Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search «Divideste lo Spirito in quattro spicchi che altri rimpastò in uno: donde ripicchi, faide nel gregge degli yesmen professionali. Vivete in pace nell'eterno: foste giusto senza saperlo, senza volerlo.» (Eugenio Montale, A un grande filosofo [1972], in Id., Diario del '71 e del '72, vv. 5-8[1]) Benedetto Croce B.Croce.jpg Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d'Italia Durata mandato 15 giugno 1920 – 4 luglio 1921 Presidente Giovanni Giolitti Predecessore Andrea Torre Successore Orso Mario Corbino Ministro senza portafoglio del Regno d'Italia (periodo costituzionale transitorio) Durata mandato 22 aprile 1944 – 27 luglio 1944 Presidente Pietro Badoglio Ivanoe Bonomi Senatore del Regno d'Italia Durata mandato 26 gennaio 1910 – 5 agosto 1943 Legislature XXIII, XXIV, XXV, XXVI, XXVII, XXVIII, XXIX, XXX Gruppo parlamentare Partito Liberale Italiano Sito istituzionale Deputato dell'Assemblea Costituente Gruppo parlamentare Unione Democratica Nazionale, Partito Liberale Italiano Collegio Collegio Unico Nazionale Sito istituzionale Senatore della Repubblica Italiana Legislature I Gruppo parlamentare PLI Incarichi parlamentari Membro della sesta Commissione permanente (Istruzione pubblica e belle arti) (17 giugno 1948 – 20 novembre 1952) Sito istituzionale Dati generali Partito politico Partito Liberale Italiano (1922-1952) Titolo di studio Diploma di maturità classica Università Università degli Studi di Napoli Federico II Professione Possidente, filosofo, storico, scrittore Firma Benedetto Croce (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 – Napoli, 20 novembre 1952) è stato un filosofo, storico, politico, critico letterario e scrittore italiano, principale ideologo del liberalismo novecentesco italiano ed esponente del neoidealismo[2]. Presentò il suo idealismo come «storicismo assoluto», giacché «la filosofia non può essere altro che "filosofia dello spirito" [...] e la filosofia dello spirito non può essere altro che "pensiero storico"», ossia «pensiero che ha come contenuto la storia», che rifugge ogni metafisica, la quale è «filosofia di una realtà immutabile trascendente lo spirito»[3]. In funzione anti-positivistica, nella filosofia crociana, la scienza diventa la misuratrice della realtà, sottomessa alla filosofia, che invece comprende e spiega il reale. Con Giovanni Gentile – dal quale lo separarono la concezione filosofica e la posizione politica nei confronti del fascismo dopo il delitto Matteotti – è considerato tra i maggiori protagonisti della cultura italiana ed europea della prima metà del XX secolo, in particolare dell'idealismo. La dottrina crociana improntata alla storiografia ebbe grande influenza politica sulla cultura italiana; Croce, in particolare, con la sua "religione della libertà, è ricordato come guida morale dell'antifascismo "[4], tanto che fu anche proposto come Presidente della Repubblica italiana[5]. Fu tra i fondatori del ricostituito Partito Liberale Italiano, assieme a Luigi Einaudi.[6] Alcune riserve sulla sua estetica, come anche sulla critica letteraria (in particolare sulla sua definizione di «poesia») e sulla superiorità attribuita da Croce alla filosofia rispetto alle scienze nell'ambito della logica, sono state, tuttavia, espresse in tempi successivi.[4] D'altra parte, il pensiero di Croce, specialmente quello politico, ha goduto di apprezzamenti più recenti e di una "riscoperta" anche al di fuori dell'Italia, in Europa e nel mondo anglosassone (specialmente gli Stati Uniti d'America), dov'è riconosciuto, al pari di pensatori come Karl Popper, come uno dei più eminenti teorici del liberalismo europeo e un autorevole oppositore di ogni totalitarismo.[7] Il liberalismo politico crociano distinto dal liberismo economico fu causa di disaccordo con un altro importante esponente del liberalismo italiano come Luigi Einaudi.[8] «... e su questo terreno, traballante a ogni passo, dobbiamo fare il meglio che possiamo per vivere degnamente, da uomini, pensando, operando, coltivando gli affetti gentili; e tenerci sempre pronti alle rinunzie senza per esse disanimarci» (Benedetto Croce dai Taccuini (marzo 1944) in Scritti e discorsi politici, Vol. I, pp. 276-277) Croce nacque a Pescasseroli, in provincia dell'Aquila, il 25 febbraio del 1866. I genitori appartenevano a due abbienti famiglie abruzzesi: la famiglia Sipari, quella materna, originaria della stessa Pescasseroli, ma radicatasi anche in Capitanata e Terra di Lavoro, particolarmente legata agli ideali liberali, e l'altra, quella paterna, originaria di Montenerodomo (in provincia di Chieti), ma trapiantata a Napoli, legata invece ad una mentalità di stampo borbonico[9]. Croce crebbe in un ambiente profondamente cattolico, dal quale però, ancora adolescente, si distaccò, non riaccostandosi più per tutta la vita alla religiosità tradizionale. Il terremoto di Casamicciola A diciassette anni perse i genitori, Pasquale Croce e Luisa Sipari, e la sorella Maria, periti il 28 luglio del 1883, durante il terremoto di Casamicciola, nell'isola d'Ischia, dove Croce si trovava in vacanza con la famiglia. Un terremoto durato non più di 90 secondi ma dalla potenza devastatrice enorme - e per questo rimasto come esempio terribile di distruzione nel modo di dire delle popolazioni coinvolte - dove lo stesso Benedetto rimase «sepolto per parecchie ore sotto le macerie e fracassato in più parti del corpo»[10]. Il "problema del male", in sottofondo alla sua filosofia ottimistica sul progresso, rimarrà insoluto, se non addirittura negato, e dietro le quinte del suo pensiero, influenzato da questi eventi giovanili come evidenziato dalle meditazioni private dei Taccuini personali.[11] «Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi: i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti persino pensieri di suicidio.[12]» Fra i primi ad accorrere in suo aiuto fu il cugino Paolo Petroni, la famiglia del quale lo assisté affettuosamente nei mesi seguenti nella loro residenza di campagna a San Cipriano Picentino[13], paese non troppo distante da Salerno. In seguito a questo tragico episodio fu affidato, assieme al fratello superstite Alfonso (1867-1948), alla tutela del cugino Silvio Spaventa, figlio della prozia Maria Anna Croce e fratello del filosofo Bertrando Spaventa, che, mettendo da parte dei dissapori storici che aveva con la famiglia Croce, lo accolse nella propria casa a Roma, dove il giovane Benedetto trascorse gli anni dell'adolescenza ed ebbe modo di formarsi culturalmente[14] fino all'età di vent'anni.[15] Primi contatti con gli intellettuali Nel circolo culturale nella casa dello zio Silvio, Croce ebbe modo di frequentare importanti uomini politici ed intellettuali tra cui Labriola che lo inizierà al marxismo. Pur essendo iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Napoli, Croce frequentò le lezioni di filosofia morale a Roma tenute dal Labriola. Non terminò mai i suoi studi universitari, ma si appassionò a studi eruditi e filosofici, trascurando il pensiero hegeliano, di cui criticava la forma incomprensibile. Il ritorno a Napoli Lasciata la Roma troppo accesa di passioni politiche, Croce nel 1886 tornò a Napoli, dove acquistò, per abitarvi, la casa dove aveva trascorso la sua vita Giambattista Vico, il filosofo napoletano amato da Croce per la concezione filosofica anticipatrice, per certi aspetti, della sua. Nel 1890 fu tra i fondatori della Società dei Nove Musi, un cenacolo di intellettuali. Foto di gruppo con il giovane Benedetto Croce (terzo da sinistra, in piedi) Compì numerosi viaggi in Spagna, Germania, Francia e Regno Unito mentre nella sua formazione culturale cresceva l'interesse per gli studi storici e letterari, in particolare per la poesia di Giosuè Carducci, e per le opere di Francesco De Sanctis. Nel 1895, attraverso Antonio Labriola con cui era rimasto in contatto, si interessò al marxismo, di cui però criticava come astorica la visione che dava del capitalismo. Da Marx risalì alla filosofia hegeliana che cominciò ad apprezzare e ad approfondire. La fondazione de La critica e la vita politica Nel gennaio del 1903 uscì il primo numero della rivista La critica, con la collaborazione di Giovanni Gentile, e stampata a sue spese fino al 1906, allorché subentrò l'editore Laterza. Venne nominato per censo senatore nel 1910 e dal 1920 al 1921 fu Ministro della Pubblica Istruzione[16] nel quinto e ultimo governo Giolitti[17]. Con regio decreto del 21 maggio 1920 gli fu concesso il titolo di "Nobile". Elaborò una riforma della pubblica istruzione che fu poi ripresa e attuata da Giovanni Gentile. Posizione nella prima guerra mondiale «Ardenti e vivacissime furono in quei dieci mesi le polemiche tra «interventisti» e «neutralisti», come erano chiamati. [...] non si può dire che [gli interventisti] avessero torto, come non si può dire che l'avessero i loro oppositori, perché dissidî di questa sorta non sono materia, nonché di tribunali, neppure di critica scientifica, e hanno questo carattere entrambe le tesi, appassionatamente difese, sono necessarie per l'effetto politico e, come suona il motto, che, se una delle due opposizioni non ci fosse, converrebbe inventarla. Più di un cosiddetto «neutralista» si sentiva talvolta scosso dalla tesi avversaria e inclinava ad accoglierla, e il medesimo accadeva a più di un «interventista».» ( Benedetto Croce, Storia d'Italia dal 1871 al 1915, Bari, Laterza, 1943.) Il filosofo, nella scelta tra le due posizioni, neutralismo o interventismo alla prima guerra mondiale, si rivolse alla prima; ma il suo era un neutralismo che contemperava le posizioni liberali con la possibilità dell'intervento (rimase comunque poco favorevole alla guerra, e, non obbligato ad arruolarsi, per limiti di età - 49 anni -, non andò mai al fronte a differenza di altri intellettuali come D'Annunzio, volontario a 52 anni).[18]. Scriveva a Henry Bigot nel 1914, che era: «pronto ad accettare quella guerra che saremo costretti a fare, quale che sia, anche contro la Germania, ad accettarla come una dolorosa necessità, risoluto a non provocarla per ragioni antinazionali e settarie» (B. Croce, Epistolario, vol. I, Napoli 1967, p. 3.) Il rapporto con il fascismo L'iniziale fiducia al governo fascista Benedetto Croce nella sua biblioteca Inizialmente Croce fu vicino al fascismo[19]. Ascoltò e applaudì il discorso di Mussolini al teatro San Carlo di Napoli del 24 ottobre 1922, durante l'adunata preparatoria per la marcia su Roma[20]. In occasione delle votazioni al Senato del 24 giugno 1924, successive all'uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti (10 giugno 1924), Croce fu tra i 225 senatori che votarono la fiducia al governo Mussolini, insieme a Giovanni Gentile e Vincenzo Morello.[21] In seguito Croce spiegò in un'intervista che il suo non era stato un voto fascista, aveva votato a favore del regime perché pensava che Mussolini, se sostenuto, poteva esser sottratto all'estremismo fascista a cui Croce faceva risalire la responsabilità del delitto Matteotti. «Abbiamo deciso di dare il voto di fiducia. Ma, intendiamoci, fiducia condizionata. Nell'ordine del giorno che abbiamo redatto è detto esplicitamente che il Senato si aspetta che il Governo restauri la legalità e la giustizia, come del resto Mussolini ha promesso nel suo discorso. A questo modo noi lo teniamo prigioniero, pronti a negargli la fiducia se non tiene fede alla parola data. Vedete: il fascismo è stato un bene; adesso è divenuto un male, e bisogna che se ne vada. Ma deve andarsene senza scosse, nel momento opportuno, e questo momento potremo sceglierlo noi, giacché la permanenza di Mussolini al potere è condizionata al nostro beneplacito.[22]» Croce scrisse su Il Giornale d'Italia del 9 luglio 1924 che il regime mussoliniano «non poteva e non doveva essere altro che un ponte di passaggio per la restaurazione di un più severo regime liberale». La rottura e il Manifesto degli intellettuali antifascisti Il filosofo abruzzese si allontanò definitivamente dal regime allorché, su sollecitazione di Giovanni Amendola, scrisse il Manifesto degli intellettuali antifascisti in replica al Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile.[23] Lo scritto, pubblicato sul quotidiano Il Mondo del 1º maggio 1925, tra l'altro sosteneva: «Contaminare politica e letteratura, politica e scienza è un errore, che, quando poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze e la soppressione della libertà di stampa, non può dirsi nemmeno un errore generoso. E non è nemmeno, quello degli intellettuali fascisti, un atto che risplende di molto delicato sentire verso la patria, i cui travagli non è lecito sottoporre al giudizio degli stranieri, incuranti (come, del resto, è naturale) di guardarli fuori dei diversi e particolari interessi politici delle proprie nazioni. [...] In che mai consisterebbe il nuovo evangelo, la nuova religione, la nuova fede, non si riesce a intendere dalle parole del verboso manifesto; e, d'altra parte, il fatto pratico, nella sua muta eloquenza, mostra allo spregiudicato osservatore un incoerente e bizzarro miscuglio di appelli all'autorità e di demagogismo, di proclamata riverenza alle leggi e di violazione delle leggi, di concetti ultramoderni e di vecchiumi muffiti, di atteggiamenti assolutistici e di tendenze bolsceviche, di miscredenza e di corteggiamenti alla Chiesa cattolica, di aborrimenti della cultura e di conati sterili verso una cultura priva delle sue premesse, di sdilinquimenti mistici e di cinismo. [...] Per questa caotica e inafferrabile "religione" noi non ci sentiamo, dunque, di abbandonare la nostra vecchia fede: la fede che da due secoli e mezzo è stata l'anima dell'Italia che risorgeva, dell'Italia moderna; quella fede che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia, di generoso senso umano e civile, di zelo per l'educazione intellettuale e morale, di sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni avanzamento.» Secondo Norberto Bobbio, il Manifesto degli intellettuali antifascisti sancì l'assunzione da parte di Croce del ruolo di «coscienza morale dell'antifascismo italiano» e di «filosofo della libertà»[24]. Lo scritto segnò inoltre la rottura dell'amicizia con Gentile, a causa delle ormai inconciliabili divergenze filosofiche e politiche. In seguito Croce fu l'unica voce fuori dal coro tollerata dal regime.[25] Il ruolo di Croce come coscienza dell'antifascismo è testimoniato, tra gli altri, da Primo Levi, che nel 1975 ricordò che negli anni del fascismo e della guerra, segnati per gli antifascisti da smarrimento morale, isolamento e incertezze, solo «La Bibbia, Croce, la geometria, la fisica, ci apparivano fonti di certezza»[26]. Il fascismo come "malattia morale" Benedetto Croce «Il mio liberalismo è cosa che porto nel sangue, come figlio morale degli uomini che fecero il Risorgimento italiano, figlio di Francesco De Sanctis e degli altri che ho salutato sempre miei maestri di vita. La storia mi metterà tra i vincitori o mi getterà tra i vinti. Ciò non mi riguarda. Io sento che ho quel posto da difendere, che pel bene dell'Italia quel posto dev'essere difeso da qualcuno, e che tra i qualcuni sono chiamato anch'io a quell'ufficio. Ecco tutto.» (Lettera a Vittorio Enzo Alfieri del 10 ottobre 1925) Rifiutò di entrare nell'Accademia d'Italia, fondata nel 1929, e dopo un breve appoggio al movimento antifascista Alleanza Nazionale per la Libertà (1930), fondato dal poeta Lauro De Bosis, si allontanò dalla vita politica[27], continuando peraltro ad esprimere liberamente le sue idee politiche, senza che il regime fascista lo censurasse, almeno esplicitamente[28]. L'unico atto di ostilità violenta ed esplicita compiuto dal fascismo verso Croce fu la devastazione della sua casa napoletana avvenuta nel novembre del 1926[29]. Negli anni successivi, quelli della sua affermazione e del cosiddetto “consenso”, il fascismo ritenne Croce un avversario poco temibile, sostenitore com'era della tesi di un fascismo inteso come "malattia morale" inevitabilmente superata dal progresso della storia. Inoltre la fama di Croce presso l'opinione pubblica europea lo proteggeva da interventi oppressivi da parte del regime. Ebbe altresì blandi rapporti culturali con intellettuali in qualche modo vicini al regime, anche se marginali, come un carteggio epistolare con il tradizionalista Julius Evola, a cui espresse l'apprezzamento formale per due opere, da pubblicare presso Laterza con il benestare dello stesso Croce, Saggi sull'idealismo magico, Teoria dell'individuo assoluto e, successivamente, La tradizione ermetica.[30][31][32] Nel 1931 il governo fascista richiese ai docenti delle università italiane un atto di formale adesione al regime in base all'articolo 18 del regio decreto n. 1227 del 28 agosto 1931[33] (il cosiddetto giuramento di fedeltà al fascismo). A seguito di tale provvedimento, i docenti avrebbero dovuto giurare di essere fedeli non solo "alla patria", secondo quanto già imposto dal regolamento generale universitario del 1924, ma anche al regime fascista.[34]. In quell'occasione, Croce incoraggiò professori come Guido Calogero e Luigi Einaudi a rimanere all'università, «per continuare il filo dell'insegnamento secondo l'idea di libertà»[35]. Se la sua figura fu importante per l'area politica del liberalismo, la sua scuola ebbe durante tutto il ventennio fascista una platea assai più ampia di allievi[36]: del resto, già prima dalle sue idee avevano tratto esempio anche Antonio Gramsci[37] e il gruppo comunista de L'Ordine Nuovo.Polemica sulla Giornata della fede La non adesione di Croce al fascismo parve messa in discussione dal gesto compiuto nel 1935 durante la Guerra d'Etiopia, quando il filosofo, in occasione della "Giornata della fede" donò la propria medaglietta da senatore accompagnandola con questa secca lettera al presidente del Senato: «Eccellenza, quantunque io non approvi la politica del Governo, ho accolto in omaggio al nome della Patria, l'invito dell'E.V., e ho rimesso alla questura del Senato la mia medaglia, che ha la data del 1910[38]» Il gesto “suscitò negli ambienti dell'antifascismo italiano, in patria e all'estero, sorpresa, dolore e polemiche” che colpirono dolorosamente Croce. Al termine di un drammatico colloquio con Bianca Ceva, inviata a sostenere il punto di vista degli antifascisti, dopo un iniziale tentativo di giustificazione, Croce affermò: “dica che io sono sempre lo stesso, che sono sempre con loro...”[39]. Contro le leggi razziali Nel 1938 il regime varò la legislazione antisemita (Croce non era presente nell'aula del Senato, quale forma di protesta; egli fu uno dei pochi a esprimersi contro di esse a livello pubblico). Il governo inviò a tutti i professori universitari e i membri delle accademie un questionario da compilare ai fini della classificazione "razziale". Tutti gli interpellati risposero. L'unico intellettuale non ebreo che rifiutò di compilare il questionario fu Croce. «L'unico effetto della richiesta dichiarazione sarebbe di farmi arrossire, costringendo me, che ho per cognome CROCE, all'atto odioso e ridicolo insieme di protestare che non sono ebreo, proprio quando questa gente è perseguitata.[40]» Il filosofo, invece di restituire compilata la scheda, inviò una lettera al presidente dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, in cui scrisse sarcasticamente: «Gentilissimo collega, ricevo oggi qui il questionario che avrei dovuto rimandare prima del 20. In ogni caso, io non l'avrei riempito, preferendo di farmi escludere come supposto ebreo. Ha senso domandare a un uomo che ha circa sessant'anni di attività letteraria e ha partecipato alla vita politica del suo paese, dove e quando esso sia nato e altre simili cose?» (Benedetto Croce a Luigi Messedaglia, Presidente dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti di Venezia, 21 settembre 1938, in A. CAPRISTO, L’espulsione degli ebrei dalle accademie italiane, Torino, Zamorani, 2003, p. 38.) Croce fu quindi espulso da quasi tutte le accademie di cui era membro, comprese l'Accademia Nazionale dei Lincei e la Società Napoletana di Storia Patria. All'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, unica accademia che lo mantenne socio, alla fine della guerra Croce riconoscerà il merito di non averlo espulso durante il regime fascista.[41]. Dopo aver denunciato la persecuzione degli ebrei, Croce però critica anche gli atteggiamenti degli ebrei stessi, sia quelli che avevano aderito al fascismo, sia quelli che vivevano "separati", ritenendo la specificità ebraica come pericolosa per gli ebrei stessi: «Quando s'iniziò l'infame persecuzione contro gli ebrei, io ebbi, con un brivido di orrore, la piena rivelazione della sostanziale delinquenza che era nel fascismo, come chi fosse costretto ad assistere allo sgozzamento a freddo di un innocente e mi misi di lancio dalla loro parte con tutto l'esser mio per fare quello [...] che per loro si poteva a lenire o diminuire il loro strazio [...] Molti danni e molte iniquità compiute dal fascismo non si possono ora riparare per essi come per altri italiani che le soffersero, né essi vorranno chiedere privilegi o preferenze, e anzi il loro studio dovrebbe essere di fondersi sempre meglio con gli altri italiani; procurando di cancellare quella distinzione e divisione nella quale hanno persistito nei secoli e che, come ha dato occasione e pretesto in passato alle persecuzioni, è da temere ne dia ancora in avvenire... [l'idea di] popolo eletto, che è tanto poco saggia che la fece sua Hitler, il quale, purtroppo, aveva a suo uso i mezzi che lo resero ardito a tentarne la folle attuazione... [essi] disconoscono le premesse storiche (Grecia, Roma, Cristianità) della civiltà di cui dovrebbero venire a fare parte.» (Lettera a Cesare Merzagora[42][43]) Espresse quindi una posizione di perplessità per il sionismo.[44] Benedetto Croce e Alessandro Casati in occasione della cerimonia di insediamento di Luigi Einaudi alla Presidenza della Repubblica Italiana Il rientro nella vita politica Dopo la caduta del regime Croce rientrò in politica, accettando la nomina a presidente del Partito Liberale Italiano. Durante la Resistenza cercò di mediare tra i vari partiti antifascisti e nel 1944 fu Ministro senza portafoglio nel secondo governo Badoglio, benché non stimasse né il Maresciallo né il re Vittorio Emanuele III, a causa della loro compromissione col fascismo.[45] Subito dopo la liberazione di Roma (giugno 1944) entrò a far parte del secondo governo Bonomi, sempre come ministro senza portafoglio, ma diede le dimissioni qualche mese dopo, il 27 luglio. Egli avrebbe preferito l'abdicazione diretta del sovrano in favore del piccolo Vittorio Emanuele (con rinuncia di Umberto al trono), la reggenza a Badoglio e l'incarico di capo del governo a Carlo Sforza, ma i rappresentanti del Regno Unito si opposero.[46] Al referendum sulla forma dello Stato (2 giugno 1946) votò per la monarchia[47], inducendo tuttavia il Partito Liberale (di cui rimane presidente fino al 30 novembre 1947) a non schierarsi, per far sì che prevalesse sulla questione piena ed effettiva libertà di scelta, e dichiarando in seguito: «il buon senso fece considerare a quei milioni di votanti favorevoli alla monarchia, che, se anche essi avessero riportato la maggioranza legale, una monarchia con debole maggioranza non avrebbe avuto il prestigio e l'autorità necessaria, e perciò meglio valeva accettare la forma nuova della Repubblica e procurar di farla vivere nel miglior modo, apportandovi lealmente il contributo delle proprie forze.»[48] Benedetto Croce con Enrico Altavilla e il Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola Concetti che Croce aveva, nella loro sostanza, già espresso; ben prima che Umberto II, nel messaggio del 13 giugno 1946, ribadisse tale indicazione.[49]. Eletto all'Assemblea Costituente, non accettò la proposta di essere candidato a Capo provvisorio dello Stato, così come in seguito rifiutò la proposta, avanzata da Luigi Einaudi, di nomina a senatore a vita[50]. Si oppose strenuamente alla firma del Trattato di pace, con un accorato e famoso intervento all'Assemblea costituente, ritenendolo indecoroso per la nuova Repubblica. Nel 1946 fondò a Napoli l'Istituto italiano per gli studi storici destinando per la sede un appartamento di sua proprietà, accanto alla propria abitazione e biblioteca nel Palazzo Filomarino dove oggi ha sede la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce. Tra il 1949 e il 1952 fu Presidente dell'associazione PEN International e, negli stessi anni, entrò a far parte del Consiglio di Amministrazione dell'Istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli.[51] Per un ictus cerebrale, sopravvenuto nel 1949, rimase semiparalizzato e si ritirò in casa continuando a studiare: morì seduto in poltrona nella sua biblioteca il 20 novembre 1952, all'età di 86 anni. I funerali solenni si tennero nella sua Napoli e le sue spoglie tumulate nella tomba di famiglia al Cimitero di Poggioreale[52]. Il rapporto con la cultura cattolica «Pure filosofo quale sono [...] io stimo che il più profondo rivolgimento spirituale compiuto dall'umanità sia stato il cristianesimo, e il cristianesimo ho ricevuto e serbo, lievito perpetuo, nella mia anima[53]» Il rapporto di Croce con la cultura cattolica variò nel corso del tempo. Agli inizi del Novecento i filosofi idealisti, come Croce e Gentile, avevano esercitato assieme alla cultura cattolica una comune critica al positivismo ottocentesco. Alla fine degli anni venti vi era stato un progressivo allontanamento della cultura laica e idealistica dalla cultura cattolica. Croce, pur non essendo un anticlericale militante, riteneva importante la separazione liberale tra Chiesa e Stato, propugnata da Cavour.[54] L'11 febbraio 1929 la Chiesa con i Patti Lateranensi aveva ormai raggiunto un rapporto equilibrato con le istituzioni statali italiane distaccandosi quindi dalle posizioni politiche antifasciste dell'idealismo crociano. Croce fu contrario al Concordato e dichiarò apertamente in Senato che «accanto o di fronte ad uomini che stimano Parigi valer bene una messa, sono altri per i quali l'ascoltare o no una messa è cosa che vale infinitamente più di Parigi, perché è affare di coscienza.»[55] Mussolini gli rispose dichiarandolo «un imboscato della storia», e accusando il filosofo di passatismo e di viltà di fronte al progresso storico.[56] Quando Croce scrisse la Storia d'Europa nel secolo decimonono, il Vaticano criticò aspramente l'autore che difendeva le filosofie esaltanti una religione della libertà senza Dio. Il Sant'Uffizio pose all'Indice nel 1932 questo libro ma, non ottenendo negli anni successivi da Croce un qualsiasi ripensamento, nel 1934 inserì nell'elenco dei libri proibiti tutti i suoi scritti.[57] La polemica anti-concordataria crociana vide l'adesione del giovane filosofo nonviolento e liberalsocialista Aldo Capitini che nell'autunno del 1936 a Firenze, a casa di Luigi Russo, aveva avuto modo di conoscere Croce, a cui aveva consegnato un pacco di dattiloscritti che il filosofo napoletano aveva apprezzato e fatto pubblicare nel gennaio dell'anno seguente presso l'editore Laterza di Bari con il titolo Elementi di un'esperienza religiosa. In poco tempo gli Elementi diventarono uno tra i principali riferimenti letterari della gioventù antifascista.[58] La posizione personale di Croce nei confronti della religione cattolica è ben espressa nel suo saggio Perché non possiamo non dirci "cristiani", scritto nel 1942. Il termine "cristiani" inserito nel titolo tra virgolette non voleva indicare l'adesione a un credo confessionale, bensì la consapevolezza di un'inevitabile appartenenza culturale rappresentata nella sua particolare prospettiva dal fenomeno del cristianesimo: non si trattava di una professione di fede cristiana dovuta a un rinnegamento dell'agnosticismo[59] come volle fare intendere la propaganda fascista[60], ma di riconoscere il valore storico e di «rivolgimento spirituale»: «Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non maraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall'alto, un intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poesia, dell'arte, della filosofia, della libertà politica, e Roma del diritto: per la capacità dei princìpi cristiani di contrastare il neopaganesimo e l'ateismo propagandati dal nazismo e dal comunismo sovietico[61]:» «...sono profondamente convinto e persuaso che il pensiero e la civiltà moderna sono cristiani, prosecuzione dell'impulso dato da Gesù e da Paolo. Su di ciò ho scritto una breve nota, di carattere storico, che pubblicherò appena ne avrò lo spazio disponibile. Del resto non sente Ella che in questa terribile guerra mondiale ciò che è in contrasto è una concezione ancora cristiana della vita con un'altra che potrebbe risalire all'età precristiana, e anzi pre-ellenica e pre-orientale, e riattaccare quella anteriore alla civiltà, la barbarica violenza dell'orda?[62]» Croce, in sintesi, vede nel cristianesimo il fondamento storico della civiltà occidentale ma non ripudia l'immanentismo radicale del suo pensiero che vede nella religione un momento della realizzazione storica dello spirito che si avvia, superandolo, ad una più alta sintesi.[63] All'Assemblea Costituente lotterà contro l'inserimento, voluto dalla DC, e dal comunista Togliatti[64], dei Patti Lateranensi nel secondo comma dell'articolo 7 della Costituzione della Repubblica Italiana, giudicandolo come "sfacciata prepotenza pretesca".[54] In vista delle elezioni politiche del 1948, tuttavia, si accordò con il segretario della Democrazia Cristiana, Alcide De Gasperi, per dare vita a un manifesto comune, Europa, cultura e libertà, contro i totalitarismi passati e presenti. A seguito della vittoria della DC, replicò severamente ai laici benpensanti schierati col Fronte Popolare che sbeffeggiavano il ceto umile e contadino di cui era composto in prevalenza l'elettorato cattolico: «Beneditele quelle beghine di cui ridete, perché senza il loro voto e il loro impegno oggi non saremmo liberi.[65]» Nel 1950, lasciando disposizioni per la sua morte (che avverrà tre anni dopo) scriverà invece che la sensibilità religiosa della moglie cattolica le consentirà di evitare che un sacerdote tenti di "redimerlo" all'ultimo minuto, perché è "cosa orrenda profittare delle infermità per strappare a un uomo una parola che sano egli non avrebbe mai detta".[54] Vita privata Dal 1893 al 1913 Croce fu legato sentimentalmente e convisse con Angelina Zampanelli, fino alla morte di lei[66][67][68]. Nel 1911 la coppia prese alloggio a Palazzo Filomarino, a Napoli. Il 25 settembre 1913 Angelina, sofferente di cuore, morì poco più che quarantenne a Raiano, dove insieme a Croce ella soggiornava spesso d'estate, presso il Palazzo Rossi-Sagaria, ospiti della cugina del filosofo, Maria Teresa Petroni, moglie di Valentino Rossi.[69] Nel 1914 Croce sposò a Torino, con rito religioso e poi civile, Adele Rossi, da cui ebbe cinque figli: Giulio (l'unico maschio, morto piccolo nel 1917) e le quattro figlie Elena, Alda, Lidia (moglie dello scrittore e dissidente anticomunista polacco Gustaw Herling-Grudziński) e Silvia.[68][70][71][72] L'opera e il pensiero «Il filosofo, oggi, deve non già fare il puro filosofo, ma esercitare un qualche mestiere, e in primo luogo, il mestiere dell'uomo.» (Benedetto Croce, Lettere a Vittorio Enzo Alfieri (1925-1952), Sicilia Nuova Editrice, Milazzo 1976, pp. X-XI.) L'opera di Croce può essere suddivisa in tre periodi: quello degli studi storici, letterari e il dialogo con il marxismo, quello della maturità e delle opere filosofiche sistematiche e quello dell'approfondimento teorico e revisione della filosofia dello spirito in chiave storicista.[73] Come idealista, ritiene che la realtà sia quella che viene concepita dal soggetto, in quanto riflesso della sua idea e interiorità, ed è convinto che la razionalità e la libertà emergano nella storia, pur tra immani difficoltà. La filosofia idealista riconduce totalmente l'essere al pensiero, negando esistenza autonoma alla realtà fenomenica, ritenuta il riflesso di un'attività interna al soggetto; l'idealismo, come in Hegel, implica una concezione etica fortemente rigorosa, come ad esempio nel pensiero di Fichte che è incentrato sul dovere morale dell'uomo di ricondurre il mondo al principio ideale da cui esso ha origine; in Croce questo ideale è la libertà umana.[74][75] Definito da Gramsci "papa laico della cultura italiana"[76], la sua filosofia ha goduto di enorme credito nella cultura italiana del XX secolo, perlomeno fino agli anni settanta e ottanta, in cui si sono levate molte critiche verso il suo approccio, ritenuto superato.[7] Croce fu un intellettuale rispettato anche al di fuori dell'Italia: la rivista Time gli dedicò la copertina negli anni '30[7], e negli anni 2000, contestualmente alla rivalutazione del pensiero crociano, si è registrato l'interesse della collana editoriale dell'Università di Stanford, mentre la rivista statunitense di politica internazionale Foreign Affairs lo inserì nel 2012 tra i pensatori più attuali tra quelli del '900, accanto a intellettuali come Isaiah Berlin, Francis Fukuyama e Lev Trotsky.[7] Hegel e la dialettica Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Dialettica crociana e La storia come pensiero e come azione. Parallelamente allo studio del marxismo, Croce approfondisce anche il pensiero di Hegel; secondo entrambi la realtà si dà come spirito che continuamente si determina e, in un certo senso, si produce. Lo spirito è quindi la forza animatrice della realtà, che si auto-organizza dinamicamente divenendo storia secondo un processo razionale. Da Hegel egli recupera soprattutto il carattere razionalistico e dialettico in sede gnoseologica: la conoscenza si produrrebbe allora attraverso processi di mediazione dal particolare all'universale, dal concreto all'astratto, per cui Croce afferma che la conoscenza è data dal giudizio storico, nel quale universale e particolare si fondono recuperando la sintesi a priori di Kant e lo storicismo di Giambattista Vico, suo altro filosofo di riferimento.[73] Da destra, Giovanni Laterza, Stefano Jacini, Croce e Luigi De Secly. Il divenire e la logica della dialettica, in Hegel e in Marx, è esso stesso verità in movimento; anche per Croce la verità è dialettica, ma occorre esprimere un giudizio storico ed esistono delle regole che arginano la pretesa giustificativa di ogni fenomeno: in Croce lo Spirito - in quanto intelletto umano - si realizza nella storia ma nel rispetto della libertà. Per questo ogni fatto è quindi calato nella realtà storica, ma questo non può giustificare, con la scusa del divenire e del progresso, aspetti deplorevoli come, ad esempio, il totalitarismo fascista o comunista, il primo come necessario (concezione di Giovanni Gentile e della sua idea di realtà come atto puro di pensare e agire) e il secondo come fase storica obbligata (seguendo il concetto marxiano della dittatura del proletariato, di cui il filosofo tedesco parla nella sua teoria "razionalista" del materialismo storico). Quindi il materialismo dialettico di Engels e quello storico di Marx sono da ritenersi errati. In questo, il suo storicismo si differenzia dal pensiero di un altro filosofo liberale, Karl Popper, secondo cui dialettica e storicismo finiscono invece per generare quasi sempre totalitarismo (concezione assai diffusa nel pensiero del liberalismo novecentesco).[77] Al contrario di Popper e Hannah Arendt, per Croce la radice totalitaria è proprio nell'antistoricismo, cioè nel rifiuto dello storicismo stesso.[78] Verso gli anni '40, il neoidealismo entrò in crisi, sostituito da nuove filosofie come l'esistenzialismo e la fenomenologia; sempre in nome del libertà e dell'umanesimo, Croce critica l'esistenzialista Martin Heidegger, divenuto poi anti-umanistico e colpevole di accondiscendenza verso il nazismo, definendolo anche "un Gentile più dotto e più acuto, ma sostanzialmente della stessa pasta morale"[79]; esprime così nel 1939 un tagliente giudizio sul filosofo di Essere e tempo: «Scrittore di generiche sottigliezze, arieggiante a un Proust cattedratico, egli che, nei suoi libri non ha dato mai segno di prendere alcun interesse o di avere alcuna conoscenza della storia, dell'etica, della politica, della poesia, dell'arte, della concreta vita spirituale nelle sue varie forme - quale decadenza a fronte dei filosofi, veri filosofi tedeschi di un tempo, dei Kant, degli Schelling, degli Hegel! -, oggi si sprofonda di colpo nel gorgo del più falso storicismo, in quello, che la storia nega, per il quale il moto della storia viene rozzamente e materialisticamente concepito come asserzione di etnicismi e di razzismi, come celebrazione delle gesta di lupi e volpi, leoni e sciacalli, assente l'unico e vero attore, l'umanità. [...] E così si appresta o si offre a rendere servigi filosofico-politici: che è certamente un modo di prostituire la filosofia.» (Conversazioni Critiche, Serie Quinta, Bari, Laterza, 1939, p. 362) L'asserzione di Hegel che "la storia sia storia di libertà" viene da Croce inquadrata nella sua concezione dialettica della libertà vista nel suo iniziale nascere, nel successivo crescere e infine nel raggiungimento di uno stadio finale e definitivo di maturità.[74] Croce fa proprio questo detto hegeliano chiarendo però che non si vuole «assegnare alla storia il tema del formarsi di una libertà che prima non era e che un giorno sarà, ma per affermare la libertà come l'eterna formatrice della storia, soggetto stesso di ogni storia. Come tale essa è per un verso, il principio esplicativo del corso storico e, per l'altro, l'ideale morale dell'umanità». I popoli e gli individui anelano sempre alla libertà, e come dice Hegel «ciò che è razionale è reale» (cioè la ragione concepisce quello che può diventare reale) e «ciò che è reale è razionale» (cioè esiste un'intrinseca razionalità, anche minima, in ogni fenomeno storico, anche se non tutto il reale è ovviamente razionale).[74][80] Croce negli ultimi anni di vita (circa 1950) Alcuni storici, senza ben rendersi conto di quello che scrivono, sostengono che ormai la libertà ha abbandonato la scena della storia. Ma affermare che la libertà è morta vorrebbe dire che è morta la vita. Non esiste nella storia un ideale che possa sostituire quello della libertà «che è l'unica che faccia battere il cuore dell'uomo, nella sua qualità di uomo». Ciò significa che la libertà non è una fase di presa di coscienza che conduce allo Stato etico o al socialismo, venendo superata, ma è essa stessa la verità nel divenire, non una fase.[74] Egli critica Hegel, poiché secondo lui il filosofo ha concepito la dialettica in modo riduttivo, ovvero semplicemente come dialettica degli opposti, mentre secondo Croce sussiste anche una logica dei distinti: non ogni negazione è infatti opposizione, ma può essere semplice distinzione. Ciò significa che certi atti ed eventi devono essere sempre considerati appunto distinti rispetto ad altri ordini di atti ed eventi, e non ad essi opposti. Elabora, quindi, un vero e proprio sistema, da lui denominato la filosofia dello spirito. Inoltre, la prima importante differenza con Hegel è che nel sistema crociano non vi rientra né la religione, né la natura. La religione sarebbe infatti un complesso miscuglio di elementi poetici, morali e filosofici che le impediscono di presentarsi come forma autonoma dello Spirito. La natura poi non è altro che l'oggetto "mascherato" dell'attività economica, è il frutto della considerazione economica diretta al mondo.[73] Qui la realtà in quanto attività (ovvero produzione dello spirito o della storia) è articolata in quattro forme fondamentali, suddivise per modo (teoretico o pratico) e grado (particolare o universale): estetica (teoretica - particolare), logica (teoretica-universale), economia (pratica - particolare), etica (pratica - universale). La relazione tra queste quattro forme opera la suddetta logica dei distinti, mentre all'interno di ognuna di esse si ha la dialettica degli opposti.[73] All'interno dell'estetica infatti si ha opposizione dialettica tra bello e brutto, all'interno della logica, l'opposizione è tra vero e falso; nella economia tra utile e inutile e infine nell'etica tra bene e male. Estetica Croce scrisse anche importanti opere di critica letteraria (saggi su Goethe (1917), Ariosto, Shakespeare e Corneille (1920), "La letteratura della nuova Italia" e "La poesia di Dante"). Egli si mosse nell'ambito della sua teoria estetica che mirava alla scoperta delle motivazioni profonde dell'ispirazione artistica. Quest'ultima era ritenuta tanto più valida quanto più coerente con le categorie di bello-brutto.[73] Georg Wilhelm Friedrich Hegel ritratto da Julius Ludwig Sebbers e Lazarus Sichling La prima parte della teoria estetica la ritroviamo in opere come Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1902), Breviario di estetica (1913) e Aesthetica in nuce (1928)[81] In seguito modificò questa iniziale teoria stabilendo per la storia un nesso con la filosofia. L'estetica, dal significato originario del termine aisthesis (sensazione), si configura in primo luogo come attività teoretica relativa al sensibile, si riferisce alle rappresentazioni e alle intuizioni che noi abbiamo della realtà. Come conoscenza del particolare l'intuizione estetica è la prima forma della vita dello Spirito. Prima logicamente e non cronologicamente poiché tutte le forme sono presenti insieme nello spirito. L'arte, come aspetto dell'Estetica, è una forma della vita spirituale che consiste nella conoscenza, intuizione del particolare che[73]: come forma dello spirito, come creatività non è sensazione, conoscenza sensibile che è un aspetto passivo dello spirito rispetto ad una materia oscura e ad esso estranea; come conoscenza (prima forma dell'attività teoretica) non ha a che fare con la vita pratica. Bisogna quindi respingere tutte le estetiche che abbiano fini edonistici, sentimentali e moralistici; quale espressione di un valore autonomo dello spirito, l'arte non può né deve essere giudicata secondo criteri di verità, moralità o godimento; come intuizione pura va distinta dal concetto che è conoscenza dell'universale: compito proprio della filosofia.[82] L'arte può essere definita quindi come intuizione-espressione, due termini inscindibili per cui non è possibile intuire senza esprimere né è possibile espressione senza intuizione. Ciò che l'artista intuisce è la stessa immagine (pittorica, letteraria, musicale ecc.) che egli per ispirazione crea da una considerazione del reale, nel senso che l'opera artistica è l'unità indifferenziata della percezione del reale e della semplice immagine del possibile.[73] La distinzione tra arte e non arte risiede nel grado di intensità dell'intuizione-espressione. Tutti noi intuiamo ed esprimiamo: ma l'artista è tale perché ha un'intuizione più forte, ricca e profonda a cui sa far corrispondere un'espressione adeguata. Coloro che sostengono di essere artisti potenziali poiché hanno delle intense intuizioni ma che non sono capaci di tradurre in espressioni, non si rendono conto che in realtà non hanno alcuna intuizione poiché se la possedessero veramente essa si tradurrebbe in espressione.[73] L'arte non è aggiunta di una forma ad un contenuto ma espressione, che non vuol dire comunicare, estrinsecare, ma è un fatto spirituale, interiore come l'atto inscindibile da questa che è l'intuizione. Nell'estetica dobbiamo far rientrare anche quella forma dell'espressione che è il linguaggio che nella sua natura spirituale fa tutt'uno con la poesia. L'estetica quindi come una «linguistica in generale». Dall'estetica deriva la critica letteraria crociana, espressa in molti saggi.[73] Logica Della logica, Croce tratta essenzialmente nella Logica come scienza del concetto puro[83]); essa corrisponde al momento in cui l'attività teoretica non è più affidata alla sola intuizione (all'ambito estetico), ma partecipa dell'elemento razionale, che attinge dalla sfera dell'universale. Il punto di arrivo di questa attività è l'elaborazione del concetto puro, universale e concreto che esprime la verità universale di una determinazione. La logica crociana è anche storica, nella misura in cui essa deve analizzare la genesi e lo sviluppo (storico) degli oggetti di cui si occupa.[73] Il termine logica in Benedetto Croce assume quindi un significato più vicino al termine dialettica ovvero ricerca storiografica. In genere, la Logica di Croce è lontana da criteri scientifico-razionali, e si ispira ai metodi dell'immaginazione artistica e dell'eleganza estetico-letteraria, nei quali il filosofo raggiunge risultati eccellenti. Di carattere decisamente diverso è invece la filosofia delle scienze fisiche, matematiche e naturali delle quali Croce non si occupa affatto nei suoi studi. Del resto, come segnala Ludovico Geymonat nel suo Corso di filosofia - immagini dell'uomo, «la vera indubbia grandezza di Croce va cercata assai più nella sua opera di storiografo, di critico letterario, ecc., che non nella sua opera di filosofo».[73] Giovanni Gentile ai tempi del direttorato alla Scuola normale di Pisa (1928-36 e 1937-43). In ogni caso la logica e la filosofia della scienza è stata sviluppata in Italia da altre correnti di pensiero contemporaneo a quello crociano, con studiosi fra quali Giuseppe Peano (1858-1932) e lo stesso Geymonat (1908-1991). Un orientamento parzialmente diverso ebbe invece Giovanni Gentile che, pur criticando gli eccessi del positivismo, intrattenne anche rapporti con matematici e fisici italiani e cercò di instaurare un rapporto costruttivo con la cultura scientifica. Invece Croce ebbe con la logica e la scienza un rapporto difficile. La sua posizione portò in Italia nella prima metà del Novecento ad uno scontro dialettico fra due culture contrapposte: quella artistico-letteraria e quella tecnico-scientifica.[73] Il rapporto conflittuale con le scienze matematiche e sperimentali Un caso emblematico del giudizio di Benedetto Croce nei confronti della matematica e delle scienze sperimentali è la sua nota diatriba con il matematico e filosofo della scienza Federigo Enriques, avvenuta il 6 aprile 1911 in seno al congresso della Società Filosofica Italiana, fondata e presieduta dallo stesso Enriques. Questi sosteneva che una filosofia degna di una nazione progredita non potesse ignorare gli apporti delle più recenti scoperte scientifiche. La visione di Enriques mal si confaceva a quella idealistica di Croce e Gentile, come pure a gran parte degli esponenti della filosofia italiana di allora, per lo più formata da idealisti crociani. Croce, in particolare, rispose ad Enriques[84], liquidando in modo deciso - "antifilosofico" secondo Enriques - la proposta di considerare la scienza come un valido apporto alle problematiche filosofiche e sostenendo, anzi, che matematica e scienza non sono vere forme di conoscenza, adatte solo agli «ingegni minuti» degli scienziati e dei tecnici, contrapponendovi le «menti universali», vale a dire quelle dei filosofi idealisti, come Croce medesimo. I concetti scientifici non sono veri e propri concetti puri ma degli pseudoconcetti, falsi concetti, degli strumenti pratici di costituzione fittizia. «La realtà è storia e solo storicamente la si conosce, e le scienze la misurano bensì e la classificano come è pur necessario, ma non propriamente la conoscono né loro ufficio è di conoscerla nell'intrinseco».[85] Sul tema Benedetto Croce sostenne, tra l'altro, che: «Gli uomini di scienza [...] sono l'incarnazione della barbarie mentale, proveniente dalla sostituzione degli schemi ai concetti, dei mucchietti di notizie all'organismo filosofico-storico.» (Benedetto Croce da Il risveglio filosofico e la cultura italiana, n. 6, 1908, pp. 161-168) A proposito dello sviluppo novecentesco della logica matematica e dell'introduzione dei formalismi simbolici, ad opera di matematici e filosofi quali Gottlob Frege, Giuseppe Peano, Bertrand Russell, Benedetto Croce dichiarerà: «I nuovi congegni [della logica matematica] sono stati offerti sul mercato: e tutti, sempre, li hanno stimati troppo costosi e complicati, cosicché non sono finora entrati né punto né poco nell'uso. Vi entreranno nell'avvenire? La cosa non sembra probabile e, ad ogni modo, è fuori della competenza della filosofia e appartiene a quella della pratica riuscita: da raccomandarsi, se mai, ai commessi viaggiatori che persuadano dell'utilità della nuova merce e le acquistino clienti e mercati. Se molti o alcuni adotteranno i nuovi congegni logici, questi avranno provato la loro grande o piccola utilità. Ma la loro nullità filosofica rimane, sin da ora, pienamente provata.» (Benedetto Croce da Logica come scienza del concetto puro,(1909)) Anni dopo, ancora scriveva che: «Le scienze naturali e le discipline matematiche, di buona grazia, hanno ceduto alla filosofia il privilegio della verità, ed esse rassegnatamente, o addirittura sorridendo, confessano che i loro concetti sono concetti di comodo e di pratica utilità, che non hanno niente da vedere con la meditazione del vero.» (Benedetto Croce da Indagini su Hegel e e schiarimenti filosofici (1952)) e ribadiva come: «Le finzioni delle scienze naturali e matematiche postulano di necessità l'idea di un'idea che non sia finta. La logica, come scienza del conoscere, non può essere, nel suo oggetto proprio, scienza di finzioni e di nomi, ma scienza della scienza vera e perciò del concetto filosofico e quindi filosofia della filosofia.» (Benedetto Croce da Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici (1952)) Tuttavia ebbe altresì un cordiale e rispettoso scambio epistolare con Albert Einstein.[86] Secondo diversi storici e filosofi (es. Giulio Giorello nel 1992[87], Enrico Bellone[88], Armando Massarenti[89]), l'influenza antiscientifica di Croce e di Gentile[90] sarebbe stata fortemente deleteria sia sul piano dell'istituzione scolastica per gli orientamenti pedagogici della scuola italiana, che si sarebbe indirizzata prevalentemente agli studi umanistici considerando quelli scientifici di secondo piano, sia per la formazione di una classe politica e dirigente che attribuisse importanza alla scienza e alla tecnica e portando, per conseguenza, ad un ritardo dello sviluppo tecnologico e scientifico nazionale. «[La scuola] sarà caratterizzata dal primato dell'umanesimo letterario e in particolare dell'umanesimo classico. Tutte le istituzioni culturali saranno improntate al primato delle lettere, della filosofia e della storia.[91]» Giorello nel quarantennale della morte di Croce ha scritto che "predicò la religione della libertà e per questo gli siamo riconoscenti. Ma la sua condanna della scienza e la sua estetica hanno causato danni gravissimi alla nostra cultura. Che ora esige riparazione".[92] Lo stesso Giorello però ha in parte ritrattato l'affermazione nel 2012, negando che sia da attribuire a Croce il mancato sviluppo scientifico italiano, adducendo che quelle che lui considerava una "colpa" sarebbero da accreditare maggiormente alla Chiesa, agli scienziati stessi e alla classe politica, più che all'idealismo, che trascura le scienze ma nemmeno le ostacola, definendo la filosofia di Croce «interessante sotto altri profili, ma poco interessante, quando si parla di scienza».[93] Il rapporto con le scienze umane e sociali Croce riteneva le scienze umane e sociali prive di qualunque validità e del tutto inutili per lo studio dei fenomeni umani. Lui stesso dichiarò più volte di non riuscire a capire perché si dovesse sprecare del tempo a studiare «i cretini, i bambini e i selvaggi, quando esistono pensatori come Kant».[94] Filosofia della pratica «La legge morale [...] è la suprema forza della vita e la realtà della Realtà.» (Filosofia della pratica. Etica ed economica [1908], Laterza, Bari 1963, II, 1, p. 219) Economia ed etica vengono trattate in Filosofia della pratica. Economica ed etica del 1909. Croce dà molto rilievo alla volizione individuale che è poi l'economia, avendo egli un forte senso della realtà e delle pulsioni che regolano la vita umana. L'utile, che è razionale, non sempre è identico a quello degli altri: nascono allora degli utili sociali che organizzano la vita degli individui. Il diritto, nascendo in questo modo, è in un certo qual senso amorale, poiché i suoi obiettivi non coincidono con quelli della morale vera e propria. Egualmente autonoma è la sfera politica, che è intesa come luogo di incontro-scontro tra interessi differenti, ovvero essenzialmente conflitto, quello stesso conflitto che caratterizza il vivere in generale.[73] Croce critica anche l'idea di Stato etico elaborata da Hegel ed estremizzata da Gentile: lo Stato non ha nessun valore filosofico e morale, è semplicemente l'aggregazione di individui in cui si organizzano relazioni giuridiche e politiche. L'etica è poi concepita come l'espressione della volizione universale, propria dello spirito; non vi è un'etica naturale o un'etica formale, e dunque non vi sono contenuti eterni propri dell'etica, ma semplicemente essa è l'attuazione dello spirito, che manifesta in modo razionale atti e comportamenti particolari. Questo avviene sempre in quell'orizzonte di continuo miglioramento umano.[73] Teoria e storia della storiografia «La storia non è giustiziera, ma giustificatrice» (Benedetto Croce, Teoria e storia della storiografia) La storia e lo spirito: lo storicismo assoluto Giambattista Vico Come si evince anche da Teoria e storia della storiografia (1917) la filosofia di Croce, ispirata soprattutto a Giambattista Vico, è fortemente storicista. Per ciò, se volessimo riassumere con una formula la filosofia di Croce, questa sarebbe storicismo assoluto, ossia la convinzione che tutto è storia, affermando che tutta la realtà è spirito e che questo si dispiega nella sua interezza all'interno della storia. La storia non è dunque una sequela capricciosa di eventi, ma l'attuazione della Ragione. La conoscenza storica ci illumina a proposito delle genesi dei fatti, è una comprensione dei fatti che li giustifica con il suo dispiegarsi.[73] Si delinea in quest'ottica il compito dello storico: egli, partendo dalle fonti storiche, deve superare ogni forma di emotività nei confronti dell'oggetto studiato e presentarlo in forma di conoscenza. In questo modo la storia perde la sua passionalità e diviene visione logica della realtà. Quanto appena affermato si può evincere dalla celebre frase «la storia non è giustiziera, ma giustificatrice». Con questo afferma che lo storico non giudica e non fa riferimento al bene o al male. Quest'ultimo delinea, inoltre, come la storia abbia anche un preciso orizzonte gnoseologico, poiché in primo luogo è conoscenza, e conoscenza contemporanea, ovvero la storia non è passata, ma viva in quanto il suo studio è motivato da interessi del presente.[73] «Il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il carattere di "storia contemporanea", perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni.[95]» Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Giudizio storico. La storiografia è in seconda istanza utile per comprendere l'intima razionalità del processo dello spirito, e in terzo luogo essa è conoscenza non astratta, ma basata su fatti ed esperienze ben precise. Anche se subisce l'influsso dello storicismo di Voltaire, Croce critica gli illuministi e in generale tutti coloro che pretendono di individuare degli assoluti che regolino la storia o la trascendano: invece la realtà è storia nella sua totalità, e la storia è la vita stessa che si svolge autonomamente, secondo i propri ritmi e le proprie ragioni. La storia è un cammino progressivo per cui «Nulla c'è al di fuori dello spirito che diviene e progredisce incessantemente: nulla c'è al di fuori della storia che è per l'appunto questo progresso e questo divenire.»[96] Ma il positivo destinato a superare storicamente la negatività dei periodi bui della storia non è una certezza su cui adagiarsi: questa consapevolezza del progresso storico deve essere confermata da un impegno costante degli uomini in azioni i cui risultati non sono mai scontati né prevedibili.[73] La storia diviene, allora, anche storia di libertà, dei modi in cui l'uomo promuove e realizza al meglio la propria esistenza. La libertà si traduce, sul piano politico, in liberalismo: una sorta di religione della libertà o di metodo interpretativo della storia e di orientamento dell'azione, che è imprescindibile nel processo del progresso storico-politico, come si evince dal volume del 1938 La storia come pensiero e come azione.[73] Per Croce la libertà può essere apprezzata solo difendendola costantemente in maniera dialettica, poiché la storia è necessariamente contrasto: «Chi desideri in breve persuadersi che la libertà non può vivere diversamente da come è vissuta e vivrà sempre nella storia, di vita pericolosa e combattente, pensi per un istante a un mondo di libertà senza contrasti, senza minacce e senza oppressioni di nessuna sorta; e subito se ne ritrarrà inorridito come dall'immagine, peggio che della morte, della noia infinita.» (La storia come pensiero e come azione, pp. 50-51) Ciò però non vuol dire che Croce giustifichi la violenza come necessaria; nello stesso saggio ammonisce infatti che «la violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruggerla». La concezione storica crociana ebbe grande seguito in Italia per molto tempo ed ebbe notevole influenza anche all'estero, ad esempio per quanto riguarda la formazione del maggior storico americano del nazismo, George Mosse.[97] Critica letteraria Croce interviene al congresso liberale del 1946 Il Croce critico letterario, specie quello di Poesia e non poesia, esercitò molta influenza successiva, quasi una "dittatura intellettuale"[98] sulla cultura italiana, ma ricevette anche critiche: ad esempio furono ritenute scorrette, "pseudoconcetti" (riprendendo una parola usata da Croce)[4], poiché non presentate come opinione personale ma come veri canoni estetici, varie tesi, come la sua opposizione alle novità letterarie europee, esemplificate dalle stroncature verso gran parte dell'opera di Gabriele D'Annunzio, Giovanni Pascoli (di cui apprezzò solo alcune parti di Myricae e dei Canti di Castelvecchio criticando i saggi e le poesie civili), del crepuscolarismo e di Giacomo Leopardi: di quest'ultimo salvò, nei Canti, gli idilli e i canti pisano-recanatesi, ma criticò le poesie "dottrinali" e polemiche (in particolare i Paralipomeni della Batracomiomachia e la Palinodia al marchese Gino Capponi) e le opere filosofiche (apprezzò solo una minima parte delle Operette morali), affermando che quella leopardiana non era vera filosofia, ma solo uno sfogo poetico in prosa, inferiore comunque alle liriche, dovuto esclusivamente alle condizioni fisiche e psicologiche del poeta recanatese.[99][100] Croce non considera Leopardi un vero filosofo, come Schopenhauer, a cui invece riconosce dignità filosofica ma che non apprezza come individuo poiché ritenuto cinico e indifferente, ma solo un pensatore, il cui pensiero è essenzialmente al servizio della sua poesia. Sulla scorta di Francesco de Sanctis, esprime simpatia umana al poeta recanatese per lo spirito civile, l'impegno e la lotta eroica contro le sofferenze fisiche, come espresso nella poesia La Ginestra.[101] Egli fu grande ammiratore soprattutto del Carducci, in quanto classicista, razionale e sentimentale al tempo stesso, ma senza scadere nel sentimentalismo irrazionale, e, a proposito del decadentismo e degli autori di questo movimento, scrisse, in Del carattere della più recente letteratura italiana: «Nel passare da Giosuè Carducci a questi tre[102], sembra, a volte, come di passare da un uomo sano a tre malati di nervi».[103] La polemica contro il decadentismo è figlia di quella contro il positivismo: Croce sostiene che il misticismo decadente, che egli disapprova come sintomo di vuoto spirituale e filosofico (Croce è razionalista e idealista al tempo stesso), è figlio dello scientismo positivistico e delle pseudoscienze da esso generate (come lo spiritismo): «Di qua il positivismo, di fronte il misticismo; perché questo è figlio di quello: un positivista dopo la gelatina dei gabinetti, non credo abbia altro di più caro che l'inconoscibile, cioè la gelatina dove si coltiva il microbio del misticismo».[104] Onorificenze Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine della Corona d'Italia — 24 marzo 1921 Commendatore dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro — 5 giugno 1921 Cavaliere dell'Ordine Civile di Savoia - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine Civile di Savoia — 4 gennaio 1924 Opere Le opere di Benedetto Croce spaziano dalla filosofia, alla storiografia, all'aneddotica, alla critica letteraria e all'erudizione storica. Qui si indicano le più importanti. Per un elenco completo si veda L'opera di Benedetto Croce, bibliografia a cura di S. Borsari, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, 1964. I principi dell'estetica crociana, oltre ad essere formulati in opere organiche, trovarono anche applicazione critica in prefazioni e curatele di opere altrui. Tale è, ad esempio, la prefazione all'opera di Tommaso Parodi, Poesia e letteratura: conquista di anime e studi di critica, pubblicata postuma nel 1916 da Laterza, a cura del Croce. Il filosofo napoletano collaborò inoltre con numerosi articoli su vari argomenti pubblicati su molti giornali e riviste stranieri e italiani (Cfr. Maria Panetta, Settant'anni di militanza: Benedetto Croce, tra riviste e quotidiani) Ad esempio la sua collaborazione con il quotidiano Il Resto del Carlino durò per più di 40 anni, dal 1910 al 1951.[105] Filosofia dello spirito Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale Logica come scienza del concetto puro Filosofia della pratica. Economica ed Etica Teoria e storia della storiografia Saggi filosofici Problemi di estetica e contributi alla storia dell'estetica italiana La filosofia di Giambattista Vico Saggio sullo Hegel seguito da altri scritti di storia della filosofia Materialismo storico ed economia marxistica Nuovi saggi di estetica Etica e politica Ultimi saggi La poesia. Introduzione alla critica e storia della poesia e della letteratura La storia come pensiero e come azione Il carattere della filosofia moderna Discorsi di varia filosofia (2 voll.) Filosofia e storiografia Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici Perché non possiamo non dirci "cristiani" Scritti vari Primi saggi Cultura e vita morale L'Italia dal 1914 al 1918. Pagine sulla guerra Pagine sparse (3 voll.) Nuove pagine sparse (2 voll.) Terze pagine sparse (2 voll.) Scritti e discorsi politici (2 voll.) Carteggio Croce-Vossler (1899-1949) B. Croce - G. Papini, Carteggio 1902-1914 Il caso Gentile e la disonestà nella vita universitaria italiana (1909) Scritti di Storia letteraria e politica Saggi sulla letteratura italiana del Seicento La rivoluzione napoletana del 1799 La letteratura della nuova Italia (6 voll.) I teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza Conversazioni critiche Storie e leggende napoletane Manifesto degli intellettuali antifascisti Goethe Una famiglia di patrioti ed altri saggi storici e critici Ariosto, Shakespeare e Corneille Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono (2 voll.) La poesia di Dante Poesia e non poesia Storia del Regno di Napoli Uomini e cose della vecchia Italia Storia d'Italia dal 1871 al 1915 Storia dell'età barocca in Italia Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento Storia d'Europa nel secolo decimonono Poesia popolare e poesia d'arte Varietà di storia letteraria e civile Vite di avventure, di fede e di passione Poesia antica e moderna Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento La letteratura italiana del Settecento Letture di poeti e riflessioni sulla teoria e la critica della poesia Aneddoti di varia letteratura Isabella di Morra e Diego Sandoval de Castro Edizione nazionale La casa editrice Bibliopolis ha in corso di pubblicazione l'edizione nazionale delle opere di Benedetto Croce, promossa con Decreto del Presidente della Repubblica del 14 agosto 1981[106][107]. Note ^ Eugenio Montale, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977, p. 549, ISBN non esistente. ^ Enciclopedia italiana Treccani alla voce "neoidealismo" ^ Emanuele Severino, La filosofia dai Greci al nostro tempo. La filosofia contemporanea, vol. 3, 8ª ed., Milano, Rizzoli, 2013 [1996], p. 203, ISBN 978-88-17-00170-0. Giulio Giorello, Dimenticare Croce? ^ Benedetto Croce - Senato.it ^ Partito Liberale Italiano «nato nel 1924, sciolto durante il fascismo e ricostituito nel 1943». In Enciclopedia Treccani alla voce "Partito Liberale Italiano" Pagina jpg del Corriere del Mezzogiorno: Luigi Mosca, L'America innamorata di Croce. La prestigiosa rivista USA "Foreign Affairs" lo incorona tra i pensatori più attuali, 31-01-2013. ^ Einaudi infatti sosteneva che «il liberismo non è né punto né poco "un principio economico", non è qualcosa che si contrapponga al liberalismo etico; è una "soluzione concreta" che talvolta e, diciamo pure, abbastanza sovente, gli economisti danno al problema, ad essi affidato, di cercare con l’osservazione e il ragionamento quale sia la via più adatta, lo strumento più perfetto per raggiungere quel fine o quei fini, materiali o spirituali che il politico o il filosofo, od il politico guidato da una certa filosofia della vita ha graduato per ordine di importanza subordinandoli tutti al raggiungimento della massima elevazione umana.» (in G.Einaudi, Il buongoverno. Saggi di economia politica, 1897-1954, a cura di E. Rossi, 1° vol., 1954, 19733, p.202) ^ Il filosofo, rispettivamente nel 1919 e nel 1922, dedica ai paesi degli avi, sia paterni che materni, due monografie, intitolate Montenerodomo: storia di un comune e due famiglie e Pescasseroli, uscite per Laterza e in seguito collocate in appendice alla Storia del Regno di Napoli (Laterza, Bari 1925 e ss.). ^ È noto, a tal proposito, l'aneddoto narrato in un testo coevo, secondo il quale il padre del filosofo, prima di morire tra le macerie, avrebbe detto al figlio «offri centomila lire a chi ti salva». Cfr. C. Del Balzo, Cronaca del tremuoto di Casamicciola, Tip. De Blasio e C., Napoli 1883, pp. 14-15. Un'analisi di quella traumatica esperienza anche in relazione all'opera di Croce è in S. Cingari, Il giovane Croce. Una biografia etico-politica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000, pp. 31-40 ^ LIBRI: BENEDETTO CROCE E IL PROBLEMA DEL MALE NELL'INDAGINE DI CUCCI Archiviato il 24 novembre 2014 in Internet Archive. ^ Testimonianza di Croce sul terremoto ^ Benedetto Croce, Memorie della mia vita, Istituto italiano per gli studi storici, Napoli 1966. ^ "Il superstite è accolto allora nella casa romana del politico Silvio Spaventa, cugino del padre e fratello del filosofo Bertrando. Il lutto, lo spaesamento, l’adolescenza: non stupisce che questa miscela abbia precipitato il giovane in una crisi d’ipocondria; e l’ostentato contegno olimpico dell’adulto deriva forse da questo periodo oscuro. «Quegli anni», confessa l’autore del Contributo, furono «i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino». Nella Roma del trasformismo, Benedetto si chiude in biblioteca. Ma a scuoterlo è Antonio Labriola, che con le lezioni sull’etica di Herbart gli offre un appiglio cui aggrapparsi nel naufragio della fede. Croce ricorda di averne recitato più volte i capisaldi sotto le coperte, come una preghiera": v. A cento anni dal “Contributo” di Croce, di Matteo Marchesini, Sole 24 ore, 10 maggio 2015. ^ Benedetto Croce, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ^ Ministri della Pubblica Istruzione, su storia.camera.it. ^ Ultimo Governo Giolitti, su storia.camera.it. ^ A. Jannazzo, Croce e la corsa verso la guerra, in Idem, Croce e il prepartito degli intellettuali, Edizioni La Zisa, Palermo 1996, pp. 102-119. ^ Giorgio Levi della Vida, Fantômes retrouvés, Diogène 2003/4 (nº 204), p. 91. ^ Antonio Gnoli, Benedetto Croce e il suo fantasma, in la Repubblica, 9 giugno 1990. ^ Camera dei deputati - Portale storico ^ Giugno 1924; citato in G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Venezia, 1966 ^ Salvatore Guglielmino/Hermann Grosser, Il sistema letterario. Guida alla storia letteraria e all'analisi testuale: Novecento; cit. p. 347, Casa Editrice G. Principato S.p.A., 1989. ^ Salvatore Guglielmino/Hermann Grosser, op. cit. p. 350. ^ Sambugar, Salà, Letteratura italiana, Croce e il manifesto antifascista. ^ Primo Levi, Potassio, in Il sistema periodico, poi in Opere, Torino, Einaudi, 1987, vol. I, p. 475. ^ «La più efficace difesa della civiltà e della cultura [...] si è avuta in Italia, per opera di Benedetto Croce. Se da noi solo una frazione della classe colta ha capitolato di fronte al nemico [...] a differenza di quel che è avvenuto in Germania, moltissimo è dovuto al Croce.» (Guido De Ruggiero) Osserva Nicola Abbagnano nella sua Storia della filosofia: «Il regime fascista, certo per costituirsi un alibi di fronte agli ambienti internazionali della cultura, consentì tacitamente a Croce una certa libertà di critica politica; e Croce si avvalse di questa possibilità [...] per una difesa degli ideali di libertà... Negli anni del fascismo e della seconda guerra mondiale la figura di Croce ha assunto perciò, agli occhi degli italiani, il valore di un simbolo della loro aspirazione alla libertà, e ad un mondo in cui lo spirito prevalga sulla violenza. E tale si mantiene a distanza di anni». ^ Il terzo volume del carteggio tra Benedetto Croce e Giovanni Laterza (l'editore delle opere crociane) offre una grande quantità di esempi delle difficoltà di mantenersi in equilibrio “tra l'opposizione concreta e organizzata al fascismo, e l'adesione o la cinica indifferenza”. Esempi “quasi tutti orientati però verso una precisa direzione: quella dell'autocensura, a volte praticata, altre volte orgogliosamente respinta... Tra i molti casi che potrebbero essere citati a illustrazione di questo atteggiamento, è notevole quello sorto attorno alla dedica apposta da Paolo Treves, nel libro sulla filosofia di Tommaso Campanella, al padre Claudio, scrittore e parlamentare socialista, famigerato tra i fascisti soprattutto per il celebre duello ingaggiato nel 1915 con Mussolini. La dedica recitava: “A mio padre, che mi additò con l'esempio la dignità della vita”. Il 16 aprile 1930 Laterza scrive a Croce accostando, con diplomatica sottigliezza, la lettura di un volgare trafiletto anticrociano e antilaterziano sul “Lavoro fascista” alla questione della dedica, che egli propone al Treves di limitare “alle prime tre parole essenziali, non essendo opportuno motivarla allo stato attuale delle cose”. Alla lettera Croce risponde il giorno dopo, tranquillizzando Laterza sulla “purezza” del lavoro storico del Treves e sull'assenza in esso di riferimenti al presente, e aggiungendo, con maliziosa e retorica ingenuità: “ma veramente non capisco perché vi abbia fatto senso quella dedica affettuosa di un figlio al padre. O che la dignità della vita (il corsivo è ovviamente di Croce) è un fatto politico del giorno?”. Comunque sia, la dedica uscì poi nella versione “purgata”. Maurizio Tarantino, recensione a Benedetto Croce-Giovanni Laterza, Carteggio 1921-1930, a c. di Antonella Pompilio, Napoli, Roma-Bari, Istituto italiano per gli studi storici, Laterza, 2006, “L'indice”, aprile 2007 ^ L'episodio è narrato con dovizia di particolari in una lettera di Fausto Nicolini a Giovanni Gentile riportata da Gennaro Sasso in Per invigilare me stesso, Bologna, Il mulino, 1989, pp. 139-40 ^ Alessandro Barbera (a cura di), La biblioteca esoterica. Carteggi editoriali Evola-Croce-Laterza 1925-1959, Roma, Fondazione Julius Evola, 1997, p. 40. ^ Cesare Medail, Julius Evola: mi manda Don Benedetto, in Corriere della Sera, 11 gennaio 1996 (archiviato dall'url originale il 21 dicembre 2014). ^ Cfr. la prefazione del testo Lettere di Julius Evola a Benedetto Croce (1925-1933) pubblicato dalla Fondazione Evola nel 1995. ^ Regio Decreto Legge del 28/8/1931, n.1227, Disposizioni sull'istruzione superiore (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia dell'8/10/1931, n.233) ^ Flavio Fiorani, Francesca Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti Editore, 2000, p. 91 ^ La Repubblica, 16 aprile 2000 ^ Giuseppe Giarrizzo rivendicò con una punta di orgoglio l'essere annoverato tra i “nipotini” di Croce (se, nel corso di uno sgradevole scontro, sono stato per Ernesto De Martino un «basco verde di Palazzo Filomarino»)>>: Giarrizzo, Giuseppe, Di Benedetto Croce e del filosofare sine titulo, Archivio di storia della cultura: XXVI, 2013, Napoli: Liguori, 2013. ^ si veda: Antonio Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce ^ B. Croce, Epistolario, I, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, 1967, p. 187 ^ La vicenda è descritta e analizzata da Gennaro Sasso, La guerra d'Etiopia e la “patria”, in Per invigilare me stesso, Bologna, Il mulino, 1989, pp. 283-9 ^ Pierluigi Battista, Corriere della Sera, 17 dicembre 2008 ^ B. Croce, Taccuini di lavoro, V, 1944-1945, Napoli 1987, pp 28. ^ La tentazione antisemita di tre antifascisti liberali ^ Dante Lattes, Ferruccio Pardo, Benedetto Croce e l'inutile martirio d'Israele. L'ebraismo secondo B. Croce e secondo la filosofia crociana ^ Michele Sarfatti, Il ritorno alla vita: vicende e diritti degli ebrei in Italia dopo la seconda guerra mondiale, pag. 111 ^ Peter Tompkins, L'altra Resistenza. Servizi segreti, partigiani e guerra di liberazione nel racconto di un protagonista, Il Saggiatore, 2009, pag. 61: «Croce rimase fermo sulle sue posizioni: l'unica condizione alla quale i partiti antifascisti dell'opposizione avrebbero accettato di entrare nel governo di Badoglio era l'abdicazione di Vittorio Emanuele III. Era stato il re, disse Croce, ad aprire le porte al fascismo, favorendolo, appoggiandolo e servendolo per vent'anni». ^ Tompkins, op. cit. ^ Piero Operti, Lettera aperta a Benedetto Croce, Torino, Lattes, 1946 ^ Giuseppe Mazzini (1948), poi in Scritti e discorsi politici, II, Bari, Laterza, 1963, p. 451; sulle caratteristiche "affettive" del pronunciamento di Croce al referendum, vedi Fulvio Tessitore, Il percorso psicologico dalla monarchia alla repubblica attraverso i Taccuini di lavoro di Benedetto Croce, in Benedetto Croce e la nascita della Repubblica. Atti del convegno tenutosi presso il Senato della Repubblica il 20 novembre 2002, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, pp. 57-66 ^ "non sono veri liberali...coloro che si fregiano, come ora taluni hanno preso a fare, del nome di monarchici, perché il liberalismo non ha altro fine che quello di garantire la libertà" e se "la forma Repubblicana gli offre questa...garanzia quando non gliene offre sicura la monarchia, sarà anche eventualmente repubblicano" (Taccuini di lavoro, 18 dicembre 1943); "se il tentativo [la duplice abdicazione di Vittorio Emanuele III e di Umberto II] fallisse, noi sosterremo il partito della Repubblica, adoperandoci a farla sorgere temperata e non sfrenata, sennata e non dissennata" (Taccuini di lavoro, 25 ottobre 1945) ^ «Benedetto Croce, mai nominato, formalmente rifiutò prima ancora che la sua ventilata nomina potesse concretizzarsi.» (In Davide Galliani, Il Capo dello Stato e le leggi, Volume 1, Giuffrè Editore, 2011, p.366, nota 28 ^ Ente Morale, su UniSOB.na.it. URL consultato il 30 ottobre 2018. ^ Senato della Repubblica-Cinecittà Luce, Il filosofo della libertà: Napoli - il funerale di Benedetto Croce ^ B. Croce, Maria Curtopassi, Dialogo su Dio: carteggio 1941-1952, Archinto, 2007, p. 11. Il carteggio fra Croce e Maria Curtopassi è stato pubblicato presso la casa editrice Archinto da Giovanni Russo, autore anche della nota introduttiva (pp. 11-33). Maurizio Griffo, Il pensiero di Benedetto Croce tra religione e laicità. La citazione è tratta da: B. Croce, Taccuini di lavoro, vol. 6, Napoli 1987, p. 285 (3 luglio 1950)., su loccidentale.it. URL consultato il 27 febbraio 2014 (archiviato dall'url originale il 3 marzo 2014). ^ Benedetto Croce, Perché non possiamo non dirci anticoncordatari. Discorso contro i patti lateranensi, tratto da: Benedetto Croce, Discorsi parlamentari, Bardi editore, Roma 1983, pp. 167-175 ^ Atti parlamentari della Camera: 1929, vol. 1, pag. 201-209 ^ Guido Verucci, Idealisti all'Indice. Croce, Gentile e la condanna del Sant'Uffizio, Laterza, 2006 ^ Aldo Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi, Il Saggiatore, Milano, 1966, p. 131. ^ La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da B. Croce, 1, 1903 p.372 ^ Il ministro dell'Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai alluse ironicamente all'operetta crociana con un articolo intitolato Benedetto Croce rincristianito per dispetto (In Ruggiero Romano, Paese Italia: venti secoli di identità, Donzelli Editore, 1997 p.3) ^ B. Croce, Perché non possiamo non dirci "cristiani, in La Critica, 20 novembre 1942; poi in Discorsi di varia filosofia, Laterza, Bari 1945 ^ B. Croce, M. Curtopassi, Dialogo su Dio. Carteggio 1941-1952, op.cit. ibidem. ^ F.Focher, Rc. a F. Capanna, La religione in Benedetto Croce. Il momento della fede nella vita dello spirito e la filosofia come religione, Bari 1965, in Rivista di studi crociati, a. II, f. 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La storia sotto il concetto generale dell'arte, Bari 1919 ^ Per questo motivo Croce della Divina Commedia di Dante apprezza la prima cantica dell'Inferno in quanto risultato di una forte e sentita intuizione-espressione, mentre apprezza meno la cantica del Paradiso dove Dante mescolerebbe poesia e filosofia ^ Nella premessa datata «novembre 1908» Croce scrive di aver trattato l'argomento nello scritto intitolato Lineamenti di una logica come scienza del concetto puro pubblicato negli Atti dell’Accademia pontaniana nel 1905. In effetti però avverte Croce che il volume del 1909 «È una seconda edizione del mio pensiero, piuttosto che del mio libro» (B. Croce, Logica, 1996, p. 7 ^ Cent'anni di ricerca in Italia. Un passato da salvare, conferenza del prof. Carlo Bernardini, dal sito Centro Studi Enriques (PDF) ^ B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari 1938, p. 314. ^ Quel che si scrivevano Einstein e Croce ^ Dimenticare Croce? (Corriere della Sera, 21 novembre 1992) ^ La scienza negata. Il caso italiano, Codice Edizioni, p. 6 e seguenti) ^ 1911-2011: l'Italia della scienza negata (dal blog de Il Sole 24 Ore) ^ Ministro dell'Istruzione del governo Mussolini, promotore della riforma scolastica varata in Italia nel 1923 ^ Lucio Lombardo Radice in O. Pompeo Faracovi (a cura di), Federico Enriques, Approssimazione e verità, Belforte, Livorno 1982 ^ Giulio Giorello, Dimenticare Croce?, in Il Corriere della Sera, 21 novembre 1992 (archiviato dall'url originale il 26 novembre 2015). ^ «L'arretratezza dell'Italia in campo scientifico è il risultato di cattive scelte dei politici da una parte e di resistenze culturali e di incapacità degli scienziati stessi a comunicare dall'altra e che quindi risultano indipendenti dall'idealismo crociano. A livello culturale, casomai, esistono altre forze che potrebbero essere imputate del ritardo scientifico, si veda per esempio la nefasta influenza della Chiesa in merito ad alcuni aspetti delle ricerche bioetiche. La mia perplessità nei confronti di Croce non riguarda le pretese conseguenze della sua filosofia sullo sviluppo tecnico-scientifico del nostro Paese. Mi sembra che sia una polemica datata e ormai superata. Non credo che dalle posizioni antiscientifiche di Croce derivi un ritardo della società italiana nei confronti della scienza. [...] Quella di Croce è una filosofia interessante sotto altri profili, ma poco interessante, quando si parla di scienza e quindi è deficitaria sotto il profilo di una seria trattazione del problema della conoscenza.» (Giulio Giorello), in È vero che Croce odiava la scienza? - Dialogo tra Giulio Giorello e Corrado Ocone, 19 novembre 2012 ^ Vincenzo Matera, Angela Biscaldi, Mariangela Giusti, Elena Pezzotti, Elena Rosci, Scienze umane - Corso integrato (3º anno) (PDF)[collegamento interrotto], Marietti Scuola, p. 9. ^ Benedetto Croce, La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari 1938, p.5 ^ Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, vol. 5, p. 527 ^ Lorenzo Benadusi, Giorgio Caravale, George L. Mosse's Italy: Interpretation, Reception, and Intellectual Heritage, Palgrave Macmillan, 2014, p. 17 ^ Sambugar, Salà, Letteratura italiana ^ Paolo Ruffilli, Introduzione alle Operette morali di Leopardi, ed. Garzanti ^ Sebastiano Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell'Ottocento italiano ^ Croce, Schopenhauer e il nome del male ^ Si riferisce a d'Annunzio, Fogazzaro e Pascoli ^ Riportato in Mario Pazzaglia, Letteratura italiana III ^ Benedetto Croce, Del carattere della più recente letteratura italiana (1907), in Letteratura della nuova Italia, vol IV (1915), Bari, 1954, pagg. 203-204 ^ Dino Biondi, Il Resto del Carlino, 1885-1985, 1985 p. 106 ^ Edizioni Nazionali istituite anteriormente alla legge 420/1997, su Ministero per i Beni e le Attività Culturali, n.15. URL consultato il 1º agosto 2019. ^ D.M. n. 411/2018, concernente l'«Edizione Nazionale delle opere di Benedetto Croce. Integrazione della composizione della Commissione» (PDF), su Ministero per i Beni e le Attività Culturali, p. 2. 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Voci correlate Istituto italiano per gli studi storici Fondazione Biblioteca Benedetto Croce Liberalismo Manifesto degli intellettuali antifascisti Premio nazionale di cultura Benedetto Croce Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Benedetto Croce Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Benedetto Croce Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Benedetto CroceCollegamenti esterni Benedetto Croce, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Benedetto Croce, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Benedetto Croce, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata (EN) Benedetto Croce, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Benedetto Croce, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. 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Alessandra Tarquini, Benedetto Croce, il filosofo liberale (da Wikiradio di Radio3, in onda il 25/02/2014) Predecessore Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d'Italia Successore Flag of Italy (1861–1946).svg Andrea Torre 15 giugno 1920 – 4 luglio 1921 governo Giolitti V Orso Mario Corbino V · D · M Antifascismo (1919-1943) V · D · M Liberalismo V · D · M Presidenti del Partito Liberale Italiano V · D · M Dante Alighieri Controllo di autorità VIAF (EN) 61544292 · ISNI (EN) 0000 0001 2135 5490 · SBN IT\ICCU\CFIV\009433 · Europeana agent/base/145681 · LCCN (EN) n79049303 · GND (DE) 118522779 · BNF (FR) cb11898185z (data) · BNE (ES) XX889236 (data) · ULAN (EN) 500316333 · NLA (EN) 35032214 · BAV (EN) 495/73076 · NDL (EN, JA) 00436907 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79049303 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura Politica Portale Politica Categorie: Filosofi italiani del XX secoloStorici italiani del XX secoloPolitici italiani del XX secoloNati nel 1866Morti nel 1952Nati il 25 febbraioMorti il 20 novembreNati a PescasseroliMorti a NapoliAntifascisti italianiCritici letterari italiani del XX secoloScrittori italiani del XX secoloFilosofi della politicaIdealistiPolitici del Partito Liberale ItalianoMinistri della pubblica istruzione del Regno d'ItaliaPersonalità dell'agnosticismoFilosofi della storiaSenatori della XXIII legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della Consulta nazionaleDeputati dell'Assemblea Costituente (Italia)Senatori della I legislatura della Repubblica ItalianaAccademici dei LinceiAccademici dell'ArcadiaFondatori di riviste italianePersone legate all'Università degli Studi Suor Orsola BenincasaMembri dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed artiGoverno Giolitti VGoverno Badoglio IIGoverno Bonomi IIStudenti dell'Università degli Studi di Napoli Federico IICavalieri di gran croce dell'Ordine della Corona d'ItaliaCommendatori dell'Ordine dei Santi Maurizio e LazzaroCavalieri dell'Ordine civile di Savoia[altre]
Friday, November 6, 2020
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