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Thursday, March 24, 2022

GRICE E GARRONI

La “facoltà dell’immagine” di Emilio Garroni e il suo contributo alla ricerca  contemporanea sulla percezione   , i “contenuti non concettuali”    e l’immaginazione  . 1   L’ultimo libro di  Emilio Garroni,  Immagine Linguaggio Figura  2 , è in parte  una ripresa e un ripensamento di alcuni temi trattati quasi trent’anni prima in  Ricognizione della semiotica  3 . Da una rielaborazione dei problemi abbozzati in questo  volume del 19 77, e grazie a un’assidua  interpretazione e rielaborazione del pensiero kantiano, Garroni arriva a precisare il rapporto tra le due dimensioni irriducibili della sensibilità e  dell’intelletto   in termini di «“facoltà dell’immagine”» 4 , da un lato, e  di linguaggio e concetti, dall’altro. Nonostante  Immagine Linguaggio Figura   nomini fin dal titolo il problema della relazione tra queste due dimensioni correlate ma kantianamente irriducibili  dell’esperienza umana , lo statuto del linguaggio non è qui affrontato nella sua problematicità complessiva  all’interno di tale esperie nza, ma  solo in relazione all’«immagine interna», che deve essere considerata «la premessa e  la garanzia della realtà del significato delle parole del linguaggio» 5 . Naturalmente,  1   Relazione tenuta al convegno di studi “Emilio Garroni: determinazioni e dissonanze”, Chieti,  29-30 marzo 2012.  2  E MILIO  G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura. Osservazioni e ipotesi  , Roma-Bari, Laterza 2005.  3  I D .,  Ricognizione della semiotica. Tre lezioni  , Roma, Officina 1977.  4  I D .,  Immagine Linguaggio Figura  , cit. p. ix, dove Garroni precisa: «Chiamerò complessivamente  ‘immagine interna’ sia il precedente di un’immagine (sensazione), sia l’immagine in quanto  attualmente prodotta (pe rcezione), sia l’immagine in quanto riprodotta o ricordata -rielaborata  (immaginazione), per distinguerle complessivamente dalla ‘figura’ esteriorizzata, per esempio, mediante un disegno. […] Perciò […] mi capiterà di chiamare la facoltà che ne è responsabi le  ‘facoltà dell’immagine’, tale da riunire in sé sensazione, percezione, immaginazione».   5  I D .,  Immagine Linguaggio Figura  , cit. p. 57non bisogna cadere nell’errore di considerare le «immagini interne» come «fig  ure», (  Bilder  ,  pictures   ) che avremmo nella mente. Garroni conosce bene la critica   wittgensteiniana a quest’idea tradizionale e insostenibile. Anzi, si potrebbe considerare la teoria dell’«immagine interna» come una lunga  e meditata replica a chi confonde la critica di Wittgenstein con un rifiuto di attribuire ogni valore cognitivo o semantico alla nostra attività percettivo-immaginativa, per attenersi al solo linguaggio. Per integrare quanto è implicito nel libro a questo riguardo, credo sia oppor tuno tenere presente l’articolo che Garroni ha  dedicato a   Minisemantica  di  Tullio De Mauro 6  nel 1998, caratteristicamente intitolato  L’indeterminatezza semantica,  una questione liminare  7 . Sia sul versante della percezione e dell’immagine, sia su quello  del linguaggio e dei concetti, troviamo infatti  in quest’articolo  quella correlazione di determinato e indeterminato che è forse il nodo teorico che Garroni ha pensato più a fondo e nelle sue molteplici articolazioni: il «paradosso fondante» della filosofia, ma a nche dell’esperienza comune  - di cui Garroni parla prima nella voce i  Paradossi  dell’esperienza   scritta per  l’Enciclopedia Einaudi  , e poi in  Senso e paradosso 8   - non è altro  che un’a ntinomia inevitabile, modellata  sull’antinomia della facoltà di giudiz io della terza  Critica   kantiana. La relazione paradossale tra determinatezza e indeterminatezza è  al centro sia della trattazione della facoltà dell’immagine, sia  della facoltà del linguaggio. Qui vorrei, per un verso, mostrare quale aspetto abbiano assunto  nell’ultimo libro certi problemi già impostati in  Ricognizione della semiotica     –   creando  6  T ULLIO  D E  M  AURO ,   Minisemantica  , Roma-Bari, Laterza 1982.  7  E MILIO  G  ARRONI ,  L’indeterminatezza semantica, una  questione liminare  , in A  A .V   V  .,   Ai limiti del linguaggio , a cura di F EDERICO   A LBANO  L EONI ,   D  ANIELE  G  AMBARARA ,   S  TEFANO  G ENSINI ,   F RANCO  L O  P IPARO ,   R   AFFAELE  S IMONE , Roma-Bari, Laterza 1998, poi in E MILIO  G  ARRONI ,  L’arte e l’altro dall’arte. Saggi di estetica e   di critica  , Roma-Bari, Laterza 2003, pp. 89-115, da cui cito.  8  E MILIO  G  ARRONI ,  I paradossi dell’esperienza   ,  in A  A .V   V  .,   Enciclopedia Einaudi  , vol. XV,  Sistematica  , Einaudi, Torino 1982,  pp. 867-915 ;  I D .,  Senso e paradosso. L’estetica, una filosofia non  speciale  , Roma-Bari, Laterza 1986così un asse verticale, o di profondità temporale, all’interno de lla ricerca stessa di Garroni; per altro verso, però, vorrei tentare qualche rapido confronto tra alcuni temi fondamentali affrontati in  Immagine Linguaggio Figura   e la filosofia contemporanea, soprattutto di area analitica, con qualche riferimento anche all ’ambito  della psicologia cognitiva e discipline affini. Con il corrodersi della  “ filosofia linguistica ” , infatti, - o, se si vuole , con l’apertura della  linguistic turn   al non linguistico   –    quest’area di ricerca emersa negli ultimi 40 -50 anni ha permesso di riscoprire il problema della perc ezione e dell’immaginazione, creando  ambiti disciplinari anche molto specialistici su questioni strettamente interconnesse: dal problema della natura della  mental imagery  9   a quello dei cosiddetti “contenuti non concettuali”  della percezione (in cui un ruolo di rilievo assume anche la percezione e la cognizione degli animali non umani, da sempre tenuta presente da Garroni); da quello della natura delle rappresentazioni mentali a quello delle numerose prestazioni assegnate oggi in ambito analitico e cognitivistico  all’immaginazione.   A  lungo considerata in area analitica come una “facoltà” nebulosa, indeterminata e quindi sospetta, da qualche anno a questa parte l’immaginazione è al centro di  molte aree di ricerca: se ne parla i n relazione ai “giochi di far finta” (   games of make believe   ) 10    –    sia nel campo delle arti che in quello più generale dell’esperienza comune  9   Cfr. l’ampio  contributo di N IGEL   J.T.    T HOMAS ,   Mental Imagery  , in  The Stanford Encyclopedia of Philosophy  , (Winter 2011 edition), a cura di E DWARD  N.   Z  ALTA , URL = http://plato.stanford.edu/archives/win2011/entries/mental-imagery/. Si tratta di un buon contributo, ma è sintomatico che proprio allo schematismo kantiano Thomas dedichi uno spazio molto ridotto, e limitato alla schematismo trascen dentale dell’intelletto della prima  Critica  :  aggrappandosi alla famosa asserzione kantiana secondo cui lo schematismo è «un’arte nascosta nella profondità dell’anima umana, il cui vero impiego difficilmente saremo in grado di strappare  alla natura per esibirlo patentemente dinanzi agli occhi» (B181), Thomas mette da parte il problema concludendo che Kant, «in attempting to grapple with problems about the nature of mental representation that the Empiricists had failed to solve, left the process of image formation, and the nature of image itself, deeply misterious» (ivi, p. 14).  10  Cfr. K  ENDALL   W   ALTON ,   Mimesis as Make-Believe. On the Foundations of Representational Arts  , Cambridge (MA), Harvard University Press 1990 (trad. it. di M  ARCO  N  ANI ,   Mimesi come far finta  , Milano, Mimesis 2011- , alle ricerche sull’autismo (considerato da alcuni come una “patologia dell’immaginazione”), a quelle sull’empatia  e sulla simulazione, ai cosiddetti  “paradossi della ‘finzione”, della “suspense” o della “resistenza immaginativa” , e ai tentativi, o alle rinunce, di fornire una nozione unitaria di immaginazione che ne comprenda le varie declinazioni: u n’immaginazione pr oposizionale e non proposizionale, una  “ricostruttiva”  e una  “creativa” , e così via 11 .  Immagine Linguaggio Figura   è stato scritto senza note e senza riferimenti espliciti ad altri autori o ad altre ricerche contemporanee. Ma  è tutt’altro che un  libro estemporaneo o isolato. Anzi, Garroni lo ha potuto scrivere liberamente,  quasi “di getto”, solo perché erano almeno trent’anni che andava elaborando quei  pensieri.   Abituati ormai a pensare, come è d’uso nella filosofia analitica,  sotto  l’ombrello di etichette generalizzanti, che identificano certi assunti teorici di fondo  nei confronti dei quali occorrerebbe definirsi   –   nel caso della  mental imagery  , per esempio, il primo discrimine che troviamo è quello  fotografato dall’annoso e  fuorviante dibattito tra sostenitori delle  teorie “analogiche”  e delle teorie  “proposizionali”  -, la riflessione di Garroni sembra condotta in isolamento, e risulta  difficile da collocare sotto un’etichetta  univoca. Mentre non credo che le etichette servano davvero, in quanto tali, a far progredire la comprensione dei problemi, credo invece che un confronto sostanziale tra le proposte di Garroni e quelle elaborate in ambito anglosassone sarebbe molto proficuo per entrambi gli schieramenti. In ogni modo, se proprio volessimo collocare le posizioni di Garroni in quel dibattito   –   che nel bene e nel male è sempre più ristretto, specialistico, talvolta accecato dai propri tecnicismi, ma altre volte utile a chiarire i problemi in gioco e a suggerire soluzioni che lì, magari, non sono contemplate -, potremmo  orientarci verso l’ambito delle teorie “enattive” (  enactive   ) della percezione e delle  11   Per il nuovo interesse suscitato dall’immaginazione in ambito anglosassone negli ultimi decenni,  e le relative indicazioni bibliografiche, rimando a S  TEFANO   V  ELOTTI ,  La filosofia e le arti. Sentire,  pensare, immaginare  , Roma-Bari, Laterza 2012, in particolare il cap. 3immagini mentali, che costituiscono una “terza via” –   non computazionale -  rispetto a quelle “analogiche” e  a  quelle “proposizionali”.  Come che stiano le cose rispetto a questi orientamenti, il confronto approfondito e sostanziale tra le riflessioni di Garroni e le teorie della percezione,  delle immagini mentali, dell’immaginazione –   nel loro ruolo in ambito cognitivo, semantico, estetico, artistico   –   è un lavoro ancora da fare. Qui offrirò qualche spunto in relazione al problema dei cosiddetti  “contenuti non concettuali” della percezione, cominciando però dallo sviluppo  interno al pensiero di Garroni stesso, e in particolare d all’insoddisfazione per  la  semiotica denunciata nel ’77 . Alla domanda se «la semiotica [sia] sufficiente a se stessa», Garroni rispondeva di no, perché la semiotica non poteva indagare «il problema delle condizioni» grazie a cui «un qualcosa diviene segno» 12 . Lì Garroni invocava la costruzione di una «semantica trascendentale» come metateoria di una «semantica empirica» e di una «semantica logica», e indicava il suo «oggetto  specifico» nei «significati trascendentali», cioè negli «“schemi dell’immaginazione” , affrontati in sede di schematismo trascendentale nella  Kritik der reinen Vernunft  » 13 .  Garroni, d’altra parte, già avvertiva –    avendo pubblicato l’anno prima   Estetica ed epistemologia  14    –    l’insufficienza dello schematismo trascendentale della prima  Critica  ,  valido solo per (le condizioni de)la conoscenza in genere (  überhaupt   ), ma non per comprendere la conoscenza effettiva o determinata, e rimandava al «  principio trascendentale soggettivo, creativo e costruttivo » 15  indagato da Kant nella terza  Critica.  Nella Premessa a  Immagine Linguaggio Figura    si dice che l’enigma dell’immagine interna, il  12  G  ARRONI ,  Ricognizione  , cit., p. 33.  13  G  ARRONI ,  Ricognizione  , cit., p. 37.  14  E MILIO  G  ARRONI ,   Estetica ed epistemologia. Riflessioni sulla  Critica del Giudizio  di Kant  , Roma, Bulzoni 1976, nuova ed. con una nuova Premessa, Milano, Unicopli 1998.  15  G  ARRONI ,  Ricognizione  , cit., p. 38, c.vo nell’originale.vero e proprio tema centrale del libro, ha preso forma attraverso « l’assiduo  ripensamento del co siddetto ‘schematismo’ kantiano» 16 . Dunque, una continuità  con l’opera del ’77, ma certamente anche un’importante discontinuità: lo schematismo trascendentale, quello dei concetti puri dell’intelletto, passa decisamente in secondo piano nell’ultimo libro, mentre a venire in primo piano  sono lo schematismo empirico - quello cioè che permette di pensare la costruzione dei concetti empirici a partire dalla percezione, che Kant nella terza  Critica   chiama «esempio» - e lo schematismo «simbolico»   –   quello che funziona per analogia, in relazione a concetti non propriamente esibibili e che è responsabile non solo delle  cosiddette opere d’arte bella, ma anche del funzionamento del nostro lin guaggio 17 . Naturalmente, questi diversi schematismi, pensabili grazie alla distinzione - disponibile solo a partire dalla terza  Critica     –   tra uno schematismo «oggettivo» e un «libero schematismo», si intrecciano sempre nella produzione effettiva di enunciati e figure significanti, ma devono essere distinti a livello analitico. Già nella  Ricognizione della semiotica   Garroni metteva in chiaro come lo schematismo kantiano costituisse il superamento di ogni concezione ingenuamente referenzialistica del linguaggio. Lì si indicava una direzione di ricerca che poi si preciserà nel tempo. Si diceva:  Il ‘referente’ non è la cosa s tessa, ma il nostro modo di operare sulle cose, di manipolarle e  configurarle come il correlato implicito del linguaggio; l’ ‘operazione’ a sua volta è questo stesso  concreto manipolare, che non può essere disgiunto peraltro dal nostro rappresentarci le cose e le  nostre manipolazioni delle cose, cioè dal nostro ‘prendere le distanze’ dagli stimoli immediati, e  che suppone quindi in qualche modo il nostro conoscerle e parlarne 18 .  16  G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit., p. ix.  17  Cfr. I MMANUEL  K   ANT ,  Critica della facoltà di giudizio , ed. it. a cura di E MILIO  G  ARRONI  e H  ANSMICHAEL  H OHENEGGER  , Torino, Einaudi 1999, in particolare §49 e §59,  e l’ introduzione dei curatori. Sull’analogia in Kant v.  M IRELLA  C  APOZZI ,  Le inferenze del giudizio riflettente in Kant:  l’induzione e l’analogia  , “Studi kantiani”, XXIV (2011), pp. 11 -48.  18  G  ARRONI ,  Ricognizione  , cit., p. 69.È evidente, mi pare, che «l’operazione»  di cui si parla include anche la nostra nativa attività percettiva che verrà poi indagata attraverso il problema della costituzione, della natura e della funzione delle «immagini interne». Distinte dalle «figure» (che non possono essere altro che elaborazioni, esteriorizzazioni e riduzioni delle immagini interne), le immagini interne sono innanzitutto dinamiche, sono cioè ispezioni attive e mobili, per scorci sempre diversi, degli oggetti percepiti,  o di queste percezioni riprodotte, rielaborate e ricordate nell’immaginazione. È da  escludere quindi ogni obiezione legata alla presupposizione indebita e circolare di un  homunculus    che sarebbe a sua volta spettatore di “figure nella testa”. Figure nella  testa non ce ne sono. È invece questa operazione percettiva, dinamica e attiva, che impedisce ogn i regresso all’infinito, anche se naturalmente non pretende di dare  una  spiegazione  , in termini oggettivi, di come ciò avvenga. Un ruolo decisivo gioca qui   la nozione di  metaoperatività  introdotta in  Ricognizione della semiotica  19   e poi ripresa, anche terminologicamente, in tutta la sua  importanza, solo trent’anni  anni dopo. È interessante come, anche in questo caso, Garroni anticipasse uno dei temi più dibattuti, oggi, in ambito cognitivo, sotto il t itolo di “metarappresentazioni” 20 , ma che in Garroni si es tende già all’intero ambito dell’operare umano  (un operare che è pragmatico e corporeo, percettivo, cognitivo). In analogia e in correlazione con la funzione metalinguistica   –   che per Garroni è sempre implicata nelle funzioni di primo livello del linguaggio, così come quella costituisce pur sempre una funzione che può essere solo interna al linguaggio di primo livello   –   Garroni introduce la nozione di metaoperatività come interna a qualsiasi o perazione umana. È ciò che distingue, in sostanza, un’operazione del  19   G  ARRONI ,  Ricognizione  , cit., p. 70 sgg.   20  Cfr. A  A .V   V  .,    Metarepresentations. A Multidisciplinary Perspectiv  e, a cura di D  ANIEL  S PERBER  ,   Oxford, Oxford University Press 2000genere stimolo- risposta da un’operazione che include  già dentro di sé una generalizzazione. P iantare un chiodo con un martello è sì un’operazione  determinata, concreta, e dotata di uno scopo preciso, ma   –   come operazione umana   –   contiene già dentro di sé una famiglia o una classe di operazioni possibili (qualcosa, dunque, ch e potrebbe essere chiamato uno “schema operativo”  ):  “ piantare questo ch iodo”, per l’uomo, suppone “piantare i chiodi in generale” , cioè un comportamento operativo   –   metaoperativo rispetto a quello   –   volto alla fabbricazione di strumenti e alla determinazion e di variabili operative; e il “piantare chiodi in generale”  suppone ul teriormente l’“ operare in generale in vista d i possibili variabili operative” , cioè un comportamento specificamente metaoperativo. 21   Persino l’operare per prova ed errore –   tipico del comportamento animale non umano -  suppone nell’uomo un piano, una consapevolezza di operare  per prova ed errore. S appiamo che proprio l’attività artistica è considerata da Garroni come l’esemplificarsi di questa dimensione metaoperativa, e che questa dimensione  metaoperativa non è altro che una riformulazione della kantiana «conformità a scopi senza scopo». La terza parte di  Ricognizione della semiotica   è tutta incentrata sui cosiddetti linguaggi artistici, che linguaggi propriamente non sono, non solo in  quanto privi di un codice, ma in quanto strettamente condizionati da un’operatività  e da una metaoperatività irriducibili a linguaggio. Tutte le arti di cui Garroni lì parla brevemente   –    dall’architettura alla musica, dalla poesia alla narrativa alla pittura –   sono indagate a partire dal modo in cui in esse prende corpo questa nostra capacità metaoperativa, di per sé inosservabile, ma rilevabile in indici empirici in tutti i  prodotti umani, e in modo esemplare nelle opere d’arte. La stessa nozione di “ stile ”   viene riletta alla luce del manifestarsi concreto di indici metaoperativi. In estrema sintesi, questa capacità metaoperativa viene caratterizzata come una condizione  21  G  ARRONI ,  Ricognizione  , cit., p. 94nozioni diverse, quali gli oggetti che Donald W. Winnicott ha chiamato «transizionali» 27 , di quelli che Michael Dummett ha chiamato «proto-pensieri» 28 , che sono analoghi poi a quelli che alcuni studiosi   –   a partire da Gareth Evans 29    –    chiamano “contenuti non concettuali” della percezione (c ontraddicendo, dunque,  l’idea  fatta valere da Maurizio Ferraris secondo cui la tradizione kantiana avrebbe  decretato l’equivalenza tra epistemologia e ontologia, cioè l’assimilazione di tutt o il  reale, di quel che c’è, a quel che possiamo conoscerne grazie ai nostri “schemi concettuali” , gettando così le premesse del radicale prospettivismo e costruzionismo  nietszscheano secondo cui “non esistono fatti ma solo interpretazioni”, e di qui del p ostmoderno, del neopragmatismo alla Rorty, del decostruzionismo secondo cui niente è fuori dal testo, e così via) 30 .  affidata a un principio estet ico che esprime un’originaria adesione del soggetto all’esperienza, e insieme un’anticipazione distanziante di questa».   27  Già in  Senso e paradosso , cit. p. 274, G  ARRONI  si era riferito in un altro contesto agli oggetti transizionali di Winnicott («mediatori tra il narcisismo infantile, o primario, e le relazioni  oggettuali», obbedienti a «“quel principio di confusività” […] che violerebbe appunto “il principio aristotelico di non contraddizione”») accostandoli da un lato all’ Unheimliches    freudiano e, dall’altro, alla paradossale unità di determinato e indeterminato che ha nell’opera d’arte e nell’esperienza estetica una sua manifetsazione esemplare: «Non c’è esperienza ben determinata, apparentem ente solo ovvia, che non presupponga una condizione di transizionalità o, insomma, un paradosso-senso. E certi tipici oggetti transizionali non sono che concretizzazioni di un paradosso-senso.  Qui si legittima […] anche la creatività […] che viene esemplar mente e più tipicamente esibita  oggi, per noi e dal punto di vista di una riflessione estetica, da ciò che chiamiamo “arte” ed “esperienza estetica”», ivi, p. 275.   28  M ICHAEL  D UMMET ,   Origins of Analytical Philosophy  , Cambridge, Harvard University Press 1994, ed. it. a cura di E  VA  P ICARDI ,  Origini della filosofia analitica  , Torino, Einaudi   2001, cap. XII: «Il   proto-pensiero si distingue dal pensiero vero e proprio che è esercitato dagli esseri umani per i quali il linguaggio ne è il veicolo per il fatto di non essere separabile dalle attività e circostanze  presenti. […] non possiamo dare una spiegazione soddisfacente della nostra capacità di base di  apprendimento e di orientamento nel mondo trascurando il livello dei proto-pensieri» (ivi, pp. 138-139).  29  G  ARETH  E  VANS ,  The Varietis of Reference  , Oxford University Press, Oxford 1982.  30  Di M  AURIZIO  F ERRARIS , tra i tanti testi e articoli in cui sostiene questa tesi, si veda da ultimo il   Manifesto del nuovo realismo , Roma-Bari, Laterza 2012. Per una discussione più articolata di questadel l’esperienza che funziona come « unità costruttiva di un insieme di determinazioni linguistiche e operative», in dichiarata corrispondenza a « quell’unità  estetica delle rappresentazioni di cui si occupa Kant nella  Kritik der Urteilskraft  » 22 .   A questo punto abbandono il libro del ’77 per vedere come queste  problematiche vengano riformulate e rielaborate, in modo più adeguato, nel libro del 2005. Il nuovo strumento teorico che Garroni ha messo a punto, al di là del riferimento al principio di una «conformità a scopi senza scopo» quale senso e sentimento comune (il  Gemeinsinn   kantiano), è la nozione di «immagine interna», proprio a partire da una rielaborazione del libero schematismo della terza  Critica.  Qui la nostra capacità metaoperativa resta una nozione importante, ed è esplicitamente richiamata nel testo 23 , ma viene reinterpretata e specificata proprio in relazione al lavoro di quella che Garroni chiama complessivamente «facoltà  dell’immagine» , che è responsabile sia delle sensazioni (come precedenti di  un’immagine), sia delle percezioni (le immagini interne prodotte in presenza degli oggetti del mondo), sia dell’immaginazione nella sua specificità (delle immagini in  quanto riprodotte o ricordate- rielaborate). Quella che nel ’ 77 veniva chiamata per lo più «operazione» è qui inn anzitutto l’attività di questa «facoltà dell’immagine» , dal livello senso-motorio e non ancora associato effettivamente al linguaggio e ai concetti, fino al suo pieno intrecciarsi con linguaggio e concetti, ma pur sempre  all’interno di una non riducibilità dell’una dimensione all’altra. Sensazione,  percezione e immaginazione sono tutte «immagini interne» costitutivamente  dinamiche, non fissabili in un’ icona o figura materiale, e abitate da qualcosa di non  sensibile, dunque distinte dall’immagine -segno materialmente intesa, che Garroni chiama «figura», e che è invece sostanzialmente statica.  22  G  ARRONI ,   Ricognizione  , cit., p. 147.  23  G  ARRONI ,   Immagine Linguaggio Figura  , cit., p. 18 sggUna delle nozioni di maggior interesse che emerge subito   –   assente, direi, negli scritti precedenti   –   è quella di «aggregato». Si tratta di qualcosa di pre-linguistico e pre-concettuale, che deve dunque precedere   –   in linea di diritto e ipoteticamente anche di fatto   –   il costituirsi di famiglie, in senso wittgensteiniano, e di classi. Un aggregato è ciò che offre una prima possibilità di riconoscimento degli oggetti, non come membri di una famiglia o di una classe (che presuppongono appunto una caratterizzazione di tratti linguistici o una pertinentizzazione di note concettuali). Un aggregato è invece costituito «solo percettivamente» e costituisce «un insieme di casi effettivamente sperimentati o di oggetti effettivamente usati, quindi di numero finito, anche se via via crescente» 24 . Un aggregato può essere costituito  da oggetti assai diversi, legati da una minima somiglianza e talvolta da nessuna somiglianza, ma  solo da un cortocircuito tra disparati che stabiliscono tra loro un’unità non chiaribile  intellettualmente di tipo affettivo, emozionale, fantasticante, volto al padroneggiamento di eventi e cose amat e, preoccupanti, esaltanti” 25 .  Mi sembra di poter dire che Garroni stia cercando di dar conto, con una  rielaborazione di quella che Kant avrebbe chiamato una “sintesi dell’apprensione” 26 ,  ancora priva di un’unità conc ettuale, della comune radice di  24  G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit., p. 11  25  Ibidem.  26  Ma G  ARRONI  segnala una revisione  tendenziale dell’estetica trascendentale kantiana a un livello  molto più radicale e produttivo, già da  Senso e paradosso , (cit., p. 226): «Con la riflessione estetica della  Critica del Giudizio , il problema dell’immaginazione viene in primo piano: nasce u n nuovo schematismo   –   lo schematismo libero, senza concetti,   dell’immaginazione     –   come capacità originaria di organizzazione delle percezioni. Di conseguenza tende a ridimensionarsi notevolmente la primitiva   Estetica trascendentale  , nonché la stessa  Logica trascendentale  , della  Critica della ragion pura  . Per esempio, che qualcosa possa essere dato ai sensi solo alle condizioni dello spazio e del tempo non è che  un  aspetto, forse non il più originario appunto, della questione dell’intuizione e della sua  elab orazione nell’immaginazione (non più soltanto ‘produttiva’ e ‘riproduttiva’, ma anche ‘creatrice’), non esauribile in termini di ‘forme’ spazio - temporali rispetto a una ‘materia’ sensibile. Il centro della questione, di fronte a quell’aspetto, è ora la lor o interna capacità organizzativa Quanto alla relazione tra «aggregato» e «oggetto transizionale», mi sembra che uno degli esempi portati in  Immagine Linguaggio Figura   non lasci adito ad alcun dubbio. Nella primissima infanzia, scrive Garroni, «prima che il linguaggio costituisca un vero e proprio ambiente e quindi sotto la condizione di  un’intelligenza prev  alentemente senso-motoria», si può ipotizzare che si producano,  nel la manipolazione degli oggetti, […] riconoscimenti, usi e aggregati di oggetti in essi variamenti  disposti. Un burattino può essere riconosciuto come un burattino e nello stesso tempo come un   vivente, oggetto d’amore o mostro persecutorio che sia; una cope rtina o un lenzuolino possono  essere riconosciuti come oggetti d’uso, adatti per coprirsi e stare al caldo, e insieme come utero  della madre, il suo abbraccio, il suo stesso seno e quindi come una difesa dal mondo esterno non ancora propriamente conosciuto  e dominato; e così via. In questi casi l’aggregato è lontanissimo  dalla formazione di una futura tassonomia intellettuale, e tuttavia una tassonomia non potrebbe più tardi formarsi se non fosse preceduta da quello. 31   Se queste forme prelinguistiche di aggregazione e riconoscimento sono  però contrassegnate da una vocazione al linguaggio e all’organizzazione  concettuale, ci si può chiedere se siano pensabili anche senza questa teleologia  evolutiva e se non siano per caso da pensare come l’analogo più prossim o, con le opportune specificazioni, delle rappresentazioni che dobbiamo attribuire ad alcune specie di animali non-umani. A questi, infatti, Garroni riconosce non una vera «percezione interpretante»   –   come quella umana -, ma neppure si sente di relegarli in un «ambiente» nettamente distinto da un «mondo» 32    –   come avevano fatto Scheler e Heidegger sulle orme di von Uexküll. Forse la distinzione vale per  l’ambiente sensoriale della zecca, ma sarebbe diff  icile dire la stessa cosa di un cane o delle grandi scimmie.  tesi rispetto a Kant, rimando a S  TEFANO   V  ELOTTI ,  Storia filosofica dell’ignoranza  , Roma-Bari, Laterza 2003, in particolare i capp. 3, 4 e 7.  31  G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit., pp. 12-13.  32  G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit., p. 44Un mondo, senza darne qui un’impossibile definizione e accettando della parola solo l’indicazione di un senso complessivo della vita e delle cose che la avvolgono, è attribuibile anche  agli animali non-umani. Solo che sembra presentarsi non come mondo in immagine, ma come comportamento, in cui la sensazione, visiva o non visiva, svolge una funzione segnaletica e non formativa, essenziale, ma non caratterizzante propriamente una co siddetta “immagine del mondo”. 33   Mi sono soffermato brevemente sul tema della percezione infantile e degli animali non-umani perché è diventato  forse l’argomento più forte  portato dai sostenitori dei contenuti non concettuali della percezione 34 . Questo confronto tra le  posizioni di Garroni e quelle dei sostenitori dei “contenuti non concettuali” (un’espressione che Garroni non usa mai)  richiederebbe uno studio specifico, come anche la relazione  tra l’ «aggregato» e i «proto -pensieri» di Dummett, una nozione elaborata proprio per dar conto di rappresentazioni che non sono dipendenti dal linguaggio, proprie sia dunque degli infanti, sia degli animali non-umani (anche se credo che sia necessario, anche per Dummett, distinguere tra proto-pensieri suscett ibili di diventare pensieri, o “vocati’  a diventarlo, e quelli che non lo sono). Se menziono i possibili punti di convergenza della riflessione di Garroni sulla irriducibilità della percezione al linguaggio con quella di alcuni filosofi di tradizione analitica e psicologi cognitivi, non è per mostrare che il pensiero di Garroni sta al passo con i tempi, o li ha precorsi, cosa che sarebbe di pochissimo interesse. Il fatto è che Garroni mette in luce   –   spesso senza portare fino in fondo i  dettagli dell’analisi –   aspetti, implicazioni e dimensioni del problema che potrebbero essere molto fecondi se messi a contatto con la ricerca contemporanea propria di quelle diverse tradizioni. Vorrei sottolineare che non si tratta solo di un generico auspicio di integrazione di prospettive diverse, ma di confronti concreti  33  G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit., p. 44-5.  34  Non solo in E  VANS , cit., ma soprattutto, tra gli altri, in C HRISTOPHER  P EACOCKE ,   Does perception have a nonconceptual content?  , in “Journal of Philosophy”, 98 (2001), p p. 239-264 e I D .,  Phenomenology and nonconceptual content  , in “Philosophy and Phenomenological Research”, 62 (3) (2001), pp. 609 -15, e già anche in F REDERICK   D RETSKE ,    Naturalizing the Mind  , Cambridge (MA), MIT Press 1995che potrebbero portare a risultati sorprendenti forse anche in termini di nuove acquisizioni conoscitive. Farò due esempi: il primo, già accennato, riguarda proprio  i contenuti non concettuali. Il secondo riguarda invece l’indeterminatezza delle  immagini mentali  A. È indubbio che le principali ragioni che hanno portato la filosofia della  linguistic turn   a occuparsi di fenomeni non linguistici, e in particolare di contenuti percettivi non concettuali, è legata a una serie di ragioni che trovano corrispondenze abbastanza puntuali in Garroni. E tuttavia, nonostante la loro raffinatezza, spesso queste analisi sono incapaci di vedere aspetti della questione che una riflessione filosofica come quella di Garroni aiuta a scorgere. Le ragioni che hanno dato il via al dibattito sui contenuti non concettuali sono svariate: 1. La possibilità, riconosciuta da Garroni con la nozione di «aggregato», di rappresentare nella percezione stati di cose contraddittori o impossibili da un punto di vista proposizionale e concettuale:  l’esempio che si fa di s olito sono le figure di Escher, o la « l’illusione della casca ta» di Tim Crane 35 ,  ma l’aggregato di  Garroni, come abbiamo visto rapidamente, coglie questa possibilità percettiva  innanzitutto al livello dell’immagine interna, e nella sua  necessità     –   non solo come fatto accidentale ed episodico, o artatamente escogitato e realizzato in una figura 36 . 2. Un secondo argomento è stato proposto da Peacocke, il quale ha sostenuto che il contenuto della percezione è « unit-free  » 37 : percepisco una distanza  35  T IM  C RANE ,  The Waterfall Illusion  , in “Analysis”, 48  (1988), pp. 142-147.  36  Cfr. il capitolo 8 di  Immagine Linguaggio Figura  , in cui G  ARRONI  analizza la differenza tra la interpretabilità plurima di alcune   figure  , e il «ruolo primario nei riguardi della varia interpretabilità del percepibile» giocato dalla «indeterminatezza percettiva» propria delle  immagini interne   in relazione al mondo reale.  37  C HRISTOPHER  P EACOCKE ,   Analogue content  , in “Proceedings of the Aristotelian Society”, 60  (1986), pp. 1-17determinata tra me e un oggetto senza per questo dover  usare un’unità di misura. E  queste rappresentazioni sono irriducibilmente non-concettuali. Garroni, di nuovo appoggiandosi   –   qui implicitamente - a Kant 38 , usa  un’ argomentazione analoga per mostrare come la percezione ci appaia legittimamente come soggettiva e oggettiva a un tempo, senza che ci sia nulla di contraddittorio o ossimorico, in quanto la percezione «fornisce valori oggettivi delle cose, per esempio quantitativi, tali da poter essere   poi   esplicitati in rapporti metrici, in un modo che non è ad evidenza delle cose stesse: lo stesso avvertimento di quei valori  oggettivi   è  nostro  [e questo avvertimento è non concettuale: nota mia] e, tanto più, la  nostra misurazione   non sta  nelle cose  , ma dipende  da un’unità di misura da noi stabilita    idonea per l’esplicitazione  [concettuale] di quei rapporti» 39 . L’avvertimento dei valori quantitativi privo di un’unità di misura è dunque la condizione, non concettuale (estetica, direbbe  Garroni con Kant) di ogni misurazione oggettiva e concettuale. 3. Un terzo argomento, avanzato da Gareth Evans e poi ripreso da molti, è la maggiore «finezza di grana» della percezione rispetto alla  “ grana ”  dei contenuti degli atteggiamenti proposizionali. Qui è facile riferirsi di nuovo a Garroni nella sua rielaborazione del pensiero kantiano, ma non tanto in relazione agli aggregati, quanto al libero schematismo e a quelle che Kant chiamava «idee estetiche» (una modalità esemplare di «immagine interna», che Kant stesso designa come «intuizione interna»: « dal punto di vista estetico l’immaginazione è libera, al fine di fornire, ma in modo non ricercato […] una copiosa e inesplicita materia [  Stoff   ]  all’intelletto, che questo,  nel suo concetto, non prendeva in considerazione  » 40  ) . E l’analisi,  centralissima, che Garroni dedica al libero schematismo, non si limita a un riferimento alle ope re d’arte (che sono, per Kant, « espressioni  di idee estetiche»), ma  38  V. K   ANT  ,   Critica della facoltà di giudizio , cit. § 25.  39  G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit. p. 6.  40   K   ANT  ,   Critica della facoltà di giudizio , cit., § 49, c.vo mio si allarga alla stessa costruzione di schemi per concetti empirici. Garroni precisa infatti che  lo stesso schema [lo schema empirico, l’immagine -schema o, nel linguaggio della terza  Critica    kantiana, l’  «esempio»  ] è possibile dentro il quadro del rapporto dell’intera immaginazione e dell’intero intelletto: è una scelta di certi tratti caratteristici nell’insieme di tutti i tratti caratteristici  percepibili di un oggetto, il quale a sua volta non sarebbe possibile se non sullo sfondo di tutti i tratti caratteristici possibili, percepiti o no, percepibili o no, c onfusi nell’indet erminatezza della totalità 41 .  Non si tratta, è vero, di una percezione non relazionata ai concetti (dato  il rapporto dell’immaginazione con l’intelletto) , ma è anche vero che qui nessun concetto determinato può corrispondere ai tratti caratteristici percepiti, e anzi un concetto empirico può formarsi solo su progressive selezioni a partire da una totalità indeterminata di tratti non già linguisticamente o concettualmente  classificati. Nella prospettiva di Garroni, la maggiore “finezza di grana” della  percezione verrebbe vista in un quadro più ampio di quello analitico e cognitivista,  che ha conseguenze antropologiche, semantiche, di teoria dell’arte, mentre  probabilmente potrebbe guadagnare a sua volta in precisione e articolazione da un confronto serrato con il dibattito analitico. 4. Un quarto argomento strettamente collegato al precedente è stato di nuovo messo in evidenza da Peacocke e da Michael Ayers 42 , e riguarda la possibilità di acquisire e apprendere concetti empirici. Se non si dessero contenuti non concettuali, o il nostro ragionamento sarebbe circolare (coglieremmo già concettualmente contenuti percettivi di cui invece, per ipotesi, dobbiamo costruire i concetti), oppure dovremmo supporre un innatismo fortissimo e insostenibile. La  41   G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit. p. 98.   42 C HRISTOPHER  P EACOCKE ,   A Study of Concepts  , Cambridge (MA), MIT Press 1992, e I D .,   Does   perception… , cit.; M ICHAEL   A  YERS ,   Sense experience, concepts, and content   –   objections to Davidson and  McDowell  , in R.   S CHUMACHER  , a cura di,  Perception and Reality: From Descartes to the Present  , Paderborn, Mentis 2004, pp. 239-262ripresa da parte di Garroni delle considerazioni svolte da Umberto Eco nel suo  Kant e l’ornitorinco  (che a sua volta si riferiva a Garroni) fornisce un modello per la formazione dei concetti empirici proprio a partire dai contenuti non concettuali, in forma di aggregati, che permette un riconoscimento percettivo anteriore alla costituzione di uno schema empirico, correlato a un nome comune 43 . B. Veniamo al secondo esempio. Discutendo di immagini mentali, alcuni autori di provenienza analitica hanno sostenuto che una delle caratteristiche che le differenzia dalle figure (   pictures   ) è la loro indeterminatezza. Sembrerebbe, questo, un tratto che li avvicina alla tesi di Garroni sul reciproco correlarsi di determinatezza e indeterminatezza. Ma non è così. Lo scopo di chi usa questa argomentazione 44  è quello di sostenere che le immagini mentali, essendo indeterminate, sono più simili  a descrizioni che a figure. L’argomento di Dennett è abbastanza noto, e rig  uarda il numero delle strisce del manto di una tigre:  in un’immagine mentale il numero delle  strisce di una tigre può essere indeterminato, mentre in una figura le strisce devono essere numerabili, e dunque determinate. In una descrizione, il numero delle strisce  può essere indeterminato (“questa tigre ha numerose strisce sul manto”), dunque le immagini mentali sono più vicine alle descrizioni che alle figure. Un’autorità sulla  mental imagery   come Thomas   –   insieme a molti altri - sostiene che questo argomento  non è valido, perché un’immagine mentale di una tig  re potrebbe avere un numero determinato di strisce, solo che uno potrebbe non fare in tempo a contarle perché  l’immagine mentale svanisce velocemente dalla coscienza. Inoltre, anche una figura  di una tigre potrebbe rendere impossibile contarle, in quanto sfocata o sommaria, e  43   G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit. p. 58, sgg.   44  Tra gli altri D  ANIEL  D ENNETT ,  Content and Consciousness  , London, Routledge & Kegan Paul 1969, pp. 135-7; Z ENON  P  YLYSHIN ,  What the mind’s eye tells the mind’s brain: A critique of mental  imagery  , “Psychological Bullettin”, 80 (1973), pp. 1 -25; tra i critici di questa argomentazione, M ICHAEL   T  YE ,  The Imagery Debate  , Cambridge (MA), MIT Press 1991anche una tigre reale   –   presente alla percezione attuale e non immaginata -, data la natura frammentaria, confusa e sfuggente delle sue strisce, porrebbe molti dubbi quanto al loro numero 45 . A me sembra evidente come Dennett e gli altri autori abbiano colto solo di sfuggita un carattere delle immagini mentali o interne e ne abbiano tratto una conclusione affrettata. E come le contro-argomentazioni di  Thomas (insieme a quelle di molti altri) si mantengano sullo stesso livello, senza prendere neppure in considerazione la relazione, ben altrimenti pregnante e ricca di conseguenze, colta da Garroni tra determinatezza e indeterminatezza delle  immagini    interne   e il loro rapporto con le   figure  . L’indeterminatezza dell’immagine interna –   così come viene pensata da Garroni - non è una figura sfocata o mancante di alcuni particolari, o addirittura una figura che sarebbe determinabile se solo avessimo il tempo di esaminarla nella nostra mente. La correlazione essenziale tra determinatezza e indeterminatezza che la caratterizza è condizionata dal fatto che è  un’immagine dinamica e multimodale (visiva, olfattiva, tattile, uditiva, mnemonica,  affettiva, viscerale, e così via) e dunque non è in nessun modo una figura, neppure una figura sfocata o sbiadita o evanescente . È piuttosto un’operazione nativa e  attiva, che, nel caso della percezione visiva, è non solo filtrata dalla gamma limitata di raggi luminosi a cui è sensibile il nostro occhio, ma è resa possibile dai  movimenti saccadici e di altro genere dell’occhio, senza di cui non ci sarebbe neppure un’immagine retinica. E quest’immagine retinica è a sua volta attivamente  e selettivamente rielaborata dalla nostra «percezione interpretante» sullo sfondo di un contesto   –   oggettivo e soggettivo - che si allarga da quello visibile a quello non  visibile, fino ad estendersi alle altre caratteristiche non presenti (associazioni con altri oggetti e memorie percettive). I l problema dell’indeterminatezza condizionante dell’immagine  interna non è tanto se possiamo contare o meno certi suoi elementi, quanto quello di darne un resoconto teorico adeguato, che, per esempio, non si  45  T HOMAS ,   Mental Imagery  , cit., nota 31illuda di poterla considerare  come l’imma gine interna di un oggetto già definito e isolato dagli altri oggetti, dal mondo soggettivo e oggettivo e dal sentimento della  totalità dell’esperienza in cui siamo avvolti. Si possono anche costruire modellini  della percezione più semplici, avendo in vista la costruzione di macchine per il riconoscimento automatico di certe caratteristiche oggettuali nel mondo, ma senza illudersi che quei modellini riproducano effettivamente la percezione umana. Per concludere, vorrei citare per esteso quel che scriveva Garroni nel già citato articolo sulla indeterminatezza semantica a proposito del senso stesso di una riflessione filosofica. Credo che quel che diceva allora a proposito del linguaggio e dei linguisti, potrebbe essere ripetuto per la percezione e i percettologi, come  suggerisce l’ultimo esempio che ho portato:   Si metteva in dubbio prima che potessero esistere puri linguisti [o puri percettologi,  potremmo dire]. Forse è proprio vero: non esistono. Anzi, se l’antinomia che essi  inevitabilmente incontrano e si sforzano di comporre è sempre presente esteticamente in  loro e in tutti noi, linguisti e non linguisti, nell’anticipazione, all’interno dello stesso uso, del  linguaggio in genere nella sua totalità indeterminata, è forse addirittura possibile sostenere  […] che la cosiddetta ‘filosofia’ si inscrive necessariamente in ciò che abbiamo detto ‘coscienza implicita del linguaggio’. È infatti difficile dire cosa sia la filosofia istituzionalmente […] ma che essa nasca da un qualche sforzo di comprensione dell’esperienza   e del linguaggio, consustanziale all’esperienza e a linguaggio, nella stragrande  maggioranza dei casi solo una precomprensione o un avvertimento oscuro di una  comprensione, questo sembra tutt’altro che campato in aria.  Ciò comporta una differenza rispetto a una linguistica che non vuole saperne, di  filosofemi? Forse no, se la differenza va cercata in positivo, in una determinazione dall’alto di principi e metodi. Forse sì, se invece va cercata in negativo, nell’esclusione che principi e  metodi possano essere qualcosa di assoluto e unilaterale, si ispirino poi alla indeterminatezza o alla determinazione. Ciò pare plausibile soprattutto se essa fa emergere  più nettamente la coscienza implicita che ogni nostro uso del linguaggio […] non è solo un  uso particola re […] ma contiene una componente di indeterminatezza che lo fa essere paradossalmente proprio quell’uso e permette di descriverlo proprio come quell’uso  determinato,  nello stesso uso effettivo , in tutti i sensi. Non sarebbe per caso anche un contributo non del tutto insignificante, da un punto di vista etico e politico, non sospettabile di ideologismo, alla promozione di una cultura non dogmatica, non settaria e non particolaristica? 46   46  G  ARRONI ,   L’indeterminatezza semantica  …, cit. p. 112

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