Thursday, August 13, 2020
IMPLICATVRVM -- in IV -- IV
alla vita del quale è stata pre parata e adattata, diviene ancora uno
dei più importanti obbietti della filosofia in tellettuale. Come pianeta, il
suo moto, la sua fi gura, e le sue relazioni cogli altri corpi del sistema
planetario, entrano tra gli obbietti dell'astronomia geometrica o sia della
meccanica celeste. V. Pianeta, Si Slema. Come il globo del nostro domicilio, di
cui c'importa conoscere la forma, la su perficie, da noi abitata, e le sue
diverse parti, abbraccia la storia naturale tutta intera, il regno animale, il
vegetale, il terrestre, e l'etereo; dapoichè l'atmosfera e le meteore debbon
esser considerate, e sono, parti accessorie della Terra. V. Ma tura, Storia.
Infine come parte dell'universo, e come l'opera del Creatore, che noi siam chia
mati a contemplare, somministra i più grandi e i più importanti argomenti della
cosmologia, delle cause finali, e della teo logia naturale. V. queste voci.
Riducendo a due temi generali tutti gli obbietti speciali che ciascuna delle
divisate scienze prende partitamente ad esaminare; le nostre investigazioni
intorno alla Terra, considerata per se stessa, e fuori d'ogni relazione colle
altre parti dell'universo, possono risguardare o la sua esterna for ma, o la
sua interna composizione: la - 495 - prima appartiene alla geografia fisica,
propriamente detta: la seconda alla geo logia e alla mineralogia: la geologia è
una scienza generale, la quale apre alla mente umana degli spiragli per
penetrare nella storia fisica del mondo: la minera logia contiene propriamente
l'analisi delle particolari produzioni naturali rinchiuse nel profondo seno
della Terra. Lasciamo questa a'naturalisti, e fermiamoci alquanto alla prima,
di cui l'importanza è mag giore, non tanto perchè più alletta e sod disfa la
nostra curiosità, quanto perchè i fatti generali, a quali le sue osservazioni
ci conducono, possono spandere un gran de lume sopra le leggi fisiche, nelle
quali sono fondate la cosmologia, e la dottrina della creazione. V. questa
voce. Certamente noi non possiamo conoscere come la Terra è stata plasmata,
quali sieno i suoi primi componenti, quale la sua interna composizione, quale
il prin cipio o l'essenza della forza che la muo ve e la tiene sospesa nello
spazio dei cieli. Abitatori della sua superficie, cer chiamo d'investigare le
qualità della ma teria, che cade sotto i nostri sensi ; dia mo nome alle cose
per distinguere le une dalle altre; ma dopo averle denominate ed ordinate nella
nostra memoria, non però ignoriamo meno il costitutivo loro. Cerchiamo
d'internarci nelle viscere sue, e parliamo del centro della terra, ma limitati
e piccioli come siamo di rincon tro alla natura, quando crediamo di es sere
discesi ad una grande profondità, ci troviamo ancora vicini alla corteccia
esteriore del globo: i più profondi cava menti delle miniere appena uguagliano
l'ottomillesima parte del diametro della Terra. Facciam congetture intorno alla
materia di cui il suo nucleo è composto, ed ora lo concepiamo come solido e cri
stallino, ora come sede del fluido , del fuoco, e del calorico; concetti
ipotetici, i quali servono soltanto ad alimentare e a rendere attuoso lo
spirito d'investiga zione di cui siamo dotati. Volgiamo gli occhi alle montagne
che ci circondano, e domandiamo a noi stessi come si sieno formati sì grandi
masse; come in esse sia stato alimentato il fuoco del volcani; qual parte abbia
questo avuto nella for mazione del globo ; come cotesto fuoco ancora si accenda
in talune di esse, d'onde provenga, da quali materie accensibili, se le somministri
il mare o la terra stessa. Tutte queste ricerche sono utili per pro muovere lo
spirito d'investigazione, e per darci nuovi suggetti da ammirare l'im mensità e
la varietà delle opere della na tura, senza farci nulla avanzare nella
conoscenza de mezzi, pe quali ha ella operato. Pur tuttavolta, tra le tante
confessioni d'ignoranza che dobbiam fare a noi stessi; qualche baglior di luce
ci mostra de'fatti, da quali possiam ricavare qualche conse guenza utile al
principale scopo delle no stre investigazioni. Nella parte più interna della
terra, e delle rocche; nelle masse de'marmi e delle pietre le più dure; sulla
cima del monti, e ne siti più lontani dal mare, noi troviamo conchiglie marine,
scheletri di pesci, e piante marine simili a quelle, che vivono attualmente nel
ma re: tali produzioni trovansi petrificate e incorporate nella stessa sostanza
terrestre che le circonda e contiene. Cotesto fatto, accuratamente esaminato ci
ha dato la chiara dimostrazione che la Terra ora da noi abitata fu un tempo co
verta dalle acque del mare; che queste acque superarono le più alte cime de mon
– 496 – ti; che, quel che ora noi chiamiamo ter ra, fu per lungo tempo fondo
d'un mare; e che la forma, e la disposizione delle materie e degli strati che
ora la compon gono sono l'opera della lenta deposizione delle acque medesime.
Questo è quel fat to, che ha aperto alla geologia il varco, per istabilire un
principio vero della storia fisica del nostro globo. I sistemi, che sopra tal
fatto sono stati fondati, han preso il nome di Teoria della Terra, ma prima che
la storia naturale e la mineralogia non avessero messo in chiara luce il
fenomeno delle petrificazioni e del depositi del corpi marini, cotesti si stemi
aggiraronsi circa le supposizioni e le ipotesi. Tali furono quelli di Burnet,
di Wiston, di Woodward, la protogaea di Leibnizio, la Teoria di Scheuchzer, e
lo spettacolo della natura di Pluche. Buffon fu il primo a ben valutare le
conseguenze del fatto delle petrificazioni, e dopo di lui de Lue nelle sue
lettere sulla storia della terra e dell'uomo. Checchè possa dirsi di talune
delle loro congetture, essi me ritano di essere considerati come i fonda tori
della moderna geologia. Il fenomeno delle petrificazioni de corpi organici stu
diato ancora con più accuratezza da mo derni geologi ha fatto acquistare a
questa scienza dati più sicuri per determinare le diverse età degli strati, i
quali formano l'esterna corteccia del nostro globo. (Vedi anche la Teoria della
Terra di Cuvier, o sia il Discorso intorno a cangiamenti della superficie del
globo). V. Fossile, Geologia. Dalle stesse tracce, che i corpi marini hanno
lasciato sulla terra, emerge un'altra verità di fatto non meno importante della
prima, che è la novità del nostro con tinente, novità relativa a quella
sterminata antichità, che è piaciuto a molti di sup porre sopra i falsi
suppositi della storia favolosa di talune nazioni. Diciamo esser nuovo il
nostro continente, perchè lo ab biam ricevuto dalle mani della natura in uno
stato emergente da una fisica rivolu zione, la quale mutato aveva la sua antica
e primitiva superficie. Cotesta verità stabi lisce il principio della
cronologia fisica del mondo, alla quale immediatamente si annoda la cronologia
civile, fondata nel periodico rivolgimento de corpi celesti. V. Cronologia, Storia.
TERRORE (prat.), viva emozione del l'animo per l'aspetto d'un gran male, o d'un
grande pericolo. V. queste voci. Differisce dallo spavento, che presup pone una
improvvisa cagione.V. Spavento. TESTA. V. Capo. TESTACEo (spec. ), animal
coverto da buccia o da nicchio, che vive per lo più nelle acque, ed anche nella
terra. Secondo Linneo i testacei eran compresi nella classe del vermi e
demolluschi, ma giusta le più recenti classificazioni, pren dono il loro luogo
non dalla esterna for ma, ma da altre parti caratteristiche del loro interno
organismo. V. Mollusco, Or ganismo, Verme. TESTIMONIANZA (spec. e prat.), il
detto d'un uomo di retti sensi e di sano giu dizio, il qual depone d'un fatto
da se veduto, o inteso. È il fondamento dell'autorità, e della credibilità del
fatti, del quali giudichiamo sulla fede altrui. V. Autorità. È una spezie delle
pruove, per le quali ci accertiamo della verità d' un fatto in certo. V.
Pruova. – 497 – Impropriamente diamo a questo voca bolo il significato d'una
manifestazione de propri sensi. V. Senso. TIMIDEzzA e TIMIDITÀ (prat.), qualità
che l'animo contrae per l'abito del timore. V. questa voce. Tmone (prat.),
perturbazione d'animo, cagionata da immaginazione di futuro ma le. V. questa
voce. Gli stoici lo definirono, opinione d'un mal che sovrasta, e che
apprendiamo per intollerabile, e ne fecero uno dei quattro generi delle
passioni, cioè: la tri stezza, il timore, l'allegrezza e la cu pidigia. A
questo genere poi assegnarono come sue spezie: la pigrizia, la vergo gna, il
terrore, la semplice tema, lo spa vento, la sconfidanza, e la costernazione.
Per verità non soddisfa la definizione nè la proposta partizione. Non ogni mal
temuto produce molestia intollerabile; nè s'intende come la pigrizia possa in
qualità di spezie sottostare al genere del timore; nè come la vergogna, che è
un segno del mal fatto, possa essere confuso col senti mento del male che
de'avvenire. Inoltre il timore è un sentimento che ci occupa pel male che
attendiamo da altri e non da noi stessi; mentrechè la vergo gna si riferisce
unicamente al fatto pro prio. Noi abbiamo altrove notato i vizi delle stoiche
categorie intorno alle passio ni. V. questa voce. ToLLERANZA (prat.),
moderazione per la quale si lascia fare ad altri, quel che si crede non dovere,
o non poter impedire. ToPICA (disc.), arte di trovare gli ar gomenti. Gli
antichi retori ed oratori diedero gran de importanza a quest'arte, in pruova di
che abbiamo i libri che ne scrissero Ari stotele e Cicerone. I moderni han
meglio degli antichi compreso che l'arte del ra gionare, del pari che
l'eloquenza si ac quistano più facilmente per la virtù d'una colta
immaginazione, e per la imitazione, che per le regole scritte. E però sono an
dati in disuso i così detti luoghi logici e retorici. V. Luogo. ToPoGRAFIA
(crit.), minuta descrizione d'una contrada o d'un particolar paese. ToRACE
(spec.), la capacità del petto, nella quale son compresi il cuore insieme
cogrossi vasi e i polmoni. V. questa voce. ToRMENTo (prat.), pena che affligge,
o dolor grave e continuo, che si prova per la vessazione del corpo. I latini
l'espressero per un frequenta tivo, afflictatio, vale a dire per lo dolor
continuo. V. Dolore. ToRPIDEzzA, ToRPIDo e ToRPORE (prat.), grado di pigrizia,
che si avvicina all'as senza della facoltà sensitiva, e del senso morale. V.
Senso. È una similitudine presa dall'intirizza mento e dall'impedimento di
moto, che soffrono i sensi esterni in vicinanza del sonno, o per altra cagion
fisica, che so spenda le funzioni di quelli. ToRTITUDINE (prat.), per un senso
tras lato dal non retto, vale ingiustizia e mal vagità. V. queste voci. ToRro
(dise. e prat.), quel che è con trario al retto e al giusto. 65 - 498 – Vale
tanto nel senso d'un falso ragio nare, quanto in quello d'un fatto contra rio a
principi della giustizia. In un significato più comune vale in giuria, o danno
arrecato. V. queste voci. - TRACHEA (spec.), vaso cartilaginoso, per lo quale,
a guisa d'un tubo, passa l'aria nel polmoni. È l'organo immediato della
respirazione e della favella. V. Respirazione. TRAcoTANZA (prat.), eccesso
d'insolen za, commesso con deliberato animo.V. In solenza. TRADIGIONE e
TRADIMENTo (prat.), la frode commessa a colui, al quale si ha obligo d'esser
fedele. È il maggior di tutti i vizi, perchè rompe il natural legame della
comunione tra gli uomini, e delle virtù che da que sta dipendono. Le leggi
umane lo puniscono colla nota dell'infamia; il comune linguaggio lo qualifica
col nome di perfidia, e i poeti morali cercano di renderlo anche colle
immagini, odioso e dispregevole. Sappi che tosto che l'anima trade Come fec'io,
il corpo suo l'è tolto Da un dimonio che poscia il governa Mentre che 'l tempo
suo tutto sia volto. DANTE Inf. 33. TRADIZIONE ( crit.), racconto di fatti e di
avvenimenti, trasmesso da una età al l'altra. Distinguiamo in questo vocabolo
due si gnificati, uno generale, particolare l'altro. di tutte le umane
conoscenze. Per tale la considerarono gli antichissimi sapienti del paganesimo,
presso i quali distinguevasi la dottrina teologica, tradizionale, o po sitiva,
dalla razionale. Quella metteva capo nelle prime credenze depopoli, e nelle
manifestazioni della divinità: questa trae va origine dalle speculazioni del
filosofi. I poeti teologi furon maestri della tradizio nale, che Pitagora,
Parmenide, e lo stesso Platone cercarono d'innestare alla razio nale.
Aristotele, richiamando la filosofia alla osservazione e alla sperienza del sen
si, separò interamente la tradizione dalla speculazione e dal ragionamento. Ma
le opinioni degli antichi intorno al saper tra mandato all'uomo erano fondate
sopra con fuse idee di origini del tutto mitologiche. Di quanta maggior
importanza non è la tradizione per noi, che riconosciamo dal la creazione, e da
una prima necessaria rivelazione le principali tra le umane co noscenze, se anche
queste altre non fos sero, che la cognizione del Creatore, l'uso della parola,
e le notizie delle cose ne cessarie alla vita? Mel particolare, è l'elemento
della sto ria, che mette capo nella testimonianza dei primi uomini, i quali
furon presenti alle cose narrate. È quel genere di storia verbale, proprio del
popoli rozzi e senza lettere, i quali non hanno altro mezzo di comunica zione
fuori della voce. La sua naturale cre dibilità è maggiore o minore, secondo chè
è più o meno vicina alla sua sorgen te, e però distinguesi in prossima o ri
mota, in antica e moderna, in generale e particolare, e per rispetto alla
qualità de fatti narrati, in sagra e profana. La rimota tradizione del mondo
pagano son Mel generale, la tradizione può essere quelle prime favole o
dicerie, che i primi considerata come la sorgente e la madre scrittori di
storia narrarono come accertate – 499 – dalle popolari credenze. E siccome
abbia mo di già veduto quanto tardi s'introdu cesse l'uso del caratteri e della
scrittura presso i popoli del paganesimo; quanto povera fosse la loro
cronologia, fondata nella sola genealogia delle famiglie; e come la storia
civile si trovasse involta nelle favole e nella mitologia; così possiam dire,
che la storia civile del mondo non è preceduta da alcuna tradizione; e che la
certezza storica comincia dalla età dei primi scrittori di storia. V.
Cronologia, Storia. Può la particolare tradizione d'un po polo avere quei
caratteri di certezza, che non ha la generale, il che si verifica quando
stabilita sia tra gente, che abbia uso di scrittura e cognizione di lettere;
quando fondata sia in una certa e distinta misura di tempo; quando sostenuta
sia da monumenti o da altre memorie stori, che; quando convalidata venga da
fatti e da avvenimenti naturali d'innegabile verità; e quando sia stata
costante ed uni forme per modo, che separando i diversi periodi di tempo
ch'ella comprende, cia scuno di questi raccolga tanti motivi di credibilità e
di certezza, quanti ne ha l'altro che lo precede. Nel concorso di tutti i cennati
requisiti, il prossimo ag giugne fede al rimoto, e l'uniformità del consenso di
tutte le generazioni, per le quali la tradizione è passata, forma una
invincibile autorità eguale a quella che aversi potrebbe d'un fatto presente
per la testimonianza di tutto un popolo, e di cia scuno degl'individui che lo
compongono. Una tradizione di tal fatta, renduta per manente dal primo
scrittore di storia che l'ha per le lettere tramandata, è quel che dicesi
tradizione scritta o storica, la quale non solamente si confonde colla stessa
sto ria, ma le imprime il carattere dell'au tenticità. V. Autorità,
Testimonianza. Il solo ed unico esempio di tale auten ticità ci viene dalla
sagra tradizione, cui è stata affidata la prima, e la seconda rivelazione fatta
al genere umano. La dottrina sì dell'una che dell'altra è nata dalla parola e
non dalla scrittura. L'uomo non ha saputo formarsi una storica tra dizione. Ce
l'ha data Iddio insieme col linguaggio e colla scrittura. V. queste voci.
TRADUZIONE (crit.), il voltare da una lingua in un'altra il componimento d'un
autore. Le traduzioni sono state il mezzo per lo quale le conoscenze e la
coltura son passate da un popolo in un altro. Per tal mezzo passarono nel Lazio
le lettere e la coltura de Greci. Livio, Ennio, Sisenna, Messala ed altri
cominciarono a trasportare nella loro lingua i classici greci, e di que sto
primo studio parlando Orazio dice: Tentavit quoque si rem digne vertere posset
Et placuit sibi. Per lo stesso mezzo uscimmo noi e le altre europee nazioni
dalla barbarie della età di mezzo, e richiamammo a vita le lettere greche e le
latine. Insino a quando la lingua latina fu il linguaggio comune de'dotti,
l'uso delle versioni fu limitato a trasportare le lingue morte nelle viventi.
Ma dacchè ciascuna nazione ha cominciato a coltivare la sua lingua, e a
trattare le scienze e le arti nel proprio sermone; le traduzioni son divenute
generali, e neces sarie per la reciproca comunicazione dei pensieri tra le
nazioni di diverso parlare. Maggiore certamente è la facilità di questi
volgarizzamenti di rincontro a quelli del º – 500 – le lingue antiche ; ma la
facilità stessa è stata sorgente di licenza, e di barbarismi. Di licenza,
perchè il tradurre è divenuto mestiere da dozzina, affidato ad uomini i quali
poco o nulla conoscendo le materie de libri che traducono, svisano i pensieri
dell'originale, o sostituiscono le idee loro al pensier dell'autore. Di
barbarismi, per chè i traduttori corrompono la propria lin gua coll'adozione
d'ogni sorta di locuzioni e di vocaboli superflui, e riprovati dalle forme e
dalla eufonia della lingua stessa. Tali licenziose versioni nelle opere di gu
sto o di amena letteratura non solamente mancano al principale loro scopo, ma
can giano spesso il bello in deforme ; e nei suggetti scientifici svelano
l'ignoranza e l'incapacità del traduttori ; il che sovente ancora torna a
disdecoro della nazione, cui essi appartengono. Il traduttore in somma dee
sapere ripensare nella pro pria lingua quel che l'autore ha pensato nella sua,
e trovare ne termini i perfetti equivalenti di quelli ne quali l'originale si è
espresso. I vizi testè divisati, uopo è dirlo, sono oggidì frequenti in Italia
più che altrove, e tanto più inescusabili quanto più fre quenti sono nelle
versioni di due lingue, che tra le moderne volgari sono le più af. fini tra
loro, come l'italiana e la france se. La ragione di ciò è, che le traduzioni
son divenute speculazioni di stampatori, i quali impiegano a quest'ufizio
giornalieri idioti, che nel voltare gli scritti da una lingua in un'altra corrono
dietro alla ma teriale somiglianza delle parole. Che se non volessimo schivare
la nota di far da critico e da censore della presente età , additar potremmo
tre o quattro celebrate e voluminose opere storiche e scientifiche, o da poco
edite, o ancora in corso di stampa presso i principali tipografi italiani, le
quali potrebbero essere messe al bando come esempi d'insensate e puerili tradu
zioni. Ma una censura legale sarebbe pur necessaria, sopratutto ne libri
d'insegna mento, acciocchè non venissero in danno della gioventù deformati da
false o da confuse nozioni. - Per contrario i vantaggi delle perfette
traduzioni sono il mezzo da diffondere la coltura, mettendo tutte le nazioni
incivi lite al medesimo livello; e da arricchire le lingue viventi con nuovi
vocaboli o tecnici o comuni, purchè nella loro ado zione convengono le forme
gramaticali e i requisiti riconosciuti dall' Uso. (V. il disc. prelim. S. VXI.
e seg. ). TRAGEDIA (crit.), poema drammatico, che rappresenta una eroica
azione, degna di essere imitata o ammirata, e capace di nobilitare le passioni
della commisera zione e del terrore. l drammatici e i critici hanno molto
disputato intorno alla definizione della tra gedia, prendendo per norma quella
da tane da Aristotele, il quale tra caratteri propri dell'azione novera quella
di purgare le passioni per mezzo della commiserazione e del terrore. I
drammatici francesi, e so pra tutto Corneille e Voltaire, non che Me tastasio
hanno o dichiarato oscuro, o volto in ridicolo il concetto di Aristotele. Ma se
il purgamento, che in somma è una tra duzione della voce greca a 3xfois si
prenda per purificare, che vuol dire nobilitare; il concetto di quel gran
maestro divien chiaro e non oscuro, e molto meno ride vole. Il terrore è una
passione comune, e non degna d'un animo forte. L'essere poclive alla
commiserazione, al pianto, e al dolore è indizio d'animo debole; e per - – so –
lo meno son questi moti del cuore facili ad essere suscitati da grandi, e da
picciole cagioni. Ma il temere per la virtù perse guitata o per l'innocenza
oppressa; e il lacrimare per l'una o per l'altra, è degno d'un cuor nobile;
siccome il saper suscitare opportunamente tali passioni, è opera di grande
artista. E certamente esse son pu rificate e nobilitate, quando l'azione dram
matica dimostra, come possano essere no bilmente collocate. Lo stesso può dirsi
del l'epopea, la quale, secondo l'avvertenza dello stesso Aristotele, non
differisce dalla tragedia, se non perchè pone in uso una sola spezie di versi,
perchè si limita alla sola narrazione, e perchè non è, come la tragedia,
limitata nel tempo (Art. Poet. Cap. V.). Ogni azione drammatica comica o tra
gica che sia, si prefigge il fine di dilet tare e d'istruire. Il diletto nelle
azioni dram matiche nasce dalla perfetta imitazione della natura; e
l'istruzione, dal conoscere la giusta misura delle passioni. Questo è quel che
gli scrittori dell'arte han chia mato utilità, ad introdurre la quale nei
tragici componimenti raccomandano tre mezzi: 1.º l'uso delle sentenze morali,
sobriamente ed opportunamente adoperate: 2.º la naturalezza nel rappresentare e
nel descrivere le passioni: 3.º il sapere ispi rare agli spettatori l'interesse
per la virtù, contra le vicissitudini della fortuna. Tutti i cennati requisiti
non pertanto ne pre suppongono un altro, nel quale principal mente è riposto
l'effetto delle tragiche rap presentazioni, che è la verisimiglianza del fatto,
e del suoi accidenti. A stabilire la verisimiglianza son dirette le regole del
l'unità dell'azione, del tempo, e del luo go, che non pertanto conviene bene in
tendere, per non cadere nelle estremità di quelli che pretendono di trovare il
ve risimile nel vero ; o di quegli altri che affrancar vogliono l'imitazione da
qualun que regola di verisimiglianza. V. Verisi mile, Unità. TRAGICOMEDIA (
crit.), componimento drammatico misto, in cui all'argomento tragico sono
interposti attori, azioni, o incidenti comici. E una delle bizzarrie teatrali,
scono sciuta agli antichi, i quali non mai con fusero, nè associarono insieme i
due ge neri per se stessi distinti, il comico cioè e il tragico, quantunque
Plauto avesse per gioco chiamato tragico-media l'Amfirione, perchè fece ivi
intervenire gli dei e gli eroi. Ma cotesti personaggi non aggiun gono nulla di
tragico a quella comedia, dapoichè vi sono adoperati per sommini strare
occasioni verisimili alle ridicole av venture di Sossio. Ei pare che si possa
francamente affer mare, esser quella una produzione di fal so gusto, tra perchè
offende il verisimile, e perchè non può prefiggersi alcun fine utile. L'azione
perde ogni carattere di gra vità, allorchè gli spettatori sono alterna mente
invitati al riso e al pianto, o alla tristezza e alla gioia. Cotesto genere di
componimenti drammatici è stato in uso presso le moderne nazioni, e in alcune
più che in altre. I Francesi spezialmente ci han dato per lungo tempo le loro
com medie lagrimose, le quali sembrano ora essere state sbandite da un più
ragione vole gusto. Il romantico, che vuol rivendicare i diritti della libera
fantasia, potrà forse risuscitare la tragicomedia, e associar di nuovo i
capricci della fantasia colle regole del verisimile, V. Romantico. – 502 –
TRANELLo (prat.), inganno ordito con malignità ed astuzia. TRANQUILLITÀ
(prat.), stato di quiete in cui l'animo si trova per la calma degli affetti. È
uno de caratteri della beatitudine. V. questa voce. TRASCENDENTALE e
TRAscENDENTE (spec. dise. e erit.), quel che sopravanza la capacità
dell'ingegno, o trapassa la co mune misura delle umane conoscenze. I metafisici
chiamarono trascendentali l'essenza di Dio e quella degli spiriti ce lesti,
perchè la mente non può concepire quali esse sono. Lo stesso avrebbono do vuto
dire delle essenze di tutte le cose, e chiamare trascendentale la nozion del
l'essenza in generale. I logici e gli ontologisti chiamarono trascendentali
taluni termini, i quali son sì generici, universali e indeterminati, che
convenir possono ad ogni subbietto. Tali sono i vocaboli l'ente, l'uno, il
vero, il buono, la cosa. I geometri chiamarono trascendenti una spezie di
quantità incommensurabili, la cui determinazione non può dipendere dal le
operazioni dell'algorismo algebraico, come i logaritmi, le quantità
esponenziali, e le circolari; e Leibnizio chiamò trascen dentali le equazioni,
per le quali le curve trascendentali son definite. Kant ha chiamato
trascendentale quella parte della filosofia la quale raccoglie le nozioni
acquistate a priori, per mezzo dell'organo della ragion pura.V. Filosofia.
Finalmente questo vocabolo è divenuto il favorito della moderna scuola del pro
gresso, la qual predice un futuro stato di sapienza e di prosperità, cui la
lunga vita del genere umano ha sinora servito di semplice preparazione. Quali
sieno i dati, ne quali cotali predizioni son ſon date, l'abbiamo già detto
nell'articolo pro 9resso. V. questa voce. TRAscURAGGINE e TRAscuRANZA (prat.),
omission grave di quel che per dovere, o per propria utilità, convien fare. E
più della negligenza. V. questa voce. TRAsUMANARE (prat.), passare dalla uma
nità a grado di natura più alta. E vocabolo di Dante: Trasumanar, significar
PER vers 1 Non si poria: però l'esemplo basti A cui esperienza grazia serba.
(Paradiso I.). TREPIDAZIONE (prat.), timor grave ac compagnato da tormentosa
aspettativa del male. V. Timore. TRIBOLAZIONE (prat.), afflizione prolun gata per
nuove punture di dolore. V. que Sta VOce. TRISTEzzA (prat.), malinconia, che do
nina l'animo, per un male che soffre, o per un pericolo che teme. La tristezza
può nascere tanto dal do lore, quanto dal timore. Gli stoici la con fusero col
dolore, quantunque essa non sia, se non un segno il quale accompa gna ambe le
cennate passioni. È questa una novella pruova della imperfezione delle stoiche
categorie intorno alle passio ni. V. Dolore, Timore. TRIstizia (prat.),
ribalderie ridotte in costume. V. Ribalderia. – 505 – TRoPico (spec.), uno de
due circoli della sfera tirati paralelli all'equatore, i quali segnano i limiti
del cammino del sole verso i poli, o sia la sua maggior declinazione verso il
settentrione e il mez zogiorno; per modo che quando il sole è giunto all'un di
essi, volge il suo corso verso dell'altro. TRoPo (disc.), l'inversione del
senso d'una parola, dal proprio nel figurato. I sensi figurati sono sì
necessari alla forza e all'ornamento del discorso, che ci son divenuti
familiari, anche nel parlar comune, e gli usiamo quasi senza avver tirgli. Così
diciamo asino per uomo igno rante, casa per città, e indichiamo la parte perlo
tutto, e le figure per le cose figurate. Disputano i gramatici se i tropi
possano o no dirsi figure, il che da molti si nega; perchè chiaman figure
quesoli ornati che si fanno al discorso aggiugnendo, toglien do, o
trasponendone le parti. Costoro li mitano il significato del tropo alla sola
inversion del senso delle parole; e questa inversione, dicono, potersi fare in
quattro modi, che sono la metafora, la metoni mia, la sinecdoche e l'ironia.
Sembra a noi ben facile la conciliazione delle due contrarie opinioni, dicendo
che i tropi entrano nel genere delle figure; dapoichè per senso o parlar
figurato tutti intendono ogni discorso, il quale esca dal significato e
dall'ordine naturale delle pa role. V. Figura. TUoNo (dise. e crit.), grado di
pro gressione della voce, o del suono dal grave insino all'acuto. Conviene
tanto a diversi gradi della na turale elevazione della voce, quanto alle
progressioni studiate della musica. I Latini li chiamarono modi, i Greci tuoni
o tropi. I gradi di tali progressioni hanno nella musica un numero determinato,
il quale forma quel che noi diciamo ottava. TURBOLENTo e TURBOLENZA (prat.), si
militudine del materiale, trasportata all'animo scompigliato, o commosso. TURPE
(prat.), quel che è vizioso e deforme insieme. TURPILoquio (prat.), parlare
disonesto e laido. E vocabolo usato dal Cavalca. TURFITUDINE (prat.), ogni
disonestà, che ha del brutto o del laido. TUTTo (spec. e disc.), l'aggregato
del le parti, che formano un corpo, sia in dividuale, sia collettivo. V. queste
voci. I Latini adoprarono due vocaboli per esprimere due significati che noi
diamo alla voce tutto: il totum e l'omne: il primo riferivasi propriamente alla
quantità continua; il secondo alla discreta. In un senso più ampio il totum
indicava il col lettivo dell'intelletto, e l'omne il nume rico. Cicerone
determinò chiaramente am bedue questi significati in quel luogo nel quale accennando
a Pompeo dice: cui se natus totam rempublicam, omnem Ita liae pubem, cuneta
populi romani com miserat (pro Mil. c. XXIII). I Greci distinsero pure nello
stesso senso de Latini l'okos e il ras. Noi distinguiamo i due significati, ma
facciamo uso d'un vo cabolo solo. Da cennati due significati na sce il doppio
nome che i logici han dato al diverso modo di distinguere le parti di un tutto.
Chiamano essi partizione la di – 504 – stribuzione di quel che forma il totum o
l'intero; divisione la separazione delle parti del numero; e distinguono le
parti del con tinuo col nome d'integrali, e le parti del discreto col nome di
subbiettive o inferiori, Per similitudine noi trasportiamo l'idea del tutto
alle operazioni della mente, e adattiamo i vocaboli di partizioni e di
divisioni alle produzioni del pensiero. V. Divisione, Partizione. – 505 – -
Teatro Teologia Teoria Terra Topografia Tradizione Tempo CLASSI DE VOCABOLI
COMPRESI SOTTO LA LETTERA T. FILOSOFIA CRITICA, Traduzione Tragedia
Tragicomedia Trascendentale e Trascendente Tuono VOCI ONTOLOGICHE, Talento
Tangibile Tatto Tavola Te Tempo Tendine Tenebra Teologia Teorema Teoria
FILOSOFIA SPECULATIVAe Teorica Teorico Terra Testaceo Testimonianza Torace
Trachea Trascendentale e Trascendente Tropico Tutto 64 – 506 - FILOSOFIA
DISCORSIVA. Tecnico Torto Tema Trascendentale e Tempo Trascendente Teorema
Tropo Termine Tuono Topica Tutto TEOLOGIA NATURALE. Teologia GRECISMI
SUPERPLUI. Teismo Teleologico Teleologia Taccia Talento Tapino Tedio Temperanza
Tenace e Tenacità Tenerezza Tentativo Terrore Testimonianza Timidezza e
Timidità Timore Tolleranza Tormento Torpidezza, Torpido e Torpore FILOSOFIA
PRATICA. Tortitudine Torto Tracotanza Tradigione e Tradimento Tranello
Tranquillità Trascuraggine e Trascuranza Trasumanare Trepidazione Tribolazione
Tristezza Tristizia Turbolento e Turbolenza Turpe Turpiloquio Turpitudine – 507
– V - - Va (spee. ontol. e erit.), spazio non ripieno da materia. Adoperato dal
Gelli e da Salvini in luo go di voto, cui convien riservare il pro prio significato
di addiettivo. L'esistenza del vacuo è uno de proble mi metafisici, astruso
quanto quello dello spazio, e allo stesso correlativo.V. Spazio. Nelle antiche
scuole il vacuo era distinto in due spezie: coacervatum, et disse minatum, che
diremmo unito e sparso. L'unito è lo spazio stesso privo d'ogni materia: lo
sparso è quel che credesi es sere ne corpi e negli interstizi loro. Quanto al
primo i pitagorici e gli epi curei sostennero l'esistenza del vacuo oltre i
limiti del mondo sensibile, e senza di pendenza dal medesimo. I cartesiani lo
negarono e credettero che i corpi diver rebbero contigui, se tra loro non fosse
interposto altro di materiale; sì che man cando la materia interposta
perderebbesi anche l'estensione. Era questa una conse guenza del noto paradosso
della loro scuo la, la quale confondeva l'estensione colla materia. º Circa il
secondo, i peripatetici lo ne. garono per una ragione desunta dal fe nomeno
de'corpi che in taluni casi muo vonsi in un modo contrario alla loro na turale
tendenza e direzione, appunto per ischivare il vacuo; nel quale presupposito
era fondata l'antica loro massima, che la natura abborrisce il vacuo. cotesto
ar gomento era principalmente ricavato dal l'esempio dell'ascensione dell'acqua
nelle siringhe e nelle pompe, che ora spiegasi per la pressione prodotta dal
peso dell'aria. I cartesiani lo negaron pure, per essere coe. renti al
principio da essi presupposto. Leib nitz e la sua scuola non ammettendo la
realità dello spazio, non poteva ammettere il vacuo. Distinguendo sibbene la
materia dalla estensione, credettero i leibniziani che i corpi si movessero nel
pieno; e che essendo la fluidità lo stato originario della materia, tutti i
corpi avessero uno stato di coesione relativa, non potendosi dare nè durezza nè
fluidità assoluta. Newton insieme colla realità dello spazio sostenne
l'esistenza del vacuo, e ne dimostrò la necessità per le varie leggi del moto,
per lo moto stesso de corpi celesti, per lo peso de corpi in generale, per la
caduta loro, per la vibrazione del pendoli, per la divi sibilità della materia,
e per la stessa va rietà delle figure del corpi. Dalla semplice storia delle
opinioni filo sofiche intorno al vacuo può ognuno ri levare che la quistione
della sua esistenza si confonde con quella della natura dello spazio, o sia
colle ontologiche quistioni cotanto dibattute tra Leibnitz e Clarke, cioè se lo
spazio è un che di reale o un nulla, e se è una sostanza ovvero un at tributo ?
Tali quistioni divengono meno astruse a misura che le trasportiamo dal l'astratto
al concreto. Che intendiamo noi per vacuo? Uno spazio non ripieno di cor pi non
solamente estesi ma figurati. Il vacuo dunque è una idea di negazione o di
privazione delle qualità che rendono discernibili i corpi, cioè l'estensione,
la solidità, l'impenetrabilità e la figura. Co testa idea di privazione altro
non ci dice, se non che v'ha nell'universo uno spazio º - 508 – capace di
contenere la materia estesa e figurata. Ma questo recipiente, è esso stes so
privo di qualunque materia, ovvero è pieno d'altra sostanza fluida, aeriforme,
penetrabile, ponderabile, o impondera bile che sia? Se lo concepiamo come una
assoluta negazione di qualsivoglia sostan za, cadiamo nell'idea del nulla, che
non è subbielto, non ha qualità, ed è per noi inconcepibile. V. Miente. Che se
lo immaginiamo ripieno d'una sostanza fluida penetrabile, e diversa da quella
che riempie lo spazio limitato, co me l'aria, l'elere, o altro simile fluido,
ricadiamo nelle ipotesi stesse dello spazio illimitato, nè possiamo nell'una
quistione vedere più chiaramente che nell'altra. E se oltre i limiti della
nostra atmosfera nulla possiam conoscere del fluidi ambienti le sfere celesti,
e di quel che empie la volta de cieli, che potrà l'immaginazione dirci di ciò
che trapassa i confini dell'universo? Diciamo dunque del vacuo quel che abbiamo
detto dello spazio illimitato, cioè che le quistioni intorno alla sua na tura,
e se esso sia un che di reale, o il puro niente, son di quelle che formava no
il corredo della vecchia ontologia, e che oggidì la sana filosofia risguarda co
me insolubili, e come inutili al suo scopo. Cerchiamo piuttosto di determinare
il si gnificato di questo vocabolo, riferendolo al solo spazio limitato. Per
vacuo intendiamo l'intervallo che separa i corpi tra loro: co testo intervallo
non è privo di materia, ma è ancor esso materiale, sebbene percetti bile per le
sue diverse qualità, penetrabile, non figurato, trasparente, aeriforme: il suo
significato è relativo e non assoluto. Ora che è quel che lo rende astruso ed
impercettibile quando lo applichiamo allo spazio illimitato? il voler noi
cangiare il suo significato relativo in assoluto, è il volerlo trasportare dal
finito all'infinito. V. queste voci. Non pertanto la quistione del vacuo as
soluto entra ancora nel campo della fisica, e spezialmente della meccanica
celeste. Di sputano gli astronomi, se v'abbia un etere sparso nell'universo, o
se i corpi celesti muovansi in uno spazio assolutamente li bero da qualunque
materia. Cotesta qui stione è rinata ad occasione della cometa di Encke, il
quale calcolando con grande esattezza la sua periodica rivoluzione si accorse
che va sempre diminuendo. Il chiarissimo Herschel, descrivendo un tal fenomeno
dice: «Quando si paragonano gl'intervalli tra passaggi consecutivi di questa
cometa pel suo perielio, dopo di aver tenuto esatto conto di tutte le pertur
bazioni dovute all'azione del pianeti, non si può non essere sorpreso del
seguente fatto, cioè che i periodi vanno continua mente a sminuirsi, o quel che
torna allo stesso, il grande asse della ellissi descrit ta, e la media distanza
del sole diminui scono progressivamente. Questo effetto è manifestamente lo
stesso di quello che pro durrebbe la resistenza d'un mezzo etereo molto raro
nelle regioni nelle quali muo vesi la cometa; giacchè una tale resistenza nello
scemare la sua velocità, dee altresì sminuire la sua forza centrifuga, e dare
più d'azione al sole per attrarla a se. Tale è la spiegazione del fenomeno,
proposta da Encke, ed ammessa generalmente, perchè non si vede come si possa a
quello sostituirne altra. Dopo tutto ciò è proba bile che la cometa finirà per
cadere sul sole, a meno che essa prima non si dissi pi; cosa non inverisimile,
attesa l'estrema rarità della sostanza, e atteso ancora il progressivo
decrescimento, che si è osser – 509 – vato nel suo splendore in ogni nuova ap
parizione ». V. Cometa, Etere. Per contrario molti astronomi, tra quali basta
citare il celebre Bessel, non credono alla esistenza dell'etere, e forse con
mag giore ragione; perchè cotesto fluido op porrebbe un ostacolo, quantunque
legge rissimo, al moto anche del pianeti, il quale col volger de secoli
potrebbe produrre il medesimo effetto che sulla cometa di En cke, e darebbe una
mentita al celebre teo rema della invariabilità degli assi mag giori delle orbite
e delle rivoluzioni si derali de pianeti. La qual cosa suona lo stesso del
dire, che il mondo non avrebbe quella stabilità, che è stata dagli autori di
meccanica celeste dimostrata. V. Orbita, Pianeta. VALoRE (prat. e disc.),
prezzo, o im portanza che l'opinione dà alle cose. Intorno a questo vocabolo
nota il Var chi nell'Ercolano, che sebbene significhi propriamente la valuta di
ciascuna cosa, si piglia ciò non ostante in tanti signifi cati, e sì belli, che
chi cercasse tutta la lingua latina, non potrebbe trovar voce simile, la quale
esprimesse in quella lin gua, lo stesso che questa fa nella nostra. Ma per
verità noi non troviamo in que sto vocabolo varietà maggiore di signifi cati,
che in molti altri termini generali, da noi indistintamente applicati alle qua
lità del corpo, e dello spirito, come vir tù, forza, potere, ed altri simili.
Applicato alle qualità dello spirito, vale grandezza d'animo per la quale
l'uomo intraprende cose difficili, e sprezza i pe ricoli sopra tutto nella
guerra. Laonde possiam dire, esser due i significati di cotesto vocabolo,
allorchè lo adattiamo alle qualità dell'animo, uno generico, l'altro
particolare. Nel generico vale tutto il me rito della persona, nel quale senso
ado perollo il Petrarca: Ov'è il valor, la conoscenza, e'l senno L'accorta
onesta umil dolce favella º Nel particolare scambiasi comunemente col militar
coraggio e colla prodezza, co mechè non possa confondersi coll'uno e
coll'altra. V. Coraggio, Prodezza. VANAGLoRIA (prat.), desiderio di aver lode,
e prerogative di onore. V. Lode, Onore. Nel significato letterale prendesi per
falsa e fugace gloria, propria delle umane grandezze; nel quale senso disse
Dante: O vanagloria delle umane posse l V. Gloria. VANEGGIARE (prat.), dir
cose, non con venienti a sana, o matura ragione. E però dicesi tanto di chi
delira, quanto delle idee e del discorso del fanciulli. VANITÀ (prat.),
apparenza di cosa, che non ha fondamento, o realità. In questo senso usolla
Dante, quando disse: Noi passavam su per l'ombre che adona La greve pioggia, e
ponavam le piante Sopra lor vanità, che par persona. (Inf. C. VI. ). In senso
di affetto, o di passione, vale, amor di cose frivole e appariscenti, come la
bellezza, l'apparato delle ricchezze, o la lode, di cui questa passione
sopratutto si pasce. VANIToso (prat.), qualità d'uomo fri volo e voto, che ama
l'ostentazione e la lode, e di questa sola va in cerca. Dicesi propriamente di
chi ha una va nità puerile e ridicola, come un frequen tativo di vano. VANo
(prat. e dise.), uom leggiero, amator di lode e di apparenze d'onore. Aggiunto
a cose, o a idee, vale voto di sustanzia, apparente o inutile, onde il
Petrarca: Del vario stile in ch'io piango e ragiono Tra le vane speranze, e 'l
van dolore. VANTAGGIO. V. Utilità. VANTARE (prat. e disc.), celebrare ed
esaltar con lode. In significato neutro passivo, vale glo riarsi, o magnificar
le cose sue, ed è poco men del millantarsi. Questo è un altro vocabolo di cui
il Varchi fa grande onore alla lingua ita liana, perchè (son sue parole), oltre
il gloriarsi, che è latino, noi abbiamo un verbo più bello, che è vantarsi, o
darsi vanto; il quale verbo e nome non hanno i Latini, ma i Greci sì, che
dicono fe licemente su xsoSat, ed evxos (Ercol. S. 67). Cotesto merito della
lingua per rispetto al vocabolo vanto e vantare non sembra ben fondato, perchè
i Latini avevano al par di noi diversi verbi per esprimere la me desima idea,
come il se jaetare, se eſº ferre, de se praedicare ete. E quanto all'auxos, e
all'auxouz de Greci essi cor rispondono più al gloriari de Latini, che al
nostro vantarsi. VARIETÀ (spec. e disc.), l'unione si multanea o successiva di
più cose non simili e non eguali. V. queste voci. - La varietà non deesi
confondere colla diversità e colla differenza, imperocchè la diversità esprime
soltanto la discrepanza del costitutivo di due cose; e la differenza include
nello stesso tempo la discrepanza di talune qualità non essenziali, e la somi
glianza di altre.V. Differenza, Diversità. VAPoRE (spee.), fluido aeriforme,
pro dotto dalla separazione delle molecule dei corpi liquidi per mezzo del
calore. V. que sta VOCe. Il vapore è un fluido aeriforme, com pressibile,
elastico, dilatabile come i gas si, ma non permanente, perchè rimossa la causa
che separa le sue molecule, che è il calore, ritorna allo stato fluido.V. Gas.
La sua somma compressibilità ed ela sticità ne ha fatto il motore più potente,
che l'industria manifattrice oggidì ricono sca. La sua forza vince quella del
mare, e del venti, ed è sì costante, che può l'uomo adoperarla con piena confidenza
del suo successo. Le forze degli Esseri ani mati sono una spezie di motore,
soggetto alle intermissioni della volontà e delle va rie cause, che possono
scemarne l'inten sità. I motori naturali, che sono la forza delle acque
correnti e del venti son sog getti alle leggi generali della natura. La potenza
loro è indipendente dal fatto del l'uomo, il quale la prende qual'è, non
potendo accrescerla, nè calcolare le varia zioni della sua intensità. E però
non può proporzionare la forza al lavoro, ma dee questo a quella subordinare.
La sola forza costante, progressiva, di cui l'intensità è regolata dalla
volontà di chi l'adopera, è quella del vapore. L'acqua ed il com bustibile sono
i componenti di questa forza - 511 - motrice, di cui puossi a volontà estendere
o restringere i limiti. Dalla forza di un solo uomo può essere portata insino a
quella di mille cavalli, pronti, infatigabili, e costanti nel pro gresso del
moto, come nel cominciamento. O che l'uomo la limiti, o che l'estenda, è sempre
egli il padrone di contenerla e di arrestarla: un movimento della sua mano la
rende obbediente alla sua volontà. Son questi i vantaggi che fanno del va pore
il primo di tutti i motori, e che se condati dal genio inventivo della mecca
nica, hanno associato l'industria manifat trice al progresso delle arti e delle
scienze. UBBIA (prat. e teol.), opinione super stiziosa, per la quale la gente
volgare risguarda come religiose alcune pratiche, che tali non sono. V.
Superstizione. Unapienza. V. Obbedienza. UBBIDIRE. V. Obbedire. UccELLo
(spec.), animale a due piedi, oviparo, coperto di penne, e provveduto di ali, e
di becco, o rostro. E una spezie di Esseri non meno am mirabile per la
particolare conformazione del suo corpo, in tutto adattato all'ele mento nel
quale deesi muovere, che pel tenore di vita cui è destinato. È l'animale
formato per vagare nell'al mosfera, e per andare cercando il suo nutrimento o
sulla Terra, o nel Mare, o nell'aria, o tra gli Esseri della sua pro pria
spezie; la quale ultima sorta di nu trimento qualifica i così detti uccelli da
rapina. A costoro, destinati a viver di preda e di guerra, ha somministrato la
natura anche le armi, provvedendogli di becco e di artigli adunchi, e gli ha
dotato di acutissima vista, e di tale conforma zione d'occhi, che possano in
lontane di stanze avvistare la loro preda, così nella luce come nelle tenebre.
La natura, negli accidenti che distin guono gli ordini e le famiglie degli uc
celli è stata tanto svariata, quanto in ogni altra parte del regno animale; ma
per rispetto alle forme e a caratteri essenziali delle medesime è stata più che
negli altri uniforme e simmetrica. Imperocchè tutti hanno il corpo coperto di
piume o di pin ne, forniti di due piedi e di due ali, di un becco o rostro più
o meno corneo, e di una conformazione atta al volo. V. que Sta VOCe.
L'ornitologia è la branca della storia naturale, che versa circa la descrizione
degli ordini, delle spezie, e delle fami glie degli uccelli, ordinate pe'
caratteri comuni a ciascuna spezie, e per le mo dificazioni, che ne formano le
varietà. V. Ornitologia. UDrTo (spec.), il senso per lo quale ascoltiamo la
voce, il suono e l'armonia. L'organo proprio di questo senso è l'orecchio, di
cui abbiamo esaminato l'in dustriosa struttura. Delle funzioni dell'udito per
rispetto alla voce parleremo quì ap presso. Giova in questo luogo considerar
quelle relative al suono e all'armonia. V. Voce. La natura ha dato all'orecchio
la ca pacità di raccogliere tutte le gradazioni del suono che son quasi
innumerevoli, e di distinguerne le differenze, e il vario accordamento, nel che
è riposto il senso musicale. Acciocchè l'orecchio avesse una tal virtù
armonica, uopo era che l'in terna sua struttura rassomigliasse ad un
instrumento, di cui ogni corda trovasse la sua unisona ne tuoni della voce, e
de gl'instrumenti sonori; e tale abbiam ve duto essere la conformazione
spezialmente di quelle parti dell'orecchio, nelle quali sta la distribuzione
del nervi acustici. V. Orec chio, Suono. - Taluni fisici hanno tentato di
calcolare il numero de tuoni, delle loro variazioni, e de'diversi gradi
d'intensità di cui cia scun tuono è capace. Ma quando sono an dati a scomporre
i tuoni perfetti nelle di verse ondulazioni di voce, delle quali ogni tuono è
composto, si sono abbattuti nella difficoltà di non potere scindere la sensa
zione di molti suoni, che noi concepiamo come semplici e che tali non sono, e
per conseguente di non poterne determinare neppure approssimativamente il
numero. Come distinguere e determinare il numero delle ondulazioni della voce,
che per for mare un tuono perfetto debbono essere di egual durata e di egual
estensione, in una uniforme e continua successione delle une alle altre? Come
scomporre ciascuna on dulazione, che è il prodotto dell'azione e della reazione
d'innumerabili particelle d'aria elastica, delle quali i movimenti debbono
essere isocroni, ed uniformi nel la direzione? V. Tuono. D'altra parte qual pro
da simili ricer che? Vogliamo misurare la natura? Ella è immensa ! Vogliamo
scomporre le sen sazioni per giugnere insino alle loro parti constitutive? È un
vano lavoro, dal quale la ragione e la sperienza dovrebbero or mai distorci.
Seguiamo piuttosto nell'analisi delle sen sazioni la traccia che ci ha segnato
la na tura, l'uso cioè cui le ha destinato. La principal funzione dell'udito è
il dar com pimento alla parola : la seconda è il di scernere i segni della
vicinanza o distanza degli obbietti che non possiamo percepire per lo senso
della vista: la terza è il senso dell'armonia, che forma il subbietto del
l'arte musicale. V. Musica. Quanto alla parola, sarebbe stato un inutile dono,
se non fosse stata ascoltata; nè alcuno avrebbe imparato a parlare, se non
avesse inteso altri parlare. Noi par liamo per imitazione, di che fanno testi
monianza i sordi e muti ; nè mai uomo ha potuto inventar la parola. E circa
l'ufizio d'intendere i segni, l'udito è un senso ausiliario della vista,
destinato a raccogliere tutte le diverse spe zie di suono, che la natura ha
stabilito come segni del fenomeni naturali, delle cose utili o dannose alla conservazione
del la vita, de bisogni degli animali e de'fan ciulli, o sia, è una parte di
quel linguag gio d'azione che è comune così all'uomo, come a bruti. V.
Linguaggio, Segno. VEccHIEzzA (prat.), l'ultima età della vita. - È detto di
Catone, che ognun desidera di arrivare alla vecchiezza, e giuntovi la maledice.
Tal è il sentimento del volgo che in essa suole deplorare la perdita delle
forze e del vigore del corpo, l'indeboli mento delle potenze dell'animo, la pri
vazione del piaceri della età giovenile, e il vicino termine della vita. False
que rele di chi non estima nella vita, se non i beni del sensi ! La vecchiezza
è uno stadio necessario, al quale se non arrivassimo, ci dorremmo d'una
immatura morte. Or chi si duole anche della matura, è manifesto che ac cusi non
la vecchiezza, ma l'umana con dizione. Gli duole in somma di essere mor tale. È
dunque proprio dell'uom sapiente – 515 – il considerare la vecchiezza come uno
stato necessario, e senza prevenzione d'animo esaminare, se sia maggiore il
numero de mali o de beni, di cui la natura l'ha circondata. E in prima noi
intendiam parlare di quella sana vecchiezza che succeder suole ad una vita
sobria e moderata, ornata dagli studi della ragione ed esercitata nel ben fare;
di quella età senile la quale coroni una giovinezza che meritò già la
benevolenza e l'esistimazione del vecchi, e sia a volta sua coronata dall'amore
e dal rispetto della gioventù. Che ha di tri ste cotesta vecchiezza? Forse il
difetto del vigore e dell'ardore giovenile? No, tra perchè nella vita
domestica, come nella civile, ad ogni età son distribuite le fun zioni,
adattate alle rispettive forze; e per chè i giovani vengono in soccorso de vee
chi, ed amano sotto la guida di questi d'in durare gli ardui lavori propri
della età loro. Forse i piaceri men vivi desensi? Nep pure, perchè la natura
stessa modera nei vecchi gli appetiti. - Forse la privazione del piaceri della
vo luttà? Risponderemo con Cicerone: Oprae clarum munus aetatis si quidem id au
fert nobis, quod est in adolescentia vi tiosissimum / D'altra parte è egli vero
che la vec chiezza roda le facoltà dell'anima come i sensi del corpo? Produrrà
forse un tal effetto in quelli ne quali la ragione è stata sempre passiva della
vita sensitiva, e che non hanno esercitato la memoria, l'intel letto, o altra
potenza dell'animo loro. La mente di costoro, assonnata per lo corso intero
della vita, non si desta certamente nella vecchiezza, la quale è per essi una
amara reminiscenza degodimenti, che sono scomparsi dagli occhi loro. Per
contrario l'esperienza di tutti i tem pi, e gli esempi del più grandi uomini
dimostrano che le maggiori produzioni dell'ingegno son dovute alla età senile,
e che di questa età profittando molti han no emendato i lavori della gioventù.
La vecchiezza perfeziona il giudizio, e gio vandosi della sperienza propria e
dell'al trui, aggiugne alla prudenza speculativa anche la pratica. Quanti pregi
non riu nisce in se la ragion de vecchi, e quante volte questi ripassando i
fatti della loro vita, non desidererebbero, che fosse stato loro concesso di
veder le cose nella gio ventù, come le vedono ora nella vecchiez za? Libera e
indipendente dalle passioni, rischiarata dalla sperienza, scevra di pre stigi e
d'illusioni, scaccia dall'animo suo gl'idoli del teatro del mondo, vede nel
vero loro aspetto i fatti umani, e puri fica se stessa del vizi e degli errori
del l'età giovanile. Tanto è lontano che la vecchiezza renda ebete la mente,
quanto è costante per esperienza, che l'acume della ragione e la maturità del
giudizio ne vecchi cresce in proporzione della lenta degradazione delle loro
forze fisiche. La vecchiezza dunque è uno stato di esperi mento e di perfezion
morale, cui il Crea tore ha soggettato l'uomo, per purgarlo dalle macchie della
vita sensitiva e per avvicinarlo alla ragione degli spiriti pu ri, che formar
dovranno la sua futura società. Misera è quella vita, che tron cata nel mezzo
del suo corso, è stata pri vata del benefizio di questa morale pur gazione. E
per contrario beatissima è quel la , che nella giovanezza ha saputo in nanzi
tempo raccogliere i frutti dell'età senile! V. Purgazione. Sin qua abbiam
considerato la vecchiezza come utile alla perfezione dell'individuo. 65 – 514 –
Ma di quanta utilità non è il consiglio e il giudizio del vecchi alla
perfezione de gli altri? Non sono essi che coprecetti e cogli esempi dirigono
l'insegnamento e l'istruzione dell'adolescenza? Non son essi che formano la
parte più sana del popo li? Qual'è la nazione che non abbia in teso la
necessità di riporre nelle loro mani. le più importanti parti del civile reggi
mento, le leggi, i giudizi, le difficili de liberazioni, dalle quali può
dipendere la salvezza o la rovina degli stati? La vec chiezza dunque è l'apice
della vita civile del pari che della domestica e della naturale. Resta ora
quello che si suole risguar dare, come l'ultimo e il peggior male della
vecchiezza , l'avvicinamento cioè della morte. E quì risponderemo ancora con
Cicerone: O miserum senem qui mor tem contemnendam esse in tam longa aetate non
viderit! V. Morte. VEDUTA. V. Vista. VEGETABILE (spec.), Essere organico, che
vive e cresce nella terra, e si ripro duce per un principio vitale in se
impresso dalla natura. V. Pianta. VEGETALE (spec.), spettante a quel che
vegeta. VEGETARE (spec.), il viver delle piante. V. Pianta. - Conviene
distinguere con diversi nomi il viver delle piante dal viver degli ani mali;
essendochè tra quelle e questi v'ha due notabili differenze: la prima, che le
piante han bisogno d'un altro corpo ade rente dal quale ricevano il nutrimento:
la seconda che son prive del sentire. V. Animale. VEGETATIVA (spec.), la
potenza interna, per la quale le piante si nutriscono, cre scono, e si
riproducono. V. Potenza. Aristotele diede a cotesta potenza il nome di
nutrimentale, e ne fece una delle tre potenze dell'anima umana, nella quale la
distinse dalla sensitiva, e dalla intellet tiva. Da ciascuna poi delle tre
dimotate potenze fece derivare le diverse operazioni dell'anima stessa, dando
alla nutrimen tale, o vegetativa, la nutrizione e la ge nerazione. Conseguenza
di tal sistema è , che le piante avrebbero la potenza vege tativa comune co
bruti e coll'uomo, sic come i bruti han comune coll'uomo la sensitiva. V.
Anima, Potenza. Ma può dirsi che la potenza vegetativa sia nell'anima?
Nell'anima aristotelica sì, perchè nel significato dell'autore di tal si stema,
l'anima scambiavasi colla potenza. La sua entelechia non era altro, che il
principio della vita, dell'azione, e del moto, comune a tutti gli Esseri
animati. V. Entelechia. Taluni de moderni fisiologisti han pre teso separare il
principio della vegetazione da quel della vita, mossi principalmente dalle
diverse gradazioni del viver delle piante. Di queste molte dormono in de
terminati periodi, durante i quali sem brano affatto sospese le funzioni
vegetati ve; e nella generalità i semi conservano vivo il germe delle piante,
comechè non vegetino. Sopra tali ragioni è fondata la differenza tra 'l
principio vitale e il vege tativo. Ma potrebbesi in contrario osservare, che
nel riposo delle piante come nel sonno degli animali non sono sospese le
funzioni nutrimentali; e che non può chiamarsi vegetazione nè vita l'esistenza
del germe ne'semi; siccome non vive il germe degli – 515 – animali nelle uova e
nelle ovaie non fe condate. V. Germe, Uovo. VELLEITÀ (spee. e prat.), atto
imper fetto del volere. Ben distinse il Magalotti la velleità dal perfetto
volere, dapoichè chiamolla movi mento, che si eccita alle prime irra gionevoli
velleità dello spirito, e prima ch'egli deliberi di volerle secondare. V.
Deliberazione, Volontà. Nel senso pratico chiamasi velleità una azione fatta
con leggerezza, e senza ani mo di persistervi. VELocrtà (spec.), lo spazio
percorso da un corpo nella unità di tempo, o un numero di unità dello spazio
per corse da un corpo in una unità di tempo. E vocabolo della meccanica, ma la
sua definizione serve a far meglio comprendere quella del moto, di cui la
velocità è misura. Nel moto uniforme la velocità eguaglia il rapporto costante
dello spazio al tem po; e nel moto vario è il rapporto dell'ele mento dello
spazio all'elemento del tempo. I meccanici distinguono la velocità as soluta
dalla relativa, e chiamano assoluta o semplice, quella con cui un corpo si
muove in un dato spazio e in un dato tempo: relativa quell'altra, colla quale
due corpi distanti si avvicinano l'uno al l'altro. Il determinare la velocità
del corpi ca denti verticalmente o in una data curva, abbraccia i più
importanti problemi della meccanica, e racchiude le famose leggi del moto, che
hanno renduto immortale il nome del Galilei, e che hanno aperto alla mente
umana la via per determinare il moto degli astri, e per penetrare nella
meccanica celeste dietro le tracce di due altri geni della umanità, Keplero e
Newton. V. Moto. VENA (spee.), vaso che riceve il san gue da diverse parti del
corpo, alle quali le arterie lo conducono dal cuore, e tor na a portarlo
indietro al cuore. V. Arteria, ASangue. VENALITÀ (prat.), sordidezza di uomo
che mette a prezzo il dovere o il senti mento. VENDETTA (prat.), onta o danno,
che si fa altrui in contraccambio d'offesa ri cevuta. È un'azion crudele, la
quale nasce da risentimento puramente animale. Ma i bruti mordono e lacerano
quelli che gli offen dono per due istinti propri della loro na tura, la
crudeltà, e il timore. L'uomo gl'imita, ed imitandogli dà libero sfogo ad
ambedue le cennate passioni. Infatti l'esperienza dimostra che gli uomini cru
deli e timidi sono i più inchinevoli alla vendetta; d'onde chiaramente
apparisce, che essa è suggerita dalla passione, e non consigliata dalla
ragione. Se rimossa la passione, fosse consultata la ragione, questa direbbe
che per un diritto violato non è lecito violarne un al tro; che si respigne
l'ingiuria non dimo strandosene offeso; che il perdono umilia l'offensore, e
onora l'ingiuriato; che il benefizio renduto in contraccambio della ingiuria,
desta nell'offensore il pentimento e il rossore; che il perdono e la genero
sità sono i caratteri di quella virtù, che chiamasi magnanimità, che
l'esercizio di questa virtù eleva di tanto l'anima, di quanto lo degrada la
vendetta; ed infine che una vendetta ne trae dietro a se un'al 3, – 516 – tra,
e rende eterni ed inestinguibili gli odi. Ciò non ostante è sì difficile al
comune degli uomini il contenere i moti dell'ira, che presso gli antichi la
vendetta fu ri sguardata come un diritto legittimo, simile a quello del punire.
Lo stesso Cicerone non osò condannarla, perchè tra doveri della vita annoverò
quello della modera zione nel vendicarsi e nel punire: sunt autem quaedam
officia etiam adversus eos servanda, a quibus infuriam acce peris: est enim
ulciscendi et puniendi modus (de offic. lib. I. Cap. XI.). Non mancano esempi
di grandi uomini che di sprezzarono la vendetta. Narrasi di Catone, che essendo
stato percosso nel bagno da un uomo che no'l conosceva, rispose a costui che
domandavagli perdono dell'in iuria, non memini me percussum. Per "cotesto
fatto citato come un grande esempio di generosità, non prova se non un
sentimento di dignità, di cui è proprio il non accettare l'ingiuria. Seneca, è
vero, condannò la vendetta e insinuò il disprezzo della ingiuria, ma concepir
non seppe una virtù che contraccambia l'ingiuria col be nefizio: inhumanum
verbum est, et qui dem pro fusto receptum, ultio, et a contumelia non differt,
nisi ordine... magni animi est injurias despicere: ul tionis contumeliosissimum
genus est, non esse virum dignum, ea quo peteretur ultio. E però dopo di averla
così ripro vata, l'ammette come rimedio, se per essa può rimuoversi la causa di
nuove offese: si tamquam ad remedium veni mus, sine ira veniamus: non quasi
dulee sit vindicari, sed quasi utile (de ira lib. II. C. 32). È il Vangelo che
ha predicato al mondo la sublime virtù di contraccambiare l'in giuria col
benefizio, di pregare per l'ini mico, di beneficar quelli che ci portano odio,
e di esercitare verso coloro che ci offendono quella stessa magnanima indul
genza, che impetriamo da Dio per noi stes si. I grandi esempi dunque della
generosità nel perdonare e nel beneficare i persecu tori e gl'inimici
cominciano dall'epoca della morale rigenerazione dell'uomo, o sia dalla divina
luce del cristianesimo. Superflua cosa sarebbe il ripetere quì gli esempi di
questa nobile e generosa ven detta che si trovano registrati nelle vite de
grandi uomini già publicate. Più utile ed onorevole per la nostra patria ci sem
bra il publicarne ora uno inedito, o men conosciuto, il quale appartiene ad un
in signe uomo della età nostra, cui non è stato ancora renduto tutto l'onore
che si dee alla memoria delle sue publiche vir tù. Fu questi in tre tempi
diversi chia mato a supremi consigli dello Stato, e tre volte per violente
scosse politiche, cadde dal potere che aveva con rara in tegrità esercitato.
Nella prima delle sue cadute ebbe per principale persecutore lo stesso suo
successore. Accusato da costui di capital delitto e imprigionato, sof ferse
imputazioni e ingiurie, che furon poi dichiarate calunniose. Tornato per la
seconda volta al posto, che aveva prima occupato, l'antico suo persecutore, che
straniero era, ebbe la sventura, tornando in patria, di cadere nelle mani del
pirati e di essere ridotto in dura cattività. Non prima egli l'intese, che
subitanea nacque nell'animo suo la risoluzione di liberare quello sventurato,
pagando egli a barbari la taglia del riscatto. E siccome povero era, e per
costume sprezzatore delle ric chezze, così offerse in pegno i futuri salari del
suo impiego, e tolse in anticipazione di questi la somma all'uopo necessaria. –
i17 - Non ebbe egli riposo sin che partito non fosse il negoziator di tale
riscatto, il qua le quantunque risparmiato non avesse di ligenza e celerità,
pure non ebbe la for tuna di trovare in vita la vittima che do veva liberare.
Magnanima vendetta, e qual trionfo È più bel, che si possa a te preporre?
VENERAZIONE (prat.), onor che rendiamo al merito e alla virtù. Differisce della
riverenza, che è una venerazione accompagnata da esterne di mostrazioni. V.
Riverenza. VENERE. V. Pianeta. VENTo (spec. e crit. ), massa di aria agitata,
la quale si trasporta da un luogo in cui è più compressa, in un altro dove è
più libera. V. Aria, La diversa qualità del venti (che partir si sogliono in
costanti, periodici e va riabili), le varie loro direzioni, e le cause che li
producono, formano l'obbietto della metereologia. V. questa voce. VENTRE (spee.
), la cavità del corpo animale che contiene le viscere, o sieno gli organi
della digestione, della gene razione e gl'intestini. La sua parte ante riore è
detta comunemente pancia, e l'in feriore è denominata da medici addomine. V.
queste voci. VERACE e VERACITÀ (prat.), quel che ha in se verità. È nome di
qualità che si dà alle cose, apensieri e alle parole, delle quali si af ferma
la verità. Verace ne'detti, vale ve. ridico e veritiero. VERBo (disc.), parte
dell'orazione de clinabile, la quale esprime l'affermazione o il giudizio della
convenienza d'un pre dicato al subbietto con relazione al tempo, e al numero
delle persone. I grammatici disconvengono tanto nella definizione del verbo,
quanto non se ne trovan forse due, che lo abbiano allo stesso modo definito,
sebbene tutti inten dano dire la medesima cosa. Aristotele lo definì, voce di
cui il si gnificato si riferisce al tempo. La gram matica generale di Arnaldo,
voce di cui il principale uso è l'affermare. Altri, voce che esprime l'atto
della mente col quale si attribuisce un predicato ad un subbietto. Altri, voce
che esprime azione o passione. Altri, voce che esprime l'esi stenza
intellettuale d'un obbietto con relazione ad un attributo. Ciascuna delle
divisate definizioni, o non ispiega tutti gli usi che facciamo del verbo, o è
sover chiamente astratta, sì che per essere intesa avrebbe bisogno d'un'altra,
e forse di più definizioni subalterne. Prendiamo la definizione dalla natura
della cosa definita. Il verbo serve a sta bilire in ogni proposizione la
relazione tra 'l predicato e il subbietto; o sia ad esprimere il giudizio circa
la sua conve nienza. Ogni proposizione contiene un giu dizio, a compiere il
quale è sempre ne. cessario il verbo, espresso o sottinteso che sia. Adunque la
natura del verbo è il giudizio della convenienza d'un predicato . al subbietto.
Ma il verbo considerato nella sua più generica espressione, che è l'in
finitivo, contiene un significato indeter minato. E siccome il giudizio della
con venienza del predicato esige che si renda determinato per lo tempo e per lo
numero delle persone cui si riferisce; così uopo – 518 – è che il verbo sia
declinabile ed abbia tante diverse inflessioni, quante possano esprimere il
singolare, il plurale, o anche il duale, ed il presente, il passato, il fu
turo, l'attuale, il possibile, ed il condi zionale. Di qua i tempi i modi e le
diverse persone, le quali inflessioni tutte sono dai grammatici comprese nella
denominazione di accidenti del verbi. VEREcoNDIA (prat.), virtù che ritiene
l'uomo dal far cosa che offenda la mo destia ed il pudore. Differisce dal
pudore, che comunemente si considera come una dote naturale del l'uomo, o come
un istinto razionale. La verecondia è una virtù formata per la ri flessione,
che convalida e rende abituale il pudore. Cicerone la definisce: custos virtutum
omnium, dedecus fugiens, lau demque maxime eonsequens, verecundia est. V.
Modestia, Pudore. VERGoGNA (prat.), timor di vituperazione. È passione e non
virtù, che o seguita l'azione illecita, o ci ritiene dal commet terla. Nel
primo caso, è una pena della matura, la quale svela anche il fatto col rossore.
Nel secondo è un impedimento, che il timor della vituperazione oppone alla
volontà. Improprio è il significato che talora gli si dà di pudore e di
verecondia, delle quali voci la prima esprime nn sentimento naturale del
dovere, e la seconda una virtù figlia della riflessione. V. Pudore, Verecondia.
VERISIMIGLIANZA e VERISIMILE (spec. prat. e disc. ), quel che ha le apparenze
del vero, senza escludere per altro la possi bilità del falso. Cotesta
definizione appartiene al verisi mile detto di cognizione, e non al veri simile
di natura, che è affatto diverso. Il verisimile di cognizione presuppone un
giudizio o una credenza che noi formiamo intorno alla verità d'un fatto, o
d'una opinione. Gli elementi di tal giudizio o di tale credenza sono le
apparenti relazioni di verità, le quali ci fanno prestare l'as sentimento alla
proposizione che come vera si afferma. Coteste relazioni non pertanto son
distinte tra loro per una numerosa gradazione, la quale procede dal rimoto al
prossimo, e forma quella medesima scala che passa dalla possibilità alla esi
stenza, e dalla probabilità alla certezza. Ma non tutto quel che è probabile è
veri simile, dapoichè la gradazione del proba bile comincia dal possibile;
laddove la gradazione del verisimile comincia da quel probabile, che per molti
lati si approssima al vero. V. Probabilità. Diversa è l'origine del verisimile
di natura il quale è fondato sulla costanza ed uniformità delle leggi naturali,
e del l'ordine morale dell'universo. I fenomeni costanti della natura tanto
nelle cose sen sibili, quanto nelle morali continueranno a riprodursi nello
stesso modo, nel quale sono sinora avvenuti, insino a che pia cerà all'Autore
dell'Universo di conservare l'opera sua. Gl'istinti, che governano gli animali
bruti, nascono da leggi della natura le quali han per fine la conservazione, e
la riproduzione delle spezie di quelli. Gli uo mini hanno una destinazione ed
un fine morale, al quale servono i suoi istinti razionali, e le credenze istintive,
che lo iniziano nel cammin della vita, e lo ac compagnano per tutto il corso
della me desima. I fondamenti del giudizi che noi - 519 – - formiamo intorno
alla probabilità o cer tezza del futuri avvenimenti simili, non dipendono dalla
volontà di alcun Essere contingente, o dall'avvicendamento di fatti umani, per
se stessi vari e mutabili, ma nascono dall'ordine immutabile della na tura, e
dalle costanti relazioni degli ef fetti colle loro cause immediate. Questo è
quel che chiamasi verisimile di natura, che si confonde colla certezza fisica,
e che è ben diverso dal verisimile, detto di cognizione. Noi lo diciam
verisimile, per chè non possiamo dimostrarlo vero a prio ari, ma il sentimento
e la sperienza lo di chiarano tale. Da esso attigniamo i prin cipi e le regole
alle quali componiamo il portamento della vita, e quelle che chia miamo verità
di senso, da esso deduciamo le cardinali nozioni della sapienza sì spe culativa
che pratica, come la spiritualità dell'anima, l'immortalità, la vita futura; da
esso, il principio della causalità, la dottrina delle cause finali, e quella
d'una Provvidenza conservatrice, che tutto muo ve e dispone con regole
invariabili, dirette da un fine, per noi salutare e benefico. V. Certezza,
Verità, Vero. VERITÀ (spec. prat. e disc.), astratto di vero, col quale si
suole anche scam biare. V. Vero. Si adopera comunemente nel senso di
proposizione vera. In questo significato le verità si distinguono in necessarie
e con tingenti. Necessarie diconsi quelle che sono immutabili, e di cui il
contrario è impos sibile; contingenti le altre che dipendono dalla volontà e
dal potere d'un Essere intel ligente. Le proprietà geometriche ed arit metiche
sono necessarie: l'esistenza delle cose create, le azioni dell'uomo, e tutto
quel che può avere un principio ed un fine, sono verità contingenti. In altri
termini la stessa distinzione è stata enunciata, ora conomi di verità astratte
e di fatto, ora con quelli di eterne, d'innate, e di verità di natura. V.
Contingente, Mecessario. Distinguevasi ancora nelle scuole la ve rità morale
dalla metafisica e morale di cevasi la corrispondenza tra la proposizione e la
convizione dell'animo di colui che la profferiva: metafisica dicevasi l'esi
stenza reale delle cose. Più chiare e ade quate sembrano la partizione e le
defini zioni della verità, date da Hutcheson: la verità logica sta nell'esatta
corrispondenza tra le proposizioni e le cose: la verità mo rale nella
corrispondenza tra 'l senso della natura e l'azione: la verità metafisica, nel
principio razionale dell'esistenza degli Esseri. Molte altre distinzioni sono
state fatte intorno alla verità, considerate nel senso di proposizioni vere, le
quali distin zioni possono vedersi sotto il nome di pro posizione. V. questa
voce. Si adopera lo stesso vocabolo nel signi ficato di massima, di principio,
o di no zione evidente. V. Massima. Prime verità sono state dette quelle
nozioni evidenti, che la ragione scopre di per se stessa, e per una virtù sua
pro pria. Tali nozioni sono da noi considerate come i primi elementi della
umana cogni zione, e però sono dette ancora primi principi. V. Principio. La
verità prendesi finalmente nel signi ficato di senso morale del vero, il quale
è attributo della ragione, e risiede secondo Hutcheson nella natural potenza,
che l'amima ha di concepire e di giudicare. Ma cotesta natural potenza è una
virtù in lei impressa da una RAGIONE superiore, nella quale sta, come nella
sede sua, immuta bile ed eterna. Chi volesse definire o spie - 520 - gare
l'essenza di tal verità, non potrebbe altro dire, se non che è la ragion suffi
ciente di tutte le cose create. V. Ragione. VERME (spec. e crit.), animale a
corpo molle e di sostanza quasi gelatinosa; talvolta provveduto di tasti (detti
con voce tecnica tentacoli) in forma di filamenti pieghe voli, più o meno
lunghi e non mai arti colati, generalmente molli, polposi o car nosi ; e
talvolta sfornito di simile appen dice ; coperto di una esterna custodia, o
affatto nudo; destinato nella generalità a vivere in un fluido, nell'interno
della terra o nel corpo degli animali, e non all'aria libera. L'elmintologia è
la parte della storia naturale che espone le diverse spezie dei vermi coloro
caratteri cognoscitivi. V. El mintologia. - Il nome di verme ha compreso per lo
addietro un numero più o meno ampio di spezie, secondo la diversità de sistemi
de zoologi. I Greci lo chiamarono ora Amº e exurys, e i Latini, vermis, ma gli
uni e gli altri con tal nome intesero signifi care quella classe di lordi
animaletti, che si genera negl'intestini e nelle putrefa zioni delle sostanze
animali e vegetali. Essi li distinsero dagl'insetti, da'zoofiti, e da
molluschi, che ebbero ciascuno il pro prio nome. Un significato volgare, nato
dalla somiglianza delle forme esteriori, ampliò presso i moderni il numero
delle spezie comprese nella generica denomina zione di verme, dapoichè fu
estesa a tutti gli animali di sostanza molle e di forma allungata che chiamiamo
vermiforme. Co testo significato fu confermato dalla parti zione di Linneo, il
quale comprese nella sesta delle sue classi, i vermi intestinali, i zoofiti, i
testacei, i litofiti, suddivisi ciascuno in vari generi. Le modificazioni
proposte da Pallas alla classificazione di Linneo, seguite da più chiari
zoologi fran cesi ed alemanni, han fatto prevalere il principio, che non la
forma esteriore debba dare la norma alle classificazioni e alla tecnologia
della Storia naturale, ma la so miglianza dell'organismo, accompagnata dalla
varietà delle appendici, che diffe renziano i generi e le spezie degli animali.
Di qua è nato, che prendendo per carat teri distintivi devermi l'organo e le
fun zioni del moto, che la natura ha messo, ora nelle antenne e in altre simili
appen dici, ora nella stessa loro forma allungata e nelle sue varie
articolazioni; la classe de vermi è stata divisa in due principali ordini cioè
deehetopodi, e degli apodi. (V. il dizionario delle scienze naturali). Le
innumerevoli varietà delle loro spe cie, a rispetto della loro conformazione,
del mezzo nel quale son destinati a vive re, e demodi co'quali si riproducono
son dimostrate dalle stesse difficoltà che i zoo logi provano nel
classificargli. Della im mensità di questa parte della natura va detto quello
stesso che abbiam notato del le piante, depesci, e degl'insetti. V. que ste
voci. VERo (spec. prat. e disc.), il confor me all'essenza o al costitutivo
delle cose. - V. Essenza. Altri l'han definito: quel che apparisce qual è in se
stesso a chiunque voglia o possa conoscerlo. Da ciò segue, che il vero nel suo
proprio significato è un si nonimo del reale. V. Reale. Siccome l'assentimento
che prestiamo al vero, produce la certezza, così lo scam biamo ancora col
certo. V. Certezza , Certo. – 521 - Locke pose il vero nella conformità del le
cose a segni, pequali noi le concepiamo o le rappresentiamo. E siccome i concetti
dell'animo, per essere determinati, abbi sognano di segni che gli esprimano,
così la convenienza o disconvenienza delle idee colle cose diverrebbe puramente
nominale. Cotesta dottrina è una conseguenza dell'opinione di quell'autore
intorno all'essenza delle cose. V. Essenza. Leibnitz riprovando l'opinione di
Locke, stabilì la definizione del vero nella cor rispondenza del concetto
dell'animo colle cose che ne formano l'obbietto. Così pure l'intese il nostro
Francesco da Buti: « Lo vero è obbietto dello 'ntelletto; e come la cosa veduta
è obbietto del vedere, e non si può comprendere senza il mezzo della luce; così
lo vero non si può comprendere dallo 'ntelletto se non per mezzo del lume na
turale, lo quale è messo nell'anima da Dio». Il buono e il perfetto sono in se
stessi essenzialmente veri. V. Buono, Perfetto. VERsIoNE. V. Traduzione, VERso
(disc.), membro di poetico com ponimento , compreso sotto certa misura di
sillabe o di piedi. V. Poesia. Il verso presuppone necessariamente il metro, il
quale vocabolo significa misu ra. Gli antichi con questo nome indica vano
quelle composizioni di parole di vari piedi, o anche d'un determinato numero di
sillabe, da cui risultava quella interna armonia che distingue la poesia dalla
pro sa. Tali erano l'esametro e il pentametro, gli endecasillabi, o faleucii, e
i saffici, ne quali, alla misura de piedi univasi an cora il numero delle
sillabe. - La maggior parte delle lingue moderne ha sostituito il numero delle
sillabe a piedi. Diverso è il metro del ritmo, o nume ro, che è proprio del
canto, nel quale è riposta l'armonia della musica, che può essere considerata
come esterna per rispetto alla naturale consonanza deversi.V. Ritmo. VERTEBRA
(spec.), osso nella serie di quelli che compongono la colonna spina. le. V, Organismo.
VERTEBRATo (spec.), nome comune a tutte le spezie di animali di compiuto or
ganismo, formati sopra uno scheletro o forma di pezzi articolati che serve di
so stegno alla testa, dotati di uniforme si. stema nervoso, e di simile massa
cere brale. V. Articolazione, Organismo. VESCICA (spec.), vaso membranoso,
situato nella parte inferiore del ventre, come ricettacolo dell'orina.
VEssAzioNE (prat.), noia o molestia continuata insino a smuovere la pazienza.
V. questa voce. Ufizio. V. Qfficio. UGUAGLIANZA e UGUALE. V. Eguale. VIGILANZA
(prat.), in senso traslato, vale diligenza in attendere a checchessia. V.
Diligenza. VILE e VILTÀ (prat.), qualità d'uomo o di cosa che merita disprezzo.
È epiteto comune ad ogni passione che cade in basso animo, come la pusillani
mità, la codardia, la venalità, e simili. V. Disprezzo. VILIPENDIo (prat.),
atto o detto indi cante disprezzo. V. questa voce. 66 – 522 – VILLANIA (prat.),
offesa o ingiuria, che mal siede ad uomo educato. V. Ingiuria. VioLENZA
(prat.), forza usata a danno e male altrui. È il vizio nemico dell'ordine e
della legge. V. queste voci. VIRGoLA (disc.), segno di posa nella scrittura,
che si tramette nel periodo, detto ancora piccolo punto. V. Punteggiamento.
VIRTù (spec. e prat.), possanza di ope rare, data dalla natura ad ogni Essere,
secondo il fine della sua destinazione. In questo generico significato,
conviene a qualunque Essere, e ad ogni natural causa di azione o potenza. V.
questa voce. Nel significato morale intendesi per virtù il retto e costante operar
dell'uomo, con forme a'dettami della ragione e della co scienza. Tali dettami
nascono da un dop pio insegnamento della natura: da alcune verità intuitive, o
principi di morale, che la luce stessa della ragione ci manifesta non prima che
acquistiamo l'uso dell'in telletto : e da taluni principi pratici, o tendenze
dateci come altrettante spinte al ben oprare, e come tracce del cammino che
dobbiamo seguire. Questi principi pra tici son quelli, che noi chiamiamo prin
cipi di azione, come l'istinto, l'abitu dine istintiva, gli appetiti, gli
affetti, la credenza all'autorità, e l'opinione stessa del dovere. - Non furono
gli antichi men diligenti demoderni nell'analisi della morale costi tuzione
dell'uomo, siccome il dimostra il seguente egregio luogo di Cicerone: Est enim
natura, sie generata vis hominis, ut adomnem virtutempercipiendamfacta
videatur; ob eamque caussam parvi vir tutum simulacris, quarum in se habent
semina , sine doctrina moventur. Sunt enim prima elementa naturae, quibus
auctis, virtutis quasi carmen efficitur. Mam cum ita nati factique simus, ut et
agendi aliquid, et diligendi aliquos, et libera'italis, et referendae gratiae
principia in nobis contineremus, atque ad scientiam, prudentiam, fortitudinem
que aptos animos haberemus, a contra risque rebus alienos, non sine caussa eas,
quas diari, in pueris virtutum quasi scintillulas videmus, e quibus accendi
philosophi ratio debet , ut eam , quasi Deum , ducem subsequens, ad natu rae
perveniat extremum (definib. lib. V. cap. XV.). Da ciò manifesto apparisce che
la virtù pratica precede la speculativa, e che que sta non è se non un comento
ed una spie gazione di quella. Laonde la scienza, detta sapienza morale sarà
utile e vera se cu stodisce e illustra i principi naturali, nei quali è
fondata; e sarà falsa e dannosa, se preſenderà sostituire a quel principi al
tri desunti dall'interesse della vita esteriore, o dalle passioni che sogliono
dominarla. V. Sapienza. - Gli scolastici oscurarono il comune con cetto della
virtù , e lo avvilupparono in mille dialettiche distinzioni, perchè si fe cero
un dovere di seguire e d'illustrare la definizione di Aristotele, il quale
disse essere la virtù un abito elettivo, riposto nella mediocrità, e definito
dalla ra gione dell'uomo prudente. Ambigua e falsa era cotesta definizione,
dapoichè l'abi to elettivo apriva il campo a dubitare, se ogni abito morale
potesse divenire vir tù, e riponeva questa nel mezzo di quelle estremità, nelle
quali dicevasi essere ri posto il vizio. Nacque infatti tra gli sco – 525 – lastici
la controversia, se l'abito morale fosse per se stesso indifferente al bene e
al male, ovvero avesse una essenziale deter minazione al bene. Laonde molti del
no stri moralisti italiani definirono la virtù un abito dell'animo ad eleggere
ciò che nel mezzo dimora, o pure abito volon tario il quale tiene il mezzo,
onde ogni estremità è viziosa. Cotali definizioni sono manifestamente resti
della aristotelica dol trina. V. Abito, Vizio. Di virtù dassi ancora il nome
alle sin golari doti dell'animo, per le quali acqui stiamo la cognizione del
vero ; e a cia scuno degli atti doverosi, pe quali ren diamo ciò che è dovuto
ad ognuno, cioè a Dio, a noi stessi, ed agli altri. E però chiamiamo virtù la
pietà, la temperanza, la giustizia, la liberalità ; e tra le vir tudi
distinguiamo le cardinali o principali dalle quali dipendono le altre. Cotesto
si gnificato è una trasposizione del nome del tutto alla parte. Più
propriamente sa rebbero chiamate ufizi, o atti della virtù. V. Ufizio. In
questo senso le virtudi sono state dagli antichi e da moderni moralisti di
stinte in due generi, le intellettuali o in volontarie, e le morali o
volontarie: le une son date dalla natura, come la pronta comprensione, la
facile retentiva, l'acu me della mente, e tutte quelle doti , il complesso
delle quali forma un perfetto ingegno: le altre nascono dal retto uso della
volontà e della libertà, di cui l'uomo è dotato: il concorso e l'accordo loro
in un medesimo fine, forma quel costante e retto operare, cui è dato per
eccellenza il nome di virtù: le prime hanno per loro scopo il vero, le seconde,
la felicità, o il sommo bene. V. questa voce. Quanto alla partizione delle
virtù mo rali, gli scolastici diedero ad alcune di esse la divisa di cardinali,
avendole con siderate come le fondamenta di tutte le altre: tali dicevano
essere la prudenza, la giustizia, la fortezza, e la tempe ranza, ragioni di tal
primato erano, che la prudenza è necessaria per operare con discernimento; la
giustizia per dare a cia scuno quel che gli è dovuto ; la fortezza per dare
alla volontà la fermezza necessa ria a contenere le passioni ; e la tempe
ranza, per l'abito di saperle moderare. Ma una tal divisione confonde talune
qua lità comuni a tutti gli ufizi della virtù , collo scopo particolare a
ciascun di essi. Distinguiamo piuttosto gli atti doverosi del la vita per lo
fine che ciascun di essi si prefigge, o sia facciam l'analisi del prin cipali
doveri, i quali contengono in se tutti gli altri. La pietà comprende quelli
verso Dio: la giustizia i doveri verso di noi e verso degli altri: e la
liberalità i doveri dettati dalla benevolenza, o sia dalla natural carità, che
è impressa nel cuore d'ogni uomo, come vincolo di re ciprocazione, e come germe
d'ogni civile associazione. Tutti gli altri doveri ed ufizi della vita, in
qualunque condizione sia l'uomo collocato, non sono se non un'ap plicazione o
derivazioni de tre primi testè divisati, a quali può con migliore ragione
convenire il nome di virtuti o di doveri cardinali. V. Carità, Giustizia,
Libera lità, Pietà. VIRTUALE e VIRTUALITÀ (spee. e dise.), quel che è nella
potestà d'una cosa, o sia, che ha la potestà di produrre. Il calore, per
esempio, è virtuale nel sole, siccome il freddo nel ghiaccio. In questo senso
il virtuale esprime la mede sima idea del potenziale. V. questa voce. º – 524 –
Gli scolastici fecero un grande abuso di questo vocabolo, e ne formarono il sug
getto di sofistiche distinzioni. Il principio del sofisma giaceva nella loro
definizione, o per meglio dire nel subbietto da cui desumer vollero la definizione:
la virtua lità dissero, è una certa qualità conve. niente ad un subbietto la
quale sebbene in realtà convenga colle altre qualità dello stesso subbietto,
pure perchè pro duce predicati contraddittori, vien con siderata come se fosse
realmente diver sa. L'esempio ch'essi scelsero, fu d'un augusto mistero, che
spiega la fede, e spiegar non può l'umana ragione. E quan do vollero fare
l'applicazione di tal defi nizione agli Esseri e alle cose contingenti, caddero
nella controversia, se possano darsi predicati contraddittori nel medesimo
subbietto, nella quale altre false e sottili distinzioni vennero ad oscurare
maggior mente il concetto della virtualità. Sepa riamo il comprensibile
dall'incomprensi Dile. Il virtuale non ha un significato di verso dal potenziale.
VisceRA e VisceRE (spec.), le parti in terne del corpo animale, nelle quali si
elaborano le diverse funzioni della vita animale. Tali sono il cuore, il
fegato, i polmo ni, gl'intestini, e le altre interne parti del corpo, che van
comprese anche sotto il nome d'interiora. VISIBILE (spec. e crit.), l'obbietto,
o il corpo figurato, quale apparisce all'oc chio. V. questa voce. Fra gli
obbietti esteriori, v'ha di quelli che percepiamo per lo solo organo della
vista, come il colore e la luce; e di al tride quali acquistiamo la conoscenza
per lo concorso di più sensi insieme. Gli ari stotelici chiamaron quelli
visibili propri o adequati, e questi visibili comuni. Ari stotele ridusse anche
i visibili comuni in categorie, e ne contò cinque, il moto , la quiete, il
numero, la figura e la gran dezza, o quantità. I suoi seguaci ve ne aggiunsero
altri quattro, il luogo, la di stanza, il sito, e il moto continuo o di screto.
Coteste partizioni collegavansi col la dottrina delle specie formali, dottrina
ora condannata. Possono ora soltanto es sere utili per distinguere i fenomeni
pro pri della visione, allorchè nell'analisi che ne facciamo, vogliamo
considerargli divisa mente dagli altri sensi. V. Senso, Spezie. Per visibile
noi ora intendiamo l'appa rente, cioè quel che l'organo della vista può
renderci noto, secondo le leggi della sua naturale costituzione. Noi abbiamo al
trove accennato che l'apparente de sensi differisce dalla realità, e che
cotesta di versità, negli obbietti che percepiamo per l'organo della vista
nasce principalmente dalla distanza, la quale trasporta l'obbietto fuori della
naturale portata dell'occhio, o sia della sua capacità. V. Apparente. Ma v'ha
un'altra ragione, la quale suole concorrere insieme colla distanza a ren dere
l'apparente diverso dal reale; e que sta è la posizione dell'occhio
dell'osserva tore per rispetto all'obbietto veduto. Gli occhi vedono nella
medesima posizione gli obbietti posti nella direzione della stessa linea retta
tirata dal loro centro agli ob bietti veduti ; e per contrario vedono in
altrettante posizioni diverse gli obbietti siti nella direzione di altre
diverse linee. Co testa diversità di posizione è misurata dal l'angolo formato
dalle dette linee rette. E siccome la figura reale risulta dalla si tuazione delle
sue parti, quali esse sono – 525 – le une verso delle altre; così la figura
visibile risulta dalla posizione relativa che le dette parti ricevono dal modo,
nel quale son vedute. Ciò non ostante que ste figure, quantunque diverse, non
so lamente hanno una somiglianza tra loro, ma hanno una tale corrispondenza di
pro porzioni, che data l'una di esse, può es sere determinata ancora l'altra
quando sia data la posizione dell'occhio a rispetto dell'oggetto; cioè dalla
figura reale si può dedurre l'apparente, detta ancora la sua prospettiva, e da
questa quella. La dif ferenza dunque tra il visibile relativo alla posizione
dell' occhio dell'osservatore, e la figura reale non contiene una trasfor
mazione dell'obbietto veduto, ma è un rapporto costante tra l'uno e l'altra, de
terminato dalle leggi naturali della visio ne. È un segno stabilito dalla
natura, per mezzo del quale l'intelletto dalla estensione e dalla figura
visibile passa alla conoscenza della tangibile. A somiglianza di questo segno
le arti grafiche crearono l'altro di rappresentare i corpi che hanno tre di
mensioni sopra un piano che ne ha sol tanto due: la proiezione d'una sfera so
pra un piano sottoposto, e la prospettiva d'un palazzo sono segni, o
rappresenta zioni di corpi che hanno tre dimensioni, eseguite con due sole cioè
colla lunghezza e colla larghezza. La geometria descrit tiva per conseguente
non è altro che l'arte di trasportare a segni le qualità degli ob bietti
significati. V. Prospettiva. Il moto è una terza ragione di diffe renza tra l'obbietto
visibile ed il reale. In concorso delle altre due differenze ag giugne nuove
modificazioni agli effetti del la distanza e della posizione dell'osserva tore,
e da questa ne riceve. E sebbene queste cagioni unite insieme ne formino una
composta, la quale altera la somi glianza e le proporzioni della figura visi
bile; pur tuttavolta può sempre l'intel letto scernere gli effetti di ciascuna
di esse, e ridurre la figura visibile alla reale. Noi giudichiamo del
cangiamento di sito decorpi, o da quello delle immagini che si succedono nella
retina, o dal moto stesso dell'occhio che segue la direzione dell'ob bietto in
movimento. Ma per accorgerci del moto de corpi, è necessario avvertire il
passaggio che han fatto da un sito all'al tro, dapoichè non possiamo altrimenti
ve dergli, che per la permanenza delle im magini loro nella retina, il che
stabilisce un intervallo tra 'l moto effettivo ed il vi sibile. Da ciò segue
ancora, che quando il moto è talmente rapido, che non si for ma una nuova
immagine nella retina, o l'occhio seguir non può il movimento del corpo, noi
vediamo la figura di questo, diversa dalla naturale. Così, facendo gi. rare un
pezzo di carbone acceso intorno ad una corda che rapidamente descriva un
cerchio, l'occhio vedrà un cerchio di fuoco continuo, e non il carbone portato
dalla corda. Le leggi della visione, per rispetto agli obbietti che sono in
movimento, dimo strano il rapporto certo, costante, e pro porzionale che la
natura ha stabilito tra l visibile e il reale. Esempi di tali leggi sono le
seguenti verità: « se due corpi siti ad una distanza grande e disuguale
dall'occhio, se ne al lontanino di vantaggio con velocità egua li, camminando
sulla visuale; il corpo più lontano sembrerà muoversi più lenta mente
dell'altro; che se le velocità fossero proporzionali alle loro distanze, in tal
caso sembreranno muoversi con moto eguale »: « se i detti due corpi si muovano
con di – 526 – suguali velocità, ma nella medesima dire zione della visuale, le
velocità apparenti saranno in ragion composta della ragion diretta della loro
vera velocità, e della ragion reciproca delle loro distanze dal l'occhio » : «
un obbietto visibile, il quale si muove con qualsivoglia velocità, sem bra
rimanere in quiete, se lo spazio da esso descritto in un minuto secondo si
trovi in una distanza che lo renda impercetti bile all'occhio »: « un corpo che
si muove con qualunque grado di velocità, sem brerà essere in quiete, se lo
spazio per corso in un minuto secondo sta alla di stanza dell'occhio, come uno
a 14oo, o anche come 1 a 13oo»: e se l'occhio passi direttamente da un luogo
all'altro, senza che l'animo avverta il suo moto, qualun que obbietto laterale
immobile, sembrerà muoversi in senso contrario »: e nella stessa supposizione
se l'occhio e l'obbietto si muo vano nella medesima direzione, ma sia il moto
dell'occhio più rapido di quello del l'obbietto, questo sembrerà muoversi in
dietro »: « se due o più corpi lontani muo vansi con eguali velocità, e uno tra
i più rimanga in quiete; gli obbietti che si muo vono appariranno fissi, e
quello che è nel la quiete sembrerà muoversi in contrario senso ». Coteste
leggi spiegano perchè gli obbietti molto vicini a noi, i quali muovonsi
lentamente, come l'indice d'un oriuolo, sembrano esser fissi; o perchè l'occhio
non avverte il movimento, comunque celeris simo, di corpi molto lontani come i
pia neti, e non se ne avvede che pel cam biamento di luogo di tali corpi dopo
un dato intervallo di tempo ; o perchè es sendo noi in una barca che si muove
ci sembra che si muova il lido stesso del mare; o perchè attribuiscesi da noi a
cor pi celesti quel moto, che è della terra. Una regola generale dell'ottica ci
dice, che quando l'occhio è mosso, senza ac corgersi del suo moto, esso
trasporta il moto a corpi esteriori che lo circondano, e induce noi a credere,
che questi muo vansi in contrario senso, mentre che sono in quiete. V.
Distanza, Luogo, Moto. VISIONE (spec. e crit.), l'atto del ve dere gli obbietti
esteriori, esercitato per l'organo dell'occhio. L'organo della vista è quello
che, più chiaramente degli altri sensi, ci spiega il modo col quale si
producono le sue sen sazioni. Un tal modo ci sembra sì chiaro, che prendendolo
per guida, abbiam pre teso di spiegare per esso tutti gli altri fe nomeni della
sensazione. Infatti conoscen do, che la visione si opera per mezzo d'una fedele
immagine dell'obbietto impressa nel la retina, noi trasportammo questa stessa
immagine nel cervello, e di là nell'ani ma; e supponendo una perfetta
uniformità negli altri sensi, tutto riducemmo ad im magini. Forse saremmo stati
men confi denti in noi stessi, e men fecondi in ipo tesi, se avessimo fatto
attenzione al mi stero che copre le altre parti del mecca nismo della visione,
a spiegar le quali non basta il fenomeno delle immagini. Il primo fatto sul quale
si ferma la ri flessione di chi contempla i fenomeni del la visione, è il moto
paralello degli oc chi, i quali muovonsi sempre insieme, e nella stessa
direzione. Tenendogli aperti, non possiamo non guardare il medesimo punto, o
che sieno fissi, o che sieno volti alla destra, o pure alla sinistra. Chiuden
done uno colla mano e lasciando libero l'altro, mentre questo si muove in un
senso qualunque, noi sentiamo che l'altro sotto la palpebra, imita e si sforza
di eseguire – 527 – gli stessi movimenti. Cotesto fatto sembrava inesplicabile
quando credevasi che le fun zioni del muscoli motori degli occhi e dei nervi
loro servienti fossero tra loro inde pendenti. Ma ora la notomia ha dimo
strato, che sebbene i muscoli de'due oc chi sieno diversi e posti separatamente
in ognuno de due lati, pure hanno un co mune rettore ne nervi. Il terzo, il
quar to, ed il sesto paio de nervi cerebrali, comechè doppi e diffusi per ambo
i lati, hanno un'origine comune, perchè metton capo nella stessa parte
dell'encefalo, che va fisicamente considerato come il senso rio comune. Essi
dunque nascono da uno stesso tronco, ed hanno tanta reciproca dipendenza, e
tanta omogeneità di fun zioni, quanta ne hanno in un albero i rami nascenti
dallo stesso tronco: son pari in numero, ma per la identità delle loro funzioni
producono l'unità della sensazio ne, e per conseguente, della percezione. V.
queste voci. Di più difficile spiegazione è l'altro fe nomeno che ci fa vedere
diritti, e nella naturale loro posizione, gli obbietti, di cui le immagini si
dipingono capovolte nella retina. L'ottica ci dimostra che i raggi proiettati
da diversi punti dell' ob bietto visibile, s'incrociano prima di giu gnere alla
retina per modo che la parte superiore dell'obbietto viene a dipingersi nella
inferiore della detta membrana, e la parte destra alla sinistra. Ma questa
operazione, che è l'ultima della visione, e che è compiuta nella retina, da
quale altro organo è raddrizzata e rifatta? In somma come vediam diritto un
obbietto, che l'occhio riceve rovesciato? V. Occhio. Keplero e Cartesio
credettero che noi raddrizziamo col giudizio quel che diver samente l'occhio
vede, e dissero che co noscendo noi l'incrociamento deraggi del la luce,
veniamo per un atto di ragiona mento a comprendere, che la parte infe riore dell'immagine
corrisponde alla su periore dell'obbietto, e così e converso. Ma la percezione
degli obbietti che pas sano per l'organo della vista è una ope razione
immediata, non preceduta da al cun ragionamento; ed inoltre cotesta sen sazione
è la stessa ne fanciulli e negli adulti, ne'dotti e negl'ignoranti. Se quel la
spiegazione fosse vera, solamente gli anatomici, i fisiologi, e quelli che cono
scono la struttura degli occhi dovrebbero veder diritti gli obbietti, e tutti
gli altri, a rovescio. - Berkeley ed altri diedero all'abito e all'esperienza
quel che i primi due avevan dato all'intelletto. E partendo dal princi pio, che
le idee acquistate per la vista, non sono altro che segni di quelle che
acquistiamo per lo tatto, senza che vi sia tra esse la menoma rassomiglianza,
spie garono il fenomeno del raddrizzamento, come un giudizio sperimentale, che
scam bia il segno colla cosa significata. Cotesto sistema, non dissimile dal
precedente, in quanto che intromette nell'atto individuo ed immediato della percezione,
una idea di riflessione e di esperienza, sente an cora l'idealismo di Berkeley,
il quale ebbe il mondo come tangibile e non visibile. Altri non dubitarono
ancora di affermare che noi vediamo naturalmente gli obbietti arrovesciati, ma
che il senso del tatto ed indi l'abito rettificano la percezione degli obbietti
visibili. E Algarotti, il quale spie gava l'ottica a colte e gentili donne, non
solamente dava per vera una tal suppo sizione, ma aggiugneva che l'idea del
l'alto e del basso delle cose materiali, è un sentimento che ci viene non dalla
– 528 – vista ma dal tatto, e dal senso della pro pria gravità; e credeva di
confermare tali asserzioni coll'esempio del cieco nato, cui il celebre chirurgo
inglese Cheselden estrasse la cataratta nell'anno quattordicesimo del l'età
sua. Ma qual è il fanciullo che ab bia cominciato dal vedere gli obbietti ca
povolti, ed abbia poi per abito acquistato la credenza di vedergli diritti? E
quanto al giovinetto cieco di Cheselden , le sue relazioni dicono soltanto, che
quegli vide da prima gli obbietti in confuso, sì che un quadro non appariva
altrimenti agli occhi suoi, che come una tela macchiata di luce, di ombre, e di
colori ; il che non poteva diversamente avvenire, tra perchè l'idea ignota, che
per la prima volta acquistava, era quella della luce e de'colori ; e perchè gli
mancava ancor quella della distanza, che acquistar non poteva senza il concorso
della vista e del tatto insieme. E dall'altra parte sebbene il tatto avesse
potuto dargli l'idea della esten sione in largo e in lungo; pur tuttavolta
sarebbe bastato il solo senso della vista per discernere l'alto decieli e il
profondo della terra, senza essere obligato a ragio mare intorno alla gravità.
Il dottor Reid ricorse alle leggi natu rali della visione, per conoscere qual
fosse l'ultimo fatto della sensazione. « A pro durre la visione è necessario
che si formi nella retina l'immagine dell'obbietto, ma noi ignoriamo in qual
modo ella passi più oltre. I filosofi credettero, che l'impres sione della
immagine comunicata al ner vo ottico, o da questo a quella parte del cervello,
nella quale risiede la sensazione, fosse veduta dall'anima ivi presente. Ma in
questi passaggi v'ha una serie di sup posizioni l'una più inesplicabile
dell'altra. Il nervo ottico certamente necessario a pro durre la sensazione, in
qual modo la pro duce? Come la impressione del raggi lu minosi sulla retina si
comunica al nervo ottico, e come questa la trasmette al cer vello? Quali sono
le funzioni di quest'or gano, e qual può essere il suo contatto coll'anima ?
Quale infine è il punto del cervello che noi possiamo assegnare per sede
all'anima? Sono quistioni sopra cia scuna delle quali dobbiam fare una schietta
professione d'ignoranza. 'altra parte non possiamo sconvenire, che le
operazioni dell'anima sono rego late da leggi certe della natura, del pari che
lo sono quelle degli organi sensibili. Ora per effetto d'una legge naturale
l'anima vede non solamente l'obbietto tutto intero, ma ognuno de suoi punti
visibili. È verità dimostrata dall'ottica , e confer mata dalla sperienza, che
nella visione diretta noi vediamo ogni punto dell'ob bietto nella direzione
d'una linea retta ti rata dal centro dell'occhio a quel dato punto. E siccome
la sensazione negli al tri organi è regolata da leggi particolari a ciascun di
essi; così dobbiamo risguar dare come legge propria della visione, che
l'obbietto da noi si vegga nella dire zione della perpendicolare al punto della
retina, nel quale viene a dipingersi l'im magine dell'obbietto veduto. Cotesto
effetto (essendo le immagini de gli obbietti dipinte a rovescio sulla retina)
non può altrimenti ottenersi, se non per un nuovo arrovesciamento della detta
im magine. V'ha dunque un'altra legge o fatto della natura, di cui la
precedente è una conseguenza, cioè che la parte dell'obbietto dipinto nel basso
della retina, sia veduta nella parte superiore dello spazio, e quella dipinta
alla sinistra sia veduta alla destra, per modo che se le immagini fossero di –
529 – pinte diritte sulla retina, noi le vedremmo a rovescio». Per dichiarire
alquanto il concetto, che Reid prese dal dott. Porterfield, vorrem mo noi
domandare, se la supposta legge naturale, che la parte dell'obbietto di pinto
nella porzione inferiore della re tina sia veduto nella porzione superiore
dello spazio, e la parte destra alla si nistra, sia una legge fisica la quale
regola le funzioni dell'organo; o una legge che regola le operazioni della
facoltà percetti va; o in altri termini, se il raddrizzamento della figura
arrovesciata sia una funzione dell'organo ovvero dell'intelletto? Non è
certamente dell'occhio, perchè l'immagine dipinta nella retina è l'ultima delle
sue funzioni, perchè l'arrovesciamento della immagine è la conseguenza dello
incrocia mento del raggi proiettati dall'obbietto, sì che converrebbe supporre
un'operazione di un altro organo contraria alla precedente; e finalmente perchè
lo stesso Reid intese proporla come una legge regolatrice delle operazioni
dell'animo. Ora riferendo una tale legge all'intelletto, come possiamo
concepire che la natura abbia renduto co mune allo spirito l'effetto meccanico
del l'incrociamento del raggi della luce, così che l'intelletto debba sempre
vedere l'op posto di quel che materialmente è stato nell'organo dipinto?
Potrebbe esso retti ficare col giudizio l'imperfetta rappresen tazione del
senso, mettendo il vero in luogo dell'apparente, ma non mai potrebbe sostituire
l'apparente al vero. Questa os servazione risponde a quella dell'autore, il
quale dice, che se gli obbietti venissero nella retina dipinti diritti e nella
loro na turale posizione, l'anima li vedrebbe a rovescio. E quì dobbiam
francamente dire, che il ragionamento di Reid non ci sembra di quella rigorosa
esattezza, per la quale egli è sì giustamente ammirato. Imperocchè non ad ogni
fatto della natura possiam dare il nome di legge. Questo nome, se condo la
regola della induzione è dato a quei fatti generali, i quali contengono in loro
la ragione sufficiente del particolari, che da essi dipendono.
L'arrovesciamento della immagine sulla retina è la conse guenza d'un'altra
legge ottica, per la quale i raggi proiettati dalla parte superiore del
l'obbietto luminoso debbono cadere nella parte inferiore del piano prospettivo,
e gl'inferiori nella superiore. Diamo piutto sto il nome di legge della natura a
quel l'altro fatto cioè, che gli obbietti visibili son da noi veduti nella
direzione delle li nee rette, le quali partendo da ogni punto della immagine
dipinta nella retina vanno a finire al centro dell'occhio. Noi sappiamo che ciò
avviene costantemente ed unifor memente in tutti i casi, ma ignoriamo come
avvenga. Risguardiamola dunque come una legge, o come una condizione dell'umana
costituzione. Ora che altro dice cotesta legge, se non se l'anima vede gli
ob'ietti diritti, e nella loro naturale po s zione, quantunque sieno dipinti a
ro vescio nella retina? Adunque tanto Por terfield quanto Reid surrogarono una
espres sione scientifica ad un'altra più comune, e spiegarono otticamente il
medesimo fat to; lasciando intatta la quistione del come ciò avvenga, e del
perchè la percezione dell'obbietto non corrisponde alla materiale impressione
della sua immagine. Dopo tanto disputare, separiamo i fatti dalle congetture.
L'immagine dell'obbietto nella retina è l'ultima delle funzioni del l'occhio,
ma non è l'ultima delle opera zioni della sensazione. A compier questa rimane
l'azion del muscoli, del nervi, e 67 – 550 – del cervello senza de quali non si
dà sen sazione. L'anima non vede le immagini, ma avvertita della loro presenza,
trasporta la sensazione alla causa che la produce. La percezione è un giudizio
che abbraccia l'esistenza dell'obbietto quale realmente è: nella realità è
compresa la sua vera situa zione. Che se l'anima fosse serva delle materiali
impressioni desensi, quanto ro more non ne menerebbero i fisiologisti per
trasportare negli organi l'azione dello spi rito? La visione dell'obbietto e
non della sua immagine è uno de più manifesti ar gomenti della immaterialità
dell'anima e della superiorità delle sue funzioni. Un terzo fatto che
intrattener suole l'at tenzione del fisici e del metafisici è , che guardando
noi un obbietto con ambedue gli occhi, lo vediam semplice e non dop pio. Senza
ripetere quì le varie opinioni degli antichi e del moderni, le quali sono
esposte ne libri de fisiologi e de fisici, prendiamone la spiegazione dal
principio testè esposto, cioè che l'anima vede gli ob bietti e non le immagini.
Che se vedesse queste e non quelli per la stessa ragione per la quale vedrebbe
le immagini arro vesciate, dovrebbe vederle ancora doppie. Del resto con questa
ragione psicologica combacia ancora una legge fisica regola trice del fenomeno
della visione. Noi ve diam semplici gli obbietti, perchè gli assi dei due occhi
son diretti verso il medesimo punto, sì che unica e non doppia è la sensazione.
In conferma di che se taluno meccanicamente forzando la situazione di uno de
due occhi li ponga ad un diverso livello, ciascun di essi vedrà lo stesso ob
bietto, l'uno in un sito inferiore, e l'altro nel superiore. Non pertanto, la
natura ha non senza ragione addoppiato gli organi della visione, come quelli
dell'udito e dell'odorato, per rendere più chiare le impressioni degli obbietti
esterni. A questo fine concordemente serve la simmetrica disposizione del
muscoli e denervi, i quali comechè addoppiati, pure per l'identità delle loro
funzioni cospirano insieme alla unità e all'energia della medesima sensa zione.
V. questa voce. Viso (spec. prat. e disc.), la faccia umana animata dalla luce
degli occhi ; 0 la sembianza, indice degli affetti e dello stato dell'anima.
Nel primo significato differisce da faccia e da aspetto; dapoichè faccia è nome
della parte anteriore del capo, comune all'uomo e al bruti; e aspetto indica la
figura visibile d'ogni cosa, animata o inanimata che sia. V. queste voci. Nel
secondo significato poi vale espres sione di sentimento, o linguaggio d'azione.
In questo senso disse Dante: Con viso, che tacendo dicea: taci. (Purg. XXI. ).
Vale men di volto, che esprime il com plesso di tutte le disposizioni
dell'anima, dimostrate per le apparenze non meno de gli occhi, che della fronte
e delle labbra. V. Volto. VISTA (spec.), il senso del vedere. Il più importante
de sensi, o delle fa coltà sensitive date all'uomo. Quantunque comune a bruti,
pure nell'uomo la natura ha dato a questo senso un'ampiezza ed attitudini tali,
che non solamente dimo strano la preeminenza di lui per rispetto agli altri
animali, ma ne fanno un instru mento diretto ed immediato dell'anima. Per esso
l'anima percepisce gli obbietti – 551 – esterni, ne distingue le qualità, scopre
gli elementi della visione, la luce, i co lori, la struttura stessa del proprio
or gano, e rimonta insino alla prima causa di tutte le cose. La vista dell'
uomo è il senso di un Essere, invitato dalla natura a contemplare le sue
maraviglie, e a leggere ne suoi futuri destini. V. Luce, Occhio. Ora nella
vista dell'uomo, nella quale si comprende tanto la potenza propria del
l'organo, quanto la virtù comprensiva dell'anima, debbonsi distinguere le per
cezioni naturali dalle acquistate. Colle naturali noi percepiamo l'estensione,
la figura, le diverse gradazioni de colori, e i vari effetti della luce. Colle
acquistate distinguiamo le qualità apparenti, diverse dalle seali, a conoscer
le quali vengono come ausiliari il tatto, la riflessione e l'abito, o sia la
sperienza. Tra le naturali distinguiamo le qualità primarie della ma teria,
dalle secondarie: l'estensione e la figura appartengono alla prima spezie: il
colore e gli effetti della luce alla seconda. Nella classe poi delle acquistate
entrano tutti gli atti intellettuali, pe quali diven gono in noi abituali molte
conoscenze, di cui l'origine è nello spirito, e non nel l'organo materiale
della vista. Nell'analisi delle percezioni acquistate è riposta prin cipalmente
quella parte della filosofia dello spirito umano che versa circa i fenomeni
della visione e degli obbietti visibili.V.Qua lità, Visibile, Visione. VITA
(spec.), lo stato dell'Essere or. ganico nella durata della sua esistenza. V.
questa voce. Altri l'han definito: il moto continuo degli organi d'un corpo
animato. È il contrapposto di morte, che è la distruzione o dissoluzione di
quello stato. V. Morte. Della definizione della vita può dirsi quello stesso,
che è stato detto della esi stenza, cioè che le idee delle quali igno riamo le
cause efficienti, non son capaci di vere definizioni, perchè ci è interdetta
ogni cognizione dell'essenza loro. Aristotele definì la vita per l'enumerazione
di tutti gli attributi suoi: « è il pensare, il sen tire, il rinnovamento
quotidiano del cor po, mercè della nutrizione, il suo decli namento, la
decrepità ». Le piante han pure, secondo lo stesso autore, una vita, detta
vegetazione. Che anzi la potenza ve getativa fu da lui considerata come comune
a bruti e all'uomo. V. Vegetativa. Per rispetto all'uomo, l'idea della vita è
men cieca, che per gli animali e per le piante, dapoichè la sua essenza sta nel
l'associazione dello spirito col corpo, e però può più plausibilmente essere
definita: la durata dell'unione dell'anima col corpo. V. Anima, Durata.
VITUPERAZIONE e VITUPERo (prat.), il biasimo accompagnato da disonore o in
famia. V. queste voci. Vale anche azione degna d'essere con tali note
biasimata. VivAcE e VIVACITÀ (spec. e disc.), qua lità di spirito pronto, o di
componimento che spira vaghezza di concetti e di fantasia. VivIPARo (spec.),
animale che molti plica la sua spezie colla produzione d'un altro animal vivo a
se simile. È il contrapposto dell'oviparo, ed en trambi sono i modi pe quali si
conserva la generazione omogenea. Diversa da que sta è la spontanea, o
eterogenea, che i t – 552 – fisici ammettono negl'insetti e ne vermi detti
infusori. V. Generazione, Infuso rio, Uovo. Vizio (prat.), abito elettivo di
operare il male. Cotesta definizione è di origine scolasti ca, e tratta da
casisti, i quali distinsero tre stati di vizio: il primo detto d'inconti nenza,
incontinentiae: il secondo d'in temperanza, intemperantiae: il terzo d'in
duramento, feritatis. Lo stato d'incontinenza fu da essi con siderato come
d'infermità, capace del ri morso della coscienza, e per conseguente di
guarigione: quello d'intemperanza, come più tenace, perchè confermato dal
l'abito, e però men curabile: e finalmente quello di cieca ostinazione, come
insana bile. La gradazione è vera, comechè aspri e barbari sieno i vocaboli. V.
Coscienza. Noi diamo al vocabolo vizio un signi ficato sempre contrario a quel
di virtù. E siccome questo nome è adoperato per di notare tanto le doti
singolari, quanto l'in tera e compiuta perfezion dell'animo; così del pari
diamo al nome di vizio il signi cato ora discreto, ed ora complessivo: nel
primo prende tanti nomi particolari, quanti sono gli atti vituperevoli a quali
si attacca, onde diciamo vizio di lussu ria, di maldicenza, d'ingratitudine, e
simili: nel secondo diviene l'estremo op posto della perfetta virtù. Ora
essendo tanti i nomi del vizi parti colari, quanti possono essere gli atti ille
citi e indoverosi, domandasi se anche tra questi ve n'abbia de più vituperevoli
e maggiori, nel senso che possano essere considerati come principali nel mal
fare; del pari che v'ha tra le virtù le cardi mali, le quali traggono dietro a
se le altre, e son considerate come la fonte della perfezione. Certamente
essendo il vi zio, in qualunque significato si prenda, un esatto contrapposto
della virtù, si può tra vizi particolari stabilire in contrario senso una
partizione corrispondente a quel la che abbiam fatto per le virtù , e ris
guardare come cardinali, e quali sor genti d'ogni corruzione morale e civile,
l'empietà, l'ingiustizia e l'avarizia. V. Virtù. I Latini al par di noi gli
diedero tanto il significato particolare, quanto il gene rale, e di ambedue
abbiamo la definizione in Cicerone: Quod vituperabile est per se ipsum, id eo
ipso vitium nominatum puto, vel etiam a vilio dictum vitupe rari. Sin zoxtxy
malitiam diarisses, ad aliud nos unum certum vitium sonsue tudo latina
traduceret. Munc omni vir tuti vitium contrario nomine opponitur. (de finibus
lib. III. Cap. XII.). Taluni declamatori han detto, e son soliti dire: vitia,
donec homines, ovvero hominum sunt vitia, non temporum / nulla aetas vacavit a
culpa, i quali detti contengono una sentenza vera, se si ri feriscono
all'origine del male, che è nella imperfezione dell'essere fragile e caduco
dell'uomo, ma son falsi, se vogliansi elevare a verità necessarie ed inevitabili.
Imperocchè se si prendessero in un senso generico e assoluto, ne seguirebbe che
la tendenza strascina irreparabilmente l'uomo al male, o sia che il male è
necessario; conseguenza contraria alla ragione e alla sperienza: alla ragione,
tra perchè questa conosce e appetisce il bene, che è il fonda mento della
virtù; e perchè il vizio non cessa mai di essere disapprovato dalla co scienza:
alla sperienza, perchè i vizi son mutabili e non permanenti, e a guisa - 555 –
de morbi infettano or una, ora un'altra età, e molti scompariscono fugati dalla
comune opinione, o proscritti dal publico costume. Laonde ogni età è dissimile
dal l'altra, così per le virtù, come pe vizi che soglion dirsi predominanti;
sebbene una somiglianza si trovi nella tendenza alle azioni che son
biasimevoli, per abu so degl'istinti e degli appetiti propri del l'umana
natura. Di questa verità som ministrano una manifesta pruova le rap
presentazioni teatrali e i publici giuochi, il gusto de quali è vario presso i
po poli rozzi e gl'inciviliti, perchè è rela tivo a rispettivi loro costumi, e
mutabile è presso tutti, perchè si evita e si fugge in un tempo quel che si è
amato in un altro. Qual popolo colto ed umano sopporte rebbe al giorno d'oggi i
sanguinosi spet tacoli, de quali dilettavansi gli antichi? E qual moderno
teatro tollerar potrebbe la satira dell'antica comedia, l'esagerate passioni de
tempi cavallereschi, o le li cenziose rappresentazioni, delle quali cia scuna
delle presenti nazioni si è dilettata in sul cominciare della sua carriera dram
matica ? L'educazion civile e religiosa d'ogni popolo ha sbandito taluni vizi e
ha ren duto superflue molte lezioni di morale. Il pubblico è divenuto severo,
casto, pru dente, censor del vizio e non delle per sone, inesorabile contra
quel che offende la verecondia e la modestia; avido delle lezioni, utili a
dirigere l'uomo nel cam mino della vita! Chi può dire che i vizi de' nostri
tempi sieno gli stessi di quelli della corrotta Roma, o della indomita età di
mezzo? Dicasi dunque che le passioni son dell'uomo, e i vizi, de tempi. V. Pas
stone. - UMANITÀ e UMANo (spec. prat. e disc.), natura e condizione umana.
Prendesi per quel naturale affetto di be nevolenza che lega gli uomini tra
loro, nel quale senso equivale a benignità. Vale inoltre studio delle lettere
umane, che ingentiliscono l'animo, e lo preparano ad ogni altra coltura. UMILE
e UMILTÀ (prat.), qualità d'uomo che di se non presume, o per modestia si
abbassa. V. Modestia. UMORE (spec. e prat.), nome comune ad agni fluido o
succo, che è ne corpi organici, perenne o accidentale, e qua lunque sia la sua
funzione. In un senso traslato si applica al par ticolar temperamento d'una
persona, che si crede provenire dall'abbondanza d'uno, più che d'un altro
fluido animale; il per chè diciamo uomo di umor bilioso, co lerico, flemmatico,
sanguigno, ec. Per altra similitudine significa ancora disposizione d'animo
disquilibrato per l'in fluenza d'una causa fisica, di cui non si sa rendere
ragione. Ambedue i cennati significati contengono un'idea confusa, che non può
essere dichiarita, per la dif ficoltà di distinguere l'azione delle cause,
dalle quali risulta l'economia animale, e molto più per la difficoltà di
determinare i diversi gradi d'influenza, che il fisico esercita sul morale
dell'uomo. V. Dispo sizione, Temperamento. UNIco (spee. ontol. e teol.), quel
che non ha altro simile nell'essenza, o sia nelle sue parti costitutive. Per
analogia è il singolare, che non ha congenere, nè appartiene ad alcuna spezie.
– 554 – Nel suo proprio significato è Dio, ente unico. V. Ente. UNIFORME (spec.
e prat.), il simile per l'esterne apparenze, o per lo moto. Nel primo
significato, contiene l'idea affermativa opposta al difforme. V. questa VOCe.
Nel secondo dicesi uniforme il moto di quel corpo che percorre spazi eguali in
tempi eguali; o sia l'uniformità è una proprietà del moto equabile, e però di
viene misura del tempo. V. Moto, Tempo. Ne portamenti del vivere, l'uniformità
vale costanza nell'operare sempre allo stesso modo, e però dicesi vita uniforme
quella che mai non varia dallo stesso proposito. UNIoNE (spec. ontol. e prat.),
lo stato d'ogni composto, considerato per rispetto al legame che fa stare
insieme le sue parti. Gli scolastici la definirono, lo stato di un ente in
quanto è congiunto con un altro ente, o l'associazione di più cose che
convengono in uno. L'idea della unione è propria degli ob bietti materiali e
dinota la coesistenza di ciò che la divisione separa e scompone. V. Divisione.
Negli obbietti del pensiero, l'unione vale convenienza di relazione ; siccome
negli atti della vita pratica contiene somi glianza, e conformità di volontà.
UNITÀ ( spec. ontol. dise! e eri. ), astratto, o qualità dell'uno che esprime,
o l'Essere semplice, indivisibile, o una parte individua d'un tutto divisibile,
la quale prendesi come termine di paragone nella misura delle altre quantità
della spezie, o il concetto unico che la mente formi delle qualità simili, o un
obbietto del pensiero, che la mente concepisce come distinto dagli altri, o il
subbietto d'un discorso, o d'un poema, di cui le parti debbono cospirare al
medesimo fine. De cinque proposti significati il primo appartiene alla unità
detta metafisica, il secondo alla unità matematica, gli altri tre alla unità
logica. Intorno alla unità metafisica, per ben concepirla, giova vedere come
ciascuno la formi nel proprio intelletto. Ognun dice a se stesso, io sono uno,
e comparando se agli altri individui della sua spezie, passa a formare una
seconda idea diversa dalla prima, che è la pluralità. Ma in che consiste l'unità,
che in me concepi sco? Nella mia indivisibilità. E d'onde nasce la
indivisibilità? Non dal corpo, nè dalla materia in generale, perchè le sue
parti son divisibili all'indefinito, e po trebbero molte parti del corpo essere
tron cale, senza che l'io cessasse di essere uno. Laonde l'indivisibilità è
nell'io intelligente, incapace di parti, e per conseguente di divisione.
Cotesto io intelligente considera il proprio essere, come distinto dagli altri
a se simili, e di ciascun de'quali forma il medesimo concetto; d'onde deriva an
che l'altro della propria identità ed im mutabilità. Adunque l'unità metafisica
è propria de soli spiriti, o sia degli Esseri semplici. V. Identità, Semplice,
Spirito. Quanto poi alla matematica, l'unità è la parte individua del numero,
la quale col suo paragone al tutto cui appartiene ne misura la quantità.
Chiamasi indivi dua, non perchè sia indivisibile, ma per chè si considera come
tale, per rispetto all'aggregato delle altre parti simili, delle quali il
numero è composto. Il suo signi ficato è relativo, o sia contiene una idea –
555 – di relazione alla pluralità, o in altri ter mini; è unità di parti, e non
di Esseri. E però, tanto nella quantità discreta, quanto nella continua,
considerando le parti d'un tutto come distinte tra loro, possiamo sta bilire
una unità relativa; e se nella discreta prendiamo l'uno come principio del nu
mero, può nella continua una linea retta una superficie o un solido essere
preso come principio e misura della estensione. L'unità matematica dunque è propria
dei composti materiali. V. Mumero. Non mancarono gli scolastici con astratte
definizioni e dialettiche distinzioni di oscu rare il concetto della unità,
dapoichè la definirono, quel che è indiviso in se stes so, ed è diviso da ogni
altra cosa: ed altri, un modo di essere, per cui con viene ad ogni particolar
essenza una volta sola. La prima di queste due defi nizioni risguardava l'unità
matematica: la seconda è un misto delle unità logiche e della metafisica. Per
distinguere le une dalle altre ricorsero alle distinzioni, e chia marono unità
di semplicità quella dell'Ente perfettissimo, e unità di composizione quella
dell'uomo, perchè composto d'una sostanza semplice, e d'un composto ma teriale
e divisibile. E non bastando l'an zidetta distinzione a dichiarire i diversi si
gnificati che davansi allo stesso vocabolo, suddivisero l'unità di semplicità
in due, l'assoluta, e l'altra secundum quid, dando quella a Dio, di cui gli
attributi sono in separabili dalla sua essenza; e questa agli spiriti celesti e
alle anime umane, gli attributi delle quali possono essere risguar dati come
altrettanti modi di essere, non necessari, e separabili dalle rispettive loro
essenze. Altri finalmente distinsero l'unità per se, dall'altra per accidens,
compren dendo nella prima non solamente l'ente semplice, ma ancora l'ente
composto di cui le parti formano un tutto inseparabile, come l'uomo; e nella
seconda i corpi col lettivi e gregari, senza parlare dell'altra unità detta
confusionis, propria deliquidi, che una volta confusi, divengono nelle loro
parti inseparabili. Queste ed altre molte distinzioni nacquero dal non avere
distinto i diversi significati attribuiti al medesimo vocabolo. E quì, per non
tor nare alle unità metafisiche, vuolsi notare, che Leibnizio, risuscitando le
unità pita goriche, chiamò unità reali le sostanze immateriali dotate di
percezione, le quali informano la materia, e la fan passare dal suo stato
primitivo, inerte, e passivo al secondario. In questo senso le unità reali
suonano per lui lo stesso che le mo nadi e le entelechie. V. queste voci.
Passando ora a significati logici dello stesso vocabolo, noi siam soliti
conside rare, come una unità di ragione, il con cetto delle qualità simili che
son proprie degli Esseri della medesima spezie; onde diciamo essere una la
condizione umana, o quella de bruti; il che avviene ancora nelle altre cose,
semprechè astraiamo da gl'individui quel che è ad essi comune, e ne formiamo
una nozione di spezie o di genere. Cotesta unità era anche dagli scolastici
denominata unitas rationis, per distinguerla dalla reale, la quale propria
mente corrispondeva alla numerica, o ma tematica. L'animo similmente separa gli
obbietti del pensiero, gli esamina divisamente, ne paragona le differenze, e
suddivide i com plessi da semplici; sì che l'unità a rispetto loro diviene un
mezzo di ordine e di lo giche partizioni, non altrimenti di ciò che l'unità e
il numero fanno nella distribu zione delle cose materiali. V. Mumero. - 556 –
L'unità finalmente nelle opere così del l'intelletto come della immaginazione,
e sopra tutto negli argomenti propri delle arti imitative, ha un significato
speciale, che vuol dire uniformità e coerenza delle parti, per rispetto allo
scopo, che l'autore si prefigge. Questa è quella unità predicata nel precetto di
Orazio: Denique sit quod vis simplex, dumtarat et unum. L'ordine è certamente
un requisito ne cessario ad ogni opera dell'ingegno, o che si tratti
d'istruire, ovvero di dilettare. Esso consiste in questo, che ogn'idea sia
messa al proprio luogo, il superfluo sia risecato, l'estraneo rimosso, ed il
prin cipio sia legato al mezzo e questo alla fine. Gl'incidenti stessi e le
digressioni debbono esser tali, che non disdicano alla natura del suggetto,
onde il profano non sia a canto al sagro, il ridicolo al grave, e l'autore non
offenda la dignità e le convenienze del suo argomento. Un'opera cosiffatta
dicesi una, perchè composta di parti sì ben connesse tra loro, che pos sono
essere considerate come necessarie e inseparabili le une dalle altre.
Trasportando ora l'esposte idee alle opere d'imitazione, e spezialmente a
quelle che prefiggonsi di rappresentare i fatti degli uomini, il principale
loro pregio è la ve risimiglianza per quell'altro precetto: Ficta voluptatis
caussa sint proaima veris. E ciò non solamente per lo detto di Orazio, ma per
l'autorità della ragione, la quale nella imitazione non può trovar bello, se
non quello che ripresenta le azioni e le passioni degli uomini co loro veri e
naturali colori. Da tali principi è nato nella poesia drammatica la famosa
regola delle tre unità, d'azione, di tempo e di luogo, rispettata con maggiore
o minor severità da Aristotele insino a tutto il decimottavo secolo, screditata
e proscritta dal roman tico della nostra presente età.V. Romantico. Le tre
divisate unità sono proprie della tragedia e della comedia, e in parte an cora
del poema epico. Dico in parte, per chè l'unità di azione gli è necessaria come
al dramma, e l'unità del tempo in una misura più ampia di quel che richiede la
rappresentazione d'un fatto, unico, pu blico o domestico che sia, rimanendo ad
esso estranea l'unità del luogo. Ora la sciam da banda l'epopea, tra perchè la
grande controversia versa circa la unità drammatica; e perchè facile sarebbe il
fare l'applicazione del più al meno, se l'unità del tempo fosse dal teatro
interamente sban dita. L'unità di azione, secondo il precetto di Aristotele,
consiste in questo che sia essa riguardevole, compiuta, di lunghez za
proporzionata alla maggiore o mi nore estensione delle sue diverse imila zioni,
non così picciola che non possano distinguersi le troppo minute parti, nè così
vasta, che non possano vedersene insieme le proporzioni nel tutto. Tutto
quello, soggiugne lo stesso autore, che può esser tolto ed aggiunto, senza al
terare visibilmente la costituzione d'una favola, non è membro della medesima
(Poet. cap. VIII.). Il senso di questa re gola (secondo che è stata
interpretata ed applicata da più grandi maestri dell'arte drammatica), è che
l'azione abbia un nodo unico, ed un cominciamento, un mezzo, ed una fine,
talmente legati tra loro, che ognuna di queste parti corrisponda allo scopo
dell'autore. L'unità del nodo è quel che forma l'unità dell'azione, e nella tra
– 557 – gedia dicesi uno il nodo, quando uno sia l'avvenimento tragico, al
quale scampa o soggiace il protagonista del dramma; sic come nella comedia uno
debb essere l'in trigo, o l'ostacolo che tien sospeso il dise gno del
principale attor della favola. Non è già che non possano darsi più avveni menti
tragici, o più intrighi, che formino il nodo dell'azione, ma uopo è che l'uno
sia dipendente dall'altro, per modo che non possa quella dirsi compiuta, se non
per l'ultimo di essi. Tutte le azioni se condarie, le quali debbono essere
subor dinate alla principale, appartener debbono al nodo dell'argomento e al
suo sciogli mento, che formano le due parti costitu tive del dramma. Gli
episodi e gli aggiunti, purchè utilmente e verisimilmente adornino l'azion
principale, non ne turbano l'unità. Ma nella scelta di questi vale sopra tutto
il criterio del poeta, dapoichè come dice Racine, nulla è tanto contrario alla
unità ed alla semplicità dell'azione, quanto il moltiplicare gl'incidenti e le
forzate ri conoscenze, ordinario rifugio degli sterili poeti, i quali si
gettano nello straordinario e si allontanano dal naturale (Pref. del la
Berenice). Contra questa unità, che tutti hanno riconosciuto esser necessaria
al dramma e al poema, anche molti grandi autori han peccato. Cornelio notò
avervi mancato Se neca nella Troade, ed egli stesso nella tragedia dell'Orazio,
nella quale l'inaspet tata morte di Camilla, forma quasi un dramma a parte.
Voltaire notò un simile difetto nel Catone di Addison, e nell'An dromaca di
Racine, in cui v'ha due nodi, l'uno di Ermione amata da Oreste e sprez “zata da
Pirro; l'altro di Andromaca che cerca di salvare il figlio e di serbare fedeltà
ad Oreste. Ciò non ostante, ciascuna delle nominate tragedie ha i suoi pregi, i
quali rendon belle le singolari parti del dramma ma non corrispondono all'
ordine e alla connessione del tutto. Se taluno dicesse, quel dramma mi diletta,
dunque la re gola della unità è superflua, ammette rebbe una compensazione tra
'l retto e il difettuoso, e pronunzierebbe un giudizio d'uom volgare che non sa
distinguere il mediocre dal perfetto. Il dramma in som ma, quantunque bello in
talune parti, mancherebbe del suo scopo: Infelia operis summa, quia ponere
totum Nesciet. Passando all'unità di tempo, questa ancora nasce dal seguente
insegnamento d'Aristotele. La tragedia (questi dice) si sforza, quanto è possibile,
di restrin gere il tempo della sua azione in un solo giro di sole, o variarlo
di poco. L'epopea non ha limitazione di tempo, benchè non l'avesse per innanzi
nè pur la tragedia (Poet. Cap. V.). Due estreme opinioni sonsi in due di verse
età manifestate intorno alla durata di tempo, nella quale debba il poeta re
strignere l'azione del dramma. Il Castel vetro e con esso altri critici,
pretese altra volta che, per non offendere la verisimi litudine, dovesse il
tempo dell'azione non oltrepassare la misura di quello che se ne impiega nella
rappresentazione. I romantici ora vogliono affrancare il dramma dalla servitù
del tempo, e scagliansi accaniti contra questa regola che dicono essere un
avanzo del dogmatismo e delle false dot trine della scuola aristotelica. Nel
mezzo di queste due estremità sta il criterio di più di duemila anni il quale è
composto dalla ragion de poeti drammatici, a quali – 558 – dobbiamo la
perfezione di quest'arte, e dal gusto de più colti popoli della Terra. I
romantici vengono ora a dirci, che il prestigio per Aristotele ha affascinato
la ragione degli uomini anche di lui non divoti, come Cornelio, Racine,
Moliere, Boileau, Maffei, Goldoni, Voltaire, Me tastasio; facendo passare in
canone un precetto, che lo stesso Aristotele non in tese dare come assoluto o
generale. Ma prima di esaminare le nuove ragioni che i romantici ci adducono
per liberare il teatro dalla servitù del tempo, giova dire qual è stato il
sentimento medio seguito da più perfetti autori drammatici, e quale l'origine della
licenziosa libertà per cui ora si combatte. Il tempo concesso da Aristotele,
parve alquanto largo a molti chiari scrittori, sebbene critici più che poeti;
il perchè invece d'interpretarlo per un giorno na turale di ore ventiquattro,
pretesero limi tarlo al giorno artifiziale di ore dodici. Ma la sentenza
ricevuta dall'universale dei critici e del poeti, ſu che non convenisse frenare
con leggi troppo dure la fantasia de poeti, nè la comoda distribuzione del
l'azione. D'altra parte la ragione e la spe rienza dimostrano, che una misura
rigida di tempo convenir non possa ad ogni sorta d'azione; verità questa che si
trova espressa nella stessa sentenza di Aristotele, il quale indicò più la
necessità d'un tempo defi mito, che una misura di durata invaria bile, ea tutti
comune. Tanto dicono le sue parole, per quanto è possibile. Tal'è stata sempre
la pratica del teatro francese ed italiano: talune azioni, quando la sem
plicità del fatto il permettevano erano in cluse nel tempo della
rappresentazione: talune altre, nella durata del giorno ar tifiziale: altre
finalmente, in quella del giorno naturale, e anche alquanto al di là, quando la
moltiplicità degli accidenti inseparabili dal fatto principale, il richie deva.
Niuno del grandi poeti drammatici sentivasi da questa regola soverchiamente
gravato, e per contrario quando qualche dramma usciva da limiti stabiliti
dall'uso e dalla sperienza, gli spettatori e i lettori accorgevansi della
inverisimiglianza nella quale cadeva l'azione. Potevan le parti di questa,
isolatamente prese dilettare ; po teva il verso e lo stile del poeta muo vere e
trasportare gli uditori, ma niuno confondeva cotesti pregi col giudizio del la
perfezione e del compiuto effetto del dramma. Gli autori drammatici spagnuoli
ed in glesi sono stati i soli che non vollero ri conoscere l'unità del tempo.
Gli spagnuoli, come dice Boileau, facevan comparire i loro eroi fanciulli al
primo e barbuti all'ultimo atto, e Shakspeare abbracciò ne suoi drammi azioni
della durata di tre, di dieci, di sedici anni, e anche di tempo maggiore. Le
originali bellezze delle quali abbondano i capolavori teatrali delle due
cennate nazioni cominciarono a sedurre gli spiriti independenti, e ad
introdurre l'imitazione di questi nuovi originali. Degli alemanni ancora non si
parlava, quando surse la gara tra gl'imitatori del teatro francese e
dell'inglese. E quì prima di dire, come costoro facessero traboccare il
torrente della opinione in favor della nuova sentenza, giova parlare della
terza unità, cioè di quella detta di luogo; dapoichè contra l'una e l'altra
insieme son diretti gli attacchi de'novatori. L'unità del luogo non ci viene da
Ari stotele, nè da altro espresso insegnamento di antico autore; ma è una
conseguenza della stessa scenica rappresentazione e delle – 559 – regole della
verisimiglianza, nelle quali è riposta l'essenza della perfetta imitazione.
Colesta unità consiste in questo, che l'azione sia compiuta nel medesimo luogo,
nel quale è cominciata, tra perchè una e continua è l'azione, la quale si
suppone che avvenga nel luogo stesso in cui si rappresenta, e perchè immoti
rimangono gli spettatori, a quali conservar conviene l'illusione della verità.
Boileau ne formò un canone dell'arte drammatica. Ma a di mostrarne la necessità
e l'importanza più dell'autorità vale il paragone tra i drammi che hanno
osservato un tal precetto, e quelli che l'hanno violato. Shakspeare, il più
independente tra i poeti drammatici, sebbene sempre originale, trasporta da un
atto all'altro gli spettatori di città in città, e lo stesso praticarono
generalmente i poeti delle altre nazioni nella infanzia dell'arte. Cornelio fu
il primo che ne formò a se stesso una legge, comechè talvolta fosse stato
obligato di violarla. Sentiamo da lui la necessità della regola e la scusa
delle eccezioni. « Io desidererei, egli dice, non dare alcun fastidio allo
spettatore, che quel che a lui si rappresenta nell'in tervallo di due ore,
potesse in realtà in due ore avvenire; e che quel che gli si mostra su d'un
teatro immobile, potesse effettuarsi nella stessa stanza o sala che si è
scelta; ma spesso ciò è si difficile, per non dire impossibile, che convien
avere qualche maggiore latitudine per lo luogo come per lo tempo. Io l'ho
esattamente osservato nell'Orazio, nel Polieuete, e nel Pompeo... ». Ma allo
stesso Cornelio rim proverossi di non avere osservata l'unità del luogo nel
Cinna, dacchè la metà del l'azione si suppone passata nella casa di Emilia, e
l'altra metà nel gabinetto di Augusto. Del resto nè anche Racine andò esente
dalla stessa nota in alcuna delle sue tragedie come nell'Esther, quantun que
nella maggior parte delle altre fosse stato esatto osservatore della unità del
luo go. E d'altra parte convien osservare che questa regola al pari di quella
del tempo non prescrive rigorosi limiti, ma esige soltanto che non si offenda
la verisimi glianza coll'impossibile. Che se rigorosa fosse la prescrizione del
luogo, ammettersi non potrebbe la mutazione delle scene, le quali non altro
annunziano se non i pas saggi delle diverse parti dell'azione da un luogo all'altro.
Ora per assegnare con una certa approssimazione i limiti della cennata regola,
fu tra gli scrittori di maggior nome convenuto che per unità di luogo dovesse
aversi la medesima città o altro convento di uomini, nel quale l'azione si
rappre senta. Tal fu l'interpretazione proposta da Cornelio, e tale ancora
l'opinione di Me tastasio, che più degli altri declamò con tra il rigore delle
unità sì del tempo, che del luogo. Adequatissima è la conciliazione ch'egli
propone, nel suo bello estratto della poetica di Aristotele, tra l rigore di ta
luni, e la licenza di altri: « Tutte coteste ragioni sufficientissime a
liberarmi degli scrupoli del rigorismo, rispetto alla esten sione del luogo in
cui possa figurarsi suc ceduta un'azione teatrale con le sue più necessarie
circostanze, non mi han fatto però mai deporre la cura di non lasciare tra la
nebbia dell'indefinito, nè la mia fantasia nel tessere una favola, nè quel la
degli spettatori nell'ascoltarla. Onde siccome sulle tracce d'Aristotele ho as
segnato sempre un discreto termine al tempo, senza restringermi a quello del la
mera rappresentazione; così su la pra tica comune degli antichi e del moderni
più applauditi drammatici, ho sempre im si – 540 - maginato una determinata e
ragionevole estensione di luogo, capace di contenerne diversi: senza obligarmi
alla immutabilità di quella special porzione del medesimo, che su trenta o
quaranta piedi di palco ha potuto, solo al primo aprirsi della sce na, essere
al popolo presentata. Non ar direi già io di trasportar mai i miei per sonaggi
sull'esempio di Aristofane, di terra in aria, o nel profondi regni di Plutone;
nè sulle tracce di Eschilo, dal tempio di Apollo in Delfo a quello di Minerva
in Atene. Ma credo che il circoscritto spazio di un campo, d'una città, o di
una reggia prescriva sufficientemente i necessari limiti all'idea generale d'un
luogo; e che con tenga nel tempo stesso tutti quegli speciali e diversi siti,
de quali abbisogna al ve risimile delle varie azioni subalterne, che in un
dramma medesimo ora esigono il segreto d'un gabinetto, ora la publicità d'una
piazza, ora gli orrori di un car cere, or la festiva magnificenza d'una sala
reale. Nè parmi che possa a buona equità chiamarsi moltiplicazione di luogo il
mostrarne separatamente le parti che lo compongono, quando l'angustia d'un
palco e il comodo degli ascoltanti medesimi non permette di presentarlo
intiero: e se pur come tale, meritasse la taccia d'inverisi mile, sarebbe
sempre da eleggersi un in verisimile solo, che ne risparmia moltis simi. Se v'è
poi finalmente alcuno che, dopo tante dimostrazioni, si ostini ancora a
sostenere cotesta metafisica immutabilità; che asserisca ancora, a dispetto
dell'evi denza, che sieno stati tutti su questo punto i tragici greci
scrupolosissimi rigoristi; e che sia l'autorevol esempio di questi in violabile
legge per noi, usi almeno ancor meco quella indulgenza medesima, che pratica
con esso loro. Permetta anche a me, che io possa presentarsoli nelle pu bliche
piazze (perpetua scena dell'antico teatro) i re, le regine e le vergini reali:
che io possa nella publica piazza far gia cere in letto le regine e i principi
infermi; che possa far anch'io, che i miei per sonaggi scelgano eternamente la
publica piazza per ordire le più atroci e le più pe ricolose congiure, e per
fare le più con fidenti, le più segrete, e talvolta le più vergognose
confessioni; e non avran bi sogno allora i miei drammi di alcun cam biamento di
scena ; e mi troverò, senza averlo preteso, religiosissimo rigorista an cor io
». (V. Corneille disc. sur les trois unites. Metastasio estr. della poet. di
Arist. cap. V.). Tali erano le regole del bello e del ve risimile nella poesia
drammatica, quando al cominciar del decimonono secolo la retrograda ammirazione
degli alemanni per la prima età della loro civiltà, fece tra essi nascere il
gusto del romantico, del quale non si sa per qual ragione in vaghironsi le
altre colte nazioni di Europa. Forse per queste, altra ragione non può esserne
addotta, se non la sazietà del buono e del bello, cui erano già da gran tempo
accostumate. Qualunque sia la spiegazione di questa simpatica corrispondenza
tra na zioni di lingue, di costumi e di gusto diverse, prima lezione del
romanticismo fu l'indipendenza da ogni regola modera trice della immaginazione.
Nelle prime rapsodie de popoli nuovi cominciossi a rav visare l'originale
espressione de loro sen timenti; nelle immagini forti e ardite il vero bello ;
nel difetto dell'ordine, la spontaneità della natura. Le unità, insie me con
tutte le regole della poesia dram matica caddero sotto la falce riformatrice
del nuovo gusto; e alla loro proscrizione, – 541 - e in soccorso di questa
nuova dottrina fu chiamata l'autorità di Shakspeare e dei drammatici spagnuoli.
Per quanto malagevole e disaggradevole sia il farsi campione d'una verità
contrad detta dalla opinion corrente e dalla moda, non però è lecito
abbandonarne la difesa contra la propria convizione. Entrar non vogliamo nella
confutazione de grandi uo mini alemanni, i quali han voluto difen dere e
sostenere il gusto della loro nazio male letteratura ; ma siam dolenti, che
l'Italia e diremo ancora la Francia suol natio del perfetto dramma, inchinimo
per amor di varietà a cambiare il vero per lo fantastico. E non solamente ci
duole, ma ci sorprende che siesi fatto antesignano di tale gusto, il più bello
ed il più retto degl'ingegni italiani dell'età nostra (il chia rissimo
Manzoni), il quale non solamente ha voluto darci due tragedie nel genere ro
mantico, ma ha apertamente combattuto contra la dottrina delle unità. Quanto
alle sue tragedie, siccome solto la sua mano tutto riesce vago e fiorito, così
grande applauso ha meritato per la verità del caratteri, per la eleganza del
verso, e per la forza non meno che per la nobiltà del sentimento. In ambedue i
cennati drammi ha egli dimostrato che il romantico può aver delle bellezze di
parti, senza aver quelle del tutto e dell'uno, di che niuno dubitava; ma non ha
certa mente provato che queste particolari bel lezze sieno incompatibili colle
regole della unità, o sia che la verisimiglianza sia un requisito inutile alla
perfezione del dram ma. Del resto avendo egli preteso di con futare le regole,
giova logicamente di scorrere de' suoi argomenti. Non ha egli impugnato
direttamente l'unità di azione, ma è facile intendere che rimovendo con illimitata
licenza le unità di tempo e di luogo, viene anche a togliersi quella d'azione,
il che conva lida la necessità e l'inseparabilità delle tre unità insieme.
Impugnando quelle di luo go e di tempo, ha egli in primo luogo detto, « non
esser queste regole fondate nella ragione dell'arte, nè potersi dire ri
sultanti dall'indole del poema drammati co, ma essere state suggerite da un au
torità non bene intesa e da principi arbi-. trari; l'unità di luogo essere nata
dal fatto che la più parte delle greche tragedie imi tano un'azione, la quale
si compie in un luogo solo, e dalla idea che il teatro greco sia un esemplare
perpetuo ed esclusivo di tragica perfezione; l'unità di tempo essere nata da un
luogo di Aristotele il quale non contiene precetto ma semplice notizia d'un
solito praticato; essere questo solito fondato sulla sola ragione, che
assistendo lo spettatore all'azione, diventa per lui inverisimile che le
diverse parti della stessa azione avvengano in diversi luoghi, e du rino per
lungo tempo, mentrechè egli sa di non essersi mosso dal medesimo luogo, e di
avere impiegato poche ore sole ad osservarle. Ora questa ragione, soggiugne
l'autore, è fondata sopra un falso suppo sto, cioè che lo spettatore sia lì
come parte dell'azione, quando egli è per così dire una mente estrinseca che la
contempla. La verisimiglianza non dee nascere in lui da rapporti dell'azione
col suo modo at tuale di essere, ma da rapporti che le varie parti dell'azione
hanno tra loro; sì che quando si considera che lo spettatore è fuori
dell'azione, svanisce l'argomento in favor delle unità ». Ora a questi argo
menti risponderemo, che l'unità di luo go non nasce dalla consuetudine del tea
tro greco, ma dalla natura stessa del – 542 – l'azione drammatica, e dalle
regole del verisimile, che son le prime di tutte le altre in ogni arte
imitativa. Il moderno teatro, lungi dal seguire la greca usanza che limitava ad
una publica piazza il luogo della rappresentazione, ha ricevuto per unità di
luogo un sito tanto ampio, quanto contener potesse tutti gl'incidenti di una
azione compiuta, o sia tanti luoghi conti gui o vicini quanti corrispondano al
tempo nel quale l'azione possa essere verisimil mente consumata. D'altra parte
sembra che l'autore limitando la rappresentazione de' Greci ad una publica
piazza, il che vuol dire ad un sito unico ed immutabile, siesi riferito alla
primitiva istituzione dei publici spettacoli; quandochè la mutazione delle
scene conosciuta nel teatro greco, indica il cangiamento del sito in cui da
vansi le diverse parti delle stesse azioni. Certamente i Latini, del quali
conosciamo meglio le usanze, sentirono la necessità della mutazione del sito,
siccome egregia mente dimostrò il Metastasio nell'estratto della poetica
d'Aristotele. In pruova di tal fatto, (tra altri luoghi di antichi au tori come
di Virgilio, di Vitruvio e di Servio) egli addusse il manuscritto delle
commedie di Terenzio che si conserva nella biblioteca vaticana, al quale lo
Sponio at tribuisce altre mille anni di antichità. Le figure di cui cotesto
manuscritto è fregiato, furono fedelmente intagliate in rame e pu blicate con
la versione di monsignor For tiguerri, dal Mainardi in Urbino 1736. L'antico
disegnatore aveva avuto somma cura di esprimere diligentemente le ma schere,
gli abiti, e le attitudini degl'istrio ni, avendo per altro trascurato di
rappre sentare quello che anticamente chiamavasi scena, cioè quegli edifizi o
pitture che elevavansi nell'ultimo fondo del palco. Del palco aveva egli
accennato quella sola porzione, che più vicina era agli spetta tori, e sulla
quale gli attori recitando pas seggiavano, e talvolta indicato aveva con
diversi segni i vari luoghi, ne quali a seconda delle diverse azioni
subalterne, dee lo spettatore figurarsi che gli attori si trovassero. Nella
prima scena dello Heau tontimorumenos vedesi il palco innanzi ingombrato di
cespugli, di piccole piante, d'un giogo, e d'un fascio di biade; e nelle altre
seguenti scene in luogo di co testi rustici oggetti veggonsi, dove una, dove
due porte isolate, composte di tre soli legni, ora chiuse, ora aperte, ora
guarnite d'una portiera, e quando più verso il mezzo, quando più verso i lati
del palco. E tuttociò non per altro fu im maginato che per soccorrere la
fantasia degli spettatori, e per avvertirgli quando dovessero figurarsi, che i personaggi
fos sero dentro le camere, e quando sul cam po, o nella publica strada. I
Latini dunque, e verisimilmente an cora i Greci della culta età, non limita
rono lo spettacolo nella publica piazza, ma per unità di luogo intesero, una
città, un borgo, o un edifizio nella continenza del quale potessero svilupparsi
tutte le parti d'un'azione unica, o sia complessiva di parti tra loro connesse
e tendenti allo scio glimento del medesimo nodo. Sopprimasi ora questa unità di
luogo, e alle diverse parti d'una città o d'un edifizio sostitui scansi, a
seconda della fantasia del poeta diverse città della Terra e campi lontani,
ciascun de quali sia centro d'un'azione dall'altra indipendente e staccata, gli
spet tatori troveransi trasportati per magica po tenza, ora in Venezia, ora in
Milano, ora a Pavia e ora a Brescia, o in altre città più lontane; e ivi
vedranno azioni - 545 – diverse l'una dall'altra, guerre finite, paci
conchiuse, nuove guerre, nuove pa ci, e diversi periodi ora di prosperità ed
ora d'infortuni del medesimi personaggi. E siccome la libertà, che vuol darsi
alla fantasia del poeta, non ammette limite alcuno; così questi, non passaggi
ma voli, potranno estendersi da una parte del mon do all'altro. Ma lo
spettatore accorgerassi, che il poeta vuol ridersi della sua credu lità, o pure
vuole divertirlo col fantastico e col maraviglioso. Le varie parti di co testi
giuochi di fantasia potranno esser belle e dilettevoli, se saranno abilmente
maneggiate, ma tutt'altro nome merite ranno fuor di quello di un dramma.
L'unità dell'azione scomparirà insieme con quella del luogo, e le varie parti
di una simile rappresentazione rassomiglieranno alle varietà della lanterna
magica, e dei panorami. Quanto poi alla unità del tempo, Ari stotele non la
enunciò ne termini d'un precetto, ma la presuppose come una re gola dell'arte;
e nel dire che prima non era stata osservata intese additare il pas saggio che
l'arte drammatica aveva fatto dalle maschere del Baccanti alle culte scene di
Euripide e di Sofocle. Ma rimosso ogni argomento di autorità, quel passaggio
che fece il teatro greco da una lunga ad una più corta durata di tempo, e che
ha pur fatto il teatro francese e l'italiano, è una conseguenza di quella legge
di verisimi glianza, che i romantici calpestano, e che noi risguardiamo come la
prima di tutte le regole dell'azione drammatica. E intorno a ciò vorremmo
domandare loro se essi convengono o no, della necessità che il dramma
rappresenti un fatto veri simile o per meglio dire possibile; dapoi chè se
dicessero che anche l'impossibile possa formar suggetto di utile e di dilet
tevole rappresentazione, noi dichiareremmo di non aver principi comuni per
poterne con essi disputare. Ora presumendo che essi non rineghino una verità,
la quale è stata sinora riconosciuta come il fonda mento della tragedia e della
epopea, ri corderemo che i suggetti mitologici e fa volosi sono stati tra noi
sbanditi dall'uno e dall'altro genere di rappresentazione, e in luogo loro sono
stati sostituiti gli ar gomenti storici, appunto perchè fuori del possibile non
può trovarsi il verisimile e il credibile; e però le cose avvenute por tando
seco il carattere della possibilità, da esse e non dalla favola scegliamo gli
ar gomenti drammatici. Che se gli antichi, a quali questo principio era comune,
scel sero argomenti mitologici, ciò nasceva dalla loro credenza religiosa nel
potere degli dei, che tutto rendeva possibile. Ora se il possibile forma la
legge fondamentale del dramma, ogni cosa che esca da limiti del possibile, è
riprovata dalla natura stessa dell'azione drammatica. Premessa una tale legge,
il tempo nel quale avviene la rap presentazione uopo è che sia in una giusta
proporzione col tempo nel quale si compie l'azione, che il dramma cerca
d'imitare. Il difetto di questa proporzione nel più o nel meno può offendere la
possibilità per due contrarie vie; o supponendo il fatto avvenuto in un tempo
più breve di quel che esige la naturale successione degli av venimenti,
ne'quali sta il nodo dell'azione e il suo scioglimento; o facendo succedere
troppo rapidamente la rappresentazione di un fatto, che de essere per necessità
av venuto in un tempo molto più lungo: l'un vizio attacca il tempo naturale
dell'azione, l'altro il tempo finto della rappresentazione. Nel primo caso
sarebbe lo spettatore obli – 544 – gato di credere il falso; nel secondo l'im
possibile. E però conviene che il poeta scelga per argomento del dramma un'azio
ne, la quale ha potuto naturalmente com piersi in un tempo tale, che
l'imitazione della stessa azione possa essere tutta inclusa metre, o ne cinque
atti della tragedia. Que sto tempo è stato dal consenso degli autori
drammatici, e dall'esperienza teatrale fis sato ad un giorno naturale, più o
meno. Se questo limite si togliesse tornerebbesi a dieci e a sedici anni di
Shakspeare, e dapoichè il tempo non de'essere limitato, andremmo ancora alle
azioni secolari. Ma l'autore ha negato la legge della possi bilità e della
verisimiglianza, quando ha detto esser questa fondata nel falso supposto, che
lo spettatore sia li come parle dell'azione. Per intender bene un sì specioso
argomento, vorremmo doman dargli, se lo spettacolo si faccia per gli attori,
che rappresentano il dramma, o pel popolo che vi assiste. Che se si trat tasse
di contentare soltanto il poeta che lo ha scritto, o gli attori che lo mettono
in azione, il popolo vi figurerebbe come intruso, e l'arte drammatica sarebbe
un esercizio solitario, degno del monomaniaci. Lo spettatore non è parte, ma è
giudice dello spettacolo, ed è chiamato appunto a giudicare così della
invenzione, come della esecuzione. L'autore dunque per sostenere le
inverisimiglianze del tempo vuole scacciare lo spettatore, e infatti con chiude
il suo argomento con dire, che messo fuori dell'azione lo spettatore,
l'argomento in favor dell'unità svanisce. Per la stessa ragione mettasi fuori
dell'azione il popolo, cui parla l'oratore; il lettore per lo quale scrive il
poeta; ed il publico, cui cerca di piacere ogni altra arte dilettevole !
Un'altra pruova, che l'autore voglia interamente sconoscere la legge della pos
sibilità e della verisimiglianza sta nelle ragioni ausiliarie, colle quali ha
cercato di fortificare il suo principale argomento. Se il dramma, egli dice,
viola per altri versi il verisimile, perchè volerlo rispet tare nel tempo? Tal
è per esempio il caso di quei personaggi che parlan tra loro di cose
segretissime, assicurandosi di esser soli, e con ciò distruggono ogni
illusione, perchè io sento di esser loro visibilmente presente, e li veggo
esposti agli occhi d'una moltitudine. A chi fa cesse una simile obbiezione non
potrebbe darsi altra risposta: la platea non entra nel dramma, e questa
risposta vale anche per le due unità. Noi crediamo che senza scacciar la pla
tea, ben vi sarebbe un'altra risposta a dare, ed è che niun'arte può fare in
modo che l'imitazione possa interamente scambiarsi col vero, e che bisogna
contentarsi di quel che somiglia al vero, essendo im possibile il riprodurre la
verità, che vuol dire, la realità d'un fatto passato. Nel che convien
distinguere due diverse veri simiglianze: una del fatto o sia dell'ar gomento
drammatico, e l'altra della rap presentazione, o sia della sua imitazione. Lo
spettatore o la platea conosce di as sistere al ripetimento d'un fatto altra
volta avvenuto, e però distingue l'originale dal l'imitato, e per giudicare di
questo, tra sportasi a quello col pensiero. Non vuole e non può lo spettatore
illu dersi col confondere l'azione imitata coll'ori ginale, ma vuole e de
essere illuso intorno alla verità del fatto rappresentato. Ora è falso e
vizioso l'argomento che dalla differenza tra l'imitazione e il vero trae
un'analogia alla differenza tral fatto credibile e l'impossibile. – 545 – Dello
stesso conio sono il terzo, il quar to, e il quinto argomento aggiunti dallo
stesso autore a due sin qua rapportati. E quì veramente ci duole di dover logi
camente confutare uno scrittore, che noi particolarmente ammiriamo non meno per
la eleganza e per la vaghezza dello stile, che per la rettitudine del criterio.
Adduce egli in pruova della inutilità delle regole di unità le licenze del
teatri popolari, le irregolari rappresentazioni delle prime età de'moderni
teatri, e gli esempi degli ale manni, degl'inglesi, e degli spagnuoli. Di
questi abbiamo già parlato. Essi ci danno grandi esempi di particolari bellez
ze, e non di azioni compiute, semplici, e verisimili. Gli errori dell'arte
nascente, e i mostri che dilettano il popolo, non formano autorità contra le
regole sugge rite dalla critica e dalla sperienza. Similmente si vale l'autore
della varietà delle opinioni intorno al tempo della du rata, e delle violazioni
che gli stessi au tori di drammi regolari han commesso contra questa unità, per
conchiudere che sia la stessa ineseguibile, e che i trat tatisti han creduto
necessario il consen tire ad una transazione tra la durata del tempo naturale,
e quella del tempo fit tizio dell'azione. Ma l'opinione, che il tempo fittizio
della rappresentazione do vesse uguagliare il tempo reale dell'azio me, è de
trattatisti, o sia de gramma tici, come il Castelvetro; laddove i dram matici,
e tra questi i più sublimi si hanno formato la regola d'un tempo proporzio
male, o sia possibile che non ripugnasse alla credibilità. Sofocle, Euripide,
Cor nelio, Racine, Moliere, Voltaire, Maf fei, Goldoni, Alfieri non sono
trattatisti, ma sono i maestri dell'arte, dalle mani de quali sono usciti i
perfetti modelli del bello e del sublime nell'arte dram matica. Infine l'ultimo
argomento è che le re strizioni delle regole di unità ci privano di molte
bellezze, e spezialmente di quelle delle quali abbondano i tragici spagnuoli cd
inglesi; in grazia delle quali bellezze non è gran fatto tollerare qualche inve
risimiglianza. Che se i seguaci del dram ma regolare violano ancor essi la
verisi- . miglianza, con qual diritto sono così se veri contra coloro, che di proposito
sa grificano il verisimile al bello? Che l'ab biano violato basta il solo
esempio di Cor nelio, il quale per serbare nel Cinna l'unità del luogo, fa
formare la congiura nel gabinetto di Emilia, e fa venire nel sito stesso
Augusto per confondere e per donare Cinna. E quì notisi che il difetto della
inverisimiglianza si risguarda come conseguenza dell'aver voluto Cornelio
essere rigido osservatore della unità del luogo. Cotesto ultimo argomento pone
in prin cipio quel che è in quistione, cioè se le bellezze delle varie parti
dell'azione dram matica sieno incompatibili colla unità e semplicità del suo
tutto. E quanto alle violazioni commesse talvolta negli stessi drammi regolari,
risponderemo che le vio lazioni delle regole nulla provano contro di esse; che
quando taluna di queste in frazioni è stata commessa da grandi au tori
drammatici, costoro sono stati i primi a sentirla e confessarla, di che abbiamo
non uno ma molti esempi in Cornelio e in Racine; e che il popolo stesso, acco
stumato agli spettacoli regolari, acquista un abito di critica e di gusto tale,
che scopre nel dramma i vizi d'inverisimiglian za. Alle quali cose tutte, per
ultimo ag giugneremo, che l'inverisimiglianza rile vata nel Cinna non nacque
già dall'aver 69 – 546 – voluto l'autore servare rigorosamente l'unità del
luogo; ma sì bene dall'averla violata, facendo seguire l'azione per metà nella
casa di Emilia, e per l'altra nel palazzo di Augusto, di che lo stesso Cor
nelio rimproverossi V. Dramma, Finzio ne, Imitazione, Verisimile. UNivERsALE
(disc. e spec.), quel che è comune a più individui, o a più cose anche
collettive. È uno del vocaboli, di cui più abusa rono gli scolastici, dapoichè
l'applicarono alle idee, al significato del vocaboli, alle cause, all'essenze,
alle proposizioni, alle definizioni. La più famosa delle loro di stinzioni è
quella del causale nell'essere, e del causale nel predicare. L'universale in
essendo era suddiviso nell'increato e nel creato. L'increato era la natura
divina indivisibile. Il creato era la natura umana moltiplicabile negl'indi
vidui della medesima spezie. La stessa suddivisione facevasi dell'uni versale
in praedicando, dacchè l'increato era proprio degli attributi della Divinità, e
il creato delle qualità comuni a più in dividui parimenti della medesima
spezie. E però tanto le idee, quanto i nomi signi ficativi di tali qualità
dicevansi universali. Gli addiettivi per conseguente, gli appella tivi, i nomi
generali ed ogni sorta di predi cati e di predicabili venivano sotto la stessa
denominazione. Il genere, la spezie, il proprio, la differenza e l'accidente
erano così denominati.V. Predicabile, Predicato. Cotesto vocabolo divenne
celebre per la controversia nata nelle antiche scuole in torno alla realità
delle idee comprese nei nomi universali; controversia dalla quale nacquero i
così detti Reali e Mominali. V. queste voci. UNIVERso (spec.), il sistema di
tutte le opere della natura, il quale abbraccia tanto le cose materiali, quanto
l'ordine delle sostanze intellettuali. I Greci lo chiamarono ro rxy per di.
stinguerlo dal mondo che propriamente abbraccia la collezione delle opere e de
gli Esseri sensibili. V. Mondo. Taluni filosofi lo credettero infinito, e furon
quelli stessi che infinito credettero lo spazio; il che se fosse vero, include
rebbe l'eternità di tutto quel che esiste, o sia di ciò che dicesi natura, non
po tendo l'idea dell'infinito associarsi col crea to. V. Infinito, Spazio.
UNIvocAzioNE e UNivoco (ontol. e disc.), il medesimo nome dato a cose diverse
che sono dello stesso genere. Corrisponde alla definizione di Aristotele che
disse, essere il nome dato a più cose, che hanno comune ancora la ragione del
Il0Ime. Lasciando stare tutte le sottigliezze dei logici e del metafisici
scolastici, vuolsi sol tanto notare, che differisce dall'equivoco, il quale
rende comune il nome anche a cose di genere diverso. Gli esempi del Var chi
dichiariscono una tal differenza. Il no me di fuoco dato all'accensione delle
ma terie combustibili, e a quelle prodotte dal sole, o dal moto locale è
univoco. Il nome di anima dato alla potenza vegetativa, sen sitiva, e allo
spirito è equivoco. (V.Varchi lez. pag. 6. 149. 261). V. questa voce.
Univocazione chiamarono gli ontologici l'accomunamento dello stesso nome a es
senze o sostanze simili; il perchè i nomi di essenza e di sostanza divennero
equi vochi, allorchè vollero adattarsi al finito e all'infinito, alle creature
e al Creatore. V. Essenza, Sostanza. Uno (spec. e ontol.), l'Essere semplice, o
l'individuo considerato separatamente dalla pluralità degli altri suoi simili.
Il primo significato appartiene all'unità metafisica: il secondo è comune a
tutte le altre unità. V. questa voce. VocABOLARIO. V. Dizionario. VocABoLo (
disc. ), ogni voce d'una lingua, cui si dà un certo significato. Differisce dal
nome, secondo l'avver tenza di Varrone, perchè il nome indica gl'individui
singolari, e il vocabolo ogni cosa indeterminata: nomina finita sunt, et
significant res proprias ut Romulus, ITelena: vocabula autem infinita, et res
communes designant, ut scutum, mu lierete. (de LL. lib. IX. c. 1.). Quantunque
nell'uso comune di parlare il vocabolo si confonda col nome, pur tutta volta
l'uso stes so riconosce la differenza, che quello ha un significato più
generico di questo.V. Mome. VocALE (disc.), suono distinto della voce, formato
per la sola apertura della bocca, E lettera, o carattere della scrittura, il
quale rappresenta un di quei suoni distinti della voce, che in ogni alfabeto
formano gli elementi della parola. I grammatici distinguono negli elementi
della parola il suono dall'articolazione: chiaman suono la voce temperata dal
sem plice moto della bocca, e articolazione la modificazione, che lo stesso
suono ri ceve dalle altre parti dell'organo, come dalla lingua, dalle labbra o
da denti. Ora quel suono dicesi vocale, e questo consonante. V. questa voce.
VocATIvo (disc.), caso del nome so stantivo, destinato ad indicare la persona o
la cosa personificata, cui s'indirizza il discorso. I grammatici lo considerano
come una sorta di nominativo, perchè al pari di questo serve a determinare il
subbietto del verbo o della proposizione, e però chia mano entrambi casi
subbiettivi. V. Caso, Mome. VocE (spec. e dise.), il suono dell'aria respirata,
che si rende sensibile all'udito nel suo passaggio per la gorga e per la bocca
degli animali. Ne bruti dotati di voce, cotesto suono è incomposito e
inarticolato; perchè è dato loro dalla natura soltanto per manifestare un
qualche bisogno; e forma parte di quel linguaggio di azione, che è proprio
d'ogni spezie di essi. - Nell'uomo la voce è l'instrumento della parola e del
canto, composto da molti e vari instrumenti particolari, del quali cia scuno ha
una parte, nell'articolazione delle sillabe, nella formazione del vocaboli,
nella eufonia del linguaggio, e nell'ar. monia del canto. È un vero instrumento
musicale, anzi è il più variato ed armo nico di tutti gl'istrumenti, perchè
unisce in se i pregi degl'istrumenti da fiato come del flauto, degl'istrumenti
a corde come del violino, degl'istrumenti a tasto come del gravicembalo, e di
quelli a tasto e da fiato come dell'organo, col quale la ras somiglianza è
anche maggiore. E per ve rità potrebbesi dire, essere stato l'organo composto e
temperato alla forma dell'istru mento vocale dell'uomo; dacchè i suoi com
ponenti che son de mantici, una cassa, de tubi, e del tasti, hanno i loro corri
spondenti nel polmoni, nella bocca, nei condotti naturali del fiato, e nelle
loro pareti. Di minore artifizio non faceva uopo r – 548 – per dare all'uomo il
doppio dono del canto e della parola. V. Canto. Molti celebri fisiologi e
notomisti han fatto l'analisi del meccanismo della pa rola e del ministero che
le prestano i pol moni, l'aspra arteria, la lingua, il pa lato, le labbra, e i
muscoli motori di ciascuno delle divisate membra. Costoro dimostrano ancora come
il moltiplice ap parato del muscoli dell'instrumento vocale corrisponda alla
finissima tela del nervi acustici rinchiusi nella coclea o lumaca
dell'orecchio. Certamente questa è la parte dell'umano organismo, che più delle
altre dimostra l'utilità e la necessità dello stu dio della notomia. Ripetiamo
ancora in questo luogo, che senza lo studio del corpo umano e della notomia
comparata non si può abbastanza conoscere ed ammirare la sapienza del Creatore.
Ma non è questo l'aspetto sotto il quale intendiamo quì esa minare l'organo
vocale dell'uomo. Vo gliamo sì bene considerarlo come l'instru mento del
pensiero. La voce, elemento primitivo della parola, appartiene all'uomo come
Essere intelligente, e non come ani mal sensitivo. L'intelletto in fatti, e non
i sensi, gl'insegna l'uso che far dee della voce; come dalle sue combinazioni
formar debba la parola; come adattarla alle sen sazioni e agli obbietti del
pensiero. Egli parla colla stessa facilità colla quale muo ve e modula la voce.
Impara l'una e l'altra cosa insieme per imitazione, dac chè se non avesse
inteso parlare non avrebbe potuto nè articolar parola nè mo dulare la voce.
Naturale è la facoltà, ma tradizionale è l'uso sì dell'una che del l'altra. I
sordi nati son muti, perchè è man cato loro una tale tradizione, la quale è
tanto antica quanto l'uomo. Voce e parola furono i primi doni, co quali egli
apparve nel mondo. V. Parola. Voce chiamano i grammatici lo stesso suono
articolato il quale forma parola; nel quale senso ha un significato tanto ge
nerico, quanto il vocabolo. V. questa voce. VoGLIA (prat.), desiderio suggerito
dal l'appetito? Differisce dal volere, perchè questo na sce dal libero uso
della volontà, e quel la dall'istigazione del sensi. V. Appetito, Desiderio.
VoLATILE (spec. e crit.), qualità pro pria degli animali, che per mezzo delle
ali sollevar si possono in una parte più o meno alta dell'atmosfera. È
proprietà non solo degli uccelli, ma ancora di taluni pesci e della maggior
parte degl'insetti, ne'quali è considerata come una delle appendici, e non come
un carattere principale della loro forma. V. Volo. - Volatili, per
similitudine, chiamano i fisici e i chimici quelle particelle decorpi che nella
scomposizione , o nella dilata zione operata per mezzo del fuoco o del calore,
son le prime a separarsi; e o si disperdono nell'atmosfera, o vengono nuo
vamente raccolte in vasi chiusi. VoLERE (spec.), esercitare la facoltà della
volontà. V. questa voce. VoLGARIzzARE (crit.), il traslatare la scrittura di
lingua morta, in quella che si favella. È una delle maniere di tradurre. V. Tra
duzione. VoLIZIONE (spec.), il volere considerato – 549 - come atto della
facoltà dell'anima, che di cesi volontà. - - È usato dal Magalotti. Secondo
Locke, la volizione è l'atto , per lo quale l'anima dispone del potere che
sente di avere sopra dell'uomo, per determinarlo ad un'azione, o per frastor
narlo da quella. La volizione nelle azioni deliberate pre suppone la
determinazione; ma può es sere ancora spontanea negli atti non de liberati, il
perchè ha un significato più generico, il quale abbraccia ogni atto del volere,
considerato o inconsiderato che sia. V. Determinazione, Volontà. Volo (spec.),
il moto progressivo per lo quale quasi tutti gli uccelli, taluni mammiferi, un
picciol numero di rettili, e la maggior parte degl'insetti si sosten gono
nell'atmosfera, e vi seguono una direzione, determinata dalla loro volontà. V.
Uccello. Per formare concetto del meccanismo per lo quale la natura ha renduto
un sì grande numero di animali atti a cammi mare e a sostenersi per l'aria,
conside riamo il volo come una proprietà degli uccelli, i quali da poche
eccezioni in fuo ri, sono tutti dotati di tale facoltà. Le ali sono
l'instrumento immediato del volo, ma con questo solo mezzo non potrebbero gli
uccelli sollevarsi ed equilibrarsi nell'at mosfera, e non fare per l'aria un
corso qualunque. Delle piume di cui son essi coverti, le più robuste son quelle
delle ali e della coda: le une dette remigatrici, le altre rettrici: le prime
servono a di stendere e ad ampliare la superficie delle ali, dibattendo le
quali l'uccello s'innal za, si sostiene e si libra: le seconde, ad accompagnare
e a regolare il moto del suo corpo sopratutto nell'ascendere e nel discendere.
Le ali distese perpendicolar mente a lati del corpo, percuotendo l'aria
sminuiscono la sua resistenza ; mentrechè l'aria stessa, attesa la sua
elasticità, spinge il corpo del volatile di tanto, di quanto è stata compressa.
Ciò non ostante senza gli organi della respirazione, de quali la natura l'ha
copiosamente provveduto, non potrebbe l'uccello nè sostenere nè vincere la
resistenza dell'aria. Il suo corpo tutto intero può dirsi un serbatoio d'aria,
de stimato non solamente al bisogno della re spirazione, ma ancora al fine di
dargli una gravità specifica relativa all'elemento nel quale deesi muovere. Le
cellule membra nose, le quali sono sparse per la superficie del corpo degli
uccelli, sotto le ascelle nell'addomine, e persino sotto la pelle, mentre sono
altrettanti recipienti dell'aria atmosferica, messi in comunicazione im mediata
copolmoni e colle fauci, possono essere colla semplice ispirazione empiuti, e
colla respirazione votati; e per tal mezzo può l'uccello a sua volontà rendersi
spe cificamente più leggiero, o più pesante dell'aria. Di tanto ingegnoso
meccanismo faceva uopo per dare ad una spezie di Esseri materiali la proprietà
di sollevarsi dalla Terra, e di percorrere colla celerità del vento il vasto
campo dell'atmosfera. V. Atmosfera, Uccello. VoLONTÀ (crit. spec. e prat.),
facoltà, per la quale esercitiamo il potere di de terminarci all'azione, o di
astenerci da quella. V. Azione, Potere. Può anche essere definita, secondo
Locke, per l'esercizio del potere che abbiamo di pen sare, o di disporre i
movimenti del corpo. Cotestà facoltà o potere è il principio, dal quale
ciascuno attigne la nozione del – 550 – la potenza morale, dacchè in noi stessi
scorgiamo la capacità di cominciare, di continuare e di compiere le interne ope
razioni dell'animo, e gli esterni movimenti del corpo, in virtù d'un atto del
pensiero o sia d'una elezione dello spirito, il quale determina e comanda che
un'azione sia o non sia fatta. E però noi siam soliti considerare la volontà
come distinta dal l'intelletto, e la facciam capo e motrice di tutte le facoltà
attive che distinguiamo dalle intellettive o cognoscitive. Una tal distinzione,
introdotta in grazia dell'ordine delle idee e del metodo della scienza, deb
b'essere intesa in quel senso medesimo che dar dobbiamo al vocabolo facoltà.
Abbia mo altrove detto, che la partizione delle facoltà altro non esprime se
non un'astra zione del pensiero, essendochè una è la virtù dell'anima, e
inseparabile l'intelli genza dall'attività. V. Facoltà. Scambiasi comunemente
la facoltà col l'atto del volere, ma giova alla chiarezza e precisione del
linguaggio scientifico il distinguere l'una dall'altro, o sia la vo lontà dalla
volizione. V. questa voce. L'esercizio della volontà presuppone tre stati, pe
quali l'animo passa dal principio insino al compimento dell'azione, il de
siderio, la deliberazione e la determi mazione. - Il desiderio è una spinta
all'operare, che può essere suscitato tanto dagli appe titi naturali, quanto da
razionali. Gli uni e gli altri sono stati predisposti dalla na tura, come
necessari ad eccitare in noi l'attività. Imperocchè se l'animo fosse in una
assoluta indifferenza, senza alcuno eccitamento all'azione, e senza alcun mo
tivo per fare o per non fare, rimarrebbe nella inerzia e nella incertezza di
quel che gli conviene. Ma gli appetiti naturali, che sono gl'istinti, il
sentimento, e gli abiti meccanici o animali, diversamente operano ne fanciulli
e negli adulti: nella prima età servono di guida all'uso e alla con servazione
della vita: nella seconda, o sia nella età di ragione, servono ad in dirizzar
questa alla scelta del bene e del male: in questo secondo periodo essi di
vengono i motori degli affetti e delle pas sioni; e da spontanei o animali che
erano, passano sotto la direzione e la guida della ragione. Del resto ogni
desiderio dee avere un obbietto, il quale diviene obbietto del l'azione o sia
della volontà, quando la ragione ha giudicato della sua convenien za. Il
desiderio dunque è quello che pre senta alla volontà l'obbietto dell'azione. V.
Appetito, Desiderio. - La deliberazione è un atto del giudi zio, che esamina e
discute i motivi nei quali è fondata la convenienza dell'azione. In quest'atto
venir possono in collisione i desideri, gli affetti e le passioni co prin cipi
e co precetti della ragione; e da tal conflitto può nascere la verità, o
l'errore, la scelta del bene o del male. La ragione, nella quale la natura ha
impresso la luce del vero, non può ingannarsi nella cono scenza del bene, ma il
conoscerlo non basta a determinare la volontà, la quale essendo libera nella
scelta, può anteporre alla voce della ragione quella d'un disor dinato affetto,
o sia delle passioni. E però queste son considerate come uno de due principi
dominatori delle azioni. Duplex est vis, dice Cicerone, animorum atque naturae:
una pars in appetitu posita est, quae est dpam graece, quae homi nem huc et
illue rapiti altera in ratione, quae docet et explanat quid faciendum,
fugiendumque sit. Ita fit ut ratio prae sit, appetitus obtemperet (De off. I. –
551 – cap. XXVIII.). Ciò non ostante qualunque sia la scelta, l'intervenzione
della ragione e il giudizio del contrari motivi danno al l'azione il carattere
di volontaria, giacchè per la ragione non istà, che l'agente ab bia seguito una
via piuttosto che un'altra. V. Affetto, Libertà, Passione, AScelta. La
determinazione infine è l'atto, per lo quale la volontà sceglie e compie l'a-
zione. In questa scelta può essa, o abbrac ciare il giudizio della ragione, o
cedere alla forza delle passioni: nel primo caso, la coscienza applaudisce al
deliberato: nel secondo imprime all'azione una nota di biasimo, che rimane
indelebile nella me moria. V. Coscienza, Determinazione. La libertà è
l'attributo essenziale di tutti gli atti propri della volontà. Se essa è stata
libera in ognuno dedetti atti, l'azione dirassi volontaria, e prenderà il nome
di spontanea, se concorde ed immediato sia stato l'assentimento dell'uno e
dell'al tro motore. E per contrario sarà detta in volontaria, se l'errore o
l'ignoranza in vincibile ha impedito la deliberazione, o se l'agente sia stato
costretto di eseguire non la propria, ma l'altrui determinazio ne. I moralisti
distinguono un terzo ge nere di azioni dette miste, le quali seb bene prendono
il loro principio dalla vo lontà; pure non sono state maturamente deliberate,
ovvero sono state eseguite per una men che libera determinazione. Tali sono le
azioni commesse per disaccortezza, per ignoranza o per errore vincibile, e
quelle eseguite in uno stato di alterazione d'animo, come nell'ira e nella
ubbria chezza; delle quali azioni v'ha una lunga gradazione, che serve altresì
a graduare l'imputabilità sia nell'interno foro della coscienza, sia
nell'esterno. V. Azione, Errore, Ignoranza. Sin qua de diversi atti della
volontà deliberati ed eseguiti dallo stesso agente. Noi li consideriamo dal
primo loro nasce re, cioè dal desiderio, o da quelle prime impulsioni, che
chiamiamo principi d'azione, insino al compimento dell'azione stessa. Gli
antichi ne facevano una analisi meno minuta, seguendo in ciò la parti zione di
Aristotele il quale distinse in due gli atti della volontà, cioè la scelta detta
arpozysots, e la volizione detta 3ovÀmas; i quali due atti corrispondono alla
delibe razione e alla determinazione. V. queste VOCI. Giova ora considerare gli
atti della vo lontà, quando sono deliberati ed eseguiti da diversi agenti. Se
di questi uno deli beri l'azione ed un altro volontariamente la esegua, l'atto
del deliberante prende il nome di consiglio, ma l'azione non è men volontaria,
perchè la volontà dell'esecutore si è determinata per la delibera zione del
consulente. Che se l'esecutore sia stato costretto di eseguire l'altrui de
liberazione, questa prende il nome di co mandamento, e l'azione diviene involon
taria. V'ha finalmente delle azioni incompiute per difetto d'uno degli atti
della volontà, le quali vanno parimenti distinte con di versi nomi, perchè
ciascuna ha un proprio particolar carattere, lodevole, riprensibile, e
indifferente, secondo il diverso fine del l'agente. Può la determinazione
essere se guita da un cominciamento di esecuzione non consumata, o per una
contraria de terminazione che sopravvenga in mezzo all'atto, o per estrinseco
adempimento. In ambedue questi casi il tentativo del l'azione rivocata dalla
volontà, o non compiuta nella esecuzione dicesi conato. V, questa voce. - – 552
– Può ancora l'agente rimandare la de terminazione del deliberato ad un tempo
futuro, certo o incerto che sia; nel quale caso l'atto della volontà non
seguito dalla determinazione dicesi disegno o progetto. V. queste voci. Può
infine il deliberato della volontà servire di norma a quelle future determi nazioni,
le quali presiedono a nostri abiti razionali e morali. Tali deliberazioni pren
dono il nome di propositi dell'animo, nella quale classe van compresi i metodi
scientifici, l'ordine dell'insegnamento, il pratico esercizio del doveri, e
della virtù istessa, che è una costante determinazione della volontà in seguire
i precetti della ra gione e i dettami della coscienza, o sia un perfetto
accordo dell'intelletto e della volontà. V. Proposito, Virtù. VoIoNTARIo (spec.
e prat.), quel che facciamo per una libera determinazione dell'animo. V.
Volontà. La nozione del volontario, l'attigniamo in noi stessi dal potere che
abbiamo di pensare o di non pensare, di scegliere gli obbietti del pensiero, di
preferirne uno ad un altro, di parlare, o di tacere, di pro durre o di non
produrre il moto in al cuna parte del corpo, di restare in fine da una azione,
o di ripigliarla, ed in gene rale di eseguirla, o di astenerci da quella. In
noi del pari attigniamo la nozione del contrapposto, o sia dell'involontario,
dapoichè scorgiamo in noi stessi molti ef: fetti, che non è in potestà nostra
d'impe dire, o di regolare diversamente da quel che la natura ha disposto, come
le naturali funzioni della vita animale, la circolazione del sangue, la
digestione, e simili. Da ciò segue, che il volontario presup pone
necessariamente non solo l'esercizio libero della nostra potenza attiva, ma an
che l'indifferenza dell'azione, che ne è il prodotto; vale a dire che l'azione
possa egualmente essere e non essere, e non trovi la sua ragione sufficiente,
se non nella volontà dell'agente, nel quale senso il volontario è puramente
contingente. V. questa voce. VoLTo (spec.), l'aspetto dell'uomo, che dimostra
gli affetti e gl'interni mo vimenti dell'animo. Gli occhi, la bocca e la fronte
dell'uomo hanno nel movimenti loro tal varietà, che da essi, quando sono
spontanei, e non istudiati, facilmente si conosce l'interno stato dell'anima. E
in prima il riso, e il pianto sono due manifeste espressioni del piacere e del
dolore, e per conseguente della gioia e della tristezza, alle quali possono
riferirsi tutte le altre passioni. Gli occhi inoltre, la bocca, le labbra, la
fronte, il color della faccia son capaci di tanti diversi segni, quante sono le
gra dazioni de vari sentimenti, de quali può l'animo essere affetto. Ora il
viso umano così composto, è quel che dicesi volto, nome che noi abbiam tolto a
Latini, e che le altre moderne lingue non hanno. Laonde possiam dire di queste
quel che Cicerone diceva della greca: oculi nimis arguti, quemadmodum animo affecti
si mus, loquuntur; et is qui appellatur vultus, qui nullo in animante esse prae
ter hominem potest, indicat mores, cufus vim Graeci norunt, nomen omnino non
habent. (de legib. lib. I. c. IX.). E però diamo la qualità di buono e di
cattivo al volto. Di qua ancora scorgesi la differenza di significato tra
questo vocabolo, e gli altri aspetto, sembiante e viso. V. queste voci. – 555 –
VoLUBILE e VoLUBILITÀ (prat.), meta fora delle cose facili a voltarsi, e a
cedere alla forza del vento: vale incostanza e instabilità. Onde l'Ariosto: Ma
costei più volubile che foglia Cuando d'autunno è più priva d'umore - (C. XXI.
). V. Incostanza. VoLUME (spec.), l'estensione d'un corpo considerata per
rispetto allo spazio che oc cupa. V. Spazio. Il volume d'un corpo differisce
dalla densità, e dalla coesione delle sue parti, il perchè diverse ancora sono
le leggi della gravità, cui il corpo obbedisce in ragione del peso o del volume
suo. La re lazione che passa tra l'uno e l'altro è quel che dicesi gravità
specifica. V. Gravità. UoMo (spec. e crit.), animal ragione vole, o - Essere
misto di due sostanze, lo spirito e la materia, l'una semplice, immutabile ed
immortale, l'altra composta, fragile e mortale, - indirizzato dal Creatore ed
una vita fu tura e alla beatitudine, dotato del pensiero e della parola, capace
di contemplare se stesso, Dio, e la natura, dotato di volontà, di libertà,
d'istinti, di affetti, di appetiti razionali e d'indole benevola, giusta e
riconoscente, nato per la civile comunione, amante della virtù, della lode e
della gloria, desideroso di conseguire la felicità e l'immortalità; capace di
abiti e di passioni; del bene e del male; creato per soprastare a tutte le
altre spe zie di animali, e per dominare sulla Terra; dotato d'un corpo agile,
e di membra, atte ad eseguire tutto quel che imprende, o concepisce come
possibile; attivo, industrioso, ed infatigabile nel cercare i mezzi, onde
accrescere le sue forze meccaniche, e aggiugnere i prodotti della sua industria
a doni della natura. Le divisate qualità sono una spiegazione della definizione
di animale ragionevole, che in se tutte le comprende; ma lo spie garle giova a
stabilire la verità di tre pro posizioni, dalle quali dipende il giusto con
cetto della natura e della dignità dell'uomo: la prima, che l'indole o la
natural tempera dell'uomo è retta, e buona: la seconda che il male di cui
l'uomo è capace, di pende interamente dall'abuso ch'egli fa della sua libertà,
e dall'impero che dà alla parte sensitiva di se, nel predominio della quale è
riposto quel che dicesi la na tural corruzione dell'uomo; la terza, che il suo
essere intellettuale porta con se i principi d'una sapienza e d'una virtù pra
tica, la quale lo mena alla perfezione. Che l'uomo masca buono e retto per
natura, il dimostrano i primordi della in fanzia e della sua giovenile età. La
na tura non solamente lo ha raccomandato alla pietà di quelli che lo han messo
al mondo, ma ha dato a lui stesso gl'istinti e i mezzi per isvegliare l'amore e
la be nevolenza nel cuor de' suoi maggiori: ti mido e mansueto nel nascere,
egli è a volta sua festoso, carezzevole, grato, com passionevole: niuno de
fanciulli ne quali questi sentimenti sono stati coltivati senza interruzione,
degenera e muta tendenza: l'abito anzi le conferma e ne forma il carattere
proprio della spezie umana. In conferma di che giova osservare, che nel fisico
come nel morale la natura ha im presso in ogni spezie di animale talune 70 sa-
sus inclinazioni caratteristiche che l'età svi luppa, e non cangia: gli agnelli
e i pul cini degli animali domestici son diversi dalle tigri e dagli sparvieri,
tanto nella prima, quanto nell'ultima età loro. Che il male, di cui l'uomo è
capace, sia una conseguenza dell'abuso ch'egli fa della sua libertà, è una
verità dimostrata da seguenti fatti, che possiam dire gene rali, costanti, e
caratteristici della spezie umana: 1.º il vizio ha i suoi gradi, nel primo
de'quali l'uomo dee vincere i ripari che la natura ha messo a custodia della
virtù, come il timore, il pudore, la com miserazione, i rimordimenti della coscien
za. Il freno di questi non può essere scos so, se non per un lungo abito di
resi stenza a consigli della ragione, e alla al trui disapprovazione. 2.” La
disapprova zione del vizio è generale, sì che v'ha sempre una ragione che può
dirsi publi ca, la quale lo condanna, comechè molti degl'individui che
concorrono a formarla, non fossero esatti osservatori della virtù. Da questa
ragion publica nasce la nozione della legge che è sempre sana anche in mezzo
alla generalità degli uomini corrot ti. La contraddizione che spesso si scorge
tra i suoi precetti e il fatto di costoro, dimostra che l'una è l'espressione
della ragione naturale dell'uomo, e l'altro è il prodotto della sua volontà,
determinata da un materiale interesse, contrario a quel lo della legge stessa.
3.º Il vizio non è durevole, e forse non v'ha uomo sì com piutamente vizioso,
che non senta in se la tendenza e il bisogno di ricomprare il male che fa con
qualche atto doveroso. Non è durevole, tra perchè le diverse età della vita non
permettono la stessa intensità nel mal oprare, e perchè la sin deresi chiama
tutti al pentimento, e pre 4 – sto o tardi li raggiugne. Non si dà poi piena e
assoluta malvagità, dacchè nella vita degli uomini i più perseveranti in ogni
genere di vizio e di turpitudine, e persino nella carriera del più feroci de
linquenti, non manca mai l'esempio di qualche atto umano o generoso, col quale
ciascun di essi ha inteso, o espiare una parte del male che si rimprovera, o mi
tigare la trista opinione che sente di me ritare. D'onde nasce cotesto forzato
omag gio, che il vizio presta alla virtù? Come avviene, che la voce della
ragione più forte risorga a misura che van mancando l'impeto delle passioni e
le materiali forze della vita sensitiva? Il pentimento non è forse una via di ritorno
al sentiero, che si è abbandonato? ll richiamo della na tura a primitivi
sentimenti non dimostra che il vizio è uno stato violento, e ripu gnante alla
umana condizione? 4.º Fi nalmente la storia è ricca di fatti e di vite
d'uomini, i quali seguendo con una forte e costante volontà i dettami della
ragione, han trionfato di tutte le ten denze e del bisogni del sensi del dolore
e della morte stessa; ed han dimostrato che la determinazione della volontà al
vizio o alla virtù , nasce dal predominio che acquistan sopra di noi gli abiti
della vita materiale o pur della razionale. Egli è vero che gli atti eroici non
formano regola, ma dimostrano il principio da cui provengono. Colesto principio
è , che l'abito e la ra gione possono condurre il retto uso della volontà al
fastigio della virtù; siccome per l'opposito l'abuso d'una volontà, sedotta e
traviata dal materiale abito del sensi, con duce l'uomo insino a quelle
estremità del vizio, che lo disonorano, e degradano. Che l'uomo, confermato per
l'abito e per l'educazione nelle sue naturali ten -, - – 5 denze, cammini alla
perfezione, è una terza verità dimostrata dalla ragione e dal la sperienza.
Alla prima età degl'istinti, dell'autorità, e delle credenze succede la seconda
della ragione, la quale diviene compagna della volontà e rende compiuta la
facoltà data all'uomo di conoscere se stesso, e di sviluppare col ragionamento
le adombrate nozioni della natura. Il pro gressivo avanzamento delle nostre
cono scenze è quel che forma il cammino del la perfezione, proprio dell'uomo, e
di cui le conseguenze riflettono così sull'in dividuo come sulla spezie.
Quantunque Rousseau non abbia sem pre ben veduto la natura umana; pur
tuttavolta riconosce come un fatto innega bile e come un carattere distintivo
della spezie umana la spontanea tendenza alla perfezione. « V ha, dice
nell'Emilio, una qualità assai speciale, che distingue l'uomo dal resto degli
animali, e che non può essere rivocata in dubbio. Tal'è la facoltà di
perfezionarsi, la quale favorita dalle altre opportunità, sviluppa
successivamente tutte le facoltà sue. Essa è inerente a noi, considerati tanto
come spezie, quanto come individui; in contrario di ciò che inter viene agli
altri animali, i quali a capo di qualche mese dalla nascita son quello stesso
che saranno per tutta la vita, e ciascuna delle spezie loro sarà al termine di
mille anni, lo stesso che fu nel primo aIlI10 ). Ora una tale facoltà risguarda
così la parte sensitiva di noi, come l'intellet tuale, e tanto l'uomo
individuo, per ri spetto a se stesso, quanto le relazioni sue verso degli
altri. Tralasciam di considerare l'aumento della sua materiale prosperità, e
fermia moci alla intellettuale e morale. Ma se me - e Do - guitiamo a
distinguere il progresso, di se stesso, da quello di tutta la spezie. L'uomo
all'uscire dalla infanzia è un nuovo Essere, dotato non solamente di volontà,
ma ancora d'intelletto. Comincia egli a sollevarsi dagli obbietti sensibili
agl'intellettuali, rende ragione a se stesso degli abiti istintivamente
contratti; conosce le relazioni delle cose, discute la verità delle conoscenze
acquistate per l'autorità de suoi precettori, e si va formando un giudizio e un
criterio proprio. Primo frutto della riflessione, che in lui si sviluppa è la
cognizione e l'amore di Dio, autore e conservatore della sua esistenza.
L'amore, considerato nella purità della sua origine è un sentimento di
affezione per le qualità del subbietto al quale vorremmo assomi gliarci. E
siccome noi non sappiamo con cepire nulla di più buono e di più perfetto della
Divinità, così le sue perfezioni em piono il cuor dell'uomo, il quale contem
plandole, crede in esse scorgere una qual che somiglianza con quella parte di
se, che chiama spirito, che non è simile alla ma teria, e che somigliar dee a
qualche altra sostanza superiore la quale ha dato l'essere a tutte le cose.
Laonde noi scegliamo, sic come dice Leibnizio, le perfezioni divine, come
suggetto d'imitazione e di guida. E quì seguendo i pensieri di quel lumi noso
ingegno, aggiugniamo che delle per fezioni di Dio son capaci le anime umane,
colla differenza, che in Lui sono illimi tate, e in noi adombrate. Egli è un
occa no, del quale poche gocce piovvero in noi: l'uomo ha qualche facoltà,
qualche bontà, qualche cognizione, ma queste doti sono in Dio tutte intere. Noi
conosciamo ed amiamo il bello, l'ordine, le propor zioni, l'armonia, e ne
ammiriamo i pic cioli saggi e le immagini nelle cose create. ºt – 556 – Ma Egli
è l'autore dell'ordine, delle pro porzioni e dell'armonia universale: il bello
umano non è se non una effusione dei raggi del bello divino. L'amore per le sue
perfezioni è quel che desta ed accende in noi il sentimento del dovere e della
virtù. Operando col fine di piacere a Dio, e a Lui riferendo tutte le nostre
azioni, noi ci uniformiamo alla sua volontà, come al centro comune di tutti gli
atti doverosi ed onesti; adempiendo i doveri verso degli altri, ed essendo
umani, benefici, cari tatevoli, noi obbediamo alla volontà del comun padre
degli uomini. Cercando di piacere a Lui, noi non corriam dietro alla
riconoscenza di quelli che abbiam benefi cato, nè cerchiam da essi la nostra
ricom pensa; perdonando le offese ricevute, ed essendo indulgenti e benefici,
noi facciamo verso di loro quel che imploriamo per noi stessi da Dio. La carità
insomma dell'uom perfetto è umile e modesta: non aspira all'esterne
preeminenze, alla lode, o alla gloria: severa per le proprie azioni e be nigna
per le altrui, ognun condanna i difetti suoi, e escusa o giustifica quelli
desimili: perfeziona se stessa e non cen sura gli altri: sempre officiosa e
benefica forma il principal fondamento della vera pietà, e religione. Senza di
essa non si perviene alla perfezione: per giugnere a questa sono necessari non
solamente l'in dole naturale favorita dall'educazione, ma ancora il frequente
conversare cogli uomini pii e virtuosi, e i sani principi illustrati della
sapienza, la quale consolida l'unione dell'intelletto e della volontà (V. la
Teodi cea nella prefaz.). Sin qua della tendenza che ogn'indivi duo ha a
perfezionare se stesso, vale a dire a sviluppare la sua capacità, e a rag
giugnere il vero scopo della vita. Ma questa stessa inclinazione è comune alla
spezie, o sia agl'individui considerati come Esseri socievoli. E però lo
spirito di sociabilità, che è caratteristico della spezie umana, segue come
inseparabile compagno la per fezione intellettuale e morale degl'indivi dui.
Laonde le nozioni del giusto e del l'onesto, del doveri morali, della legge
naturale, dell'ordine, della pietà, passano dagl'individui alle famiglie, e da
queste alle città e a popoli. Ma in questo passag gio cangiasi la natura del
subbietto, l'indi vidualità si perde, e a misura che diviene maggiore il numero
delle parti costitutive di quel subbietto composto che dicesi so cietà civile,
cresce pure la massa de suoi interessi materiali. I bisogni della vita sociale
son diversi da quelli della vita individuale: la mente che regola il corpo
sociale non ha sopra di esso quel mede simo dominio, che l'animo dell'indivi
duo esercita sul proprio corpo: l'arte di governare l'uno diviene più
complicato e difficile dell'arte di regolare l'altro: l'Essere collettivo perde
molte facce della somi glianza che gli Esseri individuali hanno tra loro: perde
la comunione del senti mento, l'identità personale, e la coscienza. La stessa perfezione
muta di scopo, e da pura che era diviene mista; dapoichè nel corpo sociale la
prosperità degl'interessi materiali è inseparabile dal progresso intel lettuale
e morale. Nel conflitto del bene assoluto e del relativo anche il vocabolo
perfezione prende un significato relativo, nel quale il bene apparente veste le
sem bianze del bene reale. In tale complica zione il fatto dell'uomo non deesi
confon dere col fatto della natura. L'indole na turale dell'uomo, e la sua
tendenza al bene e alla vera perfezione sono sempre le stesse. Questo è lo
spirito che lo dirige – 557 – e lo richiama allo scopo della natura, semprechè
dallo stesso si allontana, sia nella vita individuale, sia nella domestica, o
nella civile. Ora qual interesse han potuto avere pa recchi filosofi di
calunniare la natura uma na? Taluni lo han dipinto come il più malefico e il
più indomabile tra gli ani mali. Taluni altri, facendo in lui scom parire la
qualità di Essere pensante e ra gionevole, lo han messo in comparazione co
bruti dal solo lato dell'organismo. Altri lo han dipinto come un misto bizzarro
e contraddittorio di buoni e di cattivi prin cipi. Altri infine han detto esser
tanta la varietà del caratteri e delle qualità che di stinguono un individuo
dall'altro, quanto basta a conchiudere, che la natura abbia abbandonato
nell'uomo quella costanza ed uniformità, che ha servato nella spezie di tutti
gli altri Esseri. Non parliamo delle poetiche facezie di Boileau, che dichiaran
l'uomo il più stolto e contraddittorio tra gli animali, perchè i paradossi
della im maginazione riescono tanto più dilettevoli, quanto meglio sanno
contraddire una ve rità da tutti riconosciuta. Ma pure i filosofi che han
cercato di deprimere la natura umana hanno attinto le opinioni loro da quella
stessa fonte, alla quale bevve il poe ta francese. Essi han descritto l'uomo
della corrotta società, e non della natura; e nella moltiplicità del vizi
comuni, han vo luto trovare una scusa alle proprie loro passioni. Le loro
opinioni dunque meritano il nome di paradossi filosofici, non dis simili da
poetici. L'uomo della natura è quello descritto da Cicerone: animal pro vidum,
sagaa, multiplex, acutum, me mor, plenum rationis et consilii, quem vocamus
hominem, praeclara guadam conditione generatum a summo Deo. So lum est enim ea
tot animantium gene ribus atque naturis particeps rationis et cogitationis, cum
caetera sint omnia eapertia. Quid est autem , non dicam in homine, sed in omni
coelo ratione divinius? quae cum adolevit atque per fecta est, nominatur rile
sapientia. Est igitur, quoniam nihil est ratione melius, eaque et in homine et
in Deo, prima homini cum Deo rationis societas (de leg. I. C. VII. ). Passando
ora a considerare l'uomo come suggetto di scienza, l'analisi e la cogni zione
delle due sostanze, delle quali è composto, abbracciano quasi tutte le parti
dello scibile, le scienze fisiche, le meta fisiche, le matematiche pure e le
miste insieme. E volendo riferire le varie bran che della umana cognizione alle
potenze dell'animo, dalle quali siam soliti supporle generate, non è parte
delle lettere, della erudizione o delle arti, che non potrebbe non essere
considerata come appartenente allo studio dell'uomo. In fatti coloro, i quali
vollero comprendere nel nome di antropologia ogni studio necessario alla compiuta
cognizione della natura e delle qualità dell'uomo, abbracciarono tutto in tero
il sapere umano, e turbarono non so lamente la partizione ricevuta delle
scienze e delle arti, ma ancora il metodo stabi lito sopra le naturali
relazioni delle nostre idee. Più plausibile è il dare al trattato del l'uomo
l'analisi dell'organismo e della sua particolare conformazione, nella quale la
natura non solamente ha profuso sapienza e sagacità infinita, ma ha renduto
palpa bili le ragioni della superiorità che gli ha conceduto sopra tutti gli
altri Esseri or ganici. Di questo studio son parti la no tomia, la fisiologia,
le scienze e le arti – 558 - mediche, e le scienze fisiche che sono ad esse
collegate. L'uomo in somma, consi derato come Essere organico, forma il subbietto
dell'antropologia, come Essere intellettuale, della psicologia, e come Es sere
morale, della etica, o sia della pra tica filosofia. Ma l'uomo va sempre
considerato in due stati o condizioni, quella cioè d'in dividuo, e l'altro di
Essere socievole. E siccome in ciascuna delle due divisate qua lità aspira a
due diversi generi di perfe zione; così l'uom socievole forma il sub bietto di
quelle scienze positive, le quali versano circa le sue relazioni col corpo
sociale, o circa le relazioni del corpi so ciali tra loro. L'uomo socievole
dunque è il subbietto delle scienze del diritto e della politica. ln
conclusione le scienze e le arti tutte non sono altro, che parti dello studio
del l'uomo, considerato per le sue diverse re lazioni con se stesso, con Dio, o
colla natura. V. queste voci. - VoTo (collo stretto) (teol. e prat.), promessa
fatta a Dio, o speranza di fa vorevole avvenimento. Voto (coll o aperto). V.
Vacuo. Uovo (spee. ), parlo d'uccelli, di pe. sci, di rettili, e d'insetti, che
si perfe ziona e si sviluppa fuori del ventre della madre, mediante
l'incubazione, o l'azione di altra causa estrinseca a quella equiva lente. È
uno de modi di generazione, che di stinguono le due classi di animali detti
ovipari, e vivipari ; quantunque la ge neralità del fisiologi tenga, che ogni
ge nerazione prenda principio dall'uovo, col la sola differenza, che ne
vivipari il feto si sviluppa e si perfeziona nelle viscere stesse della madre,
e negli ovipari, all'eSterno. Siccome le uova degli uccelli sono d'una
grandezza maggior di quelle delle altre spezie di ovipari, e hanno nelle loro
parti proporzioni più discernibili; così sopra di essi sono state fatte le
osservazioni, le quali servono di fondamento a sistemi in torno alla
generazione degli ovipari; e per la stessa ragione le prime di tali ope razioni
son cadute sopra le uova degli uc celli domestici, o sia depolli. L'analogia fu
da prima il mezzo, per lo quale si estesero le conseguenze di tali osservazioni
alle uova degli altri animali ovipari. I microscopi e la chimica han dipoi
fatto conoscere taluni fatti generali, i quali hanno rettificato molte erronee
opinioni de gli antichi, e sparso un qualche bagliore sopra le misteriose
operazioni della natura nella formazione dell'organismo animale. Le uova degli
uccelli, scegliendo per loro tipi quelle depolli, son vestite d'un guscio, di
materia calcarea bianca più o meno friabile, il quale include le in terne parti
e le difende dalle ingiurie ester ne. La cavità di cotesto guscio è foderato da
una sottile membrana allo stesso ade rente, sotto della quale viene l'albume, o
quello che comunemente dicesi bianco d'uovo. Nel mezzo di esso è sito il torlo
o giallo dell'uovo (che i Latini chiama rono vitellus), sostanza viscosa, più
densa dell'albume e di sferica figura. A ciascuna delle due estremità
dell'uovo, che secondo l'espressione del celebre Harvey, dirsi po trebbero i
poli di questo picciolo micro cosmo, è alticcata una spezie di fibra no dosa,
formata di tre piccioli globetti, bian chi, densi, e simili a pezzetti di grandine,
– 559 – il perchè furon da medici latini dette cha lazae. Ufizio loro è il
tenere connesse ed annodate insieme le membrane, per mezzo delle quali i
liquori conservano ciascuno il proprio luogo. Nel mezzo quasi tra que sti due
ligamenti dalla banda del torlo e nella sua membrana v ha una picciola ve
scica, detto occhio dell'uovo (e da me dici latini, cicatricula), nella quale
con tiensi un umore da cui formasi il pulci no. L'albume è il succo nutritivo
per lo quale il primo germe s'ingrandisce e si forma: il torlo è l'alimento
dell'embrione già formato. Le parti solide del pollo son da prima fluide: il
fluido va gradatamente addensandosi, e passa allo stato di gela tina: le stesse
ossa passano successivamente per lo stato fluido e gelatinoso. Giusta le osservazioni
di Haller, nel settimo giorno dell'incubazione la cartilagine è ancora
gelatinosa; e nell'ottavo, il cervello è an cora nello stato d' un'acqua
trasparente. Da tale progressione apparisce che le parti acquose passano allo
stato solido per vir tù d'una insensibile evaporazione, la qua le fa sì che le
molecule si avvicinino tra loro, che i vasellini divenuti più larghi possano
ricevere le molecule gommose al buminose e viscose, le quali per l'avvi
cinamento acquistano una maggiore forza di attrazione. Così, il fluido organico
por tato per gradi allo stato moccioso, divie ne membrana, cartilagine e osso,
sen za mistura d'altra nuova parte. La qual progressione dimostra, che la
natura for ma l'organismo nello stato fluido, e che essendo l'uovo il principio
d'ogni gene razione, i passaggi dal fluido all'organico son comuni tanto agli
ovipari, quanto ai vivipari. Così dicendo, non intendiamo affermare che il
primo germe sia un vero fluido, quasichè acquistasse il principio vitale per
l'aggregazione di altre mole cule, ma pensiamo che lo stesso per la tenuità
delle sue forme prenda l'apparenza delle particelle del fluido che lo circonda.
> Niun altro articolo, ha tanto esercitato l'acume de fisici e del
metafisici, quanto quello della generazione. Le operazioni della natura così
nella formazione del ger me, come nel suo progressivo accresci mento parve a
naturalisti del passato se colo, che potessero essere spiegate in uno de due
seguenti modi: o supponendo che i germi di tutti i corpi organici della me desima
spezie fossero inclusi gli uni ne gli altri, per modo che la riproduzione non
avvenisse altrimenti, che per un suc cessivo sviluppamento del primo germe :
ovvero supponendo, che i germi sparsi per la natura, nell'aria, nell'acqua,
nella terra, ed in tutti i corpi solidi, venis sero a svilupparsi quando si
scontrano e si combinano colle matrici o forme ani mali, atte a ritenergli e a
fecondargli. La prima di queste due dottrine, che ebbe per fautore il celebre
Carlo Bonnet, fu detta d'incassamento (emboitement ) di preformazione o di
evoluzione; la se conda di disseminazione, e anche di epi genesi, o sia di
soprapposizione. In so stegno di quella diceva il lodato autore, che
l'esistenza di tutti i germi in uno pri mitivo per ogni spezie, è una ipotesi la
quale apparisce difficile a sensi e alla im maginazione, ma non già alla
ragione. L'immaginazione dura fatica a concepire una immensa serie di Esseri
infinitamente piccioli, inclusi gli uni negli altri, de stinati a succedersi
per tutta la durazione de secoli; laddove la ragione concepisce come possibile
e come reale la divisibilità della materia all'infinito, sì che la dot trina
dell'incassamento non è altro che – 560 – la divisibilità della materia
applicata alla suddivisione de germi all'infinito. E d'al tra parte giudicava
egli improbabile l'op posta ipotesi della meccanica composizione degli organi,
come d'un cuore, d'un cervello, d'un polmone, ciascun dequali presuppone la
coesistenza dell'altro, e tutti uniti insieme formano quella unità mec canica che
costituisce l'essenza della vita dell'animale. L'ipotesi della preformazione,
nata dal le osservazioni microscopiche fatte sulle uova, acquistò una grande
preponderanza per la coincidenza di simili fenomeni, os servati nel seme degli
alberi e delle pian te; sì che la preesistenza d'un embrione in ogni germe, si
tenne dalla maggior parte de fisiologi come un fatto generale della natura, il
quale decidesse la qui stione contra l'ipotesi della successiva for mazione. V.
Albero, Embrione, Germe, Pianta. Ma le due cennate opinioni davano luo go a due
altre controversie, quella cioè della preesistenza del germe, o sia d'un tutto
organico già formato nelle ovaie del la femmina, e l'altra della formazione del
feto per lo concorso del liquore seminale. I più rinomati fisici e fisiologi
del secolo decimottavo parteggiavano per l'uno e per l'altro sistema, e il
maggior di tutti, il ce lebre Haller sembrò inchinare ora all'uno, ed ora
all'altro. Ciascun de due sistemi arrivava ad un punto, al quale conveniva che
si fermasse senza poter penetrare più addentro nel mistero della generazione.
Ognun de loro fautori suppliva colle con getture e colle ipotesi a quel che la
na tura loro celava. Bonnet aggiugneva alle ipotesi fisiche anche le
metafisiche, e ser vivasi della dottrina della preformazione del germe come
d'un mezzo per passare a quella delle monadi. Entrambi i sistemi non pertanto
escludevano la generazione equivoca, o anomala, e tenevano per in dubitato il
canone di Harvey, omne vi 27tl/72 e C O170, Tra le due cennate opinioni venne
ad interporsi il sistema di Buffon, il quale disse essere nella natura una
materia co mune a vegetali e agli animali, compo sta di particelle organiche
viventi primi tive, incorruttibili e sempre attive. Il moto di tali particelle
può essere arrestato dalle parti più grossolane de corpi misti; ma non prima
esse riescono a svilupparsi, che producono per la loro riunione le di verse
spezie degli Esseri organici. Questa stessa materia produttrice è quella che
ser ve alla nutrizione e allo sviluppamento di tutto quel che vive e vegeta.
Ciò che di essa sopravvanza al bisogno della nutri zione e dell'accrescimento
del corpi orga nici, passa in forma di liquore in un ser batoio contenuto negli
organi della gene razione. Il liquore seminale contiene le molecule analoghe al
corpo vegetabile o animale, le quali molecule quando si com binano in una
matrice o forma conve niente alla loro natura, producono un Es sere simile a
quella interna stampa, di cui esse facevan parte. Quando poi, la materia produttrice
non trovi la propria matrice, caccia fuori quella spezie di Es seri organici
imperfetti che si scorgono ne liquori seminali degli animali, e nel le
infusioni vegetali e animali. In somma tutte le sostanze organiche contengono
mol ta di cotesta materia produttrice, siccome rilevasi dalle infusioni; nelle
quali dapri ma apparisce in forma di semoventi della grandezza di quelli del
liquore seminale. A misura che la scomposizione si aumen ta, vanno questi
animaletti sminuendo di – 561 – volume, insino al segno di divenire im- e delle
molecule organiche, delle quali percettibili; il che avviene quando è com piuta
la corruzione della sostanza messa in infusione. Da ciò segue, che la mate ria
produttrice, raccolta e costretta in qual che parte degli animali, vi formi
degli Es seri viventi, come il tenia, gli ascaridi, e i vermi che sono nelle
carni corrotte e nel pus delle piaghe. Tale fu il sistema di Buffon, il quale
avvicinasi a quello della disseminazione, se non se fece rivivere l'opinione
della ge nerazione spontanea, ammettendo il con corso delle molecule organiche
fuori de gli organi generativi. È notabile non per tanto ch'egli limitò cotesta
spezie di gene razione alle infime spezie di Esseri, che non hanno altro
carattere vitale fuori del moto; e presuppose sempre un principio vitale, che
taluni de moderni fisiologisti hanno trasformato in un principio mera mente
plastico. V. Infusorio. Le quistioni della evoluzione, dell'epi genesi e delle
molecule organiche non sono più del gusto della moderna Fisica, la quale ha
abbandonato le congetture per seguire i fatti, sopra tutto quando le con
getture sono insufficienti a dare la solu zione compiuta d'un fenomeno, e si
limi tano a spiegarne una parte sola. Qual ne cessità di ricorrere ad una serie
infinita di embrioni, racchiusa in un primo germe, o ad una infinità di
molecule organiche disseminate per la natura, se la mente può più facilmente
concepire l'esistenza d'una forza vegetativa, o vitale, che si riproduce in
ciascun Essere per virtù del la stessa sua costituzione. Se il concetto d'una
forza produttrice non racchiude una idea chiara e distinta perchè se ne ignora
l'essenza; non è certamente più chiara e distinta l'idea dell'incassamento
degermi non possiam dire che sieno, e come o, dove sieno. Ciò non ostante nulla
han per duto della loro importanza le scoverle fatte intorno alla formazione e
al progressivo sviluppamento delle uova ; nè è cessata l'utilità del lavori de
grandi fisiologi Har vey, Haller e Bonnet. È dovuta a que st insigni uomini la
dimostrazione di ta lune verità generali, le quali se da una parte non hanno
soddisfatto la voglia che avremmo di strappare alla natura il se greto della
generazione, rendono per al tro verso manifesta la distanza tra i sem plici
aggregati della materia e l'orga nismo capace di moto e di vita. Tali ve rità
sono: - 1.” Che l'uovo è il germe universale e normale della riproduzione degli
animali. 2.° Che l'organismo nasce da un prin cipio vitale, e da forme
preparate dalla natura, le quali sono sviluppate per mezzo della fecondazione.
3.” Che senza la fecondazione, ripo sta unicamente nel principio vitale, non
potrebbero le molecule organiche acqui stare nè moto nè forza di attrazione tra
loro. Se nella illimitata gradazione degli Es seri organici la natura avesse fatto
qual che eccezione per talune delle infime spe zie, ed avesse avvicinato la
loro forma zione a semplici aggregati materiali; e se tali eccezioni fossero
patentemente dimo strate, la regola rimarrebbe per esse con fermata e non
distrutta; dapoichè le me schine funzioni vitali di cotesti Esseri, ri dotte al
semplice moto, sarebbero in esatta proporzione co mezzi adoperati per com porre
il loro organismo. Del resto quel che non potrà mai essere dimostrato, è che
sieno essi nati da un germe che non pro 71 – 562 – venisse da un principio
vivente; d'onde segue che un fatto presunto non può es sere addotto come
eccezione d'una regola di natura, la quale presiede alla riprodu zione di tutte
le altre spezie degli Esseri viventi. V. Generazione, Riproduzione. URANoGRAFIA
(grec. sup.), descrizione del cielo, compresa nella uranologia. URANoLoGIA
(crit.), parte della storia naturale e della fisica, la quale abbrac cia la
descrizione de corpi celesti, o l'astronomia fisica. URANOMETRIA (grec. sup.),
arte di mi surare le distanze del cielo, compresa nel l'astronomia, e nella
uranologia. URBANITÀ (prat.), cortesia dimostrata con maniere proprie d'uomo
educato. men di gentilezza, che esprime no biltà di costumi ; riferendosi
l'urbanità alle sole forme esterne. V. Gentilezza. UsANZA (prat.), azione o
maniera di vivere comunemente frequentata. Dice men di consuetudine, che è una
usanza confermata per lunga pratica ; e meno ancora di abito, che ripete il suo
principio da un'azione deliberata. L'usanza suol esser figlia dell'esempio e
della imi tazione. V. Abito, Consuetudine, Uso (prat. e disc.), il pratico
eserci zio d'una facoltà nostra, o il giovamento che ritraiamo dalle cose
soggette alla no stra disposizione. Quanto facile è il formare un esatto
concetto del significato generico di questo vocabolo, dice il padre Buffier,
altret tanto difficile è il determinare il suo si gnificato particolare per
rispetto alle lin gue. Di questo parlando, dice Orazio : Ustis Quem penes
arbitrium est et jus, et norma loquendi. Ed in altro luogo: Adeciscet nova,
quae genitor produrerit usus. Che s'intende per uso, e quali sono i caratteri
per discernere la legittima auto rità di questo supremo moderator della parola?
I grammatici distinguono un buono ed un cattivo uso, i quali sono in opposi zione
tra loro. Il cattivo è formato dalla moltitudine, o sia dal maggior numero
delle persone che adottano un vocabolo o una maniera di dire. Il buono nasce
dalla convenzione o dall'accordo del più corretti scrittori, i quali seguendo
le re gole della etimologia, e d'una logica ana logia, riconoscono la
legittimità de'voca boli e delle locuzioni conformi a caratteri essenziali e al
gusto della propria lingua, e negano la cittadinanza a quelli che vi
s'intrudono per lo licenzioso parlare del volgo. Ora è manifesto, che non la
mol titudine, ma il consenso dedotti può dar l'impronta legittima alle parole,
e stabi lire gli esempi e l'autorità nell'arte del ben parlare. Ma l'uso è
mutabile anzi volubile, per chè quello d'una età non somiglia all'al tra : noi
abbiamo in molte voci mutato l'uso de padri della nostra lingua, e quelli che
ci succederanno faranno altrettanto del nostro. L'uso dunque ha un'autorità
passeggiera, e in paragone della im mensa durata del tempo, possiam dirla
momentanea; sì che parrebbe necessaria – 565 – un'altra superiore potestà, la
quale legit timasse i passaggi, o una certa misura di tempo che convalidasse
tali cangiamenti. Orazio disse: Ut sylvae foliis pronos mutantur in annos Prima
cadunt, ita verborum vetus interit aetas Et juvenum ritu florent modo nata,
vigentaue. Nedum sermonum stetit honos, et gratia vivaar Multa renascentur quae
jam cecidere, cadentoue Quae nunc sunt in honore. (Art. poet.). Simile è il
concetto di Dante, il quale non pertanto segnò taluni limiti all'arbi trio dell'uso:
« La nostra locuzione, egli disse, non può essere durabile nè conti mua, ma dee
per necessità esser mutabile come i costumi e gli abiti, d'onde avviene che il
parlare si cangia a misura della di stanza de tempi. Di tali mutamenti con
difficoltà ci accorgiamo, perchè poco son da noi avvertiti i cangiamenti delle
cose che lentamente si muovono, ma sarebbe un pensar da bruto e non da uomo il
cre dere, che una città usar potesse sempre il medesimo parlare. Laonde per
distinguere quel che è in una lingua variabile da ciò ch'esser debbe costante e
invariabile, gl'inventori dell'arte grammatica stabili rono le regole che danno
la conformità del discorso, e gl'imprimono la comune fisonomia ». (de vulgari
eloquio C. IX.). Ora per meglio determinare i limiti che possono essere messi
all'arbitrio dell'uso, giova reassumere le due obbiezioni che si fanno da
coloro i quali non son disposti a riconoscere in lui un cotanto assoluto
potere: può l'uso tutto mutar nelle lin gue ? qual sarà il mezzo da discernere
l'uso dall'abuso? Quanto alla prima, noi crediamo che basti a risolverla
l'autorità di Dante. Tutto può mutare l'uso, tranne le regole nelle quali è
fondata la struttura, l'uniformità e la fisonomia della lingua. E circa la se
conda, ella è pure rimossa dalle regole che i grammatici, riconosciuti come mae
stri della lingua, han dato circa la fa coltà di adottare, o d'introdurre nuovi
vocaboli; facoltà la quale nasce non so lamente dalla necessità di trovare
nuovi segni per le nuove idee; ma ancora dal la convenienza di accrescere la
ricchezza e gli ornamenti della lingua. Il criterio per adattare tali regole a
presenti bisogni del parlare de essere attinto meno da precetti de puri
grammatici, che da quel logico ragionamento, che suol essere denomi nato
filosofia delle lingue. (V. il disc. prelim. c. XVI. a XXI.). - UTILE e UTILITÀ
(prat.), il giovamento o il comodo che si trae da checchessia. È un vocabolo
generico, il quale ab braccia l'uso, il comodo, il godimento, il guadagno, ed
ogni sorta di vantaggio. L'utilità propria vale personale inte resse, nel quale
senso l'utilità viene in opposizione col dovere o col ben comu ne. Tal è il
significato che gli dà Cice rone, parlando di Socrate, che abborriva quel primo
uomo, il quale separato aveva l'utilità dalla natura, o sia il bene pro prio
dal comune. V. Interesse. UroPIA (erit.), immaginaria forma d'isti tuzioni, da
cui sperarsi potrebbe una com piuta felicità, sì civile che morale. È vocabolo,
che servì di titolo ad una opera celebre di Tommaso Moro, e che suole applicarsi
ad ogni disegno che si prefigga di conseguire l'ottimo possibile, senza aver
misurato la possibilità dell'ese cuzione. it – 564 – VULCANIco (spec.), ogni
prodotto da vulcano. - Taluni scrittori di storia naturale han distinto il
vulcanico dal volcanico, col primo hanno inteso designare i prodotti degli
antichi vulcani: col secondo quelli degli attuali. Ma colesta distinzione,
fondata nella diversa ortografia dello stesso nome, uopo è che sia confermata
dall'uso, il che pare che non debba avvenire. VULCANo (spec. e crit.),
montagna, o collina ignivoma. Tal è il significato proprio, o comune, di questo
vocabolo, col quale indicar si suole i monti che attualmente gettan fiam me
come il Vesuvio, l'Etna, l'Ecla, ed altri. Lo stesso nome dassi ad ogni mon te,
di cui le eruzioni provengano da causa ignea, comechè non mandino fuori ma
terie infiammate o tenute in fusione dal fuoco. E però vulcaniche chiamansi le
lave acquose, fangose, bituminose, che escono dalle viscere del vulcani.
L'Europa, l'Asia, l'Africa, l'America, e le isole di qualunque mare o oceano,
hanno i loro vulcani, o attualmente ar denti, o che una volta arsero ed ora
sono estinti. La scienza, che ne studia i feno meni, ne analizza i prodotti, e
cerca d'in vestigarne le cause, è la mineralogia vul. canica. Cotesta scienza
non si limita ai soli fenomeni presenti, ma estende le sue investigazioni al
suolo in cui quelli si ma nifestano, e alle masse minerali simili, o degli
estinti vulcani, o di quelle rocce che sebbene non presentino alcuna forma este
riore vulcanica; pure somigliano alle mas se di certa origine vulcanica, e
sembrano essere state prodotte dalla medesima causa. E siccome i vulcani sono
stati certa mente tra gli agenti della natura, che hanno molto cooperato alla
conformazione del globo, e alle sue secondarie modifi cazioni; così la
mineralogia vulcanica è divenuta una scienza ausiliaria della geo logia, e
prende da essa il metodo e la divisione delle diverse epoche, alle quali
debbono essere riferiti i suoi fenomeni. Laonde, avendo il signor Brongniart
nel Saggio intorno alla struttura della parte nota della Terra ridotto a due i
grandi periodi della formazione deterreni, a due pure i moderni mineralogisti
riducono le epoche alle quali riferiscono i passati o i presenti fenomeni vulcanici.
Uno de'detti due periodi è chiamato saturnio, giusta la denominazione di
Brongniart, e ter mina all'ultima grande rivoluzione del globo, quella cioè
anteriore alla storia ed alla tradizione, che ha messo il mare nel bacino
attuale, e stabilito i nostri con tinenti. L'altro detto giovio comincia al
terminare del primo, e contiene tutti i fenomeni geologici, che hanno dato luo
go, durante il suo corso alla produzione de terreni posteriori sino a nostri
giorni. Quindi l'azione de vulcani, che pare esser concorsa ne due periodi
acangiamenti av venuti nel globo, è annunziata dalla storia o dalla analogia
nel secondo periodo, ed è tutta conghietturale nel primo. V. Geo logia, Mare,
Mineralogia, Terra. – 565 - CLASSI DE' VOCABOLI COMPRESI SOTTO LA LETTERA V.
FILOSOFIA CRITICA, FILOSOFIA SPECULATIVA. Vacuo Volgarizzare Vacuo Viso Vento
Volontà Varietà Vista Verme Uomo Vapore Vita Visibile Uranologia Uccello Vivace
e Visione Utopia Udito Vivacità Unità Vulcano Vegetabile Viviparo Volatile
Vegetale Umanità e - Vegetare Umano VOCI ONTOLOGICHE. Vegetativa Umore Velleità
Unico Vacuo Univocazione e Velocità - Uniforme Unico Univoco Vena Unione Unione
Uno Vento Unità Unità Ventre - Universale Verisimiglianza e Universo Verisimile
Uno Verità Voce Verme Volatile Vero Volere Vertebra Volizione Vertebrato Volo
Vescica Volontà Virtù Volontario Virtuale e Volto Virtualità Volume Viscera e
Uomo Viscere Uovo Visibile Vulcanico Visione Vulcano – 566 - FILOSOFIA
DISCORSlVA. Valore Vano Vantare Varietà Verbo Verisimiglianza e Verisimile
Verità Vero Verso Virgola Virtuale e Virtualità Viso Vivace e Vivacità Umanità
e Umano Unità Universale Univocazione e Univoco Vocabolo Vocale Vocativo Voce
Uso TEOLOGIA NATURALE. Ubbia Voto Unico – 567 – FILOSOFIA PRATICA, Valore
Vanagloria Vaneggiare Vanità Vanitoso Vano Vantare Ubbia Vecchiezza Velleità
Venalità Vendetta Venerazione Verace e Veracità Verecondia Vergogna
Verisimiglianza e Verisimile Verità Vero Vessazione Vigilanza Vile e Viltà
Vilipendio Villania Violenza Virtù Viso Vituperazione e Vitupero Vizio Umanità
e Umano Umile e Umiltà Umore Uniforme Unione Voglia Volontà Volontario Volubile
e Volubilità Voto Urbanità Usanza Uso Utile e - Utilità GRECISMI SUPERFLUI.
Uranografia Uranometria – 569 – ZA Za (prat.), fervore e veemenza di sentimento
che può attaccarsi a qual sivoglia affetto, lodevole o biasimevol che sia. E
però dicesi zelo d'amore, d'onore, di pietà; e buono, santo, falso, e stolto
zelo. ZENIT (spec.), punto immaginario del cielo che corrisponde verticalmente
alla parte superiore del nostro capo. Si concepisce da noi come un punto della
superficie della sfera, dal quale ti rata una linea, passando questa per lo
vertice del capo dello spettatore va al cen tro della terra, supposta
perfettamente sfe rica. Di qua segue che i zenit sono tanti, quanti sono i
punti della terra, da quali puossi guardare il cielo ; e che ognuno cambiando
luogo, cambia ancora di zenit. Chiamasi ancora il Zenit polo dell'oriz zonte,
perchè dista di novanta gradi da ciascuno de punti di questo cerchio mas simo.
Ed è denominato ancora polo de gli almucantari, o sia del cerchi minimi,
paralelli all'orizzonte, per mezzo de'quali misurasi l'altezza delle stelle. V.
Almu CantarO. Il punto diametralmente opposto al zenit è il nadir, il quale
corrisponde perpen dicolarmente a nostri piedi , vale a dire che il nadir è il
zenit degli antipodi. Ma le cennate definizioni presuppon gono, che la Terra
sia perfettamente sſe rica, il che non è. La sua figura essendo sferoidale, la
linea perpendicolare tirata dal zenit non può passare per lo centro della
Terra, se non in due casi, cioè quando lo spettatore sia a poli, o sotto
l'equatore; d'onde segue che in questi casi soli può con esattezza dirsi che il
nostro zenit sia il nadir degli antipodi. V. Madir. ZETETIco (spec.), qualità
di metodo, che per isciogliere un problema, cerca d'indagare e di conoscere la
natura del le cose. Per similitudine sono stati collo stesso vocabolo indicati
i filosofi investigatori i quali non formano una opinione propria, intorno a
qualunque cosa. Equivale a scet tico. V. questa voce. ZEUMA (dise.), voce greca
ricevuta per adozione, che vale connessione o attacca tura, adoperata in quel
modo di parlare, nel quale un verbo d'un significato solo regge più sentenze. È
una spezie di ellisse, per la quale in più proposizioni consecutive è
sottinteso il medesimo verbo. Quid ille fecerit, quem neque pudet quidquam, nee
metuit quem quam, nee legem se putat tenere ? I gramatici la suddividono in
varie spe zie, ciascuna delle quali prende un di verso nome. Tali suddivisioni
apparten gono alle figure retoriche, e son diver samente modificate secondo le
regole e il gusto d'ogni lingua. V. Figura, Lingua. ZoDIAco (spec.), zona della
sfera ce leste larga diciotto gradi nel cui mezzo è l'eclittica. Fu immaginata
questa fascia dagli an tichi per seguire con le osservazioni il cam mino che
col loro moto proprio facevano 72 – 570 – pianeti, i quali non
l'oltrepassavano; e però la fascia del zodiaco serviva a mi surare le
latitudini del pianeti stessi, o sieno le loro deviazioni angolari dalla e
clittica. Ma dopo la scoverta de nuovi pia neti fra Marte e Giove, le orbite
de'quali fanno con l'eclittica angoli molto mag giori di quelli degli antichi
pianeti, per conservare al zodiaco il suo ufficio di com prendere in se tutti i
pianeti, si sarebbe dovuto allargare insino a 94 gradi. Dividesi il zodiaco in
dodici segni o parti, alle quali danno nome le costella zioni che anticamente a
ciascuna di esse corrispondevano. I nomi de segni o delle costellazioni
zodiacali sono compresi nel seguente distico latino. SUNT ARIES TAURUS GEMINI
CANCER LEO VIRGO LIBRAQUE SCorp IUS ARCITENENS cAPER AMPIIORA PISCES. Il sole
si dice che entra in Ariete, nei Gemelli o in un segno qualunque quando col suo
moto annuo tocca il principio d'un tal segno, che si estende per 3o gradi nel
cielo, ed è percorso dal sole in un mese circa. Abbiamo detto che anticamente
le co stellazioni corrispondevano a segni, per chè il sito delle dette
costellazioni non è più quel che era al tempo deprimi osser vatori del cielo, a
causa della precessio ne , recessione , o retrocessione degli equinozi. Insegna
l'astronomia che i solstizi , gli equinozi e tutti gli altri punti della eclit
tica hanno un lento e continuo movi mento retrogrado da oriente in occiden te,
o sia dal segno dell'ariete verso il segno del pesci; sì che i punti equino
ziali son portati in dietro di circa cin - quanta secondi in ogni anno. Questo
è quel che gli astronomi chiamano preces sione degli equinozi, donde è nato,
che le costellazioni non si trovino ora da noi ne luoghi assegnati loro dagli
antichi astro nomi. Al tempo d'Ipparco i punti equi noziali erano affissi alle
prime stelle del l'ariete e della libra, ma questi segni non sono più ne punti
medesimi, e le stelle ch'erano allora in congiunzione col sole al tempo
dell'equinozio, trovansi ora un intero segno, o trenta gradi a levante di esso.
Così, la prima stella dell'ariete è oggi nella parte dell'eclittica detta Tau
ro, mentrechè la prima stella del toro sta nel gemini, essendosi questo avanzato
nel Carlo7°0, Gli equinozi avranno fatto la loro rivo luzione verso occidente,
e saran tornati all'ariete, e le costellazioni avranno fatto le rivoluzioni
loro verso oriente in 25816 anni, secondo Ticone; in 2592o secondo il Riccioli;
in 248oo secondo il Cassini, ed in 258o7 secondo Bessel. Gli antichi , e con
essi taluni del mo derni, han creduto immobili gli equinozi, ed hanno
attribuito il cambiamento di di stanza delle stelle, ad un movimento reale
delle stelle fisse, che supposero di avere una lenta rivoluzione intorno a poli
della eclittica, per modo che tutte le stelle nel tempo di 258oo anni avrebbero
fatto i loro giri nell'eclittica, o ne paralelli, e sarebbero tornate a loro
antichi siti. Cote sto periodo era da essi denominato l'anno grande o
platonico, all'arrivare del qua le ogni cosa ricominciar doveva un nuovo corso,
dopo essere tornata a quel che pri ma era. Newton ha dimostrato che la causa
della precessione degli equinozi nasce dalla larga sferoidal figura della
Terra, e dal la sua rotazione intorno al proprio asse. V. Terra. – 571 – ZoNA
(spec.), ciascuna delle cinque parti, in cui si divide la superficie della
Terra per mezzo de tropici e depolari, affine di distinguere le regioni calde,
fred de, e temperate. Queste zone, o fasce terminate da cer chi paralelii
furono dagli antichi fissate al numero di cinque : la torrida divisa in due
parti eguali dall'equatore, e ter minata da due tropici; le due temperate,
terminata ciascuna da uno de tropici, e da uno de'cerchi polari, e le due glacia
li, che comprendono i due segmenti del la superficie della Terra terminati,
l'uno dal cerchio polare artico, e l'altro dal cerchio polare antartico. Nota è
la descri zione fattane da Virgilio: Quinque tenenteoelum zonae, quarum una
corusco Semper sole rubens, et torrida semper ab igni; Quam circum ea tremae
deatralaevaquetrahuntur, Caerulea glacie concretae atque imbribus atris Has
inter mediampue duae mortalibus aegris Munere concessae dirim. (Georg I. v.
233). La ragione fisica di cotesta partizione sta nel moto annuale e diurno
della Ter ra; imperocchè descrivendo il sole nel suo corso apparente la linea
detta eclittica, la quale taglia l'equatore in due punti oppo sti, e forma una
declinazione di 23 gradi e 3o minuti, dee per necessità ora avvi cinarsi ed ora
allontanarsi dall'equatore; dal che nasce il cangiamento delle stagio ni,
prodotto principalmente dalla diffe renza del giorni e delle altezze del sole
sull'orizzonte, nelle parti della Terra sot toposte a ciascuna zona. Tutte le
cennate differenze possono essere spiegate dal cor so del sole, vario per
ognuna di esse. Nella torrida il sole passa al Zenit due volte nell'anno; e due
volte si allontana dall'equatore per una eguale distanza. Nei luoghi situati
sotto le zone temperate, e sotto le glaciali l'altezza del polo è sem pre
maggiore della distanza del sole dal l'equatore; il perchè gli abitanti non han
no mai il sole al loro zenit. Se le altezze meridiane del sole, osservate nello
stesso giorno in due luoghi diversi delle cennate zone, si paragonino tra loro,
il luogo di cui l'altezza meridiana sarà maggiore, sarà il più meridionale per
rispetto all'al tro. Nelle zone temperate il sole passa sem pre sotto
l'orizzonte, perchè la sua di stanza dal polo è sempre maggiore del l'altezza
dello stesso polo. Ne luoghi di queste zone, eccetto i giorni in cui il sole si
trova sull'equatore, tutti gli altri gior ni dell'anno son sempre disuguali, e
la disuguaglianza cresce a misura, che i sud detti luoghi son più vicini alle
zone gla ciali. Ne luoghi che separano le zone tem perate dalle glaciali, vale
a dire, sotto i cerchi polari, l'altezza del polo è uguale alla distanza del
sole dal polo, quando il sole è nel tropico estivo; il perchè i popoli i quali
abitano i detti luoghi, una volta l'anno, veggono il sole compiere il suo giro,
senza passare sotto l'orizzonte, ed un'altra volta lo veggono toccare in un sol
punto l'orizzonte, senza elevarsi su questo piano, quando il sole è nel tropico
iemale. Ne luoghi delle zone gla ciali, l'altezza del polo è maggiore della
minima distanza del sole dal polo stesso. E però, per più giorni, la distanza
del sole dal polo è minore dell'altezza del polo. Durante questo tempo, il sole
non sola mente non tramonta, ma non tocca l'oriz zonte. Ma quando comincia ad
allontanarsi dal polo per una distanza maggiore del l'altezza del polo, nasce
allora e tramonta ogni giorno, come nelle altre zone, e quan ne – 572 – do,
nell'inverno, si allontana anche più dal polo sino a che la sua distanza da que
sto punto sorpassa la differenza fra 18o gradi e l'altezza del polo, per più
giorni non sorge sull'orizzonte. Circa le differenze de giorni, declimi, delle
meteore, e del l'aspetto del cielo, vario per gli abitanti di ognuna delle
dette zone, vedi i geografi. ZooFiTo (spec.), nome di genere che comprende gli
animali, vermi, o polipi, i quali producono una sorta di arnia si mile ad un
fiore attaccato ad uno sterpo, di forma vegetale, il che gli fa denomi nare
animalfiore, o animal pianta. Cotesta classe, secondo le partizioni oggi
ricevute, suole comprendere tanto i vermi detti coralli, quanto le penne marine
e le numerose spezie di polipi, che i zoo logi suddividono secondo la diversità
dei loro caratteri più discernibili, come i po lipi a braccia, i ramosi, i
verdi, i gial li, quelli detti da mazzetto, gli ombrel lari ed altri. La
differenza caratteristica tra i coralli, e gli altri testè divisati, è che i
primi sembrano privi di facoltà lo comotiva, e restan sempre innicchiati in
quella materia petrosa, calcarea spatica, che propriamente dicesi corallo, e
dalla quale non mai si separano; laddove i se condi hanno il corpo nudo, e
possono cangiar di luogo a loro volontà. E questa l'infima classe degli
animali, che la natura ha messo a confine co ve getabili, e co quali hanno
grandissima analogia così per la semplicità dell'orga nismo, come per la loro
anomala e spon tanea riproduzione. Sono in somma l'ul timo anello della catena
degli Esseri sen sibili, il quale serve a dimostrare quella legge di continuità
che la natura ha se guito nell'ordine delle cose materiali, e che la filosofia
speculativa per analogia presuppone anche nell'ordine degli Esseri
intelligenti. V. Continuità, Polipo, Ri produzione. ZooFiToLoGIA (crit.), parte
della storia naturale, che tratta della classe degli ani mali, detti zoofiti, e
del caratteri diseer nitivi di ciascuna delle loro spezie. ZooGRAFIA (grec.
sup.), descrizione de gli animali, la quale non può supporsi divisa da quella
parte della storia naturale, che ne distingue le spezie, e ne espone le
proprietà caratteristiche di ognuna. ZooLoGIA (crit.), parte della storia na
turale, che descrive gli animali, rileva i caratteri distintivi di ciascuna
spezie, e per tal mezzo gli ordina e li classifica, onde facilitare alla
memoria la ricogni zione degl'individui insieme colla ritentiva de loro nomi; e
alla mente la contempla zione della immensa scala degli Esseri or ganici,
dotati di moto, di sentimento, e d'intelligenza. Sue parti sono l'Antropologia,
la Mam mologia, l'Ornitologia, l'Erpetologia, l'Ictiologia, la Conchigliologia,
l'Entomo logia, l'Elmintologia, e la Zooſitologia. V. queste voci. - La più
ampia o generica divisione dei corpi naturali, è quella che gli distingue in
corpi organici e inorganici. Da que sta prima divisione nasce l'altra degli or
ganici dotati di sola vita, e di quelli do tati di vita e di sentimento
insieme: gli uni forman parte del regno vegetale: gli altri, del regno animale,
che è il sug gello della zoologia. Lo studio di questa, come di tutte le altre
parti delle opere della natura esige – 575 – ordine e metodo, che è il solo
mezzo per lo quale possiamo rendere a noi possibile ed utile la conoscenza di
tutti gl'individui della natura. I zoologi per la formazione delle classi,
degli ordini, e delle famiglie degli animali, ricavano i caratteri distin tivi
di ciascuna spezie primamente dalla diversità della generazione vivipara o ovi
para, dalle differenze del sistema nervoso, in alcuni cerebro-spinale, in altri
gangli forme; dal colore o dalla diversa tempe ratura del sangue; e dagli
organi della respirazione, della nutrizione, o del moto. Ma molti di questi
organi che son mani festi, o discernibili nelle spezie degli ani mali
superiori, sono equivochi negl'infe riori, o sia nelle ultime spezie come quel
le degl'insetti, del vermi, e de zoofiti, il che ha dato e dà luogo a continue
mutazioni di ordinamenti e di sistemi. Il grande Linneo che abbracciò tutta la
na tura, e stabilì le fondamenta delle meto diche classificazioni di tutti gli
Esseri na turali, distribuì il regno animale nelle seguenti sei classi: Classe
I. Mammiferi, animali a san gue rosso caldo, vivipari, e poppanti. II. Uccelli,
animali a sangue rosso cal do, ovipari, rivestiti di piume o di penne. IlI.
Anfibi, o sieno i rettili e i serpenti, a sangue rosso freddo, respiranti per mez
zo del polmoni. IV. Pesci, animali a sangue rosso fred do, aspiranti per mezzo
delle branchie, e non del polmoni. V. Insetti, animali a sangue bianco freddo,
forniti di antenne alla testa e di organi di moto articolati e cornei. VI.
Vermi, animali a sangue bianco freddo, forniti il più delle volte di tasti
tentaculi, in luogo di antenne, e di or gani di moto non articolati. Dopo di
Linneo, il Fabricio, Latreille, Lamarck, Dumeril, Blainville, Cuvier, ed altri
Tedeschi Italiani ed Inglesi ec., hanno proposto nuove classificazioni, più o
meno modificative di quella testè espo sta, spezialmente a rispetto delle
quattro ultime classi; cercando ognuno di perfe zionare le sistematiche
ordinazioni de'ver mi e degl'insetti secondo i caratteri più manifesti del loro
organismo. V. questa VOCe. Rimettiamocene alla classificazione di Cuvier, il
quale divide tutti gli animali in quattro classi: Vertebrati. Molluschi.
Articolati. Radiati. Del resto l'immensità della natura è tale, che niuna
partizione può essere con siderata come definitiva, spezialmente a rispetto
delle varie classi del vermi e de gl'insetti, che sogliono oggidì compren dersi
sotto il nome di animali articolati. Quel che quì ne diciamo serve soltanto a
dare una idea della necessità ed utilità delle sistematiche ordinazioni, nelle
quali è fondato lo studio della storia naturale. Esse sono il frutto del
progressi che fa la notomia comparata, mediante le osserva zioni microscopiche.
Per quel che concerne il merito delle une più che delle altre, ri mandiamo i
nostri lettori all'egregia opera di Cuvier che ha per titolo: regno ani male
distribuito secondo il suo orga nismo, e agli articoli entomologia e zoo logia
del dizionario delle scienze naturali. Quel che desidereremmo nelle cennate
classificazioni è, che l'uomo vi fosse con siderato non solamente come un
ordine de mammiferi, ma come un Essere unico per le particolari attitudini del
suo orga – 57 1 – nismo, e spezialmente dei sensi, ognun de quali è stato dalla
natura predisposto all'esercizio delle sue facoltà intellettuali e morali. Gli
organi della visione, del l'udito, del tatto, dell'odorato, della voce; la
conformazione del suo viso, e degli stessi organi del moto hanno tali , e sì
strette relazioni colle funzioni della per cezione e della volontà, che da
essi, più che dalle membra comuni agli altri vivi pari, dovrebbero essere presi
i caratteri discernitivi della spezie umana. A forza di considerare l'uomo per
la sua mecca nica struttura, e come un oggetto della notomia comparata, i
fisiologisti han per duto di mira le superiori qualità di que sl'Essere, unico
per la sua conformazione, e dalla natura destinato ad essere il si gnore di
tutto il regno animale. Vorremmo in somma che l'antropologia formasse una parte
principale e non incidente della zoo logia. V. Antropologia. ZooToMIA (crit.),
notomia degli ani mali, dalla quale nasce lo studio della notomia comparata. V.
Anatomia. ZoTICHEzzA e ZoTico (prat.), qualità d'uomo di ruvida natura. È
proprio di quelli che non sono di rozzati dalla educazione, o che sprezzano
ogni civil convenienza. – 575 – CLASSI DE' VOCABOLI COMPRESI SOTTO LA LETTERA
Z. FILOSOFIA CRITICA, FILOSOFIA DISCORSIVA. Zooſitologia Zotomia Zeuma Zoologia
FILOSOFIA PRATICA. FILOSOFIA SPECULATIVA, Zelo Zotico Zotichezza e Zenit Zona
Zetetico Zooſito GRECISMI SUPERFLUI. Zodiaco Zoografia. – 577 – GI UN TE E C O
R R E Z I O N I, A Amirnone (prat.), viltà d'animo, che abbandona ogni sua
dignità. V. que sta VOCe. Dicesi tanto dell'eccesso della timidità, quanto del
difetto d'ogni sentimento di decoro e di onore. V. queste voci. ABILE e ABILITÀ
(spec.), qualità d'uomo ben disposto per natura, o per arte a fare uso delle
proprie facoltà. È più della semplice attitudine. V. que Sta VOCe. ABITo P.I.
pag. 1 col. 2 v. 2 necessa rio, leggi, involontario. AccENTo P.I. pag. 2 col. 2
v. 22 che distingue, leggi, la quale distingue. AccoNcio (prat.), vale adatto e
ben for mato per buona disposizione di parti ; il che dall'ordine delle cose
sensibili si tra sporta ancora all'attitudine morale, e alle opportunità
dell'azione. AccoRGIMENTO (spec.), sagacità nel ve dere le relazioni meno ovvie
delle cose. È più dell'avvedimento. V. questa voce. AccoRTEzzA (prat.),
l'accorgimento nel l'operare, e nel prevedere le difficoltà, AccuRATEzzA (
spec. disc. e prat. ), esattezza nell'investigare, nel descrivere, e
nell'operare. È men di diligenza, che presuppone l'abito. V. Diligenza. ACQUA
(spec.), fluido composto d'idro geno e di ossigeno, capace anche dello stato
solido, e dell'aeriforme o vaporoso. Noi consideriamo come suo stato natu rale
il fluido, tra perchè in tale stato trovasi diffuso nella maggior parte del
globo, e perchè in questa forma lo ha la natura renduto necessario alla vita e
agli usi de viventi, del quali il mondo è popolato. Del resto, la Fisica e la Chimica,
ne esaminano le qualità tanto nello stato di congelazione e di vapore, quanto
nello stato di composizione, in cui trovasi in tutti i corpi. V. Fluido, Gelo,
Vapore. ADDoME e ADDoMINE (spec.), basso ven tre o cavità del corpo dell'uomo,
e dei mammiferi, contenuta tra 'l diaframma, la spina dorsale, il bacino e i
muscoli del basso ventre, vestita internamente d'una membrana denominata
peritoneo. Nell'uomo e ne'mammiferi maschi l'ad domine, nella interna parte del
peritoneo, contiene lo stomaco, gl'intestini, il fegato, il pancreas e la
milza; mentrechè nella esterna parte della stessa membrana son posti i reni e
la vescica. Nelle femmine copre l'alto fondo della matrice, e dà ligamento alle
ovaie. - Gli anatomici dividono la faccia ante riore dell'addomine dell'uomo in
nove re 75 – 578 – gioni, disposte tre a tre, cioè: nel primo ordine
l'epigastrio, e a suoi lati gl'ipo condri: nel secondo la regione ombilicale
ov'è sito l'ombilico insieme co'due fianchi: nel terzo, o sia nella parte più
bassa, il pube e le due anguinaie, che unite insieme formano la regione
ipogastrica, distinta dalla lombare, la quale corrisponde alla faccia
posteriore. L'addomine dell'uomo è fornito este riormente di dieci muscoli, che
lo com primono per ogni parte, e servono non solamente ad aiutare il diaframma
e i muscoli delle costole nell'atto della respi razione, ma anche a favorire
l'emissione degli escrementi. Nella donna sono uno degl'instrumenti del parto.
V. Muscolo. AERIFORME (spee.), stato fluido elastico di molti corpi, i quali
pigliano la forma dell'aria. Tal è lo stato del gassi e del vapore, o sia
d'ogni fluido che dallo stato di li quidità può per l'azione del calorico pas
sare allo stato di vapore. V. Calorico, Gas, Vapore. AFELIo ( spec.), il punto
dell'orbita d'un pianeta, nel quale trovasi alla mag giore distanza dal sole.
Il suo contrapposto è perielio. V. que Sta Voce. AFFINITÀ P. I. pag. 6 col. 2
(ontol.), leggi, (spec.). AFFRoNTo (prat.), ingiuria fatta a ta luno
palesemente, e per lo più in pre : senza di altri. V'ha una gradazione di
diversi signifi cati tra l'affronto, l'insulto, l'oltraggio e l'onta. V. queste
voci. - AGENTE P. I. pag. 7 col. 1 (spec.), leggi, (spec. e prat.). AGEvoLE
(prat.), quel che è facile e comodo insieme. È un che più del facile, perchè
espri me non solamente la mancanza di diffi coltà, ma ancora una certa
opportunità o attitudine, la quale nasce dalla natura stessa della cosa, o
dall'arte. E però prende ancora il significato di mansueto, di trattabile, e
simili. V. Facile. AGGIUNTo P. I. pag. 7 col. 2 (spec.), leggi, (spec e prat.).
AGRARIO P.I. pag.7 col. 2 infine Meccani co, Chimico, leggi, Meccanica,
Chimica. ALBERo (spec.), pianta legnosa e pe. renne, di alta statura, e di cui
il fusto nudo alla base, è alla sua sommità co ronato di rami e di foglie.
Dagli alberi alle erbe (che vanno tutte comprese nel nome di piante) v'ha una
gradazione di grandezza e di forme, ed una tale indefinita varietà di accidenti
che dimostrano aver voluto la natura proce dere con quella stessa legge di continuità,
che si scorge nelle altre opere sue, ser vando il carattere della immensità nel
re gno vegetale come nell'animale e nel mi nerale. V. Erba, Pianta. Linneo, la
mente fatta dal Creatore per abbracciar tutta la natura, scelse per ca ratteri
di classificazione delle piante gli organi del sesso, e della riproduzione.
Jussieu, il cui sistema è ora seguito, ha preso per norma le parti costitutive
e ca ratteristiche de germi, chiaramente discer nibili ne'semi. Da questi nasce
la divisione di tutte le piante in due classi generali. – 579 – ll seme
d'ognuna contiene un embrione o piantolina, nella quale, quando lasciasi
distinguere dall'occhio dell'osservatore, apparisce un picciol fusto con
picciola ra dice, cui sono attaccate una, due, o più appendici, più o meno
grandi, delte co tiledoni, e che in realtà sono le foglie se minali
dell'embrione. Ora v'ha delle piante e degli alberi, di cui il germe o seme è
provveduto d'un solo cotiledone, e ve n'ha d'altri che ne han due o più, insino
a sette. Di qua la distinzione di piante mo nocotiledoni, dicotiledoni, e
policotile doni. E siccome la differenza maggiore, è tra quelli che ne hanno un
solo e gli altri che ne han due ; così per formare un giusto concetto della
cennata differenza basta ridurre a due i generi degli alberi a monocotiledoni,
e a dicotiledoni. I monocotiledoni son di più semplice organismo, e sono
ordinariamente spogliati di rami, avendo soltanto la cima coronata di foglie,
in mezzo alle quali nascono i fiori. Il fusto o stipite loro è cilindrico, vale
a dire egualmente grosso alla base e alla sommità, sì che sostengonsi in terra
a guisa di colonne. Colesto stipite tagliato trasversalmente presenta non già
strati o zone concentriche, come il fusto del di eotiledoni, ma un tessuto più
o meno morbido tramezzato di nodi compatti, più frequenti e vicini tra loro
verso la circon ferenza. Fatti dalla natura per vegetare nelle regioni di calda
temperatura, pro sperano soltanto sotto i tropici, e mediante cura di arte,
allignar possono nel climi temperati, rifiutati affatto i settentrionali. A
questo genere appartengono, talune spezie di aloe, di fucca, e di agave, che
han le ſoglie in forma di spade acule, e tutta la famiglia delle palme, tra le
quali il sagù, il dattero, il cocco ed altri. Ne dicotiledoni il fusto è
composto di strati concentrici, gli uni sovrapposti agli altri, i quali
appariscono come altrettante zone, quando sia trasversalmente tagliato.
Distinguesi nel centro una spezie di canale, che dicesi astuccio, o canale
midollare, intorno al quale vengono gli strati legnosi coperti da altri strati
che formano la cor teccia, le cui parti sono l'epidermide, l'inviluppo erbaceo,
e gli strati corti eali. Il fusto o stipite di tali alberi invece di essere
egualmente grosso in tutta la sua lunghezza, va sempre sminuendo dalla base
verso la sommità, sì che il diametro loro è più grande al piano della terra,
che in quella parte, d'onde escono e di vergono i rami: la cima loro è coronata
da una moltitudine di rami e ramoscelli, ora simmetricamente e ora irregolarmente
disposti, più o meno ricchi di foglie; nel che la varietà della natura è tale,
che non può essere descritta. I dicotiledoni vegetano in tutta la terra; se non
che v'ha tra essi ancora delle famiglie destinate a rivestire la terra d'una
più che d'un'altra zona. Lasciamo alla botanica e alla fitotomia lo spiegare
tutto il minuto organismo degli alberi, e il modo com'essi si sviluppano e si
riproducono. Vuolsi soltanto notare, che cotesto studio non è men bello, nè
meno utile al filosofo contemplator della matura, di quel che è lo studio della
no tomia e della fisiologia animale. Che anzi l'una dà lume all'altra, e
somministra mille analogie, per mezzo delle quali si possono portare alla
unità, molte delle ap parenti difformità de due organismi. Il seme delle piante
è l'uovo degli animali: la piantolina colla radice in filo e cosuoi cotiledoni,
è l'embrione dell'animale: il seme è un uovo covato in terra, perchè da questa
ricever dee quel nutrimento che r – 580 - non può più avere dalla pianta madre
che lo produsse. Ciò non ostante la natura ha fatto nel seme stesso della
pianta un pic ciolo serbatoio di umori, i quali provveder debbono a primi
bisogni della fecondazio ne. Il nocciuolo della mandorla racchiude una sostanza
simile al giallo dell'uovo, sopra della quale è riposta una vescichetta piena
d'un liquore trasparente, analogo all'albume: entrambi questi umori son de
stinati a nutrire l'embrione, che si trova nascoso nel frutto: l'esistenza
della pian tolina nel seme, e quella dell'embrione dell'uovo somministrarono il
maggiore de gli argomenti al sistema della preforma zione e della evoluzione.
Diremo ancora che formano la parte vera e fondamentale di quel sistema, quando
non si pretenda ridurlo ad un sistema unico e generale della natura, e quando
sia spogliato delle ipotesi metafisiche, di cui i suoi fautori lo rivestirono.
V. Pre formazione, Uovo. ALLEGREzzA (prat.) P.I. pag. 1o col. 2, aggiugni in
fine. uno de'quattro generi delle passioni secondo la dottrina degli stoici.V.
Passione. Più propriamente l'allegrezza va consi derata come un de segni che la
natura ci ha dato, nel linguaggio d'azione per espri mere il piacere; siccome
per contrario ci Iha dato la tristezza per segno ed espres sione del dolore.
Essa dunque non è altro che un indice o un segno dello stato del l'anima,
soddisfatta per lo possedimento del piacere, il quale stato si manifesta per
mezzo del riso e della ilarità del volto. V. Riso, Volto. ALLETTAMENTo (prat.),
il sentir cosa che desta piacere, e l'incitar taluno, con piacevoli modi e con
lusinghe, a fare checchessia. ALTEREzzA, ALTERIGIA e ALTIERo (prat.), qualità
d'uomo che estima soverchiamente se stesso, o vuol mostrare superiorità verso
degli altri. Dice men di orgoglio e di superbia. V. queste voci. AMBIZIONE
(prat.), smodata brama di potere e di onori. E la passione che più seduce gli
uomi ni, che non risparmia alcun mezzo anche illecito, e che mai non si
soddisfa. Corre dietro alla gloria con intempe ranza, ma non la consegue, o la
perde. AMORE (prat.) P.I. pag. 12 col. 1 dopo il primo verso aggiugni.
L'opinione è il principio motore delle passioni, perchè per essa apprendiamo il
bene e il male, e ci attacchiamo all'uno, ed evitiamo l'altro. Di qua l'amore e
l'av versione, i due sommi generi di tutte le passioni. L'allegrezza e la
tristezza, colle loro diverse gradazioni, sono i segni per mezzo del quali le
manifestiamo ; sì che queste son classi o generi di segni, e le passioni, son
le cose significate. V. Av versione, Gioia, Passione, Tristezza. ANALISI P. I.
pag. 12 col. 2 (disc.), leggi, (dise e crit.). – pag. 13 col. 2 v. 4 dovendo
ella ser virsi d'un, leggi, dovendo adoperare un. ANALITIco P. I. pag. 15 col.
1 (dise.), leggi, (disc. e crit.). ANALoGIA ( spec. e disc. ), relazione di
somiglianza tra due cose, tra due fatti, – 581 – o tra due pensieri, per altri
rispetti diversi tra loro. La conoscenza che acquistiamo per mez zo di tale
relazione, è sempre fondata nel la opinione e nella credenza ; il perchè
produce probabilità e verisimiglianza, e non certezza; bene inteso che può
produrre ancora certezza, quando le ragioni di so miglianza sieno fondate in
quel verisimile di natura, che de'essere equiparato al vero e al certo. V.
Verisimile. L'analogia può essere ricavata dal par ticolare al particolare, o
dal particolare all'universale. Nel primo caso è un argo mento comune logico,
che entra in tutti i giudizi che noi facciamo di cose incerte, quando vogliamo
trovarne la verità per congetture desunte dal simile: è anche il fondamento
della interpretazione delle opi nioni, e degl'incerti luoghi degli autori. Nel
secondo caso poi, cioè quando da una serie di più fatti particolari vogliamo
giu gnere alla generalità, l'analogia è l'in strumento della induzione. E
quando que sta ci conduce allo scoprimento d'una legge costante della natura,
allora si verifica che per l'analogia acquistasi certezza, e non semplice
verisimiglianza. V. Induzione. ANALogico (disc.), il concetto e il giu dizio
formato per mezzo dell'analogia. ANDRoGINo. V. Ermafrodito. ANDROIDE (spec.),
figura umana, che per via di segreti ordigni può fare talune opera zioni
esteriormente simili a quelle dell'uomo. È l'automato umano. V. Automato. ANIMA
(spec.) P. I. pag. 18 col. 1 v. 28 leggi, immateriale in luogo di spi rituale.
Ed in continuazione dello stesso ver so, aggiugni. Sebbene la sostanza
immateriale che dà loro la vita e il senso, sia generalmente chiamata anima de
bruti, pur tuttavolta la comunione del nome indur potrebbe l'idea di una
promiscuità di natura col l'anima umana, alla quale può essere assimilata per
le facoltà sensitive, e non per le intellettive. E però sembra più con veniente
denominarla senso interno, o facoltà sensitiva de'bruti.V. Senso, Sen sitivo.
ANIMALE (spec.) P. I. pag. 19 col. 2 dopo il verso 16, aggiugni. Gli animali
distinguonsi da vegetabili, non solamente per la vita sensitiva, ma ancora per
la qualità dell'organismo. Le piante si nutriscono e si riproducono per virtù
d'un corpo estraneo, al quale sono aderenti, come la terra o l'acqua; men
trechè gli animali elaborano essi stessi il proprio alimento, e son dotati
d'una virtù generativa, insita nel proprio essere: quelle sono immobili ed
attaccate al suolo: questi son capaci di moto volontario. A tale diversità di
funzioni corrisponde la differenza dell'organismo, che negli animali può dirsi
rappresentato dall'arti colazione. L'articolazione è quella, che fa d'ogni
animale una macchina mecca nicamente costruita, ed abile a qualunque spezie di
moto. Nel meccanismo di ognuna di esse stanno i tipi di tutte le arti, che
l'uomo imitando la natura ha adattato a bisogni, alla comodità, e all'ormato
della vita. Lo studio di queste ingegnose co struzioni è la via , che più
dirittamente conduce alla cognizione della infinita sa pienza del Creatore. V.
Articolazione, Organismo, – 582 – La natura è stata svariata ed immensa nelle
spezie e nelle forme degli animali, come ne vegetabili. La parte della storia
naturale che abbraccia il regno animale, è la zoologia. V. questa voce. ANNo
(spec.), misura del tempo, ri cavata dal moto della terra intorno al sole, o
dal giro della luna intorno alla terra. V. Misura, Tempo. Dal diverso tempo che
i due cennati pianeti impiegano nel compiere le loro pe. riodiche rivoluzioni,
nasce la differenza tra l'anno solare, e il lunare. Il perchè l'uno sia preferibile
all'altro; come l'anno lunare sia stato il primo di cui facessero uso le
antiche nazioni nella infanzia dell'astronomia; e quali sieno stati i diversi
anni civili stabiliti per isti tuti o per consuetudini del popoli, sono
argomenti propri della cronologia. ANOMALIA (spec. crit. e disc.), qua lunque
irregolarità, che è fuor delle or dinarie leggi della natura. È vocabolo che,
nel linguaggio d'ogni scienza o arte si applica a tutto quel che esce dalle
regole di ognuna di esse. Nella storia naturale, anomalia è ogni produzione,
nella quale non sono servate le regole comuni agl'individui della me desima
spezie, come i mostri. Nella fisica diamo lo stesso nome a quei fenomeni, i
quali appariscono a noi contrari alle or dinarie leggi della natura. Nella chimica
chiamansi allo stesso modo taluni effetti contraddittori, che producono le
stesse so stanze, messe in simili combinazioni. Nel l'astronomia si è dato il
medesimo nome alla distanza angolare d'un pianeta dall'asse maggiore della sua
orbita, o dal suo afelio, perchè questa distanza serve a determinare
l'inegualità del moto del pianeta, e a cal colarla ne diversi luoghi del suo
cammino. Nella medicina vien così denominato ogni sintoma strano ed insolito,
che l'arte non sa altrimenti spiegare, ed ogni inso lito effetto che produca un
rimedio: quel la è detta anomalia fisiologica, e questa terapeutica. Nella
grammatica finalmente dicesi ano malia così la difformità delle coniugazioni e
declinazioni introdotte dall'uso, come la diversità delle terminazioni de casi
obliqui e de modi del verbi, adottate anche dal l'uso, fuori delle regole della
derivazione. ANTIvEDIMENTo (spec.), virtù che l'in termo senso dell'animo ha di
vedere nel l'avvenire, per le relazioni che le cose future hanno colle presenti
o colle passate. E una naturale prerogativa della ragio ne, la quale instrutta
per l'esperienza, conosce innanzi tempo gli effetti, che ne cessariamente
debbono nascere dalle cause presenti. Di tale facoltà fa ella uso ancora per
presentire il verisimile, che per ana logia deduce da fatti simili; ond'è che
l'antivedimento è il mezzo o l'instrumento dell'arte del congetturare le cose
che pro babilmente e verisimilmente potranno av venire. Ed una tal facoltà
applicata a pra tici portamenti della vita, è il fondamento della prudenza. V.
questa voce. ApocÈo (spec.), il punto dell'orbita del sole, o d'un pianeta,
allorchè è alla mag giore distanza dalla terra. Suo contrapposto è perigèo.V.
questa voce. A PRIORI. V. Priore. ARIA (spec.), sostanza fluida traspa rente,
elastica, ponderabile e dilatabile, – 585 – che da ogni parte circonda il globo
terre stre e costituisce la sua atmosfera. V. que Sta VOCe. Per lungo tempo il
nome aria si è dato a tutti i fluidi elastici, e per distinguergli tra loro,
davasi a ciascun di essi un epi teto preso dalle sue caratteristiche qualità.
Quello che ci circonda da per ogni dove prendeva la denominazione di
atmosferica. Ora tutti gli altri fluidi elastici o aeriformi prendono un nome
comune, che è quello di gas o di vapore. V. queste voci. Per lunghissimo tempo
ancora l'aria si è creduto un elemento, o sia una sostanza semplice, ma la
chimica alla perfine ha scoverto essere fluido composto di due di versi gas,
l'ossigeno cioè e l'azoto, co'quali entrano ordinariamente in composizione
anche il vapore acquoso e l'acido carbonico. L'aria è fluida, perchè tutte le
sue par ti, per picciole e impercettibili che sieno, muovonsi tutte, le une
independenti dalle altre; è trasparente, perchè a traverso di essa scorgiamo
gli obbieti più lontani, e per tal qualità assorbisce tanta maggior quantità di
luce, quanto più grande è la sua massa; è grave, siccome dimostrasi per lo
sperimento del Torricelli. Cotesto sperimento consiste in questo, che si em pie
di mercurio un tubo di vetro di circa otto decimetri di lunghezza (trenta
pollici) e si suggella ermeticamente ad una delle sue estremità, tenendo
l'altra chiusa col dito. Immergendo indi il tubo in un vaso pieno di mercurio e
togliendo il dito, il mercurio contenuto nel tubo non esce tutto, ma resta a
circa settantasei centimetri (ven totto pollici) sopra il livello del vaso. La
pressione che l'aria esercita d'alto in basso sulla superficie del vaso
bilancia la gra vità della colonna di mercurio, l'effetto della quale
succedendo ancora d'alto in basso si trasmette lateralmente alle porzioni di
mercurio, che circondano la bocca in feriore del tubo; dapoichè è proprietà dei
fluidi, che la pressione esercitata sopra una delle loro parti si propaghi
egualmente e per ogni verso a tutte le altre. Se si aprisse l'estremità
superiore del tubo, il mercurio contenutovi, spinto immediatamente dalla
colonna dell'aria che verticalmente gli corrisponde, ricaderebbe interamente
nel vaso. L'aria è elastica, perchè cede a qualunque pressione restringendo il
suo volume, che ripiglia non prima che la pressione cessi; siccome manifesto
appari sce dal comune sperimento d'una vescica piena d'aria, esattamente
chiusa, la quale cede alla compressione, ma resiste alla forza comprimente, e
tolta questa ritorna al volume primitivo. È ponderabile, mes so in paragone il
suo peso specifico con quello dell'acqua distillata, siccome i ſisi ci han
dimostrato. Attenendoci agli ulti mi sperimenti di Biot e di Arago, il peso
dell'aria atmosferica asciutta, alla tempe ratura del ghiaccio che si fonde, e
sotto la pressione di 28 pollici o 76 centimetri (cioè quando il termometro
segna 0 e il barometro 0."76) è a volume uguale '/ e di quello dell'acqua
distillata. L'aria in fine è dilatabile insino all'indefinito, dac chè per
effetto della pressione della co lonna dell'aria superiore e per una con
seguenza della sua fluidità tende ad oc cupare uno spazio sempre maggiore. Di
ciò fa manifesta pruova la macchina pneu matica del Guérike per la quale si per
viene a ridurre quasi a zero l'aria con tenuta in un dato recipiente, per via
di reiterate dilatazioni del suo volume. I fisici dimostrano, che la forza
espansiva del l'aria è tale, che togliendo ad un tratto la forza compressiva,
può senza alcuna in – 584 – tervenzione del calorico, occupare in certi casi uno
spazio tredici o quattordici mila volte maggiore del suo spazio primitivo. Da
ultimo l'aria rifrange e riflette la luce. Per la prima di queste proprietà noi
vediamo gli astri in un luogo diverso da quello che occupano realmente nel
cielo, e sempre più elevati nell'orizzonte; la se conda dà origine al
crepuscolo, che è quella luce che precede in oriente, o se gue in occidente la
presenza del sole, e ci viene dagli altri strati dell'atmosfera, i quali la
ricevono direttamente dal sole e la riflettono a noi facendo ufficio di
specchio. Se la Terra non fosse circon data dall'atmosfera, noi passeremmo di
salto dalla notte buia al giorno chiaro. Queste sono le principali qualità
dell'a- ria, delle quali gli effetti entrano nel moto di tutti i corpi, ne
fenomeni dell'atmo sfera, nella vegetazione delle piante, nella respirazione e
nella vita di tutti gli ani mali. Qual'è la sua natura? L'ignoriamo! La chimica
ha trovato ch'essa è un com posto di due sostanze, l'ossigeno e l'azoto; ma lo
stesso mistero passa dal composto a componenti. Che sono cotesti gassi, che la
chimica chiama principi immediati? So mo gli ultimi termini delle nostre
analisi! Della essenza dunque di questo fluido che ci circonda e nel quale
respiriamo e vi viamo, non possiamo dire altro di quel che ne disse Cicerone
est animabilis, spi rabilisque natura, cui nomen est air. V. Essenza,
Principio. ARINGA (disc.), diceria, o ragiona mento publico. È nome che indica
la publicità, men trechè l'orazione è propria del discorsi studiati, comechè
recitati non fossero. V. Orazione, ARINGo (prat. e disc.), impresa qua lunque,
Seggio o luogo donde taluno arringhi, Discorso publico, nel quale ultimo si
gnificato è lo stesso che aringa. Ma non si vede la ragione per la quale,
avendo la lingua una terminazione propria per lo discorso publicamente tenuto,
debba am mettere un vocabolo androgino per espri mere la medesima idea. ARMONIA
P. I. pag. 32 col. 1 (spec.), leggi, (spec. e disc. ). Dopo il quarto verso
aggiugni: La esatta definizione dell'armonia ci vien da Platone: « l'ordine
della voce, egli disse, per rispetto alla mescolanza dei gravi e degli acuti,
si chiami armonia» (de legib. l. II. ). Differisce dalla melodia, che racchiude
l'idea della soavità proccurata dallo studio e dall'arte. V. Melodia, Musica.
ARTIcoLATo (spec. e crit.), composto di membri, ciascun de'quali ha moto di
stinto dall'altro. Nella zoologia è nome di classe, e com prende quegl'insetti
il corpo de'quali è diviso in più porzioni, che possono muo versi le une sopra
le altre. V. Zoologia. ARTIcoLazioNE (spec.), l'unione delle ossa congegnata
nel corpi animali, per produrre il moto. I fisiologi ne distinguono diverse
sorte, secondo i vari modi usati dalla natura per commettere insieme le ossa, e
per fare che il moto delle une secondasse quello delle altre. La prima è la
congiuntura immobile, o sinartrosi che suddividesi in cinque spezie: la sutura,
quando le ossa piane sono unite per le margini loro: – 58no - la dentata,
quando le due ossa sono in castrate per prominenze ed incavi scambie voli:
l'armonica, quando le due ossa si toccano, senza che l'uno intacchi o copra
l'altro: la scagliosa, quando le margini sottili delle ossa si posano l'una
sull'altra: la composta, quando le parti simili en trano a due e a tre, le une
nelle altre. La gonfosi poi è quando un osso entra profondamente in un altro, a
guisa d'un chiodo confitto in un asse ; il che corri sponde a denti confitti
nelle mascelle. La seconda è la congiuntura semimo bile o anfiartrosi, la quale
avviene, o per ligamenti cartilaginosi, nel quale caso chiamasi sinfisi come
quello delle ossa del pube; o per mezzo d'una vera cartila gine, quale sarebbe
la commettitura del la prima costola collo sterno, e de pezzi sternali tra
loro, detta sincondrosi. La terza è la congiuntura mobile, la quale suddividesi
ancora in altre cinque spezie: 1.º l'articolazion serrata, che ri chiede uno
sforzo, onde possa esser messa in moto, come quella delle ossa decorpi: 2.º la
rotazione, quando un osso gira sul suo asse, come quello che il radio fa col
cubito, o la prima vertebra colla se conda: 3.º il ginglimo, quando le faccette
articolari, avendo più aggetti e cavità, debbono muoversi in un senso solo,
come nell'articolazione del cubito coll'omero : 4.º l'artrodia, quando le
faccette artico lari delle ossa, essendo porzioni sferiche e poco profonde,
ammettono per un verso solo il moto; il che è il caso della congiun tura
dell'omero coll'omoplato: 5.º l'enar trosi, quando le faccette sferiche son più
profonde che nell'artrodio, per modo che la parte convessa d'un osso è chiusa
nella concava dell'altro, come nell'articolazione del femore coll'innominato.
L'articolazione è la parte dell'organismo animale, che racchiude più meccanici
tro vati, e che ha aperto la mente dell'uomo alla invenzione delle macchine. La
fisiologia ce ne dà la descrizione, ei nomi. La filoso fia ne contempla
l'origine e l'autore. Esami miamola in talune delle sue parti principali. I. Il
capo fa due movimenti, uno retto, l'altro circolare. Esercita il moto retto,
per effetto della sua articolazione a ginglimo angolare colla vertebra atlante.
Esercita il movimento circolare per mezzo d'un mec canismo, o congiunzione del
capo, non colla prima ma colla seconda delle verte bre del collo. Cotesta
seconda vertebra ha un'apofisi, o prominenza simile ad un dente, che entra in
una cavità della pri ma, e le serve di sostegno, acciocchè possa il capo insiem
con esso muoversi in giro. Ciascuno de due cennati movimenti è li bero e
compiuto, senza che l'uno sia d'im pedimento all'altro. Ed è notabile, che l'au
tor di questa macchina ha così disposto il movimento delle vertebre, acciocchè
la pri ma potesse muoversi soltanto a destra e a sinistra, e non avanti o
indietro; dapoichè ha voluto evitare che l'apofisi della seconda vertebra, la
qual serve di punto d'appog gio alla prima nel moto circolare, non comprimesse
la midolla spinale.V. Midolla. II. L'antibraccio ha pure due movi menti, uno
oscillatorio o reciproco, e l'altro rotatorio : il primo si esegue pie gando ed
estendendo il braccio: il se condo voltando la palma della mano in sopra o in
sotto. Per ambedue i movi menti, il braccio è formato di due ossa, l'uno vicino
all'altro, i quali toccansi sol tanto agli estremi loro: quello denomi nato
cubito, che si articola insiem col l'osso del braccio detto omero: questo,
detto radio che si articola col polso della 71 – 586 - mano. Semprechè noi
voltiamo la pal- i quali si estendono lungo il tronco umano, ma della mano in
sopra, il radio gira sul cubito per mezzo d'una cavità prati cata in uno de due
ossi , il quale corri sponde ad uno sporto dell'altro. Se l'ar ticolazione di
ambedue gli ossi dell'anti braccio si fosse fatta coll'omero, o col solo polso,
mancato sarebbe il movimento rotatorio: acciocchè potesse questo movi mento
ottenersi, faceva uopo, che cia scuno de due ossi fosse libero ad uno de' suoi
estremi. A tal modo si possono in pari tempo eseguire ambedue i cennati
movimenti: l'osso maggiore dell'antibrac cio può fare il movimento oscillatorio
sul l'articolazione del gomito, mentrechè l'osso più picciolo gira la mano
intorno al cu bito: in vicinanza del gomito trovasi una protuberanza del radio,
la quale corrispon de ad una cavità del cubito; e per l'oppo sito, vicino al
polso una protuberanza del cubito corrisponde ad una cavità del radio. lII. La
spina dorsale, o la colonna ver tebrale è una ingegnosissima catena di ar
ticolazioni. Acciocchè cotesto strumento po tesse adempiere funzioni non
solamente di verse, ma in certo modo contrarie; con veniva, che fosse ad un
tempo solida e flessibile: solida per potere sostenere il corpo nella posizione
verticale: flessibile per potersi prestare a tutti i movimenti che facciamo
d'avanti, di dietro, o da lati; bisognava che protegesse la midolla spi male, e
la garentisse da qualunque ca suale pressione, dacchè il più picciolo mal
trattamento inſeritole, seco porta paralisi e morte; faceva uopo infine che
servisse di passaggio a nervi, i quali estendendosi per l'intera lunghezza di
questa colonna ossea, si ramificano poi per tutte le altre parti del corpo; che
somministrasse una serie continua di punti di congiunzione a muscoli, e
servisse di base alla inserzione delle coste. Per conseguire tutti gl'indicati
fini, ecco i mezzi adoperati dall'autor della macchina umana. Ventiquattro ossa
spugnose so prapposte le une alle altre, toccansi per le loro larghe basi;
larghezza necessaria per assicurare la solidità della colonna. La porosità di
queste ossa le rende leg giere; ed il numero loro, moltiplicando le
articolazioni, rende la spina flessibile, ma a diversi gradi, per servire a
vari bisogni del moto del corpo; più pieghe vole alla parte inferiore de reni,
meno alle spalle, e più d'ogni altra parte alle vertebre del collo. Ognuno
deventiquattro ossi è forato nel mezzo, per dare passaggio alla sostanza
midollare, per modo che tutti insieme formano un canal continuo e non
interrotto. Ma come fare, che nelle varie piegature del corpo le vertebre non
s'in crociino, e non producano una pressione pericolosa per la midolla spinale?
Una sostanza cartilaginosa, eminentemente ela stica, è stata interposta tra una
vertebra e l'altra; ed acciocchè non ne avvenisse apertura di sorte alcuna, le
vertebre strin gonsi dalla parte dove la spina si piega, e si rigonfiano dalla
opposta parte; donde segue ancora, che la flessione quantunque considerevole
nella totalità della colonna vertebrale, diviene appena sensibile da un osso
all'altro. E siccome la flessione in avanti esser doveva più frequente della
piegatura indietro; così le cartilagini hanno ricevuto una spessezza da quel
lato, mag giore che da questo, in guisa tale che le basi delle vertebre son più
paralelle tra loro quando il corpo piegasi in avanti, che nella sua posizione
verticale. Per lo passaggio poi denervi lungo la spina, ogni vertebra ha due
incavi all'orlo – 587 – superiore, e altrettanti all'inferiore. Cotesti incavi
simmetricamente disposti corrispon donsi tra una vertebra e l'altra, per modo
che due incavi uniti insieme formano un forellino, il quale dà passaggio ad un
nervo. I nervi escono a paia, e suddivi donsi nelle ramificazioni, le quali
span donsi per tutte le parti del corpo. Ed ac ciocchè la spina dorsale
somministrasse un punto di appoggio a muscoli e alle coste che sono ad esse
attaccate, lo stesso autor della macchina ha dato loro una forma adattata
all'una e all'altra funzione. La loro superficie anteriore, la quale corri
sponde alla capacità del petto, e del bas so ventre è levigata, dapoichè qualun
que scabrosità avrebbe potuto incomodare le funzioni delle viscere ; e per
contra rio le stesse vertebre dalla parte posteriore e da' lati sono coverte di
apofisi prolun gate, alle quali sono legati i muscoli ne cessari a movimenti
del tronco: tali lega ture son disposte per modo che si conse guono ad un tempo
due importanti fini, cioè che i muscoli sieno subordinati alle ossa, e che i
tendini degli stessi muscoli servano a consolidare la struttura della colonna,
e a ritenere fortemente ogni ver tebra nel suo luogo. Non finiscono quì le
previdenze della natura, per assicurare le diverse funzioni della colonna vertebra
le. La sua struttura avrebbe potuto esporla al pericolo delle lussazioni, per
evitar le quali ha ella disposto le apofisi per modo, che articolassero
insieme, e che per gl'in crociamenti delle loro proiezioni, non po tesse mai
alcuna vertebra uscire dal suo luogo. Laonde un colpo violento potrebbe rompere
la colonna dorsale, e non mai produrre in essa una lussazione. E nella parte
della stessa colonna, cui sono attac cate le coste, maggiore è stato il suo an
fivedimento, dapoichè ognuna di queste è attaccata a due vertebre, e alla carti
lagine che la separa. Col fine d'impedire che una forza esterna potesse
disunire le vertebre agendo nella direzione longitudi nale, la colonna è stata
foderata e raffor zata da una membrana molto spessa, la quale ricorre per tutta
la sua lunghezza. Nella maggior parte de quadrupedi la strut tura della spina
dorsale è analoga a quella dell'uomo, ma nella famiglia deserpenti v'ha la
seguente notabile varietà. Siccome cotesta spezie d'animali ha bisogno d'una
maggiore flessibilità, così la loro spina dorsale è composta di cento cinquanta
ver tebre, le quali corrispondono alle loro diverse articolazioni. IV. I nostri
polmoni dilatansi per la ispirazione dell'aria, e contraggonsi per la
respirazione, le quali contrarie opera zioni accrescono e diminuiscono la capa
cità del petto. Cotesto effetto è prodotto dalla disposizione delle ossa che lo
circo scrivono. Le coste invece di essere artico late ad angolo retto
collaspina, lo sono in una direzione alquanto discendente; d'onde segue che
tutto quel che tende ad avvicinarle all'angolo retto, aumenta la capacità del
petto, e fa avanzare lo ster no, operazione la quale succede in ogni
ispirazione. Se le coste fossero state arti colate ad angolo retto colla spina;
o se anche impiantate obliquamente, fossero state saldate nella colonna
vertebrale, la capacità del petto non avrebbe potuto rice vere alcun aumento. A
misura che le coste si elevano, il diaframma si abbassa, e da tal movimento
risulta un accrescimento di capacità di quarantadue pollici cubici, che è
immediatamente ripiena d'aria. In una ispirazione forzata entrar possono insino
a cento pollici di aria di più di quel , che ºr – 588 – ve n'ha nello stato di
abbassamento del le coste. Il torace è un mantice della più ingegnosa costruzione.
V. La rotella o patella (che è quell'osso rotondo, il quale rende ferma
l'articolazione del femore colla tibia), non somiglia ad alcun altro osso del
corpo umano, perchè è di una forma lenticolare, della gran dezza d'uno scudo o
ducato, coperto di una cartilagine. I forti tendini, che da una parte si
attaccano al femore e dall'al tra alla tibia, e del quali la funzione è di
portare avanti la gamba, passano a tra verso di quest'osso. Suo ufizio è il
proteg gere e coprire l'articolazione, impedendo che i tendini non sieno offesi
dall'urto dei corpi esteriori, siccome lo sarebbero stati sopra la protuberanza
del ginocchio: da esso ricevono ancora i muscoli erettori una maggior facilità
di moto, per la direzione che dà alla loro forza: non ha parte nel moto, perchè
isolato, nè si articola con altro osso, ma facilita e garentisce l'ar
ticolazione del muscoli: è molle e appena visibile nella infanzia: la sua
ossificazione si forma a poco a poco. VI. L'osso della coscia si articola colla
gamba per un meccanismo simile a quello di una cerniera, perchè entrambe debbon
sempre muoversi e piegarsi nello stesso piano. Ma l'osso della coscia nell'anca
si articola in un modo affatto diverso. Il fe more ha una testa, la quale entra
e gira liberamente in una cavità dell'osso del l'anca. Da ciò proviene che la
coscia è capace di più movimenti, non escluso quel di rotazione. Se la testa
del femore fosse posta in giù, e la cavità in su, vale a dire, se le due spezie
d'articolazione fos sero state messe all'opposto, la coscia si sarebbe mossa
soltanto in avanti, e inu tile sarebbe rimaso il moto rotatorio della gamba.
Per consolidare le articolazioni, una forte e densa membrana parte dal l'osso
recipiente e cinge l'osso entrante internandosi nella sua sostanza. Cotesta membrana
abbraccia la giuntura, e ne as sicura la solidità mantenendo le promi nenze
nelle corrispondenti cavità. Nelle più importanti articolazioni, e spezialmente
in quelle nelle quali una grande forza esten siva avrebbe potuto produrre uno
sloga mento, v'ha di più un forte legamento, corto e flessibile, attaccato da
una parte al capo dell'osso, e dall'altra al fondo della cavità. Nelle
articolazioni in forma di cerniera, i legamenti che cingono e ritengono nel suo
luogo l'inserzione del l'estremo dell'osso, sono sempre più forti a lati, che
nelle parti anteriori e poste riori, acciocchè le ossa non possano uscir fuori
dalla loro imboccatura. E nell'ar ticolazione del ginocchio, attesa l'impor
tanza e varietà demovimenti a quali è de stinata, due fortissimi legamenti sono
in crociati per modo, che non può lo slo gamento avvenire, se non quando si rom
pano i legamenti. Un diverso mezzo, ma collo stesso fine, è stato adoperato
nell'ar ticolazione del collo del piede. Le ossa della gamba han due apofisi,
le quali ser vono ad incassare l'osso del tarso, che con esse si articola. La
forma stessa di queste ossa indica il fine della loro costruzione, essendo
evidente che le due prominenze dalle quali sono terminate, son destinate a
contenere l'osso che ad esse si unisce, e per conseguente a prevenire gli
slogamenti. L'articolazione del braccio colla spalla, è come quella della
coscia coll'anca, e la sua solidità è del pari assicurata da un le gamento che
è fisso nel fondo della cavità, la quale per altro ha una minor profon dità,
dacchè i movimenti del braccio aver – 589 - debbono una estensione, una
prontezza, e una libertà maggiore di quelli della coscia. VII. Gli estremi
delle ossa nelle artico lazioni sono stati disposti non solamente per impedire,
per quanto è possibile, gli slogamenti e per rendere facile ogni sorta di
movimento, ma ancora per proteggere il passaggio del nervi, del tendini, e dei
vasi per le articolazioni. In fatti i nervi dell'antibraccio passano la
giuntura del gomito per un cammino coverlo, praticato tra due protuberanze
dell'osso. L'estremo inferiore del femore è solcato da una pro fonda
scannellatura, per la quale passano con ogni sicurezza i grandi vasi e i nervi
della gamba. Nell'articolazione della spalla osservasi sull'orlo della cavità
che riceve l'osso del braccio una picciola apertura coperta da membrana, per la
quale s'in sinuano i vasi sanguigni del braccio. Gli estremi delle ossa, e
l'interno delle cavità e delle cerniere son foderati di cartilagini molli ed
elastiche, le quali addolciscono gradatamente il giuoco delle articolazioni
senza consumo delle ossa. Il giuoco inoltre di tutte le articolazioni è
grandemente age volato da una mucilagine più emolliente e più untuosa dello
stesso oglio, dacchè presso a tutte le giunture l'autor della macchina ha
fissato delle glandule, le quali son destinate a separare dal sangue questo
necessario linimento, ed ha sospeso i ca nali secretori, contenuti in dilicati
filetti, a guisa d'una frangia nella cavità dell'ar ticolazione. L'uomo si è
gloriato della in venzione, per la quale si opera una in filtrazione continua
di oglio in una cassa nella quale è chiuso un meccanismo di ruote dentate. Qual
paragone colla mac china della natura, la quale fa di conti nuo filtrare nelle
articolazioni la sinovia, e la crea ella stessa a misura del bisogno? Ma qual'è
la macchina di umana costru zione, che regger potrebbe al continuo attrito di
sessant'anni e più, senza verun detrimento delle sue parti? Il liscio delle
cartilagini, che soffrono un vicendevole stropicciamento, e il continuo
rinnovamento della sinovia non bastano a spiegare que sta durata. Quel che può
spiegarla, è il più maraviglioso di tutti i fenomeni, l'as similazione,
proprietà delle costituzioni animali, la quale fa sì che le sostanze de corpi,
quali esse si sieno, incessante mente si riparino, si ristaurino, e si rin
novellino. Tante sublimi invenzioni accu mulate insieme nella costruzione del
corpo animale, sono una dimostrazione della infinita intelligenza del suo
Autore; e la durata di questa macchina, che da se stessa si ripara e si
rinnova, è una pruova par lante d'una provvidenza conservatrice, che conduce le
opere da se create al fine, cui le ha destinate. Noi vorremmo che lo studio di
tutte le scienze speculative e morali cominciasse dalla analisi e dalla
contemplazione del la fabbrica del corpo umano, unitamente all'analisi generale
dell'organismo, la più sublime di tutte le opere della creazione. V. Organismo.
ARTIFIzio (prat.), azione fatta con astu zia. V. questa voce. - AsPETTo
(prat.), pag. 36 col. 1 sog giugni: la sembianza della faccia e della parte
anteriore dell'uomo. Quantunque nel comune uso della lin gua si scambia col
volto, o sia con quella sembianza, dalla quale si argomentano gli affetti
dell'animo; pur tutta volta la sua etimologia gli dà per significato proprio la
vista della parte anteriore della persona, – 590 - AsPREzzA (dise. e prat.),
traslato del l'agro delle frutta, che si applica alla ru videzza del dire o
dell'operare, ed anche alla severità e al rigore. AssENTATORE (prat.),
latinismo che ha dato alla lingua un sinonimo di adulatore. V. Adulazione.
AssIMILAzioNE (spec.), l'operazione del la natura per la quale, ne vegetabili
come negli animali, il nutrimento si trasmuta in un succo simile alla sostanza
loro. È l'effetto dell'articolazione e dell'orga nismo. V. queste voci.
AssoLUTo P. I. pag. 39 col. 1 (ontol.), leggi, (ontol. e spec.). AsrRo (spec.),
nome generico di tutti i corpi celesti. Le osservazioni fatte intorno al corso
loro han fatto dividere gli astri in tre classi, cioè delle stelle fisse, delle
erranti o pianeti, e delle comete. Le prime risplen dono d'una luce propria, e
non cambiano di luogo, le une a rispetto delle altre, conservando sempre tra
loro le stesse di stanze: le seconde si rendono a noi visi bili per la luce che
imprestano dal sole, intorno al quale fanno un corso periodi co, descrivendo
ciascuno la propria orbi ta: le terze appariscono a noi per breve tempo, e dopo
essersi molto avvicinate al sole, se ne allontanano, descrivendo un'or bita molto
più allungata degli altri pianeti. V. Cometa, Pianeta, Stella. AsTRoNoMIA
(crit. e teol.), P. I. pag. 42 col. 2, dopo l'ultimo verso aggiugni:
L'astronomia per quel che concerne la spiegazione del fenomeni, e le teorie del
moto degli astri, è una scienza speciale che entra nella classe delle
fisico-matematiche; ma per quel che risguarda la contempla zione dell'ordine
dell'universo, è la scienza che ne contiene i più sublimi argomenti, e che più
si annoda colla teologia naturale. « Il considerare gli astri, dice il dot tor
Paley, dimostra la magnificenza delle operazioni d'un Creatore intelligente:
ele va l'anima ad una contemplazione della Divinità, più sublime di quella che
può somministrarne ogni altro suggetto, co mechè l'osservazione de corpi
celesti sia men facile di quella delle altre parti del la natura. Noi vediamo
nel cielo innume revoli punti luminosi, e dischi sfolgoreg gianti, i quali
riflettono la luce che rice vono; e da questi deduciamo una verità generale,
che è l'unità del disegno, dei rapporti, e della connessione delle varie parti
dell'universo. Ma noi vediamo i corpi celesti, isolati gli uni dagli altri, e
come corpi de'quali ignoriamo la composizione, il che presenta una maggiore
difficoltà per rispetto alle investigazioni che potremmo fare intorno alla loro
natura ». « Quel che dico della forma è comune ancora al moto loro, il quale si
esegue senza l'intervenzione di qualsivoglia ap parato sensibile. L'analogia
non può in alcun modo guidarci nella ricerca deprin cipi di tale moto. Le sfere
artifiziali che rappresentano il moto de corpi celesti non sono in alcuna
relazione col principi che lo regolano. Ma a me pare di ben discer nere la
causa finale della differenza, colla quale è stato disposto ed eseguito il moto
de corpi celesti: questi agiscono gli uni su gli altri, mentrechè i terrestri
agiscono e reagiscono reciprocamente per l'inter medio d'un fluido, o d'una
sostanza so lida. Conveniva che tra corpi celesti sin – 591 – tromettesse un
vacuo, libero da ogni ma- è stato fatto inutilmente. I bruti sono stati teria
inerte, di cui la presenza, produ cendo resistenza, avrebbe impedito il moto
loro. Cotesta differenza essenziale, qua lunque sia la ragione che noi possiamo
assegnarne, distrugge ogni analogia, e ci toglie il mezzo di ragionarne ». «
Ciò non ostante noi stessi dobbiamo essere maravigliati delle conoscenze che ab
biamo acquistato in astronomia. Un ani male confinato sulla superficie d'un pia
neta, in proporzione più picciolo di quel che è un insetto microscopico, a
rispetto dell'albero sul quale vive; questa picciola creatura curiosa ed
intraprendente, ha impiegato i sensi concessigli in grazia dei suoi giornalieri
bisogni, primamente ad ampliare la forza de suoi organi, mediante la
costruzione degl'instrumenti atti all'os servazione, ed indi ad investigare e
cono scere l'intero sistema del mondi, a quali il suo proprio pianeta
appartiene; cotesta picciola creatura ha determinato il sito, l'azion
reciproca, il cammino del globi immensi, che compongono l'universo; e lo ha
fatto con tal'esattezza ch'è divenuto capace di predire il punto del cielo, in
cui il tale o tale altro corpo celeste, dopo di ave re per secoli vagato nella
immensità dello spazio, troverassi in ogni punto del tempo futuro, e ciò colla
precisione non solamente del giorno o dell'ora, ma anche deprimi e desecondi
minuti. Qual'è più ammirabile, la costanza de'movimenti del diversi corpi
dell'immenso universo, o la perspicacia dell'uomo, che ne ha calcolato i
ritorni?» A che è data all'uomo la cognizione dell'ordine dell'universo, e
della infinita sapienza del suo Autore? Per qual fine si è Questi fatto
riconoscere dalla sua crea tura? Ogn'istinto ed ogni facoltà ci è stata data
per un fine, dacchè nelle opere del la natura, sì materiali che morali, nulla
messi in relazione colla terra da cui vivo no, e coll'uomo, cui obbediscono.
L'uomo è stato messo in relazione con Dio. Adun que queste due diverse spezie
di Esseri hanno una destinazione ed un fine diver so. La ragione umana limitata
in tutte le conoscenze che oltrepassano lo scopo della vita, corre poi tanto
innanzi nella cogni zione delle leggi della natura, che dalla immensità delle
sue opere acquista la no zione dell'infinito e degli attributi della Divi nità,
circoscrive il tempo, calcola il futuro, e segue le tracce della stessa ragione
divina. La causa finale dunque della intelligenza dell'uomo si trova in cielo,
e non in terra. AsTUZIA (prat.), l'operare con sotti gliezza d'intendimento sì
nelle cose buo ne, che nelle cattive. ATTo P. I. pag. 45 col. 2. v. 15 ogni essere
intelligente, leggi, ogni Essere intelligente. ATTRAZIONE P. I. pag. 46 col. 1
(ontol.), leggi, (spee.). ATTRIBUTo P. I. pag. 46 col. 2 (ontol. e disc.),
leggi, (spec. ontol. e disc.). AvARIZIA (prat.), disordinato amor di ricchezza.
È il vizio opposto alla liberalità. E sic come questa è la virtù fautrice della
civil società; così l'avarizia è il vizio, che la dis solve. Per contrario il
disinteresse (da'La tini abstinentia), è la principale delle vir tù publiche,
delle quali debbon essere fre giati gli uomini, che hanno imperio o potere
sopra degli altri. V. Disinteresse. Tra i vizi ha meritato il nome di sor dido,
perchè rende l'uomo intento a sod disfarlo, come il bruto vorace soddisfa la –
592 – fame; perchè nulla può appagarlo, di venendo più rabbioso, a misura che
più acquista di quel che desidera ; e final mente perchè isola l'uomo, e lo
rende straniero agli altrui bisogni e per con seguente ingiusto. Cicerone lo
considera come uno de morbi insanabili, quando la ragione non l'abbia a tempo
domato: permanet in venas, et inhaeret in vi. sceribus illud malum, exsistitgue
mor bus et aegrotalio: quae avelli invete rata non possunt. (Tusc. lib. IV. c.
XI.). Seneca imputa a due vizi la corruttela delle civili società: avaritia
atque luru ria dissociavere mortales. Differisce dalla cupidità, la quale ab
braccia ogni smodato desiderio di beni materiali. V. Cupidità. AusTERITÀ e
AusrERo (prat.), qualità d'uomo, che per proposito di virtù, e per tenacità di
principi è esatto osserva tore d'ogni benchè minima obligazione. È più della
severità e della rigidezza. V. queste voci. AutoMATo (spec.), macchina che ha
in se i principi del proprio moto. La storia delle arti fa noti i più famosi
automati costruiti da uomini meccanici , cominciando da Archita e terminando a
Vaucanson, che sorpassò tutti gli altri in maraviglie. A noi piace considerare
l'uomo stesso come un automa per rispello alle sue funzioni vitali, delle quali
è sola mente consapevole, senza cooperarvi. È questo un bel concetto del
Salvini, il quale dice: « Il nostro vivere che altro è, che un moto perpetuo
del cuore, per lo quale l'animale, quale automato no bilissimo, i suoi naturali
movimenti eser cita in varie e maravigliose guise ». Chi è stato l'ingegnoso
autor di questa mac china ? La ragion comune della umanità risponde: un
artefice eapace d impri mere il moto continuo, e di creare la vita / L'ateo ed
il materialista dice: il caso o la natura / V. queste voci. AvvEDIMENTo
(spec.), dote della sana ragione, la quale vede il vero nel suo naturale lume.
Differisce alquanto dall'accorgimento, che è dote di sagacità. AvvEDUTEzzA
(prat.), l'accorgimento nell'operare. V. Accorgimento, AvvENIMENTo (spec.),
fatto o successo non preveduto. Differisce per tanto dal caso, per quanto il
non prevedere è diverso dal non potere spiegare la ragione di ciò che avviene.
AvvERTENZA (spec. e prat.), divisamento della riflessione nel pensare o
nell'operare. AvvERTIMENTo (prat.), suggerimento o consiglio dato per
ammaestrare, o per ammonire alcuno. Pag. 51, 52 e 55. Togliere dalla lista de
vocaboli ontologici affinità, attrazione. Aggiugnere a vocaboli della filosofia
speculativa affinità, assoluto, attrazione, attributo: a quelli della filosofia
pratica agente, aggiunto: a quelli della filosofia critica analisi, analitico:
a quelli della discorsiva armonia. – 595 – IB Barosa (prat.), espressione di ar
dire e di presunzione nel parlare o nel l'esiger da altri qualche cosa. È un
sentimento, che può dimostrarsi colle parole, egualmente che co'segni del
volto, e spezialmente degli occhi, al che allude il detto di Dante: r Gli occhi
alla terra, e le ciglia avea rase D'ogni baldanza, e dicea ne' sospiri Chi m'ha
negato le dolenti case ? (Inf. C. VIII.). BALoRDAGGINE (prat.), qualità di
mente ottusa e inconsiderata. E men di sciocchezza. V. questa voce. BASTARDo.
V. Ibridismo. BENI P. I. pag. 61 col. 1 v. 7 i primi, leggi, questi. v. 8 i
secondi, leggi, quelli. BERNEsco (disc.), nome dato da noi alla poesia e allo
stile satirico giocoso, in onor del Berni, che fu esimio in questo genere di
poetare. V. Poesia. BIBLIOTECA (crit.), collezione di libri, e luogo dove
questi si ripongono, o collezione di estratti di opere antiche o moderne, o
catalogo biografico di autori, e di opere d'arte, di lettere o di scienze, o
giornale periodico, letterario e scien tifico. V. Giornale, Museo. BIoLoGIA
(crit.), P. I. pag. 62 col. 2 v. 1 da vocaboli precedenti, leggi, dal voca bolo
precedente. BONARIETÀ (prat.), P. I. pag. 63 col. 1 v. I senza malizia, leggi,
senza pre visione. BoTANICA P. I. pag. 63 col. 2 in fine V. Fitologia,
Vegetabile, leggi, V. Al bero, Erba, Filologia, Pianta, Vege tabile. BRONCHI
(spec.), canali e diramazioni dell'asprarteria, che si diffondono nepol moni.
V. queste voci. L'asprarteria comincia sotto la laringe, a livello della quinta
o sesta vertebra cer vicale; scende occupando la parte ante riore del collo, e
si divide verso la terza vertebra dorsale in due canali, che for mano i due
bronchi. Suddividesi il destro in tre rami, che scendono nel polmone destro; ed
il sinistro in due che vanno al sinistro. Son questi i rami detti bronchiali, i
quali diffondonsi nella sostanza polmo nare, e ne fanno parte. V. Polmone.
BRUTo (spec.), P. I. pag. 64 col. 2 in fine dell'articolo aggiugni. Gli animali
bruti sono e diconsi , Es seri irragionevoli, perchè privi della ra gione, o
dell'intelligenza. Hanno non pertanto sensi e sensazioni come noi, e son capaci
di sentimento, e di talune co noscenze di relazione, in parte simili a quelle
dell'uomo. Coteste qualità costitui scono la loro natura sensitiva, la qua le
solamente può venire in comparazione colla umana. L'anima non mai, perchè non
possiamo concepirla senza l'attributo della ragione e dell'intelligenza. Non
chia meremo dunque anima la sostanza imma 75; – 594 – teriale che dà loro vita
e senso , ma sì bene senso interno, e facoltà sensitiva. V. Anima, Sensitivo,
Senso. BURLARE ( prat. e dise. ), ingannar taluno per giuoco, o non fare e non
di re, per ischerzo, cose da senno. Differisce dal beffare e dallo scherni re,
che esprimono l'animo d'ingiuriare. V. Beffare, Scherno. BUssoLA (spec.),
strumento composto d'un ago magnetico sospeso liberamente sopra d'un perno,
acciocchè possa muo versi tutto all'intorno senza contrasto. L'ago calamitato
non si mantiene in differente in tutte le posizioni, nelle quali potrebbesi
fissare ogni altro ago comune, avendo acquistato, per la virtù magnetica, la
proprietà di dirigere costantemente i suoi estremi punti verso gli stessi punti
dell'orizzonte, o sia di rivolgergli verso i poli del mondo. Per effetto di
tale ten denza, quando sia sturbato dalla sua po sizione elettiva, l'ago
magnetico dopo un certo numero di oscillazioni, più o meno rapide, torna
costantemente a ripigliarla. V. Magnete, Polarità. Alla polarità dell'ago
magnetico è do vuta la scoperta della bussola nautica, la qual serve di guida a
naviganti, e mostra loro il polo, quando l'atmosfera ingombra di nuvole o di
nebbia toglie loro la vista del sole e delle stelle. La sperienza ha additato
ancora altri vantaggi che possono ritrarsi dalle proprietà degli aghi magne
tici nell'uso della navigazione, adattando a medesimi un cerchio sottilissimo
di car tone, di talco o di altra materia leggiera, il quale essendo tutto
frastagliato all'in torno, viene ad esser diviso in trentadue parti eguali, distinte
da altrettante punte, dette rombi. Di queste le quattro punte principali
indicano i punti cardinali del l'orizzonte, cioè il settentrione, il mez
zogiorno, l'oriente e l'occidente; e le altre i punti intermedi, formando tutti
la così detta rosa del venti. Per essa il noc chiero stabilisce il rombo nella
direzion del quale dee la nave camminare. Diversa dalla nautica è la bussola
degli agrimensori, nella quale l'ago calamitato è sospeso orizzontalmente sopra
un perno collocato nel centro d'un cerchio, diviso in 36o gradi, e questi in
altre parti sud divisi. La bussola è fissata sopra un piede sul quale può
girare in qualunque dire zione, conservando sempre la sua posizione
orizzontale: sopra un lato della scatola, nella quale è racchiuso, viene adattata
un'alidada, o tubo quadrangolare chiuso, destinato al passaggio del raggio
visuale, onde determinare gli angoli, che le dire zioni condotte dall'occhio
dell'osservatore agli oggetti lontani, fanno coll'ago ma gnetico e tra loro.
Diverse dall'una e dall'altra son le bus sole di declinazione o d'inclinazione,
le quali servono a misurare le deviazioni del l'ago magnetico dal vero
meridiano, e dalla linea orizzontale; deviazioni chia mate appunto declinazione
ed inclinazio ne, e che variano ne diversi luoghi della Terra. C Carra, V.
Magneſe. CALLIDITÀ (prat.), finezza d'ingegno ed accortezza così nello
speculare, come nell'operare. Prendesi tanto in buona, quanto in cat tiva
parte, come nella lingua latina, da cui l'abbiam tolto. E però nel sinistro
senso vale furberia e doloso artifizio; ond'è che Cicerone disse: scientia quae
est remota a justitia, calliditas potius, quam sapien tia est appellanda. (de
off lib. I. C. XIX). CALMA (prat.), stato di equilibrio degli affetti. È un
senso traslato dall'equilibrio dei venti e delle onde, delle quali è proprio.
CALoRE P. I. pag. 67 col. I v. 15 in definibile, d'una sensazione, leggi senza
la virgola, indefinibile d'una sensazione. col. 2 v. 12 prodotto, leggi,
prodotta. CALoRIco P. l. pag. 68 col. 2 (ontol. e spec.), leggi, (spec.).
CAPACITÀ pag. 71 col. 2 v. 5 qualche cosa che non abbiamo, leggi, le cono
scenze che non abbiamo. CAPELLo. V. Pelo. CAPILLARE (spec.), nome dato alle
estre mità delle arterie, divenute quasi imper cettibili per le loro moltiplici
divisioni; non che alle estremità delle vene che mediante le loro sottilissime
diramazioni, son messe in comunicazione con quelle. Taluni fisiologi han
creduto che i vasi detti capillari formassero un sistema inde pendente,
composto 1.º di minutissime arterie, comunicanti colle vene, 2.º di condotti
escretori, 3.º di vasi esalanti, 4.° di minutissime arterie o vene, conte nenti
sangue bianco; di che vedi gli ana tomici e i fisiologi, e sopratutto Mascagni.
Capillari chiamansi gli organi delle piante allungati in forma cilindrica, e
talmente tenui, che prendano la somi glianza d'un crine o d'un capello.
Capillari diconsi i tubi, che adopera l'idrostatica per dimostrare l'ascensione
e la depressione del fluidi per virtù dell'at trazione che le molecule de
fluidi eserci tano tra loro, e su corpi solidi che le toc cano. Capillari i
fenomeni che nascono da questa forza composta di attrazione. CAPILLARITÀ
(spee.), l'azione o la forza ch'esercitano i fluidi introdotti ne vasi o tubi
capillari. CARTILAGINE (spec.), sostanza bianca trasparente omogenea, di cui
molti or gani si compongono, e che forma il prin cipio delle ossa. V. Osso.
CAVILLAZIONE e CAVILLo (disc.), argo mento, che ha in se fallacia. I nostri
Italiani l'hanno scritto ancora gavillazione. CAUSA P. I. pag. 76 col. 2
(ontol.), leggi, (spee. e ontol.). pag. 78 col. 1 v. 6 accertarsi, leggi,
accertarci. CAUSALITÀ P. I. pag. 78 col. 1 (ontol.), leggi, (spee. e ontol.).
pag. 79 col. 1 v. 15 è una verità insita nell'animo, leggi, è una deduzione im
mediata dell'animo. º – 596 – CAUTELA e CAUTo (prat.), qualità di uomo che
opera con riflessione, onde an tivedere le conseguenze possibili, d'ogni suo
detto o fatto. Ahi quanto cauti gli uomini esser denno Presso a color che non
veggon pur l'opra, Ma per entro i pensier miran col senno. ( DANTE Inf. C. XVI.
). CELLULA (spec.), picciola cavità che nel tessuto organico degli animali si
forma da così detti globetti primitivi, e che vien considerato come un de' suoi
primi com ponenti. V. Globetto. CELLULARE (spec.), denominazione data al
tessuto animale molle, spugnoso, di colore bianchiccio, composto di laminette
disposte in forma di cellule o cellette. È risguardato come il tessuto più sem
plice, e il più universalmente sparso negli Esseri organici. I fisiologi lo
distinguono in due spezie, l'adiposo e l'areolare: la prima spezie è
internamente piena di ve scichette, le quali contengono un umore oleoso, che
alla temperatura del corpo umano è liquido, e alla temperatura ester ma divien
solido, e prende il nome di adipe o grasso: la seconda spezie poi è suddivisa
in due parti, delle quali una è indipendente dagli organi e serve sol tanto a
riempiere le parti vacue che son tra essi, e l'altra avvolge gli organi stessi,
e penetra nella loro sostanza. La prima di queste due parti è quella che dà
forma al corpo umano, per modo che se potes sero estrarsi gli organi senza
lacerare la superficie continua del tessuto, nel quale essi son posti, noi lo
vedremmo come una crosta, divisa in tanti compartimenti, quanti sono gli organi
stessi. Dalla mag giore o minor quantità di questa parte del tessuto cellulare
dipende la varia fisiono mia dell'uomo; e però, quando quella si sminuisca per
malattia, o per altra causa, ne avviene che la fisionomia stessa si al teri e
si cangi anche insino al segno di non essere più riconosciuta. L'altra parte
del tessuto areolare, che somministra ad ogni organo una mem brana, forma
intorno ad essi, giusta il detto di Bordeau, una spezie di atmosfe ra, che
circoscrive l'azione loro, ed im pedisce che le malattie dalle quali ogni
organo può essere attaccato, non si co munichino a vicini. Tali membrane da una
parte formano una continuazione del tessuto cellulare comune, e dall'altra le
gansi a quelle che occupano l'interno de gli organi, presentando ciascuna una
di versa disposizione, secondo la forma del l'organo che avviluppano. Quanto
poi al tessuto cellulare che in ternasi negli organi, varia pur è la sua
disposizione. Ne muscoli avviluppa così i fasci, de quali son questi composti,
come i fascetti e le fibre che ne formano la prima composizione. Lo stesso fa
nelle glandule per rispetto a lobi e agli acini, da cui son esse formate; e
negli organi membranosi s'insinua tra i loro diversi strati. Cotesto tessuto è
capace di contra zione, ma nello stato sano è privo di sen sibilità apparente,
ed è dotato di molta forza plastica, dapoichè distrutto presta mente si
riproduce. Serve, come già di cemmo, a determinare la forma delle va rie parti,
ad unirle insieme, a facilitarne i movimenti, e a mantenerle nel proprio sito.
È l'organo dell'esalazione, contiene del siero, e serve d'intermedio tra le
estre mità arteriose, e la sorgente del vasi as sorbenti. È il primo a formarsi
nell'em – 597 – brione, e in quello stato è liquido ed ab bondante. Nel suo
secondo stato scema di quantità ed acquista maggiore consistenza, a misura che
gli organi si sviluppano. Ne vecchi diviene più denso e quasi fibroso,
Considerate le sue varie proprietà e la sua estensione, sembra probabile
l'opinione di que fisiologi, che lo danno come il tessuto primitivo, nel quale
si depongono i vari principi immediati, che servono a formare i tessuti
secondari, e gli organi stessi.V. Fi bra, Glandula, Membrana, Organismo.
CEREBRo P. I. pag. 79 col. 2 v. 31 co noscere le proprietà, leggi, distinguere
le proprietà. CHILo (spec.), succo nel quale gli ali menti si convertono nel
duodeno per opera d'una seconda digestione. V. Stomaco. Cotesto succo è
l'effetto di una seconda elaborazione, cui la massa alimentare è soggetta, dopo
la prima già fatta nel ven tricolo, denominata chimo. Gli alimenti convertiti
in chimo, passano nell'intestino tenue, dove mescolandosi col sugo pan creatico
e colla bile, acquistano la qualità nutritiva, e sono da vasi chiliferi, e dal
condotto toracico portati nel sangue. La parte del chimo, che nella
purificazione del chilo, è rigettata come inutile alla nu trizione, passa nel
grosso intestino, d'onde esce fuori del corpo degli animali in forma di
escrementi solidi, o gassosi. V. Chimo. È questa la maravigliosa operazione del
l'assimilazione, per la quale le sostanze estranee si convertono in un prodotto
si mile alla materia organica ed articolata. V. Articolazione, Assimilazione.
Invano la chimica animale si affatica di conoscere la natura del prodotto assi
milato. Ne esamina le qualità esterne, lo sottopone ad analisi, ne separa
diverse parti che distingue con diversi nomi; cerca di conoscerne gl'immediati
componenti, ma rimane sempre nel dubbio, se questi componenti, che denomina
fibrina , al bumina, ematosina sieno i principi im mediati delle sostanze
alimentari, o nuove combinazioni prodotte dalla elaborazione che hannoesse
sofferto negli organi animali. CHIMo (spec.), la massa degli alimenti macinati
in bocca degli animali, e spezial mente de mammiferi, imbevuti di saliva e di
mucco, i quali passando per l'esofago penetrano nel ventricolo, e ivi si mesco
lano cosughi che sono in quello contenuti. Cotesta massa diviene in breve una
spe zie di polta, più o meno omogenea, se condo che gli alimenti sono stati più
o meno divisi, o son più o meno capaci di essere digeriti. Dalla seconda
elaborazione ch'essa riceve nasce il succo nutrimentale degli animali, detto
chilo. V. questa voce. CIELo P. I. pag. 86 col. 2 (spec. teol. e erit.), leggi,
(spec. e teol.). CIRCOLAZIONE (spec.), il moto del fluido nutritivo, che negli
animali e ne vegetali penetra per tutti gli organi, e ritorna sempre a punti da
quali è partito. Ne vegetali la circolazione del fluido nu tritivo avviene in
un modo più semplice ed uniforme; laddove negli animali riceve la legge dal diverso
loro organismo. Quantunque in un corpo vivente tutti gli umori sieno in un moto
continuo, e in questo moto consista la vita; pur tutta volta questo vocabolo
spezialmente dinota il moto del fluido essenziale, il sangue, che dal primo
momento del concepimento insino alla morte muovesi senza alcuna – 598 -
interruzione, a tal segno che la circola- e per apparenze diverse: i vasi
linfatici zione è l'ultimo segno della vita, e il solo che spesse volte dura
per breve tempo, quando tutti gli altri son cessati. Tra gli animali, la
circolazione è di versamente regolata dalla natura, secondo la maggiore o minor
semplicità della loro struttura. Negli animali inferiori v'ha un sistema
vascolare semplice, che riceve da una comune sorgente il sangue, e a quella il riconduce;
laddove negli animali d'un ordine superiore i sistemi circolatori son molti, e
tra loro si comunicano e s'in crociano. Ne mammiferi, ne quali è più
complicato, gli organi della circolazione sono il cuore, le arterie, le vene, i
vasi linfatici e i vasi capillari. V. queste voci. Prendendo a considerare la
circolazione nel suo principio, il fluido nutritivo estratto dagli alimenti
entra nelle vene nelle quali riceve una prima modificazione; passa indi dalle
vene nelle arterie polmonari per sog giacere alla influenza dell'aria
atmosferica; percorre di poi un altro sistema di vasi, che sono le arterie, e
giugne alle loro estremità capillari, dalle quali rientra nelle estremità
capillari venose, per rinnovarsi col nuovo fluido nutritivo, che in queste di
continuo si rifonde. La fisiologia fece certamente la maggiore delle sue
scoverte allorchè venne a cono scere la circolazione del sangue, ma nulla ha
guadagnato intorno alla conoscenza della conversione del fluido nutritivo in
sangue, e del dubbio, se questo o quello sia l'agente immediato della
nutrizione. Si considera comunemente il sangue come il recipiente, nel quale va
a versarsi tutto il fluido nutritivo. La natura gli ha aperto comunicazioni con
tutti gli organi, per mezzo del quali riceve varie modificazioni, e si converte
in altri fluidi, per accidenti ne prendono la linfa: il fegato, ne separa la
bile, le reni, l'urina, e così via di scorrendo. Ma come la materia nutritiva
passi allo stato di sangue; e se l'assimi lazione avvenga per la sola opera
degli organi dello stomaco, o per la interven zione del sangue, son questi di
quegli ultimi segreti della natura che fermano il passo agl'investigatori. V.
Assimila zione, Sangue. CIRcosTANZA (disc. ), particolarità che accompagna un
fatto; evento, o vicissitudine d'un fatto; congiuntura di luogo e di tempo, ca
pace di modificare un'azione; occasione, o opportunità di fare o di non fare;
suggetto incidente del discorso o d'una narrazione qualunque. È un vocabolo non
solamente di ampio e generico significato, ma è di quelli, che sono in ogni
lingua necessari, perchè senza avere un significato primitivamente proprio, son
capaci di ricevere tutti i sensi, che il bisogno del discorso richiede. I Greci
davano al vocabolo repszois gli stessi significati. I Latini cominciarono ad
usarne nella seconda età della loro lingua, cioè da Seneca e da Quintiliano in
poi. Le lingue moderne ne hanno anche più de' Greci ampliato l'uso. E siccome
tutti i nomi possono essere ridotti a due sommi generi, a quelli cioè che
esprimono la sostanza o il modo, così v'ha di vocaboli suppletivi dell'uno e
dell'altro. Laonde adat tiamo le voci cosa, obbietto, subbietto, principale,
assoluto alle sostanze; e le altre circostanza, accidente, ineidente,
accessorio, relativo, a modi. V. queste V0C1, – 599 – CLEMENZA (prat.),
temperanza nel fare uso della potestà di punire; o benignità del superiore
verso l'infe riore nello stabilire la pena; o inclinazione alla indulgenza
nell'esi gere la pena; o diminuzione della giusta e debita pena. Son tutte
definizioni proposte da Seneca me suoi libri de clementia. Il significato
ricevuto di cotesto vocabolo è di virtù, la quale muove il superiore a
perdonare i falli, o a mitigare le pene. È proprio della divina bontà, dacchè
in Dio eminentemente risiede la potestà di punire efficacemente, e di
pienamente perdonare. Per similitudine si applica alle potestà umane, delle
quali le virtù proprie sono la giustizia e l'equità. V. queste voci. CoGNIzIoNE
P. I. pag. 89 col 2 (spec.), leggi, (crit. e spec.). CoLoRE , P. I. pag. 91
col. 2 v. 4 dalla luce reflessa, leggi, dalla luce refratta. V. Luce.
CoMENTARIo e CoMMENTARIO (crit.), li bro in cui per memoria scrivonsi i fatti e
gli avvenimenti propri o gli altrui, nell'or dine nel quale sono naturalmente
avvenuti. Secondo la maggiore o minore estensione che ad essi si dà, e secondo
il tempo in cui sono scritti, prendono il nome di giornali, di annali, o di
cronache. V. queste voci. CoMENTo (dise. ), esposizione, o illu strazione del
proprio o dell'altrui scritto. CoMETA ( spec.), corpo celeste, che partecipa
della natura del pianeti, per ri spetto alle leggi del suo moto, ma da quelli
differisce per le fisiche apparenze. Siccome questa spezie di erranti stelle
apparisce quasi sempre nel cielo, accom pagnata da uno strascico di luce, che
ge neralmente è opposto al sole; così presero esse il nome di astri chiomati
dalla voce greca zopan, che vuol dire chioma; e fu ron distinte in chiomate,
caudate, bar bute, secondo l'aspetto e la direzione di versa, che presenta
quella appendice di luce, veduta dalla terra. Le comete descrivono orbite
allungatis sime intorno al sole, ond'è che le loro rivoluzioni abbracciano
frequentemente un grande numero di anni e talvolta di se coli, e non sono a noi
visibili, se non quando percorrono la parte della loro or bita più vicina al
sole e alla terra. Gli antichi conobbero soltanto le comete brillanti, dotate
di una certa grandezza; ma il telescopio ha fatto scoprire un gran de numero di
simili corpi, i quali, senza l'aiuto del cennato istrumento, per l'ap parente
picciolezza della loro mole, per la rapidità del moto, e per la enorme loro
distanza, sarebbero rimasi per sempre inosservati ed ignorati. E prima di tali
scoverte, alle quali è dovuta ancora la conoscenza e il calcolo del moto delle co
mete, l'improvvisa loro apparizione, e la singolarità dell'aspetto e della
forma, sºtto la quale erano dalla terra osservate, le facevano risguardare come
un suggetto di spavento, apportator di sciagure e di generali calamità. Il
progresso delle scienze astronomiche, avendo dimostrato, che i fenomeni delle
comete son ancor essi re golati da leggi costanti della natura, ha dissipato i
timori della credulità, e del l'ignoranza. Ciò non ostante, sebbene la scienza
sia pervenuta a tal grado, che può seguire negli spazi sterminati dell'universo
il cam – 600 – mino di questi corpi singolari, determinare le curve delle loro
orbite e predire l'epoca in cui di nuovo rappariranno ; pur tutta volta è molto
ancora quel che ignoriamo, e che forse per sempre ignoreremo, al meno per quel
che dee rimanere nascoso nel mistero della creazione. Delle comete talune ci
appariscono come masse compatte simili alla terra, e talune altre, come
semplici vapori luminosi, più o meno addensati, secondo la diversa loro
distanza dal sole; i quali vapori quantun due non dimostrino verun indizio di
soli dità, pure percorrono, senza dissiparsi, una immensa carriera. Doppio è
l'obbietto che l'astronomia si prefigge per rispetto alle comete: stabilire la
teorica matema tica delle leggi che ne regolano il moto: investigare la natura
di questi astri per la spiegazione delle loro apparenze. Lasciamo alla storia
dell'astronomia l'esposizione delle congetture e delle ipotesi, nelle quali si
è andato per secoli vagando intorno al moto delle comete. La varietà de
sistemi, che erano in queste ipotesi fondate, dipendeva principalmente da una
quistione assorbente, circa la quale furon divise le opinioni, prima degli
antichi e poi de moderni. Le comete sono astri di nuova generazione, ovvero
opere perma nenti della natura ? son meteore e false apparenze, o corpi, della
natura stessa de pianeti? Aristotele fu antesignano della prima opinione;
Pitagora ed Apollonio di Minda della seconda. È memorabile intorno a tale
quistione la sentenza di Seneca: Ego nostris non assentior; non enim eacisti mo
cometen subitaneum ignem, sed inter aeterna opera naturae ( natur. quaest. lib.
VII. Cap. 22). Quantunque fosse manifesto, che quel che lungamente dura non può
dirsi una semplice apparenza, e che i cangiamenti in grandezza ed in luce, a
quali son sog gette le comete, avvengono gradatamente e secondo le leggi delle
distanze, e per conseguente derivano da cause permanenti; pur tutta volta
l'opinione di Aristotele pre valse non solamente nel tempo della fisica
peripatetica; ma rinacque di poi anche tra i moderni astronomi di più grande ce
lebrità, tra quali Keplero, Ticone Brahe, ed altri dopo di loro. Scoverte le
leggi del moto, alle quali le comete, al pari degli altri pianeti obbediscono,
manife sta è divenuta la loro permanenza nello spazio. Quanto poi alla essenza
e natura di questi corpi, la scienza si limita a ben conoscerne le apparenze e
a dedurre da queste quelle congetture che l'analogia col le altre leggi fisiche
rende più verisimi li. Le apparenze delle comete, osservate col telescopio, ci
presentano una massa di vapori, i quali formano una nebulo sità, o sia una
testa larga e luminosa, imperfettamente circoscritta. Nel centro della testa
distinguesi un nucleo o disco, di cui il contorno suol essere più o men determinato,
e che forma la parte più brillante e più densa della cometa. La ne bulosità che
avvolge il nucleo, se si estende più da un canto che dall'altro, prende il nome
di capigliatura o di barba, e se forma uno strascico di luce, più o meno lungo
e diffuso, dicesi coda. Ma ve n'ha di quelle, che sebbene mostrino una coda
brillante, son prive di nucleo; e nelle telescopiche, che son più numerose
delle altre, veder si suole una nebulosità senza disco e senza coda. In
generale le comete assumono la coda nell'avvicinarsi al sole, al quale son
sempre opposte nella direzio ne, potendo dirsi massima la lunghezza e lo
splendore loro alquanto dopo il pas - 601 – saggio che han fatto al perielio.
Da que ste e da molte altre delle apparenze, non che da numerosi accidenti, che
diversifi cano e distinguono una cometa dall'altra, l'astronomia non può sinora
dir altro sul la natura loro, se non che la sostanza di cui son composte, la
testa e la coda delle comete sono di una estrema tenui tà, dapoichè a traverso
di questa materia veggonsi le più picciole stelle; che i loro nuclei sembrano
essere della medesima so stanza, comechè in alcune sia sembrato vedere qualche
cosa di solido. Adunque la costituzione fisica di questi astri, i loro interni
cangiamenti e la natura della loro luce formano la parte congetturale e incerta
della dottrina delle comete, nella quale non abbiam di molto superato gli
antichi. Non così delle leggi del moto loro. La rinomata cometa del 168o porse
a Newton l'opportunità di verificare la sua orbita, la quale fu una curva
ellittica descritta in torno al sole, come al suo fuoco, così eccentrico, da
non potersi distinguere da una parabola. Da quel tempo cominciò a tenersi per
dimostrato, che il moto delle comete sia regolato dalle stesse leggi ge nerali,
che regolano il moto degli altri pianeti, da quali non differiscono, se non per
l'eccessivo allungamento delle loro cur ve ellittiche, e per la differenza
dell'incli nazione delle loro orbite sopra l'eclittica. La scoverta di Newton
ha formato il fon damento della teorica del moto delle co mete, seguita da
tutti gli astronomi del XVIII e XIX secolo, come Halley, Clai rault, Eulero,
Lagrange, Laplace, Le gendre, Gauss, Lambert, Olbers, Delam bre, Encke ed
altri. A nostri giorni la gran cometa del 1843 , visibile in pieno meriggio ad
occhio nudo, è tra tutte le altre quella che si è più avvicinata al sole, e ha
somministrato agli astronomi largo campo di osservazioni, di calcoli, e di
probabili congetture; intorno a che vedi gli stessi astronomi. Vuolsi intanto quì
notare, che oltre alle comete, che noi co nosciamo come periodiche, ve n'ha
delle altre che risguardiamo come accidentali, forse perchè il giro loro si
compie in un numero di secoli, che si sottrae alle uma ne osservazioni, e forse
ancora perchè la rapidità del loro moto non permette di de terminare la natura
delle loro orbite nel breve tempo in cui esse sono verso il pe rielio. Ma ve
n'ha verisimilmente un nu mero incalcolabile di quelle che per la loro
picciolezza, che vuol dire lontananza dalla terra, o per altri impedimenti atmo
sferici si sottraggono alle nostre osserva zioni. Dal numero delle comete
sinora ap parse, e dalla loro ricorrenza taluni dei moderni astronomi hanno
congetturato, che le comete sieno uniformemente distri buite nello spazio. Tra
questi un illustre astronomo vivente ha supposto, che trenta di esse avendo il
loro perielio al di qua dell'orbita di Mercurio, il numero di quel le il cui
perielio è al di qua dell'orbita di Urano, debbe stare al numero di 3o come il
cubo del raggio dell'orbita di Urano sta al cubo del raggio di Mercurio, il che
porterebbe l'intero numero delle co mete a 3,529,47o. Ma questo numero per
grande che sia potrebbe, a giudizio dello stesso autore, essere addoppiato,
perchè la luce del giorno, le nebbie e una grande declinazione a mezzogiorno,
possono far sì che una cometa sopra due sfugga alla no stra vista. Laonde il
cennato astronome va luta a più di sette milioni il numero delle comete, che
frequentano le orbite planeta rie. Velocissimo diviene il loro corso allor chè
avvicinansi al perielio. Gli astronomi 76 – 602 – i quali han calcolato le loro
velocità, ci di cono, che il quadrato di questo è eguale a due volte il
quadrato della velocità d'un corpo che si movesse in un circolo alla medesima
distanza, dal che nasce la breve dimora, che le comete fanno nelle orbite
planetarie. La cometa del 1843 ha con fermato una tal verità, essendo stata la
sua velocità calcolata al momento del pe rielio a ragione di Io, leghe di
quattro mila metri per ogni minuto secondo, vale a dire quindici volte maggiore
di quella della terra nella sua orbita, e 74o volte minore della velocità della
luce. Traspor tiamoci colla immaginazione in mezzo al l'immenso spazio
de'cieli, e facciamoci spettatori del moto di tanti mondi, che l'occhio non può
numerare, nè raggiu gnere nella celerità del loro corso. Con sideriamo il
meccanismo delle forze, per lo quale ciascuno si mantiene nella sua orbita, e
segue quelle leggi di moto, che il grande geometra dell'universo ha loro
prescritto. L'infinito si apre alla nostra mente, l'intelligenza suprema ci si
mostra in tutto il suo splendore; e l'uomo, che può abbracciare col pensiero
quel che i sensi non possono in alcun modo percepire, riconosce essere il solo
tra le creature visi bili a se note, che il divino Fattore ha, non solamente
invitato alla contemplazione dell'immenso sistema della creazione, ma renduto
capace della nozione dell'infinito. L'astronomia dunque è la scienza che più
dirittamente conduce l'uomo alla cogni zione di Dio e degli attributi suoi. Se
è così, l'ateismo razionale, è un errore im possibile tra gli astronomi. V.
Astronomia. CoMMERCIo. V. Industria. CoMPARATo (crit.), nome dato alla no tomia
del corpo umano e degli animali bruti, per desumere le somiglianze e le
dissomiglianze che distinguono le loro spe zie, e per formare una compiuta
cogni zione del general disegno dell'Autor della natura nella formazione degli
Esseri or ganici, dotati di vita e di sentimento. Visibili, anzi manifesti sono
i tratti di somiglianza, che noi scorgiamo nella strut tura degli animali, e
nelle stesse modifi cazioni che ne distinguono le spezie, da poichè ognuna di
queste ha un fine im mediato, che la condizione stessa di cia scuno animale
rende manifesto. Noi po tremmo scegliere ogni parte ed ogni or gano degli
animali per dimostrare le so miglianze, le modificazioni, e l'unità del disegno
che le ha dirette. Il sangue, la pelle, le diverse coverture, delle quali son
rivestite quelle spezie che viver deb bono nell'aria o nell'acqua, la bocca, il
condotto degli alimenti, i polmoni, gl'in testini, gli organi del sensi, del
moto , della generazione, portan con essi la ra gion sufficiente di quel che è
stato dato a tutti in comune, e a ciascuno in particolare. Ma il nostro scopo
non comporta se non un'analisi ed un prospetto generale, dal quale evidente
apparisca la verità, che ab biamo testè enunciato. E però riduciamo tali
considerazioni sotto le due principali voci, articolazione e organismo. V.
queste voci. CoMPARAzioNE P. I. pag. 92 col. 1 v. 6 È il fondamento, leggi, E'
una delle origini. – col. 2 in fine dell'articolo, aggiugni: V. Relazione. -
CoMPREssiem.E e CoMPREssIBILITÀ (spec.), disposizione de corpi a scemar di
volume, mediante la pressione, senza che ne sce mi la massa. V. Volume. - 605 –
I corpi naturali tutti, son più o meno compressibili, dapoichè non si dà una
perfetta adesione nelle molecule della ma teria; quantunque dicansi
incompressibili taluni corpi, che non possono soffrirne se non una leggiera e
poco sensibile. I corpi più compressibili sono l'aria e i gassi, siccome
dimostrasi per lo speri mento d'una vescica ripiena dell'una o degli altri: la
vescica compressa fa dimi nuire di volume il fluido aeriforme in quella
compreso, il quale fluido reagisce sulle pareti della vescica per la sua ela
sticità, e quando la pressione è cessata, ricupera il primiero volume. V. Aria
, Elasticità, Gas. CoMPARATA P.I. pag 92 col. 1, aggiu gni, V. Comparato e
Motomia. CoNCEZIONE P. I. pag. 95 col. 2, aggiu gni, (spec. e crit.).
CoNcHIGLIA (spec.), involucro duro cal careo, destinato a custodire il corpo
dei molluschi. V. questa voce. CoNCHILIoLoGIA (crit.), parte della zoo logia,
la quale ordina i molluschi testa cei in classi, sottoclassi, famiglie, sotto
famiglie, generi e spezie. Quantunque si soglia oggidì denominare malacologia,
pur tutta volta cotesto nuo vo nome è stato introdotto per ampliare l'antico,
il quale propriamente comprende i soli animali molli, coverti da nicchio. V.
Malacologia. Altra volta la conchiliologia formava uno studio di curiosità e
diletto per gli amatori della storia naturale. Maggiore importanza ha ora
acquistato per lo lume che le conchiglie fossili spandono sopra la geologia;
dapoichè per esse, e sopra tutto per quelle che appartengono a spe zie, le
quali non vivono più nel nostri mari, si acquistan dati per determinare l'età
de vari strati di terra, in cui tro vansi rinchiuse. V. Fossile, Geologia.
CoNCIONE (disc.), orazione o discorso tenuto ad un popolo ragunato, o a nu
merOSO Senato. CoNCUPisciBILE P. I. pag. 96 col. 2 v. 2 dalla inclinazione,
leggi, della inclina 22072e. ConroRTAMENTo e CoNroRto (prat.), ra gionamento, e
parole piacevoli dette per alleggerire il dolore altrui. V. Dolore.
CoNFUTAZIONE (dise. ), discorso per lo quale cercasi di abbattere la sentenza al
trui, o di ribattere le obbiezioni fatte alla propria. CoNIUGAzioNE P. I. pag.
99 col. 1 v. 2 l'ordinata partizione, leggi, l'ordinata partizione per modi e
per tempi. CoNosCENZA P.I. pag. 99 col. 2, aggiu gni, (spec. e crit.).
CoNTINGENTE P.I. pag. 1o2 col. 2 (ontol.), leggi, (ontol e spec.). CoNTRAPPosro
(disc.), termine che ha tale relazione con un altro, che inteso quello debbesi
ancora intender questo, o che tolto l'uno, resta necessariamente incluso
l'altro. I logici distinguono quattro sorte di vo caboli contrapposti: 1.º i
semplici relativi, come padre, figlio, padrone, servo. r – 604 - 2.º i
contrari, come caldo, freddo, sano, infermo. 3.º i privativi, come vita, morte,
vie sta, cecità, scienza, ignoranza. 4.º i contraddittori, i quali nascono da una
semplice negazione, come esi stere e non esistere, vedere e non ve dere, e
simili. V. Relazione. CoNTRARIETÀ P. I. pag. Io5 col. 1 (disc.), leggi, (dise.
e prat.). CoNvizIoNE P. I. pag. Io6 col. 1 v. 3 che è accompagnato, leggi,
accompagnato. CoRoidE (spec.), tunica dell'occhio, in cui è posta la pupilla.
V. Occhio. CoRRIvo (prat.), qualità d'uomo faci le per inconsideratezza a
credere, a con tentarsi, o a fare. - CoRRUCCIo (prat.), il sentimento della
collera, manifestato col fatti o colle parole. CosA P.I. pag. 11o col. 1 (spec.
e dise.), leggi, (spec. ontol. e disc.). CosMoLoGIA P.I. pag. 113 col. 1
(crit.), leggi, (ontol. e crit.). CosTELLAzioNE (spec.), adunanza di va rie
stelle circonvicine, che son considerate dall'osservatore per la loro somiglianza
ad una qualche nota figura, come di anima le, o di altro segno. V. Stella. È
antichissima l'usanza di così dividere e denominare i vari gruppi delle stelle,
siccome apparisce dal libro di Giobbe, che fa menzione di Orione e delle
Pleiadi. CotilEDONE (spec.), foglia seminale, che trovasi nell'embrione o nel
germe d'ogni albero o pianta. V. queste voci. Il germe d'ogni pianta ha una
interna forma, composta d'una radichetta (radi cula), di un fusto detto
piumetta (gem mula plumula), e di una o più picciole foglie, dette cotiledoni.
Sebbene i cotiledoni abbiano apparen temente la forma di corpi carnosi, pur
tuttavolta non sono in realtà che le pri me foglie della pianta, di cui
l'embrione è nel seme. Da essi i moderni botanici han preso i caratteri per la
classificazione degli alberi e delle piante. L'esistenza del l'embrione della
pianta nel seme, è un de fatti, ne quali è fondata la dottrina della
preformazione di tutti i germi con tenuti nelle uova e ne'semi. V. Albero,
Embrione, Evoluzione, Preformazione, -Seme, Uovo. CREDULITÀ e CREDULo (prat.),
qualità d'uomo facile al credere. Prendesi, propriamente parlando, in mala
parte, onde ne facciamo una qua lità del volgo e degl'ignoranti.
CRISTALLIzzAzIONE (spec.), la riunione, secondo le leggi dell'attrazione, delle
mo lecule di una sostanza inorganica, le quali trovansi già disciolte in un
fluido, per vir tù della quale riunione prendono la forma di un poliedro
geometrico, detta cristallo. V. Attrazione, Cristallo. Si hanno cristalli dalla
natura, che l'arte ha in diversi modi imitato, cioè per solu zione fluida, per
fusione, e per sublima zione. Si riducono in cristalli i sali più o meno
solubili, sciogliendoli nell'acqua, concentrando convenientemente la soluzio
ne, e abbandonandola a se stessa. Si fan no cristallizzare i metalli, lo zolfo,
ec. fon – 605 - dendoli, e curando che si raffreddino len tamente. Lo stesso
puossi ottenere dalle so stanze volatili, riscaldandole in vasi chiusi per
raccogliere i cristalli, che colla subli mazione si attaccano alla parte
superiore dello apparecchio. Qualora non concorra alcuna delle suddette
circostanze, o che (per esempio) non sia concentrata alla giusta misura la
soluzione, o che il gioco dell'attrazione sia disturbato, o che le so stanze
fuse non si lascino raffreddare tran quillamente, ec., la cristallizzazione
risul terà disfigurata. È presumibile che lo stesso avvenga nel le operazioni
della natura, di cui i corpi inorganici, o presentano depoliedri, ter minati
per lo più da faccette piane, nel quale caso diconsi forme regolari o cri
stalli, o pure configurazioni di ogni sor ta, arrotondite e irregolarmente
angolari, le quali chiamansi forme irregolari. CRISTALLo (spec.), nome comune a
tut te le forme poliedriche, che presentano i corpi inorganici, di cui le
molecule ten dono a riunirsi simmetricamente sotto for me geometriche tutte le
volte che possono cedere liberamente all'attrazione di coesione nel ridursi in
masse solide. Le forme del cristalli variano secondo la diversa natura delle
sostanze; il per chè son divenute uno de mezzi per rico noscerle, e lo studio
loro forma una par te essenziale della mineralogia. V. que sta V0Ce.
CRISTALLoGRAFIA (crit.), scienza nata dallo studio delle diverse forme del cri
stalli, e delle leggi naturali della loro formazione. È una scienza ausiliaria
della minera logia, e forma parte della così detta orit tognosia. Gli antichi
non la conobbero, e considerarono i cristalli più come una varietà o un lusso
della natura, che come la parte geometrica della materia inorga mica. Linneo fu
il primo ad avvertire, che i cristalli dovessero essere risguardati come
produzioni nascenti da leggi gene rali della natura, e come segni caratte
ristici delle sostanze. Romè de l'Isle diede nel 1772 un saggio di
cristallografia, misurò gli angoli del cristalli, riconobbe esser questi
costanti in ogni spezie e in ogni varietà, e fece diverse ricerche in torno ad
una forma primitiva, cui cre deva che si potessero ridurre le differenti forme
relative ad ogni spezie. Bergmann versò particolarmente circa la struttura
decristalli, e credette che questa risultasse dalla soprapposizione di lamine
ad un nu cleo, per modo che le varietà delle for me dipendesse dal diverso modo
della so prapposizione delle stesse lamine. Werner stabilì un sistema di
cristallografia, pre supponendo sette forme primitive, dalle quali studiossi
dedurre tutte le altre se condarie. Finalmente Haiy, profittando anche dei
lavori del suoi predecessori, rendette siste matica la scienza della
cristallografia; giac chè misurò esattamente gli angoli d'ogni forma, soggettò
a calcolo le diverse com binazioni delle stesse forme, e credette dimostrare
l'esistenza d'una forma primi tiva, dalla quale dipendevano le varietà della
medesima spezie. Quantunque la ge neralità della forma primitiva sia da al tri
impugnata, pure de'egli essere consi derato come il vero fondatore di questa
nuova scienza. V. Migeralogia. CarrERio P. I. pag. 118 col. 1 (spee. e disc.),
leggi, (spec. e crit.). - 606 – CRITToGAMIA (spec.), nome caratteri stico di
quella ultima classe di vegetabili, che sono sprovveduti di organi visibili di
riproduzione. È una classe stabilita da Linneo, il quale avendo fondato il suo
sistema sui caratteri del sesso delle piante, chiamò occulte nozze quella
generazione che non conoscesi per quali mezzi e per quali or. gani si formi.
Tali sono le piante che mancano apparentemente di stami e di pistillo, come le
felci, i muschi, le al ghe, e i licheni. Mutato da Jussieu il sistema di
Linneo, avendo egli lasciato i caratteri del sesso, e preso quello delle
foglie, o sia del co tiledoni, quella classe di piante che pri ma dicevansi
crittogame, furon denomi nate cotiledonie. V. Cotiledone. CRITTocRAFIA (disc.),
l'arte di scrivere in cifre, o con qualunque segno conve nuto, o con qualunque
inchiostro, che nasconda i caratteri, i quali non diven gono visibili, se non
per virtù d'un qual che reagente. È un'arte antica tanto, quanto l'è la civil
società, perchè nasce dal bisogno delle co municazioni confidenziali. I suoi
elementi sono innumerevoli come i segni, a quali può darsi qualsivoglia
significato.V. Segno. CRONACA e CRONICA (crit.), narrazione de fatti, scritti
nell'ordine del tempi nei quali sono avvenuti. Differisce di poco dagli annali;
se non se la cronaca è propria di quei tempi d'ignoranza, ne'quali la
generalità ignora e disprezza le lettere, e pochi danno opera a conservare la
ricordanza delle cose che intervengono sotto gli occhi loro. V. An nali,
Storia. CUPIDIGIA P.I. pag. 12o col. 2 infine, aggiugni. Gli stoici ne fecero
uno de'quattro ge neri delle passioni, e gli diedero per sue spezie subordinate
l'ira, l'odio, l'inimi cizia, l'avidità, ma cotesta loro dottrina fu fondata
nella sola definizione del voca bolo latino cupiditas, e non nella natura ed
origine delle passioni. V. questa voce, Pag. 125, 125. Togliere da vocaboli
ontologici, calorico. Aggiugnere a medesimi, caologia, cosa, cosmologia. a
quelli della filosofia speculativa, causa, causalità, concezione, conoscenza,
contingente: a quelli della filosofia eritica, cognizione, concezione, conoscenza,
criterio. Togliere da medesimi, cielo. Aggiugnere a quelli della filosofia
pratica, contrarietà. – 607 - D Drrociere (prat.) P. I. pag. 127 col. 1. v. 21
che ragionano e operano, leggi, che giudicano e operano. Debolezza (prat.),
difetto di forze fisi che, che si trasporta alle intellettuali e alle morali.
DECLAMAToRE (disc.), chi per esercizio, o per professione esercita l'arte
declamatoria. Prendesi in buona ed in cattiva parte, secondo i vari significati
che dassi alla voce declamazione. Cicerone distinse l'un significato dall'altro
in quel luogo: Mon declamatorem aliquem de ludo, autra bulam de foro, sed
doctissimum et per fectissimum quaerimus. ( Cic. in Orat. C. XV.). DECLAMAZIONE
(disc.), discorso, poe ma, o dramma ad alta voce recitato, o per esercizio di
eloquenza, o per istruire, o dilettare una publica adunanza. Vuolsi distinguere
la declamazione ora toria, dalla poetica, e dalla drammatica. Quanto
all'oratoria, gli antichi davano a questo vocabolo per suo significato pro prio
la esercitazione, che i giovani face vano presso i retori, onde acquistare
l'eloquenza; ovvero la pruova del discorso, che gli stessi oratori facevano
nelle do mestiche pareti, per prepararsi ad una publica arringa. E però
Quintiliano defi misce la declamazione, forensium actio num meditatio.
Considerata dunque la declamazione come studio o come abito, è una parte
dell'arte oratoria, e propria mente quella che risguarda la modula zione della
voce, e il gesto, o sia quel linguaggio d'azione col quale de essere accompagnata
la naturale espressione della parola. In fatti gli antichi retori solevan
chiamare l'arte del declamare eloquenza esteriore. V. Eloquenza, Oratoria. La
declamazione poetica e la dramma tica differiscono dall'oratoria, in quanto che
la prima di quelle due de essere adat tata alla diversa natura del sentimento
espresso dalla poesia ; e la seconda, al sentimento e all'azione insieme. Del
re sto le tre divisate spezie di declamazioni hanno talune regole comuni, e son
tutte tre fondate in un ovvio principio di ra gione, cioè che in ogni discorso,
anche familiare, la voce prende quelle naturali intonazioni ed inflessioni, che
la qualità del suggetto e la propria maniera di sen tire gli suggeriscono. Il
piacere, il dolo re, la preghiera, l'ira hanno ciascuna i propri modi, che non
potrebbero scam biarsi senza rendere ridicolo colui che si dolesse ridendo, o
che annunziar volesse il piacere colle esterne forme della tri stezza. Ora
nella poesia e nel dramma la natura diviene arte, dacchè bisogna tra sportare
il naturale all'ideale, o sia il linguaggio naturale a quello delle pas sioni e
della imitazione. In quello dee il declamatore comporre il tuono le in
flessioni della voce e il moto della figura al sentimento che i versi del poeta
espri mono; in questo debbe investirsi del ca rattere e delle passioni del
personaggio che rappresenta. Nell'uno e nell'altro ge nere dee mostrare di
sentire quel che dice. DEDoTro P.I. pag. 128 (spec.), leggi, (spec. e disc.). -
608 - DEDUZIONE ibid. (disc.), leggi, (spec. e disc.). DEFoRME P. I. pag. 13o
col. 2 (spec.), leggi, (spec. e prat.). DEGNAZIONE P. I. pag. 131 col. 1 v. 11
di mostrata, da chi, leggi, dimostrata da chi. DELIBERAZIONE P.I. pag. 132 col.
1 (spec.), leggi, (spec. e prat.). DELICATEzzA ibid. (prat.), leggi, (prat. e
spec.). DERIvAzIoNE (spec.), l'operazione del l'intelletto o del ragionamento,
per la quale da una verità già nota si passa alla conoscenza d'un'altra.
Nell'algebra dassi questo nome a quel la operazione, per cui le quantità son
pro dotte o derivate da altre, impiegando un metodo o procedimento uniforme.
Calcolo delle derivazioni fu detto un nuovo tro vato algebraico, fondato nella
dipendenza reciproca del coefficienti delle serie, da essere sostituito al
calcolo differenziale, e tale che dispensasse da ogni considera zione
degl'infinitesimali. Ma i matematici han dimostrato, esser questo un metodo
indiretto, che può nelle applicazioni es sere sostituito al calcolo
differenziale, ma che non può essere al medesimo parago mato, nè può senza di
quello essere conce pito; che anzi i prodotti del cennato cal colo possono
essere ottenuti in un modo più semplice e diretto, per mezzo del diffe
renziale. V. Differenziale, Infinitesimale, DIAFRAMMA (spec.), muscolo di
figura ovale irregolare, che divide la cavità del petto dall'addomine. La sua
figura è formata da una super ficie convessa dalla parte del petto, e con cava
verso l'addomine: ha una porzione centrale tendinosa, in cui è una larga
apertura, e per questa passano la vena cava inferiore e due altre vene inferiori,
attraversate dalla vena diaframmatica, e dalle due vene sovraepatiche. In un
senso più generico lo stesso voca bolo si adatta a qualunque tramezzo, posto
traversalmente nell'interno d'un cilindro, per interrompere più o meno la
comunica zione tra le due parti di esso; il quale signi ficato è comune tanto a
tramezzi naturali posti in altre parti del corpo animale, quan to agli
artifiziali adoperati dalla meccanica. DIALETTICA P. I. pag. 136 col. 2 v. 8
discorso, che l'oratore amplia, leggi, discorso, che l'oratore amplia. DIAsToLE
(spec.), la dilatazione del cuore e delle arterie, la quale favorisce l'entrata
del sangue, ed alterna col contrario moto di contrazione, detto sistole.V.
questa voce. DIMOSTRATIvo P.I. pag. 141 col. 1 (disc.). leggi, (disc. e spec.).
Dio P. I. pag. 143 col. 2 in fine, dov'è detto, queste due fonti della
cognizione di Dio corrispondono a due principi uni versali di dimostrazione, a
priori l'uno, e a posteriori l'altro, leggi così : queste due fonti della
cognizione di Dio corrispondono entrambe alla dimostrazione della esistenza di
Dio a posteriori, diversa da quella detta a priori, DIrricoLTÀ (spec. disc. e
prat.), dub bio, o impedimento a formare un giudi zio, o ad esporre chiaramente
un pensiero. È l'idea astratta del difficile, o sia del contrapposto del
facile, la quale egual mente si applica alle opere dell'intelletto e a quelle
della volontà. E quanto alle – 609 – opere dell'intelletto, queste comprendono
tanto il concepire, quanto il ragionare e l'esprimere con chiarezza le idee
concepite. Poche sono le operazioni speculative del la mente, pochi i discorsi,
pochi i porta menti della vita, che non iscontrino qual che difficoltà. Ciò
nasce dalla limitata na tura del sensi e della umana intelligenza; d'onde viene
la distinzione tra le invinci bili e le vincibili difficoltà. L'ignoranza
stessa e l'errore sono difficoltà che c'in tercettano il cammino alla
conoscenza del vero, o che ci fan deviare dal retto sen tiero della vita. In
generale, invincibili son quelle difficoltà che nascono da limiti dell'umana
costituzione; vincibili tutte le altre che possono essere rischiarate e di,
leguate mediante la riflessione, e coll'aiuto della scienza e dell'abito del
bene oprare. V. Abito, Errore, Ignoranza, Scienza. DiFroRME (spec. e dise.),
quel che è dissi mile per le esterne apparenze, o per lo molo. È un
contrapposto dell'uniforme. V. que sta VOCe. La lingua italiana gli dà un
doppio si gnificato, quello cioè del diverso o diffe rente, e l'altro di
deforme, che propria mente vuol dire mostruoso, o singolarmente brutto. Cotesta
estensione di significato na sce dalla etimologia del vocabolo e dall'af.
finità del due significati. Ma avendo due voci, le quali per un lieve
cangiamento d'ortografia esprimono, ciascuna un si gnificato a se proprio,
perchè privarsi di tal vantaggio, ammettendo una promiscui. tà, che genera
l'ambiguità. V. Deforme, DisAccoNcio (prat.), negazione dell'ac, concio. V.
questa voce. DisAtteNzIONE (spec.), volontario di fetto di attenzione, di cui è
contrapposto. V. Attenzione, DisAvvEDIMENTo (spec. e prat.), man canza del
comune e ordinario accorgimen to, per difetto di età o di riflessione. V. que
Sta VOce. DisAvvEDUTEzzA (prat.), mancanza di riflessione nell'operare.
DiscoRDANzAP. I, pag. 147 col. 1 (prat.), leggi, (prat. e disc.). DiscoRDARÈ
ibid., (spee, e disc.), leggi, (disc. e prat.). DiscREDERE ibid. (spec.),
leggi, (spec e prat.). Discarrºzza pral.), moderazione nell'operare, suggerita
dalla prudenza, e dalla co noscenza delle opportunità. V. questa voce. DISPARIscENTE
P.I. pag. 149col. 2 (spec.), leggi, (spec. e disc.). DisPERAZIONE P. I, pag.
15ov.1 tristezza, che, leggi senza la virgola, tristezza che, DISPIACENZA P. I.
pag. 15o col. 1 v. 3r sensitivo, o morale che sia, leggi, sen sitivo o morale
che sia, DisTINZIONE P. I. pag. 154 col. I v. 21 proposizione, ohe, leggi senza
la virgola, proposizione che. DrtroNco P. I. pag. 156 col. 2 v. 36 formano,
leggi, formino. DivisiRILITÀ P. I. pag. 157 col. 2 (spee. e ontol.), leggi,
(spec.). DivisioNE (disc.), la separazione delle parti d'un tutto. V. questa
voce. Per similitudine l'applichiamo all'ordi mata distribuzione degli atti del
pensiero e delle parti d'un discorso. I logici han chiamato divisione la
separazione delle parti d'un tutto numerabile; e partizione, la separazione del
complesso, o sia delle 77 - 610 - parti d'un tutto di ragione. Giusta una tale
distinzione, avrebbero dovuto chiamare partizione la distribuzione delle spezie
nei loro generi. Ciò non ostante l'han chia mata divisione, e ne hanno stabilito
quat tro sorte: la prima, del genere nelle sue spezie: la seconda, del genere
per le sue differenze: la terza del subbietto, per ri spetto a diversi
accidenti, dequali è capa ce: la quarta dell'accidente, per rispetto al
subbietto, cui si attacca. Gli esempi di ciascuna delle additate quattro
maniere di divisione, sono: della prima, ogni so stanza è materia o spirito,
della secon da, ogni linea è retta o curva, della terza, ogni stella è luminosa
o per propria luce, o per luce reflessa, della quarta, v'ha de beni del corpo,
e ve n'ha dello spirito. A ciascuna poi delle divisate quattro spezie di
divisione, assegnarono i logici le regole, per apprender le quali conviene
soggettare la mente ad una fatica mag gior di quella, che impiega per conce
pire e per distinguere le dinotate diffe renze. A forza di dividere e di
suddivi dere, col fine di trovare la chiarezza, ha detto un gran maestro
dell'arte del parlare, si cade in quella confusione che volevasi evitare:
confusum est quidquid in pulverem sectum est. V. Partizione. Dizionario P. I.
pag. 157 col. 2 (crit. e dise.), leggi, (spec. e disc.). DoloRE P. I. pag. 164
col. 2 in fine dell'ultimo verso aggiugni. Più conveniente alla natura di
questo sentimento, sembra il concepirlo come uno de due principi istintivi pe
quali corriamo al bene, e fuggiamo il male. Così con siderati il piacere e il
dolore, non pos sono essi trovar luogo tra le spezie delle passioni, ma sono sì
bene i principi gene ratori di molte passioni, come dell'amore,
dell'avversione, dell'ardire, del timore, e di altre a queste affini. V.
Passione. DovERE P. I. pag. 164 col. 2 v. ult. legge, da cui, leggi, legge da
cui, DoRMIRE. V. Sonno. DUBBIo P. I. pag. 165 col. 2 (spec.), leggi, (spec. e
disc. ). DUREzzA P. I. pag. 167 col. 2 dopo il sesto verso, aggiugni: È una
delle qualità dette primarie, che il senso del tatto avverte, e dalle quali
acquistiamo la conoscenza e la convizione della esistenza della materia. V.
Tatto. DUTT.Lirà (spec.), capacità di taluni corpi solidi di estendersi e di
allungarsi più o men facilmente sotto la pressione o la percossa. V'ha de corpi
duttili tanto a freddo, quanto a caldo, come molti metalli; ve m'ha di quelli
che acquistano una tal qua lità mediante il calore solamente, come le resine e
il vetro; ve n'ha finalmente di al tri, che diventan duttili per l'intervento
d'un fluido, come l'argilla impastata coll'acqua, Pag. 169, 170 e 171.
Aggiugnere a vocaboli della filosofia discorsiva i vocaboli dedotto,
discordanza, dispariscenza, dubbio. A vocaboli della speculativa deduzione,
delicatezza, dimostrativo, dizionario. Togliere da medesimi discordare,
dispariscente. Aggiugnere a vocaboli della filosofia pratica deforme,
deliberazione, discordare, discredere, dispariscente. Togliere da vocaboli
della filosofia critica dizionario. – 611 – a E - º a v Ecarica (spec.),
cerchio massimo della sfera celeste, il quale nasce dal pro lungamento del
piano dell'orbita, che la Terra descrive intorno al sole col suo moto annuo: è
il mezzo della fascia denominata zodiaco, e divide l'equatore ne punti equi
noziali. Nel piano dell'ecclittica, o in molta prossimità di esso dee trovarsi
la luna quando ecclissa il sole, o quando è da questo ecclissata, dal che
prende origine la denominazione di ecclittica. Il piano di questa è inclinato sotto
un angolo di circa ventitre gradi e mezzo sopra quello dell'equatore, d'onde
nasce la varietà del le stagioni. V. Equatore, Sfera, Terra, Zodiaco.
EDUcAzroNE P. I. pag. 175 col. 1 (prat.), leggi, (spec. crit. e prat.). EGUALE
P. I. pag. 178 col. 2 (spec. ontol. disc. e prat.), leggi, (spec. disc. e
prat.). - ELEMENTARE P. I. pag. 179 col. 2 (spec. e crit.), leggi, (spec.).
ELEMENTo P. I. pag. 179 col. 2 (ontol. e spec.), leggi, (spec.). ELMINroLoGIA
(crit.), parte della zoo logia che versa circa la descrizione e lo studio del
vermi. Siccome la denominazione di verme si è data per lo passato ad animali di
spe zie diverse; così l'obbietto della elminto logia da taluni si amplia, e da
altri si restrigne. - V'ha chi lo limita a soli vermi intesti nali, detti entozoi,
ma non essendo que sti i soli cui dassi il nome di vermi, non pare che cotanta
restrizione possa essere accettata. V. Verme. EMBRIONE (spec.), la prima forma
del l'animale, considerata per rispetto a vi vipari nello stato, in cui quello
non è ancora in comunicazione co fluidi della madre, nè coll'atmosfera; e per
rispetto agli ovipari, sinchè rimane nell'uovo. Ne vivipari mammiferi
distinguesi l'em brione dal feto, che prende una tal de nominazione tostochè
l'animal concepito comincia ad essere in comunicazione di fluidi colla madre, o
sia quando v'ha tra essi comunione di circolazione. V. Feto. Cotesto passaggio
nell'uomo avvenir suo le a tre mesi dal concepimento. Prima di questo tempo, il
picciolo animale comin cia a formarsi senza veruna aderenza va scolare colla
madre, essendo allora l'em brione nutrito dalla vescichetta, detta om bilicale,
la quale prende le prime mole cule della sua forma da fluidi stessi della
matrice, di che vedi i fisiologi. Embrione nelle piante è la picciola for ma
della pianta stessa, contenuta nel seme. Ogni seme è composto di due parti,
d'una mandorla e delle tuniche seminali. Nella mandorla sta l'embrione il quale
racchiude gli elementi della nuova pianta, simile a quella da cui è stata
prodotta; Una delle sue estremità, detta radicina (radicula) è l'elemento delle
radici: un'al tra opposta estremità, detta piumicina (plumula, o gemmula)
contiene il rudi mento del tronco o fusto della pianta: un º - 612 - colletto o
nodo tra quella e questa con tiene i cotiledoni, o foglie seminali. V. Co
tiledone. L'analogia suggerì a filosofi speculativi il concetto, che nelle uova
degli animali dovessero trovarsi le stesse parti costitu tive organiche, che
trovansi ne semi delle piante; ma il germe immediato degli ani mali sta nel fluido
e quel delle piante nel solido. Per appianare una tal difficoltà, si è ricorso
alle parti infinitesimali, e si è chiamato organico il fluido che da pri ma le
conteneva. Sopra tale generico con cetto fu fondato il sistema della preforma
zione. V. questa voce. EMINENTE (spec. e ontol.), quel che è virtualmente
compreso nella natura d'una C0Sa. In questo senso adoperollo Cartesio in quel
suo famoso principio della verità del le idee. « Ogn'idea, diss'egli, aver dee
nella sua causa efficiente tanta realità for male o eminente, quanta è la
realità ob biettiva della idea medesima ». Cotesto principio, come ognun vede,
non è che una estensione dell'altro : ogn'idea dee nascere da una causa; tra
perchè l'effetto stesso dimostra la realità della causa, e perchè nulla può
essere prodotto dal nul. la. Da tal concetto fece Cartesio nascere tre sorte di
realità, la formale, l'obbiet tiva e l'eminente. La realità formale d'una idea
sta nella causa che la produce; l'ob biettiva, nella rappresentazione che in me
se ne forma ; e l'eminente, nella virtù che la causa stessa tramanda per farla
dalla mente concepire. Da una sì sottile divisione della idea volle egli far
nascere la dimostrazione a priori della esistenza di Dio; dapoichè potendo
tutte le conce zioni dell'intelletto umano essere ridotte a tre classi
generali, l'idea di se medesi mo, l'idea delle cose esteriori, e l'idea di Dio,
della prima, l'uomo trova in se stesso la causa formale e una realità ob
biettiva alla medesima eguale ; della se conda, può anche in se trovare la
causa formale, sebbene non tanto chiara quanto della prima; della terza non può
trovare in se la causa formale, perchè « quan tunque, egli dice, io trovi in me
l'idea d'una sostanza, pure essendo io una so stanza finita, non potrei avere
l'idea d'una sostanza infinita; ond'è che una tale idea è stata messa in me da
un'altra causa che è fuori di me, e questa è Dio stesso: di qua la necessaria
conseguenza che Dio esi ste ». V. Dio, Esistenza. ENTIMEMA P. I. pag. 186 col.
1 v. 31 perdere an passim, leggi, perdere an possim. EPAGoG.co (grec. sup.),
vale induttivo. V. questa voce. EPIGENESI (spec.), la dottrina della suc
cessiva formazione degli Esseri organici, prodotta per soprapposizione di
parti. È il nome dato ad una delle due ipo tesi, per le quali i fisiologi han
preteso spiegare il mistero della generazione. I fautori di questa ipotesi
suppongono che i germi degli Esseri organici trovansi sparsi per tutta la
natura, e vengono a svilup parsi, quando si combinano colle matrici o forme
animali, atte a ritenergli e a fe condargli: i seguaci dell'altra per l'oppo
sito affermano che i germi del corpi or ganici d'una medesima spezie trovansi,
sin dalla primitiva loro formazione, rin chiusi gli uni negli altri, e
successiva mente sviluppansi per mezzo della gene – 615 – razione. Il
principale argomento, nel qua le è fondata la seconda ipotesi (detta d'in
cassamento o di evoluzione), è la preesi stenza dell'embrione già formato
nell'uovo e nel seme delle piante. V. Evoluzione, Uovo. EQUATORE (spec.), cerchio
massimo della sfera terrestre, perdendicolare all'asse di rotazione. Divide la
Terra in due parti eguali o sia in due emisferi denominati boreale e australe,
o settentrionale e meridionale. Prolungato nel cielo, vi determina l'equatore
celeste, il quale è inclinato all'ec clittica, divide l'orizzonte in due punti
detti oriente e occidente, ed è diviso dal lo stesso in due parti eguali; il
perchè gli astri pe'quali passa restano per un tempo egualmente lungo sopra e
sotto dell'oriz zonte. V. Astro, Ecclittica, Orizzonte, Sfera. SRBA (spec.), la
pianta di spontanea produzione della terra, o di coltura, il cui stelo perisce
dopo una breve vegeta zione. V. Pianta. I botanici distinguono le erbe annue,
le biennali e le perenni, delle quali gli steli, sebbene rimangano distrutti
dopo di avere in ogni anno fruttificato, riprodu consi nell'anno seguente dalle
radici e dal la ceppaia, che si conservano sotto terra. ERMAFRoDito (spec.),
animale fornito de due sessi. È un sinonimo dell'altro vocabolo greco androgino.
A rispetto dell'uomo, e di tutti gli animali vertebrati, i quali for mano una
classe che dicesi perfetta, per chè in essi la natura ha spiegato e svilup pato
tutte le forme dell'organismo; è or. mai riconosciuto che non si danno veri
ermafroditi. Gli esempi che ne sono stati addotti, non sono se non mostruosità
in dividuali. In talune delle spezie inferiori, e in molte degl'insetti e del
così detti infusori, v ha degli androgini, i quali riprodu consi per la
generazione solitaria, o ano mala. V. Infusorio. Ne vegetabili la natura non
solamente ha spesso combinato i due sessi in uno stesso individuo, ma ne ha
fatto un og gello di varietà. E però chiamansi piante ermafrodite quelle che
nello stesso fiore hanno i due sessi, come nelle rose e nei dianti; quelle altre,
che nello stesso in dividuo portan fiori maschi e fiori fem mine, ma tra loro
separati, come nel gelso, nella betula, nel pino, nel mais, ed in altre, e
queste hanno il nome ca ratteristico di monecie; quelle delle quali un
individuo porta fiori maschi, ed un'al tro fiori femmine, come nella canape,
nel ginepro, nelle palme, ed in altre, le quali però son dette diecie, quelle
che nel lo stesso individuo indifferentemente por tan fiori maschi, fiori
femmine, e fiori ermafroditi, come nella parietaria, nel fico, nel frassino,
nel diospiro. V. Ge gerazione, Pianta. ERPEToLoGIA (crit.), parte della zoo
logia che tratta del rettili; e dalla strut tura del loro organi sceglie i
caratteri di stintivi delle spezie loro. Nella scelta decaratteri i naturalisti
han variato, dal che è nata ancora la varietà desistemi. Aristotele li divise
in due grandi classi, cioè di quadrupedi ovipari, e di rettili, la quale
divisione più o meno mo dificata formò la base di tutti gli altri sistemi, che
apparvero insino a Linnéo. – 614 – Questi venne a proporre una nuova par
tizione, comprendendo tutti i rettili nella classe degli anfibi, che suddivise
in di versi ordini, come degli anfibi rettili, degli anfibi serpenti, degli
anfibi nuo tatori, ammettendo tra questi molte spe zie, che a giudizio degli
altri zoologi ap partengono alla classe depesci. Del resto la divisione
deserpenti fu da lui fatta in due principali classi, nelle quali prese per
caratteri distintivi la testa e la coda. Dopo di Linnéo, Lacepede propose una
più plausibile partizione, scegliendo per caratteri discernitivi delle classi
la presen za, la mancanza, o il numero de pie di. Il metodo di Brongniart,
publicato nel 1799, sembrò che fosse fondato sopra i caratteri più propri a
determinare le dif ferenze delle spezie, il perchè ha formato da quel tempo la
classificazione ricevuta da zoologi. Divise il cennato autore tutta
l'erpetologia in quattro ordini, cioè : i cheloni, senza denti incassati, e
forniti di corpo coperto da un guscio: i sauri, con zampe, denti incassati, e
corpo sca glioso; gli ofidi, senza zampe, con corpo allungato cilindrico: i
battraci con zam pe e pelle nuda. Cuvier e Duméril final mente han preso per
base la classificazione di Brongniart, ad essa adattando i nuovi generi e i
sottogeneri aggiunti per le sco verte posteriori rispettivamente fatte. (V. il
Trattato elementare di storia naturale di Duméril, e il Regno animale distri
buito secondo l'organismo di Cuvier). EsEGEsi (disc.), esposizione, o discorso
che per via di spiegazione o comento di chiarisce ed illustra un argomento.
EsEGETIco e EIEGETIco (disc.), vale nar rativo e espositivo. Suol essere
adoperato come contrapposto del drammatico o rappresentativo. EsILARARE
(prat.), rendere ilare, o dare l'ilarità. V. questa voce. EsisTENZA P. I. pag.
195 col. 2 (ontol.), leggi, (spec. e ontol.). EsistmAzioNE (spec.), opinione o
giu dizio favorevole dell'altrui merito, Il suo significato è alquanto più spe
ciale della voce estimazione che abbrac cia ogni giudizio di cosa conosciuta e
con siderata come capace di qualche pregio o valore. V. Estimazione. EsPERIENZA
P. I. pag. 197 col. 1 (spec.), leggi, (spec. e prat.). EsPERIMENTALE P.I. pag.
198 col. 1 (ertt. e prat.), leggi, (spec. crit. e prat.). EssENZA P. I. pag.
199 col. 2 (ontol.), leggi, (spec. e ontol.). EssENZIALE P. I. pag. 2oo col. 1
(ontol.), leggi, (spec. e ontol.). EssERE ibid. col. 2 (ontol.), leggi, (spee.
e ontol.). EsTENsioNE P. I. pag. 2o1 col. 1 (spec. e ontol.), leggi, (spec.).
EsTERIORE ibid. col. 2 v. 2o estensione, leggi, esteriore. EsTIMATIvA P.I. pag.
2o2 col. 1 (spec.), leggi, (crit. e spec.). ETERE P. I. pag. 2o4 col. 2. v. 19,
ag. giungi, V. Spazio e Vacuo. ErEnocenzo P.I. pag. 2o5 col. 1 (diso), leggi,
(spec.). Evoluzione (spec.), nome dato alla dottrina, che spiega il fenomeno
della generazione per la via della preforma zione, e dell'incassamento degeneri
pre formati nell'uovo o germe d' ogni ani male. V. Generazione, Preformazione,
Uovo. È la dottrina contrapposta a quella che spiega lo stesso fenomeno per la
via del successivo accrescimento delle parti, detta epigenesi. V. questa voce.
R Faccia P.I. pag. 215 col. 1 (prat.), leggi, (spec. e prat.). v. 35, caeteras
animantes, leggi, cae teros animantes. FANATismo P. I. pag. 226 col. 1 (prat.),
leggi, (spec. e prat.). FERMENTAzioNE P.I. pag. 235col.2 (prat.), leggi, (spec.
e prat.). FERMENTo P.I. p. 236 col. 1 (prat.), leggi, (spec.). .FEro (spec.),
l'animal formato nel ventre della madre, che ha con essa co munione di
circolazione. Prima di tale stato dicesi embrione. V. questa voce. FIGURA P. I.
pag. 238 col. 1 dopo il secondo verso, aggiugni. Figura chiamano i logici la
forma o il genere di sillogismo che nasce dal diverso uso che può farsi del
loro termine medio E siccome in quattro diverse maniere il termine medio può, giusta
le regole della logica aristotelica, essere combinato cogli altri termini del
sillogismo ; così quattro dicesi essere le sue figure. V. Sillogismo. FINE P.
I. col. 1 pag. 214 (prat. ), leggi, (spec. e prat.). FINITO P. I. pag. 241 col.
2 (ontol.), leggi, (spec. e ontol.). FLoRILEGIo P. l. col. 1 pag. 251 (erit.),
leggi, (disc.). FoRMA P. I. pag. 256 col. 2 dopo l'ul timo verso dell'
articolo, aggiugni: Cotesto vocabolo è ora di poco uso nel linguaggio della
sana filosofia: il suo si Pag. 211 e 215. Aggiugnere a vocaboli della filosofia
critica educazione, esperimentale, estimativa. a quelli della speculativa
esistenza, esperimentale, essenza, essenziale, essere, educazione, estimativa,
eterogeneo. a quelli della filosofia pratica esperienza. Togliere dalle voci
ontologiche estensione. e dalle voci della discorsiva eterogeneo. – 616 –
gnificato comune è : la figura, che l'arte dà alla materia, onde Dante disse:
Ver è che come forma non s'accorda Aolte fate a la 'ntenzion de l'arte, Perchè
a risponder la materia è sorda. (Par. I.). FossILE P. I. col. 1 pag. 259 (crit.
e spec.), leggi, (spec.). FRENoLoGIA P. I. pag. 264 col. 1 v. 27 riannodato,
leggi, rannodato. G Gavirianon V. Cavillazione. GEoMETRA P. I. pag. 285 col. 1,
leggi, (spee. e crit.). GeoMETRIA, leggi, (crit.). GERME (spec.), rudimento
d'un nuovo Essere, prodotto per la generazione d'un altro Essere della medesima
spezie, e ca pace di riprodurne un altro a se simile. Gli animali e le piante
nascono neces sariamente da un germe, o possono an che sorgere per la
combinazione di altre parti della materia? Se il germe è necessario in tutte le
spe zie di animali e di piante, o in una parte di essi ; vi è stato dalla
natura prefor mato, o formasi in ogni individuo per la forza generativa di cui
è provveduto? Preformato dalla natura, o dalla virtù generativa dell'animale e
della pianta, sviluppasi per semplice svolgimento, ov vero si perfeziona per
successivo accresci mento di parti? L'intervenzione di ambo i sessi è ne.
cessaria alla formazione del germe, ov vero questo risiede essenzialmente nelle
ovaie, o sia nella forma materna ? Qual parte prende nello svolgimento o nella
perfezione del germe la sostanza se minale del maschio? Tali sono le quistioni
agitate tra i fisio logi e i metafisici, che han voluto pene trare nel mistero
della generazione, e circa ognuna delle quali si è formato un siste ma di
diverse opinioni. La moderna scienza fisica e fisiologica, più severa
dell'antica, nel rifiutare le ipotesi, riseca dalle cen nate quistioni la parte
trascendentale, e si attiene a soli fatti generali della na tura. Quale sia il
confine tra 'l certo e l'ignoto ne fenomeni della riproduzione degli Esseri,
vedi gli articoli, Embrione, Generazione, Infusorio, Pianta, Pre formazione,
Seme, Uovo. Gramazione e Granocumento (spec.), il progressivo sviluppamento del
germe del le piante, quando l'embrione spogliato de Pag. 269 e 271. Aggiugnere
a vocaboli della filosofia speculativa faccia, fanatismo, fermentazione,
fermento, feto, fine, finito. a quelli della filosofia discorsiva florilegio.
Togliere da quelli della filosofia pratica fermento. da quelli della filosofia
critica florilegio, fossile. – 617 – gl'inviluppi seminali, comincia a trarre
il suo nutrimento dal di fuori. V. Em brione. GIoRNo (spec.), durata del giro
della terra intorno al suo asse. V. Terra. È una delle misure del tempo. V. que
Sta VOCe. GIovE. V. Pianeta. GIUDICIALE (disc.), uno de tre generi
dell'eloquenza, distinti da Aristotele, e propriamente quello che vuol
persuadere Icastico P. lI. pag. 1 col. 1 (crit.), leggi, (disc.). IDEA col. 2
(spee. ), leggi, ( crit. e spec.). IGNoTo P. II. pag. 19 col. 2 (spec.), leggi,
(crit. e spec.). ILLIBERALE P. II. pag. 21 col. 1 (crit. e prat.), leggi,
(prat.). IMMATERIALE P. II, pag. 24 col. 2 (spee. teol. e ontol.), leggi,
(spec. e teol.). quenza. GIUDIZIo P. l. pag. 291 col. 1 (spee. ), leggi, (spec.
e crit.). GlossARIo P.I. pag. 299 col. 1 (crit.), leggi, (disc.). GUERRA
(prat.), stato di discordia e di offensione tra due corpi politici. E il
contrapposto della pace, che in un senso traslato si applica ancora al tu multo
e al combattimento delle passioni. V. Pace, Passione. II IMMATERIALITÀ P. II.
pag. 25 col 1 (spec. teol. e ontol.), leggi, (spec. e teol.). IMPENETRABILITÀ
P. II. pag. 26 col. 2 (spee. e ontol.), leggi, (spec.). INCLINAzioNE P. II.
pag. 35 col. 1 v. 8 e la benevolenza, leggi, la benevolenza, e INDIFFERENZA P.
II. pag. 42 col. I v. pen. non senta , leggi, non si senta. INFUsoRioP. II.
pag.7o col. 2 v. 4V. Ge nerazione, leggi, V. Generazione, Uovo. Pag. 507 a 509.
Aggiugnere a vocaboli della filosofia speculativa geometra, germe, germina
zione, giorno. A quelli della filosofia critica giudizio. Toglier da questi
glossario. Aggiugnere a quelli della filosofia discorsiva giudiciale,
glossario. a quelli della filosofia pratica guerra. ad assolvere, o a
condannare. V. Elo 78 INTERIEzioNE (dise.), parte del discor so, esprimente
qualche affetto dell'animo. V. Affetto. Le interiezioni, giusta una sensata os
servazione del presidente de Brosses sono la prima di tutte le parti del
discorso, perchè esprimono l'interna sensazione, e sono una esclamazione della
natura. ll fanciullo comincia per esse a dimostrare, che è capace di sentire, e
di parlare. IL Lanrunni P. II. pag. 1o1 col. 2 (spec. e prat.), leggi, (spec.).
LENTE P. II. pag. 1o5 col. 2 (spec. e crit.), leggi, (spec.). LEssico P. II.
pag. 1 o8 col. 1 (crit. e disc.), leggi, (disc.). LETTERALE P. II, pag. 108
col. 1 (dise. e crit.), leggi, (disc.). LINGUAGGIO P.ll. pag. 119 col. 2 (spec.
e dise. ), leggi, (spec. crit. e disc.). LoNGITUDINE P. lI. pag. 124 col. 2
(spec. e crit.), leggi, (spec.). LUCE P. II. pag. 126 col. 1 (spee. e crit.),
leggi, (spec.). LUNA P. II. pag. 129 col. 1 (spec e crit.), leggi, (spec.).
col. 2 v. 32 della stella, leggi, delle stelle. LisoP.Ipag 3, col a praterie),
leggi, (spec. e prat.). MI Mans P. II. pag. 149 col. 2 (spec. e crit.), leggi,
(spec.). MATERIA P. II. pag. 154 col. 1 (spec. ontol. e crit.), leggi, (spec. e
ontol.). MERIDIANo P. lI. pag. 164 col. 2 (spec. e crit.), leggi, (spec.).
METALLo P. II. pag. 168 col. 1 (spec. e crit.), leggi, (spec.). Pag. 95 a 98. -
Togliere dalle voci ontologiche immateriale, immaterialità, impenetrabilità.
Aggiugnere a quelli della filosofia discorsiva icastico. a guelli della filosofia
critica idea, ignoto. Togliere da medesimi icastico, illiberale. Pag. 157 e
158. Aggiugnere a vocaboli della filosofia critica, linguaggio. Togliere da
medesimi, lente, lessico, letterale, longitudine, luce, luna, lusso. Aggiugnere
a quelli della filosofia speculativa, lusso. – 619 – METEoRA P. II. pag. 169
col. 1 (spec. MoMENTo P. II. pag. 185 col. 1 (spee. e crit.), leggi, (spec.).
crit. prat. e disc.), leggi, (spec. prat. e disc.). MoDA P.II. pag. 18o col. 1
(spec. e crit.), leggi, (spee. ). MoDo P.II. pag. 182 col. 1 (spec. ontol.
disc. e crit.), leggi, (spec. ontol. e disc.). MoLLUsco P. Il. pag. 183 col. 2
(crit.), MoRTALE P. II. pag. 189 col. 2 (prat.), MoNDo P. II. pag. 186 col. 1
(spee. - ontol. e crit.), leggi, spec. e ontol.). leggi, (spec.). leggi, (spec.
e prat.). Naruna pag. 21o col. 1 v. 13 comune NozIoNE P. lI. pag. 223 col. 2
(spec.), colle, leggi, comune alle. leggi, (crit. e spec.). Novella P.II. pag.
223 col. 1 (erit. NUMERo P. II. png. 225 col. 1 (spee. disc. e prat.), leggi,
(disc. e prat.). crit. ontol. e disc.), leggi, (spec. e disc.). O
OrroeocarroP.II. pag. 231 col. 1 OcciDENTE P. II. pag. 239 col. 2 (spec. (spee.
cril. e disc.), leggi, (spec. e disc.). e crit.), leggi, ( spec.). OBBLlo e
OBBLIVIONE P. II, pag. 233 OcEANo P. II. pag. 24o col. 1 (spee. col. 2,
aggiungi, (prat.). e crit.), leggi, (spec.). OcchioP. II. pag. 223 col. 2 (crit
spee. ONTA P. II. pag. 248 col. 1 (erit.), e disc.), leggi, (spec.). - leggi,
(prat.). Pag. 205 a 205. Togliere da vocaboli della filosofia critica mare,
materia, meridiano, metallo, meteora, moda, modo, mollusco, momento, mondo.
Aggiugnere a quelli della speculativa mollusco, mortale. - - Pag. 227. Togliere
da vocaboli della filosofia critica novella, numero. Aggiugnere a medesimi
nozione. - Togliere da vocaboli ontologici numero. - Togliere lo stesso
vocabolo da quelli della ſilosofia pratica. - g – 620 – OPINIONE P. II. pag.
249 col. 2 (spec. disc, e crit.), leggi, (spec. e disc.). 0RA P. II. pag. 253
col. 2 (spec. e crit.), leggi, (spec.). ORBE P. II. pag. 255 col. 1 (spec. e
crit.), leggi, (spec.). ORBITA P. II. pag. 255 col. 2 (spec. e crit.), leggi,
(spec.). ORECCHIA P. II. pag. 258 col. 2 v. 24 riflessione, leggi, reflessione.
ORGANICO P. II. pag. 261 col. 1 (spec. e crit.), leggi, (spec.). ORIENTE P. II.
pag. 266 col. 1 (spec. e crit.), leggi, (spec.). ORIzzoNTE P. II. pag. 266 col.
1 (spee. e crit.), leggi, (spec.). ORNAMENTO e ORNATo P.II. pag. 266 col.2
(crit. spec. e disc.), leggi, (spec. e disc.). ORTOGRAFIA P. II. pag. 268 col.
1 (crit. e disc.), leggi, (disc.). P º Psivo P. II. pag. 284 col. 2 dal quarto
verso in poi leggi colla seguente interpun zione dicesi causa, il cangiamento
stes so, effetto, il subbietto che l'opera, agen te; quello che lo soffre,
paziente; la fa coltà di operarlo, potenza, e lo stesso subbietto, in quanto
soggiace alla forza di tal potenza, dicesi passivo. PECCATo P. II. pag. 287
col. 2 v. 8 contro la , leggi, contra la v. 12 impossibil cosa è, leggi, mo
ralmente impossibile è. PERCEZIONE P. II. pag. 292 col. 2 v. 17 passaggiera,
leggi, passeggiera. v. 35 tra l'anima umana e quella de bruti, leggi, tra
l'anima umana e la potenza sensitiva de bruti. PERFETTo e PERrezione P. II.
pag. 295 col. 1 (spee. crit. e ontol.), leggi, (spec. prat. teol. e ontol.).
col. 2 v. 29 o non maggiore o minor numero di parti, leggi, e non maggiore o
minor numero di parti. PoLEMICA P. ll. pag. 312 col. 2 (crit.), leggi, (disc.).
PoLIANTEA P. II. pag. 313 col. 1 (crit.), leggi, (disc.). Pag. 271 e 272.
Togliere da vocaboli della filosofia eritica obbietto, occhio, occidente,
oceano, onta, opinione, ora, orbe, orbita, organico, oriente, orizzonte,
ornamento e orº mato, ortografia. Aggiugnere a vocaboli della fitosofia pratica
obblio e obblivione, onta, Aggiugnere a quelli della discorsiva ornamento. –
621 – PoLIGRAFIA P. II. pag. 3»3 col. 1 (crit.), leggi, (disc.). PoLITECNIco
P.II. pag. 313 col. 1 (spec.), leggi, (spec. e crit.). PREFoRMAZIONE P. II.
pag. 322 col. 2 v. 18 d'incessamento, leggi, d'incassamento. PRINCIPIO P. II.
pag. 329 col. 1 v. 12 non potendo la scienza, leggi, non po tendo cotesta
scienza. v. 19 chiamano essi, leggi, chiamano i chimici. pag. 331 col. I v. 37
a negarli, leg gi, negargli. pag. 332 col. 2 v. 16 vincono altre, leggi,
vincono le altre. v. 19 alle altre, leggi, alle seguenti. PRoGREsso P. II. pag.
342 col. 1 v. 2o umano, leggi, umana. col. 2 v. 18 e delle quali è proprio,
l'estendere, leggi, e delle quali è pro prio l'estendere. - v. 42 contiene una
tale infinità, leg. gi, tanta infinità di gradi. Paonostico P. II. pag. 344
col. 2 v. 38 hanno ciascuno, leggi, hanno ciascuna. PROPONIMENTo P. II. pag.
346 col. I V. 28 passaggiera, leggi, passeggiera. PaoviDENZA P. II. pag. 35o
col. 1 (spee. e prat.), leggi, (spee. teol. e prat.). PRUDENZA P. II. pag. 351
col. 2 (prat.), leggi, (spec. e prat.). PRUovA P. II. pag. 353 col. 1 v. 42 la
certezza, dal grado proprio, al re lativo, leggi senza virgole, dal grado
proprio al relativo. PsicoDIARI col. 2 (erit.), leggi, (gree. sup.). -
PsicoLoGIA P. II. pag. 355 col. 2 v. 1 Successivamente, leggi, E passando alle
immediate deduzioni, - Q Qasmi P. Il. pag. 369 col. 1 (spec. ontol. crit. prat.
e disc.), leggi, (spec. prat. e disc.). QUIETE P. II. pag. 37o col. 2 (spec.
crit. ontol. e prat.), leggi, (spec. ontol. e prat.). Pag. 561 a 564. Togliere
da vocaboli della filosofia critica perfetto, e perfezione, polemica, po
liantea, poligrafia, psicodiari. Aggiugnere a quelli della filosofia pratica
perfetto e perfezione. a quelli della teologia naturale perfetto, perfezione,
provvidenza. a quelli della filosofia speculativa prudenza. a quelli della
discorsiva polemica, poliantea, poligrafia: Pag. 575 e 576. Togliere da
vocaboli della filosofia critica quantità, quiete. dagli ontologici quantità. –
622 – IR Rapice P. II. pag. 377 col. 1 (spec. crit. e disc.), leggi, (spec. e
disc.). REFLEssIoNE P. II. pag. 384 col. 2 v. I riflessione, leggi,
reflessione. REGoLA P. II. pag. 385 col. I v. 16 ci dan, leggi, ci dà RIDICOLo
P.II. pag. 397 col. 2 (prat. dise. e crit.), leggi, (prat. spec. e disc.).
RITMo P. II. pag. 4o2 col. 2 (dise. e crit.), leggi, (disc.). pag. 408 c. 2 v.
1 Filosofia critica, leggi, Filosofia pratica. S Sare P. II. pag. 4o9 col. 1 (
spec. e crit.), leggi, (spec.). SATIRIco P. II. pag. 413 col. 2 (crit. prat. e
disc.), leggi, (prat. e dise.). ScrNIco P. II. pag. 415 col. 1 (crit.), leggi,
(prat. e disc.). ScuoLA P. II. pag. 422 col. 1 (crit. e disc.), leggi, (spec. e
disc.). SEGNo P. II. pag. 422 col. 2 v. 32 la stessa natura, leggi, la natura.
SEMPLICE P. II. pag. 424 col. 2 v. 27 appariscano, leggi, appariscono.
SENSIBILE P. lI. pag. 427 col. 2 v. 18 tutti partecipano, leggi, gli altri par
tecipano. SENso P. II. pag. 431 col ( spec. e prat.), leggi, (crit. spec. e
prat.). Sm LogisMo P. II. pag. 437 col. 2 (dise.), leggi, (spec. e disc.) pag.
44o col. 1 v. 15 col cennato au tore, leggi, collo stesso Reid. SIMMETRIA P.
lI. pag. 441 col. 2 (spee. e crit.), leggi, (spec.). SINTESI P. II. pag. 442
col. 2 (disc. e crit.), leggi, (spee. disc. e erit.). SINTETIco P. II. pag. 443
col. 2 (dise. e crit.), leggi, (spee. dise. e crit.). SorisTA P. II. pag. 448
col. 1 (dise. e crit.), leggi, (disc.). SoNNo P. II. pag. 449 col. 1 v. 4 for
mare, leggi, fermare. SPAzioP. II. pag. 459 col. 2 v.33 questa come quella,
leggi, questa come quello. STAMPA P. II. pag. 464 col. 2 (disc. e crit.),
leggi, (disc.). Pag. 407 e 408. Togliere da vocaboli della filosofia critica
radice, ridicolo, ritmo. Pag. 481 a 484. Aggiugnere a vocaboli della filosofia
speculativa scuola, sillogismo, sintesi, sintetico. Togliere da vocaboli della
filosofia critica sale, satirico, scenico, scuola, sim metria, sofista, stampa.
Aggiugnere a medesimi senso, sintesi, sintetico. a quelli della filosofia
pratica scenico. a quelli della discorsiva scenico. – 625 - T Tenna P. II. pag.
494 col. 2 (spec. v. 21 Sossio, leggi, Sosia. e crit.), leggi, (spec.). v. 4o
colle regole del verisimile, leg gi, alle regole del verisimile. TRAGEDIA P.
II. pag. 5oo col. 2 v. 37 T P. II. - - ridevole, leggi, ridicolo. RAsUMANARE P.
II. pag. 5o2 col. 2 v. 13, leggi, PER vERBA. TRAcicoMEDIA P. II. pag. 5o1 col.
2 v. 15 TUoNo P. ll. pag. 503 col. 1 ( disc. Tragico-media, leggi,
Tragicomedia. e crit.), leggi, (dise.). V Vacco P.II. pag. 5o7 col. 1 (spec.
avido delle lezioni, leggi colla sola vir ontol. e crit.), leggi, (spec. e
ontol.). gola, avido delle lezioni. UNITÀ P. II. pag. 534 col. 1 (spee. ontol
dise. e crit.), leggi, (spee, ontol. e disc.). VERME P. II. pag. 52o col. 1
(spee. e crit.), leggi, (spec.). VisIBILE P. II. pag. 524 col. 1 (spec.
VoLATILE P. II. pag. 548 col. 2 (spee. e crit.), leggi, (spec.). e crit.),
leggi, (spec.). VoLGARIzzARE P. II. pag. 548 col. 2 r -2 VisIoNE P. II. pag.
526 col. 2 (spee. (crit.), leggi, (disc.). e crit.), leggi, (spec.). VULCANo P.
II. pag. 564 col. 1 (spec. Vizio P. ll. pag. 533 col. 1 v. 35; e crit.), leggi,
(spec.). Pag. 505. Togliere da vocaboli della filosofia critica terra e tuono.
- - Pag. 565. Togliere da vocaboli della filosofia critica vacuo, verme,
visibile, visione, unità, volatile, volgarizzare, vulcano. - 624 – SECONDA
CORREZIONE DELLA LETTERA A. AccADEMIA P. I. pag. 2 col. 1 (crit.), leggi,
(spec. e dise.). AccADEMIco pag. 2 col. 1 (crit.), leg gi, (spec. e dise.).
Acanopag.7col. 2 (crit.), leggi,(spec.). ALGoRISMo pag. 1o col. 2 (crit.), leg
gi, (disc.). ANACLASTIco pag. 12 col. 2 (crit.), leggi, (grec. sup.). ANALISI
(diso.), leggi, (crit. spec. e dise) ANALITIco pag. 15 col. 1 (disc.), leg gi,
(crit. spec. e disc.) ANToLoGIA P. I. pag. 21 col. 2 (erit.), leggi, (disc.). -
APPARIscENTE P.I. pag. 25 col. 2, leggi, APPARIscENTE e APPARIscENZA. ibid.
(prat.), leggi, (prat. e dise.). APPETITIvo pag. 26 col. 2 (crit.), leg gi,
(spec. e prat.). AREToLogIA pag. 31 col. 1 (crit.), leggi, (grec. sup.), voce
colla quale con quel che segue. ARTEFICE pag. 35 col. 1 (crit.), leggi,
(disc.). ARTIcoLATo P.I. pag. 584 col. 2 (spec. e crit.), leggi, (spec.).
ARTIGIANo pag. 36 col. 1 (crit.), leg gi, (disc.). ARTISTA (crit.), leggi,
(disc.). Pag. 51. Togliere da vocaboli della filosofia critica accademia,
accademico, agrario, al gorismo, anaclastico, antologia, appetitivo,
aretologia, artefice, artigiano, artista. Aggiugnere agli stessi vocaboli
analisi e analitico. Aggiugnere a quelli della filosofia speculativa accademia,
accademico, agrario, algorismo, analisi e analitico. a quelli della filosofia
discorsiva accademia, accademico, algorismo, analisi, analitico, appariscente,
artefice, artigiano, artista. Acustica Aerologia Agricoltura Agronomia Alchimia
Algebra Analisi Analitico Anatomia Androtomia Annali Anomalia Anotomia
Antropologia Antroposcopia Appercezione Araldica Archeografia Archeologia
Architettura Aritmetica Arte Astrologia Astronomia B Bibliografia Biblioteca
Biografia Biologia Botanica E la RN ? ) RETTIFICATO DELLE VARIE CLASSI
DE'VOCABOLI APPARTENENTI ALLE DIVERSE PARTI FILOSOFIA CRITICA. C Calcografia
Calcolo Calligrafia Canonica Canto Caratteristica Catacustica Catadiottrica
Catottrica Chimica Chironomia Chirurgia Cognizione Comentario Commedia
Comparato Concezione Conchiliologia Conoscenza Coscienza Cosmogonia Cosmografia
Cosmologia Craniologia Cristallografia Criterio Criticismo Cronaca Cronologia D
Diacustica Dialettica Didascalia Didascalico Didattico Differenziale Dinamica
Diottrica Diplomatica Disciplina Disegno Docimastica Dramma Drammatico Dualismo
Dualista E Eclettico Economia Educazione Elmentologia Empirico Empirismo
Enciclopedia Entomologia Ermetica Erpetologia Erudizione Esperimentale Estetica
DELLA FILOSOFIA SPECULATIVA, PRATICA, E DISCORSIVA. Estimativa Etereo
Etimologia Etiologia Euristica F Facoltà Fantasia Farmacia Farmacologia Fasti
Favola Filologia Filologo Filosofia Finzione Fisica Fisico add. Fisiognomonia
Fisiologia Fisionomia Fisonomia Fitologia Fitotomia Flussione Frenologia G
Geodesia Geognosia Geografia - 627 - Geologia Geometra Geometria Ginnasio
Ginnastica Giornale Giudizio Giuoco Glittografia Gnomonica Gramatica Grandioso
Gusto II Icnografia Iconologia Ictiologia Idea Ideale Idealismo Idrologia
Idraulica Idrodinamica Ideografia Idrografico Idrologia Idrometria Idrostatica
. Ignorantismo Ignoto Imitazione Immaginativa Immaginazione Incidere Industria
Induttivo Inerudito Infinitesimale Ingegno Insegnamento e Insegnare Mente
Insetto Mestiere e Insettologia Mestiero Integrale Metafisica Intellettiva
Metallurgia Intelletto Metereologia Intuizione Metodo Invenzione Mineralogia Io
Minimo Misticismo L Mitologia Moltiplice Letterato Morale Letteratura Moto
Lettere Multiplice Liceo Museo Linguaggio Musica Linguistica Litografia N
Litologia Logica Natura Logistica Naturalismo Naturalista MI Navigazione e
Nautica Macchina Nazione Magnetismo Notomia Magnetismo animale Numerico
Malacologia Massimo O Matematica, o Matematiche(scienze) Occulto Matematico
Onirocritica Materialismo Ontotogia Meccanica Ordine - Meccanico Orittognosia
Medicina Ornitologia Melodia Ortopedia Melodramma Osservazione Memorativa
Ottica Memoria Menomo P Pedagogica Percezione Peripatetico Pirotecnia
Pirronismo Pittura Plastico Pneumatica Pneumatologia Poema Poesia Poeta Poelica
Politecnico Politica Principio Proginnasma Proiezione Pronostico Prospettiva
Psicologia Q Quantità R Ragione Razionalismo Regola Retorica Ridevole
Riflessione Romantico Romanzo S Sapienza Satira º – 628 – Scena Scenografia
Scetticismo Scettico Scienza Scrittura Semeiotica Sensismo Senso Simbolico
Simile e A Accidente Archéo Assoluto Atomo Attributo Attuale Attualità C Calore
Cangiamento Caratteristica Causa Causalità Coesistenza Compiuto Composizione
Compossibile Composto Condizionale Contiguità Contingente Continuità Continuo
Contraddizione Similitudine Sincretismo Sintesi Sintetico Sistema Spirito
Spiritualismo Statica Storia Sublime - T Teatro Teologia Teoria Topografia
Tradizione Traduzione Tragedia Tragicomedia Trascendentale e Trascendente VOCI
ONTOLOGICHE. Corpuscolare Corpuscolo Cosmologia D Determinare Determinazione
Diffusione Dimensione Dipendente Dipendenza Distinzione Diversità e Diverso
Durata Durazione E Ecceità Effetto Emanazione Eminente Ente Entelechia Entità
Esistenza Esistere Essenza Essenziale Essere Estrinseco Eternità Eterno Finito
Forma Formale Forza Futuro Identità Immensità Immenso Impossibile Impossibilità
Incommensurabile Incompiuto lncomplesso Incompossibile Indefinito V Vento
Volontà Uomo Uranologia Utopia Z Zoofitologia Zoologia Zootomia Independente e
Indipendente Individualità Individuazione Indivisibile e Indivisibilità
Inerente e Inerenza Infinità Infinito Instante lntrinsico e Intrinseco Istante
Io Luogo M Materia Metamorfosi Modalità Modificazione Modo Moltiplice Monade –
629 - Mondo Moto Multiplice Mutabile e Mlutabilità MutazioneN Natura Naturale
Naturante e Naturata Necessario Necessità Niente o Nulla O Obbiettivo
OccasionaleA Abile e Abilità Abito Abitudine Accademia Accademico Accessorio
Accidentale Accorgimento Accuratezza Acqua Acroamatico o Acroatico Acume Addome
e Addomine Adequato 0cculto OggettivoP Palingenesia Panteismo Perfetto e
Perfezione Pieno Plastico Possibile Possibilità Potenza Potenziale Potere
Preesistenza e Preesistere Principio Privazione Proprietà Punto Q Qualità
Quantità Quidità e Quiddità Quiete R Reale Realità e Realtà Relativo Relazione
FILOSOFIA SPECULATIVA. Aeriforme Affinità Afelio Agente Aggiunto Agire Agrario
Albero Amorfo Analisi Analitico Analogia Androide Anima Animale Animale add.
Animalizzare Animo Annientamento Anno Anomalia Antecedente Antipensare
Antiperistasi Antivedimento Apogeo Apparente Apparenza Appercezione Appetitivo
Apprensione Apprensiva Approvazione Arbitrio Arcano Archetipo Aria Armonia S
Semplice Sostanza Sostanziale Spazio SubbiettivoT Tempo V Vacuo Unico Unione
Unità Univocazione e Univoco Uno Arteria Articolato Articolazione Assegnabile
Assentimento Assimilazione Assioma Associazione Assoluto Astrarre Astratto
Astrazione Astro Atmosfera Attenzione Attitudine Attività Attivo Atto – 650 –
Attrazione Attributo Attuale Attualità Automato Autorità Avvedimento Avversione
Avvertenza Azione Bellezza Bello Bene Beni Bocca Bontà Braccio Bronchi Bruto
Brutto Bussola Calore Calorico Canone Caos Capacità Capillare Capillarità Capo
Carattere Cartilaggine Caso Causa Causalità Cellula Cellulare Cerebro Certezza
Certo Cervello Chilo Chimo Cielo Circolazione Coesione Cogitativa Cognizione
Collettivo Colore Cometa Comparazione Complesso Composizione Composto
Comprendere Comprensibile Comprensione Compressibile e Compressibilità Comune
Concatenazione Concepere e Concepire Concetto Concettualista Concezione
Conchiglia Concreto Condizionale Condizione Confidanza e Confidenza
Conſigurazione Conformazione Confusione Congruenza Connessione Conoscenza
Conoscenza di seme desimo Consapevolezza Consecuzione Considerazione Consiglio
Contemplazione Contingente Continuità Continuo Contraddizione Conveniente
Convenienza Convizione Coordinare Coordinazione Coroide Corpo Corpuscolare
Corpuscolo Corruzione Cosa Coscienza Costellazione Costituzione, Cotiledone Cranio
Craniologia Creatore Creazione Credenza Credere Credibile Credibilità
Cristallizzazione Cristallo Criterio Critica Crittogramia Cuore Curiosità D
Decomposizione Decoro Dedotto Dedurre Deduzione Definizione Deforme e Deformità
Deismo Deista Delicatezza Deliberazione Denominare . Denti Derivazione
Desiderio Destinare Destinazione Determinare Determinato Determinazione
Diaframma Dialetto Diastole Difficoltà Difforme Dilatabilità Dilicatezza
Dimenticamento e Dimenticanza Dimostrabile Dimostrativo Dio Diretto Diritto
Disattenzione Disavvedimento Discernere Discernimento Discernitivo – 651 –
Disconsentire Disconvenienza Discredere Discrepare Discreto Disegno Diseguale
Disordine Dispari, Disparità Dissentimento Dissimile Dissoluzione Distanza
Distinguere Distintivo Distintivo add. Distinzione Distrazione Disuguale Dita e
Diti Divisibilità Dizionario Dogma Dogmatico Dogmatizzare Dolore Dovere
Dubbiezza Dubbio Dubitare Durata Durazione Durezza Duttilità E Ecclittica
Educazione Effetto Egoismo Egoista Eguale Elasticità Elementare Elemento
Elettricismo o Elettricità Emanazione Embrione Emenda Eminente Empietà
Epigenesi Equabile Equatore Equilibrio Erba Ermafrodito Errore Esaltamento
Esaminare Esatto Escogitare Esempio Esercizio Esistenza Esistimazione
Esitazione Esoterico Espansione Esperienza Esperimentale Esperimento Essenza
Essere Estensione Esteriore e TEsterno Estimativa Estimazione Estremità e
Estremo Estrinseco Etere Eternità Eterno Eterogeneo Evidente Evidenza
Evoluzione Exoterico F Faccia Facile e Faciltà Facoltà Fallacia Fallo Falso
Fanatismo A Fantasia Fantasima Fantasticaggine e Fantasticheria Fatalismo
Fatalista Fato Fatto Fecondazione Fede Fenomeno Fermentazione Fermento Feto
Fiamma Fibra Figura Filosofare Filosofia Filosofismo Filosofo Fine Finezza Finito
Finzione Fisiologia Fisiologista Fisiologo Fluidità Fluido Forma Formale
Formola Formolare Forza Fossile Freddo Fronte Fuoco Futuro G Galvanismo Ganglio
Gas Gelo Generale Generalizzare Generazione Genio Geometra Germe Germinazione e
Germogliamento Ghiaccio Gigante Giorno Giudizio Giuoco Giusto Glandula Globetto
– 652 – Gola Gota Grado Grandezza Grave Gravità Gravitazione Grossezza I
Ibridismo Idea Ideale Idealità Identico Identità Idolo Ignoranza Ignoto
Illuminazione Illusione Imitare Imitazione Immaginare Immaginativa
Immaginazione Immagine Immateriale Immaterialità Immediato Immemorabile
Immensità Immenso Immensnrabile Immobile Immobilità Immortale Immortalità
Immutabile Impenetrabilità Impercettibile Impercettibilità Imperfetto
Imperfezione Imperscrutabile Impersuasibile e Impersuasibilità Imponderabile
Impossibile Impossibilità Impressione Improporzionale e Improporzionato
Inadequato Inapprensibile Incapacità Incertezza e Incertitudine Incerto
Inclinazione lncogitabile Incognito Incommensurabile Incommutabile
Incomparabile Incompatibile Incompiuto Incomplesso Incompossibile Incomposito e
Incomposto Incomprensibile Inconcepibile Incongruenza Inconvenevole,
lnconveniente e Inconvenienza Incorporeo lncorruttibile Incredibile Incredulità
Incredulo Incubazione Indefinitezza Indefinito Independente Indeterminato
Indifferenza Indimostrabile Indipendente Indiretto Indiscernibile Individuale
Individualità, Individuazione Individuo Indivisibile e Indivisibilità Indizio
Indole Indubitabile Indubitato lndurre Induttivo Induzione Ineguale Inerzia
Inettezza e Inettitudine Infallibile e Infallibilità Infinità Infinitesimale
Infinito Influsso Informe Infusorio Ingegno Ingenito Inorganico Inragionevole
Inrazionabile Inrazionale Insensibile Insetto Instante Instituto Instituzione
Instruzione Intellettiva Intellettivo Intelletto Intellettuale Intellezione
Intelligenza Intelligibile Intendimento Intensione o Intensità e Intenso
Intenzionale , Intenzione Interiore e Interno Intimo Intrinseco e Intrinsico
lntuitivo Intuizione Inventare Invenzione Inverisimiglianza e Inverisimile
Invisibile lo Ipotesi Ipotetico Irragionevole lrrazionabile Irrazionale Istante
Istinto Istruzione L Larghezza Latitudine Latte Lava Legge Lente Libero Libertà
Lichene Linea - Linguaggio Liquidezza e Liquidità Liquido Logaritmo Logica
Longimetria Longitudine Lontananza Luce Luna Lunghezza Luogo Lusso M Macchina
Magnete Magnetico Magnetismo Magnetismo animale Magniloquenza Male Mammifero
Maniera Mano Maraviglia Maraviglioso Mare Martirio Massima Massimo Materia
Materialismo Materialista Materialità Maternità Me Meditare Meditazione Membro
Memorativa Memoria Menomo e Minimo Mente Meridiano Mese Metallo Meteora Metodo
Mezzo Microcosmo Microscopio Midolla e Midollo Minerale Mineralogia Miscredente
e Miscredenza Mistero e Misterio Misto Misura Mobilità Moda Modalità
Modificazione , Modo - - Molecola e Molecula Mollezza Moltiplice Momento Monade
Mondo - a Morale Mortale Morte Mostro Motivo Moto Movimento Mucilagine
Multiplice Muscolo Mutabile Mutabilità Mutazione N Nadir Nano Naso Natura
Naturale add. Naturale sost. Necessario Necessità Negativo Negazione Nervo Nido
Niente Nome Nominale Notizia Notte Nozione Nulla Numerico Numero O Obbiettivo
Obbietto Obligazione Occasionale Occhio Occidente Occulto Oceano Odorato Odore
Oggettivo Oggetto Omeomeria e Omiomeria Omonimo Operazione - Opinione Ora Orbe
Orbita Ordine Orecchia e Orecchio Organico Organismo Organo Oriente Orizzonte
Ornamento e Ornato Osservazione Osso Ottimo Ovaia Oviparo P Palato Palingenesia
Palpebra Pancia Pancreas Panteismo Paralasse Parenchima 80 Parlare Parola Parte
Particolare , Particolarità Passato Passione Passivo Pelo - -- - Pendolo e s -
, - Pendulo Pensamento Pensare . Pensiero Pentimento Percezione Perfetto e
Perfezione Pericardio Pericranio Perielio Perigèo Periostio Peristaltico
Peritoneo Perpetuale e Perpetuo Persona Personale Perspicacia o Perspicacità
Persuasione Perturbazione Pesce - Peso a Petto Piacere Pianeta Pianta Piede
Pieno Polarità s º º Poli Polipo , Politecnico Polline - Polmone o Portento o
Positivo i Possa e Possanza Possibile Possibilità Posteriore Postulato Potenza
Potenziale Potere Precisione e Preciso Precogitare Preesistenza e Preesistere
Preformazione Pregiudizio Prenozione Preoccupazione Presente Prestigio
Presumere Presunzione Preterito Prevedimento e Previdenza Prevenzione
Previsione Primo Principale Principio Priore Privativo Privazione Probabile
Probabilità Problema Produzione Profondità Progressivo Progresso Proiezione
Pronostico Propagazione Proporzione Proponimento Proposito Proprietà
Prospettiva Providenza e, Provvidenza o Prudenza , Pruova Peicologia Punto
Purità e Puro Q Quadrupede Qualità Quantità Quiete R Raccoglimento Radice
Ragionamento Ragionare Ragione Rammemorare Rammentare Rapporto Rappresentare
Rappresentativo Rassimiglianza e Rassomiglianza - i bi i Prodigio - Refrazione
- - - Razionale , Reale - Realità e r; Realtà - Reazione t l . Reflessione
Regola Relativo Relazione Reminiscenza Remissione - Repulsione Resistenza
Respirazione - Retina 3 - , Rettile : : Riconoscenza e Riconoscimento , º
Ricordanza e Ricordare e " Ridicolo - Riflessione - Rimembrare e
Rimembranza Rimordimento e Rimorso i Ripensare Riposo e Riproduzione º
Ritenitiva e º Ritentiva - Romore Ruminare a º Rumore i s . Sagace e e Sagacità
- Saggio - Sale . Sangue – 655 – Sanità Sapere Sapienza Sapore Saturno
Scegliere e Scelta Scienza Scomposizione Sconvenienza Scoverta Scrittura -
Scuola - Segno e Sembiante Seme e Semenza Semplice Senno Sensazione Sensibile :
Sensibilità a Sensista - Sensitivo Senso Sentimento Sentire - Serie - Sicurezza
Sillogismo Simbolo Similare Simile e Similitudine Simmetria Simultaneo
Singolare Sintesi Sintetico Sistema Sistematico Sistole Sodezza i Te Soggetto
Sogno i Sole Solidità a Solido e Sonno Sostanza Sostanziale Sottigliezza e
Sottilità e Sottomoltiplice Spazio Specchio Specie Speculare Speculativo Sperma
Spirito Spirituale Spiritualità Spontaneità e Spontaneo Sproporzione Statura
Stella Stomaco Strabismo Studio Subbiettivo subito a Sublime Subordinato
Successione Suggetto Summoltiplice , Suono - T Talento : Tangibile Tatto e
Tavola Tempo Tendine i Tenebra Teologia Teorema Teoria Teorica Teorico Terra 4
Testaceo º Testimonianza Torace - Trachea Trascendentale e Trascendente Tropico
Tutto V Vacuo Vapore Varietà Uccello Udito Vegetabile Vegetale Vegetare
Vegetativa Velleità Velocità Vena Vento Ventre Verisimiglianza e Verisimile -
Verità Verme Vero Vertebra e Vertebrato Vescica. Virtù Virtuale e Virtualità
Viscera e Viscere Visibile Visione Viso Vista Vita Vivace e º Vivacità Viviparo
Umanità e Umano Umore º Unico Uniforme - Unione e Unità Universale Universo Uno
Voce Volatile Volere Volizione Volo Volontà Volontario Volto Volume Uomo Uevo
Vulcanico Vulcano Z Zenit Zetetico Zodiaco Zona. Zoofito as - 656 - A Abduzione
Ablativo Accademia Accademico Accento Accessorio Accuratezza Accusativo
Addiettivo Adesione Affermativo Affermazione , Aforismo Alfabeto Algorismo
Alternativo Ambiguità Amplificare Analisi Analitico Analogia Analogico
Analogismo Anomalia Antecedente Antilogia Antipredicamenti Antologia Apagogia
Apagogico Apodittico Apologetica Apologia Appariscente Appellativo Applicare
Argomentazione Argomento FILOSOFIA DISCORSIVA. Aringa Aringo Armonia Artefice
Articolo Artigiano Artista Asprezza Assicuranza Assunzione Assurdo Astratto
Astrazione Atto Attributo Avverbio Barbarismo Bernesco Brachigrafia
Brachiologia Burlare C Carattere Caratteristico Caso Categoria Categorico
Cavillazione Circostanza Classe Classificare Collettivo Comento Comparativo
Comparazione Complesso Composizione Comune Concatenazione Concione Conclusione
Concordanza Concreto Condizionale Condizione , Conformità Confusione
Confutazione Congettura Congenere Congiuntivo Congiunzione Coniugazione
Coniuntivo Connessione Conseguente Conseguenza Consonante Consonanza
Contraddizione Contrapposito Contrarietà Convenienza Conversione Convizione
Coordinare Coordinazione Correlazione Cosa Costruzione Crittografia D Datismo
Dativo Dato Declamatore Declamazione Declinare Declinazione Dedotto Dedurre
Deduzione Definizione Degnità Deliberativo Denominare Dentale Derivare ,
Derivativo Derivato Desinenza Dialettica Dialetto Dialogo Difettivo Differenza
Difficoltà Difforme Dignità Dilemma Dimostrabile Dimostrativo Dimostrato
Dimostrazione Disconvenienza Discordanza Discordare Discorso - Discrepare
Discussione Disdire Disgiuntivo Disingannare Disinganno - 657 - Disparere
Dispariscente e Dispariscenza Disparità Disposizione Disputabile Dissuasione
Distinguere Distintivo Distintivo add. Distinzione Distribuzione Dittongo Diversità
e Diverso Divisione Dizionario Dottrina Dottrinale Dubbio E Eccezione Eguale
Eleganza Elenco Eloquenza Emenda Entimema Entimematico Enunciazione Epiceno
Epichirema Epiteto Equilibrio Equipollente e Equipollenza Equivalente e
Equivalenza Equivoco Esagerare Esatto Esegesi Esegetico Esempio Esortazione
Espressione Estremità e Estremo Estrinseco Estro Esuberanza Eteroclito
Etimologia Evidente Eufonia Euristica F Facezia Facile e Facilità Facondia
Fallacia Falso Fantasima Fantasticaggine Fantasticare Fantasticheria Favola
Figura Figurato Florilegio Formola Formolare Frase G Generale Generalità
Generalizzare Genere Generico Genitivo Gerundio Gesto Giudiciale Glossario
Gradazione Grado Grandiloquenza Gravezza, Gravosità, Gravoso Grazia Gutturale
Icastico Identico Idioma Idiota Idiotismo Illazione Illetterato Imitare
Immaginoso Immediato Immemorabile Imperativo lmperfetto Imperito e Imperizia
Impersonale Impersuasibile, Impersuasibilità Impertinente Impeto Improbabile e
Improbabilità Improprietà e Improprio Inadequato Inarticolato Incidente e
Incidenza Incognito Incomparabile Incompatibile Incompiuto Incomplesso
Incomposito e Incomposto Inconcludente Incredibile Indeclinabile Indefinibile
Independente lndicativo - Indimostrabile Indipendente Indizio Indocile e Indocilità
Indottivo Indotto lndurre Induttivo Induzione Inequivalente Infaceto Inferire
Infinitivo e Infinito Inflessione Inrazionabile Imregolare Insinuazione
Instituto Instituzione Instruzione Intento Intenzione Interesse Interiezione
Intransitivo Intrinseco e Intrinsico Inversione Iperbato Ipotesi Ipotetico
Ipotiposi Irrazionale Irrefragabile Irregolare lstruzionerL Labbiale Lepidezza
Lepido Lessico Lessicografo Lettera Letterale Liberale Lingua Linguaggio Logica
Loquacità Loquela Luogo M Magniloquenza Male Malignare Maniera Manifesto
Maraviglioso Massima Me Membro Memorabile Memorando Metodo º Mistero e Misterio
- Modo Momento - N Narrazione Nasale Negativo Negazione Neografia Neologia
Neologismo Nome Nominale Nominativo Novella Numerale Numerico Numero O
Obbiettivo Obbietto Obbiezione Occasione Oggettivo Oggetto Onomatopea Opinione
Opportunità e Opportuno Opposizione Opposito e Opposto Oratoria Oratore
Orazione e o i Ordine Organo Ornamento e Ornato Orpellare e Orpello Orrendo,
Orribile, Orrido Ortografia Ortopedia ſ P Palese Parabola Paradosso Parafrasare
Parafrasi Parafraste e Paralogismo Parlare Parola Paronimo Parte Particella
Participio Particolare Partizione Parziale Passivo Pedagogia Peggio e Peggiore
Pensamento Periodo Persona Personale , Persuadere Persuasione Persuasiva
Pertinacia ſ( - t - e Piede Pleonasmo Plurale Polemica Poliantea Poligrafia
Positivo Posteriore Postulato Precisione e Preciso Predicabile Predicamento
Predicato Promessa Prenozione Preposizione Presente Presumere Presunzione Preferito
Primo Principale Principio Priore Privativo Privazione Probabile Probabilità,
Problema Prodromo Proemio ; Pronome Pronunzia e Pronunziazione Proponimento,
Proposito Proposizione Proprio Prosa Prosillogismo Proverbio Pruova S
Sostantivo V Punteggiamento e - Sostrato Punteggiare Saggio Sottigliezza e
Valore Purismo Satira ) Sottilità Vano Satirico Speciale Vantare i Q Scena
Spezie Varietà Scenico Stampa Verbo Quantità Sconvenienza Subalterno
Verisimiglianza e Questione e Scrittura Subbiettivo Verisimile Quistione Scuola
3 Subbietto Verità e Segno ) Subiuntivo Vero R Sentenza Sublime | Verso Sentire
Subordinato Virgola Radicale Serie Suggetto Virtuale e Radice Sillaba
Superlativo Virtualità Ragionamento Sillessi Suppositivo Viso Ragionare I
Sillogismo Supposizione Vivace e Ragione Sillogizzare Sustantivo Vivacità
Ragionevole Simbolico s Umanità e Rammemorare Simbolo T Umano Rappresentare
Simile e Unità - Rappresentativo Similitudine Tecnico Universale , Raziocinio
Singolare Tema Univocazione e Relativo Sintassi Tempo Univoco - : - Relazione i
Sintesi i Teorema Vocabolo Retore Sintetico Termine Vocale - Ridevole Sistema
Topica Vocativo Ridicolo Sofisma e Torto Voce Rigidezza Sofismo -
Trascendentale e Volgarizzare Rigore Sofista Trascendente Uso Rima º Sofistico
Tropo Rinomanza e Soggetto, Tuono Z Rinominanza Solecismo - Tutto - Ritmo i
Sorite - Zeuma TEOLOGIA NATURALE. A Angelo e Ateismo B Angiolo Ateista - ,
Abnegazione Antropomorfismo Ateo Bacchettoneria Adorazione - Antropopatia
Bestemmia Amagogia Apologetica - 640 – C Cataclismo Cielo Culto D Deismo Deista
Devozione Dio Divinazione Divinità Divino Dogma Dogmatico Dogmatizzare E
Empietà Esaudire Estasi Estatico Eternale Eternità Eterno A Abbiezione
Abbominare Abborrire Abito Abitudine Acconcio Accortezza Accuratezza Accusa
Acquiescenza F Fede Filosofismo G Giuramento II Idolatria Idolo Immateriale
Immaterialità Immortale Immortalità Immutabile Impeccabile, Impeccabilità
Impenitenza Increato lncredulità Incredulo Indevozione Ineffabile Infallibile e
Infallibilità Infinità Infinito Influsso Inreligiosità Invisibile Ipocrisia
Irreligioso L Longanimità M Male Martirio Meditazione Miscredente e Miscredenza
N Naturalismo Necessario O Oltramondano Onnipotenza Ordine Organismo FILOSOFIA
PRATICA. Adulazione Affabilità Affettazione Affetto Affezione Afflizione
Affronto Agente Agevole Aggiunto Agitazione Alacrità Allegrezza Allettamento
Alterezza e Alterigia Ambascia Ambizione Amicizia Amico Ammirazione Amore
Amorevolezza Anelanza e P Perfetto e Perfezione Prescienza Providenza
Purgazione R Raccoglimento Religione S Sole Spergiuro Superstizione T Teologia
V Ubbia - Unico Voto (coll'o stretto) Anelito Angoscia Angustia Animosità
Ansietà Antipatia Apatia Apatista Apologo Appariscente Appetitivo Appetito –
641 - Approvazione Arbitrio Ardire Ardore Aringo Arroganza Artifizio Asprezza
Assentatore Assicuranza Assuefazione Atroce e Atrocità Astuzia Avarizia Audacia
Avidità Austerità Autonomia Autorità Avvedutezza Avvenentezza o Avvenenza
Avversione Avvertenza Avvertimento Azione IB Baldanza Balordagine Barbarie
Barbaro Beatitudine Beato Beffa , Beffardo Beffare Beffe Beffeggiare Bene
Beneficenza Benefizio Benevolenza Beni Benignità Biasimo Bisogno Bollore ,
Bonarietà Bontà Brama Bravurà Bugia Buono Burlare C Callidità Calma Calunnia
Candore Carattere Carità Caso Castità Cautela Cauto Certezza Certo Ciglio
Circonspezione Circonvenzione Civile Civiltà Collera Collisione Colpa
Commiserazione Compassione Compatimento Compiacenza e Compiacimento Compiagnere
e Compiangere Compianto sost. Compostezza Conato Concupiscenza Concupiscibile
Confidanza e Confidenza Conformità Confusione Conoscenza di se medesimo
Consolazione Consuetudine Continenza Contrarietà Contumelia Conveniente
Convizio Coraggio Corrivo Corruccio Corruttela Corruzione Cortesia Costanza
Costernazione Costume Creatore Creazione Credulità Crudeltà Culto Cupidigia
Cupidità - e D - Dabbenaggine Danno Dappocaggine Decenza Decezione Decoro
Deforme e Deformità Defraudare Degnazione Degnità Deliberazione Delicatezza
Delirio Delitto Delizia Demenza Demerito Deplorare Depravare Depravazione
Derisione Desiderio Desolazione Detestare Detrazione Dettame Difettivo Difetto
Difettuzzo e Difettuccio Difettuoso e Difettoso Diffamare Difficoltà Diffidanza
e Diffidenza Dignità Dileggiamento Diletto Dilezione - Dilicatezza Diligenza
Dimenticamento e Dimenticanza 81 – 642 – Dio Diritto Disacconcio Disaffezionare
Disamore Disamorevolezza Disanimare Disappassionatezza Disavvedimento
Disavvedutezza Discolpa Discolpamento Disconforto Disconoscenza Disconoscere
Disconsentire Disconsigliare Disconsolare Discontentare Discontinuare
Disconvenienza Discoraggiare Discorrere Discordanza Discordare Discordia
Discortesia Discredere Discreditare Discreto Discretezza Discrezione Disdegno
Disdicevole Disfavore Disgrazia Disgusto Disingannare Disinganno Disinteresse
Disinvoltura Disistima Disleale Dismodato Disobbedire Disobbedienza Disobligare
Disonestà Disonore Disorbitanza Disordine Disparere V. Disparevole Dispari
Dispariscente Disperanza º Disperare , Disperazione Dispetto Dispiacenza e
Dispiacere Dispiacimento Disposizione Dispregio e Disprezzo Disragione
Disregolato Dissensione Dissimulazione Dissolutezza Distinzione Disubbedire
Docile Doglia Doglienza Dolo Dolore Dovere Dubbiezza Duolo Duplicità Durezza E
Eccellente - Eccesso Eccezione Educazione Efferatezza Effervescenza Egoismo
Egoista Eguale Elevatezza a Emenda Emozione Empietà Emulazione Enormità
Entusiasmo Equabilità Equanimità - Equilibrio - Equità l Equivalente e
Equivalenza i Eroe - Eroico - Esacerbare Esagerare Esaltamento Esaltazione
Esanimare Esanime Esasperare Esatto Esaudire Escandescenza l Escusare Esecrare
Esempio Esercitazione Esercizio Esilarare Esitazione Esorbitanza Esperienza
Esperimentale Esquisitezza Estimazione - Estremità e Estremo Esultazione Età
Etica Evenimento ed Evento Eutrapelia o Eutropelia F Faccia Facile e Facilità
Fallacia Fallo - Falsità - - Fama - Fanatico Fanatismo i Fantasticare Fare
Farneticare Fastidio Fasto Fatica Fatto Fatuità Fatuo Favola Favore Fede Fedele
Fedeltà Fedità – 645 – Felicità Frenesia Giustizia Illiberale' Ferinità , i
Frivolezza Giusto Illusione Ferino Frode , Gloria Imbecillità Ferità Frugalità
e Glorioso Imbroglio Fermentazione , Fruire Godimento Imitare Fermezza - Fucato
, Goffagine Immacolato e Ferocia e Funzione Gola Immaculato Ferocità Furberia .
Gongolare Immaginoso Ferventezza, Furente e Gradazione, Immane e Fervidezza e
Furia Gradevole Immanità Fervore - Furibondo i Grande Immansueto Fidanza
Furioso e Grandezza Immisericordioso Fido - Furore - . Gratitudine Immobile
Fiducia , G Grato Immoderanza Fierezza , - - - Gravezza Immoderato Filantropia
Gabbare Gravità Immodestia Filosofante Gagliardezza e Gravosità , Immorale
Filosofaccio Gagliardia Gravoso Impazienza Filosofastro Gaiezza Grazia
Impensatamente e Filosofeggiare Galloria Grossezza Impensato Filosofetto
Garbatezza e Grossolanità e Imperito e Filosoficare Garbo - e Grossolano
Imperizia Filosofone Gaudio - . . . Guardingo Imperseverante e Filosofuolo e
Gelosia Guerra Imperseveranza Filosofuzzo , i Gemere l . Imperterrito Fine - ,
Gemito - I Impertinente Finezza , Genorosità lattanza Imperturbabile,
Fluttuamento e Genoroso ldeale Imperturbabilità Fluttuazione Genio Idiota
Imperturbazione Follezza e Gentilezza ldolo Imperversare Follia Gesto Idoneità
Impervertire Fomite Giocondità Ignavia Impeto Forcostumanza Gioia Ignobile e .
Impetuosità e Formidabile Giovanezza Ignobiltà Impetuoso Formidine Giovenezza
Ignominia Impigliare Fortezza Gioventù lgnoranza Implacabile Fortuito
Giovialità Ilarità Imprecazione Fortuna Giovinezza Illecebra e Improbità Fraude
Giubilo Illecebroso Improbo Freddezza Giulività Illecito Improperio Fremere e
Giuoco Illetterato Improprietà e Fremito Giuramento Illibatezza Improprio – 644
– Improvedenza, Improvidenza e Improvido Imprudenza Impudente e Impudenza
Impudicizia Impunità Imputabile e Imputabilità Inabile e Inabilità Inanimare
Inanimato Inanimire Inartificioso Inavveduto Inavvertenza Inazione Incapacità
Incastità Incauto Incentivo lncitamento Inciviltà Inclinazione Incolpabile Inconsideratezza
Incontinenza Inconvenevole, Inconveniente e Inconvenienza Incoraggiare
Incorrigibile Incorruttibile lncostanza Incredibile Incredulità Incredulo
Incrudelire Incuriosità Indebito Indecente e Indecenza Indecoroso
Indecorosamente Indefesso Indegnità Indegnazione Indeliberato Independente
Independenza Indeterminazione - Indignazione Indipendente Indipendenza
Indifferente Indifferenza Indiligenza Indiscretezza e Indiscreto Indisposizione
e Indizio Indocile e Indocilità Indole Indolenza Indotto Indulgenza Industria
Inequivalente Inescusabile Inesorabile e Inesorabilità Infamare lnfame Infamia
Infedele e Infedeltà Infelicità Infermità Infido Infingardaggine e. Infingardo
Inflessibile Inganno Ingeneroso Ingenuità lngiocondo Ingiuria Ingiustizia Ingiusto
Ingordigia Ingratitudine Ingrato Inimicizia e Inimico Iniquità Inirascibile
Iniziato Innobilezza e Innobiltà Innocente e Innocenza Inobbedienza Inonestà e
Inonesto Inonorato Inquietezza e - Inquietudine Inragionevole Inrazionabile
Inregolare Inresoluzione - Insania Insensibile Insidia Insigne Insinuazione
Insipiente e Insipienza Insolenza Instruzione Insulto Integrità Intemperanza
Intensione Intensità e lntenso Intenzione Interesse Interiore e Interno -
Intimidità Intimo Intrepidezza e Intrepidità Invariabile lnverisimiglianza e
Inverisimile Invidia Invito Involontario Inumano Inurbano Ipocrisia Ira e
Iracondia Irascibile e Irascibilità Irragionevole Irrazionabile Irresolutezza
Irrisione Istinto Istruzione L Lacrima Lagnamento e Lagno Lagrima Laidezza Lamentazione
Lamento Lascivia Lautezza – 645 – Lealtà Lecito Legge Leggerezza Letizia Levità
Libello Liberale Liberalità libero Libertà Libertinaggio Libidine - Licenza
Licenzioso Lietezza e Lieto Limosina Lode Longanimità Lusinga Lusso Lussuria
Lutto M Macchinamento e Macchinazione Magnanimità Magnanimo Magnificenza
Magnitudine Malacconcio Malaccorto Malacreanza Maladizione Malaffetto
Malagevole Malanconia Malanno Malardito Malavoglienza Malavveduto
Malconsigliato Malcontento Malcostumato Malcreato Maldicenza Maldisposto Male -
Maledizione Malefico e Malefizio Malevoglienza Malevolo Malfare Malignare
Malignità Malinconico Malizia e Malizietta Malo Malore Malvagio e Malvagità
Mancamento Mancatore Mania Maniera Mano Mansuetudine e Maraviglia Maraviglioso
Marrano Maternità Matteria Mattezza Mediocrità Meditazione Mendace Mendacio
Mentire Menzogna Merito Mestizia Mezzo Millanteria Miserabile Miserando
Miserazione Miserevole Miseria Misericordevole Misericordia Misericordioso
Misero Misfare º Misleale e Mislealtà Mistico add. Mistico sost. Mite Moderanza
e Moderazione Modestia Molestia Mollezza Momento Monomania Morale Morbidezza
Mordacità Mortale Morte Motivo Mevimento N Naturale sost. Necessità Nefandezza,
Nefandigia e Nefandità INefario Neghittoso Negligenza Nemico Nequizia Nettezza
Niquitoso Nobile e Nobiltà Nocumento Noia Novella' O Obbedienza Obbedire
Obligazione Obbligo e Obligo Obblio e Obblivione Obbrobrio Occasionale
Occasione Odio Odioso Offensione e Offesa 0ficio Ofizio Oltraggio Omissione e
Ommissione Onestà Onesto Onoranza Onore Operare Operazione Opportunità e
Opportuno Organismo Orgoglio – 646 – Orpellare e Orpello Orrendo, Orribile,
Orrido Orrore Ossequio Osservanza Ostentazione Ostinazione Ottimo Ozio Oziosità
p Pace Parabola Particolarità Passione Paternità Paura Pazienza Pazzia Peccato
Peggio e Peggiore Pena Penitenza Penoso Pentimento Perdonanza, Perdonare e
Perdono Perfetto e Perfezione Perfidia Perplessità o Perplesso Perseveranza
Pertinacia Perturbazione Perversità e Perverso e Pessimo Petulanza Piacere e
Piacevole e - Piacevolezza Pianto e Picciolo e Piccolo Pietà e Pietade Pietoso
- -- Pigrezza e Pigrizia Pio Placidezza e Placidità Politezza Poltro, Poltrone,
Poltroneria Positivo Povertà Pravità e Pravo Precetto Precipitanza Precisione e
Preciso Predilezione e Prediligere Pregio Premeditare e Premeditazione Premio
Presontuoso, Presontuosità , Presonzione Prestante e Prestanza Pretesto
Prevaricazione Prevedimento e Previdenza i Prevenzione Principio Probabile i
Probabilismo Probabilità , Probità Procace Prodezza Prodigalità Produzione
Progetto , Promessa, Promessione e sa Promissione Pronostico e Propensione -
Proponimento, e Proposito Prosperità Prossimo Protervia e Protervità Proverbio
Providenza Provocamento Prudenza Pruova Pudicizia Pudore Pulitezza Puntualità
Purgazione Purità e Puro Qualità Quantità e Querela Querimonia Quiete R
Ragionevole Rallegranza, Rammaricamento e Rammarico Rampogna e Rampognamento
Rancore Rancura i Rassegnazione , Rassimiglianza e º Rassomiglianza i Relativo
Relazione , Remunerazione Reprensione Reprobo , Reputazione Rettitudine e Retto
Reverenza Riamare Ribalderia e Ribaldo Ribrezzo Ricadia Ricchezza Ricompensa
Riconoscenza e Riconoscimento Ridere - Ridevole - Ridicolo - Rigidezza Rigore
Rimordimento e Rimorso Rimunerazione Rinomanza e Rinominanza Riposo – 647 -
Riprensione Riprezzo Riputazione Risibile -- Risibilità - - - Riso Risolvere e
Risoluzione Risponsabile e Risponsabilità Riverenza Rozzezza e Rozzo Ruvidezza
e Ruvido Saggio Sanità Sapiente Sapienza Satira Satirico Sbalordimento
Sbeffeggiare Scegliere e Scelta Scempiaggine e Scempiataggine Scenico Scherno
Schiavitù e Schiavo Schiettezza e Schietto Sconfidenza Sconfortamento e
Sconforto Sconoscenza Sconvenienza Rispetto Screditare Scusa e Scusazione
Sdegno Seduzione Semplicione Semplicità Senso Sensuale Sensualità Sentenza
Sentimento Sentire Serenità e Sereno Servaggio e Servitù Severità -
Sfacciataggine e Sfacciatezza Sgomento Sicurezza Simpatia Simulare e
Simulazione Sinderesi Sistema - Sistematico Smania Smemoraggine e Smemorato
Soave e Soavità Sobrietà Sodezza Sofferenza Sofficiente Sollecito Sollecitudine
Spavento Specchio Spensierato - : Speranza Spergiuro Splendore Spontaneità e
Spontaneo Sregolatezza Stima Stolido e Stoltezza Stoltizia e Stolto - Stranezza
Stupido Stupore Subordinato Sufficiente Suggestione Suicidio Superbia Superfluo
Superstizione T Taccia Talento Tapino Tedio Temperanza Tenace e Tenacità
Tenerezza Tentativo f Terrore Testimonianza Timidezza e Timidità Timore
Tolleranza Tormento Torpidezza, Torpido e Torpore Tortitudine Torto Tracotanza
Tradigione e Tradimento Tranello Tranquillità Trascuraggine e Trascuranza
Trasumanare Trepidazione Tribolazione Tristezza Tristizia Turbolenza e
Turbolento Turpe Turpiloquio Turpitudine : : V Valore Vanagloria Vaneggiare
Vanità Vanitoso - Vano Vantare º Ubbia Vecchiezza Velleità Venalità Vendetta
Venerazione Verace e Veracità Verecondia Vergogna Verisimiglianza e Verisimile
- 648 - Umore Uniforme Unione Voglia Volontà Volontario Volubile e Volubilità
Voto (coll'o stretto) GRECISMI SUPERFLUl. G Geogonia Geonomia Gnomologia I
Iatrica Iatrochimica Iconografia Idiolatria Idrogeologia M Macrologia
Micrografia N Neografismo O Ontosofia LATINISMI SUPERFLUI Verità Virtù Vero
Viso Ufizio Vituperazione e Vigilanza Vitupero Vile Vizio Vilipendio Umanità e
Villania Umano Viltà Umile e Violenza Umiltà A D Aerografia Dattilografia
Anaclastico Dattilologia Antropografia Dattilonomia Antropomorfologia
Dattiloteca Antroponomia Antroposofia E Antroposomatologia Antropotomia Epagocico
Aretologia Etologia Etopea I B Eudemonologia Eutimia Bibliognosia F
Botanografia Botanologia Filauzia Fisiocrazia C. Fisiografia Caologia
Fitografia Chirologia Fitonomatotecnia Craniografia Fonica Cranioscopia
Fonologia C P Cogitazione Pauperismo Pernizie
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