Il lettore non ignora che il Bonghi ha intrapreso sino dalla sua giovinezza la versione delle opere di Platone. Interrotta e ripresa essa è ora condotta al sesto volume e comprende già i dialoghi : Eutifrone, Apologia di Socrate, Critone, Fedone, Protagora o i Sofisti, Eutidemo, Cratilo, Convito. Di quest'ultimo, o meglio della versione e del lavoro che il Bonghi ci ha dato su di esso, ci proponiamo di render conto brevemente. Le traduzioni del Bonghi non valgono solo per lo sforzo quasi sempre felice di rendere nella nostra lingua i pregi mirabili dei Dialoghi platonici, segnatamente di quelli che si distinguono maggiormente per la forma arguta, agile e briosa del conversare, ma ben anco per gli studi profondi che da ellenista consumato e da pensatore acuto e vigoroso, egli ha compiuti sul testo e sulla dottrina del grande filosofo, e che in varia maniera e intento diverso di scritti, allargano la sua pubblicazione alle proporzioni di un commento filologico e filosofico, nonché di una illustrazione storica della filosofia di Platone. L'erudizione di cui l'autore dispone e a cui non isfugge nulla delle letterature straniere che risguardi l’Ellenismo in generale e particolarmente la filosofia greca, gli permette di trattar il soggetto in guisa da abbracciare i risultati delle ullime ricerche e della critica più recente. La distribuzione di questo volume, che è il sesto pubblicato, benchè porti la cifra IX e tale debba esser il suo posto nell'intera versione dei Dialoghi, può dare un'idea del modo di procedere in questi lavori. Si apre il volume con una lettera ad una ignota in cui si discorre con quello spirito arguto e vivace e veramente attico che tutti riconoscono nel Bonghi, dell'Amore che, nonstante un titolo diverso, forma veramente la sostanza del Dialogo, non senza toccare lo scabroso argomento degli amori greci e far intendere con delicatezza perchè la dedica di un tal Dialogo non potesse rivolgersi ad una signora, ma dovesse, per così dire, farsi in petto e rimanere misteriosa. Non possiamo trattenerci sulla rapida scorsa data dall'autore in questa lettera alla storia della Dottrina dell'Amore, ovveramente sugli accenni ch'egli fornisce a chi vorrà intraprenderla. Ci basti rilevarne queto tratto che, a suo avviso, la Dottrina platonica dell'Amore assai probabilmente non sarebbe nata senza la depravazione del bisogno e del sentimento che ha spinto l'animo di Socrate e di Platone a sublimare tanto l'amore, quanto nei costumi contemporanei, era divenuto basso e turpe; congettura suggerita certamente da un fatto storico e dalla sua connessione con una grande filosofia, ma che può parere soverchia considerando che la dialettica platonica eleva lo spirito dal finito all'infinito per le due vie unite del pensiero e dell'amore, il cui oggetto comune è l'idea. Non v'ha dubbio che il vizio combattuto da Socrate e da Platone porse un'occasione e una forma particolare allo svolgimeno e sopratutto alla esposizione di questa dialettica, ma essa è talmente connaturata all'intero corpo della dottrina e si ripresenta con tale frequenza, benché per parte, negli altri Dialoghi, e penetra del suo influsso talmente la psicologia e la morale platonica, da permettere di vedere nella salita dell'amore in Dio una parte della suil es. senza. Anche senza gli amori cosi detti greci, il sentimento umano avrebbe sempre offerto nelle sue inevitabili deviazioni qualche altra occasione a questa dottrina. VOL. II. Disp. II. 14. Dopo la lettera anzidetta viene nel volume un Proemio dell'autore di circa 90 pagine diviso in dieci capitoli, nei quali si tratta successivamente del Convito di Senofonte, del Convito di Platone, del paragone dei due Conviti, della dottrina esposta nel Dialogo, poi della storia delle Dottrine affini in Aristotele, negli Stoici e negli Epicurei, nel Cristianesimo, in Plotino e nel Paganesimo ultimo. Seguono copiose ed erudite note alla Lettera ed al Proemio, poi la versione del Convito platonico e quella del Convito di Senofonte, ugualmente accompagnate da note e commenti. Con molta acuratezza ed analisi finissima, il Bonghi espone nel primo capitolo del Proemio il soggetto e l'ordito del Convito Senofonteo mostrando come bensi l'arte non vi sia estranea, ma come anche vi si ritragga un fatto realmente avvenuto coi personaggi che vi presero parte. Senofonte può avere abbellito o modificato in qualche parte i discorsi che vi furono tenuti, ma egli ne ha, senza dubbio, riferita la sostanza e conservato il carattere. Callia, Autolico, Antistene, Socrate e gli altri vi assistettero e vi presero la parola e doveltero farlo in modo conforme all'indole nota di ciascuno. Inducono tanto più a crederlo il modo, il soggetto e l'ordine vario dei discorsi di questo Convito. Ciascuno dei convitati parla di ciò di cui più si tiene, di guisa che se la relazione di Callia col giovane Autolico porge occasione a discorrere dell'amore, e l'amore ne diventa tanta parte, ognuno peraltro loda ciò che è più conforme al suo gusto e gli pare più degno. Secondo il Bonghi, il vero scopo del Convito di Senofonte è di mostrare uno degli aspetti molteplici della personalità di Socrate e precisamente di dipingerla quale era in una allegra brigata fra amici che si ricambiano piacevolmente lo scherzo; e difatto Socrate vi è chiamato ruffiano, ed egli stesso accetta e si piace di essere chiamato cosi e si tiene del suo ruffianesimo più che di ogni altra cosa, ma la sua arte di mezzano è altamente morale e civile. Essa intende a mettere ciascuno in relazione col proprio spirito, e gl'individui che meritano le sue premure in relazione gli uni cogli altri in modo da porre concordia di virtù e d'amore fra i cittadini, amicandoli con sè stessi e rendendoli utili alla patria. Essa è ben più riformatrice dei costumi greci relativi all'amore, e tale appare negli atti e nei discorsi di Socrate riferiti in questo Convito, poichè egli, olre allo insegnare il modo di volgere al bene intellettuale e civile l'amore pei fanciulli spiritualizzandolo, per cosi dire, mostra chiaramente di condannarlo nella sua parte materiale coll'additare, nell'amore per la donna, la legittima via segnata dalla natura alla passione amorosa e rialzando la donna dal disprezzo in cui era tenuta, ricordando con esempi le virtù di cui è capace. Il Convito di Platone non è il racconto di un episodio storico della vita di Socrate, ma un'opera d'arte che, secondo l'avviso del Bonghi, deve essere succeduta allo scritto del suo condiscepolo. I personaggi non sono i medesimi che quelli del Convito di Senofonte. L'ordine dei discorsi non è libero come in quello, nè il soggetto loro vario e a scelta, ma l'uno e l'altro sono prestabiliti secondo il disegno di svolgere nei suoi vari aspetti l'argomento filosofico dell'amore; il quale successivamente da Fedro, da Pausania, da Erissimaco, da Aristofane, da Agatone e da Socrate, che riferisce un dialogo avuto con Diotima, sacerdotessa di Mantinea, è considerato, descritto e lodato come una divinità o come un sentimento, nei simboli mitologici e nei fatti sociali, ora come forza cosmica e funzione essenziale della vita universale, principio della generazione e della perpetuità delle specie, ora nel mito festevolmente inventato da Aristofane come mezzo di completare la nostra imperfetta natura mediante l'unione delle facoltà e delle attitudini che ci mancano e il cui complesso si trova in origine fuso nella unità della essenza umana primitiva, finalmente come mezzo d'innalzarsi, dietro la scorta delle idee, dalle bellezze particolari alla unità delle loro specie e dei loro generi fino a quella della bellezza suprema e increata che non si disgiunge dal bene assoluto. Noi non possiamo riprodurre dalla dotta e particolareggiata esposizione del Bonghi questi discorsi. Ci limiteremo a riferire i gradi della scala dialettica segnati, secondo il Bongbi, nel discorso di Diotima per salire all'ultimo oggetto dell'amore. « La bellezza corporea è il primo scalino. Ma in questo primo « passo è una singola bellezza d'un corpo o d'un’anima quella a che muove l'anima dell'amante. Un secondo gradino consiď ste nel distaccarsi dalla bellezza singolare, considerando « che l'idea della bellezza che splende nei singoli corpi o nelle « singole anime, è una sola; e risalendo per tal modo da « tali bellezze singole alla idea, in cui ciascuno di tali due « generi di bellezza si raccoglie. Il che fatto ha occasione di « montare un terzo gradino; che è la comparazione dell'idea « della bellezza corporea con quella della bellezza spirituale. « Dove s'avvede, che questa è superiore di molto, onde egli « - e qui il quarto gradino --- non ha più considerazione alla « bellezza del corpo nella persona che prende ad amare, ma « solo alla bellezza dell'anima. L'azione ch'egli esercita su « questa, intrattenendola con ragionamenti adatti a renderla « migliore e ricercandone di tali, gli è motivo a riconoscere « che v'ha una bellezza morale, la quale irraggia del pari (ogni condotta di vita e ogni prescrizione di legge; che sarà « il quinto gradino. Dal quale l'ascensione prossima è alla ( contemplazione della bellezza dell'idea della scienza; ch'è ( sesto gradino. « A questo punto egli ha già contemplate molte idee di « bellezza; s'è già distaccato da ogni bellezza singola; ha già « liberato il suo spirito da ogni attaccamento particolare; sic( chè è già in grado di contemplare un bello, che su tutte « tali bellezze s' elevi e tutte le raduni, e acquistarne scienza; ( che è il gradino settimo. Ma v'ha ancora più in su di quea sto, un bello, in cui ogni molteciplità o differenza si cona suma e spira. Dal bello di cui vi ha scienza, vi s'ascende, (e colla contemplazione di esso si giunge al sommo della « scala. Che natura ha questo bello supremo ? Perenne, im« mutabile...... perfetto, senza principio nè fine, sovrasensia bile...... inaccessibile a ragionamento o a scienza, comuni« cabile a ogni cosa...... integro sempre e non accresciuto ( nè scemato mai. Qui è il fine e la beatitudine della vita ; « qui è la fonte d'ogni virtù vera. Nella contemplazione di « questo bello cogli occhi dello spirito che soli lo vedono, si a raggiunge la maggiore intrinsichezza col divino, e si diventa ( davvero immortali. » Prima di giungere a tanta altezza di pensiero e di esporre il processo dialettico che vi conduce Diotima interrogando Socrate e servendosi del suo metodo, tratteggia un'analisi psicologica dell'amore in due modi e cioè in termini schiettamente filosofici e sotto i colori del mito giungendo col primo alla definizione che amore e desiderio di generare nella bellezza vuoi corporea, vuoi spirituale, e col secondo a rappresentarlo come partorito dalla Povertà unita al Dio Poro (Acquisto) nel giorno in cui gli Dei celebravano il natalizio di Venere; quindi la sua natura di Demone e non di un Dio, ma di tramezzante fra il mortale e l'immortale, sempre povero e ricco insieme, pel bisogno che soddisfatto rinasce e si perpetua nella vita perenne della specie. Il mito suddetto fece credere a parecchi interpreti e critici che Platone quivi, come in altri luoghi, ricorresse a invenzioni poetiche, quasi per nascondere la sua impotenza di arrivare col pensiero filosofico la perfezione espositiva delle parti più astruse delle sue dottrine; ma al Bonghi sembra, e secondo noi con ragione, che la spiegazione si trovi nel doppio aspetto dell'ingegno tutt'insieme filosofico e poetico di lui. Un'altra questione è risoluta dal Bonghi e cioè circa la personalità di Diotima, e la ragione per cui da essa e non da Socrate è esposta la dottrina Platonica dell'amore. A lui pare che di essa si parli con tali accenni alle sue relazioni con la storia d'Atene da escludere che non s'abbia da riguardare come persona reale. Potè poi giudicare Platone di dover fare di essa l'espositrice della dottrina, sia perchè egli distinse sempre o almeno generalmente i pensieri propri da quelli che ebbe comuni col suo maestro e i quali soltanto volle a lui attribuiti nei Dialoghi. Che poi una donna e di più una Sacerdotessa fosse la figura da lui prescelta, la ragione può esser doppia e cioè per elevare di tanto la donna nella intelligenza dell'amore di quanto l'opinione volgare ne abbassava gli uffici e il concetto, e in secondo luogo per esporre sotto forma di iniziazione una dottrina esistente ancora allo stato di intuizione e non sviluppata. Lo spazio ci manca per seguire l'autore nelle vicende dottrinali subite dal concetto dell'amore nelle scuole sopraenumerate che il Bonghi conduce colla sua solita perizia ed erudizione fino agli ultimi tempi del Paganesimo, non senza mostrare quanto le nostre idee si siano trasformate e purificate sotto l'influsso del Cristianesimo.
Friday, March 26, 2021
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