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Tuesday, March 29, 2022

GRICE E FRACASTORO: LA FILOSOFIA DELLA VITA

 l'anima     L' ultimo libretto del nostro filosofo, che dal  suo stesso nome ci pervenne intitolato « Fracasto-  rius sive de Anima, » dovrebbe essere quasi la  sintesi de' precedenti ragionamenti da lui tenuti  intorno all'intellezione. Ed invero fu a suo  luogo notato come intendimento del nostro Au-  tore era di risalire daile estrinsecazioni del  pensiero alla sua stessa sorgente, e dalle facoltà  dell'anima, prima fra le quali la intellettiva, e  dagli atti loro, alla stessa propria natura del-  l' anima razionale. Cammino inverso a quello  che si era tenuto e si teneva comunemente nelle  scuole, dove, da definizioni astratte dell'anima.     GIROLAMO FRACASTORO 219   come dall' entelecheia d'Aristotele, si faceva di-  scendere e si credeva di potere spiegare i singoli  fenomeni; ma appunto perciò abbiamo annoverato  il Fracastoro fra i primi filosofi del rinascimento,  avendo egli avuto chiara coscienza della necessità  di procedere a posteriori anche ne' più ardui  problemi della filosofia, della quale in tal guisa  preannunziò il rinnovamento . Nel suo libro  dell' Anima adunque si dovevano raccogliere  1 supremi sforzi dell' acume filosofico del Fraca-  storo, e tuttavia per talune ragioni che or ver-  remo esponendo, questo libretto rimane inferiore  all' aspettazione del lettore, e forse al concetto  stesso che aveva guidato l' autore nel comporlo.     II.   In primo luogo il dialogo è rimasto incom-  piuto perchè F autore, che da tanti anni vi me-  ditava sopra, fu prevenuto dalla morte. E per  quanto si possa credere che in confronto del-  l' ampio svolgimento dato al libro dell' Intelle-  zione^ questo sull' Anima avrebbe dovuto avere  un corrispondente e proporzionato sviluppo, in  ragione della più alta gravità e difficoltà della  materia, è tuttavia un libretto di non molte     220 CAPITOLO OTTAVO   pagine quello clie ci è pervenuto, e che si trova  impresso nella raccolta delle opere Fracastoriane.   In secondo luogo la dottrina dell' anima  è in questo dialogo trattata limitatamente , e  quasi esclusivamente rispetto alla controversia  dell' immortalità. E' ben vero che il Fracastoro  cerca sin dal principio di sollevarsi sino ad af-  ferrare la « quiddità » dell' anima, però assai  brevemente, e di leggieri si scorge che non è  questo, almeno in tal luogo, il fine principale  a cui mira. Notissima è la contesa suscitata a  quel tempo dal Pomponazzi intorno alla immor-  talità, da lui filosoficamente negata, cristiana-  mente creduta, non diremmo tanto per la  consapevolezza del pericolo, quanto per quello  strano contrasto che accompagna le più ardite  ribellioni di uomini usciti allora dal dominio  della teologia. Il che tuttavia non tolse che al  Pomponazzi stesso da taluno si facesse intendere  eh' egli, ammessa per buona la sua credenza  come cristiano,, poteva essere arso soltanto come  filosofo. La dottrina del maestro ebbe contraddi-  tori fra i suoi stessi discepoli. Primo fra questi  il Contarini, uomo di chiesa, la confutò, dicendola  sospetta di ateismo; nè alcuno si attenderebbe  che il Fracastoro, uomo religioso, e medico del  Concilio di Trento, avesse a difenderla. Ciò non     GIROLAMO FRACASTORO 221   ostcante è errata l'opinione di coloro i quali  credettero, come riferisce pure l'anonimo scrit-  tore della vita del Fracastoro, che questi com-  ponesse il suo dialogo « adversus insana non  minufi quam impia Pomponatii praeceptoris pla-  cita » (pag. 8). Queste parole ci fanno sentire  r acrimonia dell' animo nei contradditori del  Pomponazzi, ma tale non è verso di lui l'animo  del Fracastoro, il quale si sforza bensì di con-  fermare l'immortalità, ma senza parola di ran-  core contro di alcuno, anzi senza mai nominare  il Pomponazzi, e senza quasi mostrar di cono-  scere le obiezioni da esso addotte. Il dialogo  poi fu pubblicato soltanto molti anni dopo la  morte del filosofo mantovano, onde anche per  questo rimane del tutto escluso che 1' opera  fracastoriana potesse avere un fine personale e  polemico. Con tutto ciò egli è certo che il fine  apologetico della difesa del dogma la vince ,  nel nostro autore, sulla discussione schiettamente  filosofica; e l'aver egli ristretto un argomento  sì vasto pressoché a questa sola questione , to-  glie oggi naturalmente al dialogo originalità  ed efficacia.   In terzo luogo, ed è logica e necessaria con-  seguenza di quanto finora si è osservato , la  forma stessa del dialogo diviene piuttosto let-     222     CAPITOLO OTTAVO     terapia che filosofica e si abbandona a poetiche  concezioni, invece di conservarsi strettamente  raziocinativa e dialettica , quale appariva nel  dialogo della « Intellezione. » Sente il nostro  autore che la quistione dell' immortalità sfugge  propriamente all' indagine della ragione , on-  d' egli vi sostituisce la poesia e il sentimento,  per quanto siano questi pure lati assai ragguar-  devoli dell' animo e del pensiero umano. Non-  dimeno quello che nel caso nostro più importa  notare, si è che ciò facendo il Fracastoro non  pretende ancora assoggettare la ragione al dogma,  siccome era avvenuto per tutto il medio evo,  ma francamente riconosce che in quistioni di  tal natura non si può procedere col rigore del  ragionamento filosofico, in guisa che non s'abbia  ad accettare se non quello che sia stato rigoro-  samente dimostrato, come volevano le antiche  scuole degli stoici e dei peripatetici : « Deinde...  et duritiem severitatemque illam vel stoicam vel  etiam peripateticam exuamus, ut nihil velimus  admittere nisi quod iis rationihus assertum com-  prohatumque fuerit quas comprobativas consue-  vimus appellare. In omnibus enim illas expe-  tere iniustum profecto est » (pag. 207). Queste  parole ci sembrano per vero molto notevoli. Se  le prendiamo alla lettera, in esse il Fracastoro     GIROLAMO FRACASTORO 223     ci apparisce, come filosofo, inferiore a sè stesso,  e verrà il Descartes a ristabilire come legge  essenziale del metodo quel medesimo rigore  dimostrativo che stoici e peripapetici avevano  voluto. Tuttavia conviene ben rilevare come  anche in cotesto il nostro Autore, pur soste-  nendo una tesi opposta a quella del Pompo-  nazzi, sa ben distinguere, come questi aveva  insegnato a fare, ciò che può esser soggetto di  razionali dimostrazioni, e ciò che, non potendo  esserlo, va piuttosto confidato al sentimento ed  alla fede. Non v' è più qui la formula medio-  evale « intellectus quaerens fidem ; » e nemmeno  Taltra « /ides quaerens intellectum », ed in cote-  sta distinzione che assegna un campo separato  alla filosofia e alla fede, pur entrambe neces-  sarie a soddisfare un'imperiosa esigenza psico-  logica, tutti sanno che fu il principio di un  salutare rinnovamento oltreché scientifico, altresì  morale e civile.     III.   Del rimanente non è a dimenticare che  al tempo del Fracastoro quasi tutte le specu-  lazioni e discussioni che si facevano intorno     224     CAPITOLO OTTAVO     all' anima , aggiravansi principalmente intorno  all'immortalità. Ogni secolo discute quei pro-  blemi che più lo interessano, e non è a mera-  vigliarsi che in un' epoca in cui ridestavansi  i nomi e i ricordi gloriosi di antiche scuole  filosofiche, in cui si rinnovellavano le forme  letterarie ed artistiche dell' antica civiltà greca  e romana , si cercasse con ansia profonda in  quei ricordi, presso quei letterati, nei libri di quei  filosofi, la conferma o la liberazione da quei  dogmi che per secoli avevano occupato le menti  di ognuno. Così avviene che di tutta la psicologia  di Aristotele, la sua dottrina intorno alla doppia  natura del Noo, da cui sembrava potersi con-  chiudere, rispetto all'anima, ora che ella è, ora  che non è mortale, era stata fra le altre parti  della sua dottrina la più dibattuta da commen-  tatori e filosofi ; è i nomi stessi di aristotelismo  e di platonismo si prendevano ormai come in-  segne di guerra, secondochè si mirava ad oppu-  gnare 0 a difendere 1 dogmi cristiani. Indi le  guerre tra aristotelici ed antiaristotelici; e tra  gli aristotelici stessi gli uni si sforzavano an-  cora di tirare le dottrine del maestro, come  avea fatto la scolastica, a razionale dimostra-  zione di rispettate credenze, gli altri invece  francamente vi si ribellavano, ma tutti facevano     GIROLAMO FRACASTORO     225     segno de' loro studi più assidui quei luoghi  d'Aristotele che più da presso si riferivano  alle supreme quistioni del loro tempo. Ed ecco  perchè anche la psicologia del Pomponazzi si  svolge principalissimamente intorno all'immor-  talità , come pure intorno alla stessa quistione  si agitano, pressoché esclusivamente, tutti i  suoi contraddittori o sostenitori, come il Nifo,  il Contarini, il Fracastoro, l'Achillini, il Porzio,  il Zabarella infìno al Cremonini e al Cesalpino ;  e in generale tutti coloro che più o meno par-  tecipando al moto impresso dal Pomponazzi,  svolsero o rifecero, sulle tracce d' Aristotele, la  psicologia del Rinascimento.     IV,   Premesse le quali- cose, veniamo ora a più  particolareggiato esame di questo dialogo del  Fracastoro. Sono i medesimi personaggi che  avevano si dottamente ragionato dell'intellezione,  i quali ora prendono parte alia nuova discussione  intorno all' anima, ed incomincia a parlare il  Fracastoro, protagonista del dialogo. Pel cui svol-  gimento, quasi dramma intellettivo, l'autore non   IS     226 CAPITOLO OTTAVO   manca in prima di tratteggiare la mirabile  scena naturale ove egli e i su oi compagni si tro-  vano, al cospetto di tante bellezze naturali di  acque, di monti, di luoghi boscosi ; e tutto ciò  risuscita in loro l' immagine degli antichi filo-  sofi greci, che contemplando la viva natura  s' ispiravano alle sublimi loro speculazioni. Tal-  ché pieno dei ricordi e delle idee greche, il Fra-  castoro che sin dal principio cita Teofrasto per  la somiglianza del luogo ove egli ed i suol amici  erano radunati con altro luogo da quello de-  scritto nell'Arcadia, così soggiunge: « De anima...  nostra cum sinais haUturi sermonem^ in qiiam  videtur musica latentem nescio quam vim et  consensum habere, apte quidem fiet si aliquan-  tis per nunc ecccitetur in noUs. » Ed alcuni carmi  cantati dal solito garzonetto, accompagnati dal  suono della cetra, danno l' ispirazione e l' in-  tonazione del dialogo. Perocché in tali versi  si canta del felice giovine che rapito da Giove  e dato per compagno ad Ebe, cambia la terrena  dimora con V eterna giovinezza dell' Olimpo.   Questo congiungere insieme la poesia e la  filosofia (pur tenuto fermo quanto sopra abbiam  detto sulle diverse e talora opposte ragioni  della scienza e dell ' arte ) è uno dei feno-  meni a mio giudizio più ragguardevoli che     GIROLAMO FRACASTORO 227   SÌ manifestano in taluni dei più grandi inge-  gni dei Rinascimento, compreso il Bruno stesso  che sì altamente e filosoficamente poetava. In-  vero r Italia era allora tutto un popolo di  artisti ; e dell' arte si facevano ben sovente  ispiratori e maestri i filosofi. Tal fenomeno me-  riterebbe un più lungo studio, che qui non è  il luogo nemmen di accennare, perchè troppo  ci allontanerebbe dal nostro fine principale ;  però piacemi almeno di riferire un saggio della  poesia filosofica del Fracastoro, osservando che  se allora ì' arte e l' ispirazione del sentimento  tenevano il luogo delle dimostrazioni filosofiche,  ben potremmo augurarci che oggi all'inverso,  di tanto mutati i tempi, la filosofia e la scienza  valessero a dar vita ad un' arte e ad una poesia  nuova, quando tutti oggi sono concordi a lamen-  tare la decadenza della poesia e dell'arte. Eceo  ora la poetica finzione del Fracastoro :   Ne timeas, Troiane fiier, quod in ardua tantum  Tolleris a terra: quod rostro atque unguihus uncis  Te complexa ferox volncris per inania portai.   Audisti ne unquam sublimis nomen Olympi ?  Audisti ne Jovis, tonitru, qui fulmina torquet ?. . . .   nie ego sum, non haee te volucris, sed Juppiter est, qui  Haud praeda captus, diari sed amore nepotis  In summum amplexu innocuo te portai Oìympum.     228     CAPITOLO OTTAVO     Astra ubi tot spedare soìes, uhi pulcher oUt Sol  Oi-tusque occasusque siios, ubi candida noctes  Currit Luna nitens, auroram Lucifer anteit.   Hic ego te in numero superum domibusque Deorum,  Ver ubi perpetuum, felix ubi degitur aetas  Aeterna et semper viridis floreìisriiie iuventa,  Consistam, aequalemque annis pubcntibus ITeben  Officioque dabo comitem   .Pone metum, dilecte Jovi, melioraque longe  Frospiciens, charam pucr obliviscere Troiani ;  Neve Deim te iam et divorum regna petentem  lilla canum, aut Idae nemorosae cum sequatur.     Y.   Tale dunque è la poetica introduzione al  trattato dell' anima. Ma l' autore entra subito  in materia, e ricerca intorno all'anima due cose :  quale ella sia « qualis nam sit^ » cioè s' ella  sia eterna ed immortale o no; e che cosa sia  « quid sit, » cioè la stessa sua natura. Con  rapida analisi egli raccoglie tutti gli elementi  che la riflessione filosofica scorge nel concetto  che tutti possiedono dell' anima, intesa co-  me principio della vita , e che da Aristotele  erano stati cosi ampiamente dibattuti e venti-  lati. Percorre tutti i gradi della vita, e non  si ferma all' antica distinzione delle specie di  anime che corrispondono alle celebri facoltà     GIROLAMO FRACASTORO     229     aristoteliche di nutrizione, sensibilità, locomo-  zione, intelligenza, pur fra loro concatenate in  modo che non sia possibile la funzione superiore  se non siano state prima attuate le funzioni in-  feriori; ma sviluppa inoltre il principio stesso  della vita, separandolo, più distintamente forse  che non avesse fatto lo stesso Aristotele, dalle  varie operazioni, procedenti da altre cause, che  concorrono a manifestarlo. In ciò la sua espe-  rienza di medico e 1' erudizione eh' egli posse-  deva delle dottrine vitalistiche e animistiche  emesse da fisici e medici insigni, come Andro-  nico e G-aleno, ch'egli ricorda, lo pongono in  grado di meglio determinare il principio stesso  della vita, procedendo per eliminazione di tutto  quanto apparisca insufficiente a spiegare una  forza 0 potenza di tanto mirabile efficacia. Così  egli esclude che bastino a dar ragione della vita  la naturai complessione delle parti d'un corpo  organico, considerando quelle piuttosto come  strumenti indispensabili che come vera ed intima  causa ; esclude quella temperatura o mescolanza  di umori e queir armonia o consenso delle mem-  bra su cui pur tanto si erano fermati gli  antichi, scorgendo in tutto ciò piuttosto un rap-  porto da cosa a cosa, che un principio unico  ed attivo delle operazioni • esclude infine quegli     230 CAPITOLO OTTAVO   Spiriti che eia altri fiiron cliiamati vitali, o il  calor naturale, parendogli questi cosa ben dif-  ferente da ciò che è propriamente forza vivente  e pensante. Ma allora che cosa è 1' anima, come  principio della vita, sia vegetativa, sia sensitiva^  sia intellettiva ? E qui il Fracastoro torna esat-  tamente ad Aristotele, la cui celebre definizione  dell' anima, fu ripetuta per tutto il medio evo,  ed in tutto il periodo del rinascimento, « nè an-  cora, al dire del Fiorentino, se n' è potuta esco-  gitare una migliore » (Pomponazzi, pag. 26.)  A dir vero, quella stessa definizione aristotelica,  essere cioè V anima V entelechia prima di un  corpo fisico, organico, che ha la vita in potenza,  non era forse la più persuasiva, a cagione del-  l' oscurità di queir entelecheia che ha dato luogo  a tante discussioni e interpretazioni ; tuttavia il  Fracastoro si adopera per illustrarla, e la esplica  coi concetti di forma sostanziale e di atto mo-  tore, e poi di forza organizzatrice ; dei quali  i primi due erano il risultato delle teorie ari-  stoteliche, il terzo dovea essere il punto di  partenza delle nuove speculazioni che si vennero  svolgendo per tutta la filosofia moderna, dallo  spirito puro cartesiano sino alla monade Leibni-  ziana :«.... Aristoteles quidem volens animae  naturam et rationem eocplicare^ entelechiam     GIROLAMO FRACASTORO 231   vocavìt , qiiam alii agitationem continuam, alìi  actum transtulere : est ennn anima propria  forma corporis organici, naturalis, viventis sed   QUATENUS INFLUIT VIM ET AGITATIONEM IN TOTUM!   prìmuin enim tum esse dat, tum conservationem  continuam ; per ipsam deinde fiunt attractiones  similiiim, aggenerationes, et alimenta qualitates  in virtute illius alter ant , miscent , collocante  formant, figttrant . . . . et tandem progressìones  animalium , generationes semìnum , et demum  similium organizationes : quae omnia fiunt in  virtute animae et formae per eam vim quam  a mundi anima ed a Beo certam et nunquam  errantem recepit » (pag. 209).   VI.   Non si poteva concepire in una forma più  elevata e universale questa forza efFettrice della  vita, qualunque essa siasi (dacché la sua essenza  ci sfugge, come ci sfuggono tutte le ultime  ragioni delle cose) ; ne la dottrina di Aristotele  poteva avere un più chiaro e sincero interprete.  Ancora è da notare come il Fracastoro, da buon  naturalista eh' egli era, presente qui l' unità  della vita nell' universo, ma riferendo 1' anim<a     232     CAPITOLO OTTAVO     dell' uomo all' anima del mondo ed a Dio, non  conclude in favore di un assoluto panteismo, idea-  le 0 materiale , eh' era pure stato il retaggio  di alcune scuole antiche, ne partecipa a quelle  fantastiche animazioni che si riscontrano, come  altrove notammo, in alcuni filosofi del rinasci-  mento ; bensì la stessa sua sobrietà e temperanza^  che anche altrove abbiamo avuto occasione di  porre in rilievo^ lo trattiene dal trascendere ad  affermare quanto non fosse il semplice bisogno di  concepire la natura come un tutto organizzato e  vivente. Il quale bisogno fu pure altamente  sentito in tutto il Kinascimento. Ma se si con-  fronti questa semplicità e diremmo quasi buon  senso del Fracastoro, con le stravaganze che  intorno all'anima del mondo ebbe dichiarato  Cornelio Agrippa nei libri « De Occulta Philo-  sophia ; » con le cose astruse e sottili che sì leg-  gono nella « Pampsychia » del Patrizzi, nel  « De SuUitilite » Cardano, nel « Messaggero »  del Tasso ; e in fine con le idee trascendenti  enunciate nei libri « De Causa » e nella « Cena  delle Ceneri » del Bruno e nel «• De sensu re-  rum et Magia » del Campanella, si vedrà quanto  l'azione moderatrice del Fracastoro fosse oppor-  tuna per volgere senza scosse la filosofia del suo  tempo dal formalismo d'Aristotele al naturalismo  de' nuovi tempi.     GIROLAMO FRACASTORO 283   Però la definizione aristotelica dell'anima  abbracciata dal Fracastoro non risolve una difl5-  coltà, anzi una contraddizione sostanziale che qui  sorge improvvisa. L'anima, essendo per Aristotele  forma sostanziale del corpo è indisgiungibile da  questo, come egli ebbe risolutamente affermato  in più luoghi, e segnatamente in quello notis-  simo del Lib. II cap. 1 § 12 «De Anima. » Ne  perciò Aristotele ebbe anco il pensiero di voler  indagare la possibilità di un' esistenza separata  dell' anima. In tutto il suo sistema materia  e forma costituiscono nella realtà una sola cosa,  entrambe sono egualmente necessarie ed inse-  parabili, essendo la materia la potenza della  forma, e la forma atto della materia, talché dove  è materia è forma, e dove è forma è altresì  materia. Tuttavia questa unione e compattezza  della materia e della forma, che costituisce uno  dei cardini del sistema aristotelico, vien rotta  allorché dalla realtà applicata al conoscimento,  deve la teorica d' Aristotele adattarsi a spiegare  il modo con cui si effettua in noi la cognizione,  mediante la stessa materia e la stessa forma.   Invero la materia, secondo la teoria eredi-  tata da Platone , e che non pertanto torna  meno sostenibile nel sistema aristotelico, è in-  definita 0 indeterminatissima, perciò ella è     284     CAPITOLO OTTAVO     inconoscibile in sè stessa, come vlen dichiarato  nella metafisica. La cognizione invece è data  dalla forma; vi è però in questo una intrin-  seca difiìcoltà , perchè la forma educendosi  dalla potenza della materia, parrebbe che la  inconoscibilità di questa dovesse rendere meno  accettevole la conoscibilità di questa. La diffi-  coltà si aggrava quando la materia e la forma  si considerino in quei due termini estremi di  tutta la nostra conoscenza che sono l' individuo  e r universale. Questi due termini rimangono  inconciliabili nel sistema d' Aristotele, e dì qua  la prima sorgente di tutte le opposte direzioni  date alle varie parti della sua dottrina, alle  quali questo primo principio, per la stessa com-  pattezza del sistema, generalmente si distende.  Invero l' individuo è sensibile, V universale è  intelligibile, secondo la teorica fondamentale  d'Aristotele che pure altrove abbiamo richia-  mata ; intanto l' individuo che dovrebbe parte-  cipare della inconoscibilità della materia , è  tuttavia per lui il sinolo di una materia e di  una forma, ma partecipa di più della incono-  scibilità della materia a cui è più vicino ; l'uni-  versale invece nella sua massima forma rimane  assoluta conoscenza, ossia pura forma, senza  mistione alcuna di materia, cioè Dio. Li tal     GIROLAMO FRACASTORO 235   guisa si viene a separare per la prima volta la  materia dalla forma, dappoiché è manifesto che  mentre tutte le altre forme^ eccetto la massima^  si compenetrano nella materia, rispetto alla no-  stra conoscenza si ammette una forma pura  che viene ad essere per così dire divorziata  dalla materia.   E' questa veramente una contraddizione del  sistema d'Aristotele, la quale chi ben consideri^  non va attribuita a difetto del genio smisurato  di lui, ma accusa piuttosto una di quelle intime  ripugnanze che si ritrovano in fondo a tutte  le analisi più profonde del pensiero metafisico,  e che avrebbe dato luogo più tardi alla nega-  zione del principio di causa per parte dell'Hume,  e al riconoscimento di quelle intrinseche anti-  nomie le quali dovevano essere messe in evi-  denza dall' acutissima mente del Kant nella  critica della ragion pura. Ora questa stessa con-  traddizione trasportata per necessaria conse-  guenza di sistema nella investigazione della  natura dell'anima, dà luogo alla strana ambi-  guità di Aristotele intorno alla immortalità ed  alle controversie infinite che ne derivarono. Pe-  rocché mentre dalla definizione sopra riferita  dell'anima dovea dedursi che questa non essendo  disgiungibile dal corpo non potesse avere una     286     CAPITOLO OTTAVO     esistenza separata, e perciò dovesse dileguarsi  e perire, clie dir si voglia, al morire o disfarsi  del corpo, ecco invece che vien dicliiarata ad  un tratto capace di separata esistenza, e perciò  immortale. Ciò è chiaramente detto da Aristotele  in altro luogo pur celeberrimo del IT. libro  « De Anima » ove è detto che /' intelletto e la  potenza pensante senibra essere un altro genere  di aniìna e questa sola potersi dare che sia se-  parata, come V eterno dal perituro (cap. 2 § 9).  Adunque, stando alla antecedente definizione  dell' anima (che pare dovea comprendere tutti  i generi di anime) anche l' intellettiva avrebbe  dovuto concludersi mortale ; ma giunto a questo  Aristotele si arresta, e ripigliando il cammino  dalla teorica della conoscenza e dalla forma  pura, come sovra V abbiamo esposta, che si può  concepire separata dalla materia, conclude che  si può dare, èvSéxexat, anche un'intelligenza se-  parata, e perciò immortale. Questa conclusione  sembra tanto più inaspettata inquantochè egli  aveva fatto scaturire 1' anima intellettiva dalle  potenze inferiori ; allo stesso modo che tutte le  forme erano implicate nella materia ; e tuttavia  non ostante l' antinomia delle parti, egli è in  fondo coerente all' insieme del suo sistema, per-  chè l'intelletto che si dice ora separato vien     GIROLAMO FRACASTORO 237   fuori in forza di quel medesimo ragionamento  che, nel processo conoscitivo dall' individuo al-  l'universale, gli avea fatto concepire la possibilità  di una forma pura separata da ogni materia  che spiegasse 1' universale. Tale per sommi capi  è la teorica di Aristotele che qui ci siamo sfor-  zati di ridurre alla suprema possibile chiarezza  traendola fuori dal viluppo delle ragioni opposte,  specialmente de' commentatori , e mostrandola  come un prodotto logico del suo sistema. Nè  bisogna dimenticare inoltre che in tutta cotesta  controversia Aristotele stesso non è abbastanza  esplicito, e ciò diede luogo ai commenti infiniti  degli espositori.   VII.   G-li aristotelici avevano dunque un bel di-  battersi fra queste due opposte conclusioni ; il  problema era insolubile. Invero tanto potevano  aver ragione coloro che avrebbero voluto sfor-  zare Aristotele ad esser logico fino in fondo,  traendo dall' inseparabilità dell' anima dal corpo  la prova della mortalità della medesima, tanto  coloro che dalla forma e dall' intelletto separato  concludevano per l' immortalità. Ed è cosa nota     CAPITOLO OTTAVO     nella storia che mentre i Dottori delle scuole  stavano per questa sentenza, quasi tutti i com-  mentatori non scolastici, e Alessandristi e Averroi-  sti, conchiudevano per la prima opinione, anche  prescindendo dalla dottrina dell' intelletto sepa-  rato come contraria alla definizione generale  dell' anima. Il vero si è che cotesti erano sol-  tanto ragionamenti a priori^ nè la natura del-  l' argomento ammetteva la possibilità di quella  esperienza che ormai da tante parti , e dal  Fracastoro stesso, si contrapponeva alle astratte  speculazioni. Bisognava dunque contentarsi di  queste o abbandonare la controversia. Tuttavia  notammo già che il problema s' impone, alla  umana coscienza e non è di quelli che special-  mente in un tempo in cui sì gran parte dell'edificio  morale e civile e religioso riposava su di esso,  avrebbero potuto evitarsi. Se il sistema d'Aristo-  tele era impotente a risolvere un siffatto problema  bisognava sciogliersi dal sistema, ed allora a che  affidarsi ? La quistione, come altrove notammo,  era stata ben posta dal Pomponazzi , la cui  dottrina ci piace qui riassumere con le cospicue  parole del Ferri nella altre volte citata sua  Opera : « Se volete, dice essa, una dimostrazione  dell' immortalità, la filosofia non ve la dà, nè  ve la può dare ; ammessa invece la verità rive-     GIROLAMO FRACASTORO     239     lata, la religione ve la fornisce, domane! alela  ad essa » (pag. 219). Ora, il Fracastoro come  si comporta ? Egli è, a nostro avviso seguace  giudizioso del suo Maestro, perchè è ben vero  che egli difende V immortalità la quale il Pom-  ponazzi fllosoflcamente impugnava, ma sentendo  r insufiScenza de' ragionamenti filosofici, franca-  mente ricorre a quella religione stessa che pure  il Pomponazzi aveva additata. Infatti, oltre a  quanto fu già rilevato in principio, ch'egli non  prometteva dimostrazioni filosoficamente rigo-  rose ; qui, dopo percorse e ripetute le ragi oni  d'Aristotele secondo la interpretazione scolastica,  assai modestamente e quasi dubitativamente  conchiude esser là tutto quella che sembravagli  potersi addurre in favore della sua tesi: « atque  haec quidem sicnt quae de perìpateticorwn penu  ediici posse videntur.... ; » Di più confessa an-  cora per bocca del suo interlocutore, che non  poche cose potrebbero tuttavia revocarsi in  dubbio : « Non panca certe sunt quae si conten-  tiosi esse velimus possint adirne in diihium  verti » (pag. 215). Ond' egli da questo punto  abbandona addirittura il campo della filosofia  per entrare in quello della teologia, e quando  viene a parlare, pur tentando di risolvere quei     240     CAPITOLO OTTAVO     dubbi, di Dio e dei fini della creazione, così  dell' uomo , come di questa meravigliosa mac-  china mondana ; e di poi della beatitudine degli  angeli, della generazione del Cristo, della vita  e dello spirito dei santi (pag. 209 e passijn) egli  manifestamente non parla più come filosofo ma  soltanto secondo religione, e non fa nè può  far altro che ripetere le argomentazioni dei  teologanti ; nelle quali, come è giusto, noi in-  competenti non lo seguiremo.     XIII.     Non di meno l' interpretazione che il Fra-  castoro dà alle dottrine di Aristotele, ci porge  argomento di esaminare alcun' altra cosa che  non è senza importanza per rispetto alla storia  della filosofia e in particolare dell'Aristotelismo  nel rinascimento. L'entelecheia d'Aristotele, oltre  alle altre discussioni, aveva dato luogo a dubbi  intorno all'unità dell'anima e del corpo umano ;  perocché, si diceva, se 1' anima è 1' atto e la  forma del corpo organico, naturale, vivente,  secondo le parole dello Stagirita, essendo co-  testo corpo organico non vera unità, riunione  di più membra tanto diverse quanto sono le     GIROLAMO FRACASTORO     241     ossa dai muscoli, dai nervi, dalle vene, e così  di seguito, come può l'anima essere una forma  unica applicandosi a forme tanto diverse ? E qui  l'acume de'commentatori d'Aristotele si era assai  ingegnato di trar fuori 1' unità dell' anima, in-  colume, e quale è attestata dalla coscienza, dalla  molteplice varietà delle forme corporee di cui  doveva essere l'atto e la vita. Gli uni avean  detto che l' unità dell' anima dee intendersi  soltanto w genere, pur differendo le membra  nelle specie; come più animali, ad esempio  r uomo, il cavallo, il bue, costituiscono un ge-  nere unico, differenti ssimi rimanendo nella spe-  cie : dove ognun vede che, se così fosse, l'unità  dell' anima sarebbe fondata soltanto sopra un  concetto mentale; ma realmente nient' altro  sarebbe che un' astrazione eduna chimera. Altri  poi dicevano che in ogni corpo organico vi è  sempre una parte che è principale rispetto alle  altre, anzi queste son fatte per quella e gover-  nate da quella, onde 1' anima non è necessario  che si intenda esser una rispetto a tutte le parti  del corpo, ma soltanto rispetto a quella che è  la principale, e così 1' anima è unico atto od  unica forma di un' unica organica potenza,- la  quale ha virtù di dare la vita al tutto. Questa  risoluzione sembra al Fracastoro più vicina alla     242 CAPITOLO OTTAVO   verità del nesso fisiologico che è fra le membra^  e Clelia loro subordinazione: tuttavia non lo  ai)paga compiutamente^ e ci sembra notevole ii  principio che egli ora introduce per definire la  controversia. Anche le parti principali, die' egli  con profonda dottrina e con acuto spirito di  osservazione, sono parecchie, onde 1' unità non  può risultare dal solo fatto che una di esse è  la principale. Ma da che cosa risulterà dunque?  Balla loro continuità, egli rlice, perchè ogni  xmità non sì può altrimenti intendere che come  continuità; « Principale» siquidem partes, quam-  quam plures sint, fiuntper continuationem unum:   OMNE ENIM CONTINUUM EST UNUM » (pag. 209   verso). Questo principio ci pare notevole perchè  fa presentire V analisi profonda che del concetto  di unità fu fatto da filosofi posteriori sino allo  Spencer, il quale ne' « Primi principi » svilup-  pando il concetto che è già cosi chiaro nel  Fracastoro, dimostra che (.gni unità è continuità  di parti,, perchè 1' assolutamente uno è impen-  sabile. E se il Fracastoro avesse sostituito alla  continuità delle parti del corpo organico la con-  tinuità degli stati di coscienza (e ognun sente  il nesso . logico che dovea condurre da quella  a questa) avrebbe posto una delle pietre ango-  lari della psicologia moderna. La quale, come     GIROlAMO FRACASTORO     243     ognun sa, si è costituito per proprio oggetto  appunto r esame della successione di quegli  stati, di cui il processo cerebrale e le parti orga-  niche sono la causa occasionale, mentre la co-  scienza n'è il legame indispensabile ; e dall'analisi  descrittiva di tali stati di coscienza, dal più  semplice al più complesso, fa scaturire quella  grande unità che è la nota più caratteristica  nella natura e nella vita dello spirito.     XI.   Altro punto importante della psicologia fra-  eastoriana ci sembra quello ove, pur mantenendo  assoluta la diversità dell'intelletto dalla materia,  riaccosta tuttavia l'uno all'altra, per dimo-  strare come l' incorruttibilità del primo non dee  intendersi altrimenti che quale conservazione  di una energia sostanziale, allo stesso titolo per  cmì si ammette indistruttibile ed eterna la mate-  ria. Nulla si crea e nulla si distrugge, è il prin-  cipio antico, cui ritorna il Fracastoro, dopo le  negazioni alle quali per il falso concetto dell'atto  creativo erano venute la scolastica e la teolo-  gia medioevale. Ma tale principio rimesso in  Qnore anche da altri filosofi e scienziati del     244 CAPITOLO OTTAVO   rinascimento, manifestamente segna un grande  progresso, e già accenna a quella legge univer-  sale e feconda della conservazione e trasforma-  zione dell' energia, che tanta importanza ha  assunto nell'indirizzo e nelle scoperte della  scienza moderna. Non diremo che nelle dottrine  del Fracastoro si giunga sino a questo, e che  ciò possa avere virtù risolutiva rispetto alla  quistione dell' immortalità ; nondimeno ci par  nuovo, bello e fllosoflco il pensiero da cui egli  è guidato, e ci piace rilevarlo : « Procul dubio,  die' egli, idem de intellectu dicendum erit quod  de materia, et utrumque incorruptibile et aeter-  num esse. » E ripete poco stante : « Quare et  incorruptibilem ponere intellectum debemus, et  parem habere cum materia conditionem » (pagi-  na 213 verso). Ed infine ci pare manifesto che  rispetto alla tesi ultima che il Fracastoro . voleva  sostenere, vale a dire V immortalità, egli abbia  inteso come non dall' astrazione o separazione  dell'intelletto dalla materia, (su cui si fondavano  quasi tutti gli altri aristotelici sostenitori dell'im-  mortalità stessa) ma dal loro accomunamento era  lecito dedurre quanto di più filosofico si poteva  dire suir argomento. Onde anche in ciò il Fra-  castoro dà prova così di grande acume d'inge-  gno come di retto criterio filosofico ; ed è forse     GIROLAMO FRACÀSTORO     245     questo il solo punto in cui egli, contrapponendosi  alla dottrina del Pomponazzi, ben si appone,  perocché se non riesce a dare una dimostrazione  della immortalità, che egli stesso abbastanza  esplicitamente ha confessato la filosofia non pò-  ter dare; toglie almeno quella rude contraddi-  zione che non avea dubitato di accogliere il  Pomponazzi, ammettendo potersi credere cristia-  namente quello che filosoficamente avea negato.  Questa massima strana, è tanto inconcepibile,  che fra gli stessi storici della filosofia vi fu chi  stimò non sincero il Pomponazzi come cristiano,  ad esempio il Brucker, il quale scriveva che  ha una fede eroica chi crede sincero l' osse-  quio onde fa mostra il Pomponazzi verso la  religione cristiana; mentre altri invece, come  il Bitter, stimò il Pomponazzi non sincero  0 almeno non coerente o non convinto come  filosofo. Tale incoerenza non sarebbe stata pos-  sibile al Fracastoro, la cui temperanza e il  retto criterio filosofico aveano fatto scorgere  il giusto punto fin dove filosofia e religione  sarebbero andate d'accordo, e al di là del quale  alla religione, non alla filosofia, sarebbe stato  lecito procedere sola. Sola ma non avversa ;  perchè quello che la filosofia avesse dimostrato  assurdo, ninna religione potrebbe mai dare a     246 CAPITOLO OTTAVO   credere, e ciò che si stima verità religiosa  (leve non poter esser dimostrato falso in filosofia.  Ecco perchè il Galilei, impigliato egli pure in  quistioni religiose, doveva affermare più tardi  che « due verità non possono mai contrariarsi ; »  intendendo per tali la verHà filosofica e la re-  ligiosa ; e fii pure il GFalilei quegli che riuscì a  rivendicare totalmente alla filosofia ed alla scien-  za la sua autonomia contro le antiche invasioni  religiose e teologiche. Il Fracastoro adunque,  seguace del Pomponazzi nello sceverare il cri-  terio filosofico dal religioso, è più logico e più  accorto di lui nel non mettere in contraddizione  F uno coir altro, ma piuttosto nel segnare il  confine d^ ambedue. E poiché in filosofia come  in religione e in morale e in politica, tutte le  quistioni più gravi sono principalmente qui-  stioni dì confini, così ci pare notevole che  il Fracastoro abbia colto precisamente quei  punto, in cui trovandosi la religione non con-  traddetta dalla filosofia, e offrendo questa ben  largo campo ad altre ricerche, potevasi at-  tendere ben altro sviluppo da un concetto alta-  mente filosofico , quale era quello dell' energia  sostanziale e della forza, il quale sviluppo si  ebbe di fatto in tutta la filosofia posteriore  fino allo Spinoza e al Kant ed all' Hege).     GIROLAMO FRACÀSTORO     247     Senza caddentrarci più oltre in questo speciale  iirgomento, che eccederebbe i limiti del nostro  studio ed il nostro bisogno, stimiamo opportuno  confortare la nostra opinione con le belle parole  del Ferri, da lui poste come conclusione del suo  sapiente esame intorno alle dottrine psicologiche  del Pomponazzi , e che a noi pare conven-  gano pienamente anche a quelle del Fracastoro :  « Accomunati nella energia, manifestazione della  forza, r anima e il corpo, l' interno e 1' esterno  non sono più estranei 1' uno all' altro. Intesa  secondo questo rapporto la materia, può essere  sede e condizione perpetua della vita e dello  spirito senza contraddizione, e 1' anima umana  può aspirare all' immortalità senza che il feno-  meno sensibile, falsamente trasformato in cosa  sostanziale ed esistente per sè, opponga a que-  sta aspirazione un ostacolo insuperabile » (La  Psicologia del Pomponazzi, in fine).     X.   Molte altre cose avremmo ad aggiungere  intorno a questo Dialogo del Fracastoro se vo-  lessimo per disteso riferirne tutto il contenuto;  ma avvertimmo già che nell' esame degli autori     248 CAPITOLO OTTAVO   ed in argonìento come quello che stiamo trat-  tando, è da cogliere la sostanza delle dottrine,  e in quella parte soltanto che, vivificata da studi  posteriori, poteva esser cagione di nuovi avvia-  menti, e render ragione dei progressi ulte-  riori della scienza. Tutto il resto può essere  abbandonato all' oblio. Nel Fracastoro, se non  ci inganniamo, è manifesta ormai abbastanza,  per quanto si è detto fin qui, la somma delle  sue dottrine suU' anima. L' intelletto umano ,  come complesso di tutta quella varietà di ope-  razioni che erano state da lui dichiarate nel Dia-  logo precedente, è qui raccolto e sintetizzato,  per così dire, in un' entità separata, che ha  qualche cosa di divino, perchè fornita di quella  virtù di pensare che è la suprema manifesta-  zione della vita e dell'ordine dell'universo.  Talché in certo modo tutto è intelletto e tutto  si compendia neir intelletto : « mtellectus omnia   quodammodo fieri potest Si igitur omnia   fieri dehet intelledus, et in potentia esse ad  omnia susceptiUlia, separatimi et aUtractum  necesse est.... » (pag. 214). Tale intelletto sepa-  rato, che è come l' essenza stessa dell' anima  umana a cui è peculiare, a differenza delle  anime belluine o semplicemente vegetative che  ne sono sfornite, fa sì che la stessa anima umana     GIROLAMO FRACASTORO - 249   sia dotata delle virtù che a quello som proprie,  onde l'anima, come l'intelletto, può essere con-  cepita qual forma separata dal corpo, ed essere  pertanto una, non ostante la moltiplicità delle  sue funzioni, ed immortale non ostante il suo  legame col corpo corruttibile. Belle sono inoltre  le parole e le imagini che nel Fracastoro qua  e là ricorrono per armonizzare in un tutto questi  elementi discrepanti che convergono a spiegare"  r intelletto e V anima umana ; e quando , ad  esempio,, esamina, secondo un paragone allora  divulgato, se l' animo si congiunga col corpo  come il nocchiero colla sua nave ; ovvero se sia  tal parte di noi che solo da esso dipenda tutto  r esser nostro : « utrum ille assistat nohis, que-  madmodum nauta, ut aiunt, navi; an magis  nostri sit ita pars, ut esse illud , quod quisque  hahet ab ilio detur {psig. 216 verso); quando  discute in che modo possano stare insieme e  formare un tutto solo, un atto o forma indi-  visibile quale è l' intelletto, e una materia divi-  sibile quale è il corpo : « qiiomodo unum fieri  posse ex indivisibili actii et divisibili materia »  (pag. 219 verso ) ; quando ricerca con grande  sottigliezza il moto proprio dell'anima, e se  questo a lei sia sostanziale o accidentale secondo  le distinzioni aristoteliche, collegando il moto     250 CAPITOLO OTTAVO   di essa e di tutte le cose, coli' iaimagine della  catena omerica che tutto abiuracela e stringe  al primo motore (pag. 221) ; in tutto ciò, dico,  il nostro autore dà prova di grande vigore  speculativo, e se non tutte nuove sono le cose  ch'ei dice, tutte però rivelano in lui una mente  analizzatrice e ricostruttrice, tale da poter stare  al confronto cogl' ingegni più acuti e coi filo-  sofi metafisici più profondi del Rinascimento.  Da ultimo singolarmente importante dovea es-  sere quella parte del suo dialogo in cui dalle  altezze sin qui contemplate dell' anima e del-  l'intelletto umano , partecipazione dell' intelli-  genza divina , e attività originata dal primo  motore, egli intendeva discendere a dimostrare  il naturai principio di tutte le cose, la loro  produzione, origine e perfezione. Ancorcliè in-  volto nel preconcetto antropomorfico che pone  l'uomo quasi centro di tutte le cose «cuius grafia,  egli dice, reliqua alia facta et ordinata fiiere »  (pag. 222 verso) non può disconoscersi che con  mirabile sintesi filosofica egli si prova a riannoda-  re in un solo ordine tutte le cause dei fenomeni  naturali, e descrive la formazione delle cose. Argo-  mento bellissimo che tentò sempre V intelligenza  e la fantasia de' più grandi naturalisti e filosofi.  Certo, non abbracceremmo oggi le idee del Fraca-     GIROLAMO FRACASTORO -OA   storo SU tutte le formazioni naturali ; ma, quello  che è per noi più importante a notare, qui di  nuovo vediamo come accanto al filosofo risorge  in lui lo scienziato. Invero il Pracastoro intra-  prende a descrivere la formazione del sistema  celeste, il numero e la distribuzione delle sfere,  il soffio divino che animò il tutto, e poi man  mano le generazioni e le varietà delle piante^  degli animali, e da ultimo degli uomini, per  mezzo degli elementi naturali, quali il caldo il  freddo, le attrazioni e ripulsioni delle cose. In  tutto ciò il Fracastoro, per quanto pare a noi,  non ragiona come que' filosofi che avevano più  volte architettato a priori, e secondo certe loro  idee preconcette, il sistema della natura, ma  sebbene non alieno egli pure dalle tradizioni  bibliche, fa chiaramente sentire che l' ordine  dell' universo da lui intuito è semplicemente  il risultato delle cognizioni eh' egli mercè F e-  sperienza e con lo studio e l' osservazione di  tutta la sua vita, si era formato in astronomia,  in matematica, in fisica; ed egli in ciò procede  come geologo, come botànico , come medico^  come naturalista, o in una parola come scien-  ziato. Dalle quali cose si ha ancora una volta  confermato come nel rinascimento la parte vitale  delle speculazioni e dei sistemi filosofici fu quella     252 CAPITOLO OTTAVO   eh' ebbe a sostegno lo studio (lei fatti speri-  mentati nella natura, dai quali soltanto gl' in-  gegni più illuminati credevano oramai esser  possibile tentar di spiegare il passaggio dalla ma-  teria informe alle più alte manifestazioni della  vita e dello spirito. Problema immenso, tanto alto  e tanto complesso clie nemmeno ai dì nostri  si può dire di esser vicini al suo scioglimento;  non pertanto se fu almeno, fin dal Rinascimento,  dimostrato qual dovesse essere la via vera per  incamminarvisi, questo è dovuto a coloro che  vollero ritemprata la filosofìa nelle scienze. Ma  questa parte del Dialogo del Fracastoro, che  prometteva essere la sintesi sublime delle sue  cognizioni e delle sue idee filosofiche intorno  alla natura, all'intelletto ed all'anima, non  può se non accendere in noi un desiderio il quale  non può essere soddisfatto, percliè a questo punto  il dialogo stesso è rimasto tronco e interrotto  per la morte dell' autore.

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