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Tuesday, March 23, 2021

Grice e Fiorentino: explicatura, implicatura

 Formazione del linguaggio. Il linguaggio e la prerogativa umana. Tra tutti gli animali l’uomo solo parla : e poiché l’uomo solo è forsia (li'u^wujqko aito (Vi ntoli ia'ciiz a, è naturale che tra cotesti due fatti |uU£li^tJtp si) cercato di trovare un nesso necessario. Ammessa questa mutua connessione, la domanda che naturalmente ne deriva, è questa. L’uomo parla perchè ragiona? o, al rovescio, ragiona perchè parla? Teoria K tradizionalistica sull’origine del linguaggio e sua critica. Le due opposte sentenze hanno trovato sostenitori. Una scuola detta de’ tradizionalisti non solo ha ammesso la necessità della parola per pensare, ma, com’era inevitabile, ha riconosciuto necessaria la rivelazione divina per la origine del linguaggio umano. Il corollario e perfettamente logico. Se l’uomo non può inventar nulla senza pensare; e se, per pensare, c’è (i) [Principale rappresentante moderno del tradizionalismo è il francese visconte Luigi de Bonald). Jrr*“ ilwlWuii) 6 JL^XÒru) di mestieri la parola, il linguaggio non poteva più derivare dall’uomo; e quindi a lui doveva essere stato rivelato da Dio. Una difficoltà molto ovvia non è stata però tenuta in conto. Come si fa a capire il linguaggio, se non è opera nostra, e se al suono esteriore non risponde nell’animo nostro il pensiero associatovi? Perchè il cavallo, il cane, benché odano il suono delle parole, non ne comprendono il significato! Gioberti, che rinfresca il tradizionalismo, cerca di evitare questo scoglio, distinguendo il pensiero p rimitivo, intuitivo, che precede il linguaggio, dal pensiero riflesso, che gli tien dietro e lo presuppone. Il linguaggio, per Gioberti, non è il fattore delle idee, ma l’istrumento indispensabile, perchè esse siano ripensate. Poiché però le idee nell’intuito mancano di distinzione, anche lui dovette sostenere la rivelazione per l’origine del linguaggio umano. Senza entrare in risposte astruse, noi opponiamo a questa dottrina un fatto molto comune. Poiché l’intuito delle idee è sempre presente, e poiché il suono del linguaggio colpisce il bambino fin dal suo primo nascere, perchè questi noi comprende subito, nò subito parla? Dati i due co-efficienti, l’intuito dell’idea e il suono esterno della parola, l’intelligenza dovrebbe immantinenti balzar fuora; ed intanto non è così, e ci vuole un lavoro lento ed assiduo, prima d’ intendere il valore del linguaggio. A (oM^Y^O l*< Tt.cC)) Teoria r azionale y. Lasciando dunque la mistica spiegazione di una rivelazione divina, la quale s’impiglierebbe in altre difficoltà, a spiegare, p. es., come Iddio, puro spirito, possa sensibilmente parlare, veniamo alla spiegazione umana . Linguaggio e universali. L’uomo parla soltanto q uando è capace di idee generali. Perciò noi abbiamo a<mr>v fatto seguire alla formazione di queste la formazione del linguaggio , che n 7 è la conseguenza. Come l’individuo è chiuso in sè ed irrelativo, così JL^ la sensazione, che vi corrisponde, è muta. Il linguaggio è comuni chevolezza tra spirito e spirito, e ciò che v ? ha T di comune tra loro è, e non può essere altro, che l’universale. 1***^*» (s) I nomi. L’universale ha però diversi gradi, e sul primo formarsi non esprime altro che limi rappresentazione comune a più individui percepit i. In questo si fonda l’imposizione dei nomi, che si desume sempre da quella proprietà che più ha colpito l’immaginazione di un mainili <U*^fvTcj. popolo. Così, p. es., guardando il mare, imo può { rimanere più scosso dalla sua mobilità, un altro dalla nr ] sua ampiezza , un altro dal suo colore ; e da ciascuna di queste proprietà può imporgli un nome diverso. Le altre note rimangono in seconda linea. Fermarsi sopra di una nota, a preferenza di un’altra , dipende poi dal diverso genio del popolo che si crea il linguaggio. Perciò non senza ragione la filologia moderna s’ingegna d’indovinare le concezioni nascenti devòlversi popoli dalle radici delle parole primitive. Il con questo metodo, riscontrando talune parole sanscrite, greche e latine, che si trovano le stesse, appresso tre rami di una sola razza, dimostra a che grado di civiltà essi fossero pervenuti prima di sparpagliarsi per varie ragioni. Comune, p. es., è la parola che significa il umo. Dunque, prima di dividersi, questi popoli avevano appreso ad estrarre il succo dalle uve. (A^tVvJ — Vc^fi IktcrrtsblC? <&Jt*/fl'n'tT tZjÉXjjrtmu Z Ain . f"r2rH^-££ RaA^ L ^ia^AA*-**** t^x<^ 7 r •<!T- J e /e altre parti del discorso. L’imposizione de’ nomi costituisce però la materia greggia di una lingua; e corrisponde appunto alla virtù rappresentativa dello spirito. L’attività dello spirito stesso è *signi-ficata* dal verbo, che è perciò l’elemento organico, e dalla cui più perfetta determinazione dipende la perfezione maggiore di una lingua. Le altre particelle, — preposizioni, congiunzioni, avverbi, — esprimono l’elemento formale e categorico del pensiero. Esprimono astrattamente le relazioni di cui sono capaci tanto gli oggetti, quanto l’attività medesima del nostro pensiero. [ >*<0 non x 3) Radici e flessioni. Nel nome e nel verbo si distingue la rappresentazione originaria da quelle determinazioni che dip oi, nel processo del linguaggio, le si sogliono aggiungere; c’è quindi in entrambi la radice e la flessione. Quando la lingua è sul nascere, il nome ed il verbo sono e spressi da un mono-sillabo, che rinchiude, come in un germe, la rappresentazione primitiva di una cosa o di un’azione . Quando poi si comincia a distinguere meglio le determinazioni che scampagnano .* o la cosa o Fazione, allora le varie modificazioni della 1 radice primitiva esprimono i numeri , i generi, i casi, le persone, il tempo; e tali flessioni si dicono declinazioni - 1 — : ^ — . — V i i ... ., coniugazioni , secondo che modificano il nome o il 7 verbo. Di questi due elementi fondamentali del nostro linguaggio, il verbo va congiunto con la categoria di tempo, il nome no. La ragione di tal divario è questa, che. , il verbo esprime l’azione , la quale senza il tempo non si potrebbe classificare con precisione; laddove il porne , esprimendo il soggetto o l’oggetto de l’azione, stessa, *signi-fica* qualcosa di iienjnuignte, e si circoscrive piuttosto con le relazioni spaziali. Nelle lingue più ricche, difatti, tra i casi, che esprimono le diverse modificazioni de’nomi, si suole trovare quello che i grammatici chiamano locative, e indica il luogo dove la cosa si trova. Quanto più numerose e sottili sono le flessioni che fissano le varie sfumature dell’azione , tanto più ricca e più precisa è una lingua; quanto più fine sono le gradazioni dell’azione, che lo spirito può cogliere, e rivelare nel linguaggio; tanto è maggiore l’attitudine artistica e scientifica. Dove, invece, si arriva appena a significare 1’azione in una forma rozza, e quasi direi all’ingrosso, quivi manca il genio artistico e la speculazione. La perfezione dell’organismo sintattico rivela la potenza creatrice ed inventiva di un popolo. La lingua greca mostra l’eccellenza di quella coltissima nazione: e criterio di quella eccellenza è la compiuta forma del verbo, che in quella lingua basta ad esprimere ogni più delicata e fuggevol forma del pensiero. Le particelle. Condizione primissima del filosofare è una lingua la quale jgossa astrarre, e fissare le relazioni in sfe, ed indipendentemente dai proprii termini. Quindi le particelle, che diciamo preposizioni, congiunzioni ed avverbii, e che sono come le giunture del linguaggio, diventano un aiuto potentissimo, anzi un istrumento indispensabile della speculazione. Per esse noi pensiamo le relazioni di tempo e di spazio, di causa e di effetto, di mezzo e di fine, e simili, non solo in quanto si trovano, dirò così, incorporate coi termini fra cui tramezzano; ma le pensiamo sci o lte da ogni rappresentazione e come concetti puri. Il dove, il quando, il di, il da, il per, esprimono il luogo, il tempo, la proprietà, la provenienza, il mezzo, come categorie a se , che noi applichiamo ai nomi ed ai verbi, producendo così l’organismo del *period*. L’abbondanza di tali particelle è parimenti indizio della perfezione di una lingua. pajth'cfiiU'- i) C’ è dunque nella lingua tre gradi. C’è la ra ppresentazione della cosa o dell’azione, espressa dalla nuda radice. C’è la rappresentazione determinata per mezzo de’ concetti puri, espressa dalla flessione; e ci sono infine i concetti puri, in s&J astratti da ogni rappresentazione, e sono le particelle invariabili. 4. Sviluppo delle lingue .I linguaggi barbari e rozzi ( si arrestano alle prime, alle radici mono-sillabiche, alle semplici rappresentazioni; o, tutto al più, riescono a con-glutinarle insieme. Le lingue sviluppate hanno flessioni; hanno cioè nomi e verbi perfettamente determinati; e Analmente hanno un ricco corredo di part i cell e^signiflcabrici delle relazioni universali. Delle particelle, di cui parliamo, due lingue hanno forse maggior copia, la greca fra le antiche, la tedesca fra le moderne; onde Xmo viene la loro maggiore attitudine a *sig-nificare* i concetti speculativi. Gli elementi delle lingue secondo M, Miiller. In conformità alle osservazioni da noi riferite finora, giova allegare l’autorità di Max ]\IiUl er J ), il quale, dopo sottili indagini, conclude, che tutte le lingue, senza eccezione di sorta, passate pel crogiuolo della grammatical comparata, sono risultate composte di due elementi (Max Miiller, Letture sulla scienza del linguaggio , e Nuove letture, trad. in ital. da Nerucci]. costitutivi; di radici *attributive*, " cioè , e radici *dimostrative*. Le radici attributive servono a *sig-nificare* una meidesima qualità primitiva, che si attribuisce ad un qualche essere. Le radici dimostrative, invece, servono ad esprimere una determinazione meramente formale. Lq j flessioni, consistenti nelle declinazioni de’ nomi, e nelle coniugazioni de’ verbi, nascono dalla unione organica delle due differenti specie di radici in una sola parola. Di modo che, anche filologicamente, apparirebbe manifesta la distinzione originaria di un *elemento attributivo* e di un *elemento dimostrativo* nella lingua ; che corrisponderebbero al contenuto (o materia) il primo, ed alla *forma* del pensiero il secondo. La compenetrazione di questi due elementi primitivi non è uguale in tutte le famiglie delle lingue che si parlano. è perfetta, e perciò a mala pena discernibile nelle lingue ariane; è imperfetta, e perciò più facilmente riconoscibile, nelle lingue semitiche. Apprendimento delle lingue . — Altra è la funzione, che si richiede a formare la lingua; altra è quella dello impararla, formata che sia; benché le due funzioni abbiano, e debbano avere, alcunché di comune. Prevale rimmaginazione produttiva nella formazione primitiva dei linguaggi; prevale la ri-produttiva nella loro apprensione. Il bambino che nasce in una società progredita non deve far altro, che assimilarsi il linguaggio materno così coin 7 è stato tramandato. Egli impiega in questo lavoro assimilativo i primi cinque anni della sua fanciullezza, durante il qual tempo impara più, come diceva Gian Paolo), che non in altrettanti anni eli accademia. La sua mente vergine e robusta si arricchisce ben presto di quel tesoro tradizionale, eh’ ei si appropria e fa suo, riponendolo nella fresca e tenace memoria. L’apprendimento delle lingue, già si facile in questa prima età, si va poi di mano in mano rendendo malagevole, perchè la memoria con gli anni si affievolisce, e diviene men facile a ricevere, e men fedele nel ritenere. ly

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