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Thursday, August 13, 2020

IMPLICATVRVM -- in IV -- IV

alla vita del quale è stata pre parata e adattata, diviene ancora uno dei più importanti obbietti della filosofia in tellettuale. Come pianeta, il suo moto, la sua fi gura, e le sue relazioni cogli altri corpi del sistema planetario, entrano tra gli obbietti dell'astronomia geometrica o sia della meccanica celeste. V. Pianeta, Si Slema. Come il globo del nostro domicilio, di cui c'importa conoscere la forma, la su perficie, da noi abitata, e le sue diverse parti, abbraccia la storia naturale tutta intera, il regno animale, il vegetale, il terrestre, e l'etereo; dapoichè l'atmosfera e le meteore debbon esser considerate, e sono, parti accessorie della Terra. V. Ma tura, Storia. Infine come parte dell'universo, e come l'opera del Creatore, che noi siam chia mati a contemplare, somministra i più grandi e i più importanti argomenti della cosmologia, delle cause finali, e della teo logia naturale. V. queste voci. Riducendo a due temi generali tutti gli obbietti speciali che ciascuna delle divisate scienze prende partitamente ad esaminare; le nostre investigazioni intorno alla Terra, considerata per se stessa, e fuori d'ogni relazione colle altre parti dell'universo, possono risguardare o la sua esterna for ma, o la sua interna composizione: la - 495 - prima appartiene alla geografia fisica, propriamente detta: la seconda alla geo logia e alla mineralogia: la geologia è una scienza generale, la quale apre alla mente umana degli spiragli per penetrare nella storia fisica del mondo: la minera logia contiene propriamente l'analisi delle particolari produzioni naturali rinchiuse nel profondo seno della Terra. Lasciamo questa a'naturalisti, e fermiamoci alquanto alla prima, di cui l'importanza è mag giore, non tanto perchè più alletta e sod disfa la nostra curiosità, quanto perchè i fatti generali, a quali le sue osservazioni ci conducono, possono spandere un gran de lume sopra le leggi fisiche, nelle quali sono fondate la cosmologia, e la dottrina della creazione. V. questa voce. Certamente noi non possiamo conoscere come la Terra è stata plasmata, quali sieno i suoi primi componenti, quale la sua interna composizione, quale il prin cipio o l'essenza della forza che la muo ve e la tiene sospesa nello spazio dei cieli. Abitatori della sua superficie, cer chiamo d'investigare le qualità della ma teria, che cade sotto i nostri sensi ; dia mo nome alle cose per distinguere le une dalle altre; ma dopo averle denominate ed ordinate nella nostra memoria, non però ignoriamo meno il costitutivo loro. Cerchiamo d'internarci nelle viscere sue, e parliamo del centro della terra, ma limitati e piccioli come siamo di rincon tro alla natura, quando crediamo di es sere discesi ad una grande profondità, ci troviamo ancora vicini alla corteccia esteriore del globo: i più profondi cava menti delle miniere appena uguagliano l'ottomillesima parte del diametro della Terra. Facciam congetture intorno alla materia di cui il suo nucleo è composto, ed ora lo concepiamo come solido e cri stallino, ora come sede del fluido , del fuoco, e del calorico; concetti ipotetici, i quali servono soltanto ad alimentare e a rendere attuoso lo spirito d'investiga zione di cui siamo dotati. Volgiamo gli occhi alle montagne che ci circondano, e domandiamo a noi stessi come si sieno formati sì grandi masse; come in esse sia stato alimentato il fuoco del volcani; qual parte abbia questo avuto nella for mazione del globo ; come cotesto fuoco ancora si accenda in talune di esse, d'onde provenga, da quali materie accensibili, se le somministri il mare o la terra stessa. Tutte queste ricerche sono utili per pro muovere lo spirito d'investigazione, e per darci nuovi suggetti da ammirare l'im mensità e la varietà delle opere della na tura, senza farci nulla avanzare nella conoscenza de mezzi, pe quali ha ella operato. Pur tuttavolta, tra le tante confessioni d'ignoranza che dobbiam fare a noi stessi; qualche baglior di luce ci mostra de'fatti, da quali possiam ricavare qualche conse guenza utile al principale scopo delle no stre investigazioni. Nella parte più interna della terra, e delle rocche; nelle masse de'marmi e delle pietre le più dure; sulla cima del monti, e ne siti più lontani dal mare, noi troviamo conchiglie marine, scheletri di pesci, e piante marine simili a quelle, che vivono attualmente nel ma re: tali produzioni trovansi petrificate e incorporate nella stessa sostanza terrestre che le circonda e contiene. Cotesto fatto, accuratamente esaminato ci ha dato la chiara dimostrazione che la Terra ora da noi abitata fu un tempo co verta dalle acque del mare; che queste acque superarono le più alte cime de mon – 496 – ti; che, quel che ora noi chiamiamo ter ra, fu per lungo tempo fondo d'un mare; e che la forma, e la disposizione delle materie e degli strati che ora la compon gono sono l'opera della lenta deposizione delle acque medesime. Questo è quel fat to, che ha aperto alla geologia il varco, per istabilire un principio vero della storia fisica del nostro globo. I sistemi, che sopra tal fatto sono stati fondati, han preso il nome di Teoria della Terra, ma prima che la storia naturale e la mineralogia non avessero messo in chiara luce il fenomeno delle petrificazioni e del depositi del corpi marini, cotesti si stemi aggiraronsi circa le supposizioni e le ipotesi. Tali furono quelli di Burnet, di Wiston, di Woodward, la protogaea di Leibnizio, la Teoria di Scheuchzer, e lo spettacolo della natura di Pluche. Buffon fu il primo a ben valutare le conseguenze del fatto delle petrificazioni, e dopo di lui de Lue nelle sue lettere sulla storia della terra e dell'uomo. Checchè possa dirsi di talune delle loro congetture, essi me ritano di essere considerati come i fonda tori della moderna geologia. Il fenomeno delle petrificazioni de corpi organici stu diato ancora con più accuratezza da mo derni geologi ha fatto acquistare a questa scienza dati più sicuri per determinare le diverse età degli strati, i quali formano l'esterna corteccia del nostro globo. (Vedi anche la Teoria della Terra di Cuvier, o sia il Discorso intorno a cangiamenti della superficie del globo). V. Fossile, Geologia. Dalle stesse tracce, che i corpi marini hanno lasciato sulla terra, emerge un'altra verità di fatto non meno importante della prima, che è la novità del nostro con tinente, novità relativa a quella sterminata antichità, che è piaciuto a molti di sup porre sopra i falsi suppositi della storia favolosa di talune nazioni. Diciamo esser nuovo il nostro continente, perchè lo ab biam ricevuto dalle mani della natura in uno stato emergente da una fisica rivolu zione, la quale mutato aveva la sua antica e primitiva superficie. Cotesta verità stabi lisce il principio della cronologia fisica del mondo, alla quale immediatamente si annoda la cronologia civile, fondata nel periodico rivolgimento de corpi celesti. V. Cronologia, Storia. TERRORE (prat.), viva emozione del l'animo per l'aspetto d'un gran male, o d'un grande pericolo. V. queste voci. Differisce dallo spavento, che presup pone una improvvisa cagione.V. Spavento. TESTA. V. Capo. TESTACEo (spec. ), animal coverto da buccia o da nicchio, che vive per lo più nelle acque, ed anche nella terra. Secondo Linneo i testacei eran compresi nella classe del vermi e demolluschi, ma giusta le più recenti classificazioni, pren dono il loro luogo non dalla esterna for ma, ma da altre parti caratteristiche del loro interno organismo. V. Mollusco, Or ganismo, Verme. TESTIMONIANZA (spec. e prat.), il detto d'un uomo di retti sensi e di sano giu dizio, il qual depone d'un fatto da se veduto, o inteso. È il fondamento dell'autorità, e della credibilità del fatti, del quali giudichiamo sulla fede altrui. V. Autorità. È una spezie delle pruove, per le quali ci accertiamo della verità d' un fatto in certo. V. Pruova. – 497 – Impropriamente diamo a questo voca bolo il significato d'una manifestazione de propri sensi. V. Senso. TIMIDEzzA e TIMIDITÀ (prat.), qualità che l'animo contrae per l'abito del timore. V. questa voce. Tmone (prat.), perturbazione d'animo, cagionata da immaginazione di futuro ma le. V. questa voce. Gli stoici lo definirono, opinione d'un mal che sovrasta, e che apprendiamo per intollerabile, e ne fecero uno dei quattro generi delle passioni, cioè: la tri stezza, il timore, l'allegrezza e la cu pidigia. A questo genere poi assegnarono come sue spezie: la pigrizia, la vergo gna, il terrore, la semplice tema, lo spa vento, la sconfidanza, e la costernazione. Per verità non soddisfa la definizione nè la proposta partizione. Non ogni mal temuto produce molestia intollerabile; nè s'intende come la pigrizia possa in qualità di spezie sottostare al genere del timore; nè come la vergogna, che è un segno del mal fatto, possa essere confuso col senti mento del male che de'avvenire. Inoltre il timore è un sentimento che ci occupa pel male che attendiamo da altri e non da noi stessi; mentrechè la vergo gna si riferisce unicamente al fatto pro prio. Noi abbiamo altrove notato i vizi delle stoiche categorie intorno alle passio ni. V. questa voce. ToLLERANZA (prat.), moderazione per la quale si lascia fare ad altri, quel che si crede non dovere, o non poter impedire. ToPICA (disc.), arte di trovare gli ar gomenti. Gli antichi retori ed oratori diedero gran de importanza a quest'arte, in pruova di che abbiamo i libri che ne scrissero Ari stotele e Cicerone. I moderni han meglio degli antichi compreso che l'arte del ra gionare, del pari che l'eloquenza si ac quistano più facilmente per la virtù d'una colta immaginazione, e per la imitazione, che per le regole scritte. E però sono an dati in disuso i così detti luoghi logici e retorici. V. Luogo. ToPoGRAFIA (crit.), minuta descrizione d'una contrada o d'un particolar paese. ToRACE (spec.), la capacità del petto, nella quale son compresi il cuore insieme cogrossi vasi e i polmoni. V. questa voce. ToRMENTo (prat.), pena che affligge, o dolor grave e continuo, che si prova per la vessazione del corpo. I latini l'espressero per un frequenta tivo, afflictatio, vale a dire per lo dolor continuo. V. Dolore. ToRPIDEzzA, ToRPIDo e ToRPORE (prat.), grado di pigrizia, che si avvicina all'as senza della facoltà sensitiva, e del senso morale. V. Senso. È una similitudine presa dall'intirizza mento e dall'impedimento di moto, che soffrono i sensi esterni in vicinanza del sonno, o per altra cagion fisica, che so spenda le funzioni di quelli. ToRTITUDINE (prat.), per un senso tras lato dal non retto, vale ingiustizia e mal vagità. V. queste voci. ToRro (dise. e prat.), quel che è con trario al retto e al giusto. 65 - 498 – Vale tanto nel senso d'un falso ragio nare, quanto in quello d'un fatto contra rio a principi della giustizia. In un significato più comune vale in giuria, o danno arrecato. V. queste voci. - TRACHEA (spec.), vaso cartilaginoso, per lo quale, a guisa d'un tubo, passa l'aria nel polmoni. È l'organo immediato della respirazione e della favella. V. Respirazione. TRAcoTANZA (prat.), eccesso d'insolen za, commesso con deliberato animo.V. In solenza. TRADIGIONE e TRADIMENTo (prat.), la frode commessa a colui, al quale si ha obligo d'esser fedele. È il maggior di tutti i vizi, perchè rompe il natural legame della comunione tra gli uomini, e delle virtù che da que sta dipendono. Le leggi umane lo puniscono colla nota dell'infamia; il comune linguaggio lo qualifica col nome di perfidia, e i poeti morali cercano di renderlo anche colle immagini, odioso e dispregevole. Sappi che tosto che l'anima trade Come fec'io, il corpo suo l'è tolto Da un dimonio che poscia il governa Mentre che 'l tempo suo tutto sia volto. DANTE Inf. 33. TRADIZIONE ( crit.), racconto di fatti e di avvenimenti, trasmesso da una età al l'altra. Distinguiamo in questo vocabolo due si gnificati, uno generale, particolare l'altro. di tutte le umane conoscenze. Per tale la considerarono gli antichissimi sapienti del paganesimo, presso i quali distinguevasi la dottrina teologica, tradizionale, o po sitiva, dalla razionale. Quella metteva capo nelle prime credenze depopoli, e nelle manifestazioni della divinità: questa trae va origine dalle speculazioni del filosofi. I poeti teologi furon maestri della tradizio nale, che Pitagora, Parmenide, e lo stesso Platone cercarono d'innestare alla razio nale. Aristotele, richiamando la filosofia alla osservazione e alla sperienza del sen si, separò interamente la tradizione dalla speculazione e dal ragionamento. Ma le opinioni degli antichi intorno al saper tra mandato all'uomo erano fondate sopra con fuse idee di origini del tutto mitologiche. Di quanta maggior importanza non è la tradizione per noi, che riconosciamo dal la creazione, e da una prima necessaria rivelazione le principali tra le umane co noscenze, se anche queste altre non fos sero, che la cognizione del Creatore, l'uso della parola, e le notizie delle cose ne cessarie alla vita? Mel particolare, è l'elemento della sto ria, che mette capo nella testimonianza dei primi uomini, i quali furon presenti alle cose narrate. È quel genere di storia verbale, proprio del popoli rozzi e senza lettere, i quali non hanno altro mezzo di comunica zione fuori della voce. La sua naturale cre dibilità è maggiore o minore, secondo chè è più o meno vicina alla sua sorgen te, e però distinguesi in prossima o ri mota, in antica e moderna, in generale e particolare, e per rispetto alla qualità de fatti narrati, in sagra e profana. La rimota tradizione del mondo pagano son Mel generale, la tradizione può essere quelle prime favole o dicerie, che i primi considerata come la sorgente e la madre scrittori di storia narrarono come accertate – 499 – dalle popolari credenze. E siccome abbia mo di già veduto quanto tardi s'introdu cesse l'uso del caratteri e della scrittura presso i popoli del paganesimo; quanto povera fosse la loro cronologia, fondata nella sola genealogia delle famiglie; e come la storia civile si trovasse involta nelle favole e nella mitologia; così possiam dire, che la storia civile del mondo non è preceduta da alcuna tradizione; e che la certezza storica comincia dalla età dei primi scrittori di storia. V. Cronologia, Storia. Può la particolare tradizione d'un po polo avere quei caratteri di certezza, che non ha la generale, il che si verifica quando stabilita sia tra gente, che abbia uso di scrittura e cognizione di lettere; quando fondata sia in una certa e distinta misura di tempo; quando sostenuta sia da monumenti o da altre memorie stori, che; quando convalidata venga da fatti e da avvenimenti naturali d'innegabile verità; e quando sia stata costante ed uni forme per modo, che separando i diversi periodi di tempo ch'ella comprende, cia scuno di questi raccolga tanti motivi di credibilità e di certezza, quanti ne ha l'altro che lo precede. Nel concorso di tutti i cennati requisiti, il prossimo ag giugne fede al rimoto, e l'uniformità del consenso di tutte le generazioni, per le quali la tradizione è passata, forma una invincibile autorità eguale a quella che aversi potrebbe d'un fatto presente per la testimonianza di tutto un popolo, e di cia scuno degl'individui che lo compongono. Una tradizione di tal fatta, renduta per manente dal primo scrittore di storia che l'ha per le lettere tramandata, è quel che dicesi tradizione scritta o storica, la quale non solamente si confonde colla stessa sto ria, ma le imprime il carattere dell'au tenticità. V. Autorità, Testimonianza. Il solo ed unico esempio di tale auten ticità ci viene dalla sagra tradizione, cui è stata affidata la prima, e la seconda rivelazione fatta al genere umano. La dottrina sì dell'una che dell'altra è nata dalla parola e non dalla scrittura. L'uomo non ha saputo formarsi una storica tra dizione. Ce l'ha data Iddio insieme col linguaggio e colla scrittura. V. queste voci. TRADUZIONE (crit.), il voltare da una lingua in un'altra il componimento d'un autore. Le traduzioni sono state il mezzo per lo quale le conoscenze e la coltura son passate da un popolo in un altro. Per tal mezzo passarono nel Lazio le lettere e la coltura de Greci. Livio, Ennio, Sisenna, Messala ed altri cominciarono a trasportare nella loro lingua i classici greci, e di que sto primo studio parlando Orazio dice: Tentavit quoque si rem digne vertere posset Et placuit sibi. Per lo stesso mezzo uscimmo noi e le altre europee nazioni dalla barbarie della età di mezzo, e richiamammo a vita le lettere greche e le latine. Insino a quando la lingua latina fu il linguaggio comune de'dotti, l'uso delle versioni fu limitato a trasportare le lingue morte nelle viventi. Ma dacchè ciascuna nazione ha cominciato a coltivare la sua lingua, e a trattare le scienze e le arti nel proprio sermone; le traduzioni son divenute generali, e neces sarie per la reciproca comunicazione dei pensieri tra le nazioni di diverso parlare. Maggiore certamente è la facilità di questi volgarizzamenti di rincontro a quelli del º – 500 – le lingue antiche ; ma la facilità stessa è stata sorgente di licenza, e di barbarismi. Di licenza, perchè il tradurre è divenuto mestiere da dozzina, affidato ad uomini i quali poco o nulla conoscendo le materie de libri che traducono, svisano i pensieri dell'originale, o sostituiscono le idee loro al pensier dell'autore. Di barbarismi, per chè i traduttori corrompono la propria lin gua coll'adozione d'ogni sorta di locuzioni e di vocaboli superflui, e riprovati dalle forme e dalla eufonia della lingua stessa. Tali licenziose versioni nelle opere di gu sto o di amena letteratura non solamente mancano al principale loro scopo, ma can giano spesso il bello in deforme ; e nei suggetti scientifici svelano l'ignoranza e l'incapacità del traduttori ; il che sovente ancora torna a disdecoro della nazione, cui essi appartengono. Il traduttore in somma dee sapere ripensare nella pro pria lingua quel che l'autore ha pensato nella sua, e trovare ne termini i perfetti equivalenti di quelli ne quali l'originale si è espresso. I vizi testè divisati, uopo è dirlo, sono oggidì frequenti in Italia più che altrove, e tanto più inescusabili quanto più fre quenti sono nelle versioni di due lingue, che tra le moderne volgari sono le più af. fini tra loro, come l'italiana e la france se. La ragione di ciò è, che le traduzioni son divenute speculazioni di stampatori, i quali impiegano a quest'ufizio giornalieri idioti, che nel voltare gli scritti da una lingua in un'altra corrono dietro alla ma teriale somiglianza delle parole. Che se non volessimo schivare la nota di far da critico e da censore della presente età , additar potremmo tre o quattro celebrate e voluminose opere storiche e scientifiche, o da poco edite, o ancora in corso di stampa presso i principali tipografi italiani, le quali potrebbero essere messe al bando come esempi d'insensate e puerili tradu zioni. Ma una censura legale sarebbe pur necessaria, sopratutto ne libri d'insegna mento, acciocchè non venissero in danno della gioventù deformati da false o da confuse nozioni. - Per contrario i vantaggi delle perfette traduzioni sono il mezzo da diffondere la coltura, mettendo tutte le nazioni incivi lite al medesimo livello; e da arricchire le lingue viventi con nuovi vocaboli o tecnici o comuni, purchè nella loro ado zione convengono le forme gramaticali e i requisiti riconosciuti dall' Uso. (V. il disc. prelim. S. VXI. e seg. ). TRAGEDIA (crit.), poema drammatico, che rappresenta una eroica azione, degna di essere imitata o ammirata, e capace di nobilitare le passioni della commisera zione e del terrore. l drammatici e i critici hanno molto disputato intorno alla definizione della tra gedia, prendendo per norma quella da tane da Aristotele, il quale tra caratteri propri dell'azione novera quella di purgare le passioni per mezzo della commiserazione e del terrore. I drammatici francesi, e so pra tutto Corneille e Voltaire, non che Me tastasio hanno o dichiarato oscuro, o volto in ridicolo il concetto di Aristotele. Ma se il purgamento, che in somma è una tra duzione della voce greca a 3xfois si prenda per purificare, che vuol dire nobilitare; il concetto di quel gran maestro divien chiaro e non oscuro, e molto meno ride vole. Il terrore è una passione comune, e non degna d'un animo forte. L'essere poclive alla commiserazione, al pianto, e al dolore è indizio d'animo debole; e per - – so – lo meno son questi moti del cuore facili ad essere suscitati da grandi, e da picciole cagioni. Ma il temere per la virtù perse guitata o per l'innocenza oppressa; e il lacrimare per l'una o per l'altra, è degno d'un cuor nobile; siccome il saper suscitare opportunamente tali passioni, è opera di grande artista. E certamente esse son pu rificate e nobilitate, quando l'azione dram matica dimostra, come possano essere no bilmente collocate. Lo stesso può dirsi del l'epopea, la quale, secondo l'avvertenza dello stesso Aristotele, non differisce dalla tragedia, se non perchè pone in uso una sola spezie di versi, perchè si limita alla sola narrazione, e perchè non è, come la tragedia, limitata nel tempo (Art. Poet. Cap. V.). Ogni azione drammatica comica o tra gica che sia, si prefigge il fine di dilet tare e d'istruire. Il diletto nelle azioni dram matiche nasce dalla perfetta imitazione della natura; e l'istruzione, dal conoscere la giusta misura delle passioni. Questo è quel che gli scrittori dell'arte han chia mato utilità, ad introdurre la quale nei tragici componimenti raccomandano tre mezzi: 1.º l'uso delle sentenze morali, sobriamente ed opportunamente adoperate: 2.º la naturalezza nel rappresentare e nel descrivere le passioni: 3.º il sapere ispi rare agli spettatori l'interesse per la virtù, contra le vicissitudini della fortuna. Tutti i cennati requisiti non pertanto ne pre suppongono un altro, nel quale principal mente è riposto l'effetto delle tragiche rap presentazioni, che è la verisimiglianza del fatto, e del suoi accidenti. A stabilire la verisimiglianza son dirette le regole del l'unità dell'azione, del tempo, e del luo go, che non pertanto conviene bene in tendere, per non cadere nelle estremità di quelli che pretendono di trovare il ve risimile nel vero ; o di quegli altri che affrancar vogliono l'imitazione da qualun que regola di verisimiglianza. V. Verisi mile, Unità. TRAGICOMEDIA ( crit.), componimento drammatico misto, in cui all'argomento tragico sono interposti attori, azioni, o incidenti comici. E una delle bizzarrie teatrali, scono sciuta agli antichi, i quali non mai con fusero, nè associarono insieme i due ge neri per se stessi distinti, il comico cioè e il tragico, quantunque Plauto avesse per gioco chiamato tragico-media l'Amfirione, perchè fece ivi intervenire gli dei e gli eroi. Ma cotesti personaggi non aggiun gono nulla di tragico a quella comedia, dapoichè vi sono adoperati per sommini strare occasioni verisimili alle ridicole av venture di Sossio. Ei pare che si possa francamente affer mare, esser quella una produzione di fal so gusto, tra perchè offende il verisimile, e perchè non può prefiggersi alcun fine utile. L'azione perde ogni carattere di gra vità, allorchè gli spettatori sono alterna mente invitati al riso e al pianto, o alla tristezza e alla gioia. Cotesto genere di componimenti drammatici è stato in uso presso le moderne nazioni, e in alcune più che in altre. I Francesi spezialmente ci han dato per lungo tempo le loro com medie lagrimose, le quali sembrano ora essere state sbandite da un più ragione vole gusto. Il romantico, che vuol rivendicare i diritti della libera fantasia, potrà forse risuscitare la tragicomedia, e associar di nuovo i capricci della fantasia colle regole del verisimile, V. Romantico. – 502 – TRANELLo (prat.), inganno ordito con malignità ed astuzia. TRANQUILLITÀ (prat.), stato di quiete in cui l'animo si trova per la calma degli affetti. È uno de caratteri della beatitudine. V. questa voce. TRASCENDENTALE e TRAscENDENTE (spec. dise. e erit.), quel che sopravanza la capacità dell'ingegno, o trapassa la co mune misura delle umane conoscenze. I metafisici chiamarono trascendentali l'essenza di Dio e quella degli spiriti ce lesti, perchè la mente non può concepire quali esse sono. Lo stesso avrebbono do vuto dire delle essenze di tutte le cose, e chiamare trascendentale la nozion del l'essenza in generale. I logici e gli ontologisti chiamarono trascendentali taluni termini, i quali son sì generici, universali e indeterminati, che convenir possono ad ogni subbietto. Tali sono i vocaboli l'ente, l'uno, il vero, il buono, la cosa. I geometri chiamarono trascendenti una spezie di quantità incommensurabili, la cui determinazione non può dipendere dal le operazioni dell'algorismo algebraico, come i logaritmi, le quantità esponenziali, e le circolari; e Leibnizio chiamò trascen dentali le equazioni, per le quali le curve trascendentali son definite. Kant ha chiamato trascendentale quella parte della filosofia la quale raccoglie le nozioni acquistate a priori, per mezzo dell'organo della ragion pura.V. Filosofia. Finalmente questo vocabolo è divenuto il favorito della moderna scuola del pro gresso, la qual predice un futuro stato di sapienza e di prosperità, cui la lunga vita del genere umano ha sinora servito di semplice preparazione. Quali sieno i dati, ne quali cotali predizioni son ſon date, l'abbiamo già detto nell'articolo pro 9resso. V. questa voce. TRAscURAGGINE e TRAscuRANZA (prat.), omission grave di quel che per dovere, o per propria utilità, convien fare. E più della negligenza. V. questa voce. TRAsUMANARE (prat.), passare dalla uma nità a grado di natura più alta. E vocabolo di Dante: Trasumanar, significar PER vers 1 Non si poria: però l'esemplo basti A cui esperienza grazia serba. (Paradiso I.). TREPIDAZIONE (prat.), timor grave ac compagnato da tormentosa aspettativa del male. V. Timore. TRIBOLAZIONE (prat.), afflizione prolun gata per nuove punture di dolore. V. que Sta VOce. TRISTEzzA (prat.), malinconia, che do nina l'animo, per un male che soffre, o per un pericolo che teme. La tristezza può nascere tanto dal do lore, quanto dal timore. Gli stoici la con fusero col dolore, quantunque essa non sia, se non un segno il quale accompa gna ambe le cennate passioni. È questa una novella pruova della imperfezione delle stoiche categorie intorno alle passio ni. V. Dolore, Timore. TRIstizia (prat.), ribalderie ridotte in costume. V. Ribalderia. – 505 – TRoPico (spec.), uno de due circoli della sfera tirati paralelli all'equatore, i quali segnano i limiti del cammino del sole verso i poli, o sia la sua maggior declinazione verso il settentrione e il mez zogiorno; per modo che quando il sole è giunto all'un di essi, volge il suo corso verso dell'altro. TRoPo (disc.), l'inversione del senso d'una parola, dal proprio nel figurato. I sensi figurati sono sì necessari alla forza e all'ornamento del discorso, che ci son divenuti familiari, anche nel parlar comune, e gli usiamo quasi senza avver tirgli. Così diciamo asino per uomo igno rante, casa per città, e indichiamo la parte perlo tutto, e le figure per le cose figurate. Disputano i gramatici se i tropi possano o no dirsi figure, il che da molti si nega; perchè chiaman figure quesoli ornati che si fanno al discorso aggiugnendo, toglien do, o trasponendone le parti. Costoro li mitano il significato del tropo alla sola inversion del senso delle parole; e questa inversione, dicono, potersi fare in quattro modi, che sono la metafora, la metoni mia, la sinecdoche e l'ironia. Sembra a noi ben facile la conciliazione delle due contrarie opinioni, dicendo che i tropi entrano nel genere delle figure; dapoichè per senso o parlar figurato tutti intendono ogni discorso, il quale esca dal significato e dall'ordine naturale delle pa role. V. Figura. TUoNo (dise. e crit.), grado di pro gressione della voce, o del suono dal grave insino all'acuto. Conviene tanto a diversi gradi della na turale elevazione della voce, quanto alle progressioni studiate della musica. I Latini li chiamarono modi, i Greci tuoni o tropi. I gradi di tali progressioni hanno nella musica un numero determinato, il quale forma quel che noi diciamo ottava. TURBOLENTo e TURBOLENZA (prat.), si militudine del materiale, trasportata all'animo scompigliato, o commosso. TURPE (prat.), quel che è vizioso e deforme insieme. TURPILoquio (prat.), parlare disonesto e laido. E vocabolo usato dal Cavalca. TURFITUDINE (prat.), ogni disonestà, che ha del brutto o del laido. TUTTo (spec. e disc.), l'aggregato del le parti, che formano un corpo, sia in dividuale, sia collettivo. V. queste voci. I Latini adoprarono due vocaboli per esprimere due significati che noi diamo alla voce tutto: il totum e l'omne: il primo riferivasi propriamente alla quantità continua; il secondo alla discreta. In un senso più ampio il totum indicava il col lettivo dell'intelletto, e l'omne il nume rico. Cicerone determinò chiaramente am bedue questi significati in quel luogo nel quale accennando a Pompeo dice: cui se natus totam rempublicam, omnem Ita liae pubem, cuneta populi romani com miserat (pro Mil. c. XXIII). I Greci distinsero pure nello stesso senso de Latini l'okos e il ras. Noi distinguiamo i due significati, ma facciamo uso d'un vo cabolo solo. Da cennati due significati na sce il doppio nome che i logici han dato al diverso modo di distinguere le parti di un tutto. Chiamano essi partizione la di – 504 – stribuzione di quel che forma il totum o l'intero; divisione la separazione delle parti del numero; e distinguono le parti del con tinuo col nome d'integrali, e le parti del discreto col nome di subbiettive o inferiori, Per similitudine noi trasportiamo l'idea del tutto alle operazioni della mente, e adattiamo i vocaboli di partizioni e di divisioni alle produzioni del pensiero. V. Divisione, Partizione. – 505 – - Teatro Teologia Teoria Terra Topografia Tradizione Tempo CLASSI DE VOCABOLI COMPRESI SOTTO LA LETTERA T. FILOSOFIA CRITICA, Traduzione Tragedia Tragicomedia Trascendentale e Trascendente Tuono VOCI ONTOLOGICHE, Talento Tangibile Tatto Tavola Te Tempo Tendine Tenebra Teologia Teorema Teoria FILOSOFIA SPECULATIVAe Teorica Teorico Terra Testaceo Testimonianza Torace Trachea Trascendentale e Trascendente Tropico Tutto 64 – 506 - FILOSOFIA DISCORSIVA. Tecnico Torto Tema Trascendentale e Tempo Trascendente Teorema Tropo Termine Tuono Topica Tutto TEOLOGIA NATURALE. Teologia GRECISMI SUPERPLUI. Teismo Teleologico Teleologia Taccia Talento Tapino Tedio Temperanza Tenace e Tenacità Tenerezza Tentativo Terrore Testimonianza Timidezza e Timidità Timore Tolleranza Tormento Torpidezza, Torpido e Torpore FILOSOFIA PRATICA. Tortitudine Torto Tracotanza Tradigione e Tradimento Tranello Tranquillità Trascuraggine e Trascuranza Trasumanare Trepidazione Tribolazione Tristezza Tristizia Turbolento e Turbolenza Turpe Turpiloquio Turpitudine – 507 – V - - Va (spee. ontol. e erit.), spazio non ripieno da materia. Adoperato dal Gelli e da Salvini in luo go di voto, cui convien riservare il pro prio significato di addiettivo. L'esistenza del vacuo è uno de proble mi metafisici, astruso quanto quello dello spazio, e allo stesso correlativo.V. Spazio. Nelle antiche scuole il vacuo era distinto in due spezie: coacervatum, et disse minatum, che diremmo unito e sparso. L'unito è lo spazio stesso privo d'ogni materia: lo sparso è quel che credesi es sere ne corpi e negli interstizi loro. Quanto al primo i pitagorici e gli epi curei sostennero l'esistenza del vacuo oltre i limiti del mondo sensibile, e senza di pendenza dal medesimo. I cartesiani lo negarono e credettero che i corpi diver rebbero contigui, se tra loro non fosse interposto altro di materiale; sì che man cando la materia interposta perderebbesi anche l'estensione. Era questa una conse guenza del noto paradosso della loro scuo la, la quale confondeva l'estensione colla materia. º Circa il secondo, i peripatetici lo ne. garono per una ragione desunta dal fe nomeno de'corpi che in taluni casi muo vonsi in un modo contrario alla loro na turale tendenza e direzione, appunto per ischivare il vacuo; nel quale presupposito era fondata l'antica loro massima, che la natura abborrisce il vacuo. cotesto ar gomento era principalmente ricavato dal l'esempio dell'ascensione dell'acqua nelle siringhe e nelle pompe, che ora spiegasi per la pressione prodotta dal peso dell'aria. I cartesiani lo negaron pure, per essere coe. renti al principio da essi presupposto. Leib nitz e la sua scuola non ammettendo la realità dello spazio, non poteva ammettere il vacuo. Distinguendo sibbene la materia dalla estensione, credettero i leibniziani che i corpi si movessero nel pieno; e che essendo la fluidità lo stato originario della materia, tutti i corpi avessero uno stato di coesione relativa, non potendosi dare nè durezza nè fluidità assoluta. Newton insieme colla realità dello spazio sostenne l'esistenza del vacuo, e ne dimostrò la necessità per le varie leggi del moto, per lo moto stesso de corpi celesti, per lo peso de corpi in generale, per la caduta loro, per la vibrazione del pendoli, per la divi sibilità della materia, e per la stessa va rietà delle figure del corpi. Dalla semplice storia delle opinioni filo sofiche intorno al vacuo può ognuno ri levare che la quistione della sua esistenza si confonde con quella della natura dello spazio, o sia colle ontologiche quistioni cotanto dibattute tra Leibnitz e Clarke, cioè se lo spazio è un che di reale o un nulla, e se è una sostanza ovvero un at tributo ? Tali quistioni divengono meno astruse a misura che le trasportiamo dal l'astratto al concreto. Che intendiamo noi per vacuo? Uno spazio non ripieno di cor pi non solamente estesi ma figurati. Il vacuo dunque è una idea di negazione o di privazione delle qualità che rendono discernibili i corpi, cioè l'estensione, la solidità, l'impenetrabilità e la figura. Co testa idea di privazione altro non ci dice, se non che v'ha nell'universo uno spazio º - 508 – capace di contenere la materia estesa e figurata. Ma questo recipiente, è esso stes so privo di qualunque materia, ovvero è pieno d'altra sostanza fluida, aeriforme, penetrabile, ponderabile, o impondera bile che sia? Se lo concepiamo come una assoluta negazione di qualsivoglia sostan za, cadiamo nell'idea del nulla, che non è subbielto, non ha qualità, ed è per noi inconcepibile. V. Miente. Che se lo immaginiamo ripieno d'una sostanza fluida penetrabile, e diversa da quella che riempie lo spazio limitato, co me l'aria, l'elere, o altro simile fluido, ricadiamo nelle ipotesi stesse dello spazio illimitato, nè possiamo nell'una quistione vedere più chiaramente che nell'altra. E se oltre i limiti della nostra atmosfera nulla possiam conoscere del fluidi ambienti le sfere celesti, e di quel che empie la volta de cieli, che potrà l'immaginazione dirci di ciò che trapassa i confini dell'universo? Diciamo dunque del vacuo quel che abbiamo detto dello spazio illimitato, cioè che le quistioni intorno alla sua na tura, e se esso sia un che di reale, o il puro niente, son di quelle che formava no il corredo della vecchia ontologia, e che oggidì la sana filosofia risguarda co me insolubili, e come inutili al suo scopo. Cerchiamo piuttosto di determinare il si gnificato di questo vocabolo, riferendolo al solo spazio limitato. Per vacuo intendiamo l'intervallo che separa i corpi tra loro: co testo intervallo non è privo di materia, ma è ancor esso materiale, sebbene percetti bile per le sue diverse qualità, penetrabile, non figurato, trasparente, aeriforme: il suo significato è relativo e non assoluto. Ora che è quel che lo rende astruso ed impercettibile quando lo applichiamo allo spazio illimitato? il voler noi cangiare il suo significato relativo in assoluto, è il volerlo trasportare dal finito all'infinito. V. queste voci. Non pertanto la quistione del vacuo as soluto entra ancora nel campo della fisica, e spezialmente della meccanica celeste. Di sputano gli astronomi, se v'abbia un etere sparso nell'universo, o se i corpi celesti muovansi in uno spazio assolutamente li bero da qualunque materia. Cotesta qui stione è rinata ad occasione della cometa di Encke, il quale calcolando con grande esattezza la sua periodica rivoluzione si accorse che va sempre diminuendo. Il chiarissimo Herschel, descrivendo un tal fenomeno dice: «Quando si paragonano gl'intervalli tra passaggi consecutivi di questa cometa pel suo perielio, dopo di aver tenuto esatto conto di tutte le pertur bazioni dovute all'azione del pianeti, non si può non essere sorpreso del seguente fatto, cioè che i periodi vanno continua mente a sminuirsi, o quel che torna allo stesso, il grande asse della ellissi descrit ta, e la media distanza del sole diminui scono progressivamente. Questo effetto è manifestamente lo stesso di quello che pro durrebbe la resistenza d'un mezzo etereo molto raro nelle regioni nelle quali muo vesi la cometa; giacchè una tale resistenza nello scemare la sua velocità, dee altresì sminuire la sua forza centrifuga, e dare più d'azione al sole per attrarla a se. Tale è la spiegazione del fenomeno, proposta da Encke, ed ammessa generalmente, perchè non si vede come si possa a quello sostituirne altra. Dopo tutto ciò è proba bile che la cometa finirà per cadere sul sole, a meno che essa prima non si dissi pi; cosa non inverisimile, attesa l'estrema rarità della sostanza, e atteso ancora il progressivo decrescimento, che si è osser – 509 – vato nel suo splendore in ogni nuova ap parizione ». V. Cometa, Etere. Per contrario molti astronomi, tra quali basta citare il celebre Bessel, non credono alla esistenza dell'etere, e forse con mag giore ragione; perchè cotesto fluido op porrebbe un ostacolo, quantunque legge rissimo, al moto anche del pianeti, il quale col volger de secoli potrebbe produrre il medesimo effetto che sulla cometa di En cke, e darebbe una mentita al celebre teo rema della invariabilità degli assi mag giori delle orbite e delle rivoluzioni si derali de pianeti. La qual cosa suona lo stesso del dire, che il mondo non avrebbe quella stabilità, che è stata dagli autori di meccanica celeste dimostrata. V. Orbita, Pianeta. VALoRE (prat. e disc.), prezzo, o im portanza che l'opinione dà alle cose. Intorno a questo vocabolo nota il Var chi nell'Ercolano, che sebbene significhi propriamente la valuta di ciascuna cosa, si piglia ciò non ostante in tanti signifi cati, e sì belli, che chi cercasse tutta la lingua latina, non potrebbe trovar voce simile, la quale esprimesse in quella lin gua, lo stesso che questa fa nella nostra. Ma per verità noi non troviamo in que sto vocabolo varietà maggiore di signifi cati, che in molti altri termini generali, da noi indistintamente applicati alle qua lità del corpo, e dello spirito, come vir tù, forza, potere, ed altri simili. Applicato alle qualità dello spirito, vale grandezza d'animo per la quale l'uomo intraprende cose difficili, e sprezza i pe ricoli sopra tutto nella guerra. Laonde possiam dire, esser due i significati di cotesto vocabolo, allorchè lo adattiamo alle qualità dell'animo, uno generico, l'altro particolare. Nel generico vale tutto il me rito della persona, nel quale senso ado perollo il Petrarca: Ov'è il valor, la conoscenza, e'l senno L'accorta onesta umil dolce favella º Nel particolare scambiasi comunemente col militar coraggio e colla prodezza, co mechè non possa confondersi coll'uno e coll'altra. V. Coraggio, Prodezza. VANAGLoRIA (prat.), desiderio di aver lode, e prerogative di onore. V. Lode, Onore. Nel significato letterale prendesi per falsa e fugace gloria, propria delle umane grandezze; nel quale senso disse Dante: O vanagloria delle umane posse l V. Gloria. VANEGGIARE (prat.), dir cose, non con venienti a sana, o matura ragione. E però dicesi tanto di chi delira, quanto delle idee e del discorso del fanciulli. VANITÀ (prat.), apparenza di cosa, che non ha fondamento, o realità. In questo senso usolla Dante, quando disse: Noi passavam su per l'ombre che adona La greve pioggia, e ponavam le piante Sopra lor vanità, che par persona. (Inf. C. VI. ). In senso di affetto, o di passione, vale, amor di cose frivole e appariscenti, come la bellezza, l'apparato delle ricchezze, o la lode, di cui questa passione sopratutto si pasce. VANIToso (prat.), qualità d'uomo fri volo e voto, che ama l'ostentazione e la lode, e di questa sola va in cerca. Dicesi propriamente di chi ha una va nità puerile e ridicola, come un frequen tativo di vano. VANo (prat. e dise.), uom leggiero, amator di lode e di apparenze d'onore. Aggiunto a cose, o a idee, vale voto di sustanzia, apparente o inutile, onde il Petrarca: Del vario stile in ch'io piango e ragiono Tra le vane speranze, e 'l van dolore. VANTAGGIO. V. Utilità. VANTARE (prat. e disc.), celebrare ed esaltar con lode. In significato neutro passivo, vale glo riarsi, o magnificar le cose sue, ed è poco men del millantarsi. Questo è un altro vocabolo di cui il Varchi fa grande onore alla lingua ita liana, perchè (son sue parole), oltre il gloriarsi, che è latino, noi abbiamo un verbo più bello, che è vantarsi, o darsi vanto; il quale verbo e nome non hanno i Latini, ma i Greci sì, che dicono fe licemente su xsoSat, ed evxos (Ercol. S. 67). Cotesto merito della lingua per rispetto al vocabolo vanto e vantare non sembra ben fondato, perchè i Latini avevano al par di noi diversi verbi per esprimere la me desima idea, come il se jaetare, se eſº ferre, de se praedicare ete. E quanto all'auxos, e all'auxouz de Greci essi cor rispondono più al gloriari de Latini, che al nostro vantarsi. VARIETÀ (spec. e disc.), l'unione si multanea o successiva di più cose non simili e non eguali. V. queste voci. - La varietà non deesi confondere colla diversità e colla differenza, imperocchè la diversità esprime soltanto la discrepanza del costitutivo di due cose; e la differenza include nello stesso tempo la discrepanza di talune qualità non essenziali, e la somi glianza di altre.V. Differenza, Diversità. VAPoRE (spee.), fluido aeriforme, pro dotto dalla separazione delle molecule dei corpi liquidi per mezzo del calore. V. que sta VOCe. Il vapore è un fluido aeriforme, com pressibile, elastico, dilatabile come i gas si, ma non permanente, perchè rimossa la causa che separa le sue molecule, che è il calore, ritorna allo stato fluido.V. Gas. La sua somma compressibilità ed ela sticità ne ha fatto il motore più potente, che l'industria manifattrice oggidì ricono sca. La sua forza vince quella del mare, e del venti, ed è sì costante, che può l'uomo adoperarla con piena confidenza del suo successo. Le forze degli Esseri ani mati sono una spezie di motore, soggetto alle intermissioni della volontà e delle va rie cause, che possono scemarne l'inten sità. I motori naturali, che sono la forza delle acque correnti e del venti son sog getti alle leggi generali della natura. La potenza loro è indipendente dal fatto del l'uomo, il quale la prende qual'è, non potendo accrescerla, nè calcolare le varia zioni della sua intensità. E però non può proporzionare la forza al lavoro, ma dee questo a quella subordinare. La sola forza costante, progressiva, di cui l'intensità è regolata dalla volontà di chi l'adopera, è quella del vapore. L'acqua ed il com bustibile sono i componenti di questa forza - 511 - motrice, di cui puossi a volontà estendere o restringere i limiti. Dalla forza di un solo uomo può essere portata insino a quella di mille cavalli, pronti, infatigabili, e costanti nel pro gresso del moto, come nel cominciamento. O che l'uomo la limiti, o che l'estenda, è sempre egli il padrone di contenerla e di arrestarla: un movimento della sua mano la rende obbediente alla sua volontà. Son questi i vantaggi che fanno del va pore il primo di tutti i motori, e che se condati dal genio inventivo della mecca nica, hanno associato l'industria manifat trice al progresso delle arti e delle scienze. UBBIA (prat. e teol.), opinione super stiziosa, per la quale la gente volgare risguarda come religiose alcune pratiche, che tali non sono. V. Superstizione. Unapienza. V. Obbedienza. UBBIDIRE. V. Obbedire. UccELLo (spec.), animale a due piedi, oviparo, coperto di penne, e provveduto di ali, e di becco, o rostro. E una spezie di Esseri non meno am mirabile per la particolare conformazione del suo corpo, in tutto adattato all'ele mento nel quale deesi muovere, che pel tenore di vita cui è destinato. È l'animale formato per vagare nell'al mosfera, e per andare cercando il suo nutrimento o sulla Terra, o nel Mare, o nell'aria, o tra gli Esseri della sua pro pria spezie; la quale ultima sorta di nu trimento qualifica i così detti uccelli da rapina. A costoro, destinati a viver di preda e di guerra, ha somministrato la natura anche le armi, provvedendogli di becco e di artigli adunchi, e gli ha dotato di acutissima vista, e di tale conforma zione d'occhi, che possano in lontane di stanze avvistare la loro preda, così nella luce come nelle tenebre. La natura, negli accidenti che distin guono gli ordini e le famiglie degli uc celli è stata tanto svariata, quanto in ogni altra parte del regno animale; ma per rispetto alle forme e a caratteri essenziali delle medesime è stata più che negli altri uniforme e simmetrica. Imperocchè tutti hanno il corpo coperto di piume o di pin ne, forniti di due piedi e di due ali, di un becco o rostro più o meno corneo, e di una conformazione atta al volo. V. que Sta VOCe. L'ornitologia è la branca della storia naturale, che versa circa la descrizione degli ordini, delle spezie, e delle fami glie degli uccelli, ordinate pe' caratteri comuni a ciascuna spezie, e per le mo dificazioni, che ne formano le varietà. V. Ornitologia. UDrTo (spec.), il senso per lo quale ascoltiamo la voce, il suono e l'armonia. L'organo proprio di questo senso è l'orecchio, di cui abbiamo esaminato l'in dustriosa struttura. Delle funzioni dell'udito per rispetto alla voce parleremo quì ap presso. Giova in questo luogo considerar quelle relative al suono e all'armonia. V. Voce. La natura ha dato all'orecchio la ca pacità di raccogliere tutte le gradazioni del suono che son quasi innumerevoli, e di distinguerne le differenze, e il vario accordamento, nel che è riposto il senso musicale. Acciocchè l'orecchio avesse una tal virtù armonica, uopo era che l'in terna sua struttura rassomigliasse ad un instrumento, di cui ogni corda trovasse la sua unisona ne tuoni della voce, e de gl'instrumenti sonori; e tale abbiam ve duto essere la conformazione spezialmente di quelle parti dell'orecchio, nelle quali sta la distribuzione del nervi acustici. V. Orec chio, Suono. - Taluni fisici hanno tentato di calcolare il numero de tuoni, delle loro variazioni, e de'diversi gradi d'intensità di cui cia scun tuono è capace. Ma quando sono an dati a scomporre i tuoni perfetti nelle di verse ondulazioni di voce, delle quali ogni tuono è composto, si sono abbattuti nella difficoltà di non potere scindere la sensa zione di molti suoni, che noi concepiamo come semplici e che tali non sono, e per conseguente di non poterne determinare neppure approssimativamente il numero. Come distinguere e determinare il numero delle ondulazioni della voce, che per for mare un tuono perfetto debbono essere di egual durata e di egual estensione, in una uniforme e continua successione delle une alle altre? Come scomporre ciascuna on dulazione, che è il prodotto dell'azione e della reazione d'innumerabili particelle d'aria elastica, delle quali i movimenti debbono essere isocroni, ed uniformi nel la direzione? V. Tuono. D'altra parte qual pro da simili ricer che? Vogliamo misurare la natura? Ella è immensa ! Vogliamo scomporre le sen sazioni per giugnere insino alle loro parti constitutive? È un vano lavoro, dal quale la ragione e la sperienza dovrebbero or mai distorci. Seguiamo piuttosto nell'analisi delle sen sazioni la traccia che ci ha segnato la na tura, l'uso cioè cui le ha destinato. La principal funzione dell'udito è il dar com pimento alla parola : la seconda è il di scernere i segni della vicinanza o distanza degli obbietti che non possiamo percepire per lo senso della vista: la terza è il senso dell'armonia, che forma il subbietto del l'arte musicale. V. Musica. Quanto alla parola, sarebbe stato un inutile dono, se non fosse stata ascoltata; nè alcuno avrebbe imparato a parlare, se non avesse inteso altri parlare. Noi par liamo per imitazione, di che fanno testi monianza i sordi e muti ; nè mai uomo ha potuto inventar la parola. E circa l'ufizio d'intendere i segni, l'udito è un senso ausiliario della vista, destinato a raccogliere tutte le diverse spe zie di suono, che la natura ha stabilito come segni del fenomeni naturali, delle cose utili o dannose alla conservazione del la vita, de bisogni degli animali e de'fan ciulli, o sia, è una parte di quel linguag gio d'azione che è comune così all'uomo, come a bruti. V. Linguaggio, Segno. VEccHIEzzA (prat.), l'ultima età della vita. - È detto di Catone, che ognun desidera di arrivare alla vecchiezza, e giuntovi la maledice. Tal è il sentimento del volgo che in essa suole deplorare la perdita delle forze e del vigore del corpo, l'indeboli mento delle potenze dell'animo, la pri vazione del piaceri della età giovenile, e il vicino termine della vita. False que rele di chi non estima nella vita, se non i beni del sensi ! La vecchiezza è uno stadio necessario, al quale se non arrivassimo, ci dorremmo d'una immatura morte. Or chi si duole anche della matura, è manifesto che ac cusi non la vecchiezza, ma l'umana con dizione. Gli duole in somma di essere mor tale. È dunque proprio dell'uom sapiente – 515 – il considerare la vecchiezza come uno stato necessario, e senza prevenzione d'animo esaminare, se sia maggiore il numero de mali o de beni, di cui la natura l'ha circondata. E in prima noi intendiam parlare di quella sana vecchiezza che succeder suole ad una vita sobria e moderata, ornata dagli studi della ragione ed esercitata nel ben fare; di quella età senile la quale coroni una giovinezza che meritò già la benevolenza e l'esistimazione del vecchi, e sia a volta sua coronata dall'amore e dal rispetto della gioventù. Che ha di tri ste cotesta vecchiezza? Forse il difetto del vigore e dell'ardore giovenile? No, tra perchè nella vita domestica, come nella civile, ad ogni età son distribuite le fun zioni, adattate alle rispettive forze; e per chè i giovani vengono in soccorso de vee chi, ed amano sotto la guida di questi d'in durare gli ardui lavori propri della età loro. Forse i piaceri men vivi desensi? Nep pure, perchè la natura stessa modera nei vecchi gli appetiti. - Forse la privazione del piaceri della vo luttà? Risponderemo con Cicerone: Oprae clarum munus aetatis si quidem id au fert nobis, quod est in adolescentia vi tiosissimum / D'altra parte è egli vero che la vec chiezza roda le facoltà dell'anima come i sensi del corpo? Produrrà forse un tal effetto in quelli ne quali la ragione è stata sempre passiva della vita sensitiva, e che non hanno esercitato la memoria, l'intel letto, o altra potenza dell'animo loro. La mente di costoro, assonnata per lo corso intero della vita, non si desta certamente nella vecchiezza, la quale è per essi una amara reminiscenza degodimenti, che sono scomparsi dagli occhi loro. Per contrario l'esperienza di tutti i tem pi, e gli esempi del più grandi uomini dimostrano che le maggiori produzioni dell'ingegno son dovute alla età senile, e che di questa età profittando molti han no emendato i lavori della gioventù. La vecchiezza perfeziona il giudizio, e gio vandosi della sperienza propria e dell'al trui, aggiugne alla prudenza speculativa anche la pratica. Quanti pregi non riu nisce in se la ragion de vecchi, e quante volte questi ripassando i fatti della loro vita, non desidererebbero, che fosse stato loro concesso di veder le cose nella gio ventù, come le vedono ora nella vecchiez za? Libera e indipendente dalle passioni, rischiarata dalla sperienza, scevra di pre stigi e d'illusioni, scaccia dall'animo suo gl'idoli del teatro del mondo, vede nel vero loro aspetto i fatti umani, e puri fica se stessa del vizi e degli errori del l'età giovanile. Tanto è lontano che la vecchiezza renda ebete la mente, quanto è costante per esperienza, che l'acume della ragione e la maturità del giudizio ne vecchi cresce in proporzione della lenta degradazione delle loro forze fisiche. La vecchiezza dunque è uno stato di esperi mento e di perfezion morale, cui il Crea tore ha soggettato l'uomo, per purgarlo dalle macchie della vita sensitiva e per avvicinarlo alla ragione degli spiriti pu ri, che formar dovranno la sua futura società. Misera è quella vita, che tron cata nel mezzo del suo corso, è stata pri vata del benefizio di questa morale pur gazione. E per contrario beatissima è quel la , che nella giovanezza ha saputo in nanzi tempo raccogliere i frutti dell'età senile! V. Purgazione. Sin qua abbiam considerato la vecchiezza come utile alla perfezione dell'individuo. 65 – 514 – Ma di quanta utilità non è il consiglio e il giudizio del vecchi alla perfezione de gli altri? Non sono essi che coprecetti e cogli esempi dirigono l'insegnamento e l'istruzione dell'adolescenza? Non son essi che formano la parte più sana del popo li? Qual'è la nazione che non abbia in teso la necessità di riporre nelle loro mani. le più importanti parti del civile reggi mento, le leggi, i giudizi, le difficili de liberazioni, dalle quali può dipendere la salvezza o la rovina degli stati? La vec chiezza dunque è l'apice della vita civile del pari che della domestica e della naturale. Resta ora quello che si suole risguar dare, come l'ultimo e il peggior male della vecchiezza , l'avvicinamento cioè della morte. E quì risponderemo ancora con Cicerone: O miserum senem qui mor tem contemnendam esse in tam longa aetate non viderit! V. Morte. VEDUTA. V. Vista. VEGETABILE (spec.), Essere organico, che vive e cresce nella terra, e si ripro duce per un principio vitale in se impresso dalla natura. V. Pianta. VEGETALE (spec.), spettante a quel che vegeta. VEGETARE (spec.), il viver delle piante. V. Pianta. - Conviene distinguere con diversi nomi il viver delle piante dal viver degli ani mali; essendochè tra quelle e questi v'ha due notabili differenze: la prima, che le piante han bisogno d'un altro corpo ade rente dal quale ricevano il nutrimento: la seconda che son prive del sentire. V. Animale. VEGETATIVA (spec.), la potenza interna, per la quale le piante si nutriscono, cre scono, e si riproducono. V. Potenza. Aristotele diede a cotesta potenza il nome di nutrimentale, e ne fece una delle tre potenze dell'anima umana, nella quale la distinse dalla sensitiva, e dalla intellet tiva. Da ciascuna poi delle tre dimotate potenze fece derivare le diverse operazioni dell'anima stessa, dando alla nutrimen tale, o vegetativa, la nutrizione e la ge nerazione. Conseguenza di tal sistema è , che le piante avrebbero la potenza vege tativa comune co bruti e coll'uomo, sic come i bruti han comune coll'uomo la sensitiva. V. Anima, Potenza. Ma può dirsi che la potenza vegetativa sia nell'anima? Nell'anima aristotelica sì, perchè nel significato dell'autore di tal si stema, l'anima scambiavasi colla potenza. La sua entelechia non era altro, che il principio della vita, dell'azione, e del moto, comune a tutti gli Esseri animati. V. Entelechia. Taluni de moderni fisiologisti han pre teso separare il principio della vegetazione da quel della vita, mossi principalmente dalle diverse gradazioni del viver delle piante. Di queste molte dormono in de terminati periodi, durante i quali sem brano affatto sospese le funzioni vegetati ve; e nella generalità i semi conservano vivo il germe delle piante, comechè non vegetino. Sopra tali ragioni è fondata la differenza tra 'l principio vitale e il vege tativo. Ma potrebbesi in contrario osservare, che nel riposo delle piante come nel sonno degli animali non sono sospese le funzioni nutrimentali; e che non può chiamarsi vegetazione nè vita l'esistenza del germe ne'semi; siccome non vive il germe degli – 515 – animali nelle uova e nelle ovaie non fe condate. V. Germe, Uovo. VELLEITÀ (spee. e prat.), atto imper fetto del volere. Ben distinse il Magalotti la velleità dal perfetto volere, dapoichè chiamolla movi mento, che si eccita alle prime irra gionevoli velleità dello spirito, e prima ch'egli deliberi di volerle secondare. V. Deliberazione, Volontà. Nel senso pratico chiamasi velleità una azione fatta con leggerezza, e senza ani mo di persistervi. VELocrtà (spec.), lo spazio percorso da un corpo nella unità di tempo, o un numero di unità dello spazio per corse da un corpo in una unità di tempo. E vocabolo della meccanica, ma la sua definizione serve a far meglio comprendere quella del moto, di cui la velocità è misura. Nel moto uniforme la velocità eguaglia il rapporto costante dello spazio al tem po; e nel moto vario è il rapporto dell'ele mento dello spazio all'elemento del tempo. I meccanici distinguono la velocità as soluta dalla relativa, e chiamano assoluta o semplice, quella con cui un corpo si muove in un dato spazio e in un dato tempo: relativa quell'altra, colla quale due corpi distanti si avvicinano l'uno al l'altro. Il determinare la velocità del corpi ca denti verticalmente o in una data curva, abbraccia i più importanti problemi della meccanica, e racchiude le famose leggi del moto, che hanno renduto immortale il nome del Galilei, e che hanno aperto alla mente umana la via per determinare il moto degli astri, e per penetrare nella meccanica celeste dietro le tracce di due altri geni della umanità, Keplero e Newton. V. Moto. VENA (spee.), vaso che riceve il san gue da diverse parti del corpo, alle quali le arterie lo conducono dal cuore, e tor na a portarlo indietro al cuore. V. Arteria, ASangue. VENALITÀ (prat.), sordidezza di uomo che mette a prezzo il dovere o il senti mento. VENDETTA (prat.), onta o danno, che si fa altrui in contraccambio d'offesa ri cevuta. È un'azion crudele, la quale nasce da risentimento puramente animale. Ma i bruti mordono e lacerano quelli che gli offen dono per due istinti propri della loro na tura, la crudeltà, e il timore. L'uomo gl'imita, ed imitandogli dà libero sfogo ad ambedue le cennate passioni. Infatti l'esperienza dimostra che gli uomini cru deli e timidi sono i più inchinevoli alla vendetta; d'onde chiaramente apparisce, che essa è suggerita dalla passione, e non consigliata dalla ragione. Se rimossa la passione, fosse consultata la ragione, questa direbbe che per un diritto violato non è lecito violarne un al tro; che si respigne l'ingiuria non dimo strandosene offeso; che il perdono umilia l'offensore, e onora l'ingiuriato; che il benefizio renduto in contraccambio della ingiuria, desta nell'offensore il pentimento e il rossore; che il perdono e la genero sità sono i caratteri di quella virtù, che chiamasi magnanimità, che l'esercizio di questa virtù eleva di tanto l'anima, di quanto lo degrada la vendetta; ed infine che una vendetta ne trae dietro a se un'al 3, – 516 – tra, e rende eterni ed inestinguibili gli odi. Ciò non ostante è sì difficile al comune degli uomini il contenere i moti dell'ira, che presso gli antichi la vendetta fu ri sguardata come un diritto legittimo, simile a quello del punire. Lo stesso Cicerone non osò condannarla, perchè tra doveri della vita annoverò quello della modera zione nel vendicarsi e nel punire: sunt autem quaedam officia etiam adversus eos servanda, a quibus infuriam acce peris: est enim ulciscendi et puniendi modus (de offic. lib. I. Cap. XI.). Non mancano esempi di grandi uomini che di sprezzarono la vendetta. Narrasi di Catone, che essendo stato percosso nel bagno da un uomo che no'l conosceva, rispose a costui che domandavagli perdono dell'in iuria, non memini me percussum. Per "cotesto fatto citato come un grande esempio di generosità, non prova se non un sentimento di dignità, di cui è proprio il non accettare l'ingiuria. Seneca, è vero, condannò la vendetta e insinuò il disprezzo della ingiuria, ma concepir non seppe una virtù che contraccambia l'ingiuria col be nefizio: inhumanum verbum est, et qui dem pro fusto receptum, ultio, et a contumelia non differt, nisi ordine... magni animi est injurias despicere: ul tionis contumeliosissimum genus est, non esse virum dignum, ea quo peteretur ultio. E però dopo di averla così ripro vata, l'ammette come rimedio, se per essa può rimuoversi la causa di nuove offese: si tamquam ad remedium veni mus, sine ira veniamus: non quasi dulee sit vindicari, sed quasi utile (de ira lib. II. C. 32). È il Vangelo che ha predicato al mondo la sublime virtù di contraccambiare l'in giuria col benefizio, di pregare per l'ini mico, di beneficar quelli che ci portano odio, e di esercitare verso coloro che ci offendono quella stessa magnanima indul genza, che impetriamo da Dio per noi stes si. I grandi esempi dunque della generosità nel perdonare e nel beneficare i persecu tori e gl'inimici cominciano dall'epoca della morale rigenerazione dell'uomo, o sia dalla divina luce del cristianesimo. Superflua cosa sarebbe il ripetere quì gli esempi di questa nobile e generosa ven detta che si trovano registrati nelle vite de grandi uomini già publicate. Più utile ed onorevole per la nostra patria ci sem bra il publicarne ora uno inedito, o men conosciuto, il quale appartiene ad un in signe uomo della età nostra, cui non è stato ancora renduto tutto l'onore che si dee alla memoria delle sue publiche vir tù. Fu questi in tre tempi diversi chia mato a supremi consigli dello Stato, e tre volte per violente scosse politiche, cadde dal potere che aveva con rara in tegrità esercitato. Nella prima delle sue cadute ebbe per principale persecutore lo stesso suo successore. Accusato da costui di capital delitto e imprigionato, sof ferse imputazioni e ingiurie, che furon poi dichiarate calunniose. Tornato per la seconda volta al posto, che aveva prima occupato, l'antico suo persecutore, che straniero era, ebbe la sventura, tornando in patria, di cadere nelle mani del pirati e di essere ridotto in dura cattività. Non prima egli l'intese, che subitanea nacque nell'animo suo la risoluzione di liberare quello sventurato, pagando egli a barbari la taglia del riscatto. E siccome povero era, e per costume sprezzatore delle ric chezze, così offerse in pegno i futuri salari del suo impiego, e tolse in anticipazione di questi la somma all'uopo necessaria. – i17 - Non ebbe egli riposo sin che partito non fosse il negoziator di tale riscatto, il qua le quantunque risparmiato non avesse di ligenza e celerità, pure non ebbe la for tuna di trovare in vita la vittima che do veva liberare. Magnanima vendetta, e qual trionfo È più bel, che si possa a te preporre? VENERAZIONE (prat.), onor che rendiamo al merito e alla virtù. Differisce della riverenza, che è una venerazione accompagnata da esterne di mostrazioni. V. Riverenza. VENERE. V. Pianeta. VENTo (spec. e crit. ), massa di aria agitata, la quale si trasporta da un luogo in cui è più compressa, in un altro dove è più libera. V. Aria, La diversa qualità del venti (che partir si sogliono in costanti, periodici e va riabili), le varie loro direzioni, e le cause che li producono, formano l'obbietto della metereologia. V. questa voce. VENTRE (spee. ), la cavità del corpo animale che contiene le viscere, o sieno gli organi della digestione, della gene razione e gl'intestini. La sua parte ante riore è detta comunemente pancia, e l'in feriore è denominata da medici addomine. V. queste voci. VERACE e VERACITÀ (prat.), quel che ha in se verità. È nome di qualità che si dà alle cose, apensieri e alle parole, delle quali si af ferma la verità. Verace ne'detti, vale ve. ridico e veritiero. VERBo (disc.), parte dell'orazione de clinabile, la quale esprime l'affermazione o il giudizio della convenienza d'un pre dicato al subbietto con relazione al tempo, e al numero delle persone. I grammatici disconvengono tanto nella definizione del verbo, quanto non se ne trovan forse due, che lo abbiano allo stesso modo definito, sebbene tutti inten dano dire la medesima cosa. Aristotele lo definì, voce di cui il si gnificato si riferisce al tempo. La gram matica generale di Arnaldo, voce di cui il principale uso è l'affermare. Altri, voce che esprime l'atto della mente col quale si attribuisce un predicato ad un subbietto. Altri, voce che esprime azione o passione. Altri, voce che esprime l'esi stenza intellettuale d'un obbietto con relazione ad un attributo. Ciascuna delle divisate definizioni, o non ispiega tutti gli usi che facciamo del verbo, o è sover chiamente astratta, sì che per essere intesa avrebbe bisogno d'un'altra, e forse di più definizioni subalterne. Prendiamo la definizione dalla natura della cosa definita. Il verbo serve a sta bilire in ogni proposizione la relazione tra 'l predicato e il subbietto; o sia ad esprimere il giudizio circa la sua conve nienza. Ogni proposizione contiene un giu dizio, a compiere il quale è sempre ne. cessario il verbo, espresso o sottinteso che sia. Adunque la natura del verbo è il giudizio della convenienza d'un predicato . al subbietto. Ma il verbo considerato nella sua più generica espressione, che è l'in finitivo, contiene un significato indeter minato. E siccome il giudizio della con venienza del predicato esige che si renda determinato per lo tempo e per lo numero delle persone cui si riferisce; così uopo – 518 – è che il verbo sia declinabile ed abbia tante diverse inflessioni, quante possano esprimere il singolare, il plurale, o anche il duale, ed il presente, il passato, il fu turo, l'attuale, il possibile, ed il condi zionale. Di qua i tempi i modi e le diverse persone, le quali inflessioni tutte sono dai grammatici comprese nella denominazione di accidenti del verbi. VEREcoNDIA (prat.), virtù che ritiene l'uomo dal far cosa che offenda la mo destia ed il pudore. Differisce dal pudore, che comunemente si considera come una dote naturale del l'uomo, o come un istinto razionale. La verecondia è una virtù formata per la ri flessione, che convalida e rende abituale il pudore. Cicerone la definisce: custos virtutum omnium, dedecus fugiens, lau demque maxime eonsequens, verecundia est. V. Modestia, Pudore. VERGoGNA (prat.), timor di vituperazione. È passione e non virtù, che o seguita l'azione illecita, o ci ritiene dal commet terla. Nel primo caso, è una pena della matura, la quale svela anche il fatto col rossore. Nel secondo è un impedimento, che il timor della vituperazione oppone alla volontà. Improprio è il significato che talora gli si dà di pudore e di verecondia, delle quali voci la prima esprime nn sentimento naturale del dovere, e la seconda una virtù figlia della riflessione. V. Pudore, Verecondia. VERISIMIGLIANZA e VERISIMILE (spec. prat. e disc. ), quel che ha le apparenze del vero, senza escludere per altro la possi bilità del falso. Cotesta definizione appartiene al verisi mile detto di cognizione, e non al veri simile di natura, che è affatto diverso. Il verisimile di cognizione presuppone un giudizio o una credenza che noi formiamo intorno alla verità d'un fatto, o d'una opinione. Gli elementi di tal giudizio o di tale credenza sono le apparenti relazioni di verità, le quali ci fanno prestare l'as sentimento alla proposizione che come vera si afferma. Coteste relazioni non pertanto son distinte tra loro per una numerosa gradazione, la quale procede dal rimoto al prossimo, e forma quella medesima scala che passa dalla possibilità alla esi stenza, e dalla probabilità alla certezza. Ma non tutto quel che è probabile è veri simile, dapoichè la gradazione del proba bile comincia dal possibile; laddove la gradazione del verisimile comincia da quel probabile, che per molti lati si approssima al vero. V. Probabilità. Diversa è l'origine del verisimile di natura il quale è fondato sulla costanza ed uniformità delle leggi naturali, e del l'ordine morale dell'universo. I fenomeni costanti della natura tanto nelle cose sen sibili, quanto nelle morali continueranno a riprodursi nello stesso modo, nel quale sono sinora avvenuti, insino a che pia cerà all'Autore dell'Universo di conservare l'opera sua. Gl'istinti, che governano gli animali bruti, nascono da leggi della natura le quali han per fine la conservazione, e la riproduzione delle spezie di quelli. Gli uo mini hanno una destinazione ed un fine morale, al quale servono i suoi istinti razionali, e le credenze istintive, che lo iniziano nel cammin della vita, e lo ac compagnano per tutto il corso della me desima. I fondamenti del giudizi che noi - 519 – - formiamo intorno alla probabilità o cer tezza del futuri avvenimenti simili, non dipendono dalla volontà di alcun Essere contingente, o dall'avvicendamento di fatti umani, per se stessi vari e mutabili, ma nascono dall'ordine immutabile della na tura, e dalle costanti relazioni degli ef fetti colle loro cause immediate. Questo è quel che chiamasi verisimile di natura, che si confonde colla certezza fisica, e che è ben diverso dal verisimile, detto di cognizione. Noi lo diciam verisimile, per chè non possiamo dimostrarlo vero a prio ari, ma il sentimento e la sperienza lo di chiarano tale. Da esso attigniamo i prin cipi e le regole alle quali componiamo il portamento della vita, e quelle che chia miamo verità di senso, da esso deduciamo le cardinali nozioni della sapienza sì spe culativa che pratica, come la spiritualità dell'anima, l'immortalità, la vita futura; da esso, il principio della causalità, la dottrina delle cause finali, e quella d'una Provvidenza conservatrice, che tutto muo ve e dispone con regole invariabili, dirette da un fine, per noi salutare e benefico. V. Certezza, Verità, Vero. VERITÀ (spec. prat. e disc.), astratto di vero, col quale si suole anche scam biare. V. Vero. Si adopera comunemente nel senso di proposizione vera. In questo significato le verità si distinguono in necessarie e con tingenti. Necessarie diconsi quelle che sono immutabili, e di cui il contrario è impos sibile; contingenti le altre che dipendono dalla volontà e dal potere d'un Essere intel ligente. Le proprietà geometriche ed arit metiche sono necessarie: l'esistenza delle cose create, le azioni dell'uomo, e tutto quel che può avere un principio ed un fine, sono verità contingenti. In altri termini la stessa distinzione è stata enunciata, ora conomi di verità astratte e di fatto, ora con quelli di eterne, d'innate, e di verità di natura. V. Contingente, Mecessario. Distinguevasi ancora nelle scuole la ve rità morale dalla metafisica e morale di cevasi la corrispondenza tra la proposizione e la convizione dell'animo di colui che la profferiva: metafisica dicevasi l'esi stenza reale delle cose. Più chiare e ade quate sembrano la partizione e le defini zioni della verità, date da Hutcheson: la verità logica sta nell'esatta corrispondenza tra le proposizioni e le cose: la verità mo rale nella corrispondenza tra 'l senso della natura e l'azione: la verità metafisica, nel principio razionale dell'esistenza degli Esseri. Molte altre distinzioni sono state fatte intorno alla verità, considerate nel senso di proposizioni vere, le quali distin zioni possono vedersi sotto il nome di pro posizione. V. questa voce. Si adopera lo stesso vocabolo nel signi ficato di massima, di principio, o di no zione evidente. V. Massima. Prime verità sono state dette quelle nozioni evidenti, che la ragione scopre di per se stessa, e per una virtù sua pro pria. Tali nozioni sono da noi considerate come i primi elementi della umana cogni zione, e però sono dette ancora primi principi. V. Principio. La verità prendesi finalmente nel signi ficato di senso morale del vero, il quale è attributo della ragione, e risiede secondo Hutcheson nella natural potenza, che l'amima ha di concepire e di giudicare. Ma cotesta natural potenza è una virtù in lei impressa da una RAGIONE superiore, nella quale sta, come nella sede sua, immuta bile ed eterna. Chi volesse definire o spie - 520 - gare l'essenza di tal verità, non potrebbe altro dire, se non che è la ragion suffi ciente di tutte le cose create. V. Ragione. VERME (spec. e crit.), animale a corpo molle e di sostanza quasi gelatinosa; talvolta provveduto di tasti (detti con voce tecnica tentacoli) in forma di filamenti pieghe voli, più o meno lunghi e non mai arti colati, generalmente molli, polposi o car nosi ; e talvolta sfornito di simile appen dice ; coperto di una esterna custodia, o affatto nudo; destinato nella generalità a vivere in un fluido, nell'interno della terra o nel corpo degli animali, e non all'aria libera. L'elmintologia è la parte della storia naturale che espone le diverse spezie dei vermi coloro caratteri cognoscitivi. V. El mintologia. - Il nome di verme ha compreso per lo addietro un numero più o meno ampio di spezie, secondo la diversità de sistemi de zoologi. I Greci lo chiamarono ora Amº e exurys, e i Latini, vermis, ma gli uni e gli altri con tal nome intesero signifi care quella classe di lordi animaletti, che si genera negl'intestini e nelle putrefa zioni delle sostanze animali e vegetali. Essi li distinsero dagl'insetti, da'zoofiti, e da molluschi, che ebbero ciascuno il pro prio nome. Un significato volgare, nato dalla somiglianza delle forme esteriori, ampliò presso i moderni il numero delle spezie comprese nella generica denomina zione di verme, dapoichè fu estesa a tutti gli animali di sostanza molle e di forma allungata che chiamiamo vermiforme. Co testo significato fu confermato dalla parti zione di Linneo, il quale comprese nella sesta delle sue classi, i vermi intestinali, i zoofiti, i testacei, i litofiti, suddivisi ciascuno in vari generi. Le modificazioni proposte da Pallas alla classificazione di Linneo, seguite da più chiari zoologi fran cesi ed alemanni, han fatto prevalere il principio, che non la forma esteriore debba dare la norma alle classificazioni e alla tecnologia della Storia naturale, ma la so miglianza dell'organismo, accompagnata dalla varietà delle appendici, che diffe renziano i generi e le spezie degli animali. Di qua è nato, che prendendo per carat teri distintivi devermi l'organo e le fun zioni del moto, che la natura ha messo, ora nelle antenne e in altre simili appen dici, ora nella stessa loro forma allungata e nelle sue varie articolazioni; la classe de vermi è stata divisa in due principali ordini cioè deehetopodi, e degli apodi. (V. il dizionario delle scienze naturali). Le innumerevoli varietà delle loro spe cie, a rispetto della loro conformazione, del mezzo nel quale son destinati a vive re, e demodi co'quali si riproducono son dimostrate dalle stesse difficoltà che i zoo logi provano nel classificargli. Della im mensità di questa parte della natura va detto quello stesso che abbiam notato del le piante, depesci, e degl'insetti. V. que ste voci. VERo (spec. prat. e disc.), il confor me all'essenza o al costitutivo delle cose. - V. Essenza. Altri l'han definito: quel che apparisce qual è in se stesso a chiunque voglia o possa conoscerlo. Da ciò segue, che il vero nel suo proprio significato è un si nonimo del reale. V. Reale. Siccome l'assentimento che prestiamo al vero, produce la certezza, così lo scam biamo ancora col certo. V. Certezza , Certo. – 521 - Locke pose il vero nella conformità del le cose a segni, pequali noi le concepiamo o le rappresentiamo. E siccome i concetti dell'animo, per essere determinati, abbi sognano di segni che gli esprimano, così la convenienza o disconvenienza delle idee colle cose diverrebbe puramente nominale. Cotesta dottrina è una conseguenza dell'opinione di quell'autore intorno all'essenza delle cose. V. Essenza. Leibnitz riprovando l'opinione di Locke, stabilì la definizione del vero nella cor rispondenza del concetto dell'animo colle cose che ne formano l'obbietto. Così pure l'intese il nostro Francesco da Buti: « Lo vero è obbietto dello 'ntelletto; e come la cosa veduta è obbietto del vedere, e non si può comprendere senza il mezzo della luce; così lo vero non si può comprendere dallo 'ntelletto se non per mezzo del lume na turale, lo quale è messo nell'anima da Dio». Il buono e il perfetto sono in se stessi essenzialmente veri. V. Buono, Perfetto. VERsIoNE. V. Traduzione, VERso (disc.), membro di poetico com ponimento , compreso sotto certa misura di sillabe o di piedi. V. Poesia. Il verso presuppone necessariamente il metro, il quale vocabolo significa misu ra. Gli antichi con questo nome indica vano quelle composizioni di parole di vari piedi, o anche d'un determinato numero di sillabe, da cui risultava quella interna armonia che distingue la poesia dalla pro sa. Tali erano l'esametro e il pentametro, gli endecasillabi, o faleucii, e i saffici, ne quali, alla misura de piedi univasi an cora il numero delle sillabe. - La maggior parte delle lingue moderne ha sostituito il numero delle sillabe a piedi. Diverso è il metro del ritmo, o nume ro, che è proprio del canto, nel quale è riposta l'armonia della musica, che può essere considerata come esterna per rispetto alla naturale consonanza deversi.V. Ritmo. VERTEBRA (spec.), osso nella serie di quelli che compongono la colonna spina. le. V, Organismo. VERTEBRATo (spec.), nome comune a tutte le spezie di animali di compiuto or ganismo, formati sopra uno scheletro o forma di pezzi articolati che serve di so stegno alla testa, dotati di uniforme si. stema nervoso, e di simile massa cere brale. V. Articolazione, Organismo. VESCICA (spec.), vaso membranoso, situato nella parte inferiore del ventre, come ricettacolo dell'orina. VEssAzioNE (prat.), noia o molestia continuata insino a smuovere la pazienza. V. questa voce. Ufizio. V. Qfficio. UGUAGLIANZA e UGUALE. V. Eguale. VIGILANZA (prat.), in senso traslato, vale diligenza in attendere a checchessia. V. Diligenza. VILE e VILTÀ (prat.), qualità d'uomo o di cosa che merita disprezzo. È epiteto comune ad ogni passione che cade in basso animo, come la pusillani mità, la codardia, la venalità, e simili. V. Disprezzo. VILIPENDIo (prat.), atto o detto indi cante disprezzo. V. questa voce. 66 – 522 – VILLANIA (prat.), offesa o ingiuria, che mal siede ad uomo educato. V. Ingiuria. VioLENZA (prat.), forza usata a danno e male altrui. È il vizio nemico dell'ordine e della legge. V. queste voci. VIRGoLA (disc.), segno di posa nella scrittura, che si tramette nel periodo, detto ancora piccolo punto. V. Punteggiamento. VIRTù (spec. e prat.), possanza di ope rare, data dalla natura ad ogni Essere, secondo il fine della sua destinazione. In questo generico significato, conviene a qualunque Essere, e ad ogni natural causa di azione o potenza. V. questa voce. Nel significato morale intendesi per virtù il retto e costante operar dell'uomo, con forme a'dettami della ragione e della co scienza. Tali dettami nascono da un dop pio insegnamento della natura: da alcune verità intuitive, o principi di morale, che la luce stessa della ragione ci manifesta non prima che acquistiamo l'uso dell'in telletto : e da taluni principi pratici, o tendenze dateci come altrettante spinte al ben oprare, e come tracce del cammino che dobbiamo seguire. Questi principi pra tici son quelli, che noi chiamiamo prin cipi di azione, come l'istinto, l'abitu dine istintiva, gli appetiti, gli affetti, la credenza all'autorità, e l'opinione stessa del dovere. - Non furono gli antichi men diligenti demoderni nell'analisi della morale costi tuzione dell'uomo, siccome il dimostra il seguente egregio luogo di Cicerone: Est enim natura, sie generata vis hominis, ut adomnem virtutempercipiendamfacta videatur; ob eamque caussam parvi vir tutum simulacris, quarum in se habent semina , sine doctrina moventur. Sunt enim prima elementa naturae, quibus auctis, virtutis quasi carmen efficitur. Mam cum ita nati factique simus, ut et agendi aliquid, et diligendi aliquos, et libera'italis, et referendae gratiae principia in nobis contineremus, atque ad scientiam, prudentiam, fortitudinem que aptos animos haberemus, a contra risque rebus alienos, non sine caussa eas, quas diari, in pueris virtutum quasi scintillulas videmus, e quibus accendi philosophi ratio debet , ut eam , quasi Deum , ducem subsequens, ad natu rae perveniat extremum (definib. lib. V. cap. XV.). Da ciò manifesto apparisce che la virtù pratica precede la speculativa, e che que sta non è se non un comento ed una spie gazione di quella. Laonde la scienza, detta sapienza morale sarà utile e vera se cu stodisce e illustra i principi naturali, nei quali è fondata; e sarà falsa e dannosa, se preſenderà sostituire a quel principi al tri desunti dall'interesse della vita esteriore, o dalle passioni che sogliono dominarla. V. Sapienza. - Gli scolastici oscurarono il comune con cetto della virtù , e lo avvilupparono in mille dialettiche distinzioni, perchè si fe cero un dovere di seguire e d'illustrare la definizione di Aristotele, il quale disse essere la virtù un abito elettivo, riposto nella mediocrità, e definito dalla ra gione dell'uomo prudente. Ambigua e falsa era cotesta definizione, dapoichè l'abi to elettivo apriva il campo a dubitare, se ogni abito morale potesse divenire vir tù, e riponeva questa nel mezzo di quelle estremità, nelle quali dicevasi essere ri posto il vizio. Nacque infatti tra gli sco – 525 – lastici la controversia, se l'abito morale fosse per se stesso indifferente al bene e al male, ovvero avesse una essenziale deter minazione al bene. Laonde molti del no stri moralisti italiani definirono la virtù un abito dell'animo ad eleggere ciò che nel mezzo dimora, o pure abito volon tario il quale tiene il mezzo, onde ogni estremità è viziosa. Cotali definizioni sono manifestamente resti della aristotelica dol trina. V. Abito, Vizio. Di virtù dassi ancora il nome alle sin golari doti dell'animo, per le quali acqui stiamo la cognizione del vero ; e a cia scuno degli atti doverosi, pe quali ren diamo ciò che è dovuto ad ognuno, cioè a Dio, a noi stessi, ed agli altri. E però chiamiamo virtù la pietà, la temperanza, la giustizia, la liberalità ; e tra le vir tudi distinguiamo le cardinali o principali dalle quali dipendono le altre. Cotesto si gnificato è una trasposizione del nome del tutto alla parte. Più propriamente sa rebbero chiamate ufizi, o atti della virtù. V. Ufizio. In questo senso le virtudi sono state dagli antichi e da moderni moralisti di stinte in due generi, le intellettuali o in volontarie, e le morali o volontarie: le une son date dalla natura, come la pronta comprensione, la facile retentiva, l'acu me della mente, e tutte quelle doti , il complesso delle quali forma un perfetto ingegno: le altre nascono dal retto uso della volontà e della libertà, di cui l'uomo è dotato: il concorso e l'accordo loro in un medesimo fine, forma quel costante e retto operare, cui è dato per eccellenza il nome di virtù: le prime hanno per loro scopo il vero, le seconde, la felicità, o il sommo bene. V. questa voce. Quanto alla partizione delle virtù mo rali, gli scolastici diedero ad alcune di esse la divisa di cardinali, avendole con siderate come le fondamenta di tutte le altre: tali dicevano essere la prudenza, la giustizia, la fortezza, e la tempe ranza, ragioni di tal primato erano, che la prudenza è necessaria per operare con discernimento; la giustizia per dare a cia scuno quel che gli è dovuto ; la fortezza per dare alla volontà la fermezza necessa ria a contenere le passioni ; e la tempe ranza, per l'abito di saperle moderare. Ma una tal divisione confonde talune qua lità comuni a tutti gli ufizi della virtù , collo scopo particolare a ciascun di essi. Distinguiamo piuttosto gli atti doverosi del la vita per lo fine che ciascun di essi si prefigge, o sia facciam l'analisi del prin cipali doveri, i quali contengono in se tutti gli altri. La pietà comprende quelli verso Dio: la giustizia i doveri verso di noi e verso degli altri: e la liberalità i doveri dettati dalla benevolenza, o sia dalla natural carità, che è impressa nel cuore d'ogni uomo, come vincolo di re ciprocazione, e come germe d'ogni civile associazione. Tutti gli altri doveri ed ufizi della vita, in qualunque condizione sia l'uomo collocato, non sono se non un'ap plicazione o derivazioni de tre primi testè divisati, a quali può con migliore ragione convenire il nome di virtuti o di doveri cardinali. V. Carità, Giustizia, Libera lità, Pietà. VIRTUALE e VIRTUALITÀ (spee. e dise.), quel che è nella potestà d'una cosa, o sia, che ha la potestà di produrre. Il calore, per esempio, è virtuale nel sole, siccome il freddo nel ghiaccio. In questo senso il virtuale esprime la mede sima idea del potenziale. V. questa voce. º – 524 – Gli scolastici fecero un grande abuso di questo vocabolo, e ne formarono il sug getto di sofistiche distinzioni. Il principio del sofisma giaceva nella loro definizione, o per meglio dire nel subbietto da cui desumer vollero la definizione: la virtua lità dissero, è una certa qualità conve. niente ad un subbietto la quale sebbene in realtà convenga colle altre qualità dello stesso subbietto, pure perchè pro duce predicati contraddittori, vien con siderata come se fosse realmente diver sa. L'esempio ch'essi scelsero, fu d'un augusto mistero, che spiega la fede, e spiegar non può l'umana ragione. E quan do vollero fare l'applicazione di tal defi nizione agli Esseri e alle cose contingenti, caddero nella controversia, se possano darsi predicati contraddittori nel medesimo subbietto, nella quale altre false e sottili distinzioni vennero ad oscurare maggior mente il concetto della virtualità. Sepa riamo il comprensibile dall'incomprensi Dile. Il virtuale non ha un significato di verso dal potenziale. VisceRA e VisceRE (spec.), le parti in terne del corpo animale, nelle quali si elaborano le diverse funzioni della vita animale. Tali sono il cuore, il fegato, i polmo ni, gl'intestini, e le altre interne parti del corpo, che van comprese anche sotto il nome d'interiora. VISIBILE (spec. e crit.), l'obbietto, o il corpo figurato, quale apparisce all'oc chio. V. questa voce. Fra gli obbietti esteriori, v'ha di quelli che percepiamo per lo solo organo della vista, come il colore e la luce; e di al tride quali acquistiamo la conoscenza per lo concorso di più sensi insieme. Gli ari stotelici chiamaron quelli visibili propri o adequati, e questi visibili comuni. Ari stotele ridusse anche i visibili comuni in categorie, e ne contò cinque, il moto , la quiete, il numero, la figura e la gran dezza, o quantità. I suoi seguaci ve ne aggiunsero altri quattro, il luogo, la di stanza, il sito, e il moto continuo o di screto. Coteste partizioni collegavansi col la dottrina delle specie formali, dottrina ora condannata. Possono ora soltanto es sere utili per distinguere i fenomeni pro pri della visione, allorchè nell'analisi che ne facciamo, vogliamo considerargli divisa mente dagli altri sensi. V. Senso, Spezie. Per visibile noi ora intendiamo l'appa rente, cioè quel che l'organo della vista può renderci noto, secondo le leggi della sua naturale costituzione. Noi abbiamo al trove accennato che l'apparente de sensi differisce dalla realità, e che cotesta di versità, negli obbietti che percepiamo per l'organo della vista nasce principalmente dalla distanza, la quale trasporta l'obbietto fuori della naturale portata dell'occhio, o sia della sua capacità. V. Apparente. Ma v'ha un'altra ragione, la quale suole concorrere insieme colla distanza a ren dere l'apparente diverso dal reale; e que sta è la posizione dell'occhio dell'osserva tore per rispetto all'obbietto veduto. Gli occhi vedono nella medesima posizione gli obbietti posti nella direzione della stessa linea retta tirata dal loro centro agli ob bietti veduti ; e per contrario vedono in altrettante posizioni diverse gli obbietti siti nella direzione di altre diverse linee. Co testa diversità di posizione è misurata dal l'angolo formato dalle dette linee rette. E siccome la figura reale risulta dalla si tuazione delle sue parti, quali esse sono – 525 – le une verso delle altre; così la figura visibile risulta dalla posizione relativa che le dette parti ricevono dal modo, nel quale son vedute. Ciò non ostante que ste figure, quantunque diverse, non so lamente hanno una somiglianza tra loro, ma hanno una tale corrispondenza di pro porzioni, che data l'una di esse, può es sere determinata ancora l'altra quando sia data la posizione dell'occhio a rispetto dell'oggetto; cioè dalla figura reale si può dedurre l'apparente, detta ancora la sua prospettiva, e da questa quella. La dif ferenza dunque tra il visibile relativo alla posizione dell' occhio dell'osservatore, e la figura reale non contiene una trasfor mazione dell'obbietto veduto, ma è un rapporto costante tra l'uno e l'altra, de terminato dalle leggi naturali della visio ne. È un segno stabilito dalla natura, per mezzo del quale l'intelletto dalla estensione e dalla figura visibile passa alla conoscenza della tangibile. A somiglianza di questo segno le arti grafiche crearono l'altro di rappresentare i corpi che hanno tre di mensioni sopra un piano che ne ha sol tanto due: la proiezione d'una sfera so pra un piano sottoposto, e la prospettiva d'un palazzo sono segni, o rappresenta zioni di corpi che hanno tre dimensioni, eseguite con due sole cioè colla lunghezza e colla larghezza. La geometria descrit tiva per conseguente non è altro che l'arte di trasportare a segni le qualità degli ob bietti significati. V. Prospettiva. Il moto è una terza ragione di diffe renza tra l'obbietto visibile ed il reale. In concorso delle altre due differenze ag giugne nuove modificazioni agli effetti del la distanza e della posizione dell'osserva tore, e da questa ne riceve. E sebbene queste cagioni unite insieme ne formino una composta, la quale altera la somi glianza e le proporzioni della figura visi bile; pur tuttavolta può sempre l'intel letto scernere gli effetti di ciascuna di esse, e ridurre la figura visibile alla reale. Noi giudichiamo del cangiamento di sito decorpi, o da quello delle immagini che si succedono nella retina, o dal moto stesso dell'occhio che segue la direzione dell'ob bietto in movimento. Ma per accorgerci del moto de corpi, è necessario avvertire il passaggio che han fatto da un sito all'al tro, dapoichè non possiamo altrimenti ve dergli, che per la permanenza delle im magini loro nella retina, il che stabilisce un intervallo tra 'l moto effettivo ed il vi sibile. Da ciò segue ancora, che quando il moto è talmente rapido, che non si for ma una nuova immagine nella retina, o l'occhio seguir non può il movimento del corpo, noi vediamo la figura di questo, diversa dalla naturale. Così, facendo gi. rare un pezzo di carbone acceso intorno ad una corda che rapidamente descriva un cerchio, l'occhio vedrà un cerchio di fuoco continuo, e non il carbone portato dalla corda. Le leggi della visione, per rispetto agli obbietti che sono in movimento, dimo strano il rapporto certo, costante, e pro porzionale che la natura ha stabilito tra l visibile e il reale. Esempi di tali leggi sono le seguenti verità: « se due corpi siti ad una distanza grande e disuguale dall'occhio, se ne al lontanino di vantaggio con velocità egua li, camminando sulla visuale; il corpo più lontano sembrerà muoversi più lenta mente dell'altro; che se le velocità fossero proporzionali alle loro distanze, in tal caso sembreranno muoversi con moto eguale »: « se i detti due corpi si muovano con di – 526 – suguali velocità, ma nella medesima dire zione della visuale, le velocità apparenti saranno in ragion composta della ragion diretta della loro vera velocità, e della ragion reciproca delle loro distanze dal l'occhio » : « un obbietto visibile, il quale si muove con qualsivoglia velocità, sem bra rimanere in quiete, se lo spazio da esso descritto in un minuto secondo si trovi in una distanza che lo renda impercetti bile all'occhio »: « un corpo che si muove con qualunque grado di velocità, sem brerà essere in quiete, se lo spazio per corso in un minuto secondo sta alla di stanza dell'occhio, come uno a 14oo, o anche come 1 a 13oo»: e se l'occhio passi direttamente da un luogo all'altro, senza che l'animo avverta il suo moto, qualun que obbietto laterale immobile, sembrerà muoversi in senso contrario »: e nella stessa supposizione se l'occhio e l'obbietto si muo vano nella medesima direzione, ma sia il moto dell'occhio più rapido di quello del l'obbietto, questo sembrerà muoversi in dietro »: « se due o più corpi lontani muo vansi con eguali velocità, e uno tra i più rimanga in quiete; gli obbietti che si muo vono appariranno fissi, e quello che è nel la quiete sembrerà muoversi in contrario senso ». Coteste leggi spiegano perchè gli obbietti molto vicini a noi, i quali muovonsi lentamente, come l'indice d'un oriuolo, sembrano esser fissi; o perchè l'occhio non avverte il movimento, comunque celeris simo, di corpi molto lontani come i pia neti, e non se ne avvede che pel cam biamento di luogo di tali corpi dopo un dato intervallo di tempo ; o perchè es sendo noi in una barca che si muove ci sembra che si muova il lido stesso del mare; o perchè attribuiscesi da noi a cor pi celesti quel moto, che è della terra. Una regola generale dell'ottica ci dice, che quando l'occhio è mosso, senza ac corgersi del suo moto, esso trasporta il moto a corpi esteriori che lo circondano, e induce noi a credere, che questi muo vansi in contrario senso, mentre che sono in quiete. V. Distanza, Luogo, Moto. VISIONE (spec. e crit.), l'atto del ve dere gli obbietti esteriori, esercitato per l'organo dell'occhio. L'organo della vista è quello che, più chiaramente degli altri sensi, ci spiega il modo col quale si producono le sue sen sazioni. Un tal modo ci sembra sì chiaro, che prendendolo per guida, abbiam pre teso di spiegare per esso tutti gli altri fe nomeni della sensazione. Infatti conoscen do, che la visione si opera per mezzo d'una fedele immagine dell'obbietto impressa nel la retina, noi trasportammo questa stessa immagine nel cervello, e di là nell'ani ma; e supponendo una perfetta uniformità negli altri sensi, tutto riducemmo ad im magini. Forse saremmo stati men confi denti in noi stessi, e men fecondi in ipo tesi, se avessimo fatto attenzione al mi stero che copre le altre parti del mecca nismo della visione, a spiegar le quali non basta il fenomeno delle immagini. Il primo fatto sul quale si ferma la ri flessione di chi contempla i fenomeni del la visione, è il moto paralello degli oc chi, i quali muovonsi sempre insieme, e nella stessa direzione. Tenendogli aperti, non possiamo non guardare il medesimo punto, o che sieno fissi, o che sieno volti alla destra, o pure alla sinistra. Chiuden done uno colla mano e lasciando libero l'altro, mentre questo si muove in un senso qualunque, noi sentiamo che l'altro sotto la palpebra, imita e si sforza di eseguire – 527 – gli stessi movimenti. Cotesto fatto sembrava inesplicabile quando credevasi che le fun zioni del muscoli motori degli occhi e dei nervi loro servienti fossero tra loro inde pendenti. Ma ora la notomia ha dimo strato, che sebbene i muscoli de'due oc chi sieno diversi e posti separatamente in ognuno de due lati, pure hanno un co mune rettore ne nervi. Il terzo, il quar to, ed il sesto paio de nervi cerebrali, comechè doppi e diffusi per ambo i lati, hanno un'origine comune, perchè metton capo nella stessa parte dell'encefalo, che va fisicamente considerato come il senso rio comune. Essi dunque nascono da uno stesso tronco, ed hanno tanta reciproca dipendenza, e tanta omogeneità di fun zioni, quanta ne hanno in un albero i rami nascenti dallo stesso tronco: son pari in numero, ma per la identità delle loro funzioni producono l'unità della sensazio ne, e per conseguente, della percezione. V. queste voci. Di più difficile spiegazione è l'altro fe nomeno che ci fa vedere diritti, e nella naturale loro posizione, gli obbietti, di cui le immagini si dipingono capovolte nella retina. L'ottica ci dimostra che i raggi proiettati da diversi punti dell' ob bietto visibile, s'incrociano prima di giu gnere alla retina per modo che la parte superiore dell'obbietto viene a dipingersi nella inferiore della detta membrana, e la parte destra alla sinistra. Ma questa operazione, che è l'ultima della visione, e che è compiuta nella retina, da quale altro organo è raddrizzata e rifatta? In somma come vediam diritto un obbietto, che l'occhio riceve rovesciato? V. Occhio. Keplero e Cartesio credettero che noi raddrizziamo col giudizio quel che diver samente l'occhio vede, e dissero che co noscendo noi l'incrociamento deraggi del la luce, veniamo per un atto di ragiona mento a comprendere, che la parte infe riore dell'immagine corrisponde alla su periore dell'obbietto, e così e converso. Ma la percezione degli obbietti che pas sano per l'organo della vista è una ope razione immediata, non preceduta da al cun ragionamento; ed inoltre cotesta sen sazione è la stessa ne fanciulli e negli adulti, ne'dotti e negl'ignoranti. Se quel la spiegazione fosse vera, solamente gli anatomici, i fisiologi, e quelli che cono scono la struttura degli occhi dovrebbero veder diritti gli obbietti, e tutti gli altri, a rovescio. - Berkeley ed altri diedero all'abito e all'esperienza quel che i primi due avevan dato all'intelletto. E partendo dal princi pio, che le idee acquistate per la vista, non sono altro che segni di quelle che acquistiamo per lo tatto, senza che vi sia tra esse la menoma rassomiglianza, spie garono il fenomeno del raddrizzamento, come un giudizio sperimentale, che scam bia il segno colla cosa significata. Cotesto sistema, non dissimile dal precedente, in quanto che intromette nell'atto individuo ed immediato della percezione, una idea di riflessione e di esperienza, sente an cora l'idealismo di Berkeley, il quale ebbe il mondo come tangibile e non visibile. Altri non dubitarono ancora di affermare che noi vediamo naturalmente gli obbietti arrovesciati, ma che il senso del tatto ed indi l'abito rettificano la percezione degli obbietti visibili. E Algarotti, il quale spie gava l'ottica a colte e gentili donne, non solamente dava per vera una tal suppo sizione, ma aggiugneva che l'idea del l'alto e del basso delle cose materiali, è un sentimento che ci viene non dalla – 528 – vista ma dal tatto, e dal senso della pro pria gravità; e credeva di confermare tali asserzioni coll'esempio del cieco nato, cui il celebre chirurgo inglese Cheselden estrasse la cataratta nell'anno quattordicesimo del l'età sua. Ma qual è il fanciullo che ab bia cominciato dal vedere gli obbietti ca povolti, ed abbia poi per abito acquistato la credenza di vedergli diritti? E quanto al giovinetto cieco di Cheselden , le sue relazioni dicono soltanto, che quegli vide da prima gli obbietti in confuso, sì che un quadro non appariva altrimenti agli occhi suoi, che come una tela macchiata di luce, di ombre, e di colori ; il che non poteva diversamente avvenire, tra perchè l'idea ignota, che per la prima volta acquistava, era quella della luce e de'colori ; e perchè gli mancava ancor quella della distanza, che acquistar non poteva senza il concorso della vista e del tatto insieme. E dall'altra parte sebbene il tatto avesse potuto dargli l'idea della esten sione in largo e in lungo; pur tuttavolta sarebbe bastato il solo senso della vista per discernere l'alto decieli e il profondo della terra, senza essere obligato a ragio mare intorno alla gravità. Il dottor Reid ricorse alle leggi natu rali della visione, per conoscere qual fosse l'ultimo fatto della sensazione. « A pro durre la visione è necessario che si formi nella retina l'immagine dell'obbietto, ma noi ignoriamo in qual modo ella passi più oltre. I filosofi credettero, che l'impres sione della immagine comunicata al ner vo ottico, o da questo a quella parte del cervello, nella quale risiede la sensazione, fosse veduta dall'anima ivi presente. Ma in questi passaggi v'ha una serie di sup posizioni l'una più inesplicabile dell'altra. Il nervo ottico certamente necessario a pro durre la sensazione, in qual modo la pro duce? Come la impressione del raggi lu minosi sulla retina si comunica al nervo ottico, e come questa la trasmette al cer vello? Quali sono le funzioni di quest'or gano, e qual può essere il suo contatto coll'anima ? Quale infine è il punto del cervello che noi possiamo assegnare per sede all'anima? Sono quistioni sopra cia scuna delle quali dobbiam fare una schietta professione d'ignoranza. 'altra parte non possiamo sconvenire, che le operazioni dell'anima sono rego late da leggi certe della natura, del pari che lo sono quelle degli organi sensibili. Ora per effetto d'una legge naturale l'anima vede non solamente l'obbietto tutto intero, ma ognuno de suoi punti visibili. È verità dimostrata dall'ottica , e confer mata dalla sperienza, che nella visione diretta noi vediamo ogni punto dell'ob bietto nella direzione d'una linea retta ti rata dal centro dell'occhio a quel dato punto. E siccome la sensazione negli al tri organi è regolata da leggi particolari a ciascun di essi; così dobbiamo risguar dare come legge propria della visione, che l'obbietto da noi si vegga nella dire zione della perpendicolare al punto della retina, nel quale viene a dipingersi l'im magine dell'obbietto veduto. Cotesto effetto (essendo le immagini de gli obbietti dipinte a rovescio sulla retina) non può altrimenti ottenersi, se non per un nuovo arrovesciamento della detta im magine. V'ha dunque un'altra legge o fatto della natura, di cui la precedente è una conseguenza, cioè che la parte dell'obbietto dipinto nel basso della retina, sia veduta nella parte superiore dello spazio, e quella dipinta alla sinistra sia veduta alla destra, per modo che se le immagini fossero di – 529 – pinte diritte sulla retina, noi le vedremmo a rovescio». Per dichiarire alquanto il concetto, che Reid prese dal dott. Porterfield, vorrem mo noi domandare, se la supposta legge naturale, che la parte dell'obbietto di pinto nella porzione inferiore della re tina sia veduto nella porzione superiore dello spazio, e la parte destra alla si nistra, sia una legge fisica la quale regola le funzioni dell'organo; o una legge che regola le operazioni della facoltà percetti va; o in altri termini, se il raddrizzamento della figura arrovesciata sia una funzione dell'organo ovvero dell'intelletto? Non è certamente dell'occhio, perchè l'immagine dipinta nella retina è l'ultima delle sue funzioni, perchè l'arrovesciamento della immagine è la conseguenza dello incrocia mento del raggi proiettati dall'obbietto, sì che converrebbe supporre un'operazione di un altro organo contraria alla precedente; e finalmente perchè lo stesso Reid intese proporla come una legge regolatrice delle operazioni dell'animo. Ora riferendo una tale legge all'intelletto, come possiamo concepire che la natura abbia renduto co mune allo spirito l'effetto meccanico del l'incrociamento del raggi della luce, così che l'intelletto debba sempre vedere l'op posto di quel che materialmente è stato nell'organo dipinto? Potrebbe esso retti ficare col giudizio l'imperfetta rappresen tazione del senso, mettendo il vero in luogo dell'apparente, ma non mai potrebbe sostituire l'apparente al vero. Questa os servazione risponde a quella dell'autore, il quale dice, che se gli obbietti venissero nella retina dipinti diritti e nella loro na turale posizione, l'anima li vedrebbe a rovescio. E quì dobbiam francamente dire, che il ragionamento di Reid non ci sembra di quella rigorosa esattezza, per la quale egli è sì giustamente ammirato. Imperocchè non ad ogni fatto della natura possiam dare il nome di legge. Questo nome, se condo la regola della induzione è dato a quei fatti generali, i quali contengono in loro la ragione sufficiente del particolari, che da essi dipendono. L'arrovesciamento della immagine sulla retina è la conse guenza d'un'altra legge ottica, per la quale i raggi proiettati dalla parte superiore del l'obbietto luminoso debbono cadere nella parte inferiore del piano prospettivo, e gl'inferiori nella superiore. Diamo piutto sto il nome di legge della natura a quel l'altro fatto cioè, che gli obbietti visibili son da noi veduti nella direzione delle li nee rette, le quali partendo da ogni punto della immagine dipinta nella retina vanno a finire al centro dell'occhio. Noi sappiamo che ciò avviene costantemente ed unifor memente in tutti i casi, ma ignoriamo come avvenga. Risguardiamola dunque come una legge, o come una condizione dell'umana costituzione. Ora che altro dice cotesta legge, se non se l'anima vede gli ob'ietti diritti, e nella loro naturale po s zione, quantunque sieno dipinti a ro vescio nella retina? Adunque tanto Por terfield quanto Reid surrogarono una espres sione scientifica ad un'altra più comune, e spiegarono otticamente il medesimo fat to; lasciando intatta la quistione del come ciò avvenga, e del perchè la percezione dell'obbietto non corrisponde alla materiale impressione della sua immagine. Dopo tanto disputare, separiamo i fatti dalle congetture. L'immagine dell'obbietto nella retina è l'ultima delle funzioni del l'occhio, ma non è l'ultima delle opera zioni della sensazione. A compier questa rimane l'azion del muscoli, del nervi, e 67 – 550 – del cervello senza de quali non si dà sen sazione. L'anima non vede le immagini, ma avvertita della loro presenza, trasporta la sensazione alla causa che la produce. La percezione è un giudizio che abbraccia l'esistenza dell'obbietto quale realmente è: nella realità è compresa la sua vera situa zione. Che se l'anima fosse serva delle materiali impressioni desensi, quanto ro more non ne menerebbero i fisiologisti per trasportare negli organi l'azione dello spi rito? La visione dell'obbietto e non della sua immagine è uno de più manifesti ar gomenti della immaterialità dell'anima e della superiorità delle sue funzioni. Un terzo fatto che intrattener suole l'at tenzione del fisici e del metafisici è , che guardando noi un obbietto con ambedue gli occhi, lo vediam semplice e non dop pio. Senza ripetere quì le varie opinioni degli antichi e del moderni, le quali sono esposte ne libri de fisiologi e de fisici, prendiamone la spiegazione dal principio testè esposto, cioè che l'anima vede gli ob bietti e non le immagini. Che se vedesse queste e non quelli per la stessa ragione per la quale vedrebbe le immagini arro vesciate, dovrebbe vederle ancora doppie. Del resto con questa ragione psicologica combacia ancora una legge fisica regola trice del fenomeno della visione. Noi ve diam semplici gli obbietti, perchè gli assi dei due occhi son diretti verso il medesimo punto, sì che unica e non doppia è la sensazione. In conferma di che se taluno meccanicamente forzando la situazione di uno de due occhi li ponga ad un diverso livello, ciascun di essi vedrà lo stesso ob bietto, l'uno in un sito inferiore, e l'altro nel superiore. Non pertanto, la natura ha non senza ragione addoppiato gli organi della visione, come quelli dell'udito e dell'odorato, per rendere più chiare le impressioni degli obbietti esterni. A questo fine concordemente serve la simmetrica disposizione del muscoli e denervi, i quali comechè addoppiati, pure per l'identità delle loro funzioni cospirano insieme alla unità e all'energia della medesima sensa zione. V. questa voce. Viso (spec. prat. e disc.), la faccia umana animata dalla luce degli occhi ; 0 la sembianza, indice degli affetti e dello stato dell'anima. Nel primo significato differisce da faccia e da aspetto; dapoichè faccia è nome della parte anteriore del capo, comune all'uomo e al bruti; e aspetto indica la figura visibile d'ogni cosa, animata o inanimata che sia. V. queste voci. Nel secondo significato poi vale espres sione di sentimento, o linguaggio d'azione. In questo senso disse Dante: Con viso, che tacendo dicea: taci. (Purg. XXI. ). Vale men di volto, che esprime il com plesso di tutte le disposizioni dell'anima, dimostrate per le apparenze non meno de gli occhi, che della fronte e delle labbra. V. Volto. VISTA (spec.), il senso del vedere. Il più importante de sensi, o delle fa coltà sensitive date all'uomo. Quantunque comune a bruti, pure nell'uomo la natura ha dato a questo senso un'ampiezza ed attitudini tali, che non solamente dimo strano la preeminenza di lui per rispetto agli altri animali, ma ne fanno un instru mento diretto ed immediato dell'anima. Per esso l'anima percepisce gli obbietti – 551 – esterni, ne distingue le qualità, scopre gli elementi della visione, la luce, i co lori, la struttura stessa del proprio or gano, e rimonta insino alla prima causa di tutte le cose. La vista dell' uomo è il senso di un Essere, invitato dalla natura a contemplare le sue maraviglie, e a leggere ne suoi futuri destini. V. Luce, Occhio. Ora nella vista dell'uomo, nella quale si comprende tanto la potenza propria del l'organo, quanto la virtù comprensiva dell'anima, debbonsi distinguere le per cezioni naturali dalle acquistate. Colle naturali noi percepiamo l'estensione, la figura, le diverse gradazioni de colori, e i vari effetti della luce. Colle acquistate distinguiamo le qualità apparenti, diverse dalle seali, a conoscer le quali vengono come ausiliari il tatto, la riflessione e l'abito, o sia la sperienza. Tra le naturali distinguiamo le qualità primarie della ma teria, dalle secondarie: l'estensione e la figura appartengono alla prima spezie: il colore e gli effetti della luce alla seconda. Nella classe poi delle acquistate entrano tutti gli atti intellettuali, pe quali diven gono in noi abituali molte conoscenze, di cui l'origine è nello spirito, e non nel l'organo materiale della vista. Nell'analisi delle percezioni acquistate è riposta prin cipalmente quella parte della filosofia dello spirito umano che versa circa i fenomeni della visione e degli obbietti visibili.V.Qua lità, Visibile, Visione. VITA (spec.), lo stato dell'Essere or. ganico nella durata della sua esistenza. V. questa voce. Altri l'han definito: il moto continuo degli organi d'un corpo animato. È il contrapposto di morte, che è la distruzione o dissoluzione di quello stato. V. Morte. Della definizione della vita può dirsi quello stesso, che è stato detto della esi stenza, cioè che le idee delle quali igno riamo le cause efficienti, non son capaci di vere definizioni, perchè ci è interdetta ogni cognizione dell'essenza loro. Aristotele definì la vita per l'enumerazione di tutti gli attributi suoi: « è il pensare, il sen tire, il rinnovamento quotidiano del cor po, mercè della nutrizione, il suo decli namento, la decrepità ». Le piante han pure, secondo lo stesso autore, una vita, detta vegetazione. Che anzi la potenza ve getativa fu da lui considerata come comune a bruti e all'uomo. V. Vegetativa. Per rispetto all'uomo, l'idea della vita è men cieca, che per gli animali e per le piante, dapoichè la sua essenza sta nel l'associazione dello spirito col corpo, e però può più plausibilmente essere definita: la durata dell'unione dell'anima col corpo. V. Anima, Durata. VITUPERAZIONE e VITUPERo (prat.), il biasimo accompagnato da disonore o in famia. V. queste voci. Vale anche azione degna d'essere con tali note biasimata. VivAcE e VIVACITÀ (spec. e disc.), qua lità di spirito pronto, o di componimento che spira vaghezza di concetti e di fantasia. VivIPARo (spec.), animale che molti plica la sua spezie colla produzione d'un altro animal vivo a se simile. È il contrapposto dell'oviparo, ed en trambi sono i modi pe quali si conserva la generazione omogenea. Diversa da que sta è la spontanea, o eterogenea, che i t – 552 – fisici ammettono negl'insetti e ne vermi detti infusori. V. Generazione, Infuso rio, Uovo. Vizio (prat.), abito elettivo di operare il male. Cotesta definizione è di origine scolasti ca, e tratta da casisti, i quali distinsero tre stati di vizio: il primo detto d'inconti nenza, incontinentiae: il secondo d'in temperanza, intemperantiae: il terzo d'in duramento, feritatis. Lo stato d'incontinenza fu da essi con siderato come d'infermità, capace del ri morso della coscienza, e per conseguente di guarigione: quello d'intemperanza, come più tenace, perchè confermato dal l'abito, e però men curabile: e finalmente quello di cieca ostinazione, come insana bile. La gradazione è vera, comechè aspri e barbari sieno i vocaboli. V. Coscienza. Noi diamo al vocabolo vizio un signi ficato sempre contrario a quel di virtù. E siccome questo nome è adoperato per di notare tanto le doti singolari, quanto l'in tera e compiuta perfezion dell'animo; così del pari diamo al nome di vizio il signi cato ora discreto, ed ora complessivo: nel primo prende tanti nomi particolari, quanti sono gli atti vituperevoli a quali si attacca, onde diciamo vizio di lussu ria, di maldicenza, d'ingratitudine, e simili: nel secondo diviene l'estremo op posto della perfetta virtù. Ora essendo tanti i nomi del vizi parti colari, quanti possono essere gli atti ille citi e indoverosi, domandasi se anche tra questi ve n'abbia de più vituperevoli e maggiori, nel senso che possano essere considerati come principali nel mal fare; del pari che v'ha tra le virtù le cardi mali, le quali traggono dietro a se le altre, e son considerate come la fonte della perfezione. Certamente essendo il vi zio, in qualunque significato si prenda, un esatto contrapposto della virtù, si può tra vizi particolari stabilire in contrario senso una partizione corrispondente a quel la che abbiam fatto per le virtù , e ris guardare come cardinali, e quali sor genti d'ogni corruzione morale e civile, l'empietà, l'ingiustizia e l'avarizia. V. Virtù. I Latini al par di noi gli diedero tanto il significato particolare, quanto il gene rale, e di ambedue abbiamo la definizione in Cicerone: Quod vituperabile est per se ipsum, id eo ipso vitium nominatum puto, vel etiam a vilio dictum vitupe rari. Sin zoxtxy malitiam diarisses, ad aliud nos unum certum vitium sonsue tudo latina traduceret. Munc omni vir tuti vitium contrario nomine opponitur. (de finibus lib. III. Cap. XII.). Taluni declamatori han detto, e son soliti dire: vitia, donec homines, ovvero hominum sunt vitia, non temporum / nulla aetas vacavit a culpa, i quali detti contengono una sentenza vera, se si ri feriscono all'origine del male, che è nella imperfezione dell'essere fragile e caduco dell'uomo, ma son falsi, se vogliansi elevare a verità necessarie ed inevitabili. Imperocchè se si prendessero in un senso generico e assoluto, ne seguirebbe che la tendenza strascina irreparabilmente l'uomo al male, o sia che il male è necessario; conseguenza contraria alla ragione e alla sperienza: alla ragione, tra perchè questa conosce e appetisce il bene, che è il fonda mento della virtù; e perchè il vizio non cessa mai di essere disapprovato dalla co scienza: alla sperienza, perchè i vizi son mutabili e non permanenti, e a guisa - 555 – de morbi infettano or una, ora un'altra età, e molti scompariscono fugati dalla comune opinione, o proscritti dal publico costume. Laonde ogni età è dissimile dal l'altra, così per le virtù, come pe vizi che soglion dirsi predominanti; sebbene una somiglianza si trovi nella tendenza alle azioni che son biasimevoli, per abu so degl'istinti e degli appetiti propri del l'umana natura. Di questa verità som ministrano una manifesta pruova le rap presentazioni teatrali e i publici giuochi, il gusto de quali è vario presso i po poli rozzi e gl'inciviliti, perchè è rela tivo a rispettivi loro costumi, e mutabile è presso tutti, perchè si evita e si fugge in un tempo quel che si è amato in un altro. Qual popolo colto ed umano sopporte rebbe al giorno d'oggi i sanguinosi spet tacoli, de quali dilettavansi gli antichi? E qual moderno teatro tollerar potrebbe la satira dell'antica comedia, l'esagerate passioni de tempi cavallereschi, o le li cenziose rappresentazioni, delle quali cia scuna delle presenti nazioni si è dilettata in sul cominciare della sua carriera dram matica ? L'educazion civile e religiosa d'ogni popolo ha sbandito taluni vizi e ha ren duto superflue molte lezioni di morale. Il pubblico è divenuto severo, casto, pru dente, censor del vizio e non delle per sone, inesorabile contra quel che offende la verecondia e la modestia; avido delle lezioni, utili a dirigere l'uomo nel cam mino della vita! Chi può dire che i vizi de' nostri tempi sieno gli stessi di quelli della corrotta Roma, o della indomita età di mezzo? Dicasi dunque che le passioni son dell'uomo, e i vizi, de tempi. V. Pas stone. - UMANITÀ e UMANo (spec. prat. e disc.), natura e condizione umana. Prendesi per quel naturale affetto di be nevolenza che lega gli uomini tra loro, nel quale senso equivale a benignità. Vale inoltre studio delle lettere umane, che ingentiliscono l'animo, e lo preparano ad ogni altra coltura. UMILE e UMILTÀ (prat.), qualità d'uomo che di se non presume, o per modestia si abbassa. V. Modestia. UMORE (spec. e prat.), nome comune ad agni fluido o succo, che è ne corpi organici, perenne o accidentale, e qua lunque sia la sua funzione. In un senso traslato si applica al par ticolar temperamento d'una persona, che si crede provenire dall'abbondanza d'uno, più che d'un altro fluido animale; il per chè diciamo uomo di umor bilioso, co lerico, flemmatico, sanguigno, ec. Per altra similitudine significa ancora disposizione d'animo disquilibrato per l'in fluenza d'una causa fisica, di cui non si sa rendere ragione. Ambedue i cennati significati contengono un'idea confusa, che non può essere dichiarita, per la dif ficoltà di distinguere l'azione delle cause, dalle quali risulta l'economia animale, e molto più per la difficoltà di determinare i diversi gradi d'influenza, che il fisico esercita sul morale dell'uomo. V. Dispo sizione, Temperamento. UNIco (spee. ontol. e teol.), quel che non ha altro simile nell'essenza, o sia nelle sue parti costitutive. Per analogia è il singolare, che non ha congenere, nè appartiene ad alcuna spezie. – 554 – Nel suo proprio significato è Dio, ente unico. V. Ente. UNIFORME (spec. e prat.), il simile per l'esterne apparenze, o per lo moto. Nel primo significato, contiene l'idea affermativa opposta al difforme. V. questa VOCe. Nel secondo dicesi uniforme il moto di quel corpo che percorre spazi eguali in tempi eguali; o sia l'uniformità è una proprietà del moto equabile, e però di viene misura del tempo. V. Moto, Tempo. Ne portamenti del vivere, l'uniformità vale costanza nell'operare sempre allo stesso modo, e però dicesi vita uniforme quella che mai non varia dallo stesso proposito. UNIoNE (spec. ontol. e prat.), lo stato d'ogni composto, considerato per rispetto al legame che fa stare insieme le sue parti. Gli scolastici la definirono, lo stato di un ente in quanto è congiunto con un altro ente, o l'associazione di più cose che convengono in uno. L'idea della unione è propria degli ob bietti materiali e dinota la coesistenza di ciò che la divisione separa e scompone. V. Divisione. Negli obbietti del pensiero, l'unione vale convenienza di relazione ; siccome negli atti della vita pratica contiene somi glianza, e conformità di volontà. UNITÀ ( spec. ontol. dise! e eri. ), astratto, o qualità dell'uno che esprime, o l'Essere semplice, indivisibile, o una parte individua d'un tutto divisibile, la quale prendesi come termine di paragone nella misura delle altre quantità della spezie, o il concetto unico che la mente formi delle qualità simili, o un obbietto del pensiero, che la mente concepisce come distinto dagli altri, o il subbietto d'un discorso, o d'un poema, di cui le parti debbono cospirare al medesimo fine. De cinque proposti significati il primo appartiene alla unità detta metafisica, il secondo alla unità matematica, gli altri tre alla unità logica. Intorno alla unità metafisica, per ben concepirla, giova vedere come ciascuno la formi nel proprio intelletto. Ognun dice a se stesso, io sono uno, e comparando se agli altri individui della sua spezie, passa a formare una seconda idea diversa dalla prima, che è la pluralità. Ma in che consiste l'unità, che in me concepi sco? Nella mia indivisibilità. E d'onde nasce la indivisibilità? Non dal corpo, nè dalla materia in generale, perchè le sue parti son divisibili all'indefinito, e po trebbero molte parti del corpo essere tron cale, senza che l'io cessasse di essere uno. Laonde l'indivisibilità è nell'io intelligente, incapace di parti, e per conseguente di divisione. Cotesto io intelligente considera il proprio essere, come distinto dagli altri a se simili, e di ciascun de'quali forma il medesimo concetto; d'onde deriva an che l'altro della propria identità ed im mutabilità. Adunque l'unità metafisica è propria de soli spiriti, o sia degli Esseri semplici. V. Identità, Semplice, Spirito. Quanto poi alla matematica, l'unità è la parte individua del numero, la quale col suo paragone al tutto cui appartiene ne misura la quantità. Chiamasi indivi dua, non perchè sia indivisibile, ma per chè si considera come tale, per rispetto all'aggregato delle altre parti simili, delle quali il numero è composto. Il suo signi ficato è relativo, o sia contiene una idea – 555 – di relazione alla pluralità, o in altri ter mini; è unità di parti, e non di Esseri. E però, tanto nella quantità discreta, quanto nella continua, considerando le parti d'un tutto come distinte tra loro, possiamo sta bilire una unità relativa; e se nella discreta prendiamo l'uno come principio del nu mero, può nella continua una linea retta una superficie o un solido essere preso come principio e misura della estensione. L'unità matematica dunque è propria dei composti materiali. V. Mumero. Non mancarono gli scolastici con astratte definizioni e dialettiche distinzioni di oscu rare il concetto della unità, dapoichè la definirono, quel che è indiviso in se stes so, ed è diviso da ogni altra cosa: ed altri, un modo di essere, per cui con viene ad ogni particolar essenza una volta sola. La prima di queste due defi nizioni risguardava l'unità matematica: la seconda è un misto delle unità logiche e della metafisica. Per distinguere le une dalle altre ricorsero alle distinzioni, e chia marono unità di semplicità quella dell'Ente perfettissimo, e unità di composizione quella dell'uomo, perchè composto d'una sostanza semplice, e d'un composto ma teriale e divisibile. E non bastando l'an zidetta distinzione a dichiarire i diversi si gnificati che davansi allo stesso vocabolo, suddivisero l'unità di semplicità in due, l'assoluta, e l'altra secundum quid, dando quella a Dio, di cui gli attributi sono in separabili dalla sua essenza; e questa agli spiriti celesti e alle anime umane, gli attributi delle quali possono essere risguar dati come altrettanti modi di essere, non necessari, e separabili dalle rispettive loro essenze. Altri finalmente distinsero l'unità per se, dall'altra per accidens, compren dendo nella prima non solamente l'ente semplice, ma ancora l'ente composto di cui le parti formano un tutto inseparabile, come l'uomo; e nella seconda i corpi col lettivi e gregari, senza parlare dell'altra unità detta confusionis, propria deliquidi, che una volta confusi, divengono nelle loro parti inseparabili. Queste ed altre molte distinzioni nacquero dal non avere distinto i diversi significati attribuiti al medesimo vocabolo. E quì, per non tor nare alle unità metafisiche, vuolsi notare, che Leibnizio, risuscitando le unità pita goriche, chiamò unità reali le sostanze immateriali dotate di percezione, le quali informano la materia, e la fan passare dal suo stato primitivo, inerte, e passivo al secondario. In questo senso le unità reali suonano per lui lo stesso che le mo nadi e le entelechie. V. queste voci. Passando ora a significati logici dello stesso vocabolo, noi siam soliti conside rare, come una unità di ragione, il con cetto delle qualità simili che son proprie degli Esseri della medesima spezie; onde diciamo essere una la condizione umana, o quella de bruti; il che avviene ancora nelle altre cose, semprechè astraiamo da gl'individui quel che è ad essi comune, e ne formiamo una nozione di spezie o di genere. Cotesta unità era anche dagli scolastici denominata unitas rationis, per distinguerla dalla reale, la quale propria mente corrispondeva alla numerica, o ma tematica. L'animo similmente separa gli obbietti del pensiero, gli esamina divisamente, ne paragona le differenze, e suddivide i com plessi da semplici; sì che l'unità a rispetto loro diviene un mezzo di ordine e di lo giche partizioni, non altrimenti di ciò che l'unità e il numero fanno nella distribu zione delle cose materiali. V. Mumero. - 556 – L'unità finalmente nelle opere così del l'intelletto come della immaginazione, e sopra tutto negli argomenti propri delle arti imitative, ha un significato speciale, che vuol dire uniformità e coerenza delle parti, per rispetto allo scopo, che l'autore si prefigge. Questa è quella unità predicata nel precetto di Orazio: Denique sit quod vis simplex, dumtarat et unum. L'ordine è certamente un requisito ne cessario ad ogni opera dell'ingegno, o che si tratti d'istruire, ovvero di dilettare. Esso consiste in questo, che ogn'idea sia messa al proprio luogo, il superfluo sia risecato, l'estraneo rimosso, ed il prin cipio sia legato al mezzo e questo alla fine. Gl'incidenti stessi e le digressioni debbono esser tali, che non disdicano alla natura del suggetto, onde il profano non sia a canto al sagro, il ridicolo al grave, e l'autore non offenda la dignità e le convenienze del suo argomento. Un'opera cosiffatta dicesi una, perchè composta di parti sì ben connesse tra loro, che pos sono essere considerate come necessarie e inseparabili le une dalle altre. Trasportando ora l'esposte idee alle opere d'imitazione, e spezialmente a quelle che prefiggonsi di rappresentare i fatti degli uomini, il principale loro pregio è la ve risimiglianza per quell'altro precetto: Ficta voluptatis caussa sint proaima veris. E ciò non solamente per lo detto di Orazio, ma per l'autorità della ragione, la quale nella imitazione non può trovar bello, se non quello che ripresenta le azioni e le passioni degli uomini co loro veri e naturali colori. Da tali principi è nato nella poesia drammatica la famosa regola delle tre unità, d'azione, di tempo e di luogo, rispettata con maggiore o minor severità da Aristotele insino a tutto il decimottavo secolo, screditata e proscritta dal roman tico della nostra presente età.V. Romantico. Le tre divisate unità sono proprie della tragedia e della comedia, e in parte an cora del poema epico. Dico in parte, per chè l'unità di azione gli è necessaria come al dramma, e l'unità del tempo in una misura più ampia di quel che richiede la rappresentazione d'un fatto, unico, pu blico o domestico che sia, rimanendo ad esso estranea l'unità del luogo. Ora la sciam da banda l'epopea, tra perchè la grande controversia versa circa la unità drammatica; e perchè facile sarebbe il fare l'applicazione del più al meno, se l'unità del tempo fosse dal teatro interamente sban dita. L'unità di azione, secondo il precetto di Aristotele, consiste in questo che sia essa riguardevole, compiuta, di lunghez za proporzionata alla maggiore o mi nore estensione delle sue diverse imila zioni, non così picciola che non possano distinguersi le troppo minute parti, nè così vasta, che non possano vedersene insieme le proporzioni nel tutto. Tutto quello, soggiugne lo stesso autore, che può esser tolto ed aggiunto, senza al terare visibilmente la costituzione d'una favola, non è membro della medesima (Poet. cap. VIII.). Il senso di questa re gola (secondo che è stata interpretata ed applicata da più grandi maestri dell'arte drammatica), è che l'azione abbia un nodo unico, ed un cominciamento, un mezzo, ed una fine, talmente legati tra loro, che ognuna di queste parti corrisponda allo scopo dell'autore. L'unità del nodo è quel che forma l'unità dell'azione, e nella tra – 557 – gedia dicesi uno il nodo, quando uno sia l'avvenimento tragico, al quale scampa o soggiace il protagonista del dramma; sic come nella comedia uno debb essere l'in trigo, o l'ostacolo che tien sospeso il dise gno del principale attor della favola. Non è già che non possano darsi più avveni menti tragici, o più intrighi, che formino il nodo dell'azione, ma uopo è che l'uno sia dipendente dall'altro, per modo che non possa quella dirsi compiuta, se non per l'ultimo di essi. Tutte le azioni se condarie, le quali debbono essere subor dinate alla principale, appartener debbono al nodo dell'argomento e al suo sciogli mento, che formano le due parti costitu tive del dramma. Gli episodi e gli aggiunti, purchè utilmente e verisimilmente adornino l'azion principale, non ne turbano l'unità. Ma nella scelta di questi vale sopra tutto il criterio del poeta, dapoichè come dice Racine, nulla è tanto contrario alla unità ed alla semplicità dell'azione, quanto il moltiplicare gl'incidenti e le forzate ri conoscenze, ordinario rifugio degli sterili poeti, i quali si gettano nello straordinario e si allontanano dal naturale (Pref. del la Berenice). Contra questa unità, che tutti hanno riconosciuto esser necessaria al dramma e al poema, anche molti grandi autori han peccato. Cornelio notò avervi mancato Se neca nella Troade, ed egli stesso nella tragedia dell'Orazio, nella quale l'inaspet tata morte di Camilla, forma quasi un dramma a parte. Voltaire notò un simile difetto nel Catone di Addison, e nell'An dromaca di Racine, in cui v'ha due nodi, l'uno di Ermione amata da Oreste e sprez “zata da Pirro; l'altro di Andromaca che cerca di salvare il figlio e di serbare fedeltà ad Oreste. Ciò non ostante, ciascuna delle nominate tragedie ha i suoi pregi, i quali rendon belle le singolari parti del dramma ma non corrispondono all' ordine e alla connessione del tutto. Se taluno dicesse, quel dramma mi diletta, dunque la re gola della unità è superflua, ammette rebbe una compensazione tra 'l retto e il difettuoso, e pronunzierebbe un giudizio d'uom volgare che non sa distinguere il mediocre dal perfetto. Il dramma in som ma, quantunque bello in talune parti, mancherebbe del suo scopo: Infelia operis summa, quia ponere totum Nesciet. Passando all'unità di tempo, questa ancora nasce dal seguente insegnamento d'Aristotele. La tragedia (questi dice) si sforza, quanto è possibile, di restrin gere il tempo della sua azione in un solo giro di sole, o variarlo di poco. L'epopea non ha limitazione di tempo, benchè non l'avesse per innanzi nè pur la tragedia (Poet. Cap. V.). Due estreme opinioni sonsi in due di verse età manifestate intorno alla durata di tempo, nella quale debba il poeta re strignere l'azione del dramma. Il Castel vetro e con esso altri critici, pretese altra volta che, per non offendere la verisimi litudine, dovesse il tempo dell'azione non oltrepassare la misura di quello che se ne impiega nella rappresentazione. I romantici ora vogliono affrancare il dramma dalla servitù del tempo, e scagliansi accaniti contra questa regola che dicono essere un avanzo del dogmatismo e delle false dot trine della scuola aristotelica. Nel mezzo di queste due estremità sta il criterio di più di duemila anni il quale è composto dalla ragion de poeti drammatici, a quali – 558 – dobbiamo la perfezione di quest'arte, e dal gusto de più colti popoli della Terra. I romantici vengono ora a dirci, che il prestigio per Aristotele ha affascinato la ragione degli uomini anche di lui non divoti, come Cornelio, Racine, Moliere, Boileau, Maffei, Goldoni, Voltaire, Me tastasio; facendo passare in canone un precetto, che lo stesso Aristotele non in tese dare come assoluto o generale. Ma prima di esaminare le nuove ragioni che i romantici ci adducono per liberare il teatro dalla servitù del tempo, giova dire qual è stato il sentimento medio seguito da più perfetti autori drammatici, e quale l'origine della licenziosa libertà per cui ora si combatte. Il tempo concesso da Aristotele, parve alquanto largo a molti chiari scrittori, sebbene critici più che poeti; il perchè invece d'interpretarlo per un giorno na turale di ore ventiquattro, pretesero limi tarlo al giorno artifiziale di ore dodici. Ma la sentenza ricevuta dall'universale dei critici e del poeti, ſu che non convenisse frenare con leggi troppo dure la fantasia de poeti, nè la comoda distribuzione del l'azione. D'altra parte la ragione e la spe rienza dimostrano, che una misura rigida di tempo convenir non possa ad ogni sorta d'azione; verità questa che si trova espressa nella stessa sentenza di Aristotele, il quale indicò più la necessità d'un tempo defi mito, che una misura di durata invaria bile, ea tutti comune. Tanto dicono le sue parole, per quanto è possibile. Tal'è stata sempre la pratica del teatro francese ed italiano: talune azioni, quando la sem plicità del fatto il permettevano erano in cluse nel tempo della rappresentazione: talune altre, nella durata del giorno ar tifiziale: altre finalmente, in quella del giorno naturale, e anche alquanto al di là, quando la moltiplicità degli accidenti inseparabili dal fatto principale, il richie deva. Niuno del grandi poeti drammatici sentivasi da questa regola soverchiamente gravato, e per contrario quando qualche dramma usciva da limiti stabiliti dall'uso e dalla sperienza, gli spettatori e i lettori accorgevansi della inverisimiglianza nella quale cadeva l'azione. Potevan le parti di questa, isolatamente prese dilettare ; po teva il verso e lo stile del poeta muo vere e trasportare gli uditori, ma niuno confondeva cotesti pregi col giudizio del la perfezione e del compiuto effetto del dramma. Gli autori drammatici spagnuoli ed in glesi sono stati i soli che non vollero ri conoscere l'unità del tempo. Gli spagnuoli, come dice Boileau, facevan comparire i loro eroi fanciulli al primo e barbuti all'ultimo atto, e Shakspeare abbracciò ne suoi drammi azioni della durata di tre, di dieci, di sedici anni, e anche di tempo maggiore. Le originali bellezze delle quali abbondano i capolavori teatrali delle due cennate nazioni cominciarono a sedurre gli spiriti independenti, e ad introdurre l'imitazione di questi nuovi originali. Degli alemanni ancora non si parlava, quando surse la gara tra gl'imitatori del teatro francese e dell'inglese. E quì prima di dire, come costoro facessero traboccare il torrente della opinione in favor della nuova sentenza, giova parlare della terza unità, cioè di quella detta di luogo; dapoichè contra l'una e l'altra insieme son diretti gli attacchi de'novatori. L'unità del luogo non ci viene da Ari stotele, nè da altro espresso insegnamento di antico autore; ma è una conseguenza della stessa scenica rappresentazione e delle – 559 – regole della verisimiglianza, nelle quali è riposta l'essenza della perfetta imitazione. Colesta unità consiste in questo, che l'azione sia compiuta nel medesimo luogo, nel quale è cominciata, tra perchè una e continua è l'azione, la quale si suppone che avvenga nel luogo stesso in cui si rappresenta, e perchè immoti rimangono gli spettatori, a quali conservar conviene l'illusione della verità. Boileau ne formò un canone dell'arte drammatica. Ma a di mostrarne la necessità e l'importanza più dell'autorità vale il paragone tra i drammi che hanno osservato un tal precetto, e quelli che l'hanno violato. Shakspeare, il più independente tra i poeti drammatici, sebbene sempre originale, trasporta da un atto all'altro gli spettatori di città in città, e lo stesso praticarono generalmente i poeti delle altre nazioni nella infanzia dell'arte. Cornelio fu il primo che ne formò a se stesso una legge, comechè talvolta fosse stato obligato di violarla. Sentiamo da lui la necessità della regola e la scusa delle eccezioni. « Io desidererei, egli dice, non dare alcun fastidio allo spettatore, che quel che a lui si rappresenta nell'in tervallo di due ore, potesse in realtà in due ore avvenire; e che quel che gli si mostra su d'un teatro immobile, potesse effettuarsi nella stessa stanza o sala che si è scelta; ma spesso ciò è si difficile, per non dire impossibile, che convien avere qualche maggiore latitudine per lo luogo come per lo tempo. Io l'ho esattamente osservato nell'Orazio, nel Polieuete, e nel Pompeo... ». Ma allo stesso Cornelio rim proverossi di non avere osservata l'unità del luogo nel Cinna, dacchè la metà del l'azione si suppone passata nella casa di Emilia, e l'altra metà nel gabinetto di Augusto. Del resto nè anche Racine andò esente dalla stessa nota in alcuna delle sue tragedie come nell'Esther, quantun que nella maggior parte delle altre fosse stato esatto osservatore della unità del luo go. E d'altra parte convien osservare che questa regola al pari di quella del tempo non prescrive rigorosi limiti, ma esige soltanto che non si offenda la verisimi glianza coll'impossibile. Che se rigorosa fosse la prescrizione del luogo, ammettersi non potrebbe la mutazione delle scene, le quali non altro annunziano se non i pas saggi delle diverse parti dell'azione da un luogo all'altro. Ora per assegnare con una certa approssimazione i limiti della cennata regola, fu tra gli scrittori di maggior nome convenuto che per unità di luogo dovesse aversi la medesima città o altro convento di uomini, nel quale l'azione si rappre senta. Tal fu l'interpretazione proposta da Cornelio, e tale ancora l'opinione di Me tastasio, che più degli altri declamò con tra il rigore delle unità sì del tempo, che del luogo. Adequatissima è la conciliazione ch'egli propone, nel suo bello estratto della poetica di Aristotele, tra l rigore di ta luni, e la licenza di altri: « Tutte coteste ragioni sufficientissime a liberarmi degli scrupoli del rigorismo, rispetto alla esten sione del luogo in cui possa figurarsi suc ceduta un'azione teatrale con le sue più necessarie circostanze, non mi han fatto però mai deporre la cura di non lasciare tra la nebbia dell'indefinito, nè la mia fantasia nel tessere una favola, nè quel la degli spettatori nell'ascoltarla. Onde siccome sulle tracce d'Aristotele ho as segnato sempre un discreto termine al tempo, senza restringermi a quello del la mera rappresentazione; così su la pra tica comune degli antichi e del moderni più applauditi drammatici, ho sempre im si – 540 - maginato una determinata e ragionevole estensione di luogo, capace di contenerne diversi: senza obligarmi alla immutabilità di quella special porzione del medesimo, che su trenta o quaranta piedi di palco ha potuto, solo al primo aprirsi della sce na, essere al popolo presentata. Non ar direi già io di trasportar mai i miei per sonaggi sull'esempio di Aristofane, di terra in aria, o nel profondi regni di Plutone; nè sulle tracce di Eschilo, dal tempio di Apollo in Delfo a quello di Minerva in Atene. Ma credo che il circoscritto spazio di un campo, d'una città, o di una reggia prescriva sufficientemente i necessari limiti all'idea generale d'un luogo; e che con tenga nel tempo stesso tutti quegli speciali e diversi siti, de quali abbisogna al ve risimile delle varie azioni subalterne, che in un dramma medesimo ora esigono il segreto d'un gabinetto, ora la publicità d'una piazza, ora gli orrori di un car cere, or la festiva magnificenza d'una sala reale. Nè parmi che possa a buona equità chiamarsi moltiplicazione di luogo il mostrarne separatamente le parti che lo compongono, quando l'angustia d'un palco e il comodo degli ascoltanti medesimi non permette di presentarlo intiero: e se pur come tale, meritasse la taccia d'inverisi mile, sarebbe sempre da eleggersi un in verisimile solo, che ne risparmia moltis simi. Se v'è poi finalmente alcuno che, dopo tante dimostrazioni, si ostini ancora a sostenere cotesta metafisica immutabilità; che asserisca ancora, a dispetto dell'evi denza, che sieno stati tutti su questo punto i tragici greci scrupolosissimi rigoristi; e che sia l'autorevol esempio di questi in violabile legge per noi, usi almeno ancor meco quella indulgenza medesima, che pratica con esso loro. Permetta anche a me, che io possa presentarsoli nelle pu bliche piazze (perpetua scena dell'antico teatro) i re, le regine e le vergini reali: che io possa nella publica piazza far gia cere in letto le regine e i principi infermi; che possa far anch'io, che i miei per sonaggi scelgano eternamente la publica piazza per ordire le più atroci e le più pe ricolose congiure, e per fare le più con fidenti, le più segrete, e talvolta le più vergognose confessioni; e non avran bi sogno allora i miei drammi di alcun cam biamento di scena ; e mi troverò, senza averlo preteso, religiosissimo rigorista an cor io ». (V. Corneille disc. sur les trois unites. Metastasio estr. della poet. di Arist. cap. V.). Tali erano le regole del bello e del ve risimile nella poesia drammatica, quando al cominciar del decimonono secolo la retrograda ammirazione degli alemanni per la prima età della loro civiltà, fece tra essi nascere il gusto del romantico, del quale non si sa per qual ragione in vaghironsi le altre colte nazioni di Europa. Forse per queste, altra ragione non può esserne addotta, se non la sazietà del buono e del bello, cui erano già da gran tempo accostumate. Qualunque sia la spiegazione di questa simpatica corrispondenza tra na zioni di lingue, di costumi e di gusto diverse, prima lezione del romanticismo fu l'indipendenza da ogni regola modera trice della immaginazione. Nelle prime rapsodie de popoli nuovi cominciossi a rav visare l'originale espressione de loro sen timenti; nelle immagini forti e ardite il vero bello ; nel difetto dell'ordine, la spontaneità della natura. Le unità, insie me con tutte le regole della poesia dram matica caddero sotto la falce riformatrice del nuovo gusto; e alla loro proscrizione, – 541 - e in soccorso di questa nuova dottrina fu chiamata l'autorità di Shakspeare e dei drammatici spagnuoli. Per quanto malagevole e disaggradevole sia il farsi campione d'una verità contrad detta dalla opinion corrente e dalla moda, non però è lecito abbandonarne la difesa contra la propria convizione. Entrar non vogliamo nella confutazione de grandi uo mini alemanni, i quali han voluto difen dere e sostenere il gusto della loro nazio male letteratura ; ma siam dolenti, che l'Italia e diremo ancora la Francia suol natio del perfetto dramma, inchinimo per amor di varietà a cambiare il vero per lo fantastico. E non solamente ci duole, ma ci sorprende che siesi fatto antesignano di tale gusto, il più bello ed il più retto degl'ingegni italiani dell'età nostra (il chia rissimo Manzoni), il quale non solamente ha voluto darci due tragedie nel genere ro mantico, ma ha apertamente combattuto contra la dottrina delle unità. Quanto alle sue tragedie, siccome solto la sua mano tutto riesce vago e fiorito, così grande applauso ha meritato per la verità del caratteri, per la eleganza del verso, e per la forza non meno che per la nobiltà del sentimento. In ambedue i cennati drammi ha egli dimostrato che il romantico può aver delle bellezze di parti, senza aver quelle del tutto e dell'uno, di che niuno dubitava; ma non ha certa mente provato che queste particolari bel lezze sieno incompatibili colle regole della unità, o sia che la verisimiglianza sia un requisito inutile alla perfezione del dram ma. Del resto avendo egli preteso di con futare le regole, giova logicamente di scorrere de' suoi argomenti. Non ha egli impugnato direttamente l'unità di azione, ma è facile intendere che rimovendo con illimitata licenza le unità di tempo e di luogo, viene anche a togliersi quella d'azione, il che conva lida la necessità e l'inseparabilità delle tre unità insieme. Impugnando quelle di luo go e di tempo, ha egli in primo luogo detto, « non esser queste regole fondate nella ragione dell'arte, nè potersi dire ri sultanti dall'indole del poema drammati co, ma essere state suggerite da un au torità non bene intesa e da principi arbi-. trari; l'unità di luogo essere nata dal fatto che la più parte delle greche tragedie imi tano un'azione, la quale si compie in un luogo solo, e dalla idea che il teatro greco sia un esemplare perpetuo ed esclusivo di tragica perfezione; l'unità di tempo essere nata da un luogo di Aristotele il quale non contiene precetto ma semplice notizia d'un solito praticato; essere questo solito fondato sulla sola ragione, che assistendo lo spettatore all'azione, diventa per lui inverisimile che le diverse parti della stessa azione avvengano in diversi luoghi, e du rino per lungo tempo, mentrechè egli sa di non essersi mosso dal medesimo luogo, e di avere impiegato poche ore sole ad osservarle. Ora questa ragione, soggiugne l'autore, è fondata sopra un falso suppo sto, cioè che lo spettatore sia lì come parte dell'azione, quando egli è per così dire una mente estrinseca che la contempla. La verisimiglianza non dee nascere in lui da rapporti dell'azione col suo modo at tuale di essere, ma da rapporti che le varie parti dell'azione hanno tra loro; sì che quando si considera che lo spettatore è fuori dell'azione, svanisce l'argomento in favor delle unità ». Ora a questi argo menti risponderemo, che l'unità di luo go non nasce dalla consuetudine del tea tro greco, ma dalla natura stessa del – 542 – l'azione drammatica, e dalle regole del verisimile, che son le prime di tutte le altre in ogni arte imitativa. Il moderno teatro, lungi dal seguire la greca usanza che limitava ad una publica piazza il luogo della rappresentazione, ha ricevuto per unità di luogo un sito tanto ampio, quanto contener potesse tutti gl'incidenti di una azione compiuta, o sia tanti luoghi conti gui o vicini quanti corrispondano al tempo nel quale l'azione possa essere verisimil mente consumata. D'altra parte sembra che l'autore limitando la rappresentazione de' Greci ad una publica piazza, il che vuol dire ad un sito unico ed immutabile, siesi riferito alla primitiva istituzione dei publici spettacoli; quandochè la mutazione delle scene conosciuta nel teatro greco, indica il cangiamento del sito in cui da vansi le diverse parti delle stesse azioni. Certamente i Latini, del quali conosciamo meglio le usanze, sentirono la necessità della mutazione del sito, siccome egregia mente dimostrò il Metastasio nell'estratto della poetica d'Aristotele. In pruova di tal fatto, (tra altri luoghi di antichi au tori come di Virgilio, di Vitruvio e di Servio) egli addusse il manuscritto delle commedie di Terenzio che si conserva nella biblioteca vaticana, al quale lo Sponio at tribuisce altre mille anni di antichità. Le figure di cui cotesto manuscritto è fregiato, furono fedelmente intagliate in rame e pu blicate con la versione di monsignor For tiguerri, dal Mainardi in Urbino 1736. L'antico disegnatore aveva avuto somma cura di esprimere diligentemente le ma schere, gli abiti, e le attitudini degl'istrio ni, avendo per altro trascurato di rappre sentare quello che anticamente chiamavasi scena, cioè quegli edifizi o pitture che elevavansi nell'ultimo fondo del palco. Del palco aveva egli accennato quella sola porzione, che più vicina era agli spetta tori, e sulla quale gli attori recitando pas seggiavano, e talvolta indicato aveva con diversi segni i vari luoghi, ne quali a seconda delle diverse azioni subalterne, dee lo spettatore figurarsi che gli attori si trovassero. Nella prima scena dello Heau tontimorumenos vedesi il palco innanzi ingombrato di cespugli, di piccole piante, d'un giogo, e d'un fascio di biade; e nelle altre seguenti scene in luogo di co testi rustici oggetti veggonsi, dove una, dove due porte isolate, composte di tre soli legni, ora chiuse, ora aperte, ora guarnite d'una portiera, e quando più verso il mezzo, quando più verso i lati del palco. E tuttociò non per altro fu im maginato che per soccorrere la fantasia degli spettatori, e per avvertirgli quando dovessero figurarsi, che i personaggi fos sero dentro le camere, e quando sul cam po, o nella publica strada. I Latini dunque, e verisimilmente an cora i Greci della culta età, non limita rono lo spettacolo nella publica piazza, ma per unità di luogo intesero, una città, un borgo, o un edifizio nella continenza del quale potessero svilupparsi tutte le parti d'un'azione unica, o sia complessiva di parti tra loro connesse e tendenti allo scio glimento del medesimo nodo. Sopprimasi ora questa unità di luogo, e alle diverse parti d'una città o d'un edifizio sostitui scansi, a seconda della fantasia del poeta diverse città della Terra e campi lontani, ciascun de quali sia centro d'un'azione dall'altra indipendente e staccata, gli spet tatori troveransi trasportati per magica po tenza, ora in Venezia, ora in Milano, ora a Pavia e ora a Brescia, o in altre città più lontane; e ivi vedranno azioni - 545 – diverse l'una dall'altra, guerre finite, paci conchiuse, nuove guerre, nuove pa ci, e diversi periodi ora di prosperità ed ora d'infortuni del medesimi personaggi. E siccome la libertà, che vuol darsi alla fantasia del poeta, non ammette limite alcuno; così questi, non passaggi ma voli, potranno estendersi da una parte del mon do all'altro. Ma lo spettatore accorgerassi, che il poeta vuol ridersi della sua credu lità, o pure vuole divertirlo col fantastico e col maraviglioso. Le varie parti di co testi giuochi di fantasia potranno esser belle e dilettevoli, se saranno abilmente maneggiate, ma tutt'altro nome merite ranno fuor di quello di un dramma. L'unità dell'azione scomparirà insieme con quella del luogo, e le varie parti di una simile rappresentazione rassomiglieranno alle varietà della lanterna magica, e dei panorami. Quanto poi alla unità del tempo, Ari stotele non la enunciò ne termini d'un precetto, ma la presuppose come una re gola dell'arte; e nel dire che prima non era stata osservata intese additare il pas saggio che l'arte drammatica aveva fatto dalle maschere del Baccanti alle culte scene di Euripide e di Sofocle. Ma rimosso ogni argomento di autorità, quel passaggio che fece il teatro greco da una lunga ad una più corta durata di tempo, e che ha pur fatto il teatro francese e l'italiano, è una conseguenza di quella legge di verisimi glianza, che i romantici calpestano, e che noi risguardiamo come la prima di tutte le regole dell'azione drammatica. E intorno a ciò vorremmo domandare loro se essi convengono o no, della necessità che il dramma rappresenti un fatto veri simile o per meglio dire possibile; dapoi chè se dicessero che anche l'impossibile possa formar suggetto di utile e di dilet tevole rappresentazione, noi dichiareremmo di non aver principi comuni per poterne con essi disputare. Ora presumendo che essi non rineghino una verità, la quale è stata sinora riconosciuta come il fonda mento della tragedia e della epopea, ri corderemo che i suggetti mitologici e fa volosi sono stati tra noi sbanditi dall'uno e dall'altro genere di rappresentazione, e in luogo loro sono stati sostituiti gli ar gomenti storici, appunto perchè fuori del possibile non può trovarsi il verisimile e il credibile; e però le cose avvenute por tando seco il carattere della possibilità, da esse e non dalla favola scegliamo gli ar gomenti drammatici. Che se gli antichi, a quali questo principio era comune, scel sero argomenti mitologici, ciò nasceva dalla loro credenza religiosa nel potere degli dei, che tutto rendeva possibile. Ora se il possibile forma la legge fondamentale del dramma, ogni cosa che esca da limiti del possibile, è riprovata dalla natura stessa dell'azione drammatica. Premessa una tale legge, il tempo nel quale avviene la rap presentazione uopo è che sia in una giusta proporzione col tempo nel quale si compie l'azione, che il dramma cerca d'imitare. Il difetto di questa proporzione nel più o nel meno può offendere la possibilità per due contrarie vie; o supponendo il fatto avvenuto in un tempo più breve di quel che esige la naturale successione degli av venimenti, ne'quali sta il nodo dell'azione e il suo scioglimento; o facendo succedere troppo rapidamente la rappresentazione di un fatto, che de essere per necessità av venuto in un tempo molto più lungo: l'un vizio attacca il tempo naturale dell'azione, l'altro il tempo finto della rappresentazione. Nel primo caso sarebbe lo spettatore obli – 544 – gato di credere il falso; nel secondo l'im possibile. E però conviene che il poeta scelga per argomento del dramma un'azio ne, la quale ha potuto naturalmente com piersi in un tempo tale, che l'imitazione della stessa azione possa essere tutta inclusa metre, o ne cinque atti della tragedia. Que sto tempo è stato dal consenso degli autori drammatici, e dall'esperienza teatrale fis sato ad un giorno naturale, più o meno. Se questo limite si togliesse tornerebbesi a dieci e a sedici anni di Shakspeare, e dapoichè il tempo non de'essere limitato, andremmo ancora alle azioni secolari. Ma l'autore ha negato la legge della possi bilità e della verisimiglianza, quando ha detto esser questa fondata nel falso supposto, che lo spettatore sia li come parle dell'azione. Per intender bene un sì specioso argomento, vorremmo doman dargli, se lo spettacolo si faccia per gli attori, che rappresentano il dramma, o pel popolo che vi assiste. Che se si trat tasse di contentare soltanto il poeta che lo ha scritto, o gli attori che lo mettono in azione, il popolo vi figurerebbe come intruso, e l'arte drammatica sarebbe un esercizio solitario, degno del monomaniaci. Lo spettatore non è parte, ma è giudice dello spettacolo, ed è chiamato appunto a giudicare così della invenzione, come della esecuzione. L'autore dunque per sostenere le inverisimiglianze del tempo vuole scacciare lo spettatore, e infatti con chiude il suo argomento con dire, che messo fuori dell'azione lo spettatore, l'argomento in favor dell'unità svanisce. Per la stessa ragione mettasi fuori dell'azione il popolo, cui parla l'oratore; il lettore per lo quale scrive il poeta; ed il publico, cui cerca di piacere ogni altra arte dilettevole ! Un'altra pruova, che l'autore voglia interamente sconoscere la legge della pos sibilità e della verisimiglianza sta nelle ragioni ausiliarie, colle quali ha cercato di fortificare il suo principale argomento. Se il dramma, egli dice, viola per altri versi il verisimile, perchè volerlo rispet tare nel tempo? Tal è per esempio il caso di quei personaggi che parlan tra loro di cose segretissime, assicurandosi di esser soli, e con ciò distruggono ogni illusione, perchè io sento di esser loro visibilmente presente, e li veggo esposti agli occhi d'una moltitudine. A chi fa cesse una simile obbiezione non potrebbe darsi altra risposta: la platea non entra nel dramma, e questa risposta vale anche per le due unità. Noi crediamo che senza scacciar la pla tea, ben vi sarebbe un'altra risposta a dare, ed è che niun'arte può fare in modo che l'imitazione possa interamente scambiarsi col vero, e che bisogna contentarsi di quel che somiglia al vero, essendo im possibile il riprodurre la verità, che vuol dire, la realità d'un fatto passato. Nel che convien distinguere due diverse veri simiglianze: una del fatto o sia dell'ar gomento drammatico, e l'altra della rap presentazione, o sia della sua imitazione. Lo spettatore o la platea conosce di as sistere al ripetimento d'un fatto altra volta avvenuto, e però distingue l'originale dal l'imitato, e per giudicare di questo, tra sportasi a quello col pensiero. Non vuole e non può lo spettatore illu dersi col confondere l'azione imitata coll'ori ginale, ma vuole e de essere illuso intorno alla verità del fatto rappresentato. Ora è falso e vizioso l'argomento che dalla differenza tra l'imitazione e il vero trae un'analogia alla differenza tral fatto credibile e l'impossibile. – 545 – Dello stesso conio sono il terzo, il quar to, e il quinto argomento aggiunti dallo stesso autore a due sin qua rapportati. E quì veramente ci duole di dover logi camente confutare uno scrittore, che noi particolarmente ammiriamo non meno per la eleganza e per la vaghezza dello stile, che per la rettitudine del criterio. Adduce egli in pruova della inutilità delle regole di unità le licenze del teatri popolari, le irregolari rappresentazioni delle prime età de'moderni teatri, e gli esempi degli ale manni, degl'inglesi, e degli spagnuoli. Di questi abbiamo già parlato. Essi ci danno grandi esempi di particolari bellez ze, e non di azioni compiute, semplici, e verisimili. Gli errori dell'arte nascente, e i mostri che dilettano il popolo, non formano autorità contra le regole sugge rite dalla critica e dalla sperienza. Similmente si vale l'autore della varietà delle opinioni intorno al tempo della du rata, e delle violazioni che gli stessi au tori di drammi regolari han commesso contra questa unità, per conchiudere che sia la stessa ineseguibile, e che i trat tatisti han creduto necessario il consen tire ad una transazione tra la durata del tempo naturale, e quella del tempo fit tizio dell'azione. Ma l'opinione, che il tempo fittizio della rappresentazione do vesse uguagliare il tempo reale dell'azio me, è de trattatisti, o sia de gramma tici, come il Castelvetro; laddove i dram matici, e tra questi i più sublimi si hanno formato la regola d'un tempo proporzio male, o sia possibile che non ripugnasse alla credibilità. Sofocle, Euripide, Cor nelio, Racine, Moliere, Voltaire, Maf fei, Goldoni, Alfieri non sono trattatisti, ma sono i maestri dell'arte, dalle mani de quali sono usciti i perfetti modelli del bello e del sublime nell'arte dram matica. Infine l'ultimo argomento è che le re strizioni delle regole di unità ci privano di molte bellezze, e spezialmente di quelle delle quali abbondano i tragici spagnuoli cd inglesi; in grazia delle quali bellezze non è gran fatto tollerare qualche inve risimiglianza. Che se i seguaci del dram ma regolare violano ancor essi la verisi- . miglianza, con qual diritto sono così se veri contra coloro, che di proposito sa grificano il verisimile al bello? Che l'ab biano violato basta il solo esempio di Cor nelio, il quale per serbare nel Cinna l'unità del luogo, fa formare la congiura nel gabinetto di Emilia, e fa venire nel sito stesso Augusto per confondere e per donare Cinna. E quì notisi che il difetto della inverisimiglianza si risguarda come conseguenza dell'aver voluto Cornelio essere rigido osservatore della unità del luogo. Cotesto ultimo argomento pone in prin cipio quel che è in quistione, cioè se le bellezze delle varie parti dell'azione dram matica sieno incompatibili colla unità e semplicità del suo tutto. E quanto alle violazioni commesse talvolta negli stessi drammi regolari, risponderemo che le vio lazioni delle regole nulla provano contro di esse; che quando taluna di queste in frazioni è stata commessa da grandi au tori drammatici, costoro sono stati i primi a sentirla e confessarla, di che abbiamo non uno ma molti esempi in Cornelio e in Racine; e che il popolo stesso, acco stumato agli spettacoli regolari, acquista un abito di critica e di gusto tale, che scopre nel dramma i vizi d'inverisimiglian za. Alle quali cose tutte, per ultimo ag giugneremo, che l'inverisimiglianza rile vata nel Cinna non nacque già dall'aver 69 – 546 – voluto l'autore servare rigorosamente l'unità del luogo; ma sì bene dall'averla violata, facendo seguire l'azione per metà nella casa di Emilia, e per l'altra nel palazzo di Augusto, di che lo stesso Cor nelio rimproverossi V. Dramma, Finzio ne, Imitazione, Verisimile. UNivERsALE (disc. e spec.), quel che è comune a più individui, o a più cose anche collettive. È uno del vocaboli, di cui più abusa rono gli scolastici, dapoichè l'applicarono alle idee, al significato del vocaboli, alle cause, all'essenze, alle proposizioni, alle definizioni. La più famosa delle loro di stinzioni è quella del causale nell'essere, e del causale nel predicare. L'universale in essendo era suddiviso nell'increato e nel creato. L'increato era la natura divina indivisibile. Il creato era la natura umana moltiplicabile negl'indi vidui della medesima spezie. La stessa suddivisione facevasi dell'uni versale in praedicando, dacchè l'increato era proprio degli attributi della Divinità, e il creato delle qualità comuni a più in dividui parimenti della medesima spezie. E però tanto le idee, quanto i nomi signi ficativi di tali qualità dicevansi universali. Gli addiettivi per conseguente, gli appella tivi, i nomi generali ed ogni sorta di predi cati e di predicabili venivano sotto la stessa denominazione. Il genere, la spezie, il proprio, la differenza e l'accidente erano così denominati.V. Predicabile, Predicato. Cotesto vocabolo divenne celebre per la controversia nata nelle antiche scuole in torno alla realità delle idee comprese nei nomi universali; controversia dalla quale nacquero i così detti Reali e Mominali. V. queste voci. UNIVERso (spec.), il sistema di tutte le opere della natura, il quale abbraccia tanto le cose materiali, quanto l'ordine delle sostanze intellettuali. I Greci lo chiamarono ro rxy per di. stinguerlo dal mondo che propriamente abbraccia la collezione delle opere e de gli Esseri sensibili. V. Mondo. Taluni filosofi lo credettero infinito, e furon quelli stessi che infinito credettero lo spazio; il che se fosse vero, include rebbe l'eternità di tutto quel che esiste, o sia di ciò che dicesi natura, non po tendo l'idea dell'infinito associarsi col crea to. V. Infinito, Spazio. UNIvocAzioNE e UNivoco (ontol. e disc.), il medesimo nome dato a cose diverse che sono dello stesso genere. Corrisponde alla definizione di Aristotele che disse, essere il nome dato a più cose, che hanno comune ancora la ragione del Il0Ime. Lasciando stare tutte le sottigliezze dei logici e del metafisici scolastici, vuolsi sol tanto notare, che differisce dall'equivoco, il quale rende comune il nome anche a cose di genere diverso. Gli esempi del Var chi dichiariscono una tal differenza. Il no me di fuoco dato all'accensione delle ma terie combustibili, e a quelle prodotte dal sole, o dal moto locale è univoco. Il nome di anima dato alla potenza vegetativa, sen sitiva, e allo spirito è equivoco. (V.Varchi lez. pag. 6. 149. 261). V. questa voce. Univocazione chiamarono gli ontologici l'accomunamento dello stesso nome a es senze o sostanze simili; il perchè i nomi di essenza e di sostanza divennero equi vochi, allorchè vollero adattarsi al finito e all'infinito, alle creature e al Creatore. V. Essenza, Sostanza. Uno (spec. e ontol.), l'Essere semplice, o l'individuo considerato separatamente dalla pluralità degli altri suoi simili. Il primo significato appartiene all'unità metafisica: il secondo è comune a tutte le altre unità. V. questa voce. VocABOLARIO. V. Dizionario. VocABoLo ( disc. ), ogni voce d'una lingua, cui si dà un certo significato. Differisce dal nome, secondo l'avver tenza di Varrone, perchè il nome indica gl'individui singolari, e il vocabolo ogni cosa indeterminata: nomina finita sunt, et significant res proprias ut Romulus, ITelena: vocabula autem infinita, et res communes designant, ut scutum, mu lierete. (de LL. lib. IX. c. 1.). Quantunque nell'uso comune di parlare il vocabolo si confonda col nome, pur tutta volta l'uso stes so riconosce la differenza, che quello ha un significato più generico di questo.V. Mome. VocALE (disc.), suono distinto della voce, formato per la sola apertura della bocca, E lettera, o carattere della scrittura, il quale rappresenta un di quei suoni distinti della voce, che in ogni alfabeto formano gli elementi della parola. I grammatici distinguono negli elementi della parola il suono dall'articolazione: chiaman suono la voce temperata dal sem plice moto della bocca, e articolazione la modificazione, che lo stesso suono ri ceve dalle altre parti dell'organo, come dalla lingua, dalle labbra o da denti. Ora quel suono dicesi vocale, e questo consonante. V. questa voce. VocATIvo (disc.), caso del nome so stantivo, destinato ad indicare la persona o la cosa personificata, cui s'indirizza il discorso. I grammatici lo considerano come una sorta di nominativo, perchè al pari di questo serve a determinare il subbietto del verbo o della proposizione, e però chia mano entrambi casi subbiettivi. V. Caso, Mome. VocE (spec. e dise.), il suono dell'aria respirata, che si rende sensibile all'udito nel suo passaggio per la gorga e per la bocca degli animali. Ne bruti dotati di voce, cotesto suono è incomposito e inarticolato; perchè è dato loro dalla natura soltanto per manifestare un qualche bisogno; e forma parte di quel linguaggio di azione, che è proprio d'ogni spezie di essi. - Nell'uomo la voce è l'instrumento della parola e del canto, composto da molti e vari instrumenti particolari, del quali cia scuno ha una parte, nell'articolazione delle sillabe, nella formazione del vocaboli, nella eufonia del linguaggio, e nell'ar. monia del canto. È un vero instrumento musicale, anzi è il più variato ed armo nico di tutti gl'istrumenti, perchè unisce in se i pregi degl'istrumenti da fiato come del flauto, degl'istrumenti a corde come del violino, degl'istrumenti a tasto come del gravicembalo, e di quelli a tasto e da fiato come dell'organo, col quale la ras somiglianza è anche maggiore. E per ve rità potrebbesi dire, essere stato l'organo composto e temperato alla forma dell'istru mento vocale dell'uomo; dacchè i suoi com ponenti che son de mantici, una cassa, de tubi, e del tasti, hanno i loro corri spondenti nel polmoni, nella bocca, nei condotti naturali del fiato, e nelle loro pareti. Di minore artifizio non faceva uopo r – 548 – per dare all'uomo il doppio dono del canto e della parola. V. Canto. Molti celebri fisiologi e notomisti han fatto l'analisi del meccanismo della pa rola e del ministero che le prestano i pol moni, l'aspra arteria, la lingua, il pa lato, le labbra, e i muscoli motori di ciascuno delle divisate membra. Costoro dimostrano ancora come il moltiplice ap parato del muscoli dell'instrumento vocale corrisponda alla finissima tela del nervi acustici rinchiusi nella coclea o lumaca dell'orecchio. Certamente questa è la parte dell'umano organismo, che più delle altre dimostra l'utilità e la necessità dello stu dio della notomia. Ripetiamo ancora in questo luogo, che senza lo studio del corpo umano e della notomia comparata non si può abbastanza conoscere ed ammirare la sapienza del Creatore. Ma non è questo l'aspetto sotto il quale intendiamo quì esa minare l'organo vocale dell'uomo. Vo gliamo sì bene considerarlo come l'instru mento del pensiero. La voce, elemento primitivo della parola, appartiene all'uomo come Essere intelligente, e non come ani mal sensitivo. L'intelletto in fatti, e non i sensi, gl'insegna l'uso che far dee della voce; come dalle sue combinazioni formar debba la parola; come adattarla alle sen sazioni e agli obbietti del pensiero. Egli parla colla stessa facilità colla quale muo ve e modula la voce. Impara l'una e l'altra cosa insieme per imitazione, dac chè se non avesse inteso parlare non avrebbe potuto nè articolar parola nè mo dulare la voce. Naturale è la facoltà, ma tradizionale è l'uso sì dell'una che del l'altra. I sordi nati son muti, perchè è man cato loro una tale tradizione, la quale è tanto antica quanto l'uomo. Voce e parola furono i primi doni, co quali egli apparve nel mondo. V. Parola. Voce chiamano i grammatici lo stesso suono articolato il quale forma parola; nel quale senso ha un significato tanto ge nerico, quanto il vocabolo. V. questa voce. VoGLIA (prat.), desiderio suggerito dal l'appetito? Differisce dal volere, perchè questo na sce dal libero uso della volontà, e quel la dall'istigazione del sensi. V. Appetito, Desiderio. VoLATILE (spec. e crit.), qualità pro pria degli animali, che per mezzo delle ali sollevar si possono in una parte più o meno alta dell'atmosfera. È proprietà non solo degli uccelli, ma ancora di taluni pesci e della maggior parte degl'insetti, ne'quali è considerata come una delle appendici, e non come un carattere principale della loro forma. V. Volo. - Volatili, per similitudine, chiamano i fisici e i chimici quelle particelle decorpi che nella scomposizione , o nella dilata zione operata per mezzo del fuoco o del calore, son le prime a separarsi; e o si disperdono nell'atmosfera, o vengono nuo vamente raccolte in vasi chiusi. VoLERE (spec.), esercitare la facoltà della volontà. V. questa voce. VoLGARIzzARE (crit.), il traslatare la scrittura di lingua morta, in quella che si favella. È una delle maniere di tradurre. V. Tra duzione. VoLIZIONE (spec.), il volere considerato – 549 - come atto della facoltà dell'anima, che di cesi volontà. - - È usato dal Magalotti. Secondo Locke, la volizione è l'atto , per lo quale l'anima dispone del potere che sente di avere sopra dell'uomo, per determinarlo ad un'azione, o per frastor narlo da quella. La volizione nelle azioni deliberate pre suppone la determinazione; ma può es sere ancora spontanea negli atti non de liberati, il perchè ha un significato più generico, il quale abbraccia ogni atto del volere, considerato o inconsiderato che sia. V. Determinazione, Volontà. Volo (spec.), il moto progressivo per lo quale quasi tutti gli uccelli, taluni mammiferi, un picciol numero di rettili, e la maggior parte degl'insetti si sosten gono nell'atmosfera, e vi seguono una direzione, determinata dalla loro volontà. V. Uccello. Per formare concetto del meccanismo per lo quale la natura ha renduto un sì grande numero di animali atti a cammi mare e a sostenersi per l'aria, conside riamo il volo come una proprietà degli uccelli, i quali da poche eccezioni in fuo ri, sono tutti dotati di tale facoltà. Le ali sono l'instrumento immediato del volo, ma con questo solo mezzo non potrebbero gli uccelli sollevarsi ed equilibrarsi nell'at mosfera, e non fare per l'aria un corso qualunque. Delle piume di cui son essi coverti, le più robuste son quelle delle ali e della coda: le une dette remigatrici, le altre rettrici: le prime servono a di stendere e ad ampliare la superficie delle ali, dibattendo le quali l'uccello s'innal za, si sostiene e si libra: le seconde, ad accompagnare e a regolare il moto del suo corpo sopratutto nell'ascendere e nel discendere. Le ali distese perpendicolar mente a lati del corpo, percuotendo l'aria sminuiscono la sua resistenza ; mentrechè l'aria stessa, attesa la sua elasticità, spinge il corpo del volatile di tanto, di quanto è stata compressa. Ciò non ostante senza gli organi della respirazione, de quali la natura l'ha copiosamente provveduto, non potrebbe l'uccello nè sostenere nè vincere la resistenza dell'aria. Il suo corpo tutto intero può dirsi un serbatoio d'aria, de stimato non solamente al bisogno della re spirazione, ma ancora al fine di dargli una gravità specifica relativa all'elemento nel quale deesi muovere. Le cellule membra nose, le quali sono sparse per la superficie del corpo degli uccelli, sotto le ascelle nell'addomine, e persino sotto la pelle, mentre sono altrettanti recipienti dell'aria atmosferica, messi in comunicazione im mediata copolmoni e colle fauci, possono essere colla semplice ispirazione empiuti, e colla respirazione votati; e per tal mezzo può l'uccello a sua volontà rendersi spe cificamente più leggiero, o più pesante dell'aria. Di tanto ingegnoso meccanismo faceva uopo per dare ad una spezie di Esseri materiali la proprietà di sollevarsi dalla Terra, e di percorrere colla celerità del vento il vasto campo dell'atmosfera. V. Atmosfera, Uccello. VoLONTÀ (crit. spec. e prat.), facoltà, per la quale esercitiamo il potere di de terminarci all'azione, o di astenerci da quella. V. Azione, Potere. Può anche essere definita, secondo Locke, per l'esercizio del potere che abbiamo di pen sare, o di disporre i movimenti del corpo. Cotestà facoltà o potere è il principio, dal quale ciascuno attigne la nozione del – 550 – la potenza morale, dacchè in noi stessi scorgiamo la capacità di cominciare, di continuare e di compiere le interne ope razioni dell'animo, e gli esterni movimenti del corpo, in virtù d'un atto del pensiero o sia d'una elezione dello spirito, il quale determina e comanda che un'azione sia o non sia fatta. E però noi siam soliti considerare la volontà come distinta dal l'intelletto, e la facciam capo e motrice di tutte le facoltà attive che distinguiamo dalle intellettive o cognoscitive. Una tal distinzione, introdotta in grazia dell'ordine delle idee e del metodo della scienza, deb b'essere intesa in quel senso medesimo che dar dobbiamo al vocabolo facoltà. Abbia mo altrove detto, che la partizione delle facoltà altro non esprime se non un'astra zione del pensiero, essendochè una è la virtù dell'anima, e inseparabile l'intelli genza dall'attività. V. Facoltà. Scambiasi comunemente la facoltà col l'atto del volere, ma giova alla chiarezza e precisione del linguaggio scientifico il distinguere l'una dall'altro, o sia la vo lontà dalla volizione. V. questa voce. L'esercizio della volontà presuppone tre stati, pe quali l'animo passa dal principio insino al compimento dell'azione, il de siderio, la deliberazione e la determi mazione. - Il desiderio è una spinta all'operare, che può essere suscitato tanto dagli appe titi naturali, quanto da razionali. Gli uni e gli altri sono stati predisposti dalla na tura, come necessari ad eccitare in noi l'attività. Imperocchè se l'animo fosse in una assoluta indifferenza, senza alcuno eccitamento all'azione, e senza alcun mo tivo per fare o per non fare, rimarrebbe nella inerzia e nella incertezza di quel che gli conviene. Ma gli appetiti naturali, che sono gl'istinti, il sentimento, e gli abiti meccanici o animali, diversamente operano ne fanciulli e negli adulti: nella prima età servono di guida all'uso e alla con servazione della vita: nella seconda, o sia nella età di ragione, servono ad in dirizzar questa alla scelta del bene e del male: in questo secondo periodo essi di vengono i motori degli affetti e delle pas sioni; e da spontanei o animali che erano, passano sotto la direzione e la guida della ragione. Del resto ogni desiderio dee avere un obbietto, il quale diviene obbietto del l'azione o sia della volontà, quando la ragione ha giudicato della sua convenien za. Il desiderio dunque è quello che pre senta alla volontà l'obbietto dell'azione. V. Appetito, Desiderio. - La deliberazione è un atto del giudi zio, che esamina e discute i motivi nei quali è fondata la convenienza dell'azione. In quest'atto venir possono in collisione i desideri, gli affetti e le passioni co prin cipi e co precetti della ragione; e da tal conflitto può nascere la verità, o l'errore, la scelta del bene o del male. La ragione, nella quale la natura ha impresso la luce del vero, non può ingannarsi nella cono scenza del bene, ma il conoscerlo non basta a determinare la volontà, la quale essendo libera nella scelta, può anteporre alla voce della ragione quella d'un disor dinato affetto, o sia delle passioni. E però queste son considerate come uno de due principi dominatori delle azioni. Duplex est vis, dice Cicerone, animorum atque naturae: una pars in appetitu posita est, quae est dpam graece, quae homi nem huc et illue rapiti altera in ratione, quae docet et explanat quid faciendum, fugiendumque sit. Ita fit ut ratio prae sit, appetitus obtemperet (De off. I. – 551 – cap. XXVIII.). Ciò non ostante qualunque sia la scelta, l'intervenzione della ragione e il giudizio del contrari motivi danno al l'azione il carattere di volontaria, giacchè per la ragione non istà, che l'agente ab bia seguito una via piuttosto che un'altra. V. Affetto, Libertà, Passione, AScelta. La determinazione infine è l'atto, per lo quale la volontà sceglie e compie l'a- zione. In questa scelta può essa, o abbrac ciare il giudizio della ragione, o cedere alla forza delle passioni: nel primo caso, la coscienza applaudisce al deliberato: nel secondo imprime all'azione una nota di biasimo, che rimane indelebile nella me moria. V. Coscienza, Determinazione. La libertà è l'attributo essenziale di tutti gli atti propri della volontà. Se essa è stata libera in ognuno dedetti atti, l'azione dirassi volontaria, e prenderà il nome di spontanea, se concorde ed immediato sia stato l'assentimento dell'uno e dell'al tro motore. E per contrario sarà detta in volontaria, se l'errore o l'ignoranza in vincibile ha impedito la deliberazione, o se l'agente sia stato costretto di eseguire non la propria, ma l'altrui determinazio ne. I moralisti distinguono un terzo ge nere di azioni dette miste, le quali seb bene prendono il loro principio dalla vo lontà; pure non sono state maturamente deliberate, ovvero sono state eseguite per una men che libera determinazione. Tali sono le azioni commesse per disaccortezza, per ignoranza o per errore vincibile, e quelle eseguite in uno stato di alterazione d'animo, come nell'ira e nella ubbria chezza; delle quali azioni v'ha una lunga gradazione, che serve altresì a graduare l'imputabilità sia nell'interno foro della coscienza, sia nell'esterno. V. Azione, Errore, Ignoranza. Sin qua de diversi atti della volontà deliberati ed eseguiti dallo stesso agente. Noi li consideriamo dal primo loro nasce re, cioè dal desiderio, o da quelle prime impulsioni, che chiamiamo principi d'azione, insino al compimento dell'azione stessa. Gli antichi ne facevano una analisi meno minuta, seguendo in ciò la parti zione di Aristotele il quale distinse in due gli atti della volontà, cioè la scelta detta arpozysots, e la volizione detta 3ovÀmas; i quali due atti corrispondono alla delibe razione e alla determinazione. V. queste VOCI. Giova ora considerare gli atti della vo lontà, quando sono deliberati ed eseguiti da diversi agenti. Se di questi uno deli beri l'azione ed un altro volontariamente la esegua, l'atto del deliberante prende il nome di consiglio, ma l'azione non è men volontaria, perchè la volontà dell'esecutore si è determinata per la delibera zione del consulente. Che se l'esecutore sia stato costretto di eseguire l'altrui de liberazione, questa prende il nome di co mandamento, e l'azione diviene involon taria. V'ha finalmente delle azioni incompiute per difetto d'uno degli atti della volontà, le quali vanno parimenti distinte con di versi nomi, perchè ciascuna ha un proprio particolar carattere, lodevole, riprensibile, e indifferente, secondo il diverso fine del l'agente. Può la determinazione essere se guita da un cominciamento di esecuzione non consumata, o per una contraria de terminazione che sopravvenga in mezzo all'atto, o per estrinseco adempimento. In ambedue questi casi il tentativo del l'azione rivocata dalla volontà, o non compiuta nella esecuzione dicesi conato. V, questa voce. - – 552 – Può ancora l'agente rimandare la de terminazione del deliberato ad un tempo futuro, certo o incerto che sia; nel quale caso l'atto della volontà non seguito dalla determinazione dicesi disegno o progetto. V. queste voci. Può infine il deliberato della volontà servire di norma a quelle future determi nazioni, le quali presiedono a nostri abiti razionali e morali. Tali deliberazioni pren dono il nome di propositi dell'animo, nella quale classe van compresi i metodi scientifici, l'ordine dell'insegnamento, il pratico esercizio del doveri, e della virtù istessa, che è una costante determinazione della volontà in seguire i precetti della ra gione e i dettami della coscienza, o sia un perfetto accordo dell'intelletto e della volontà. V. Proposito, Virtù. VoIoNTARIo (spec. e prat.), quel che facciamo per una libera determinazione dell'animo. V. Volontà. La nozione del volontario, l'attigniamo in noi stessi dal potere che abbiamo di pensare o di non pensare, di scegliere gli obbietti del pensiero, di preferirne uno ad un altro, di parlare, o di tacere, di pro durre o di non produrre il moto in al cuna parte del corpo, di restare in fine da una azione, o di ripigliarla, ed in gene rale di eseguirla, o di astenerci da quella. In noi del pari attigniamo la nozione del contrapposto, o sia dell'involontario, dapoichè scorgiamo in noi stessi molti ef: fetti, che non è in potestà nostra d'impe dire, o di regolare diversamente da quel che la natura ha disposto, come le naturali funzioni della vita animale, la circolazione del sangue, la digestione, e simili. Da ciò segue, che il volontario presup pone necessariamente non solo l'esercizio libero della nostra potenza attiva, ma an che l'indifferenza dell'azione, che ne è il prodotto; vale a dire che l'azione possa egualmente essere e non essere, e non trovi la sua ragione sufficiente, se non nella volontà dell'agente, nel quale senso il volontario è puramente contingente. V. questa voce. VoLTo (spec.), l'aspetto dell'uomo, che dimostra gli affetti e gl'interni mo vimenti dell'animo. Gli occhi, la bocca e la fronte dell'uomo hanno nel movimenti loro tal varietà, che da essi, quando sono spontanei, e non istudiati, facilmente si conosce l'interno stato dell'anima. E in prima il riso, e il pianto sono due manifeste espressioni del piacere e del dolore, e per conseguente della gioia e della tristezza, alle quali possono riferirsi tutte le altre passioni. Gli occhi inoltre, la bocca, le labbra, la fronte, il color della faccia son capaci di tanti diversi segni, quante sono le gra dazioni de vari sentimenti, de quali può l'animo essere affetto. Ora il viso umano così composto, è quel che dicesi volto, nome che noi abbiam tolto a Latini, e che le altre moderne lingue non hanno. Laonde possiam dire di queste quel che Cicerone diceva della greca: oculi nimis arguti, quemadmodum animo affecti si mus, loquuntur; et is qui appellatur vultus, qui nullo in animante esse prae ter hominem potest, indicat mores, cufus vim Graeci norunt, nomen omnino non habent. (de legib. lib. I. c. IX.). E però diamo la qualità di buono e di cattivo al volto. Di qua ancora scorgesi la differenza di significato tra questo vocabolo, e gli altri aspetto, sembiante e viso. V. queste voci. – 555 – VoLUBILE e VoLUBILITÀ (prat.), meta fora delle cose facili a voltarsi, e a cedere alla forza del vento: vale incostanza e instabilità. Onde l'Ariosto: Ma costei più volubile che foglia Cuando d'autunno è più priva d'umore - (C. XXI. ). V. Incostanza. VoLUME (spec.), l'estensione d'un corpo considerata per rispetto allo spazio che oc cupa. V. Spazio. Il volume d'un corpo differisce dalla densità, e dalla coesione delle sue parti, il perchè diverse ancora sono le leggi della gravità, cui il corpo obbedisce in ragione del peso o del volume suo. La re lazione che passa tra l'uno e l'altro è quel che dicesi gravità specifica. V. Gravità. UoMo (spec. e crit.), animal ragione vole, o - Essere misto di due sostanze, lo spirito e la materia, l'una semplice, immutabile ed immortale, l'altra composta, fragile e mortale, - indirizzato dal Creatore ed una vita fu tura e alla beatitudine, dotato del pensiero e della parola, capace di contemplare se stesso, Dio, e la natura, dotato di volontà, di libertà, d'istinti, di affetti, di appetiti razionali e d'indole benevola, giusta e riconoscente, nato per la civile comunione, amante della virtù, della lode e della gloria, desideroso di conseguire la felicità e l'immortalità; capace di abiti e di passioni; del bene e del male; creato per soprastare a tutte le altre spe zie di animali, e per dominare sulla Terra; dotato d'un corpo agile, e di membra, atte ad eseguire tutto quel che imprende, o concepisce come possibile; attivo, industrioso, ed infatigabile nel cercare i mezzi, onde accrescere le sue forze meccaniche, e aggiugnere i prodotti della sua industria a doni della natura. Le divisate qualità sono una spiegazione della definizione di animale ragionevole, che in se tutte le comprende; ma lo spie garle giova a stabilire la verità di tre pro posizioni, dalle quali dipende il giusto con cetto della natura e della dignità dell'uomo: la prima, che l'indole o la natural tempera dell'uomo è retta, e buona: la seconda che il male di cui l'uomo è capace, di pende interamente dall'abuso ch'egli fa della sua libertà, e dall'impero che dà alla parte sensitiva di se, nel predominio della quale è riposto quel che dicesi la na tural corruzione dell'uomo; la terza, che il suo essere intellettuale porta con se i principi d'una sapienza e d'una virtù pra tica, la quale lo mena alla perfezione. Che l'uomo masca buono e retto per natura, il dimostrano i primordi della in fanzia e della sua giovenile età. La na tura non solamente lo ha raccomandato alla pietà di quelli che lo han messo al mondo, ma ha dato a lui stesso gl'istinti e i mezzi per isvegliare l'amore e la be nevolenza nel cuor de' suoi maggiori: ti mido e mansueto nel nascere, egli è a volta sua festoso, carezzevole, grato, com passionevole: niuno de fanciulli ne quali questi sentimenti sono stati coltivati senza interruzione, degenera e muta tendenza: l'abito anzi le conferma e ne forma il carattere proprio della spezie umana. In conferma di che giova osservare, che nel fisico come nel morale la natura ha im presso in ogni spezie di animale talune 70 sa- sus inclinazioni caratteristiche che l'età svi luppa, e non cangia: gli agnelli e i pul cini degli animali domestici son diversi dalle tigri e dagli sparvieri, tanto nella prima, quanto nell'ultima età loro. Che il male, di cui l'uomo è capace, sia una conseguenza dell'abuso ch'egli fa della sua libertà, è una verità dimostrata da seguenti fatti, che possiam dire gene rali, costanti, e caratteristici della spezie umana: 1.º il vizio ha i suoi gradi, nel primo de'quali l'uomo dee vincere i ripari che la natura ha messo a custodia della virtù, come il timore, il pudore, la com miserazione, i rimordimenti della coscien za. Il freno di questi non può essere scos so, se non per un lungo abito di resi stenza a consigli della ragione, e alla al trui disapprovazione. 2.” La disapprova zione del vizio è generale, sì che v'ha sempre una ragione che può dirsi publi ca, la quale lo condanna, comechè molti degl'individui che concorrono a formarla, non fossero esatti osservatori della virtù. Da questa ragion publica nasce la nozione della legge che è sempre sana anche in mezzo alla generalità degli uomini corrot ti. La contraddizione che spesso si scorge tra i suoi precetti e il fatto di costoro, dimostra che l'una è l'espressione della ragione naturale dell'uomo, e l'altro è il prodotto della sua volontà, determinata da un materiale interesse, contrario a quel lo della legge stessa. 3.º Il vizio non è durevole, e forse non v'ha uomo sì com piutamente vizioso, che non senta in se la tendenza e il bisogno di ricomprare il male che fa con qualche atto doveroso. Non è durevole, tra perchè le diverse età della vita non permettono la stessa intensità nel mal oprare, e perchè la sin deresi chiama tutti al pentimento, e pre 4 – sto o tardi li raggiugne. Non si dà poi piena e assoluta malvagità, dacchè nella vita degli uomini i più perseveranti in ogni genere di vizio e di turpitudine, e persino nella carriera del più feroci de linquenti, non manca mai l'esempio di qualche atto umano o generoso, col quale ciascun di essi ha inteso, o espiare una parte del male che si rimprovera, o mi tigare la trista opinione che sente di me ritare. D'onde nasce cotesto forzato omag gio, che il vizio presta alla virtù? Come avviene, che la voce della ragione più forte risorga a misura che van mancando l'impeto delle passioni e le materiali forze della vita sensitiva? Il pentimento non è forse una via di ritorno al sentiero, che si è abbandonato? ll richiamo della na tura a primitivi sentimenti non dimostra che il vizio è uno stato violento, e ripu gnante alla umana condizione? 4.º Fi nalmente la storia è ricca di fatti e di vite d'uomini, i quali seguendo con una forte e costante volontà i dettami della ragione, han trionfato di tutte le ten denze e del bisogni del sensi del dolore e della morte stessa; ed han dimostrato che la determinazione della volontà al vizio o alla virtù , nasce dal predominio che acquistan sopra di noi gli abiti della vita materiale o pur della razionale. Egli è vero che gli atti eroici non formano regola, ma dimostrano il principio da cui provengono. Colesto principio è , che l'abito e la ra gione possono condurre il retto uso della volontà al fastigio della virtù; siccome per l'opposito l'abuso d'una volontà, sedotta e traviata dal materiale abito del sensi, con duce l'uomo insino a quelle estremità del vizio, che lo disonorano, e degradano. Che l'uomo, confermato per l'abito e per l'educazione nelle sue naturali ten -, - – 5 denze, cammini alla perfezione, è una terza verità dimostrata dalla ragione e dal la sperienza. Alla prima età degl'istinti, dell'autorità, e delle credenze succede la seconda della ragione, la quale diviene compagna della volontà e rende compiuta la facoltà data all'uomo di conoscere se stesso, e di sviluppare col ragionamento le adombrate nozioni della natura. Il pro gressivo avanzamento delle nostre cono scenze è quel che forma il cammino del la perfezione, proprio dell'uomo, e di cui le conseguenze riflettono così sull'in dividuo come sulla spezie. Quantunque Rousseau non abbia sem pre ben veduto la natura umana; pur tuttavolta riconosce come un fatto innega bile e come un carattere distintivo della spezie umana la spontanea tendenza alla perfezione. « V ha, dice nell'Emilio, una qualità assai speciale, che distingue l'uomo dal resto degli animali, e che non può essere rivocata in dubbio. Tal'è la facoltà di perfezionarsi, la quale favorita dalle altre opportunità, sviluppa successivamente tutte le facoltà sue. Essa è inerente a noi, considerati tanto come spezie, quanto come individui; in contrario di ciò che inter viene agli altri animali, i quali a capo di qualche mese dalla nascita son quello stesso che saranno per tutta la vita, e ciascuna delle spezie loro sarà al termine di mille anni, lo stesso che fu nel primo aIlI10 ). Ora una tale facoltà risguarda così la parte sensitiva di noi, come l'intellet tuale, e tanto l'uomo individuo, per ri spetto a se stesso, quanto le relazioni sue verso degli altri. Tralasciam di considerare l'aumento della sua materiale prosperità, e fermia moci alla intellettuale e morale. Ma se me - e Do - guitiamo a distinguere il progresso, di se stesso, da quello di tutta la spezie. L'uomo all'uscire dalla infanzia è un nuovo Essere, dotato non solamente di volontà, ma ancora d'intelletto. Comincia egli a sollevarsi dagli obbietti sensibili agl'intellettuali, rende ragione a se stesso degli abiti istintivamente contratti; conosce le relazioni delle cose, discute la verità delle conoscenze acquistate per l'autorità de suoi precettori, e si va formando un giudizio e un criterio proprio. Primo frutto della riflessione, che in lui si sviluppa è la cognizione e l'amore di Dio, autore e conservatore della sua esistenza. L'amore, considerato nella purità della sua origine è un sentimento di affezione per le qualità del subbietto al quale vorremmo assomi gliarci. E siccome noi non sappiamo con cepire nulla di più buono e di più perfetto della Divinità, così le sue perfezioni em piono il cuor dell'uomo, il quale contem plandole, crede in esse scorgere una qual che somiglianza con quella parte di se, che chiama spirito, che non è simile alla ma teria, e che somigliar dee a qualche altra sostanza superiore la quale ha dato l'essere a tutte le cose. Laonde noi scegliamo, sic come dice Leibnizio, le perfezioni divine, come suggetto d'imitazione e di guida. E quì seguendo i pensieri di quel lumi noso ingegno, aggiugniamo che delle per fezioni di Dio son capaci le anime umane, colla differenza, che in Lui sono illimi tate, e in noi adombrate. Egli è un occa no, del quale poche gocce piovvero in noi: l'uomo ha qualche facoltà, qualche bontà, qualche cognizione, ma queste doti sono in Dio tutte intere. Noi conosciamo ed amiamo il bello, l'ordine, le propor zioni, l'armonia, e ne ammiriamo i pic cioli saggi e le immagini nelle cose create. ºt – 556 – Ma Egli è l'autore dell'ordine, delle pro porzioni e dell'armonia universale: il bello umano non è se non una effusione dei raggi del bello divino. L'amore per le sue perfezioni è quel che desta ed accende in noi il sentimento del dovere e della virtù. Operando col fine di piacere a Dio, e a Lui riferendo tutte le nostre azioni, noi ci uniformiamo alla sua volontà, come al centro comune di tutti gli atti doverosi ed onesti; adempiendo i doveri verso degli altri, ed essendo umani, benefici, cari tatevoli, noi obbediamo alla volontà del comun padre degli uomini. Cercando di piacere a Lui, noi non corriam dietro alla riconoscenza di quelli che abbiam benefi cato, nè cerchiam da essi la nostra ricom pensa; perdonando le offese ricevute, ed essendo indulgenti e benefici, noi facciamo verso di loro quel che imploriamo per noi stessi da Dio. La carità insomma dell'uom perfetto è umile e modesta: non aspira all'esterne preeminenze, alla lode, o alla gloria: severa per le proprie azioni e be nigna per le altrui, ognun condanna i difetti suoi, e escusa o giustifica quelli desimili: perfeziona se stessa e non cen sura gli altri: sempre officiosa e benefica forma il principal fondamento della vera pietà, e religione. Senza di essa non si perviene alla perfezione: per giugnere a questa sono necessari non solamente l'in dole naturale favorita dall'educazione, ma ancora il frequente conversare cogli uomini pii e virtuosi, e i sani principi illustrati della sapienza, la quale consolida l'unione dell'intelletto e della volontà (V. la Teodi cea nella prefaz.). Sin qua della tendenza che ogn'indivi duo ha a perfezionare se stesso, vale a dire a sviluppare la sua capacità, e a rag giugnere il vero scopo della vita. Ma questa stessa inclinazione è comune alla spezie, o sia agl'individui considerati come Esseri socievoli. E però lo spirito di sociabilità, che è caratteristico della spezie umana, segue come inseparabile compagno la per fezione intellettuale e morale degl'indivi dui. Laonde le nozioni del giusto e del l'onesto, del doveri morali, della legge naturale, dell'ordine, della pietà, passano dagl'individui alle famiglie, e da queste alle città e a popoli. Ma in questo passag gio cangiasi la natura del subbietto, l'indi vidualità si perde, e a misura che diviene maggiore il numero delle parti costitutive di quel subbietto composto che dicesi so cietà civile, cresce pure la massa de suoi interessi materiali. I bisogni della vita sociale son diversi da quelli della vita individuale: la mente che regola il corpo sociale non ha sopra di esso quel mede simo dominio, che l'animo dell'indivi duo esercita sul proprio corpo: l'arte di governare l'uno diviene più complicato e difficile dell'arte di regolare l'altro: l'Essere collettivo perde molte facce della somi glianza che gli Esseri individuali hanno tra loro: perde la comunione del senti mento, l'identità personale, e la coscienza. La stessa perfezione muta di scopo, e da pura che era diviene mista; dapoichè nel corpo sociale la prosperità degl'interessi materiali è inseparabile dal progresso intel lettuale e morale. Nel conflitto del bene assoluto e del relativo anche il vocabolo perfezione prende un significato relativo, nel quale il bene apparente veste le sem bianze del bene reale. In tale complica zione il fatto dell'uomo non deesi confon dere col fatto della natura. L'indole na turale dell'uomo, e la sua tendenza al bene e alla vera perfezione sono sempre le stesse. Questo è lo spirito che lo dirige – 557 – e lo richiama allo scopo della natura, semprechè dallo stesso si allontana, sia nella vita individuale, sia nella domestica, o nella civile. Ora qual interesse han potuto avere pa recchi filosofi di calunniare la natura uma na? Taluni lo han dipinto come il più malefico e il più indomabile tra gli ani mali. Taluni altri, facendo in lui scom parire la qualità di Essere pensante e ra gionevole, lo han messo in comparazione co bruti dal solo lato dell'organismo. Altri lo han dipinto come un misto bizzarro e contraddittorio di buoni e di cattivi prin cipi. Altri infine han detto esser tanta la varietà del caratteri e delle qualità che di stinguono un individuo dall'altro, quanto basta a conchiudere, che la natura abbia abbandonato nell'uomo quella costanza ed uniformità, che ha servato nella spezie di tutti gli altri Esseri. Non parliamo delle poetiche facezie di Boileau, che dichiaran l'uomo il più stolto e contraddittorio tra gli animali, perchè i paradossi della im maginazione riescono tanto più dilettevoli, quanto meglio sanno contraddire una ve rità da tutti riconosciuta. Ma pure i filosofi che han cercato di deprimere la natura umana hanno attinto le opinioni loro da quella stessa fonte, alla quale bevve il poe ta francese. Essi han descritto l'uomo della corrotta società, e non della natura; e nella moltiplicità del vizi comuni, han vo luto trovare una scusa alle proprie loro passioni. Le loro opinioni dunque meritano il nome di paradossi filosofici, non dis simili da poetici. L'uomo della natura è quello descritto da Cicerone: animal pro vidum, sagaa, multiplex, acutum, me mor, plenum rationis et consilii, quem vocamus hominem, praeclara guadam conditione generatum a summo Deo. So lum est enim ea tot animantium gene ribus atque naturis particeps rationis et cogitationis, cum caetera sint omnia eapertia. Quid est autem , non dicam in homine, sed in omni coelo ratione divinius? quae cum adolevit atque per fecta est, nominatur rile sapientia. Est igitur, quoniam nihil est ratione melius, eaque et in homine et in Deo, prima homini cum Deo rationis societas (de leg. I. C. VII. ). Passando ora a considerare l'uomo come suggetto di scienza, l'analisi e la cogni zione delle due sostanze, delle quali è composto, abbracciano quasi tutte le parti dello scibile, le scienze fisiche, le meta fisiche, le matematiche pure e le miste insieme. E volendo riferire le varie bran che della umana cognizione alle potenze dell'animo, dalle quali siam soliti supporle generate, non è parte delle lettere, della erudizione o delle arti, che non potrebbe non essere considerata come appartenente allo studio dell'uomo. In fatti coloro, i quali vollero comprendere nel nome di antropologia ogni studio necessario alla compiuta cognizione della natura e delle qualità dell'uomo, abbracciarono tutto in tero il sapere umano, e turbarono non so lamente la partizione ricevuta delle scienze e delle arti, ma ancora il metodo stabi lito sopra le naturali relazioni delle nostre idee. Più plausibile è il dare al trattato del l'uomo l'analisi dell'organismo e della sua particolare conformazione, nella quale la natura non solamente ha profuso sapienza e sagacità infinita, ma ha renduto palpa bili le ragioni della superiorità che gli ha conceduto sopra tutti gli altri Esseri or ganici. Di questo studio son parti la no tomia, la fisiologia, le scienze e le arti – 558 - mediche, e le scienze fisiche che sono ad esse collegate. L'uomo in somma, consi derato come Essere organico, forma il subbietto dell'antropologia, come Essere intellettuale, della psicologia, e come Es sere morale, della etica, o sia della pra tica filosofia. Ma l'uomo va sempre considerato in due stati o condizioni, quella cioè d'in dividuo, e l'altro di Essere socievole. E siccome in ciascuna delle due divisate qua lità aspira a due diversi generi di perfe zione; così l'uom socievole forma il sub bietto di quelle scienze positive, le quali versano circa le sue relazioni col corpo sociale, o circa le relazioni del corpi so ciali tra loro. L'uomo socievole dunque è il subbietto delle scienze del diritto e della politica. ln conclusione le scienze e le arti tutte non sono altro, che parti dello studio del l'uomo, considerato per le sue diverse re lazioni con se stesso, con Dio, o colla natura. V. queste voci. - VoTo (collo stretto) (teol. e prat.), promessa fatta a Dio, o speranza di fa vorevole avvenimento. Voto (coll o aperto). V. Vacuo. Uovo (spee. ), parlo d'uccelli, di pe. sci, di rettili, e d'insetti, che si perfe ziona e si sviluppa fuori del ventre della madre, mediante l'incubazione, o l'azione di altra causa estrinseca a quella equiva lente. È uno de modi di generazione, che di stinguono le due classi di animali detti ovipari, e vivipari ; quantunque la ge neralità del fisiologi tenga, che ogni ge nerazione prenda principio dall'uovo, col la sola differenza, che ne vivipari il feto si sviluppa e si perfeziona nelle viscere stesse della madre, e negli ovipari, all'eSterno. Siccome le uova degli uccelli sono d'una grandezza maggior di quelle delle altre spezie di ovipari, e hanno nelle loro parti proporzioni più discernibili; così sopra di essi sono state fatte le osservazioni, le quali servono di fondamento a sistemi in torno alla generazione degli ovipari; e per la stessa ragione le prime di tali ope razioni son cadute sopra le uova degli uc celli domestici, o sia depolli. L'analogia fu da prima il mezzo, per lo quale si estesero le conseguenze di tali osservazioni alle uova degli altri animali ovipari. I microscopi e la chimica han dipoi fatto conoscere taluni fatti generali, i quali hanno rettificato molte erronee opinioni de gli antichi, e sparso un qualche bagliore sopra le misteriose operazioni della natura nella formazione dell'organismo animale. Le uova degli uccelli, scegliendo per loro tipi quelle depolli, son vestite d'un guscio, di materia calcarea bianca più o meno friabile, il quale include le in terne parti e le difende dalle ingiurie ester ne. La cavità di cotesto guscio è foderato da una sottile membrana allo stesso ade rente, sotto della quale viene l'albume, o quello che comunemente dicesi bianco d'uovo. Nel mezzo di esso è sito il torlo o giallo dell'uovo (che i Latini chiama rono vitellus), sostanza viscosa, più densa dell'albume e di sferica figura. A ciascuna delle due estremità dell'uovo, che secondo l'espressione del celebre Harvey, dirsi po trebbero i poli di questo picciolo micro cosmo, è alticcata una spezie di fibra no dosa, formata di tre piccioli globetti, bian chi, densi, e simili a pezzetti di grandine, – 559 – il perchè furon da medici latini dette cha lazae. Ufizio loro è il tenere connesse ed annodate insieme le membrane, per mezzo delle quali i liquori conservano ciascuno il proprio luogo. Nel mezzo quasi tra que sti due ligamenti dalla banda del torlo e nella sua membrana v ha una picciola ve scica, detto occhio dell'uovo (e da me dici latini, cicatricula), nella quale con tiensi un umore da cui formasi il pulci no. L'albume è il succo nutritivo per lo quale il primo germe s'ingrandisce e si forma: il torlo è l'alimento dell'embrione già formato. Le parti solide del pollo son da prima fluide: il fluido va gradatamente addensandosi, e passa allo stato di gela tina: le stesse ossa passano successivamente per lo stato fluido e gelatinoso. Giusta le osservazioni di Haller, nel settimo giorno dell'incubazione la cartilagine è ancora gelatinosa; e nell'ottavo, il cervello è an cora nello stato d' un'acqua trasparente. Da tale progressione apparisce che le parti acquose passano allo stato solido per vir tù d'una insensibile evaporazione, la qua le fa sì che le molecule si avvicinino tra loro, che i vasellini divenuti più larghi possano ricevere le molecule gommose al buminose e viscose, le quali per l'avvi cinamento acquistano una maggiore forza di attrazione. Così, il fluido organico por tato per gradi allo stato moccioso, divie ne membrana, cartilagine e osso, sen za mistura d'altra nuova parte. La qual progressione dimostra, che la natura for ma l'organismo nello stato fluido, e che essendo l'uovo il principio d'ogni gene razione, i passaggi dal fluido all'organico son comuni tanto agli ovipari, quanto ai vivipari. Così dicendo, non intendiamo affermare che il primo germe sia un vero fluido, quasichè acquistasse il principio vitale per l'aggregazione di altre mole cule, ma pensiamo che lo stesso per la tenuità delle sue forme prenda l'apparenza delle particelle del fluido che lo circonda. > Niun altro articolo, ha tanto esercitato l'acume de fisici e del metafisici, quanto quello della generazione. Le operazioni della natura così nella formazione del ger me, come nel suo progressivo accresci mento parve a naturalisti del passato se colo, che potessero essere spiegate in uno de due seguenti modi: o supponendo che i germi di tutti i corpi organici della me desima spezie fossero inclusi gli uni ne gli altri, per modo che la riproduzione non avvenisse altrimenti, che per un suc cessivo sviluppamento del primo germe : ovvero supponendo, che i germi sparsi per la natura, nell'aria, nell'acqua, nella terra, ed in tutti i corpi solidi, venis sero a svilupparsi quando si scontrano e si combinano colle matrici o forme ani mali, atte a ritenergli e a fecondargli. La prima di queste due dottrine, che ebbe per fautore il celebre Carlo Bonnet, fu detta d'incassamento (emboitement ) di preformazione o di evoluzione; la se conda di disseminazione, e anche di epi genesi, o sia di soprapposizione. In so stegno di quella diceva il lodato autore, che l'esistenza di tutti i germi in uno pri mitivo per ogni spezie, è una ipotesi la quale apparisce difficile a sensi e alla im maginazione, ma non già alla ragione. L'immaginazione dura fatica a concepire una immensa serie di Esseri infinitamente piccioli, inclusi gli uni negli altri, de stinati a succedersi per tutta la durazione de secoli; laddove la ragione concepisce come possibile e come reale la divisibilità della materia all'infinito, sì che la dot trina dell'incassamento non è altro che – 560 – la divisibilità della materia applicata alla suddivisione de germi all'infinito. E d'al tra parte giudicava egli improbabile l'op posta ipotesi della meccanica composizione degli organi, come d'un cuore, d'un cervello, d'un polmone, ciascun dequali presuppone la coesistenza dell'altro, e tutti uniti insieme formano quella unità mec canica che costituisce l'essenza della vita dell'animale. L'ipotesi della preformazione, nata dal le osservazioni microscopiche fatte sulle uova, acquistò una grande preponderanza per la coincidenza di simili fenomeni, os servati nel seme degli alberi e delle pian te; sì che la preesistenza d'un embrione in ogni germe, si tenne dalla maggior parte de fisiologi come un fatto generale della natura, il quale decidesse la qui stione contra l'ipotesi della successiva for mazione. V. Albero, Embrione, Germe, Pianta. Ma le due cennate opinioni davano luo go a due altre controversie, quella cioè della preesistenza del germe, o sia d'un tutto organico già formato nelle ovaie del la femmina, e l'altra della formazione del feto per lo concorso del liquore seminale. I più rinomati fisici e fisiologi del secolo decimottavo parteggiavano per l'uno e per l'altro sistema, e il maggior di tutti, il ce lebre Haller sembrò inchinare ora all'uno, ed ora all'altro. Ciascun de due sistemi arrivava ad un punto, al quale conveniva che si fermasse senza poter penetrare più addentro nel mistero della generazione. Ognun de loro fautori suppliva colle con getture e colle ipotesi a quel che la na tura loro celava. Bonnet aggiugneva alle ipotesi fisiche anche le metafisiche, e ser vivasi della dottrina della preformazione del germe come d'un mezzo per passare a quella delle monadi. Entrambi i sistemi non pertanto escludevano la generazione equivoca, o anomala, e tenevano per in dubitato il canone di Harvey, omne vi 27tl/72 e C O170, Tra le due cennate opinioni venne ad interporsi il sistema di Buffon, il quale disse essere nella natura una materia co mune a vegetali e agli animali, compo sta di particelle organiche viventi primi tive, incorruttibili e sempre attive. Il moto di tali particelle può essere arrestato dalle parti più grossolane de corpi misti; ma non prima esse riescono a svilupparsi, che producono per la loro riunione le di verse spezie degli Esseri organici. Questa stessa materia produttrice è quella che ser ve alla nutrizione e allo sviluppamento di tutto quel che vive e vegeta. Ciò che di essa sopravvanza al bisogno della nutri zione e dell'accrescimento del corpi orga nici, passa in forma di liquore in un ser batoio contenuto negli organi della gene razione. Il liquore seminale contiene le molecule analoghe al corpo vegetabile o animale, le quali molecule quando si com binano in una matrice o forma conve niente alla loro natura, producono un Es sere simile a quella interna stampa, di cui esse facevan parte. Quando poi, la materia produttrice non trovi la propria matrice, caccia fuori quella spezie di Es seri organici imperfetti che si scorgono ne liquori seminali degli animali, e nel le infusioni vegetali e animali. In somma tutte le sostanze organiche contengono mol ta di cotesta materia produttrice, siccome rilevasi dalle infusioni; nelle quali dapri ma apparisce in forma di semoventi della grandezza di quelli del liquore seminale. A misura che la scomposizione si aumen ta, vanno questi animaletti sminuendo di – 561 – volume, insino al segno di divenire im- e delle molecule organiche, delle quali percettibili; il che avviene quando è com piuta la corruzione della sostanza messa in infusione. Da ciò segue, che la mate ria produttrice, raccolta e costretta in qual che parte degli animali, vi formi degli Es seri viventi, come il tenia, gli ascaridi, e i vermi che sono nelle carni corrotte e nel pus delle piaghe. Tale fu il sistema di Buffon, il quale avvicinasi a quello della disseminazione, se non se fece rivivere l'opinione della ge nerazione spontanea, ammettendo il con corso delle molecule organiche fuori de gli organi generativi. È notabile non per tanto ch'egli limitò cotesta spezie di gene razione alle infime spezie di Esseri, che non hanno altro carattere vitale fuori del moto; e presuppose sempre un principio vitale, che taluni de moderni fisiologisti hanno trasformato in un principio mera mente plastico. V. Infusorio. Le quistioni della evoluzione, dell'epi genesi e delle molecule organiche non sono più del gusto della moderna Fisica, la quale ha abbandonato le congetture per seguire i fatti, sopra tutto quando le con getture sono insufficienti a dare la solu zione compiuta d'un fenomeno, e si limi tano a spiegarne una parte sola. Qual ne cessità di ricorrere ad una serie infinita di embrioni, racchiusa in un primo germe, o ad una infinità di molecule organiche disseminate per la natura, se la mente può più facilmente concepire l'esistenza d'una forza vegetativa, o vitale, che si riproduce in ciascun Essere per virtù del la stessa sua costituzione. Se il concetto d'una forza produttrice non racchiude una idea chiara e distinta perchè se ne ignora l'essenza; non è certamente più chiara e distinta l'idea dell'incassamento degermi non possiam dire che sieno, e come o, dove sieno. Ciò non ostante nulla han per duto della loro importanza le scoverle fatte intorno alla formazione e al progressivo sviluppamento delle uova ; nè è cessata l'utilità del lavori de grandi fisiologi Har vey, Haller e Bonnet. È dovuta a que st insigni uomini la dimostrazione di ta lune verità generali, le quali se da una parte non hanno soddisfatto la voglia che avremmo di strappare alla natura il se greto della generazione, rendono per al tro verso manifesta la distanza tra i sem plici aggregati della materia e l'orga nismo capace di moto e di vita. Tali ve rità sono: - 1.” Che l'uovo è il germe universale e normale della riproduzione degli animali. 2.° Che l'organismo nasce da un prin cipio vitale, e da forme preparate dalla natura, le quali sono sviluppate per mezzo della fecondazione. 3.” Che senza la fecondazione, ripo sta unicamente nel principio vitale, non potrebbero le molecule organiche acqui stare nè moto nè forza di attrazione tra loro. Se nella illimitata gradazione degli Es seri organici la natura avesse fatto qual che eccezione per talune delle infime spe zie, ed avesse avvicinato la loro forma zione a semplici aggregati materiali; e se tali eccezioni fossero patentemente dimo strate, la regola rimarrebbe per esse con fermata e non distrutta; dapoichè le me schine funzioni vitali di cotesti Esseri, ri dotte al semplice moto, sarebbero in esatta proporzione co mezzi adoperati per com porre il loro organismo. Del resto quel che non potrà mai essere dimostrato, è che sieno essi nati da un germe che non pro 71 – 562 – venisse da un principio vivente; d'onde segue che un fatto presunto non può es sere addotto come eccezione d'una regola di natura, la quale presiede alla riprodu zione di tutte le altre spezie degli Esseri viventi. V. Generazione, Riproduzione. URANoGRAFIA (grec. sup.), descrizione del cielo, compresa nella uranologia. URANoLoGIA (crit.), parte della storia naturale e della fisica, la quale abbrac cia la descrizione de corpi celesti, o l'astronomia fisica. URANOMETRIA (grec. sup.), arte di mi surare le distanze del cielo, compresa nel l'astronomia, e nella uranologia. URBANITÀ (prat.), cortesia dimostrata con maniere proprie d'uomo educato. men di gentilezza, che esprime no biltà di costumi ; riferendosi l'urbanità alle sole forme esterne. V. Gentilezza. UsANZA (prat.), azione o maniera di vivere comunemente frequentata. Dice men di consuetudine, che è una usanza confermata per lunga pratica ; e meno ancora di abito, che ripete il suo principio da un'azione deliberata. L'usanza suol esser figlia dell'esempio e della imi tazione. V. Abito, Consuetudine, Uso (prat. e disc.), il pratico eserci zio d'una facoltà nostra, o il giovamento che ritraiamo dalle cose soggette alla no stra disposizione. Quanto facile è il formare un esatto concetto del significato generico di questo vocabolo, dice il padre Buffier, altret tanto difficile è il determinare il suo si gnificato particolare per rispetto alle lin gue. Di questo parlando, dice Orazio : Ustis Quem penes arbitrium est et jus, et norma loquendi. Ed in altro luogo: Adeciscet nova, quae genitor produrerit usus. Che s'intende per uso, e quali sono i caratteri per discernere la legittima auto rità di questo supremo moderator della parola? I grammatici distinguono un buono ed un cattivo uso, i quali sono in opposi zione tra loro. Il cattivo è formato dalla moltitudine, o sia dal maggior numero delle persone che adottano un vocabolo o una maniera di dire. Il buono nasce dalla convenzione o dall'accordo del più corretti scrittori, i quali seguendo le re gole della etimologia, e d'una logica ana logia, riconoscono la legittimità de'voca boli e delle locuzioni conformi a caratteri essenziali e al gusto della propria lingua, e negano la cittadinanza a quelli che vi s'intrudono per lo licenzioso parlare del volgo. Ora è manifesto, che non la mol titudine, ma il consenso dedotti può dar l'impronta legittima alle parole, e stabi lire gli esempi e l'autorità nell'arte del ben parlare. Ma l'uso è mutabile anzi volubile, per chè quello d'una età non somiglia all'al tra : noi abbiamo in molte voci mutato l'uso de padri della nostra lingua, e quelli che ci succederanno faranno altrettanto del nostro. L'uso dunque ha un'autorità passeggiera, e in paragone della im mensa durata del tempo, possiam dirla momentanea; sì che parrebbe necessaria – 565 – un'altra superiore potestà, la quale legit timasse i passaggi, o una certa misura di tempo che convalidasse tali cangiamenti. Orazio disse: Ut sylvae foliis pronos mutantur in annos Prima cadunt, ita verborum vetus interit aetas Et juvenum ritu florent modo nata, vigentaue. Nedum sermonum stetit honos, et gratia vivaar Multa renascentur quae jam cecidere, cadentoue Quae nunc sunt in honore. (Art. poet.). Simile è il concetto di Dante, il quale non pertanto segnò taluni limiti all'arbi trio dell'uso: « La nostra locuzione, egli disse, non può essere durabile nè conti mua, ma dee per necessità esser mutabile come i costumi e gli abiti, d'onde avviene che il parlare si cangia a misura della di stanza de tempi. Di tali mutamenti con difficoltà ci accorgiamo, perchè poco son da noi avvertiti i cangiamenti delle cose che lentamente si muovono, ma sarebbe un pensar da bruto e non da uomo il cre dere, che una città usar potesse sempre il medesimo parlare. Laonde per distinguere quel che è in una lingua variabile da ciò ch'esser debbe costante e invariabile, gl'inventori dell'arte grammatica stabili rono le regole che danno la conformità del discorso, e gl'imprimono la comune fisonomia ». (de vulgari eloquio C. IX.). Ora per meglio determinare i limiti che possono essere messi all'arbitrio dell'uso, giova reassumere le due obbiezioni che si fanno da coloro i quali non son disposti a riconoscere in lui un cotanto assoluto potere: può l'uso tutto mutar nelle lin gue ? qual sarà il mezzo da discernere l'uso dall'abuso? Quanto alla prima, noi crediamo che basti a risolverla l'autorità di Dante. Tutto può mutare l'uso, tranne le regole nelle quali è fondata la struttura, l'uniformità e la fisonomia della lingua. E circa la se conda, ella è pure rimossa dalle regole che i grammatici, riconosciuti come mae stri della lingua, han dato circa la fa coltà di adottare, o d'introdurre nuovi vocaboli; facoltà la quale nasce non so lamente dalla necessità di trovare nuovi segni per le nuove idee; ma ancora dal la convenienza di accrescere la ricchezza e gli ornamenti della lingua. Il criterio per adattare tali regole a presenti bisogni del parlare de essere attinto meno da precetti de puri grammatici, che da quel logico ragionamento, che suol essere denomi nato filosofia delle lingue. (V. il disc. prelim. c. XVI. a XXI.). - UTILE e UTILITÀ (prat.), il giovamento o il comodo che si trae da checchessia. È un vocabolo generico, il quale ab braccia l'uso, il comodo, il godimento, il guadagno, ed ogni sorta di vantaggio. L'utilità propria vale personale inte resse, nel quale senso l'utilità viene in opposizione col dovere o col ben comu ne. Tal è il significato che gli dà Cice rone, parlando di Socrate, che abborriva quel primo uomo, il quale separato aveva l'utilità dalla natura, o sia il bene pro prio dal comune. V. Interesse. UroPIA (erit.), immaginaria forma d'isti tuzioni, da cui sperarsi potrebbe una com piuta felicità, sì civile che morale. È vocabolo, che servì di titolo ad una opera celebre di Tommaso Moro, e che suole applicarsi ad ogni disegno che si prefigga di conseguire l'ottimo possibile, senza aver misurato la possibilità dell'ese cuzione. it – 564 – VULCANIco (spec.), ogni prodotto da vulcano. - Taluni scrittori di storia naturale han distinto il vulcanico dal volcanico, col primo hanno inteso designare i prodotti degli antichi vulcani: col secondo quelli degli attuali. Ma colesta distinzione, fondata nella diversa ortografia dello stesso nome, uopo è che sia confermata dall'uso, il che pare che non debba avvenire. VULCANo (spec. e crit.), montagna, o collina ignivoma. Tal è il significato proprio, o comune, di questo vocabolo, col quale indicar si suole i monti che attualmente gettan fiam me come il Vesuvio, l'Etna, l'Ecla, ed altri. Lo stesso nome dassi ad ogni mon te, di cui le eruzioni provengano da causa ignea, comechè non mandino fuori ma terie infiammate o tenute in fusione dal fuoco. E però vulcaniche chiamansi le lave acquose, fangose, bituminose, che escono dalle viscere del vulcani. L'Europa, l'Asia, l'Africa, l'America, e le isole di qualunque mare o oceano, hanno i loro vulcani, o attualmente ar denti, o che una volta arsero ed ora sono estinti. La scienza, che ne studia i feno meni, ne analizza i prodotti, e cerca d'in vestigarne le cause, è la mineralogia vul. canica. Cotesta scienza non si limita ai soli fenomeni presenti, ma estende le sue investigazioni al suolo in cui quelli si ma nifestano, e alle masse minerali simili, o degli estinti vulcani, o di quelle rocce che sebbene non presentino alcuna forma este riore vulcanica; pure somigliano alle mas se di certa origine vulcanica, e sembrano essere state prodotte dalla medesima causa. E siccome i vulcani sono stati certa mente tra gli agenti della natura, che hanno molto cooperato alla conformazione del globo, e alle sue secondarie modifi cazioni; così la mineralogia vulcanica è divenuta una scienza ausiliaria della geo logia, e prende da essa il metodo e la divisione delle diverse epoche, alle quali debbono essere riferiti i suoi fenomeni. Laonde, avendo il signor Brongniart nel Saggio intorno alla struttura della parte nota della Terra ridotto a due i grandi periodi della formazione deterreni, a due pure i moderni mineralogisti riducono le epoche alle quali riferiscono i passati o i presenti fenomeni vulcanici. Uno de'detti due periodi è chiamato saturnio, giusta la denominazione di Brongniart, e ter mina all'ultima grande rivoluzione del globo, quella cioè anteriore alla storia ed alla tradizione, che ha messo il mare nel bacino attuale, e stabilito i nostri con tinenti. L'altro detto giovio comincia al terminare del primo, e contiene tutti i fenomeni geologici, che hanno dato luo go, durante il suo corso alla produzione de terreni posteriori sino a nostri giorni. Quindi l'azione de vulcani, che pare esser concorsa ne due periodi acangiamenti av venuti nel globo, è annunziata dalla storia o dalla analogia nel secondo periodo, ed è tutta conghietturale nel primo. V. Geo logia, Mare, Mineralogia, Terra. – 565 - CLASSI DE' VOCABOLI COMPRESI SOTTO LA LETTERA V. FILOSOFIA CRITICA, FILOSOFIA SPECULATIVA. Vacuo Volgarizzare Vacuo Viso Vento Volontà Varietà Vista Verme Uomo Vapore Vita Visibile Uranologia Uccello Vivace e Visione Utopia Udito Vivacità Unità Vulcano Vegetabile Viviparo Volatile Vegetale Umanità e - Vegetare Umano VOCI ONTOLOGICHE. Vegetativa Umore Velleità Unico Vacuo Univocazione e Velocità - Uniforme Unico Univoco Vena Unione Unione Uno Vento Unità Unità Ventre - Universale Verisimiglianza e Universo Verisimile Uno Verità Voce Verme Volatile Vero Volere Vertebra Volizione Vertebrato Volo Vescica Volontà Virtù Volontario Virtuale e Volto Virtualità Volume Viscera e Uomo Viscere Uovo Visibile Vulcanico Visione Vulcano – 566 - FILOSOFIA DISCORSlVA. Valore Vano Vantare Varietà Verbo Verisimiglianza e Verisimile Verità Vero Verso Virgola Virtuale e Virtualità Viso Vivace e Vivacità Umanità e Umano Unità Universale Univocazione e Univoco Vocabolo Vocale Vocativo Voce Uso TEOLOGIA NATURALE. Ubbia Voto Unico – 567 – FILOSOFIA PRATICA, Valore Vanagloria Vaneggiare Vanità Vanitoso Vano Vantare Ubbia Vecchiezza Velleità Venalità Vendetta Venerazione Verace e Veracità Verecondia Vergogna Verisimiglianza e Verisimile Verità Vero Vessazione Vigilanza Vile e Viltà Vilipendio Villania Violenza Virtù Viso Vituperazione e Vitupero Vizio Umanità e Umano Umile e Umiltà Umore Uniforme Unione Voglia Volontà Volontario Volubile e Volubilità Voto Urbanità Usanza Uso Utile e - Utilità GRECISMI SUPERFLUI. Uranografia Uranometria – 569 – ZA Za (prat.), fervore e veemenza di sentimento che può attaccarsi a qual sivoglia affetto, lodevole o biasimevol che sia. E però dicesi zelo d'amore, d'onore, di pietà; e buono, santo, falso, e stolto zelo. ZENIT (spec.), punto immaginario del cielo che corrisponde verticalmente alla parte superiore del nostro capo. Si concepisce da noi come un punto della superficie della sfera, dal quale ti rata una linea, passando questa per lo vertice del capo dello spettatore va al cen tro della terra, supposta perfettamente sfe rica. Di qua segue che i zenit sono tanti, quanti sono i punti della terra, da quali puossi guardare il cielo ; e che ognuno cambiando luogo, cambia ancora di zenit. Chiamasi ancora il Zenit polo dell'oriz zonte, perchè dista di novanta gradi da ciascuno de punti di questo cerchio mas simo. Ed è denominato ancora polo de gli almucantari, o sia del cerchi minimi, paralelli all'orizzonte, per mezzo de'quali misurasi l'altezza delle stelle. V. Almu CantarO. Il punto diametralmente opposto al zenit è il nadir, il quale corrisponde perpen dicolarmente a nostri piedi , vale a dire che il nadir è il zenit degli antipodi. Ma le cennate definizioni presuppon gono, che la Terra sia perfettamente sſe rica, il che non è. La sua figura essendo sferoidale, la linea perpendicolare tirata dal zenit non può passare per lo centro della Terra, se non in due casi, cioè quando lo spettatore sia a poli, o sotto l'equatore; d'onde segue che in questi casi soli può con esattezza dirsi che il nostro zenit sia il nadir degli antipodi. V. Madir. ZETETIco (spec.), qualità di metodo, che per isciogliere un problema, cerca d'indagare e di conoscere la natura del le cose. Per similitudine sono stati collo stesso vocabolo indicati i filosofi investigatori i quali non formano una opinione propria, intorno a qualunque cosa. Equivale a scet tico. V. questa voce. ZEUMA (dise.), voce greca ricevuta per adozione, che vale connessione o attacca tura, adoperata in quel modo di parlare, nel quale un verbo d'un significato solo regge più sentenze. È una spezie di ellisse, per la quale in più proposizioni consecutive è sottinteso il medesimo verbo. Quid ille fecerit, quem neque pudet quidquam, nee metuit quem quam, nee legem se putat tenere ? I gramatici la suddividono in varie spe zie, ciascuna delle quali prende un di verso nome. Tali suddivisioni apparten gono alle figure retoriche, e son diver samente modificate secondo le regole e il gusto d'ogni lingua. V. Figura, Lingua. ZoDIAco (spec.), zona della sfera ce leste larga diciotto gradi nel cui mezzo è l'eclittica. Fu immaginata questa fascia dagli an tichi per seguire con le osservazioni il cam mino che col loro moto proprio facevano 72 – 570 – pianeti, i quali non l'oltrepassavano; e però la fascia del zodiaco serviva a mi surare le latitudini del pianeti stessi, o sieno le loro deviazioni angolari dalla e clittica. Ma dopo la scoverta de nuovi pia neti fra Marte e Giove, le orbite de'quali fanno con l'eclittica angoli molto mag giori di quelli degli antichi pianeti, per conservare al zodiaco il suo ufficio di com prendere in se tutti i pianeti, si sarebbe dovuto allargare insino a 94 gradi. Dividesi il zodiaco in dodici segni o parti, alle quali danno nome le costella zioni che anticamente a ciascuna di esse corrispondevano. I nomi de segni o delle costellazioni zodiacali sono compresi nel seguente distico latino. SUNT ARIES TAURUS GEMINI CANCER LEO VIRGO LIBRAQUE SCorp IUS ARCITENENS cAPER AMPIIORA PISCES. Il sole si dice che entra in Ariete, nei Gemelli o in un segno qualunque quando col suo moto annuo tocca il principio d'un tal segno, che si estende per 3o gradi nel cielo, ed è percorso dal sole in un mese circa. Abbiamo detto che anticamente le co stellazioni corrispondevano a segni, per chè il sito delle dette costellazioni non è più quel che era al tempo deprimi osser vatori del cielo, a causa della precessio ne , recessione , o retrocessione degli equinozi. Insegna l'astronomia che i solstizi , gli equinozi e tutti gli altri punti della eclit tica hanno un lento e continuo movi mento retrogrado da oriente in occiden te, o sia dal segno dell'ariete verso il segno del pesci; sì che i punti equino ziali son portati in dietro di circa cin - quanta secondi in ogni anno. Questo è quel che gli astronomi chiamano preces sione degli equinozi, donde è nato, che le costellazioni non si trovino ora da noi ne luoghi assegnati loro dagli antichi astro nomi. Al tempo d'Ipparco i punti equi noziali erano affissi alle prime stelle del l'ariete e della libra, ma questi segni non sono più ne punti medesimi, e le stelle ch'erano allora in congiunzione col sole al tempo dell'equinozio, trovansi ora un intero segno, o trenta gradi a levante di esso. Così, la prima stella dell'ariete è oggi nella parte dell'eclittica detta Tau ro, mentrechè la prima stella del toro sta nel gemini, essendosi questo avanzato nel Carlo7°0, Gli equinozi avranno fatto la loro rivo luzione verso occidente, e saran tornati all'ariete, e le costellazioni avranno fatto le rivoluzioni loro verso oriente in 25816 anni, secondo Ticone; in 2592o secondo il Riccioli; in 248oo secondo il Cassini, ed in 258o7 secondo Bessel. Gli antichi , e con essi taluni del mo derni, han creduto immobili gli equinozi, ed hanno attribuito il cambiamento di di stanza delle stelle, ad un movimento reale delle stelle fisse, che supposero di avere una lenta rivoluzione intorno a poli della eclittica, per modo che tutte le stelle nel tempo di 258oo anni avrebbero fatto i loro giri nell'eclittica, o ne paralelli, e sarebbero tornate a loro antichi siti. Cote sto periodo era da essi denominato l'anno grande o platonico, all'arrivare del qua le ogni cosa ricominciar doveva un nuovo corso, dopo essere tornata a quel che pri ma era. Newton ha dimostrato che la causa della precessione degli equinozi nasce dalla larga sferoidal figura della Terra, e dal la sua rotazione intorno al proprio asse. V. Terra. – 571 – ZoNA (spec.), ciascuna delle cinque parti, in cui si divide la superficie della Terra per mezzo de tropici e depolari, affine di distinguere le regioni calde, fred de, e temperate. Queste zone, o fasce terminate da cer chi paralelii furono dagli antichi fissate al numero di cinque : la torrida divisa in due parti eguali dall'equatore, e ter minata da due tropici; le due temperate, terminata ciascuna da uno de tropici, e da uno de'cerchi polari, e le due glacia li, che comprendono i due segmenti del la superficie della Terra terminati, l'uno dal cerchio polare artico, e l'altro dal cerchio polare antartico. Nota è la descri zione fattane da Virgilio: Quinque tenenteoelum zonae, quarum una corusco Semper sole rubens, et torrida semper ab igni; Quam circum ea tremae deatralaevaquetrahuntur, Caerulea glacie concretae atque imbribus atris Has inter mediampue duae mortalibus aegris Munere concessae dirim. (Georg I. v. 233). La ragione fisica di cotesta partizione sta nel moto annuale e diurno della Ter ra; imperocchè descrivendo il sole nel suo corso apparente la linea detta eclittica, la quale taglia l'equatore in due punti oppo sti, e forma una declinazione di 23 gradi e 3o minuti, dee per necessità ora avvi cinarsi ed ora allontanarsi dall'equatore; dal che nasce il cangiamento delle stagio ni, prodotto principalmente dalla diffe renza del giorni e delle altezze del sole sull'orizzonte, nelle parti della Terra sot toposte a ciascuna zona. Tutte le cennate differenze possono essere spiegate dal cor so del sole, vario per ognuna di esse. Nella torrida il sole passa al Zenit due volte nell'anno; e due volte si allontana dall'equatore per una eguale distanza. Nei luoghi situati sotto le zone temperate, e sotto le glaciali l'altezza del polo è sem pre maggiore della distanza del sole dal l'equatore; il perchè gli abitanti non han no mai il sole al loro zenit. Se le altezze meridiane del sole, osservate nello stesso giorno in due luoghi diversi delle cennate zone, si paragonino tra loro, il luogo di cui l'altezza meridiana sarà maggiore, sarà il più meridionale per rispetto all'al tro. Nelle zone temperate il sole passa sem pre sotto l'orizzonte, perchè la sua di stanza dal polo è sempre maggiore del l'altezza dello stesso polo. Ne luoghi di queste zone, eccetto i giorni in cui il sole si trova sull'equatore, tutti gli altri gior ni dell'anno son sempre disuguali, e la disuguaglianza cresce a misura, che i sud detti luoghi son più vicini alle zone gla ciali. Ne luoghi che separano le zone tem perate dalle glaciali, vale a dire, sotto i cerchi polari, l'altezza del polo è uguale alla distanza del sole dal polo, quando il sole è nel tropico estivo; il perchè i popoli i quali abitano i detti luoghi, una volta l'anno, veggono il sole compiere il suo giro, senza passare sotto l'orizzonte, ed un'altra volta lo veggono toccare in un sol punto l'orizzonte, senza elevarsi su questo piano, quando il sole è nel tropico iemale. Ne luoghi delle zone gla ciali, l'altezza del polo è maggiore della minima distanza del sole dal polo stesso. E però, per più giorni, la distanza del sole dal polo è minore dell'altezza del polo. Durante questo tempo, il sole non sola mente non tramonta, ma non tocca l'oriz zonte. Ma quando comincia ad allontanarsi dal polo per una distanza maggiore del l'altezza del polo, nasce allora e tramonta ogni giorno, come nelle altre zone, e quan ne – 572 – do, nell'inverno, si allontana anche più dal polo sino a che la sua distanza da que sto punto sorpassa la differenza fra 18o gradi e l'altezza del polo, per più giorni non sorge sull'orizzonte. Circa le differenze de giorni, declimi, delle meteore, e del l'aspetto del cielo, vario per gli abitanti di ognuna delle dette zone, vedi i geografi. ZooFiTo (spec.), nome di genere che comprende gli animali, vermi, o polipi, i quali producono una sorta di arnia si mile ad un fiore attaccato ad uno sterpo, di forma vegetale, il che gli fa denomi nare animalfiore, o animal pianta. Cotesta classe, secondo le partizioni oggi ricevute, suole comprendere tanto i vermi detti coralli, quanto le penne marine e le numerose spezie di polipi, che i zoo logi suddividono secondo la diversità dei loro caratteri più discernibili, come i po lipi a braccia, i ramosi, i verdi, i gial li, quelli detti da mazzetto, gli ombrel lari ed altri. La differenza caratteristica tra i coralli, e gli altri testè divisati, è che i primi sembrano privi di facoltà lo comotiva, e restan sempre innicchiati in quella materia petrosa, calcarea spatica, che propriamente dicesi corallo, e dalla quale non mai si separano; laddove i se condi hanno il corpo nudo, e possono cangiar di luogo a loro volontà. E questa l'infima classe degli animali, che la natura ha messo a confine co ve getabili, e co quali hanno grandissima analogia così per la semplicità dell'orga nismo, come per la loro anomala e spon tanea riproduzione. Sono in somma l'ul timo anello della catena degli Esseri sen sibili, il quale serve a dimostrare quella legge di continuità che la natura ha se guito nell'ordine delle cose materiali, e che la filosofia speculativa per analogia presuppone anche nell'ordine degli Esseri intelligenti. V. Continuità, Polipo, Ri produzione. ZooFiToLoGIA (crit.), parte della storia naturale, che tratta della classe degli ani mali, detti zoofiti, e del caratteri diseer nitivi di ciascuna delle loro spezie. ZooGRAFIA (grec. sup.), descrizione de gli animali, la quale non può supporsi divisa da quella parte della storia naturale, che ne distingue le spezie, e ne espone le proprietà caratteristiche di ognuna. ZooLoGIA (crit.), parte della storia na turale, che descrive gli animali, rileva i caratteri distintivi di ciascuna spezie, e per tal mezzo gli ordina e li classifica, onde facilitare alla memoria la ricogni zione degl'individui insieme colla ritentiva de loro nomi; e alla mente la contempla zione della immensa scala degli Esseri or ganici, dotati di moto, di sentimento, e d'intelligenza. Sue parti sono l'Antropologia, la Mam mologia, l'Ornitologia, l'Erpetologia, l'Ictiologia, la Conchigliologia, l'Entomo logia, l'Elmintologia, e la Zooſitologia. V. queste voci. - La più ampia o generica divisione dei corpi naturali, è quella che gli distingue in corpi organici e inorganici. Da que sta prima divisione nasce l'altra degli or ganici dotati di sola vita, e di quelli do tati di vita e di sentimento insieme: gli uni forman parte del regno vegetale: gli altri, del regno animale, che è il sug gello della zoologia. Lo studio di questa, come di tutte le altre parti delle opere della natura esige – 575 – ordine e metodo, che è il solo mezzo per lo quale possiamo rendere a noi possibile ed utile la conoscenza di tutti gl'individui della natura. I zoologi per la formazione delle classi, degli ordini, e delle famiglie degli animali, ricavano i caratteri distin tivi di ciascuna spezie primamente dalla diversità della generazione vivipara o ovi para, dalle differenze del sistema nervoso, in alcuni cerebro-spinale, in altri gangli forme; dal colore o dalla diversa tempe ratura del sangue; e dagli organi della respirazione, della nutrizione, o del moto. Ma molti di questi organi che son mani festi, o discernibili nelle spezie degli ani mali superiori, sono equivochi negl'infe riori, o sia nelle ultime spezie come quel le degl'insetti, del vermi, e de zoofiti, il che ha dato e dà luogo a continue mutazioni di ordinamenti e di sistemi. Il grande Linneo che abbracciò tutta la na tura, e stabilì le fondamenta delle meto diche classificazioni di tutti gli Esseri na turali, distribuì il regno animale nelle seguenti sei classi: Classe I. Mammiferi, animali a san gue rosso caldo, vivipari, e poppanti. II. Uccelli, animali a sangue rosso cal do, ovipari, rivestiti di piume o di penne. IlI. Anfibi, o sieno i rettili e i serpenti, a sangue rosso freddo, respiranti per mez zo del polmoni. IV. Pesci, animali a sangue rosso fred do, aspiranti per mezzo delle branchie, e non del polmoni. V. Insetti, animali a sangue bianco freddo, forniti di antenne alla testa e di organi di moto articolati e cornei. VI. Vermi, animali a sangue bianco freddo, forniti il più delle volte di tasti tentaculi, in luogo di antenne, e di or gani di moto non articolati. Dopo di Linneo, il Fabricio, Latreille, Lamarck, Dumeril, Blainville, Cuvier, ed altri Tedeschi Italiani ed Inglesi ec., hanno proposto nuove classificazioni, più o meno modificative di quella testè espo sta, spezialmente a rispetto delle quattro ultime classi; cercando ognuno di perfe zionare le sistematiche ordinazioni de'ver mi e degl'insetti secondo i caratteri più manifesti del loro organismo. V. questa VOCe. Rimettiamocene alla classificazione di Cuvier, il quale divide tutti gli animali in quattro classi: Vertebrati. Molluschi. Articolati. Radiati. Del resto l'immensità della natura è tale, che niuna partizione può essere con siderata come definitiva, spezialmente a rispetto delle varie classi del vermi e de gl'insetti, che sogliono oggidì compren dersi sotto il nome di animali articolati. Quel che quì ne diciamo serve soltanto a dare una idea della necessità ed utilità delle sistematiche ordinazioni, nelle quali è fondato lo studio della storia naturale. Esse sono il frutto del progressi che fa la notomia comparata, mediante le osserva zioni microscopiche. Per quel che concerne il merito delle une più che delle altre, ri mandiamo i nostri lettori all'egregia opera di Cuvier che ha per titolo: regno ani male distribuito secondo il suo orga nismo, e agli articoli entomologia e zoo logia del dizionario delle scienze naturali. Quel che desidereremmo nelle cennate classificazioni è, che l'uomo vi fosse con siderato non solamente come un ordine de mammiferi, ma come un Essere unico per le particolari attitudini del suo orga – 57 1 – nismo, e spezialmente dei sensi, ognun de quali è stato dalla natura predisposto all'esercizio delle sue facoltà intellettuali e morali. Gli organi della visione, del l'udito, del tatto, dell'odorato, della voce; la conformazione del suo viso, e degli stessi organi del moto hanno tali , e sì strette relazioni colle funzioni della per cezione e della volontà, che da essi, più che dalle membra comuni agli altri vivi pari, dovrebbero essere presi i caratteri discernitivi della spezie umana. A forza di considerare l'uomo per la sua mecca nica struttura, e come un oggetto della notomia comparata, i fisiologisti han per duto di mira le superiori qualità di que sl'Essere, unico per la sua conformazione, e dalla natura destinato ad essere il si gnore di tutto il regno animale. Vorremmo in somma che l'antropologia formasse una parte principale e non incidente della zoo logia. V. Antropologia. ZooToMIA (crit.), notomia degli ani mali, dalla quale nasce lo studio della notomia comparata. V. Anatomia. ZoTICHEzzA e ZoTico (prat.), qualità d'uomo di ruvida natura. È proprio di quelli che non sono di rozzati dalla educazione, o che sprezzano ogni civil convenienza. – 575 – CLASSI DE' VOCABOLI COMPRESI SOTTO LA LETTERA Z. FILOSOFIA CRITICA, FILOSOFIA DISCORSIVA. Zooſitologia Zotomia Zeuma Zoologia FILOSOFIA PRATICA. FILOSOFIA SPECULATIVA, Zelo Zotico Zotichezza e Zenit Zona Zetetico Zooſito GRECISMI SUPERFLUI. Zodiaco Zoografia. – 577 – GI UN TE E C O R R E Z I O N I, A Amirnone (prat.), viltà d'animo, che abbandona ogni sua dignità. V. que sta VOCe. Dicesi tanto dell'eccesso della timidità, quanto del difetto d'ogni sentimento di decoro e di onore. V. queste voci. ABILE e ABILITÀ (spec.), qualità d'uomo ben disposto per natura, o per arte a fare uso delle proprie facoltà. È più della semplice attitudine. V. que Sta VOCe. ABITo P.I. pag. 1 col. 2 v. 2 necessa rio, leggi, involontario. AccENTo P.I. pag. 2 col. 2 v. 22 che distingue, leggi, la quale distingue. AccoNcio (prat.), vale adatto e ben for mato per buona disposizione di parti ; il che dall'ordine delle cose sensibili si tra sporta ancora all'attitudine morale, e alle opportunità dell'azione. AccoRGIMENTO (spec.), sagacità nel ve dere le relazioni meno ovvie delle cose. È più dell'avvedimento. V. questa voce. AccoRTEzzA (prat.), l'accorgimento nel l'operare, e nel prevedere le difficoltà, AccuRATEzzA ( spec. disc. e prat. ), esattezza nell'investigare, nel descrivere, e nell'operare. È men di diligenza, che presuppone l'abito. V. Diligenza. ACQUA (spec.), fluido composto d'idro geno e di ossigeno, capace anche dello stato solido, e dell'aeriforme o vaporoso. Noi consideriamo come suo stato natu rale il fluido, tra perchè in tale stato trovasi diffuso nella maggior parte del globo, e perchè in questa forma lo ha la natura renduto necessario alla vita e agli usi de viventi, del quali il mondo è popolato. Del resto, la Fisica e la Chimica, ne esaminano le qualità tanto nello stato di congelazione e di vapore, quanto nello stato di composizione, in cui trovasi in tutti i corpi. V. Fluido, Gelo, Vapore. ADDoME e ADDoMINE (spec.), basso ven tre o cavità del corpo dell'uomo, e dei mammiferi, contenuta tra 'l diaframma, la spina dorsale, il bacino e i muscoli del basso ventre, vestita internamente d'una membrana denominata peritoneo. Nell'uomo e ne'mammiferi maschi l'ad domine, nella interna parte del peritoneo, contiene lo stomaco, gl'intestini, il fegato, il pancreas e la milza; mentrechè nella esterna parte della stessa membrana son posti i reni e la vescica. Nelle femmine copre l'alto fondo della matrice, e dà ligamento alle ovaie. - Gli anatomici dividono la faccia ante riore dell'addomine dell'uomo in nove re 75 – 578 – gioni, disposte tre a tre, cioè: nel primo ordine l'epigastrio, e a suoi lati gl'ipo condri: nel secondo la regione ombilicale ov'è sito l'ombilico insieme co'due fianchi: nel terzo, o sia nella parte più bassa, il pube e le due anguinaie, che unite insieme formano la regione ipogastrica, distinta dalla lombare, la quale corrisponde alla faccia posteriore. L'addomine dell'uomo è fornito este riormente di dieci muscoli, che lo com primono per ogni parte, e servono non solamente ad aiutare il diaframma e i muscoli delle costole nell'atto della respi razione, ma anche a favorire l'emissione degli escrementi. Nella donna sono uno degl'instrumenti del parto. V. Muscolo. AERIFORME (spee.), stato fluido elastico di molti corpi, i quali pigliano la forma dell'aria. Tal è lo stato del gassi e del vapore, o sia d'ogni fluido che dallo stato di li quidità può per l'azione del calorico pas sare allo stato di vapore. V. Calorico, Gas, Vapore. AFELIo ( spec.), il punto dell'orbita d'un pianeta, nel quale trovasi alla mag giore distanza dal sole. Il suo contrapposto è perielio. V. que Sta Voce. AFFINITÀ P. I. pag. 6 col. 2 (ontol.), leggi, (spec.). AFFRoNTo (prat.), ingiuria fatta a ta luno palesemente, e per lo più in pre : senza di altri. V'ha una gradazione di diversi signifi cati tra l'affronto, l'insulto, l'oltraggio e l'onta. V. queste voci. - AGENTE P. I. pag. 7 col. 1 (spec.), leggi, (spec. e prat.). AGEvoLE (prat.), quel che è facile e comodo insieme. È un che più del facile, perchè espri me non solamente la mancanza di diffi coltà, ma ancora una certa opportunità o attitudine, la quale nasce dalla natura stessa della cosa, o dall'arte. E però prende ancora il significato di mansueto, di trattabile, e simili. V. Facile. AGGIUNTo P. I. pag. 7 col. 2 (spec.), leggi, (spec e prat.). AGRARIO P.I. pag.7 col. 2 infine Meccani co, Chimico, leggi, Meccanica, Chimica. ALBERo (spec.), pianta legnosa e pe. renne, di alta statura, e di cui il fusto nudo alla base, è alla sua sommità co ronato di rami e di foglie. Dagli alberi alle erbe (che vanno tutte comprese nel nome di piante) v'ha una gradazione di grandezza e di forme, ed una tale indefinita varietà di accidenti che dimostrano aver voluto la natura proce dere con quella stessa legge di continuità, che si scorge nelle altre opere sue, ser vando il carattere della immensità nel re gno vegetale come nell'animale e nel mi nerale. V. Erba, Pianta. Linneo, la mente fatta dal Creatore per abbracciar tutta la natura, scelse per ca ratteri di classificazione delle piante gli organi del sesso, e della riproduzione. Jussieu, il cui sistema è ora seguito, ha preso per norma le parti costitutive e ca ratteristiche de germi, chiaramente discer nibili ne'semi. Da questi nasce la divisione di tutte le piante in due classi generali. – 579 – ll seme d'ognuna contiene un embrione o piantolina, nella quale, quando lasciasi distinguere dall'occhio dell'osservatore, apparisce un picciol fusto con picciola ra dice, cui sono attaccate una, due, o più appendici, più o meno grandi, delte co tiledoni, e che in realtà sono le foglie se minali dell'embrione. Ora v'ha delle piante e degli alberi, di cui il germe o seme è provveduto d'un solo cotiledone, e ve n'ha d'altri che ne han due o più, insino a sette. Di qua la distinzione di piante mo nocotiledoni, dicotiledoni, e policotile doni. E siccome la differenza maggiore, è tra quelli che ne hanno un solo e gli altri che ne han due ; così per formare un giusto concetto della cennata differenza basta ridurre a due i generi degli alberi a monocotiledoni, e a dicotiledoni. I monocotiledoni son di più semplice organismo, e sono ordinariamente spogliati di rami, avendo soltanto la cima coronata di foglie, in mezzo alle quali nascono i fiori. Il fusto o stipite loro è cilindrico, vale a dire egualmente grosso alla base e alla sommità, sì che sostengonsi in terra a guisa di colonne. Colesto stipite tagliato trasversalmente presenta non già strati o zone concentriche, come il fusto del di eotiledoni, ma un tessuto più o meno morbido tramezzato di nodi compatti, più frequenti e vicini tra loro verso la circon ferenza. Fatti dalla natura per vegetare nelle regioni di calda temperatura, pro sperano soltanto sotto i tropici, e mediante cura di arte, allignar possono nel climi temperati, rifiutati affatto i settentrionali. A questo genere appartengono, talune spezie di aloe, di fucca, e di agave, che han le ſoglie in forma di spade acule, e tutta la famiglia delle palme, tra le quali il sagù, il dattero, il cocco ed altri. Ne dicotiledoni il fusto è composto di strati concentrici, gli uni sovrapposti agli altri, i quali appariscono come altrettante zone, quando sia trasversalmente tagliato. Distinguesi nel centro una spezie di canale, che dicesi astuccio, o canale midollare, intorno al quale vengono gli strati legnosi coperti da altri strati che formano la cor teccia, le cui parti sono l'epidermide, l'inviluppo erbaceo, e gli strati corti eali. Il fusto o stipite di tali alberi invece di essere egualmente grosso in tutta la sua lunghezza, va sempre sminuendo dalla base verso la sommità, sì che il diametro loro è più grande al piano della terra, che in quella parte, d'onde escono e di vergono i rami: la cima loro è coronata da una moltitudine di rami e ramoscelli, ora simmetricamente e ora irregolarmente disposti, più o meno ricchi di foglie; nel che la varietà della natura è tale, che non può essere descritta. I dicotiledoni vegetano in tutta la terra; se non che v'ha tra essi ancora delle famiglie destinate a rivestire la terra d'una più che d'un'altra zona. Lasciamo alla botanica e alla fitotomia lo spiegare tutto il minuto organismo degli alberi, e il modo com'essi si sviluppano e si riproducono. Vuolsi soltanto notare, che cotesto studio non è men bello, nè meno utile al filosofo contemplator della matura, di quel che è lo studio della no tomia e della fisiologia animale. Che anzi l'una dà lume all'altra, e somministra mille analogie, per mezzo delle quali si possono portare alla unità, molte delle ap parenti difformità de due organismi. Il seme delle piante è l'uovo degli animali: la piantolina colla radice in filo e cosuoi cotiledoni, è l'embrione dell'animale: il seme è un uovo covato in terra, perchè da questa ricever dee quel nutrimento che r – 580 - non può più avere dalla pianta madre che lo produsse. Ciò non ostante la natura ha fatto nel seme stesso della pianta un pic ciolo serbatoio di umori, i quali provveder debbono a primi bisogni della fecondazio ne. Il nocciuolo della mandorla racchiude una sostanza simile al giallo dell'uovo, sopra della quale è riposta una vescichetta piena d'un liquore trasparente, analogo all'albume: entrambi questi umori son de stinati a nutrire l'embrione, che si trova nascoso nel frutto: l'esistenza della pian tolina nel seme, e quella dell'embrione dell'uovo somministrarono il maggiore de gli argomenti al sistema della preforma zione e della evoluzione. Diremo ancora che formano la parte vera e fondamentale di quel sistema, quando non si pretenda ridurlo ad un sistema unico e generale della natura, e quando sia spogliato delle ipotesi metafisiche, di cui i suoi fautori lo rivestirono. V. Pre formazione, Uovo. ALLEGREzzA (prat.) P.I. pag. 1o col. 2, aggiugni in fine. uno de'quattro generi delle passioni secondo la dottrina degli stoici.V. Passione. Più propriamente l'allegrezza va consi derata come un de segni che la natura ci ha dato, nel linguaggio d'azione per espri mere il piacere; siccome per contrario ci Iha dato la tristezza per segno ed espres sione del dolore. Essa dunque non è altro che un indice o un segno dello stato del l'anima, soddisfatta per lo possedimento del piacere, il quale stato si manifesta per mezzo del riso e della ilarità del volto. V. Riso, Volto. ALLETTAMENTo (prat.), il sentir cosa che desta piacere, e l'incitar taluno, con piacevoli modi e con lusinghe, a fare checchessia. ALTEREzzA, ALTERIGIA e ALTIERo (prat.), qualità d'uomo che estima soverchiamente se stesso, o vuol mostrare superiorità verso degli altri. Dice men di orgoglio e di superbia. V. queste voci. AMBIZIONE (prat.), smodata brama di potere e di onori. E la passione che più seduce gli uomi ni, che non risparmia alcun mezzo anche illecito, e che mai non si soddisfa. Corre dietro alla gloria con intempe ranza, ma non la consegue, o la perde. AMORE (prat.) P.I. pag. 12 col. 1 dopo il primo verso aggiugni. L'opinione è il principio motore delle passioni, perchè per essa apprendiamo il bene e il male, e ci attacchiamo all'uno, ed evitiamo l'altro. Di qua l'amore e l'av versione, i due sommi generi di tutte le passioni. L'allegrezza e la tristezza, colle loro diverse gradazioni, sono i segni per mezzo del quali le manifestiamo ; sì che queste son classi o generi di segni, e le passioni, son le cose significate. V. Av versione, Gioia, Passione, Tristezza. ANALISI P. I. pag. 12 col. 2 (disc.), leggi, (dise e crit.). – pag. 13 col. 2 v. 4 dovendo ella ser virsi d'un, leggi, dovendo adoperare un. ANALITIco P. I. pag. 15 col. 1 (dise.), leggi, (disc. e crit.). ANALoGIA ( spec. e disc. ), relazione di somiglianza tra due cose, tra due fatti, – 581 – o tra due pensieri, per altri rispetti diversi tra loro. La conoscenza che acquistiamo per mez zo di tale relazione, è sempre fondata nel la opinione e nella credenza ; il perchè produce probabilità e verisimiglianza, e non certezza; bene inteso che può produrre ancora certezza, quando le ragioni di so miglianza sieno fondate in quel verisimile di natura, che de'essere equiparato al vero e al certo. V. Verisimile. L'analogia può essere ricavata dal par ticolare al particolare, o dal particolare all'universale. Nel primo caso è un argo mento comune logico, che entra in tutti i giudizi che noi facciamo di cose incerte, quando vogliamo trovarne la verità per congetture desunte dal simile: è anche il fondamento della interpretazione delle opi nioni, e degl'incerti luoghi degli autori. Nel secondo caso poi, cioè quando da una serie di più fatti particolari vogliamo giu gnere alla generalità, l'analogia è l'in strumento della induzione. E quando que sta ci conduce allo scoprimento d'una legge costante della natura, allora si verifica che per l'analogia acquistasi certezza, e non semplice verisimiglianza. V. Induzione. ANALogico (disc.), il concetto e il giu dizio formato per mezzo dell'analogia. ANDRoGINo. V. Ermafrodito. ANDROIDE (spec.), figura umana, che per via di segreti ordigni può fare talune opera zioni esteriormente simili a quelle dell'uomo. È l'automato umano. V. Automato. ANIMA (spec.) P. I. pag. 18 col. 1 v. 28 leggi, immateriale in luogo di spi rituale. Ed in continuazione dello stesso ver so, aggiugni. Sebbene la sostanza immateriale che dà loro la vita e il senso, sia generalmente chiamata anima de bruti, pur tuttavolta la comunione del nome indur potrebbe l'idea di una promiscuità di natura col l'anima umana, alla quale può essere assimilata per le facoltà sensitive, e non per le intellettive. E però sembra più con veniente denominarla senso interno, o facoltà sensitiva de'bruti.V. Senso, Sen sitivo. ANIMALE (spec.) P. I. pag. 19 col. 2 dopo il verso 16, aggiugni. Gli animali distinguonsi da vegetabili, non solamente per la vita sensitiva, ma ancora per la qualità dell'organismo. Le piante si nutriscono e si riproducono per virtù d'un corpo estraneo, al quale sono aderenti, come la terra o l'acqua; men trechè gli animali elaborano essi stessi il proprio alimento, e son dotati d'una virtù generativa, insita nel proprio essere: quelle sono immobili ed attaccate al suolo: questi son capaci di moto volontario. A tale diversità di funzioni corrisponde la differenza dell'organismo, che negli animali può dirsi rappresentato dall'arti colazione. L'articolazione è quella, che fa d'ogni animale una macchina mecca nicamente costruita, ed abile a qualunque spezie di moto. Nel meccanismo di ognuna di esse stanno i tipi di tutte le arti, che l'uomo imitando la natura ha adattato a bisogni, alla comodità, e all'ormato della vita. Lo studio di queste ingegnose co struzioni è la via , che più dirittamente conduce alla cognizione della infinita sa pienza del Creatore. V. Articolazione, Organismo, – 582 – La natura è stata svariata ed immensa nelle spezie e nelle forme degli animali, come ne vegetabili. La parte della storia naturale che abbraccia il regno animale, è la zoologia. V. questa voce. ANNo (spec.), misura del tempo, ri cavata dal moto della terra intorno al sole, o dal giro della luna intorno alla terra. V. Misura, Tempo. Dal diverso tempo che i due cennati pianeti impiegano nel compiere le loro pe. riodiche rivoluzioni, nasce la differenza tra l'anno solare, e il lunare. Il perchè l'uno sia preferibile all'altro; come l'anno lunare sia stato il primo di cui facessero uso le antiche nazioni nella infanzia dell'astronomia; e quali sieno stati i diversi anni civili stabiliti per isti tuti o per consuetudini del popoli, sono argomenti propri della cronologia. ANOMALIA (spec. crit. e disc.), qua lunque irregolarità, che è fuor delle or dinarie leggi della natura. È vocabolo che, nel linguaggio d'ogni scienza o arte si applica a tutto quel che esce dalle regole di ognuna di esse. Nella storia naturale, anomalia è ogni produzione, nella quale non sono servate le regole comuni agl'individui della me desima spezie, come i mostri. Nella fisica diamo lo stesso nome a quei fenomeni, i quali appariscono a noi contrari alle or dinarie leggi della natura. Nella chimica chiamansi allo stesso modo taluni effetti contraddittori, che producono le stesse so stanze, messe in simili combinazioni. Nel l'astronomia si è dato il medesimo nome alla distanza angolare d'un pianeta dall'asse maggiore della sua orbita, o dal suo afelio, perchè questa distanza serve a determinare l'inegualità del moto del pianeta, e a cal colarla ne diversi luoghi del suo cammino. Nella medicina vien così denominato ogni sintoma strano ed insolito, che l'arte non sa altrimenti spiegare, ed ogni inso lito effetto che produca un rimedio: quel la è detta anomalia fisiologica, e questa terapeutica. Nella grammatica finalmente dicesi ano malia così la difformità delle coniugazioni e declinazioni introdotte dall'uso, come la diversità delle terminazioni de casi obliqui e de modi del verbi, adottate anche dal l'uso, fuori delle regole della derivazione. ANTIvEDIMENTo (spec.), virtù che l'in termo senso dell'animo ha di vedere nel l'avvenire, per le relazioni che le cose future hanno colle presenti o colle passate. E una naturale prerogativa della ragio ne, la quale instrutta per l'esperienza, conosce innanzi tempo gli effetti, che ne cessariamente debbono nascere dalle cause presenti. Di tale facoltà fa ella uso ancora per presentire il verisimile, che per ana logia deduce da fatti simili; ond'è che l'antivedimento è il mezzo o l'instrumento dell'arte del congetturare le cose che pro babilmente e verisimilmente potranno av venire. Ed una tal facoltà applicata a pra tici portamenti della vita, è il fondamento della prudenza. V. questa voce. ApocÈo (spec.), il punto dell'orbita del sole, o d'un pianeta, allorchè è alla mag giore distanza dalla terra. Suo contrapposto è perigèo.V. questa voce. A PRIORI. V. Priore. ARIA (spec.), sostanza fluida traspa rente, elastica, ponderabile e dilatabile, – 585 – che da ogni parte circonda il globo terre stre e costituisce la sua atmosfera. V. que Sta VOCe. Per lungo tempo il nome aria si è dato a tutti i fluidi elastici, e per distinguergli tra loro, davasi a ciascun di essi un epi teto preso dalle sue caratteristiche qualità. Quello che ci circonda da per ogni dove prendeva la denominazione di atmosferica. Ora tutti gli altri fluidi elastici o aeriformi prendono un nome comune, che è quello di gas o di vapore. V. queste voci. Per lunghissimo tempo ancora l'aria si è creduto un elemento, o sia una sostanza semplice, ma la chimica alla perfine ha scoverto essere fluido composto di due di versi gas, l'ossigeno cioè e l'azoto, co'quali entrano ordinariamente in composizione anche il vapore acquoso e l'acido carbonico. L'aria è fluida, perchè tutte le sue par ti, per picciole e impercettibili che sieno, muovonsi tutte, le une independenti dalle altre; è trasparente, perchè a traverso di essa scorgiamo gli obbieti più lontani, e per tal qualità assorbisce tanta maggior quantità di luce, quanto più grande è la sua massa; è grave, siccome dimostrasi per lo sperimento del Torricelli. Cotesto sperimento consiste in questo, che si em pie di mercurio un tubo di vetro di circa otto decimetri di lunghezza (trenta pollici) e si suggella ermeticamente ad una delle sue estremità, tenendo l'altra chiusa col dito. Immergendo indi il tubo in un vaso pieno di mercurio e togliendo il dito, il mercurio contenuto nel tubo non esce tutto, ma resta a circa settantasei centimetri (ven totto pollici) sopra il livello del vaso. La pressione che l'aria esercita d'alto in basso sulla superficie del vaso bilancia la gra vità della colonna di mercurio, l'effetto della quale succedendo ancora d'alto in basso si trasmette lateralmente alle porzioni di mercurio, che circondano la bocca in feriore del tubo; dapoichè è proprietà dei fluidi, che la pressione esercitata sopra una delle loro parti si propaghi egualmente e per ogni verso a tutte le altre. Se si aprisse l'estremità superiore del tubo, il mercurio contenutovi, spinto immediatamente dalla colonna dell'aria che verticalmente gli corrisponde, ricaderebbe interamente nel vaso. L'aria è elastica, perchè cede a qualunque pressione restringendo il suo volume, che ripiglia non prima che la pressione cessi; siccome manifesto appari sce dal comune sperimento d'una vescica piena d'aria, esattamente chiusa, la quale cede alla compressione, ma resiste alla forza comprimente, e tolta questa ritorna al volume primitivo. È ponderabile, mes so in paragone il suo peso specifico con quello dell'acqua distillata, siccome i ſisi ci han dimostrato. Attenendoci agli ulti mi sperimenti di Biot e di Arago, il peso dell'aria atmosferica asciutta, alla tempe ratura del ghiaccio che si fonde, e sotto la pressione di 28 pollici o 76 centimetri (cioè quando il termometro segna 0 e il barometro 0."76) è a volume uguale '/ e di quello dell'acqua distillata. L'aria in fine è dilatabile insino all'indefinito, dac chè per effetto della pressione della co lonna dell'aria superiore e per una con seguenza della sua fluidità tende ad oc cupare uno spazio sempre maggiore. Di ciò fa manifesta pruova la macchina pneu matica del Guérike per la quale si per viene a ridurre quasi a zero l'aria con tenuta in un dato recipiente, per via di reiterate dilatazioni del suo volume. I fisici dimostrano, che la forza espansiva del l'aria è tale, che togliendo ad un tratto la forza compressiva, può senza alcuna in – 584 – tervenzione del calorico, occupare in certi casi uno spazio tredici o quattordici mila volte maggiore del suo spazio primitivo. Da ultimo l'aria rifrange e riflette la luce. Per la prima di queste proprietà noi vediamo gli astri in un luogo diverso da quello che occupano realmente nel cielo, e sempre più elevati nell'orizzonte; la se conda dà origine al crepuscolo, che è quella luce che precede in oriente, o se gue in occidente la presenza del sole, e ci viene dagli altri strati dell'atmosfera, i quali la ricevono direttamente dal sole e la riflettono a noi facendo ufficio di specchio. Se la Terra non fosse circon data dall'atmosfera, noi passeremmo di salto dalla notte buia al giorno chiaro. Queste sono le principali qualità dell'a- ria, delle quali gli effetti entrano nel moto di tutti i corpi, ne fenomeni dell'atmo sfera, nella vegetazione delle piante, nella respirazione e nella vita di tutti gli ani mali. Qual'è la sua natura? L'ignoriamo! La chimica ha trovato ch'essa è un com posto di due sostanze, l'ossigeno e l'azoto; ma lo stesso mistero passa dal composto a componenti. Che sono cotesti gassi, che la chimica chiama principi immediati? So mo gli ultimi termini delle nostre analisi! Della essenza dunque di questo fluido che ci circonda e nel quale respiriamo e vi viamo, non possiamo dire altro di quel che ne disse Cicerone est animabilis, spi rabilisque natura, cui nomen est air. V. Essenza, Principio. ARINGA (disc.), diceria, o ragiona mento publico. È nome che indica la publicità, men trechè l'orazione è propria del discorsi studiati, comechè recitati non fossero. V. Orazione, ARINGo (prat. e disc.), impresa qua lunque, Seggio o luogo donde taluno arringhi, Discorso publico, nel quale ultimo si gnificato è lo stesso che aringa. Ma non si vede la ragione per la quale, avendo la lingua una terminazione propria per lo discorso publicamente tenuto, debba am mettere un vocabolo androgino per espri mere la medesima idea. ARMONIA P. I. pag. 32 col. 1 (spec.), leggi, (spec. e disc. ). Dopo il quarto verso aggiugni: La esatta definizione dell'armonia ci vien da Platone: « l'ordine della voce, egli disse, per rispetto alla mescolanza dei gravi e degli acuti, si chiami armonia» (de legib. l. II. ). Differisce dalla melodia, che racchiude l'idea della soavità proccurata dallo studio e dall'arte. V. Melodia, Musica. ARTIcoLATo (spec. e crit.), composto di membri, ciascun de'quali ha moto di stinto dall'altro. Nella zoologia è nome di classe, e com prende quegl'insetti il corpo de'quali è diviso in più porzioni, che possono muo versi le une sopra le altre. V. Zoologia. ARTIcoLazioNE (spec.), l'unione delle ossa congegnata nel corpi animali, per produrre il moto. I fisiologi ne distinguono diverse sorte, secondo i vari modi usati dalla natura per commettere insieme le ossa, e per fare che il moto delle une secondasse quello delle altre. La prima è la congiuntura immobile, o sinartrosi che suddividesi in cinque spezie: la sutura, quando le ossa piane sono unite per le margini loro: – 58no - la dentata, quando le due ossa sono in castrate per prominenze ed incavi scambie voli: l'armonica, quando le due ossa si toccano, senza che l'uno intacchi o copra l'altro: la scagliosa, quando le margini sottili delle ossa si posano l'una sull'altra: la composta, quando le parti simili en trano a due e a tre, le une nelle altre. La gonfosi poi è quando un osso entra profondamente in un altro, a guisa d'un chiodo confitto in un asse ; il che corri sponde a denti confitti nelle mascelle. La seconda è la congiuntura semimo bile o anfiartrosi, la quale avviene, o per ligamenti cartilaginosi, nel quale caso chiamasi sinfisi come quello delle ossa del pube; o per mezzo d'una vera cartila gine, quale sarebbe la commettitura del la prima costola collo sterno, e de pezzi sternali tra loro, detta sincondrosi. La terza è la congiuntura mobile, la quale suddividesi ancora in altre cinque spezie: 1.º l'articolazion serrata, che ri chiede uno sforzo, onde possa esser messa in moto, come quella delle ossa decorpi: 2.º la rotazione, quando un osso gira sul suo asse, come quello che il radio fa col cubito, o la prima vertebra colla se conda: 3.º il ginglimo, quando le faccette articolari, avendo più aggetti e cavità, debbono muoversi in un senso solo, come nell'articolazione del cubito coll'omero : 4.º l'artrodia, quando le faccette artico lari delle ossa, essendo porzioni sferiche e poco profonde, ammettono per un verso solo il moto; il che è il caso della congiun tura dell'omero coll'omoplato: 5.º l'enar trosi, quando le faccette sferiche son più profonde che nell'artrodio, per modo che la parte convessa d'un osso è chiusa nella concava dell'altro, come nell'articolazione del femore coll'innominato. L'articolazione è la parte dell'organismo animale, che racchiude più meccanici tro vati, e che ha aperto la mente dell'uomo alla invenzione delle macchine. La fisiologia ce ne dà la descrizione, ei nomi. La filoso fia ne contempla l'origine e l'autore. Esami miamola in talune delle sue parti principali. I. Il capo fa due movimenti, uno retto, l'altro circolare. Esercita il moto retto, per effetto della sua articolazione a ginglimo angolare colla vertebra atlante. Esercita il movimento circolare per mezzo d'un mec canismo, o congiunzione del capo, non colla prima ma colla seconda delle verte bre del collo. Cotesta seconda vertebra ha un'apofisi, o prominenza simile ad un dente, che entra in una cavità della pri ma, e le serve di sostegno, acciocchè possa il capo insiem con esso muoversi in giro. Ciascuno de due cennati movimenti è li bero e compiuto, senza che l'uno sia d'im pedimento all'altro. Ed è notabile, che l'au tor di questa macchina ha così disposto il movimento delle vertebre, acciocchè la pri ma potesse muoversi soltanto a destra e a sinistra, e non avanti o indietro; dapoichè ha voluto evitare che l'apofisi della seconda vertebra, la qual serve di punto d'appog gio alla prima nel moto circolare, non comprimesse la midolla spinale.V. Midolla. II. L'antibraccio ha pure due movi menti, uno oscillatorio o reciproco, e l'altro rotatorio : il primo si esegue pie gando ed estendendo il braccio: il se condo voltando la palma della mano in sopra o in sotto. Per ambedue i movi menti, il braccio è formato di due ossa, l'uno vicino all'altro, i quali toccansi sol tanto agli estremi loro: quello denomi nato cubito, che si articola insiem col l'osso del braccio detto omero: questo, detto radio che si articola col polso della 71 – 586 - mano. Semprechè noi voltiamo la pal- i quali si estendono lungo il tronco umano, ma della mano in sopra, il radio gira sul cubito per mezzo d'una cavità prati cata in uno de due ossi , il quale corri sponde ad uno sporto dell'altro. Se l'ar ticolazione di ambedue gli ossi dell'anti braccio si fosse fatta coll'omero, o col solo polso, mancato sarebbe il movimento rotatorio: acciocchè potesse questo movi mento ottenersi, faceva uopo, che cia scuno de due ossi fosse libero ad uno de' suoi estremi. A tal modo si possono in pari tempo eseguire ambedue i cennati movimenti: l'osso maggiore dell'antibrac cio può fare il movimento oscillatorio sul l'articolazione del gomito, mentrechè l'osso più picciolo gira la mano intorno al cu bito: in vicinanza del gomito trovasi una protuberanza del radio, la quale corrispon de ad una cavità del cubito; e per l'oppo sito, vicino al polso una protuberanza del cubito corrisponde ad una cavità del radio. lII. La spina dorsale, o la colonna ver tebrale è una ingegnosissima catena di ar ticolazioni. Acciocchè cotesto strumento po tesse adempiere funzioni non solamente di verse, ma in certo modo contrarie; con veniva, che fosse ad un tempo solida e flessibile: solida per potere sostenere il corpo nella posizione verticale: flessibile per potersi prestare a tutti i movimenti che facciamo d'avanti, di dietro, o da lati; bisognava che protegesse la midolla spi male, e la garentisse da qualunque ca suale pressione, dacchè il più picciolo mal trattamento inſeritole, seco porta paralisi e morte; faceva uopo infine che servisse di passaggio a nervi, i quali estendendosi per l'intera lunghezza di questa colonna ossea, si ramificano poi per tutte le altre parti del corpo; che somministrasse una serie continua di punti di congiunzione a muscoli, e servisse di base alla inserzione delle coste. Per conseguire tutti gl'indicati fini, ecco i mezzi adoperati dall'autor della macchina umana. Ventiquattro ossa spugnose so prapposte le une alle altre, toccansi per le loro larghe basi; larghezza necessaria per assicurare la solidità della colonna. La porosità di queste ossa le rende leg giere; ed il numero loro, moltiplicando le articolazioni, rende la spina flessibile, ma a diversi gradi, per servire a vari bisogni del moto del corpo; più pieghe vole alla parte inferiore de reni, meno alle spalle, e più d'ogni altra parte alle vertebre del collo. Ognuno deventiquattro ossi è forato nel mezzo, per dare passaggio alla sostanza midollare, per modo che tutti insieme formano un canal continuo e non interrotto. Ma come fare, che nelle varie piegature del corpo le vertebre non s'in crociino, e non producano una pressione pericolosa per la midolla spinale? Una sostanza cartilaginosa, eminentemente ela stica, è stata interposta tra una vertebra e l'altra; ed acciocchè non ne avvenisse apertura di sorte alcuna, le vertebre strin gonsi dalla parte dove la spina si piega, e si rigonfiano dalla opposta parte; donde segue ancora, che la flessione quantunque considerevole nella totalità della colonna vertebrale, diviene appena sensibile da un osso all'altro. E siccome la flessione in avanti esser doveva più frequente della piegatura indietro; così le cartilagini hanno ricevuto una spessezza da quel lato, mag giore che da questo, in guisa tale che le basi delle vertebre son più paralelle tra loro quando il corpo piegasi in avanti, che nella sua posizione verticale. Per lo passaggio poi denervi lungo la spina, ogni vertebra ha due incavi all'orlo – 587 – superiore, e altrettanti all'inferiore. Cotesti incavi simmetricamente disposti corrispon donsi tra una vertebra e l'altra, per modo che due incavi uniti insieme formano un forellino, il quale dà passaggio ad un nervo. I nervi escono a paia, e suddivi donsi nelle ramificazioni, le quali span donsi per tutte le parti del corpo. Ed ac ciocchè la spina dorsale somministrasse un punto di appoggio a muscoli e alle coste che sono ad esse attaccate, lo stesso autor della macchina ha dato loro una forma adattata all'una e all'altra funzione. La loro superficie anteriore, la quale corri sponde alla capacità del petto, e del bas so ventre è levigata, dapoichè qualun que scabrosità avrebbe potuto incomodare le funzioni delle viscere ; e per contra rio le stesse vertebre dalla parte posteriore e da' lati sono coverte di apofisi prolun gate, alle quali sono legati i muscoli ne cessari a movimenti del tronco: tali lega ture son disposte per modo che si conse guono ad un tempo due importanti fini, cioè che i muscoli sieno subordinati alle ossa, e che i tendini degli stessi muscoli servano a consolidare la struttura della colonna, e a ritenere fortemente ogni ver tebra nel suo luogo. Non finiscono quì le previdenze della natura, per assicurare le diverse funzioni della colonna vertebra le. La sua struttura avrebbe potuto esporla al pericolo delle lussazioni, per evitar le quali ha ella disposto le apofisi per modo, che articolassero insieme, e che per gl'in crociamenti delle loro proiezioni, non po tesse mai alcuna vertebra uscire dal suo luogo. Laonde un colpo violento potrebbe rompere la colonna dorsale, e non mai produrre in essa una lussazione. E nella parte della stessa colonna, cui sono attac cate le coste, maggiore è stato il suo an fivedimento, dapoichè ognuna di queste è attaccata a due vertebre, e alla carti lagine che la separa. Col fine d'impedire che una forza esterna potesse disunire le vertebre agendo nella direzione longitudi nale, la colonna è stata foderata e raffor zata da una membrana molto spessa, la quale ricorre per tutta la sua lunghezza. Nella maggior parte de quadrupedi la strut tura della spina dorsale è analoga a quella dell'uomo, ma nella famiglia deserpenti v'ha la seguente notabile varietà. Siccome cotesta spezie d'animali ha bisogno d'una maggiore flessibilità, così la loro spina dorsale è composta di cento cinquanta ver tebre, le quali corrispondono alle loro diverse articolazioni. IV. I nostri polmoni dilatansi per la ispirazione dell'aria, e contraggonsi per la respirazione, le quali contrarie opera zioni accrescono e diminuiscono la capa cità del petto. Cotesto effetto è prodotto dalla disposizione delle ossa che lo circo scrivono. Le coste invece di essere artico late ad angolo retto collaspina, lo sono in una direzione alquanto discendente; d'onde segue che tutto quel che tende ad avvicinarle all'angolo retto, aumenta la capacità del petto, e fa avanzare lo ster no, operazione la quale succede in ogni ispirazione. Se le coste fossero state arti colate ad angolo retto colla spina; o se anche impiantate obliquamente, fossero state saldate nella colonna vertebrale, la capacità del petto non avrebbe potuto rice vere alcun aumento. A misura che le coste si elevano, il diaframma si abbassa, e da tal movimento risulta un accrescimento di capacità di quarantadue pollici cubici, che è immediatamente ripiena d'aria. In una ispirazione forzata entrar possono insino a cento pollici di aria di più di quel , che ºr – 588 – ve n'ha nello stato di abbassamento del le coste. Il torace è un mantice della più ingegnosa costruzione. V. La rotella o patella (che è quell'osso rotondo, il quale rende ferma l'articolazione del femore colla tibia), non somiglia ad alcun altro osso del corpo umano, perchè è di una forma lenticolare, della gran dezza d'uno scudo o ducato, coperto di una cartilagine. I forti tendini, che da una parte si attaccano al femore e dall'al tra alla tibia, e del quali la funzione è di portare avanti la gamba, passano a tra verso di quest'osso. Suo ufizio è il proteg gere e coprire l'articolazione, impedendo che i tendini non sieno offesi dall'urto dei corpi esteriori, siccome lo sarebbero stati sopra la protuberanza del ginocchio: da esso ricevono ancora i muscoli erettori una maggior facilità di moto, per la direzione che dà alla loro forza: non ha parte nel moto, perchè isolato, nè si articola con altro osso, ma facilita e garentisce l'ar ticolazione del muscoli: è molle e appena visibile nella infanzia: la sua ossificazione si forma a poco a poco. VI. L'osso della coscia si articola colla gamba per un meccanismo simile a quello di una cerniera, perchè entrambe debbon sempre muoversi e piegarsi nello stesso piano. Ma l'osso della coscia nell'anca si articola in un modo affatto diverso. Il fe more ha una testa, la quale entra e gira liberamente in una cavità dell'osso del l'anca. Da ciò proviene che la coscia è capace di più movimenti, non escluso quel di rotazione. Se la testa del femore fosse posta in giù, e la cavità in su, vale a dire, se le due spezie d'articolazione fos sero state messe all'opposto, la coscia si sarebbe mossa soltanto in avanti, e inu tile sarebbe rimaso il moto rotatorio della gamba. Per consolidare le articolazioni, una forte e densa membrana parte dal l'osso recipiente e cinge l'osso entrante internandosi nella sua sostanza. Cotesta membrana abbraccia la giuntura, e ne as sicura la solidità mantenendo le promi nenze nelle corrispondenti cavità. Nelle più importanti articolazioni, e spezialmente in quelle nelle quali una grande forza esten siva avrebbe potuto produrre uno sloga mento, v'ha di più un forte legamento, corto e flessibile, attaccato da una parte al capo dell'osso, e dall'altra al fondo della cavità. Nelle articolazioni in forma di cerniera, i legamenti che cingono e ritengono nel suo luogo l'inserzione del l'estremo dell'osso, sono sempre più forti a lati, che nelle parti anteriori e poste riori, acciocchè le ossa non possano uscir fuori dalla loro imboccatura. E nell'ar ticolazione del ginocchio, attesa l'impor tanza e varietà demovimenti a quali è de stinata, due fortissimi legamenti sono in crociati per modo, che non può lo slo gamento avvenire, se non quando si rom pano i legamenti. Un diverso mezzo, ma collo stesso fine, è stato adoperato nell'ar ticolazione del collo del piede. Le ossa della gamba han due apofisi, le quali ser vono ad incassare l'osso del tarso, che con esse si articola. La forma stessa di queste ossa indica il fine della loro costruzione, essendo evidente che le due prominenze dalle quali sono terminate, son destinate a contenere l'osso che ad esse si unisce, e per conseguente a prevenire gli slogamenti. L'articolazione del braccio colla spalla, è come quella della coscia coll'anca, e la sua solidità è del pari assicurata da un le gamento che è fisso nel fondo della cavità, la quale per altro ha una minor profon dità, dacchè i movimenti del braccio aver – 589 - debbono una estensione, una prontezza, e una libertà maggiore di quelli della coscia. VII. Gli estremi delle ossa nelle artico lazioni sono stati disposti non solamente per impedire, per quanto è possibile, gli slogamenti e per rendere facile ogni sorta di movimento, ma ancora per proteggere il passaggio del nervi, del tendini, e dei vasi per le articolazioni. In fatti i nervi dell'antibraccio passano la giuntura del gomito per un cammino coverlo, praticato tra due protuberanze dell'osso. L'estremo inferiore del femore è solcato da una pro fonda scannellatura, per la quale passano con ogni sicurezza i grandi vasi e i nervi della gamba. Nell'articolazione della spalla osservasi sull'orlo della cavità che riceve l'osso del braccio una picciola apertura coperta da membrana, per la quale s'in sinuano i vasi sanguigni del braccio. Gli estremi delle ossa, e l'interno delle cavità e delle cerniere son foderati di cartilagini molli ed elastiche, le quali addolciscono gradatamente il giuoco delle articolazioni senza consumo delle ossa. Il giuoco inoltre di tutte le articolazioni è grandemente age volato da una mucilagine più emolliente e più untuosa dello stesso oglio, dacchè presso a tutte le giunture l'autor della macchina ha fissato delle glandule, le quali son destinate a separare dal sangue questo necessario linimento, ed ha sospeso i ca nali secretori, contenuti in dilicati filetti, a guisa d'una frangia nella cavità dell'ar ticolazione. L'uomo si è gloriato della in venzione, per la quale si opera una in filtrazione continua di oglio in una cassa nella quale è chiuso un meccanismo di ruote dentate. Qual paragone colla mac china della natura, la quale fa di conti nuo filtrare nelle articolazioni la sinovia, e la crea ella stessa a misura del bisogno? Ma qual'è la macchina di umana costru zione, che regger potrebbe al continuo attrito di sessant'anni e più, senza verun detrimento delle sue parti? Il liscio delle cartilagini, che soffrono un vicendevole stropicciamento, e il continuo rinnovamento della sinovia non bastano a spiegare que sta durata. Quel che può spiegarla, è il più maraviglioso di tutti i fenomeni, l'as similazione, proprietà delle costituzioni animali, la quale fa sì che le sostanze de corpi, quali esse si sieno, incessante mente si riparino, si ristaurino, e si rin novellino. Tante sublimi invenzioni accu mulate insieme nella costruzione del corpo animale, sono una dimostrazione della infinita intelligenza del suo Autore; e la durata di questa macchina, che da se stessa si ripara e si rinnova, è una pruova par lante d'una provvidenza conservatrice, che conduce le opere da se create al fine, cui le ha destinate. Noi vorremmo che lo studio di tutte le scienze speculative e morali cominciasse dalla analisi e dalla contemplazione del la fabbrica del corpo umano, unitamente all'analisi generale dell'organismo, la più sublime di tutte le opere della creazione. V. Organismo. ARTIFIzio (prat.), azione fatta con astu zia. V. questa voce. - AsPETTo (prat.), pag. 36 col. 1 sog giugni: la sembianza della faccia e della parte anteriore dell'uomo. Quantunque nel comune uso della lin gua si scambia col volto, o sia con quella sembianza, dalla quale si argomentano gli affetti dell'animo; pur tutta volta la sua etimologia gli dà per significato proprio la vista della parte anteriore della persona, – 590 - AsPREzzA (dise. e prat.), traslato del l'agro delle frutta, che si applica alla ru videzza del dire o dell'operare, ed anche alla severità e al rigore. AssENTATORE (prat.), latinismo che ha dato alla lingua un sinonimo di adulatore. V. Adulazione. AssIMILAzioNE (spec.), l'operazione del la natura per la quale, ne vegetabili come negli animali, il nutrimento si trasmuta in un succo simile alla sostanza loro. È l'effetto dell'articolazione e dell'orga nismo. V. queste voci. AssoLUTo P. I. pag. 39 col. 1 (ontol.), leggi, (ontol. e spec.). AsrRo (spec.), nome generico di tutti i corpi celesti. Le osservazioni fatte intorno al corso loro han fatto dividere gli astri in tre classi, cioè delle stelle fisse, delle erranti o pianeti, e delle comete. Le prime risplen dono d'una luce propria, e non cambiano di luogo, le une a rispetto delle altre, conservando sempre tra loro le stesse di stanze: le seconde si rendono a noi visi bili per la luce che imprestano dal sole, intorno al quale fanno un corso periodi co, descrivendo ciascuno la propria orbi ta: le terze appariscono a noi per breve tempo, e dopo essersi molto avvicinate al sole, se ne allontanano, descrivendo un'or bita molto più allungata degli altri pianeti. V. Cometa, Pianeta, Stella. AsTRoNoMIA (crit. e teol.), P. I. pag. 42 col. 2, dopo l'ultimo verso aggiugni: L'astronomia per quel che concerne la spiegazione del fenomeni, e le teorie del moto degli astri, è una scienza speciale che entra nella classe delle fisico-matematiche; ma per quel che risguarda la contempla zione dell'ordine dell'universo, è la scienza che ne contiene i più sublimi argomenti, e che più si annoda colla teologia naturale. « Il considerare gli astri, dice il dot tor Paley, dimostra la magnificenza delle operazioni d'un Creatore intelligente: ele va l'anima ad una contemplazione della Divinità, più sublime di quella che può somministrarne ogni altro suggetto, co mechè l'osservazione de corpi celesti sia men facile di quella delle altre parti del la natura. Noi vediamo nel cielo innume revoli punti luminosi, e dischi sfolgoreg gianti, i quali riflettono la luce che rice vono; e da questi deduciamo una verità generale, che è l'unità del disegno, dei rapporti, e della connessione delle varie parti dell'universo. Ma noi vediamo i corpi celesti, isolati gli uni dagli altri, e come corpi de'quali ignoriamo la composizione, il che presenta una maggiore difficoltà per rispetto alle investigazioni che potremmo fare intorno alla loro natura ». « Quel che dico della forma è comune ancora al moto loro, il quale si esegue senza l'intervenzione di qualsivoglia ap parato sensibile. L'analogia non può in alcun modo guidarci nella ricerca deprin cipi di tale moto. Le sfere artifiziali che rappresentano il moto de corpi celesti non sono in alcuna relazione col principi che lo regolano. Ma a me pare di ben discer nere la causa finale della differenza, colla quale è stato disposto ed eseguito il moto de corpi celesti: questi agiscono gli uni su gli altri, mentrechè i terrestri agiscono e reagiscono reciprocamente per l'inter medio d'un fluido, o d'una sostanza so lida. Conveniva che tra corpi celesti sin – 591 – tromettesse un vacuo, libero da ogni ma- è stato fatto inutilmente. I bruti sono stati teria inerte, di cui la presenza, produ cendo resistenza, avrebbe impedito il moto loro. Cotesta differenza essenziale, qua lunque sia la ragione che noi possiamo assegnarne, distrugge ogni analogia, e ci toglie il mezzo di ragionarne ». « Ciò non ostante noi stessi dobbiamo essere maravigliati delle conoscenze che ab biamo acquistato in astronomia. Un ani male confinato sulla superficie d'un pia neta, in proporzione più picciolo di quel che è un insetto microscopico, a rispetto dell'albero sul quale vive; questa picciola creatura curiosa ed intraprendente, ha impiegato i sensi concessigli in grazia dei suoi giornalieri bisogni, primamente ad ampliare la forza de suoi organi, mediante la costruzione degl'instrumenti atti all'os servazione, ed indi ad investigare e cono scere l'intero sistema del mondi, a quali il suo proprio pianeta appartiene; cotesta picciola creatura ha determinato il sito, l'azion reciproca, il cammino del globi immensi, che compongono l'universo; e lo ha fatto con tal'esattezza ch'è divenuto capace di predire il punto del cielo, in cui il tale o tale altro corpo celeste, dopo di ave re per secoli vagato nella immensità dello spazio, troverassi in ogni punto del tempo futuro, e ciò colla precisione non solamente del giorno o dell'ora, ma anche deprimi e desecondi minuti. Qual'è più ammirabile, la costanza de'movimenti del diversi corpi dell'immenso universo, o la perspicacia dell'uomo, che ne ha calcolato i ritorni?» A che è data all'uomo la cognizione dell'ordine dell'universo, e della infinita sapienza del suo Autore? Per qual fine si è Questi fatto riconoscere dalla sua crea tura? Ogn'istinto ed ogni facoltà ci è stata data per un fine, dacchè nelle opere del la natura, sì materiali che morali, nulla messi in relazione colla terra da cui vivo no, e coll'uomo, cui obbediscono. L'uomo è stato messo in relazione con Dio. Adun que queste due diverse spezie di Esseri hanno una destinazione ed un fine diver so. La ragione umana limitata in tutte le conoscenze che oltrepassano lo scopo della vita, corre poi tanto innanzi nella cogni zione delle leggi della natura, che dalla immensità delle sue opere acquista la no zione dell'infinito e degli attributi della Divi nità, circoscrive il tempo, calcola il futuro, e segue le tracce della stessa ragione divina. La causa finale dunque della intelligenza dell'uomo si trova in cielo, e non in terra. AsTUZIA (prat.), l'operare con sotti gliezza d'intendimento sì nelle cose buo ne, che nelle cattive. ATTo P. I. pag. 45 col. 2. v. 15 ogni essere intelligente, leggi, ogni Essere intelligente. ATTRAZIONE P. I. pag. 46 col. 1 (ontol.), leggi, (spee.). ATTRIBUTo P. I. pag. 46 col. 2 (ontol. e disc.), leggi, (spec. ontol. e disc.). AvARIZIA (prat.), disordinato amor di ricchezza. È il vizio opposto alla liberalità. E sic come questa è la virtù fautrice della civil società; così l'avarizia è il vizio, che la dis solve. Per contrario il disinteresse (da'La tini abstinentia), è la principale delle vir tù publiche, delle quali debbon essere fre giati gli uomini, che hanno imperio o potere sopra degli altri. V. Disinteresse. Tra i vizi ha meritato il nome di sor dido, perchè rende l'uomo intento a sod disfarlo, come il bruto vorace soddisfa la – 592 – fame; perchè nulla può appagarlo, di venendo più rabbioso, a misura che più acquista di quel che desidera ; e final mente perchè isola l'uomo, e lo rende straniero agli altrui bisogni e per con seguente ingiusto. Cicerone lo considera come uno de morbi insanabili, quando la ragione non l'abbia a tempo domato: permanet in venas, et inhaeret in vi. sceribus illud malum, exsistitgue mor bus et aegrotalio: quae avelli invete rata non possunt. (Tusc. lib. IV. c. XI.). Seneca imputa a due vizi la corruttela delle civili società: avaritia atque luru ria dissociavere mortales. Differisce dalla cupidità, la quale ab braccia ogni smodato desiderio di beni materiali. V. Cupidità. AusTERITÀ e AusrERo (prat.), qualità d'uomo, che per proposito di virtù, e per tenacità di principi è esatto osserva tore d'ogni benchè minima obligazione. È più della severità e della rigidezza. V. queste voci. AutoMATo (spec.), macchina che ha in se i principi del proprio moto. La storia delle arti fa noti i più famosi automati costruiti da uomini meccanici , cominciando da Archita e terminando a Vaucanson, che sorpassò tutti gli altri in maraviglie. A noi piace considerare l'uomo stesso come un automa per rispello alle sue funzioni vitali, delle quali è sola mente consapevole, senza cooperarvi. È questo un bel concetto del Salvini, il quale dice: « Il nostro vivere che altro è, che un moto perpetuo del cuore, per lo quale l'animale, quale automato no bilissimo, i suoi naturali movimenti eser cita in varie e maravigliose guise ». Chi è stato l'ingegnoso autor di questa mac china ? La ragion comune della umanità risponde: un artefice eapace d impri mere il moto continuo, e di creare la vita / L'ateo ed il materialista dice: il caso o la natura / V. queste voci. AvvEDIMENTo (spec.), dote della sana ragione, la quale vede il vero nel suo naturale lume. Differisce alquanto dall'accorgimento, che è dote di sagacità. AvvEDUTEzzA (prat.), l'accorgimento nell'operare. V. Accorgimento, AvvENIMENTo (spec.), fatto o successo non preveduto. Differisce per tanto dal caso, per quanto il non prevedere è diverso dal non potere spiegare la ragione di ciò che avviene. AvvERTENZA (spec. e prat.), divisamento della riflessione nel pensare o nell'operare. AvvERTIMENTo (prat.), suggerimento o consiglio dato per ammaestrare, o per ammonire alcuno. Pag. 51, 52 e 55. Togliere dalla lista de vocaboli ontologici affinità, attrazione. Aggiugnere a vocaboli della filosofia speculativa affinità, assoluto, attrazione, attributo: a quelli della filosofia pratica agente, aggiunto: a quelli della filosofia critica analisi, analitico: a quelli della discorsiva armonia. – 595 – IB Barosa (prat.), espressione di ar dire e di presunzione nel parlare o nel l'esiger da altri qualche cosa. È un sentimento, che può dimostrarsi colle parole, egualmente che co'segni del volto, e spezialmente degli occhi, al che allude il detto di Dante: r Gli occhi alla terra, e le ciglia avea rase D'ogni baldanza, e dicea ne' sospiri Chi m'ha negato le dolenti case ? (Inf. C. VIII.). BALoRDAGGINE (prat.), qualità di mente ottusa e inconsiderata. E men di sciocchezza. V. questa voce. BASTARDo. V. Ibridismo. BENI P. I. pag. 61 col. 1 v. 7 i primi, leggi, questi. v. 8 i secondi, leggi, quelli. BERNEsco (disc.), nome dato da noi alla poesia e allo stile satirico giocoso, in onor del Berni, che fu esimio in questo genere di poetare. V. Poesia. BIBLIOTECA (crit.), collezione di libri, e luogo dove questi si ripongono, o collezione di estratti di opere antiche o moderne, o catalogo biografico di autori, e di opere d'arte, di lettere o di scienze, o giornale periodico, letterario e scien tifico. V. Giornale, Museo. BIoLoGIA (crit.), P. I. pag. 62 col. 2 v. 1 da vocaboli precedenti, leggi, dal voca bolo precedente. BONARIETÀ (prat.), P. I. pag. 63 col. 1 v. I senza malizia, leggi, senza pre visione. BoTANICA P. I. pag. 63 col. 2 in fine V. Fitologia, Vegetabile, leggi, V. Al bero, Erba, Filologia, Pianta, Vege tabile. BRONCHI (spec.), canali e diramazioni dell'asprarteria, che si diffondono nepol moni. V. queste voci. L'asprarteria comincia sotto la laringe, a livello della quinta o sesta vertebra cer vicale; scende occupando la parte ante riore del collo, e si divide verso la terza vertebra dorsale in due canali, che for mano i due bronchi. Suddividesi il destro in tre rami, che scendono nel polmone destro; ed il sinistro in due che vanno al sinistro. Son questi i rami detti bronchiali, i quali diffondonsi nella sostanza polmo nare, e ne fanno parte. V. Polmone. BRUTo (spec.), P. I. pag. 64 col. 2 in fine dell'articolo aggiugni. Gli animali bruti sono e diconsi , Es seri irragionevoli, perchè privi della ra gione, o dell'intelligenza. Hanno non pertanto sensi e sensazioni come noi, e son capaci di sentimento, e di talune co noscenze di relazione, in parte simili a quelle dell'uomo. Coteste qualità costitui scono la loro natura sensitiva, la qua le solamente può venire in comparazione colla umana. L'anima non mai, perchè non possiamo concepirla senza l'attributo della ragione e dell'intelligenza. Non chia meremo dunque anima la sostanza imma 75; – 594 – teriale che dà loro vita e senso , ma sì bene senso interno, e facoltà sensitiva. V. Anima, Sensitivo, Senso. BURLARE ( prat. e dise. ), ingannar taluno per giuoco, o non fare e non di re, per ischerzo, cose da senno. Differisce dal beffare e dallo scherni re, che esprimono l'animo d'ingiuriare. V. Beffare, Scherno. BUssoLA (spec.), strumento composto d'un ago magnetico sospeso liberamente sopra d'un perno, acciocchè possa muo versi tutto all'intorno senza contrasto. L'ago calamitato non si mantiene in differente in tutte le posizioni, nelle quali potrebbesi fissare ogni altro ago comune, avendo acquistato, per la virtù magnetica, la proprietà di dirigere costantemente i suoi estremi punti verso gli stessi punti dell'orizzonte, o sia di rivolgergli verso i poli del mondo. Per effetto di tale ten denza, quando sia sturbato dalla sua po sizione elettiva, l'ago magnetico dopo un certo numero di oscillazioni, più o meno rapide, torna costantemente a ripigliarla. V. Magnete, Polarità. Alla polarità dell'ago magnetico è do vuta la scoperta della bussola nautica, la qual serve di guida a naviganti, e mostra loro il polo, quando l'atmosfera ingombra di nuvole o di nebbia toglie loro la vista del sole e delle stelle. La sperienza ha additato ancora altri vantaggi che possono ritrarsi dalle proprietà degli aghi magne tici nell'uso della navigazione, adattando a medesimi un cerchio sottilissimo di car tone, di talco o di altra materia leggiera, il quale essendo tutto frastagliato all'in torno, viene ad esser diviso in trentadue parti eguali, distinte da altrettante punte, dette rombi. Di queste le quattro punte principali indicano i punti cardinali del l'orizzonte, cioè il settentrione, il mez zogiorno, l'oriente e l'occidente; e le altre i punti intermedi, formando tutti la così detta rosa del venti. Per essa il noc chiero stabilisce il rombo nella direzion del quale dee la nave camminare. Diversa dalla nautica è la bussola degli agrimensori, nella quale l'ago calamitato è sospeso orizzontalmente sopra un perno collocato nel centro d'un cerchio, diviso in 36o gradi, e questi in altre parti sud divisi. La bussola è fissata sopra un piede sul quale può girare in qualunque dire zione, conservando sempre la sua posizione orizzontale: sopra un lato della scatola, nella quale è racchiuso, viene adattata un'alidada, o tubo quadrangolare chiuso, destinato al passaggio del raggio visuale, onde determinare gli angoli, che le dire zioni condotte dall'occhio dell'osservatore agli oggetti lontani, fanno coll'ago ma gnetico e tra loro. Diverse dall'una e dall'altra son le bus sole di declinazione o d'inclinazione, le quali servono a misurare le deviazioni del l'ago magnetico dal vero meridiano, e dalla linea orizzontale; deviazioni chia mate appunto declinazione ed inclinazio ne, e che variano ne diversi luoghi della Terra. C Carra, V. Magneſe. CALLIDITÀ (prat.), finezza d'ingegno ed accortezza così nello speculare, come nell'operare. Prendesi tanto in buona, quanto in cat tiva parte, come nella lingua latina, da cui l'abbiam tolto. E però nel sinistro senso vale furberia e doloso artifizio; ond'è che Cicerone disse: scientia quae est remota a justitia, calliditas potius, quam sapien tia est appellanda. (de off lib. I. C. XIX). CALMA (prat.), stato di equilibrio degli affetti. È un senso traslato dall'equilibrio dei venti e delle onde, delle quali è proprio. CALoRE P. I. pag. 67 col. I v. 15 in definibile, d'una sensazione, leggi senza la virgola, indefinibile d'una sensazione. col. 2 v. 12 prodotto, leggi, prodotta. CALoRIco P. l. pag. 68 col. 2 (ontol. e spec.), leggi, (spec.). CAPACITÀ pag. 71 col. 2 v. 5 qualche cosa che non abbiamo, leggi, le cono scenze che non abbiamo. CAPELLo. V. Pelo. CAPILLARE (spec.), nome dato alle estre mità delle arterie, divenute quasi imper cettibili per le loro moltiplici divisioni; non che alle estremità delle vene che mediante le loro sottilissime diramazioni, son messe in comunicazione con quelle. Taluni fisiologi han creduto che i vasi detti capillari formassero un sistema inde pendente, composto 1.º di minutissime arterie, comunicanti colle vene, 2.º di condotti escretori, 3.º di vasi esalanti, 4.° di minutissime arterie o vene, conte nenti sangue bianco; di che vedi gli ana tomici e i fisiologi, e sopratutto Mascagni. Capillari chiamansi gli organi delle piante allungati in forma cilindrica, e talmente tenui, che prendano la somi glianza d'un crine o d'un capello. Capillari diconsi i tubi, che adopera l'idrostatica per dimostrare l'ascensione e la depressione del fluidi per virtù dell'at trazione che le molecule de fluidi eserci tano tra loro, e su corpi solidi che le toc cano. Capillari i fenomeni che nascono da questa forza composta di attrazione. CAPILLARITÀ (spee.), l'azione o la forza ch'esercitano i fluidi introdotti ne vasi o tubi capillari. CARTILAGINE (spec.), sostanza bianca trasparente omogenea, di cui molti or gani si compongono, e che forma il prin cipio delle ossa. V. Osso. CAVILLAZIONE e CAVILLo (disc.), argo mento, che ha in se fallacia. I nostri Italiani l'hanno scritto ancora gavillazione. CAUSA P. I. pag. 76 col. 2 (ontol.), leggi, (spee. e ontol.). pag. 78 col. 1 v. 6 accertarsi, leggi, accertarci. CAUSALITÀ P. I. pag. 78 col. 1 (ontol.), leggi, (spee. e ontol.). pag. 79 col. 1 v. 15 è una verità insita nell'animo, leggi, è una deduzione im mediata dell'animo. º – 596 – CAUTELA e CAUTo (prat.), qualità di uomo che opera con riflessione, onde an tivedere le conseguenze possibili, d'ogni suo detto o fatto. Ahi quanto cauti gli uomini esser denno Presso a color che non veggon pur l'opra, Ma per entro i pensier miran col senno. ( DANTE Inf. C. XVI. ). CELLULA (spec.), picciola cavità che nel tessuto organico degli animali si forma da così detti globetti primitivi, e che vien considerato come un de' suoi primi com ponenti. V. Globetto. CELLULARE (spec.), denominazione data al tessuto animale molle, spugnoso, di colore bianchiccio, composto di laminette disposte in forma di cellule o cellette. È risguardato come il tessuto più sem plice, e il più universalmente sparso negli Esseri organici. I fisiologi lo distinguono in due spezie, l'adiposo e l'areolare: la prima spezie è internamente piena di ve scichette, le quali contengono un umore oleoso, che alla temperatura del corpo umano è liquido, e alla temperatura ester ma divien solido, e prende il nome di adipe o grasso: la seconda spezie poi è suddivisa in due parti, delle quali una è indipendente dagli organi e serve sol tanto a riempiere le parti vacue che son tra essi, e l'altra avvolge gli organi stessi, e penetra nella loro sostanza. La prima di queste due parti è quella che dà forma al corpo umano, per modo che se potes sero estrarsi gli organi senza lacerare la superficie continua del tessuto, nel quale essi son posti, noi lo vedremmo come una crosta, divisa in tanti compartimenti, quanti sono gli organi stessi. Dalla mag giore o minor quantità di questa parte del tessuto cellulare dipende la varia fisiono mia dell'uomo; e però, quando quella si sminuisca per malattia, o per altra causa, ne avviene che la fisionomia stessa si al teri e si cangi anche insino al segno di non essere più riconosciuta. L'altra parte del tessuto areolare, che somministra ad ogni organo una mem brana, forma intorno ad essi, giusta il detto di Bordeau, una spezie di atmosfe ra, che circoscrive l'azione loro, ed im pedisce che le malattie dalle quali ogni organo può essere attaccato, non si co munichino a vicini. Tali membrane da una parte formano una continuazione del tessuto cellulare comune, e dall'altra le gansi a quelle che occupano l'interno de gli organi, presentando ciascuna una di versa disposizione, secondo la forma del l'organo che avviluppano. Quanto poi al tessuto cellulare che in ternasi negli organi, varia pur è la sua disposizione. Ne muscoli avviluppa così i fasci, de quali son questi composti, come i fascetti e le fibre che ne formano la prima composizione. Lo stesso fa nelle glandule per rispetto a lobi e agli acini, da cui son esse formate; e negli organi membranosi s'insinua tra i loro diversi strati. Cotesto tessuto è capace di contra zione, ma nello stato sano è privo di sen sibilità apparente, ed è dotato di molta forza plastica, dapoichè distrutto presta mente si riproduce. Serve, come già di cemmo, a determinare la forma delle va rie parti, ad unirle insieme, a facilitarne i movimenti, e a mantenerle nel proprio sito. È l'organo dell'esalazione, contiene del siero, e serve d'intermedio tra le estre mità arteriose, e la sorgente del vasi as sorbenti. È il primo a formarsi nell'em – 597 – brione, e in quello stato è liquido ed ab bondante. Nel suo secondo stato scema di quantità ed acquista maggiore consistenza, a misura che gli organi si sviluppano. Ne vecchi diviene più denso e quasi fibroso, Considerate le sue varie proprietà e la sua estensione, sembra probabile l'opinione di que fisiologi, che lo danno come il tessuto primitivo, nel quale si depongono i vari principi immediati, che servono a formare i tessuti secondari, e gli organi stessi.V. Fi bra, Glandula, Membrana, Organismo. CEREBRo P. I. pag. 79 col. 2 v. 31 co noscere le proprietà, leggi, distinguere le proprietà. CHILo (spec.), succo nel quale gli ali menti si convertono nel duodeno per opera d'una seconda digestione. V. Stomaco. Cotesto succo è l'effetto di una seconda elaborazione, cui la massa alimentare è soggetta, dopo la prima già fatta nel ven tricolo, denominata chimo. Gli alimenti convertiti in chimo, passano nell'intestino tenue, dove mescolandosi col sugo pan creatico e colla bile, acquistano la qualità nutritiva, e sono da vasi chiliferi, e dal condotto toracico portati nel sangue. La parte del chimo, che nella purificazione del chilo, è rigettata come inutile alla nu trizione, passa nel grosso intestino, d'onde esce fuori del corpo degli animali in forma di escrementi solidi, o gassosi. V. Chimo. È questa la maravigliosa operazione del l'assimilazione, per la quale le sostanze estranee si convertono in un prodotto si mile alla materia organica ed articolata. V. Articolazione, Assimilazione. Invano la chimica animale si affatica di conoscere la natura del prodotto assi milato. Ne esamina le qualità esterne, lo sottopone ad analisi, ne separa diverse parti che distingue con diversi nomi; cerca di conoscerne gl'immediati componenti, ma rimane sempre nel dubbio, se questi componenti, che denomina fibrina , al bumina, ematosina sieno i principi im mediati delle sostanze alimentari, o nuove combinazioni prodotte dalla elaborazione che hannoesse sofferto negli organi animali. CHIMo (spec.), la massa degli alimenti macinati in bocca degli animali, e spezial mente de mammiferi, imbevuti di saliva e di mucco, i quali passando per l'esofago penetrano nel ventricolo, e ivi si mesco lano cosughi che sono in quello contenuti. Cotesta massa diviene in breve una spe zie di polta, più o meno omogenea, se condo che gli alimenti sono stati più o meno divisi, o son più o meno capaci di essere digeriti. Dalla seconda elaborazione ch'essa riceve nasce il succo nutrimentale degli animali, detto chilo. V. questa voce. CIELo P. I. pag. 86 col. 2 (spec. teol. e erit.), leggi, (spec. e teol.). CIRCOLAZIONE (spec.), il moto del fluido nutritivo, che negli animali e ne vegetali penetra per tutti gli organi, e ritorna sempre a punti da quali è partito. Ne vegetali la circolazione del fluido nu tritivo avviene in un modo più semplice ed uniforme; laddove negli animali riceve la legge dal diverso loro organismo. Quantunque in un corpo vivente tutti gli umori sieno in un moto continuo, e in questo moto consista la vita; pur tutta volta questo vocabolo spezialmente dinota il moto del fluido essenziale, il sangue, che dal primo momento del concepimento insino alla morte muovesi senza alcuna – 598 - interruzione, a tal segno che la circola- e per apparenze diverse: i vasi linfatici zione è l'ultimo segno della vita, e il solo che spesse volte dura per breve tempo, quando tutti gli altri son cessati. Tra gli animali, la circolazione è di versamente regolata dalla natura, secondo la maggiore o minor semplicità della loro struttura. Negli animali inferiori v'ha un sistema vascolare semplice, che riceve da una comune sorgente il sangue, e a quella il riconduce; laddove negli animali d'un ordine superiore i sistemi circolatori son molti, e tra loro si comunicano e s'in crociano. Ne mammiferi, ne quali è più complicato, gli organi della circolazione sono il cuore, le arterie, le vene, i vasi linfatici e i vasi capillari. V. queste voci. Prendendo a considerare la circolazione nel suo principio, il fluido nutritivo estratto dagli alimenti entra nelle vene nelle quali riceve una prima modificazione; passa indi dalle vene nelle arterie polmonari per sog giacere alla influenza dell'aria atmosferica; percorre di poi un altro sistema di vasi, che sono le arterie, e giugne alle loro estremità capillari, dalle quali rientra nelle estremità capillari venose, per rinnovarsi col nuovo fluido nutritivo, che in queste di continuo si rifonde. La fisiologia fece certamente la maggiore delle sue scoverte allorchè venne a cono scere la circolazione del sangue, ma nulla ha guadagnato intorno alla conoscenza della conversione del fluido nutritivo in sangue, e del dubbio, se questo o quello sia l'agente immediato della nutrizione. Si considera comunemente il sangue come il recipiente, nel quale va a versarsi tutto il fluido nutritivo. La natura gli ha aperto comunicazioni con tutti gli organi, per mezzo del quali riceve varie modificazioni, e si converte in altri fluidi, per accidenti ne prendono la linfa: il fegato, ne separa la bile, le reni, l'urina, e così via di scorrendo. Ma come la materia nutritiva passi allo stato di sangue; e se l'assimi lazione avvenga per la sola opera degli organi dello stomaco, o per la interven zione del sangue, son questi di quegli ultimi segreti della natura che fermano il passo agl'investigatori. V. Assimila zione, Sangue. CIRcosTANZA (disc. ), particolarità che accompagna un fatto; evento, o vicissitudine d'un fatto; congiuntura di luogo e di tempo, ca pace di modificare un'azione; occasione, o opportunità di fare o di non fare; suggetto incidente del discorso o d'una narrazione qualunque. È un vocabolo non solamente di ampio e generico significato, ma è di quelli, che sono in ogni lingua necessari, perchè senza avere un significato primitivamente proprio, son capaci di ricevere tutti i sensi, che il bisogno del discorso richiede. I Greci davano al vocabolo repszois gli stessi significati. I Latini cominciarono ad usarne nella seconda età della loro lingua, cioè da Seneca e da Quintiliano in poi. Le lingue moderne ne hanno anche più de' Greci ampliato l'uso. E siccome tutti i nomi possono essere ridotti a due sommi generi, a quelli cioè che esprimono la sostanza o il modo, così v'ha di vocaboli suppletivi dell'uno e dell'altro. Laonde adat tiamo le voci cosa, obbietto, subbietto, principale, assoluto alle sostanze; e le altre circostanza, accidente, ineidente, accessorio, relativo, a modi. V. queste V0C1, – 599 – CLEMENZA (prat.), temperanza nel fare uso della potestà di punire; o benignità del superiore verso l'infe riore nello stabilire la pena; o inclinazione alla indulgenza nell'esi gere la pena; o diminuzione della giusta e debita pena. Son tutte definizioni proposte da Seneca me suoi libri de clementia. Il significato ricevuto di cotesto vocabolo è di virtù, la quale muove il superiore a perdonare i falli, o a mitigare le pene. È proprio della divina bontà, dacchè in Dio eminentemente risiede la potestà di punire efficacemente, e di pienamente perdonare. Per similitudine si applica alle potestà umane, delle quali le virtù proprie sono la giustizia e l'equità. V. queste voci. CoGNIzIoNE P. I. pag. 89 col 2 (spec.), leggi, (crit. e spec.). CoLoRE , P. I. pag. 91 col. 2 v. 4 dalla luce reflessa, leggi, dalla luce refratta. V. Luce. CoMENTARIo e CoMMENTARIO (crit.), li bro in cui per memoria scrivonsi i fatti e gli avvenimenti propri o gli altrui, nell'or dine nel quale sono naturalmente avvenuti. Secondo la maggiore o minore estensione che ad essi si dà, e secondo il tempo in cui sono scritti, prendono il nome di giornali, di annali, o di cronache. V. queste voci. CoMENTo (dise. ), esposizione, o illu strazione del proprio o dell'altrui scritto. CoMETA ( spec.), corpo celeste, che partecipa della natura del pianeti, per ri spetto alle leggi del suo moto, ma da quelli differisce per le fisiche apparenze. Siccome questa spezie di erranti stelle apparisce quasi sempre nel cielo, accom pagnata da uno strascico di luce, che ge neralmente è opposto al sole; così presero esse il nome di astri chiomati dalla voce greca zopan, che vuol dire chioma; e fu ron distinte in chiomate, caudate, bar bute, secondo l'aspetto e la direzione di versa, che presenta quella appendice di luce, veduta dalla terra. Le comete descrivono orbite allungatis sime intorno al sole, ond'è che le loro rivoluzioni abbracciano frequentemente un grande numero di anni e talvolta di se coli, e non sono a noi visibili, se non quando percorrono la parte della loro or bita più vicina al sole e alla terra. Gli antichi conobbero soltanto le comete brillanti, dotate di una certa grandezza; ma il telescopio ha fatto scoprire un gran de numero di simili corpi, i quali, senza l'aiuto del cennato istrumento, per l'ap parente picciolezza della loro mole, per la rapidità del moto, e per la enorme loro distanza, sarebbero rimasi per sempre inosservati ed ignorati. E prima di tali scoverte, alle quali è dovuta ancora la conoscenza e il calcolo del moto delle co mete, l'improvvisa loro apparizione, e la singolarità dell'aspetto e della forma, sºtto la quale erano dalla terra osservate, le facevano risguardare come un suggetto di spavento, apportator di sciagure e di generali calamità. Il progresso delle scienze astronomiche, avendo dimostrato, che i fenomeni delle comete son ancor essi re golati da leggi costanti della natura, ha dissipato i timori della credulità, e del l'ignoranza. Ciò non ostante, sebbene la scienza sia pervenuta a tal grado, che può seguire negli spazi sterminati dell'universo il cam – 600 – mino di questi corpi singolari, determinare le curve delle loro orbite e predire l'epoca in cui di nuovo rappariranno ; pur tutta volta è molto ancora quel che ignoriamo, e che forse per sempre ignoreremo, al meno per quel che dee rimanere nascoso nel mistero della creazione. Delle comete talune ci appariscono come masse compatte simili alla terra, e talune altre, come semplici vapori luminosi, più o meno addensati, secondo la diversa loro distanza dal sole; i quali vapori quantun due non dimostrino verun indizio di soli dità, pure percorrono, senza dissiparsi, una immensa carriera. Doppio è l'obbietto che l'astronomia si prefigge per rispetto alle comete: stabilire la teorica matema tica delle leggi che ne regolano il moto: investigare la natura di questi astri per la spiegazione delle loro apparenze. Lasciamo alla storia dell'astronomia l'esposizione delle congetture e delle ipotesi, nelle quali si è andato per secoli vagando intorno al moto delle comete. La varietà de sistemi, che erano in queste ipotesi fondate, dipendeva principalmente da una quistione assorbente, circa la quale furon divise le opinioni, prima degli antichi e poi de moderni. Le comete sono astri di nuova generazione, ovvero opere perma nenti della natura ? son meteore e false apparenze, o corpi, della natura stessa de pianeti? Aristotele fu antesignano della prima opinione; Pitagora ed Apollonio di Minda della seconda. È memorabile intorno a tale quistione la sentenza di Seneca: Ego nostris non assentior; non enim eacisti mo cometen subitaneum ignem, sed inter aeterna opera naturae ( natur. quaest. lib. VII. Cap. 22). Quantunque fosse manifesto, che quel che lungamente dura non può dirsi una semplice apparenza, e che i cangiamenti in grandezza ed in luce, a quali son sog gette le comete, avvengono gradatamente e secondo le leggi delle distanze, e per conseguente derivano da cause permanenti; pur tutta volta l'opinione di Aristotele pre valse non solamente nel tempo della fisica peripatetica; ma rinacque di poi anche tra i moderni astronomi di più grande ce lebrità, tra quali Keplero, Ticone Brahe, ed altri dopo di loro. Scoverte le leggi del moto, alle quali le comete, al pari degli altri pianeti obbediscono, manife sta è divenuta la loro permanenza nello spazio. Quanto poi alla essenza e natura di questi corpi, la scienza si limita a ben conoscerne le apparenze e a dedurre da queste quelle congetture che l'analogia col le altre leggi fisiche rende più verisimi li. Le apparenze delle comete, osservate col telescopio, ci presentano una massa di vapori, i quali formano una nebulo sità, o sia una testa larga e luminosa, imperfettamente circoscritta. Nel centro della testa distinguesi un nucleo o disco, di cui il contorno suol essere più o men determinato, e che forma la parte più brillante e più densa della cometa. La ne bulosità che avvolge il nucleo, se si estende più da un canto che dall'altro, prende il nome di capigliatura o di barba, e se forma uno strascico di luce, più o meno lungo e diffuso, dicesi coda. Ma ve n'ha di quelle, che sebbene mostrino una coda brillante, son prive di nucleo; e nelle telescopiche, che son più numerose delle altre, veder si suole una nebulosità senza disco e senza coda. In generale le comete assumono la coda nell'avvicinarsi al sole, al quale son sempre opposte nella direzio ne, potendo dirsi massima la lunghezza e lo splendore loro alquanto dopo il pas - 601 – saggio che han fatto al perielio. Da que ste e da molte altre delle apparenze, non che da numerosi accidenti, che diversifi cano e distinguono una cometa dall'altra, l'astronomia non può sinora dir altro sul la natura loro, se non che la sostanza di cui son composte, la testa e la coda delle comete sono di una estrema tenui tà, dapoichè a traverso di questa materia veggonsi le più picciole stelle; che i loro nuclei sembrano essere della medesima so stanza, comechè in alcune sia sembrato vedere qualche cosa di solido. Adunque la costituzione fisica di questi astri, i loro interni cangiamenti e la natura della loro luce formano la parte congetturale e incerta della dottrina delle comete, nella quale non abbiam di molto superato gli antichi. Non così delle leggi del moto loro. La rinomata cometa del 168o porse a Newton l'opportunità di verificare la sua orbita, la quale fu una curva ellittica descritta in torno al sole, come al suo fuoco, così eccentrico, da non potersi distinguere da una parabola. Da quel tempo cominciò a tenersi per dimostrato, che il moto delle comete sia regolato dalle stesse leggi ge nerali, che regolano il moto degli altri pianeti, da quali non differiscono, se non per l'eccessivo allungamento delle loro cur ve ellittiche, e per la differenza dell'incli nazione delle loro orbite sopra l'eclittica. La scoverta di Newton ha formato il fon damento della teorica del moto delle co mete, seguita da tutti gli astronomi del XVIII e XIX secolo, come Halley, Clai rault, Eulero, Lagrange, Laplace, Le gendre, Gauss, Lambert, Olbers, Delam bre, Encke ed altri. A nostri giorni la gran cometa del 1843 , visibile in pieno meriggio ad occhio nudo, è tra tutte le altre quella che si è più avvicinata al sole, e ha somministrato agli astronomi largo campo di osservazioni, di calcoli, e di probabili congetture; intorno a che vedi gli stessi astronomi. Vuolsi intanto quì notare, che oltre alle comete, che noi co nosciamo come periodiche, ve n'ha delle altre che risguardiamo come accidentali, forse perchè il giro loro si compie in un numero di secoli, che si sottrae alle uma ne osservazioni, e forse ancora perchè la rapidità del loro moto non permette di de terminare la natura delle loro orbite nel breve tempo in cui esse sono verso il pe rielio. Ma ve n'ha verisimilmente un nu mero incalcolabile di quelle che per la loro picciolezza, che vuol dire lontananza dalla terra, o per altri impedimenti atmo sferici si sottraggono alle nostre osserva zioni. Dal numero delle comete sinora ap parse, e dalla loro ricorrenza taluni dei moderni astronomi hanno congetturato, che le comete sieno uniformemente distri buite nello spazio. Tra questi un illustre astronomo vivente ha supposto, che trenta di esse avendo il loro perielio al di qua dell'orbita di Mercurio, il numero di quel le il cui perielio è al di qua dell'orbita di Urano, debbe stare al numero di 3o come il cubo del raggio dell'orbita di Urano sta al cubo del raggio di Mercurio, il che porterebbe l'intero numero delle co mete a 3,529,47o. Ma questo numero per grande che sia potrebbe, a giudizio dello stesso autore, essere addoppiato, perchè la luce del giorno, le nebbie e una grande declinazione a mezzogiorno, possono far sì che una cometa sopra due sfugga alla no stra vista. Laonde il cennato astronome va luta a più di sette milioni il numero delle comete, che frequentano le orbite planeta rie. Velocissimo diviene il loro corso allor chè avvicinansi al perielio. Gli astronomi 76 – 602 – i quali han calcolato le loro velocità, ci di cono, che il quadrato di questo è eguale a due volte il quadrato della velocità d'un corpo che si movesse in un circolo alla medesima distanza, dal che nasce la breve dimora, che le comete fanno nelle orbite planetarie. La cometa del 1843 ha con fermato una tal verità, essendo stata la sua velocità calcolata al momento del pe rielio a ragione di Io, leghe di quattro mila metri per ogni minuto secondo, vale a dire quindici volte maggiore di quella della terra nella sua orbita, e 74o volte minore della velocità della luce. Traspor tiamoci colla immaginazione in mezzo al l'immenso spazio de'cieli, e facciamoci spettatori del moto di tanti mondi, che l'occhio non può numerare, nè raggiu gnere nella celerità del loro corso. Con sideriamo il meccanismo delle forze, per lo quale ciascuno si mantiene nella sua orbita, e segue quelle leggi di moto, che il grande geometra dell'universo ha loro prescritto. L'infinito si apre alla nostra mente, l'intelligenza suprema ci si mostra in tutto il suo splendore; e l'uomo, che può abbracciare col pensiero quel che i sensi non possono in alcun modo percepire, riconosce essere il solo tra le creature visi bili a se note, che il divino Fattore ha, non solamente invitato alla contemplazione dell'immenso sistema della creazione, ma renduto capace della nozione dell'infinito. L'astronomia dunque è la scienza che più dirittamente conduce l'uomo alla cogni zione di Dio e degli attributi suoi. Se è così, l'ateismo razionale, è un errore im possibile tra gli astronomi. V. Astronomia. CoMMERCIo. V. Industria. CoMPARATo (crit.), nome dato alla no tomia del corpo umano e degli animali bruti, per desumere le somiglianze e le dissomiglianze che distinguono le loro spe zie, e per formare una compiuta cogni zione del general disegno dell'Autor della natura nella formazione degli Esseri or ganici, dotati di vita e di sentimento. Visibili, anzi manifesti sono i tratti di somiglianza, che noi scorgiamo nella strut tura degli animali, e nelle stesse modifi cazioni che ne distinguono le spezie, da poichè ognuna di queste ha un fine im mediato, che la condizione stessa di cia scuno animale rende manifesto. Noi po tremmo scegliere ogni parte ed ogni or gano degli animali per dimostrare le so miglianze, le modificazioni, e l'unità del disegno che le ha dirette. Il sangue, la pelle, le diverse coverture, delle quali son rivestite quelle spezie che viver deb bono nell'aria o nell'acqua, la bocca, il condotto degli alimenti, i polmoni, gl'in testini, gli organi del sensi, del moto , della generazione, portan con essi la ra gion sufficiente di quel che è stato dato a tutti in comune, e a ciascuno in particolare. Ma il nostro scopo non comporta se non un'analisi ed un prospetto generale, dal quale evidente apparisca la verità, che ab biamo testè enunciato. E però riduciamo tali considerazioni sotto le due principali voci, articolazione e organismo. V. queste voci. CoMPARAzioNE P. I. pag. 92 col. 1 v. 6 È il fondamento, leggi, E' una delle origini. – col. 2 in fine dell'articolo, aggiugni: V. Relazione. - CoMPREssiem.E e CoMPREssIBILITÀ (spec.), disposizione de corpi a scemar di volume, mediante la pressione, senza che ne sce mi la massa. V. Volume. - 605 – I corpi naturali tutti, son più o meno compressibili, dapoichè non si dà una perfetta adesione nelle molecule della ma teria; quantunque dicansi incompressibili taluni corpi, che non possono soffrirne se non una leggiera e poco sensibile. I corpi più compressibili sono l'aria e i gassi, siccome dimostrasi per lo speri mento d'una vescica ripiena dell'una o degli altri: la vescica compressa fa dimi nuire di volume il fluido aeriforme in quella compreso, il quale fluido reagisce sulle pareti della vescica per la sua ela sticità, e quando la pressione è cessata, ricupera il primiero volume. V. Aria , Elasticità, Gas. CoMPARATA P.I. pag 92 col. 1, aggiu gni, V. Comparato e Motomia. CoNCEZIONE P. I. pag. 95 col. 2, aggiu gni, (spec. e crit.). CoNcHIGLIA (spec.), involucro duro cal careo, destinato a custodire il corpo dei molluschi. V. questa voce. CoNCHILIoLoGIA (crit.), parte della zoo logia, la quale ordina i molluschi testa cei in classi, sottoclassi, famiglie, sotto famiglie, generi e spezie. Quantunque si soglia oggidì denominare malacologia, pur tutta volta cotesto nuo vo nome è stato introdotto per ampliare l'antico, il quale propriamente comprende i soli animali molli, coverti da nicchio. V. Malacologia. Altra volta la conchiliologia formava uno studio di curiosità e diletto per gli amatori della storia naturale. Maggiore importanza ha ora acquistato per lo lume che le conchiglie fossili spandono sopra la geologia; dapoichè per esse, e sopra tutto per quelle che appartengono a spe zie, le quali non vivono più nel nostri mari, si acquistan dati per determinare l'età de vari strati di terra, in cui tro vansi rinchiuse. V. Fossile, Geologia. CoNCIONE (disc.), orazione o discorso tenuto ad un popolo ragunato, o a nu merOSO Senato. CoNCUPisciBILE P. I. pag. 96 col. 2 v. 2 dalla inclinazione, leggi, della inclina 22072e. ConroRTAMENTo e CoNroRto (prat.), ra gionamento, e parole piacevoli dette per alleggerire il dolore altrui. V. Dolore. CoNFUTAZIONE (dise. ), discorso per lo quale cercasi di abbattere la sentenza al trui, o di ribattere le obbiezioni fatte alla propria. CoNIUGAzioNE P. I. pag. 99 col. 1 v. 2 l'ordinata partizione, leggi, l'ordinata partizione per modi e per tempi. CoNosCENZA P.I. pag. 99 col. 2, aggiu gni, (spec. e crit.). CoNTINGENTE P.I. pag. 1o2 col. 2 (ontol.), leggi, (ontol e spec.). CoNTRAPPosro (disc.), termine che ha tale relazione con un altro, che inteso quello debbesi ancora intender questo, o che tolto l'uno, resta necessariamente incluso l'altro. I logici distinguono quattro sorte di vo caboli contrapposti: 1.º i semplici relativi, come padre, figlio, padrone, servo. r – 604 - 2.º i contrari, come caldo, freddo, sano, infermo. 3.º i privativi, come vita, morte, vie sta, cecità, scienza, ignoranza. 4.º i contraddittori, i quali nascono da una semplice negazione, come esi stere e non esistere, vedere e non ve dere, e simili. V. Relazione. CoNTRARIETÀ P. I. pag. Io5 col. 1 (disc.), leggi, (dise. e prat.). CoNvizIoNE P. I. pag. Io6 col. 1 v. 3 che è accompagnato, leggi, accompagnato. CoRoidE (spec.), tunica dell'occhio, in cui è posta la pupilla. V. Occhio. CoRRIvo (prat.), qualità d'uomo faci le per inconsideratezza a credere, a con tentarsi, o a fare. - CoRRUCCIo (prat.), il sentimento della collera, manifestato col fatti o colle parole. CosA P.I. pag. 11o col. 1 (spec. e dise.), leggi, (spec. ontol. e disc.). CosMoLoGIA P.I. pag. 113 col. 1 (crit.), leggi, (ontol. e crit.). CosTELLAzioNE (spec.), adunanza di va rie stelle circonvicine, che son considerate dall'osservatore per la loro somiglianza ad una qualche nota figura, come di anima le, o di altro segno. V. Stella. È antichissima l'usanza di così dividere e denominare i vari gruppi delle stelle, siccome apparisce dal libro di Giobbe, che fa menzione di Orione e delle Pleiadi. CotilEDONE (spec.), foglia seminale, che trovasi nell'embrione o nel germe d'ogni albero o pianta. V. queste voci. Il germe d'ogni pianta ha una interna forma, composta d'una radichetta (radi cula), di un fusto detto piumetta (gem mula plumula), e di una o più picciole foglie, dette cotiledoni. Sebbene i cotiledoni abbiano apparen temente la forma di corpi carnosi, pur tuttavolta non sono in realtà che le pri me foglie della pianta, di cui l'embrione è nel seme. Da essi i moderni botanici han preso i caratteri per la classificazione degli alberi e delle piante. L'esistenza del l'embrione della pianta nel seme, è un de fatti, ne quali è fondata la dottrina della preformazione di tutti i germi con tenuti nelle uova e ne'semi. V. Albero, Embrione, Evoluzione, Preformazione, -Seme, Uovo. CREDULITÀ e CREDULo (prat.), qualità d'uomo facile al credere. Prendesi, propriamente parlando, in mala parte, onde ne facciamo una qua lità del volgo e degl'ignoranti. CRISTALLIzzAzIONE (spec.), la riunione, secondo le leggi dell'attrazione, delle mo lecule di una sostanza inorganica, le quali trovansi già disciolte in un fluido, per vir tù della quale riunione prendono la forma di un poliedro geometrico, detta cristallo. V. Attrazione, Cristallo. Si hanno cristalli dalla natura, che l'arte ha in diversi modi imitato, cioè per solu zione fluida, per fusione, e per sublima zione. Si riducono in cristalli i sali più o meno solubili, sciogliendoli nell'acqua, concentrando convenientemente la soluzio ne, e abbandonandola a se stessa. Si fan no cristallizzare i metalli, lo zolfo, ec. fon – 605 - dendoli, e curando che si raffreddino len tamente. Lo stesso puossi ottenere dalle so stanze volatili, riscaldandole in vasi chiusi per raccogliere i cristalli, che colla subli mazione si attaccano alla parte superiore dello apparecchio. Qualora non concorra alcuna delle suddette circostanze, o che (per esempio) non sia concentrata alla giusta misura la soluzione, o che il gioco dell'attrazione sia disturbato, o che le so stanze fuse non si lascino raffreddare tran quillamente, ec., la cristallizzazione risul terà disfigurata. È presumibile che lo stesso avvenga nel le operazioni della natura, di cui i corpi inorganici, o presentano depoliedri, ter minati per lo più da faccette piane, nel quale caso diconsi forme regolari o cri stalli, o pure configurazioni di ogni sor ta, arrotondite e irregolarmente angolari, le quali chiamansi forme irregolari. CRISTALLo (spec.), nome comune a tut te le forme poliedriche, che presentano i corpi inorganici, di cui le molecule ten dono a riunirsi simmetricamente sotto for me geometriche tutte le volte che possono cedere liberamente all'attrazione di coesione nel ridursi in masse solide. Le forme del cristalli variano secondo la diversa natura delle sostanze; il per chè son divenute uno de mezzi per rico noscerle, e lo studio loro forma una par te essenziale della mineralogia. V. que sta V0Ce. CRISTALLoGRAFIA (crit.), scienza nata dallo studio delle diverse forme del cri stalli, e delle leggi naturali della loro formazione. È una scienza ausiliaria della minera logia, e forma parte della così detta orit tognosia. Gli antichi non la conobbero, e considerarono i cristalli più come una varietà o un lusso della natura, che come la parte geometrica della materia inorga mica. Linneo fu il primo ad avvertire, che i cristalli dovessero essere risguardati come produzioni nascenti da leggi gene rali della natura, e come segni caratte ristici delle sostanze. Romè de l'Isle diede nel 1772 un saggio di cristallografia, misurò gli angoli del cristalli, riconobbe esser questi costanti in ogni spezie e in ogni varietà, e fece diverse ricerche in torno ad una forma primitiva, cui cre deva che si potessero ridurre le differenti forme relative ad ogni spezie. Bergmann versò particolarmente circa la struttura decristalli, e credette che questa risultasse dalla soprapposizione di lamine ad un nu cleo, per modo che le varietà delle for me dipendesse dal diverso modo della so prapposizione delle stesse lamine. Werner stabilì un sistema di cristallografia, pre supponendo sette forme primitive, dalle quali studiossi dedurre tutte le altre se condarie. Finalmente Haiy, profittando anche dei lavori del suoi predecessori, rendette siste matica la scienza della cristallografia; giac chè misurò esattamente gli angoli d'ogni forma, soggettò a calcolo le diverse com binazioni delle stesse forme, e credette dimostrare l'esistenza d'una forma primi tiva, dalla quale dipendevano le varietà della medesima spezie. Quantunque la ge neralità della forma primitiva sia da al tri impugnata, pure de'egli essere consi derato come il vero fondatore di questa nuova scienza. V. Migeralogia. CarrERio P. I. pag. 118 col. 1 (spee. e disc.), leggi, (spec. e crit.). - 606 – CRITToGAMIA (spec.), nome caratteri stico di quella ultima classe di vegetabili, che sono sprovveduti di organi visibili di riproduzione. È una classe stabilita da Linneo, il quale avendo fondato il suo sistema sui caratteri del sesso delle piante, chiamò occulte nozze quella generazione che non conoscesi per quali mezzi e per quali or. gani si formi. Tali sono le piante che mancano apparentemente di stami e di pistillo, come le felci, i muschi, le al ghe, e i licheni. Mutato da Jussieu il sistema di Linneo, avendo egli lasciato i caratteri del sesso, e preso quello delle foglie, o sia del co tiledoni, quella classe di piante che pri ma dicevansi crittogame, furon denomi nate cotiledonie. V. Cotiledone. CRITTocRAFIA (disc.), l'arte di scrivere in cifre, o con qualunque segno conve nuto, o con qualunque inchiostro, che nasconda i caratteri, i quali non diven gono visibili, se non per virtù d'un qual che reagente. È un'arte antica tanto, quanto l'è la civil società, perchè nasce dal bisogno delle co municazioni confidenziali. I suoi elementi sono innumerevoli come i segni, a quali può darsi qualsivoglia significato.V. Segno. CRONACA e CRONICA (crit.), narrazione de fatti, scritti nell'ordine del tempi nei quali sono avvenuti. Differisce di poco dagli annali; se non se la cronaca è propria di quei tempi d'ignoranza, ne'quali la generalità ignora e disprezza le lettere, e pochi danno opera a conservare la ricordanza delle cose che intervengono sotto gli occhi loro. V. An nali, Storia. CUPIDIGIA P.I. pag. 12o col. 2 infine, aggiugni. Gli stoici ne fecero uno de'quattro ge neri delle passioni, e gli diedero per sue spezie subordinate l'ira, l'odio, l'inimi cizia, l'avidità, ma cotesta loro dottrina fu fondata nella sola definizione del voca bolo latino cupiditas, e non nella natura ed origine delle passioni. V. questa voce, Pag. 125, 125. Togliere da vocaboli ontologici, calorico. Aggiugnere a medesimi, caologia, cosa, cosmologia. a quelli della filosofia speculativa, causa, causalità, concezione, conoscenza, contingente: a quelli della filosofia eritica, cognizione, concezione, conoscenza, criterio. Togliere da medesimi, cielo. Aggiugnere a quelli della filosofia pratica, contrarietà. – 607 - D Drrociere (prat.) P. I. pag. 127 col. 1. v. 21 che ragionano e operano, leggi, che giudicano e operano. Debolezza (prat.), difetto di forze fisi che, che si trasporta alle intellettuali e alle morali. DECLAMAToRE (disc.), chi per esercizio, o per professione esercita l'arte declamatoria. Prendesi in buona ed in cattiva parte, secondo i vari significati che dassi alla voce declamazione. Cicerone distinse l'un significato dall'altro in quel luogo: Mon declamatorem aliquem de ludo, autra bulam de foro, sed doctissimum et per fectissimum quaerimus. ( Cic. in Orat. C. XV.). DECLAMAZIONE (disc.), discorso, poe ma, o dramma ad alta voce recitato, o per esercizio di eloquenza, o per istruire, o dilettare una publica adunanza. Vuolsi distinguere la declamazione ora toria, dalla poetica, e dalla drammatica. Quanto all'oratoria, gli antichi davano a questo vocabolo per suo significato pro prio la esercitazione, che i giovani face vano presso i retori, onde acquistare l'eloquenza; ovvero la pruova del discorso, che gli stessi oratori facevano nelle do mestiche pareti, per prepararsi ad una publica arringa. E però Quintiliano defi misce la declamazione, forensium actio num meditatio. Considerata dunque la declamazione come studio o come abito, è una parte dell'arte oratoria, e propria mente quella che risguarda la modula zione della voce, e il gesto, o sia quel linguaggio d'azione col quale de essere accompagnata la naturale espressione della parola. In fatti gli antichi retori solevan chiamare l'arte del declamare eloquenza esteriore. V. Eloquenza, Oratoria. La declamazione poetica e la dramma tica differiscono dall'oratoria, in quanto che la prima di quelle due de essere adat tata alla diversa natura del sentimento espresso dalla poesia ; e la seconda, al sentimento e all'azione insieme. Del re sto le tre divisate spezie di declamazioni hanno talune regole comuni, e son tutte tre fondate in un ovvio principio di ra gione, cioè che in ogni discorso, anche familiare, la voce prende quelle naturali intonazioni ed inflessioni, che la qualità del suggetto e la propria maniera di sen tire gli suggeriscono. Il piacere, il dolo re, la preghiera, l'ira hanno ciascuna i propri modi, che non potrebbero scam biarsi senza rendere ridicolo colui che si dolesse ridendo, o che annunziar volesse il piacere colle esterne forme della tri stezza. Ora nella poesia e nel dramma la natura diviene arte, dacchè bisogna tra sportare il naturale all'ideale, o sia il linguaggio naturale a quello delle pas sioni e della imitazione. In quello dee il declamatore comporre il tuono le in flessioni della voce e il moto della figura al sentimento che i versi del poeta espri mono; in questo debbe investirsi del ca rattere e delle passioni del personaggio che rappresenta. Nell'uno e nell'altro ge nere dee mostrare di sentire quel che dice. DEDoTro P.I. pag. 128 (spec.), leggi, (spec. e disc.). - 608 - DEDUZIONE ibid. (disc.), leggi, (spec. e disc.). DEFoRME P. I. pag. 13o col. 2 (spec.), leggi, (spec. e prat.). DEGNAZIONE P. I. pag. 131 col. 1 v. 11 di mostrata, da chi, leggi, dimostrata da chi. DELIBERAZIONE P.I. pag. 132 col. 1 (spec.), leggi, (spec. e prat.). DELICATEzzA ibid. (prat.), leggi, (prat. e spec.). DERIvAzIoNE (spec.), l'operazione del l'intelletto o del ragionamento, per la quale da una verità già nota si passa alla conoscenza d'un'altra. Nell'algebra dassi questo nome a quel la operazione, per cui le quantità son pro dotte o derivate da altre, impiegando un metodo o procedimento uniforme. Calcolo delle derivazioni fu detto un nuovo tro vato algebraico, fondato nella dipendenza reciproca del coefficienti delle serie, da essere sostituito al calcolo differenziale, e tale che dispensasse da ogni considera zione degl'infinitesimali. Ma i matematici han dimostrato, esser questo un metodo indiretto, che può nelle applicazioni es sere sostituito al calcolo differenziale, ma che non può essere al medesimo parago mato, nè può senza di quello essere conce pito; che anzi i prodotti del cennato cal colo possono essere ottenuti in un modo più semplice e diretto, per mezzo del diffe renziale. V. Differenziale, Infinitesimale, DIAFRAMMA (spec.), muscolo di figura ovale irregolare, che divide la cavità del petto dall'addomine. La sua figura è formata da una super ficie convessa dalla parte del petto, e con cava verso l'addomine: ha una porzione centrale tendinosa, in cui è una larga apertura, e per questa passano la vena cava inferiore e due altre vene inferiori, attraversate dalla vena diaframmatica, e dalle due vene sovraepatiche. In un senso più generico lo stesso voca bolo si adatta a qualunque tramezzo, posto traversalmente nell'interno d'un cilindro, per interrompere più o meno la comunica zione tra le due parti di esso; il quale signi ficato è comune tanto a tramezzi naturali posti in altre parti del corpo animale, quan to agli artifiziali adoperati dalla meccanica. DIALETTICA P. I. pag. 136 col. 2 v. 8 discorso, che l'oratore amplia, leggi, discorso, che l'oratore amplia. DIAsToLE (spec.), la dilatazione del cuore e delle arterie, la quale favorisce l'entrata del sangue, ed alterna col contrario moto di contrazione, detto sistole.V. questa voce. DIMOSTRATIvo P.I. pag. 141 col. 1 (disc.). leggi, (disc. e spec.). Dio P. I. pag. 143 col. 2 in fine, dov'è detto, queste due fonti della cognizione di Dio corrispondono a due principi uni versali di dimostrazione, a priori l'uno, e a posteriori l'altro, leggi così : queste due fonti della cognizione di Dio corrispondono entrambe alla dimostrazione della esistenza di Dio a posteriori, diversa da quella detta a priori, DIrricoLTÀ (spec. disc. e prat.), dub bio, o impedimento a formare un giudi zio, o ad esporre chiaramente un pensiero. È l'idea astratta del difficile, o sia del contrapposto del facile, la quale egual mente si applica alle opere dell'intelletto e a quelle della volontà. E quanto alle – 609 – opere dell'intelletto, queste comprendono tanto il concepire, quanto il ragionare e l'esprimere con chiarezza le idee concepite. Poche sono le operazioni speculative del la mente, pochi i discorsi, pochi i porta menti della vita, che non iscontrino qual che difficoltà. Ciò nasce dalla limitata na tura del sensi e della umana intelligenza; d'onde viene la distinzione tra le invinci bili e le vincibili difficoltà. L'ignoranza stessa e l'errore sono difficoltà che c'in tercettano il cammino alla conoscenza del vero, o che ci fan deviare dal retto sen tiero della vita. In generale, invincibili son quelle difficoltà che nascono da limiti dell'umana costituzione; vincibili tutte le altre che possono essere rischiarate e di, leguate mediante la riflessione, e coll'aiuto della scienza e dell'abito del bene oprare. V. Abito, Errore, Ignoranza, Scienza. DiFroRME (spec. e dise.), quel che è dissi mile per le esterne apparenze, o per lo molo. È un contrapposto dell'uniforme. V. que sta VOCe. La lingua italiana gli dà un doppio si gnificato, quello cioè del diverso o diffe rente, e l'altro di deforme, che propria mente vuol dire mostruoso, o singolarmente brutto. Cotesta estensione di significato na sce dalla etimologia del vocabolo e dall'af. finità del due significati. Ma avendo due voci, le quali per un lieve cangiamento d'ortografia esprimono, ciascuna un si gnificato a se proprio, perchè privarsi di tal vantaggio, ammettendo una promiscui. tà, che genera l'ambiguità. V. Deforme, DisAccoNcio (prat.), negazione dell'ac, concio. V. questa voce. DisAtteNzIONE (spec.), volontario di fetto di attenzione, di cui è contrapposto. V. Attenzione, DisAvvEDIMENTo (spec. e prat.), man canza del comune e ordinario accorgimen to, per difetto di età o di riflessione. V. que Sta VOce. DisAvvEDUTEzzA (prat.), mancanza di riflessione nell'operare. DiscoRDANzAP. I, pag. 147 col. 1 (prat.), leggi, (prat. e disc.). DiscoRDARÈ ibid., (spee, e disc.), leggi, (disc. e prat.). DiscREDERE ibid. (spec.), leggi, (spec e prat.). Discarrºzza pral.), moderazione nell'operare, suggerita dalla prudenza, e dalla co noscenza delle opportunità. V. questa voce. DISPARIscENTE P.I. pag. 149col. 2 (spec.), leggi, (spec. e disc.). DisPERAZIONE P. I, pag. 15ov.1 tristezza, che, leggi senza la virgola, tristezza che, DISPIACENZA P. I. pag. 15o col. 1 v. 3r sensitivo, o morale che sia, leggi, sen sitivo o morale che sia, DisTINZIONE P. I. pag. 154 col. I v. 21 proposizione, ohe, leggi senza la virgola, proposizione che. DrtroNco P. I. pag. 156 col. 2 v. 36 formano, leggi, formino. DivisiRILITÀ P. I. pag. 157 col. 2 (spee. e ontol.), leggi, (spec.). DivisioNE (disc.), la separazione delle parti d'un tutto. V. questa voce. Per similitudine l'applichiamo all'ordi mata distribuzione degli atti del pensiero e delle parti d'un discorso. I logici han chiamato divisione la separazione delle parti d'un tutto numerabile; e partizione, la separazione del complesso, o sia delle 77 - 610 - parti d'un tutto di ragione. Giusta una tale distinzione, avrebbero dovuto chiamare partizione la distribuzione delle spezie nei loro generi. Ciò non ostante l'han chia mata divisione, e ne hanno stabilito quat tro sorte: la prima, del genere nelle sue spezie: la seconda, del genere per le sue differenze: la terza del subbietto, per ri spetto a diversi accidenti, dequali è capa ce: la quarta dell'accidente, per rispetto al subbietto, cui si attacca. Gli esempi di ciascuna delle additate quattro maniere di divisione, sono: della prima, ogni so stanza è materia o spirito, della secon da, ogni linea è retta o curva, della terza, ogni stella è luminosa o per propria luce, o per luce reflessa, della quarta, v'ha de beni del corpo, e ve n'ha dello spirito. A ciascuna poi delle divisate quattro spezie di divisione, assegnarono i logici le regole, per apprender le quali conviene soggettare la mente ad una fatica mag gior di quella, che impiega per conce pire e per distinguere le dinotate diffe renze. A forza di dividere e di suddivi dere, col fine di trovare la chiarezza, ha detto un gran maestro dell'arte del parlare, si cade in quella confusione che volevasi evitare: confusum est quidquid in pulverem sectum est. V. Partizione. Dizionario P. I. pag. 157 col. 2 (crit. e dise.), leggi, (spec. e disc.). DoloRE P. I. pag. 164 col. 2 in fine dell'ultimo verso aggiugni. Più conveniente alla natura di questo sentimento, sembra il concepirlo come uno de due principi istintivi pe quali corriamo al bene, e fuggiamo il male. Così con siderati il piacere e il dolore, non pos sono essi trovar luogo tra le spezie delle passioni, ma sono sì bene i principi gene ratori di molte passioni, come dell'amore, dell'avversione, dell'ardire, del timore, e di altre a queste affini. V. Passione. DovERE P. I. pag. 164 col. 2 v. ult. legge, da cui, leggi, legge da cui, DoRMIRE. V. Sonno. DUBBIo P. I. pag. 165 col. 2 (spec.), leggi, (spec. e disc. ). DUREzzA P. I. pag. 167 col. 2 dopo il sesto verso, aggiugni: È una delle qualità dette primarie, che il senso del tatto avverte, e dalle quali acquistiamo la conoscenza e la convizione della esistenza della materia. V. Tatto. DUTT.Lirà (spec.), capacità di taluni corpi solidi di estendersi e di allungarsi più o men facilmente sotto la pressione o la percossa. V'ha de corpi duttili tanto a freddo, quanto a caldo, come molti metalli; ve m'ha di quelli che acquistano una tal qua lità mediante il calore solamente, come le resine e il vetro; ve n'ha finalmente di al tri, che diventan duttili per l'intervento d'un fluido, come l'argilla impastata coll'acqua, Pag. 169, 170 e 171. Aggiugnere a vocaboli della filosofia discorsiva i vocaboli dedotto, discordanza, dispariscenza, dubbio. A vocaboli della speculativa deduzione, delicatezza, dimostrativo, dizionario. Togliere da medesimi discordare, dispariscente. Aggiugnere a vocaboli della filosofia pratica deforme, deliberazione, discordare, discredere, dispariscente. Togliere da vocaboli della filosofia critica dizionario. – 611 – a E - º a v Ecarica (spec.), cerchio massimo della sfera celeste, il quale nasce dal pro lungamento del piano dell'orbita, che la Terra descrive intorno al sole col suo moto annuo: è il mezzo della fascia denominata zodiaco, e divide l'equatore ne punti equi noziali. Nel piano dell'ecclittica, o in molta prossimità di esso dee trovarsi la luna quando ecclissa il sole, o quando è da questo ecclissata, dal che prende origine la denominazione di ecclittica. Il piano di questa è inclinato sotto un angolo di circa ventitre gradi e mezzo sopra quello dell'equatore, d'onde nasce la varietà del le stagioni. V. Equatore, Sfera, Terra, Zodiaco. EDUcAzroNE P. I. pag. 175 col. 1 (prat.), leggi, (spec. crit. e prat.). EGUALE P. I. pag. 178 col. 2 (spec. ontol. disc. e prat.), leggi, (spec. disc. e prat.). - ELEMENTARE P. I. pag. 179 col. 2 (spec. e crit.), leggi, (spec.). ELEMENTo P. I. pag. 179 col. 2 (ontol. e spec.), leggi, (spec.). ELMINroLoGIA (crit.), parte della zoo logia che versa circa la descrizione e lo studio del vermi. Siccome la denominazione di verme si è data per lo passato ad animali di spe zie diverse; così l'obbietto della elminto logia da taluni si amplia, e da altri si restrigne. - V'ha chi lo limita a soli vermi intesti nali, detti entozoi, ma non essendo que sti i soli cui dassi il nome di vermi, non pare che cotanta restrizione possa essere accettata. V. Verme. EMBRIONE (spec.), la prima forma del l'animale, considerata per rispetto a vi vipari nello stato, in cui quello non è ancora in comunicazione co fluidi della madre, nè coll'atmosfera; e per rispetto agli ovipari, sinchè rimane nell'uovo. Ne vivipari mammiferi distinguesi l'em brione dal feto, che prende una tal de nominazione tostochè l'animal concepito comincia ad essere in comunicazione di fluidi colla madre, o sia quando v'ha tra essi comunione di circolazione. V. Feto. Cotesto passaggio nell'uomo avvenir suo le a tre mesi dal concepimento. Prima di questo tempo, il picciolo animale comin cia a formarsi senza veruna aderenza va scolare colla madre, essendo allora l'em brione nutrito dalla vescichetta, detta om bilicale, la quale prende le prime mole cule della sua forma da fluidi stessi della matrice, di che vedi i fisiologi. Embrione nelle piante è la picciola for ma della pianta stessa, contenuta nel seme. Ogni seme è composto di due parti, d'una mandorla e delle tuniche seminali. Nella mandorla sta l'embrione il quale racchiude gli elementi della nuova pianta, simile a quella da cui è stata prodotta; Una delle sue estremità, detta radicina (radicula) è l'elemento delle radici: un'al tra opposta estremità, detta piumicina (plumula, o gemmula) contiene il rudi mento del tronco o fusto della pianta: un º - 612 - colletto o nodo tra quella e questa con tiene i cotiledoni, o foglie seminali. V. Co tiledone. L'analogia suggerì a filosofi speculativi il concetto, che nelle uova degli animali dovessero trovarsi le stesse parti costitu tive organiche, che trovansi ne semi delle piante; ma il germe immediato degli ani mali sta nel fluido e quel delle piante nel solido. Per appianare una tal difficoltà, si è ricorso alle parti infinitesimali, e si è chiamato organico il fluido che da pri ma le conteneva. Sopra tale generico con cetto fu fondato il sistema della preforma zione. V. questa voce. EMINENTE (spec. e ontol.), quel che è virtualmente compreso nella natura d'una C0Sa. In questo senso adoperollo Cartesio in quel suo famoso principio della verità del le idee. « Ogn'idea, diss'egli, aver dee nella sua causa efficiente tanta realità for male o eminente, quanta è la realità ob biettiva della idea medesima ». Cotesto principio, come ognun vede, non è che una estensione dell'altro : ogn'idea dee nascere da una causa; tra perchè l'effetto stesso dimostra la realità della causa, e perchè nulla può essere prodotto dal nul. la. Da tal concetto fece Cartesio nascere tre sorte di realità, la formale, l'obbiet tiva e l'eminente. La realità formale d'una idea sta nella causa che la produce; l'ob biettiva, nella rappresentazione che in me se ne forma ; e l'eminente, nella virtù che la causa stessa tramanda per farla dalla mente concepire. Da una sì sottile divisione della idea volle egli far nascere la dimostrazione a priori della esistenza di Dio; dapoichè potendo tutte le conce zioni dell'intelletto umano essere ridotte a tre classi generali, l'idea di se medesi mo, l'idea delle cose esteriori, e l'idea di Dio, della prima, l'uomo trova in se stesso la causa formale e una realità ob biettiva alla medesima eguale ; della se conda, può anche in se trovare la causa formale, sebbene non tanto chiara quanto della prima; della terza non può trovare in se la causa formale, perchè « quan tunque, egli dice, io trovi in me l'idea d'una sostanza, pure essendo io una so stanza finita, non potrei avere l'idea d'una sostanza infinita; ond'è che una tale idea è stata messa in me da un'altra causa che è fuori di me, e questa è Dio stesso: di qua la necessaria conseguenza che Dio esi ste ». V. Dio, Esistenza. ENTIMEMA P. I. pag. 186 col. 1 v. 31 perdere an passim, leggi, perdere an possim. EPAGoG.co (grec. sup.), vale induttivo. V. questa voce. EPIGENESI (spec.), la dottrina della suc cessiva formazione degli Esseri organici, prodotta per soprapposizione di parti. È il nome dato ad una delle due ipo tesi, per le quali i fisiologi han preteso spiegare il mistero della generazione. I fautori di questa ipotesi suppongono che i germi degli Esseri organici trovansi sparsi per tutta la natura, e vengono a svilup parsi, quando si combinano colle matrici o forme animali, atte a ritenergli e a fe condargli: i seguaci dell'altra per l'oppo sito affermano che i germi del corpi or ganici d'una medesima spezie trovansi, sin dalla primitiva loro formazione, rin chiusi gli uni negli altri, e successiva mente sviluppansi per mezzo della gene – 615 – razione. Il principale argomento, nel qua le è fondata la seconda ipotesi (detta d'in cassamento o di evoluzione), è la preesi stenza dell'embrione già formato nell'uovo e nel seme delle piante. V. Evoluzione, Uovo. EQUATORE (spec.), cerchio massimo della sfera terrestre, perdendicolare all'asse di rotazione. Divide la Terra in due parti eguali o sia in due emisferi denominati boreale e australe, o settentrionale e meridionale. Prolungato nel cielo, vi determina l'equatore celeste, il quale è inclinato all'ec clittica, divide l'orizzonte in due punti detti oriente e occidente, ed è diviso dal lo stesso in due parti eguali; il perchè gli astri pe'quali passa restano per un tempo egualmente lungo sopra e sotto dell'oriz zonte. V. Astro, Ecclittica, Orizzonte, Sfera. SRBA (spec.), la pianta di spontanea produzione della terra, o di coltura, il cui stelo perisce dopo una breve vegeta zione. V. Pianta. I botanici distinguono le erbe annue, le biennali e le perenni, delle quali gli steli, sebbene rimangano distrutti dopo di avere in ogni anno fruttificato, riprodu consi nell'anno seguente dalle radici e dal la ceppaia, che si conservano sotto terra. ERMAFRoDito (spec.), animale fornito de due sessi. È un sinonimo dell'altro vocabolo greco androgino. A rispetto dell'uomo, e di tutti gli animali vertebrati, i quali for mano una classe che dicesi perfetta, per chè in essi la natura ha spiegato e svilup pato tutte le forme dell'organismo; è or. mai riconosciuto che non si danno veri ermafroditi. Gli esempi che ne sono stati addotti, non sono se non mostruosità in dividuali. In talune delle spezie inferiori, e in molte degl'insetti e del così detti infusori, v ha degli androgini, i quali riprodu consi per la generazione solitaria, o ano mala. V. Infusorio. Ne vegetabili la natura non solamente ha spesso combinato i due sessi in uno stesso individuo, ma ne ha fatto un og gello di varietà. E però chiamansi piante ermafrodite quelle che nello stesso fiore hanno i due sessi, come nelle rose e nei dianti; quelle altre, che nello stesso in dividuo portan fiori maschi e fiori fem mine, ma tra loro separati, come nel gelso, nella betula, nel pino, nel mais, ed in altre, e queste hanno il nome ca ratteristico di monecie; quelle delle quali un individuo porta fiori maschi, ed un'al tro fiori femmine, come nella canape, nel ginepro, nelle palme, ed in altre, le quali però son dette diecie, quelle che nel lo stesso individuo indifferentemente por tan fiori maschi, fiori femmine, e fiori ermafroditi, come nella parietaria, nel fico, nel frassino, nel diospiro. V. Ge gerazione, Pianta. ERPEToLoGIA (crit.), parte della zoo logia che tratta del rettili; e dalla strut tura del loro organi sceglie i caratteri di stintivi delle spezie loro. Nella scelta decaratteri i naturalisti han variato, dal che è nata ancora la varietà desistemi. Aristotele li divise in due grandi classi, cioè di quadrupedi ovipari, e di rettili, la quale divisione più o meno mo dificata formò la base di tutti gli altri sistemi, che apparvero insino a Linnéo. – 614 – Questi venne a proporre una nuova par tizione, comprendendo tutti i rettili nella classe degli anfibi, che suddivise in di versi ordini, come degli anfibi rettili, degli anfibi serpenti, degli anfibi nuo tatori, ammettendo tra questi molte spe zie, che a giudizio degli altri zoologi ap partengono alla classe depesci. Del resto la divisione deserpenti fu da lui fatta in due principali classi, nelle quali prese per caratteri distintivi la testa e la coda. Dopo di Linnéo, Lacepede propose una più plausibile partizione, scegliendo per caratteri discernitivi delle classi la presen za, la mancanza, o il numero de pie di. Il metodo di Brongniart, publicato nel 1799, sembrò che fosse fondato sopra i caratteri più propri a determinare le dif ferenze delle spezie, il perchè ha formato da quel tempo la classificazione ricevuta da zoologi. Divise il cennato autore tutta l'erpetologia in quattro ordini, cioè : i cheloni, senza denti incassati, e forniti di corpo coperto da un guscio: i sauri, con zampe, denti incassati, e corpo sca glioso; gli ofidi, senza zampe, con corpo allungato cilindrico: i battraci con zam pe e pelle nuda. Cuvier e Duméril final mente han preso per base la classificazione di Brongniart, ad essa adattando i nuovi generi e i sottogeneri aggiunti per le sco verte posteriori rispettivamente fatte. (V. il Trattato elementare di storia naturale di Duméril, e il Regno animale distri buito secondo l'organismo di Cuvier). EsEGEsi (disc.), esposizione, o discorso che per via di spiegazione o comento di chiarisce ed illustra un argomento. EsEGETIco e EIEGETIco (disc.), vale nar rativo e espositivo. Suol essere adoperato come contrapposto del drammatico o rappresentativo. EsILARARE (prat.), rendere ilare, o dare l'ilarità. V. questa voce. EsisTENZA P. I. pag. 195 col. 2 (ontol.), leggi, (spec. e ontol.). EsistmAzioNE (spec.), opinione o giu dizio favorevole dell'altrui merito, Il suo significato è alquanto più spe ciale della voce estimazione che abbrac cia ogni giudizio di cosa conosciuta e con siderata come capace di qualche pregio o valore. V. Estimazione. EsPERIENZA P. I. pag. 197 col. 1 (spec.), leggi, (spec. e prat.). EsPERIMENTALE P.I. pag. 198 col. 1 (ertt. e prat.), leggi, (spec. crit. e prat.). EssENZA P. I. pag. 199 col. 2 (ontol.), leggi, (spec. e ontol.). EssENZIALE P. I. pag. 2oo col. 1 (ontol.), leggi, (spec. e ontol.). EssERE ibid. col. 2 (ontol.), leggi, (spee. e ontol.). EsTENsioNE P. I. pag. 2o1 col. 1 (spec. e ontol.), leggi, (spec.). EsTERIORE ibid. col. 2 v. 2o estensione, leggi, esteriore. EsTIMATIvA P.I. pag. 2o2 col. 1 (spec.), leggi, (crit. e spec.). ETERE P. I. pag. 2o4 col. 2. v. 19, ag. giungi, V. Spazio e Vacuo. ErEnocenzo P.I. pag. 2o5 col. 1 (diso), leggi, (spec.). Evoluzione (spec.), nome dato alla dottrina, che spiega il fenomeno della generazione per la via della preforma zione, e dell'incassamento degeneri pre formati nell'uovo o germe d' ogni ani male. V. Generazione, Preformazione, Uovo. È la dottrina contrapposta a quella che spiega lo stesso fenomeno per la via del successivo accrescimento delle parti, detta epigenesi. V. questa voce. R Faccia P.I. pag. 215 col. 1 (prat.), leggi, (spec. e prat.). v. 35, caeteras animantes, leggi, cae teros animantes. FANATismo P. I. pag. 226 col. 1 (prat.), leggi, (spec. e prat.). FERMENTAzioNE P.I. pag. 235col.2 (prat.), leggi, (spec. e prat.). FERMENTo P.I. p. 236 col. 1 (prat.), leggi, (spec.). .FEro (spec.), l'animal formato nel ventre della madre, che ha con essa co munione di circolazione. Prima di tale stato dicesi embrione. V. questa voce. FIGURA P. I. pag. 238 col. 1 dopo il secondo verso, aggiugni. Figura chiamano i logici la forma o il genere di sillogismo che nasce dal diverso uso che può farsi del loro termine medio E siccome in quattro diverse maniere il termine medio può, giusta le regole della logica aristotelica, essere combinato cogli altri termini del sillogismo ; così quattro dicesi essere le sue figure. V. Sillogismo. FINE P. I. col. 1 pag. 214 (prat. ), leggi, (spec. e prat.). FINITO P. I. pag. 241 col. 2 (ontol.), leggi, (spec. e ontol.). FLoRILEGIo P. l. col. 1 pag. 251 (erit.), leggi, (disc.). FoRMA P. I. pag. 256 col. 2 dopo l'ul timo verso dell' articolo, aggiugni: Cotesto vocabolo è ora di poco uso nel linguaggio della sana filosofia: il suo si Pag. 211 e 215. Aggiugnere a vocaboli della filosofia critica educazione, esperimentale, estimativa. a quelli della speculativa esistenza, esperimentale, essenza, essenziale, essere, educazione, estimativa, eterogeneo. a quelli della filosofia pratica esperienza. Togliere dalle voci ontologiche estensione. e dalle voci della discorsiva eterogeneo. – 616 – gnificato comune è : la figura, che l'arte dà alla materia, onde Dante disse: Ver è che come forma non s'accorda Aolte fate a la 'ntenzion de l'arte, Perchè a risponder la materia è sorda. (Par. I.). FossILE P. I. col. 1 pag. 259 (crit. e spec.), leggi, (spec.). FRENoLoGIA P. I. pag. 264 col. 1 v. 27 riannodato, leggi, rannodato. G Gavirianon V. Cavillazione. GEoMETRA P. I. pag. 285 col. 1, leggi, (spee. e crit.). GeoMETRIA, leggi, (crit.). GERME (spec.), rudimento d'un nuovo Essere, prodotto per la generazione d'un altro Essere della medesima spezie, e ca pace di riprodurne un altro a se simile. Gli animali e le piante nascono neces sariamente da un germe, o possono an che sorgere per la combinazione di altre parti della materia? Se il germe è necessario in tutte le spe zie di animali e di piante, o in una parte di essi ; vi è stato dalla natura prefor mato, o formasi in ogni individuo per la forza generativa di cui è provveduto? Preformato dalla natura, o dalla virtù generativa dell'animale e della pianta, sviluppasi per semplice svolgimento, ov vero si perfeziona per successivo accresci mento di parti? L'intervenzione di ambo i sessi è ne. cessaria alla formazione del germe, ov vero questo risiede essenzialmente nelle ovaie, o sia nella forma materna ? Qual parte prende nello svolgimento o nella perfezione del germe la sostanza se minale del maschio? Tali sono le quistioni agitate tra i fisio logi e i metafisici, che han voluto pene trare nel mistero della generazione, e circa ognuna delle quali si è formato un siste ma di diverse opinioni. La moderna scienza fisica e fisiologica, più severa dell'antica, nel rifiutare le ipotesi, riseca dalle cen nate quistioni la parte trascendentale, e si attiene a soli fatti generali della na tura. Quale sia il confine tra 'l certo e l'ignoto ne fenomeni della riproduzione degli Esseri, vedi gli articoli, Embrione, Generazione, Infusorio, Pianta, Pre formazione, Seme, Uovo. Gramazione e Granocumento (spec.), il progressivo sviluppamento del germe del le piante, quando l'embrione spogliato de Pag. 269 e 271. Aggiugnere a vocaboli della filosofia speculativa faccia, fanatismo, fermentazione, fermento, feto, fine, finito. a quelli della filosofia discorsiva florilegio. Togliere da quelli della filosofia pratica fermento. da quelli della filosofia critica florilegio, fossile. – 617 – gl'inviluppi seminali, comincia a trarre il suo nutrimento dal di fuori. V. Em brione. GIoRNo (spec.), durata del giro della terra intorno al suo asse. V. Terra. È una delle misure del tempo. V. que Sta VOCe. GIovE. V. Pianeta. GIUDICIALE (disc.), uno de tre generi dell'eloquenza, distinti da Aristotele, e propriamente quello che vuol persuadere Icastico P. lI. pag. 1 col. 1 (crit.), leggi, (disc.). IDEA col. 2 (spee. ), leggi, ( crit. e spec.). IGNoTo P. II. pag. 19 col. 2 (spec.), leggi, (crit. e spec.). ILLIBERALE P. II. pag. 21 col. 1 (crit. e prat.), leggi, (prat.). IMMATERIALE P. II, pag. 24 col. 2 (spee. teol. e ontol.), leggi, (spec. e teol.). quenza. GIUDIZIo P. l. pag. 291 col. 1 (spee. ), leggi, (spec. e crit.). GlossARIo P.I. pag. 299 col. 1 (crit.), leggi, (disc.). GUERRA (prat.), stato di discordia e di offensione tra due corpi politici. E il contrapposto della pace, che in un senso traslato si applica ancora al tu multo e al combattimento delle passioni. V. Pace, Passione. II IMMATERIALITÀ P. II. pag. 25 col 1 (spec. teol. e ontol.), leggi, (spec. e teol.). IMPENETRABILITÀ P. II. pag. 26 col. 2 (spee. e ontol.), leggi, (spec.). INCLINAzioNE P. II. pag. 35 col. 1 v. 8 e la benevolenza, leggi, la benevolenza, e INDIFFERENZA P. II. pag. 42 col. I v. pen. non senta , leggi, non si senta. INFUsoRioP. II. pag.7o col. 2 v. 4V. Ge nerazione, leggi, V. Generazione, Uovo. Pag. 507 a 509. Aggiugnere a vocaboli della filosofia speculativa geometra, germe, germina zione, giorno. A quelli della filosofia critica giudizio. Toglier da questi glossario. Aggiugnere a quelli della filosofia discorsiva giudiciale, glossario. a quelli della filosofia pratica guerra. ad assolvere, o a condannare. V. Elo 78 INTERIEzioNE (dise.), parte del discor so, esprimente qualche affetto dell'animo. V. Affetto. Le interiezioni, giusta una sensata os servazione del presidente de Brosses sono la prima di tutte le parti del discorso, perchè esprimono l'interna sensazione, e sono una esclamazione della natura. ll fanciullo comincia per esse a dimostrare, che è capace di sentire, e di parlare. IL Lanrunni P. II. pag. 1o1 col. 2 (spec. e prat.), leggi, (spec.). LENTE P. II. pag. 1o5 col. 2 (spec. e crit.), leggi, (spec.). LEssico P. II. pag. 1 o8 col. 1 (crit. e disc.), leggi, (disc.). LETTERALE P. II, pag. 108 col. 1 (dise. e crit.), leggi, (disc.). LINGUAGGIO P.ll. pag. 119 col. 2 (spec. e dise. ), leggi, (spec. crit. e disc.). LoNGITUDINE P. lI. pag. 124 col. 2 (spec. e crit.), leggi, (spec.). LUCE P. II. pag. 126 col. 1 (spee. e crit.), leggi, (spec.). LUNA P. II. pag. 129 col. 1 (spec e crit.), leggi, (spec.). col. 2 v. 32 della stella, leggi, delle stelle. LisoP.Ipag 3, col a praterie), leggi, (spec. e prat.). MI Mans P. II. pag. 149 col. 2 (spec. e crit.), leggi, (spec.). MATERIA P. II. pag. 154 col. 1 (spec. ontol. e crit.), leggi, (spec. e ontol.). MERIDIANo P. lI. pag. 164 col. 2 (spec. e crit.), leggi, (spec.). METALLo P. II. pag. 168 col. 1 (spec. e crit.), leggi, (spec.). Pag. 95 a 98. - Togliere dalle voci ontologiche immateriale, immaterialità, impenetrabilità. Aggiugnere a quelli della filosofia discorsiva icastico. a guelli della filosofia critica idea, ignoto. Togliere da medesimi icastico, illiberale. Pag. 157 e 158. Aggiugnere a vocaboli della filosofia critica, linguaggio. Togliere da medesimi, lente, lessico, letterale, longitudine, luce, luna, lusso. Aggiugnere a quelli della filosofia speculativa, lusso. – 619 – METEoRA P. II. pag. 169 col. 1 (spec. MoMENTo P. II. pag. 185 col. 1 (spee. e crit.), leggi, (spec.). crit. prat. e disc.), leggi, (spec. prat. e disc.). MoDA P.II. pag. 18o col. 1 (spec. e crit.), leggi, (spee. ). MoDo P.II. pag. 182 col. 1 (spec. ontol. disc. e crit.), leggi, (spec. ontol. e disc.). MoLLUsco P. Il. pag. 183 col. 2 (crit.), MoRTALE P. II. pag. 189 col. 2 (prat.), MoNDo P. II. pag. 186 col. 1 (spee. - ontol. e crit.), leggi, spec. e ontol.). leggi, (spec.). leggi, (spec. e prat.). Naruna pag. 21o col. 1 v. 13 comune NozIoNE P. lI. pag. 223 col. 2 (spec.), colle, leggi, comune alle. leggi, (crit. e spec.). Novella P.II. pag. 223 col. 1 (erit. NUMERo P. II. png. 225 col. 1 (spee. disc. e prat.), leggi, (disc. e prat.). crit. ontol. e disc.), leggi, (spec. e disc.). O OrroeocarroP.II. pag. 231 col. 1 OcciDENTE P. II. pag. 239 col. 2 (spec. (spee. cril. e disc.), leggi, (spec. e disc.). e crit.), leggi, ( spec.). OBBLlo e OBBLIVIONE P. II, pag. 233 OcEANo P. II. pag. 24o col. 1 (spee. col. 2, aggiungi, (prat.). e crit.), leggi, (spec.). OcchioP. II. pag. 223 col. 2 (crit spee. ONTA P. II. pag. 248 col. 1 (erit.), e disc.), leggi, (spec.). - leggi, (prat.). Pag. 205 a 205. Togliere da vocaboli della filosofia critica mare, materia, meridiano, metallo, meteora, moda, modo, mollusco, momento, mondo. Aggiugnere a quelli della speculativa mollusco, mortale. - - Pag. 227. Togliere da vocaboli della filosofia critica novella, numero. Aggiugnere a medesimi nozione. - Togliere da vocaboli ontologici numero. - Togliere lo stesso vocabolo da quelli della ſilosofia pratica. - g – 620 – OPINIONE P. II. pag. 249 col. 2 (spec. disc, e crit.), leggi, (spec. e disc.). 0RA P. II. pag. 253 col. 2 (spec. e crit.), leggi, (spec.). ORBE P. II. pag. 255 col. 1 (spec. e crit.), leggi, (spec.). ORBITA P. II. pag. 255 col. 2 (spec. e crit.), leggi, (spec.). ORECCHIA P. II. pag. 258 col. 2 v. 24 riflessione, leggi, reflessione. ORGANICO P. II. pag. 261 col. 1 (spec. e crit.), leggi, (spec.). ORIENTE P. II. pag. 266 col. 1 (spec. e crit.), leggi, (spec.). ORIzzoNTE P. II. pag. 266 col. 1 (spee. e crit.), leggi, (spec.). ORNAMENTO e ORNATo P.II. pag. 266 col.2 (crit. spec. e disc.), leggi, (spec. e disc.). ORTOGRAFIA P. II. pag. 268 col. 1 (crit. e disc.), leggi, (disc.). P º Psivo P. II. pag. 284 col. 2 dal quarto verso in poi leggi colla seguente interpun zione dicesi causa, il cangiamento stes so, effetto, il subbietto che l'opera, agen te; quello che lo soffre, paziente; la fa coltà di operarlo, potenza, e lo stesso subbietto, in quanto soggiace alla forza di tal potenza, dicesi passivo. PECCATo P. II. pag. 287 col. 2 v. 8 contro la , leggi, contra la v. 12 impossibil cosa è, leggi, mo ralmente impossibile è. PERCEZIONE P. II. pag. 292 col. 2 v. 17 passaggiera, leggi, passeggiera. v. 35 tra l'anima umana e quella de bruti, leggi, tra l'anima umana e la potenza sensitiva de bruti. PERFETTo e PERrezione P. II. pag. 295 col. 1 (spee. crit. e ontol.), leggi, (spec. prat. teol. e ontol.). col. 2 v. 29 o non maggiore o minor numero di parti, leggi, e non maggiore o minor numero di parti. PoLEMICA P. ll. pag. 312 col. 2 (crit.), leggi, (disc.). PoLIANTEA P. II. pag. 313 col. 1 (crit.), leggi, (disc.). Pag. 271 e 272. Togliere da vocaboli della filosofia eritica obbietto, occhio, occidente, oceano, onta, opinione, ora, orbe, orbita, organico, oriente, orizzonte, ornamento e orº mato, ortografia. Aggiugnere a vocaboli della fitosofia pratica obblio e obblivione, onta, Aggiugnere a quelli della discorsiva ornamento. – 621 – PoLIGRAFIA P. II. pag. 3»3 col. 1 (crit.), leggi, (disc.). PoLITECNIco P.II. pag. 313 col. 1 (spec.), leggi, (spec. e crit.). PREFoRMAZIONE P. II. pag. 322 col. 2 v. 18 d'incessamento, leggi, d'incassamento. PRINCIPIO P. II. pag. 329 col. 1 v. 12 non potendo la scienza, leggi, non po tendo cotesta scienza. v. 19 chiamano essi, leggi, chiamano i chimici. pag. 331 col. I v. 37 a negarli, leg gi, negargli. pag. 332 col. 2 v. 16 vincono altre, leggi, vincono le altre. v. 19 alle altre, leggi, alle seguenti. PRoGREsso P. II. pag. 342 col. 1 v. 2o umano, leggi, umana. col. 2 v. 18 e delle quali è proprio, l'estendere, leggi, e delle quali è pro prio l'estendere. - v. 42 contiene una tale infinità, leg. gi, tanta infinità di gradi. Paonostico P. II. pag. 344 col. 2 v. 38 hanno ciascuno, leggi, hanno ciascuna. PROPONIMENTo P. II. pag. 346 col. I V. 28 passaggiera, leggi, passeggiera. PaoviDENZA P. II. pag. 35o col. 1 (spee. e prat.), leggi, (spee. teol. e prat.). PRUDENZA P. II. pag. 351 col. 2 (prat.), leggi, (spec. e prat.). PRUovA P. II. pag. 353 col. 1 v. 42 la certezza, dal grado proprio, al re lativo, leggi senza virgole, dal grado proprio al relativo. PsicoDIARI col. 2 (erit.), leggi, (gree. sup.). - PsicoLoGIA P. II. pag. 355 col. 2 v. 1 Successivamente, leggi, E passando alle immediate deduzioni, - Q Qasmi P. Il. pag. 369 col. 1 (spec. ontol. crit. prat. e disc.), leggi, (spec. prat. e disc.). QUIETE P. II. pag. 37o col. 2 (spec. crit. ontol. e prat.), leggi, (spec. ontol. e prat.). Pag. 561 a 564. Togliere da vocaboli della filosofia critica perfetto, e perfezione, polemica, po liantea, poligrafia, psicodiari. Aggiugnere a quelli della filosofia pratica perfetto e perfezione. a quelli della teologia naturale perfetto, perfezione, provvidenza. a quelli della filosofia speculativa prudenza. a quelli della discorsiva polemica, poliantea, poligrafia: Pag. 575 e 576. Togliere da vocaboli della filosofia critica quantità, quiete. dagli ontologici quantità. – 622 – IR Rapice P. II. pag. 377 col. 1 (spec. crit. e disc.), leggi, (spec. e disc.). REFLEssIoNE P. II. pag. 384 col. 2 v. I riflessione, leggi, reflessione. REGoLA P. II. pag. 385 col. I v. 16 ci dan, leggi, ci dà RIDICOLo P.II. pag. 397 col. 2 (prat. dise. e crit.), leggi, (prat. spec. e disc.). RITMo P. II. pag. 4o2 col. 2 (dise. e crit.), leggi, (disc.). pag. 408 c. 2 v. 1 Filosofia critica, leggi, Filosofia pratica. S Sare P. II. pag. 4o9 col. 1 ( spec. e crit.), leggi, (spec.). SATIRIco P. II. pag. 413 col. 2 (crit. prat. e disc.), leggi, (prat. e dise.). ScrNIco P. II. pag. 415 col. 1 (crit.), leggi, (prat. e disc.). ScuoLA P. II. pag. 422 col. 1 (crit. e disc.), leggi, (spec. e disc.). SEGNo P. II. pag. 422 col. 2 v. 32 la stessa natura, leggi, la natura. SEMPLICE P. II. pag. 424 col. 2 v. 27 appariscano, leggi, appariscono. SENSIBILE P. lI. pag. 427 col. 2 v. 18 tutti partecipano, leggi, gli altri par tecipano. SENso P. II. pag. 431 col ( spec. e prat.), leggi, (crit. spec. e prat.). Sm LogisMo P. II. pag. 437 col. 2 (dise.), leggi, (spec. e disc.) pag. 44o col. 1 v. 15 col cennato au tore, leggi, collo stesso Reid. SIMMETRIA P. lI. pag. 441 col. 2 (spee. e crit.), leggi, (spec.). SINTESI P. II. pag. 442 col. 2 (disc. e crit.), leggi, (spee. disc. e erit.). SINTETIco P. II. pag. 443 col. 2 (dise. e crit.), leggi, (spee. dise. e crit.). SorisTA P. II. pag. 448 col. 1 (dise. e crit.), leggi, (disc.). SoNNo P. II. pag. 449 col. 1 v. 4 for mare, leggi, fermare. SPAzioP. II. pag. 459 col. 2 v.33 questa come quella, leggi, questa come quello. STAMPA P. II. pag. 464 col. 2 (disc. e crit.), leggi, (disc.). Pag. 407 e 408. Togliere da vocaboli della filosofia critica radice, ridicolo, ritmo. Pag. 481 a 484. Aggiugnere a vocaboli della filosofia speculativa scuola, sillogismo, sintesi, sintetico. Togliere da vocaboli della filosofia critica sale, satirico, scenico, scuola, sim metria, sofista, stampa. Aggiugnere a medesimi senso, sintesi, sintetico. a quelli della filosofia pratica scenico. a quelli della discorsiva scenico. – 625 - T Tenna P. II. pag. 494 col. 2 (spec. v. 21 Sossio, leggi, Sosia. e crit.), leggi, (spec.). v. 4o colle regole del verisimile, leg gi, alle regole del verisimile. TRAGEDIA P. II. pag. 5oo col. 2 v. 37 T P. II. - - ridevole, leggi, ridicolo. RAsUMANARE P. II. pag. 5o2 col. 2 v. 13, leggi, PER vERBA. TRAcicoMEDIA P. II. pag. 5o1 col. 2 v. 15 TUoNo P. ll. pag. 503 col. 1 ( disc. Tragico-media, leggi, Tragicomedia. e crit.), leggi, (dise.). V Vacco P.II. pag. 5o7 col. 1 (spec. avido delle lezioni, leggi colla sola vir ontol. e crit.), leggi, (spec. e ontol.). gola, avido delle lezioni. UNITÀ P. II. pag. 534 col. 1 (spee. ontol dise. e crit.), leggi, (spee, ontol. e disc.). VERME P. II. pag. 52o col. 1 (spee. e crit.), leggi, (spec.). VisIBILE P. II. pag. 524 col. 1 (spec. VoLATILE P. II. pag. 548 col. 2 (spee. e crit.), leggi, (spec.). e crit.), leggi, (spec.). VoLGARIzzARE P. II. pag. 548 col. 2 r -2 VisIoNE P. II. pag. 526 col. 2 (spee. (crit.), leggi, (disc.). e crit.), leggi, (spec.). VULCANo P. II. pag. 564 col. 1 (spec. Vizio P. ll. pag. 533 col. 1 v. 35; e crit.), leggi, (spec.). Pag. 505. Togliere da vocaboli della filosofia critica terra e tuono. - - Pag. 565. Togliere da vocaboli della filosofia critica vacuo, verme, visibile, visione, unità, volatile, volgarizzare, vulcano. - 624 – SECONDA CORREZIONE DELLA LETTERA A. AccADEMIA P. I. pag. 2 col. 1 (crit.), leggi, (spec. e dise.). AccADEMIco pag. 2 col. 1 (crit.), leg gi, (spec. e dise.). Acanopag.7col. 2 (crit.), leggi,(spec.). ALGoRISMo pag. 1o col. 2 (crit.), leg gi, (disc.). ANACLASTIco pag. 12 col. 2 (crit.), leggi, (grec. sup.). ANALISI (diso.), leggi, (crit. spec. e dise) ANALITIco pag. 15 col. 1 (disc.), leg gi, (crit. spec. e disc.) ANToLoGIA P. I. pag. 21 col. 2 (erit.), leggi, (disc.). - APPARIscENTE P.I. pag. 25 col. 2, leggi, APPARIscENTE e APPARIscENZA. ibid. (prat.), leggi, (prat. e dise.). APPETITIvo pag. 26 col. 2 (crit.), leg gi, (spec. e prat.). AREToLogIA pag. 31 col. 1 (crit.), leggi, (grec. sup.), voce colla quale con quel che segue. ARTEFICE pag. 35 col. 1 (crit.), leggi, (disc.). ARTIcoLATo P.I. pag. 584 col. 2 (spec. e crit.), leggi, (spec.). ARTIGIANo pag. 36 col. 1 (crit.), leg gi, (disc.). ARTISTA (crit.), leggi, (disc.). Pag. 51. Togliere da vocaboli della filosofia critica accademia, accademico, agrario, al gorismo, anaclastico, antologia, appetitivo, aretologia, artefice, artigiano, artista. Aggiugnere agli stessi vocaboli analisi e analitico. Aggiugnere a quelli della filosofia speculativa accademia, accademico, agrario, algorismo, analisi e analitico. a quelli della filosofia discorsiva accademia, accademico, algorismo, analisi, analitico, appariscente, artefice, artigiano, artista. Acustica Aerologia Agricoltura Agronomia Alchimia Algebra Analisi Analitico Anatomia Androtomia Annali Anomalia Anotomia Antropologia Antroposcopia Appercezione Araldica Archeografia Archeologia Architettura Aritmetica Arte Astrologia Astronomia B Bibliografia Biblioteca Biografia Biologia Botanica E la RN ? ) RETTIFICATO DELLE VARIE CLASSI DE'VOCABOLI APPARTENENTI ALLE DIVERSE PARTI FILOSOFIA CRITICA. C Calcografia Calcolo Calligrafia Canonica Canto Caratteristica Catacustica Catadiottrica Catottrica Chimica Chironomia Chirurgia Cognizione Comentario Commedia Comparato Concezione Conchiliologia Conoscenza Coscienza Cosmogonia Cosmografia Cosmologia Craniologia Cristallografia Criterio Criticismo Cronaca Cronologia D Diacustica Dialettica Didascalia Didascalico Didattico Differenziale Dinamica Diottrica Diplomatica Disciplina Disegno Docimastica Dramma Drammatico Dualismo Dualista E Eclettico Economia Educazione Elmentologia Empirico Empirismo Enciclopedia Entomologia Ermetica Erpetologia Erudizione Esperimentale Estetica DELLA FILOSOFIA SPECULATIVA, PRATICA, E DISCORSIVA. Estimativa Etereo Etimologia Etiologia Euristica F Facoltà Fantasia Farmacia Farmacologia Fasti Favola Filologia Filologo Filosofia Finzione Fisica Fisico add. Fisiognomonia Fisiologia Fisionomia Fisonomia Fitologia Fitotomia Flussione Frenologia G Geodesia Geognosia Geografia - 627 - Geologia Geometra Geometria Ginnasio Ginnastica Giornale Giudizio Giuoco Glittografia Gnomonica Gramatica Grandioso Gusto II Icnografia Iconologia Ictiologia Idea Ideale Idealismo Idrologia Idraulica Idrodinamica Ideografia Idrografico Idrologia Idrometria Idrostatica . Ignorantismo Ignoto Imitazione Immaginativa Immaginazione Incidere Industria Induttivo Inerudito Infinitesimale Ingegno Insegnamento e Insegnare Mente Insetto Mestiere e Insettologia Mestiero Integrale Metafisica Intellettiva Metallurgia Intelletto Metereologia Intuizione Metodo Invenzione Mineralogia Io Minimo Misticismo L Mitologia Moltiplice Letterato Morale Letteratura Moto Lettere Multiplice Liceo Museo Linguaggio Musica Linguistica Litografia N Litologia Logica Natura Logistica Naturalismo Naturalista MI Navigazione e Nautica Macchina Nazione Magnetismo Notomia Magnetismo animale Numerico Malacologia Massimo O Matematica, o Matematiche(scienze) Occulto Matematico Onirocritica Materialismo Ontotogia Meccanica Ordine - Meccanico Orittognosia Medicina Ornitologia Melodia Ortopedia Melodramma Osservazione Memorativa Ottica Memoria Menomo P Pedagogica Percezione Peripatetico Pirotecnia Pirronismo Pittura Plastico Pneumatica Pneumatologia Poema Poesia Poeta Poelica Politecnico Politica Principio Proginnasma Proiezione Pronostico Prospettiva Psicologia Q Quantità R Ragione Razionalismo Regola Retorica Ridevole Riflessione Romantico Romanzo S Sapienza Satira º – 628 – Scena Scenografia Scetticismo Scettico Scienza Scrittura Semeiotica Sensismo Senso Simbolico Simile e A Accidente Archéo Assoluto Atomo Attributo Attuale Attualità C Calore Cangiamento Caratteristica Causa Causalità Coesistenza Compiuto Composizione Compossibile Composto Condizionale Contiguità Contingente Continuità Continuo Contraddizione Similitudine Sincretismo Sintesi Sintetico Sistema Spirito Spiritualismo Statica Storia Sublime - T Teatro Teologia Teoria Topografia Tradizione Traduzione Tragedia Tragicomedia Trascendentale e Trascendente VOCI ONTOLOGICHE. Corpuscolare Corpuscolo Cosmologia D Determinare Determinazione Diffusione Dimensione Dipendente Dipendenza Distinzione Diversità e Diverso Durata Durazione E Ecceità Effetto Emanazione Eminente Ente Entelechia Entità Esistenza Esistere Essenza Essenziale Essere Estrinseco Eternità Eterno Finito Forma Formale Forza Futuro Identità Immensità Immenso Impossibile Impossibilità Incommensurabile Incompiuto lncomplesso Incompossibile Indefinito V Vento Volontà Uomo Uranologia Utopia Z Zoofitologia Zoologia Zootomia Independente e Indipendente Individualità Individuazione Indivisibile e Indivisibilità Inerente e Inerenza Infinità Infinito Instante lntrinsico e Intrinseco Istante Io Luogo M Materia Metamorfosi Modalità Modificazione Modo Moltiplice Monade – 629 - Mondo Moto Multiplice Mutabile e Mlutabilità MutazioneN Natura Naturale Naturante e Naturata Necessario Necessità Niente o Nulla O Obbiettivo OccasionaleA Abile e Abilità Abito Abitudine Accademia Accademico Accessorio Accidentale Accorgimento Accuratezza Acqua Acroamatico o Acroatico Acume Addome e Addomine Adequato 0cculto OggettivoP Palingenesia Panteismo Perfetto e Perfezione Pieno Plastico Possibile Possibilità Potenza Potenziale Potere Preesistenza e Preesistere Principio Privazione Proprietà Punto Q Qualità Quantità Quidità e Quiddità Quiete R Reale Realità e Realtà Relativo Relazione FILOSOFIA SPECULATIVA. Aeriforme Affinità Afelio Agente Aggiunto Agire Agrario Albero Amorfo Analisi Analitico Analogia Androide Anima Animale Animale add. Animalizzare Animo Annientamento Anno Anomalia Antecedente Antipensare Antiperistasi Antivedimento Apogeo Apparente Apparenza Appercezione Appetitivo Apprensione Apprensiva Approvazione Arbitrio Arcano Archetipo Aria Armonia S Semplice Sostanza Sostanziale Spazio SubbiettivoT Tempo V Vacuo Unico Unione Unità Univocazione e Univoco Uno Arteria Articolato Articolazione Assegnabile Assentimento Assimilazione Assioma Associazione Assoluto Astrarre Astratto Astrazione Astro Atmosfera Attenzione Attitudine Attività Attivo Atto – 650 – Attrazione Attributo Attuale Attualità Automato Autorità Avvedimento Avversione Avvertenza Azione Bellezza Bello Bene Beni Bocca Bontà Braccio Bronchi Bruto Brutto Bussola Calore Calorico Canone Caos Capacità Capillare Capillarità Capo Carattere Cartilaggine Caso Causa Causalità Cellula Cellulare Cerebro Certezza Certo Cervello Chilo Chimo Cielo Circolazione Coesione Cogitativa Cognizione Collettivo Colore Cometa Comparazione Complesso Composizione Composto Comprendere Comprensibile Comprensione Compressibile e Compressibilità Comune Concatenazione Concepere e Concepire Concetto Concettualista Concezione Conchiglia Concreto Condizionale Condizione Confidanza e Confidenza Conſigurazione Conformazione Confusione Congruenza Connessione Conoscenza Conoscenza di seme desimo Consapevolezza Consecuzione Considerazione Consiglio Contemplazione Contingente Continuità Continuo Contraddizione Conveniente Convenienza Convizione Coordinare Coordinazione Coroide Corpo Corpuscolare Corpuscolo Corruzione Cosa Coscienza Costellazione Costituzione, Cotiledone Cranio Craniologia Creatore Creazione Credenza Credere Credibile Credibilità Cristallizzazione Cristallo Criterio Critica Crittogramia Cuore Curiosità D Decomposizione Decoro Dedotto Dedurre Deduzione Definizione Deforme e Deformità Deismo Deista Delicatezza Deliberazione Denominare . Denti Derivazione Desiderio Destinare Destinazione Determinare Determinato Determinazione Diaframma Dialetto Diastole Difficoltà Difforme Dilatabilità Dilicatezza Dimenticamento e Dimenticanza Dimostrabile Dimostrativo Dio Diretto Diritto Disattenzione Disavvedimento Discernere Discernimento Discernitivo – 651 – Disconsentire Disconvenienza Discredere Discrepare Discreto Disegno Diseguale Disordine Dispari, Disparità Dissentimento Dissimile Dissoluzione Distanza Distinguere Distintivo Distintivo add. Distinzione Distrazione Disuguale Dita e Diti Divisibilità Dizionario Dogma Dogmatico Dogmatizzare Dolore Dovere Dubbiezza Dubbio Dubitare Durata Durazione Durezza Duttilità E Ecclittica Educazione Effetto Egoismo Egoista Eguale Elasticità Elementare Elemento Elettricismo o Elettricità Emanazione Embrione Emenda Eminente Empietà Epigenesi Equabile Equatore Equilibrio Erba Ermafrodito Errore Esaltamento Esaminare Esatto Escogitare Esempio Esercizio Esistenza Esistimazione Esitazione Esoterico Espansione Esperienza Esperimentale Esperimento Essenza Essere Estensione Esteriore e TEsterno Estimativa Estimazione Estremità e Estremo Estrinseco Etere Eternità Eterno Eterogeneo Evidente Evidenza Evoluzione Exoterico F Faccia Facile e Faciltà Facoltà Fallacia Fallo Falso Fanatismo A Fantasia Fantasima Fantasticaggine e Fantasticheria Fatalismo Fatalista Fato Fatto Fecondazione Fede Fenomeno Fermentazione Fermento Feto Fiamma Fibra Figura Filosofare Filosofia Filosofismo Filosofo Fine Finezza Finito Finzione Fisiologia Fisiologista Fisiologo Fluidità Fluido Forma Formale Formola Formolare Forza Fossile Freddo Fronte Fuoco Futuro G Galvanismo Ganglio Gas Gelo Generale Generalizzare Generazione Genio Geometra Germe Germinazione e Germogliamento Ghiaccio Gigante Giorno Giudizio Giuoco Giusto Glandula Globetto – 652 – Gola Gota Grado Grandezza Grave Gravità Gravitazione Grossezza I Ibridismo Idea Ideale Idealità Identico Identità Idolo Ignoranza Ignoto Illuminazione Illusione Imitare Imitazione Immaginare Immaginativa Immaginazione Immagine Immateriale Immaterialità Immediato Immemorabile Immensità Immenso Immensnrabile Immobile Immobilità Immortale Immortalità Immutabile Impenetrabilità Impercettibile Impercettibilità Imperfetto Imperfezione Imperscrutabile Impersuasibile e Impersuasibilità Imponderabile Impossibile Impossibilità Impressione Improporzionale e Improporzionato Inadequato Inapprensibile Incapacità Incertezza e Incertitudine Incerto Inclinazione lncogitabile Incognito Incommensurabile Incommutabile Incomparabile Incompatibile Incompiuto Incomplesso Incompossibile Incomposito e Incomposto Incomprensibile Inconcepibile Incongruenza Inconvenevole, lnconveniente e Inconvenienza Incorporeo lncorruttibile Incredibile Incredulità Incredulo Incubazione Indefinitezza Indefinito Independente Indeterminato Indifferenza Indimostrabile Indipendente Indiretto Indiscernibile Individuale Individualità, Individuazione Individuo Indivisibile e Indivisibilità Indizio Indole Indubitabile Indubitato lndurre Induttivo Induzione Ineguale Inerzia Inettezza e Inettitudine Infallibile e Infallibilità Infinità Infinitesimale Infinito Influsso Informe Infusorio Ingegno Ingenito Inorganico Inragionevole Inrazionabile Inrazionale Insensibile Insetto Instante Instituto Instituzione Instruzione Intellettiva Intellettivo Intelletto Intellettuale Intellezione Intelligenza Intelligibile Intendimento Intensione o Intensità e Intenso Intenzionale , Intenzione Interiore e Interno Intimo Intrinseco e Intrinsico lntuitivo Intuizione Inventare Invenzione Inverisimiglianza e Inverisimile Invisibile lo Ipotesi Ipotetico Irragionevole lrrazionabile Irrazionale Istante Istinto Istruzione L Larghezza Latitudine Latte Lava Legge Lente Libero Libertà Lichene Linea - Linguaggio Liquidezza e Liquidità Liquido Logaritmo Logica Longimetria Longitudine Lontananza Luce Luna Lunghezza Luogo Lusso M Macchina Magnete Magnetico Magnetismo Magnetismo animale Magniloquenza Male Mammifero Maniera Mano Maraviglia Maraviglioso Mare Martirio Massima Massimo Materia Materialismo Materialista Materialità Maternità Me Meditare Meditazione Membro Memorativa Memoria Menomo e Minimo Mente Meridiano Mese Metallo Meteora Metodo Mezzo Microcosmo Microscopio Midolla e Midollo Minerale Mineralogia Miscredente e Miscredenza Mistero e Misterio Misto Misura Mobilità Moda Modalità Modificazione , Modo - - Molecola e Molecula Mollezza Moltiplice Momento Monade Mondo - a Morale Mortale Morte Mostro Motivo Moto Movimento Mucilagine Multiplice Muscolo Mutabile Mutabilità Mutazione N Nadir Nano Naso Natura Naturale add. Naturale sost. Necessario Necessità Negativo Negazione Nervo Nido Niente Nome Nominale Notizia Notte Nozione Nulla Numerico Numero O Obbiettivo Obbietto Obligazione Occasionale Occhio Occidente Occulto Oceano Odorato Odore Oggettivo Oggetto Omeomeria e Omiomeria Omonimo Operazione - Opinione Ora Orbe Orbita Ordine Orecchia e Orecchio Organico Organismo Organo Oriente Orizzonte Ornamento e Ornato Osservazione Osso Ottimo Ovaia Oviparo P Palato Palingenesia Palpebra Pancia Pancreas Panteismo Paralasse Parenchima 80 Parlare Parola Parte Particolare , Particolarità Passato Passione Passivo Pelo - -- - Pendolo e s - , - Pendulo Pensamento Pensare . Pensiero Pentimento Percezione Perfetto e Perfezione Pericardio Pericranio Perielio Perigèo Periostio Peristaltico Peritoneo Perpetuale e Perpetuo Persona Personale Perspicacia o Perspicacità Persuasione Perturbazione Pesce - Peso a Petto Piacere Pianeta Pianta Piede Pieno Polarità s º º Poli Polipo , Politecnico Polline - Polmone o Portento o Positivo i Possa e Possanza Possibile Possibilità Posteriore Postulato Potenza Potenziale Potere Precisione e Preciso Precogitare Preesistenza e Preesistere Preformazione Pregiudizio Prenozione Preoccupazione Presente Prestigio Presumere Presunzione Preterito Prevedimento e Previdenza Prevenzione Previsione Primo Principale Principio Priore Privativo Privazione Probabile Probabilità Problema Produzione Profondità Progressivo Progresso Proiezione Pronostico Propagazione Proporzione Proponimento Proposito Proprietà Prospettiva Providenza e, Provvidenza o Prudenza , Pruova Peicologia Punto Purità e Puro Q Quadrupede Qualità Quantità Quiete R Raccoglimento Radice Ragionamento Ragionare Ragione Rammemorare Rammentare Rapporto Rappresentare Rappresentativo Rassimiglianza e Rassomiglianza - i bi i Prodigio - Refrazione - - - Razionale , Reale - Realità e r; Realtà - Reazione t l . Reflessione Regola Relativo Relazione Reminiscenza Remissione - Repulsione Resistenza Respirazione - Retina 3 - , Rettile : : Riconoscenza e Riconoscimento , º Ricordanza e Ricordare e " Ridicolo - Riflessione - Rimembrare e Rimembranza Rimordimento e Rimorso i Ripensare Riposo e Riproduzione º Ritenitiva e º Ritentiva - Romore Ruminare a º Rumore i s . Sagace e e Sagacità - Saggio - Sale . Sangue – 655 – Sanità Sapere Sapienza Sapore Saturno Scegliere e Scelta Scienza Scomposizione Sconvenienza Scoverta Scrittura - Scuola - Segno e Sembiante Seme e Semenza Semplice Senno Sensazione Sensibile : Sensibilità a Sensista - Sensitivo Senso Sentimento Sentire - Serie - Sicurezza Sillogismo Simbolo Similare Simile e Similitudine Simmetria Simultaneo Singolare Sintesi Sintetico Sistema Sistematico Sistole Sodezza i Te Soggetto Sogno i Sole Solidità a Solido e Sonno Sostanza Sostanziale Sottigliezza e Sottilità e Sottomoltiplice Spazio Specchio Specie Speculare Speculativo Sperma Spirito Spirituale Spiritualità Spontaneità e Spontaneo Sproporzione Statura Stella Stomaco Strabismo Studio Subbiettivo subito a Sublime Subordinato Successione Suggetto Summoltiplice , Suono - T Talento : Tangibile Tatto e Tavola Tempo Tendine i Tenebra Teologia Teorema Teoria Teorica Teorico Terra 4 Testaceo º Testimonianza Torace - Trachea Trascendentale e Trascendente Tropico Tutto V Vacuo Vapore Varietà Uccello Udito Vegetabile Vegetale Vegetare Vegetativa Velleità Velocità Vena Vento Ventre Verisimiglianza e Verisimile - Verità Verme Vero Vertebra e Vertebrato Vescica. Virtù Virtuale e Virtualità Viscera e Viscere Visibile Visione Viso Vista Vita Vivace e º Vivacità Viviparo Umanità e Umano Umore º Unico Uniforme - Unione e Unità Universale Universo Uno Voce Volatile Volere Volizione Volo Volontà Volontario Volto Volume Uomo Uevo Vulcanico Vulcano Z Zenit Zetetico Zodiaco Zona. Zoofito as - 656 - A Abduzione Ablativo Accademia Accademico Accento Accessorio Accuratezza Accusativo Addiettivo Adesione Affermativo Affermazione , Aforismo Alfabeto Algorismo Alternativo Ambiguità Amplificare Analisi Analitico Analogia Analogico Analogismo Anomalia Antecedente Antilogia Antipredicamenti Antologia Apagogia Apagogico Apodittico Apologetica Apologia Appariscente Appellativo Applicare Argomentazione Argomento FILOSOFIA DISCORSIVA. Aringa Aringo Armonia Artefice Articolo Artigiano Artista Asprezza Assicuranza Assunzione Assurdo Astratto Astrazione Atto Attributo Avverbio Barbarismo Bernesco Brachigrafia Brachiologia Burlare C Carattere Caratteristico Caso Categoria Categorico Cavillazione Circostanza Classe Classificare Collettivo Comento Comparativo Comparazione Complesso Composizione Comune Concatenazione Concione Conclusione Concordanza Concreto Condizionale Condizione , Conformità Confusione Confutazione Congettura Congenere Congiuntivo Congiunzione Coniugazione Coniuntivo Connessione Conseguente Conseguenza Consonante Consonanza Contraddizione Contrapposito Contrarietà Convenienza Conversione Convizione Coordinare Coordinazione Correlazione Cosa Costruzione Crittografia D Datismo Dativo Dato Declamatore Declamazione Declinare Declinazione Dedotto Dedurre Deduzione Definizione Degnità Deliberativo Denominare Dentale Derivare , Derivativo Derivato Desinenza Dialettica Dialetto Dialogo Difettivo Differenza Difficoltà Difforme Dignità Dilemma Dimostrabile Dimostrativo Dimostrato Dimostrazione Disconvenienza Discordanza Discordare Discorso - Discrepare Discussione Disdire Disgiuntivo Disingannare Disinganno - 657 - Disparere Dispariscente e Dispariscenza Disparità Disposizione Disputabile Dissuasione Distinguere Distintivo Distintivo add. Distinzione Distribuzione Dittongo Diversità e Diverso Divisione Dizionario Dottrina Dottrinale Dubbio E Eccezione Eguale Eleganza Elenco Eloquenza Emenda Entimema Entimematico Enunciazione Epiceno Epichirema Epiteto Equilibrio Equipollente e Equipollenza Equivalente e Equivalenza Equivoco Esagerare Esatto Esegesi Esegetico Esempio Esortazione Espressione Estremità e Estremo Estrinseco Estro Esuberanza Eteroclito Etimologia Evidente Eufonia Euristica F Facezia Facile e Facilità Facondia Fallacia Falso Fantasima Fantasticaggine Fantasticare Fantasticheria Favola Figura Figurato Florilegio Formola Formolare Frase G Generale Generalità Generalizzare Genere Generico Genitivo Gerundio Gesto Giudiciale Glossario Gradazione Grado Grandiloquenza Gravezza, Gravosità, Gravoso Grazia Gutturale Icastico Identico Idioma Idiota Idiotismo Illazione Illetterato Imitare Immaginoso Immediato Immemorabile Imperativo lmperfetto Imperito e Imperizia Impersonale Impersuasibile, Impersuasibilità Impertinente Impeto Improbabile e Improbabilità Improprietà e Improprio Inadequato Inarticolato Incidente e Incidenza Incognito Incomparabile Incompatibile Incompiuto Incomplesso Incomposito e Incomposto Inconcludente Incredibile Indeclinabile Indefinibile Independente lndicativo - Indimostrabile Indipendente Indizio Indocile e Indocilità Indottivo Indotto lndurre Induttivo Induzione Inequivalente Infaceto Inferire Infinitivo e Infinito Inflessione Inrazionabile Imregolare Insinuazione Instituto Instituzione Instruzione Intento Intenzione Interesse Interiezione Intransitivo Intrinseco e Intrinsico Inversione Iperbato Ipotesi Ipotetico Ipotiposi Irrazionale Irrefragabile Irregolare lstruzionerL Labbiale Lepidezza Lepido Lessico Lessicografo Lettera Letterale Liberale Lingua Linguaggio Logica Loquacità Loquela Luogo M Magniloquenza Male Malignare Maniera Manifesto Maraviglioso Massima Me Membro Memorabile Memorando Metodo º Mistero e Misterio - Modo Momento - N Narrazione Nasale Negativo Negazione Neografia Neologia Neologismo Nome Nominale Nominativo Novella Numerale Numerico Numero O Obbiettivo Obbietto Obbiezione Occasione Oggettivo Oggetto Onomatopea Opinione Opportunità e Opportuno Opposizione Opposito e Opposto Oratoria Oratore Orazione e o i Ordine Organo Ornamento e Ornato Orpellare e Orpello Orrendo, Orribile, Orrido Ortografia Ortopedia ſ P Palese Parabola Paradosso Parafrasare Parafrasi Parafraste e Paralogismo Parlare Parola Paronimo Parte Particella Participio Particolare Partizione Parziale Passivo Pedagogia Peggio e Peggiore Pensamento Periodo Persona Personale , Persuadere Persuasione Persuasiva Pertinacia ſ( - t - e Piede Pleonasmo Plurale Polemica Poliantea Poligrafia Positivo Posteriore Postulato Precisione e Preciso Predicabile Predicamento Predicato Promessa Prenozione Preposizione Presente Presumere Presunzione Preferito Primo Principale Principio Priore Privativo Privazione Probabile Probabilità, Problema Prodromo Proemio ; Pronome Pronunzia e Pronunziazione Proponimento, Proposito Proposizione Proprio Prosa Prosillogismo Proverbio Pruova S Sostantivo V Punteggiamento e - Sostrato Punteggiare Saggio Sottigliezza e Valore Purismo Satira ) Sottilità Vano Satirico Speciale Vantare i Q Scena Spezie Varietà Scenico Stampa Verbo Quantità Sconvenienza Subalterno Verisimiglianza e Questione e Scrittura Subbiettivo Verisimile Quistione Scuola 3 Subbietto Verità e Segno ) Subiuntivo Vero R Sentenza Sublime | Verso Sentire Subordinato Virgola Radicale Serie Suggetto Virtuale e Radice Sillaba Superlativo Virtualità Ragionamento Sillessi Suppositivo Viso Ragionare I Sillogismo Supposizione Vivace e Ragione Sillogizzare Sustantivo Vivacità Ragionevole Simbolico s Umanità e Rammemorare Simbolo T Umano Rappresentare Simile e Unità - Rappresentativo Similitudine Tecnico Universale , Raziocinio Singolare Tema Univocazione e Relativo Sintassi Tempo Univoco - : - Relazione i Sintesi i Teorema Vocabolo Retore Sintetico Termine Vocale - Ridevole Sistema Topica Vocativo Ridicolo Sofisma e Torto Voce Rigidezza Sofismo - Trascendentale e Volgarizzare Rigore Sofista Trascendente Uso Rima º Sofistico Tropo Rinomanza e Soggetto, Tuono Z Rinominanza Solecismo - Tutto - Ritmo i Sorite - Zeuma TEOLOGIA NATURALE. A Angelo e Ateismo B Angiolo Ateista - , Abnegazione Antropomorfismo Ateo Bacchettoneria Adorazione - Antropopatia Bestemmia Amagogia Apologetica - 640 – C Cataclismo Cielo Culto D Deismo Deista Devozione Dio Divinazione Divinità Divino Dogma Dogmatico Dogmatizzare E Empietà Esaudire Estasi Estatico Eternale Eternità Eterno A Abbiezione Abbominare Abborrire Abito Abitudine Acconcio Accortezza Accuratezza Accusa Acquiescenza F Fede Filosofismo G Giuramento II Idolatria Idolo Immateriale Immaterialità Immortale Immortalità Immutabile Impeccabile, Impeccabilità Impenitenza Increato lncredulità Incredulo Indevozione Ineffabile Infallibile e Infallibilità Infinità Infinito Influsso Inreligiosità Invisibile Ipocrisia Irreligioso L Longanimità M Male Martirio Meditazione Miscredente e Miscredenza N Naturalismo Necessario O Oltramondano Onnipotenza Ordine Organismo FILOSOFIA PRATICA. Adulazione Affabilità Affettazione Affetto Affezione Afflizione Affronto Agente Agevole Aggiunto Agitazione Alacrità Allegrezza Allettamento Alterezza e Alterigia Ambascia Ambizione Amicizia Amico Ammirazione Amore Amorevolezza Anelanza e P Perfetto e Perfezione Prescienza Providenza Purgazione R Raccoglimento Religione S Sole Spergiuro Superstizione T Teologia V Ubbia - Unico Voto (coll'o stretto) Anelito Angoscia Angustia Animosità Ansietà Antipatia Apatia Apatista Apologo Appariscente Appetitivo Appetito – 641 - Approvazione Arbitrio Ardire Ardore Aringo Arroganza Artifizio Asprezza Assentatore Assicuranza Assuefazione Atroce e Atrocità Astuzia Avarizia Audacia Avidità Austerità Autonomia Autorità Avvedutezza Avvenentezza o Avvenenza Avversione Avvertenza Avvertimento Azione IB Baldanza Balordagine Barbarie Barbaro Beatitudine Beato Beffa , Beffardo Beffare Beffe Beffeggiare Bene Beneficenza Benefizio Benevolenza Beni Benignità Biasimo Bisogno Bollore , Bonarietà Bontà Brama Bravurà Bugia Buono Burlare C Callidità Calma Calunnia Candore Carattere Carità Caso Castità Cautela Cauto Certezza Certo Ciglio Circonspezione Circonvenzione Civile Civiltà Collera Collisione Colpa Commiserazione Compassione Compatimento Compiacenza e Compiacimento Compiagnere e Compiangere Compianto sost. Compostezza Conato Concupiscenza Concupiscibile Confidanza e Confidenza Conformità Confusione Conoscenza di se medesimo Consolazione Consuetudine Continenza Contrarietà Contumelia Conveniente Convizio Coraggio Corrivo Corruccio Corruttela Corruzione Cortesia Costanza Costernazione Costume Creatore Creazione Credulità Crudeltà Culto Cupidigia Cupidità - e D - Dabbenaggine Danno Dappocaggine Decenza Decezione Decoro Deforme e Deformità Defraudare Degnazione Degnità Deliberazione Delicatezza Delirio Delitto Delizia Demenza Demerito Deplorare Depravare Depravazione Derisione Desiderio Desolazione Detestare Detrazione Dettame Difettivo Difetto Difettuzzo e Difettuccio Difettuoso e Difettoso Diffamare Difficoltà Diffidanza e Diffidenza Dignità Dileggiamento Diletto Dilezione - Dilicatezza Diligenza Dimenticamento e Dimenticanza 81 – 642 – Dio Diritto Disacconcio Disaffezionare Disamore Disamorevolezza Disanimare Disappassionatezza Disavvedimento Disavvedutezza Discolpa Discolpamento Disconforto Disconoscenza Disconoscere Disconsentire Disconsigliare Disconsolare Discontentare Discontinuare Disconvenienza Discoraggiare Discorrere Discordanza Discordare Discordia Discortesia Discredere Discreditare Discreto Discretezza Discrezione Disdegno Disdicevole Disfavore Disgrazia Disgusto Disingannare Disinganno Disinteresse Disinvoltura Disistima Disleale Dismodato Disobbedire Disobbedienza Disobligare Disonestà Disonore Disorbitanza Disordine Disparere V. Disparevole Dispari Dispariscente Disperanza º Disperare , Disperazione Dispetto Dispiacenza e Dispiacere Dispiacimento Disposizione Dispregio e Disprezzo Disragione Disregolato Dissensione Dissimulazione Dissolutezza Distinzione Disubbedire Docile Doglia Doglienza Dolo Dolore Dovere Dubbiezza Duolo Duplicità Durezza E Eccellente - Eccesso Eccezione Educazione Efferatezza Effervescenza Egoismo Egoista Eguale Elevatezza a Emenda Emozione Empietà Emulazione Enormità Entusiasmo Equabilità Equanimità - Equilibrio - Equità l Equivalente e Equivalenza i Eroe - Eroico - Esacerbare Esagerare Esaltamento Esaltazione Esanimare Esanime Esasperare Esatto Esaudire Escandescenza l Escusare Esecrare Esempio Esercitazione Esercizio Esilarare Esitazione Esorbitanza Esperienza Esperimentale Esquisitezza Estimazione - Estremità e Estremo Esultazione Età Etica Evenimento ed Evento Eutrapelia o Eutropelia F Faccia Facile e Facilità Fallacia Fallo - Falsità - - Fama - Fanatico Fanatismo i Fantasticare Fare Farneticare Fastidio Fasto Fatica Fatto Fatuità Fatuo Favola Favore Fede Fedele Fedeltà Fedità – 645 – Felicità Frenesia Giustizia Illiberale' Ferinità , i Frivolezza Giusto Illusione Ferino Frode , Gloria Imbecillità Ferità Frugalità e Glorioso Imbroglio Fermentazione , Fruire Godimento Imitare Fermezza - Fucato , Goffagine Immacolato e Ferocia e Funzione Gola Immaculato Ferocità Furberia . Gongolare Immaginoso Ferventezza, Furente e Gradazione, Immane e Fervidezza e Furia Gradevole Immanità Fervore - Furibondo i Grande Immansueto Fidanza Furioso e Grandezza Immisericordioso Fido - Furore - . Gratitudine Immobile Fiducia , G Grato Immoderanza Fierezza , - - - Gravezza Immoderato Filantropia Gabbare Gravità Immodestia Filosofante Gagliardezza e Gravosità , Immorale Filosofaccio Gagliardia Gravoso Impazienza Filosofastro Gaiezza Grazia Impensatamente e Filosofeggiare Galloria Grossezza Impensato Filosofetto Garbatezza e Grossolanità e Imperito e Filosoficare Garbo - e Grossolano Imperizia Filosofone Gaudio - . . . Guardingo Imperseverante e Filosofuolo e Gelosia Guerra Imperseveranza Filosofuzzo , i Gemere l . Imperterrito Fine - , Gemito - I Impertinente Finezza , Genorosità lattanza Imperturbabile, Fluttuamento e Genoroso ldeale Imperturbabilità Fluttuazione Genio Idiota Imperturbazione Follezza e Gentilezza ldolo Imperversare Follia Gesto Idoneità Impervertire Fomite Giocondità Ignavia Impeto Forcostumanza Gioia Ignobile e . Impetuosità e Formidabile Giovanezza Ignobiltà Impetuoso Formidine Giovenezza Ignominia Impigliare Fortezza Gioventù lgnoranza Implacabile Fortuito Giovialità Ilarità Imprecazione Fortuna Giovinezza Illecebra e Improbità Fraude Giubilo Illecebroso Improbo Freddezza Giulività Illecito Improperio Fremere e Giuoco Illetterato Improprietà e Fremito Giuramento Illibatezza Improprio – 644 – Improvedenza, Improvidenza e Improvido Imprudenza Impudente e Impudenza Impudicizia Impunità Imputabile e Imputabilità Inabile e Inabilità Inanimare Inanimato Inanimire Inartificioso Inavveduto Inavvertenza Inazione Incapacità Incastità Incauto Incentivo lncitamento Inciviltà Inclinazione Incolpabile Inconsideratezza Incontinenza Inconvenevole, Inconveniente e Inconvenienza Incoraggiare Incorrigibile Incorruttibile lncostanza Incredibile Incredulità Incredulo Incrudelire Incuriosità Indebito Indecente e Indecenza Indecoroso Indecorosamente Indefesso Indegnità Indegnazione Indeliberato Independente Independenza Indeterminazione - Indignazione Indipendente Indipendenza Indifferente Indifferenza Indiligenza Indiscretezza e Indiscreto Indisposizione e Indizio Indocile e Indocilità Indole Indolenza Indotto Indulgenza Industria Inequivalente Inescusabile Inesorabile e Inesorabilità Infamare lnfame Infamia Infedele e Infedeltà Infelicità Infermità Infido Infingardaggine e. Infingardo Inflessibile Inganno Ingeneroso Ingenuità lngiocondo Ingiuria Ingiustizia Ingiusto Ingordigia Ingratitudine Ingrato Inimicizia e Inimico Iniquità Inirascibile Iniziato Innobilezza e Innobiltà Innocente e Innocenza Inobbedienza Inonestà e Inonesto Inonorato Inquietezza e - Inquietudine Inragionevole Inrazionabile Inregolare Inresoluzione - Insania Insensibile Insidia Insigne Insinuazione Insipiente e Insipienza Insolenza Instruzione Insulto Integrità Intemperanza Intensione Intensità e lntenso Intenzione Interesse Interiore e Interno - Intimidità Intimo Intrepidezza e Intrepidità Invariabile lnverisimiglianza e Inverisimile Invidia Invito Involontario Inumano Inurbano Ipocrisia Ira e Iracondia Irascibile e Irascibilità Irragionevole Irrazionabile Irresolutezza Irrisione Istinto Istruzione L Lacrima Lagnamento e Lagno Lagrima Laidezza Lamentazione Lamento Lascivia Lautezza – 645 – Lealtà Lecito Legge Leggerezza Letizia Levità Libello Liberale Liberalità libero Libertà Libertinaggio Libidine - Licenza Licenzioso Lietezza e Lieto Limosina Lode Longanimità Lusinga Lusso Lussuria Lutto M Macchinamento e Macchinazione Magnanimità Magnanimo Magnificenza Magnitudine Malacconcio Malaccorto Malacreanza Maladizione Malaffetto Malagevole Malanconia Malanno Malardito Malavoglienza Malavveduto Malconsigliato Malcontento Malcostumato Malcreato Maldicenza Maldisposto Male - Maledizione Malefico e Malefizio Malevoglienza Malevolo Malfare Malignare Malignità Malinconico Malizia e Malizietta Malo Malore Malvagio e Malvagità Mancamento Mancatore Mania Maniera Mano Mansuetudine e Maraviglia Maraviglioso Marrano Maternità Matteria Mattezza Mediocrità Meditazione Mendace Mendacio Mentire Menzogna Merito Mestizia Mezzo Millanteria Miserabile Miserando Miserazione Miserevole Miseria Misericordevole Misericordia Misericordioso Misero Misfare º Misleale e Mislealtà Mistico add. Mistico sost. Mite Moderanza e Moderazione Modestia Molestia Mollezza Momento Monomania Morale Morbidezza Mordacità Mortale Morte Motivo Mevimento N Naturale sost. Necessità Nefandezza, Nefandigia e Nefandità INefario Neghittoso Negligenza Nemico Nequizia Nettezza Niquitoso Nobile e Nobiltà Nocumento Noia Novella' O Obbedienza Obbedire Obligazione Obbligo e Obligo Obblio e Obblivione Obbrobrio Occasionale Occasione Odio Odioso Offensione e Offesa 0ficio Ofizio Oltraggio Omissione e Ommissione Onestà Onesto Onoranza Onore Operare Operazione Opportunità e Opportuno Organismo Orgoglio – 646 – Orpellare e Orpello Orrendo, Orribile, Orrido Orrore Ossequio Osservanza Ostentazione Ostinazione Ottimo Ozio Oziosità p Pace Parabola Particolarità Passione Paternità Paura Pazienza Pazzia Peccato Peggio e Peggiore Pena Penitenza Penoso Pentimento Perdonanza, Perdonare e Perdono Perfetto e Perfezione Perfidia Perplessità o Perplesso Perseveranza Pertinacia Perturbazione Perversità e Perverso e Pessimo Petulanza Piacere e Piacevole e - Piacevolezza Pianto e Picciolo e Piccolo Pietà e Pietade Pietoso - -- Pigrezza e Pigrizia Pio Placidezza e Placidità Politezza Poltro, Poltrone, Poltroneria Positivo Povertà Pravità e Pravo Precetto Precipitanza Precisione e Preciso Predilezione e Prediligere Pregio Premeditare e Premeditazione Premio Presontuoso, Presontuosità , Presonzione Prestante e Prestanza Pretesto Prevaricazione Prevedimento e Previdenza i Prevenzione Principio Probabile i Probabilismo Probabilità , Probità Procace Prodezza Prodigalità Produzione Progetto , Promessa, Promessione e sa Promissione Pronostico e Propensione - Proponimento, e Proposito Prosperità Prossimo Protervia e Protervità Proverbio Providenza Provocamento Prudenza Pruova Pudicizia Pudore Pulitezza Puntualità Purgazione Purità e Puro Qualità Quantità e Querela Querimonia Quiete R Ragionevole Rallegranza, Rammaricamento e Rammarico Rampogna e Rampognamento Rancore Rancura i Rassegnazione , Rassimiglianza e º Rassomiglianza i Relativo Relazione , Remunerazione Reprensione Reprobo , Reputazione Rettitudine e Retto Reverenza Riamare Ribalderia e Ribaldo Ribrezzo Ricadia Ricchezza Ricompensa Riconoscenza e Riconoscimento Ridere - Ridevole - Ridicolo - Rigidezza Rigore Rimordimento e Rimorso Rimunerazione Rinomanza e Rinominanza Riposo – 647 - Riprensione Riprezzo Riputazione Risibile -- Risibilità - - - Riso Risolvere e Risoluzione Risponsabile e Risponsabilità Riverenza Rozzezza e Rozzo Ruvidezza e Ruvido Saggio Sanità Sapiente Sapienza Satira Satirico Sbalordimento Sbeffeggiare Scegliere e Scelta Scempiaggine e Scempiataggine Scenico Scherno Schiavitù e Schiavo Schiettezza e Schietto Sconfidenza Sconfortamento e Sconforto Sconoscenza Sconvenienza Rispetto Screditare Scusa e Scusazione Sdegno Seduzione Semplicione Semplicità Senso Sensuale Sensualità Sentenza Sentimento Sentire Serenità e Sereno Servaggio e Servitù Severità - Sfacciataggine e Sfacciatezza Sgomento Sicurezza Simpatia Simulare e Simulazione Sinderesi Sistema - Sistematico Smania Smemoraggine e Smemorato Soave e Soavità Sobrietà Sodezza Sofferenza Sofficiente Sollecito Sollecitudine Spavento Specchio Spensierato - : Speranza Spergiuro Splendore Spontaneità e Spontaneo Sregolatezza Stima Stolido e Stoltezza Stoltizia e Stolto - Stranezza Stupido Stupore Subordinato Sufficiente Suggestione Suicidio Superbia Superfluo Superstizione T Taccia Talento Tapino Tedio Temperanza Tenace e Tenacità Tenerezza Tentativo f Terrore Testimonianza Timidezza e Timidità Timore Tolleranza Tormento Torpidezza, Torpido e Torpore Tortitudine Torto Tracotanza Tradigione e Tradimento Tranello Tranquillità Trascuraggine e Trascuranza Trasumanare Trepidazione Tribolazione Tristezza Tristizia Turbolenza e Turbolento Turpe Turpiloquio Turpitudine : : V Valore Vanagloria Vaneggiare Vanità Vanitoso - Vano Vantare º Ubbia Vecchiezza Velleità Venalità Vendetta Venerazione Verace e Veracità Verecondia Vergogna Verisimiglianza e Verisimile - 648 - Umore Uniforme Unione Voglia Volontà Volontario Volubile e Volubilità Voto (coll'o stretto) GRECISMI SUPERFLUl. G Geogonia Geonomia Gnomologia I Iatrica Iatrochimica Iconografia Idiolatria Idrogeologia M Macrologia Micrografia N Neografismo O Ontosofia LATINISMI SUPERFLUI Verità Virtù Vero Viso Ufizio Vituperazione e Vigilanza Vitupero Vile Vizio Vilipendio Umanità e Villania Umano Viltà Umile e Violenza Umiltà A D Aerografia Dattilografia Anaclastico Dattilologia Antropografia Dattilonomia Antropomorfologia Dattiloteca Antroponomia Antroposofia E Antroposomatologia Antropotomia Epagocico Aretologia Etologia Etopea I B Eudemonologia Eutimia Bibliognosia F Botanografia Botanologia Filauzia Fisiocrazia C. Fisiografia Caologia Fitografia Chirologia Fitonomatotecnia Craniografia Fonica Cranioscopia Fonologia C P Cogitazione Pauperismo Pernizie

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