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Wednesday, October 21, 2020

Grice e Giacomo

 Pensiero Modifica Per Di Giacomo, nell'affrontare, oggi, la questione dell'immagine, è necessario rifiutare sia l'interpretazione che vede l'immagine come specchio delle cose, sia quella che la considera esclusivamente come un sistema autoreferenziale di segni. Dalla sua lettura di Wittgenstein, conclude che la rappresentazione logica implica qualcosa che si mostra e nel manifestarsi resta ‘altro' dalla visibilità della rappresentazione stessa[2]. Così, nel presentare se stessa, l'immagine manifesta l'altro del visibile, del rappresentabile: quell'altro che si rivela nel visibile, nascondendosi a esso. Ed è proprio così che l'immagine si fa icona dell'invisibile.  Comunque, sotto l'influenza di Adorno, si afferma la tendenziale perdita di figuratività dell'immagine e il continuare a sussistere dell'immagine stessa[3]; l'immagine, infatti, è una cosa e insieme una non-cosa: è il paradosso di una “reale irrealtà”. Si riferisce al tentativo di scindere la natura ancipite dell'immagine negli elementi che la compongono: da una parte in un readymade, nel quale la dimensione rappresentativa si dissolve in una dimensione puramente presentativa, e dall'altra in una pura immagine mentale, dotata di un debole supporto materiale[4].  Oggi, le immagini dei nuovi media sono immagini di immagini e, in questo senso, non sono neppure propriamente immagini quanto piuttosto simulazioni, “simulacri”. Non a caso le immagini digitali, in quanto riproduzioni, possiedono uno scarso valore di immagine, giacché quello a cui tendono è assumere l'aspetto di qualcosa, perdendo così quella connessione di trasparenza e opacità che invece caratterizza le immagini autentiche. Di qui, appunto, la questione se i nuovi media siano o meno in grado di realizzare vere e proprie immagini.  In particolare, è nel tipo di arte che Adorno definisce “moderna” che troviamo il superamento di quella dimensione epifanica che è propria dell'icona, dove appunto il visibile è il luogo di manifestazione dell'invisibile in quanto Assoluto[5]. Quello che emerge, allora, è una concezione dell'immagine che, nella consapevolezza dell'impossibilità di ogni pretesa di esaurire il reale e insieme di manifestare l'Assoluto, può essere interrogata come testimonianza di quanto non si lascia tradurre in immagine: testimoniare, infatti, è raccontare ciò che è impossibile raccontare del tutto. In questo senso, la testimonianza fa tutt'uno non con la memoria in quanto conformità con l'accaduto, ma con quell'immemoriale che si riferisce a qualcosa che non possiamo né del tutto ricordare né del tutto dimenticare, ossia a qualcosa che non è né del tutto dicibile né del tutto indicibile[6]. Insomma, il testimone parla soltanto a partire da un'impossibilità di parlare. Che l'immagine valga allora come testimonianza significa che il tentativo di dire l'indicibile è un compito infinito, ed è per questo che la questione dell'immagine è parte integrante 

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