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Monday, March 28, 2022

GRICE E FROSINI

 Il Gattopardo TEATRO STABILE, ROMA Il Gattopardo - forse il film più popolare di Luchino Visconti, tratto dal capolavoro letterario di Tomasi di Lampedusa - è ora anche uno spettacolo teatrale. L'inedita trasposizione scenica si deve al regista Gianni Giaconia, dal 1995 direttore artistico della sala di piazza Nerazzini, a un passo dalla più nota piazza dei Navigatori. Suo infatti il proposito di compiere una riduzione del romanzo da adattare alle scene.   COMUNICATO STAMPA di Giuseppe Tomasi di Lampedusa   riduzione teatrale di Vittorio Frosini   regia di Gianni Giaconia   musiche di Vittorio Giannini  scene di Luca Arcuri   Il Gattopardo - forse il film più popolare di Luchino Visconti, tratto dal capolavoro letterario di Tomasi di Lampedusa si deve al regista Gianni Giaconia, dal 1995 direttore artistico della sala di piazza Nerazzini, a un passo dalla più nota piazza dei Navigatori. Suo infatti il proposito di compiere una riduzione del romanzo da adattare alle scene, sua la scelta di approntare una singolare versione multimediale della celebre opera servendosi del testo messo a punto da Vittorio Frosini (e proprio in questi giorni uscito in volume presso Bulzoni editore) e di inserti cinematografici appositamente confezionati per l'occasione.   Nei centoventiminuti di questa originale edizione del Gattopardo riletto da Gianni Giaconia gli inserimenti segneranno - non senza una certa attitudine sperimentale e trasgressiva - alcuni passaggi della storia del principe Salina, da Tomasi di Lampedusa mirabilmente ritratta nel doloroso passaggio, sulla scia dell'impresa garibaldina, dalla Sicilia dei Borboni a quella dei Sabaudi, amaro volgere di un mondo che si vede scosso e abbattuto da nuovi fremiti, dove però resta valida la massima "se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi".   In scena, impegnati a sostenere le parti che nella memoria di ognuno di noi hanno ancora i volti e i modi di Burt Lancaster, Claudia Cardinale o Alain Delon (per limitarsi ai soli protagonisti principali), sono circa trenta attori, tra cui Giorgio Berini, Sergio Silvestro e Eleonora Zimei, nei ruoli - rispettivamente - del principe, di suo nipote Tancredi e della bella Angelica.   Siciliano di origine, Gianni Giaconìa si puo' considerare romano d'adozione. E' dal 1969 infatti che risiede nella capitale, dove - con il nome d'arte di Marcello Monti - ha iniziato la sua carriera d'attore proseguita tra palcoscenici e set per quasi tre decenni ininterrotti. In teatro, è stato diretto tra gli altri da Vasilicò, Fantoni, Sbragia, Vannucchi, Garrani e ha lavorato a fianco di Elsa De Giorgi, Gianrico Tedeschi, Salvo Randone. Tra le sue interpretazioni e partecipazioni cinematografiche e televisive, ricordiamo i film "Correva l'anno di grazia 1870" di Alfredo Giannetti (con Marcello Mastroianni e Anna Magnani, 1971) e "Ligabue" di Salvatore Nocita (con Flavio Bucci, 1978), oltre a varie pellicole con Maurizio Merli dirette da Marino Girolami (tra cui "Italia a mano armata" nel 1976), e soprattutto a "Fontamara" di Carlo Lizzani (con Michele Placido, 1980) dove Gianni Giaconia-Marcello Monti è Scarpone.   Ha esperienza di doppiaggio e di regia televisiva (per fiction trasmesse da televisioni locali siciliane).   Dal 1995 dirige il Teatro Stabile di Santa Francesca Romana, per il cui palcoscenico ha già siglato, tra le altre, le regie di "Processo a Gesù" di Fabbri, "Vita di Galileo" di Brecht, "La tempesta" di Shakespeare, realizzando spettacoli multimediali.   La trasposizione in linguaggio scenico di un testo narrativo - scrive Vittorio Frosini autore della riduzione teatrale de "Il Gattopardo" - obbliga ad esercitare sul testo originario un rifacimento, che è quasi una operazione di chirurgia estetica; anzi, si tratta di una metamorfosi da un linguaggio scritto in un linguaggio parlato e gestito, da una continuità discorsiva ad una serialità episodica. Nel procedere a questa manipolazione intellettuale ho dovuto affrontare il problema di una scelta tematica dei motivi presenti nell'opera romanzesca: ho dato perciò risalto ad alcuni di essi. Tale è il confronto fra la coscienza del principe e l'idea della morte, che viene anteposto agli altri momenti della vicenda; tale è il rapporto fra la condizione storica dei personaggi e l'irruzione dell'impresa garibaldina. Si tratta dunque di una libera sceneggiatura del romanzo, di una interpretazione di esso, e cioè di una lettura partecipe.   Vittorio Frosini è professore emerito dell'università La Sapienza di Roma, dove ha insegnato filosofia del diritto, sociologia giuridica e teoria dell'interpretazione. E' stato componente del Consiglio Superiore della Magistratura e Visiting Professor nelle università di Tokyo e di Harvard, ed è accademico della Real Academia di Spagna. E' autore di molti studi di carattere giuridico, pubblicati anche in diverse lingue straniere, e di numerosi saggi di carattere storico e letterario, dedicati in parte alla Sicilia.   Orario:  da martedì a sabato alle ore 20.45,  domenica alle ore 17.45;  Teatro Stabile S. Francesca Romana,  Piazza Nerazzini, Roma  tel: 06 5125531   Informazioni e prenotazioni: tel. 06.5125531  Biglietti: intero 25.000 - ridotto 20.000   Stagione 2000/2001 del Teatro Stabile S. Francesca Romana:   Dal 12 ottobre al 12 novembre 2000  Il Gattopardo di G. Tomasi di Lampedusa riduzione teatrale di Vittorio Frosini regia di Gianni Giaconia   Dal 21 al 26 novembre 2000  Goffredo Tofani (produzione da definire)   Dal 23 gennaio al 4 febbraio 2001  Compagnia Associazione Agitati prima dell'Uso L'uomo, la bestia e la virtù di Luigi Pirandello regia di G. Cirillo   Dal 20 al 25 febbraio 2001  Goffredo Tofani (produzione da definire)   Dal 27 febbraio all'11 marzo 2001  Compagnia I Bankarettisti Non ti pago di Eduardo De Filippo regia di Gennaro Sommella   Dal 13 al 25 marzo 2001  Compagnia I Buattari 'O scarfalietto di E. Scarpetta regia di Paolo Savini   Dal 27 marzo all'8 aprile 2001  Compagnia Corricorri Vin santo di Roberto Giacomozzi regia di Roberto Giacomozzi   Dall'1 al 13 maggio 2001  Compagnia Associazione Agitati prima dell'Uso L'importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde regia di Gaetano Cicoira   Dal 22 maggio al 3 giugno 2001  Compagnia Associazione Agitati Prima dell'Uso (una commedia da definire di E. Scarpetta) regia di Gaetano Cicoira  STAMPAPERMANENT LINK TEATRO STABILE IN ARCHIVIO [2]  WORDSTAR(S) DAL 7/1/2013 AL 19/1/2013Il Gattopardo romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando il film diretto da Luchino Visconti, vedi Il Gattopardo (film). «Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica in quattro e quattr'otto. Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi»  (Tancredi Falconeri, nipote di don Fabrizio Corbera, Principe di Salina) Il Gattopardo Incipit Gattopardo.jpg L'incipit manoscritto del Gattopardo Autore Giuseppe Tomasi di Lampedusa 1ª ed. originale 1958 Genere romanzo Sottogenere storico Lingua originale italiano Ambientazione Sicilia, 1861-1910, Risorgimentoitaliano Protagonisti Fabrizio Corbera Il Gattopardo è un romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che narra le trasformazioni avvenute nella vita e nella società in Sicilia durante il Risorgimento, dal momento del trapasso del regime borbonico alla transizione unitaria del Regno d'Italia, seguita alla spedizione dei Mille di Garibaldi. Dopo i rifiuti delle principali case editrici italiane (Mondadori, Einaudi, Longanesi), l'opera fu pubblicata postuma da Feltrinelli nel 1958, un anno dopo la morte dell'autore, vincendo il Premio Strega nel 1959,[1] e diventando uno dei best-seller del secondo dopoguerra; è considerato uno tra i più grandi romanzi di tutta la letteratura italiana e mondiale.  Il romanzo fu adattato nell'omonimo film del 1963, diretto da Luchino Visconti e interpretato da Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon.  Tema e storia editoriale Modifica L'autore contemplava da lungo tempo l'idea di scrivere un romanzo storico basato sulle vicende della sua famiglia, gli aristocratici Tomasi di Lampedusa, in particolare sul bisnonno, il principe Giulio Fabrizio Tomasi, nell'opera il principe Fabrizio Salina, vissuto durante il Risorgimento, noto per aver realizzato un osservatorio astronomico per le sue ricerche e morto nel 1885. Dopo che il Palazzo Lampedusa fu gravemente lesionato dai bombardamenti dalle forze Alleate durante la Seconda guerra mondiale e saccheggiato, l'autore scivolò in una lunga depressione.   Stemma di famiglia dei Tomasi Fu scritto tra la fine del 1954 e il 1957, l'anno della morte dell'autore - un erudito appassionato di letteratura, ma del tutto sconosciuto ai circuiti letterari italiani. Il manoscritto venne inviato alle case editrici con una lettera di accompagnamento scritta di pugno dal cugino di Tomasi, il poeta Lucio Piccolo. La spedizione della prima copia (una versione ancora parziale) avvenne il 24 maggio del 1956 da Villa Piccolo, indirizzata al conte Federico Federici della Mondadori. Lucio Piccolo stesso cercò di avere notizie circa l'esito della lettura del manoscritto da parte di Mondadori, inviando una lettera all'amico e collega poeta Basilio Reale, per sincerarsi se la lettura avesse sortito l'esito sperato.[2] Tuttavia, gli editori Arnoldo Mondadori Editore e Einaudi rifiutarono. Infatti, il testo, pur privo di alcuni capitoli, fu dato in lettura prima al conte Federici per Mondadori, poi a Elio Vittorini, allora consulente letterario per Mondadori e curatore della collana I gettoni per l'Einaudi, il quale lo bocciò per entrambe le case editrici rimandandolo all'autore, e accompagnando il rifiuto con una lettera di motivazione. L'opinione negativa di Vittorini, un clamoroso errore di valutazione, fu da lui ribadita anche successivamente, quando il Gattopardo divenne un caso letterario internazionale.  L'avventurosa pubblicazione avvenne solo dopo la morte dell'autore. L'ingegner Giorgio Gargia, paziente della baronessa Alexandra Wolff Stomersee, la moglie psicoanalista di Tomasi, si offre di consegnare una copia a una sua conoscente, Elena Croce. La figlia di Benedetto Croce lo segnala a Giorgio Bassani, da poco divenuto direttore della collana di narrativa I Contemporanei per la Giangiacomo Feltrinelli Editore, e che sollecitava gli amici letterati a segnalargli interessanti inediti[3]. Bassani ricevette dalla Croce il manoscritto incompleto, ne comprese immediatamente l'enorme valore, e nel febbraio 1958 volò a Palermo per recuperare e ricomporre il testo nella sua interezza: decise subito di pubblicare il libro[4], che uscì l'11 novembre dello stesso anno, curato da Bassani. Nel 1959, quando ricevette il premio Strega, la tiratura aveva raggiunto in solo otto mesi le 250 000 copie, divenendo il primo best selleritaliano con oltre centomila copie vendute[5]. La forza e l'importanza che ebbe il romanzo in quegli anni è testimoniato anche dalla battuta che Eduardo De Filippo nella commedia del 1959 Sabato, Domenica e Lunedì fa dire a Memè, la zia colta di casa Priore, la quale ammonendo i parenti troppo affaccendati nelle questioni quotidiane esce di scena ammonendoli al grido di "compratevi il Gattopardo!".  Il titolo del romanzo ha origine nello stemma di famiglia dei principi di Lampedusa, rappresentato dal Felis leptailurus serval, una belva felina diffusa nelle coste settentrionali dell'Africa, proprio di fronte a Lampedusa. Nelle parole dell'autore l'animale ha un'accezione positiva: «Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra». Tuttavia, proprio sull'onda del successo planetario del romanzo, sarebbe invalso invece un significato negativo, facendo dell'aggettivo "gattopardesco" l'emblema del trasformismo delle classi dirigenti italiane. A ben vedere, è anche vero che fu Tomasi stesso con le sue fiere parole a legare la parola a un significato ambiguo, quando prevede un destino di rassegnazione e di solo illusorio orgoglio per l'Italia futura[6].  Nel 1967 dal romanzo venne tratta un'opera musicale di Angelo Musco, con libretto di Luigi Squarzina.  Trama Modifica Il racconto inizia con la recita del rosario in una delle sontuose sale del Palazzo Salina, dove il principe Fabrizio, il gattopardo, abita con la moglie Stella e i loro sette figli: è un signore distinto e affascinante, raffinato cultore di studi astronomici ma anche di pensieri più terreni e a carattere sensuale, nonché attento osservatore della progressiva e inesorabile decadenza del proprio ceto; infatti, con lo sbarco in Sicilia di Garibaldi e del suo esercito, va prendendo rapidamente piede un nuovo ceto, quello borghese, che il principe, dall'alto del proprio rango, guarda con malcelato disprezzo, in quanto prodotto deteriore dei nuovi tempi. L'intraprendente e amatissimo nipote Tancredi Falconeri non esita a cavalcare la nuova epoca in cerca del potere economico, combattendo tra le file dei garibaldini (e poi in quelle dell'esercito regolare del Re di Sardegna), cercando insieme di rassicurare il titubante zio sul fatto che il corso degli eventi si volgerà alla fine a vantaggio della loro classe; è poi legato da un sentimento, in realtà più intravisto che espresso compiutamente, per la raffinata cugina Concetta, profondamente innamorata di lui.  Il principe trascorre con tutta la famiglia le vacanze nella residenza estiva di Donnafugata; il nuovo sindaco del paese è don Calogero Sedara, un parvenu, ma intelligente e ambizioso, che cerca subito di entrare nelle simpatie degli aristocratici Salina, mercé la figlia Angelica, cui il passionale Tancredi non tarderà a soccombere; non essendo una nobile, Angelica non avrà immediatamente il consenso di don Fabrizio, ma grazie alla sua travolgente e incantevole bellezza riesce a convincere casa Salina e a sposare Tancredi. Inoltre Calogero Sedara, il padre di Angelica, fornisce alla figlia nel contratto matrimoniale tutto quello che possiede.  Arriva il momento di votare l'annessione della Sicilia al Regno di Sardegna: a quanti, dubbiosi sul da farsi, gli chiedono un parere sul voto, il principe risponde suo malgrado in maniera affermativa; alla fine, il plebiscito per il sì sarà unanime. In seguito, giunge a palazzo Salina un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, incaricato di offrire al principe la carica di senatore del Regno, che egli rifiuta garbatamente dichiarandosi un esponente del vecchio regime, ad esso legato da vincoli di decenza. Il principe condurrà da ora in poi vita appartata fino al giorno in cui verrà serenamente a mancare, circondato dalle cure dei familiari, in una stanza d'albergo a Palermo dopo il viaggio di ritorno da Caserta, dove si era recato per cure mediche. L'ultimo capitolo del romanzo, ambientato nel 1910, racconta la vita di Carolina, Concetta e Caterina, le figlie superstiti di don Fabrizio.  Il significato dell'opera Modifica L'autore compie all'interno dell'opera un processo narrativo che è sia storico che attuale. Parlando di eventi passati, Tomasi di Lampedusa parla di eventi del tempo presente, ossia di uno spirito siciliano citato più volte come gattopardesco ("Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi")[7]. Nel dialogo con Chevalley di Monterzuolo, inviato dal governo sabaudo, il principe di Salina spiega ampiamente il suo spirito della sicilianità; egli lo spiega con un misto di cinica realtà e rassegnazione. Spiega che i cambiamenti avvenuti nell'isola più volte nel corso della storia hanno adattato il popolo siciliano ad altri "invasori", senza tuttavia modificare dentro l'essenza e il carattere dei siciliani stessi. Così, il presunto miglioramento apportato dal nuovo Regno d'Italia appare al principe di Salina come un ennesimo mutamento senza contenuti, poiché ciò che non muta è l'orgoglio del siciliano stesso.   Il dialogo con Chevalley manoscritto Egli infatti vuole esprimere l'incoerente adattamento al nuovo, ma nel contempo l'incapacità vera di modificare sé stessi, e quindi l'orgoglio innato dei siciliani. In questa chiave egli legge tutte le spinte contrarie all'innovazione, le forme di resistenza mafiosa, la violenza dell'uomo, ma anche quella della natura. I Siciliani non cambieranno mai poiché le dominazioni straniere, succedutesi nei secoli, hanno bloccato la loro voglia di fare, generando solo oblio, inerzia, annientamento (il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di "fare". [...] il sonno è ciò che i Siciliani vogliono). Garibaldi è stato uno strumento dei Savoia, nuovi dominatori (da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento [...] ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio). Questi avvenimenti si sono innestati su una natura ed un clima violenti, che hanno portato ad una mancanza di vitalità e di iniziativa negli abitanti (... questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l'asprezza dannata; [...] questo clima che ci infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; [...] questa nostra estate lunga e tetra quanto l'inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo...).  Classificazione come romanzo storico Modifica La vicenda descritta nel Gattopardo può a prima vista far pensare che si tratti di un romanzo storico. Tomasi di Lampedusa ha certamente tenuto presente una tradizione narrativa siciliana: la novella Libertà di Giovanni Verga, I Viceré di Federico De Roberto, I vecchi e i giovani di Luigi Pirandello ispirata al fallimento risorgimentale, drammaticamente avvertito proprio in Sicilia, dove erano vive speranze di un profondo rinnovamento. Ma mentre De Roberto, che fra i tre citati è, per questa tematica, il più significativo, indaga le motivazioni del fallimento con una complessa rappresentazione delle opposte forze in gioco, Tomasi di Lampedusa presenta la vicenda risorgimentale attraverso il machiavellismo della classe dirigente, che alla fine si mette al servizio dei garibaldini e dei piemontesi, convinta che sia il modo migliore perché tutto resti com'era. Questa rappresentazione per la prospettiva da cui è descritta è parziale; restano fuori dal romanzo molti eventi significativi: solo per fare un esempio, la rivolta dei contadini di Bronte, che provocò 16 morti prima di essere stroncata nel sangue da Nino Bixio che fece condannare a morte 5 dei responsabili (oggetto invece della novella di Verga).  Da questo punto di vista quindi le mancanze de Il Gattopardo come romanzo storico del Risorgimento in Sicilia sono evidenti. Osservava Mario Alicata: «Una cosa è cercare di comprendere come e perché si affermò nel processo storico risorgimentale una determinata soluzione politica, cioè la direzione di determinate forze politiche e sociali, un'altra cosa è credere, o far finta di credere, che ciò sia stato una sorta di presa in giro condotta dai furbi (dai potenti di ieri e di sempre) ai danni degli sciocchi (coloro che si illudono che qualche cosa di nuovo possa accadere non solo sotto il sole di Sicilia ma sotto il sole tout court)». Pertanto è dubbio se il valore de Il Gattopardovada ricercato al di fuori della prospettiva del romanzo storico; la faccenda appare più complicata di come poteva apparire ai primi lettori dell'opera, se il principe stesso negava di aver voluto scrivere un romanzo storico (semmai un testo intessuto di memoria e di memorie), nella seconda edizione de Il romanzo storico, invece Lukács riconduce Il Gattopardo al canone proprio del genere.  Di recente Vittorio Spinazzola, in un importante lavoro degli anni novanta, Il romanzo antistorico, attribuisce alla triade formata da I Viceré di De Roberto, I vecchi e i giovani di Pirandello, e il romanzo di Tomasi di Lampedusa, la fondazione di un nuovo atteggiamento del romanzo rispetto alla storia; non più l'ottimismo di una concezione storicista e teleologica dell'avvenire dell'uomo (ancora presente in Italia nelle grandi cattedrali di Manzoni e Nievo), ma la dolorosa consapevolezza che la storia degli uomini non procede verso il compimento delle magnifiche sorti e progressive, e che la "macchina del mondo" non è votata a provvedere alla felicità dell'uomo. Il romanzo antistorico è il deposito di questa concezione non trionfalistica della storia, nei tre testi citati il corso della storia genera nuovi torti e nuovi dolori, invece di lenire i vecchi. Malgrado la posizione nuova di Spinazzola, che rilegge in modo intelligente la questione, il problema resta aperto, e la critica non ha ancora trovato una soluzione condivisa su questo tema.  È un romanzo uscito dalla tradizione narrativa ottocentesca, della quale si avverte almeno la presenza di Stendhal; ma nel senso della solitudine e della morte che pervade il protagonista si rivela anche l'influenza determinante dell'esperienza decadente.[8]  Un altro elemento di differenza con altri romanzi storici è il suo essere una trasposizione in un racconto di fantasia di vicende familiari che in parte sono realmente avvenute e sono state tramandate attraverso la bocca dei parenti di Tomasi di Lampedusa. A differenza di romanzi storici come ad esempio I promessi sposi, nel quale nessun dettaglio storico era specificato che non fosse già presente nelle fonti scritte consultate da Manzoni, Il Gattopardorappresenta esso stesso una testimonianza storica (seppur offuscata dal tempo e dalla tradizione orale) di come una parte della nobiltà visse quel determinato periodo di transizione.  Sterilità e morte Modifica Il modulo narrativo si discosta molto dai canoni del romanzo storico: il romanzo è suddiviso in blocchi, con una sequenza di episodi che, pur facendo capo ad un personaggio principale, sono dotati ciascuno di una propria autonomia. Inoltre, il fallimento risorgimentale descritto non è un esempio di uno scarto tra speranze e realtà nella storia degli uomini, ma sembra quello di una norma costante delle vicende umane, destinate inesorabilmente al fallimento: gli uomini, anche re Ferdinando o Garibaldi, possono solo illudersi di influire sul torrente delle sorti che invece fluisce per conto suo, in un'altra vallata.  La negazione della storia e la sterilità dell'agire umano sono alcuni dei motivi più ricorrenti e significativi del libro; in questa prospettiva di remota lontananza dalla fiducia nelle "magnifiche sorti e progressive", il Risorgimento può ben diventare una rumorosa e romantica commedia e Karl Marx un "ebreuccio tedesco", di cui al protagonista sfugge il nome, e la Sicilia, più che una realtà che storicamente si è fatta attraverso secoli di storia, resta una categoria astratta, un'immutabile ed eterna metafisica "sicilianità". Nella descrizione del fallimento risorgimentale, secondo alcuni, si può intravedere un'altra riconferma della legge e degli uomini: il fallimento esistenziale che, negli anni in cui scriveva, Tomasi di Lampedusa poteva constatare.  Correlato a questo è il tema del fluire del tempo, della decadenza e della morte (che richiamano Marcel Proust e Thomas Mann) esemplificato nella morte di una classe, quella nobiliare dei Gattopardi che sarà sostituita dalla scaltra borghesia senza scrupoli dei Sedara, ma che permea di sé tutta l'opera: la descrizione del ballo, il capitolo della morte di don Fabrizio (secondo alcuni critici il punto più alto del romanzo), la polvere del tempo che si accumula sulle sue tre figlie e sulle loro cose. Si può dire che fra la tradizione del romanzo storico, siciliana ed europea, di fine Ottocento e Il Gattopardo è passato il decadentismo con le sue stanchezze, le sue sfiducie, la sua contemplazione della morte; l'opera di Tomasi di Lampedusa inoltre cadeva in un momento di ripiegamento dei recenti ideali della società italiana e di quella letteratura che si era sforzata di dare voce artistica a quegli ideali.  Il manoscritto Modifica Le fotocopie dei manoscritti originali si trovano presso il Museo del Gattopardo a Santa Margherita di Belice(AG), mentre gli originali sono custoditi dall'erede Gioacchino Lanza Tomasi presso il Palazzo Lanza Tomasi a Palermo, ultima dimora dello scrittore.  Note Modifica ^ 1959, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su premiostrega.it. URL consultato il 14 aprile 2019. ^ Samonà, pp.. ^ Gioacchino Lanza Tomasi, «Le avventure del Gattopardo», 8 luglio 2011, www.ilsole24ore.com ^ D. Gilmour, L'ultimo gattopardo. Vita di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Feltrinelli, Milano 2003, p. 172 ^ Bragaglia Cristina, Il Piacere del Racconto, La Nuova Italia, 1993. ^ Tullio De Mauro, «Gattopardo non gattopardesco», 26 giugno 2011, www.ilsole24ore.com ^ Gattopardismo in Vocabolario – Treccani ^ Aldo Giudice, Giovanni Bruni, Problemi e scrittori della letteratura italiana, vol. 3, tomo secondo, pag. 700, ed. Paravia, Torino, 1978. Edizioni Modifica Il Gattopardo, Prefazione e cura di Giorgio Bassani, Collana Biblioteca di Letteratura n.4, Milano, Feltrinelli Editore, novembre 1958, p. 332. Il Gattopardo, Collana Universale Economica n.416, Milano, Feltrinelli, febbraio 1963. Il Gattopardo, antologia a cura di Riccardo Marchese, Collana Primo scaffale n.16, Firenze, La Nuova Italia, 1967, p. 240. Il Gattopardo e i Racconti, Edizione conforme al manoscritto del 1957, Collana Gli Astri, Milano, Feltrinelli, dicembre 1969. Il Gattopardo, Nota introduttiva di Maria Bellonci, Milano, Club degli Editori, 1969. Il Gattopardo, Collana I Narratori n.229, Milano, Feltrinelli, novembre 1974. Il Gattopardo, a cura di Giovanna Barbieri, Collana Narrativa scuola, Torino, Loescher Editore, 1979. Il Gattopardo, Nuova edizione riveduta con testi d'Autore in Appendice, a cura di Gioacchino Lanza Tomasi, Collana Le Comete, Milano, Feltrinelli, giugno 2002, p. 300, ISBN 978-2-7028-7908-5. - Collana Universale Economica, LXXXVII ed., Feltrinelli, 2006 - CVI ed., marzo 2021; Collana Grandi Letture, Feltrinelli, 2013, ISBN 978-88-079-2222-0. Il Gattopardo, Prefazione di Gioacchino Lanza Tomasi, Collezione Premio Strega, Torino, UTET - Fondazione Maria e Goffredo Bellonci, 2006, ISBN 88-02-07540-9. Il Gattopardo letto da Toni Servillo, edizione integrale in audiolibro, Emons 2017, ISBN 978-88-6986-127-7. Bibliografia Modifica Alberto Anile, Maria Gabriella Giannice, Operazione Gattopardo: come Visconti trasformò un romanzo di "destra" in un successo di "sinistra", Genova, Le Mani, 2013. Rosaria Bertolucci, Il principe dimenticato, Sarzana, Carpena, 1979. G. Bottino, Saggio su "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Genova, 1973. M. Castiello, Il Gattopardo, Milano, 2004. Arnaldo Di Benedetto, Tomasi di Lampedusa e la letteratura, in Poesia e critica del Novecento, Napoli, Liguori, 1999. Margareta Dumitrescu, Sulla parte VI del Gattopardo. La fortuna di Lampedusa in Romania, Catania, Giuseppe Maimone Editore, 2001. G. Lanza Tomasi, I luoghi del Gattopardo, 2001. G. Masi, Come leggere Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, 1996. S.S. Nigro, Il Principe fulvo, Palermo, Sellerio editore, 2012. F. Orlando, L'intimità e la storia. Lettura delGattopardo, Torino, Einaudi, 1998. Alberto Samonà, Giuseppe Tomasi di Lampedusa a Villa Piccolo: la dimora dell’immenso parla una lingua antica, in Maria Antonietta Ferraloro, Dora Marchese, Fulvia Toscano (a cura di), Itinerari Siciliani - Topografie dell’anima sulle tracce di Tomasi di Lampedusa, Roma, Historica edizioni, 2017. G. P. Samonà, "Il Gattopardo", i "Racconti", Lampedusa, Firenze, 1974. A. Vitello, I Gattopardi di Donnafugata, Palermo, 1963. A. Vitello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa: il Gattopardo segreto, 2008. Luca Alvino, Il paradigma del rosario nel Gattopardo, su Nuovi Argomenti, 2021. Voci correlate Modifica La Sicilia del Gattopardo Altri progetti Modifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni da Il Gattopardo Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Il Gattopardo Collegamenti esterni Modifica ( EN ) Il Gattopardo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN ) Edizioni e traduzioni di Il Gattopardo, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su Goodreads. Modifica su Wikidata Riduzione radiofonica de "Il Gattopardo" (dal programma Ad alta voce di Rai Radio 3) Audiolettura del dialogo tra Don Fabrizio e Chevalley, su elapsus.it. Giuseppe Tomasi di Lampedusa - Opera su Italialibri.net, su italialibri.net. Audiolibro letto da Pietro Biondi Controllo di autorità VIAF ( EN ) 175579094 · LCCN( EN ) no2015015062 · GND ( DE ) 4281792-4 ·BNE ( ES ) XX2035378 (data) · BNF( FR ) cb122950403 (data) · J9U( EN ,  HE ) 987007394812705171 (topic)   Portale Letteratura   Portale Risorgimento Ultima modifica 6 giorni fa di Marcel Bergeret PAGINE CORRELATE Il Gattopardo (film) film del 1963 diretto da Luchino Visconti  Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrittore italianoIl Gattopardo (film) film del 1963 diretto da Luchino Visconti Lingua Segui Modifica Il Gattopardo Fotogramma ballo Il Gattopardo.png Claudia Cardinale e Burt Lancaster nella celebre scena simbolo del ballo finale Paese di produzione Italia, Francia Anno 1963 Durata 187 min 205 min ca. (versione estesa) Rapporto 2,21:1 (stampa 70 mm) 2,35:1 (stampa 35 mm) 2,25:1 (negativo) Genere storico, drammatico Regia Luchino Visconti Soggetto Giuseppe Tomasi di Lampedusa(romanzo) Sceneggiatura Suso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile, Enrico Medioli, Massimo Franciosa, Luchino Visconti Produttore Goffredo Lombardo Produttore esecutivo Pietro Notarianni Casa di produzione Titanus, S.N. Pathé Cinéma, S.G.C. Distribuzionein italiano Titanus Fotografia Giuseppe Rotunno Montaggio Mario Serandrei Musiche Nino Rota Scenografia Mario Garbuglia Costumi Piero Tosi, Reanda, Sartoria Safas Interpreti e personaggi Burt Lancaster: don Fabrizio Corbera, principe di Salina Alain Delon: Tancredi Falconeri Claudia Cardinale: Angelica Sedara/Donna Bastiana Paolo Stoppa: don Calogero Sedara Rina Morelli: principessa Maria Stella di Salina Lucilla Morlacchi: Concetta Romolo Valli: padre Pirrone Terence Hill: conte Cavriaghi Pierre Clémenti: Francesco Paolo di Salina Serge Reggiani: don Ciccio Tumeo Maurizio Merli: Fulco, un amico di Tancredi Giuliano Gemma: generale di Garibaldi Ida Galli: Carolina Ottavia Piccolo: Caterina Carlo Valenzano: Paolo Brook Fuller: principe Ivo Garrani: colonnello Pallavicino Anna Maria Bottini: Mademoiselle Dombreuil, governante Lola Braccini: donna Margherita Marino Masè: tutore Howard Nelson Rubien: don Diego Tina Lattanzi: cuoca Ernesto Almirante: generale Marcella Rovena: contadina Rina De Liguoro: principessa di Presicce Valerio Ruggeri: colonnello Giovanni Melisenda: don Onofrio Rotolo Vittorio Duse: colonnello Vanni Materassi: sergente Olimpia Cavalli: Mariannina Winni Riva: cameriera Stelvio Rosi: sergente Leslie French: cavaliere Chevalley Gino Santercole: uomo di Donnafugata Lou Castel: generale Michela Roc: contadina Pino Caruso: giovane patriota Tuccio Musumeci: giovane patriota Doppiatori originali Corrado Gaipa: don Fabrizio Corbera Solvejg D'Assunta: Angelica Sedara/Donna Bastiana Carlo Sabatini: Tancredi di Falconeri Franco Fabrizi: conte Cavriaghi Lando Buzzanca: don Ciccio Tumeo Pino Colizzi: Francesco Paolo di Salina Gianni Bonagura: generale di Garibaldi Isa Bellini: Mademoiselle Dombreuil, governante Ferruccio De Ceresa: cavaliere Chevalley Il Gattopardo è un film del 1963 diretto da Luchino Visconti.  Il soggetto è tratto dall'omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e la figura del protagonista del film, il Gattopardo, si ispira a quella del bisnonno dell'autore del libro, il Principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, che fu un importante astronomo e che nella finzione letteraria diventa il Principe Fabrizio di Salina, e della sua famiglia tra il 1860 e il 1910, in Sicilia(a Palermo e provincia e precisamente a Ciminna e nel feudo agrigentino di Donnafugata, ossia CiminnaPalma di Montechiaro e Santa Margherita di Belice in provincia di Agrigento).  Il film ha vinto Palma d'oro come miglior film al 16º Festival di Cannes.[1]  Trama Modifica Nel maggio 1860, dopo lo sbarco a Marsala di Garibaldi in Sicilia, Don Fabrizio assiste con distacco e con malinconia alla fine dell'aristocrazia. La classe dei nobili capisce che ormai è prossima la fine della loro superiorità: infatti gli amministratori e i latifondisti della nuova classe sociale in ascesa approfittano della nuova situazione politica.   Don Fabrizio di Salina in una scena del film. Don Fabrizio, appartenente a una famiglia di antica nobiltà, viene rassicurato dal nipote prediletto Tancredi che, pur combattendo nelle file garibaldine, cerca di far volgere gli eventi a proprio vantaggio e cita la famosa frase: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". Specchio della realtà siciliana, questa frase simboleggia la capacità di adattamento che i siciliani, sottoposti nel corso della storia all'amministrazione di molti governanti stranieri, hanno dovuto per forza sviluppare. E anche la risposta di Don Fabrizio è emblematica: "...E dopo sarà diverso, ma peggiore."  Quando, come tutti gli anni, il principe con tutta la famiglia si reca nella residenza estiva di Donnafugata, trova come nuovo sindaco del paese Calogero Sedara, un borghese di umili origini, rozzo e poco istruito, che si è arricchito e ha fatto carriera in campo politico. Tancredi, che in precedenza aveva manifestato qualche simpatia per Concetta, la figlia maggiore del principe, s'innamora di Angelica, figlia di don Calogero, che infine sposerà, sicuramente attratto dal suo notevole patrimonio.  Episodio significativo è l'arrivo a Donnafugata di un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, che offre a Don Fabrizio la nomina a senatore del nuovo Regno d'Italia. Il principe però rifiuta, sentendosi troppo legato al vecchio mondo siciliano, citando come risposta al cavaliere la frase: "In Sicilia non importa far male o bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di 'fare'".  Il connubio tra la nuova borghesia e la declinante aristocrazia è un cambiamento ormai inconfutabile: Don Fabrizio ne avrà la conferma durante un grandioso ballo, al termine del quale inizierà a meditare sul significato dei nuovi eventi e a fare un sofferto bilancio della sua vita.  Produzione Modifica Difficoltà produttive Modifica Nel 1958 il produttore Goffredo Lombardo, patron della Titanus, acquistò i diritti del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, quando Il Gattopardo stava riscuotendo un grande successo editoriale. La regia venne affidata inizialmente a Mario Soldati e poi ad Ettore Giannini, che però vennero entrambi licenziati da Lombardo per divergenze sulla realizzazione della pellicola e sostituiti con Luchino Visconti[2][3]. Ettore Giannini scrisse addirittura una bozza di sceneggiatura che approfondiva le vicende risorgimentali, allontanandosi però dal romanzo di Tomasi di Lampedusa e mettendo in secondo piano la storia d'amore tra Tancredi e Angelica: per queste ragioni, Lombardo, con la mediazione di Visconti, incaricò Suso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile, Enrico Medioli e Massimo Franciosa di scrivere una nuova sceneggiatura, accantonando quella di Giannini, che rimase molto offeso dal comportamento del produttore e per questo si ritirò per sempre dal mondo del cinema[3].  Il 27 marzo 1963, al cinema Barberini di Roma, il film uscì in anteprima dopo una lavorazione che aveva richiesto quindici intensi mesi, iniziata alla fine del dicembre 1961, mentre il primo ciak ebbe luogo lunedì 14 maggio 1962. Nell'autunno precedente, il regista, insieme allo scenografo Mario Garbuglia e al figlio adottivo di Giuseppe, Gioacchino Lanza Tomasi, aveva effettuato un sopralluogo in Sicilia, che non era certo valso a dissipare le preoccupazioni del produttore Goffredo Lombardo. Lo stesso Lombardo raccontò in un'intervista che, recatosi sui set per raccomandare a Visconti di contenere i costi che crescevano sempre di più, ricevette questa risposta dal regista: "Lombardo, io questo film lo posso fare solo così. Se lei vuole, mi può sostituire"[3].  L'investimento richiesto da questo colossal italiano si rivelò infatti presto superiore a quanto previsto dalla Titanus allorché ne aveva acquistato i diritti cinematografici. Dopo un mancato accordo di co-produzione con la Francia, la scrittura di Burt Lancaster nel ruolo di protagonista, nonostante le iniziali perplessità di Luchino Visconti (che avrebbe preferito che a vestire i panni di Don Fabrizio fosse Laurence Olivier o l'attore sovietico Nikolaj Čerkasov[4]), e forse dello stesso attore,[5] permise un accordo distributivo per gli Stati Uniti d'America con la 20th Century Fox.  Ciononostante, le perdite subite dal film Sodoma e Gomorra e da questo film, costato quasi tre miliardi di lire, causarono la sospensione dell'attività della Titanus come produttrice cinematografica[6].  Riprese Modifica Per quanto, come si è detto, la narrazione oggettiva degli eventi sia oscurata e marginalizzata nel film dallo sguardo soggettivo del protagonista-regista, un grande impegno fu posto nella ricostruzione degli scontri tra garibaldini ed esercito borbonico. A Palermo nei vari set prescelti (piazza San Giovanni Decollato, piazza della Vittoria allo Spasimo, piazza Sant'Euno, piazza della Marina) "l'asfalto fu ricoperto di terra battuta, le saracinesche sostituite da persiane e tende, pali e fili della luce eliminati".[7] Tutto questo per iniziativa di Visconti, poiché il produttore Lombardo si era raccomandato che non vi fossero scene di combattimento.   Villa Boscogrande Si rese inoltre necessario il restauro, avvenuto in 24 giorni, della villa Boscogrande, nei pressi della città, che sostituì, per le scene iniziali del film, il palazzo dei Salina, le cui condizioni ne sconsigliavano l'utilizzo.  Anche per le scene girate nella residenza estiva dei Salina, Castello di Donnafugata, che nel romanzo sostituiva Palma di Montechiaro, si scelse un sito alternativo, Ciminna. "Visconti s'infatuò per la Chiesa Madre e il paesaggio circostante. L'edificio a tre navate presentava uno splendido pavimento in maiolica. L'abside decorata con stucchi rappresentanti apostoli e angeli di Scipione Li Volsi (1622) era inoltre provvista di scranni lignei del 1619 intagliati con motivi grotteschi, particolarmente adatti ad accogliere i principi nella scena del Te Deum. Il soffitto originale della chiesa, in parte danneggiato durante le riprese è stato poi rimosso e oggi non è più in sito.  Inoltre la situazione topografica della piazzetta di Ciminna sembrava ottimale, mancava solo il palazzo del principe. Ma in 45 giorni la facciata disegnata da Marvuglia fu innalzata davanti agli edifici a fianco della chiesa. L'intera pavimentazione della piazza fu rifatta eliminando l'asfalto e rimpiazzandolo con ciottoli e lastre"[7] Gran parte delle riprese ambientate all'interno della residenza furono girate a Palazzo Chigidi Ariccia.[4]  Infine, varie scene sono state girate internamente ad alcune sale del palazzo Manganelli a Catania.   Gli interni di Palazzo Valguarnera-Gangi Il ballo Modifica Ottimo era invece lo stato di manutenzione di palazzo Valguarnera-Gangi, a Palermo, in cui fu ambientato il ballo finale, la cui coreografia venne affidata ad Alberto Testa. In questo caso, il problema da affrontare era l'arredamento degli ampi spazi interni. Contribuirono generosamente all'opera gli Hercolani e lo stesso Gioacchino Lanza Tomasi con mobili, arazzi, suppellettili. Alcuni quadri (la stessa Morte del giusto) e altre opere artigianali furono commissionate dalla produzione. Il risultato finale valse uno scontato Nastro d'argento alla migliore scenografia.  Un altro Nastro d'argento andò alla fotografia a colori[8] di Giuseppe Rotunno (che lo aveva vinto anche l'anno precedente con Cronaca familiare). Degna di note, in particolare, l'illuminazione dei locali cui, per volontà del regista che voleva ridurre al minimo l'uso delle luci elettriche, contribuivano migliaia di candele, che costituirono un ulteriore problema logistico, poiché dovevano essere riaccese all'inizio di ogni sessione di riprese e frequentemente sostituite; inoltre non di rado la cera fusa colava addosso alle persone presenti in scena. La preparazione del set, la necessità di vestire centinaia di comparse[9] richiesero per queste scene turni estenuanti.[10] La scena del ballo (oltre 44 minuti) a Palazzo Gangi-Valguarnera è diventata famosa per la sua durata e opulenza.  Distribuzione Modifica Ulteriori informazioni Questa voce o sezione ha problemi di struttura e di organizzazione delle informazioni. Accoglienza Modifica Il film registrò un ottimo successo al botteghino in Italia, risultando campione d'incassi assoluto nella stagione 1962-1963 con un ricavato di 2.323.000.000 di lire dell'epoca;[11] detiene a oggi il nono posto nella classifica dei film italiani più visti di sempre con 12 850 375 spettatori paganti.[12] Tuttavia il mancato successo negli Stati Uniti non permise alla pellicola di rientrare nelle ingenti spese di produzione, decretando il fallimento finanziario della Titanus.  Al momento della sua uscita nelle sale, la maggior parte della critica americana stroncò il film, complice soprattutto uno sciagurato montaggio che venne realizzato senza il consenso del regista, con un taglio di quasi mezz'ora di pellicola dall'edizione definitiva.[13] Lo stesso Lancaster s'impegnò, con scarso esito, nel montaggio della versione americana, illudendosi di poter salvare quello che considerava, a ragione, un capolavoro.[14]  Il film fu osteggiato anche dal Partito Comunista Italiano (al quale era legato Visconti) che non vedeva di buon occhio il romanzo di Lampedusa, ritenuto "espressione di un'ideologia reazionaria" e "politicamente conservatore".[15] Per questo motivo il regista montò una versione alternativa per la critica cinematografica della sinistra di area comunista, che includeva alcune scene del tutto estranee al romanzo originale ma molto conformi alla sua salda fede marxista, come conflitti di classe e fermenti di rivolta contadina[16], poi tagliate nella versione definitiva presentata al Festival di Cannes. Questo non bastò a risparmiare le critiche di alcuni intellettuali di sinistra che bollarono il film di anti-storicismo.[17]  Con il passare degli anni, il film è stato rivalutato in maniera positiva dalla critica di tutto il mondo. Sul sito aggregatore Rotten Tomatoes registra il 98% delle recensioni professionali positive, con un consenso che recita, "sontuoso e malinconico, Il gattopardopresenta battaglie epiche, ricchi costumi e un valzer da ballo che si candida per la più bella sequenza trasposta in cinema".[18] Su Metacritic ha invece un punteggio di 100 basato su 12 recensioni.[19]  Martin Scorsese lo ha inserito nella lista dei suoi dodici film preferiti di tutti i tempi.[20] Il film è stato inoltre selezionato tra i 100 film italiani da salvare[21].  Riconoscimenti Modifica Festival di Cannes 1963 Palma d'oro a Luchino Visconti David di Donatello 1963 Miglior produttore a Goffredo Lombardo Premio Feltrinelli 1963 Premio per le arti - Regia cinematografica National Board of Review Awards 1963 Migliori film stranieri Golden Globe 1964 Candidato per il Miglior attore debuttante ad Alain Delon Premi Oscar 1964 Candidato per i Migliori costumi a Piero Tosi Nastri d'argento 1964 Migliore fotografia a coloria Giuseppe Rotunno Migliore scenografia a Mario Garbuglia Migliori costumi a Piero Tosi Candidato Regista del miglior film a Luchino Visconti Candidato Migliore sceneggiatura a Suso Cecchi D'Amico, Luchino Visconti, Massimo Franciosa, Pasquale Festa Campanile ed Enrico Medioli Candidato per la Migliore attrice non protagonistaa Rina Morelli Candidato per il Migliore attore non protagonistaa Romolo Valli Commento Modifica Il Gattopardo rappresenta nel percorso artistico di Luchino Visconti un cruciale momento di svolta in cui l'impegno nel dibattito politico-sociale del militante comunista si attenua in un ripiegamento nostalgico dell'aristocratico milanese, in una ricerca del mondo perduto, che caratterizzerà i successivi film di ambientazione storica.   Palazzo Filangeri di Cutò, a Santa Margherita di Belìce dimora estiva di Giuseppe Tomasi di Lampedusa descritta, col suo giardino, nel romanzo. Il regista stesso, a proposito del film, indicò come propria aspirazione il raggiungimento di una sintesi tra il Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga e la Recherche di Marcel Proust.[22]  Sotto il profilo della critica, è stato notato che «Visconti traduce le pagine di Lampedusa in termini puramente cinematografici, sia a livello drammaturgico (larghe ellissi, sintesi, analogie temporali e tre flashback dedicati al principe), sia come regia: l’uso del tempo antinaturalistico, la pausa, il silenzio, la reiterazione, l’alternarsi di totali e scene più raccolte, di protagonisti e comprimari, la funzione narrativa del paesaggio, la disposizione dei corpi e degli oggetti, la scenografia»[23].  La rivoluzione mancata Modifica  Il principe di Salina Fabrizio Corbera interpretato da Burt Lancaster. La pubblicazione del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa aveva aperto all'interno della sinistra italiana un dibattito sul Risorgimento come "rivoluzione senza rivoluzione", a partire dalla definizione utilizzata da Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere. A chi accusava il romanzo di aver vituperato il Risorgimento si opponeva un gruppo di intellettuali che ne apprezzava la lucidità nell'analizzarne la natura di contratto, all'insegna dell'immobilismo, tra vecchia aristocrazia ed emergente classe borghese.[24]  Visconti, che già aveva affrontato la questione risorgimentale in Senso (1954) e che era stato profondamente colpito dalla lettura del romanzo, non esitò ad accettare la possibilità di intervenire nel dibattito offertagli da Goffredo Lombardo, che si era assicurato, per la Titanus, i diritti cinematografici del libro.  Nel film, la narrazione di questi eventi è affidata allo sguardo soggettivo del Principe di Salina, sulla cui persona vengono raccordati "come in un inedito allineamento planetario, i tre sguardi sul mondo in trapasso: del personaggio, dell'opera letteraria, del testo filmico che la visualizza".[25]. Lo sguardo di Visconti viene a coincidere con quello di Burt Lancaster, per il quale questa esperienza di "doppio" del regista "varrà... una profonda trasformazione interiore, anche sul piano personale".[26]  È qui che si può cogliere la cesura rispetto alla precedente produzione del regista: gli inizi di un periodo in cui nella sua opera "...nessuna forza positiva della storia...si profila come alternativa all'epos della decadenza cantato con struggente nostalgia".[27]  È determinante nell'esprimere questo passaggio, il ballo finale, cui Visconti assegnò, rispetto al romanzo, un ruolo più importante sia per la durata (da solo occupa circa un terzo del film) sia per la collocazione (ponendolo come evento conclusivo, mentre il romanzo si spingeva ben oltre il 1862, sino a comprendere la morte del principe nel 1883 e gli ultimi anni di Concetta dopo la svolta del secolo). In queste scene tutto parla di morte. La morte fisica, in particolare nel lungo e assorto indugiare del principe dinanzi al dipinto La morte del giusto di Greuze. Ma soprattutto la morte di una classe sociale, di un mondo di "leoni e gattopardi", sostituiti da "sciacalli e iene".[28]  I sontuosi ambienti, vestigia di un glorioso passato, in cui ha luogo il ricevimento, assistono impotenti all'irruzione e alla conquista di una folla di personaggi mediocri, avidi, meschini. Così il vanesio e millantatore colonnello Pallavicini (Ivo Garrani). Così lo scaltro don Calogero Sedara (Paolo Stoppa), rappresentante di una nuova borghesia affaristica, abile nello sfruttare a proprio vantaggio l'incertezza dei tempi, e con cui la famiglia del principe si è dovuta imparentare per portare una nuova linfa economica nelle sue esauste casse.  Ma è soprattutto nel nuovo cinismo e nella spregiudicatezza dell'adorato nipote Tancredi, che dopo aver combattuto coi garibaldini non esita, dopo Aspromonte, a schierarsi coi nuovi vincitori e ad approvare la fucilazione dei disertori, che il principe assiste alla fine degli ideali morali ed estetici del suo mondo.[29]  Note Modifica ^ ( EN ) Awards 1963, su festival-cannes.fr. URL consultato l'11 giugno 2011 (archiviato dall' url originale  il 25 dicembre 2013). ^ Il Gattopardo di Giannini che non vide mai la luce, in la Repubblica, 25 maggio 2013. ^ a b c Il cinema coraggioso dell'ultimo Gattopardo, su osservatoreromano.va. URL consultato il 4 novembre 2018 (archiviato dall' url originale  il 4 novembre 2018). ^ a b Alessandro Boschi, La valigia dei sogni, LA7, 1º gennaio 2012. ^ Caterina D'Amico, La bottega de "Il Gattopardo", Marsilio.Edizioni di Bianco e Nero, 2001, pag.456 ^ "Ancora a distanza di anni, Lombardo attribuisce la crisi al costo eccessivo di due film i quali, nonostante il successo di pubblico, non sono riusciti a coprire il costo di produzione: Sodoma e Gomorra di Robert Aldrich e Il Gattopardo di Luchino Visconti". Callisto Cosulich, L'"operazione Titanus", in "Storia del cinema italiano", Marsilio, Edizioni di Bianco e Nero, 2001, pag.145 ^ a b Caterina D'Amico, op.cit. ^ All'epoca il premio veniva aggiudicato separatamente per la fotografia a colori e quella in bianco/nero ^ "...i costumi approntati (oltre agli otto per gli attori principali) furono 393: gli abiti femminili erano tutti diversi tra di loro e per almeno cento di questi si prevedevano cappotti e sorties varie". Ibid. ^ "La vestizione iniziava alle due del pomeriggio, alle otto di sera cominciavano le riprese, che duravano fino alle quattro del mattino, talora alle sei". Ibid ^ Stagione 1962-63: i 100 film di maggior incasso, su hitparadeitalia.it. URL consultato il 27 dicembre 2016. ^ I 50 film più visti al cinema in Italia dal 1950 ad oggi, su movieplayer.it. URL consultato il 27 dicembre 2016. ^ Quando gli Usa bocciarono 'Il Gattopardo' di Visconti, in la Repubblica, 27 settembre 2013. ^ Tony Thomas, Burt Lancaster, Milano Libri Edizioni, 1981. ^ E il Pci cercò di levare gli artigli al «Gattopardo», in il Giornale, 20 luglio 2013. ^ Torna in sala «Il Gattopardo» con i 12 minuti mai visti tra rivolte e conflitti di classe, in Corriere della Sera, 23 ottobre 2013. ^ Visconti e il Pci quel tira e molla sul Gattopardo, in La Stampa, 28 ottobre 2013. ^ ( EN ) Il Gattopardo, su Rotten Tomatoes, Fandango Media, LLC. URL consultato il 26 ottobre 2018. Modifica su Wikidata ^ ( EN ) Il Gattopardo, su Metacritic, Red Ventures. URL consultato il 26 ottobre 2018. Modifica su Wikidata ^ ( EN ) Scorsese’s 12 favorite films, su miramax.com. URL consultato il 25 dicembre 2013 (archiviato dall' url originale  il 26 dicembre 2013). ^ Rete degli Spettatori ^ Luchino Visconti, Il Gattopardo, Bologna 1963, p.29 ^ Piero Spila, Quell'Ossessione che piacque anche a Togliatti, in "Bianco e nero" 2-3/2013, pp. 58-69, doi: 10.7371/75533. ^ Antonello Trombadori (a cura di), Dialogo con Visconti, Cappelli, Bologna, 1963 ^ Luciano De Giusti, La transizione di Visconti, Marsilio, Edizioni di Bianco e Nero, 2001, p. 76 ^ Giorgio Gosetti, Il Gattopardo, Milano, 2004 ^ Luciano De Giusti, op.cit. ^ Così nel film, il principe di Salina a Chevalley ^ Alessandro Bencivenni, Luchino Visconti, Ed. L'Unità/Il Castoro, Milano, 1995, pp. 58-60 Bibliografia Modifica Antonio La Torre Giordano, Luci sulla città - Palermo nel cinema dalle origini al 2000, ASCinema - Archivio Siciliano del Cinema, prologo di Goffredo Fofi, prefazione di Nino Genovese, Caltanissetta, Edizioni Lussografica, 2021, ISBN 978-88-8243-518-9 Suso Cecchi D'Amico, Renzo Renzi, Il Gattopardo di Luchino Visconti, collana Dal soggetto al film, vol. 29, Cappelli editore, Bologna (1963) Alberto Anile, Maria Gabriella Giannice, Operazione Gattopardo: come Visconti trasformò un romanzo di "destra" in un successo di "sinistra", Le Mani editore, Genova (2013) Altri progetti Modifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Il Gattopardo Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Il Gattopardo Collegamenti esterni Modifica Il Gattopardo, su CineDataBase, Rivista del cinematografo. Modifica su Wikidata Il Gattopardo, su MYmovies.it, Mo-Net Srl. Modifica su Wikidata Il Gattopardo, su ANICA, Archiviodelcinemaitaliano.it. Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su Internet Movie Database, IMDb.com. Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su AllMovie, All Media Network.Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su Rotten Tomatoes, Flixster Inc. Modifica su Wikidata ( EN ,  ES ) Il Gattopardo, su FilmAffinity. Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su Metacritic, Red Ventures. Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su TV.com, Red Ventures (archiviato dall' url originale  il 1º gennaio 2012). Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su AFI Catalog of Feature Films, American Film Institute. Modifica su Wikidata Controllo di autorità LCCN ( EN ) n88215079 · GND ( DE ) 4254519-5 · BNF ( FR ) cb122205415 (data)   Portale Cinema   Portale Risorgimento Ultima modifica 10 giorni fa di 93.33.20.107 PAGINE CORRELATE Tancredi Falconeri Il Gattopardo romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa  Principe Fabrizio SalinaGiuseppe Tomasi di Lampedusa scrittore italiano Lingua Segui Modifica Giuseppe Tomasi di Lampedusa Tomasi di Lampedusa.jpg Giuseppe Tomasi di Lampedusa in una fotografia d'epoca Principe di Lampedusa Stemma In carica 1934 - 1957 Altri titoli Duca di Palma Barone della Torretta Barone di Montechiaro Grande di Spagna Nascita Palermo, 23 dicembre 1896 Morte Roma, 23 luglio 1957 Sepoltura Cimitero dei Cappuccini, Palermo Dinastia Tomasi di Lampedusa Padre Giulio Maria Tomasi Madre Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò Consorte Alexandra, baronessa von Wolff-Stomersee Religione Cattolicesimo «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.»  (Tancredi Falconeri, nipote materno di Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, Duca di Querceta, Marchese di Donnafugata, ne "Il Gattopardo") Premio Strega  1959 Giuseppe Tomasi di Lampedusa(Palermo, 23 dicembre 1896 – Roma, 23 luglio 1957) è stato un nobile e scrittore italiano.  Letterato di complessa personalità e autore del noto romanzo Il Gattopardo, fu un personaggio taciturno e solitario e trascorse gran parte del suo tempo nella lettura. Ricordando la propria infanzia scrisse: ero un ragazzo cui piaceva la solitudine, cui piaceva di più stare con le cose che con le persone[1].  Biografia Modifica Infanzia Modifica Don Giuseppe Tomasi, 11º principe di Lampedusa, 12º duca di Palma, barone di Montechiaro, barone della Torretta, Grande di Spagna di prima Classe (titoli acquisiti il 25 giugno 1934 alla morte del padre), nacque a Palermo il 23 dicembre del 1896, figlio di Giulio Maria Tomasi (1868-1934) e di Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò (1870-1946). Rimase figlio unico dopo la morte della sorella maggiore Stefania, avvenuta a causa di una difterite (1897). Fu molto legato alla madre, donna dalla forte personalità, che ebbe grande influenza sul futuro scrittore.  Non lo stesso avvenne col padre, un uomo dal carattere freddo e distaccato. Da bambino studiò nella sua grande casa a Palermo con l'ausilio di una maestra privata, della madre (che gli insegnò il francese) e della nonna, che gli leggeva i romanzi di Emilio Salgari. Nel piccolo teatro della residenza di Santa Margherita Belice, ereditata dai Cutò e molto amata da sua madre, dove passava lunghi periodi di vacanza, talora anche in inverno, assistette per la prima volta a una rappresentazione dell'Amleto, recitato da una compagnia di girovaghi.  Il casato dei Tomasi di Lampedusa è una diramazione della famiglia Tomasi da cui discendono anche i Leopardi di Recanati e che la tradizione indica di origini bizantine. Caratterizzata da grande fervore religioso, non condiviso dallo scrittore, la famiglia vanta nell'albero genealogico un santo, san Giuseppe Maria Tomasi (1649-1713), e una venerabile, Isabella Tomasi (1645-1690). In epoca recente lo zio Pietro Tomasi della Torretta fu Ministro degli esteri e presidente del Senato.  Sotto le armi a Caporetto Modifica A partire dal 1911 Tomasi di Lampedusa frequentò il liceo classico a Roma e in seguito a Palermo. Sempre a Roma, nel 1915 s'iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, senza terminare gli studi. Nello stesso anno venne chiamato alle armi, partecipò alla guerra come ufficiale d'artiglieria e nella disfatta di Caporettofu catturato dagli austriaci, che lo imprigionarono in Ungheria. Riuscito a fuggire, tornò a piedi in Italia.  Dopo le sue dimissioni dal Regio Esercito con il grado di tenente, ritornò nella sua casa in Sicilia, alternando al riposo qualche viaggio, sempre in compagnia della madre, che non lo abbandonava mai, e svolgendo studi sulle letterature straniere. Nel 1925, insieme al cugino Lucio Piccolo, si recò a Genova, dove si trattenne circa sei mesi, collaborando alla rivista letteraria Le opere e i giorni.  Il matrimonio con Licy von Wolff-Stomersee Modifica A Riga, il 24 agosto 1932, sposò in una chiesa ortodossa la studiosa di psicanalisi Alexandra, baronessa von Wolff-Stomersee, detta Licy, figlia del barone tedesco del Baltico Boris von Wolff-Stomersee e della cantante italiana Alice Barbi, la quale nel 1920aveva sposato in seconde nozze il diplomatico Pietro Tomasi, marchese della Torretta, zio di Giuseppe. Andarono a vivere con la madre di lui a Palermo, ma ben presto l'incompatibilità di carattere tra le due donne fece tornare Licy in Lettonia. Nel 1934 morì Giulio Tomasi, e così Giuseppe ereditò il titolo. Nel 1940 venne richiamato alle armi, ma, essendo a capo dell'azienda agricola ereditata, fu presto congedato.  Si rifugiò così con la madre a Villa Piccolo (Capo d'Orlando), dove poi li raggiunse Licy, per sfuggire ai pericoli della guerra. Alla fine del 1944 fu nominato presidente provinciale della Croce Rossa Italiana di Palermo e poi presidente regionale, fino al 1946.[2].  La madre, che era da poco tornata a Palermo, morì nel 1946. Nel 1953 iniziò a frequentare un gruppo di giovani intellettuali, dei quali facevano parte Francesco Orlando e Gioacchino Lanza Mazzarino. Con quest'ultimo instaurò un buon rapporto affettivo, tanto da adottarlo qualche anno dopo. Da quel momento in poi Gioacchino Lanza Mazzarino fu ribattezzato Gioacchino Lanza Tomasi.  L'incontro con Eugenio Montale e Maria Bellonci Modifica  Statua a grandezza naturale dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa situata in piazza Matteotti a Santa Margherita Belice Tomasi di Lampedusa fu spesso ospite presso il cugino Lucio Piccolo, col quale si recò nel 1954 a San Pellegrino Terme per assistere a un convegno letterario, cui il parente poeta era stato invitato per ritirare il primo premio di un concorso letterario. Lì conobbe Eugenio Montale e Maria Bellonci. Si dice che fu al ritorno da quel viaggio che iniziò a scrivere Il Gattopardo, ultimato due anni dopo, nel 1956.  All'inizio il manoscritto del Gattopardo non fu preso in considerazione dalle case editrici Mondadori e Einaudi, alle quali era stato inviato in lettura, e i rifiuti riempirono Tomasi di Lampedusa di amarezza. Il manoscritto fu giudicato negativamente da Elio Vittorini, all'epoca influente lettore per Mondadori e curatore della celebre collana "I gettoni" per l'editore Einaudi, che non s'accorse di aver letto un capolavoro della letteratura italiana e mondiale[3]. Vittorini successivamente rifiuterà la pubblicazione de Il dottor Živago di Pasternak e Il tamburo di latta di Grass.  La morte e il successo postumo Modifica  Francobollo per il cinquantenario della morte Nel 1957 gli fu diagnosticato un tumore ai polmoni; morì il 23 luglio, non prima di aver adottato come erede l'allievo e lontano cugino Gioacchino Lanza di Assaro. Il romanzo fu pubblicato postumo nel novembre del 1958, quando Elena Croce lo inviò a Giorgio Bassani, che lo fece pubblicare presso la casa editrice Feltrinelli. Nel 1959 il romanzo vinse il Premio Strega.[4] Curiosamente, anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa morì lontano da casa come il suo antenato protagonista de Il Gattopardo, il 23 luglio 1957 a Roma[5], nella casa della cognata in via San Martino della Battaglia n. 2, dove era andato per sottoporsi a particolari cure mediche che si rivelarono inefficaci. La salma fu tumulata il 28 luglio nella tomba di famiglia al Cimitero dei Cappuccini di Palermo.  Non avendo eredi, i titoli nobiliari (duca di Palma, principe di Lampedusa, barone di Montechiaro, barone della Torretta e Grande di Spagna di prima Classe) andarono allo zio paterno Pietro Tomasi della Torretta, che morì nel 1962 senza lasciare discendenti diretti, ma solo collaterali. Gli succedette il cugino Giuseppe Garofalo, figlio di Maria Antonia Tomasi di Lampedusa, suo congiunto maschio più prossimo, che ereditò con due cugine figlie di Chiara anche parte dei beni.  Ascendenza Modifica Genitori Nonni Bisnonni Trisnonni Giulio, VIII Pr. di Lampedusa (1814– 1885) Giuseppe Tomasi, III, VII Pr. di Lampedusa (1767– 1831)     Carolina Wochinger e Greco (1784 - 1845)   Giuseppe, IX Pr. di Lampedusa (1838– 1908)   Maria Stella Guccia e Vetrano (1815 - 1886) Giovan Battista Guccia e Bonomolo (1736 - 1834)     Vetrano   Giulio, X Pr. Lampedusa (1868– 1934)   Salvatore Papè e Gravina (1790 - 1870) Pietro Papè e Bologna     Ippolita Gravina Massa   Stefania Papè e Vanni (1840– 1913)   Vittoria Vanni e Filangieri Francesco Vanni e Inveges     Rosalia Filangieri (1774 - 1847)   Giuseppe, XI Pr. di Lampedusa (1896–1957)   Lucio Mastrogiovanni Tasca e Nicolosi (1820 - 1892) Paolo Mastrogiovanni Tasca     Rosa Nicolosi   Lucio Mastrogiovanni Tasca e Lanza (1842–1892)   Beatrice Lanza Branciforte (1825 - 1900) Giuseppe Lanza Branciforte (? - 1855)     Stefania Branciforte e Branciforte   Beatrice Mastrogiovanni Tasca e Filangieri (1870–1946)   Alessandro IV Filangieri e Pignatelli (1802 - 1854) Niccolò Filangieri (1760 - 1839)     Margherita Pignatelli Aragona Cortes (1783 - 1830)   Giovanna Nicoletta Filangieri e Merlo (1850–1891)   Teresa Merlo Clerici (1816 - 1897) Francesco Merlo     Giovanna Clerici     Film biografici Modifica  Giuseppe Tomasi in età giovanile, nel 1936  La macchina per scrivere di Tomasi (Museo del Risorgimento, Santa Margherita Belice)  La tomba nel Cimitero dei Cappuccini (Palermo) La storia dell'ultimo periodo della sua vita e della stesura de Il Gattopardo è raccontata nel film del 2000 di Roberto Andò, Il manoscritto del Principe. Nel 1960 Ugo Gregoretti ha girato il documentario La Sicilia del Gattopardo in cui ricostruisce la vita e i luoghi di ispirazione del romanzo. In occasione della quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma è stato proiettato il Docufilm Die Geburt des Leoparden (trad. it.: La nascita del Gattopardo), regia di Luigi Falorni. Un viaggio alla scoperta della vita dell'ultimo principe di Lampedusa raccontato dalle voci e dalle testimonianze delle persone care[6]. Dediche Modifica Nel 2011 Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi Airbus A320-216 (EI-DSB). Gli è stato dedicato un asteroide, il 14846 Lampedusa. A Santa Margherita di Belice è stato allestito presso il Palazzo del Gattopardo, ex proprietà dei Lampedusa il Museo del Gattopardo.[7] Nel 2003 nasce a Santa Margherita di Belice il parco letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa che dà il via al Premio letterario internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Nel 2019 viene fondata nel comune di Palma di Montechiaro l'istituzione comunale "Giuseppe Tomasi di Lampedusa", con direttore scientifico Gioacchino Lanza Tomasi. Opere Modifica Il Gattopardo, Milano, Feltrinelli, I ed. novembre 1958; nuova edizione riveduta sul manoscritto a cura di Gioacchino Lanza Tomasi, Milano, Feltrinelli, 2002. Racconti, Prefazione di Giorgio Bassani, Collana Biblioteca di Letteratura: I Contemporanei n. 26, Milano, Feltrinelli, 1961; edizione riveduta a cura di Nicoletta Polo, prefazione di Gioacchino Lanza Tomasi, Milano, Feltrinelli, 1988; Nuova ed. rivista e accresciuta, Collezione Le Comete, Feltrinelli, 2015; Collana UE, Feltrinelli, 2017. Lezioni su Stendhal, Palermo, Sellerio, 1977. Invito alle Lettere francesi del Cinquecento, Collana I Fatti e le Idee, Milano, Feltrinelli, 1979, ISBN 978-88-072-2420-1. Il mito, la gloria, a cura di Marcello Staglieno, Roma, Shakespeare & Company, 1989 Letteratura inglese, 2 voll. (I: Dalle origini al Settecento; II: L'Ottocento e il Novecento), a cura di Nicoletta Polo, postfazione di Gioacchino Lanza Tomasi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1990-1991. Opere, introduzione e premessa di Gioacchino Lanza Tomasi, a cura di Nicoletta Polo, Collana I Meridiani, Milano, Mondadori, 1995; Nuova edizione aumentata, Collana I Meridiani, Mondadori, 2004. Licy e il Gattopardo. Lettere d'amore, a cura di Sabino Caronia, Roma, Edizioni associate, 1995. Viaggio in Europa. Epistolario 1925-1930, a cura di Gioacchino Lanza Tomasi e Salvatore Silvano Nigro, Milano, Mondadori, 2006, ISBN 978-88-045-6477-5. La sirena, Milano, Feltrinelli, 2014 [con cd audio contenente una registrazione a voce dell'autore]. Ah! Mussolini!, Postfazione di Gioachino Lanza Tomasi, Milano, De Piante Editore, 2019 Note Modifica ^ I racconti, 5ª ediz., Milano 1993, p. 53. ^ David Gilmour, L'Ultimo gattopardo ^ Indro Montanelli, «La stanza di Montanelli. Elio Vittorini fascista? Lo eravamo tutti», 11 giugno 1997, Corriere della Sera, p.40 ^ 1959, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su premiostrega.it. URL consultato il 14 aprile 2019. ^ «Morire, come ogni altra cosa, è un'arte». Due scomparse indecenti e una morte ambiziosa, su elapsus.it. URL consultato il 18 aprile 2016. ^ Tomasi di Lampedusa e il Gattopardo, genesi di un capolavoro in DVD, sul sito Luce Cinecittà, 24.06.2020, consultato il 28 giugno 2020. ^ Il Museo del Gattopardo, su comune.santamargheritadibelice.ag.it. URL consultato il 18 aprile 2016. Bibliografia Modifica Alberto Anile - Maria Gabriella Giannice, Operazione Gattopardo, Genova, Le Mani, 2013. Manuela Bertone, Tomasi di Lampedusa, Palumbo, Palermo, 1995. Rosaria Bertolucci, Il Principe dimenticato, Sarzana, Carpena, 1979. Salvatore Calleri, La zampata del Gattopardo. I luoghi dell'anima: solitudine e ricerca interiore in Giuseppe Tomasi di Lampedusa, a cura dell'Istituto di Pubblicismo, Scialpi, Roma 2010.(Salvatore Calleri) Carmelo Ciccia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa in Profili di letterati siciliani dei secoli XVIII-XX, Centro di Ricerca Economica e Scientifica, Catania, 2002. Arnaldo Di Benedetto, Tomasi di Lampedusa e la letteratura e La «sublime normalità dei cieli»: considerazioni sulla parte prima del «Gattopardo», in Poesia e critica del Novecento, Liguori, Napoli, 1999, pp. 65–97 e 237-50. Arnaldo Di Benedetto, Elementi di onomastica lampedusiana, in O&L. I nomi da Dante ai contemporanei, a cura di B. Porcelli e B. Bremer, Baroni, Viareggio, 1999, pp. 119–23. Arnaldo Di Benedetto, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, «La Sirena», in L'«incipit» e la tradizione letteraria italiana, vol. IV (Il Novecento), a cura di P. Guaragnella e S. De Toma, Pensa MultiMedia, Lecce, 2010, pp. 447–56. Margareta Dumitrescu, Sulla parte VI del Gattopardo. La fortuna di Lampedusa in Romania, Giuseppe Maimone Editore, Catania 2001. Franco La Magna, Lo schermo trema. Letteratura siciliana e cinema, Città del Sole Edizioni, Reggio Calabria, 2010, ISBN 978-88-7351-353-7 Gioacchino Lanza Tomasi, Introduzione a "Opere" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Mondadori Editore, Milano, 1995 coll. I Meridiani. Salvatore Silvano Nigro, Il Principe fulvo, Palermo, Sellerio editore, 2012. Francesco Orlando, Ricordo di Lampedusa (1962)seguito da Da distanze diverse (1996), Torino, Bollati Boringhieri, 1996. Basilio Reale, Sirene siciliane. L'anima esiliata in «Lighea» di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Moretti & Vitali, 2000. Giuseppe Paolo Samonà, Il Gattopardo. I racconti. Lampedusa, Firenze, La Nuova Italia, 1974 Salvatore Savoia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Ed. Flaccovio, Palermo, 2010. Jochen Trebesch, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Leben und Werk des letzten Gattopardo, NORA, Berlin, 2012. Nunzio Zago, Tomasi di Lampedusa, Bonanno, Acireale-Roma, 2011. Steven Price, Lampedusa, a novel, New York, Farrar, Straus and Giroux, 2019. Maria Antonietta Ferraloro, Giuseppe Tomasi di Lampedusa - Il Gattopardo raccontato a mia figlia, La nuova frontiera junior, Roma, 2017. Voci correlate Modifica Il Gattopardo Tomasi di Lampedusa (famiglia) Altri progetti Modifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Giuseppe Tomasi di Lampedusa Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giuseppe Tomasi di Lampedusa Collegamenti esterni Modifica Tomasi di Lampedusa, Giuseppe, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Arnaldo Bocelli, TOMASI, Giuseppe, duca di Palma, principe di Lampedusa, in Enciclopedia Italiana, III Appendice, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1961. Modifica su Wikidata ( EN ) Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata ( EN ) Bibliografia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff. Modifica su Wikidata ( EN ) Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Goodreads. Modifica su Wikidata Bibliografia italiana di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Modifica su Wikidata ( EN ) Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Internet Movie Database, IMDb.com. Modifica su Wikidata Parco letterario Tomasi di Lampedusa, su parcotomasi.it. Controllo di autorità VIAF ( EN ) 88710059 · ISNI ( EN ) 0000 0001 1683 1579 · SBN CFIV055692 · BAV495/127999 · LCCN ( EN ) n50049833 · GND( DE ) 120871114 · BNE ( ES ) XX847385(data) · BNF ( FR ) cb11926785v (data) ·J9U ( EN ,  HE ) 987007269071005171 (topic) ·NDL ( EN ,  JA ) 00458907 · WorldCat Identities( EN ) lccn-n50049833   Portale Biografie   Portale Letteratura Ultima modifica 13 giorni fa di 176.201.22.91 PAGINE CORRELATE Gioacchino Lanza Tomasi musicologo italiano  Il Gattopardo romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa  Tomasi di Lampedusa (famiglia) famiglia aristocratica italianaTomasi di Lampedusa (famiglia) famiglia aristocratica italiana Lingua Segui Modifica Tomasi di Lampedusa Coat of arms of the Family of Tomasi.svg spes mea in deo est D'azzurro al leopardo d'oro, illeonito, sostenuto da un monte di tre cime di verde cucito.[1] Stato Bandiera del Regno di Sicilia 4.svg Regno di Sicilia Flag of the Kingdom of the Two Sicilies (1816).svg Regno delle Due Sicilie Flag of Italy (1861-1946) crowned.svg Regno d'Italia Italia Italia Casata di derivazione Tomasi Titoli Croix pattée.svg Principe di Lampedusa Croix pattée.svg Duca di Palma Croix pattée.svg Barone di Montechiaro Croix pattée.svg Barone di Falconeri Croix pattée.svg Barone della Torretta Croix pattée.svg Grande di Spagna Fondatore Mario Tomasi Data di fondazione XVI secolo Etnia italiana I Tomasi di Lampedusa sono una famiglia storica siciliana, diramatasi dai Tomasi[2], che deve la propria notorietà in particolare al suo esponente Giuseppe Tomasi di Lampedusa e al successo editoriale da questi ottenuto, postumo, con la pubblicazione del romanzo Il Gattopardo.   Stemma dei Tomasi di Lampedusa Storia Modifica Origini: studi e leggende Modifica  Il castello di Palma di Montechiaro Le prime notizie storiche sui Tomasi risalgono al VII secolo, mentre, per quanto concerne i secoli precedenti, sono state prospettate ipotesi diverse. Secondo la tradizione sarebbe originaria di Bisanzio (330 d.C.).   Alcuni studiosi (Sansovino, Villabianca, Palizzolo Gravina) sostengono che la famiglia de' Leopardi da Roma si trasferì a Costantinopoli al seguito dell'imperatore Costantino I[3]. Filadelfo Mugnosaffermò che la famiglia discendeva da Leopardo, figlio di Crispo, primogenito dell'imperatore Costantino[4]. Archibald Colquhoun ritiene che il capostipite dei Tomasi sia stato Thomaso il Leopardo, figlio dell'imperatore Tito e della regina Berenice.[5] Andrea Vitello, autore che ha approfondito gli studi sulla famiglia, fa discendere i Tomasi da Irene, figlia dell'imperatore bizantino Tiberio I, che sposò Thomaso detto il Leopardo, principe dell'Impero e comandante della guardia imperiale[6]  Sino a tutto il XIX secolo, come segnala Vincenzo Buonassisi, era condivisa l'opinione che individuava in due fratelli gemelli, Artemio e Giustino, gli artefici del ritorno in Italia dei Leopardi-Tomasi; nel secolo successivo la discendenza dai due gemelli, approdati ad Ancona e provenienti da Bisanzio, è stata confermata da Andrea Vitello, studioso della genealogia della famiglia Tomasi di Lampedusa, e ribadita da quanti, dopo la pubblicazione degli scritti di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, si sono interessati alla sua ascendenza[7]. Temendo per la loro vita a causa delle lotte al vertice dell'Impero, lasciarono Costantinopoli dopo la morte dell'imperatore Eracleo, tra il 640 e il 646, stabilendosi ad Ancona. Dal ramo rimasto nelle Marche discenderebbero i Leopardi nei rami di Recanati, come pure sosteneva Monaldo padre di Giacomo Leopardi[8], e di Amatrice, da cui discende la schiatta, tuttora esistente anche in linea femminile [ de Sanctis di Castelbasso e Rosati di Monteprandone de Filippis Delfico] di Pier Silvestro Leopardi.  Titoli nobiliari Modifica In Sicilia non vigeva la legge salica ed i titoli nobiliari si trasmettevano anche in linea femminile. In forza delle norme dettate nel Liber Augustalis (III, 27 “de la successione de li nobili in li feudi") e nei capitula "de successione feudalium", "de alienatione feudorum","de successione feudorum"[9] e della prammatica 14 novembre 1788 i titoli venivano trasmessi al collaterale maschio vivente più prossimo e più anziano e, in mancanza di maschi, alla femmina più prossima privilegiando le nubili. Il primo titolo nobiliare dei Tomasi di Sicilia, la baronia di Montechiaro, fu acquisito per via materna come, in epoche successive, anche le baronie di Franconeri e della Torretta.  Letteratura Modifica Il casato dei Tomasi di Lampedusa, ramo staccatosi dai Tomasi di Capua, trasferitosi da Siena nel Regno di Napoli al seguito di Alfonso V d'Aragona[10] è stato immortalato nel romanzo Il Gattopardo scritto dal principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa.  Il successo dell'opera ha determinato il diffondersi di due neologismi: il sostantivo "gattopardismo" e l'aggettivo "gattopardesco"[11].  Stemma Modifica  L'arma dei Tomasi (Palazzo ducale, Palma di Montechiaro) Blasonatura Modifica D'azzurro al leopardo d'oro, illeonito, sostenuto da un monte di tre cime di verde cucito.[12]  Motto Modifica spes mea in deo est  Genealogia Modifica Baroni di Montechiaro e duchi di Palma Modifica Il capostipite dei Tomasi siciliani, Mario (n. 1558), capitano d'armi, si trasferì dalla Campania in Sicilia, a Licata[13], dove sposò Francesca Caro baronessa di Montechiaro. Mario Tomasi e Francesca Caro ebbero due gemelli, Ferdinando e Mario, governatore del Castello di Licata e capitano dell'Inquisizione. Ferdinando (1597-1615), barone di Montechiaro[14], appena sedicenne sposò Isabella La Restia; i coniugi ebbero due gemelli, Carlo e Giulio, rimasti orfani del padre a nove mesi; quando i gemelli avevano diciassette anni morì anche la madre e lo zio Mario li chiamò presso di sé a Licata dove restarono circa sei anni.  Carlo venne nominato duca di Palma nel 1639 (il duca fu l'artefice della fondazione del paese oggi denominato Palma di Montechiaro) ma cedette baronia e ducato al fratello e prese gli ordini diventando uno dei chierici regolari teatini studioso di teologia. Scrisse numerose opere in latino e italiano, cinquantuno delle quali pubblicate[15]. Dopo la sua morte, essendogli stati attribuiti diversi miracoli, venne avviato un processo di beatificazione e fu proclamato Servo di Dio[16]. La famiglia annovera anche tre cardinali nel periodo bizantino (Fabio, durante il papato di Gregorio III, Vibiano durante quello di Alessandro II e Pietro durante il Patriarcato di Gerusalemme di Sergio III).  Duca Santo Modifica  La venerabile Maria Crocifissa (Isabella Tomasi), Giulio I (1614-1669), duca di Palma e barone di Montechiaro venne nominato principe di Lampedusa, sposò Rosalia Traina, baronessa di Falconeri, dalla quale ebbe otto figli:  Francesca (1643-1727), suor Maria Serafica, badessa del monastero di Palma; Isabella (1645-1699), suor Maria Crocifissa, beata (nel romanzo è ricordata come "Beata Corbera")[17]; Ferdinando (1647), che morì a tre mesi; Antonia (1648-1721), suor Maria Maddalena; Giuseppe I (1649-1713), cioè San Giuseppe Maria Tomasi; Rosaria, che morì a 11 mesi (1650-1651); Ferdinando (1651- 1672); Alipia (1653-1734), suor Maria Lanceata. I coniugi impartirono ai figli una rigida educazione religiosa; tutti, fatta eccezione per Ferdinando, si indirizzarono alla carriera ecclesiastica. Tale fervore religioso si perpetuò anche nei secoli successivi, tanto che i Tomasi rischiarono spesso l'estinzione[18]. Isabella, che visse come Suor Maria Crocifissa, entrò nel monastero, per lei e le sorelle fondato dal padre, il 12 giugno 1659, giorno dell'inaugurazione e con lei entrarono Francesca e Antonia: Isabella aveva quattordici anni, Francesca quindici ed Antonia undici. Nel 1661 anche la madre Rosalia entrò in convento di clausura come oblata insieme alla figlia diciottenne Alipia (l'unica che avendo solo sei anni quando vi entrarono le sorelle non le aveva seguite); fu costretta, per amministrare i vassalli, ad uscire dalla clausura quando il nipote Giulio II restò orfano.  Giulio I dedicò l'intera sua vita alla beneficenza e ad opere pie con tale assiduità ed impegno da essere definito il Duca Santo; costruì numerose chiese, un asilo per le orfanelle, un ospedale, un reclusorio per meretrici pentite, istituì un Monte di Pietà per contrastare gli usurai, avviò bonifiche e si dedicò a numerose opere sociali ed umanitarie. Il terzo principe di Lampedusa fu Ferdinando I, al quale spettarono i titoli nobiliari del padre, in quanto prima di lui erano nati solo due maschi, Ferdinando morto a tre mesi e Giuseppe I che, rinunciando ai suoi diritti dinastici, si era indirizzato alla carriera ecclesiastica. Tutte e quattro le figlie vollero entrare come suore di clausura nel Monastero Benedettino. Il fervore religioso di Giulio I e dei suoi congiunti era tale che a Palma l'intera famiglia era nota come "una razza di Santi"[19]; è ancora conosciuta a Palma una deliziosa nenia "Il testamento del Duca di Palma"[20]. Come il fratello Carlo alla sua morte Giulio I venne proclamato Servo di Dio[21]. l  Principi di Lampedusa, duchi di Palma, baroni di Montechiaro e Falconeri Modifica Ferdinando I morì a soli ventun anni, l'anno successivo alla nascita del figlio Giulio II (1671-1698), nato dal matrimonio con Melchiorra Naselli e Carlo. Anche Giulio II, morì giovane, a ventisette anni; dalla moglie Anna Maria Fiorito e Tagliavia, ebbe due figli maschi Antonino morto in tenera età e Ferdinando II, che visse quasi ottant'anni, sposò Rosalia Valguarnera e Branciforte e, rimasto vedovo, Giovanna Valguarnera e La Grua. Giulio II restò sino all'età di sette anni nel monastero che ospitava la nonna Rosalia (suor Seppellita) e le zie; compiuti i sette anni assunse l'onere della sua educazione il nonno materno Luigi, principe d'Aragona. Nonostante sia morto giovane riuscì a fondare l'Istituto delle Scuole Pie, affidato ai Padri Scolopi. Fu allievo dell'Istituto, la cui sede è oggi occupata dal comune di Palermo.  Ferdinando II (1697-1775) ebbe dieci figli, otto maschi e due femmine, Maria (1718-1795) suor Maria Crocifissa monaca del monastero di Palma e Anna Maria (m. 1751) che sposò Antonio Lucchesi Palli, principe di Campofranco. I figli maschi fatta eccezione per il primogenito Giuseppe II (1717-1792) e per Gaetano morto in tenerissima età, si diedero alla carriera ecclesiastica o a quella militare: Giulio (m. 1787) Abate di Santa Maria di Roccamadore e Prelato domestico di Clemente XIV, Salvatore (m. 1783) prete dell'Olivella, Carlo (n. 1734) gentiluomo di camera del duca di Savoia e capitano dell'esercito sardo, Gioacchino (1739-1792) esente guardie del corpo, Elia (1740-1790) capitano di artiglieria, Pietro (n. 1752) cavaliere di Malta. Ferdinando II potenziò il patrimonio della famiglia e la istituzione dell'Accademia dei Pescatori Oretei con finalità letterarie, il terzo seminario dei Nobili retto dai padri Scolopi, e l'assunzione di rilevanti ruoli politici. Fu nominato da Carlo VI grande di Spagna, fu presidente dell'arciconfraternita della Redenzione dei Cattivi, capitano di Giustizia di Palermo, pretore di Palermo, deputato del Regno, Vicario generale del Regno, maestro razionale di cappa corta del Regio Patrimonio. Giuseppe II (1717-1792) sposò Antonia Roano e Pollastra dalla quale ebbe tre figli Francesco morto in tenera età, Rosalia, moglie di Gioacchino Burgio del Vio, Duca di Villafiorita e Giulio III (1743-1812). Giuseppe II, cavaliere di Malta, fu governatore della Compagnia della Pace, ambasciatore del Senato di Palermo presso Carlo III, governatore del Monte di Pietà, capitano di Giustizia di Palermo, deputato del Regno, presidente dell'Arciconfraternita per la Redenzione dei Cattivi, Intendente Generale degli eserciti.  Il figlio Giulio III sposò Maria Caterina Romano Colonna figlia del duca di Reitano, con la quale ebbe tre figli Baldassarre cavaliere di Malta, Antonia moglie di Francesco Arduino Ruffo marchese di Roccalumera e Giuseppe III (1767-1833). Giulio III fu governatore della Pace, senatore di Palermo, rettore dell'Ospedale Grande, deputato del Regno, pretore di Palermo, governatore del Monte di Pietà, cavaliere di San Giacomo.  Giuseppe III si sposò due volte. La prima moglie, Angela Filangeri e la Farina figlia del principe di Cutò morì di parto insieme al nascituro; dalla seconda moglie Carolina Wochingher ebbe due femmine Caterina che sposò Giuseppe Valguarnera e Ruffo, principe di Niscemi e duca dell'Arenella e Antonia che sposò Francesco Caravita principe di Sirignano. L'unico maschio, Giulio IV, è il protagonista del romanzo Il Gattopardo. Giuseppe III dovette affrontare una situazione disastrosa sotto il profilo economico. La moglie Carolina, rimasta vedova, fu costretta ad affrontare numerose vertenze giudiziarie e a varare un progetto di contenimento delle spese.  Il Gattopardo e i suoi discendenti Modifica Giulio Fabrizio Maria Tomasi Caro Traina IV (1815-1885), pari di Sicilia, principe di Lampedusa, duca di Palma, barone di Montechiaro e Falconeri, sposò Maria Stella Guccia e Vetrano, figlia del marchese di Ganzaria e zia del matematico Giovanni Battista Guccia, fondatore del Circolo Matematico di Palermo[22]. Diedero alla luce dodici figli, sette femmine e cinque maschi. È il principe di Salina, protagonista del romanzo del bisnipote.   Giuseppe Tomasi di Lampedusa Salvatore, decimo figlio, morì giovane, come la sesta, Caterina e la dodicesima, Maria Rosa.  Linea maschile Modifica Giuseppe IV (1838-1908), primogenito del Gattopardo, sposò nel 1867 Stefania Papè e Vanni (1840-1913), dalla quale ebbe cinque figli maschi: Giulio (1868-1934), Pietro (1873-1964), Francesco (1875-1956), Ferdinando (1877-1920) e Giovanni (1879-1940). Francesco ebbe un figlio, Giuseppe, morto ventenne nel 1945. Si sposarono, ma non ebbero figli, Pietro, Ferdinando e Giovanni, mentre il primogenito Giulio V ebbe, oltre all'autore del romanzo, una femmina, Stefania, morta a tre anni (1893-1896).  Giuseppe V (1896-1957), lo scrittore, principe, duca e barone, sposò nel 1932 Alexandra Wolff Stomersee, figlia di un nobile baltico e dell'italiana Alice Barbi, che, nel 1920, in seconde nozze aveva sposato Pietro Tomasi della Torretta, zio di Giuseppe. Alla morte dell'autore del libro, lo zio Pietro, il parente maschio più prossimo, ereditò i titoli di principe di Lampedusa, duca di Palma e barone di Montechiaro e Falconeri. Come secondogenito era già barone della Torretta, conosciuto però come marchese (di "cortesia" secondo gli autori), titolo che usò ufficialmente nella carriera diplomatica. Pietro fu Ministro degli Esteri, Senatore del Regno, ultimo presidente del Senato del Regno e presidente del primo Senato della repubblica. Con Pietro Tomasi Della Torretta si estinse la linea maschile.  Linea femminile  Pietro morì a Roma nel 1962, nominando eredi di quanto possedeva a Ginevra le figlie della defunta moglie, una delle quali, Alexandra Wolff Stomersee, aveva sposato Giuseppe, il nipote scrittore. I suoi beni residui, tra i quali un lussuoso appartamento a Roma, andarono agli eredi legittimi, suoi cugini di primo grado: Giuseppe Garofalo, figlio di Maria Antonia Tomasi di Lampedusa, che aveva sposato il professor Giovanni Garofalo, e le sorelle Giovanna e Maria Carolina Crescimanno, figlie di Chiara Tomasi di Lampedusa, che aveva sposato Francesco Paolo Crescimanno di Capodarso.  Fra i diversi discendenti in linea femminile rimasti in Sicilia, vi era Isabella Crescimanno di Capodarso, deceduta il 13 aprile 2015, la quale scrisse Memorie, libro in cui venivano raccontati aneddoti della famiglia. Rimangono il fratello Cesare Crescimanno e i figli di lui Mario e Maria Laura, entrambi con figli ed altri discendenti.  Il secondogenito di Giulio Fabrizio Tomasi e di Maria Stella Guccia, Giovanni, barone di Montechiaro, (Palermo 1840 - Baden Baden 1896) sposò la cugina prima Carolina Guccia, Il figlio Giuseppe (1871-1936) sposò Rosa Agliata; portava il titolo di conte di Celona ed aveva un grande biglietto da visita in cui dichiarava di essere il solo ed unico cugino in secondo grado di Pietro Tomasi della Torretta, senatore del Regno. Dal matrimonio nacquero quattro figli, due maschi e due femmine. Tre non ebbero discendenti; soltanto Carolina (1908 - 2016) ebbe un figlio dal marito Giuseppe Lo Piccolo (Palermo 1947). Carolina era vivente quando Pietro Tomasi della Torretta morì, Era la parente più prossima in via femminile, poiché suo padre Giovanni era il secondogenito di Giulio Fabrizio. Da questo matrimonio fra Maria Giovanni Tomasi e Guccia e la cugina Carolina Guccia nacquero una figlia Maria Stella e un maschio Giuseppe che sposo Rosa Agliata ed ebbe due figli maschi e due femmine. Erano molto poveri ed i maschi morirono di tisi lavorando nelle miniere di Montegrande, una figlia era monaca e sua sorella Carolina Guccia e Marasà sposò l'avv. Giuseppe Lo Piccolo. Quando Pietro Tomasi della Torretta morì questo divenne il parente più prossimo in linea femminile. Ha fatto cognonomizzare Tomasi ed ha invertito il cognome in Tomasi Lo Piccolo. È seguito dai discendenti di Antonia Tomasi e Guccia la figlia più anziana di Giulio Fabrizio, che andò sposa al professor Giovanni Garofalo. I discendenti per via femminile di questo matrimonio sono i Di Rella Tomasi di Lampedusa. Anche loro hanno fatto cognonomizzare il cognome Tomasi di Lampedusa e sono discendenti di Giuseppe Garofalo, l'unico cugino maschio di primo grado vivente alla morte di Pietro Tomasi della Torretta.  Nessuno dei discendenti viventi avrebbe comunque avuto diritto - anche se la repubblica non avesse abolito i titoli nobiliari - al riconoscimento dei titoli in capo a Pietro (principe di Lampedusa, duca di Palma e barone della Torretta), poiché, dopo l'Unità d'Italia ed il riconoscimento negli anni venti dei titoli borbonici, poiché ad essi era stata estesa la legge salica, che escludeva le donne dalle linee dinastiche.  Secondo il diritto borbonico, invece, come si evince dall'esame dei Capitula Regni Siciliae, il capo della dinastia sarebbe diventato Giuseppe Lo Piccolo Tomasi, il parente maschio più prossimo in linea femminile. Quando Giuseppe Garofalo morì, era vivente il figlio della sua unica figlia Maria, coniugata Di Rella, quindi Aurelio Di Rella Tomasi ed i suo successori sarebbero i successori secondo il diritto borbonico. In verità sono preceduti da Giuseppe Lo Piccolo Tomasi, che non ha discendenti.   Aurelio Di Rella Tomasi di Lampedusa, avvocato, cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia e componente della Consulta dei Senatori del Regno, ha tre figli, due dei quali maschi, che si trovano immediatamente dopo di lui nella linea dinastica femminile.  Giuseppe Garofalo aveva due sorelle: Marietta, che rimase nubile, e Giulia, coniugata con Pietro Trombetta, che ebbe cinque figli (tre maschi e due femmine). Uno dei maschi, Giovanni Trombetta, avvocato, fu vice comandante militare della Resistenza ai nazisti in Liguria e. in onore della famiglia materna, assunse il nome di battaglia di "Colonnello Tomasi".  La regolamentazione dei titoli araldici vigente nel Regno d'Italia. Consulta araldica, Libro d'Oro  Con la soppressione degli ordinamenti feudali, negli Stati dove le distinzioni nobiliari sopravvissero vennero costituite speciali commissioni consultive per l'esame di questioni araldiche. Si ebbero così il tribunale araldico in Lombardia, la commissione araldica a Venezia e Parma, la congregazione araldica capitolina a Roma ecc.. Analogamente a quanto era avvenuto negli stati preunitari, anche nello stato italiano venne istituito, con il Regio Decreto 313 del 10 ottobre 1869, un organo collegiale, denominato Consulta araldica. Con il Regio Decreto 5318 dell'8 maggio 1870 venne istituito il Libro d'oro della nobiltà italiana. Questo registro avrebbe man mano raccolto le concessioni di giustizia o di grazia approvate dalla Consulta araldica. L'estratto del Libro d'oro faceva fede del loro riconoscimento da parte del Regno d'Italia.  Le successioni furono regolamentate secondo la legge vigente nel Regno di Sardegna, e fu quindi ammessa soltanto la successione per via maschile secondo le norme della legge salica: maschi primogeniti.   La Consulta fu varie volte mutata nella composizione e nelle attribuzioni fino al Regio Decreto 7 giugno 1943, n. 651. La Consulta esaminava tanto le pratiche di giustizia che quelle di grazia. Le prime erano le successioni che seguivano i principi della legge salica, le seconde quelle successioni che avevano bisogno di una sanatoria concessa con decreto reale (successioni per via femminile, in favore di membri della famiglia diversi dai maschi primogeniti). Queste successioni per grazia avevano il carattere di una rinnovazione. I titoli venivano concessi sul cognome ed erano soggetti alla legge salica nella ulteriore trasmissione. Vennero di fatto privilegiate le successioni che sanavano contenziosi all'interno delle grandi famiglie e assistita la loro sopravvivenza. I criteri erano piuttosto restrittivi, anche se il Regno d'Italia conservò spesso le regole presenti al momento della loro concessione, per cui i titoli austriaci erano riconosciuti a tutti i componenti maschili del casato. Il Libro d'oro stabiliva anche una imposta di concessione per l'iscrizione ed in assenza di questa vari titoli rimasero esclusi dall'inclusione per motivi fiscali. Era questo il caso di famiglie che avevano molti titoli e non corrisposero la tassa per tutti quelli che potevano rivendicare. Queste situazioni rimasero insanabili, in quanto Umberto II non ritenne di dover sanare situazioni fiscali in vigore nel Regno d'Italia.  La trasformazione in Repubblica Italiana nel 1946 e la successiva Costituzione del 1948 abolirono qualsiasi titolo nobiliare; la XIV disposizione transitoria e finale demandò a una legge ordinaria le modalità di soppressione della Consulta araldica; per molti anni non sopraggiunse alcun atto al proposito e perciò si presumeva che l'organismo persistesse formalmente, pur non avendo più titolo né scopo. Infatti la sentenza della Corte costituzionale del 26 giugno 1967, n. 101, dichiarò illegittima qualsiasi legislazione araldico-nobiliare italiana susseguitasi dal 1887 al 1943. Nel 1967 ancora la Consulta sentenziò che i titoli nobiliari «non costituiscono contenuto di un diritto e, più ampiamente, non conservano alcuna rilevanza». Il D.L. 112/2008 (convertito in legge 133/2008) e il Decreto legislativo 66/2010 abrogarono espressamente, rispettivamente, il R.D. 651/1943 e il R.D. 652/1943, che regolavano i titoli nobiliari, e la Consulta araldica. Dopo tali atti abrogativi, dunque, non esiste più alcuna norma giuridica relativa alla Consulta araldica e detta consulta è soppressa a tutti gli effetti.  La Consulta araldica dopo la proclamazione della Repubblica  La decisione di abbandonare l'Italia da parte di Umberto II il 13 giugno 1946 non determinò una rinuncia totale alle sue prerogative. Umberto ritenne di mantenere in vita la fons honorum spettante a casa Savoia. A partire dal 1950, Umberto II rilasciò numerosi titoli nobiliari, attenendosi alle prassi in essere ai tempi del Regno. Furono sanate molte vertenze e il Libro d'oro della nobiltà italiana continuò ad essere stampato come documento di una associazione privata. Questa si strutturò in associazioni regionali e in una giunta centrale. Molti titoli furono anche assegnati a vari sostenitori della monarchia ed alla borghesia imprenditoriale, in particolare nel settore dell'edilizia.  All'interno di questa prassi, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, avendo nel maggio 1946 richiesto alla corte di appello di Palermo di adottare il suo cugino in secondo grado Gioacchino Lanza di Mazzarino e di Assaro, si presentava assieme ai genitori dell'adottando Fabrizio Lanza di Assaro e Conchita Ramirez di Villarrutia in tribunale e veniva registrato l'assenso all'adozione. Nel dicembre del 1946, alla registrazione del decreto da parte della Corte di Appello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa scriveva a Falcone Lucifero, Ministro della Real Casa, del suo desiderio di trasmettere i titoli della famiglia al figlio adottivo, in assenza di una discendenza maschile. La lettera recava anche l'adesione e l'appoggio di Pietro Tomasi della Torretta. Successivamente Fabrizio Lanza di Assaro si recò a Villa Italia a Cascais ed Umberto IIcomunicò per iscritto a Lucifero la sua adesione alla proposta di trasmettere il titolo di duca di Palma sul cognome all'adottando. I restanti titoli della famiglia Tomasi, secondo il regolamento araldico del Regno d'Italia, tornavano alla Corona.  Note Modifica ^ A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, Reber, 1912 (anche centrale/mango online: «vanta discendere dalla famiglia dei Leopardi di Costantinopoli che si vuole passata in Ancona sin dal 646 cambiando il cognome in quello di Tomasi»). ^ Angelo Tommasi di Vignano, Notizie storiche e genealogiche sulla nobile famiglia Tommasi: Tommasi e Tomasi, rami di Siena, di Capua e di Sicilia, 1933 ^ V. Palizzolo Gravina, op. cit., 363-364, segnala quanto segue: «sull'origine della famiglia Tomasi dal Villabianca appoggiato al Sansovino rileviamo essere l'antica de' Leopardi di Roma, è passata con Costantino imperatore in Costantinopoli, ove fu grande e potente sino al tempo di Eracleo imperatore, per la cui morte ella passo' in Italia, fermandosi in Ancona. La si disse Tomasi dal greco trauma, che vuol dire mirabile, però che si sa i due gemelli Artemio e Giuliano aver mostrato un ingegno meraviglioso». Tutti gli altri autori concordano nel ritenere che uno dei due gemelli si chiamasse Giustino e non Giuliano ^ F. Mugnos, op. cit., vol. III, al riguardo precisava: «Tuttavia non lascerò di dire che Artemio e Giustino fratelli gemelli, ovvero nati ambedue da un parto, cavalieri nobilissimi costantinopoliani dell'antichissima famiglia Leopardi originata da Leopardo o da Licino Leopardo figlio di Crispo primogenito dell'imperatore Costantino il grande» ^ A. Colquhoun, A dilemma of Princes, Go, 1960, p. 30. ^ A. Vitello, I Gattopardi di Donnafugata, cit., p. 39: «Capostipite della gens Thomasa-Leopardi è il generale Thomaso detto il Leopardo, principe dell'Impero Bizantino e comandante della guardia imperiale. Fu lui a sposare Irene, figlia dell'imperatore Tiberio». Tuttavia Gilmour, biografo inglese dell'Autore del libro, ritiene prive di prova le tesi di Vitello e fantasiose tutte le ricostruzioni dell'albero genealogico anteriori al ritorno in Italia della famiglia (David Gilmour, L'ultimo Gattopardo, Feltrinelli, Milano 2003, pp 20-21). ^ Vincenzo Buonassisi, op. cit., scrive: "«Tutti si accordano in dire, che ella sia greca di origine, e della città di Costantinopoli non essendo però si chiaro, se ella già di antico fosse passata in essa al tempo di Costantino, o fossevi passata di poi. Venne ella primieramente in Ancona in due fratelli Artemio e Giustino, nati di un parto, e tanto simiglianti nelle fattezze che era una meraviglia il vederli: onde anche si vuole che a cagione di questa stupenda simiglianza venissero chiamati i Tomasii, perché di prima Leopardi diceva si, spiegando l'insegna di un Leopardo» ^ scrive Andrea Vitello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Sellerio 2008 p. 31: "della comune origine era convinto il padre del poeta che fu in corrispondenza con il padre dell'astronomo; nella Istoria gentilizia di casa Leopardi di Recanati il conte Monaldo sostenne appunto la discendenza dei Leopardi dai Thomasi bizantini" ^ . I Capitula qui citati ed altri relativi al tema della successione dei feudi sono reperibili nei Capitula Regni Siciliae dei quali è stata pubblicata una ristampa anastatica dall'editore Rubbettino nel 1999 ^ Girolamo Gigli, Diario Sanese, Siena, 1854, pp 548 e seg. ^ Il VI volume del Grande Dizionario della Lingua Italiana di Salvatore Battaglia edito dall'UTET nel 1970 non riportava le due voci che compaiono invece a pagina 410 del supplemento del 2004. I due termini non risultavano riportati neppure nell'edizione del 1984 del Vocabolario illustrato della lingua italiana, di Devoto-Oli, editrice Selezione dal Reader's Digest. Entrambi i vocaboli sono invece riportati nel Dizionario essenziale della lingua italiana di Sabatini-Coletti pubblicato dalla casa editrice Sansoni nel 2007. Compare solo il termine gattopardismo ne Il grande italiano-vocabolario della lingua italiana di Aldo Gabrielli, edito nel 2008 dalla casa editrice Hoepli. Nel linguaggio aulico, ha avuto ingresso soltanto di recente (Mimmo Muolo, LA REGOLA D’ORO, Avvenire, 23 dicembre 2016, in ordine alle resistenze nella Curia: "il Papa ne ha evidenziate di tre tipi: aperte in quanto derivanti dal dialogo sincero, nascoste o gattopardesche, e malevole, queste ultime ispirate dal demonio"). ^ A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, Reber, 1912 (anche centrale/mango online: «vanta discendere dalla famiglia dei Leopardi di Costantinopoli che si vuole passata in Ancona sin dal 646 cambiando il cognome in quello di Tomasi»). ^ Francesco Emanuele Gaetani marchese di Villabianca, Della Sicilia nobile, Palermo 1757, p. 65, "...Mario di Tomasi che da Capua passò in Sicilia, con il viceré Marco Antonio Colonna, e fu capitan d'armi nella Licata sull'anno 1585, rispondendo in quei tempi un tal uffizio al grado di Vicario generale regio d'oggidì" ^ Marchese di Villabianca, op. cit. p 65: "fu quella baronia recata in dote da Francesca di Caro e Celestre, primogenita figlia di Ferdinando ultimo barone di essa a Mario di Tomasi" ^ Tutti gli scritti di Carlo Tomasi sono enumerati e sinteticamente descritti nella seconda parte dell'opera di Antonio Francesco Vezzosi I scrittori de' chierici regolari detti Teatini , Roma 1780, pp 349-359 ^ Giovanni Bonifacio Bagatta Vita del venerabile Servo di Dio D. Carlo de' Tomasi e Caro della Congregazione de' chierici regolari Roma 1702 ^ S. Cabibbo - M. Modica, op. cit, p. 85 raccontano che la beata Isabella usava flagellarsi a sangue sin dalla più tenera età. ^ Secondo Gilmour, op. cit., p. 22, a Capua su otto figli sei si fecero sacerdoti o monache ^ da Reinhard Volker, Le grandi famiglie italiane, le élite che hanno condizionato la storia d'Italia di Horst Reimann Tomasi di Lampedusa, Neri Pozza, 1996, p. 585 ^ Volker, ivi, p. 588 ^ Biagio della Purificazione, Vita e virtù dell 'insigne Servo di Dio D. Giulio Tomasii e Caro, duca di Palma, Prencipe di Lampedusa, barone di Monte Chiaro e cavaliere di San Giacomo , Roma, 1685 ^ Benedetto Bongiorno, Guillermo P. Curbera, Giovanni Battista Guccia, Pioneer of International Cooperation in Mathematics, Springer, Heidelberg 2018. Bibliografia Modifica Gian Evangelista Blasi, Opuscoli di autori siciliani alla grandezza di Ferdinando Maria Tomasi, Caro, Traina e Naselli, Palermo, 1770. Bonifacio Bagatta, Vita del venerabile servo di Dio D. Carlo De' Tomasi della Congregatione De' Chierici Regolari, Roma 1702. Domenico Bernino, Vita del venerabile cardinale D. Giuseppe Maria Tomasi de' Chierici regolari, Roma. Vincenzo Buonassisi, Sulla condizione civile ed economica della città di Siena, Moschini, 1854. Sara Cabibbo, Marilena Modica, La Santa dei Tomasi, storia di Suor Maria Crocifissa, Einaudi, Torino, 1989. Francesco Caravita di Sirignano, Memorie di un uomo inutile, Mondadori, 1981. Isabella Crescimanno Tomasi, Memorie, fondazione Piccolo di Calanovella, 2009. Giovanni Battista di Crollalanza, Dizionario storico blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, rist. an., Forni, Sala Bolognese 2011. Girolamo Gigli, Diario Sanese, Siena, 1854. David Gilmour, L'ultimo Gattopardo, Feltrinelli, 2003. Leptailurus serval, internet. Antonino Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, Reber, 1912. Giovanni Mattoni, Sul sentiero della pazienza, vita di San Giuseppe Maria Tomasi, cardinale di santa Romana Chiesa, Vicenza, 1986. Filadelfo Mugnos, Teatro genologico delle famiglie del Regno di Sicilia, rist. an., Forni, Sala Bolognese 2007. Vincenzo Palizzolo Gravina, Il blasone in Sicilia, Visconti & Huber, 1875 Volker Reinhardt, Le grandi famiglie italiane. Le élites che hanno condizionato la storia d'Italia, Neri Pozza, 1996. Salvatore Savoia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Palermo, 2010. Giuseppe Tosi, L 'eredità morale del Gattopardo, Salerno, 1999. Andrea Vitello, I Gattopardi di Donnafugata, Flaccovio, 1963. Andrea Vitello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il Gattopardo segreto, Sellerio, 1987. Nunzio Zago, Giiuseppe Tomasi di Lampedusa, Palermo, 1987. Voci correlate Modifica San Giuseppe Maria Tomasi Pietro Tomasi Della Torretta Giuseppe Tomasi di Lampedusa Palazzo Lampedusa Villa Lampedusa Palma di Montechiaro Castello di Montechiaro (Palma di Montechiaro) Tomasi (famiglia) Controllo di autorità VIAF ( EN ) 77198047 · CERL cnp00569868 ·GND ( DE ) 122475119 · WorldCat Identities( EN ) viaf-77198047   Portale Sicilia   Portale Storia di famiglia Ultima modifica 2 mesi fa di Messbot PAGINE CORRELATE Pietro Tomasi della Torretta diplomatico e politico italiano  Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrittore italiano  Giulio Fabrizio Tomasi nobile italiano  Principe Fabrizio Salina protagonista del romanzo Il Gattopardo Lingua Segui Modifica Don Fabrizio Corbera, principe di Salina Il gattopardo salina01.jpg Il principe di Salina Fabrizio Corbera interpretato da Burt Lancaster nel film Il Gattopardo. Universo Il Gattopardo Lingua orig. Italiano Soprannome Il Gattopardo Autore Giuseppe Tomasi di Lampedusa Interpretato da Burt Lancaster Voce orig. Corrado Gaipa Sesso Maschio Etnia Italiana Professione nobile Don Fabrizio Corbera, principe di Salina, duca di Querceta, marchese di Donnafugata, è il protagonista del romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e dell'omonima trasposizione cinematografica di Luchino Visconti.  Il personaggio Modifica La figura di don Fabrizio, in parte autobiografica e in parte ispirata al personaggio storico di Giulio Fabrizio Tomasi, rappresenta la disillusione e l'impotenza di un'intera classe sociale di fronte ai cambiamenti della storia.  Don Fabrizio è la figura di un uomo che seppure dotato di una forza epica e di una statura intellettuale superiore a quella dei suoi pari, non riesce a integrarsi nella società a lui contemporanea, cui guarda con scetticismo e altera lucidità. Emblematico è il suo rifiuto ad accettare la carica di senatore del neo-regno sabaudo, non certo perché mosso da lealismo borbonico, ma per una sostanziale incapacità intellettuale, che lo scrittore chiama "rigidità morale", ad assumersi la responsabilità politica di un cambiamento di cui, in fondo, non si sente partecipe.  Il personaggio storico Modifica Nella storia il personaggio di don Fabrizio è ricalcato su quello realmente esistito di Giulio Fabrizio Tomasi, bisnonno dello scrittore italiano.  Il personaggio tra realtà e finzione Modifica Sarebbe sbagliato credere che la figura di don Fabrizio sia quello di un personaggio reale: di Giulio Fabrizio Tomasi, oltre al nome, alla statura, al colore biondastro dei capelli e alla passione dilettantesca per l'astronomia, ha ben poco.  Lo stesso Tomasi di Lampedusa se ne era accorto, e nella ormai celebre lettera all'amico Enrico Merlo[1]dichiarava che il personaggio del romanzo doveva apparire molto più intelligente di quanto non lo sia stato nella realtà. In effetti Giulio Tomasi, bisnonno dello scrittore, come Don Fabrizio, non prese mai parte alla vita politica del suo tempo e con la sua morte, avvenuta senza aver mai fatto testamento, inizia la lunga vicenda giudiziaria fra i suoi eredi (1885-1960 ca) che ha portato al totale disfacimento del patrimonio dei Lampedusa.  Anche la passione per l'astronomia, che nel romanzo diventa un elemento epico, effettivamente si tradusse nel ripiegamento in un interesse puramente personale e dilettantistico di un aristocratico siciliano di metà ottocento. Conosciamo anche il catalogo delle sue osservazioni astronomiche, ma nulla fa intravedere la possibilità di una reale scoperta di corpi celesti.  Insomma, sulla figura di Giulio Tomasi pesa un giudizio critico sostanzialmente negativo che nemmeno le sue doti in campo matematico-astronomico son riuscite a cancellare: il don Fabrizio de Il Gattopardo è invece un personaggio puramente letterario, che in certe sfumature psicologiche deve assomigliare molto di più al suo autore che non al modello storico.  Scrive in proposito Pietro Citati: «Con una leggera vanità, Lampedusa immaginava di assomigliargli. Non gli assomigliava affatto: Salina era soltanto un sogno o una remota proiezione di eleganza e di grandezza inattingibili. Lampedusa non aveva la sua autorità, prepotenza, crudeltà, orgoglio di classe. Non aveva la pelle bianca, i capelli biondi, né la mitomania. Non conosceva il suo ardore carnale, l'allegra felicità fisica, il dono di afferrare e possedere la vita. Non condivideva il suo spirito mondano, portato anche nelle esperienze spirituali. Solo qualche volta l'antenato avidissimo e il discendente passivo si incontrano e si abbracciano nello stesso sentimento: quando Fabrizio rivela il proprio desiderio di contemplazione, l'"indifferente bontà", e la sconfitta».[2]  Quello che appare un trittico di personaggi, il Giulio Tomasi storico, il don Fabrizio del romanzo e l'autore stesso, è in realtà un unico quadro la cui chiave di lettura è per l'appunto l'autobiografismo.  Tomasi di Lampedusa, come il suo avo, vive un'epoca di transizione: l'uno si rifugia nella scrittura, l'altro nell'astronomia. Entrambi, rifiutano di partecipare alla vita politica del tempo.  E va qui ricordato che Tomasi rifiutò dopo una prima adesione, la carica di presidente regionale della C.R.I., proprio durante l'ultimo periodo bellico. Questa fu la sua unica esperienza politica, insieme alla giovanile partecipazione alla "grande guerra".  Eppure lo scrittore Lampedusa, attraverso il suo romanzo, che a distanza di cinquant'anni dalla sua uscita continua ad essere uno dei capolavori della narrativa italiana del secondo novecento, come è stato giustamente ribadito da Francesco Orlando, eterna un'epoca e il disfacimento totale di un'intera classe sociale attraverso il suo autobiografismo, che non scade mai nel memorialismo grazie al fatto che i suoi personaggi, come per l'appunto Don Fabrizio, non sono mai abbastanza realistici, senza per questo essere meno "veri", per irretire il racconto in uno schema narrativo di stampo verista, simbolista o ancor meno decadentista.  Il Gattopardo è un'opera moderna, senza per questo essere un romanzo epocale: forse in ritardo rispetto a certi modelli europei, cui comunque l'autore si rifà, Il Gattopardo è quanto di più squisitamente siciliano si possa immaginare. Anche l'anti-italianismo di Lampedusa che si traduceva nel rifiuto del melodramma, diventa un modo per affermare l'identità insulare dell'autore.  Note Modifica ^ Il cane Bendicò è la chiave del Gattopardo, su Repubblica.it, 9 novembre 2000. URL consultato il 15 marzo 2017. ^ Fabrizio Salina principe e gigante, su Repubblica.it, 30 novembre 1995. URL consultato il 15 marzo 2017. Bibliografia Modifica Gioacchino Lanza Tomasi, G. Tomasi di Lampedusa. Una biografia per immagini, Palermo, Sellerio, 1999, ISBN 88-7681-113-3. Gioacchino Lanza Tomasi, I luoghi del gattopardo, Palermo, Sellerio, 2001, ISBN 88-7681-139-7. Francesco Orlando, Ricordo di Lampedusa, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, ISBN 88-339-0982-4. Collegamenti esterni Modifica ( EN ) Principe Fabrizio Salina, su Internet Movie Database, IMDb.com.   Portale Letteratura: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di letteratura Ultima modifica 2 mesi fa di Rojelio PAGINE CORRELATE Il Gattopardo romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa  Villa Lampedusa Giulio Fabrizio Tomasi nobile italiano Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce sull'argomento nobili italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Giulio Fabrizio Tomasi (Palermo, 12 aprile 1815 – Firenze, 1885) è stato un nobile italiano.  Biografia Modifica Giulio Fabrizio Maria Tomasi, appartenente alla famiglia Tomasi di Lampedusa, fu bisnonno di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nonché la figura storica a cui lo scrittore si ispirò per il personaggio di Principe Fabrizio Salina, protagonista del romanzo Il Gattopardo.  Di lui sappiamo relativamente poco e la sua figura storica è ricostruibile principalmente da quanto riferito dallo stesso scrittore e da quanto rimane della sua biblioteca, oggi in parte conservata a Palermo, presso l'archivio privato della famiglia Lanza Tomasi.  Giulio Tomasi nacque a Palermo il 12 aprile 1813, erede di quella che era allora un'importante famiglia dell'aristocrazia siciliana: dal padre, Giuseppe Tomasi e Colonna, ereditò nel 1831 il titolo di Principe di Lampedusa e di Duca di Palma. Fu anche Grande di Spagna e sedette fra i Pari del Regno di Sicilia fino al 1848. Dalla madre, Carolina Wochinger, di origini tedesche, ereditò invece una certa attitudine teutonica al rigore intellettuale e allo scientismo illuminista settecentesco. Sposò Maria Stella Guccia e Vetrano, figlia del marchese di Ganzaria e zia del matematico Giovanni Battista Guccia, fondatore del Circolo Matematico di Palermo.[1]  Personaggio difficilmente catalogabile, Giulio Tomasi fu certamente un aristocratico dotato di una cultura e di una curiosità intellettuale superiori alla media, come dimostra la sua ricca biblioteca, dove troviamo testi di astronomia, matematica, geometria, meccanica e fisica, fra i quali preziosi esemplari della Meccanica Analitica di Joseph-Louis Lagrange e uno dei primissimi volumi stampati del celebre Kosmos di Alexander von Humboldt. Totalmente autodidatta, Giulio Tomasi fu un astronomo dilettante, ma che riuscì ad ottenere "sufficienti riconoscimenti pubblici e gustosissime gioie private" (Il Gattopardo, pag. 25) come ne ebbe a ricordare il pronipote scrittore.[2]  Sappiamo che nel 1853 creò un proprio osservatorio astronomico, in una sua villa nella Piana dei Colli, a nord di Palermo: conosciuta come Villa Lampedusa, per questa innovazione era all'epoca nota soprattutto come "Osservatorio ai Colli del Principe di Lampedusa". Alla sua morte, avvenuta a Firenze nel 1885, l'Osservatorio ai Colli fu frazionato fra gli eredi e la strumentazione astronomica venduta.  Note Modifica ^ Benedetto Bongiorno, Guillermo P. Curbera, Giovanni Battista Guccia, Pioneer of International Cooperation in Mathematics, Springer, Heidelberg 2018. ^ Il Gattopardo tra gli astri Controllo di autorità VIAF ( EN ) 81387616 · CERL cnp01165159 ·WorldCat Identities ( EN ) viaf-81387616   Portale Astronomia   Portale Biografie   Portale Letteratura Ultima modifica 9 mesi fa di 5.170.225.93 PAGINE CORRELATE Principe Fabrizio Salina protagonista del romanzo Il Gattopardo  Tomasi di Lampedusa (famiglia) famiglia aristocratica italiana  Villa Lampedusa Villa Lampedusa Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento ville d'Italia non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Ulteriori informazioni Questa voce sugli argomenti ville della Sicilia e architetture di Palermo è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Villa Lampedusa Localizzazione Stato Italia Italia Regione Sicilia Località Palermo Coordinate 38°09′45.72″N 13°19′44.04″E Informazioni generali Condizioni In uso Villa Lampedusa è una villa che si trova a Palermo, costruita come residenza suburbana all'epoca di Ferdinando IV di Borbone, che aveva una residenza estiva, la cosiddetta Casina Cinese, nei pressi della quale la nobiltà siciliana costruiva le proprie ville di campagna. All'inizio del XVIII secolo venne fatta edificare da don Isidoro Terrasi, nel 1756 vennero effettuati alcuni lavori di ristrutturazione su progetto di Giovanni Del Frago, architetto. Degne di note le decorazione eseguite da Gaspare Fumagalli. La villa appartenne poi ai Principi Alliata di Villafranca ed infine ai Tomasi di Lampedusa.  All'epoca del romanzo Il Gattopardo era più noto come "Osservatorio ai Colli del Principe di Lampedusa" dall'attività prediletta dell'allora proprietario, Giulio Fabrizio Tomasi, bisnonno di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e figura storica a cui lo scrittore si ispirò per il personaggio di Principe Fabrizio Salina, protagonista del romanzo Il Gattopardo. Appariva come una costruzione a due piani, alle spalle del corpo principale della villa; il primo piano costituiva probabilmente lo studio, mentre il secondo, con la copertura a cupola, la specola vera e propria. Alcuni degli strumenti in uso del principe sono oggi conservati presso il Museo dell'Osservatorio astronomico di Palermo. Fra questi i più rilevanti sono il telescopio azimutale Merz, il telescopio equatoriale di Lerebours & Secretan e il telescopio altazimutale di Worthington.[1][2] Alla sua morte, avvenuta nel 1885, l'Osservatorio ai Colli fu frazionato fra gli eredi e la strumentazione astronomica venduta.  Oggi all'interno della proprietà, sono ospitate delle attività commerciali.  All'interno del Baglio della foresteria di Villa Lampedusa si trova una struttura alberghiera Villa Lampedusa Hotel & Residence [3] gestita dal Gruppo Guccione.  Nelle Antiche Scuderie invece, oggi viene svolta un'attività di ristorazione dai fratelli Cottone, con il loro Ristorante Pizzerie La Braciera in Villa[4].  Note Modifica ^ L'Attività astronomica di Giulio Fabrizio Tomasi, Principe di Lampedusa ^ Indice Strumenti ^ Villa Lampedusa – Hotel and Residence, su hotelvillalampedusa.it. URL consultato l'11 giugno 2021. ^ Villa Lampedusa, su La Braciera. URL consultato l'11 giugno 2021. Collegamenti esterni Modifica scheda su un sito del turismo a Palermo, su palermoweb.com. storia della proprietà attuale, su hotelvillalampedusa.it. informazioni sul restauro, su mobilitapalermo.org.   Portale Architettura   Portale Palermo Ultima modifica 6 mesi fa di 5.91.251.38 PAGINE CORRELATE Principe Fabrizio Salina protagonista del romanzo Il Gattopardo  Giulio Fabrizio Tomasi nobile italiano Palazzo Lanza Tomasi Lingua Segui Modifica Palazzo Lanza Tomasi Palermo 0421 2013.jpg Facciata Localizzazione Stato Italia Italia Regione Sicilia Località Palermo Indirizzo Kalsa, Mura delle Cattive Coordinate 38°07′04.5″N 13°22′18.52″E Informazioni generali Condizioni In uso Costruzione XVII secolo Uso privato Il Palazzo Lanza Tomasi di Lampedusa è un edificio patrizio del XVII secolo, ubicato sulle Mura delle Cattive e affacciato sul Foro Italico, lungomare di Palermo.[1]   Panoramica. Storia Modifica Epoca spagnola Modifica L'edificio - altrimenti definito Palazzo Lampedusa alla Marina, con accesso in via Butera - sorge nel quartiere Kalsa, la cittadella eletta degli Emiri, adiacente all'Hotel Trinacria. L'attuale costruzione fu edificata alla fine del Seicento sui bastioni spagnoli, fortificazioni erette a difesa degli attacchi e delle incursioni perpetrati da ciurme pirata o corsare, nel contesto storico in cui imperava il bisogno primario di assicurarsi la supremazia navale nel Mediterraneo.  Dopo la vittoriosa impresa di Tunisi nel 1535, Carlo V d'Asburgo predispose la costruzione di nuovi bastioni per la difesa della città. Dopo il transito dell'imperatore in molte località dell'isola, i viceré di Sicilia Ferrante I Gonzaga prima, e Giovanni Vega poi, gestirono imponenti cantieri di fortificazioni alla moderna. La Marina era protetta a nord dal Forte di Castellamare, a sud dal bastione di Vega, e fra i due fu eretto il bastione del Tuono.[2] In prossimità delle mura la zona era densamente militarizzata e soltanto nella seconda metà del Seicento si cominciarono ad edificare i palazzi a ridosso delle mura. Il bastione del Tuono fu demolito attorno al 1720, quello di Vega sul finire del secolo.  I primi edifici furono il palazzo Branciforte di Butera[1][3] e la chiesa di San Mattia Apostolo con l'aggregato noviziato dei Crociferi.[1][4] I Brancifortefurono i proprietari dell'intera cortina muraria da Porta Felice al bastione del Tuono. Gli edifici a ridosso del bastione furono ceduti ai Gravina[5] e da questi affittati ai Padri Teatini che li adibirono a Collegio Imperiale per l'educazione dei nobili.[6]  Il Collegio fu chiuso nel 1768 e il palazzo fu acquistato da Giuseppe Amato, principe di Galati. Questi intervenne unificando in un unico prospetto di stile vanvitelliano la facciata sul mare, formata da dieci finestre con terrazza.  Epoca unitaria Modifica Nel 1849 il principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, astronomo dilettante, lo acquistò con l'indennizzo versatogli dalla corona per l'espropriazione dell'isola di Lampedusa.  Gli armatori De Pace acquistarono metà del palazzo nel 1862 e lo trasformarono secondo il gusto del tempo, realizzando il grande scalone d'ingresso e il parquet a doghe di ciliegio e noce per la Sala da ballo. Il manufatto marmoreo, come tanti altri elementi d'arredo, proviene dal convento delle Stimmate, abbattuto in seguito alla costruzione del Teatro Massimo Vittorio Emanuele.  Epoca contemporanea Modifica Nel 1948 Giuseppe Tomasi di Lampedusa, dopo la perdita del palazzo di famiglia nei bombardamenti del 22 marzo e del 5 aprile 1943, ricomprò la proprietà dai De Pace e vi risiederà fino alla morte, avvenuta nel 1957.  Oggi è residenza del musicologo Gioacchino Lanza Tomasi e della consorte duchessa Nicoletta Polo Lanza Tomasi. Il figlio adottivo dello scrittore ha riunificato l'intera proprietà e compiuto un completo restauro dell'edificio.  L'ultimo piano è sede della struttura ricettiva Butera 28 Apartments.  Stile Modifica Prospetto verso la marina con dodici finestre e terrazza, quest'ultima un vero e proprio giardino pensile con fonte, ricco di essenze mediterranee e subtropicali.   La costruzione presenta quattro livelli, di cui tre elevazioni oltre il pianoterra su via Butera. Il solo piano nobile sul fronte mare.  Piano nobile del palazzo costituisce in gran parte la casa museo dello scrittore: Biblioteca storica di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.[7] Nell'ambiente sono presenti due grandi bocce di Caltagirone del primo Settecento, sulla parete sopra il caminetto, un San Girolamo, opera di Jacopo Palma il Giovane. Sala da ballo, ambiente in cui sono esposti tutti i suoi manoscritti: il manoscritto completo de Il Gattopardo, quello della quarta parte del romanzo contenente una pagina che con compare nella pubblicazione, il dattiloscritto, i manoscritti della Lezioni di Letteratura Francese e Inglese e dei Racconti, una prima stesura de La Sirena. Nella sala è presente un piccolo quadro di Domenico Provenzani raffigurante la famiglia del "Duca Santo" Giulio Tomasi di Lampedusa. Scalone monumentale[7] in marmo. Tra gli ambienti che raccorda si trovano: Sala delle Conferenze: ambiente con soffitto affrescato ed una splendida collezione di ventagli francesi del Settecento; Sala del Mediterraneo, l'ambiente ospita una collezione di carte nautiche redatte dalla Marina Inglese nel 1870, di proprietà del nonno di Gioacchino Lanza Tomasi; Museo della famiglia Tomasi di Lampedusa; Sale di ingresso[7] e un secondo scalone. Opere Modifica I restanti arredi del piano nobile provengono da Palazzo Lanza di Mazzarino. Tra questi uno tavolo in marmo intagliato della metà del Cinquecento, originariamente nella Villa Palagonia, due rari cassettoni siciliani in ebano e avorio del primo Settecento, due lampadari a gabbia di Murano modello Rezzonico e uno centrale di epoca Luigi XVI. Quadri di Pietro Novelli, Antonio Catalano, Federico Barocci. Opere moderne come bozzetti di Robert Wilson (regista), Arnaldo Pomodoro e Mimmo Paladino, oltre a due ritratti a penna di Pablo Picasso risalenti al 1910, raffiguranti la marchesa Anita, nonna di Gioacchino.  Note Modifica ^ a b c Gaspare Palermo Volume quinto, pp. 15. ^ Gaspare Palermo Volume quinto, pp. 6 e 7. ^ Gaspare Palermo Volume secondo, pp. 358. ^ Gaspare Palermo Volume secondo, pp. 347. ^ Gaspare Palermo Volume secondo, pp. 305 e 306. ^ Pagine 355, 384, 453 3 454, Giovanni Evangelista Di Blasi, "Storia del regno di Sicilia" [1], Volume III, Palermo, Stamperia Orotea, 1847. ^ a b c Arredamento proveniente dal distrutto Palazzo Lampedusa e dal Palazzo Filangeri di Cutò di Santa Margherita di Belice, la residenza estiva dei Filangeri di Cutò, la famiglia materna dello scrittore, distrutta dal terremoto della valle del Belice nel 1968. Bibliografia Modifica Gaspare Palermo, "Guida istruttiva per potersi conoscere ... tutte le magnificenze ... della Città di Palermo", Volume II, Palermo, Reale Stamperia, 1816. Gaspare Palermo, "Guida istruttiva per potersi conoscere ... tutte le magnificenze ... della Città di Palermo", Volume V, Palermo, Reale Stamperia, 1816. Voci correlate Modifica Alcuni riferimenti al presente non sono più esistenti oppure risultano modificati o ricostruiti con tecniche moderne.  A Palermo:  Bar pasticceria Mazzara; Caffè Caflish; Pasticceria del Massimo; Casa del critico musicale Bebbuzzo Sgadari di Lo Monaco, in corso Scinà; Palazzo Lampedusa, distrutto nel bombardamento aereo del 5 aprile del 1943, oggi parzialmente ricostruito da privati con la primitiva denominazione di Casa Lampedusa; Tomba di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel cimitero dei Cappuccini. Per la trasposizione cinematografica de Il Gattopardo:   Palazzo Valguarnera Gangi, Quartiere Kalsa; Villa Boscogrande. Santa Margherita Belice:  Palazzo Filangeri di Cutò o Palazzo Gattopardo: è un edificio costruito nel XVII secolo, ma danneggiato dal terremoto del 1968. Nelle immediate adiacenze è ubicato il Parco del Gattopardo. Palma di Montechiaro:  Chiesa di Maria Santissima del Rosario: la chiesa madre citata più volte, in particolare all'arrivo della famiglia Salina a Donnafugata. Monastero delle Benedettine. Alcuni luoghi cari ispirarono Giuseppe Tomasi di Lampedusa nelle ambientazioni e nella stesura del manoscritto.  Bagheria, con Palazzo Cutò; Capo d'Orlando, con Villa Piccolo; Ficarra con Casa Gullà, presso l'abitazione esiste tuttora una lapide a ricordo, (luglio - ottobre 1943), ove tra i tanti angoli suggestivi e scene di vita ficarrese trovò fonte di ispirazione nella creazione del romanzo Il Gattopardo, in particolare del personaggio del "campiere". Altri progetti Modifica Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Lanza Tomasi   Portale Architettura   Portale Arte   Portale Palermo Ultima modifica 4 mesi fa di Asiabam PAGINE CORRELATE Palazzo Mirto palazzo storico di Palermo  Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrittore italiano

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