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Wednesday, March 30, 2022

GRICE E FILOLAO: CROTONA

 DELI A DIALETTICA CONSIDERATA NELLE TRE SCUOLE  DI CROTONA, DI ELEA, E DI ALESSANDRIA.   Cousin avvertiva che la dialettica è lo strumento della  filosofia di Platone, ed ancora che la dialettica platonica  sta tutta nella definizione. Imperocché definire vuol dire  ricondurre una cosa particolare qualunque sotto un ge-  nere più o meno esteso (1). Ma egli non risaliva alle vere • •'  scaturigini della dialettica , le quali si trovano soltanto  nella scuola d'Italia, secondochè aveva osservato il Reid,  attribuendo a questa scuola la dottrina della definizio-  ne (2), nella quale la Dialettica si riduce e si assomma.   E valga il vero: definire vuol dire porre limiti , e non si  può limitare nessuna cosa senza il concetto del diastema  o dell’ intervallo, eh’ è peculiare della scuola pitagorica.   Il limite suppone qualche cosa di comune , e qual-  che altra di differente ; onde f una e f altra ricerca co-  stituiscono il vero ufficio della dialettica , la quale fu  .detta così da due parole greche ( Ai *— Uyu > ) , che si-  gnificano raccogliere attraverso , come se si dicesse tro-  vare l’uno per dentro il moltiplice. Da qui venne che  due concetti fondamentali costituissero il perno della  scuola italica, il conflitto dei contrari cioè, ed il loro ac-   (1) La dialectique est 1’instrument de la pliilosophie de Platon , et la  dialectique de Platon est loul entière dans la délìnition.Or, definir, c’e.st  généraliser, c’est à dire ramener à un genre quelconque, plus ou moins  olendo, Ielle ou Ielle cliose parliculière. Cousin Frag. Pini. Tom. /. Pla-  ton, I angue ile la théorie tlesiiléex.   (2) Telle est.., la doctrine d’ Aristote sur la définition , et probable-  mcnt l’invention de cette doctrine appartieni à Fècole pythagoricienne.   ( Reid , Analgxe de la log. d’ Ami. cliap. Il sect. I.)    Digitized by Google     — 18 —   coi do. Aristotile ci tramandò nella tavola delle dieci ca-  tegorie gli opposti riluttanti, che sono : il limile c l’ il-  limitato, l’ impari e il pari, il destro e il sinistro, il ma-  stino e la femmina, Io stabile c il mobile , il retto ed il  curvo, la luce e le tenebre, il bene ed il male, il quadra-  to e il rettangolo. Ei ci avvertì inoltre , che da un lato  stessero gli elementi positivi , dall’ altro i negativi. Il  numero poi che non era nè pensiero puro , nè cosa sen-  sibile, ma qualche cosa di mediano tra 1’ uno e 1' altra ,  serviva a stringere il moltiplice con l’uno, ed in questo  accordo appunto consisteva 1’ armonia (1).   Nella bella architettura del sistema pitagorico si pos-  sono però notare due gravi inconvenienti , che viziano  ed infermano la solidità della base. L’ infinito allogalo  tra i concetti negativi è il primo. In questo modo dibatti  al vero e saldo concetto dell’infinito se ne sostituisce un  altro tutto diverso, che n’è appena 1’ ombra, vale a dire  quello d’indefinito. Con ciò l’iiifmito si pareggia a tutti  gli altri opposti , che si debbono accordare, e però sup-  pongono un concetto superiore. La compiutezza dell’ in-  finito scompare totalmente.   L’ altro vizio , nè meno pregiudizievole del primo è ,  che il numero risultando dalla molliplicità delle Monadi,  le quali erano distinte dal diastema o dall’ intervallo ,  intanto avea consistenza c realtà , in quanto esso inter-  vallo avea capacità bastevole di discernerlo. Una volta,  però che l’ intervallo era il vuoto ; la realtà del molti-  plice tornava un bel nulla. L’ apeiron ed il renon, l’ in-  finito ed il vuoto adunque guastavano e magagnavano  l’ interna orditura del sistema pitagorico; apparecchia-  vano nuovi errori da scopi ire e da aggiungeie ai pensa-  tori susseguenti.   Ma vuoisi rendere una giustizia al filosofo di Samo ,    (1) Armonia viene da ap^os, che propriamente prima significava un te-  game materiale, commessura, compagine , articolo , e che poi si volse a  significare un accordo qualunque.    Digitized by Google    — 19 —    la quale consiste nel notare , eh’ egli non aveva confuso  la Monade con questo infinito, che attribuì esclusivamente  alla Diade. Plutarco esponendo il sistema di lui, dice (lj:  « Dei principi disse la Unità Dio, ed anco il bene , eh’ è  di natura un solo, e lo stesso intelletto : il due infinito,  e genio tristo , d’ intorno al qual due si sta la quantità  della materia ». Ora la Diade in mentre ch’era f inde-  finito, veniva detta eziandìo la ripetizione della Unità ,  onde forse posteriormente la sua natura si confuse con  quella della Monade. Sesto Empirico difatti espone cosi:  Dalla prima unità nasce 1’ uno: dall' unità, e dallo inter-  minato binario, il due; perchè due volte uno fa due (2):  Ma il binario è veramente la ripetizione della Monade ?  No; perchè 1' uno ripetendo sè medesimo dà sempre uno;  egli viene ad inlinitarsi , non a moltiplicarsi. Nella du-  plicazione ci è un altro elemento, che non era nell’Uno;  ci è la finitezza , e la successione. Venghiamo all’ inter-  vallo. Aristotile assevera, ch’esso non fosse altro nel si-  stema pitagorico che il vuoto , e però una semplice ne-  gazione. Codesta sua chiosa viene impugnala da altri, i  quali tengono che la parola vacuo fosse stata pigliata dai  Pitagorici in senso metaforico , dimodoché non signifi-  cava un semplice concetto negativo; ma una distinzione  reale (3). Accenno qui delle osservazioni , che mi sono  sforzato di rincalzare in un lavoro apposito su la storia  della nostra filosofia, la quale mi pare che sia stata più  pura nelle sorgive, e che nel corso siasi di poi rimesco-  lata, e falla torbida.   La scuola di Elea trasse i corollari dei principi o vi-  ziosi o viziati della scuola pitagorica. L'infinito era stato    (1) Delle cose naturali, lib. 1. cap. VII.   (2) Adv. Matlicra. lib. 10. « A prima quidem unitale , unum : ab uni-  tate autem, et interminato binario, duo. Bis enim unum, duo ».   (3) Il P. Silvestro Mauro commentando il cap 8. dui IV. lib. della Fisica  di Aristotile, osserva così : « Aliqui cum Phiiopono pulant Pjtbagoricos  locutos metaphorice, ac nomine vacui inlellcxisse distinctionem,_qua rcs  inviccm separantur, ac distinguuntur ».    Digìtìzed by Google     — 20 —    allogato fra i (ermini oppositi della serie alla quale so-  vrastava l’Unità, però ragionevolmente Senofane inferì,  die 1' Essere non fosse nè finito nè infinito, il qual con-  cetto vedremo rinnovato ed ampliato in Plotino (1). Il  diastema era stato chiamato il vacuo, però, ripigliò Par-  menide, la moltiplicità delle cose non è reale; è una vana  apparenza, è un nulla. II vero essere è l’Uno. Imperoc-  ché leva dal moltiplice l’intervallo, che discerne l’uria  cosa dall’altra, quel che ti rimarrà, è soltanto l’Uno.  Così la scuola elealica è intimamente e logicamente con-  nessa con la italica ; se non che ella ne continua la parte  negativa , ed in ultimo costrutto riesce nella sofistica ,  che rampollò da lei, e che chiuse il periodo della nostra  filosofia sì bene avviata da principio. La filosofia nostra  incominciò con la vera Dialettica, con 1’ armonia , e de-  generò nella medesimezza, che non era più accordo, ma  annullamento di un termine in grazia dell’ altro. Se odi  l’Hcgel, cotesto fu vero progresso, egli Eleati toccarono  il colmo della speculazione. Ognuno ha il suo modo di  vedere, o meglio di foggiarsi la storia. Gli Ionici, ei ti di-  ce, concepirono l’Assoluto sotto una forma naturale; i Pi-  tagorici come numero , che non è nè pensiero puro nè  cosa sensibile, e tramezza tra l’uno e l’altra, studiandosi  di accordarli insieme. Gli Elcaliei da ultimo sceverarono  il pensiero non che dalla forma sensibile degli Ionici, ma  eziandio dal numero dei Pitagorici, e lo considerarono  nella sua purezza, affermando che tuttoè Uno. Per quanto  slrana paia colesta medesimezza del pensiero e dell’ Es-  sere, ella è deduzione cavata a martello di logica daPar-  menidc. Ei difatti dice recisamente: Se 1’ Essere è uno,  il pensiero e la cosa pensata sono la medesima cosa , o  bisognerebbe dire che il pensiero non è. Ma per qual ra-  ti) Il (Xenophane) enseignait que Dicu n’est ni infini ni fini, puisque  l'infini n'est que la uon-existence, ear rimìni est ce qui n’a ni commen-  cement, ni milieu, ni fin, et que le fini est l’un par rapport à l’autre;  caractère de la nmltiplicité des clioses». Ritter, Ilist. de la phil. ancien.  T. I liv. V. eh 2.      — 21 —    gione l’Essere è uno, ed il nòn-enle è impossibile? Fin-  giamo Parmenide che mediti sui principi della scuola  pitagorica, e seguitiamone il processo.   Tutte cose si fanno dall’Uno; ma ciò che si fa dall'Uno  è Uno; adunque tutte le cose sono uno. Ma perchè si fanno  dall’ Uno ? Perchè la Monade è 1’ Essere; e dal non-ente  non si fa nulla. Se il non-ente non è , e l’ intervallo dei  Pitagorici è il non-ente; esso adunque non è. Ma il tempo  e lo spazio si fondano su l’ intervallo; adunque essi nem-  meno esistono. Ma il moto è la sintesi del discreto spa-  ziale e temporaneo ; adunque il movimento non esiste.  Ma i cangiamenti della natura sensibile si fanno per mo-  to, adunque le mutazioni non esistono, e sono illusorie.  Qui si vede una logica intrepida e franca. 11 mondo sen-  sibile se n’ è ito, ed il pensiero solo rimane , immedesi-  mato con 1’ Essere. Il pieno è il pensiero, conchiude in-  fine il rigoroso pensatore di Elea. ( Tò yAf «uà» «ari  vowx.) Pitagora avea chiamato il mondo ordine , Cos-  mo , facendo trovar luogo a tutto (1) ; Parmenide per  contra lo stremò ad una metà. Ma eglino si ponno dire  di aver tracciata fin da tempi remotissimi ogni via di fi-  losofare; nè di altre mi pare che se ne siano aperte, nè  che forse se ne possano aprire. Noi con tutta la nostra  ostinata insistenza non siamo usciti di Crotona e di Elea;  e le lotte che stanno agitando ora l’Italia e la Germania,  la filosofia della creazione e quella della identità , sono  rinnovazioni più o meno profonde di quegli antichi si-  stemi. Mi si dirà forse che la Germania abbia aggiunto  dippiù il movimento medesimo del pensiero , e che ne  abbia disegnato 1’ ordine ed il processo ; e questo pure  voglio vedere se sia schiettamente originale, o non anzi  accattalo d’ altronde. Nel provarmi a cercare coteste re-  lazioni, io non voglio detrarre nulla alla profondità dei  pensatori odierni, ma lo faccio con l'intendimento di ren-   (1) Pitagora primo di tutti nominò il mondo 1’ Unione di tutte le cose,  rispetto all’ ordine che si trova in lui. Plut. Delle cose nat. lib. II. c. 1.      — Digitized by Google     — 22 —    dere a me stesso ragione del cammino che ha percorso il  pensiero umano, e delle orme che passando ha lasciato.  Agli uomini mi giova anteporre la verità.   Se la filosofia eleatica aveva nelle sue sottili e spe-  ciose investigazioni raggiunto il concetto della medesi-  mezza, o l’Uno convertito in Tutto, ella avea trovato il  bandolo della scienza , ma non ne avea dipanato la ma-  tassa. « Ritrovare il punto di riunione non è il più gran-  de secreto ; ma sviluppare fuori dello stesso anche il suo  contrario, questo è proprio del più profondo secreto del-  l’arte (1) ». Come il Tutto rampolla dall’Uno, ecco quel-  lo che si sforzò di spiegare la scuola di Alessandria, che  toccò il colmo di sua perfezione in Plotino. L’Infinito  negativo dei Pitagorici , consideralo immobile da Par-  menide, piglia movimento in Plotino. Ed io credo far cosa  grata al lettore ponendogliene sott’ occhio la descrizione  che ne fa il famoso Ncoplatonico, allegando le sue mede-  sime parole. « E la infinità medesima , ei dice , in che  modo si può trovare colà (nell’ Uno;? Imperocché se ella  ha 1’ essere, già esiste in un ordine determinato di enti:  o certo se non sarà determinata, non vuoisi allogare nel  genere degli enti, ma forse parrà da noverare nell’ordine  di quelle cose, che diventano , siccome interviene altresì  nel tempo. Forse ancora se ella si definisce , per cote-  sto medesimo ella è infinita ; perocché non il termi-  ne , ma l' infinito è che si determina. Nè v’ è locata  nessun’altra cosa mediana tra l' infinito ed il termi-  ne , la quale subisca la natura di termine. Certamente  cotesto infinito sfugge all’idea di termine, ma viene com-  preso ed attorniato esteriormente. Sì che nel fuggire  non va da un luogo in un altro , chè luogo alcuno non  ha ; ma allorché ei v iene compreso, eccoti allora la pri-  ma volta aver esistenza il luogo. Il perchè non si ha da  stimare che il movimento, che nel parlare si attribuisce   \   (1) Platone nel Piloto cit. nel Dialogo dello Schelling intitolato il  Giordano bruno. Trad. della Florenzi p. 103.     — 23 —    all’ infinità , sia locale, nè che gliene avvenga alcun al-  tro di quelli che soglionsi nominare. Sicché non mai si  muove, nè mai permane. E dove volete che stia, se co-  testo medesimo che si chiama dove, nasce dopo? Pare  però che all’infinità si attribuisca il moto, perchè ella  non sta ferma. Forse che adunque ella sta così come se  fosse nel medesimo luogo sospesa in alto, e che si aggi-'  rasse? Od anzi, che là stia levata, e qua pure si agiti ?  no , che in nessun modo è così. Imperocché ambedue  queste cose sono giudicate al medesimo luogo , sì per-  chè s’innalza senza declinare dove appartiene allo stesso  luogo, sì ancora perché declina. Adunque altri andrà  pensando che cosa sia l’ infinità? Egli allora per fermo  la penserà, quando avrà separato la specie dalla intelli-  genza. Adunque che intenderà allora ? Forse intenderà  insieme i contrari, e i non contrari: perocché là inten-  derà il grande ed il parvo ; perché diviene l’ uno e 1’ al-  tro ; il permanente ed il mosso , perché queste cose  ivi diventano. Ma prima di diventare , è chiaro eh’ ella  non sia determinatamente nessuna delle due , chè al-  trimenti tu l'avresti già determinata. Se adunque quella  natura è infinita, e queste cose, come io diceva, infinita-  mente ed indeterminatamente sono ivi, così certamente  vi appariranno. Che se yi ti accosterai più da vicino, ed  adoprerai alcun termine, onde volessi irretirla , tosto ti  sfuggirà, nè vi troverai nulla, chè altrimenti già l’avre-  sti definita. Ed anzi se t’ imbatterai in alcuna , siccome  una, incontanente ti si porge come moltiplice. Se tu di-  rai: sei moltiplico, mentirai di nuovo; chè dove ciascuna  cosa non è una , nemmanco molte sono tutte. E questa  medesima è la natura della infinità, che secondo una im-  maginazione è movimento; e sin dove si aggiunge la fan-  tasia è stato. Inoltre cotesto medesimo , perchè tu non  puoi vederla per sé stessa, è un colai movimento, e caso  dalla mente. In quanto poi non può sfuggire , ma viene  costretta attorno esteriormente , tanto che non può pre-  terire i limiti , dee giudicarsi un certo stato. Di che si      Digitized by Google     — 24 —   pare, che non pure di Jei si possa affermare il movimento,  ma eziandio lo stato (1) ». La dottrina di Plotino si ri-  duce adunque in questi capi: 1. L’ infinito non è un es-  sere in atto; se fosse tale, sarebbe in un dato ordine, sa-  rebbe perciò medesimo finito. 2. L’ infìniludine si oc-  culta nel .termine che finisce qualche cosa. 3. Togli di  mezzo tutte le forme, tutt’i termini, tutl’ i fini, ed avrai  l’ infinitudine. 4. Quando l'apprendi, ella svanisce, per-  chè già l'hai terminata. 5. Ella non appartiene a nessun  genere di oppositi ; se avesse un contrario , sarebbe da  questo limitata. 6. Ma ella è o uno, o l’altro degli oppo-  sili, in quanto uno di essi nega 1’ altro.   Dalle quali cose conseguita che l'Infinito dei Neopla-  tonici non è nemmeno l’Essere, inteso come qualche cosa  di sussistente e di definito, ma è l’uno considerato come  principio dell’ Ente medesimo. Plotino assegna la ragio-  ne di ciò dicendo, che se l’Ente non fosse nell’ Uno, in-  contanente si dissiperebbe. Per contra l’Uno non si fon-  da nell'Ente, perchè altrimenti l’Uno sarebbe prima di  essere Uno (2). Or questo Uno diventa Primo nel pro-  durre il Secondo , o la Ragione , la quale è inferiore al  suo principio , perchè nella serie delle emanazioni pen-  savano gli Alessandrini, che il prodotto di tanto scemas-  se, di quanto dal principio si discostasse come lume va-  niente per l'aere, che ai più lontani giunge più pallido.  In ciò sta forse uno dei principali divari che corrono tra  la triade alessandrina, e la tricotomia hegelliana, perchè  dove in quella la perfezione si va scemando, e l’essere si  va dissipando , in questa al contrario la smilza e magra  natura dell’ Idea si va rimpolpando e rinsanguinando per  via, finché tocca in fine quel colmo di perfezione, in cui  la forma adegua perfettamente il contenuto. Il che mi  pare assai più logico del processo alessandrino, dove Tes-    ti) Plotino, Enneade VI. lib. VI. cap. III.  (2) Plotino, Enneade VI. lib. VI. cap. IV.    Digitized by Google    — 25 —    sere nè ti si porge molto dovizioso da principio, nè se ne  rifa più che tanto in ultimo.   Comunque però dal seno del Primo erompa la Ragio-  ne, egli rimane nondimeno immutato. Ciò perchè la ne-  cessità di cotesta manifestazione non gli è estrinseca ;  s’ egli non può rimanere solo, è perchè tale è la sua na-  tura, la quale rimane pur sempre libera. Il Secondo per  essere rampollato dal Primo abbiamo visto che gli deve  sottostare ; sicché 1’ unità e la semplicità del Primo non  si travasa intera nella Ragione. Questa però partecipa  alla moltiplicità. Ma v’ha dippiù. In che modo la Ra-  gione rassomiglia al Primo, postochè questo non sia Ra-  gione ? Plotino risponde alla difficoltà osservando, esser  proprio della natura del Secondo di rivolgersi verso il  Primo; però di vederlo, però di diventar Ragione, anco-  raché il Primo non sia tale. La Ragione non vede quindi  sè medesima ; e la cosa non dee parere strana , quando  si consideri , come fa il Ficino, eh’ ella opera nel movi-  mento, ed ogni moto tende verso un altro posto fuori di  sè (1).   La Ragione rassomiglia al Primo nell’inchiudere il du-  plice concetto di essere permanente e di moto; sicché in  essa si può distinguere l’energia e la facoltà, o, che tor-  na il medesimo , la possibilità e 1’ atto , la materia e la  forma. In quanto ella può diventare, contiene la materia  del mondo sovrasensibile; ed in quanto è, ne contiene la  specie o la forma. Yi ha dunque nel sistema di Plotino  una materia nel mondo sovrasensibile , come nel sensi-  bile , e noi vedremo che Giordano Bruno ha spiritualiz-  zalo ancora la materia sino a questo segno. La Ragione  è una perchè guarda al Principio, al Bene ; è moltiplice  perchè è forma delle cose.   Nel modo medesimo che 1’ Uno produce la Ragione ,   (1) Ficino sopra il 3." lib. della V. Enneade di Plotino dice: « Cum ra-  tionis proprium sii in molu agere, et motus tendat in aliud, merito ratio  communiter circa alia potius, quam circa seipsam se volutat, ideo non est  eius proprium se cognoscere # .    Digitized by Google     - 26 —    questa alla sua volta liglia e partorisce l’Anima, la  quale operosa com'ò, e resa feconda dalla Ragione estrin-  seca il mondo sensibile. E qui nota che la Ragione da  sè non opera nulla , ma contiene soltanto il germe del-  1‘ operazione , il quale diventa pratico nell’ Anima del  mondo. Plotino adunque concepisce cotesti tre termini  in un modo che si potrebbe rendere più chiaro, e quasi  sensato, rappresentandocelo così. Nel centro sta l’ Uno ,  attorno a cui la Ragione descrive quasi un cerchio immo-  bile, ed attorno a questo cerchio immobile 1’ Anima del  mondo circoscrive un nuovo cerchio, i! quale movendosi  produce i! mondo sensibile. Quest’ ultimo mondo , fat-  tura dell’Anima mondiale, è l’opposto dell'Uno; perocché  esiste nello stato di dissipamento , di disterminazione ,  di esteriorità. Onde la sua esistenza è apparente , non  vera, consistendo la verità in quello che nelle cose vi ha  di più intimo; e la Triade delle emanazioni, che si pos-  sono chiamare sovrasensibili, ha compimento con l’Ani-  ma. In questa avviene la cognizione di sè medesima, per-  chè il suo movimento è circolare , e però dee tornare al  punto medesimo onde si mosse. « Perchèil cielo si muove  rincirculando ? » Domanda Plotino ; « Perchè imita la  mente (1) ». Onde si può dire eh’ egli consideri prima  il pensiero in sè stesso, poi lo stesso pensiero come ob-  bietto ; finalmente l’ identità dell’ uno e dell’ altro , o la  compenetrazione nella quale sta il pensiero propriamente  detto, o il pensiero riflesso (2).   La nomenclatura medesima , non che la tripartizione   (1) Ennead. II. lib. 2.   (2) L’ itléc fondamentale de ce qu’on appelle philosophie néoplatoni-  cienne ou philosophie d’Alexandrie, était celle du vo’j? ayant pour objet  lui-méme. C’est d’abord la pensée comme Ielle , puis la pensée cornine  objet (vonrov), et enfin 1’idcntité de l'une et de l’autre: c’cst, selon He-  gel, la trinité chrétienne, et cette idée est Tètre en soi et pour soi. Dieu,  T esprit absolu et pur et son action en soi, le Dieu vivant, actif cn soi ,  tei est T objet de cette philosophie. WiUm. Hist. de la phil. Alleni.  Tom . 4, Phil. de Hegel, chap. 17.    Digitized by Google     — 27 —    dello sviluppamento posto dai Neoplatonici nell' Infinito,  ci dà subito a divedere eh’ eglino abbiano voluto immi-  schiare alle speculazioni greche ed orientali le tradizioni  cristiane intorno al dogma della Trinità. Hegel medesi-  mo P ha avvertito, ma il profondo pensatore di Germa-  nia non ha osservalo che la Scuola Neoplatonica aveva  non copiato, ma sformato e travisato il sublime concetto  cristiano. Imperocché nella nostra Trinità ci è gerarchia  ed uguaglianza ad un tempo, dove quel continuo digra-  dare delle emanazioni aggiunto dagli Alessandrini appaia  cose dell’ intutto contrarie. Plotino medesimo non sapea  come cavarsi d' impaccio nello spiegare in qual modo la  Ragione potesse rampollare da ciò che non era Ragione.  Nella Trinità cristiana l’Infinito compenetra sé medesi-  mo , ma sempre infinitamente , dove negli Alessandrini  tal compenetrazione diventa possibile soltanto a costo  di smettere la propria natura , e di diventare finito e  moltiplice. Nella Trinità degli Alessandrini il Principio  , o 1' Uno non ha notizia di sé medesimo , in mentre che  secondo i pronunziati cristiani il Padre , conoscendo sé  medesimo, genera il Verbo. K molte altre differenze si  potrebbero trovare, per le quali le due Trinità si riscon-  trano soltanto nel nome, che gli Alessandrini accattarono  dai Padri della Chiesa; ma nel fondo rimangono sempre  cose onninamente disparate. Di qualche cosa però la fi-  losofia si era avvantaggiata , riconoscendo un processo  nella Dialettica, per lo quale le esistenze non erano cose  morte , ma viventi. Imperocché nelle relazioni intime  dell’Infinito con sé medesimo si trova il concetto primi-  tivo e perfettissimo della Dialettica. L’ altra della crea-  zione non è , se non una copia finita di quella prima ed  interna. Onde se nella prima l’ Infinito si trova in rela-  zione con sé stesso , considerato sempre come attuale ;  nella seconda egli si trova in relazione , ma considerato  una volta come attuale , ed un’ altra volta come poten-  ziale.   Nella prima però ha luogo un processo estemporaneo.    Digitized by Google     — 28 —    nella seconda vi ha progresso effettivo, ed acquisto vera-  ce. Le due dialettiche confuse ed immischiate l’una con  P altra dagli Alessandrini, passarono in retaggio a tutt'i  panteisti. Se noi adunque ci siamo fermati a tratteggiare  per sommi capi il loro sistema , come venne fornito da  Plotino, non è stato senza motivo; che da Pitagora a Pio-  tino la scienza fece passi giganteschi, comunque spesso  sviandosi dal diritto sentiero. Il Conte Mamiani mede-  simo notò nella leggiadra prefazione al dialogo citato  dello Schelling , che le massime e le tradizioni dei filo-  sofi della Magna Grecia, e i libri dei Neoplatonici furo-  no al Bruno il semenzajo usuale e continuo onde trasse  i germi delle idee di maggior momento. Nella esposizio-  ne che faremo delle dottrine del Nolano cotesto riscontro  si parrà più chiaro. 

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