The Grice Club

Welcome

The Grice Club

The club for all those whose members have no (other) club.

Is Grice the greatest philosopher that ever lived?

Search This Blog

Wednesday, June 1, 2022

GRICE E CACCIATORE

 PER L’ INAUGURAZIONE   DELLA STATUA COLOSSALE   DI   NAPOLEONE I.   OPERA DI CANOVA   IN MILANO   IL GIORNO XIV. AGOSTO MDCCCLIX.     DISCORSO   DI   GIULIO CARCANO     MILANO   COI TIPI DI LUIGI DI GIACOMO PIROLA.     — 3 —     tira costume di andar cercando nelle vicissitudini di antichi  imperi, in lontane epoche della storia, i solenni ammonimenti  della verità e i riscontri de’ fatti sociali che manifestano F in-  vincibile potere della volontà umana, o lasciano indovinare il  misterioso cammino delle nazioni.   Que’ grandi esempj furono raccolti e magnificati in mille  volumi, ascoltati nelle scuole, con quell 1 entusiasmo eh 1 è il con-  vincimento de 1 cuori giovani e forti. Noi pure li udimmo rac-  contare, noi pure abbiamo palpitato a queste ricordanze di  gloria, di senno antico, a quelle gigantesche contese dell’op-  pressione colla libertà, di cui non credevamo potersi più  rinnovare l’esempio. Ma qual vi fu mai, ne’ libri della storia,  più grande, più maraviglioso spettacolo di quello a cui le  nostre generazioni furono presenti, nella parte di secolo che  hanno percorsa ?   Una rivoluzione, lenta opera di secoli, e che attraverso a  tanti inciampi, in mezzo alle rovine da essa lasciate , non è  stanca della sua via, aveva diffuso F ardente suo soffio sul  mondo: in Francia, alla guerra civile, che si era spenta nel  sangue, succedeva la guerra contro tutta Europa: era la lotta  suprema della società nuova contro F antica.   A que 1 giorni , uscito da un 1 isola oscura un oscuro pre-  destinato mette il piede in terra di Francia , in quella terra  che ben presto deve parer troppa angusta al cammino delle  sue schiere, al desiderio della sua grand’anima. Egli viene; in     — 4 —   poco tempo signoreggia l’Europa, ricompone questo mare agi-  tato da tante tempeste, questi elementi della vita sociale con-  fusi tra loro in una guerra feroce; e getta sovra un nuovo  sentiero le nazioni, di cui vuol essere F arbitro e la guida.  Passano pochi anni, i più gloriosi del secolo; ed ecco, in  mezzo a immortali vittorie e a sventure immortali, quelFuomo  tocca il termine del suo cammino; e dispare nel carcere e  nell’esilio, lasciando la terra d’Europa feconda dei germi del-  l’avvenire. Così un gran fiume, così quel Nilo dalle ignote  sorgenti, che un giorno gli aveva obbedito, finisce nel mare,  dopo aver deposti tesori di fecondità nelle campagne attraver-  sate dalle vaste sue acque.   Dall’esilio, invece, e dal carcere, colF eterna giovinezza del  genio, con gli stessi suoi concepimenti, con la sua anima  stessa — dopo il giro di pochi lustri, in cui l’Europa tentò  invano di ricomporsi ne’ vecchi ordini e in nuove libertà —  ecco che, per mirabile mutamento di fortuna, vediamo com-  parire l’erede de’ pensieri e de’ propositi di quell’uomo.   Fu come una di quelle comete che s’accostano alla terra,  poi ne vanno perdute nelle regioni dell’atmosfera: dopo lunga  stagione esse ritornano; la moltitudine vede in loro delle nuove  viaggiatrici del cielo, ma il sapiente le riconosce e sa che sono  le stesse, già da lui salutate e che ricompajono sull’orizzonte,  belle d’eterno splendore.   Ed ora, perchè siamo qui a contemplare un miracolo del-  F arte nostra che ricorda quel Grande ? — I posteri hanno  data l’ardua sentenza? Questa gloria fu vera?   Sì — la gloria fu vera ! Napoleone è stato iniziatore d’ un  grande principio — il diritto della nazione; quel diritto per cui  abbiamo, oggi, un re ch’è nostro, e nostri sono questi soldati che  custodiscono le mura e i sacri campi della patria. E questi altri  valorosi, che insieme coi nostri hanno combattuto le fraterne  battaglie dell’indipendenza e sparso il sangue per l’Italia,  sono testimonj che noi pure siamo degni di avere una patria,  che per essa abbiamo saputo morire e vincere.     Lasciate che ora io rammenti per che vie da lui proce-  desse questo gran fatto dell’ italica nazione risorgente.   L'uragano rivoluzionario, al finir dell’altro secolo, disper-  dendo i principi italiani, aveva costretto ad allontanarsi dalle  Alpi quello che n’ era stato il più antico e vigile custode :  e così, in quel momento, l’arbitro delle nostre sorti, solo al-  l’opera della rigenerazione di questo paese, non fece che get-  tare i fondamenti di un regno italiano. E fu in quegli anni  che , resi a noi stessi , parve che risorgessimo a vita tutta  nuova : benché il fanatismo e 1’ astio di quelli che sconfes-  sano il bene , perchè da loro non è proceduto , siansi sfor-  zati di mostrare che quell’epoca corresse per una brutta via  di servitù, di licenza e di tirannide. Non ci era dato il più  sacro dei diritti, la libertà civile e politica, e da lontano cen-  tro doveva giungere fino a noi il cenno imperiale: ma nostri  erano i giudici, i savj del corpo legislatore, i consultori dello  Stato; e avevamo fiorenti scuole cittadine e militari, e stu-  pende alpine vie, e ponti e canali , e quanto più muniva la  difesa e la sicurezza interna dello stato; raccolte in un solo  codice le leggi, fondato un sistema ipotecario, e misure e mo-  nete eguali; diffusa e fatta — come dev’ essere — un beneficio  popolare, l’istruzione; e gl’ingegni sovrani nella scienza e nel-  l'arte cercati, venerati; e sacri i nomi di Oriani , di Volta,  dì Spallanzani, di Scarpa; e, più che tutto, avevamo una mi-  lizia nostra , che in breve doveva levare a tanta altezza il  nome e il valore de’ nostri soldati; di quei soldati che più di  una volta seguirono i passi dell'Eroe ne’ campi della Germa-  nia, contro a stirpi da loro detestate: poiché a Lui medesimo,  sospinto dall’ardente genio del mezzodì contro la lunga op-  pressione delle razze settentrionali, pareva ribollissero in fondo  al cuore le antipatie del suo sangue latino.   Ma, per la seconda volta, contro al nuovo Impero d’ Oc-  cidente, rifluiva la vasta marea del mondo barbarico : il ran-  core de’ vinti seppe affrettare il giorno di una terribile riscos-  sa. E, sciolto tutto quel fascio di forze eh’ egli solo aveva sa-     — 6 —   puto stringere in sua mano, sembrò dissiparsi, come un am-  pio miraggio, quel mondo creato da lui.   Compiuta questa gran vendetta dei re, quasi ogni gente di  Europa poteva almeno riposarsi nella propria nazionalità: a  noi italiani non rimase che la oppressione, e con essa la me-  moria di quel regno d’Italia, risorto dopo mille anni per così  breve tempo; la memoria di quella parola nuova e feconda,  di quegli anni gloriosi e non perituri. — E ben lo sapevano  gli antichi dominatori, qui ritornali a ribadire la nostra catena:  essi, con la paura nell’ animo, proibivano perfino le imagini  dell’ Uomo Fatale: ma come, in ogni casolare di Francia, il  soldato, tornato lavoratore, venerava quella' sembianza; qui da  noi, gli ultimi véliti , compagni di tante sue battaglie, anda-  vano narrando quei fatti con mesto orgoglio. Poi a poco a  poco codesti testimonj d’ una grandezza caduta si diradarono;  quelle imprese divennero come una leggenda, una storia tanto  grande da non parer più vera a genti che cominciavano ad  infiacchirsi nella pace. E così , la virtù di un’ idea , come  un’ eco che si perde, andava a morire.   Morire?., la vita, l’anima d’ un popolo non ponno morire:  esse languono spossate , ma poi si risvegliano e risorgono.  — Questa necessità di una patria trapassava da un avanzo  d’eroi dispersi a una generazione di giovani, i quali cresce-  vano amando e aspirando a una libertà da loro non pro-  vala. E fu tra que’ giovani , soldati e màrtiri del pensiero  nazionale, che ricomparve ben presto queir istesso nome che  i monarchi avevano creduto di poter cancellare, col paragrafo  d'un trattato, dalla mente d’Europa.   D’ allora in poi, uno spirito ravvivalore si diffuse per tutta  la penisola. Come il navigante che, in oceani lontani, ha fede  di giungere a una terra conosciuta, ma non sa il giorno nè  l’ora; un solo principe italiano vegliava al piede dell’ Alpi ,  attento a quello spirilo , e ascoltandone la gran voce , non  per soffocarla ma per intenderla.   E il giorno e F ora, eli’ egli aspettava, vennero finalmente.     — 7 —   Se non che, nelle battaglie dei popoli , coloro che fanno il  primo impeto contro la possa nemica si consacrano da sè  stessi alla morte. Così egli cadde: così, dopo dieci anni, lun-  ghi al servaggio, brevi alla speranza, uscì dall’ animo del  tìglio suo il grido della nuova guerra; mentre, salito al som-  mo del potere, 1’ erede del primo Napoleone gli stendeva la  mano ajutatrice.   Qui , dalle mura di Milano , il giorno della liberazione ,  quest’ uomo che sente di comprendere i suoi tempi , annun-  zia un diritto nuovo all’Europa attonita, prima ch’ella osi di  interrompere col bisbiglio d’una gelosa diplomazia il corso  di quelle vittorie , che in noi destarono un entusiasmo non  ancora spento. È un monarca che confessa il diritto dei po-  poli, apertamente, altamente, con parole che non si dovranno  più cancellare. E quand’ egli le scrisse, là sul campo sangui-  noso di Magenta , sapeva bene che queste parole risponde-  vano all’idea divinatrice e profonda del suo grande anteces-  sore; a quell’affetto che, in Sant’ Elena, gli faceva rimpian-  gere di non aver pensato di più all’ Italia, di non averla resa  libera e forte e signora di sè medesima. E nella solennità di  questo giorno , al cospetto di questa statua del Vincitore  d’Europa che trionfa ancora, dopo essere stata nove lustri  inonoratamente sepolta ne’- recinti sotterranei di codesto mu-  seo dell’ arti nostre — sacrilegio consumato dalla stoltezza e  dalla paura — in oggi, dico, parmi che quel memorabile suo  desiderio per l’Italia riceva alfine adempimento.   A buon dritto, in mezzo alle sue vittorie, il Conquistatore,  che tanto in sè ritraeva dell’antico, trovò un artefice degno  de’ migliori tempi di Grecia che lo seppe effigiare. Al severo  volgere del capo, si scorge l’imperioso profilo dell’eroe, im-  prontato di quella fermezza pensosa, di quella volontà pos-  sente che gli fecero eseguire tanti grandi cose. Nella perfetta  proporzione delle membra, ne’ loro robusti contorni, lo scul-  tore, io credo , volle rendere quell’ ideale che rappresenta ,  nell’armonia della forma, l’unità delle forze umane. Sul globo.     — 8 —   che tiene in una mano, sta la Vittoria alata, divenuta ora  simbolo verace d’ un altro potere; di quell’influenza morale  cercata con orgoglio, che può regnare ancora sul mondo, e  regnarvi col nome di un Bonaparte. — Nella sua vita e nei  trionfi, egli ottenne l’omaggio di re paurosi, le adulazioni  degli scienziati, il plauso delle moltitudini; ebbe onori quasi  divini , che talvolta lo inebbriarono : ma, forse , i due omaggi  più puri gli vennero da quest’Italia; dalla voce del poeta che  pianse sul suo sepolcro, e dall' opera sublime dello scultore  che, effigiandolo, ardiva di consigliarlo, e in segreto sperava  eli’ egli desse la libertà alla sua patria.   Questo capolavoro giacque a lungo celato, quasiché il suo  aspetto fosse bastante a risvegliare una nazione. Poi, per si-  mulata noncuranza d’ una gloria impossibile a rinascere , ne  era concessa la pubblica mostra per decreto di regnante stra-  niero, qui dove prima s’era tentato di tòr via ogni orma  del Grande, mutando fino il nome dell’Arco trionfale a lui  dedicato e le imagini vittoriose che dovevano coronarlo.   Ma il vanto d’ inaugurare questo così nobile monumento  doveva essere serbato al solo re italiano che diede sé stesso  per la comune patria, e eh’ è degno di continuar le tradizioni  di quel nome e di quegli avvenimenti. Esso ci mostrò come  si combatte e si vince, ci pose in mano le armi, e i nostri  fratelli fece suoi compagni di guerra, e farà de’ figli nostri tanti  cittadini e soldati. E quando inostri figli qui ritorneranno, que-  sta statua e la ricordanza del giorno in cui prima comparve,  e del re che la volle innalzata, richiameranno la vita civile  iniziata per noi dal primo Napoleone, l’alleanza e il gene-  roso soccorso che l’altro Napoleone recò all’Italia; sicché ne  venne dato di stringere quella spada che deve compiere la  nostra redenzione dallo straniero.   Nè alcuno oserà più di toccare il monumento; vi stanno  a custodia, per serbarlo inviolabile, l’Arte, la Patria, e la Ri-  conoscenza degli Italiani.     — 9 —     NOTA     Nell’anno 1803, a nome di Bonaparte primo Console, fu il Canova  invitato da Roma a Parigi, e con molto onore e affetto ricevuto nel castello  di Saint-Cloud dal grande eroe che vi teneva stanza. Fu allora che lo scul-  tore italiano ebbe da Bonaparte medesimo l’incarico di fargli la sua statua;  e la modellò in cinque giorni, con dimensione alquanto gigantesca. Mentre  lo scultore era occupato al lavoro, l’ eroe ora leggeva, or gli ragionava di cose  politiche: e l’ardente amore di patria e la schietta franchezza delle parole  dell’artista andarono cosi a verso del primo Console, che parve grandemente  compiacersi di trattarlo con una famigliarità non usata con nessun altro, e  di cui tutti si mostrarono gelosi. — Di codesti particolari lasciò ricordo lo  stesso Canova in alcuni suoi manoscritti: e i colloquii di lui con Bonaparte,  nel 1803, enei 1810 durante l’Impero, quando ritornò a Parigi ove l’Im-  peratore desiderava ch’egli stabilisse la sua fìssa dimora, non sono di scarsa  importanza; giacche, in quell’ abbandono d’amichevoli discorsi, Napoleone —  come altri ebbe a notare — rivelò sè medesimo, più che no T facciano tanti  suoi atti politici fin qui pubblicati. E fu in que’ giorni che, da Napoleone  richiesto del perchè non avesse fatta la sua statua colossale vestita, lo scultore  rispose « Nemmeno Dio avrebbe potuto far cosa bella , se avesse voluto ri-  traevi, Sire, cosi vestito coi calzoni e gli stivali alla francese. Noi, come in  tutte le altre belle arti, abbiamo il nostro linguaggio sublime, e il linguaggio  dello statuario è il nudo. # (Vedi Missirini, vita di Canova: Cicognara, storia  della scultura; e Artaud , Histoire d’Italie).   Nel catalogo cronologico delle opere di Canova , pubblicato da Leopoldo  Cicognara è ricordata, all’anno 1803, questa statua colossale di Napoleone,  alta sedici palmi romani , in marmo di prima specie. Il colosso non venne  spedito a Parigi che nel 1811; e di là poi passò in Inghilterra, per dono  fattone dal re Luigi XVIII al duca di Wellington, a quel che si crede: di  poi ne fece acquisto lo stesso governo britannico, come osservò il Cicognara.   2     — 10 —     Nel 1807, per disposizione del principe Eugenio, viceré d’Italia, il ministro  Alquier, ambasciadore di Francia a Roma, commise a Canova una copia esatta  in bronzo della stessa statua colossale; pattuendo il prezzo di cinquemila  luigi. Fu lo stesso viceré che, il maggio del 1812, ordinò che la statua, fusa  per opera di Francesco e Luigi Righetti, fosse innalzata in Milano, in conve-  niente luogo: per il che, il ministro dell’ interno, Vaccari, fece invito al sena-  tore Castiglioni, presidente dell’Accademia di belle arti, di proporre il luogo e  un disegno del piedestallo. Quando arrivò a Milano l’ opera di Canova, ne fu  ingiunto il pagamento sul tesoro del regno; e, quale essa stava incassata,  venne messa a giacere in un angolo del portico del palazzo delle scienze: i  membri dell’accademia, interrogati poi sul luogo più adatto ad innalzarvi la  statua, suggerirono o la piazza del Duomo, o quella detta in allora del Ta-  gliamelo - piazza Fontana - ovvero il nicchione dell’ antica piazza de’ Tribunali ,  dove altre volte era la statua di Filippo II. In codesta divergenza di propo-  ste, il viceré dispose che fosse provvisoriamente collocata nel secondo cortile  del palazzo del Senato. Ma, ritardato l’adempimento di quest’ordine, il ca-  valiere Zanoja, allora presidente dell’Accademia, ottenne, nel giugno 1813, che  fosse interinalmente deposta nella sala delle antichità: e sono a notarsi il mo-  tivo e il tempo del trasporto cosi ordinato; che gli scolari, cioè, non avessero  a recarle guasto, e che il trasporto si facesse in ore di scuole non frequentate.   Caduto Napoleone I, l’ammirabile opera dello scultore italiano disparve ne’  sotterranei dell’Accademia milanese; e vi stette finché, nel 1857, il 3 di marzo  (veggasi la gazzetta ufficiale) l’Imperatore d’Austria, durante il suo soggiorno  in Milano, ordinava che « per quella statua venisse sùbito eretto un conveniente  piedestallo, a spese dello stato, e che sovr’ esso la si collocasse poi ne’ pub-  blici giardini di questa capitale. »   Fu uno degli ultimi decreti dati dal regnante austriaco in que’ giorni a  Milano; e nuovo tema di compro encomio a’ giornali ufficiali. Ma il monumen-  to, il quale — per le cose che ci parve non inopportuno di ricordare — deve  risguardarsi come una nobilissima proprietà dello Stato, non doveva sorgere qui  se non quando potesse essere restituito il nome di patria e di regno libero a  questa nostra eletta parte d’Italia.        .                                                                                                                   POUR L INAUGURATION   DE LA STATUE COLOSSALE   DE   NAPOLEON I.   OUVRAGE DE CANOVA   À MILAN   LE XIY AOÛT MDCCCLIX     DISCOURS   DE   JULES CARCANO     MILAN   IMPRIMERIE DE LOUIS DE JACQUES PIROLA.     — 15     C est dans les vicissitudes des anciens empires, c’est aux  lointaines époques de l’histoire qu’on est allé jusqu’à ce jour  chercher les enseignements solennels de la vérité; c’ est là  qu'on s’est plu à rapprocher les faits sociaux qui manifes-  tent la puissance invincible de la volonté humaine , ou lais-  sent deviner la marche mystérieuse des nations.   Les grands exemples ont été recueillis et exaltés ainsi dans  des milliers de volumes, écoutés dans les écoles avec cet en-  thousiasme, qui est la conviction des cœurs jeunes et forts.  Nous aussi nous les avons entendu raconter, nous aussi nous  avons palpité à ces souvenirs de gloire et de sagesse antiques,  à ces luttes gigantesques de l’oppression contre la liberté,  qui nous semblaient ne devoir plus se renouveler. Mais y a-t-il  jamais eu, dans les livres de l’histoire, de spectacle plus grand,  plus merveilleux que celui au quel notre génération a assisté  dans la partie de ce siècle qui vient de finir?   Une révolution, qui fut l’œuvre lente des siècles et qui,  malgré tous les obstacles qu’elle rencontre, toutes les ruines  qu’elle laisse sur son passage, n’est point encore lasse de sa  marche, avait répandu son souffle ardent sur le monde. À  la guerre civile, éteinte dans le sang, succédait, pour la France,  la guerre contre l’Europe entière: c’était la lutte suprème de  la société nouvelle contre la vieille société. C’est alors que ,  sorti d’une île obscure , un obscur prédestiné met le pied  sur la terre de France, sur cette terre qui bientôt paraîtra     - 16 —   trop étroite à la marche de ses légions et aux désirs de sa  grande àme. Il vient; l’Europe est maîtrisée; le calme re-  naît sur cette- mer agitée par tant de tempêtes: de sa main  puissante il recompose la vie sociale, dont les éléments ont  été confondus et dispersés dans une guerre cruelle, et il jette  les nations sur un nouveau sentier, où il veut être désormais  leur arbitre et leur guide. Peu d’années s’écoulent, — les  plus glorieuses du siècle — et voilà qu’au milieu d’immortelles  victoires, au milieu de revers immortels, cet homme touche au  terme de sa carrière et disparaît dans les fers et dans l’exil,  laissant la terre d’Europe fécondée des germes de l’avenir.  C’est ainsi qu’un grand fleuve, le Nil, aux sources inconnues —  qui un jour lui avait obéi — vient disparaître dans la mer,  après avoir déposé des trésors de fécondité sur les vastes  plaines qu’il a traversées et couvertes de ses eaux.   Mais du sein de l’exil et du fond des cachots — après  quelques lustres seulement , pendant lesquels l’Europe fait  des vains efforts pour rentrer dans sa vieille ornière, ou s’éle-  ver à une liberté nouvelle — voilà que, par un admirable re-  virement de fortune, nous voyons paraître l’héritier du Grand  homme, avec ses grandes idées, ses hautes conceptions, avec  son àme elle même. Ce fut comme une de ces comètes qui  s’approchent de nôtre planète , et puis vont se perdre dans  les régions de l’atmosphère, pour reparaître long-temps après:  la multitude voit en elles de nouvelles voyageuses, mais le  savant les reconnaît: il sait que ce sont les mêmes qu’il a  déjà saluées et qui reviennent sur l’horizôn , belles d’une  éternelle splendeur.   Et maintenant, pourquoi sommes nous ici à contempler une  merveille de notre art qui nous rappelle le grand Homme ?  La postérité a-t-elle prononcé son arrêt? Cette gloire est-elle  vraie?   Oui, cette gloire est vraie. — Napoléon a été l’initiateur  d’un grand principe, le droit des peuples; — ce droit par  lequel nous avons aujourd'hui un roi qui est à nous , des     — 17 —   soldats qui sont à nous, pour garder les murs et les champs  sacrés de la patrie. Et ces intrépides guerriers qui, avec les  nôtres, ont combattu comme des frères dans cette guerre d’in-  dépendance et versé leur sang pour l’Italie , sont témoins  que nous aussi nous sommes dignes d’avoir une patrie, puis-  que pour elle nous avons su vaincre et mourir.   Laissez-moi vous rappeler maintenant comment est ar-  rivé ce grand fait de la renaissance de la nation italienne.   Vers la fin du dernier siècle, l'ouragan révolutionnaire, di-  spersant les princes italiens, avait contraint à s’éloigner des  Alpes celui qui en était le gardien le plus ancien et le plus  vigilant. C’est ainsi que l’arbitre de notre sort, complètement  isolé dans l’œuvre de notre régénération, ne put que jeter les  fondements d’un royaume d’Italie. Rendus à nous mêmes, pen-  dant ces quelques années, il nous sembla que nous ressu-  scitions à une vie tout-à-fait nouvelle; — quoique le fanatisme  et le dépit haineux de ceux qui méconnaissent le bien, parce  qu’il a été fait sans eux, se soient efforcés de montrer ce ré-  gime comme suivant une voie de servitude, de licence et de  tyrannie.   Nous ne jouissions pas, il est vrai, du plus sacré des droits,  de la liberté civile et politique, et c’était d’un centre éloigné  que nous arrivait la volonté souveraine; mais les juges étaient  à nous; les membres du Corps législatif, les conseillers d’État  étaient à nous; nous avions de florissantes écoles civiles et  militaires des routes admirables à travers les Alpes, des ponts,  des canaux, et tout ce qui peut contribuer à la sûreté in-  térieure de l’État; les lois réunies en un seul code, un sy-  stème hypothécaire fondé, l’unité dans les monnaies et dans  les mesures; l’instruction répandue et devenue — comme elle  doit l’être — un bienfait populaire; les talents supérieurs dans  les sciences et dans les arts respectés, recherchés, et les noms  d’Oriani, de Volta, de Spallanzani, de Scarpa prononcés avec  vénération. Et ce qui est plus encore, nous avions une armée  italienne qui devait porter si haut le nom et la valeur de   3     - 18 —   nos soldats. Car, plus d’une fois , ces soldats suivirent dans  les champs de l’Allemagne le Héros qui, poussé par le génie  ardent du midi, sentait, comme eux, au fond de son cœur  bouillonner les antipathies et les haines de la race latine con-  tre la dure oppression des races septentrionales.   Pour la seconde fois, la vaste marée du monde barbare vint  se ruer contre le nouvel empire d’Occident. Les rancunes des  vaincus purent hâter le jour des terribles représailles; et tout  ce faisceau de forces que, seul, il avait su étreindre dans sa  main puissante étant venu à se briser, ce monde, créé par  lui, sembla se dissiper comme un mirage trompeur.   Cette grande vengeance des rois accomplie, presque tous les  peuples de l’Europe purent au moins se reposer dans leur  nationalité. A nous seuls Italiens il ne resta que Toppres-  sion, et avec elle le souvenir de ces années glorieuses et  impérissables, de ce royaume d’Italie qui s’était, après mille  ans, relevé pour si peu de temps , et dont le nom n’était  plus qu’un mot, mais un mot riche d’avenir. — - Ils le sa-  vaient bien nos anciens dominateurs , dont le retour rivait  nos fers; ils le savaient bien eux qui, la peur dans l’âme, défen-  daient jusqu’aux images de l’Homme Fatal. Mais de même  qu’en France le soldat , redevenu laboureur , cachait celte  image et lui vouail un culte sous son toit de chaume; de même  parmi nous, les derniers vélites, ses compagnons dans tant de  batailles , ne cessaient de redire ses hauts faits avec un triste  orgueil. Peu à peu les rangs s’éclaircirent de ces témoins d’une  grandeur passée; ces héroiques entreprises devinrent comme  des légendes, une histoire si grande qu’elle ne paraissait plus  vraie pour une génération qui commençait à s’énerver dans  les douceurs de la paix. Et voilà comment, ainsi qu'un écho  qui se perd, s’en allait mourir la puissance d’une idée.   Mourir? — La vie, l’âme d’un peuple ne peuvent mourir!  elles s’affaissent pour un temps, mais elles se réveillent et se  relèvent. Ce besoin d’une patrie se transmettait des derniers  héros dispersés qui avaient combattu pour elle à une géné-  ration de jeunes hommes qui aspiraient après une liberté, qu’ils     -lo-  ri' avaient pas connue. Et ce fut parmi ces jeunes hommes,  soldats et martyrs de la pensée nationale, que reparut bien-  tôt ce même nom que les monarques avaient espéré, par un  paragraphe de traité, effacer de la pensée de l’Europe.   Dès lors, un nouvel esprit de vie se répandit par toute la  péninsule. Gomme le navigateur, qui sur un océan lointain,  a foi dans son arrivée à une terre connue, mais qui ne sait  ni le jour, ni l’heure ; un seul prince italien veillait au pied  des Alpes, attentif à cet esprit, dont il écoutait la grande voix,  non pour l’étouffer, mais pour l’entendre.   Et ce jour et cette heure tant attendus , vinrent enfin.  Dans les batailles des peuples, ceux qui s’élancent les premiers  se dévouent à la mort. C’est ainsi qu’il est tombé celui qui  poussa le premier cri d’indépendance. Après dix années, — bien  longues quand on est esclave, bien courtes quand on éspére —  sortit du cœur de son fils le nouveau cri de guerre; tan-  dis que , l’héritier du premier Napoléon , réintégré dans ses  droits et dans son pouvoir, lui prêtait le secours de son bras  puissant.   C’est du haut des murs de Milan , qu’au jour de la déli-  vrance , cet homme qui a si bien compris son époque , an-  nonce un droit nouveau à l’Europe étonnée, avant même  qu’elle ose, par les murmures d’une diplomatie jalouse, in-  terrompre le cours de ces victoires qui ont excité parmi nous  un enthousiasme encore brûlant. Le droit des peuples est  proclamé ouvertement , hautement , par des paroles désormais  ineffaçables. Et lorsqu’il les écrivit, sur le champ ensanglanté  de Magenta, l’Empereur savait bien que ces paroles répondai-  ent à la pensée prophétique de son grand prédécesseur, à ce sen-  timent qui, à Sainte-Héléne, lui faisait regretter de n’avoir pas  songé davantage à F Italie , de ne F avoir pas rendue libre ,  forte et indépendante. Dans ce jour solennel, devant cette  statue du Vainqueur de F Europe, qui triomphe encore, devant  cette œuvre d’art qui, pendant près d’un demi-siècle, est resté  énsevelie honteusement dans les souterrains de ce musée —     sacrilège consommé par la sottise et par la peur — en ce jour,  dis-je, il me semble que cet illustre regret a été entendu, et  que ce grand désir en faveur de l’Italie va recevoir son ac-  complissement.   Il est heureux qu’au milieu de ses triomphes, le grand  Conquérant, dans lequel il y avait tant de reflets de l’antique,  ait trouvé un artiste digne des meilleurs temps de la Grèce ,  pour reproduire son image. A ce tour de tête sévère, on re-  connaît le profil impérieux du héros , empreint de cette vi-  gueur de conception, de cette volonté puissante qui lui firent  entreprendre et achever tant de grandes choses. Dans la pro-  portion parfaite des membres, dans leurs robustes contours, l’ar-  tiste a voulu rendre cet idéal qui représente, dans l’harmonie de  la forme, l’unité des forces humaines. Sur le globe qu’il tient en  main, est la Victoire ailée, désormais symbole d’un autre pouvoir;  de cette influence morale, recherchée avec orgueil, qui doit ré-  gner sur le monde, et peut y régner sous le nom d’un Bona-  parte. Pendant sa vie, et au milieu de ses victoires, il obtint  l’hommage de rois tremblants , les louanges flatteuses des  savants, les applaudissements de la multitude; il reçut des  honneurs presque divins, qui parfois l’enivrèrent; mais peut-  -être les deux hommages les plus purs lui vinrent de cette  Italie; de la voix du poète qui pleura sur son tombeau, et  de l’œuvre sublime du sculpteur qui, tout en reproduisant ses  traits, osait lui donner un conseil, ésperant sans doute qu’un  jour c’est par lui que la liberté serait rendue à sa patrie.   Ce chef-d’œuvre a été longtemps caché, comme si on eut  craint que sa vue fut capable de soulever une nation. Puis,  feignant l’indifférence pour une gloire qui ne pouvait plus  renaître , Y exposition en public en fut accordée par décret  d’un dominateur étranger — ici, où l’on avait cherché d'effacer  jusqu’à la trace du grand homme, en changeant le nom de  l’Arc triomphal qui lui était dédié , ainsi que les images  glorieuses qui devaient en couronner le sommet.   La gloire d’inaugurer un aussi noble monument devait être     -21 -   réservée au seul roi italien qui s’est dévoué pour la patrie  commune, et qui seul est digne de continuer les traditions  du grand nom et des événements que ce nom rappelle. Il  nous a fait voir comment il faut combattre et vaincre; il a  armé nos bras ; il a fait de nos frères ses compagnons d’ar-  mes; il fera de nos enfants autant de citoyens et de soldats.  Et quand ils viendront ici, cette statue, ainsi que le souvenir  du jour où elle reparut à la lumière, et du roi qui voulut la  relever, leur rappelleront la vie civile à laquelle nous a initiés  le premier Napoléon , l’ alliance et le secours qu’ un autre  Napoléon a prêté à l’ilalie ; si bien qu’il nous est aujourd’hui  permis de saisir cette épée qui doit accomplir notre délivrance  du joug de l’étranger.   Personne n’osera plus toucher à ce monument: il a pour  gardiens et pour protecteurs de son inviolabilité, l’Art, la Pa-  trie et la reconnaissance des Italiens.     — 22     NOTE     En 1803, au nom du premier Consul, Canova fut appelé de Rome à Pa-  ris et reçu au palais de Saint-Cloud avec honneur et distinction par le grand  Héros qui en ce temps y séjournait. Ce fut alors que Bonaparte lui même le char-  gea de faire sa statue; l’artiste la modela en cinq jours et lui donna une dimension  presque gigantesque. Et tandis que le sculpteur était occupé de son travail, le hé-  ros lisait, ou discourait avec lui sur des sujets politiques. L’amour ardent de  la patrie et la franchise de l’artiste furent si agréables au premier Consul ,  qu’il se plut à le traiter avec une familiarité dont il n’avait jamais usé en-  vers personne, ce qui fit bientôt des jaloux. C’est Canova lui même qui nous  a donné ces détails dans quelques-uns de ses manuscrits ; et ses entretiens  avec Bonaparte en 1803 et en 1810, pendant l’Empire, lorsqu’il revint à  Paris , où l’Empereur désirait qu’il fixât sa demeure, sont d'une assez haute  importance; puisque ce fut dans cet amical abandon que Napoléon, comme  on l’a remarqué, se révéla lui môme, bien plus que ne le firent ses actes po-  litiques publiés jusqu’à présent. Ce fut alors que Napoléon lui demanda pour-  quoi il n’avait point fait sa statue colossale habillée. L’artiste lui répondit :   « Dieu lui même, Sire, n’aurait rien fait de beau, s’il avait voulu vous repré-  senter ainsi avec des vêtements courts et en bottes à la française. Nous avons,  comme tous les beaux arts, notre langage sublime, et le langage de la sta-  tuaire, c’est le nu. * (Voyez Missirini, vie de Canova ; Cicognara, Histoire de  la sculpture; et Artaud, Histoire d’Italie).   Dans le catalogue chronologique des ouvrages de Canova, publié par Léo-  pold Cicognara, est rapportée à 1803 cette statue colossale de Napoléon,  haute de sept palmes romains , en marbre de première qualité. Le colosse ne  fut envoyé à Paris qu’en 1811, et passa de là en Angleterre: le roi Louis  XVIII la donna, à ce que l’on croit, au duc de Wellington. Le gouverne-  ment anglais en fit ensuite l’acquisition, comme l’observe Cicognara .     23 —     En 1807, par décision du prince Eugène, vice-roi d’Italie, le ministre Al-  quier, ambassadeur de France à Rome, ordonna à Canova une copie exacte  en bronze de la même statue colossale, dont le prix fut fixé à la somme de  cinq mille louis. Ce fut aussi le vice-roi qui, au mois de mai 1812, quand  la statue fut coulée par les soins de François et Louis Righetti, ordonna qu’on  l’élevât à Milan, dans un lieu convenable. Le ministre de l’intérieur, Vaccari,  invita alors le sénateur Castiglioni, président de l’Académie des beaux-arts,  de proposer la place et le dessin du piédestal. Quand l’œuvre de Canova ar-  riva à Milan, le payement en fut ordonné sur le trésor du royaume, et elle  fut déposée, encaissée comme elle l’était, sous les portiques du palais des  Sciences. Les membres de l’Académie, consultés sur le lieu le plus convena-  ble à l’érection de la statue , conseillèrent la place de la cathédrale , ou la  place Fontana, que l’on appelait alors place du Tagliamento , ou bien encore  la grande niche de la place des Tribunaux , où était autrefois la statue de  Philippe IL Dans cette divergence d’avis, le vice-roi décida que, provisoi-  rement, elle serait placée dans la seconde cour du palais du sénat L’exécu-  tion de cet ordre fut différée; et le chevalier Zanoja, alors président de l’A-  cadémie, obtint au mois de juin 1813, qu’elle serait provisoirement placée  dans la salle des antiques. Il fut décidé, pour éviter que les écoliers ne vins-  sent à la gâter, qu’elle fût transporté e à une heure où les classes ne sont pas  fréquentées.   A la chute de Napoléon I er , l’œuvre admirable de l’artiste italien disparut  dans les souterrains de l’Académie, et y resta jusqu’au 3 mars 1857, jour  où l'empereur d’Autriche, (voir la Gazette Officielle) en ce moment à Milan, or-  donna que l’on érigeât aussitôt un piédestal aux frais de l’État, et que la  statue y fut placée dans le jardin public de cette capitale.   Ce fut un des derniers décrets rendus par le souverain autrichien à cette  époque, et un nouveau thème de louanges payées pour les journaux officiels.   Mais ce monument, que nous devons regarder comme une des belles pro-  priétés de l’État (chose qu’il n’est pas hors de propos de rappeler ici) ne de-  vait s’élever que lorsque le nom de patrie et de royaume libre serait rendu  à cette noble partie de notre Italie.     GETTY RESEARCH iNSTITUTE      3 3125 01096 5651 

No comments:

Post a Comment