, patrizio, giustificare l'equità pubblica, presentandosi primo pretore accanto al tempio votatoallaConcordia,EmilioPapiniano,patrizio,portareil re 90 quod in urbe ius redderet,venne tre generazioni dopo la pro mulgazione delle dodici tavole, perchè dopo tre strappi fu m e stieri di chi piegasse la legge scritta verso la naturale equità. Il Giureconsulto accompagna tutti i tempi del diritto, m a domina l'imperatore e lo Stato, il mondo di allora e i secoli posteriori, quando libera l'equità dallo editto e la incarna in pronunziati universali.Quindi,più dileguasiilTribuno,più scende ilPretore, e più grandeggia il Giureconsulto. Sempre che gli uomini pronunzieranno questa parola « EQUI TÀ », la quale, in fondo, è libertà, ed è l'alto fine della storia, si ripresenteranno alla memoria di tutti il Tribuno, il Pretore, il Giureconsulto, il primo a promuoverla, il secondo a specifi carla, il terzo ad universaleggiarla. (1) Mi occorse nel 1881 rispondere ad alcune parole del Cancelliere del l'Impero tedesco ripetute nel Senato italiano, e pubblicai subitamente le parole che seguono per provare che non si hanno a chiamare concessioni quelli che nella storia sono strappi. Riconosco, nella calma dello scrittojo, la concitazione di alcune frasi che potrebbero alterare il senso positivo dellastoria,ma ilfondo rimane vero,epiùveroancora,chelapoliticafine dell'antico Senato oggi non può trovare imitatori nè in Germania, nè in Italia,nè in Francia.Ecco,intanto,le parole di allora: Giova ripetere il senso delle parole di Bismarck , ripetuto già nel Senato italiano, per mettere sotto gli occhi del principe tedesco e de' senatori italiani alcune verità storiche, alcune leggi e certi nomi che non dovreb bero essere mai dimenticati da'prudenti che presumono condurre gli Stati, lontani dai partiti estremi, e li trascinano fuori delle leggi storiche. Il Cancelliere ha detto : Da venti anni alla sommità dello Stato, ho potuto osservare che gli Stati,passando di una in altra concessione, pas sano dalla forma monarchica alla repubblicana. Il Senato ha detto : Le troppe concessioni al diritto di suffragio conducono al Senato elettivo. L'uno preoccupavasi della corona, gli altri della propria istituzione. Hanno ragione e torto. Ragione,perchè,passando di diritto in diritto,si perviene fatalmente alla sovranità nazionale senza delegazione, e a tutti gli ufficii per elezione. Torto,perchè non sono concessioni glistrappi.– Idirittifuronostrappati sempre dai popoli agli Stati, dalla scienza alla storia, non concessi mai. Si può dire al pensiero : « non conchiudere »,se la premessa è posta ? Si può dire alla storia:« non gravitare »,se l'impulso è dato? Idivieti dello Stato non fermeranno la storia, come i divieti del sacerdozio non fermarono ilpensiero. Vo'mettere sottogliocchidelcancellieretedescoedeisenatoriitaliani quattro secoli di storia dell'antico senato romano, cioè la rapida succes sione democratica di quattordici generazioni, dal 260 di Roma al 684, af 91 . sponso sopra l'imperatore Caracalla e per il responso lasciare la vita, come già Spuso Carisio per la legge agraria sulla rupe Tarpea (1). I Tribuni, i Pretorie i Giureconsulti , venuti dopo di quelli, arrivarono in ritardo, perchè altro ai tempi nostri è il contenuto dell'equità, altro il metodo, altri ne sono i rap presentanti. Ora questo è chiaro : mentre da Papirio a Papiniano si svolge il tipo del giureconsulto,non appariscono in Roma scrittori po litici. In Tacito comincia, declinando lo Stato, ad apparire la finchè si accorgano che gli strappi non sono concessioni e che la gravita zione storica è continua. Sino all'anno 260 di R o m a che è la plebe rispetto al patriziato ? II senato, le cariche religiose e civili, il comando degli eserciti, il dominio ne' comizii curiati e centuriati, tutto è dei patrizii. Il plebeo che non può campar la vita dal ricolto o col magro bottino,è destinato a diventar d e bitore del patrizio, ad essergli venduto per aes et libram, a farglişi nexus o addictus. Ciònonèlungamentecomportevole. Iplebeisiritiranoinarmisul l'Aventino e ottengono due magistrati proprii, i tribuni. Iltribuno nacque come re:sacroecoldrittodiveto.Ilvetofu tri bunizio e destinato a farsi regio, perchè allora doveva essere limite all'ari stocrazia, oggi alla democrazia. L'attentato alla vita del tribuno era cri mine capitale.La formula è in Livio:Caput Jovi sacrum. Il veto e l'inviolabilità del tribuno furono concessioni ? I costretti vol lero parere e chiamarsi provvidenti. Una generazione appresso (anno 292diRoma)laplebefaintendereche non vale un magistrato proprio senza una legge comune e spiegata.Quindi, la mezza generazione che corre dal 292 al 303,è occupata da due decem virati, destinati alla compilazione delle dodici tavole, ispirate alla triplice necessità:promulgatio;libertasaequanda ;provocatio ad popolum.Ecco, la legge è scritta, è promulgata, non è più un segreto patrizio che erompe, come responso,dall'atrium,è aperta la viadelpontificatomassimo ad un plebeo,a Tiberio Coruncanio. Fu concessione ? Tacito accenna neque decemviralis potestas ultra biennium ,e Livio spiega quanta plebe in armi è dietro Virginio e quanta se ne accampa sul monte Sacro. L’impulso è dato, la gravitazione è in ragion diretta della massa. Nel medesimo anno 305, in che precipita il decemvirato, la tegge delle dodici Fu concessione o strappo ? 92 93 politica ; m a lo storico prevale anche in Tacito, perchè siamo ancora discosti dalla catastrofe. tavole è sorpassata dalla legge Valeria Orazia. Iplebisciti,proclamati ob bligatori per tutti,obbligano ilSenato.La formula è in Livio: Ut,quod tributim plebesjussisset,populum teneret. La conseguenza è immediata : una plebe legislatrice può imparentare col patriziato. Ed ecco Canulejo tribuno, quattro anni dopo,nel 309 di Roma, sorpassa la seconda volta le dodici tavole,spezza iriparitralecaste,pro clama il connubium patrum et plebis, incrocia, confonde, mescola i ceti. Concessione niente,fu sedizione audace e flagrante: seditiomatrimo niorum dignitate, ut plebei cum patriciis jungerentur. Lo strappo è net tamente stabilito nel primo Libro di Floro : Tumultus in monte Janiculo, duce Canulejo tribuno plebis, exarsit. Il senato non voleva, m a la plebe exarsit. Potrà, or dunque, il plebeo salire anche al consolato ? Potrà sentirsi il rumore de'fasci in casa plebea? Si chiamino pure tribuni militari,ma la dignità consolare è divisa.Tacito scrive:Neque tribunorum militum jus consulare diu valuit;perchè,dopo unalottaquarantenne,ladignitàcon solare,ripreso il vecchio nome,non si limita ai vecchi uomini. Fattasi l'eguaglianza negli onori, è tempo che si proclami l'aequanda libertas, l'eguaglianza anche innanzi al diritto punitivo. Ed ecco,due anni dopo l'istituzione del tribunato militare, nell'anno di Roma 311,nasce il Censore che può notare d'infamia il plebeo e il senatore, il console ed il cavaliere, l'uom privato e il magistrato pubblico. La formula di codesta parità leggesi in Ascanio, Divinatio in Caecilium . « Hi prorsus cives sicnotabant,ut qui Senator esset,ejiceretursenatu;quiequesromanus, equum publicum perderet ; qui plebeius, in tabulas Ceritum referretur et aerarius fieret ». Livio ammonisce nel libro sesto che non ci furono concessioni. Dopo le discordiae sedatae per dictatorem ci dice CONCESSUM ab nobilitate plebi de consule plebeio ! R o m a , c h e , d i l a r g a n d o il d i r i t t o , d e m o c r a t i z z a l a r e p u b b l i c a e s a l e v e r s o l'aequanda libertas,èinexpugnabile;Roma,chenellospaziodidue ge - E si vien chiarendo insieme al disegno di questo libro, che, cioè, mentre grandeggia lo Stato romano, e come re publica e come impero, fiorisce il giureconsulto; e più il dominio si dilarga, più si fa universale l'intelletto del giu reconsulto, e più n’esce universale il responso, dal patrizio al plebeo, all'italiano, all'uomo. È vano cercare lo scrittore politico in questi secoli di grandezze e di gloria: il politico non sarà mai contemporaneo del giureconsulto. Mentre la gran politica sarà nel patriziato e sarà pratica di governo, non sarà scritta. Disfatti gli Stati italiani e nata, di contro ai grandi stati e u ropei che si formavano,l'esigenza di uno Stato stabile, quale nerazioni, dal 200 al 311, ha posto di contro al patriziato il tribuno, la legge decem virale, la legge Valeria Orazia, la legge Canuleja, i tribuni militari ed i censori, non può, nelle due generazioni dopo l'istituzione censoria, nel 354,essere distrutta da'Galli Senoni; ma, uccisa nelle vie, esce rinata dal Campidoglio. Senno patrizio e valore plebeo, concordi, la rifeceru. Usciti dal Campidoglio, per comun valore, occorre che l'aequanda li bertasabbialasuanormacerta,temperatricedelcertojussummum, sta bilita nelle dodici tavole. Ed a tale uopo, una generazione appresso (387), sorge, come speciale magistratura, il pretore che col quadruplice editto piega, corregge e integra il diritto stretto nella giustizia pretoria. M a Roma,un secolo appresso,è già capitale d'Italia,ed un secolo in punto appresso (488) accanto al pretore urbano viene a sedere il pretore pere grino : due alte magistrature che si suppliscono a vicenda e che di patri zie si fanno popolane non per concessioni, ma per terribili strappi ehe dentro sono discordie civili, e fuori la guerra sociale, onde Italia, a conto di Vellejo Patercolo, vide sopra campi italiani, in meno di un anno,uccisi più di trecento mila italiani che seppero,morendo, tramandare ai super stiti il dominium ex jure Quiritium . Perchè, dunque, codesto dritto quiritario di patrizio divenisse popolare, e di romano divenisse italico, quante grazie, quante concessioni di patrizii sceserospontaneesullapleberomanaesu'popoliitalici?– Ricordisipiut tosto la storia della Lex Plautia (De civitate), e lascino stare le conces sioni e le grazie. E quando,superate le discordie civili e la guerra sociale, noi ci tro viamo tra le armi di Mario e di Silla e vediamo Montesquieu torcere lo sguardo da queste ire implacabili tra due titani, dobbiamo noi imitare la pietà che inspirava lo Spirito delle leggi ? La critica storica è crudele:passa tra'cadaveri romani e vuol sapere perchè Silla fu'na di sangue latino. Silla preoccupa il ten'ativo di Giuliano 94 - 95 che si fosse, in Italia, sorgono ed eccellono, sopra tutti gli altri, gli scrittori politici. Allora il diritto non istà da sè, m a cade in servigio delle due tristi necessità che hanno a fare lo Stato : la forza e la frode. I glossatori abbondano, ma il giureconsulto non verrà cortemporaneo degli scrittori politici.E più gli Stati rovinano, e più la politica si rifugia ne' libri. l'apostata : l'uno vuol rifare l'aureola attorno al vecchio senato, come l'altro intorno ai crani de'vecchi Dei. Ma,come Giuliano, dopo aver cac ciato dalla sua sede S. Attanasio e altri vescovi, non rialzò l'Olimpo, così Silla,dopo avere abbattuto la plebe, compressi i tribuni, abbassati i cava lieri e disciolte le assemblee tribute, non potè rialzare il vecchio senato. Perciò, dopo cinque anni, abbandono la dittatura, cioè abbandonò Roma alle leggi storiche. Tal significato ha l'abdicazione di Silla, e tale a m m o nimento ne deriva al Senato, che nè per colpi di Stato, nè per reazioni si rifà l'antico potere. E pure la generazione che ha combattuto la guerra sociale, nella quale fu stabilito il dirittoitalico, la guerra civile non riuscita a rialzare il vec chio senato, è destinata a combattere due guerre servili e la guerra gla diatoria, ordinata in apparenza a rialzare l'antico patriziato sul cadavere di Spartaco. M a si guardi che, se la guerra sociale è per il diritto italico, la guerra servile, che chiude il lavoro della medesima generazione, è pel jus humanım : si guardi Spartaco morire combattendo, senza domandare quar tiere o tregua : si pensi s'ei non aspetti qualcuno dietro di lui, e se egli non senta che il vecchio patriziato non si rialzerà sul suo cadavere. Il senato non concede mai nulla e non riesce mai ad arrestare la d e m o crazia ; lo strappo rende popolare quel ch' era diritto patrizio, italico il dirittoromano,umano ildirittoitalico.Ilsenatochehacredutodivincere la guerra servile, è già servo : At Romae ruere in servitium consules, patres,equites! - Siamo innanzi ad un mondo nuovo e senza nessuna concessione del Senato ! Bene o male ? Rispondo che fu quel che doveva essere. Inevitabile era il cammino della plebe sino alla proclamazione, in Roma, dell'equità umana che doveva dalle nazioni vinte esseretoltacontroRoma vincitrice. Io doveva dimostrare che tutto fu preso e niente concesso e che la grande politica del patriziato romano non consisteva soltanto nel cedere, sembrando concedere, ma nel preoccupare quel ch'era inevitabile nello svolgimento dell'equità : onde leggi democratiche si trovano più volte sotto l'auspicio di uomini consolari e di nomi patrizii. 96 - Quando lo Stato è in sul ricomporsi, e la rinascenza ita liana, che in parte ha fatto e in parte prepara le tre grandi ri voluzioni europee la germanica, l'inglese e la francese volge al suo compimento,allora abbiamo la sintesi degli accor gimenti co' responsi, della politica col diritto, e sorgono i giure consulti politici che sono filosofi della storia. Il giureconsulto è il tipo latino, il politico è u o m o della rina scenza, il giureconsulto politico è uomo moderno. Il primo è la pura esigenza dell’equità,m a dell'equità astratta, perchè il mondo romano era transito dal civismo ellenico all'in dividualismo germanico, e non riusciva a contemperare i due termini, perché il transito non è la sintesi. Il secondo simula il diritto, in cui traveste la forza e la fede, perchè meglio che a far l'uomo mira a rifare lo Stato. Il terzo che vien dopo l'evoluzione intera del civismo e dell'individualismo, riesce a contemperare i due termini e,rispetto ai mezzi,a comporre la politica col diritto, secondo la misura dei tempi e dei luoghi. Questo sentimento dell'equità,che,diffuso da Roma nel mondo faceva la grandezza di Roma e poi la rovina, questo medesimo ricostruivala centro del cristianesimo che era una nuova esi genza dell'equità, cioè non tra' cittadini e tra le nazioni, m a tra gl'individui. Perciò il mondo germanico potė diffondere il cristianesimo, non accentrarlo. E , quando il concetto dell'equità avrà superato anche il cri stianesimo, Roma proclamerà la laicità dello Stato. Ora seguiamo il genio di R o m a attraverso i periodi dei giu reconsulti. CAPITOLO NONO. Giuseppe Ferrari vide che il progresso umano è una risul tante del corso e ricorso, della rivoluzione e reazione, e che questa risultante è significata nella storia dalla soluzione. La rivoluzione e la reazione hanno per premessa la preparazione e per corollario la soluzione. Questo è il circolo sillogistico di Ferrari.– Ma nè questi circoli si concatenano, nè ci lasciano vedere dove vanno, nè l'autore vuole che si guardi fuori e so pra il circolo, dentro il quale l'uomo fatalmente si trova. I cir coli di Ferrari, salvo il criterio della misura, del quale si ha da tenere gran conto, ci lasciano poi innanzi al destino u m a no ciechi,come i circoli di Machiavelli. Vico, denominando le epoche e connettendone la successione, ci promette più larga notizia del nostro cammino, e poi riesce a chiudersi egli stes so dentro i circoli suoi. Ad ogni modo, noverando i periodi del diritto romano,è im possibile dimenticare Vico che non può oggi , come allora, vivere straniero e sconosciuto nella sua patria. Nessun genio compendio più dolorosamente la sua storia. Tutti oggi ripetia m o a coro gli errori di Vico, e ci pare grandezza perdonargli la sua teologia e le applicazioni storiche troppo ristretle al mondo romano, e non vogliamo sapere che la teologia di Vico è quasi di continuo una naturale teologia del genere umano,la quale va a confondersi con l'antropologia, e che il mondo ro G . B o v i o . D i s e g n o d i u n a s t o r i a d e l D i r i l l o , e c c ., e c c . 7 - 97 I Periodi del Diritto romano mano,apparso universale,potė parere nel tempo un disegno reale di una storia universale eterna. Io non so se sia più n a turale la teologia di Vico o più teologica la natura di Herder m a vedo chiaro che, se Herder entra innanzi a Vico nell'esi genza del naturalismo storico come metodo, resta assai indie tro rispetto al contenuto. In Vico c'è più sostanza scientifica, perchè i presupposti teologici e metafisici sono in ciascun libro della scienza nuova superati dal naturalismo italiano che, oc cupando la filosofia della storia, fa Vico l'ultimo titano della rinascenza. Vico celebra la teologia ed è fatto naturalista dal genio italiano;Herder invoca la natura ed è fatto metafisico dal genio tedesco. Tengasicontodiquesteavvertenze:cheVico,ponendo Ba cone accanto a Platone ed a Tacito, poneva l'induzione sul contenuto classico; che l'induzione, prima di apparire teorica in Bacone, era stata teorica e prutica in Galileo e nella sua scuola;che venir dopo Galileo e Bruno in Italia significava portare nella storia le leggi della natura, come aveva tentato la medesima scuola di Galileo ; e che in questo compito doveva concludersi lo spirito della rinascenza. Perciò, sebbene Vico una volta appena tocchi di campagne, di cielo, di acque, di zone e di mutua influenza di nazioni, pure mette di natura nel suo li bro quanta ce n'è nell'uomo, dal senso all'intelletto, guardando in Lucrezio e presentendo Darwin.– Non c'è,dunque,da per donargli la teologia, m a da intendere pensatamente che cosa sono in lui la teologia naturale e la teologia civile. Queste due parole sono reminicenze della scuola privata; ma il contenuto messovi dal Vico è della scuola italiana. Quanto all'applicazione, Vico e Ferrari furono tirati ad o p postissimi errori, l'uno dal difetto dell'erudizione contempo ranea, l'altro dalla mancanza di sistema. Vico neglesse i p o poli storici o li trasse tutti dentro R o m a , Ferrari portò i suoi periodi anche ai popoli estrastorici, dove cioè m a n c a la vita e l'intelletto della storia. 98 Vico noverð tre epoche del diritto e della procedura e, tro vatele in R o m a , conchiuse averle trovate in tutte le nazioni. Nella prima epoca il diritto è divino e tutto involuto nella ra gione degli auspicii,che presso i popoli gentili tien lungo del la rivelazione, onde Iddio privilegið prima gli Ebrei e poi i cri stiani. Nella seconda epoca il diritto è nell'equità civile che è ragion di Stato, della quale il Senato romano fu custode sa piente e geloso. Nella terza il diritto è nell'equità naturale che è ragion comune, esercitata dalle repubbliche popolari e dalle monarchie umane. A questi periodi del diritto rispondono altrettanti della pro cedura. La quale, mentre il diritto è divino,“si esercita, Dio auspice e testimone, ne' giudizii divini. Quando il diritto è p o litico, la procedura è nella scrupolosa esattezza delle formole e delle parole giudiziarie e contrattuali, talchè il diritto paia più nelle parole,che negli uomini.Quando,in ultimo,ildiritto viene a combaciare con l'equità naturale, la procedura diviene una logica tutta'intesa al vero de' fatti, governata dall'intel letto e interpretata dall'equanimità.Quindi,icorpi jeratici go vernano prima, poi gli eroici, in ultimo gli uomini modesti ed equanimi. Vico trova questa successione di epoche nella natura u m a na, poi in Roma, poi, perchè nella natura dell'uomo e nella storia di Roma,nel mondo. R o m a , l'urbs, la città per eccellenza, la città universale, gli è sostrato al disegno di una storia universale. Ma,sollevata a questo vertice di universalità, avviene che prima perde R o m a 'la sua particolare fisonomia in quella delle altre nazioni, poi le altre, e senza serbarne traccia,la perdono in Roma.Non ci si lascia scorgere e neppure intravedere la ragione, onde certe leggi, certi istituti, e magistrati, e carattere ed imprese, furono romani, affatto romani, non trovabili fuori e dopo R o m a, ne perchè certi altri uomini e fatti e leggi non sono trovabili in R o m a . È conseguenza di una filosofia della storia, fondata sulla 99 troppo comune natura delle nazioni, nella quale spariscono le differenze. Perché il tribuno, perchè il pretore e il giureconsulto v e g gonsi in Roma e non fuori,perchè nascono dalla lotta romana e non dalla greca e dalla germanica, perché il responso come ufficio, come valore e forma, permane latino e non è mai supe rato nè imitato, tutto questo che importa sapere, non vi si dice da Vico. Non vi poteva esser detlo, perchè Vico investiga la comune natura delle nazioni e non le differenze, e la investiga nella mente che è comune,non nel dato etnografico e geogra fico che, modificandola, spiega le leggi della successione e della varietà . Se vogliamo,dunque,le epoche storiche del diritto romano, del romano e non di altro, bisogna cercarle nella propria sto ria di Roma, espressione del genio romano. Non è facile l'esatta partizione de' periodi del diritto ro mano ; non è facile almeno rispetto a tutte le sue parti:perchè,se il diritto pubblico si muove insieme con lo Stato e si trasmuta secondo le tre epoche apparenti della costituzione politica di R o m a , non si può dire il medesimo del diritto privato,di cui le divisioni meno apparenti sembrano assai più lente, più consentanee ad una legge continua di evoluzione. Nondimeno abbiamo susficienti criterii per ridurre a tre clas si gli storici che espongono i periodi principali del diritto r o mano . Gli storici che, secondo una dottrina di Vico, dividono le età di un popolo come quelle di un uomo, accettano una divisione fatta con lieve differenza - da Gibbon e da Hugo. Allora la storia del diritto romano vien divisa secondo i periodi d'infanzia, di giovinezza, di virilità e di vecchiezza. Gli storici che considerano il diritto come una funzione dello Stato e veg gono il diritto privato procedere dal diritto pubblico, dividono i periodi del dritto secondo i momenti della costituzione politica diRoma.Allora,lastoriadeldirittoromano nella monarchia, nella repubblica e nell'impero. Questa divisione pare accettata 100 dall'Ortolan che presume derivare la storia del diritto romano dalla storia del popolo.In ultimo, gli storici che studiano lo svolgimento del diritto romano nella missione peculiare che il diritto ha potuto avere nel mondo e nel genio di Roma, divi dono i periodi del diritto secondo i momenti dell'equità. Allora il primo periodo lo dicono conchiuso dalla venuta del pretore urbano, il secondo da Augusto, il terzo da Costantino. Questa partizione, posta da Hulzio, è di molto valore in sé, m i viziata nell'applicazione dall'autore istesso per difetto di filosofia e di critica storica. Non mancano alcune divisioni fatte secondo le condizioni e conomiche e morali di Roma,ma di lieve conto, perchè sono le più incerle ed arbitrarie. È nostro compito – confutate che avremo le due prime divisioni – recare a perfezione la terza. 101 La prima divisione de' periodi pecca di troppa generalità. Anche ammesso che la vita dell'uomo sia divisibile in quattro periodi isocroni e che tutti e quattro col medesimɔ isocroni smo siano applicabili alla storia, n'uscirà sempre una curva co m u n e a tutte le nazioni, nella quale non appare il profilo di ciascuna.Nè questa curva lascia scurgere il transito dall'un all'altro periodo. Se le date che hanno da fissare questi pis saggi non sono determinabili con esattezza nell'in lividuo, chi potrà affermare con certezza, qui finisce l'adolescenza di un p o polo e comincia la giovinezza? Quindi, vengon fuori quelle di visioni arbitrarie, nate piuttosto a comodo di una scuola o di una cronologia convenzionale, che delle intenzioni effettive della storia.Ecco, infatti,come procede questa scuola dell'isocronismo, che porta nella storia romana l'età dell'uom).Prende tredici se c o l i i n R o m a , d a l l a f o n d a z i o n e a G i u s t i n i a n o , e li r o m p e i n q u a t tro parti quasi uguali, di trecento in trecento anni, e denomina ciascuna parte da una delle quattro età dell'uom ). L'infanzia del diritto romano dura dalla fondazione di Roma alle dodici tavole; la giovinezza, dalle dodici tavole a Cesare; la virilità,dia Cesare ad Alessandro Severo ;la vecchiezza, da Alessandro Severo a Giustiniano. L'infanzia sarebbe la monarchia, i primi consoli e iprimitribuni;lagiovinezza,tuttalarepubblica,dalla promul gatio sino alla riapparizione di quella che Livio chiama Vetus R e g i a L e x s i m u l c u m u r t e n a t a ; la virilità e la v e c c h i e z z a s a r e h bero tutto l'Impero,da cotesta tanto contrastata Regia Lex sino al Codex Iustinianeus. M a ciascun vede che i transiti sono estrin seci ed arbitrarii, e non lascian vedere le necessità intime che governano la successione de'periodi.Nė appare perchè invano Giustiniano si sforza, con cinque tentativi, di stringere il cristia nesimo sotto le leggi romane spirito nuovo in vecchia cor teccia – nè come il Cristianesimo si vien costruendo la sua più naturale espressione giuridica nelle leggi germaniche e nel gius canonico. La divisione pui de'periodi giuridici, fatta sulla successione della costituzione politica,è fatta davvero grossamente, e non ci lascia vedere né i momenti principali della repubblica, nè i pe riodi che si succedono nell'istesso impero . È certo che, mutata la costituzione politica,non è soltanto mutata la forma di go verno,ma dev'essersimutatoinsiemeilcontenutodeldiritto pubblico, e, conseguentemente, del privato, sebbene la conse guenza non si mostri immediatamente ; m a nessuno può affer mare che cotesti trasmutamenti non avvengano durante appa rentemente una medesima forma politica.Se l'epoca di Alessandro Severo può dividere in due periodi l'impero, perché la legge Publilia che dichiara popolare la repubblica, e la legge Petelia che libera la plebe dal diritto feudale rustico del carcere privato, non varranno, secondo la mente di Vico, a designare tanta di stanza tra repubblica e re ubblica, quanta forse non se ne trova tra Tarquinio e Bruto ? Ma si faccia questa considerazione che è la più intensa e la meglio dichiarativa, nella storia, della successione de'fenomeni civili e politici.Nell'ordine ideale ed effettuale delle cose umane , la successione de'periodi politici determina e spiega la succes sicne de'periodi giuridici, o, per contrario, la successione dei - 102 periodi del diritto dichiara e prestabilisce la successione de'pe riodi politici?L'homessainteralaformadelladomanda,perchè la risposta erompa da sè. Sebbene nella storia il diritto e la politica, la ragione del l'uomo e la ragion di Stato, si presentino come due concetti, due forze, e - mi sia lecito a dire – due istituti avversi, e la politica sembri nata per comprimere il diritto, ed il diritto per urtare e trascendere gli ordinamenti politici, pure, in fondo ed in ultimo, la forma dello Stato finisce per dischiudersi alla nuova esigenza del diritto. Così sempre : se un nuovo bisogno vien determinando una nuova idea del diritto, già si sente per l'aria il fremito di una rivoluzione ; e se uno Stato nuovo sorge ad occupare questa nuova concezione giuridica, appena nato, già tende a cristallizzarla ed a mozzarne le illazioni. Tutto ciò può esser vero ; m a pur si vede e s'intende che la nuova forma di Stato, quale che sia, s'è venuta organando intorno a quel nuovo concetto del diritto. Per non far, dunque, irrazionali ed astrologici i mutamenti politici, noi dobbiamo affermare che l'ordine naturale delle cose c'impone di non derivare dalle forme successive dello Stato i periodi del diritto, m a dall'evolu zione della coscienza giuridica i periodi politici. Perciò scrissi e ripeto che ne'periodi politici del Ferrari ammiro la genialità del pensiero e i germi dischiusi del natura lismo italiano; ma sono periodi,ai quali mancano le premesse. Si potrebbe rispondere che per queste ragioni appunto i mutamenti politici andrebbero intesi come segni esteriori e certi dei periodi del diritto. No - ripeto per due chiare ragioni : l'una, che per questa via si viene a rendere equivoco il pro cesso della storia, potendosi assai facilmente scambiare le cause con gli effetti, e scambiare il diritto che promuove il muta mento politico, con la legge che ne consegue ; e l'altra, che verrebbero a mancare i criterii per distinguere i veri dagli a p parenti mutamenti politici e le rivoluzioni politiche dalle sor prese settarie e da'tumulli più o meno rumorosi e vuoti. Un 103 104 mutamento politico è reale e durevole, se determinato da una nuova concezione giuridica;e,quando no,sidilegua,lasciando tracce di sangue, non d'istituzioni. Occorre,dunque,come si è detto,seguire lo svolgimento del diritto romano nella missione peculiare che il diritto ha potuto avere nel mondo e nel genio di Roma,e però dividere i pe riodi del diritto secondo i momenti dell'equità, onde procedono le successive forme della costituzione politica di R o m a . Facciamo parlare i fatti. Perchè in R o m a si passa dalla m o narchia alla repubblica e poi all'impero ? Se rispondesi che Tarquinio potè estinguere il potere regio come Cesare rifarlo, si viene a conchiudere che l'origine e la rovina delle istituzioni sono in balia di un uomo. Una storia cosi fatta non c'è, nè c'è oggi chi torni a narrarla. Se Tarquinio potè finire il regno, perché l'impero non cessó in Domiziano, quando praecipua miseriarum pars erat videri et adspici? Altro, dunque, che la ferocia e la clemenza di un principe, di un sacerdote, di un capitano occorre per determi nare e spiegare la vita o la morte delle istituzioni politiche. Lasciamo a Voltaire la facilità di dimenticare le premesse del suo saggio su'costumi e sullo spirito delle nazioni, per affer mare che il delirio di un Cucupietre potè iniziare il periodo delle crociate, e gl'insidiosi interessi di monaci il periodo della riforma. Quanto a Roma,il vero si è che la reazione di Tar quinio mal poteva resistere ad una nuova esigenza giuridica, adombrata già dalla favola, che i Commentarii di Servio Tullio erano destinati a passare nelle mani di Giunio Bruto. Questo mito de'Commentarii era tutta una tradizione che diceva tra gli scritti di Servio Tullio essersi trovato nientemeno tutto intero il disegno di una costituzione repubblicana ; che questo non era soltanto un disegno,ma un proposito di Servio; che questo proposito appunto gli era costata la vita; e che non dimeno disegno e proposito erano passati da Servio Tullio a Giunio Bruto. C'è, a primo intuito, qualche cosa in questa tradizione, la quale è assai più scientifica, che non una repubblica esplosa dalla superbia di Tarquinio, dalla fatuità di Bruto e dal cada vere di Lucrezia. La tradizione si fonda sopra questi dati di fatto: che la prima monarchia di Roma non somiglia a nessun'altra delle monar chie antiche e moderne,ed è,conforme al genio di Roma,una istituzione giuridico-militare ; che, secondo questo carattere ori ginario e primordiale di R o m a, il diritto è una continua ten denza verso il suo natural fine che è l'equità; e che però i periodi nella evoluzione dell'equità devono essere i periodi sto rici del diritto romano. Ora,se il diritto inRoma sorge come istinto o genio di tutti da una parte, e dall'altra come sapienza privilegiata di un or dine, di quello cioè che si reputa destinato a conoscere e cu stodire le leggi, quale potrà essere il vero primo momento del l'equità ? Suttrarre la legge al mistero, sottrarre la sapienza al privilegio, far la legge nota a tutti : promulgatio . Questa esi genza come diritto crea la repubblica ; come legge, succede al decemvirato . Quindi, il primo momento dell'equità è l'equità formale, la promulgalio, ma necessaria, perchè dalla forma si passi alla sostanza. L'ignoto sfugge all’equità. E questa necessità sa liente a traverso il periodo regio spiega la tradizione de' C o m mentarii di Servio, la reazione del Superbo, la fine della m o narchia sotto questa reazione, l'avvenimento della repubblica col disegno di Servio passato a Bruto, e primo prodotto della repubblica il Tribuno che a sua volta produce la promulgatio. In fatti, quanto tempo corre dal regifugium alla promulgatio ? Ben sessant'anni vi corrono, e tra queste due generazioni sorge in mezzo il tribuno. Accanto al cadavere di Gneo Genunzio sono possibili le rogazioni di Publilio Valerone, di Terentillo Arsa, di Siccio Dentato, sino alla istituzione de'Decemviri le gibus scribundis. 105 € Olitiche ܝܶܨܶܕ݂ܕܶܐ er io udo del gurt zione is ienterne cara 6; di Sem o chen Tulli e 106 - Quando si domanda che è la legge scritta e promulgata, si risponde che è l'eguale notizia della legge. E codesta egualità è l'equità prima e rudimentale, è il primo aequum bonum , ė la prima aequitas spectanda, è la prima libertas aequanda, è il primo poter dire formalmente summis infinisque jura aequare. Formalmente ancora,anzi appena,ma quanto costa questa prima equità,senza della quale nessun'altra sarà possibile,quante secessioni della plebe, ed un tribuno ucciso malgrado il caput Jovi sacrum intimato all'uccisore, e finalmente la figura tipica di Cincinnato, intervenuto ad equilibrare le parti nella lotta d e cennale tra l'istituzione del Decemvirato e la promulgazione delle prime dieci tavole ! La promulgazione, primo grado dell'equità formale, appunto perchè tale, può far tanta ingiuria al fine ed alla natura del l'equità, da rilevare la contraddizione nella parola istessa. A l lora il patriziato può inventare una parola nuova, inciderla in una colonna, e la colonna alzare nell'area, dov'erano le case distrutte di un plebeo ucciso.AEQUIMELIUM :ecco la nuova pa rola che annunzia in tuono di sfida la contraddizione tra il fatto e la forma. Questa contraddizione dichiarata tra la legge nota a tutti e favorevole a pochi, questa spinge al secondo momento dell'e quità formale, all'eguaglianza di tutti innanzi alla legge. Questa seconda equità sforza a tenere equilibrato conto delle condi zioni o circostanze che accompagnano i fatti e le persone, gli effetti e le intenzioni, affinchè la parità innanzi alla legge sia reale. Ecco il Pretore. L'editto prelorio è da prima l'equità ne'casi particolari, è, ciò che dev'essere l'eguaglianza innanzi alla legge, l'equità particolareggiata. Forse l'avvenimento del Pretore è un fenomeno puramente giuridico o giudiziario in disparte dalla vita politica di R o m a ? È il prodotto della più travagliosa politica, determinata dalla più grande evoluzione giuridica della coscienza romana . II Pretore sorge,quando ai Decemviri legibus scribundis sono suc 107 ceduti i Decemviri sacris faciundis, cioè quando il diritto augu rale è passato dal patriviato alla plebe,quando ai tribuni con solari patrizii si contrappongono le rogazioni licinie, quando la plebe sale ad occupare il consolalo, la dittatura, il diritto cen sorio ed ogni magistratura curule, quando le ragioni pubļilie ci avvisano che la republlica di aristocratica è fatta democratica : eguaglianza di tutti innanzi alla legge. Costituitosi l'istituto pretorio, si risolve un gran problema sociale e s'inizia un nuovo periodo politico. Il problema sociale, risolutosi nella quarta secessione della plebe e per la dittatura di Valerio Corvo, è la liquidazione dei debiti e la divisione dell'agro pubblico. Il pericdo politico che s'inizia,è l'unificazione d'Italia.Il periodo unitario è annun ziato dalla prima guerra sannitica. Tra l'unificazione d'Italia e l'unificazione di tutti sudditi dell'impero fioriscono tutt'i grandi giureconsulti, onde si onora e perpetua la sapienza latina, Elio,Catone, Scevola, Servio Sul picio,Labeone,Sabino,Giuliano,Gajo,Papiniano,Paolo,Ulpiano, Perciò, quando Vico avvisa che con la legge Publilia e con la Petelia tra gli anni 416 e 419 di R o m a si passa dalla libertà signorile istituita da Giunio Bruto alla repubblica popolare,ebbe presente Livio: Quum tamen per dictatorem datae discordiae sunt, concessumque ab nobilitate plebi de con sule plebeio, a plebe nobilitati de proetore uno, qui jus in urbe diceret,ex Patrilus creando.- Ed ecco l'origine politica del pretore, la quale dichiara questo processo della storia romana : 1° esigenza giuridica rogazioni licinie; 2° mutamento poli tico repubblica popolare ; 3° legge conditionibus se Se questo non fosse stato il processo della storia, e la legge non indicasse il mutamento politico, e questo non indicasse un periodo compiuto della coscienza giuridica, si continuerebbe a costruire una storia romana su'fasti femminei, e si direbbe che con Lucrezia cadde la monarchia, con Virginia il Decemvirato, e con una Fabia la repubblica signorile. editto pretorio. 108 Sopra ogni altro è celebrato il responso di Papiniano,perchè più universale, e la cui ultima parola coincide con l'imperiale costituzione della cittadinanza universale. Il responso di Papirio, venuto prima del periodo unitario, e quelli di Ermogene, di Gregorio, di Triboniano e di Teofilo, arrivati con la decadenza, non ritraggono l'ufficio dell'equità romana . Ma codesta equità che di formale tende a farsi sostanziale, e da Roma si espande per l'Italia e dall'Italia nel mondo, è veramente l'equità u m ina ? ha assunto l'ultima espressione nel responso di Papiniano? percið vive ancora, interrogata e cele brata in tutti gli Atenei del mondo ? il mondo, insomma,studia il diritto romano),perchè fu davvero umano ? S Modestino. Più si dilata l'unificazione e più universaleggia il responso ; e, come più il responso si fa universale, più ancora l'equità penetra dalla forma nel contenuto . A noi conviene esaminare partitamente i tre grandi periodi dell'equità in R o m a . N e rimarrà illustrata la storia della nostra antica grandezza. CAPITOLO DECIMO. Esame de'periodi giuridici e politici in Roma A m e par di avere con sufficiente chiarezza fermata questa legge storica : che nella successione delle cose civili il m u t a mento politico framezza tra una nuova esigenza giuridica e la legge scritta. A coloro che hanno paura di ogni formola, cre dendola una minaccia metafisica o una nuova invasione scola stica, e non sanno che le formole sono o definizioni genetiche o espressione di leggi naturali, traduco questa legge storica in queste espressioni più analitiche: prima si determina un nuovo bisogno ed una nuova coscienza giuridica; poi Se cosi non procedessero le cose civili, mancherebbe l'ar tefice della nuova legge, mancherebbe la causa de'mutamenti politici. Non parlo delle congiure, delle sėtte, de'regicidii e di altre cause apparenti de'mutamenti politici per non creare a me stesso objezioni puerili a pretesto di analisi lunghe e volgari : tutti sanno che non c'è effettuale mutamento politico,se in fondo non ci sia una grande e maturata esigenza giuridica, la dichia razione di qualche diritto comune lungamente contrastato : m a non tutti sanno se ogni nuova esigenza giuridica basti a cagio nare un mutamento politico. - 109 - stenze più o meno travagliose - un mutamento dopo resi politico;in ul timo, fica e sancisce dal nuovo potere costituito la nuova esigenza promana giuridica la legge . che speci causa di mutamento politico ogni dichiarazione di diritto, che implica una diminuzione di privilegio nell'ordine domi nante . Cotesta dichiarazione ordinata a diminuzione di preminenze implica sempre,più o meno, un summis infimisque jura ae qu ire.Ogni periodo dell'equità, dunque, annunzia un nuovo pe riodo politico. Sono evidenti le due illazioni: non sono mutamenti politici quelli non giustificati da una nuova dichiarazione di diritti; non SONO mutamenti durevoli quelli non prodotti da larga e co sciente dichiarazione di diritti. Quindi, vi può essere molto sangue civile senza rivoluzione, ed una grande rivoluzione incruenta. N'emerge evidente non potersi fare la storia giuridica di un popolo senza la storia della costituzione politica : i periodi sono gli stessi : le fasi della causa si riscontrano nell'effetto. Nel momento,in che si passa dalla convivenza gentilizia alla costituzione politica, in R o m a comincia lo Stato : il m e m b r o della convivenza era gentilis, il m e m b r o della costituzione era civis. Le genti erano Ramnes, Tities, Luceres, Albani, Sabini, R o mulei ; la loro unità civile e militare fece lo Stato. Secondo più o meno si partecipava della costituzione politica, si era più o meno cittadino: civis optimo vel non optimo jure ; e l'unità fra tutti era personificata dal re, il quale, come ho detto, era unità giuridico-militare. Come istituzione giuridica, raccoglieva in sè il potere legislativo e giudiziario;come istitu zione militare, movea l'esercito e gli agenti esecutivi. Dissi ancora che non somiglia a nessun altro re antico e m o derno : non era assoluto, perchè la sovranità era nel popolo ;ne costituzionale, perché il suo imperium era temperato dal genio giuridico di Roma e dagli ordinamenti patrizii, non da un co stituito potere rappresentativo. È - 110 Se la sovranità era nel popolo, l'imperium non si poteva esercitare dal re senza una legge curiata de imperio, una specie di delegazione di sovranità.Mommsen non crede a questa legge primitiva de imperio e la dice trasportata per errore dalla ele zione consolare a quella de're. Ho ragione di credere piuttosto a Livio ed a Cicerone, i quali la deducono dall'istessa natura del potere regio , dall'essenza dello imperium. Non è lecito dubitare delle tradizioni del giure pubblico, del quale le for mole si trasmettono letteralmente. Rottosi il potere regio, l'imperium e conseguentemente la lex de impario, intesa come investitura, di perpetui divennero annui, cioè passarono dai re ai consoli, che Cicerone chiama potestas annua jure regia. Le altre magistrature ordinarie che sorgeranno più tardi, come la censura, l'edilità curule, la pre tura, la questura, saranno diramazioni del consolato. A voler secondare le tradizioni, niente è più difficile di co testo passaggio dalla monarchia al consolato. Secondo Tacito il transito sarebbe stato determinato dalla libertà,cioè dal proposito di più liberi ordinamenti. LIBERTATEM et consulatum L. Brulus instituit. Vico non consente, perché la repubblica sopravvenuta fu più signorile del principato,fu rivolta di patrizii che consen tirono a Bruto l'istituzione del consolato, non della libertà. C'è più di ragione in Tacito, perché il passaggio dal principato alla repubblica fu una evoluzione della legge curiata de imperio, la quale implicava la temporaneità e la responsabilità del potere. E questi due fattori che la tradizione doveva avere allogato nei Commentarii di Servio Tullio,passarono al primo Bruto.Non è di picciol valore la parola annua nella definizione data da Ci cerone alla potestà consolare, e, come più diminuisce la durata dell'imperium, più cresce la responsabilità. I re potevano allora, come oggi, rispondere innanzi alle rivoluzioni ed alla guerra ; i consoli, compiuto l'anno, erano esposti, non rei gerundae caussa sed rei gestae, alle accuse de'loro concittadini. E mi piace di risermare contro M o m m s e n che non la lex de imperio è una evoluzione della repubblica, ma la repubblica è una evo luzione della lex dc imperio. E sotto questo rispetto si può ri 111 petere con Tacito: Libertatem et consulatum L. Brutus in stituit; s'egli è vero che la temporaneità e la responsabilità dell'imperium sono i primi fattori della libertà politica. Quando affermo che l'evoluzione della lex curiata de i m perio mena dalla monarchia alla tepubblica, io rifermo questo alto principio, che i rivolgimenti politici sono prima periodi nella evoluzione del diritto. Senza questo processo, tanto è razionale spiegare l'origine della repubblica romana con una insurrezione di patrizii, intesi a sostituire l'aristocrazia al monarcato,quanto era possibile alla congiura de'Baroni rovesciare nel reame di Napoli il principato, per ricostruire,con prelesto popolare, tutt'i vecchi ordini feudali. Bisogna quindi rifermare che,come Tacito, usando la parola libertà nel senso spiegato sopra, ha ragione contro Vico, cosi Livio, riserendo a tutte le otto generazioni passate attraverso i sette re la lex de imperio,ha pienamente ragione contro M o m m Se si sposta o si tronca questa tradizione, l'avvenimento della repubblica esplode, non si spiega. Non è facile spostare certe tradizioni nè confutare alcune parole dei classici (1). Caduto il monarcato , contro la mutabilità delle magistrature e l'incertezza delle deliberazioni popolari rimase, sola istituzione stabile, il senato, già corpo consultivo, durante il principato, e, nella repubblica, istituto legislativo, politico ed amministrativo. Il potere amministrativo gli apparteneva intero, cosi sull'agro pubblico come rispetto ai fondi del pubblico tesoro. Intero gli (1) Livio e Dionigi d'Alicarnasso ci tramandano quasi l'identica tradi zione della legge regia. Cicerone ne'libri della Repubblica cura di ripe tere per ogni elezione di re le parole dette per l'elezione di N u m a P o m pilio : Quamquam populus curiatis cum comitiis regem esse jusserat, tamen ipse de suo imperio curiatam legem tulit. La costanza delle pa role di Cicerone indica due cose : la tenacità delle formole del diritto p u b blico e idocumenti pubblici,ai quali Cicerone aveva dovuto attingere.Ed io,considerando la legge curiata come il fondamento di tutto ildiritto p u b blico romano , non solo stimo il passaggio dalla monarchia alla repubblica essere stata una evoluzione di questa legge,ma stimo una evoluzione della 112 - sen . apparteneva il governo della politica estera, per due ragioni: per la competenza e per il carattere militare dello Stato romano. È vero che tutti gli Stati sono gelosi e, quando possono, inva denti,e gli Stati antichi più de'moderni; ma sopra tutti gli antichi e moderni ,lo Stato romano ,al quale peregrinus erat hostis, e pax erat pactum , quasi stato di tregua, non di natura. Quanto alla politica interna ed al potere legislativo, il S e nato li aveva, partecipe il popolo convocato in comizii, i quali erano istituzioni giuridico-militari: giuridiche per il fine, mili tari nella forma. Militarmente il popolo interveniva, quasi exer citus urbanus, e militarmente non discuteva, m a rispondeva seccamente il suo uti rogas o antiquo. E bene, fu quest'assenza di discussione dall'assemblee p o polari la grande politica e la gran forza di Roma, fu il segreto della rapidità nelle deliberazioni, nell'esecuzione, e, assai volte, il segreto delle vittorie. Si o No. Ferrari, ricordando dall'Amlet che la discussione tronca il nerbo all'azione, vede l'inferiorità delle repubbliche quanto alla rapidità dell'azione ; m a non vide di quanto la repubblica romana avanzava per senno politico le repubbliche elleniche, e per subitezza d'azione tutti gli Stati moderni, compresa l'Inghilterra. Devo ricordare che questo carattere militare che R o m a m a nifesta sinanco ne'comizii, questo exercitus urbanus,che ricorda l'exercitus castris, non si dissocia mai dal genio giuridico di questo popolo agricoltore. Mai da' Romani fu fatta guerra per medesima iltransito dallarepubblica signorilealla popolare,edallare pubblica all'impero, quando,per nuove necessità, l'investitura de'poteri passò dalle magistrature temporanee all'imperatore. Nè dalla filosofia della storia né da'fonti mi risulta ragione alcuna, per la quale Mommsen possa affermare che la lex de imperio sia narrazione inventata evidente mente dagli insegnanti di diritto pubblico ai tempi della repubblica per l o r o f i n i. P e r q u a l i f i n i ? V e d o i n v e c e c h e l ' e r i d e n z a a p p u n t o m a n c a a l l a s u a affermazione,e che,facendo riposare egli stesso lalegge curiatasopra con suetudine antichissima,risale con Livio,con Dionigi d'Alicarnasso e col suo ingiustamente deriso Cicerone,sino ai tempi della prima monarchia romana . - 113 - 8 - G. Buvio.Disegno di una Storia del Diritto,ecc.,ecc. aggressione, more latronum ; mai guerra non dichiarata o per cause ingiuste, bellum iniquum : volevano iustum, purumque duellum; e con l'intervento de custodi della fede pubblica che erano i feciali, volevano pium bellum. Popolo belligero questo di Roma, perchè una missione giuridica non fu compita mai co'sermoni,ma che per questo appunto conobbe ed osservò il diritto delle genti più che gli altri Stati meno bellicosi,special mente con l'osservanza massima del rispetto agli ambasciatori. Tutte le formule per la dichiarazione di guerra ci sono di stesamente tramandate da Livio. Coloniale,quello de'cittadini romani trapiantati in citta vinta. Cosi lo Stato romano, primo efficace colonizzatore del mondo, asseguiva due fini: dava stabilità alla conquista e sgravavasi, in parte, del proletariato urbano. I coloni conservavano la piena cittadinanza cum suffragio et iure honorum . Municipale era il diritto civile di un comune non conqui stato,ma ridotto ad obbedienzaversoRoma,conqualcheobbligo (munus), come o di servizio militare o d'imposizione tributaria o dell'uno e dell'altra. Municipes erant cives romani sine suf fragio et iure honorum . Provinciale era proprio il diritto che avanzava ai vinti.Non più civis né la quasi effigies populi romani, dove troviamo un populus stipendiarius, un popolo cioè senza cittadinanza, senza territorio proprio,e spesso senza il commercium .Che è,dunque, che può essere avanzato ai vinti ? Non più di quel che si trova o nella clemenza o nell'ira o nella convenienza del vincitore. E la convenienza, sotto specie di magnanimità, prevaleva nel decreto del magistrato delegato ad ordinare la provincia. D u r a mente Gaio : Quasi quaedam praedia populi romani sunt vecti galia nostra atque provinciae. Il Mommsen segue Festo non Niebuhr nell'etimologia della parola provincia, da vincere, sia ) 11'1 Con la guerra il diritto romano dilargavasi, e risultanze di verse della guerra erano le tre forme che, uscito di R o m a, il diritto assumeva : coloniale, municipale, provinciale. poi che pro significhi il procedere de'due eserciti consolari, come piace a Mommsen, sia che ante,come piacque a Festo. Il certo è che dalla diversa vittoria si traggono le distinzioni ve dute da Cicerone tra la Sicilia e le altre provincie. M a per giungere a lutte queste diverse gradazioni del dritto, suori di Roma,le quali sono effetti diversi della guerra, bi sogna aver superato il periodo della repubblica aristocratica,di quella immediatamente succeduta al regno, quando i patrizii avevano tre mezzi per deludere é menomare della plebe, ed essere entrati nel periodo della repubblica p o polare, quando , meglio equilibrate le parti, comincia l'epoca dell'unificazione italica. I mezzi de'patrižii erano la convocatio, l'auctoritas patrum e l’ius augurale. I patrizii potevano convocare le assemblee e cancellare, per vizio formale, le deliberazioni popolari; e, quando, convocata l'assemblea, il voto accennava ad un certo indirizzo, potevano troncarlo, spingendo l'augure - a sciogliere il c o m i z i o c o n l a f o r m o l a : A l i o d i e : a t e m p o s e n z a m i s u r a ! I m porta ricordare le parole di Cicerone, DE DIVINATIONE : Fulmen sinistrum , auspicium optimum habemus ad omnes res, praeter quam ad comitia: quod quidem institutum reipublicae causa est, ut comitiorum , vel in judiciis populi, vel in iure legum, vel in creandis magistratibus, principes civitatis essent interpretes. Ecco, dunque, gl'interpreti de'comizii,principes civitatis; ed anche il fulmen sinistrum per frustrare il voto diveniva infau stum omen ! La formola,dunque, di Cicerone in DE LEGIBUS : Potestas in populo, auctoritas in Senatu sit, traducevasi una potestà senza potere. Occorrerà, dunque, qualche cosa, perchè questa potestà sia potere: occorrerà che trovi in sè l'autorità sua. Allora è necessario che il popolo abbia certa notizia della procedura, abbia certezza delle leggi, e che l'ignoto della legge le deliberazioni 115 ufficio patrizio 116 non sirisolva nell'arbitrio de'principescivitatis.Ed ecco la ne cessità della promulgatio, la quale non significa tanto notizia quanto certezza delle leggi. Non istiamo a ripetere quanta lotta costasse la promulgatio, perchè le parole di Livio e di Cicerone non superano il vero, quando affermano che prima della pubblicazione delle dodici tavole il diritto civile era riposto ne'penetrali de'pontefici: re positum in penetralibus pontificum ; m a lo superano, quando si tirano sino ai tempi posteriori alle dodici tavole. Certo che lotta fiera si dovette combattere per sottrarre il diritto ai penetrali de'pontefici, cioè all'ordine, cui i pontefici appartenevano, il quale a sua posta governava i comizii con la convocazione, con l'autorità e col diritto sacro. M a senza bisogno di gran lotta venne la pubblicazione delle formole procedurali, fatta da Gneo Flavio un secolo e mezzo dopo le dodici tavole, pubblicazione intesa sotto il nome di ius civile Flavianum , con la quale la plebe liberavasi dal bisogno di ricorrere e consultare i ponte fici. Se le formole comprensive non saranno mai oziose, si può dire cosi : le dodici tavole democratizzano la notizia del diritto; l’ius civile Flavianum laicizza la procedura e la giuri sprudenza. Doveva costar lotta la premessa, con la quale apri vasi un periodo storico, non la conclusione, con la quale chiu devasi. 1 Considerando il significato della promulgazione, io non posso credere agli scrittori che con beata semplicità stimano poco de mocratico e niente normale l'ufficio del tribuno in R o m a . A f fermo invece che le dodici tavole non si sarebbero potute mai promulgare senza gran lotta contro il patriziato, cui giovava il mistero delle leggi e segnatamente della procedura, senza della quale le leggi non si muovono; che questa promulgazione fu strappata in nome della prima equità,della prima aequanda li bertas, almeno circa la notizia e certezza delle leggi ; e che questa prima equità sarebbe stata ineffabile ed inconseguibile senza la persona sacra del tribuno. Il tribuno è il risultamento 117 più normale ,più naturale della prima lotta tra il patriziato e la plebe; e non solo senza il tribuno non s'intenderebbe la p r o mulgatio, ma questa appunto compendia e spiega la più diretta missione dell'ufficio tribunizio : onde il popolo per conseguirla sospende nel decennio decemvirale sinanco la provocatio ad populum . Ora, quel che resta a sapere circa il valore della promulga zione, si è se quiesta prima equità consista soltanto nella eguale notizia della legge o, insieme, nella sostanza della legge istessa. (1) Bovio : Saggio critico del diritto penale e del nuovo fondamento etico. Napoli, 1872. Vedi ancora Corso di Scienza del Diritto. Napoli, 1877. Scritti filosofici e politici, Napoli, 1883. Cicerone, incerto sempre tra l'aristocrazia e la democrazia, ma,come tutte le tempre deboli e gli opinatori saliti in fama, piuttosto blanditore del patriziato, ecco ciò che fa dire contro il tribunato nel DE LEG.: N a m mihi quidem pestifera videtur (la potestà de'tribuni), quippe quae in Un occhio alle dodici tavole chiarirà col fatto questo primo assioma di legislazione positiva : che, quanto più lato in uno statuto od in un codice è il diritto penale, tanto più stretta è l'equità civile. E questo spiega da una parte la voce continua dell'equità:Summum jussummainjuria;edall'altra,questa legge storica d'ogni legislazione positiva : il dritto penale e l'e quilà civile movonsi nella storia in ragione inversa (1). Credo avere largamente dimostrato in queste opere,che,quando si vo glia tener giusto conto de'fenomeni storici e considerare il valore degli istituti lungamente durati, convien dire che,come il naturale risultato della lotta tra la monarchia ed il popolo fu il consolato, cioè la regia potestà annua e responsabile, così il risultato naturale della lotta tra patriziato e plebe fu il tribunato, per la certezza de'diritti della plebe.Non solo nulla di anormale troviamo nell'istituzione tribunizia, la quale non fu mai un ba stone ferreo tra le ruote dello Stato romano,ma, fattasi popolare la re pubblica, tutte le magistrature troviamo come una evoluzione della potestà tribunizia. Gl'imperatori dovettero entrare in questa forma. Tacito pre senta Augusto consulem se ferens et ad tuendam plebem TRIBUNITIO IURE contentum , e il primo editto di Tiberio tribunitiae potestatis praescri ptione. Esaminiamo. Cicerone vede il Libellus XII Tabularum superare le biblioteche di tutt'i filosofi per due ragioni: aucto ritatis pondere et utilitatis ubertate. Cosi, nel De Oratore. Nei libri della Repubblica l'entusiasmo sbolle, ed ei condanna gli ultimi decemviri: qui, duabus tabulis iniquarum legum additis, quibus, etiam quae disjunctis populis tribui solent, connubia, haec illi ut ne plebei cum patricibus essent inhumanissima lege sanxerunt. Ma è questa la sola ineguaglianza, onde Cicerone, ammiratore delle tradizioni, si lasci trasportare sino alla parola inumanissima? Furono più inumani,più patrizii, più aristocra tici i secondi decemviri legibus scribundis dei primi ? Quando nella III Tavola leggiamo contro il debitore: Tertiis nundinis partis secanto ; si plus minusve secuerint, ne fraude eslo; noi non dobbiamo commentare col relore Quintiliano che alcune cose illaudabili per natura siano permesse dal diritto, m a dobbiamo fingere di ricorrere ad una certa sapienza crudel srditione et ad seditionem nata sit: cujus primum ortum si recordari columus,inter arma civium etoccupatis etobsessisurbislocis,procrea tum videmus.Deinde quum esset cito letatus, tanquam ex XII Tabulis insigni ad deformitatem puer, brevi tempore ręcreatus, multoque toe trior etfedior natus est.IlTribunato,dunque,è venuto fuori come bam bino mostruoso e deforme! Ma come avviene che si svolge per tre secoli almeno di vita eroica ? e v’ha nella storia un provvisorio di tre secoli ? E nato ad seditionem o contra vim auxilium ? Si può perdonare a Cicerone d'avere ignorato, allora, che tutt'i diritti nascono in seditione, m a non si può ignorare oggi che senza i tribuni nè icomizii tributi sarebbero mai nati, nè plebisciti si sarebbero mai fatti, né i plebis scita avrebbero in s e guito acquistato valore di populi scita, nè la promulgatio sarebbe mai avvenuta,nè mai pubblicate quelle tanto celebrate Dodici Tarole, delle quali tanto ammiratore si professa egli proprio,Cicerone,nè la repub blica di signorile sarebbe passata a popolare,nè,in ultimo,egli,Cicerone, sarebbe mai stato console, o, eletto, si sarebbe davvero detto di lui quello che in miglior senso diceva M. Catone: Dii boni, quam ridiculum con su lim habemus ! Seneca ci dice che ai tempi di Tito Livio disputavasi se fosse stato meglio per la repubblica che Cesare fosse nato,o no.Era me - glio investigare,iodico,sesenzailtribunovisarebbemaistatarepubblica. 118 > 119 mente pietosa escogitata da Aulo Gellio, che cioè gl'infelici sian fatti salvi dall'istessa enormità della pena : Eo consilio tanta i m manilas poenae denuntiata est, ne ad eam unquam perveni retur. La quale sentenza, divulgata ne'tempi dell'autore delle notti attiche, è respinta erroneamente sino ai tempi abbastanza reali del primo decemvirato: reali nel senso, che le leggi erano scritte per esser fatte. Se la carità del tempo ha voluto portar via dalla Tavola IV de jure patrio le disposizioni durissime circa la patria potestà sconfinata, resta la traduzione di Dionigi d'Alicarnasso che la riassumecosi:Siveeum (filium)incarcerem conjicere,sivefla gris caedere, sive vinctum ad rusticum opus detinere, sive occi dere vellet. Papiniano riassume in tre parole : Vitae necisque potestas. Forse sino alla virilità del figlio? Toto vitae tempore licet filius jam rempublicam administraret et inter s u m m o s magistratus censeretur, et propter suum studium in rempubli cam laudaretur. E si dà cura Dionigi di farci sapere che i D e cemviri non ebbero a portarla di fuori, come si favoleggiava, questa legge, m a a dedurla da quella che Papiniano chiamava lex regia, farla quarta delle dodici e metterla nel foro: Sublato regno,decemviriintercaeterasretulerunt,extatqueinXII Ta bularum , ut vocant, quarta, quas tunc in foro posuere. C i ò c h e r e s t a d i q u e s t a t a v o l a , è il p i ù u m a n o , i n c h e m o d o cioèsipossaaffermare:Filiusapatreliberesto;ma ciòcheil tempo ha cancellato, non è tale da giustificare tutto lo sdegno di Cicerone contro soltanto le ultime due delle dodici. E che si deve dire, rispetto all'eguaglianza, quando si passa alla tavola V , per considerare la condizione delle donne, eccet tuate le Vestali? Anche qui il tempo ha passato la spugna,ma restano le istituzioni di Gaio per darci notizia di quel che manca : Veteres voluerunt feminas, etiamsi perfectae aetatis sint, prop ter animi levitatem in tutela esse... Loquimur autem , exceptis virginibus vestalibus, itaque etiam lege XII. Tabularum cau tum est. Quando vuolsi davvero spiare dove un corpo privilegiato, predominante e nel medesimo tempo minacciato, studia l'alto riparo, si dà uno sguardo alla legislazione penale. L'abbon danza,la ferocia delle pene, la rapidità della procedura penale, compensano la parvità della ragion civile. Una tavola delle d o dici,l'ottava, de delictis, ci fa intendere che i decemviri,già scelti nell'ordine de'senatori,nè tra gli Dei indigeni nè tra'pe regrini accolgono la Dea Clemenza . Cicerone mostra consolar sene, assermando, ne'libri della Repubblici, che per pochi m a leficii le XII Tavole stabilirono la pena capitale. Il vero si è che, oltre il taglione, comune già a quasi tutte le legislazioni penali primitive, e le verghe che scendono ad illividire anche l'impu bere, la morte vi spesseggia, tanto che, traboccata dalla tavola ottava, entra ad occupare due disposizioni della nona, la quale tratta non più di reati e pene, ma de jure publico. 120 Si noti, a questo proposito, che l'assenza della morte dalla tavola X (dejure sacro) ricorda che la religione in Roma, se condo il carattere italico,non è l'elemento predominante, e che, come ho notato sopra,in Roma piuttosto gli Dei intervengono in servigio dell'uomo, che l'uomo degli Dei. E il rapido decre scere della giurisdizione pontificale ne'giudizii penali riserma questo concetto. Non è già che io tenga poco conto delle testi monianze di Dione, di Livio e di Tacito rispetto all’espiazione religiosa; ma voglio dire che nell'intervento del principio sa crale in tutte le legislazioni penali primitive è notevole questa differenza, che, dove presso gli altri popoli entra come conte nuto,in Roma interviene piuttosto come forma; altrove cioè gli offesi possono essere gli Dei che costituiscono espiatrice la pena , e in R o m a l'elemento sacrale serve a rendere più temibile la pena, senza nè sospendere la provocatio ad populum , nè sot trarre ai comizii centuriati il diritto di sentenziare negli affari capitali per un cittadino romano. Cicerone ricorda nel De le gibus che le dodici tavole vietano di deliberare di cosa capitale fuori del comizio massimo : De capite civis rogari, nisimaximo comitiatu, vetat.-- Non dimentico nemmeno l'etimologia sacra delle parole supplicium e castigatio ; m a ricordo che Festo c o n corda con Cicerone, affermando: At homo sacer is est quem POPULUS indicavit ob maleficium . E quel populus chiarisce la molta differenza dal diritto germanico, secondo il quale la di vinità direttamente offesa chiede espiazione diretta per mezzo dei suoi sacerdoti. Avverrà subito, ed anche in seditione, che dall'una egua glianza si tenti passare all'altra, dalla formale alla sostanziale, dalla eguale certezza della legge,alla certezza della legge eguale, e che appunto il matrimonio sarà l'argomento del transito, perchè contro i corollarii, cioè contro gli effetti visibili, c o m i n ciano le sedizioni popolari ; m a questa sedizione appunto, questa prima sedizione contro le dodici tavole, doveva avvertire Cice rone che quel divieto di certo connubio era il corollario, cioè 121 Tolto l'elemento sacro, resta abbastanza di asprezza penale per fare intendere quanto poco spazio resti alla ragione civile, la quale non può durare in tanta ineguaglianza, se non mante nendo la distanza tra' due ordini. Quindi, l’undecima tavola che vieta il matrimonio tra'patrizi e plebei, è l'espresso corollario delle dieci prime, è l'opera, onde i secondi decemviri compiono quella de'prini, è la lontananza custode dell'ineguaglianza. Come il senatore veneto non arrivava a comprendere il con nubio tra il moro Otello e la bianchissima Desdemona, cosi il senato romano non l'avrebbe compreso tra patrizii e plebei, due ordini lontani quanto due razze.La pari certezza della legge si,non la parità di diritti nelle leggi. Or,di che si sdegna Ci cerone? Che il matrimonio, permesso d'ordinario anche co'po poli stranieri, sia interdetto fra'plebei ed i patrizii con inuma nissima legge. È sdegno rettorico, è, almeno, poco logico, è troppo postumo, troppo gelido: egli aveva troppo ammirato le premesse. Le dodici tavole son fatte, perchè tutti abbiano l'e guale certezza della legge (e fu vittoria della plebe), e tutti la certezza della legge ineguale (e fu vittoria del patriziato). che quella lontananza tra gli ordini era designata a custodire l'ineguaglianza tra'sommi e gl'infimi. È da esaminare, in fatti, donde comincia la reazione della plebe contro le dodici tavole, affinchè l'equità cominci a p e n e trare nel contenuto della legge. Non si deve credere che co minci con la legge Valeria Orazia De plebiscitis due anni dopo la promulgazione delle dodici tavole, per le seguenti ragioni : 1o perchè questa legge è la semplice soluzione di un diritto con troverso circa il valore de'plebisciti, non è l'affermazione di un diritto nuovo e contrastato ; 22 che il plebiscito, anche fattosi obbligatorio per tutto il popolo, non si sottrae all'auctoritas patrum per l'esecuzione; 3a che non per questa legge arse la terza sedizione, di cui parla Floro, nè avvenne la secessione sul Gianicolo,della quale parla Plinio; 4a che questa legge non si intitola da tribuni, ma da consoli. Livio dice che si venne a questa soluzione, « ut quod tributim plebes jussisset, populum teneret », 0, per dirla con Plinio, « ut quod plebs jussisset, omnes Quirites teneret », perchè prima cið era in controverso iure. Ma quando fu che la plebe arse in vera sedizione sul Gia nicolo ? quale e perchè una terza sedizione, dopo le due, l'una sul monte Sacro e l'altra sull'Aventino ? e perchè contro le d o dici tavole, se tanto le aveva volute, e se la promulgazione di queste era stato il massimo ufficio tribunizio, e sei anni appena e non interi dopo la promulgazione ? Ed, ecco, qui appare il nome di un tribuno, Caio Caruleio, una rogazione vivamente contrastata ed una sedizione vera di plebe che assale la legge nelle conseguenze ed osa divorar la distanza tra sé ed i patrizii per appianare l'ineguaglianza. La ribellione contro le dodici tavole comincia contro l'ultimo co rollario : la plebe non sillogizza invidiosi veri intorno alle cause, assale l'effetto. Rotto il primo, tira sulle cause. E quella gene razione che spezza il primo effetto, è destinata ad atterrare tutta l'istituzione. Tal è il significato della Legge Canuleia De con nubio patrum et plebis. Fatta la breccia, esaminiamo che cosa 122 in trent'anni resta di tutto l'edificio delle dodici tavole. Per la generazione che succede, si troverà che la cosa men necessaria è il carmen necessarium .Averlo fatto imparare e cantare a coro da fanciulli non vuol già dire che il carme dell'ira non suonerà più alto da coro di uomini armati. La prima sedizione è contro il supremo corollario delle d o dici tavole, contro il divieto di matrimonio fra patrizii e plebei ; l'ultima sedizione di questa medesima generazione è contro il console patrizio, vietante la divisione dell'agro pubblico tra i plebei, i quali per questa via si liberavano di fatto dalla terza delle dodici tavole, dalla più aristocratica, da quella appunto che, secondo Vico, doveva sancire il diritto feudale rustico del carcere privato, che i patrizii avevano sopra i plebei debitori. E , sebbene il Console fosse vincitore o stesse sopra il terreno vinto, pur vide i Tribuni prevalere ed i lieti onori trionfali tor nargli ne'tristi lutti dell'esilio. Poche considerazioni storiche varranno a lumeggiare i fatti esposli in questo capitolo. 1. La legge agraria, reclamata e non potuta attuare dal l'anno 268 di Roma sino all'anno 299, cioè reclamata e non potuta attuare da tutta la generazione che precede alla promul gazione delle dodici tavole, é e doveva essere la conclusione pratica della generazione che succede alle dodici tavole. Ciò che erasi cominciato nel sangue patrizio di Spurio Cassio,dove vasi compiere con l'esilio di Furio Camillo, patrizio vincitore. 2. Questa generazione succeduta alla promulgazione delle dodici tavole, cominciando la lotta contro la legge sul matri monio e conchiudendola con la divisione dell'agro pubblico sopra il territorio de'Vejenti, volle togliere la distanza tra gli ordini per giungere all'eguaglianza degli ordini. Potè essere detto, con sentimento del vero, che la divisione dell'agro accen nava finita la divisione de'ceti. 3. Questa divisione dell'agro dopo la comunanza de'm a trimonii, per l'eguaglianza degli ordini, dice che l'equità non 123 è più nella sola notizia della legge, m a dentro la legge. L'anno 363 di R o m a annunzia che le dodici tavole, benefiche quanto alla conseguita promulgazione, sono state superate nel conte nuto : annunzia che l'equità è passata dalla forma nella sostanza . Dietro il Tribuno verrà il Pretore, e già Caio Canuleio chiama il figlio di Furio Camillo. 4. Se è vero che la lotta per l'esistenza, la quale è di tutti gli animali, si faccia lotta per il diritto per diventare u m a n a , è vero pure che in nessun luogo questa lotta ebbe una espres sione più pura,cioè più umana,che in Roma,ed in nessun tempo quanto nella generazione che succede alla promulgazione delle dodici tavole. Posso dire che gli ottant'anni che corrono tra il tribuno Caio Canuleio ed il primo pretore, figlio del già espulso patrizio Furio Camillo,comprendono la più alta espres sione della lotta per il diritto. Si può dire che dentro questo periodo si raccolgono le premesse eterne della lotta umana. Dico la più pura espressione, non per enfasi, ma perchè questa lotla si fa tra uomo ed uomo, tra ordine ed ordine di cittadini per la parità civile, politica e sociale, senza intervento di Numi, senza pretesti religiosi, senza fini sovraumani.E, se in questo tempo la plebe, strappando il diritto augurale, fa n a scere i Decemviri sacris faciundis, non è già per propiziarsi i Numi o per un fine direttamente religioso, ma per un fine assolutamente ed umanamente giuridico. Questa è la grandezza di R o m a , ed il segreto dello studio non solo continuo, m a crescente, intorno all'indole tipica del diritto romano. Compiamo questo esame con la ricerca dello istituto pre torio e del responso. 124 - 125 CAPITOLO UNDECIMO. Conclusione dell'esame Aprendo il capitolo precedente, ho affermato che nella suc cessione delle cose civili il mutamento politico framezza tra una nuova esigenza giuridica e la legge scritta. Ho dimostrato, infatti, che,quando l'equità s'impone come eguale certezzadella legge,iltribunato diventa magistratura tipica; e,quando l'equità s'impone come uguaglianza nella legge, la repubblica signorile si fa popolare. Non solo tutte le magistrature si aprono alla plebe, m a alcune restano esclusivamente plebee. N o n si deve ricorrere, per vederne la formazione, ai m o menti astratti del pensiero, cioè ad una successione puramente logica d'idee, m a al pensiero determinato dal bisogno, cioè dalla natura,considerata sotto il doppio rispetto, nella compagine della persona e nello ambiente. Cotesto è il naturalismo storico. Il bisogno insoddisfatto ed assolutamente insuperabile per le condizioni della natura circostante non lascia sprigionare il pensiero nè iniziare civiltà veruna. Un bisogno superato, per condizioni benigne dello ambiente, libera il pensiero, ond'esce la prima favilla di una civiltà e di una storia. Insieme col pensiero sorgono alcune pretensioni, cioè una certa coscienza giuridica, proporzionata a quel bisogno, e, poco Ora, ci sarebbe impossibile aprire questo capitolo e proce dere innanzi senza investigare come e perchè si formi una nuova esigenza giuridica. 126 dopo, una determinata forma politica, proporzionata a quell'esi genza giuridica. Mutato,crescendo,ilbisogno,si dilatailpen siero, si evolve la coscienza giuridica, si muta la forma politica, si cangia la legislazione del giure pubblico e privato e delle rispettive procedure. Se il pensiero cresciuto levasi a superare di tanto il bisogno naturale, quanto il bisogno ha superato i mezzi e l'ambiente, allora non c'è da aspettare,nè altra forma politica, nè altra le gislazione che duri: si aspetta la rovina che seppellisce una civiltà finita, per dare origine ad una civiltà nuova che equilibri le funzioni della vita,instaurando la proporzione tra il pensiero ed il bisogno, tra il bisogno e l'ambiente. Ora, è forse un annunzio di rovina la sentenza di Plinio : Latifundia perdidere Italiam,jam vero etprovincias? Asseguita la divisione dell'agro pubblico, con la quale si chiude il periodo della forte generazione che succede alla pro mulgazione delle dodici tavole,abolita di fatto la tavola III delle dodici (1), depositaria della preminenza di un ordine di cittadini sull'altro, si vede nascere un gran numero di piccoli proprie tarii che comincia a formare come uno stato medio in Roma, il quale meglio de'due estremi traduce in atto il genio agrario di Roma,e,mentre da una parte serba integro il maschio co stume antico e militare, dall'altra annunzia che l'equità ha fatto gran cammino : dalla forma è passata nella sostanza delle leggi. Abolita di fatto la terza delle dodici tavole, le altre undici stanno ritte come mummie che più tardi arriveranno dall'Egitto, documenti di una civiltà sepolta. Il carmen necessa rium si canterà come memoria di popolo legislatore che ha bisogno di ricordarsi per innovarsi. Per estimare quanta parte di vero si contenga nell'annunzio di rovina,che ci viene da Plinio,bisogna avere in vista il ca rattere di proprietà in R o m a . (1) Dico tirsa o quarta ecc., per seguire l'ordine più accettato. dilui. No:lalottatramonarchiaepatriziato prima, e poi, continua, tra patriziato e plebe, è possibile in Roma , in quanto qui più che prima e fuori è spiccato il sentimento personale: sentimento proprio, più che ad altri, ad un popolo agricoltore e militare, il cui genio sarà giu ridico. Chi coltiva il campo specialmente nel modo in tensivo dei primi nostri e lo disende, sente insieme più intenso il sentimento del mio e del luo, e, per conseguenza, dell'io e del tu . Intenso è, dunque, nel cittadino romano il sentimento della proprietà personale, quanto illimitato il sentimento di disporne : e l'uno e l'altro contenderanno allo Stato romano la facoltà di un'imposta fondiaria. Nė ci fu contesa: lo Stato non osò esco gitarla: vi si sarebbe ribellato ilgenio agrario di Roma.Quando dicesi mancipium , si accenna all'origine romana dellaproprietà; quando mancipatio, alla libera trasmissione ; quando dominium ex jure Quiritum , all'effetto dell'uno e dell'altra ; e quando res mancipi e nec mancipi, si accenna non solo ad una divisione tra le cose,ma alla prima possibilità di una possessione boni taria accanto al dominio quiritario. Troviamo, in fatti, un limite nelle dodici tavole alla facoltà di possedere e di disporre? Rispetto alla prima, non altro limite che quello di vicinanza, donde quelle servitù o recipro canza di oneri, che sono strettamente in rerum natura. La ta vola VII è mirabilmente sottile nel determinare i modi ,aflinchè il dominium ex jure Quiritum non ne resti di troppo m e n o mato : neppure le chiama servitù ; m a le fa passare sotto il ti tolo de jure aedium et agrorum . E rispetta tanto la pietra ter minale, segno di proprietà sovrana, che, per entrare nel campo vicino a cogliere un frutto caduto dal proprio albero, ha avuto 127 Bisogna,innanzi tutto,smettere ilpregiudizio,cheloStato di R o m a ripeta lo Stato greco o di nazioni incivili, durante la civiltà romana : bisogna rimuovere quest'affermazione di Hegel, che cioè il padre sfogava sulla famiglia quella durezza che lo Stato sopra gran bisogno di dirlo: Ut glandem in alienum fundum proci dentem liceret colligere. Cosi fatto dominio, perchè del tutto quiritario rispetto al l'origine ed al genio, sarà tale anche rispetto all'estensione ed alvalore:ilforestiero non lo acquisterà innessun modo,nė per mancipazione, nè per usucapione, nè per cessione innanzi al magistrato (injure cessio), nè in maniera quale altra si vo glia. – Tal è il significato vero ed intero di quella legge della Tavola VI (altri impropriamente dicono della III) : ADVERSUS HOSTEM AETERNA AUCTORITAS. E tutto questo è cosi assolutamente romano, che,per farlo greco più o meno,si ricorrerà invano a Solone. Sciendum est, in actione finium regundorum illud observandum esse,quod ail exemplum quodammodo ejus legis scriptum est, quam Athenis Solonem dicitur tulisse.Un quodammodo non basta a tramutare la leggenda in istoria. Rispetto poi alla facoltà di disporre, non altro limite in tutto questo periodo primitivo che quello della parola pro nunziata. QUUM NEXUM FACIET MAMCIPIUMQUE,UTI LINGUA NUN CUPASSIT,ITA JUS ESTO. Ne,quanto al testatore,sopravvengono limiti maggiori : UTI LEGASSIT SUPER PECUNIA TUTELAVE SUAE REI, ITA JUS ESTO. È facoltà sovrana di cittadino sovrano, di chi possiede ed esercita la lex curiata de imperio. Quando più tardi verrà una legge Cincia de donis et m u n e ribus ad annunziarci la necessità di un limite alla facoltà di di sporre, Questo che ho detto, non mi consente di accostarmi, come fa Mommsen,a Niebuhr che vuole introdurre qualcosa di do rico e forse di germanico,cioè di comune,nell'indole della pro prietà prediale romana,la quale fu affatto personale. Quanto alla mancata persona del figlio, non fu senza senti mento del vero averla spiegata e per la manus 1 128 è segno che la proprietà è mutata, è mutato con essa il diritto di proprietà, e che in un altro periodo è entrata la storia di Roma. espressione del carattere militare la quale il marito aveva sopra la m o glie, e per l'istinto di padronanza che il civis optimo jure sen tiva sopra ogni suo prodotto, compreso il figlio. Non si dura fatica a vedere che la patria potestà nel civis sorge, si deter mina e si svolge piuttosto come un sentimento di proprietà, che di carità. Erano già, sin da prima, due modi di possedere separabili, perché, dove mancava la possibilità della patria p o testas, mancava il dominio ottimo ; e l'uno e l'altro comprende vano facoltà illimitata di disporre. Non parmi aver dimenticato gli argomenti addotti da Ihering contro l'analogia veduta tra il dominio oltimo e la patria p o testà. Io vado oltre la semplire analogia, trovo poco calzanti le osservazioni di Ihering,e domando,poichè grave è la quistione, le seguenti cose : 1.9 Fuori del sentimento o, a dir chiaro, fuori del concetto di padronanza sul prodotto, secondo il dominio ottimo, dove si andrebbe a trovare la ragione storica, efficiente, della patria potestà,cosi illimitata,cosi personale,cosi aristocratica in Roma ? La si presenterebbe come una esplosione inesplicabile, della quale poi si andrebbero a cavillare le origini dentro qualche piccolo istituto tra lo storico ed il mitico e non rispondente alla grande importanza dello effetto. 2. Le azioni per rivendicare un figlio sottostanno alla procedura delle azioni reali? Non è il giuoco della dialettica giuridica,che modella le azioni di famiglia sulle actiones in rem : è invece la costituzione della famiglia, che crea cotesta proce dura. Ogni procedura è tale, in quanto procede da un diritto e per un diritto. 3. È un errore ricorrere ai limiti escogitati intorno alla patria potestà per separarla, o distinguerla almeno, dal dominio, perchè anche intorno al dominio furono escogitati alcuni limiti e ne'tempi più rigidi della patria potestà. Il figlio istesso p o teva provocare l'interdizione pretoria contro il padre che dava fondo alla cosa domestica : Moribus per praetorem interdicitur. 9- G.Bovio.DisegnodiunastoriadelDiritto,ecc.,ecc. in 129 Ecco,nel medesimo tempo,un limite alla potestà ed al do minio ; m a non crea differenza. 4. Ed è un errore ricorrere al peculio, acquistabile dal figlio, per crearla una differenza tra potestà patria e dominio, perchè il peculio non arriva a distinguere, rispetto al potere paterno,illfigliodal servo.Tre cose,circailpeculio,dicechiaro Varrone : chi può possedere il peculio (i minori ed i servi); chilopuòpermettere(ilpadre edilpadrone);echeèilpe culio la pecudibus dictum ). Se un istituto c'è, in cui il pater ed il dominus si presentano proprio sotto il medesimo aspetto è appunto il peculio; e, se un luogo che possa riconfermarcelo, è questo di Varrone. 5. Gli è vero, in ultimo, che, quanto al modo testamen tario di disporre, si vedono in fascio figli, servi e cose ? Nella Tavola V si legge : Uli legassit super pecunia tutelave suae rei, ita jus esto. Occorrono davvero tempi umani per tradurre u m a namente : sulla tutela de'suoi.Ma legassit implica dominio ed ordine; super spiega l'obbietto; suae rei dice in che rapporto si trovavano i suoi verso il testatore. Non ignoro che questo modo d'intendere la patriapotestà ha messo in mala vista il mondo romano innanzi agl'intelletti miti e pietosi. Ma questi hanno a considerare che una civiltà vuol essere giudicata da'suoi effetti; che il sentimento giuri dico, diffuso da Roma nel mondo, deriva dal sentimento perso nale più forte in R o m a che in Grecia ed assai più che in oriente ; e che da questo virile sentimento personale derivano le lotte intestine di R o m a, la proprietà romana e la potestà patria. Vico crede ripetuta questa eroica barbarie nel diritto feudale, e ripetuta la distinzione tra dominio quiritario e bonitario nella differenza tra il dominio diretto e l'enfiteusi, le mancipazioni nelle solennità del diritto feudale, e le stipulazioni nelle investi ture, come aveva veduto ripetersi le adunanze aristocratiche dei Quiriti nelle corti armate e ne'parlamenti, che nella rinnovata barbarie decisero de'nobili e delle loro successioni. 130 131 Vedremo che nè i tempi ricorrono, nè le analogie sono fon damento di ricorsi, né il tribuno, il pretore e il giureconsulto si sono ripresentati alla storia. Diciamo di presente soltanto questo, che, quando in Roma si giunse a poter dire: « Patria potestas magis in charitate quam in atrocitate consistere debet » è segno che il dominio quiritario è mutato. Ed è un gran cri terio di medesimezza tra'due istituti - il dominio ottimo e la potestà patria - l'isocronismo delle loro fasi neil'evoluzione. Chi mettesse occhio a cotesto,smetterebbe dal cercare differenze sottili che non arrivano a distruggere il fondo comune. La generazione cheabolivalatavolaterza,determinanteildo minio ottimo, segnatamente nel creditore, aboliva di fatto anche la quarta, scemando il soverchio della patria potestà. Può af fermarsi, senza alterare la storia, che dal giorno,in cui la Legge Petillia Papiria de nexis, secondando i tribuni Sestio e Licenio, disse inumano e proibì che i debitori potessero darsi per acs et libram in servitù al creditore, e al dominio ottimo fece un grande strappo, sottraendo la servitù de'nexi, da quel giorno cominciò ad attenuarsi sopra i figli la potestà patria, crudele assai volte quanto quella de'creditori e de'padroni,per l'eterna ragione espressa in ferrea forma dall'Alfieri : « Poter mal far grand'è al mal fare invito. » Cosi potevano e facevano il padrone,ilcreditore, il padre, sul medesimo fondamento del dominio ottimo. Seneca, tratlando della clemenza, accusava Erixo che, senza convocare un consilium , aveva incrudelito nel figlio, sollevando lo sdegno del popolo che voleva esercitare contro lo snaturato le stesse forme sommarie che quegli aveva contro il figlio. Ma questa collera di popolo, della quale parla Seneca, non è una esplosione, è figlia del maturo sentimento dell'equità e risale sino a que'tempi della repubblica, ne'quali un malvagio credi tore, L. Papirio, sfogando la sua crudeltà ne'debitori, provocava una sedizione popolare, un'altra collera, onde nacque la legge de nexis, che, già svelando la presenza del pretore, chiarisce l'equità essere passata dalla forma nel contenuto della legge. Tito Livio, in fatti, ricorda la Legge Petillia Papiria come coro namento della generazione, nella quale è apparso il pretore. Eo anno plebi romanae, velut aliud initium libertatis factum est, quod necli desierunt. Mutatum autem jus ob unius foeneratoris simul libidinem , simul crudelitatem insignem . Tre osservazioni facciano i pensatori intorno a questo luogo di Livio. La prima, che quell'aliud inilium libertatis si ha da tradurre un nuovo momento dell'equità, cioè l'equilà passata dalla forma della legge nella sostanza . La seconda, la causa o c casionale, la crudeltà falla libidine, che chiarisce e documenta l a s e n t e n z a d i A l f i e r i . L a t e r z a , l ' a n n o , il 4 2 8 d i R o m a , n e l q u a l e si compie appunto la generazione che tra le ire civili vide appa rire, componitore equo, il pretore. Assai prima che Alessandro Severo obbligasse un padre ad accusare il figlio ai giudici ordinarii, assai prima dico, proprio nel miglior fiorire della repubblica, scaduto, innanzi a questo aliud initium libertatis,ildirittoquiritario,furonorallorzatiquei consigli domestici che frenarono l'arbitrio paterno. Nella generazione,in cui apparisce ilpretore,segnacolo del l'equità nella legge, cioè dell’aliud initium libertatis, la ditta tura può essere plebea, assolutamente plebeo uno de'censori, i plebisciti, che avevano conseguito già università di leggi, si li berano dall’auctoritas patrum , si pubblicano i fasti e si pubbli cano le azioni della legge, e, pubblicati i fasti, un plebeo può 132 E intorno al medesimo tempo era cominciata a prevalere la sentenza di Cicerone, negli Ufficii, circa le tutele, le quali non volevano essere considerate tanto come un diritto privato ed una quasi surrogazione della potestà patria,che le imponeva incondi zionatamente,quantocome un beneficousfiziosociale,ad utilitatem corum qui commissi sunt, non ad eorum quibus commissa est. E di quest'ordine delle date è da tenere gran conto per la giusta valutazione delle istituzioni. salire al pontificato massimo. Cajo Marzio Rutiliano e Tiberio Coruncanio sono due nomi plebei che significano adempita l'equità civile e politica nella legge :il primo plebeo dittatore ed il primo plebeo pontefice massimo. Fermiamoci, per fare poche osservazioni. Che significa nell'anno 458 di Roma,ottoanni dopo la pub blicazione de'sasti e delle azioni di legge, trent'anni in punto dopo la Legge Petillia Papiria de nexis, e due generazioni dopo l'apparizione del pretore, che signisica, domando, nell'anno 458 la Legge Ortensia De plebiscilis, quando, prima e dopo del pre tore,c'erano già state la Legge Valeria-Orazia De plebiscitis (305) e la Legge Publilia (416), quella ·appunto che, secondo Vico, dichiarò popolare la repubblica romana ? Quando vediamo Livio, Plinio ed Aulo Gellio ripetersi intorno a questa legge de'plebi scili,e ripresentarla, riproducendo le meilesime formole,noi vo gliamo sapere se occorrevano tre leggi, o una medesima legge in tre tempi diversi,per far entrare i plebisciti tra le sorgenti di diritto pubblico e privato. M 'ė parso di vedere la critica storica imbarazzata e quasi sospettare della sincerità delle formole tra mandateci dagli scrittori citati sopra. Or bene,a me par chiaro che le tre leggi de plebiscilis in tre t e m p i, c h e a b b r a c c i a n o u n s e c o l o e m e z z o , c i o è d a l l a p r i m a i m mediata reazione contro le dodici tavole, e direttamente contro la nona, sino alla dichiarazione ellettuale della repubblica popo lare, non si ripetono,perchè in nessuna istoria si trovano nè sono possibili coteste ripetizioni, m a sono tre momenti progressivi del l'equità nel medesimo obbietto, cioè nei plebisciti, ordinati a d e mocratizzarela repubblica. C o n l a p r i m a , c i o è c o n l a V a l e r i a - O r a z i a ( 3 0 5 ), s i v i e n e a d a r valore di universalità ai plebisciti, secondo le tre formole con sone, l'una di Livio : Ut quod tributim plebes jussisset, populum teneret; l'altra di Plinio: Ut quod ea jussisset, omnes Quiriles teneret ; e l'altra di Aulo Gellio: Ut eo jure,quod plebes statuis set, omnes Quirites tenerentur. 133 134 Con la seconda, che è la Legge Publilia, che altri mettono sollo la data del 415, altri del 416, alcuni sotto il nome di C. Publilio Filone, tribuno della plebe altri di Q. Publilio Filone, dittatore (Vico lenne giustamente io credo pel dittatore), vennesi a fare non solo obbligatoria, ma presta bilita l'auctorilas patrum per tutti i progetti di legge sottomessi ai comizii centuriati. Tito Livio scrive : Ut legum quae comitiis centuriatis forrentur, ante inilum suffragium , Patres auctores ficrent.Ed ,ecco,quell'ante initum suffragium siela l'arclorilas di un caput mortuum , sopra il quale Silla vorrà invano alitare la vita. Con la terza, che è la Legge Ortensia (458 , che Plinio dice essere stata di Q Hortensius dictator, l'auctoritas è troncata di netto. La formola che abbiamo già detta di Cicerone: « Potestas in populo, auctoritas in Senatu sit », è già superata. La potestà trova in sè l'autorità, e la Legge Ortensia è l'espressione radicale della repubblica popolare.Mi sia lecito dire che la suprema equilii è questa equazione tra la potestas e l'auctoritas. Mi è parso necessario notare che l'universalilà de'plebiscili, l'obbligatorietà prestalilita dell'autorizzazione e, in ultimo, l'a bolizione dell'autorità estrinseca sono non ripetizioni di una m e desima legge, m a tre leggi plebiscitarie che dinotano dalle dodici tavole sino alla Legge Ortensia tre gra di progressivi dell'equità nella legge,tre momenti notevoli, onde la repubblica si demo cratizza. Chiariamolo anche meglio con una breve considerazione circa la pubblicazione de'fasti. La plebe un secolo quasi dopo i Decem virilegibus scrilun dis(292)consegui iDecemvirisacrisfaciundis(386),edunaltro mezzo secolo dopo (453), democratizzata civilmenie e politica mente la repubblica, riusci a democratizzarla anche religiosa mente, occupando le dignità sacerdotali, sicchè di otto nel col legio de'pontefici ne prese quattro, e cinque de'nove nel col legio degli auguri. È segno che il giureconsulto è uscito dal l'atrium , che il suo responso non è più un oracolo, che i fasti sono pubblicali, e che la procedura, nella quale il diritto si ha per il 416 e da muovere, non è più un segreto di parte, ma è promulgata come il diritto istesso. L'ius Flavianum (450) ha questo grande significato : non vi sono piu misteri. E questa espressione tra dotta dalla lingua religiosa nella lingua politica significa : non vi sono più privilegi. Questa promulgazione de'fasti, de’misteri giudiziarii e delle formole sacramentali per via di semplice evoluzione,senza urti, senza rogazioni, nè sedizioni, nè secessioni,parve alla plebe ro mana un si grande miracolo, che volle, dentro i tempi storici, creare una favola plebea e contrapporla ad una favola patrizia, cominciata a diffondersi in questi tempi. La favola patrizia era quella di Furio Camillo,scoppiato ful mineo sulla bilancia del Gallo, ed acclamato secondo fondatore di Roma.Cosi potè dirsi,un patrizio, Giunio Bruto, fondò la repubblica ; un patrizio, Furio Camillo, la salvò. La favola ple bea fu quella del liberto Gneo Flavio che ruba il mistero della procedura al giureconsulto patrizio Appio Claudio Cieco e butta in pubblico i fasti e le formule sacramentali. Certo, Polibio e Diodoro Siculo non parlano del miracolo di Furio Camillo, e il loro silenzio è troppo tardi interrotto dalla narrazione drammatica di Tito Livio. E , per simile, molte erano ai tempi di Cicerone le controversie circa l'origine della pro mulgazione laviana, nè Cicerone osa spiegarsela. Ma ben si vede in quel liberto, profanatore del mistero, la plebe fatta libera, ed in quell’Appio Claudio Cieco il patriziato ignaro dei tempi. In Gneo Flavio,di liberto,creato tribuno, senatore ed in magi stratura curule, è passato l'occhio mancato ad Appio Claudio. Que'che, tormentando anche le parole,mettono in forse tante narrazionidellastoriadiRoma,daRomolo aVirxinia,perché non hanno osato portare la critica storica dove più occorreva, sull'origine dell'ius Flavianum ? (1). (1) Altri, per fare più credibile il racconto, dissero che Appio Claudio della famiglia claudia, stata sempre nemica alla plebe, e punito di cecità da’Numi in età adulta per non si sa quale colpa, si fece lui proprio ispi 1 135 E ,dopo queste brevi considerazioni, possiamo spiegarci intero l'ufficio del pretore. Tra le sorgenti del diritto pubblico e privato sono entrati i plebisciti.Sublata auctorilatepatrum,larepubblicaèdemocra tizzata del tutto. Le leggi son,ma chi pon mano ad esse? Il Magistrato. Farle è del Senato, della plebe, del popolo ; dirle è del magistrato . Altro è ius condere, altro è ius dicere : due funzioni distinte e connesse. Condere è la parola potesta tiva del legislatore ; diccre è la parola sacramentale del m a g i strato . Dicere è la parola generale dell'applicazione della legge : i modi sono ius dicere, cdicere, aldicere, interdicere. Il derivato è edictum.L'edictum è la viva vox juris civilis. Questo è saputo, e con questo, che, quando si pronunzia la parola edictum assolutamente,ilpensiero non ricorre nè all'edic tum aedilitium , nè all'edictum provinciale, nè alle forme più o meno secondarie di edicta perpetua,repentina,tralatitia,ma ri corre direttamente all'cdictum praetoris. Non è cecità nè arbi bitrio del pensiero moderno, è perchè cosi, prima di noi, inte sero e dovevano intendere gli antichi. Quando Papiniano parla del diritto onorario, lo dice cosi nominato ad onore del pretore; quando Gaio parla dell'editto che emenda le iniquità del diritto, si riserisce all'editto del prelore ; ed al pretore si riserisce A s c o nio, quando accenna la ragione dell'editto perpetuo ; e del pre tore si duole Cicerone, quando vede l'editto superare le dodici tavole.La ragione storica è questa:la presenza del pretore si gnifica che le due parti avverse, nelle quali era divisa R o m a , si sono equilibrate ; il suo editto, in quanto spiccatamente porta ratore a Gneo Flavio, plebeo e figlio di un liberto, della novità benefica che è l'ius Flavianum , onde i pontefici furono obbligati a far pubblico il calendario. La versione pare più mitica del mito. 136 questa impronta di equilibrio, suona l'equità passata nella legge, l'aliud initium libertatis, la repubblica signorile fatta popolare; il suo editto è, perciò, la voce viva dell’ius civile, rimasto voce morta ; e però entra innanzi alle dodici tavole che in vano Cice rone lamenta neglette. Questo aliud initium libertatis è a b b a stanza commentato dalla definizione che del diritto pretorio ci manda Papiniano,ilgiureconsultomassimo:Juspraetoriumest, quod praetores introduxerunt, adiuvandi, vel supplendi, vel cor rigendi juris civilis gratia, propter utilitatem publicam , quod et honorarium dicitur, ad honorem praetorum sic nominatum . Se temesi che questa correzione pretoria sul diritto civile possa tornare precaria ed incerta, la Legge Cornelia provvede a sostituire l'editto perpetuo al repentino : Ut praetores ex edictis suis perpetuis jus dicerent.Se Cicerone duolsi del vedere torpide le dodici tavole innanzi all'editto, e se teme le sedizioni tribu nicie, dica se abbia trovato, il temperare il s u m m u m jus, altro mezzo evolutivo suori dell'edillo pretorio. Il summum jus a lui era summa injuria, a Terenzio summa malilia, a Gaio iniqui tates juris. Chi tempera quell'ingiuria, corregge quella malizia, e all'iniquilà sostituisce l'equilà ? La risposta è di Gaio : Haec juris iniquitates edicto praetoris emendatae sunt. Si dorrà forse anche di questo Cicerone, di vedere il m a g i strato sostituito al legislatore, la sentenza alla legge, la persona allo Stato. E davvero il caso parrebbe strano, se non fosse spie gabile in questo modo :che il pretore significa l'unità della legge, dove il legislatore era stato duplice — patriziato e plebe; e si gnifica l'equilà ristretta ai casi particolari, senza forma impera tiva, la quale è tutta del legislatore. Dove compiuto è il periodo dell'equilibrio delle parti, e co mincia il periodo unitario di R o m a nella politica, ivi è segno essere cominciato il periodo unitario del diritto nel pretore. Ne procede questa definizione dell'editlo pretorio, la quale compie,non nega la definizione di Papiniano : L'editio pretorio è l'equilà ne'casi particolari, cioè volta per volta ed anno per 137 anno , ed indica affermato l'equilibrio delle parli in R o m a , e co minciato il periodo unitario nel diritto e nella politica. La gloria del tribuno è di aver provocato la promulgazione delle dodici tavole; del pretore, averle superate con l'editto. La promulgatio chiarisce e denuda la repubblica aristocratica; S'ignorano davvero due cose : in che tempo la Legge Aebutia abolisse le legis actiones, e sino a che punto. La disputa è in decisa. Io credo che la legge Aebutia sia apparsa tra l'uno e l'altro pretore, l'urbano ed il peregrino, e che abbia abolito gran parte delle legis actiones, quando già alla procedura del vecchio diritto l'editto pretorio aveva contrapposto una procedura con suetudinaria . C o m p o s t o , n e l l a p e r s o n a d e l p r e t o r e , il d u a l i s m o , e c o m p i u t a , nella significazione dell'editto, l'unificazione giuridica, comincia l'unificazione politica nella generazione immediatamente succe duta al pretore. Il pretore appare tra il 387 ed 88;tra il 411 e 13 compiesi la prima guerra per l'unificazione politica. Questa unificazione politica ha due periodi: 1° l'unificazione d'Italia;2° l'unificazionedelmondo mediterraneo.Ilsecolo quarto di R o m a abbraccia il periodo della unificazione giuridica, e si c o n c h i u d e c o l p r e t o r e ; il s e c o l o q u i n t o a b b r a c c i a il p e r i o d o d e l l a 138 dictum la demolisce e l'annunzia democratica . l'e Sono da fare due considerazioni. L'una,che gli editti, non essendo espressione di facoltà legislativa,non portano forma i m perativa, e non possono averla ne rispetto all'origine che è giu risdizionale, nè rispetto all'obbietto che non è universale. In tutta la forma dell'editto appare la faccia benevola dell'interprete, non la severa del legislatore. L'altra è che l'editto, per suggel lare l'equità, deve aver superato non solo il vecchio diritto civile, ma la vecchia procedura:e però,se da una parte si lascia in dietro le dodici tavole e le iniquitates juris, dall'altra supera r a pidamente le legis actiones, cioè quella vecchia e aristocratica procedura,dentro la quale si muovevano iprivilegiati della re pubblica signorile. 139 - unificazione politica, e si conchiude col giureconsulto. Tra l'uno e l'altro periodo della unificazione politica, cioè tra quello della unificazione ilalica e l'altro dell'unificazione della civiltà m e d i terranea , appare il pretore peregrino, che è l'apparizione del diritto delle genti, il quale viene a fare umana l'equita latina. Il periodo dell'unificazione italica abbraccia le tre guerre sannitiche, le quali si compiono nel 462. E nel'a generazione immediatamente succeduta ( 190) comincia il periodo per l'uni ficazione del mondo mediterraneo, che abbraccia le tre guerre puniche. Il disegno e l'effetto delle tre puniche non furono la semplice indipendenza dell'Italia.Come dopo le sunnitiche a Roma fu facile la guerra tarantina, nella quale meglio che il ferro occorse l'oro per occupare la città da Milone messa all'incanto, e farsi signora della regione che dalla Macra e dal Rubicone va sino al capo Spartivento ed alla punta di Leuca, cosi dopo le puniche le fu facile la guerra corintiaca,onde si annesse l'Acacia ed alla civiltà ellenica sostitui definitivamente la latina. T :11 era l'effetto, perchè tale il disegno. Mommsen ammira come gran falto nazionale de'Romani la costruzione della flotta, ed io ripeto che quella impresa fu più che nazionale, più che italiana, e fu il disegno del gran duello per l'egemonia sul mondo mediterraneo. Come le guerre san nitiche significavano che l'unità d'Italia spettava od ai Romani od ai Sanniti, cosi le guerre puniche significavano che l'unità del mondo mediterraneo speltava o ai Romani od ai Carta ginesi. Fu crudeltà, ma fu politica. Delenda Carthago è la conse guenza di un dilemma: la metropoli del mondo mediterraneo o Roma o Carlagine. E Roma vinse,non perchè Marco Porcio Ca È discutibile se sieno più feroci le guerre per l'indipendenza o quelle per l'egemonia. Queste io credo : perchè alle prime b a sta disarmare il nemico ; alle seconde occorre sterminarlo : D e lenda Carthago ! 140 tone fu inesorabile e l’Affricano secondo più crudele del primo, m a perchè R o m a aveva un ideale, una missione ed un convin cimento che mancavano a Cartagine. Questa non è la metafisica della storia circa la predestina zione de'sini, è la rislessione storica sugli effetti determinati. Roma vinse, e con essa il Diritto romano che si farà umano, salendo,frapoco,dall'edittoalresponso;ma con Cartagine,se fosse stata vincitrice, non si sa quale alto fine civile sarebbe slalo vittorioso. Non è già che il popolo romano vinse, perchè aveva e sentiva astrattamente la missione giuridica; ma aveva questa missione, perché sin da principio il suo genio si era d e terminato di agricoltori e militari. E che si fosse cosi m a n t e nuto sino alla guerra corintiaca – malgrado la casa di Emiliano già aperta a Polibio, a Plauto, a Terenzio ed a Pacuvio si chiarisce dall'ordine espresso dal console Lucio M u m m i o ai r o mani deputati a portare a Roma da Corinto le meraviglie del Il pretore urbano prenunzia il periodo unitario. Espressione di cotesto periodo sono due grandi istituti della vita romana : il prelore peregrino ed il giureconsulto. Chiamo istituto, piullosto che ufficio,quello del giureconsulto per ragioni che si parranno (1) Giunti al respɔnso , non possiamo trovara nulla di più alto e di più comprensivo nella storia del diritto romano . Stimiamo utile far conoscere ai giovani studiosi come si scriveva la storia del diritto romano ai tempi di P o m p i n i o , m e t t e n d o i n q u e s t a n o t a s o t t o i l o r o o c c h i il f r a m m e n t o c h e t o gliamo dal primo libro del Digesto, e lasciando a loro la cura di correg gere le inesattezze che troveranno non solo rispetto ad alcuni fatti e nomi, m a alla cronologia ed ai criterii. Utile e non difficile lavoro, per la cura che abbiamo posta nello accennare le date principali ed i criterii storici che governano gl'istituti giuridici di maggiore importanza. Grozio discute assainelleVitaejurisconsultorumde'duePomponii.Zimmern- trattando l'arte greca . tra poco. Il pretore peregrino è l'espressione viva e concreta dell'uni ficazione italica; il giureconsulto; della unificazione del mondo mediterraneo (1) Il pretore peregrino compie il pretore urbano, in quanto di larga l’equità, senza dilungarsi da’casi particolari; ma, en e non dalle Variae lectiones. Ecco Pomponio : Necessario ci pare il mostrar l'origine propria e il procedimento del diritto. Al principio della nostra città il popolo cominciò ad operare senza legge certa, senza stabile diritto, e tutto reggevasi per mano dei re. In appresso, cresciuta in qualche modo la città,clicesi lo stesso Romolo dividesse il popolo in trenta parti, che chiamò curie, perciocchè a sen tenza di queste parti disimpegnava allora le cure del governo. Ond'è che ed egli ed i seguenti re proposero al popolo alcune leggi curiate, le quali tutte trovansi scritte nel libro di Sesto Papirio che fu uno dei principali personaggi a'tempi del Superbo, figlio di Demarato da Corinto.Questo libro è intitolato diritto civile Papiriano, non perchè Papirio v'abbia aggiunto alcun che di suo,ma perchè egli raduno in uno le leggi promulgate sen z'ordine. Cacciati quindi i re per legge tribunizia, tutte quelle leggi andarono in disuso, e il popolo romano cominciò di nuovo a reggersi con diritto in certo, e più dietro la consuetudine che secondo alcuna legge emanata ; e così continuò per circa venti anni. 141 Dopo le sannitiche,unitasi a Roma l'Italia,ilgenio dell'urbs si senti tocco, e però modificato,da due correnti nuove : il c o m mercio e la presenza degli stranieri. La rustica Dea Pales, in dividuazione mitica del genio originario di Roma, sentivasi mutar costume, e tollerava, con la presenza degli stranieri, que'commerci che erano parsi spregevoli al primitivo genio agricolo e militare di Roma. In nome di questa tolleranza un secolo ed alquanti anni (307) dopo il pretore urbano sorse il pretore peregrino, qui inter cives et peregrinos, plerumque inter peregrinos jus dicebat. L'equità estendevasi a quelli che prima del periodo unitario erano designati con tre nomi: hostes,pere grini, barbari. del diritto privato romano tiene pe'due. Puchta nel ('orso delle Isti tuzioni– tieneperunsolo.Unasolacosaècerta,cheilframmentoche noi riportiamo, è dall'Enchiridion non ricordato dall'indice fiorentino tralo per tolleranza, gli sottosta, se non in grado di ufficio, in dignità ; nè metterà fuori un editto che contraddica a quello pubblicato dal pretore urbano ; nė tra gli antichi troverà chi voglia commentare il suo editto, privo di originalità. I giure consulti che vennero di poi, mentre inducevano la regola uni versaledidirittodall'edittodelpretoreurbano,non commen tarono mai l'editto del pretore peregrino. Anche io credo che il commentario di Labeone non resista alla critica. Giunto a questo fastigio del diritto romano , dove col pretore peregrino par nato l’jus gentium , e col responso l'equità ro mana sale a diritto umano, mi occorre vedere onde la deca denza imputatada Plinio ai latifondi, e come il giureconsulto, nel vero senso della parola, possa trovarsi coevo con la rovina della repubblica e compagno della corruzione imperiale. Onde ciò non avesse a durare più a lungo, piacque allora che fossero nominati per pubblica autoritàdieci,iqualitogliesseroleleggidallegreche società, e la città munissero di leggi. Incise su tavole d'avorio,le esposero sui rostri, affinché si potessero le leggi meglio imparare ; e fu loro dato in quell'anno il diritto massimo nella città,di correggere,se facesse bi sogno,e d'interpretare le leggi,nè vera appello da loro come dagli altri magistrati. Essi medesimi avvertirono mancar qualche cosa a quelle prime leggi, perciòl'annoseguenteviaggiunseroaltreduetavole,ecosìper l'accidente del numero furono chiamate leggi delle XII Tavole.Narrano alcuni che la composizione di esse fosse stata proposta ai decemviri da un certo Ermodoro da Efeso, esule in Italia. Promulgate queste leggi,avvenne,come naturalmente suole,che per l'interpretazione si desiderasse l'autorità dei prudenti e la necessaria d i sputazione del Foro ; questa disputazione e questo diritto ordinato dai prudenti, senza che venisse scritto, non ha nome in alcuna parte propria, come vengono distinte tutte le altre con proprio nome,ma chiamasi con titolo generale diritto civile. Quindi,dietro queste leggi,quasi contemporaneamente furono composte le azioni, colle quali gli uomini agitassero i litigi nati tra loro ;le quali a zioni,affinchè il popolo non le facesse a capriccio, vollero che fossero sta bili e legali; equesta parte del diritto chiamasi azione di legge,cioè le gittima. E così quasi in un tempo medesimo nacquero questi tre diritti, 142 143 delle XII Tavole,da cui scaturi ildiritto civile,e quindi leazioni.Siperò l'interpretazione delle leggi,si le azioni spettavano al collegio dei ponte fici,dai quali ogni anno sceglievasi chi dovesse soprantendere ai privati, e per circa cento anni il popolo segui quest' uso. In appresso, avendo Appio Claudio proposto e ridotto a forma queste a z i o n i , G n e o F l a v i o , s u o s c r i v a n o e f i g l i o d i u n l i b e r t o , s o t t r a t t o g l i il l i b r o , lo fece di ragione del popolo ; il quale servigio fu al popolo tanto grato, che elesse lui tribuno della plebe e senatore ed edile curule. Questo libro contenente le azioni chiamasi diritto Flaviano, siccome quell'altro d i ritto Papiriano; ma neppur Gneo Flavio aggiunse alcun che al suo li bro. Cresciuta la città e mancando alcune specie di azioni, Sesto Elio non molto dopo ne istituì altre, e pubblicò il libro che chiamasi diritto Eliano. Quindi,essendovi nella città la legge delle XII Tavole e ildirittocivile e le azioni di legge, accadde che, venuta la plebe a discordia coi padri e separatasene, istituì le leggi che chiamansi plebisciti, cioè decreti della plebe. Non guari dopo, richiamata la plebe, perchè frequenti discordie n a scevano intorno a questi plebisciti, per la legge Ortensia fu stabilito che avessero anche quelli per leggi ; e cosi avvenne che i plebisciti e le leggi differissero pel modo di farle,ma ne fosse eguale l'autorità. Quindi,perchélaplebeaccordavasi difficilmente,emoltopiùdifficil mente il popolo in si grande moltitudine di persone,fu d'uopo che si affi dasse al senato la cura della repubblica. Così cominciò ad intromettersi il senato, ed osservavasi tutto quello ch'esso avesse decretato, e questo di ritto fu detto senatoconsulto. A quei tempi anche iMagistrati proferivanogiudizi;ed,affinchéicit tadini sapessero qual giudizio intorno ad ogni cosa si proferirebbe e se ne premunissero, pubblicavano gli editti che costituirono il diritto onorario, così detto perchè veniva dall'onore, cioè dalla carica di pretore. Da ultimo, siccome pareva che l'autorità di far leggi fosse, per natu rale effetto delle cose,passata al minor numero,un po'per voltaavvenne che fu necessario che un solo provvedesse alla repubblica ; poichè il senato non poteva del pari amministrar bene tutte le provincie. Stabilito quindi il principe, gli fu dato il diritto, che si avesse per rato checchè egli d e terminasse. Così nella nostra città o si giudica pel diritto, cioè secondo la legge ; o v'è diritto civile, che consiste solo nell'interpretazione dei prudenti,non iscritta ; le azioni di legge,che contengono le forme da usare ; i plebisciti, che furono emanati senza l'autorità dei padri; gli editti dei magistrati, donde nasce il diritto onorario ; i senatoconsulti, che emanano dal solo senato costituente senza legge ; e le costituzioni del principe, quello cioè che il principe determinò si osservi come legge. Conosciuta l'origine e il procedimento del diritto,conseguita che discor riamo i nomi e l'origine dei magistrati, perchè, come abbiam mostrato,da quelli che presiedono a far leggi, acquistano gli effetti. Imperocchè, che varrebbe essere nella città, se non vi fosse quegli che potesse far leggi ? Dopo ciò parleremo degli autori che si succedettero l'un l'altro, giacchè il diritto non può sussistere senza che siavi qualche giurisperito,dal quale esser possa mano mano migliorato. Quanto ai magistrati, nei primordi della nostra città i re ebbero tutto il potere. I tribuni dei celeri comandavano ai cavalieri, ed occupavano quasi ilsecondo posto dopo ire;del qual numero fuGiunioBruto,autore del discacciamento dei re. Espulsi i re, furono stabiliti due consoli, ai quali per legge fu concesso il supremo diritto : così chiamati, perchè bene provvedevano (consulebant) alla repubblica. Onde pero non si arrogassero regio potere in tutto,fu per legge stabilito che vi fosse appello da loro, nè potessero punire verun cit tadino romano senza il consenso del popolo : a loro fu soltanto concesso di obbligare e di far mettere nelle pubbliche prigioni. In appresso, dovendosi rinnovare il censo che da ogni tempo non erası fatto, nè bastando i consoli a questo incarico, furono stabiliti i censori. Aumentando il popolo, e nascendo frequenti guerre, delle quali alcune assai gravi, mosse dai confinanti, piacque di eleggere,ogni qualvolta il bi sogno richiedesse, un magistrato con potere maggiore ; furono per tanto istituiti i dittatori, dai quali nessuno poteva appellarsi, e che avevano a n che podestà di vita e di morte.Questo magistrato, perchè aveva un po tere sommo,non poteva durare più di sei mesi. A questi dittatori aggiungevansi i maestri, vale a dire comandanti dei cavalieri, nella stessa guisa che ai re i tribuni dei celeri, la quale carica equivaleva presso a poco a quella dei prefetti del pretorio : m a i magistrati erano tenuti per legittimi. Quando poi, circa diciassette anni dopo la cacciata dei re, la plebe si separò dai padri, crearonsi sul monte sacro i tribuni, ch'erano magistrati plebei,e fu loro dato tal nome,perchè una volta ilpopolo era diviso in tre parti, e da ciascuna se ne sceglieva uno, o perchè venivano nominati per suffragio della tribù. E parimenti, affinchè fosse chi soprantendesse agli edifizii, nei quali riferiva tutti decreti la plebe,deputarono a ciò due della plebe, che fu rono chiamati edili. Avendo poi l'erario del popolo cominciato ad esser pingue,furono n o 144 145 minati i questori che ne avessero cura ; cosi detti, perché dovevano esigere (quaerere o inquirere) e tenere conto del danaro. E perché, secondo abbiamo detto, non era concesso ai consoli pronun ciare sentenza di morte contro un individuo romano senza permissione del popolo,furono dal popolo nominati iquestori del parricidio,che giudi cassero i delitti capitali: di essi fa menzione anche la legge delle XII Tavole. Ed,essendo piaciuto che si facessero ancora altre leggi, fu proposto al popolo che tutti i magistrati si dimettessero, e furono nominati i decem viri per un anno. Questi si prorogarono la carica e si condussero ingiu stamente,nèvolevanoristabiliredinuovo imagistrati,peroccupareglino e il lor partito il potere ; e colla lunga e crudele dominazione loro con dussero le cose a tale, che l'esercito si ribello alla repubblica. Dicesi che capo di questa ribellione sia stato un certo Virginio.Questi vide che Appio Claudio, contro il diritto ch'egli stesso dal diritto antico aveva inserito nelle XII Tavole, gli aveva tolto il possesso della propria figlia, e giudi cato in favore di colui che, subornato dallo stesso Appio,laripeteva come sua schiava, perchè, acciecato dall'anjore per la fanciulla, non aveva più guardato a diritto o a torto, sdegnato che gli fosse tolto il diritto anti chissimo sulla persona della figlia, a somiglianza di quel Bruto primo con sole, che aveva dichiarato libera la persona di Vindice schiavo dei Vitellj, per aver rivelata la congiura ; e, riputando la castità della figlia essere da preferire alla vita, tolto un coltello dalla bottega di un macellajo, u c cise la figlia per sottrarla colla morte al disonore dello stupro ; e tosto, grondante ancora del sangue della figlia, corse tra'suoi compagni d'arme. I quali tutti dall'Algido, dove le legioni trovavansi a cainpo, abbandonati i capi, trasferirono le bandiere sull'Aventino, e là pure si condusse tutta la plebe della città. Allora altri dei decemviri furono uccisi in prigione, altri cacciati in esilio, e fu ristabilito nella repubblica l'ordine di prima. Alcuni anni dopo la pubblicazione delle XII Tavole, la plebe venne a contesa coi padri, volendo che i consoli si eleggessero anche dal suo corpo ; al che opponendosi i padri, avvenne che si creassero, parte dalla plebe, parte dai padri, i tribuni militari con podestà consolare, i quali varia rono di numero,poichè furono ora venti,ora più,non mai meno. Essendosi quindi convenuto di creare i consoli anche dalla plebe, si cominciò ad eleggerli dai due corpi. Afinchè però ipadri avessero qualche cosa più della plebe, piacque allora che si eleggessero dal loro ordine due edili curuli. E,perchè i consoli erano occupati dalle guerre coi vicini, nè vi aveva chi nella città potesse amministrar la giustizia,si creò un pretore,chia mato urbano,perchè amministrava la giustizia nella città. G. Bovio.Disegno di una Storia del Diritto,ecc.,ecc. 10 Dopo alcuni anni, non bastando quel pretore, perchè accorreva nella città moltitudine di forestieri,fu creato un altropretore,dettoperegrino, perchè per lo più rendeva giustizia ai forestieri (peregrini). Poi,essendo necessario un magistrato che presiedesse ai pubblici in canti, furono stabiliti i decemviri per giudicare le liti. A quel tempo furono pure nominati quattro soprantendenti alle strade, i triumviri monetali che vegliavano alla fabbricazione delle monete di rame,d'argento e d'oro,ed itriumviri capitali che custodivano le pri gioni, si che,quando dovevasi punire, facevasi col loro intervento. E ,perchè nelle ore vespertine i magistrati non avevano obbligo di tro varsi in officio, furono istituiti i quinqueviri di qua e di là dal Tevere, che ne facessero le veci. Conquistata poi la Sardegna, quindi la Sicilia,la Spagna e la provincia Narbonese, furono creati tanti pretori quante nuove provincie, i quali so prantendessero parte alle cose urbane, parte alle provinciali. Quindi Cor nelio Silla istitui i processi pubblici, come di falso,di parricidio,dei sicarj, ed aggiunse quattro pretori. In appresso Cajo Giulio Cesare istituì due pretori e due edili, detti cereali da Cerere, perchè soprantendevano ai grani. Così si ebbero dodici pretori e sei edili. Poi il divo Augusto portò a sedici il numero dei pretori, ai quali il divo Claudio altri due ne aggiunse, che giudicassero intorno ai fedecommessi;ildivo Tito ne soppresse uno,e il divo Nerva ve lo aggiunse ; essi giudicavano le liti fra il fisco e i privati. Per modo che diciotto pretori amministravano la giustizia della città. Tutto ciò si osserva, quando i magistrati sono nella città ; quando poi ne partono, si lascia uno che solo rende giustizia e chiamasi prefetto alla città, il quale una volta si nominava all'occorrenza, dopo fu stabile per le ferie latine,ed eleggesi ogni anno.Ilprefetto dell'annona e dei vigili,cioè delle guardie notturne, non sono propriamente magistrati, m a furono stabi liti straordinariamente per comodo : quelli però che abbiamo detto nomi narsi di qua dal Tevere,per decreto del senato venivano poi creati edili. Dunque,fra tutti, dieci tribuni della plebe, due consoli, diciotto pretori, sei edili nella città amministravano il diritto. Moltissimi e chiarissimi personaggi professavano la scienza del dritto civile, m a ora ci basta parlare di quelli che in maggiore stima furono presso il popolo romano, affinchè apparisca da chi e quali leggi ebbero origine e ne furono tramandate.E prima di Tiberio Coruncanio non ricordasi alcuno che pubblicamente professasse questa scienza ; tutti gli altri fino allora a v e vano creduto di tenere occulto il diritto civile,o soltanto si prestavano a chi li consultava, piuttosto che a chi volesse imparare. Tra i primi periti del diritto fu poi Publio Papirio, che radund in uno - 146 147 l e l e g g i d e i r e ; d o p o q u e s t o , A p p i o C l a u d i o , u n o d e i d e c e m v i r i , il c u i s e n n o molto valse nel comporre le XII Tavole.Appresso viene altro Appio Clau clio che ebbe grandissima scienza in questa parte, e fu detto centimano. Fece egli costruire la via Appia, derivò l'acqua Claudia, e persuase di non ricevere Pirro nella città. Si disse aver egli pel primo scritto le azioni in torno alle usurpazioni, il qual libro però non esiste. Sembra che il m e d e simo Appio Claudio abbia inventato la lettera R , onde si disse Valerj in vece di Valesj,e Furj invece di Fusj. Dopo questi, di grandissima scienza fu Sempronio che ilpopolo romano chiamò coçov (sapiente), nome che a nessun altro fu dato nè prima nè dopo ali lai.Ma vi fu anche Cajo Scipione Nasica che dal senato fu chiamato ottimo, al quale fu anche data del pubblico una casa sulla via Sacra, onde più facilmente si potesse andare a consultarlo. Appresso fu Quinto Fabio che, mandato ambasciatore ai Cartaginesi, essendogli poste innanzi due schede,unaperlapace,l'altraperlaguerra,econcesso a luil'arbitrio di portare a Roma qual delle due gli piacesse, le prese ambedue,e disse dovere i Cartaginesi chiedere e ricevere qual più volessero. Fu,dopo questi,Tiberio Coruncanio chepelprimo,come dissi,cominciò a professare il diritto: di lui,sebbene non restò veruno scritto, si ricordano molte e memorabili risposte. Quindi Sesto Elio col fratello Publio Attilo ebbero grandissima scienza nel professare ildiritto,e furono anche consoli. Sesto Elio è lodato anche da Ennio, e di lui esiste un libro intitolato Tria partita, che contiene i primi elementi della scienza del diritto :gli fu dato quel nome, perchè,proposta la legge delle XII Tavole, vi soggiunse l'inter pretazione, e quindi vi unì l'azione di legge. Dicesi esserci di lui tre altri libri che alcuni però gli negano.Le pedate di questo calcò Marco Catone, capo della famiglia Porcia, del quale sussistono alcuni libri, m a più ancora di suo figlio; da questi vennero tutti gli altri. Tennero dietro a questi Publio Rutilio Rufo che fu console in Roma e proconsole nell'Asia; Paolo Virginio e Quinto Tuberone,ilprimo stoico e discepolo di Panezio che fu anche console.Di quel tempo fu pure Sesto Pompeo,zio di Gneo Pompeo,e Celio Antipatro che scrisse storie,ma at tese più all'eloquenza, che alla scienza del diritto. Lucio Crasso, fratello di Publio Muzio,e chiamato anche Muciano,da Cicerone è detto ilpiù facondo dei giureconsulti. Quinto Muzio, figlio di Publio e pontefice massimo, ordind pel primo il diritto civile, raccogliendolo in diciotto libri. In appresso Publio Muzio, Bruto e Manilio fondarono il diritto civile : Muzio lascio dieci libri, Bruto sette, Manilio tre ; e di Manilio sussistono a monumento alcuni volumi scritti, Bruto fu pretore, gli altri due consoli, e Publio Muzio anche pontefice massimo. Muzio ebbe più discepoli, tra i quali maggior fama acquistarono Gallo Aquilio, Balbo Lucilio, Sesto Papirio e Cajo Giuvenzio : Servio dice che Gallo ebbe grande autorità presso il popolo. Di tutti questi si conserva memoria,perchè Servio Sulpizio pose nei suoi libri iloro nomi: ma non restano loro scritti che tutti desiderino ed abbiano tra le mani: pure Servio compi i libri suoi, dai quali si ha memoria dei predetti. Servio che nel perorare le cause occupò il primo posto dopo Marco Tullio, si dice essere una volta andato a consultare Quinto Muzio intorno ad un affare d'un suo amico ; e, non avendo compreso quello che Muzio rispondeva intorno al diritto,gliripeté ladimanda;ma,non avendo meglio compreso la risposta,Muzio lo rimproverò,dicendo esser vergogna che un patrizio e nobile, che perorava cause, ignorasse il diritto che pure avea sempre tra le mani. Tocco da questo affronto, Servio si applicó al diritto civile, e fu discepolo a molti di quelli che abbiamo nominati: Balbo Lucilio gli diede i primi rudimenti, e lo perfeziono Gallo Aquilio da Cercina, onde di lui abbiamo molti scritti in Cercina. Morto in un'ambasceria, il popolo romano gli eresse una statua che tuttora si vedle sui rostri di Augusto : lasciò forse centottanta libri, assai dei quali restano ancora . Da questomoltissimiimpararono;quelliperòchelasciaronolibri,sono Alfeno Varo, Caio Aulo Otilio, Tito Cesio, Antidio Tucca, Anfidio Namusa , Flavio Prisco, Cajo Atejo, Placurio Labeone Antistio, padre dell'altro L a beone Antistio, Cinna e Publio Gellio. Di questi dieci, otto scrissero libri, che da Anfidio Namusa furon tutti ordinati in cenquaranta libri,ed acqui starono grande celebrità Alteno Varo ed Aulo Otilio,dei quali il primo di ventò anche console, il secondo cavaliere soltanto. Fu questi amicissimo di Cesare, e lasciò molti libri che trattavano ogni parte del diritto civile, scrisse anche pel primo intorno alle leggi della vigesima ed alla giurisdi zione. Il medesimo pel primo commentò con grande diligenza l'Editto del pretore, mentre pria di lui Servio avea intorno a quello scritto soltanto due libri brevissimi, diretti a Bruto . Di quel tempo furono anche Trebezio, discepolo di Cornelio Massimo, Aulo Cascellio, Quinto Muzio, discepolo di Volusio che ad onore di quello l a s c i ò p e r t e s t a m e n t o e r e d e il s u o n i p o t e P u b l i o M u z i o . F u q u e s t o r e , n è a c cettar volle onori maggiori, sebbene Augusto gli offerisse anche il conso lato. Di questi dicesi che Trebezio su più istrutto di Cascellio, e questi più eloquente del primo; di ambidue più dotto fu Otilio.Di Cascellio non resta che un libro solo di bei motti;molti di Trebezio,ma poco ricercati. Quindi v’ebbe Tuberone discepolo di Ofilio, patrizio, che dal trattar le cause passo ad esercitare il diritto civile, specialmente dopo ch'ebbe ac cusato Quinto Ligario senza poter ottenere da Caio Cesare che fosse con 148 dannato.Questo Ligario, mentre comandava nelle spiagge d'Africa, non vi lasciò approdare Tuberone malato, nè prender acqua : di ciò accusato, fu difeso da Cicerone, del quale esiste la bellissima orazione intitolata A f a vore di Quinto Ligario. Tuberone fu dottissimo nel diritto pubblico e pri vato, e lasciò molti libri intorno all'uno e all'altro ; affetto per altro lo scrivere antiquato, e perció i suoi libri piacciono poco. Seguono Atejo Capitone, discepolo di Ofilio, ed Antistio Labeone che tutti questi udi,ma fu istruito da Trebazio.Atejo fu console: e Labeone, offerendogli Augusto il consolato per sostituzione, non volle accettar l'o nore, per non interrompere i suoi studi, giacchè avea cosi ripartito l'in teroanno,chestavaseimesiinRoma coglistudiosi,glialtriseisene ritirava per attendere a scriver libri, e lasciò quaranta volumi, molti dei quali corrono per le mani di tutti. Costoro formarono quasi due sette o p poste : poichè Capitone seguiva il vecchio che gli era stato insegnato ; L a beone, per natura dell'ingegno suo e per fiducia di sapere, poichè avea atteso anche agli altri rami della sapienza, intraprese d'innovare moltis sime cose.E così a Capitone succedette Massimo Sabino,a Labeone Nerva, i quali due accrebbero quella divisione. Nerva fu amicissimo di Cesare; Massimo fu cavaliere, e pel primo diede risposte in pubblico, secondo gli fu concesso da Tiberio Cesare. M a , come tutti sanno,prima di Augusto non dai principi concedevasi il diritto di dar risposte in pubblico, ma chiunque confidava negli studi fatti, ri spondeva a quanti lo consultavano. Nè però davansi queste risposte in iscritto,ma perlopiùlescrivevanoigiudicistessi,oleattestavanoquelli che gli avevano consultati. Il divo Augusto pel primo, onde in maggiore stima venisse ildiritto,ordinò che si dimandasse per l'innanzi,come pri vilegio, di poter dare risposte in pubblico. Poscia Adriano,principe ottimo, avendogli alcuni, ch'erano stati pretori, domandato di poter essere consul tatiinpubblico,cosilororescrisse: Nonvolersiciòdimandare,ma fare; consolarsi,se vi avesse qualcuno che,in se confidando, si apprestasse a ri spondere al popolo. Da Tiberio Cesare, adunque, fu concesso a Sabino che rispondesse al popolo. Questi entrò nell'ordine equestre nella avanzata età di quasi quarantacinque anni; ebbe scarse sostanze, ma fu molto aiutato da'suoi ascoltatori. Gli successe Cajo Cassio Longino, la cui madre era figlia di Tuberone o nipote di Servio Sulpizio, perciò egli chiama Sulpizio suo proavo. Fu console con Quartino al tempo di Tiberio,e godette grande stima nella città, fintanto che Cesare non lo caccio. Andò quindi in Sar degna, e, richiamato da Vespasiano, mori in Roma.A Nerva succedette Proculo.Diquei tempifuancheNervafiglio,edun altroLongino,cava liere, che poi sali fino alla pretura. M a autorità maggiore ebbe Proculo e 149 150 i s e g u a c i d e l l e d u e s e t t e d i C a p i t o n e e d i L a b e o n e ; p r e s e r o a l l o r a il n o m e di Cassiani e di Proculiani. A Cassio succedette Celio Sabino che molto potè ai tempi di Vespasiano;a Proculo,Pegaso che sotto lo stesso impe radore fu prefetto della città;a Celio Sabino,Prisco Giavoleno;a Pegaso, Celso;a Celso padre,Celso figlio e Prisco Nerazio,iquali furono ambidue consoli, anche Celso due volte ;a Giavoleno finalmente succedettero Aburno Valente, Tusciano e Salvio Giuliano. - CAPITOLO DUODECIMO. Il Giureconsulto e la Decadenza Il periodo unitario, per non rovinare nello accentramento , è equilibrato da quattro contraccolpi che sono le due guerre ser vili, la guerra sociale, la guerra civile e la guerra gladiatoria. Il Pretore ha annunziato una parola solenne nel diritto: l'e+ quità. La parola equità non è in Roma una legislazione, è una correzione, m a intanto col pretore è giunta al suo secondo periodo, è passata cioè dalla eguale notizia della legge dentro la legge istessa. Dove il legislatore era stato duplice, ed in dis sidio continuo, l'equità non poteva entrare che come correzione e in forma di casi particolari. L'equitå vorrà dire, di certo, che la repubblica signorile è fatta popolare ; che i peblisciti contrappesano i senato -consulti; che le grandi differenze si livellano ; m a dice qualcosaltro : l’e quità è una certa unità giuridica che preannunzia l'unità po litica. Ho designato i due grandi periodi dell'unità politica:l'unità italica; l'unità della civiltà mediterranea. Le sannitiche ele pu niche determinano specialmente questi due periodi. 151 Che cosa furono le due guerre servili e la guerra gladiato ria, quale valore e significanza ebbero, e furono guerre davvero, o un impeto disperato senza eco e senza effetto? Gli storici an tichi non danno ó fingono non dare molta importanza alle due guerre servili, con le quali si apre e chiude la generazione che 1 . 152 va dal 619 al 651. L'alto rumore di ciò che gli storici latini chiamarono Graccanae, e poi della guerra giugurtina, e poi della invasione dei Teutoni e dei Cimbri, gli uni sterminati da Mario nella Gallia transalpina, gli altri nella cisalpina, e poi della guerra sociale, e,immediatamente dopo,della prima guerra civile tra Mario e Silla, occasionata da Mitridate VII,tutto questo che non è poco rumore insieme con la politica sprezzante verso i servi, non arriva a spegnere il furore nè a soffocare il grido de' servi, che, levatisi a guerra vera contro i padroni, si batterono, vinsero, e poi caddero uccisi piuttosto che sconfitti. Strana guerra, m a spiegabile in R o m a e dopo il pretore e nella repubblica popolare. La voce dell’equità pretoria, l'aliud initium libertatis, che equilibra patrizii e plebei, l'imperio consolare coll'ausilio tri bunizio, creditori e debitori, padri e figli, romano e peregrino, quella arriva tra servi e padroni. I servi cominciano a voler essere considerati non romana mente,perché non sono e non si sentono di Roma,ma umana mente,da che sono venuti a Roma da ogni parte dell'umanità, ed hanno veduto in R o m a la lotta per l'equità. Hanno veduto e saputo che i diritti si strappano, e la solle vazione comincia dalla Sicilia, dove maggiore era il numero dei servi condannati alla coltivazione de'latifondi. Primo ucciso Da mofilo,proprietario di latifondi, in Enna,oggi Castrogiovanni; poi, disfatti quattro eserciti romani; in ultimo, de'settantamila servi cinquantamila uccisi in guerra, ventimila in croce. Nella seconda servile (651) il moto fu più ampio : non si sol levarono i servi soltanto, m a insieme gli oppressi peggio che servi : proletarii e diseredati. I servi superstiti alla guerra si scan narono tra loro. Simile guerra non si era veduta mai, e la lotta per l'equità facevala possibile a Roma .Ed alle servili somiglia la guerra gla diatoria che può anche passare come terza delle servili, e della quale gli storici del diritto costumano non toccar motto. Eglino 153 Gli storici romani lodano Spartaco a denti stretti, chiamano guerra appena le due servili e la gladiatoria, e non si accor gono che sono le prime guerre,dopo le quali la sconfitta è toc cata ai vincitori. Da Euno a Spartacoilgridoè uno,quellodellavecchiaplebe romana : libertas aequanda;summis infinisque jura aequare.Cið che rispetto a quella plebe sediziosa erano stati i Gnei G e n u n zio ed i Publilii Volerone, surono,rispetto ai servi ribelli,ilsiro Euno e il trace Spartaco: gli uni tribuni della plebe romana, gli altri tibuni dell'umanità servile : quelli per giungere all'equità latina,questi all’equità umana. Senza queste prime considerazioni non sarebbe intesa l'uni versalità del responso. Mentre si acqueta la seconda guerra servile, divampa la guerra sociale,col proposito di conseguire non l'equità umana, ma l'equità romana e con effetto immediato. La guerra sociale durd men di due anni, rapida e violenta, se a conto di Vellejo Patercolo costo all'Italia più di trecentomila uccisi. E fu detta sociale non già nel senso moderno della parola,ma perchè mossa contro R o m a da’socii italiani, reclamanti parità di diritti politici e civili co’romani, dopo aver falio insieme con quelli la potenza diRoma.L'aspettazione c !epromesse eranostatelunghe;iltri huno Livio Druso che ricordavale, mettendo in una tre rogazio ni, fu morto prima de'Comizii;e con quella morte fu inteso che i diritti, data l'ora, si strappano, non s'impetrano. non sanno che possono a lor grado diminuire i nomi di Euno, di Cleone, di Trifone e di Atenione,condottieri di servi,ma per nessuna via giungeranno a diminuire il nome di Spartaco che all'altezza del proposito univa l'arte dei mezzi. Spartaco intese l'ora e il luogo,cioè quando doveva dare il segnale della rivolta e come uscir d'Italia; intese ancora come gli restava a cadere, quando l'Italia gli si era fatta terra fatale. -- I seimila gladiatori, lungo la via Appia, appesi alle croci,come già i ventimila servi, dicono uno sterminio, non una sconfitta. 154 Di quindi la confederazione repubblicana, della quale i socii elessero centro Corfinium , cui posero nome Italica per signifi care il carattere nazionale della confederazione e della lotta. I centomila combattenti de'confederati si elessero duce Pompedio Silone, nome di un sannita,che ai popoli italici dev'esser sacro quanto il tribuno alla plebe romana, quanto Spartaco ai servi di ogni paese. Fu morto anche lui, uccisi i suoi,dopo la rovina di quattro eserciti romani,ma questa volta chiaramente i più scon fitti furono i vincitori. La guerra fu cominciata nel 663 : mentre durava, il diritto italico cominciava a farsi romano con la lex Julia(664),e,finitalaguerra,tuttal'Italiaacquistava idiritti di cittadinanza romana con la lex Plautia (665). Ecco l'evoluzione di questi diritti di cittadinanza derivati dalla guerra sociale : 1a gl'Italiani furono, per l'esercizio del suffragio, classificati in otto tribù nuove,aggiunte alle trentacinque pree sistenti; sicché tutta l'Italia venne a conseguire otto voci,quando Roma ne aveva trentacinque:sproporzione subito corretta, per chè gl’Italiani riuscirono in breve tempo a farsi distribuire pro porzionalmente nelle trentacinque tribů romane ; 2° il suolo ita lico è distinto dal suolo provinciale, è equiparato all’ager r o m a nus e liberato dal vectigal.L'italiano ha guadagnato ildominium ex jure Quiritium . Dopo la guerra sociale il diritto romano ė diritto italiano.Tra il romano e l'italiano sparisce il pretore peregrino. Non si ripeta questo errore,che le guerre servili furono ster minio senza essetto, e che feconda fu la guerra sociale. Dicasi invece che gli effetti delle guerre servili sono immediatamente invisibili e saranno più tardi raccolti dal filosofo e confidati al l'ideale di un jus hominum , mentre immediati sono gli effetti della guerra sociale, immediatamente saranno raccolti dal pre tore e dal giureconsulto, e passeranno nella costituzione politica diRoma.IlgeniomilitarediRoma potevaabbandonareiservi su'colti, m a non poteva espandersi senza de’socii. Interpretiamo la prima guerra civile.Da questa Montesquieu torse gli occhi, e dentro questa bisogna ficcarli, per intendere la decadenza . L'Italia ha conseguito lacittadinanza romana,quando in Roma la cittadinanza ha perduto d'intensità quel che ha guadagnato di estensione. L'Italia, contro la vittoria di Silla, ultimo vindice della ragione quiritaria, ha afferrato il dominio ex jure Quiritium ; m a i Quiriti dove sono ? Dove i patrizii ed i plebei ? Se tra l'i taliano ed il romano è sparito il pretore peregrino, si può dire che il pretore urbano duri per sentenziare tra il patrizio ed il plebeo ? La guerra civile è una funesta rivelazione, non per le proscrizioni, ma pel sinistro lume sparso sulla rovina morale de'romani. Con la guerra civile si apre la reazione de'grandi de litti contro le tradizioni dell'eroismo civile. Accenniamo , non possiamo narrare Quelle facce sinistra mente predesignate di Mario e di Silla rivelano due diversi tipi di sanguinarii, vuoti d'ideali. Mario agitavasi in nome di una plebe ch'ei non ama, perchè non trova;Silla reagisce in nome di un patriziato ch'egli, quando non può rialzare,disprez za.Sapevano guerra e movere legioni agguerrite; ma caddero sopra sė medlesimi, senza lasciar traccia, perchè vissuti senza disegno. Mario finisce, non ricordando la plebe, m a sforzandosi dimenticare sė ; Silla, ricordando sè solo, e buttando la ditta tura che sforzavalo a ricordarsi d'altrui. Grande fu lo stupore del gran rifiuto non per viltà,ma per disprezzo: Silla non aveva potuto rizzare il vecchio patriziato, come Giuliano non evocare gli Dei morti. Nulla dicono intanto quei funerali di Silla,e due mila corone d'oro intorno all'arca marmorea, e lo scorruccio d'un anno alle matrone? Dicono una sola cosa:che la repub blica è finita, e che R o m a aspetta il principe col motto di Asinio Gallo in Tacito : U n u m esse reipublicae corpus, atque unius animo regendum . L'assenza delle due parti che han fatto l'alto dissidio di R o m a , delle parti che han combattuto la lotta pel diritto, composta nel l'equità, l'assenza di quella plebe indomita e gelosa della sua 155 . maestà, e di quel patriziato che, quando non arriva a giustificare la preminenza con diversioni eroiche, tramuta in concessioni gli strappi, è accusata in Roma da due fattiirrefragabili: dalla uni versale viltà che accompagnò le proscrizioni sillane, e dal soli loquio infecondo dell'ultimo Gracco,al quale,moriente,addicevasi meglio il motto di Bruto minore (1). E ,dato il significato delle guerre servili,della gladiatoria,della sociale e della civile,è tempo di spiegarsi l'assenza delle antiche parti, la quale lascia intravveder l'Impero. La devastazione bellica, segnatamente dopo laseconda punica, e l'importazione commerciale sono le due cause precipue,onde i piccioli fondi cominciano a sparire per formare i latifondi,e però cominciano a spostarsi le parti, sostituendo alla questione poli tica la sociale : dov'erano patrizii e plebei cominciasi a vedere ricchi e poveri. Quindi, il potere pe’ricchi,le frumentationes pe' poveri, l'agricoltura pe’servi.Quindi,mentre da Silla a Pompeo la facoltà de'giudizii ballottavasi da’senatori a'cavalieri e viceversa, l'ordine giudiziario corrompevasi , di giuridico facendosi politico, e, più che politico, personale. Quindi,mentre i Gracchi e Mario cer:ano invano la vecchia plebe, da che la nuova, secondo Sal lustio, privatis atque publicis largilionibus excita, urbanum otium ingrato labori praetulerat, Silla cerca invano il vecchio patriziato,corrotto da'nuovi cavalieri,tra'qualisiviene a reclutare la mala genia de'publicani. Mentre si fa la romanizzazione del (1) Alcuni,per trovare qualche cosa di liberale intorno a questo tempo di Roma,hanno avuto ricorso persino alla congiura di Catilina,celebrando quest'uomo con inni assai postumi ed assai brevi, e allogandolo quasi tra il s o c i a l i s t a e il n i c h i l i s t a d e ' n o s t r i t e m p i . M a l a s t o r i a n o n p a t i s c e q u e s t e violenze e sfata questi travestimenti insignificanti. Catilina è rientrato s u bito nel posto destinatogli dalla storia, a documentare due cose : la degra dazione del patriziato e la reazione dei grandi misfatti contro le tradi zioni dell'eroismo civile. Ciò ch'egli non poteva trarre dal valore militare, splendido in Mario e Silla, voleva dalla congiura.E la degradazione morale fu chiarita dalla guerra combattuta in quel di Pistoia, dove l'esercito m a n dato contro Catilina era condotto da un complice nella congiura ! 156 157 mondo, il genio di Roma si sposta:l'agricoltura ch'era romana, diventa servile; ed il commercio che non era romano , diventa cavalleresco . Costituiti ilatifondi, l'agricoltura, per necessità, diventa ser vile e produce meno, giusta la ragione di Plinio: Coli rura ab ergassulis pessimum est, ut quidquid agitur a desperantibus. Il commercio diventa deʼricchi, e però assume le forme peggiori, quelle della soperchianza senza lavoro :le societates publicanorum corrompono leggi, megistrature, popolo. E da qui, secondo Ta cito, anche le provincie presentivano Augusto : Suspecto senatus populique imperio,ob certamina potentium et avaritiam magi stratum : invalido legum auxilio, quae vi, ambitu, postremo pe cunia turbabantur. Spariti i piccoli possidenti agricoltori, dopo tante lotte per le leggi agrarie i discendenti della plebe si trovavano più poveri di prima , m a tristamente paghi di questa povertà, alimentata prima dalle frumentationes, e poi da'congiaria. Alla plebe plebiscitaria era succeduta la plebs frumentaria. È certamente una costituzione politica che si sfascia, quella caduta tra due classi estreme (ric chissimi e proletarii), non equilibrate da quell'ordine intermedio che è diffusivo di sua natura, e per creare il quale R o m a aveva combattuto tante lotte agrarie. Basti, per ispiegarsi molto,voler sapere la popolazione d'Italia verso il tempo delle guerre servili. Eccola : quattordici milioni quasi i servi; quasi sette milioni i liberi, e di questi almeno sei milioni i proletarii. Era naturale:una ricchezza di cinque milioni di denari era povertà; e per esse ricco bisognava con Crasso, co'liberti Lentulo e Narcisso, ed anche con lo stoico Seneca,sa lire a più centinaja di milioni ! Conchiudiamo :dove c'è questa ricchezza di centinaja di milioni, ci dev'essere a fianco un vasto proletariato ; e dov'è finita la plebe romana, è finito il patriziato. Non c'è più plebe,da che è frumentaria,non più patriziato da che è pubblicano,non c'è senatus popolusque nè populus plebs que romana : c'è un volgo immenso o mobile o profano, volgo sempre, diviso tra ricchi e poveri. E contro questo volgo si av ventano implacabili i classici, tante volte volgo anch'essi, da che furono corrotti gliscente adulatione. Gli Augusti ed i loro m i n i stri -- Mecenati o Sejani che sieno sono divi non solo per i bramosi di pane e giuochi, non solo per i liberti imperanti e per gli stoici traricchiti, ma per gli scrittori che più simulano sdegno contro l'adulazione pubblica, quanto meno la possono su perare ne'loro versi e prose. Nė in tanto scadimento dell'anima civitatis resta la religione come supplementum civitatis defectui. Il mondo romano ha avuto più o meno di superstizione, e forse molta,ma religione sempre poca. Assai prima che Lucrezio derivasse nella cosmologia latina l'atomismo epicureo e creasse un poema ateo senza riscontro il poema dei dotti romani assai prima Lucio Azzio,il primo tragico nato in R o m a , faceva rappresentare pubblicamente sue tragedie poco riverenti agl’Iddii patrii. Nè di questa irriverenza gli faceva rimprovero il vecchio Pacuvio, ma della durezza de' versi, onde per contrario Azzio lodavasi, perchè quella durezza faceva riscontro alla fierezza delle sentenze.E iversi atei e duri del poeta tragico, attraversando i secoli più molli, erano letti e recitati al tempo di Lucrezio, di Silla e di Cicerone. A questi piaceva udire una voce antica, quasi divinatrice, di poeta : Neque profecto Deùm summus rex omnibus curat. Cosi trovasi da secoli apparecchiato l'ambiente ad Epicuro, ad Amafinio che lo esporrà in prosa, ed a Lucrezio, in versi. E , quando lo stoicismo con simulato sopracciglio verrà a velare la dottrina epicurea, Seneca ripeterà con gonfiezza stoica sen tenze lucreziane: Mors est non esse. Hoc eritpost me quod ante fuit. Ed altrove : Cogita illa quae nobis inferos faciunt terribi les, fabulam esse : nullas imminere mortuis tenebras, nec flu mina flagrantiaigne,necoblivionisamnem,nectribunalia.Lu serunt ista poetae, et vanis nos agitavere terroribus. 158 Jam jam neque Dii regunt, 159 Questo spiega come, mentre agli auguri è possibile sorridere guardandosi l'un l'altro, a Catilina è lecito patteggiare co' con giurati sino gli ufficii ed i gradi sacerdotali, dopo avere, impu nito, stuprato una vestale ! Spiega perchè, in questa decadenza, ai vincitori di Annibale sia fatto difficile vincere un Giugurta che sin da Numanzia aveva imparato a chiamare vendereccia R o m a, ed era incatenato da un peggiore di lui, Mario ; come a narrare un Catilina occorreva un più tristo, Sallustio.— Spiega anche più : dove la religione dechinava senza esservi stata mai gran fede, e però nessuna lotta religiosa, era imminente, non che possibile, una religione nuova : i primi cristiani sarebbero stati perseguitati come rei di Stato,non come religiosi.Sarebbero stati mai, come religiosi, puniti dai ricordatori di Lucio Azzio, dagli uditori di Amafinio, dagli ammiratori di Lucrezio e dai ripeti tori di Quinto Sestio ? Dov'erano stati condannati e sbandeggiati gli Dei pel solo sacrifizio d'Ifigenia,sarebbero stati glorificati nel sangue di migliaia di cristiani ? (1) Questo è scadimento, perchè, mentre da una parte si fa la romanizzazione, come la dicono, del mondo, dall'altra si fa la degradazione di Roma.Dovrebbe parere che, mentre l'umanità siromanizzava,per contraccolposiumanizzasseRoma:ma non si può dire cosi, perchè Roma portava al mondo il diritto, e il Deducta est,non ut,solemni more sacrorum Perfecto,posset claro comitari Hymenaeo : Sed casta inceste nubendi tempore in ipso Hostia concideret mactatu moesta parentis, Eritus ut classi felix, faustusque daretur. Tantum relligio potuit suadere malorum . Empio è detto da Vico questo epifonema,piaciuto ai vecchi romani che in forma induttiva trovavano raccolto in esso un sentimento comune,e giudicavano, secondo equità, più empio il rito che l'epifonema. E pel m e desimo sentimento dell'equità,più intenso del sentimento religioso,riscon trata la sepoltura di Pompeo e di Catone con quella di un mimo,poterono domandare : Et creditis esse Deos ? (1) N a m sublata virum manibus tremebundaque ad aras mondo portava a Roma le spoglie che facerano il lusso, come il lusso faceva la barbarie raffinata che è la decadenza. Quale umanesimo potevan portare a Roma la Grecia disfatta e le pro vincie barbare ? La romanizzazione si fa più rapidamente nelle provincie bar bare, che non dov'è la civiltà disfatta : prima si romanizzano la Spagna, le Gallie, le provincie britanniche e le danubiane, e dopo le greche e le fenicie che a R o m a contrappongono quale le tradizioni e quale la prosunzione. La Grecia riesce a insinuare la lingua di Omero e di Platone sin nelle ordinanze e ne'giudizii de'magistrati romani : ma la lingua del diritto finisce col vincere quella della poesia e della metafisica ed a portare tra il portico ed il liceo, contro le pe tulanti proteste de'retori, la scuola del giureconsulto.Allora è che il romano, mentre deplora la decadenza interna, glorifica in ogni forma la sua vittoria giuridica sopra il mondo . Allora Virgilio dice al greco superbo : T u parla e scolpisci meglio ; noi domineremo te e il mondo con le leggi, perdonando ai vinti e vincendo i superbi (1). Allora è che Plinio dice che l'Italia, romanizzando il mondo,ha dato l'umanità all'uomo ed una pa tria sola a tutte le genti : Colloquia et umanitatem homini daret, breviter una cunctarum gentium in toto orbe patria fieret. E sotto questo rispetto fu possibile un cosmopolitismo più pratico di quello degli stoici, in quanto non negava le nazioni,ma dava loro unità e colloquio da Roma :concetto raccolto da un impe ratore in questa sentenza : Patria mei, Antonini, R o m a : h o m i nis, mundus. Ciò è vero ed è grande : ma che portavano a Roma que're (1) Excudent alii (e sono i Greci) spirantia mollius aera. Credo equidem , vivos ducent de marmore vultus. Orabunt causas melius, coelique meatus Describent radio, et surgentia sidera dicent. Tu regere imperio populos, Romane, memento : Hae tibi erunt artes.... 160 161 incatenati, que'servi, que’gladiatori, que'retori e mercanti ? Come uomini gonfiavano la superbia del vincitore, come vinti lo corrompevano. Ma non bastava ad umanizzare vincitori e vinti il Diritto che era nella missione di Roma e da Roma dettato al mondo ? Certo, bastava, se il diritto romano fosse stato tutto il diritto umano,tutto,come oggi lo intendiamo,come oggi la scienza e la storia ce lo han fatto. M a non dobbiamo preoccuparle questa scienza e questa storia:dobbiamo vedere come in mezzo a que sta decadenza che abbiamo descritto, sorge e grandeggia il giu reconsulto . Il giureconsulto è l'espressione più elevata e più certa di questa romanizzazione del mondo. Più si dilarga la forza uni taria di R o m a, e più il responso del giureconsulto universaleg gia. Il responso vero, quello che diverrà fondamento d'istitu zione e di legislazione nel medesimo tempo,spazia tradue leggi de civitate, cioè dalla cittadinanza italica sino alla cittadinanza universale.Che importa che Roma corrompa sė,romanizzando il mondo ? Certo è che Roma non poteva fare l'unità delle genti senza disfarsi, e che questa unità doveva avere la sua espres sione giuridica. Ecco il giureconsulto. Dove la legge de civitate assume l'espressione più ampia e tocca il fastigio, ivi sorge il giureconsulto massimo che dà il più universale responso, il più umano,e rifiuta la vita per la santità del medesimo. Fa gene rosamente per il responso ciò che Catone uticense ostinatamente per la repubblica. Né le dodici tavole vecchio diritto aristocratico,nè le ro gazioni tribunizie vindici della ragione plebea , nè l'editto pretorio espressione limitata dell’equità , potevano esprimere Ja missione giuridica di Roma nell'unità del mondo. Tribuno e Pretore erano romani ; il Giureconsulto romanizza . Romanizza in tre periodi e modi : 1° elevando l'equità partico lare ad equità civile; 2° l’equità romana ad equità italica; 3o l'e quità italicaad equità umana.Ilresponsouniversaleggial'editto. 11 G. BOVIO.Disegno di una Storia del Diritto,ecc.,ecc. - 162 L'editto ha sempre qualcosa di particolare rispetto all'obbietto, alle persone, al tempo, alla forma. Di repentino farsi perpetuo non significa farsi universale : solo comprenderà quanti casi con simili entreranno nel giro di un anno. Certo, chi legge che l'e ditto pretorio è fatto jurisdictionis perpetuae causa, non prout res incidit, può credere che quella perpetuità sia universalità ; è invece la perpetuità della giurisdizione pretoria, la durata di un anno.Perciò non ismette la forma individuale, non assegue mai nè l'universalità teoretica delle formole razionali, nė l'im perativo impersonale delle dodici tavole. Tutti gli editti pretorii che oggi leggiamo,come de jurisdic tione, de pactis, de in jus vocando, de edendo, de postulando, de iis qui notantur infamia , de procuratoribus, de negotiis gestis, de in integrum restitutionibus, de nautis, cauponibus et stabu lariis recepta ut restituant,dejurejurando voluntario, de publi ciana in rem actione, de servo corrupto, de aleatoribus, de his qui effuderint vel dejecerint, tutti hanno la forma individuale, espressa in ultimo dalle parole jubebo, servabo, dabo, cogam, animdvertam e simili, o anche dall'espressione più individuale permissu meo, come in questa de in jus vocando :– Parentum , patronum,patronam , liberos,parentes patroni,patronae, in jus sine permissu meo ne quis vocel. E non solo l'edittodel pretore,ma anche l'aedilitium edictum, ma col dabimus, tenuto conto che due erano gli edili curuli o maggiori, come già due gli aediles plebeii (1). Ex his enim cau sis,judicium DABIMUS.Hoc amplius, si quis adversus ea sciens dolo malo vendidisse dicetur, judicium dabimus. Non è già che qualche volta non s'incontri la formola più generale, ma o come dichiarazioni o come illazioni della for mola singolare che distingue propriamente l'espressione giuri sdizionale dalla legislativa. (1) Per l'utilità di queste notizie ho riportato in nota il frammento di Pomponio. Ora veniamo alla sostanza. Come fa il pretore ad insinuare l'equità nell'editto senza aperta violazione del s u m m u m jus ? Che sarà questa gratia corrigendi juris civilis, per non essere negazione del diritto civile e sostituzione dell'arbitrio indivi duale ? Sarà, più che di frequente, una finzione pretoria che verrà ad alterare il fatto per serbare inalterato il diritto, e a p punto questa finzione di fatto correggerà la iniquità di diritto. Cosi il pretore fingerà pazzo il savio, vivo il morto , morto il vivo , e per processo di finzioni insinuerà da presso ai c o n tratti ed ai delitti i quasi-contratti ed i quasi-delitti. Que'quasi che degradano all'indefinito, sono indici dell'alterazione di fatto. La necessità che sia corretta questa contraddizione che con trappone la fictio facti all'iniquitas juris, indica la necesstà di un istituto che superi l'editto pretorio. Nell'editto l'equità pre domina,ma particolare,intrusa sotto la finzione di fatto con trapposta all'iniquità di diritto. Che è la finzione di fatto ? È il prodotto di un mutato criterio di diritto, è la protesta del fatto contro il vecchio diritto, è l'impotenza del vecchio diritto a c o n tenere il nuovo fatto e la nuova vita. Quindi, la necessità che il diritto si alzi a quel criterio presupposto dalla finzione di fatto.Questo criterio liberato dalla condizione di semplice pre supposto, questo criterio espresso e messo in grado non di torcere il fatto, ma di contenerlo tutto, di contenerlo come è nella storia e nel costume, costituisce il responso del Giurecon sulto. L'editto è costretto a torcere il fatto ; il responso univer saleggia il criterio inventivo che simula e dissimula il fatto. E con questo l'iniquità di diritto cade non per finzione, m a per natural ragione. Il responso corregge la correzione del diritto, erchè il diritto dev'essere il supremo correttore della vita so ciale . Per via di questa finzione di fatto il mondo non si sarebbe mai romanizzato,non l'avrebbe intesa nè imitata; ma per via del responso il mondo non si sente debellato, ma vinto vinto, perche issimilato. 103 . A questa universalità non si può giungere se non per la via delle definizioni, natefatte per universaleggiare, e per la via del metodo scientifico che mena alle definizioni reali e razionali. E del metodo vien dato merito a Servio Sulpizio ; delle definizioni a Quinto Scevola. I quali due sono giuristi e letterati per asse guire quel romano nihil tam proprim legis quam claritas:lode data da Cicerone sopra ogni altro allo Scevola, perchè adjunxit eliam el literarum scientiam. Con che si dice che la letteratura, la quale per altri è ornamento e pura erudizione, pel giurecon sulto è scienza. E , giacchè questa scienza e come metodo e come arte qui comincia , ho potuto affermare che il Giureconsulto grandeggia tra le due leggi de civitate, cioè dalla cittadinanza italica sino alla cittadinanza universale, dal 664 al 964 — tre secoli — dalla lex Julia sino ai libri quaestionum , responsorum et definitionum di Emilio Papiniano. E cosi sorge e cosi vien su e sale ampio il responso. Come Aulo Cascellio non volle mai deviare il responso da'fini dell'editto ed adattarlo sopra įli ordini emessi da’triumviri, affermando alto che la vittoria non giustificata non è titolo di comando ; cosi P a piniano volle piuttosto perdere la vita, che giustificare il fratrici dio commesso dall'imperatore, e adattare ilresponso a difesa del l'assassinio (1) Tale il tipo del giureconsulto. Entriamo a considerare il responso prima nella forma e poi nella sostanza. Venendo il giureconsulto con definizioni e metodo a liberare dalla condizione di presupposto il criterio che regola le finzioni di fatto contro le iniquità di diritto, egli universaleggia, innanzi tutto, l'equità, derivandola da una legge universale, superiore (1) So che gli storici contemporanei contestano la verità di questo fatto; m a ricordo che scrivevano sotto gli sguardi imperiali, e non sanno addurre altra ragione veruna della morte di Papiniano per ordine di Caracalla,se condo Dione Cassio ed Aurelio Victor. 104 alle dodici tavole, superiore all'editto del pretore ed a tutti i s e coli della letteratura e delle tradizioni giuridiche, e la chiama, con Cicerone, lex nata ante saecula, comunis hominibus et Diis, quibus universus hic mundus quasi una civitas existimanda. È , dunque, una regola di ragione, alla quale uomini e Dei non possono sottrarsi e per la quale il mondo è come una città sola.Il concetto pare stoico, m a risale i tempi sino alle tradizioni itali che,nelle quali è detto:Idem est ralioni parere ac Deo.La ra gione comincia a prendere il luogo del vecchio Fato che dalle spalle passa di fronte a Giove. E da codesta universalità della regola razionale derivasi la definizione della giurisprudenza: Notitia rerum divinarum atque humanarum , justi atque injusti scientia, ars boni et aequi. E di qui le tre regole comuni,secondo le quali le leggi hanno a farsi, ad interpretarsi, ad applicarsi : honeste vivere, neminem laelere,suum unicuique tribuere. Quanto alla forma, il giureconsulto non fa opera scolastica, non largheggia nelle definizioni: postane una in principio, piut tosto genetica che nominale, tira giù rapido alle applicazioni più pratiche, più vicine all'uso. - Movendosi rapido, usa termini tecnici ed evidenti, non moltiplica definizioni. Questo fine pratico ed immediato gli sta sempre innanzi,e fa il suo valore filosofico e letterario. Perciò, in mezzo alle antitesi ed alle gonfiezze della decadenza, il giureconsulto rimane artefice di stile e di lingua, epigrafico come ilgenio romano, e come abbiamo veduto Galileo e la sua scuola scientifica sottrarre il genio italiano agli artificii letterari del seicento. Quando il giureconsulto divaga dalla definizione fondamen tale e dal rapido processo dialettico, per qualcuna di quelle logofobie che sono imposte dal tempo, egli non cade nella reli gione, m a in qualche superstizione raccolta dalle tradizioni ita liche piuttosto che da altra parte. Paolo nelle senlenze stima p e r fetto il feto venuto fuori di sette mesi, secondo la ragione de'n u meri di Pitagora, dimenticando che perfettissimo a Pitagora era . 165 166 il nove, quadrato di tre. E , mentre il giureconsulto ragionava con proprietà e rapidità matematica,cercando un contenuto quasi matematico all'equità, pure secondo il costume latino sapeva cosi poco di geometria da supporre la superficie del trian golo equilatero'eguale alla metà del quadrato eretto sopra uno de'suoi lati. E ciò che appunto di più notevole trovasi nella forma del giureconsulto, non è l'imperativo inflessibile delle dodici tavole, nè il futuro personale dell'editto,ma l'espressione universale de rivata dall'equo buono, inteso come equità civile piuttosto che penale,e più umana che romana. E questa universalità sciolta dalle finzioni e definizioni,rapida, evidente, immediatamente applicabile, sa epigrafico il responso più che l'editto,più che le formole delle rogazioni tribunizie, e quanto le dodici tavole che restano sempre tipo formale delle leggi romane.Porciò l'epigrafe monumentale al Rubicone - già confine di R o m a fu, sebbene oggi se ne contesti l'autenticità, detta una volta - ore digna jurisconsulti (1). Rispetto alla sostanza, il responso è da considerare nell'ori gine, nelle scuole e nella conchiusione. Il primo periodo del responso è un semplice astiarre e ge neralizzare lo spirito degli editti pretorii, ordinandoli e colle gandoli. Anche questa opera si giova del metodo scientifico e della definizione, e però nasce con Aulo Ofilio che si assimila, (1)JUSSU MANDATUVE POPULI ROMANI Cos.IMP.TRIB.MILES TIRO COM MILITO ARMATE QUISQUIS ES MANIPULARIE CENTURIO TURMARIE LEGIONARIE HIC SISTITO VEXILLUM SINITO ARMA DEPONITO NEC CITRA HUNC AMNEM RUBI CONEM SIGNA DUCTUM EXERCITUM COMMEATUMVE TRADUCITO SI QUIS HUJUSVE JUSSIONIS ERGA ADVERSUS. PRÆCEPTA JERIT FECERITQUE ADJUDICATUS ESTO HOSTIS POPULI ROMANI AC SI CONTRA PATRIAM ARMA TULERIT PENATESQUE SACRIS PENETRALIBUS ASPORTAVERIT. S. P. Q. R. ULTRA HOS FINES ARMA AC SIGNA PROFERRE LICEAT NEMINI. Epigrafe legislativa, documento della missione latina. 167 per ordinare gli editti, l'opera di Servio Sulpizio e di Quinto Scevola : nasce ai tempi di Cicerone, nella generazione istessa della Lex Plautia de Civitate, con Aulo Ofilio Caesari familia rissimus, qui edictum praetoris primus diligentur composuit), e si chiude con Salvio Giuliano, legum et edicti perpetui subtilis simus conditor, il quale per disegno di Adriano stabilisce nel vero senso l'editto perpetuo, al quale i magistrati conforme ranno le loro disposizioni. Il responso assorbe il diritto onorario e lo supera (1). Il secondo periodo determina il metodo nel processo d'astra zione,lascia l'editto, e costituisce la scienza,creando due scuole nel vero senso della parola, e cosi chiamate dagli antichi :la scuola deSabiniani,che ebbe duce Attejo Capitone,ela scuola de'Pro culejani, derivata da Antistio Labeone. È vano dissimulare la dif ferenza : c'è nella qualità dell'ingegno e del carattere de'due m a e stri, nel contenuto de'responsi e nel conato posteriore di c o m perre le lue dottrine e le due scuole. In Labeone è più evidente l'indirizzo filosofico, in Capitone il metodo storico : non già che l'uno non tenga conto della storia e l'altro della filosofia, e che l'uno e l'altro non abbiano innanzi un fine immediatamente pratico: ma nell'uno prevalgono la de finizione e il discorso, nell'altro la tradizione. Sesto Pomponio nel frammento, da noi recato in nota,della sua storia del Diritto (De originejurisetomnium magistratuumetsuccessionepruden tium ) dice de'due : Antistius Labeo, ingenii qualitate et fiducia doctrinae, qui et in caeteris sapientiae partibus operam dederat, plurima innovare studuit: Atejus Capito in his quae et tradita erant, perseverabat. Il terzo periodo raccoglie le due scuole non in un eclettismo di Miscelliones, sognato da Cujacio, ma nella sintesi di Papi (1)Va intesochelecontroversiestorichesarannodamediscusse,quando potro liberare la storia del diritto dalla strettezza presente e confidarla a tutta l'espansione del pensiero. È chiaro qui che la perpetuità in senso di universalità viene dal giureconsulto,non dal pretore. niano che nel responso raccoglie con mirabile armonia il dop pio indirizzo, e ispira nella legge ciò ch'è sacro nella ragione e nella storia. Oltre quest'altezza il diritto romano non poteva salire. L'impero aiuta l'ufficio del giureconsulto per queste ragioni: gl'imperatori odiavano il vecchio diritto aristocratico che aveva armato la mano di Bruto e di Cassio e non dimenticava privilegi impossibili innanzi all'imperatore:astiavano il diritto onorario,di origine aristocratica, e gareggiante con la potestà del principe nell'emissione dell'editto : e, scaduta la tribuna, vedevano volen tieri all'eloquenza giuridica succedere l'investigazione giuridica, all'oratore il giureconsulto. Potei,dunque,scrivere che,come iltribuno impiccioliva innanzi al pretore, così il pretore innanzi al giureconsulto. La promul gazione avvia all'editto, l'editto al responso .
Thursday, July 29, 2021
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