PER L’ INAUGURAZIONE DELLA STATUA COLOSSALE DI NAPOLEONE I. OPERA DI CANOVA IN MILANO IL GIORNO XIV. AGOSTO MDCCCLIX. DISCORSO DI GIULIO CARCANO MILANO COI TIPI DI LUIGI DI GIACOMO PIROLA. — 3 — tira costume di andar cercando nelle vicissitudini di antichi imperi, in lontane epoche della storia, i solenni ammonimenti della verità e i riscontri de’ fatti sociali che manifestano F in- vincibile potere della volontà umana, o lasciano indovinare il misterioso cammino delle nazioni. Que’ grandi esempj furono raccolti e magnificati in mille volumi, ascoltati nelle scuole, con quell 1 entusiasmo eh 1 è il con- vincimento de 1 cuori giovani e forti. Noi pure li udimmo rac- contare, noi pure abbiamo palpitato a queste ricordanze di gloria, di senno antico, a quelle gigantesche contese dell’op- pressione colla libertà, di cui non credevamo potersi più rinnovare l’esempio. Ma qual vi fu mai, ne’ libri della storia, più grande, più maraviglioso spettacolo di quello a cui le nostre generazioni furono presenti, nella parte di secolo che hanno percorsa ? Una rivoluzione, lenta opera di secoli, e che attraverso a tanti inciampi, in mezzo alle rovine da essa lasciate , non è stanca della sua via, aveva diffuso F ardente suo soffio sul mondo: in Francia, alla guerra civile, che si era spenta nel sangue, succedeva la guerra contro tutta Europa: era la lotta suprema della società nuova contro F antica. A que 1 giorni , uscito da un 1 isola oscura un oscuro pre- destinato mette il piede in terra di Francia , in quella terra che ben presto deve parer troppa angusta al cammino delle sue schiere, al desiderio della sua grand’anima. Egli viene; in — 4 — poco tempo signoreggia l’Europa, ricompone questo mare agi- tato da tante tempeste, questi elementi della vita sociale con- fusi tra loro in una guerra feroce; e getta sovra un nuovo sentiero le nazioni, di cui vuol essere F arbitro e la guida. Passano pochi anni, i più gloriosi del secolo; ed ecco, in mezzo a immortali vittorie e a sventure immortali, quelFuomo tocca il termine del suo cammino; e dispare nel carcere e nell’esilio, lasciando la terra d’Europa feconda dei germi del- l’avvenire. Così un gran fiume, così quel Nilo dalle ignote sorgenti, che un giorno gli aveva obbedito, finisce nel mare, dopo aver deposti tesori di fecondità nelle campagne attraver- sate dalle vaste sue acque. Dall’esilio, invece, e dal carcere, colF eterna giovinezza del genio, con gli stessi suoi concepimenti, con la sua anima stessa — dopo il giro di pochi lustri, in cui l’Europa tentò invano di ricomporsi ne’ vecchi ordini e in nuove libertà — ecco che, per mirabile mutamento di fortuna, vediamo com- parire l’erede de’ pensieri e de’ propositi di quell’uomo. Fu come una di quelle comete che s’accostano alla terra, poi ne vanno perdute nelle regioni dell’atmosfera: dopo lunga stagione esse ritornano; la moltitudine vede in loro delle nuove viaggiatrici del cielo, ma il sapiente le riconosce e sa che sono le stesse, già da lui salutate e che ricompajono sull’orizzonte, belle d’eterno splendore. Ed ora, perchè siamo qui a contemplare un miracolo del- F arte nostra che ricorda quel Grande ? — I posteri hanno data l’ardua sentenza? Questa gloria fu vera? Sì — la gloria fu vera ! Napoleone è stato iniziatore d’ un grande principio — il diritto della nazione; quel diritto per cui abbiamo, oggi, un re ch’è nostro, e nostri sono questi soldati che custodiscono le mura e i sacri campi della patria. E questi altri valorosi, che insieme coi nostri hanno combattuto le fraterne battaglie dell’indipendenza e sparso il sangue per l’Italia, sono testimonj che noi pure siamo degni di avere una patria, che per essa abbiamo saputo morire e vincere. Lasciate che ora io rammenti per che vie da lui proce- desse questo gran fatto dell’ italica nazione risorgente. L'uragano rivoluzionario, al finir dell’altro secolo, disper- dendo i principi italiani, aveva costretto ad allontanarsi dalle Alpi quello che n’ era stato il più antico e vigile custode : e così, in quel momento, l’arbitro delle nostre sorti, solo al- l’opera della rigenerazione di questo paese, non fece che get- tare i fondamenti di un regno italiano. E fu in quegli anni che , resi a noi stessi , parve che risorgessimo a vita tutta nuova : benché il fanatismo e 1’ astio di quelli che sconfes- sano il bene , perchè da loro non è proceduto , siansi sfor- zati di mostrare che quell’epoca corresse per una brutta via di servitù, di licenza e di tirannide. Non ci era dato il più sacro dei diritti, la libertà civile e politica, e da lontano cen- tro doveva giungere fino a noi il cenno imperiale: ma nostri erano i giudici, i savj del corpo legislatore, i consultori dello Stato; e avevamo fiorenti scuole cittadine e militari, e stu- pende alpine vie, e ponti e canali , e quanto più muniva la difesa e la sicurezza interna dello stato; raccolte in un solo codice le leggi, fondato un sistema ipotecario, e misure e mo- nete eguali; diffusa e fatta — come dev’ essere — un beneficio popolare, l’istruzione; e gl’ingegni sovrani nella scienza e nel- l'arte cercati, venerati; e sacri i nomi di Oriani , di Volta, dì Spallanzani, di Scarpa; e, più che tutto, avevamo una mi- lizia nostra , che in breve doveva levare a tanta altezza il nome e il valore de’ nostri soldati; di quei soldati che più di una volta seguirono i passi dell'Eroe ne’ campi della Germa- nia, contro a stirpi da loro detestate: poiché a Lui medesimo, sospinto dall’ardente genio del mezzodì contro la lunga op- pressione delle razze settentrionali, pareva ribollissero in fondo al cuore le antipatie del suo sangue latino. Ma, per la seconda volta, contro al nuovo Impero d’ Oc- cidente, rifluiva la vasta marea del mondo barbarico : il ran- core de’ vinti seppe affrettare il giorno di una terribile riscos- sa. E, sciolto tutto quel fascio di forze eh’ egli solo aveva sa- — 6 — puto stringere in sua mano, sembrò dissiparsi, come un am- pio miraggio, quel mondo creato da lui. Compiuta questa gran vendetta dei re, quasi ogni gente di Europa poteva almeno riposarsi nella propria nazionalità: a noi italiani non rimase che la oppressione, e con essa la me- moria di quel regno d’Italia, risorto dopo mille anni per così breve tempo; la memoria di quella parola nuova e feconda, di quegli anni gloriosi e non perituri. — E ben lo sapevano gli antichi dominatori, qui ritornali a ribadire la nostra catena: essi, con la paura nell’ animo, proibivano perfino le imagini dell’ Uomo Fatale: ma come, in ogni casolare di Francia, il soldato, tornato lavoratore, venerava quella' sembianza; qui da noi, gli ultimi véliti , compagni di tante sue battaglie, anda- vano narrando quei fatti con mesto orgoglio. Poi a poco a poco codesti testimonj d’ una grandezza caduta si diradarono; quelle imprese divennero come una leggenda, una storia tanto grande da non parer più vera a genti che cominciavano ad infiacchirsi nella pace. E così , la virtù di un’ idea , come un’ eco che si perde, andava a morire. Morire?., la vita, l’anima d’ un popolo non ponno morire: esse languono spossate , ma poi si risvegliano e risorgono. — Questa necessità di una patria trapassava da un avanzo d’eroi dispersi a una generazione di giovani, i quali cresce- vano amando e aspirando a una libertà da loro non pro- vala. E fu tra que’ giovani , soldati e màrtiri del pensiero nazionale, che ricomparve ben presto queir istesso nome che i monarchi avevano creduto di poter cancellare, col paragrafo d'un trattato, dalla mente d’Europa. D’ allora in poi, uno spirito ravvivalore si diffuse per tutta la penisola. Come il navigante che, in oceani lontani, ha fede di giungere a una terra conosciuta, ma non sa il giorno nè l’ora; un solo principe italiano vegliava al piede dell’ Alpi , attento a quello spirilo , e ascoltandone la gran voce , non per soffocarla ma per intenderla. E il giorno e F ora, eli’ egli aspettava, vennero finalmente. — 7 — Se non che, nelle battaglie dei popoli , coloro che fanno il primo impeto contro la possa nemica si consacrano da sè stessi alla morte. Così egli cadde: così, dopo dieci anni, lun- ghi al servaggio, brevi alla speranza, uscì dall’ animo del tìglio suo il grido della nuova guerra; mentre, salito al som- mo del potere, 1’ erede del primo Napoleone gli stendeva la mano ajutatrice. Qui , dalle mura di Milano , il giorno della liberazione , quest’ uomo che sente di comprendere i suoi tempi , annun- zia un diritto nuovo all’Europa attonita, prima ch’ella osi di interrompere col bisbiglio d’una gelosa diplomazia il corso di quelle vittorie , che in noi destarono un entusiasmo non ancora spento. È un monarca che confessa il diritto dei po- poli, apertamente, altamente, con parole che non si dovranno più cancellare. E quand’ egli le scrisse, là sul campo sangui- noso di Magenta , sapeva bene che queste parole risponde- vano all’idea divinatrice e profonda del suo grande anteces- sore; a quell’affetto che, in Sant’ Elena, gli faceva rimpian- gere di non aver pensato di più all’ Italia, di non averla resa libera e forte e signora di sè medesima. E nella solennità di questo giorno , al cospetto di questa statua del Vincitore d’Europa che trionfa ancora, dopo essere stata nove lustri inonoratamente sepolta ne’- recinti sotterranei di codesto mu- seo dell’ arti nostre — sacrilegio consumato dalla stoltezza e dalla paura — in oggi, dico, parmi che quel memorabile suo desiderio per l’Italia riceva alfine adempimento. A buon dritto, in mezzo alle sue vittorie, il Conquistatore, che tanto in sè ritraeva dell’antico, trovò un artefice degno de’ migliori tempi di Grecia che lo seppe effigiare. Al severo volgere del capo, si scorge l’imperioso profilo dell’eroe, im- prontato di quella fermezza pensosa, di quella volontà pos- sente che gli fecero eseguire tanti grandi cose. Nella perfetta proporzione delle membra, ne’ loro robusti contorni, lo scul- tore, io credo , volle rendere quell’ ideale che rappresenta , nell’armonia della forma, l’unità delle forze umane. Sul globo. — 8 — che tiene in una mano, sta la Vittoria alata, divenuta ora simbolo verace d’ un altro potere; di quell’influenza morale cercata con orgoglio, che può regnare ancora sul mondo, e regnarvi col nome di un Bonaparte. — Nella sua vita e nei trionfi, egli ottenne l’omaggio di re paurosi, le adulazioni degli scienziati, il plauso delle moltitudini; ebbe onori quasi divini , che talvolta lo inebbriarono : ma, forse , i due omaggi più puri gli vennero da quest’Italia; dalla voce del poeta che pianse sul suo sepolcro, e dall' opera sublime dello scultore che, effigiandolo, ardiva di consigliarlo, e in segreto sperava eli’ egli desse la libertà alla sua patria. Questo capolavoro giacque a lungo celato, quasiché il suo aspetto fosse bastante a risvegliare una nazione. Poi, per si- mulata noncuranza d’ una gloria impossibile a rinascere , ne era concessa la pubblica mostra per decreto di regnante stra- niero, qui dove prima s’era tentato di tòr via ogni orma del Grande, mutando fino il nome dell’Arco trionfale a lui dedicato e le imagini vittoriose che dovevano coronarlo. Ma il vanto d’ inaugurare questo così nobile monumento doveva essere serbato al solo re italiano che diede sé stesso per la comune patria, e eh’ è degno di continuar le tradizioni di quel nome e di quegli avvenimenti. Esso ci mostrò come si combatte e si vince, ci pose in mano le armi, e i nostri fratelli fece suoi compagni di guerra, e farà de’ figli nostri tanti cittadini e soldati. E quando inostri figli qui ritorneranno, que- sta statua e la ricordanza del giorno in cui prima comparve, e del re che la volle innalzata, richiameranno la vita civile iniziata per noi dal primo Napoleone, l’alleanza e il gene- roso soccorso che l’altro Napoleone recò all’Italia; sicché ne venne dato di stringere quella spada che deve compiere la nostra redenzione dallo straniero. Nè alcuno oserà più di toccare il monumento; vi stanno a custodia, per serbarlo inviolabile, l’Arte, la Patria, e la Ri- conoscenza degli Italiani. — 9 — NOTA Nell’anno 1803, a nome di Bonaparte primo Console, fu il Canova invitato da Roma a Parigi, e con molto onore e affetto ricevuto nel castello di Saint-Cloud dal grande eroe che vi teneva stanza. Fu allora che lo scul- tore italiano ebbe da Bonaparte medesimo l’incarico di fargli la sua statua; e la modellò in cinque giorni, con dimensione alquanto gigantesca. Mentre lo scultore era occupato al lavoro, l’ eroe ora leggeva, or gli ragionava di cose politiche: e l’ardente amore di patria e la schietta franchezza delle parole dell’artista andarono cosi a verso del primo Console, che parve grandemente compiacersi di trattarlo con una famigliarità non usata con nessun altro, e di cui tutti si mostrarono gelosi. — Di codesti particolari lasciò ricordo lo stesso Canova in alcuni suoi manoscritti: e i colloquii di lui con Bonaparte, nel 1803, enei 1810 durante l’Impero, quando ritornò a Parigi ove l’Im- peratore desiderava ch’egli stabilisse la sua fìssa dimora, non sono di scarsa importanza; giacche, in quell’ abbandono d’amichevoli discorsi, Napoleone — come altri ebbe a notare — rivelò sè medesimo, più che no T facciano tanti suoi atti politici fin qui pubblicati. E fu in que’ giorni che, da Napoleone richiesto del perchè non avesse fatta la sua statua colossale vestita, lo scultore rispose « Nemmeno Dio avrebbe potuto far cosa bella , se avesse voluto ri- traevi, Sire, cosi vestito coi calzoni e gli stivali alla francese. Noi, come in tutte le altre belle arti, abbiamo il nostro linguaggio sublime, e il linguaggio dello statuario è il nudo. # (Vedi Missirini, vita di Canova: Cicognara, storia della scultura; e Artaud , Histoire d’Italie). Nel catalogo cronologico delle opere di Canova , pubblicato da Leopoldo Cicognara è ricordata, all’anno 1803, questa statua colossale di Napoleone, alta sedici palmi romani , in marmo di prima specie. Il colosso non venne spedito a Parigi che nel 1811; e di là poi passò in Inghilterra, per dono fattone dal re Luigi XVIII al duca di Wellington, a quel che si crede: di poi ne fece acquisto lo stesso governo britannico, come osservò il Cicognara. 2 — 10 — Nel 1807, per disposizione del principe Eugenio, viceré d’Italia, il ministro Alquier, ambasciadore di Francia a Roma, commise a Canova una copia esatta in bronzo della stessa statua colossale; pattuendo il prezzo di cinquemila luigi. Fu lo stesso viceré che, il maggio del 1812, ordinò che la statua, fusa per opera di Francesco e Luigi Righetti, fosse innalzata in Milano, in conve- niente luogo: per il che, il ministro dell’ interno, Vaccari, fece invito al sena- tore Castiglioni, presidente dell’Accademia di belle arti, di proporre il luogo e un disegno del piedestallo. Quando arrivò a Milano l’ opera di Canova, ne fu ingiunto il pagamento sul tesoro del regno; e, quale essa stava incassata, venne messa a giacere in un angolo del portico del palazzo delle scienze: i membri dell’accademia, interrogati poi sul luogo più adatto ad innalzarvi la statua, suggerirono o la piazza del Duomo, o quella detta in allora del Ta- gliamelo - piazza Fontana - ovvero il nicchione dell’ antica piazza de’ Tribunali , dove altre volte era la statua di Filippo II. In codesta divergenza di propo- ste, il viceré dispose che fosse provvisoriamente collocata nel secondo cortile del palazzo del Senato. Ma, ritardato l’adempimento di quest’ordine, il ca- valiere Zanoja, allora presidente dell’Accademia, ottenne, nel giugno 1813, che fosse interinalmente deposta nella sala delle antichità: e sono a notarsi il mo- tivo e il tempo del trasporto cosi ordinato; che gli scolari, cioè, non avessero a recarle guasto, e che il trasporto si facesse in ore di scuole non frequentate. Caduto Napoleone I, l’ammirabile opera dello scultore italiano disparve ne’ sotterranei dell’Accademia milanese; e vi stette finché, nel 1857, il 3 di marzo (veggasi la gazzetta ufficiale) l’Imperatore d’Austria, durante il suo soggiorno in Milano, ordinava che « per quella statua venisse sùbito eretto un conveniente piedestallo, a spese dello stato, e che sovr’ esso la si collocasse poi ne’ pub- blici giardini di questa capitale. » Fu uno degli ultimi decreti dati dal regnante austriaco in que’ giorni a Milano; e nuovo tema di compro encomio a’ giornali ufficiali. Ma il monumen- to, il quale — per le cose che ci parve non inopportuno di ricordare — deve risguardarsi come una nobilissima proprietà dello Stato, non doveva sorgere qui se non quando potesse essere restituito il nome di patria e di regno libero a questa nostra eletta parte d’Italia. . POUR L INAUGURATION DE LA STATUE COLOSSALE DE NAPOLEON I. OUVRAGE DE CANOVA À MILAN LE XIY AOÛT MDCCCLIX DISCOURS DE JULES CARCANO MILAN IMPRIMERIE DE LOUIS DE JACQUES PIROLA. — 15 C est dans les vicissitudes des anciens empires, c’est aux lointaines époques de l’histoire qu’on est allé jusqu’à ce jour chercher les enseignements solennels de la vérité; c’ est là qu'on s’est plu à rapprocher les faits sociaux qui manifes- tent la puissance invincible de la volonté humaine , ou lais- sent deviner la marche mystérieuse des nations. Les grands exemples ont été recueillis et exaltés ainsi dans des milliers de volumes, écoutés dans les écoles avec cet en- thousiasme, qui est la conviction des cœurs jeunes et forts. Nous aussi nous les avons entendu raconter, nous aussi nous avons palpité à ces souvenirs de gloire et de sagesse antiques, à ces luttes gigantesques de l’oppression contre la liberté, qui nous semblaient ne devoir plus se renouveler. Mais y a-t-il jamais eu, dans les livres de l’histoire, de spectacle plus grand, plus merveilleux que celui au quel notre génération a assisté dans la partie de ce siècle qui vient de finir? Une révolution, qui fut l’œuvre lente des siècles et qui, malgré tous les obstacles qu’elle rencontre, toutes les ruines qu’elle laisse sur son passage, n’est point encore lasse de sa marche, avait répandu son souffle ardent sur le monde. À la guerre civile, éteinte dans le sang, succédait, pour la France, la guerre contre l’Europe entière: c’était la lutte suprème de la société nouvelle contre la vieille société. C’est alors que , sorti d’une île obscure , un obscur prédestiné met le pied sur la terre de France, sur cette terre qui bientôt paraîtra - 16 — trop étroite à la marche de ses légions et aux désirs de sa grande àme. Il vient; l’Europe est maîtrisée; le calme re- naît sur cette- mer agitée par tant de tempêtes: de sa main puissante il recompose la vie sociale, dont les éléments ont été confondus et dispersés dans une guerre cruelle, et il jette les nations sur un nouveau sentier, où il veut être désormais leur arbitre et leur guide. Peu d’années s’écoulent, — les plus glorieuses du siècle — et voilà qu’au milieu d’immortelles victoires, au milieu de revers immortels, cet homme touche au terme de sa carrière et disparaît dans les fers et dans l’exil, laissant la terre d’Europe fécondée des germes de l’avenir. C’est ainsi qu’un grand fleuve, le Nil, aux sources inconnues — qui un jour lui avait obéi — vient disparaître dans la mer, après avoir déposé des trésors de fécondité sur les vastes plaines qu’il a traversées et couvertes de ses eaux. Mais du sein de l’exil et du fond des cachots — après quelques lustres seulement , pendant lesquels l’Europe fait des vains efforts pour rentrer dans sa vieille ornière, ou s’éle- ver à une liberté nouvelle — voilà que, par un admirable re- virement de fortune, nous voyons paraître l’héritier du Grand homme, avec ses grandes idées, ses hautes conceptions, avec son àme elle même. Ce fut comme une de ces comètes qui s’approchent de nôtre planète , et puis vont se perdre dans les régions de l’atmosphère, pour reparaître long-temps après: la multitude voit en elles de nouvelles voyageuses, mais le savant les reconnaît: il sait que ce sont les mêmes qu’il a déjà saluées et qui reviennent sur l’horizôn , belles d’une éternelle splendeur. Et maintenant, pourquoi sommes nous ici à contempler une merveille de notre art qui nous rappelle le grand Homme ? La postérité a-t-elle prononcé son arrêt? Cette gloire est-elle vraie? Oui, cette gloire est vraie. — Napoléon a été l’initiateur d’un grand principe, le droit des peuples; — ce droit par lequel nous avons aujourd'hui un roi qui est à nous , des — 17 — soldats qui sont à nous, pour garder les murs et les champs sacrés de la patrie. Et ces intrépides guerriers qui, avec les nôtres, ont combattu comme des frères dans cette guerre d’in- dépendance et versé leur sang pour l’Italie , sont témoins que nous aussi nous sommes dignes d’avoir une patrie, puis- que pour elle nous avons su vaincre et mourir. Laissez-moi vous rappeler maintenant comment est ar- rivé ce grand fait de la renaissance de la nation italienne. Vers la fin du dernier siècle, l'ouragan révolutionnaire, di- spersant les princes italiens, avait contraint à s’éloigner des Alpes celui qui en était le gardien le plus ancien et le plus vigilant. C’est ainsi que l’arbitre de notre sort, complètement isolé dans l’œuvre de notre régénération, ne put que jeter les fondements d’un royaume d’Italie. Rendus à nous mêmes, pen- dant ces quelques années, il nous sembla que nous ressu- scitions à une vie tout-à-fait nouvelle; — quoique le fanatisme et le dépit haineux de ceux qui méconnaissent le bien, parce qu’il a été fait sans eux, se soient efforcés de montrer ce ré- gime comme suivant une voie de servitude, de licence et de tyrannie. Nous ne jouissions pas, il est vrai, du plus sacré des droits, de la liberté civile et politique, et c’était d’un centre éloigné que nous arrivait la volonté souveraine; mais les juges étaient à nous; les membres du Corps législatif, les conseillers d’État étaient à nous; nous avions de florissantes écoles civiles et militaires des routes admirables à travers les Alpes, des ponts, des canaux, et tout ce qui peut contribuer à la sûreté in- térieure de l’État; les lois réunies en un seul code, un sy- stème hypothécaire fondé, l’unité dans les monnaies et dans les mesures; l’instruction répandue et devenue — comme elle doit l’être — un bienfait populaire; les talents supérieurs dans les sciences et dans les arts respectés, recherchés, et les noms d’Oriani, de Volta, de Spallanzani, de Scarpa prononcés avec vénération. Et ce qui est plus encore, nous avions une armée italienne qui devait porter si haut le nom et la valeur de 3 - 18 — nos soldats. Car, plus d’une fois , ces soldats suivirent dans les champs de l’Allemagne le Héros qui, poussé par le génie ardent du midi, sentait, comme eux, au fond de son cœur bouillonner les antipathies et les haines de la race latine con- tre la dure oppression des races septentrionales. Pour la seconde fois, la vaste marée du monde barbare vint se ruer contre le nouvel empire d’Occident. Les rancunes des vaincus purent hâter le jour des terribles représailles; et tout ce faisceau de forces que, seul, il avait su étreindre dans sa main puissante étant venu à se briser, ce monde, créé par lui, sembla se dissiper comme un mirage trompeur. Cette grande vengeance des rois accomplie, presque tous les peuples de l’Europe purent au moins se reposer dans leur nationalité. A nous seuls Italiens il ne resta que Toppres- sion, et avec elle le souvenir de ces années glorieuses et impérissables, de ce royaume d’Italie qui s’était, après mille ans, relevé pour si peu de temps , et dont le nom n’était plus qu’un mot, mais un mot riche d’avenir. — - Ils le sa- vaient bien nos anciens dominateurs , dont le retour rivait nos fers; ils le savaient bien eux qui, la peur dans l’âme, défen- daient jusqu’aux images de l’Homme Fatal. Mais de même qu’en France le soldat , redevenu laboureur , cachait celte image et lui vouail un culte sous son toit de chaume; de même parmi nous, les derniers vélites, ses compagnons dans tant de batailles , ne cessaient de redire ses hauts faits avec un triste orgueil. Peu à peu les rangs s’éclaircirent de ces témoins d’une grandeur passée; ces héroiques entreprises devinrent comme des légendes, une histoire si grande qu’elle ne paraissait plus vraie pour une génération qui commençait à s’énerver dans les douceurs de la paix. Et voilà comment, ainsi qu'un écho qui se perd, s’en allait mourir la puissance d’une idée. Mourir? — La vie, l’âme d’un peuple ne peuvent mourir! elles s’affaissent pour un temps, mais elles se réveillent et se relèvent. Ce besoin d’une patrie se transmettait des derniers héros dispersés qui avaient combattu pour elle à une géné- ration de jeunes hommes qui aspiraient après une liberté, qu’ils -lo- ri' avaient pas connue. Et ce fut parmi ces jeunes hommes, soldats et martyrs de la pensée nationale, que reparut bien- tôt ce même nom que les monarques avaient espéré, par un paragraphe de traité, effacer de la pensée de l’Europe. Dès lors, un nouvel esprit de vie se répandit par toute la péninsule. Gomme le navigateur, qui sur un océan lointain, a foi dans son arrivée à une terre connue, mais qui ne sait ni le jour, ni l’heure ; un seul prince italien veillait au pied des Alpes, attentif à cet esprit, dont il écoutait la grande voix, non pour l’étouffer, mais pour l’entendre. Et ce jour et cette heure tant attendus , vinrent enfin. Dans les batailles des peuples, ceux qui s’élancent les premiers se dévouent à la mort. C’est ainsi qu’il est tombé celui qui poussa le premier cri d’indépendance. Après dix années, — bien longues quand on est esclave, bien courtes quand on éspére — sortit du cœur de son fils le nouveau cri de guerre; tan- dis que , l’héritier du premier Napoléon , réintégré dans ses droits et dans son pouvoir, lui prêtait le secours de son bras puissant. C’est du haut des murs de Milan , qu’au jour de la déli- vrance , cet homme qui a si bien compris son époque , an- nonce un droit nouveau à l’Europe étonnée, avant même qu’elle ose, par les murmures d’une diplomatie jalouse, in- terrompre le cours de ces victoires qui ont excité parmi nous un enthousiasme encore brûlant. Le droit des peuples est proclamé ouvertement , hautement , par des paroles désormais ineffaçables. Et lorsqu’il les écrivit, sur le champ ensanglanté de Magenta, l’Empereur savait bien que ces paroles répondai- ent à la pensée prophétique de son grand prédécesseur, à ce sen- timent qui, à Sainte-Héléne, lui faisait regretter de n’avoir pas songé davantage à F Italie , de ne F avoir pas rendue libre , forte et indépendante. Dans ce jour solennel, devant cette statue du Vainqueur de F Europe, qui triomphe encore, devant cette œuvre d’art qui, pendant près d’un demi-siècle, est resté énsevelie honteusement dans les souterrains de ce musée — sacrilège consommé par la sottise et par la peur — en ce jour, dis-je, il me semble que cet illustre regret a été entendu, et que ce grand désir en faveur de l’Italie va recevoir son ac- complissement. Il est heureux qu’au milieu de ses triomphes, le grand Conquérant, dans lequel il y avait tant de reflets de l’antique, ait trouvé un artiste digne des meilleurs temps de la Grèce , pour reproduire son image. A ce tour de tête sévère, on re- connaît le profil impérieux du héros , empreint de cette vi- gueur de conception, de cette volonté puissante qui lui firent entreprendre et achever tant de grandes choses. Dans la pro- portion parfaite des membres, dans leurs robustes contours, l’ar- tiste a voulu rendre cet idéal qui représente, dans l’harmonie de la forme, l’unité des forces humaines. Sur le globe qu’il tient en main, est la Victoire ailée, désormais symbole d’un autre pouvoir; de cette influence morale, recherchée avec orgueil, qui doit ré- gner sur le monde, et peut y régner sous le nom d’un Bona- parte. Pendant sa vie, et au milieu de ses victoires, il obtint l’hommage de rois tremblants , les louanges flatteuses des savants, les applaudissements de la multitude; il reçut des honneurs presque divins, qui parfois l’enivrèrent; mais peut- -être les deux hommages les plus purs lui vinrent de cette Italie; de la voix du poète qui pleura sur son tombeau, et de l’œuvre sublime du sculpteur qui, tout en reproduisant ses traits, osait lui donner un conseil, ésperant sans doute qu’un jour c’est par lui que la liberté serait rendue à sa patrie. Ce chef-d’œuvre a été longtemps caché, comme si on eut craint que sa vue fut capable de soulever une nation. Puis, feignant l’indifférence pour une gloire qui ne pouvait plus renaître , Y exposition en public en fut accordée par décret d’un dominateur étranger — ici, où l’on avait cherché d'effacer jusqu’à la trace du grand homme, en changeant le nom de l’Arc triomphal qui lui était dédié , ainsi que les images glorieuses qui devaient en couronner le sommet. La gloire d’inaugurer un aussi noble monument devait être -21 - réservée au seul roi italien qui s’est dévoué pour la patrie commune, et qui seul est digne de continuer les traditions du grand nom et des événements que ce nom rappelle. Il nous a fait voir comment il faut combattre et vaincre; il a armé nos bras ; il a fait de nos frères ses compagnons d’ar- mes; il fera de nos enfants autant de citoyens et de soldats. Et quand ils viendront ici, cette statue, ainsi que le souvenir du jour où elle reparut à la lumière, et du roi qui voulut la relever, leur rappelleront la vie civile à laquelle nous a initiés le premier Napoléon , l’ alliance et le secours qu’ un autre Napoléon a prêté à l’ilalie ; si bien qu’il nous est aujourd’hui permis de saisir cette épée qui doit accomplir notre délivrance du joug de l’étranger. Personne n’osera plus toucher à ce monument: il a pour gardiens et pour protecteurs de son inviolabilité, l’Art, la Pa- trie et la reconnaissance des Italiens. — 22 NOTE En 1803, au nom du premier Consul, Canova fut appelé de Rome à Pa- ris et reçu au palais de Saint-Cloud avec honneur et distinction par le grand Héros qui en ce temps y séjournait. Ce fut alors que Bonaparte lui même le char- gea de faire sa statue; l’artiste la modela en cinq jours et lui donna une dimension presque gigantesque. Et tandis que le sculpteur était occupé de son travail, le hé- ros lisait, ou discourait avec lui sur des sujets politiques. L’amour ardent de la patrie et la franchise de l’artiste furent si agréables au premier Consul , qu’il se plut à le traiter avec une familiarité dont il n’avait jamais usé en- vers personne, ce qui fit bientôt des jaloux. C’est Canova lui même qui nous a donné ces détails dans quelques-uns de ses manuscrits ; et ses entretiens avec Bonaparte en 1803 et en 1810, pendant l’Empire, lorsqu’il revint à Paris , où l’Empereur désirait qu’il fixât sa demeure, sont d'une assez haute importance; puisque ce fut dans cet amical abandon que Napoléon, comme on l’a remarqué, se révéla lui môme, bien plus que ne le firent ses actes po- litiques publiés jusqu’à présent. Ce fut alors que Napoléon lui demanda pour- quoi il n’avait point fait sa statue colossale habillée. L’artiste lui répondit : « Dieu lui même, Sire, n’aurait rien fait de beau, s’il avait voulu vous repré- senter ainsi avec des vêtements courts et en bottes à la française. Nous avons, comme tous les beaux arts, notre langage sublime, et le langage de la sta- tuaire, c’est le nu. * (Voyez Missirini, vie de Canova ; Cicognara, Histoire de la sculpture; et Artaud, Histoire d’Italie). Dans le catalogue chronologique des ouvrages de Canova, publié par Léo- pold Cicognara, est rapportée à 1803 cette statue colossale de Napoléon, haute de sept palmes romains , en marbre de première qualité. Le colosse ne fut envoyé à Paris qu’en 1811, et passa de là en Angleterre: le roi Louis XVIII la donna, à ce que l’on croit, au duc de Wellington. Le gouverne- ment anglais en fit ensuite l’acquisition, comme l’observe Cicognara . 23 — En 1807, par décision du prince Eugène, vice-roi d’Italie, le ministre Al- quier, ambassadeur de France à Rome, ordonna à Canova une copie exacte en bronze de la même statue colossale, dont le prix fut fixé à la somme de cinq mille louis. Ce fut aussi le vice-roi qui, au mois de mai 1812, quand la statue fut coulée par les soins de François et Louis Righetti, ordonna qu’on l’élevât à Milan, dans un lieu convenable. Le ministre de l’intérieur, Vaccari, invita alors le sénateur Castiglioni, président de l’Académie des beaux-arts, de proposer la place et le dessin du piédestal. Quand l’œuvre de Canova ar- riva à Milan, le payement en fut ordonné sur le trésor du royaume, et elle fut déposée, encaissée comme elle l’était, sous les portiques du palais des Sciences. Les membres de l’Académie, consultés sur le lieu le plus convena- ble à l’érection de la statue , conseillèrent la place de la cathédrale , ou la place Fontana, que l’on appelait alors place du Tagliamento , ou bien encore la grande niche de la place des Tribunaux , où était autrefois la statue de Philippe IL Dans cette divergence d’avis, le vice-roi décida que, provisoi- rement, elle serait placée dans la seconde cour du palais du sénat L’exécu- tion de cet ordre fut différée; et le chevalier Zanoja, alors président de l’A- cadémie, obtint au mois de juin 1813, qu’elle serait provisoirement placée dans la salle des antiques. Il fut décidé, pour éviter que les écoliers ne vins- sent à la gâter, qu’elle fût transporté e à une heure où les classes ne sont pas fréquentées. A la chute de Napoléon I er , l’œuvre admirable de l’artiste italien disparut dans les souterrains de l’Académie, et y resta jusqu’au 3 mars 1857, jour où l'empereur d’Autriche, (voir la Gazette Officielle) en ce moment à Milan, or- donna que l’on érigeât aussitôt un piédestal aux frais de l’État, et que la statue y fut placée dans le jardin public de cette capitale. Ce fut un des derniers décrets rendus par le souverain autrichien à cette époque, et un nouveau thème de louanges payées pour les journaux officiels. Mais ce monument, que nous devons regarder comme une des belles pro- priétés de l’État (chose qu’il n’est pas hors de propos de rappeler ici) ne de- vait s’élever que lorsque le nom de patrie et de royaume libre serait rendu à cette noble partie de notre Italie. GETTY RESEARCH iNSTITUTE 3 3125 01096 5651
Wednesday, June 1, 2022
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