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Friday, March 25, 2022

GRICE E GALVANO: IL GESTO E L'IMPLICATURA

 FONDAZIONE GIORGIO AMENDOLA E ASSOCIAZIONE LUCANA CARLO LEVI    Pino Mantovani  Luca Motto       Albino Galvano  Fare, pensare, vivere la pittura                "i P____—_ mm gr s_———m dz de __—2zpA—A_t}    PA    "o    Scritti di    PINO MANTOVANI  LUCA MOTTO  ALESSANDRO BOTTA  ADRIANO OLIVIERI    ALBINO GALVANO    Fare, pensare, vivere la pittura    Aver puntato il senso della propria vita sui segni e sui colori    sarà stata magari una puntata inutile ma non elusiva e non insincera  | [ALBINO GALVANO, 1980]    FONDAZIONE GIORGIO AMENDOLA    AssociaziIoNE LUCANA IN PieMONTE Carto LEVI    MOSTRA D'ARTE  TRENTENNALE DI ALBINO GALVANO    Torino, marzo-giugno 2021  presso la Sala Mostre dell’Associazione Lucana Carlo Levi e della Fondazione Giorgio Amendola    Con il Patrocinio di Con la collaborazione di    REGIONE CONSIGLIO wc I GALLERIA | NE }  CITTA DI TORINO olii  MIN FEONIE DEL PIEMONTE att Sen    DEL PIEMONTE   Il 2020-21 è stato un biennio segnato dalle notevoli difficoltà imposte dalla pandemia da  Covid-19. Alla luce delle molte restrizioni, la Fondazione Giorgio Amendola ha cercato, nel limite  del possibile, di proseguire con le proprie attività di divulgazione e promozione culturale adattando  spazi e metodologie alle esigenze del periodo, rispondendo all'emergenza coronavirus con iniziative  dinamiche e creative, passando per la fruizione digitale per permettere agli utenti di restare a casa,  come le disposizioni prescrivono, senza perdersi dei contenuti culturali.   Sotto questa prospettiva e, nonostante le molteplici difficoltà, il lavoro svolto per ricordare, a  trent'anni dalla sua scomparsa, l'artista torinese Albino Galvano (1907-1990) è stato importante.  La Fondazione Giorgio Amendola ha ritenuto opportuno offrire alla città di Torino e non solo, la  possibilità di accedere gratuitamente all'incontro con l’opera artistica e intellettuale di una delle figure  di spicco del panorama artistico italiano della seconda metà del novecento. L'iniziativa, di rilievo  nazionale, ha permesso di raccogliere artisti e intellettuali di tutta Italia che hanno collaborato con  Galvano e che tuttora ricoprono un ruolo fondamentale nella produzione culturale del nostro Paese.          Prospero Cerabona  Presidente della Fondazione Giorgio Amendola    Studi, Convegni, Ricerche  della Fondazione Giorgio Amendola e  dell’Associazione Lucana Carlo Levi    54  Presidente Fotografie delle opere  PROSPERO CERABONA MARCO CORONGI  Curatore mostra e catalogo Direttore Responsabile  PINO MANTOVANI PROSPERO CERABONA  Scritti di Redazione  PINO MANTOVANI, LUCA MOTTO, ALESSANDRO BOTTA, ADRIANO OLIVIERI DOMENICO CERABONA, MARIA SOFIA FERRARI    Progetto ed allestimento    PINO MANTOVANI, LUCA MOTTO, EDITRICE IL RINNOVAMENTO —”  Fotocomposizione    © EDITRICE IL RINNOVAMENTO    Ente promotore  Fondazione Giorgio Amendola VIDEOIMPAGINAZIONE GRAFICA DI TESTI E IMMAGINI  Associazione Lucana in Piemonte Carlo Levi VIA TOLLEGNO 52 - 10154 TORINO TEL. 0112482970 — cerabona@libero.it    Si ringraziano per il prestito delle opere e la collaborazione: Galleria del Ponte (Torino), Civica Galleria d'Arte Contemporanea Filippo Scroppo  (Torre Pellice), Stefania e Stefano Testa, Liliana Dematteis, la famiglia Maggiorotto e tutti gli altri prestatori che hanno preferito restare ano-  nimi. Si ringrazia Francesca Barzan per la realizzazione delle docu-interviste.    Sommario    Albino Galvano e la pittura Pino Mantovani  Albino Galvano: la fedeltà alla pittura Luca Motto  Da discepolo a interprete. Albino Galvano e Felice Casorati Alessandro Botta    Gli occhi fervidi e il sapore di cenere.  Albino Galvano: Decadentismo, Simbolismo, Art Nouveau Adriano Olivieri    Opere esposte       ARTE DI VENEZIA 1954    GATMAZH TEAOZ GANATOZ    XXVI: ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D    GALVANO ALBINO    BIENNALE    (267) Foto Giacomelli - Venezia    FOTOTECA ASA.    Albino Galvano e la pittura  Pino Mantovani    Da pittore, Albino Galvano pone tre livelli d’inda-  gine; come qualsiasi artista intelligente, se non fosse  che, nel caso suo e di non molti altri, i tre livelli si  presentano specialmente complessi e coltivati con con-  sapevole separatezza e problematica interconnessione:   Il primo livello comporta chiedersi che pittore  Galvano sia stato e, ovviamente, interrogarsi sulla  specie e sulla qualità della pittura (delle pitture) che  ha messo in opera nel lungo percorso, sicuro e tortuo-  so, che lo ha impegnato pressoché ininterrottamente  dalla fine degli anni Venti (era nato nel 1907) fino alla  morte, nel 1990.   Il secondo livello comporta mettere a fuoco la  concezione (le concezioni) ch'egli ha elaborato della  pittura, in quanto da critico (e autocritico: nella sua  scrittura, l’autoritrattoè un vero e proprio genere!) si è  occupato dell’arte, in particolare della pittura, conuna  intensità, una pervicacia, una curiosità sempre sveglia,  direi aggressiva, in un'epoca provocatoria e insieme  minacciata dalla condiscendente banalizzazione.   Ma, forse, il nodo più difficile da sciogliere è  quale rapporto ci sia tra il praticante pittura (‘[...]  è questa l’arte — scrive di sé nel ‘46 — della quale ab-  biamo, bene o male, una qualche esperienza vissuta  e [...] non crediamo se non ai discorsi che nascono  da questa esperienza”, dove si radica anche la mi-  litanza del critico) e il teorico che usa gli strumenti  del filosofo, dell’antropologo, dello psicanalista, dello  storico (da competente, eppure mai imprigionato  dallo specialismo? e anche meno dall’appartenenza'*)       1 Sipuòdaffermare che ogni suo scritto è occasione per una au-  toanalisi. Come, d'altra parte, che l'autobiografia non è mai cro-  naca contingente, invece occasione per andare oltre la cosiddetta  evidenza dei fatti, per indagarne radici e proiezioni.   2 A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue, in “Tendenza” n.1,  Torino, ripubblicato in A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue,  a cura di G. Mantovani, Il Quadrante, Torino 1988; in A. Galvano,  Diagnosi del moderno, a cura di A. Ruffino, Aragno editore Torino,  2018.   3. G. Gallino, in Attraverso il Novecento: Albino Galvano, Atti del  Convegno, Torino 1997 a cura di M. Pinottini. Bulzoni editore,  Roma 2004, pag. 45: "Se ... l’eclettismo diventa una condizio-  ne dell'esercizio dell’arte, è anche la qualificazione dello status  dell’intellettuale, che, in ogni specifico ambito d'indagine, è sol-  lecitato a non perdere di vista la visione d'insieme dei problemi.  La polemica di Galvano contro la specializzazione, quale esclusiva  procedura del sapere, risponde a tale regola metodologica. In-  dubbiamente, in ogni attività culturale, è necessaria una partico-  lare competenza, ma, al di là del suo confine, s'impone l'esigenza  del controllo unitario dei suoi esiti e delle sue interpretazioni”.  A. Ruffino, (Com)plessi galvanici, introduzione a Diagnosi del mo-  derno, cit., pagg. XIII-XIV: “Contro lo specialismo, ... Galvano ha  sferrato una controffensiva senza tregua e a tutto campo: sul pia-  no pratico, opponendo al tecnicismo la tèchne (nel suo caso quella  pittorica); sul piano morale, opponendo alla provvisorietà della  posa il rigore della presa di posizione (ma mai irrigidita in partito  preso); sul piano estetico, opponendo ai miraggi di progresso illi-  mitato espressi dal Funzionale le ragioni dell’Organico, capace di  suscitare creazioni vive”.   4 Interessato “da una parte all'eredità del tardo romantici-       A. G. con Mariacarla e Pino Mantovani, Racconigi, 1980.    per affrontare la pittura, alla quale riconosce una  singolare centralità.   Tutti questi temi mi hanno per decenni accom-  pagnato e sollecitato. I miei primi interventi su  Galvano pittore risalgono, infatti, all’inizio degli  Ottanta: data 30 novembre 1980, la presentazione  ad una personale presso la Galleria Maggiorotto  di Cavallermaggiore, seconda di una serie dedi-  cata ai protagonisti del MAC torinese; ma già nel  marzo dello stesso anno avevo tracciato, con la  collaborazione dei miei allievi in Accademia, un  quadro della pittura degli anni Cinquanta a Torino  nel Museo Civico di Casa Cavassa a Saluzzo’, sulla  falsariga delle indicazioni che Galvano aveva for-  nito a T. Sauvage? per una storia ancora regionale  dell’arte italiana nel Dopoguerra; e nel 1983 sul  catalogo della mostra Arte a Torino, 1945-1953” nel          smo e del decadentismo: Mallarmé e Bergson, ‘esoteristi e filosofi  della vita’, psicanalisi ed esistenzialismo, dall'altra alla severità  dello storicismo crociano e all'esempio del rigoroso metodo cri-  tico negli studi di storia dell’arte [...] Lettore di Klages, di Jung o  di Guénon, ma anche studioso di Kant e di Hegel” (A. Galvano,  Perché non possiamo non dirci crociani, in “Numero”, n. 3, 1953. At-  tento a Freud come a Jung. Curioso delle storie, nel tempo e nello  spazio, pronto a coglierne, nella comune umanità, le differenze e  le istruttive potenzialità.   5 PitturaaTorinoneglianni cinquanta, a cura di G. Mantovani, cata-  logo della mostra, Museo Civico di Casa Cavassa, Saluzzo 1980.   6 T. Sauvage (pseudonimo di A. Schwarz) Pittura italiana del  Dopoguerra; Ed. Schwarz, Milano 1957, il testo fu ripubblicato con  integrazioni e il titolo La pittura a Torino dal ‘45 ad oggi, in “Let-  teratura”, n. 1, Torino 1960, successivamente in A. Galvano, La  pittura..., cit. pag. 135 segg; e A. Galvano, Diagnosi..., cit., pagg.  393 segg.   7 Arte a Torino, 1945-1953, a cura di M. Bandini, G. Mantovani,  F. Poli, catalogo della mostra, Torino 1983    salone d’onore dell’Accademia Albertina, dedicavo  a Galvano il mio intervento, anche oltre gli anni  definiti nel titolo. Mi troverò, pertanto, a incro-  ciare in queste pagine scritti pubblicati in un arco  di tempo di circa quarant'anni, con il proposito,  spero non solo narcisistico, di organizzare in di-  scorso unitario contributi sparpagliati e spesso di  non facile reperimento.   Proprio dalla presentazione Maggiorotto — poi  variamente elaborata per occasioni ulteriori dedicate  appunto al MAC, come il catalogo per la esposizione  del MAC torinese sempre curata dalla galleria Mag-  giorotto alla Expo Arte — Fiera Internazionale di Arte  Contemporanea di Bari (1982), la presentazione del  catalogo Albino Galvano, Proferio Grossi, Luiso Sturla,  Artecentro, Milano 1994, fino al saggio sul movimen-  to torinese nel volume per la mostra MAC/ESPACE    TORINO  È VIa S. GIULIA 12 TORINO    370    ‘    Pre.       A. PARISOT  |F. SCROPPO    Bollettino «Arte Concreta» n. 9, 1952 e n. 12, 1953.    all’Acquario di Roma, 1999°—mi parlogico cominciare,  non tanto perché uno dei primi approcci al tema —  allora potevo anche contare sul rapporto diretto con  Galvano, ma devo dire che la sua disponibilità non  era invasiva e tanto meno arcigna rispetto alle inter-  pretazioni che venissero proposte del suo impegno  — quanto perché vi si pongono i fondamenti del mio  interesse per l'artista /critico / filosofo. L'incipit che  sceglievo allora mi pare sia ancora il migliore possibile;  non mio, intendiamoci, invece proprio di Albino che    8. Loscrittosarà rielaborato come prefazione a A. Galvano, La  pittura, lo spirito e il sangue, cit.   9 P. Mantovani, Pittori concreti a Torino, in MAC-ESPACE - Arte  concreta in Italia e in Francia, 1948-1958, a cura di L. Berni Canani e  G. Di Genova, catalogo della mostra, l'Acquario Romano, Roma,  ed Bora, Bologna 1999, pagg.60 e segg.       così aveva concluso un asterisco sul Bollettino “Arte  Concreta”, n.12, 195310 ;   “E scopriremo che è un programma [quello del  MAC le cui premesse erano già nei romanzi dei tempi  della nonna? Tanto meglio, almeno avremo evitato  l'equivoco più antipatico che grava sull'arte astratta:  che si tratti di cosa moderna 0, peggio, d'avanguardia”.  Una fulminante risposta al nemico Leonardo Borgese  che sul Corriere della Sera, aveva definito A’ rebours  di Huysmans, “un vecchio romanzo dell’800”, fonte  peraltro “di tuttele velleità estetiste dell'avanguardia”:  fornendo unovvio spunto polemico — non saprei quan-  to consapevole, nel caso addirittura masochistico — a  chi da anni si occupava del rapporto tra le cosiddette  “avanguardie” ela linea dal Romanticismo al Simboli-  smo; ma anche agli amici di Milano che si riconoscevano  nel programma di Sintesi delle Arti pubblicato nello    H    |    FIL    sintesi allo studio b 24 dal 21-2 al i:    se  ?  i    fi  5  5!  È    s7       A. G. riproduzione di Verso Occidente, Biennale di Venezia 1952.   stesso Bollettino, che prevedeva “il diretto concorso  di tecnici e artisti, sul piano della stretta collabora-  zione, per il raggiungimento finale d’un concreto il  quale aderisca alla funzione in armonia di colleganza  fra il mondo della forma, lo spazio e l'applicazione  pratica dell’opera collettiva”! viva il design, la grafica  e l'estetico diffuso, dunque. Come non bastasse, Gal-  vano conclude l'asterisco citato rigettando qualsiasi  attualismo:” Che bel giorno quello in cui potremo  lavorare in pace al compito che la storia ci ha affidato,  certi che nonè sulla misura della contingente attualità       10  L'asterisco, cioè l'osservazione, la messa a punto marginale  è il contributo che Galvano sceglie per intervenire criticamente  liberamente sui Bollettini del MAC (e altrove).   11 E Passoni, Le arti e la tecnica, “Arte Concreta” 12, 1953, pag. 65,  ried. anastatica, a cura della galleria Spriano, Omegna, 1981.    ,    ,    che il nostro lavoro verrà giudicato!”. Il fatto è che  Galvano non intende escludere tutta la complessità  di rimandi e proiezioni, soggettivi ed oggettivi, che i  linguaggi dell'immagine — specialmente quando non  siano troppo condizionati da tecniche o ideologiche  motivazioni — si portano dietro e dentro, e che, del  resto, la cultura moderna indaga con particolare  impegno e analizza con rinnovata strumentazione,  mentre altri linguaggi dell’immaginario—la poesia, la  narrativa, lamusica — stanno sperimentando a tentoni  forme “nuove” (o vecchie !? o antiche, al punto d’essere  “originarie”!). Neppure, d'altra parte, egli intende  abbandonare la pittura come linguaggio specifico,  proprio quella tradizionale (tela, carta o qualunque  supporto piano, disegnoe colore, gesti e tracce a formar  figure !4); per quanto metta in conto uno spostamento  dall’iconico all’aniconico, dal descrittivo all’evocativo,  dall’allusivo all’emblematico, dal geometrico al rit-  mico al gestuale; ciò che non precluderebbe peraltro  “la possibilità di uno scambio e di una penetrazione  sempre possibili nell'esercizio di una lettura figurativa  per elementi — segno, colore, movimento, materia ecc.    12. “Confessiamo di essere segretamente d'accordo con Bor-  gese [quando invita a rileggere A’ rebours]. Perché... l'essere agli  antipodi [delle scelte di Huysmans e delle preferenze in pittura  del suo eroe Des Esseintes] è troppo vitalmente legato a ciò che  rifiuta per non riprenderlo su di un piano meno esterno: e le cita-  zioni dalla Blavatzky e da Steiner del Kandinsky della ‘Geistige’,  l'appartenenza a circoli teosofici di Mondrian giovane, il fatto che  uno dei primi scritti italiani sull'arte astratta sia di J. Evola sono  ben significativi di un rapporto ambivalente — di rifiuto per la ca-  rica letteraria, moralistica o immoralistica, del simbolismo speso  alla spicciola nell’allusività delle immagini e della messa in scena,  e insieme di accettazione di quel gusto di allusioni e suggestioni,  di segrete corrispondenze tra immagini e speculazioni — che — nel-  le sue due facce: sensualmente umbratile l'una, simbolicamente  intellettuale l’altra — tra il 1890 e questa metà del nuovo secolo  hanno ostinatamente tentato di aprirsi una strada — sia pure af-  fidandosi alla romantica barca ‘ebbra’- dalle varie forme di resa  alla prosasticità del realismo”. Ancora dall'asterisco citato di Gal-  vano in “Arte concreta” 12, 1953.   13. Azzardo un'ipotesi (certo suggestionato dal recente catalogo  della mostra La regione delle Madri. I paesaggi di Osvaldo Licini, Elec-  ta, Milano, 2020, in particolare dal saggio di S. Bracalente, Licini  oltre la geometria: una primordiale genesi del mondo): che Galvano non  abbia ignorato “Valori primordiali”, e in particolare l’opera di F.  Celiberti, anche lui proveniente da studi di storia delle religioni,  tanto importante per Licini proiettato dalla fine degli anni Trenta  oltre la geometria, specialmente nell’incrocio tra teosofia, esisten-  zialismo e fenomenologia (Paci e Banfi), e per comuni interessi per  Spengler, Klages, Guénon ... e per l'alta poesia romantica.   14 “Dipingere con colori e pennelli ... è stata una costante del  mio lavoro nei suoi vari cicli, anche quando come spettatore ho  pregiato e difeso esperienze varie e opposte. Ma è certo che, se  tra il '75 e il ’78 ero venuto via via recuperando alla mia pittura  quell’attaccamento alle gidiane nourritures terrestres che confessa-  vo in un altro mio scritto, nei quadri qui presentati esse hanno  perso ogni ghiottoneria che non sia quella dell'occhio contemplan-  te: in bocca è solo sapore di cenere. Ciottoli, fossili: l'eco della vita  in ciò che non ha vita o non l’ha più”. A. Galvano, Autopresenta-  zione della Personale, Piemonte Artistico Culturale, Torino 1985).       Libretto di iscrizione a magistero.    — non diversi da quelli che consentono la valutazione  di ogni buona pittura”! Perfino le ‘’ giuste ragioni”  concesse ai concretisti milanesi sembrano far parte di  un gioco alquanto provocatorio, portando il discorso  dal livello tecnico a quello culturale ed etico, di una  eticità sempre esposta, in un certo senso negativa  (“demoniaca”, nella cultura occidentale, di radice  inevitabilmente cristiana anche nella più spinta laicità).  Già l’anno precedente, nelnovembre del ’52, firmando  con Biglione, Parisot e Scroppo quello che a ragione  o a torto è considerato il manifesto del movimento  torinese, Galvano aggira gli ottimistici programmi dei  milanesi, espressi nei manifesti dell’ Arte Organica, del  Macchinismo, del Disintegrismo, dell'Arte Totale!’  che sanno ancora tanto di Futurismo, e dichiara che  carattere essenziale nella scelta dei nuovi adepti è la  “responsabilità liberamente assunta sul limite più  impegnativo ... di lotta contro ogni conformismo e  pigrizia intellettuale” nel campo della pittura come  in diversa applicazione estetica e pratica, senza com-  promessi e “senza pudore”. Il fatto è che Galvano (e       15. A. Galvano, presentazione della collettiva, Bordoni, Galva-  no, Jarema, Parisot, Scroppo, Galleria del Fiore, Milano 1954.   16 Cfr. “Arte Concreta n. 10.   17. “L'unico atteggiamento ragionevole è quello di lavorare at-  tendendo colla sincerità di chi sa che lo spirito ama le posizioni  estreme ed attive , non i compromessi”. (A. Galvano, L'evasione, in  “Il Selvaggio”, 15 gennaio 1940, ripubblicato in A. Galvano, Dia-  gnosi del moderno (a cura di A. Ruffino), cit., pag. 28.    con lui i pressoché coetanei Adriano Parisot, Filippo  Scroppo, Paola Levi Montalcinie i più giovani Anniba-  le Biglione e Carol Rama, per nominare tutti i torinesi  che aderiscono più o meno convinti al MAC)ha dietro  le spalle una ventina abbondante d’anni di lavoro non  ovviamente mirato allo sbocco astratto. Basta pensare  alla frequenza orgogliosamente esibita fino all'ultimo  della scuola di Felice Casorati (sul quale elabora una  piccolamaimportantemonografia che punta non poco  sulla stagione simbolista — sull'argomento si rimanda  all'intervento in questo catalogo di Alessandro Botta),  al rapporto con il neoimpressionismo dei Sei, in va-  riante espressionista; al fatto che egli medita, continua  a meditare sul significato e sul valore della scelta  “moderna”, essenziale, inevitabile, ma problematica  nelle ragioni, nei modi, negli obiettivi; infine, che ha  una formazione teorica e storica — aggiungerei una  struttura psicologica ed una educazione — che non  gli consentono di utilizzare a cuor leggero la strategia  del manifesto, di ascendenza futurista, e in genere le  dichiarazioni programmatiche!8: una questione di  carattere e di stile oltre che di metodo e di cultura.  Del resto, Albino Galvano aveva già affrontato il  tema in testi antecedenti di alcuni anni, ne utilizzo uno  in particolare:” La pittura, lo spirito e il sangue”, che  uscì nel 1946 sul primo ed unico numero della rivista  “Tendenza”, nell’ambiziosa prospettiva dei direttori  responsabili — lo stesso Galvano e Pippo Oriani — Ri-  vista mensile di Arti figurative!. Certo esistono di  Galvano saggi più importanti come quelli che elenco  innota?°, dove il tema è affrontato con argomentazioni  analitiche e storicamente complesse, ma continuo a  trovare snodo esemplare nella vicenda dell'artista il  brevesaggio citato. Anche la data è importante, a guer-    18. Il dubbio, lo scetticismo, l'ambiguità come tensione fra op-  posti sono fondamenti del suo metodo, che non è irrazionale, in-  vece di un razionalismo critico che mai cede allo schema ideolo-  gico o alla rigida consequenzialità.   19 Nonacaso ho scelto il titolo del saggio come titolo per la  citata Antologia di A. Galvano, edita dal Quadrante, Torino 1988.  20 Diversi saggi di grande respiro, Galvano pubblica negli anni  immediatamente successivi alla seconda Guerra mondiale. Elen-  co in ordine cronologico quelli ripubblicati sull’Antologia citata,  consenziente l’autore: Aspetti del problema estetico dell’esistenziali-  smo, Atti del Congresso internazionale di Filosofia, Castellani e C  ed., vol II, Roma, 1946; L'esistenzialismo, a cura di E Castelli, Mi-  lano 1948; Storicità e significato dell’arte “astratta”, in “Archivio di  filosofia”, vol. I, Milano 1953, “Galleria di Lettere ed Arti”, n. 4-5,  1953; Medioevo e Romanticismo, “Questioni” n. 2, 1955; Vita e forma  in alcune ricerche di estetica contemporanea, Atti del IIl Congresso In-  ternazionale di Estetica, Venezia 1956, edito dalla “Rivista di Esteti-  ca”, Torino 1957; Le poetiche del simbolismo e l'origine dell’Astrattismo  figurativo, Studi in onore di L. Venturi, vol. II, Roma 1956. All'elenco  si aggiungono i saggi pubblicati in successive occasioni: in partico-  lare sul catalogo della Antologica postuma: Omaggio a Albino Galva-  no, a cura di P. Fossati, F. Garimoldi, M. C. Mundici, catalogo della  mostra, Circolo degli Artisti, Torino 1992 e, con scelta assai più am-  pia ma ancora lontana dalla completezza, sulla recente antologia:  A. Galvano, Diagnosi del moderno, cit.    ra appena finita; come significative le collaborazioni,  che elenco per segnalare la ricchezza e la varietà dei  contributi, intesi a coprire in tutta la loro estensione  le cosiddette Arti figurative: C. Mollino e U. Mastro-  ianni, Monumento ai Caduti per la liberazione d'Italia;  R. Chicco, ... et le tableau quittè nous tourmente et nous  suit; I. Cremona, Dal cannone alla Secessione; A. Dra-  gone, Disegni, acqueforti e acquerelli di Cino Bozzetti; P.  Oriani, Franco Costa; C. Mollino, Gusto dell’Architettura  organica; O. Navarro Il messaggio della cultura; ancora  A. Galvano, Woyzeck di Georg Biùchner, P. Oriani, Breve  discorso su due films di Cocteau. Aggiungo — e non è un  dato secondario—dopo una pagina redazionale, quindi  di Pippo Oriani “che proviene dall'esperienza futuri-  sta” e dello stesso Albino “che proviene dal purismo  casoratiano e dal neoimpressionismo venturiano”,  dove si rivendica, dalle due parti inconciliabili (ma  l’inconciliabilità è segno di forza, di utile tensione)  la gratuità dell'atto creativo rispetto alla riflessione  critica, e l'autonomia del giudizio critico rispetto alle  generalizzazioni dell'estetica, in un tempo storico che  minaccia di deludere chi aveva sperato che la fine del  regime politico e culturale comportasse il recupero  pieno della libertà e la sua pratica esplosiva.  L'avvio del saggio è forte, al solito compromesso,  e ancora una volta lo propongo: “L'appello della pit-    ‘LA PITTURA, LO SPIRITO E IL SANGUE    L'appello della pittura risuona dal profondu del  nostro sangue — ancora con quell’urgenza — come  nei quindici anni quando sostituiva in camuff:imenti  impegnati sino alle estreme ragioni della possibile  azione, gli slanci religiosi o i presentimenti sessuuli.  Ma le vie dell'Eden sono perdute, e sarà vano lo  sforzo di ricostruire un itinerarioche approdi al-  l’innocenza d'allora, che vi riscatti la sin troppv  chiara coscienza del carattere composito e compro.  messo di ogni atto umano che non sia di rinunzia:  il peccato fondamentale dell’arte. Invano da anni  l'estetica crociana, non per nulla irritata con  il « fanciullino »  pascoliano troppo chiaramente  preanunciante le scoperte freudiane {e contro  Freud i erociani si armeranno della più ipocrita in-  comprensione) cerca di riprendere e di legittimare,  con la sterilizzata convinzione del carattere « teore.  tico» dell’arte, il troppo scoperto « alibi » kan-  tiano del « bello come simbolo del bene morale ».  Credo siu venuto il momento di confessare schiet-  tamente che il bello, proprio questo bello artistico  che ci brucia sin dalla giovinezza ogni possibilità di  rassegnazione e di conformismo, è piuttosto il « sim.  bolo del male morale ». Tanto, anche eticamente.  dla questa franchezza non perderemo nulla.   Soltanto Nietsche ha insistito con sufficiente chia-  rezza su questo carattere, profondamente « vitale »  e perciò profondamente « immorale » dell'attività  artistica: contro il quale assai poco mi paiono va-  lere le due obiezioni che implicitamente o esplici-  tamente vengono mosse dagli idealisti e dagli spiri.  tualisti. Se per i crociani — ma credo che in Gen-  tile l'implicita ammissione, inevitabile data l’iden-  tificazione di arte e sentimento e l’inseparabilità  dell'agire dal conoscere, di quanto sì è detto, fosse  più che sospettata dall'autore anche se la reto.  rica di cui sempre fu ammalato gli impedì di am-  metterlo in termini chiari; che tuttavia non man-  cano nei più diversi fra i suoi seguaci o avversari-  seguaci: dal primissimo Abbagnano disciogliente  tatto il reale in irrazionalità, appunto con una re-  ducetio ad absurdum dell’attualismo, all'Evola, al  più recente Spîrito — se per i crociani, si diceva,  la scappatoia di ridurre l’arte a pura conoscenza,  giocando sul doppio ruolo confuso insieme del-  l’« intuizione » permette di evitare lo spinoso prò-    blema, i recenti spiritualisti — ma anche fra di.    loro lo Stefanini, ad esempio, ammettendo una.« in-  sufficienza dell’arte alla vita» — pur nella auto-  ì enza in ordine al proprio valore peculiare,  finisce collo svalutare moralmente l’arte — candi-  damente invece sermoneggiano sulle comuni radici  del bello e del buono (nel secolo scorso queste  niaiseries di solito avvenivano su di uno sfondo  ontologistico vagamente giobertiano, oggi lo gnoseo-  logismo idealistico generalmente è rispettato anche  dagli spiritualisti che dell’idealismo dovrebbero es-    ser avversari) e ci avvertono che il tormento del-    l'urtistu che insegue con il diuturno lavoro il fan-  tasma che sempre gli sfugge è profondamente mo-  rale! ;   Dio volesse che fosse veramente così. E che si  potesse sul serio sperare che all'artista, dopo la  conquista su cui ha tutto giocato, della propria  immagine, fosse anche riservato per soprappiù il  paradiso delle religioni e delle etiche!   Sarà meglio invece guardarci chiaramente in fac-  cia e chiederci se veramente per il puradiso provvi.  sorio della bellezza non giochiamo la salvezza della  nostra anima — ammesso che «questa espressione  abbia un senso: quello cristiano, + quello di una  etica « laica » (ma generalmente è cripto-eristiana  anch'essa) — riconoscere per che cosa abbiamo  scommesso; chè le conseguenze del nostro « pari »  atiche se lo avremo perduto non diventerunno duv-  vero peggiori per quest’atto di franchezza.   Rimane inteso che su questa rivista, che non è  dedicata a studi filosofici, non potremo farlo che  sotto l'angolo della pittura; ma poichè è questa  arte della quale abbiamo, bene 0 male. una qual  che esperienza vissuta e poichè d'altra parte non  crediamo se non ai discorsi che nascono da questa  specie d'esperienza, la cosa non sarà fuori posto.   La coscienza rimane inquieta. E poichè sente  che tutto nel problema implica la discussione delle       CAROL RAMA Disegno - 1944    Da «Tendenza», 1946, disegno di Carol Rama.    tura risuona dal profondo del nostro sangue — ancora  con quell’urgenza — come nei quindici anni quando  sostituiva in camuffamenti impegnati sino alle estre-  me ragioni della possibile azione, gli slanci religiosi  o i presentimenti sessuali”. Geniale, perché collega  direttamente, intimamente la pittura (ma in genere  i linguaggi creativi) alla natura, al sangue appunto,  affermando “il carattere profondamente immorale  dell'attività artistica” già sostenuto da Nietzsche,  negato o perlomeno arginato invece da Idealisti e  Spiritualisti; e insistendo sulla “presenza di una  volontà — non risolta nella pura contemplazione, né  risolvibile, dato ilsuo orientamento verso l’immagine  [...] La cosaè particolarmente evidente nelle arti figu-  rative e la multiforme e aperta a direzioni divergenti  attività [...] ne è il paradigma [...] Ed è appunto ciò  che è sfuggito all’idealismo, a causa della artificiosa  distinzione [...] di teoretico e di pratico, come al confu-  sionismo attualistico che confinando l’arte nella sfera  dell’immediato sentimento cade di fatto in un troppo  semplicistico naturalismo. La distinzione fra teoretica  e pratica è certo valida, ma all’interno di ogni singolo  atto spirituale nella sua integrità, ché la vita spirituale  presenta questi due aspetti come facce sempre distinte,  sì, ma sempre inseparabili”.   Conclude Galvano (e in questa direzione trova  sostegno nella fenomenologia di Alain?!, ne “L'Imma-  culée Conception” dei surrealisti e in Breton, più che  nella poetica di Valery, almeno quando troppo insiste  sul pieno controllo cosciente dell'artista nell’elabora-  zione dell’opera): ‘Qui [...] bisogna pensare [...] ad  una volontà tutta inconscia, individuante e non ancora  individuata (come[...] Schopenhauer presentiva) e ad  unopposto momento rappresentativo che solo giustifi-  ca il valore estetico dell'immagine raggiunta negando  nel sogno l’ebbrezza del movimento fisiologico”.   Con un salto di parecchi anni, dal 1946 de La  pittura, lo spirito e il sangue ad una autopresentazione          21 Utilissimal’ampia citazione in proposito da uno scritto ine-  dito di A. Galvano, riportata da F. Garimoldi Albino Galvano: pro-  getto di una nuova cultura, in Omaggio a Albino Galvano, cit., nota 12:  “[in Alain ovvero Emile Chartier] l'accento cadrà ... molto più  che nell’estetica idealistica, sul momento del fare che su quello  del conoscere , e sulla resistenza del mezzo sentita come condizio-  ne positiva ed essenziale al sorgere del fantasma artistico, fanta-  sma che non sarà più un'immagine al tutto congiunta a priori ad  una materiale estensione che la traduce, ma che sorgerà insieme  all'atto di esecuzione e che soltanto a posteriori rispetto a que-  sto avrà la sua concretezza “ ... “L'opera non nasce nella testa o  nel cuore, nell’intelletto o nel sentimento, per poi essere realizzata  nella pietra o sulla tela, ma, direi, nel vivo pulsare del sangue al  polso quando questo gioca le resistenze e le tensioni, gli scatti e  le flessioni del pollice e della mano nell’urto con il resistente ma-  teriale. La scultura e la pittura sono meno la realizzazione visiva  di un'immagine mentale che la materiale traccia lasciata da un  gioco di ritmi fisiologici”. Sarà in particolare Merleau-Ponty a  sviluppare il tema, per esempio negli studi dedicati a Cézanne.    lino Vieeate  colla (o crlize pus (olenda,  cuni (aza sr net&uk' a fr suina  und la gut rin % NAM (dA  Pene più 0 me0 Ara la rr tn he Ut    forata ME TISHOI: RE Peas LA LALA Les    al caso TU fi  e fa dii  Lo val poco comi pila est;  ua dn AA    Prima pagina della lettera di A. G. a Adriano Villata, 1980.    del 1980 — scritta a mano “quasi si trattasse di una  lettera destinata solo all'amico [il “Caro Villata”,  gallerista], nella quale ci si può confidare e divagare  come l'umore o la nostalgia suggeriscono” —, Galvano  ritorna sul rapporto fra il concepire e il fare, tra il fare e  il decodificare il senso in più o meno risolutive lettere;  ancora una volta mettendosi in gioco, ma senza alcuna  intenzione di assumere valore esemplare o chiedere  scusa 0 simpatia, esponendosi in tutto lo spessore  di sensibilità e intelligenza, di impossibilità (a meno  che non si scelga o si accetti la rinuncia) di sottrarsi  all'impulso profondo. E anche senza compiacimento  narcisistico: ci si esprime non per coltivare l'emozione  ma per darne testimonianza e, per quanto possibile,  esporla a sé e ad una analisi non priva di crudeltà,  comunque oggettiva. È interessante seguire il filo  del discorso, che nella scelta del tono dimesso non è  meno teso del solito.   Prima motivazione del movimento pendolare tra  pittura e scrittura, così esposto al giudizio e all’ironia  dei colleghi dell'una e dell'altra banda: l'appartenenza  “ad una generazione [quella di Cremona, di Maccari,  di Mollino, per restare tra amici] e ad un ambiente       22 Ripubblicata in A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue,  cit., pag. 29 e segg.; e in A. Galvano, Diagnosi del moderno, cit. ,  pagg. 13-17.       All'inaugurazione di una sua personale, inizio anni ‘70.    in cui questo male, se male, era quasi una ragione di  orgoglio”. Era la generazione dei nati all’inizio del  secolo, che raccoglieva dai protagonisti del rinno-  vamento dell’arte (secessionista o avanguardistico,  rappresentato per Albino, in primo luogo e per sempre,  dal maestro Felice Casorati), una eredità che era non  meno di esperienza materiale che di elaborazione  intellettuale, un atteggiamento aperto, anzi tentato  da molteplici contraddittorie curiosità e linguaggi  espressivi (ma il quasi suggerisce l’affacciarsi di qual-  che incrinatura nella certezza adamantina esibita dai  predecessori, forse anche per il confronto inevitabile  con una generazione successiva che tornerà a proporre  arroccamenti specialistici).   Seconda motivazione: ‘[...] Tutto quantohai odiato  o amato nei giochi e nella noia dell'infanzia alimenterà  peruna vita quanto produrrai, buono o meno chesial....]   I nutrimenti terreni avranno un bel essere filtrati  in parole, in segni e colori, in note, in spettacolo, il  loro repertorio non muta, non lo hai scelto, ma ne  sei stato scelto, e tu sei quello che essi ti hanno fatto,  la tua libertà non può consistere che nell'essere loro  fedele sino alla fine, libertà di adesione non di ripudio,  e libertà nella misura in cui con il tuo ripensamento e  il tuo scavo li trasformi da passivo esser fatto in attivo  assecondamento della sorte che essi ti hanno assegnato,  in obbiettivazione in cui il loro oscuro sgorgo, la loro  inconscia matrice, si chiarisce nell'opera, nel segno  formato e consegnato all'oggetto che ti rivela agli  altri e in cui assumi responsabilità di confessione e di    10    proposta”. Insomma, è proprio il rilancio dal fare al  pensare e dal pensare al fare che definisce una identità  intuita come destino e accettata come scelta.   Ma se rimane “ovvio” il rapporto fra i nutri-  menti terreni e ciò che uno diviene e fa nel tempo, è  anche vero che “una immagine retrospettiva di sé  è sempre un’interpretazione che porta il peso della  mutata identità dell’interrogante, del penoso carico  di nostalgie, ricordi, rimpianti e rimorsi [...] e ogni  interpretazione, specialmente nell'impegno auto-  biografico, è anche una falsificazione”, per quanto  cerchi di evitare tanto l’apologia ideologica quanto  la “disgustosa e mimetica” confessione personale.   Giusto nel mezzo, fra le due citazioni del 1946  e del 1980, nel 1960 (è il caso di ricordare che è il  tempo della svolta neodada e pop che mette in crisi  e addirittura annichilisce alcuni dei pittori più con-  vinti), Galvano mostra d’avere di questo destino  ironica e malinconica ma anche dura consapevolezza.  Del fallimento egli tesse un sistema, secondo i miti  di Prometeo e Sisifo, riscoperti come”moderni” dal  Romanticismo all’Esistenzialismo. “Finis picturae?  [...] Il punto si identifica [...] con questo estremo di  coscienza contraddetta e irritata: la certezza che la  via senza uscita dell’arte oggi non ha [...] nemmeno  l'alibi della professione, del successo, del guadagno, ma  soltanto il fascino senza illusioni di una fedeltà a un  impegno individuale, quasi di una scommessa con la  propria intelligenza e con la possibilità e i limiti del  nostro stesso temperamento!”.   Diventano così esemplari l’ultima e penultima  produzione di Galvano pittore, alla quale viene dedi-  cata in questa mostra una intera sezione, iniziata verso  la fine degli anni ’70 con i ciottoli le foglie i frutti, i relitti,  proseguita con “i paesaggi (rocce, alberi, isole), i nudi, le  macchie[|...]”:esemplare neltentare una trascrizione di  archetipi, congelati inluoghi comuni della pittura, tipi,  generi e maniere (il fascino baudeleriano dei luoghi  comuni!). Ma già muovevano nella stessa direzione  ireos e cespugli d'inizio ‘70 — tracce che regrediscono  attraverso lamemoria nella gesticolazione elementare  — e prima i segni asemantici, prima ancora (siamo nella  seconda metà dei ‘60) le bandiere, i nastri, i nodi e così  via: tutte figure emblematiche, primarie e coltissime,  che niente hanno a che fare con la semplificazione, la  banalizzazione pop.   La pittura ivi coincide con la costruzione delle im-  magininominabili (nona caso varianti dell'icona della  cosa, anzi del frantume, astratta da qualsiasi contesto,  su un fondo bianco che è il segno di una definitiva  separazione dallo scorrere fenomenico), e insieme la  pittura è automatismo oggettivo, registrazione fredda  della emozione costruttiva (se non creativa): infatti  presentata tipicamente come nodo, descrizione dell’a-    23 A. Galvano, La pittura a Torino dal ‘45 ad oggi, cit.    »m®)  da cor. 4 È  "ut me rematori) E  ua Br su :    Pa    ù  LE  a       Con Gino Gorza a Palazzo Te, Mantova, 1988.    zione dell’annodare, avvolgere, intricare-intrigare, 0  dello sciogliere e liberare (vedi la bellissima immagine  scattata, credo, alla galleria Martano).   Ma è tutta la vicenda di Galvano pittore e critico  che val la pena di ripercorrere in mostra, sia pure per  cenni e con discutibili tagli.   Danotarel’uso ch'egli fa dell’insegnamento casora-  tiano: del maestro, Galvano non assume passivamente  il “platonismo”, consapevole che il rapporto di Felice  con la pittura è dal principio e resta nel tempo un  rapporto “decadente”, che diventa eticamente “sano”  e formalmente “classico” solo per un atto di volontà  tanto mirabile quanto falsificante; sarebbe meglio dire  critico, con vettore opposto, sia pure, a quella che sarà la  scelta di Galvano. Che il travestimentosia storicamente  giustificato su un modello rispettabilissimo come quello  gobettiano, non vuol dire che la sua sostanza più vera  non debba essere riconosciuta nonostante, attraverso  la corazza ideologica e formale ritrovando il nucleo  profondo, ’malato”ma straordinariamente vitale.    11    Del Galvano degli anni’30-inizio ‘40, sarebbe da  approfondire l’espressionismo — che del resto condivi-  de con altri della sua generazione: Nella Marchesini,  Paola Levi Montalcini, Piero Martina, Italo Cremona,  Carol Rama. In tal senso ci si potrebbe chiedere che  peso abbia avuto, localmente, Spazzapan che esaltava  l'ispirazione e deprecava l'istinto (viene in mente la  teoria di Klages, che insiste sulla attrazione magnetica  traimmagine e “anima”, ben distinta, l’anima ispirata  e creativa, dall’istinto che è del corpo, come dalla  volontà decidente e dotata di facoltà riflessiva che è  dello spirito”); e anche Carlo Levi, l’unico dei Sei che  partecipi intimamente all’espressionismo europeo, e,  fuori sede, i romani, Scipione in particolare al quale  Albino dedicò una bellissima recensione nel ‘40, che  è lo stesso anno della prima edizione del Casorati.   In un saggio intitolato Perché non possiamo non  dirci crociani, in “Numero”, 3, 1953, Albino Galvano  sottolinea che la sua generazione “decadente” deve  a Croce specialmente questo: d'essere stata messa  nella condizione di “accettare senza malafede e senza  rimorsi i dati di quella cultura di tardo romanticismo  che, così feconda quanto a ricchezza e sottile sensibi-  lità di ricerche particolari, tanto si è dimostrata inca-  pace di una sistemazione totale... [insomma di poter  essere] decadente malgrado Croce, grazie proprio  al riscatto che il metodo crociano offriva”. Che è un  modo ottimo anche per comprendere come coerenza  di sistema e incoerenza pragmatica siano in Galvano  strettamente congiunte in dialettica tensione: la co-  erenza consistendo nella allarmata coscienza critica,  nella responsabilità che non può consentirsi “nessuna  comoda complicità”, l’incoerenza nell'essere ogni  scelta un esito che, per quanto imperfetto, è sempre  compromesso e rappresentativo. Come a dire che la  vitalità della ricerca costituisce un valore, non meno  che l'aspirazione ad una sistemazione che finalmente  rappresenti una “identità”, forse meglio “la libertà  di essere identici al proprio destino”. Perciò Galvano  non intende, tanto meno come pittore, tagliare i ponti  col passato (il suo passato, oltre che la storia); invece  semina il cammino di tracce, di residui, vorrei quasi  dire fisiologici, di lapsus, così che in ogni momento  il cammino sia ripercorribile o almeno riconoscibile,  ma anche sostituibile. Egli, in effetti, sa che nulla  va distrutto e non consuma sacrifici liberatori. Per  lui in particolare (adatto il titolo di un importante  saggio del ’63), La sublimazione astrattista non liquida  l'erotismo del Liberty, semmai ne prende le distanze,  per poterlo rimettere in circolo, come in un processo  alchemico in perenne rinnovamento.   Così Galvano passa necessariamente da un con-  cretismo geometrizzante, che di fatto ironizza — ma  non banalizza - la geometria come privilegiata ma-       24 A. Galvano, Per un'armatura, Lattes, Torino 1960, pag. 87.    nifestazione della razionalità e della chiarezza, ad  un concretismo informale che libera la possibilità  di una pittura scritta usando il campo come tabula  rasa 0 pagina intonsa, dove il gesto può scorrere ed  intricarsi, e/o come dimensione praticabile in tutto il  suo spessore magmatico, a sua volta ironizzato dalla  scoperta di una ritmica, di una metrica essenziale.  Come adire che è nella pittura (nell'arte) chesi realizza,  assumendo evidenza di mito visivo — feticcio laico —  l'unico progetto possibile senza illusioni razionaliste  e moralismi ideologici.   Un momento certamente fondamentale, sarei  tentato di dire il perno sul quale ruota il resto è quello  attorno al’60: quando la “natura” del gesto s'incontra  felicemente conlo schema, generando una concrezione  araldica, l'intenzione simbolica con il simbolo ricono-  sciuto nella memoria collettiva; ennesima variante  della tradizione dell’ornato, raccolta e riavviata dal  Liberty: insieme puro gesto e automatismo assolu-  tamente impuro. In questa mostra, il momento avrà  adeguata evidenza. Ma è anche vero che Galvano  si guarda bene dal protrarre artificiosamente quel  momento (diciamolo pure, straordinario, quasi senza  confronto in Italia), tanto che si prenderà negli anni  immediatamente successivi, dal ‘62 al ‘65 circa, una  pausa di riflessione che produrrà anziché pittura saggi  teorici che culminano in Artemis Efesia, per riprendere  il filo (la matassa) della pittura con proposte (in appa-  renza) assai differenti: le bandiere, i nastri, 1 padiglioni,  gli anelli di Moebius.   Che cos'è la pittura per Galvano, allora?   Scrive di lui nel 1974 l’amico / avversario Giulio  Carlo Argan, che ha scommesso sul progetto ideolo-  gico, vincente almeno per un certo periodo storico:  “Egli non risponde una volta per sempre, con una  definizione filosofica: infatti ciò che vuol sapere è  che cosa sia la pittura in questa precisa condizione  della cultura, della coscienza, dell’esistenza, e quale  sia il suo grado di vitalità, quali le sue possibilità di  sopravvivere in uno spazio ogni giorno più ristretto”.   Non gli si potrebbe dar torto, se non fosse che  proprio l’opera e ciò che la sottende, l’opera come atto  critico, questo è appunto il suo contributo filosofico, e  anche la sua testimonianza sapienziale, che trascrivo  da una autopresentazione del 19822:   “Dunque [la pittura], una meditazione sulla morte  imminente [...] o il recupero della gioia ottica nello  spazio ripercorso in termini di colore e di luce, sia  pure della luce irreale della memoria e del sogno? O  la scenografia di ambigue emersioni dall’inconscio?  Davvero non saprei dirlo, e, forse, è inutile porsi le  domande. Forse anche soltanto la monotona iterazione       25. G.C. Argan, in catalogo della personale, Galleria Unimedia,  Genova, 1974.   26 A. Galvano, Autopresentazione, in catalogo della mostra,  Piemonte Artistico Culturale, Torino 1982.    12    di una passione per il dipingere, che ripercorre con  insistenza sigle che non è più capace di vivificare colla  curiosità e il gusto avventuroso della giovinezza”.  Tante pitture, allora, e però tutte mirate ad essere  presenza di pittura e non illustrazione di concetti.  Pittore concettoso, a volte, mai concettuale nel senso di  illustratore di concetti : aggiungo,nel segno di una ine-  ludibile, per quanto mascherata vocazione poetica.”   Devo citare, almeno una volta, Edoardo Sangui-  neti, allievo e amico, grande estimatore di Galvano:  “Mi trovo [...] forzato a pensare che, alle radici del  lavoro di Galvano, come artista e come studioso,  stia un'immagine — è la parola giusta — che accenna  all'uomo come animale che è capace di immagine.  E dunque un’antropologia fondata sopra la facoltà  della visione”,   In formula perfetta, a conclusione di Storicità e  significato dell’arte astratta (1953), Galvano aveva già  precisato:“L'opposizione affermata da Mallarmé tra  la concretezza della vue e l’allusività delle visions,  l'affermazione di Alain che il poeta è l'opposto del  visionario perché sa di non vedere sino a che la mano  non abbia realmente costruito nello spazio l'oggetto  che la passione progettava, sono divenute nella co-  scienza del pittore concreto l'imperativo di una scelta  tra il peso della memoria e la libertà pericolosa di una  iniziativa tutta affidata al risultato”. F. Garimoldi,  nel saggio più volte citato”, sottolinea che Galvano  pone come centro dell’arte “l’insoluto rapporto fra  espressione ed enigma” (che cosa di più chiaramente  collocato sulla linea romanticismo-simbolismo come  la vede Albino?), citando una autopresentazione del       27, La seconda parte di questo scritto elabora liberamente tre  miei testi: in ordine cronologico, Témoignage de notre dignité, in Fi-  gure d'Arte, artisti a Torino dagli anni ‘50, a cura di A. Balzola, R.  Cavallo, E. Ghinassi, P. Mantovani, Alberti ed., Pescara 1991; A  proposito del pittore Albino Galvano, in Attraverso il Novecento. Albi-  no Galvano, 1907-1990, a cura di M. Pinottini, Bulzoni ed., Roma  2004; Albino Galvano pittore, catalogo della mostra, Galleria del  Ponte, Torino, 2010.   28 E. Sanguineti, Contro la ragione, “La Stampa”, 10 marzo 1990.  Un libro singolare, dove Sanguineti è figura nodale nella messa in  circolo della “linea liberty” ancora nella seconda metà del ‘900; li-  nea che Casorati, Cremona, Mollino e Galvano avevano mantenu-  ta viva con originali apporti nella prima metà del secolo, è L'altra  faccia della luna — Origini del neoliberty a Torino di Elvio Manganaro,  Libria ed., Melfi 2018. Al libro citato devo la conoscenza di un te-  sto di Galvano: Processo alla pittura in “Il Selvaggio”, 15 novembre  1938, che dà originale contributo alla interpretazione della vicenda  artistica della sua generazione, che “si gioca tutto nello spazio che  separa le Uova del 1914 da quelle del 1920, o tra l’”Icaro senza ali e  le ali senza volo del Sogno...”, di Casorati naturalmente, perché  proprio Casorati era “appartenuto paradigmaticamente ai due  mondi [...] quello della figlia di Iorio e quello della Jeune Parque”...  (E. Manganaro, L'altra faccia della luna, cit., pagg. 168-170).   29 A. Galvano, Storicità... cit., 1953.   30 EF Garimoldi, A. G. Progetto di una nuova cultura, in Omag-  gio..., cit., pag. 15.    ‘77%:"Si dà arte solo quando il non differente operare  a fini strumentali o di puro edonismo è impedito e  stravolto dai sedimenti di una vicenda individuale che  s'insinuano e dominano dove pretendeva condurre il  gioco la razionalità del progetto decisionale. A que-  sta condizione in ogni tempo si è cercato di opporre  la dignità dell’autocontrollo [...], certo vanamente,  ma anche proficuamente perché [...] la possibilità di  coinvolgere gli altri [...] non consiste se non nel pun-  tualizzato istante di tensione in cui lascia materiale  traccia di segno o di tocco quel gioco d’insidie; l'istante  in cui l’inspiegata vicenda interiore si fa immagine ed  emblema”.       Con Francesco Bartoli a Palazzo Te, Mantova, 1988.    Nota bibliografica    La discutibile scelta di privilegiare la pittura  come via di accesso alle molteplici attività di Albino  Galvano, obbliga a segnalare gli autori che hanno af-  frontato il caso con particolare intelligenza e puntuale  cultura filosofica.   E. Sanguineti, in catalogo Antologica, 1979; R.  Tessari, nello stesso catalogo, e Galvano e il mito, in  Figure d'Arte, cit. 1991; G. Carchia, Prefazione a Arte-  mis Efesia, nella riedizione del 1989, cit.; P. Fossati, F.    31 Autopresentazione, mostra personale, Galleria Weber, Tori-  no 1977.       13    Garimoldi, M.C. Mundici (a cura di), catalogo della  mostra al Circolo degli Artisti, cit. 1992; A. Balzola,  Galvano e D'Adda: l'immagine matrice, in Figure d'Arte,  cit. 1991; G. Gallino, pagg. 27-46 e F. Salza, Albino  Galvano e Jung, in“ Attraverso il Novecento”, cit. 2004;  A. Ruffino, Introduzione in Albino Galvano — Diagnosi  del moderno, cit. 2018.   A parte, segnalo il “ritratto” che ne fa Paolo Fos-  sati, con riferimento prevalente agli anni Sessanta e  Settanta, presentando Omaggio a Albino Galvano nel 1992;  e le memorie che in circa trent'anni di colloqui — non  di rado centrati su Casorati, Cremona e Galvano — ho  potuto raccogliere da Gino Gorza, l'unico artista di  generazione successiva che per cultura e gusto potesse  essere accostato a Galvano. Fu proprio Gino a volere una  mostra comune — con il significativo titolo di Sincronie  — a Mantova in Palazzo Te, nel 1988; riannodando il  filo della presentazione che Albino gli aveva dedicato  dieci anni prima, per l’Antologica nello stesso luogo.  Ricordo all’inaugurazione del 1988 la presenza di  Francesco Bartoli, documentata anchein una fotografia  dove il geniale interprete di Licini sembra inchinarsi al  geniale interprete di Artaud. Più recentemente, sempre  al Te, una giornata di studio dedicata a Bartoli è stata  anche l'occasione per rievocare la figura di Galvano  con Roberto Tessari. Anche Tessari è mancato.    Prova di ritratto    Uomoriservatissimo, comea volte chi non si neghi  alla mondanità, anzi se la imponga come esercizio.   La leggendaria disponibilità (senza ombra di  debolezza) realizza una delle forme più aristocratiche  dell'etica (per discrezione in maschera di rigore pro-  fessionale). Essenziale un fondo di malinconia, come  misura di una perdita irreparabile, e di nostalgia per  una totalità irreversibilmente frantumata.   Tra distacco soggettivo e oggettiva commozione  scorre l’impurità di un continuare a vivere, si scrive in  tracce stenografiche il diario di un sedotto ... e di un  seduttore per forza (di un gentiluomo piemontese).   Sensualissimo lettore; scrittore capace di costruire  macchine logiche come trebbie di tortura, e di avvolgere  in sontuose inestricabili ragnatele (costante una specie  di dolcezza, cui tanto meno resistono rigidi baluardi):  trascurabile vi è l'inganno, perché la circonvenzione è  ignobile, specialmente d'incapace.   Come un dovere coltiva il diletto: su questo piano  potrebbe essere magistrale se non fosse troppo fine e  pericoloso un tal modello. Nel suo sistema, la pittura  rappresenta il “concreto”. Distratto semmai da irridu-  cibile curiosità, non è mai astratto.   Ireos, sassi e conchiglie sigillano una storia so-  stanzialmente coerente, perché osano confronto con il  principio e la fine: così su una pietra tombale si posano  cose e il tempo vissuto, relitti nudi, epifanie senza velo.    Omaggio a Albino Galvano       Catalogo mostra antologica, Palazzo Chiablese, Torino, 1979.  Catalogo mostra antologica, Circolo degli Artisti, Torino, 1992.  Atti del convegno, a cura di M. Pinottini, Torino, 1997.   Antologia di scritti di A. G., a cura di A. Ruffino, Aragno editore, 2018.    Electa Piemonte    ATTRAVERSO  IL NOVECENTO:  ALBINO GALVANO  (1907-1990)    a cura di    Marzio Pinottini    BIBLIOTECA DI CULTURA / 657    BULZONI EDITORE       14    Albino Galvano: la fedeltà alla pittura    Luca Motto    Il magistero casoratiano e la prima figurazione  1928 — 1944    Albino Galvano nacque a Torino il 16 dicembre  1907, l’anno d'esecuzione delle Demoiselles d'Avignon  di Picasso che segnò l’imporsi e il susseguirsi delle  avanguardie: « che nel bene e nel male problematico  [...]dovevanocaratterizzare, inconcomitanza concrisi  umane, politiche e sociali ben più gravi, ilnostro secolo  sino a porre oggi il problema della “morte dell’arte”  qualunque cosa si intenda sottolineare con questo  termine apocalittico»!. Galvano pur muovendosi nel  solco della modernità, affondava le sue radici in una  meditata e personalissima assimilazione di riferimenti  pittorici dell'Ottocento e del primo Novecento, ben  lontano dalla reazione e dall’inattualità. Apparteneva  all'ambiente casoratiano e alla sua scuola «divenuta il  centro di un'opposizione cortese, tacita che non esclu-  de — la cosa è molto torinese — rapporti amichevoli o  per lo meno corretti con gli avversari»?.   Nel decennio 1918-1928 venne segnata la tempe-  rie di una Torino moderna (tuttavia non futurista) di  seguito enunciata in pochi assunti utili a comprendere  l’ambiente artistico nel quale il giovane Galvano s'in-  trodusse: la comparsa di Felice Casorati alla Promotrice  del 1919 come artista rivoluzionario e di rottura; la  «breve esistenza » di Piero Gobetti e il suo cenacolo  antifascista; le polemiche e la reazione dell'ambiente  cittadino alle scelte di «gusto» antinovecentiste di  Lionello Venturi rivolte all'arte di nuovi «primitivi»,  gli impressionisti; il fugace percorso del gruppo dei  Sei di Torino (coagulato e promosso dal duo Persico e  Venturi)che rinunciarono a «Roma madre» per «Parigi  amica»; e la vitalistica apertura culturale europea del  finanziere, collezionista e mecenate Riccardo Gualino.   Dopo un precoce apprendistato con il pittore  Giovanni Pisano e il maestro di disegno Vannini,  l'educazione di Galvano all'arte contemporanea si svi-  luppò suriviste di settore (in particolare”“Emporium”  e “L'art vivant”) e attraverso la frequentazione delle  Biennali veneziane. Alla rassegna del 1928 Galvano  poté osservare dal vivo la pittura di Felice Casorati  che rappresentò «la scoperta del mondo nuovo e spre-  giudicato che si apriva alla nostra cultura: l'ingresso  del mondo “moderno”»*.   Al termine del 1928 si iscrisse alla Scuola Libera di  Pittura di Casorati (sorta a Torino nel 1921 e struttu-  ratasi maggiormente dal 1927 nella nuova sede di via  Galliari, antistante l'abitazione di Riccardo Gualino) e  la frequentò fino al 1930. Il suo magistero, lontano da       1. A. Galvano, Autobiografia, in N. Pizzetti e G. Givone (a cura  di), Albino Galvano, catalogo della mostra, Palazzo Chiablese, Re-  gione Piemonte, Torino 1979, pp. 17 — 18.  2 A. Galvano, Torino e i «Secondi futuristi», in A. Galvano, Dia-  gnosi del moderno. Scritti scelti 1934 - 1985, a cura di A. Ruffino,  Nino Aragno editore, Torino 2018, p. 344.    15       Albino Galvano (al centro, seduto) e (da sinistra, in piedi, tra gli altri)  Filippo Scroppo, Daphne Maugham, Rina Galvano, Danila Cremo-  na, Felice Casorati, Carol Rama, Leopoldo Bertolè, Valpellice 1949.    «Ogni sistematicità d'accademia»°, non fu solamente  estetico ma anche pregno dell'eredità etica e politica  gobettiana: un debito verso quel «fanciullo puro» che  esigeva «fedeltà e non lacrime»®. Per Galvano il punto  fondamentale della sua formazione fu il trovarsi par-  tecipe di un ambiente che lo salvò «tanto dal rischio  di un'adesione acritica al regime imperante [...] e da  quello ben più grave [...] di un'immersione o som-  mersione nella Torino di quel tipo di borghesia che  amava in pittura Giacomo Grosso». L'insegnamento  del «platonico» Casorati, pervaso «d’una signorile  severità», verteva su l’«insieme» e il «tono». Dalla  monografia Felice Casorati di Galvano (1940, editore  Hoepli, Milano) si legge che il Maestro consigliava  agli allievi di «imparare a vedere il più semplicemente  possibile [...] la forma di quella determinata massa  tonale, di quella determinata massa chiaroscurale,  non la forma dell'oggetto» [...]. La forma serve qui  a distruggere la linea ed a passare al colore [...]»*.   Il clima della scuola di via Galliari fu efficacemente  narrato da Lalla Romano ne Una giovinezza inventata:  «Verso sera venivano sovente visite: Alberto Rossi,  Mario Soldati, Carlo Levi. Levi ridacchiava — con  noi — sull'indirizzo classicistico della scuola, dove gli  allievi più ambiziosi preparavano un bozzetto per il  quadro. Rideva ma affettuosamente. C'era una base  culturale comune: il disprezzo per il fascismo».I  nomi citati sono solo una parte delle personalità con  cui Galvano, all’inizio degli anni Trenta, instaurò un  duraturo rapporto amicale sulla via del confronto  artistico, tra gli altri: Paola Levi Montalcini, Sergio  Bonfantini, Riccardo Chicco, Italo Cremona, i Sei e       5 P. Gobetti, Iniziative d'arte a Torino, in “L'Ordine Nuovo”, 27  dicembre 1921.   6 F. Casorati, in “Il Mondo”, 20 marzo 1926.   7. A. Galvano, Autobiografia cit., p. 17.   8 A. Galvano, Felice Casorati, cit. pp. 369, 371.   O) L. Romano, Una giovinezza inventata (1979), Einaudi, Torino  2018, p. 185.       Giulio Carlo Argan, ma anche Carlo Mollino, Massimo  Mila, Leone Ginzburg e Franco Antonicelli.   La pittura postimpressionista di Galvano del  decennio Trenta e fino al 1945 si orientava in un «con-  traddittorio intento di tenere insieme i valor plastici  di Casorati e quelli dei Sei» il cui risultato «pesante e  impastato» fu autocriticamente espresso dall'artista  stesso!°. Anche una certa l’arte d'oltralpe praticata da  stranieri fascinò Galvano (Maurice de Vlaminck, Ko-  stia Terechkovitch, Christian Krog), mentre i rimandi  nostrani furono indirizzati alchiarismo lombardo eai  tonalisti romani. «Quei loro mezzi [...] misi sfasciava-  no ed intorbidivano tra le mani, rimanendo parentele  d’accatto o esperimenti di lettura, ed enorme riusciva  la dispersione e la perdita di tempo»"!.   Un repertorio antinovecentista di temi iconogra-  fici ricorrenti segnò quel periodo: «pesci, molluschi,  conchiglie, vecchi libri accartocciati, crocefissi e  acquasantiere barocchi, nudi tortili come molluschi  e paesaggi incerti tra quegli andamenti sinuosi e un  modesto cezannismo che era nell’aria»!“.   Galvano s’inserì nel circuito espositivo nel 1929,  anno in cui le arti si avviavano verso la loro fasci-  stizzazione di forma con l'istituzione del Sindacato  Fascista a cui venne affidato il compito di gestire le  manifestazioni espositive periodiche sul territorio  nazionale. Il rapporto con la società artistica di un  Novecento sarfattiano (a un passo dallo smantella-  mento definitivo) e della retorica celebrativa di Stato  era destinato tuttavia a un sostanziale fallimento.   A Torino Galvano esordì nell'alveo casoratiano  in due mostre della scuola nel 1929 e nel 1930. Dal  1930 al 1942 furono regolari le sue presenze alle espo-  sizioni annuali della Promotrice di Belle Arti con più  sporadiche puntate alla Società degli Amici dell’arte  (1931, 1932, 1934).   Il critico Emilio Zanzi, in una recensione riguar-  dante un'esposizione di vendita torinese del 1934,  sagomava i tratti pittorici del giovane Galvano: «[...]  sfuggito anzitempo alla disciplina rigorosa della  scuola di Casorati. Il Galvano in certe composizioni di  nature in silenzio ricorda la chiara e sapiente pittura  del Maestro, in altri quadroni ricerca l’effetto della  pennellatona agile ed abile, cara passione di qualche  post-impressionista»".   Alle rassegne di carattere nazionale Galvano  prese parte alla I e alla Il Quadriennale romana (1931  e 1935) dove vi fu una discreta rappresentanza torine-  se e piemontese: Felice Casorati e il suo discepolato  (Paola Levi Montalcini, Nella Marchesini, Sergio  Bonfantini, Emilio Sobrero), Daphne Maugham,          10 A. Galvano, Autobiografia cit., p.18.   11 A. Galvano, in catalogo della mostra, Galleria La Giostra,  Asti 1952.   12. Ibid.   13 E. Zanzi, in “La Gazzetta del popolo”, 1934    16       Albino Galvano e Filippo Scroppo alla I Mostra Internazionale  dell'Art Club, Palazzo Carignano, Torino 1949.    parte dei Sei (Carlo Levi, Francesco Menzio, Enrico  Paulucci), Giulio Da Milano, Umberto Mastroianni,  Italo Cremona. Alla Biennale di Venezia del 1930  Galvano presenziò con un’opera nella stessa sala di  Casorati e allievi, mentre nell'edizione 1936 espose  isolato (a Gigi Chessa scomparso nel 1935 venne  dedicata un'ampia retrospettiva, Menzio e Paulucci  comparivano attigui).   In questo periodo sono da indagare infine le par-  tecipazioni alle quattro edizioni del Premio Bergamo  (1939-1942). Fuuna manifestazione, insieme al Premio  Cremona, che svelò la dialettica artistica italiana: due  componenti antitetiche dello stesso volto del regime.  Il primo (promosso da Giuseppe Bottai), più elitario,  «si riallacciava a un versante dell’arte italiana colto,  internazionale e post-impressionista»!* suscitando  polemiche nell’ala più intransigente del fascismo; il  secondo (voluto da Roberto Farinacci) era sintonizzato  sull'onda delle mostre hitleriane.   AII Premio Bergamo del 1939 (in giuria Casorati,  Funi, Longhi e Argan) il terzo riconoscimento venne  suddiviso tra cinque concorrenti: si evidenziava la  presenza romana di Giuseppe Capogrossi e quella  piemontese con Menzio, Paulucci, Galvano e Piero  Martina (era presente anche Nicola Galante, non  premiato). Al secondo Premio Bergamo del 1940  Galvano ricevette una particolare menzione e il suo  dipinto fu acquistato dal Ministero dell'Educazione  Nazionale. Galvano espose anche alla terza (1941) e alla  quarta edizione (1942, vincitore l’intimista Menzio),  la rassegna scandalo della Crocifissione di Guttuso,  reinterprete drammatico e rabbioso di un’iconografia  mutuata dal sacro: anticipazione in chiave cubista  della militanza postbellica.   Il ventennio Trenta-Quaranta contrassegnò inol-             14 AA.VV, Gli anni del Premio Bergamo: arte in I talia intorno agli  anni Trenta, catalogo della mostra, Bergamo, Electa, Milano 1993,  p. 58.    tre il compimento della formazione intellettuale di  Galvano che si laureò nel 1938 (con Angiolo Gambaro  e Nicola Abbagnano) con una tesi sulla pedagogia  della religione: primo atto dell’approfondito con-  fronto con le tematiche spiritualiste, antropologiche  e filosofiche (in primis l'influenza di Benedetto Croce  e Henri Bergson).   Tra le sue prime prove di critica d’arte si possono  menzionare il breve scritto del 1932 su Armando Spa-  dini in “L'Arte” diretta da Venturi; il saggio del 1934  su Luigi Spazzapan in “Orsa”; le collaborazioni con il  periodico milanese “Le arti plastiche (1933) e la reda-  zione delle cronache d’arte torinese per “Emporium”  (1938-1942). Si ricordano inoltre i volumi del 1938 (per  l'editore fiorentino Nemi) L'arte egiziana antica, L'arte  dell'Asia occidentale e centrale, L'arte dell'Asia orientale;  la monografia Felice Casorati edita da Hoepli (nel  1947 uscirà una seconda edizione) e Tre nature morte:  Casorati, Menzio, Paulucci pubblicato a Torino nel 1942.   Fu assistente alla Cattedra di pittura di Paulucci  all'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino nel  1942 e da quell’anno, fino al 1978, insegnò storia e  filosofia negli istituti liceali. Tra inumerosissimi allievi  con i quali mantenne profondi legami si ricorda in  particolare Edoardo Sanguineti.    Dalla fase espressionista verso l'astrattismo 1945-1951    AI termine del conflitto bellico per Galvano e gli  artisti della sua generazione s'impose il confronto con  l'avanguardia, l'Europa e il moderno. «Moderna non  è soltanto l’arte prodotta nel periodo in cui viviamo,  ma quella che di voler essere moderna ha program-  matica intenzione! [...] Che assume come categoria  predicativa l'affermazione di “novità” rispetto ad  una situazione di cultura storicamente conclusa.  [...] Il concetto di moderno si chiarisce, così come un  concetto “etico” [...] per cui l'avversario non è un  modesto o nullo artista, ma il traditore di una causa  totale, il reazionario che non merita pietà e al quale  non giova la buona fede». Queste lucide affermazioni  di Galvano aiutano a delineare un settore della sua  linea di pensiero che contribuì ad animare il vivace  dibattito degli intellettuali torinesi, fautori di quel  compatto blocco culturale che, tra il 1945 e il 1947 tentò  una ricostruzione «morale e civile» della società. La  posizione politica di Galvano dopo la Liberazione fu  abbastanza distante dall’ideologia estetica del fronte  comunista. L'urto «non era tanto fra tradizione e  innovazione, anche meno tra astratto (o concreto)  e figurativo [...] ma tra militanza “costruttiva” ed  autonomia “critica” [...]»!9.          15 A. Galvano, Moderno, in Enciclopedia Universale dell'Arte, vol.  IX, Fondazione Cini, Roma-Venezia 1963.   16 G. Mantovani, Il malessere dell'arte, in A. Galvano, La pittura,  lo spirito e il sangue, a cura di G. Mantovani, Il Quadrante edizioni,    E;    Negli anni postbellici il complesso confronto-  scontro con Croce era ineludibile e la posizione di  Galvano (sviluppata in anni più tardi nel fondamen-  tale scritto Perché non possiamo non dirci crociani, 1953)  merita qui qualche breve accenno. L'intuizione pura,  come atto teoretico astorico, non poteva prescindere  dalla soggettività dell’«opera manuale». La polarità  non sussisteva tra il bello crociano, simbolo del bene  morale e il suo opposto, quanto tra lo «spirito» (il  momento razionale - contemplativo) e il «sangue» (il  principio vitale inconscio che in ultimo concretizza  l’opera con il linguaggio scelto). Scriveva Galvano  nel numero unico del periodico “Tendenza” (1946,  coideato con Pippo Oriani): «Questo bisogno del  sangue che ignora l’astratto spirito e gli anatemi e  le accuse di “naturalismo” degli idealisti o quelle di  “immoralità” degli spiritualisti è essenziale all'opera  di pittura. Essa cade o sussiste con il sangue non con  lospirito»!. L'attività di critico d’arte seguitò in quegli  anni anche su quotidiani come “La Nuova Stampa”  (nel 1946) e “Mondo Nuovo” (nel 1947 e 1948).   Tra il 1945 e il 1949 la pittura di Galvano si aprì  ad una fase espressionista slargandosi e semplifi-  candosi in campiture bidimensionali dai contorni  lineari marcati e attraverso l’uso di un cromatismo  timbrico. In un testo di autopresentazione del 1952  l'artista esplicò: «Così quando, intorno al 1941, Guttuso  guardando a Picasso, Birolli e quelli di “Corrente”  sbirciando l’espressionismo, diedero altro indirizzo  alla pittura italiana, mi trovai in ritardo rispetto a quei  coetanei e ai loro discepoli molto più giovani di me, e  con un bilancio piuttosto negativo. [...] Tentavo così  una soluzione in un breve periodo di esasperazione  “espressionistica” del segno, dove l’“illusivo” si tra-  sformava in “allusivo” a quelle immagini che potevo  considerare mie».   Galvano puntualizzava inoltre di essere stato  tentato verso «esperienze varie di carattere cultu-  ralistico, fra cui un primo richiamo al liberty che  allora fu aspramente rimproverato da certi critici (A.  Podestà) come incomprensibilmente anacronistico  ma che almeno come recupero critico, rappresentava  un'anticipazione di interessi e recuperi diventati di  moda un ventennio più tardi».   Nella Torino della Ricostruzione gli spazi esposi-  tivi erano esigui; molto spesso sorgevano in simbiosi  con una libreria come per esempio la Galleria Faber,  dove Galvano nel 1945 partecipò ad una Antologica  di Maestri contemporanei. Alla personale di Galvano  del 1946 presso la Libreria del Bosco «ci troviamo di  fronte ad un artista dalle varie esperienze», denotava          Torino 1988, p. 18.   17 A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue, in “Tendenza”,  n.1, 1946.   18. A. Galvano, Galleria la Giostra cit.   19 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 18.    Salvatore Gatto su “L'Unità”, e proseguiva: «riesce  spesso a lievitare le acquisizioni culturali ed a tradurle  in efficienti risultati creativi». Il molteplice approccio  stilistico, confessato dallo stesso Galvano nell’auto-  presentazione del 1979, è qui confermato: «leggero  impressionismo, [...] decorativismo un po’ orientale,  [...] motivi che tendono a risolversi in figurazioni quasi  astratte». La fase pittorica più recente, concludeva  Gatto, «pare indirizzarsi verso una pittura dominata  da una volontà ed un’ansia di sintetismo formale»?.   Alla Biennale di Venezia del 1948 (la prima edi-  zione al termine del ventennio fascista nella quale  emersero le linee essenziali degli sviluppi dell’arte  moderna europea) Galvano partecipò su invito con  cinque opere (nudi e nature morte del 1947-48) in sala  con Martina e Paulucci. In quell’edizione fu parecchio  vasta la partecipazione di artisti torinesi sulla via  dell’astratto: Sandro Cherchi, Mario Davico, Franco  Garelli, Gino Gorza, Paola Levi Montalcini, Umberto  Mastroianni, Mattia Moreni, Adriano Parisot, Carol  Rama, Filippo Scroppo. All’edizione del 1950, nuova-  mente su invito, Galvano fu presente con tre opere (in  sala con Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Turcato,  Vedova, Zigaina).   Nel quadriennio 1948-1951 si registrarono nume-  rose partecipazioni dell'artista a rassegne nazionali di  verifica diretta degli sviluppi artistici contemporanei,  tra cui la Quadriennale romana del 1948 e la mostra  collettiva Arteastratta e concreta presso la Galleria Nazio-  nale d’arte moderna di Roma nel 1951(il comitato ese-  cutivo era composto da Joseph Jarema, Palma Bucarelli  e Giulio Carlo Argan). Il testo di Galvano in catalogo  analizzava la ricerca concretista propria e dei torinesi  verso una direzione lontana dal «formalismo astratto»  insenso stretto e intesa attraverso la «‘“proiezione” nelle  strutture dell'oggetto stesso di una carica emotiva, che  asua volta presuppone la totalità spirituale dell'artista  impegnato, ed impegnato “responsabilmente”, in una  prospettiva, in una scelta, in una “Weltanshaung”, cioè  in ultima analisi in un punto di vista etico e metafisico  [...]. Non può perciò stupire che anche a Torino siano  proprio gli artisti più responsabili di fronte a un loro  mondo interiore a volgersi a questa pittura. Superfluo  cercar nel dato estrinseco del gusto un’unità “munici-  pale” o di gruppo: se mai l’unità “torinese” di questi  pittori è nella condizione di cultura cui lo stesso schivo  etalvolta un poco scontroso raccoglimento della città in  cui essi lavorano, è, per taluna delle ragioni accennate,  propizia»”!.   Rilevanti furono inoltre le sortite extranazionali  del 1951. In occasione della mostra nizzarda, Peintres  de Turin, Galvano definì forme e colori delle sue com-       20 S.Gatto, Mostra d’arte. Galvano al Bosco, in “L'Unità”, 31 mag-  gio 1946.   21 A. Galvano, in Arte astratta e concreta, catalogo della mostra,  Galleria Nazionale d’arte moderna, Roma 1951.    18       Con Enrico Paulucci, Albino Galvano e Filippo Scroppo. Confe-  renza al Circolo degli Artisti, Torino 1967.    posizioni come «feticci laici», «costanti di sentimenti  e impulsi» che non necessitavano di riportarlo «a una  rappresentazione esteriore e imitativa». «La topografia  spirituale di questo mondo che non è né meccanica né  architettonica, ma piuttosto organica e determinata  soprattutto dalla tensione tra le forze elementarie vitali  pressanti, da una parte, e l'aspirazione religiosa o me-  tafisica dall'altra, che vuole dominarle e oggettivarle  nello spirito delle tradizioni filosofiche e religiose alle  quali nei miei quadri faccio a volte allusione anche  attraverso i titoli stessi».   Al Premio Parigi (itinerante anche a Cortina  d'Ampezzo) il critico Luigi Carluccio seguitava di  rimando: «[...] L'artista si è portato sempre su posi-  zioni di ricerca mantenendo tuttavia vivo il dialogo  fra i suoi istinti pittorici e le sue meditazioni. [...] Il  temine “feticcio laico” [...] annota con felice incidenza  che all'origine degli impulsi e dei sentimenti è sempre  vivo lo stesso dibattito tra la pressione vitale di forze  elementari, naturali, e l'aspirazione ad ordinarle in  una ragione metafisica»?3.   Il rivolgersi all'arte d'oltralpe (già a partire dalla  mostra Arte francese d'oggi, Roma e Torino 1947) ebbe  degli echi a Torino con le sei edizioni della rassegna  Pittori d'Oggi Francia- Italia (1951-1961) promosse da  Carluccio e alle quali Galvano partecipò alla prima  (1951) e alla terza (1953), così come figurava ai due  Premi Saint Vincent (1948-1949) messi in piedi dalla  fronda democristiana capeggiata da Carluccio in re-          1951.  23 L. Carluccio, in Mostra Nazionale del Premio Parigi 1951, cata-  logo della mostra, Cortina d'Ampezzo 1951 e Parigi 1951-1952.       Con Mauro Chessa e Liliana De Matteis.    azione al Premio Torino del 1947, troppo polarizzato  a sinistra secondo il critico.   È di vitale importanza ricordare infine il ruolo  di Galvano come animatore culturale nel clima  di fermento postbellico, dapprima impegnato  attivamente come promotore dell’Unione Culturale  (sorta nel 1945, raccolse intellettuali antifascisti tra cui  Giulio Einaudi, Massimo Mila, Franco Antonicelli,  Lionello Venturi e tra gli artisti Casorati, Menzio,  Levi) e nel 1949 come propugnatore di due rassegne  artistiche: la I Mostra Internazionale dell'Art Club a  Torino e la Mostra d’arte contemporanea di Torre Pel-  lice. La prima — con presidente Casorati e segretario  Scroppo, organizzata dalla sede torinese dell'Art  Club, un'associazione apartitica internazionale —  mirava a presentare le nuove voci artistiche italiane  e di diversi stati esteri. La seconda, aveva sede a  Torre Pellice, che «pur nella modestia delle proprie  possibilità, possiede, come centro delle Valli Valde-  si, una secolare tradizione di cultura che ha i suoi  particolari caratteri di pensiero e di ispirazione»”4.  Era stata ideata insieme a Filippo Scroppo, artista  e critico valdese, (nativo della Sicilia ma inseritosi  dalla metà degli anni Trenta nell'ambiente cittadino)  e da Leopoldo Bertolè notaio e illuminato collezio-  nista di moderno. La Mostra d’arte contemporanea  — appuntamento estivo annuale protrattosi per un    24 Mostra d'arte italiana contemporanea, catalogo della mostra,  Collegio Valdese, Torre Pellice 1949.    19    quarantennio (1949 - 1991) al quale Galvano espose  assiduamente—trasformòla cittadina della provincia  torinese in un polo culturale aggiornatissimo sulle  ricerche artistiche nazionali e con qualche non rara  puntata internazionale.    Il Movimento Arte Concreta 1952-1955    Il «confuso ribollire di tendenze astratteggianti»?,  che imperava tra il 1947 e il 1951, andò delineandosi  verso l’elusione dell’astrazione su base mimetica in  favore del concretismo. Una lucida definizione della  corrente venne offerta da Gillo Dorfles in uno scritto  del 1951, il così detto manifesto del Movimento Arte  Concreta, (MAC) fondato a Milano nel 1948 insieme  a Bruno Munari, Gianni Monnet e Atanasio Soldati.  Dorfles precisava il concetto di concreto «che non cer-  cava di creare delle opere d’arte togliendo lo spunto  o il pretesto dal mondo esterno e astraendone una  successiva immagine pittorica, ma che anzi andava alla  ricerca di forme pure, primordiali, da porre alla base  del dipinto senza che la loro possibile analogia con  alcunché di naturale avesse la minima importanza»”.   L'adesione formale al MAC di Galvano eun gruppo  di giovani torinesi — Annibale Biglione, Adriano Parisot,  Filippo Scroppo e in seguito Carol Rama e Paola Levi  Montalcini — avvenne nel 1952. A Torino il coagulo del  Movimento rappresentò una sfaccettata unione di poe-  tiche, abbastanza distante dal rigore costruttivista delle  soluzioni compositive lombarde che fondava le sue basi  nell’Astrattismo storico internazionale e locale degli  anni Trenta. In questa sede non è possibile analizzare  la presa di coscienza sulle radici dell'avanguardia delle  personalità torinesi e ci si limita al solo caso di Galvano.   Nel 19471] distacco di Galvano dal comitato promo-  tore del Premio Torino (la prima manifestazione locale di  arte attuale italiana dopola fine della guerra)non avven-  ne solo per posizioni politiche. Come chiariva Giuliano  Martano, nel catalogo della mostra Arte concreta a Torino  1947-1956, per una parte di artisti si trattava di una scelta  di «lettura in quelle matrici dell'avanguardia europea  [...]quasiin contrapposizione alle matrici trovate allora  in un neonaturalismo e del “Fronte nuovo delle arti”»”.   Per Galvano e il discepolato della scuola di Caso-  rati, alla quale riconoscevano la creazione di «una terra  concimata pronta a recepire, stratificazione di cultura  altezzosasevogliamo, maattenta[...]. Aveva purelasciato  ineredità una figurazione latente, una scansione dell’og-  getto che verrà dai torinesi lentamente e sofferentemente  decantata»°. Unosmarcamento, dunque, intotalebuona       25 T.Sauvage, Pittura italiana del dopoguerra 1945 — 1957, edizio-  ni Schwarz, Milano 1957, p. 129.   26 G. Dorfles, Manifesto del MAC, ora in Arte concreta a Torino  1947 — 1956, catalogo della mostra, Sala Bolaffi, Torino 1970.   27, G. Martano, in Arte concreta a Torino 1947 — 1956 cit.   28. Ibid.    pace del Maestro, che anche Galvano intraprese: la via  verso l’astrattismo ben circoscritta e lineare.   La sua poetica, tra i torinesi, era la più distante dal  concretismo «proprio perché non è mai d'origine speri-  mentale ma la sua “avanguardia” si pone sempre come  una verifica dello sperimentalismo. Si pone insomma  come contrasto immediato fra una realtà esterna [...]  ed una realtà interna quasi avida di controllare im-  mediatamente sul terreno stesso dell’accadimento, la  validità dell’accadere, e di controllarlo appunto in via  sperimentale»?   Gli aspetti strettamente contenutistici della pittura  di Galvano della prima metà degli anni Cinquanta  erano in diretto contatto con i suoi interessi in quanto  studioso di filosofia e storia delle religioni.   Andreina Griseri notava che gli entusiasmi per  il Kandinskij volto all’astratto e per il primo Kupka  giungevano «a una presa di posizione nell’ambito  dell’arte non figurativa, chiarita in numerosi scrit-  ti, in cui il Galvano lumeggia la derivazione dalla  secessione di Klimt di molta arte contemporanea in  una interpretazione nuova dei rapporti art nouveau-  Liberty e astrattismo»?°. Degli scritti galvaniani degli  anni Cinquanta ai quali Griseri si riferisce citiamo  almeno: Storicità e significato dell’arte “astratta” (1953),  Dal simbolismo all’astrattismo (1953), Le poetiche del  Simbolismo e l'origine dell’Astrattismo figurativo (1956).   Gli intendimenti del manifesto del MAC torinese  del 1952 furono piuttosto netti. Più in generale erano  incontrapposizione con il dibattito dilagante in quegli  anni che scindeva gli artisti tra formalisti e realisti, con-  tro il neopicassismo ed estranei al «pudore» del com-  promesso dell’astratto-concreto di Venturi. A livello  localelalororicerca era indirizzata all'emancipazione  dall’orbita casoratiana, dal neoimpressionismo dei Sei  e dal secondo futurismo con il quale condividevano  lo spirito avanguardistico, ma certamente non gli in-  tenti. Biglione, Galvano, Parisot e Scroppo firmarono  il testo programmatico, con la responsabilità di «lotta  contro ogni conformismo pigrizia intellettuale». «Se  il nome stesso di “arte concreta” [...] sta a significare  il desiderio di rigore di chi ha rotto ogni ponte con  tradizioni storicamente esaurite [...] per sostituire la  loro ricerca d'una diretta “presentazione” di oggetti  in cui si vengano obiettivando i bisogni spirituali  dell’uomo, come negli strumenti del suo lavoro quo-  tidiano si proiettano i suoi bisogni materiali [...]»®.   Galvano, pur immerso in una personalissima  ricerca non figurativa, nel periodo che all'incirca si    estende tra il 1952 e il 1954, sviluppò una maggior    29. Ibid.   30 A. Griseri, Albino Galvano, in Dizionario Enciclopedico, Utet,  Torino 1957.   31. A. Biglione, A. Galvano, A. Parisot, F. Scroppo, in “Arte con-  creta” n. 9, 15 novembre 1952, ora in L. Caramel, Mac Movimento  Arte Concreta 1948 - 1958, Electa, Milano 1984, p. 58.    20    adesione al MAC. Lo spazio dei suoi dipinti, asciugato  dall'andamento curvilineo delle partiture, si popolò  di forme squadrate dalla linearità spigolosa. Tutta-  via, la freddezza costruttivista e il rigore logico del  concretismo erano solo apparenti; l'artista puntava  al contrario «ad un'arte che preservi il dialogo tra gli  schemi astratto-geometrici e quelli compositivamente  più liberi, moduli grafici e forme archetipiche non  direttamente razionalizzate»”.   Un precoce avvicinamento ai concretisti lom-  bardi lo si data già al 1950. Galvano fu presente a  Milano in due collettive: con Filippo Scroppo (1950,  presentati da Gianni Monnet) presso la Libreria Il  Salto, cenacolo della pittura concreta milanese e  alla Terza mostra di pittura astratta italiana. Astrattisti  milanesi e torinesi allestita alla Galleria Bompiani  (1951, dove esponevano i piemontesi Costa, Davico,  Mastroianni, Parisot, Scroppo, Spazzapan). I mag-  giori rappresentanti della corrente di entrambe le  regioni figuravano, Galvano compreso, anche alla  II e III Mostra d’arte contemporanea di Torre Pellice  del 1950-51.   L'allineamento al MAC di Galvano fu palesato  anche dalla sua presenza ad esposizioni promosse  dal gruppo. La sortita d'esordio dei torinesi (Biglio-  ne, Galvano, Parisot, Scroppo ai quali si aggiunsero  anche Mario Davico, Mario Merz e Ugo Giannattasio)  avvenne alla Saletta Gissi di Torino con la mostra  Pittori astratto-concreti di Milano e Torino. Non fu  però la prima presenza organica del concretismo in  città poiché già nel 1950 presso la Galleria il Grifo  si affacciarono alcuni esponenti milanesi così come  alla Quadriennale Nazionale d’Arte di Torino dove  comparve una nutrita schiera di astrattisti tra cui  anche Galvano. Commentando la mostra presso  Gissi, sul bollettino “Arte concreta” n. 9, Galvano  esibiva la profonda sicurezza di una non superficiale  accoglienza nell'ambiente cittadino e rilevava la  sfaccettatura di posizioni della compagine torinese  che collimavano in una base comune di principi.  «Principi che possono riassumersi in una profonda  fiducia nella capacità dell’uomo ad esprimersi e a  comunicare con gli altri uomini, attraverso il puro  linguaggio delle forme, attraverso l’organicità e la  coerenza ch’esso sa imprimere ad un discorso i cui  vocaboli non hanno bisogno di essere immagini e  finzioni per legarsi a una sintassi espressiva e, nei  casi più felici, poetica»®.   La politica espositiva del gruppo torinese non       32. L Mulatero, in P. Mantovani, I. Mulatero (a cura di), Lucide  inquietudini. Storie singolari dell’astratto-concreto tra il '50 e il ‘70,  Civico Museo d’arte Contemporanea di Calasetta, Calasetta 2016,  p. 26.   33 A. Galvano, Mostra di pittori concreti di Milano e Torino alla  Saletta Gissi, in “Arte concreta” n. 9 cit., ora in L. Caramel, Mac  Movimento Arte Concreta 1948 — 1958 cit., pp. 58-59.       Con un'opera dalla serie i Nastri.    ebbe seguito se non l’anno successivo alla Galleria  5. Matteo di Genova. L'eccezione è rappresentata da  Galvano che figurò in svariate mostre organizzate  dal MAC, si ricordano qui le principali: Pitture di  Albino Galvano in un esperimento di sintesi, presso lo  Studio b24 di Milano nel 1953 (valla pena rimandare  agli «asterischi» galvaniani di quel periodo, quasi  «privati manifesti» sui bollettini “Arte concreta” n.  12 e 14 che chiariscono la sua posizione all’interno  del movimento) e lo stesso anno a Torino da Gissi  esposero pittori concretisti italiani e francesi (Gal-  vano presentò collages polimaterici di ascendenza  prampoliniana); sempre al Torino l’anno successivo  Galvano fu presente ad una mostra allestita dallo  Studio b 24 in occasione del Salone dell'Automobile.  Si menziona a parte la collettiva presso la Galleria  il Fiore di Milano del 1954 dove Galvano espose  insieme a Bordoni, Jarema, Parisot e Scroppo. Nello  scritto introduttivo al catalogo elaborò stringenti  analisi nei riguardi di un’«arte figurativa che non  ripeta ma continui la natura», invitando il visitatore  a riflettere «che l'apparente chiusura ad una più  ovvia comunicazione di queste opere nulla intende  precludere alla possibilità di uno scambio e di una  penetrazione sempre possibili nell'esercizio di una    21    lettura figurativa per elementi, segno colore, mo-  vimento, materia, ecc., non differenti da quelli che  consentono la valutazione di ogni buona pittura»*.   Non sono da dimenticare infine le presenze alle  Biennali veneziane del 1952 e del 1954 con la sua  produzione concretista e la ripresa espositiva alle  rassegne della Società Promotrice di Belle Arti di  Torino (1951, 1953, 1954).    Dall'Informale al neoliberty floreale 1955- 1965    Il «logico passaggio all’astrattismo»” di Gal-  vano culminò tra il 1952 e il 1954 in una fase di  «tensione tra impaginatura attenta alle squadra-  ture neoplastiche e colore tonale impastato». La  vibrazione cromatica delle campiture, ottenuta  attraverso una libera stesura di pennellate, lo portò  a un lento e graduale sfaldamento delle sue strut-  ture geometrico-architettoniche a favore dell’indi-  pendenza dell'immagine e al protagonismo di una  componente espressiva. Sul piano formale il gesto  pittorico si faceva emancipato e l’organicità della  materia riprendeva vigore.   Si segnò qui il definitivo passaggio di Galvano  all’Informale, lontano dall’interpretazione del neona-  turalismo propugnata dal duo Carluccio-Arcangeli  (è proprio nel 1955 che furono presentati a Torino i  giovani artisti informali presso la Galleria La Bussola  nell'esposizione Niente di nuovo sotto il sole, titolo che  rivelava la volontà di mantenere una continuità con  il passato e la natura).   L'evoluzione del concretismo impose a Galvano (e  alla compagine torinese del MAC) un binario doppio  di direzioni che nonsiindirizzò all’antipittura quanto  piuttosto alla scelta di rimanere «dentro la pittura»  nell’opzione di un astrattismo lirico che lo condurrà  verso l’Informale. Un Informale, sosteneva Galvano,  affine alla «declinazione di un linguaggio asemantico  in cui tuttavia potessero trovare esito quelle allusioni  simbolistiche che già avevano un posto ben rivelato  dai titoli dei miei quadri del periodo astratto-concreto  Rica pe   Una delle prime esposizioni che offrirono un  Galvano smarcato dall’astrattismo di matrice con-  creta fu la personale (undici opere del 1954-56) alla  Biennale di Venezia del 1956 mirabilmente introdotta  da Giulio Carlo Argan. «La radice comune della sua  pittura [...]è la distinzione netta tra i concetti di forma  e immagine. L'idea di forma è inseparabile dall'idea  di arte come rappresentazione, implica sempre un  contenuto di nozioni, un riferimento alla natura, un       34 A. Galvano, in Bordoni, Galvano, Jarema, Parisot e Scroppo,  catalogo della mostra, Galleria Il Fiore, Milano 1954.   35 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 20.   36 A. Galvano, in Bordoni, Galvano, Jarema, Parisot e Scroppo cit.   37 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 20.    processo dioggettivazione. L'idea diimmagine supera  ildualismo dioggetto e soggetto, la relatività costante  di quod significat e quod significatur; mira a designare  un assoluto valore d’esistenza, a sostituire alla rap-  presentazione un'immediata semantica». Seguitava  Argan: «La sua è la ricerca di un'immagine che non  abbia determinazioni dirette o indirette nel mondo  esterno, che non si manifesti per via di similitudini o  allegorie, che dichiari esplicitamente le sue origini e  le sue ragioni esclusivamente umane, che si ponga ad  un tempo come noumeno e come fenomeno. [...] Così  la materia, non la forma, diventa mito ed immagine;  e la materia è il colore, ma anche il segno, la linea, il  punto».   Nel 1957 Galvano venne invitato da Carlo Lu-  dovico Ragghianti per una personale alla Galleria La  Strozzina di Firenze. Nell’autopresentazione l'artista  tenne a ribadire ancora una volta le convinzioni e la  coerenza del suo percorso pittorico che lo avevano  condotto all’Informale. La «formazione spirituale»  si era compiuta, esplicava Galvano, «attraverso la  mia adesione alle correnti non figurative, a quel-  l'inversione” del simbolismo nell’astrattismo che ho  cercato di spiegare storicamente in sede critica. Perciò  a Kandinskij e al Kupka del 1913 [...] agli americani  Pollock e Tobey, ai polimaterici di Prampolini. [...]  L'unico germe di “manifesto” è quello sul “feticcio  laico”. “Feticcio” cioè metafisica, ma “laico” cioè an-  timetafisica”. Credo si possa essere antimetafisici solo  nella misura in cui si è contro le false metafisiche. Nel  caso dell’arte contro la falsa “ispirazione”, l'evasione  sentimentale...»°.   Tra il 1956 al 1962 il mezzo informale di Galvano  virò verso accezioni neoliberty. La copertura totale  della tela della prima fase si distillò per mezzo di uno  sfondo neutro solcato da grafismi pittorici orientati  sempre meno verso un'immagine quanto in direzione  di archetipi floreali e calligrammidi scrittura gestuale.  Galvano recuperava, seppur allusivamente, attraverso  una nuova definizione di immagini, la figuratività  «trasformando o meglio puntualizzando i ‘feticci  laici” in “emblemi”»‘° esplicitati in forme larvali di  iris, i fiori paradigmatici del Simbolismo.   Sul finire del decennio Cinquanta e fino al 1965,  oltre alle regolari presenze alle Promotrici torinesi e  alle mostre annuali di Torre Pellice, si segnalano la  puntata alla collettiva berlinese presso la Maison de  France del 1957, le partecipazioni al V Premio Bergamo    dell’anno successivo, ai Premi Arezzo (1960) e Fiorino.    (Firenze 1960) e alla Quadriennale romana del 1963.  Di particolare rilevanza in quel periodo furono       38. G. C. Argan, in catalogo dell’ XXVIII Biennale di Venezia,  Venezia 1956.   39 A. Galvano, in catalogo della mostra, Galleria La Strozzina,  Firenze 1957.   40 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 20.    22       Nel 1972.    due mostre. La personale del 1960 presso Galleria Il  Canale di Venezia presentata da Edoardo Sanguineti  che così ultimava il suo scritto: «I fiori Mallarmé ci  costringono anche a riguardare di nuovo in faccia la  posizione dell'artista las que la vie étiole, portando cosìla  pittura ad assolvere a un compito, molto forte e molto  importante, di smascheramento dell'avanguardia,  nella forma, secondo le possibilità “moderne” di uno  “estraniamento”»*!.   Nella collettiva (Galvano, Scroppo e Levi Mon-  talcini) alla Galleria il Quadrante di Firenze, Gillo  Dorfles, accogliendo gli enunciati di Sanguineti, alluse  altresì ad un significato orientaleggiante delle pitture  di Galvano che avevano: «accolto nella loro matrice  compositiva quasi il “vuoto” il sunyata di certa arte  zenista, purrimanendo lige a una composta scansione  di ritmi dell’Abendland»”.   Pittore dunque in «senso tradizionale» si definiva  Galvano che ricusava le forme antipittoriche, schiuse  alla strada dell’arte-oggetto (della quale si interessò  in sede teorica), per abbracciare una «simulazione  d'avanguardia». Un profondo disagio lo condusse,  tra il 1962 e il 1965, a compiere una pausa dalla pittura  causata probabilmente dal cortocircuito innescato a  causa di intendimenti antitetici perseguiti dal parallelo  mestiere di critico e di artista. Come rimarcava Argan:       41 E. Sanguineti, in catalogo della mostra, Galleria Il Canale,  Venezia 1960.   42 G. Dorfles, Tre pittori torinesi, in Albino Galvano, Paola Levi  Montalcini, Filippo Scroppo, catalogo della mostra, Galleria Il Qua-  drante, Firenze 1962.   43 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 21.    Con Filippo Scroppo.    «la confluenza dei due percorsi di pensiero (e la sua  pittura è tutta pensiero) sono difficili e interiormente  sofferte[...]»*.   Assumono infine un ruolo fondamentale nella  produzione saggistica di Galvano i due volumi  pubblicati in quel periodo: Per un’Armatura (Lattes,  1960) e Artemis Efesia. Il significato del politeismo greco  (Adelphi, 1966). Sono opere difficilmente classificabili  che attingono alla filosofia, alla storia delle religioni,  alla psicoanalisi e all’antropologia. I due studi affron-  tano il problema dell’interpretazione sia culturale che  psicologica di un passato che ci coinvolge direttamente  e sono al tempo stesso «processo di autoanalisi in me-  rito al rapporto tra una figura-feticcio — un’armatura  tardomedievale e un idolo greco — e l’area psichica  della coscienza».   Il decennio 1955 -1965 fu certamente per Galvano  la fase più feconda di collaborazione con periodici e  riviste tra cui le torinesi “Sigma”, “Cratilo” e come  redattore di “Questioni” (già “Galleria di Arti e Lette-  re”)con Vincenzo Ciaffi, Mario Lattese Oscar Navarro  per l'editore Lattes. Una menzione a parte merita il    44 G. C. Argan, in catalogo della mostra, Galleria Unimedia,  Genova 1974.   45M. T. Roberto, Albino Galvano, Dizionario biografico degli  italiani, Treccani, Milano 1988.          23    contributo Le tigriimpagliate (1959) peril primo numero  della rivista “Azimuth” fondata da Piero Manzoni ed  Enrico Castellani. Per “Letteratura” nel 1960 Galvano  pubblicò La pittura a Torino dal ‘45 ad oggi, un lucidissi-  mosaggio che inquadrava, da testimone diretto, l’arte  torinese del dopoguerra. Successivi furono i notevoli  contributi sulla situazione artistica cittadina tra cui:  Per lo studio dell'Art Nouveau a Torino (1960), Torino e  i “secondi futuristi” (1962) e il più tardo La pittura a  Torino all’inizio del secolo (1897-1918) (1978)?°.    Bandiere, Nastri, «Griffonages» e Segni asemantici  1966- 1974    Nel 1966 con l'esposizione Erbe e Bandiere, presso  la Galleria Botero di Torino, Galvano sentì «il bisogno  di affiancare e poi sostituire gli emblemi ispirati alla  natura con quelli di carattere artificiale più spogli e  tendenti in qualche modo a una nuova astrazione».  In mostra le forme organiche dai tratti guizzanti  dell'ultimo Informale di Galvano furono accostate,  in un felice trait d'union, con la nuova produzione  attraverso la serie delle Bandiere. In uno scritto critico  perla suddetta mostra Gilda Chepes sottolineava: «Le  sue erbe alghe, le sue flammulae, più che bandiere,  sembrano, ad analizzarle, vive, agitate da sentimenti,  da spasimi da aneliti, da desideri»**.   L'artista perseverò nella coerenza linguistica della  sua ricerca che ancora una volta, nei più nuovi risvolti,  non si collocò in un'immediata e netta inserzione in  correnti o gruppi operativi. Gli estesi panneggiamenti  svolazzanti dai colori accesi che si stagliavano su fon-  di neutri riecheggiavano quasi un'antica tradizione  araldica. I riferimenti pittorici non erano di certo  estranei al linearismo sensuale del Liberty, anche nella  sua declinazione decorativa, rammentando inoltre  suggestioni neobarocche. Un commento di Carlo  Mollino, riguardante un'architettura baroccheggiante  di Galvano dipinta degli anni Quaranta, potrebbe  restituire puntualmente le atmosfere delle recenti  Bandiere espresse in uno: «scenario di questo tempo  immobile nella chiara decisione di un arabesco che  non si placa che in un ordine senza indulgenza, ma  vivo di un amore disincantato»?   Furono ancora le Bandiere ad essere esposte nel  1968 per una personale a Cremona alla Galleria d’arte  I Portici. Gli stendardi svolazzanti davano la prova di  una profonda conoscenza degli allora attuali linguaggi  pop e forniscono anche un «grave riverbero di anti-  chità» rendendo l’immagine «imminente e insieme  assente che par scelta e fabbricata per un pubblico          46 Tutti gli scritti qui citati sono reperibili in A. Galvano, Dia-  gnosi del moderno, cit.   47 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 21.   48. G. Chepes, in “Borsa Arte”, 1966.   49 C. Mollino, in S. Cairola, Arte italiana del nostro tempo, 1946.    senza tempo e d’ogni tempo [...]. Proprio per questo  [...]è significante perché carica di intenzioni contrad-  dittorie e fortemente drammatiche, nella dialettica che  stabiliscono tra l’esperienza passata e l'avvento, e la  necessità del presente»”.   Dal1968Galvanosirivolse alla nuova serie pittorica  dei Nastri mantenendo una viva tangenza allo sviluppo  formale del periodo MAC. L'oggettivazione del dato  geometrico si sostituì con una figurazione elementare  di armonica tridimensionalità sull’estensione della tela.  Le masse sventolanti e libere, nelle quali si evidenzia  una ben nota propensione per l’ellissi e il semicerchio,  proseguivano l'indagine sullo spazio volumetrico.  Giuliano Martano asseriva appunto di un'«astrazione  intellettuale, in cui i segni, i ghirigori, sono veri e pro-  pri simboli codicillari, incognite d’equazione, libertà  della memoria. [...] Nastri che si dipanano nel quadro  senza né capo né coda e sono le bandiere di prima rese  a brandelli, sono una forma chiusa che si apre, che da  circonlocuzione diventa interlocuzione»?”!.   Presso la Saletta d'Arte contemporanea di Cu-  neo, nel 1972, Galvano presentò questa figurazione  elementare di volute concave e convesse di recente  produzione, che si palesavano, secondo Giorgio Brizio,  «dall’uso parco e strettamente pensato delle timbrici-  tà cromatiche. Basandosi su toni primari, operando  esclusivamente sulla opacità della parte in ombra,  Galvano può, in una suddivisione doraziana dell’in-  fluenza tonale, usare la direttrice cinetica del timbro  per equilibrare il dinamismo globale della partitura  spazio-occupato, spazio-vuoto»”.   Nel 1974 la personale alla Galleria Martano di  Torino assunse il significato di una ricapitolazione,  dal MAC al presente, in cui gli elementi nastriformi si  erano evoluti, tra il 1973 e il 1974, in forme dall’aspet-  to cellulare e in moduli verticali e curvilinei. Tracce  realizzate a carboncino, impreziosite da lievi velature  scariche di colore, campeggiavano solitarie sulla tela;  la dimensione gestuale fu affiancata dall'espressione  intellettiva dell'atto primario del dipingere. Questi  moduli nella linea filogenetica della sua pittura non-  figurativa «appaiono anche maggiormente legati  ai dettami grafici di una cultura passata attraverso  “quell’inversione del simbolismo nell’astrattismo”  [...] che riaffiora con l’organicità delle sue forme così  tese ed essenziali, rispondenti ancora una volta a  quella logica interiore che resta come la matrice vera  di ogni opera di Galvano»”.    Lostesso anno una sala personale della 25° Mostra    d'arte contemporanea di Torre Pellice venne dedicata a    50 E. Fezzi, in catalogo della mostra, Galleria d’arte I Portici,  Cremona 1968.   51. G. Martano, Albino Galvano, in “Pianeta”, 1968.   52. G. Brizio, in catalogo della mostra, Saletta d'arte contempo-  ranea, Cuneo 1972.   53. A.Dragone in “Stampa sera”, 1976.    24    Galvano che vi espose una ventina di opere. L'artista  presentò efficacemente al pubblico la sua recente svolta  pittorica: «ho sentito il bisogno di logorare la forma,  di intercettarne la presunzione di organicità, sgranan-  done il supporto disegnativo in pochi cenni grafici su  cui il colore nonagisse più come elemento qualificante  ma soltanto come sottolineatura allusiva. [...] Come  nel ritmo stesso delle vicende vitali, a una stagione  di estroversa aggressione della percezione dello spet-  tatore si avvicendava una fase di ripiegamento sulla  discrezione, sulla riserva, sultono contenuto». Coevi  furono i Griffonages e i Segni dell'alfabeto asemantico  lavori con scritte quasi illeggibili rese «come puro  segno e gioco lineare [...] non senza un, fra ironico  e intenerito, strizzar l'occhio al “concettualismo”»59.   Sempre nel 1974 si ebbe la personale genovese  alla Galleria Unimedia per la quale Saguineti imple-  mentò la troppo riduttiva definizione del Galvano  “doppio”, critico e pittore, trascendendo anche nella  saggistica e nella filosofia e invitando a vedere «con  totale persuasione [...] la forza della sua lezione [...]  rispecchiata, con eguale fedeltà, nelle sue pagine e  sopra le sue tele». Il discorso si reiterava anche nello  scritto critico di Argan che chiudeva con un interro-  gativo dal quale Galvano non si discostò mai: «Che  cos'è la pittura?». «Ciò che vuol sapere è che cosa sia  la pittura in questa precisa condizione della cultura,  della coscienza, dell’esistenza, e quale il suo grado  di vitalità, quali le sue possibilità di sopravvivere in  uno spazio ogni giorno più ristretto»”.   Tra la ripresa dopo l'interruzione pittorica e  il 1974 si ricordano infine le puntuali presenze a  collettive con cadenza annuale come la Promotrice  delle Belle Arti e le mostre del Piemonte Artistico e  culturale di Torino; le rassegne estive di Torre Pellice  e due edizioni dell’Incontro di artisti piemontesi e liguri  a Bordighera (1967, 1969).    Il periodo ultimo 1975-1990    Dal 1975 si reimpose per Galvano un nuovo  approccio rivolto alle forme naturali: la ripresa  di una figurazione espressionista pervasa d’un  realismo quasi visionario e il fascino recuperato,  come confessò lo stesso artista, per le gidiane  «nourritures terrestes». Galvano sembrò sentirsi  quasi responsabile d'un tradimento verso la pittura  allorché, per coerenza, operò una «sintesi tra l’ele-  mento naturale e il non figurativo che gli consentì       54 A. Galvano, Personale di Albino Galvano, in 25° mostra d’arte  contemporanea, catalogo della mostra, Scuole comunali, Torre Pel-  lice 1974.   55 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 21.   56 E. Sanguineti, in catalogo della mostra, Galleria Unimedia,  Genova 1974.    57 G.C. Argan, in catalogo della mostra Galleria Unimedia, cit.       SZ    Nella bottega dell'antiquario.    un'impaginazione astratta servendosi di forme non  inventate, non di natura cerebrale ma veramente  esistenti»,   Riemerse, con la serie dei Cespugli (fino al  1977 circa), la fascinazione per i cespi di iris, tema  dominante di inizio anni Sessanta, ma questa volta  non più giocato con la «gestualità irruente» del  colore spremuto direttamente sulla tela, eredità del  linguaggio informale, ma attraverso un sedimen-  tato approccio di sottili velature di pittura a olio  utilizzata come gouache che si rifaceva alle delicate  tinte dei moduli di qualche anno precedenti. Gli  sfondi bianchi svuotati erano percorsi esplicita-  mente da segni grafici e scritte che sembrarono  dischiudere uno spiraglio perfino alla poesia  visiva. Fu Galvano stesso, riferendosi a questi la-  vori — esposti in una personale del 1977 presso la  Galleria Weber di Torino — a parlare di «archetipo  floreale» dove «il fiore dell’iris scandisce l’intrico  dei segni, grafismi di parole o di immagini, altre  volte rigidamente modulari o, almeno non anco-  ra piegati all’allusione significativa. ‘“Cespugli”          58 A. Spinardi, in catalogo della mostra, Piemonte Artistico e  Culturale, Torino 1982.       25    perciò in contrapposizione ai glifi dell’”alfabetico  asemantico” e dei griffonages che li avevano, verso  la fine del 1974, preceduti»®?.   Dal 1978 e fino al concludersi del decennio seguì  la serie dei Motivi vegetali (Ciottoli, Foglie, Frutti, Relitti).  La riappropriazione di una rappresentazione ottica-  mente realistica fu solo apparente; il candore neutro  dei fondiesaltava una suggestione di tridimensionalità  attraverso la scansione prospettica degli oggetti. Tali  elementi solitari erano estraniati dal loro contesto  naturale e inseriti negli spazi illusori di questa pittura  d’assenza.   Sul cadere diogni riferimento a contenuti simboli-  ci «o anche solo sentimentali» della pittura di Galvano,  ne scrisse Renzo Guasco in un testo che introduceva  lagrande mostra retrospettiva dell'artista organizzata  a Torino nel 1979 dalla Regione Piemonte. Tali opere,  per Guasco, «non sono più emblemi né simboli che  rimandano a un ulteriore significato. Per essi si può  forse parlare di “sospensione di senso” (per usare un  termine di Barthes), di un muto stupore di fronte alla  vita e alla natura. Le foglie morte e i relitti di Galvano  rifiutano il significato, e quindi ogni commento, o  spiegazione. Il cespuglio spezzato è solo un cespuglio  spezzato; le foglie, anche se rosse, autunnali, non sono  les feuilles mortes»®.   Con avvio del decennio Ottanta ne i Paesaggi  (Rocce, Alberi, Isole) vi fu il riutilizzo di una stesura  cromatica che spesso occupava l’intera tela con un  conseguente recupero dell'effetto tonale. Gli spazi  desolati, le «muse inquietanti», che Galvano propose  in questa fase suggerirono a Paolo Fossati richiami alla  pittura metafisica. «Luoghi, intanto, vuoti, svuotati di  allotrie presenze, come è giusto siano le radure vuote  e silenti, per il camminante che vi si ferma a pensare  e meditare. Luoghi di pensiero e di inconsci sofismi:  con i relativi feticci oppure archetipi, teste in gesso  di eroi, manichini nel pictor optimus; rami sassi acque  per Galvano»®!.   L'artista in età avanzata, provato dalla difficoltà  dell’offuscamento della vista, con le serie di guazzi su  carta di Nudi e Macchie sperimentò infine, una pittura  liquida fatta di segni colantiin un'inversione di «sgor-  bi cromatici di netta matrice informale»? Nel 1988  confessava ai lettori del catalogo della Galleria Micrò  (una delle sue ultime mostre): «Ancora una volta ho  voltato gabbana e me ne scuso a chi può dare fastidio,       59 A. Galvano, in catalogo della mostra, Galleria Weber, To-  rino 1977.   60 R. Guasco, in N. Pizzetti e G. Givone (a cura di), Albino Gal-  vano cit., p. 16.   61 P. Fossati, Per un omaggio a Galvano, in P. Fossati, F. Garimol-  di e M. C. Mundici (a cura di), Omaggio a Albino Galvano, catalogo  della mostra, Circolo degli Artisti, Torino, Electa, Milano 1992, p.  iz.   62 A.Galvano, in catalogo della mostra, Galleria Micrò, Torino  1988.    ma vorrei ricordare che vi è stata una mia stagione di  “eriffonages” [...] che a questi fogli ultimi molto si  apparenta, anche se là il segno prevaleva, monocromo  [...]. Perciò dico a mia difesa — il diritto di difendersi  è sempre riconosciuto ai colpevoli — “versatilità, ca-  pricciosità sì, incoerenza no”»®.   Molti furono gli spazi espositivi torinesi che ac-  colsero le personali di Galvano inquadrando la sua  ultima fase pittorica, tra cui: la Galleria Weber (1977),  il Piemonte Artistico e Culturale (1982), la Galleria  Cittadella (1981 e 1984) e la Galleria Micrò (1988).  Occasioni extracittadine rilevanti furono presso la  Galleria Morone di Milano (1979), la Galleria Villata  a Cerrina Monferrato (1980) e la bipersonale insieme  a Gino Gorza presso Palazzo Te a Mantova (1988). Si  rammentano poi l’antologica presso la Galleria La  Cittadella di Torino con opere dal 1930 al 1950 (1976);  la vasta esposizione del 1979 organizzata dalla Regio-  ne Piemonte presso Palazzo Chiablese di Torino che  esplorava l’intera carriera dell'artista (corredata da  un notevole apparato critico in catalogo) e le mostre  retrospettive del 1989 e 1990 alla Galleria Accademia  di Torino.   Costanti furono inoltre le partecipazioni a collet-  tive come alla Promotrice torinese (dal 1975 al 1979),  alla Galleria Martano (1976) e all'esposizione Torino  tra le due guerre presso la Galleria d’arte moderna di  Torino. Infine, nell’ambito della rinnovata attenzione  perlostoricizzato Movimento Arte Concreta, Galvano  figurò in svariate mostre a: Cavallermaggiore (1980),  Torre Pellice (1983), Gallarate (1984), Aosta (1987).   Albino Galvano morì il 18 dicembre 1990 a Torino  all’età di ottantatré anni.   La dichiarazione conclusiva sugli intendimenti  di una pratica pittorica perseguita per l'arco di una  vita intera è affidata a Galvano stesso e permette di  afferrare almeno un aspetto di questa multiforme e  primaria figura di artista, critico e intellettuale italiano  del Novecento. «Di una sola coerenza credo di poter-  mi vantare, ma è coerenza che in qualche modo mi  sequestra al di fuori di tanta arte contemporanea: la  fedeltà alla tela, al colore ai pennelli. In parole povere  ho sperimentato molto, forse troppo e troppo disper-  sivamente, ma non mi sono mai sentito vicino alle  ricerche di chi avevarifiutato o cercato un'alternativa ai  mezzi tecnici — che poi vuol dire anche espressivi — di  una tradizione che va dal Cinquecento agli impressio-  nisti, ai fauves, agli espressionisti. Fedeltà o incapacità  di uscire dalla routine? Non sta a me deciderlo. Ne  rivendico la responsabilità o il merito».    63 bid.  64 A.Galvano, in catalogo della mostra, Palazzo Te, Mantova 1988.       26       Seconda metà anni Settanta.       Alla presentazione del volume "La pittura, lo spirito e il sangue", 1988.    Da discepolo a interprete. Albino Galvano e Felice Casorati    Alessandro Botta    “Quando, a vent'anni, mi presentai alla Scuola di  via Galliari, cioè allo studio di Felice Casorati, avevo  dietro le incerte aspirazioni dettate da una pretesa mia  attitudine al disegno [...]. Poco, ma abbastanza, insie-  me alla passione per la storia dell’arte, perché seguis-  si con attenzione sulle riviste (specialmente “Empo-  rium”) le Biennali veneziane del 1926 e del 1928 che  mi educarono al gusto per l’arte contemporanea”.  Con queste parole Albino Galvano apre la sua auto-  biografia scritta per una mostra retrospettiva torinese  del 1979, definendo sin da subito le proprie origini di  formazione e circostanze di aggiornamento. Nato nel  1907, “anno in cui, con le Demoiselles’ di Picasso, l’arte  occidentale vedeva chiudersi il ciclo iniziatosi alla fine  del duecento”? si iscrive al liceo classico Cavour insie-  me a Giulio Carlo Argan (“eravamo vicini di banco”),  e presto interrompe gli studi per dedicarsi interamente  alla pittura, seguendo inizialmente le indicazioni di ar-  tisti intercettati attraverso le conoscenze familiari.‘   Un temperamento vivo e curioso, il suo, che più  che seguire le letture e gli studi che il percorso scola-  Stico gli impongono, preferisce accrescere le proprie  conoscenze con una formazione isolata, fatta di letture  personalissime: “Mi seppellivo cinque-sei ore al giorno  in biblioteca — sostiene in un'intervista —. Lì incomin-  ciai a leggere ‘La Critica’. Nel’25 avevo letto Bergson” 5  Nell’atteggiamento che caratterizza il giovane artista,  concentrato ad inseguire le proprie passioni piuttosto  che le strade già battute, si può forse leggere una conti-  nuità nella scelta di rivolgersi a Casorati come maestro,  una decisione non così scontata in una Torino dove gli  orientamenti estetici erano ancora influenzati dall’in-  gombrante figura di Giacomo Grosso e dall’insegna-  mento della paludata Accademia Albertina.   Galvano ha una fascinazione improvvisa verso  l'artista torinese, arrivata attraverso l'osservazione di-          1 A. GALVANO, Autobiografia, in N. PizzETTI, G. Givone (a cura  di), Albino Galvano, catalogo della mostra (Torino, Palazzo Chia-  blese, 21 dicembre 1979 - 13 gennaio 1980), Regione Piemonte,  Torino 1979, p. 17.   2 Ibidem.   3 G. C. ARGAN, Albino Galvano [presentazione], in XXVIII Bien-  nale di Venezia, catalogo della mostra (Venezia, giugno - ottobre  1956), Alfieri Editore, Venezia 1956, p. 213; “Non eravamo tra i pri-  mi della classe: troppe cose c'interessavano, che non avevano nulla  a che fare col programma, e ne discutevamo per interi pomeriggi,  dimenticando le versioni di latino e i problemi di matematica. For-  se quell’amicizia di ragazzi ci costò qualche esame a ottobre ma,  almeno per me, non fu un'esperienza inutile” (Ibidem).   4 Galvano parla di “un apprendistato presso il Vannini, ma-  estro di disegno a cui ero stato indirizzato dal pittore Giovanni  Pisano amico di famiglia, che avevo avuto spesso occasione di  veder al cavalletto” (A. GaLvano, Autobiografia [1979], cit., p. 17).  ©) [Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], in P. Fossati, F.  GarmoLpi, M. C. Munpici (a cura di), Omaggio a Albino Galvano,  catalogo della mostra (Torino, Circolo degli Artisti, 23 gennaio - 1°  marzo 1992), Electa Piemonte, 1992, p. 140.    Ud       Albino Galvano alla mostra personale di Palazzo Chiablese, Torino,  1979. Archivio Storico della Città di Torino, fondo "Gazzetta del Popolo".    retta di alcuni suoi dipinti presenti nelle collezioni del  museo cittadino: “Alla Galleria di Torino — sostiene egli  stesso nell’autobiografia del 1952 — mi erano cioè pia-  ciuti piuttosto i bianchi di tempera con il rosso dei co-  ralli o il cielo spugnoso del bozzetto per il ‘Ritratto del-  la signora Wolf” che il neoquattrocentismo del ‘Ritratto  della sorella’”.. Prime indicazioni attestabili dopo il  1926, sintomatiche di un interessamento che si rafforza  man mano e che è destinato a diventare decisivo per il  suo ingresso nella scuola dopo la visita alla Biennale  veneziana del 1928, nella quale Casorati espone,” oltre  ad otto dipinti, anche due statue destinate al proscenio  per il teatro Gualino. Galvano è colpito, in questa occa-  sione, ‘“[dal]l’azzurro o il paglierino di stoffe e legni in  ‘Daphne’ che le pose ricercate dei nudi”.       6 A.GALVANO, [autobiografia], in Albino Galvano, catalogo del-  la mostra (Asti, Galleria La Giostra, 1952), Asti 1952, p.n.n.; rela-  tivamente ai dipinti di Casorati citati si veda il catalogo generale  dell'artista G. BERTOLINO, F. PoLi, Felice Casorati. Catalogo generale.  I dipinti (1904-1963), 2 voll., Allemandi & C., Torino 1995, nn. 188  (1922), 250 (1925). Da qui in poi citato come (Bertolino, Poli).   7 A. GALVANO, [autobiografia] [1952], cit., p. n.n. Relativamen-  te alla Biennale del ‘28 scrive: “Quella del 1928 volli visitarla di  persona e vi fui impressionato specialmente da Felice Casorati,  sicché decisi, scoperto che abitava a Torino, di iscrivermi alla sua  scuola.” (Ip., Autobiografia [1979], cit., p. 17).   8 Ibidem;inquell’occasione, oltre al Ritratto di Daphne (1928) (Ber-  tolino, Poli 328), Casorati espone l’opera Ragazze dormenti (o Mozart)  (1927) (309), ricordata da Galvano nel suo racconto autobiografico.    L'ingresso alla scuola, avvenuto probabilmente  verso la fine dell’anno o all’inizio di quello successivo,  lo vede inserirsi in un ambiente già consolidato, ac-  cresciuto notevolmente d’iscritti rispetto al nucleo  fondante di stretto discepolato del suo studio “che sta  tra l'accademia e il monastero” del 1921.!° La “Scuola  libera di pittura”, inaugurata nel 1927 in via Galliari  33, è ormai una realtà pubblica, che riunisce maestro  e allievi e li vede impegnati come fronte coeso nelle  esposizioni cittadine e nazionali.!   La serietà e la dedizione alla pittura sono le ca-  ratteristiche fondamentali che danno l’accesso alla  scuola: lo si ricava dalle impressioni che risuonano  con continuità tra i commenti e i ricordi degli allievi  che in tempi diversi affrontano l’alunnato casoratia-  no.! Galvano non fa eccezione: “L'accoglienza fu,  come era nel suo stile, di una signorile severità”.!  Ma, al di là delle incertezze iniziali, il maestro sem-  bra essere più colpito dalla spiccata vivacità intel-  lettuale del giovane allievo piuttosto che dalle sue  capacità pittoriche: “credo che — sottolinea Galvano  raccontando di se stesso — abbia avuto subito per  l’uomo la simpatia e la stima che poi sempre mi di-  mostrò, forse assai più scarsa la fiducia nelle mie  possibilità di pittore, il che mi fu ottimo stimolo a  intestardirmi e ad impegnarmi a fondo”!   Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del  1929 lo scolaro “intelligente ma noioso, predicatorio”,  secondo il ricordo di Lalla Romano (anche lei discepola  di Casorati),'° presenta le sue opere per la prima volta  con il gruppo di allievi alla II Esposizione d’arte allesti-  ta nello studio di via Galliari. L'esposizione “intima”,  alla sua seconda edizione, è aperta al pubblico di inte-  ressati (a visitarla, sono perlopiù personalità del milieu  intellettuale antifascista cittadino) e vuol essere una  “raccolta dei lavori più notevoli eseguiti dagli allievi  nello scorso anno”.!° La prova generale della scuola  non sembra però garantire a Galvano l’accesso all’im-    9 Galvano, a molti anni di distanza, fissa la sua presenza nella  scuola “dalla fine del 1928 a quella del 1930” (A. GaLvano, Auto-  biografia [1979], cit., p. 17).   10 P. GOBETTI, Felice Casorati pittore, Torino [1923], p. 91.   11 Perunostudiosulla scuola di Casorati e sulle vicende espo-  sitive della stessa si veda V. CavaLLaro, La scuola di Casorati, tesi  di laurea, Facoltà di lettere e filosofia, Università degli Studi di  Torino, 2012, relatore: F. Rovati; F. Poi, V. CavaLLaro (a cura di),  La scuola di Felice Casorati ed Andrea Cefaly, catalogo della mostra  (Catanzaro, Complesso monumentale di San Giovanni, 26 ottobre  — 26 novembre 2017), Rubettino, Soveria Mannelli 2017.   12  testimonianze e memorie dei suoi discepoli, in C. Pianciola (a cura di),  Il critico e il pittore. Gobetti, Casorati e la sua scuola, Aras Edizioni,  Fano 2018.    13 A. GALVANO, Autobiografia [1979], cit., p. 17.   14 Ibidem.   15. L. Romano, Una giovinezza inventata, Einaudi, Torino, 1979,  p. 192.   16 E. PauLuccCI, Cronache torinesi. Scuola di Casorati, in “Le Arti    Plastiche”, 16 novembre 1929, p. 2.    Su questo argomento si veda A. BOTTA, Felice Casorati nelle.    28    minente esposizione alla Galleria Valle di Genova — or-  ganizzata probabilmente da tempo e inaugurata nel  gennaio del nuovo anno -, che vuol essere l’occasio-  ne per riunire una selezione più stretta degli allievi.!”  Dovrà attendere ancora qualche mese, in primavera,  prima di assistere alla presentazione di un suo dipinto  (accolto per accettazione dalla Giuria) alla Biennale del  1930.!* Riuniti attorno al maestro, gli allievi di Casorati  — otto in totale — occupano la sala 30, attigua alla fortu-  nata e discussa retrospettiva di Modigliani ordinata da  Lionello Venturi, che non manca di far nascere alcune  corrispondenze e letture parallele con le opere dei ca-  soratiani.   Da questo momento in poi Galvano incomince-  rà ad essere presente con continuità alle mostre della  scuola. Una conferma che arriva già a poche settima-  ne di distanza con la partecipazione alla 88° esposizione  della Società Promotrice delle Belle Arti con ben quattro  dipinti. Ancora alla fine dell’anno il suo nome si regi-  stra tra gli allievi presenti alla III Esposizione d’arte di  via Galliari,' mentre nel gennaio del 1931 viene segna-  lato come uno dei “casoratiani” che espongono - que-  sta volta senza il maestro — alla mostra torinese degli  “Amici dell’ Arte”.   Se fino a questo momento le opere di Galvano  non sembrano sollecitare più di tanto l'interesse della  critica — forse perché il modello del maestro è troppo  riconoscibile nella sua pittura —, l'occasione della I Qua-  driennale d'Arte Nazionale di Roma del gennaio 1931  apre ad un interessamento che coinvolgerà da lì in poi  anche il giovane artista torinese, presente con il dipinto  Estate, riprodotto per l'occasione sulla nota rivista mi-  lanese “La casa bella”?!   Galvano, ancora coeso al gruppo almeno fino al  marzo di quell’anno (la sua presenza è confermata in  una mostra di “scuola” allestita alla galleria Milano),       17 Esposizione dei pittori Casorati, Bay, Bionda, Bonfantini, Mar-  chesini, Maugham, Mori, prefazione di G. Pacchioni, catalogo della  mostra (Genova, Galleria Valle, 20 gennaio - 3 febbraio 1930), Ge-  nova 1930.   18. Sitratta del dipinto Paese con un ponte; cfr. Catalogo XVII Espo-  sizione Biennale Internazionale d'Arte 1930, catalogo della mostra  (Venezia, maggio - novembre 1930) Venezia 1930, sala 30, n. 18.   19 Cfr. E. Pautucci, Cronache torinesi. Scuola di Casorati, in “Le  arti plastiche”, 16 gennaio 1931, p. 2.   20 Cfr.E. ZANZI, Cronache torinesi. La mostra degli “Amici dell’Ar-  te”, in “Emporium”, vol. LXXIII, n. 433, gennaio 1931. pp. 50-51.  21. P. Torriano, Cronache d’arte. Note alla I Quadriennale, in “La  casa bella”, marzo 1931, p. 57. Relativamente alla partecipazione  degli artisti piemontesi alla rassegna romana si veda L. IAMURRI,  Levi, Paulucci e gli altri. Presenza torinesi alla Quadriennale, in M.  Cossu, C. MicHELLI (a cura di), Cultura artistica torinese e politiche  nazionali 1920-1940, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazio-  nale d'Arte Moderna, 16 dicembre 2004 - 13 febbraio 2005), Electa,  Milano 2004, pp. 58-60.   22. Cfr. Bay, Bionda, Bonfantini, Casorati, Chicco, Cremona, Donati,  Galvano, Levi, Maugham, Marchesini, Mennyey, Mori, catalogo del-  la mostra (Milano, Galleria Milano, 1° - 15 marzo 1931), Milano  1931.       Copertina del catalogo della mostra alla Galleria Milano, Milano 1931.    incomincia a dar segni di cedimento rispetto allo sta-  tuto casoratiano e nei confronti della scuola. Un di-  Stacco progressivo che si rende evidente nell'esercizio  Stesso della pittura, che lo vede ricercare una propria  indipendenza e nuove vie di espressione. La Promo-  trice del 1931 diventa per lui un terreno di confronto  nel quale presentare le più recenti ricerche, filtrate at-  traverso nuovi modelli nel frattempo subentrati e ma-  turati, chiariti con lucidità — a distanza di anni — dallo  Stesso artista:    Mi affascinavano il tentativo di ricostruzione formale  del mio maestro e, contemporaneamente e contradditto-  riamente, gli esiti dell’impressionismo e postimpressio-  nismo, sia nelle loro accezioni originali sia nelle riprese  locali dei Sei e, in genere, la pittura di colore e di tocco,  ovviamente legata a una visione naturalistica. Nel du-  plice e, in certo senso, contraddittorio intento di tener  Insieme i valori plastici di Casorati e quelli cromatici dei  Sei il risultato diveniva naturalmente pesante, impasta-  to, anche perché subivo fortemente l'influenza di una  certa pittura francese [...], o meglio di una pittura che  si faceva in Francia spesso da stranieri, [...] che allora  agli inizi degli anni trenta mi affascinava dalle pagine di  “L'Art Vivant”.®    Assente il maestro, Galvano è presente con tre ope-  re. La Composizione con figura, in particolare, riprodotta       23. A. Galvano, Autobiografia [1979], cit., p. 18.    29    sia in catalogo che sulla rivista “Emporium”,’° mostra  gli esiti dell'aggiornamento condotto sugli esempi dei  post-impressionisti francesi e sulle proposte figurative  dei “Sei” (sciolti ufficialmente, come gruppo, proprio nel  731), che si riconoscevano nella linea di rinnovamento  dell’arte contemporanea tracciata da Lionello Venturi.®   Il passaggio, da questo momento in poi, è breve.  Complice un disfacimento generalizzato della scuola  stessa, il pittore, alla mostra degli “Amici dell'Arte” al-  lestita nell'autunno del medesimo anno, è considerato  già da tutti un ex allievo.?? Ma la sua fedeltà al maestro  e l'amicizia che li lega lo vedranno partecipare ancora  ad una mostra di “scuola”, allestita nel teatro di Pavia  all’inizio del 1932. Accanto agli ex compagni, Galva-  no diventa una presenza eccentrica. Le sue opere, che  spaziano tra i generi (dalla natura morta al paesaggio),  mostrano la sua indecisione circa la strada da intra-  prendere, alla luce delle più recenti scoperte, passando  “da l’espressionismo a l'impressionismo senza un atti-  mo di esitazione”.   La “rottura” con Casorati — 0 presunta tale —, coin-  cide con il suo esordio di critico e con il suo avvicina-  mento a Lionello Venturi, al quale viene introdotto dal  suo compagno di studi Giulio Carlo Argan.* Nel lu-  glio del 1932 Galvano pubblica il suo primo contributo  sull’illustre rivista trimestrale “L'Arte”, che a partire  dal 1930 vede Lionello impegnato nella condirezione  accanto al padre Adolfo. La presenza del figlio, pro-  fessore all’Università di Torino, apre il periodico al di-  battito sulle arti contemporanee, fino a quel momento  escluso dai contenuti tradizionali della rivista. Il saggio  Armando Spadini e il gusto degli impressionisti? mostra  l'avvicinamento di Galvano alla critica venturiana, già  evidente nel titolo del contributo (che riecheggia il più  celebre volume del 1926)" e che si conferma nei conte-  nuti e nel soggetto stesso dell'articolo.    24 E. ZANzZI, Cronache torinesi. Dopo ottantanove anni... L'Esposi-  zione Interregionale della Promotrice di B. A., in “Emporium’”, vol.  LXXXIV, 443, novembre 1931, p. 307.   25 Alberto Rossi, sulle pagine de “L'Italia letteraria”, sottolinea  come Galvano sia ormai “teso a tutt'uomo alla ricerca di costru-  zioni personali” (A. Rossi, Una mostra interregionale, in “L'Italia  letteraria”, 12 luglio 1931, p. 4), mentre Emilio Zanzi, su “La Gaz-  zetta del Popolo”, rileva come la distanza -tra allievo e maestro-  sia ormai sensibile sia da un punto di vista cromatico che formale:  “Il giovane Galvano - fa notare - sta liberandosi dai grigi e dalle  tristezze casoratiane e ora si esperimenta, con accortezza e con  gusto, nelle esperienze di Matisse e di Friesz” (E. z. [E. Zanzil],  L'arte al Valentino. La terza Mostra regionale del Sindacato delle Belle  Arti, in “Gazzetta del Popolo”, 14 maggio 1931, p. 6).   26 Cfr.e.z. [E. Zanzi], Agli “Amici dell'Arte” pittori, scultori, ar-  chitetti, decoratori. La mensa degli avieri ideata da S. E. Balbo, in “Gaz-  zetta del Popolo”, 10 ottobre 1931, p. 7.   27, P.A.Sornini, Alla mostra Casorati II, in “Il Popolo di Pavia”,  27 gennaio 1932, p. 3.   28 Cfr. A. GALVANO, Autobiografia [1979], cit., p. 17.   29  In., Armando Spadini e il gusto degli impressionisti, in “L'Arte”,  vol. III, nuova serie, IV, luglio 1932, pp. 318-331.   30 LL. VENTURI, Il gusto dei primitivi, Zanichelli, Bologna 1926.    Accanto all'impegno pittorico, piuttosto in crisi  in questo periodo (“per una dozzina d'anni, mi mossi  un poco a casaccio”), Galvano intraprende gli studi  universitari presso la Facoltà di magistero. Una scelta  che è dettata non tanto dalla sua ben nota passione per  le materie letterarie e filosofiche o dalla sua curiosità  innata, ma più semplicemente da “problemi economi-  ci” che lo obbligano “in fretta e furia a prendere una  laurea e ad iniziare l'insegnamento in istituti privati”  La fine del suo percorso di studi, che si conclude con  una Tesi sulla pedagogia della religione discussa con  Angiolo Gambaro e Nicola Abbagnano, coincide con  la ripresa dell'attività di critico ma anche di saggista,”  che si fa particolarmente intensa a partire dal 1938 e  che lo vede collaborare con le riviste “Il Selvaggio” ed  “Emporium”.   AI di là dell'abbandono della scuola di Via Gal-  liari, Casorati resta per Galvano un solido punto di  riferimento, non tanto come esempio figurativo o di  pratica pittorica da seguire, ma come rappresentate di  un modello culturale autorevole e indipendente pre-  sente in città. L'amicizia tra i due, avviata alla fine degli  anni Venti e riconfermata in più occasioni, sembra in  questo giro di anni intensificarsi ulteriormente, antici-  pando il sodalizio che porterà alla pubblicazione della  monografia per la collana “Arte Moderna Italiana” di  Scheiwiller nel 1940, dedicata integralmente al mae-  stro.”   A partire dal 1938 (fino al 1942) incomincia a col-  laborare con “Emporium” occupandosi di curare la  sezione Cronache torinesi del mensile. Questo nascente  incarico gli permette di affrontare e commentare l’atti-  vità artistica piemontese, confrontandosi con un uni-  verso legato ad una rivista nota ed ampiamente diffusa  e discussa. Casorati è sempre presente nei suoi articoli:  viene seguito passo passo da Galvano sia nelle vesti di  pittore che di organizzatore culturale, offrendo in spe-  cial modo la propria attenzione all'impresa della galle-    31 A.GALVvano, [autobiografia] [1952], cit., p. nn.   32. [Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], cit., p. 138.   33. Da ascriversi sempre al rapporto con Venturi sono i tre vo-  lumi di Galvano, apparsi a partire dal 1938 per l'editore Nemi  di Firenze (L'arte egiziana antica [1938]; L'arte dell'Asia occidentale  e centrale [1938]; L'arte dell'Asia orientale [1939]), pubblicati nella  collana “Novissima enciclopedia monografica illustrata”.   34  “Casorati [...] sapeva rispettare la personalità dell'allievo  anche quando non era affatto d'accordo sulla visione dell’allie-    vo. Infatti quei pochi che sono venuti fuori tra i molti che c'erano -    Bonfantini, Chicco, Paola Levi Montalcini, ed io, ci siamo subito  allontanati da Casorati pur restando suoi amici, pur essendo sem-  pre aiutati da lui sul piano pratico per mostre ed esposizioni. [...]  Ma la Montalcini ed io siamo passati negli anni Cinquanta all’a-  strattismo, poi all’informale, tutte cose che Casorati... ma non ci  ha mai tolto né la sua amicizia né la sua protezione. In questo era  veramente un grandissimo signore” ([Intervista di L. Lanzardo  ad A. Galvano], cit., p. 141).   35 A. GALvano, Felice Casorati, Arte moderna italiana n. 5, Serie  A - Pittori - n. 4, Ulrico Hoepli, Milano 1940.    30    ria “La Zecca”, avviata dal maestro a Torino insieme a  Enrico Paulucci in via Verdi 15.5   Se appare piuttosto chiaro come Galvano tenti —  con i mezzi a sua disposizione — di promuovere e so-  stenere l’amico Casorati nelle sue molteplici attività, il  maestro, dal canto suo, cerca di aiutare il suo ex-allievo  nel suo percorso di pittore. È lo stesso Galvano a di-  chiarare apertamente, molti anni più tardi, come la sua  affermazione al Premio Bergamo sia in realtà frutto di  un aiuto arrivato dallo stesso maestro: “Casorati era  molto potente [...] mi fece accettare [al Premio Berga-  mo], mi fece sempre dare qualche premio, per cui mi  trovai agganciato”. Presente con continuità dal 1939  al 1942, Galvano si aggiudica per ben tre anni i pre-  mi in denaro del concorso. Solo nella seconda edizio-  ne non compare tra i vincitori, ma la sua opera viene  acquistata dal Ministero dell'Educazione Nazionale a  titolo di incoraggiamento.    Il.    Verso la fine del 1940 è data alle stampe la mo-  nografia “Felice Casorati” scritta da Albino Galvano,  apparsa per le edizioni Hoepli di Milano.* La pub-  blicazione si inserisce all’interno dell’ambiziosa col-  lana “Arte Moderna Italiana” inaugurata nel 1925 e  coordinata da Giovanni Scheiwiller, immaginata per  raccogliere — uno dopo l’altro — gli artisti italiani più  noti del tempo, attraverso piccole monografie illustra-  te, introdotte da un testo critico che viene di volta in  volta scelto dall'editore o dall'artista protagonista del  volume. In questo caso, è infatti Casorati a suggerire il  nome del giovane critico a Scheiwiller, incaricandolo  di aggiornare radicalmente la precedente edizione di  Raffaello Giolli, ormai vecchia di quindici anni.”   La piccola monografia di Galvano non si colloca,  all’epoca, come una novità di genere nella letteratura  artistica del pittore, ma rientra in un panorama già  piuttosto sedimentato di studi sul maestro, che si oc-  cupano di fornire uno sguardo complessivo sull'intera  produzione raggiunta sino a quel momento. Il volume       36  Ip., La collezione Della Ragione, in “Emporium”, vol LXXXVII,  520, aprile 1938, p. 220; Ip., Torino. Maccari alla “Zecca”, in “Em-  porium”, vol. LXXXIX, 531, marzo 1939, pp. 161-162. In., Torino.  Mostre alla “Zecca”, in “Emporium”, vol. XC, 537, settembre 1939,  pp. 161-163; Ip., Torino. Mostre alla “Zecca”, in “Emporium”, vol.  XC, 538, ottobre 1939, pp. 203-204.   37. [Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], cit., p. 138.   38. A. GALVANO, Felice Casorati, cit. Per uno studio sulla mono-  grafia si veda A. Botta, Albino Galvano e Felice Casorati. La mono-  grafia per la collana “Arte Moderna Italiana” di Giovanni Scheiwiller,  tesi di specializzazione, Università degli Studi di Udine, 2014-  2015, relatore: F. Fergonzi.   39 R. Giotty, Felice Casorati, Arte moderna italiana n. 5, Serie  A - Pittori - n. 4, Ulrico Hoepli, Milano 1925. lo studio di Giolli,  infatti, limitava necessariamente l'indagine sull'artista alla prima  metà degli anni Venti.    di Gobetti del 1923,‘ che si propone come una rico-  struzione cronologica del percorso artistico (nonostan-  te la limitatezza della produzione casoratiana) apre la  strada a numerosi tentativi di interpretazione e ordi-  namento dell’opera del maestro, non limitati alle pub-  blicazioni di carattere monografico (il caso successivo  — come si è detto — è quello di Giolli) ma rintracciabili  anche all’interno di contributi meno estesi che, a par-  tire dal saggio di Venturi uscito il medesimo anno su  “Dedalo”, diventano sempre più frequenti nei tempi  a venire, anche sotto forma di presentazioni nei catalo-  ghi delle esposizioni.”   La critica contemporanea studia la produzione di  Casorati secondo principi e approcci molto differen-  ti che, verso la metà degli anni Venti, tendono a farla  rientrare in quel processo di costituzione di un'arte  nazionale ufficiale: un’annessione ai “pittori del Nove-  cento” (non pienamente condivisa dall'artista) che sarà  esplicitata nell'articolo di Margherita Sarfatti apparso  su “La Rivista Illustrata del Popolo d’Italia” nel marzo  del 1925* e che contribuirà a determinare una lettura  della pittura di Casorati divisa “tra estetica e lettera-  tura”, destinata a rimanere ancora per molto tempo  identificativa del suo lavoro.   Intorno agli anni Trenta il lavoro di Casorati rien-  tra già nell'ottica di una ricostruzione storica più am-  pia dell’arte italiana ed internazionale: le pubblicazioni  della Sarfatti, di Virgilio Guzzi, di Vincenzo Costanti-  ni, di Anna Maria Brizio e — poco più tardi - di Ugo  Nebbia, esaminano Casorati secondo una prospettiva  generale (con le inevitabili ed ulteriori opinioni con-  traddittorie), ma sono tutte piuttosto concordi a identi-    40 P. Gost, Felice Casorati pittore, cit..  41 L. VENTURI, Il pittore Felice Casorati, in “Dedalo”, IV, fasc. IV,  Settembre 1923, pp. 238-261.   42 Ip., Mostra individuale di Felice Casorati, in XIV Esposizione  Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo della mostra  (Venezia, aprile - ottobre 1924), Carlo Ferrari, Venezia 1924, pp.  88-89; G. PACCHIONI, Felice Casorati, in Exposition d'’artistes italiens  contemporains, catalogo della mostra (Ginevra, Musée Rath, feb-  braio 1927), Stabilimento grafico Foa, Torino 1927, p. n.n.; A. Rossi,  Felice Casorati, in 21 Artistes du Novecento Italien. Deuxième exposi-  tion du Novecento italien, catalogo della mostra (Ginevra, Galerie  Moos, giugno-luglio 1929), Richter, Ginevra 1929; M. BERNARDI,  25 opere di Felice Casorati nel salone de La Stampa, catalogo della  mostra (Torino, gennaio 1937), Tipografia del giornale “La Stam-  pa”, Torino, 1937, p. n.n. Per una ricognizione sulla fortuna critica  Casoratiana si veda P. THeA, La critica e Casorati: profilo e antologia,  in M. M. LAMBERTI, P. Fossati, Felice Casorati 1883-1963, catalogo  della mostra (Torino, Accademia Albertina, 19 febbraio - 31 marzo  1985), Fabbri Editori, Milano 1985, pp. 141-167.   43. M. SARFATTI, Pittori d'oggi. Felice Casorati, in “Rivista illustra-  ta del Popolo d’Italia”, 15 marzo 1925.   44 In. Storia della pittura moderna, Paolo Cremonese Editore,  Roma 1930; V. Guzzi, Pittura italiana contemporanea. Origini e aspet-  il, Bestetti & Tumminelli, Treves, Roma-Milano 1931; V. COSTAN-  TINI, Pittura italiana contemporanea dalla fine dell’800 ad oggi, Ulri-  co Hoepli, Milano 1934; A. M. Brizio, Ottocento Novecento, Utet,  Torino 1939; U. NEBBIA, La pittura del Novecento, Società editrice  libraria, Milano 1941.       31    ARTE MODERNA ITALIANA N. 5    ALBINO GALVANO    FELICE CASORATI       1940 - XIX  ULRICO HOEPLI .  MILANO    EDITORE    Felice Casorati, Ulrico Hoepli, Milano 1940.    ficare nell'opera del medesimo una tendenza interna e  personalissima alla corrente novecentista.   Le difficoltà nel rintracciare una linea condivisa  per la sua arte era già stata evidenziata da Giacomo  Debenedetti (intellettuale torinese, come Gobetti, “pre-  stato” anche lui alla critica d’arte) con l'articolo Casorati  e la critica d'arte del 1933, nel quale sottolineava come  “L'arte di Casorati pare fatta apposta per isconcerta-  re gli schemi che la più ‘scientifica’ critica d'arte s'è  data come sicuri oramai ed incontrovertibili”,’° evi-  denziando nelle conclusioni tutte le contraddizioni di  una generazione: “Linea, dunque, no: forma plastica,  no: colore, no: o quanto meno né la linea, né la forma,  né il colore intesi come schemi esclusivi ed esaurien-  ti, nell'accezione data dai critici, che di quegli schemi  si sono fatti, non pure gli interpreti, ma i banditori. E  questa è l’involontaria polemica del Casorati contro la  critica d’arte”.   Davanti a questo insieme di opinioni e approc-  ci differenti, Galvano si dimostra sin da subito molto  perplesso verso i suoi predecessori, affermando in  maniera categorica come “Ciò che è mancato più ad  una critica concludente su Casorati è appunto [...] una  comprensiva ‘lettura’ delle sue pitture”,‘ e sintetizzan-          45 G. DEBENEDETTI, Casorati e la critica d'arte, in “L'Italia lettera-  ria”, 15 gennaio 1933, p. 4.   46 Ibidem.   47 A.GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 28.    do poi, nelle prime pagine della monografia, i termini  di questa fortuna critica — che è anche incomprensio-  ne — sedimentata verso l’artista, almeno fino alla metà  degli anni Venti:    Casorati ha goduto di un momento di fortuna quando la  sua pittura, forse proprio perché meno urtante a prima  vista di quella di altri pittori di avanguardia, ebbe tutti  i suffragi e specialmente a quelli della critica che voleva  essere alla pagina, ma salvando il rispetto per la tradi-  zione [...] Erano i tempi in cui la pittura del novecento  appariva come uno sforzo neoclassico in polemica con  l’arte futurista da una parte, con l’aneddotismo elegante  dall'altra, [...] la pittura di Casorati [...] ebbe una sua  funzione in Italia per liberare il medio pubblico dagli en-  tusiasmi per Grosso, per Sartorio, per Dall’Oca Bianca.*    Rispetto ai precedenti studi la posizione di Gal-  vano è fin da subito ben chiara: risiede nell'approccio  preferenziale con cui affronta l’opera di Casorati, total-  mente inedito sino a quel momento, che viene ribadito  in più punti della monografia.   In apertura del volume il critico-pittore sottolinea  come la sua analisi non si circoscriva a una rilettura  analitica e distaccata della produzione casoratiana, ma  si sviluppi attraverso una consapevolezza fondata sul  ricordo della propria formazione: “Casorati pittore —  scrive richiamandosi ai suoi rapporti col maestro — è  stato per molti della mia generazione una esperienza  di importanza capitale in ordine alla formazione del  gusto e all'orientamento di una cultura non soltanto  limitata a fatti di specie figurativa. La pratica di di-  scepolato presso di lui e la frequente consuetudine  di Casorati uomo, hanno valso ad alcuni di noi come  un'esperienza fra le più profonde e decisive anche per  quanto riguarda la vita morale”!   L'insegnamento di Casorati, oltre a fornire una  solida base di rudimenti pittorici insieme agli stru-  menti per uno sviluppo individuale delle personalità  artistiche, è la chiave — sempre secondo Galvano — per  la comprensione stessa dell’opera del maestro, chiarita  metaforicamente in un passaggio del testo: “Casorati  è uno di quei pochissimi artisti che dopo il rapimen-  to delle muse non rimangono incoscienti di quanto  in loro è avvenuto; lo capiscono ed aiutano a capirlo  agli altri”.°° Un concetto che viene ribadito, in maniera  ancora più chiara, verso la fine del suo lungo contri-  buto per Scheiwiller: “Non molti di noi [allievi] hanno  saputo da quelle parole imparare a dipingere decente-  mente, ma certo tutti a leggere i suoi quadri un poco  meglio”.   Con queste premesse Galvano vuole dimostra-  re come la vicinanza al maestro gli permetta di avere    48 Ivi, p.7.  49 Ivi, p.d.  50 Ivi, p. 6.  51. Ivi, p.32.    32    una visione privilegiata, lucida e fedele del suo lavoro,  elevando la lettura delle opere ad un’originalità vicina  alle intenzioni del maestro, più di quanto gli altri pos-  sano avere.   AI di là degli schieramenti e dei tentativi di cate-  gorizzazione che, a più riprese, hanno interessato il la-  voro di Casorati — tra assimilazione al gruppo novecen-  tista, ascendenza neoclassica 0, ancora, appartenenza  alla poetica metafisica —, Galvano sceglie il sostantivo  “Platonismo” per riassumere gli esiti figurativi ottenu-  ti dall'artista a partire dagli anni Venti," un’indicazio-  ne che gli permette di liberarsi da ingombranti etichet-  te sino a quel momento attribuite all'opera del pittore.   È un'affermazione di Casorati a suggerire a Gal-  vano le basi per un'interpretazione platonica delle sue  opere: il critico recupera esplicitamente una dichiara-  zione del maestro che risale al 1921 espressa a margine  di un catalogo della Galleria Pesaro, nella quale chiari-  sce le proprie intenzioni —quasi programmatiche — di  esercizio pittorico: “Dipingere la verità, dimenticando  la realtà superficiale” 5° Un concetto che viene succes-  sivamente ribadito da Casorati, spogliato delle sue im-  plicazioni categoriche (rinnegate in un secondo tempo  dallo stesso pittore)? in una successiva dichiarazione,  fatta a dieci anni di distanza e riportata nel catalogo  della prima Quadriennale romana, con la quale l’ar-  tista sottolinea ancora una volta come il suo distacco  dalla realtà dei soggetti sia prerogativa fondante del  suo lavoro: “la mia pittura è staccata dalla vita”.>   La posizione “platonica” di Galvano pone il la-  voro di Casorati in netto contrasto con la pittura degli  Impressionisti (che godono invece di una notevole for-  tuna, verso gli anni Trenta, a Torino), collocando il mo-  vimento francese e il maestro torinese su due fronti op-  posti — sia da un punto di vista lirico che tecnico —: un       52  sto di Casorati preferiremmo ad ognuna quella di ‘Platonismo  (Ivi, p. 6).   53 F. Casorati, [Dichiarazione], in Arte italiana contemporanea,  catalogo della mostra (Milano, Galleria Pesaro, ottobre - novem-  bre 1921), Alfieri & Lacroix, Milano 1921; ora in In., Scritti intervi-  ste lettere, cura di E. Pontiggia, Abscondita, Milano 2004, p. 11.   54 “Scrissi allora nel catalogo alcune parole per spiegazione  del mio lavoro e quasi per contrappormi all'arte di quel tempo:  affermavo di voler dipingere la verità, dimenticando la realtà  apparente; di voler indulgere agli errori che spesso sono la sola  ragione dell’opera d’arte... Queste parole furono definite un’ere-  sia estetica; in fondo, però, esse volevano spiegare il carattere di  immobilità, di impassibilità dei contorni decisi di forma, in con-  trapposto al più o meno degenere impressionismo di sfarfalleg-  giamenti colorati, di indecisione ottica, di ricerca del movimento  nel vibrare continuo della luce” (F. CASORATI, in G. MascHERPa [a  cura di], Felice Casorati e il religioso, catalogo della mostra [Milano,  Galleria San Fedele, Milano, 1 marzo - 8 aprile 1983], Milano 1983,  p. 12).   55 E. CASORATI, Presentazione, in Prima quadriennale d'arte nazio-  nale, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle esposizioni, gen-  naio - giugno 1931), E. Pinci, Roma 1931; ora in In., Scritti interviste  lettere, cit., p. 23.    “E infatti se dovessimo trovare una parola per definire il gu-    IN    rifiuto che è categorico e si muove sulla falsariga delle  indicazioni già enunciate dall'artista nella citata pre-  sentazione del 1931: “non ho mai capito il movimento  ‘qui déplace les lignes’, e adoro invece le forme statiche  [...] la mia pittura nasce -per così dire- dall'interno e  mai trova origine dalla mutevole ‘impressione’ }° consi-  derazioni che vengono caricate di significati filosofici,  anche in questo caso, da Galvano:    Al Protagorico impressionismo per cui misura di tutte le  cose è l'uomo individuale, si contrappone dunque il Pla-  tonico Casorati richiamandoci all'ordine di una pittura  dove le cose appaiono reali in quanto hanno la maneg-  giabilità di ciò che dal flusso delle sensazioni è ritagliato  per opera dell'intelletto. Scodelle o uova, teste o seni var-  ranno come categoria.”    Al “degenere impressionismo” Casorati contrap-  pone, secondo Galvano, “i suoi caratteri di immobilità,  di impassibilità, di contorni decisi, di ‘forma’”.*   Alle premesse teoriche fanno seguito le prime  verifiche sulle opere che, a differenza dei precedenti  Studi, non seguono uno sviluppo strettamente crono-  logico ed organico della produzione casoratiana, ma si  Muovono più liberamente, procedendo secondo l’an-  damento del discorso.   | Come nelle antecedenti occasioni di studio, l’ini-  z10 dell'attività pittorica viene fatta coincidere con le  Opere del 1909, che gli valgono le prime attenzioni da  parte della critica alla Biennale di Venezia ed alla mo-  Stra degli Amatori e Cultori di Roma. Le considerazio-  ni che investono il dipinto Le vecchie (1909) e La cugina  (1909)? sottolineano nelle ricerche di Casorati “un sen-  so drammatico della vita teso in un’acuta analisi psico-  logica in cui non manca una punta di sensualità [...],  Ma temperata in una specie di serenità letteraria”’,9  Motivi che si pongono in continuità con le formulazio-  Ni espresse in precedenza sia da Gobetti che da Ventu-  Il, attenti entrambi a rilevare l’attenzione psicologica  ed il senso letterario di queste prime composizioni.‘   ._ Il salto a questo punto si fa subito brusco: l’esclu-  Silone di tutta la produzione degli anni della guerra  (che coincide con il suicidio del padre di Casorati e con  le nuove responsabilità di capofamiglia verso le due  Sorelle e la madre) è in linea con le volontà dell'artista,  che sceglierà di non conservare le opere di quel perio-  do, contraddistinte da un simbolismo e sintetismo de-  Corativo piuttosto anomalo.       56 Ibidem.  957 A. Galvano, Felice Casorati, cit., p.7.  98 Ivi, p. 6.    59 (Bertolino, Poli 40, 50).   90 A. GALvaNnO, Felice Casorati, cit., p. 9.   01 Cfr. P.Gosetti, Felice Casorati pittore, cit., p. 93; L. VENTURI,  Mostra individuale di Felice Casorati, in XIV Esposizione Internazio-  nale d'Arte della Città di Venezia, cit., p. 88.    33    Un passaggio su Le signorine (1912), che “libe-  ro questa volta da preoccupazioni di ordine realistico  ed orientato verso una completa subordinazione alla  composizione”, permette a Galvano di transitare di-  rettamente su Tiro al bersaglio del 1919, anticipando i  problemi di annullamento della terza dimensione già  evidenti nel dipinto.   Per Galvano Tiro al bersaglio rappresenta un’opera  cruciale, da cui parte tutta la produzione più celebrata  dell'artista, quella del periodo immediatamente suc-  CESSIVO:    l’opera significativa ‘Tiro al bersaglio’ (1919) [...]. In essa il  colore e la linea collo scomparire di ogni ricerca della terza  dimensione assumono per la prima volta una organicità che  è davvero il segno dell’impostarsi nella pittura di Casorati  dei problemi di cui anche oggi essa si nutre. Ridotto il qua-  dro, colla completa scomparsa delle ricerche chiaroscurali  e mancando ancora l'ulteriore ricerca spaziale, ad un sem-  plice tappeto di tinte piatte, si comprende facilmente come  linea e colore divengano funzione l'uno dell'altro, tendendo  a uno stato in cui la visione inquietante del pittore raggiun-  ge uno dei più intensi suoi momenti”    Il dipinto, in realtà, aveva sino a quel momento  goduto di una fortuna alterna: tacciato di futurismo  nella prima presentazione pubblica del 1919, è per  Gobetti un’opera dai “rapporti formali [...] indecisi”  ancora legata alla produzione dalla prima metà degli  anni Dieci, un lavoro insomma, che Casorati realizza  come “prova per testimoniare a se stesso la fine del  suo estetismo e la sua incapacità di fermarsi ormai  all'episodio”. La rivalutazione di Tiro al bersaglio,  nei fatti trova, prima di Galvano, un precedente mol-  to prossimo all'uscita della monografia Scheiwiller:  nell'agosto del 1940 Italo Cremona (anch’egli vicino a  Casorati, pur non essendo mai stato allievo della sua  scuola), in maniera analoga a Galvano ragiona sull’im-  portanza del colore e sul principio di astrazione pre-  sente nel dipinto, che anticipa le opere più compiute e  celebrate degli anni Venti:    sottrarre le cose dai variabili accidenti della luce per pe-  netrare invece il colore secondo un processo di intelli-  gente astrazione. [...] In quella curiosa vetrina di oggetti  [...] vivono infatti quei bianchi spettrali, quei colori —fin-  ti-, che sovente ritroveremo nell'aria rarefatta dove re-  spirano le sue figure, anche quelle delle parate familiari  che Casorati ha sovente composto con sincera affettuosi-  tà ma che appaiono pur sempre affacciate a una ribalta,  in uno scenario freddamente preordinato, sul mondo  dal quale l’artista le ha volontariamente allontanate.”       62 (Bertolino, Poli 71).   (Bertolino, Poli 140).   A. GALVANO, Felice Casorati, cit., pp. 10-11.  65 P. GOBETTI, Felice Casorati pittore, cit., p. 96.    Ibidem.  I. CREMONA, Felice Casorati, in “Primato. Lettere e arti d’Ita-    La rivalutazione del dipinto si pone verosimil-  mente in linea con le volontà dello stesso Casorati: l’o-  pera, che dal 1919 trova collocazione stabile nell’abita-  zione dell'artista, è ripresentata nel 1929 ad una mostra  degli allievi e riprodotta per volere dello stesso mae-  stro come prima tavola nella monografia Scheiwiller.®  Un interessamento che viene letto da Galvano come un  “Segno che una pittura senza volume ed una pittura di  colore sembra ancora a Casorati rivelatrice del senso  profondo della sua arte”.   Le opere realizzate a partire dal 1921 aprono la di-  scussione sulla funzione e l’importanza del colore per  Casorati, che viene ampiamente discussa nel testo e  che caratterizza da qui in poi tutta la monografia come  lettura univoca del decennio successivo. Accanto ad  una premessa platonica, che si confronta nuovamen-  te con le opere Meriggio (1923), Lo studio (1923) e Con-  certo (1924), allontanandole da facili letture estetiche,”  Galvano vede in “quegli slarghi formali” di pittura un  anticipo di “un’esperienza di tono che sarà chiarissima  intorno al 1931-32”.   Contrapponendosi alle interpretazioni — che vede-  vano nella linea e nella forma plastica le caratteristiche  fondanti dell’opera di Casorati — Galvano valuta la pit-  tura del maestro come una pittura essenzialmente di  colore,” spingendosi a verificare le intenzioni dell’arti-  sta e giustificare la scelta di determinati soggetti e for-  me piuttosto che altre, proprio in funzione del colore:  “Vi sono dei quadri di Casorati, e talvolta proprio i più  formali a prima vista, come ‘Daphne”? [...] che non si  afferrano in tutto il loro valore se non riferendoli al co-  lore. Casorati ama le forme semplici perché sono quelle  che permettono al colore di stendersi con la sua miglio-  re ampiezza. È strano come questa semplice verità sia  stata tanto spesso fraintesa, non mancando del resto di  contribuirvi la stessa interpretazione che il pittore ha  dato della propria opera”. Una sensibilità tonale che  porta il critico ad accostare come esempio di ‘“straordi-          lia”, I, 11, 1 agosto 1940, p. 19.   68 ‘è quanto mai significativo a questo proposito il fatto che  il pittore abbia tenuto in tempi recenti non lontani ad esporre, ad  introduzione e quasi chiave di sue opere più recenti, quel ‘Tiro  a segno’ piatto e ritagliato fra tutti che volle anche ad inizio di  queste riproduzioni” (A. GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 24).   69 Ibidem.   70 “Il ‘nudo’ e gli analoghi ‘Concerto’, ‘Meriggio’, ‘Studio’, ci  presentano un mondo che si presta ad essere interpretato in modo  equivoco, come estetistico, da chi non tenga presente che per Ca-  sorati quelle platoniche accolte di figure femminili ignude, anche  se esse presentano molta eleganza, non hanno veramente valore  per questa eleganza ma solo per lo snodarsi ritmico dei volumi”  (Ivi, p. 12). Cfr. (Bertolino, Poli 212, 215, 226).   71. A.GAlvano, Felice Casorati, cit., p. 13.   72 “La forma serve [...] a distruggere la linea ed a passare al  colore: essa è, se si vuole, il punto di partenza, ma è proprio il  colore è il punto di arrivo” (Ibidem).   73. (Bertolino, Poli 328).   74 A.GALVANO, Felice Casorati, cit., pp. 13-14.    34       ARTE MODERNA ITALIANA N.5    ALBINO GALVANO    | FELICE CASORATI       II ed. del volume Felice Casorati, Ulrico Hoepli, Milano 1947.    nario pre-casoratismo” l’opera di Jan Vermeer e di Ge-  orges de La Tour piuttosto che quella di Ingres, riferita  dallo stesso pittore come modello di riferimento alla  propria pittura nel “Referendum sul quadro storico”  del 1929.   A sostegno di questa sua tesi sul colore Galvano  recupera ancora una volta i ricordi dell’insegnamento  del maestro, affrontando questioni di metodo e di pra-  tica pittorica vissuta nello studio dell'artista, dove l’os-  servazione dei modelli veniva condotta non tanto sulla  forma degli oggetti, ma sui valori tonali dei medesimi:    ci limiteremo a notare come quanto resti nel ricordo di  chi è stato alla scuola di Casorati verta essenzialmente  su due punti: l'insieme e il tono. E soprattutto l’insie-  me come forma il più sintetica possibile in funzione del  tono. La forma intellettualistica di un oggetto, proprio  ciò che interessa di più al pittore formale o classico, è ciò  che Casorati consiglia all'allievo di disimparare, la for-  ma che l'allievo deve imparare a vedere il più semplice-  mente possibile è la forma di quella determinata massa  tonale, di quella determinata massa chiaroscurale, non  la forma dell'oggetto.”       75 F. CASORATI, [Risposta al referendum sul quadro storico], in  “Le arti plastiche”, 16 dicembre 1929; ora in Ip., Scritti interviste  lettere, cit., p. 22.   76 A.GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 14. Analoghe impressioni  sì ritrovano in L. RoMAnO, La scuola di Casorati, in “L'Arte”, XXXIII,    La discussione sul colore offre a Galvano il punto  di partenza per affrontare le influenze cézanniane che,  secondo una critica assodata ormai da tempo, avrebbe-  ro avuto un ruolo capitale nell'evoluzione del lessico  pittorico casoratiano, soprattutto per il genere della  natura morta.”   È Venturi, nel 1923,” a offrire per primo quest'in-  terpretazione, individuando nell'esperienza diretta  di Casorati alla Biennale del 1920 (dove, su 28 dipinti  di Cézanne presenti, erano ben sette le nature morte)  il passaggio di svolta tra Le uova sul tappeto verde del  1914 e Le uova sul cassettone del 1920:”? “Le ‘uova’ [...]  del 1913 sono un motivo di bianco su verde, le ‘uova’  del 1920 sono un motivo di forma geometrica solida e  chiara sopra un volume scuro”.8°   Per Galvano, l'avvicinamento al maestro di Aix  è da intendersi come “esperienza più morale che  pittorica”, nella quale l'evoluzione delle sue natu-  re morte rappresenta un processo interno alla pittu-  ra stessa piuttosto che il risultato di quest’incontro:  “[Uova sul cassettone] non si spiega con un riferimento  al costruire tonale del Provenzale nella sua essenza sti-  listica” — puntualizza Galvano - “ma solo col metterlo  In relazione a quello che la pittura di Casorati fu prima  d'allora” 8 Secondo il critico, più che un precedente sti-  listico, la lezione di Cézanne offre la verifica di nuove  possibilità espressive; un punto di vista che trova con-  ferma — più tardi — nelle stesse dichiarazioni del pittore,  che ripercorrono l’incontro con i dipinti alla Biennale  del 1920:    Tutta la grandezza del Maestro di Aix mi si manifestò im-  provvisa. L'emozione che ne provai fu enorme e non fu  un'emozione di sbalordimento o di stupore, che anzi mi  sentii preso da quel senso di calma, di fermezza, di equi-  librio, che solo le opere dei grandi può dare. Equilibrio!  Compresi che nella sua pittura trovava il giusto equilibrio il  problema posto e sviluppato in un senso dell'Impressioni-  smo e il grande opposto risolto da tutta la tradizione; com-  presi l'aberrazione di una certa critica che non si staccava  di insistere sui problemi di Cézanne: capii che proprio, che  Specialmente in quei difetti era il germe della sua grandez-       fasc. IV, luglio 1930, p. 380.   77. Relativamente a questo genere si vedano P. Fossati, Nature  morte di Casorati, in M. M. LamBERTI (a cura di), Casorati. Mostra  antologica, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 27 mar-  ZO - 20 maggio 1990), Electa, Milano 1989, pp. 29-38; G. BERTOLINO,  Dal repertorio di oggetti alle prime nature morte (1910-1920), in ID., F.  PoLI (a cura di), La natura morta nella pittura di Felice Casorati, cata-  logo della mostra (Iseo [Brescia], Sale dell’ Arsenale, 24 maggio-20  luglio 1997), Electa, Milano 1997, pp. 11-22.   78. L. VENTURI, Il pittore Felice Casorati, in “Dedalo”, cit.   79 (Bertolino, Poli 114, 162); relativamente alle opere si veda  In particolare M. M. LAMBERTI, Scherzo: uova (o Le uova sul tappeto  verde) e Le uova sul cassettone, in In., P. Fossati, Felice Casorati 1883-  1963, cit., pp. 62-64; 79-80.    80. L. VENTURI, Il pittore Felice Casorati, in “Dedalo”, cit., p. 254  ù A. GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 33.    Ivi, p. 16.    35    za. Compresi che Cézanne era il pittore della rinuncia e che   la rinuncia era la forza della pittura moderna. Non cambiai  modo di dipingere, ero troppo inconsciamente orgoglioso  per tentare un cambiamento di rotta che non avrei potu-  to fare in alcun modo. Credetti allora di approfittare della  grande lezione di Cézanne proprio irrigidendomi sulle  mie posizioni e cercando solo in profondità.*    La monografia Scheiwiller, pensata per aggiorna-  re la precedente di Giolli, in realtà affronta solo margi-  nalmente la più recente produzione del maestro, soste-  nendo per le opere più prossime la piena attuazione del  proposito coloristico în nuce già nei primi anni Venti.   Ai ricordi della Biennale del 1924, e soprattutto a  quella del 1928,* Galvano contrappone le opere espo-  ste nei primi anni Trenta: per La lezione (1929), Susanna  (1929) e Lo straniero (1930) pone l'accento su come pre-  valgano in questi dipinti “certe note di rossi improvvisi,  il taglio in controluce, il gusto, almeno nei due primi, di  accostare il nudo ad una figura maschile vestita, un de-  siderio di atmosfera serena che suggerisce lontananze  chiare e assolate” .8# Motivi pittorici che, spogliati degli  elementi accessori (come la copertina del “Selvaggio”  nella Lezione o, ancora, le pantofole rosse di Susanna),  trovano un'ulteriore compiutezza in Daphne (1934) e  Ragazza in collina” delle collezioni dei Musei Civici di  Torino, “soluzioni più aneddoticamente umane [...]  dove il motivo del controluce sulla finestra aperta so-  stituisce figure familiari o umilmente umane ai mani-  chini, mentre il paesaggio si fa sereno [...] ricavato da  quei campi di Pavarolo ormai cari all’artista”.*   Come già sottolineato da Maria Mimita Lamberti,  l'apporto di Galvano si dimostra poi piuttosto illuminan-  te nell'individuare nel tema del nudo una possibile linea  di lettura della sua produzione, sino a quel momento tra-  scurata rispetto al genere più discusso della natura morta.       83 Il passo è riportato in L. Caruccio, F. Casorati, quaderni  d'arte del Centro Culturale Olivetti, Ivrea, All'insegna del pesce  d'oro, Milano 1958, p. 22.   84 ‘Noi veniamo dall'esperienza della generazione per cui i  quadri del ‘24 rappresentarono lo scandalo dell'adolescenza che  ancora confondeva la classicità coll’accademismo e che scorgeva  in quei quadtri, visti alle esposizioni colla famiglia deplorante o  pronta al riso di fronte alle stranezze dell'arte moderna, pur qual-  che cosa di inquietante e di tentatore che non si poteva dimenti-  care [...] i quadri della biennale del ‘28 rappresentarono invece  la scoperta del mondo nuovo e spregiudicato che si apriva alla  nostra cultura” (A. GaLvano, Felice Casorati, cit., p. 15).   85 (Bertolino, Poli, 366, 368, 396). Erroneamente Galvano attri-  buisce il titolo Lo studio al dipinto La lezione esposto alla Biennale  del 1930. L’opera verrà distrutta nell'incendio del Glaspalast di  Monaco del 1931.   86 A.GAlvano, Felice Casorati, cit., p. 22.   87 (Bertolino, Poli 531, 592). Galvano, in realtà, indica il secon-  do dipinto con il titolo Estate. Cfr. A. Galvano, Felice Casorati, cit.  p.iz.    88 Ibidem.  89  M.M.LAMBERTI, I nudi nello studio, in Ip. (a cura di), Casorati.    Mostra antologica, cit., pp. 13-28 (13).       Galvano vi riconosce una traccia di continuità che,  a partire dalle Signorine del 1912 (opera che, secondo il  critico, non è da intendersi come “gruppo” ma come  insieme di figure isolate), arriva sino alla Venere bionda  del 1934, “punto di arrivo e di dissoluzione di quello  che si potrebbe chiamare il ‘tonalismo’ di Casorati”:”  secondo Galvano il motivo del nudo in Casorati si  presenta “come figura essenziale, come una forma ele-  mentare, categorica, simile a quelle delle scodelle, delle  uova, dei libri”, caratteristiche che, alla pari dei sem-  plici oggetti che popolano i suoi dipinti, permettono  quegli “slarghi formali” di pittura, oltre alla “possibi  lità di un tono uniforme”? capaci di confermare la sua  sensibilità di colorista.    III.    A distanza di sette anni dalla pubblicazione la  monografia di Galvano su Casorati viene ristampata,”  aggiornata in alcune sue parti e rivista totalmente per  quanto concerne l'apparato iconografico. È il 1947.   Tra la prima uscita e la riedizione, l’interessamen-  to che il discepolo dimostra nei confronti del maestro  è continuo e si attesta già dall'inizio del 1941 con mo-  dalità simili a quelle che avevano contraddistinto il    suo precedente impegno sulle riviste nazionali. Vi si    affiancano però nuove prospettive lavorative. Proprio  nel 1941, accanto alla sua attività di pittore e di critico  (che in questi anni, oltre alla corrispondenza per “Em-  porium” e alla collaborazione per “Il Selvaggio”, si  amplia con due contributi sulla rivista “Le Arti”) Gal-  vano è impegnato nella nuova veste di assistente alla  cattedra di “Pittura” di Enrico Paulucci presso l’Acca-  demia Albertina di Torino, assegnata contestualmente  anche a Felice Casorati per l'insegnamento di “Com-  posizione pittorica”. Incarichi che vengono entrambi  costituiti ad personam dal Ministero dell'Istruzione nel  contesto dei provvedimenti avviati da Bottai a favore  delle Accademie artistiche. Sono questi, inoltre, gli  anni nei quali Galvano va consolidando una sicurezza  economica stabile — tanto auspicata negli anni Trenta —  grazie all'insegnamento nelle scuole superiori: prima  come professore di figura disegnata nei licei artistici  piemontesi e poi, dal 1942, come docente di filosofia e  storia nei licei classici e scientifici.   La mostra Casorati Menzio Paulucci, inaugurata nel  novembre del 1940 alla Galleria Cigala di Torino, è l’oc-  casione per tornare a parlare di Casorati sulle pagine di    90 A. GaLvano, Felice Casorati, cit., p. 18; cfr. (Bertolino, Poli  501).   sa: «Ivi, p. 20.   92 Ibidem.   93 Ip, Felice Casorati, Arte moderna italiana n. 5, Serie A - Pitto-  ri - n. 4, Ulrico Hoepli, Milano 1947.   94 Cfr. F. Darmasso, Casorati e l'Accademia Albertina, in M. M.  LAMBERTI, P. Fossati, Felice Casorati 1883-1963, cit., pp. 199-205.    36       Copertina e pagine del volume Tre nature morte. Casorati Menzio Pau-  lucci, Carlo Accame, Torino 1942.    “Emporium”, presente in questa circostanza con due  pittori torinesi protagonisti della scena artistica citta-  dina (reduci entrambi dall'esperienza del gruppo dei  “Sei” ), sicuramente vicini a Casorati ma mai allievi di-  retti del maestro: il quarantaduenne Francesco Menzio  e il più giovane (di poco) Enrico Paulucci, con il quale  Casorati ha intrapreso da tempo un rapporto di stretta  collaborazione.”   Il sodalizio dei tre artisti, che non vuol essere un  principio di ricerca comune ma piuttosto un impegno  di politica culturale condivisa, si ripropone più tardi,  in modo analogo, con una mostra allestita alla Galleria  Genova del capoluogo ligure nel febbraio del 1942. La  circostanza è anticipata da una pubblicazione autono-  ma di Galvano, intitolata Tre nature morte e stampata  dalla tipografia Accame di Torino (che pubblica, nello       95 A. Galvano, Casorati, Menzio, Paulucci, in “Emporium”, XCI-  II, 554, febbraio 1941, pp. 93-95.    Stesso anno, la monografia su Casorati di Italo Cremo-  na), in un elegante edizione in folio che riporta come  Sottotitolo i nomi dei tre pittori torinesi.’ In questa oc-  casione — che si propone di presentare sinteticamente  tre opere dei rispettivi pittori, con tanto di riprodu-  zioni a colori — Galvano sceglie la natura morta come  genere esemplificativo della produzione degli stessi.  Un'operazione che nell’introduzione viene definita  come “didattica”” e che si pone in aperta polemica nei  confronti della tendenza a considerare questo genere  come motivo poco adatto alla pittura moderna: “ad  Ogni esposizione abbiamo sentito deplorare l'eccessiva  presenza di nature morte o esaltare per il loro scom-  parire di fronte ai quadri di figura”. Una difesa per  l'autonomia e dignità del genere pittorico, che non si  risparmia nel chiamare in campo i precedenti noti di  Cézanne, Manet ed ancora Renoir.   La questione, in realtà, non è nuova, ma prende  le mosse da un pensiero espresso dal maestro quasi  quindici anni prima, che rappresenta verosimilmente il  pretesto per il contributo di Galvano, che mostra que-  sto taglio così inaspettato. Sulle pagine del quotidiano  torinese “La Stampa”, Casorati lamentava nell’artico-  lo La crisi delle arti figurative i medesimi problemi di  accettazione della natura morta da parte di pubblico  € critica, con presupposti che sembravano essere gli  stessi avanzati ora da Galvano nella sua introduzione:   Ho sentito dire ed ho letto purtroppo parecchie volte  questa frase: troppe nature morte, troppe mele, troppi  aranci, troppi pomodori ecc. [...] poveri oggetti, [...]  vo1 siete i modelli più docili e più esigenti degli artisti  [...] Nei momenti più disperati della mia vita di arti-  Sta, io ho potuto riconciliarmi con la pittura dipingen-  do umilmente una scodella, un uovo, una pera”.?   . La scelta della natura morta casoratiana — vero-  sImilmente selezionata da Galvano — ricade su Le pere  verdi del 1941,!% presentata probabilmente per la prima  volta in questa sede: un’opera che gli permette di riba-  dire il principio coloristico sostenuto nella monografia  del ‘40, che viene qui chiarito con un'attenta analisi          96 Ip., Tre nature morte. Casorati Menzio Paulucci, Carlo Accame,  Torino, 1942.  97 “La presentazione di ‘Nature morte’, dovute a tre fra i più  autentici pittori operanti oggi a Torino, potrà anche apparire, ed  essere criticata, come una iniziativa a carattere tendenzioso e po-  lemico. Non sarà forse il caso di affermare che essa ha piuttosto  un intento didattico? E proprio di educazione del pubblico: degli  intelligenti (almeno in potenza, chè degli ostinati per limitazione  Naturale di possibilità, per passione di parte o per difficoltà di  Sclogliersi da presupposti culturali privi di validità non occorre  Hr a comprendere le ragioni per cui, su di una falsa impo-  azione di presupposti, può passare per atteggiamento polemico  9, peggio, di conventicola, il semplice intento di chiarificazione  Intellettuale e critica” (Ivi, p.n.n.).  8 Ivi, p.nn.  "i F CASORATI, La crisi delle arti figurative, in “La Stampa”, 29  ra raio 1928; ora in Ip., Scritti interviste lettere, cit., pp. 19-20.  (Bertolino, Poli 682).    CY    della sua pittura (non priva di tecnicismi del mestie-  re), che si concentra sui valori tonali e sugli accordi  cromatici presenti nel dipinto, che sottendono sempre  — secondo Galvano — a problemi ed equilibri di natura  compositiva:    Sul fondo rosa e paglia un accordo di due verdi: crudo e  spento, e le chiazze rugginose e calde della putredine che  intacca i frutti; solo dal colore prende realtà il fascino di  questa natura morta, eppure il colore qui non evocherà a  nessuno la categoria della ‘forma aperta’ o la scioltezza di  un pittoricismo abbandonato: chè Casorati è anche ora il  pittore delle forme assolute e degli elementari geometrici,  ma il colore ne rivela, per distinguersi dei campi continui e  dilatati, la purezza, anzi il purismo, di impaginazione e ce  ne propone la più castigata presenza.   [...] i colori si subordinano ad una ragione compositiva  a priori [...] in essa si giustifica quel disporsi graduale di  intensità pittorica che può far apparire persino sordo (e  tale veramente sarebbe se non servisse a concentrare ogni  attenzione sull’interno ordinarsi del gruppo centrale, ma  pretendesse di disporsi sul medesimo piano di ‘bel colo-  re’ dei toni vicini) il colore locale; necessario a staccare nel  castigato e serrato gioco compositivo della frutta ritagliati  sul fondo chiaro, dove più i toni non si distinguono nella  vibrante luminosità, la bruciata profilatura delle foglie.!®!    Di respiro ben diverso, invece, è il contributo Fe-  lice Casorati (e i torinesi) apparso un anno più tardi, nel  1943, sulla rivista “Pattuglia” di Forlì.!® Nel numero di  maggio-giugno, dedicato interamente alle arti figura-  tive e curato da Giovanni Testori, Galvano traccia un  bilancio della situazione artistica torinese: accanto a  considerazioni su Casorati in linea con la monografia  Hoepli del 1940, abbandona i ricordi della scuola di via  Galliari proponendo una lettura totalmente rinnovata,  alla luce dei più recenti sviluppi espositivi. Menzio e  Paulucci rappresentano qui (insieme agli altri “Sei”,  che però non vengono nominati) i “giovani pittori che  si erano stretti intorno a Casorati” e che, seppur non  direttamente allievi dell'artista, non “rinnegavano il  debito contratto col primo ideale maestro, né erano da  lui sconfessati: anzi la stima, l'amicizia e la valutazione  dei diversi ed ugualmente validi risultati, da parte del  più anziano rimanevano intatti od accresciuti”."° Una       101 A.GALVANO, Tre nature morte. Casorati Menzio Paulucci, cit., p.    n.n.  102  In., Felice Casorati (e i torinesi), in “Pattuglia”, 7-8, maggio-  giugno 1943, pp. 15-16. La rivista, mensile del Guf di Forlì, viene  inaugurata nel 1941 e riporta nel sottotitolo la dicitura “Mensile  di politica, arti e lettere”. L'articolo di Galvano viene pubblicato  nell'ultimo numero della rivista, curato Giovanni Testori e in-  titolato “Omaggio alla pittura”, che si proponeva di fornire un  bilancio dell’arte italiana del ‘900. La rivista viene interrotta e se-  questrata da Mussolini per i suoi contenuti non in linea con le  direttive -in campo figurativo- imposte dal regime.   103 Ivi, p. 16.    07 ee    (E I TORINESI)    E condizioni che determinarono a To- ‘20: sei anni dopo l'altra polemica fra  rino l'orientarsi della pittura degna L. Venturi, a proposito del  di quest'ultimo,       di eu- proposito del valore positivo  tentici pittori. Condizioni in cui la eri. tivo delle influenze parigine sull'arte  tica ai pose di per se stessa come po- —ita'iana non ebbe significato diverso. Ora  lemica: © in cui da polemica fu l'one- —P. Gobetti e L. Venturi furono appunto  stà stessa della critica. La guerra del tra | primi ad esaltare l'opera di Ca  14-18 era terminata. Lo stile «libe- sorati. A dispetto danque delle av  ty » in architettura, il neo-pre-ralfuel- versioni del borghese e delle ammira  lismo tipo «In arte libertas» da cui zioni dell'aggiornato, che esalta insie  pure avevano mosso î primi passi pit- e Carrà 0 © Casorati, l'e  tori validi come Modigliani e Spadini figurativa di quest  uveva esaurita ogni pretesa alla forma- —srebbe un significato diverso, e in certo  zione di una coscienza figurativa nella senso opposto, n quello in cui si è  banalità di un'acquiescenza in cui i svolta la comune esperienza della più  fermenti di possibilità che più tard' vi viva pittura italiana? In parte si deve  scoprirà l'accorto senso del « perver- rispondere affermativamente  pEr eg sai 16 gin   lettuale per quello Hgurativo sano  ogni evasione dal fatto pittorico, E che sioo al 1928 la pittura di Casorati  quanto per queste esperienze avveniva —anche nelle punte di estrema avanguar-  ordine a le possibilità della linea cur- —.ija come in certi distrutti. di-  me di questo è quel complesso frea- —pinti, n quanto si dice. sotto l'influenza F. Casorati: “Ragazza,. (1937)  diano avveniva, in modo anche più vol- —gel gusto di Kandiski, cerca i proprii  gare è fatuo, mancati Sant'Elia e Boocio riferimenti non in un mondo mediterra-  : ma in uno nordico {quasi a fedeltà    i  H  È  È;  i    figurativo di Martino Span-  Torino poi: Thover seguitava a eredere viti e di Defendente Ferrari che guard    Memet o di Bestlovea, a confeadero assai più che quello, volto verso il       l'eleganza lineare di Modigliani con di Gaudenzio), non in un'umanità  l'imperizia del bambino (e se mai si assertrice di proporzionata statura mul  sarebbe dovuto rimproverargli un'ele- rondo det orizzonte, ma nel  panza sin troppo vicina » preoccupazio- tormento di sentirai oppressa da È  ni ostetistiche e contenutistiche simili amine mirror  quelle che limitavano fl eritico) inau- ciò di dramma per la propria persona,  guraodo quella tradizione di contenu- in quanto finita, Il sottile Tinguaggio  tismo ad oltranza e di cauto e garbato, formale, la ricerca d'equilibrio compo-  ma fondamentalmente deciso, « fin de sitivo, l'astratto rigore della sintesi po-  non recevoie » mel riguardi di una vi- Loveno sì! suggerire, insieme @ certo  conda pittoricamente valide a cui si at- codenze illustrative (i libri aperti, i  tiene con un'ostinazione che ha per io csrtigli) o agli accorgimenti ‘tecnici,  meno 2 merito della consequenzialità come l'uso della tempera verniciata, ri-  quel poco di csi valga la pena di (91 —rorimenti al quattrocento, mostro. sn  menzione della critica d'arte del quo- non poteva sfuggire ad ‘una  tidiani oggi ancora a Torino. più accorta l'assoluta continuità spi-  Un panorama, come si vede, sostan- rituale che legava il mondo d'allusioni  rialmente simile a quello del resto crepuscolari è le eleganze cstotizzanti  d'Italia, in cui tuttavia, in quegli delle « Vecchie» o delle « Signorine»  anni dell'immediato dopoguerra, Tori. attraverso 1 paradossi pseudoformali  ba ipo ipa delle « Scodelle » è delle « Uova » nella  maniera particolare e gerto senso, doppia redazione, a tappeto ed s vo-  fispetto al resto d'Italia, polemica, su tume. a questo muovo mondo di non  di un doppio piano, intellettuale e figu: —1meno quintessenziate definizioni umane  Rene a pi o spaziali, anche se nel silenzio di  IO) essere esemplificata PO quelle quinte prospettiche ora quei pro-  sizioni reciproche de «La Ronda fili proponessero le loro cadenze non  di « Rivoluzione Liberale ». Cinscuno più per la via analitica dei compisci  vede quanto diversi gli orientamenti menti particoleristici, ma per quella  umani e culturali. Ma è tipico che pro? —delle sintesi ellittiche.  prio fra Cardareti un'occe. Eppure una così diversa afferma-  sione polemica, sul Leopardi, portò a zione in ordine a scoperte pittoriche,  una discussione do andava ben una tanto dialettica decisione nel de-  oltre i termini della cortesia. Siamo nel finire il proprio mondo indipendente. F. Casorati: “ Bambina. (1932)    Felice Casorati (e i torinesi), "Pattuglia", 7-8 maggio-giugno 1943.    lettura della scena artistica cittadina che esclude total-  mente i primi discepoli dell'artista — che continuano  nel frattempo a dipingere ed esporre, non solo a Torino  — preferendo invece soffermarsi poi sulle “anomalie”  figurative (intese rispetto al tracciato casoratiano) pro-  poste da Luigi Spazzapan e Italo Cremona.   Il rapporto tra allievo e maestro, che è innanzi-  tutto di amicizia, rimane solido negli anni a seguire,  nonostante le scelte di Galvano si avviino, nel frattem-  po, verso un fronte non figurativo della pittura, che lo  vedono abbracciare l’astrazione ed aderire nel 1950 al  Mac (Movimento Arte Concreta), fondando insieme  ad Annibale Biglione, Paola Levi Montalcini, Adriano  Parisot, Carol Rama e Filippo Scroppo la sezione tori-  nese del gruppo.   Accanto alla sua attività di critico militante, più  orientata verso le verifiche nel frattempo ottenute con-  testualmente in pittura, tornerà solo raramente ad inte-  ressarsi di Casorati, soprattutto in occasione di letture  complessive e bilanci di un'epoca, che sembra ormai  essere lontana nel tempo.!%       104 Cfr. A. Galvano, Felice Casorati, in S. CAIROLA (a cura di),  Arte italiana del nostro tempo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche,  Bergamo 1946, pp. 18-20; In., La pittura a Torino dal '45 a oggi, in  “Letteratura. Rivista di lettere e di arte contemporanea”, 43-45,  gennaio-giugno 1960, pp. 55-76; ora in Ip., La pittura, lo spirito e    38    mente da ricerche solo per certi riguar- questi sforzi di giovani della cultura mona, Anch'egli amico di Casorati: ma pre riuscito a cogliere il momento di    di parallele, grazie all'autenticità della universitaria e in tutt'altra la lezione che ne ha appreso. spontanen concretezza pittorica. Senza  realizzazione figurativa è della schiet ritorno! Un rigore, un'incisività, un'analitica nì- che del resto questo gli abbia impedito  tezza di linguaggio fantastico da essa Nacque così il gruppo dei «Sei»: —tidenza di segno, una predilizione per quell'accorta coscienza teorica della po-  presupposia, s'inseriva nel dialogo della —Menzio, Chessa, Levi, Paolucci, Galanta —quei profili nettissimi che gli permettono sizione di gusto in cui il suo mondo fi-  italiana di quegli anni con una © Jessie Boswell.,Fntro e fuari le vi- di dare evidenza allucinante di inganno gurativo sì determina e del rapporti di  validità di proporzioni che tuttavia man. —cende del gruppo, Francesco Menzio isivo alla riproduzione dei i og- esso col movimento «surrealista», (di  tiene integro il valore dell'esperienza risultò allora e tale si mantiene, come i: distribuiti poi questi in un ardine cui, per una curiosa ‘e significativa  » a della la personalità più dotata che fosse ap- di fantasia di rara coerenza suggest vicenda gli interessi destati a Torino  memoria 0 più rigorosa- parsa, da Casorati in qua, fra i pit- rispondere a furono proprio nella cerchia dei col  monte impegnata in un bilanelo della tori torinesi. Un mondo di compiaci- più profondamente che gene- laboratori dell'originariamente  pittura. Tutti da « Fanciullo ad- —menti delicati, di edonismo controllato —rano l'inquietante mondo delle ansocia» sano» Seleaggio, per brev'ora torinese  dormentato » del "21, allo « Studio » del —© schivo, sceglie usa sun umanità d'ele- i oniriche e dei senza si ppunto, sino alle recenti realizzazioni  122, al « Concerto » del ‘24. ne henno zione in volti di giovani donne 0 di gnilicato, dei soprasensi di cui non si itettoniche, nella sede della società  nti i risultati più vivi. Poi el si bambini. Da questo punto di partenza —dà lettura , ma « cl Ippica di Carlo Mollino) che tatti 1 suoli  hnocorse che i valori di tono e di ero appena le due esperienze opposte, ma frata» per via di quegli emblemi pit- lettori conoscono,  ma erano pur utilizzabili în assai più —concordanti nella dissoluzione di ogni e- —torici in cui però Cremona è quasi sem- ALBINO GALVANO  concreto discorso di quanto non si lamento estrinsecamente contenutistico,  facesse dagli epigoni del peggior otto- del rigoriamo formale casoratiano in-  cento. Si affermò che i Macchiaioli tu- torno al ‘23, e del fervore cromatico de  rono fra gli artisti autentici della no- gli impressionisti intorno al ‘29 per- ===  stra tradizione; si riconobbe che un ar- —misero a Menzio di scontare in puro  tista ostile o almeno appartato di fron- sollecitazioni pittoriche quei dati del  te a ricerche futuriste, metafisiche © sentimento, si defini una visione tanto  neoclassiche era un grande pit- personale quanto coerente dove la mu  i si riscopri l'im- sicalità del colore e la freschezza del  pressionismo. Îl necclassiciamo, nel    È  È       «po  vecento » milanese, che qualcuno git si che delicati non impedirono, anzi fa-  definiva nooromantico, sì innestava, con vorirono lo spiegarsi di una confes-  Tosi, in una tradizione di pittura a- —sione umana piena di melanconica no-  perta. Soffici non più cubista predicava —biltà nel reiterato e come ansiosamento  ed esemplificava un ritorno alla natura interrogato indagare intorno alla con-  in cui l'esperienza di Cézaane non eselu- sistenza pittorica di quelle persone di  deva quella di Fattori: a Torino, do- drumma, così sottilmente lirico e di  ve già ‘intorno a Casorati una scuola cosi pausate parole, che si muovona  tendeva a ridurre a grammatica il sua nelle composizioni famigliari di Menzio.   figurativo, attraverso l’inse- Tanto Casorati che Menzio del resto  guamento universitario, Îl mecenatiamo —qutt'altro che paghi o chiusi nell'au  di un collezionista, i più rapidi con- tosoddisfazione: anzi entrambi sempre  tatti con Parigi, rapporti col gruppo sofferenti dei limiti 0 della  milanese di Persico anch'esso partito —contiagenti stanchezze che potessero cc-  in battaglia contro il neoclassicismo, appannare il gelido speo-  la lezione degli impressionisti fu at- chio di formalismi eidetici del primo,  tinta direttamente ai grandi modelli: ©  Manet, Renoir, Cézanne, in un preciso pida dell'altro. inquietudine che ci spie  senso importante due notevoli carollari). ga il piegare verso più riscntite ao Enrico Paolacei: * Piazza Navona ..   l'affermazione che Cèzanne non meno nitide pro-  veva reagito all'impressioniamo, ma lo filature lineari di Casorati dopo il ‘30,  veva continuato e che perciò la tradi- —come le | ritorni, e, meno  zione più viva di movimento an- , da monotonia le ripetizioni  dava proprio cercata in quel discorso —1delle cose meno valide di Menzio. ln  rapido ed atmosferico si, ma tutt'al. modo assai diverso, ina con accanita  tro che occasionale e vedutistico che era commovente dedizione ad un'ideale  stato proprio dei pittori che abbiamo di pura pittura che escludesse tanto  citato piuttosto che dei Monet, dei Pis- ogni intrusione intellettualistica  quento  surro, del Sisley. Secondo: che quel- ‘ ogni dispersione decorativa Enrico Pao  l'adesione all'impressionisno non po. Iucci è venuto sempre più approfon  teva che importare, da una parte, con- dendo una visione grata © improvvisa,    Van Gogh al più libero «fsuvinmo », rivivere il gusto degli impros-  che-dn qualche modo e sia pure unilate; sionisti, proprio di questa fase della  ralmente, il linguaggio di Cizanne ave- pittura torinese, possono essere riat-  ivano continuato, Gli strilli dei varii taccati, in senso diverto, Piero Mar-  Ojetti per i «salti in lunghezza da tina, temperamento delicato di colorista  Giorgione n Braque » naturalmente non eu cui è stata decisiva l'influenza di  si contarono! Ma intanto quello che te nf gie gi  importava fu che la esemplificazione cento personale una trepida, ©  vitale dei frutti di quest'esperienza cul- come smorzata, elaborazione di ogni da-  turale fosse data proprio da quei gio- to tonale degli oggetti, e Luigi Spazza-  vani pittori che sì erano stretti intorno pan la cui origine è le cui esperienze  è Casorati, pur non più così ragazzi istriano diedero ad una veramente pro  da diventar suoi allievi nel senso sco- digiosa capacità di trasfigurare |pit-  lastico della parola, © che ora nell'inì- —1toricamente, attraverso la rapidità della  ziare un lavoro diversamente orientato, —acchia e del segno, ogni dato ogget-  e vano il debito contratto col tivo una truculenza cspressionistica re-  primo ideale macatro, nè erano da Jui =—mota dal raccoglimento degli altri to-  sconfessati: anzi la stima, l'amicizia rincsi e dalla pacata visione dell'im-  © la valutazione dei diveral ed ugual. =—pressioniamo. È di questo suo pecu-  mente validi risultati, da parte del —liare atteggiamento ci restano molti mo-  più anziano rimanevano intatti od ec- menti d'espressione mirabile, speci       cootrapporre ai della mano facile è dell'illustra  < incomprensioni fra chi incegue un me- tone occasionale.  desio sforzo d'arte, ala pur attra- Opposta invece, per intento e per ri  verso divergenti esperionze di gusto. È all'impressionismo l'esperienza    i sultato,  altrettanto si può dire dell'attenzione a —Dittorica inieressantiesima di Italo Cre- Francesco Menzio: ‘ Ritratto ,,    Nel 1963, alla scomparsa del pittore, Galvano  traccerà un ricordo del maestro, a margine del catalo-  go della 14° mostra d'arte contemporanea di Torre Pelli-  ce. Non più il colore o il tono, ma quei valori umani  e di rispetto per le diversità appresi durante gli anni  di via Galliari animeranno, in conclusione, questo suo  “omaggio” di discepolo: “poiché fu anche la coscienza  di questa libertà, prima ancora morale che estetica, che  da Felice Casorati alcuni di noi ricevettero come l’inse-  gnamento più prezioso, ci è caro chiudere col richiamo  ad esso questo saluto al Maestro. Chè le sue opere par-  lano, per il rimanente, senza bisogno di commento”!°.    il sangue, a cura di G. Mantovani, Il Quadrante Edizioni, Torino  1988.   105 A. GaLvano, Omaggio a Felice Casorati, in 14° mostra d'arte con-  temporanea, catalogo della mostra (Torre Pellice, Collegio Valdese,  3 - 28 agosto 1963), Tipografia Subalpina, Torre Pellice 1963.    Gli occhi fervidi e il sapore di cenere    Albino Galvano: Decadentismo, Simbolismo, Art Nouveau    Adriano Olivieri    Approssimarsi all'opera letteraria di un uomo di  cospicua cultura quale fu Albino Galvano, significa  penetrare in una eletta densità speculativa sorpren-  dente se commisurata a un intellettuale defilato in vita  e ricorrente oggi nella ferma e attenta riflessione di  pochi storici. Come ebbe a dichiarare Galvano stesso  In una autopresentazione del 1980, non gli si perdonò  l'ambiguità di essere scrittore e pittore aggravata dalle  stigmate dell’intellettuale, categoria in cui finì suo  malgrado per giovanile quanto vocazionale passione  per la cultura. Proprio nell’ambiguità, nel marcare un  confine ideologico sottile, ordinandosi orgogliosamen-  te in disparte insieme alla generazione degli eclettici  Cremona, Mollino e Maccari, ci pare che Galvano  trovi un eccentrico terreno di appartenenza sul quale  edificare una propria filosofia personale sistematica-  mente relata all’erudizione antropologica, filosofica,  religiosa e pedagogica. Formazione altresì integrata  agli interessi misteriosofici - Galvano stesso ebbe a  definire le proprie opere “evocazioni esoteriche”  — vagamente connessi alla cultura torinese d’inizio  secolo e, in modo maggiormente probante, con lo  Studio di Casorati in via Galliari dove conobbe Daphne  Maugham che, dopo avere respirato l’aria mistica della  parigina Académie Ranson, si era trasferita a Torino  dove la sorella Cynthia con Cesarina Gurgo Salice,  Bella e Raja Markman si dilettavano già, oltre che di  danza, di teosofia. Redattore e pubblicista prolifico,  Galvano — che inizia allora ad interessarsi a Rudolf  Steiner e Madame Blavatsky — batté gli argomenti  indigesti alla cultura del suo tempo facendo di sé un  Intellettuale atipico che, come ricordava Sanguineti,  ISpirò idee ereticali nei propri allievi. Autore di pochi  libri, che punteggiarono una carriera meno prodiga  di quella del compagno di studi liceali Argan, nel  1932 conobbe Lionello Venturi che lo accolse come  collaboratore de “L'Arte” facendogli inoltre pubblicare  alcuni studi sulle civiltà extraeuropee?.   L'equivocità tra critica militante e pratica pittorica  fu un banco di prova sul quale verificare, tra continui  rilanci e azzardi, la reciproca tenuta delle parti. In  questo assiduo riversarsi delle specificità discipli-  nari consiste per Galvano il senso estremo della sua  Pittura, votata alla vanità dell'atto privato, smagata  da Ogni velleità economica e promozionale ma cro-  S!uolo rovente dal quale estrarre i concentrati succhi    di un'urgenza creativa. L'incessante ritorno all'arte  . ni n GALVANO, La pittura a Torino dal ‘45 a oggi, in “Letteratura”, I,  “n 0, p. 99-76. Poi in: “La pittura, lo spirito e il sangue”, P.MAN-  ia la cura di), Il Quadrante Edizioni, Torino, 1988, p. 155. Poi  R i ALVANO, Diagnosi del moderno. Scritti scelti 1934-1985”, A.  UFFINO (a cura di), Nino Aragno Editore, Torino, 2018, p. 393.    | L'arte egiziana antica, Firenze, 1938; L'arte dell'Asia occidentale  centrale, Firenze, 1939; L'arte dell'Asia orientale, Firenze, 1939.    39       è,    Al Liceo Gioberti di Torino, 1961-62.       dA EdO a  ad.    come artificio, come fare in sé autosufficiente, fu per  Galvano un difettivo rimedio all’insanabile scissura  della natura umana divisa tra spirito e materia, tra  razionalità e intuizione, e un’imperfetta occasione  di confronto tra individui sul piano partecipabile ed  empirico dell'immagine che, pur sempre aderente  alla condizione fabrile, trova la propria natura più  autentica nell'essere essa stessa divisa tra creazione  e imitazione. L'attività poietica, l'agire sulla materia  intesa sui presupposti estetici gettati da Alain (pen-  satore scomunicato da Croce), sottrae il discorso di  Galvano dall’osservanza teoretica idealistica come  dall'impegno etico esistenzialista e, abrogando di  fatto la condanna platonica dell’arte, accetta il va-  lore estetico come simbolo del “male”. L'arte trova  allora la propria eretica ragion d'essere nella forma  materiata, così come l’idolo o il feticcio sarebbero la  divinità in presenza e non l’ipostasi divina. Per questo  la pittura per Galvano rappresenta enigmaticamente  il “dio visto di spalle”. Quando Mosè chiese al Signo-  re di mostrargli la sua Gloria il Signore gli rispose:  «Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e  proclamerò il mio nome” [...]. Soggiunse: “Ma tu  non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo  può vedermi e restare vivo [...]. Tu starai sopra la  rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella  cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò  passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle,  ma il mio volto non lo si può vedere”». L'espediente  divino narrato nell’Esodo biblico?, fatto laicamente       3 i La Sacra Bibbia, cap. 33, vers. 19 e segg.       Cesare Saccaggi, Alma Natura, Ave!, pastello su carta applicata su tela, 68x125 cm., 1898, GAM Torino.    reagire con esperienze disposte alle “proiezioni”, tra  cui l’idea del dio pagano che non tace non parla ma  accenna, sarebbe da intendersi per Galvano — che si  era laureato presso la facoltà di magistero di Torino  discutendo con Gambaro e Abbagnano una tesi su  “La pedagogia della religione” — come metafora  dell'immagine (il “dio visto di spalle” appunto), quale  unica possibilità mondana di riconquistare l’unità  primigenia dell’uomo. L'azione esercitata dall'artista  nelle condizioni oggettive della materia è, più di una  tecnica operativa, un’alchimia - ai filosofi Galvano  preferisce Jean Baptiste van Helmont e Cesare Della  Riviera — che permette il verificarsi di un'unione  tra l'esperienza concreta bloccata nell'immagine e  l’'epifania del dio inteso non in senso devozionale.  Sì tratta in sostanza dell’allontanamento dall'idea  crociana di un'arte che esisterebbe autenticamente  solo nell’intuizione e non nella funzione estrinsecante  della materia. L'arte sfugge così al concetto di rap-  presentazione candidandosi come opportunità che  contemporaneamente apre allo sguardo rinserrandosi  nell’enigma, nella manifestazione del trascendente.  Galvano percorrerà incessantemente questa terra di  frontiera: come filosofo, come storico, come pittore.  Prodromo del percorso pittorico fu l’alunnato  presso Felice Casorati, scelto peril linguaggio sufficien-  temente decantato, sintetizzato e affrancato dal dato  naturalistico per mezzo di un'operazione intellettuale  capace di conferire un ordine platonico agli oggetti  dispensati dalla polverizzazione cromatica impressio-    40    nistica. Una lezione estetica essenziale quanto l’austero  contesto della scuola. Esemplarità che si concretizza  inunalto profilo morale e umano che Galvano ritiene  in dissolvimento nell'arte moderna con la quale si  conclude un ciclo plurisecolare aprendosene un altro,  tumultuoso nel bene ma anche nel male, dal quale si  sentì definitivamente estraneo dall'inizio degli anni  Sessanta. Il mondo del secondo dopoguerra sarebbe  affetto da una crisi di moralità alla quale potrebbe  unicamente fare fronte una presa di responsabilità  politica, artistica, religiosa, speculativamente limpida  ed esente da posizioni compromissorie e accomodanti  come quelle sostenute dagli artisti che vogliono salvare  i valori della tradizione pur dichiarandosi moderni.  L'intera modernità e l’idea stessa di progresso tecnico  aGalvanorisultano ree di edificare, intorno a un fulcro  di ragioni economiche (Marx) e sessuali (Freud), un  presente depauperato dall’opportunità della variazio-  ne imprevista. A una totalità di costruzione legata alla  forma, tipica del Medioevo, si avvicenda insomma  una totalità d'impiego legata allo scopo, decisamente  avvilente come comproverebbe per inverso il moder-  no carattere apologetico della narrazione tecnica e  scientifica. Giudizio estendibile al fatto estetico per  cui all'arte come atto fabrile, tipico del Medioevo,  si avvicenda l’arte come atto intellettuale, peculiare  del Rinascimento e dei secoli successivi fino al XVIII.  Seguirà il periodo reazionario e tradizionalista del  Romanticismo, caratterizzato dal recupero program-  matico degli archetipi (Jung) medievali ma rivissuti    Per un'armatura, Edizioni Lattes, Torino, 1960.    Senza il contesto sociale entro il quale quegli ideali  Sl erano formati. La spontaneità medievale diviene  nel Romanticismo programma culturale e come tale  sarà ereditata dal Decadentismo e dal Simbolismo,  il Soggettivismo dei quali impronterà di sé l'Espres-  Slonismo. Le avanguardie appaiono dominate dalla  pulsione oppositiva alla tradizione elevando a sistema  l'efficienza produttiva di un “nuovo” codificato come  autoreferenziale, programmatico e inintelligibile ma  ‘ncapace di emanciparsi dal dato naturale nonostante  esaurirsi dell'esperienza storica dell’arte illusiva. Gli  €pigoni dell’astrazione storica, i concretisti, sarebbero  Invece esonerati da questa soggezione insieme alle  Tetoriche idealistiche riuscendo, in piena ricostruzione  etica e umana, a calarsi completamente nel dato resi-  duale figurativo, ossia all'evidenza del fatto pittorico.  Fu l’esperienza che Galvano intraprese dal 1948 al  1953, con l'adesione alla branca torinese del MAC,  €sauritasi per lui nella spontanea affermazione delle  forme curvilinee tipiche del Liberty su quelle rette e  Spigolose dell’astrazione concretistica.   In una sorta di personale contropartita agli inte-  lessi spiritualistici e antropologici, Galvano pensa a    41       Artemis Efesia, Edizioni Adelphi, Milano, 1966.    un'arte come luogo del verificarsi del mito capace di  portare a definitiva decantazione la sua inclinazione  espressionistica (rubricata dal Pallucchini) estraendo-  ne la forza panica trasfigurata in una rinnovata spinta  metafisica. Sein ambito artistico risulta evidente come  egli abbia risolto insé l’apprendistato casoratiano non  assorbendone che un clima d'insieme, metabolizzando  l'aspetto decadentistico della pittura del maestro celata  sotto la rigorosa adesione a una norma di cristallina  evidenza estetica ed etica, sul piano dell'esercizio  critico volle incrinare dialetticamente il sapere con-  solidato al fine di cogliere unitariamente il senso più  autentico della modernità. Accostandosi ai testi suoi  maggiori, nei quali dispiega un cospicuo sforzo storico  ma editati in un periodo a loro sfavorevole — “Per una  armatura” (1960) e “Arthemis Efesia” (1967), si hala  sensazione di essere dinanzi a un affascinate quanto  indefinibile prodotto letterario —saggio, disquisizione  filosofica, colta divagazione, eccentrico soliloquio,  introspezione analitica — che, pensando alla continua  permutazione tra scrittura e pittura, indurrebbe a  pensare a una creazione letteraria con statuto indipen-  denteecreativo rifiutato da Galvano incline, viceversa,    a una critica intesa come emanazione di un'attività  immanente all'atto creativo. Permane tuttavia l’eco  dell'idea crociana della storiografia e della critica che,  pur non aggiungendo nulla all'opera ma limitandosi  a sancirne la validità poetica secondo l’idea del philo-  sophusadditusartifici- contrapposta all'idea dell’artifex  additus artifici sostenuta da Gabriele D'Annunzio e  Angelo Conti sulla scorta di John Ruskin e Walter  Pater -—, attribuisce facoltà filosofiche e artistiche alla  soggettiva sensibilità intuitiva dello storico.   Coscienza “temuta e avversata”* Croce è, per  Galvano, un'autorità intellettuale che in cambio  di una piattaforma teoretica esige la partecipata  condanna delle opere che, passate al vaglio di un  accurato approccio metodologico, risultino prive  di valore poetico. Nell’acido corrosivo dell'ironia e  dialettizzando gli argomenti con lo storicismo, Croce  condanna il Decadentismo nelle accezioni mistiche,  estetizzanti, irrazionalistiche e in quella che crede  inconsistenza filosofica e spirituale, includendo in  quel termine tutto ciò che tende a sviluppi formali  astratti e condannando di fatto la fitta rete culturale  e relazionale della modernità. Nonostante ciò Croce  avrebbe il merito di avere reso accessibile e ripercor-  ribile questa fitta topografia anche nella declinazione  contraddittoria e fragilmente raffinata del vituperato  Decadentismo. Accettando la condanna crociana,  Galvano confessa la propria passione per decadenti,  esotici, erotici e apostoli misteriosofici, ponendosi  scientemente in una giurisdizione infernale come  critico e come artista nato dalla linea evolutiva del  Simbolismo. Identifica anzi quello straordinario mo-  mento storico come un estremo malinconico balenio  della civiltà al crepuscolo, un'epoca di transizione  divisa tra spirito e carne, abitata da alcuni tra i più  eletti spiriti dell'umanità capaci di creazioni difformi  ma compiute e che lo sperimentalismo modernista  delle avanguardie esaurirà.   In una sorta di ribellione alla figura paterna,  Galvano trasgredisce la raccomandazione crociana  di non leggere Rimbaud, Mallarmé, Valéry e risco-  pre, anteriormente a Cremona?, il modernismo e la  linfa vitale del Decadentismo attraverso il quadro  metodologico del filosofo abruzzese inclusivo di fatti  estetici anche diametralmente opposti alle sue idee.  A Galvano, come alla sua generazione, fu quindi im-  possibile non dirsi crociano proprio per l'opportunità    4 A. GALVANO, Perché non possiamo non dirci crociani, in “Nu-  mero — Arte e letteratura”, V, n. I-II, gennaio-marzo 1953. Poi in:  “Omaggio a Albino Galvano”, catalogo della mostra, Circolo de-  gli Artisti, Torino, gennaio-marzo 1992, P. Fossati, F. GARIMOLDI, M.  C. MunpiCI (a cura di), Electa, 1992, pp. 116-120. Poi in: A. GALVA-  NO, “Diagnosi del moderno”, cit., p. 37.   5 I. CREMONA, Il tempo dell'Art Nouveau, Firenze, 1964.    42    che quella metodologia offriva nel sistematizzare  l’intera storia. Quello che invece depose fu lo spirito  conciliante dell'estetica di Croce buona, al più, a ba-  nalizzarsi nell’idea diunmuseoimmaginario.Quando  negli anni Sessanta ebbe il proposito di approfondire  l’immagine cultuale e psicologica dell’efesina Arte-  mide, partì dalla fascinazione prodotta su di lui da  un pastello di Cesare Saccaggi, “Alma Natura, Ave!”  (1898), opera collocabile allora, quando uscì il libro, e  tuttora, in un filone di gusto piuttosto sospetto. Con  una serie di pubblicazioni’, si renderà così protago-  nista, a partire dagli anni Cinquanta, del rinnovato  interesse per l’arte Liberty dalla quale trarrà ben più  diuna semplice ragione di studio quanto invece, nella  pratica pittorica, una viva permutazione in allusioni  enigmatiche irriducibili a ogni interpretazione, quali  il fiore di iris, destituite dal ruolo di metafore e sim-  boli. Questa continuità formale si chiarisce anche  come continuità semantica quando si consideri come  Galvano e Cremona abbiano ricondotto l’arte astratta  in un comune svolgimento con il Simbolismo e con il  Liberty che, di quest’ultimo, ful’espressione impiegata  sul piano della fabbricazione. Da cui il transitare di  Galvano dalla fase concretistica a quella informale  e, più in là negli anni, a quella araldica di nastri e  bandiere per giungere appunto agli iris. Trascorrere  stilistico da non leggersi come eclettismo quanto piut-  tosto come legittimo susseguirsi tra la carica allusiva  assegnata ai reticoli cromatici astratti e la sensibilità  decorativa trasformata in materia fermentata fino alla  disgregazione dalla quale estrarre infine nuovamente  il ritmo danzante delle forme arabescate. Il Simbolismo  gli consente di riversare il misticismo nella propria  opera di pensatore e, soprattutto, di pittore. L'arte  assume quindi un valore emersivo di forze morali  (leggi spirito) — del “bene” nel momento crociano,  del “male” più tardi in modo nietzschiano — prima  ancora che estetiche (leggi sangue); diade debitrice al  suo filosofo di riferimento Ludwig Klages, altro intel-  lettuale trascurato in Italia quanto sospettato di avere  incubato l'ideologia autoritaria tedesca quando invece  più coerentemente dovrebbe essere pensato come un  epigono del romanticismo intuizionista. L'arte tenta  un'indiretta conciliazione tra spiritualità e artificio  consegnando alla storia un’estrinsecazione autentica-  mente creatrice e non solo la copia di una copia; non  una rappresentazione ma un esserci immanente. La  volontà di accogliere quel “male” come necessario gli  viene dalla presa coscienza di un'’artisticità, che arde       6 A. Galvano, Dal simbolismo all'astrattismo, in “Galleria di  lettere ed arti”, n. 4-5, 1953; Le poetiche del simbolismo e 1 ‘origine  dell'Astrattismo figurativo, in “Studi in onore di L. Venturi”, vol. II,  1956. Articoli specifici ai quali aggiungere: L'erotismo del liberty e la  sublimazione astrattista, in “Cratilo”, n. 3, 1963. i    Gabetti Isola, Casa di Erasmo, Torino, 1953-1956.    inlui fin dalla giovinezza, radicata proprio nelle opere  Create tra XIX e XX secolo e nelle elaborazioni più  irrazionalistiche. Come quella immoralità sia aperta  a fertili risultati lo si comprende appoggiandosi all’in-  terpretazione che Galvano offre delle Artemis: bianca  come simbolo coadiuvante di perfezione conchiusa ma  Statica, nera come simbolo avverso di imperfezione  e INCompiutezza ma dinamica e che in potenza può  Jenerativamente aprirsi a una riserva di possibilità  eventualmente immanifeste. Per traslato, quindi, la  hegatività del Simbolismo si apre a una plenitudine di  risultati. Permane tuttavia il concetto di fondo che la  Pittura, come prodotto di una volontà impossibilitata  a realizzarsi nell’ideale, sia il risultato di una caduta la  Cul spoglia materiale sarebbe prova di vanità e disvia-  mento. Come s'accennava sopra, Galvano si smarca  dall'idea di un'arte quale esempio del bello estetico  e del bene morale, per lui non più coincidenti, ma  accetta la disperata affermazione dell'immagine come       43    “  ”  a  »  l  Me.  È  È  n  IS  18  la .  t   :  LI  è»  ®  î    unico possibile risultato dell'impulso proiettivo delle  aspirazioni individuali o sociali. Pittura che in ultima  istanza è anche piacere sensoriale, vocazionale istinto  a testimoniare (Baudelaire), “vizio assurdo”, vanitas;  pittura come atto cultuale che mantiene in gioco la  proiezione degli archetipi, la ricchezza delle imma-  gini aderenti al mistero, almeno per quel poco che la  contemporaneità consente, poiché ilmondo nega ogni  giorno più spazio alla pittura mentre il pensiero bor-  ghese, incapace di slanci estetici e metafisici, permette  che in questa duplice assenza si innesti la tecnica, la  pianificazione, la sterile sistematicità. Per Galvano la  nostra epoca è irrimediabilmente scissa dal significato  iù autentifico della vita, dalla sua forza feticistica  poiché ha fatto di quel mondo, in cui la presenza del  dio era costante, una favola bella l'iconografia della  quale non è che una lontana immagine idealizzata  priva, per i moderni, di ogni accenno oracolare.  Queste ragioni filosofiche, di estremo interesse,    dovettero apparire perlomeno eterodosse all'atto della  loro formulazione, divise tra esistenzialismo e fenome-  nologia e affacciate all’abisso del mondo preclassico,  alle profondità eraclitee. Scostatosi dall’irrazionalismo  di Klages, Galvano non intese fare di sé un anti-razio-  nale quanto piuttosto un convinto a-razionale, come  indica la personale concezione di arte in equilibrio  tra ragionevolezza e vaticinio, secondo un fare né  pienamente consapevole poiché eroticamente privo  di volontà intellettiva, né tantomeno completamente  incosciente poiché contemplativo. Pertanto l'ipotesi  di Galvano fu più aderente alla poetica di Mallarmé  piuttosto che al pensiero di Valery, perché dove il  primo disidratando e affinando la parola poetica  pose le condizioni per un superamento del modello  simbolistico aprendo di fatto alle avanguardie, il  secondo immaginò la creatività come un processo  logico ricondotto alla piena luce della razionalità, alla  consapevolezza dell'atto. Esaltando cartesianamente  l’intellettoela coscienza, il processo creativo per Valery  è un'attività spiegabile analiticamente senza ricorrere  a misticismo, vitalismo e spiritualismo. Carnalità,  sessualità e sensualità - Croce aveva biasimato la sen-  sualità nell'opera di Mallarmé come priva di “anelito  d’innalzamento”” — furono invece le pulsioni vitali  del Simbolismo che interessarono Galvano e che la  razionalità, in un prolifico ripiegamento autoanaliti-  co, dovrebbe avocare a sé integrandole senza ripulse  pregiudiziali. Speculazione intellettuale e artistica che  rivela tutta l’enigmaticità di Galvano che oscilla tra i  termini affermati da Mallarmé, e ripresi da Alain, di  “vision”, intesacome vaghezza di ispirazione, e “vue”,  intesa come concretezza dell'oggetto in sé risolto. Se  da una parte, sull'esempio di Mallarmé — il quale pre-  cipitò le parole nell’assoluta perentorietà delle pure  idee aspirando infine a una “poésie sans les mots”®  -, Galvano pare decidersi per la “vue” aderendo al  concretismo astratto come pars construens dalla quale  pretendere risposte formali di esito certo, dall'altra,  per mezzo del multiforme divenire della sua pittura,  apre obliquamente alla possibilità allusiva dell’appa-  rire, accettando di fatto unesito provvisorio prossimo  al concetto di “vision”. L'oscillazione dalla vaghezza  creativa all'evidenza intellettuale di forme e colori è  l’unica risposta contingente possibile per Galvano che  decide di non decidere tra i termini antitetici asseriti,  approfondendolo sguardo nell'oscurità della creazio-  ne e della vita. Medesimamente il Galvano scrittore  affronta il passato eludendo la descrizione analitica  delle epoche storiche portandone bensì all’emersione    7. B. CROCE, Poesiae non poesia, Laterza, Bari, 1950, 5° edizione  riveduta, pp. 318, 319.   g S.MALLARMÉ, Divagations, Bibliothèque-Charpentier, Eugène  Fasquelle Éditeur, Parigi, 1897, p. 297.    i reconditi meccanismi, le contraddittorie spinte pul-  sionali; un’organica prassi opportuna a increspare la  ricerca storica attraverso una molteplicità di punti di  vista culturali posti in reciproco dialogo e liberamente  sollecitati.   Il rischio nell’approcciare oggi la figura di Galvano  è quello di appiattirne il pensiero, come già avvertiva  Sanguineti nel 1990°. L'illustre allievo aveva compreso  come il decadentismo pittorico di un Moreau o lette-  rario di un Huysmans fossero considerati dal maestro  un indispensabile momento storico. Galvano mostra  insomma un’idiosincrasia per quelle “mortificazioni  crepuscolarmente schifiltose”!° che avevano impedito  ai Campana, agli Onofri, agli Ungaretti e ai Montale di  superare, senza rifiutarne la “carica panica e mitica”,  il naturalismo panteistico dell’Alcyone dannunziano.  InItalia, l'assenza del dissolutivo lavacro simbolista si  era in sostanza ripercosso nella crociana deplorazione  categoriale per l’arte moderna insieme all’illusione di  potere produrre un'opera estetica autenticamente nuo-  vaeludendo il peccato originario del Decadentismo. Il  tentativo di emanciparsi dal prestigio delle autoritates  latine che aveva tentato D'Annunzio richiamandosi  ai romantici tedeschi, apriva gli occhi di Galvano ai  presocratici e alla filosofia moderna (dall’irrazionali-  smo alla scuola ermeneutica) che del classicismo aveva  assunto il senso vitalistico, indefinibile e misterioso  di una natura come rivelazione del divino. Da cui  l’idea di una suprema ragion d'essere trascendente  alla quale l’arte, per Galvano, dovrebbe aprirsi ma  che invece nelle enunciazioni contemporanee gli  pare, con buona pace di Eco, rinserrarsi in un'opera  chiusa. Con un piglio da lettura sociale dell’arte,  Galvano scrive dell’esaurimento dei rapporti storici  tra committenti e artisti e di come ciò abbia mutato  l'originaria destinazione d'uso delle opere, ridotte  così a gratuite provocazioni. Conseguentemente  proponeva le dimissioni delle categorie di giudizio  elaborate perle arti visive del passato da sostituirsi con  un equivalente delle letture psicanalitiche tentate da  Sartre su Baudelaire e da Lacan su Poe. Restato sempre  un pittore tradizionalista, Galvano si dichiara disin-  teressato a certi sviluppi artistici lasciando intendere  come il problema dell'effimerità dell’arte contempo-  ranea—compreso l'amato astrattismo geometrico—sia  anche un problema della storia dell’arte come disci-  plina. Su come debba essere poi questa storiografia  Galvano non si pronuncia se non dichiarando che il  problema della storia dell’arte debba essere anche e       9 E. SANGUINETI, Contro la ragione, in “La Stampa”, 10 marzo  1990, p. 7.   10 A. GALVANO, catalogo della mostra, Palazzo Chiablese, Tori-  no, dicembre 1979-gennaio 1980, p. 108.   11 Ibidem.    soprattutto il problema dell’uomo! Sovvengono le  parole destinate a grande fortuna critica che avrebbe  scritto Hans Belting nei pamphlet intitolati “La fine  della storia dell’arte o la libertà dell’arte” (1983) e  nel successivo “Das Ende der Kunstgeschichte. Eine  Revision nach zehnJahren” (1995)nei quali auspicava  la fine della storiografia artistica tradizionale a favore  di proposte olistiche e antropologiche avvedute delle  mutate circostanze sociopolitiche, del rimescolamento  di cultura alta e bassa, della suggestione determinata  dai linguaggi mediali, dell’emergere di realtà culturali  prima marginalizzate, dell’obsolescenza della funzio-  ne assegnata al lavoro manuale, dell’alterato ruolo di  musei e gallerie d’arte. La prospettiva delineata da  Galvano si tinge di accenti acri quando denuncia la  pacifica cittadinanza ottenuta dagli ismi ridotti alla  non nocenza di prodotti da supermarket immersi in  una rete di opportunità economiche e di complicità  professionali. Un terreno culturale desolante che  assume una disillusa trasposizione nella sua pittura  ultima, nei paesaggi desertificati, nella scelta estrema  del silenzio creativo come opzione possibile nonché  parzialmente intrapresa. Facendosi anticipatore di  posizioni storiografiche di superamento della cano-  nica divisione tra antico e moderno e concentrando  il periodo rivoluzionario dell’arte d'avanguardia tra  il 1907 e il 1925, in una sorta di personale à rebours  Galvano esprime l'opinione secondo cui i movimenti  artistici successivi si sarebbero attestati su posizioni di  assimilazione manieristica piuttosto che di irriverente  Sovversione peculiare degli ismi nei riguardi della  tradizione rappresentativa. Delinea unastoria dell’arte  moderna parallela più complessa e connettiva come  avrebbero potuto scriverla gli artisti ai quali infine  delega idealmente il compito futuro di creare un'ar-  te che, restando nell’ambito non figurativo e senza  Impossibili riflussi, riesca coerentemente a ristorare i  Valori artistici e umani del passato. Galvano insomma  invoca il diritto anon essere moderno, o peggio ancora  d avanguardia, evitando di lavorare sulla contingenza  e rifiutando l'egemonia della critica per privilegiare,  In senso dichiaratamente anticrociano, la poetica degli  artisti che al lavoro intellettuale uniscono la prassi.  Insieme alla proposta per un rinnovamento della  Storiografia artistica Galvano ne affianca un’altra di  Natura conservativa consistente nell’idea di salvaguar-  dare le opere minori del modern style, perlomeno gli  Oggetti e gli arredi non ancora distrutti (di Cometti  Per esempio). Immagina la documentazione degli  edifici Liberty finendo per invocare l'allestimento di  Una retrospettiva sull’Art Nouveau internazionale, ma    ù A. Gauvano, «Cosa nostra», in “Sigma”, Ln1, primavera  64, pp. 63-70. Poi in: “Omaggio a Albino Galvano”, 1992, cit.,  Pp. 130-133. Poi in: “Diagnosi del moderno”, cit., p. 59.          45    avveduta del caso italiano e piemontese nel dettaglio,  da allestirsi nella rinata Galleria di Arte Moderna di  Torino (1960). Caduta nel vuoto la proposta sarà pro-  prio Galvano a scrivere un articolo sull’Art Nouveau  a Torino! e poi, insieme a Giorgio Balmas e Lorenzo  Guasco, a curare nel 1978 al foyer del Piccolo Regio  una mostra dedicata alla pittura torinese all’inizio  del secolo. Sorta di doveroso omaggio a uno stile di  vita prima ancora che d’arte nel quale confluirono la  vita delle forme collettive e l’individualità creativa.  Dissentendo da Croce, l'interesse di Galvano per gli  oggetti si approssima alle idee espresse da Giovanni  Gentile nella prolusione al corso universitario di storia  della ceramica pronunciato nel Palazzo Comunale  di Faenza nel 1928 nel quale il filosofo, saldando  arte e vita, rivendica la dignità estetica dei prodotti  artigianali e industriali di qualità. Si consuma qui  l'ennesima contraddizione di un crociano affine alle  idee di Gentile che pur biasima per densità retorica.  Sensibile alle arti dei periodi di transizione e avvedu-  to della caducità dei giudizi, compresi i propri, per  Galvano ogni critica obiettiva deve essere sempre  un’autocritica. Augurandosi l'avvento di un esegeta  capace di rileggere l’arte tra i due secoli, così come  Sanguineti seppe fare con la letteratura, Galvano  rammenta come la sua generazione abbia vergato  parole sferzanti su Bistolfi fino a pochi anni addietro  valutato un artista di statura europea. Ma fu anche  la generazione di quei giovani i quali, raggiunti i  vent'anni nella terza decade del XX secolo, quando  dovetteroimmaginare una ribellione la fantasticarono  conle parole di Rimbaud, Gide, Lawrence e Huysmans  il cui Des Esseintes sembrò essere allora il prototipo  di un esteta come Carlo Mollino. Dell’amico, stimato  oltre che come professionista di genio anche come  dilettante d'eccezione, Galvano ammirò la capacità  di governare con la formazione culturale crociana  e il rigore razionale tipico della sua professione,  gli umori sensuali, avventurosi e ambigui del suo  animo capace di rievocare il ritmo aperto e biologico  del Liberty restituendolo nella voluttà degli interni  arredati, nell'armonia architettonica dei pieni e dei  vuoti, nella eterogenea e immaginosa commistione  di elementi organici e funzionali. Un'omogeneità  che il termine “surreale” illustra solo parzialmente  e che trova una segreta corrispondenza nelle opere  di Cremona come nei molluschi, nelle conchiglie,  negli antichi libri accartocciati e nelle acquasantiere  barocche che Galvano dipinge negli anni Trenta e  Quaranta. L'identità autopoietica generata da Torino  si manifesta nella condivisione spirituale prodotta da       13 A. GALVANO, Per lo studio dell'Art Nouveau a Torino, in “Bol-  lettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti”, nn.  14-15, 1961.    questa generazione d’eccentrici intelletti, nella speci-  fica formazione di un genius loci come Galvano e nel  progetto della Bottega d’Erasmo che Gabetti e Isola  disegnano in forme intellettualistiche neo-liberty nel  1953. Proprio in quell’anno, “A Rebours” di Huysmans  diverrà per Galvano il pretesto per puntualizzare le  proprie posizioni all’interno del Mac e più in generale  nel modo di intendere il Decadentismo!. Quando  Leonardo Borgese consigliò agli astrattisti concreti,  in chiusura della recensione alla mostra di Galvano  allestita presso lo Studio B 24 di Milano nel 19535, di  rileggersi il celebre romanzo di Huysmans nel quale,  a suo parere, ci sarebbe stato il necessario per decodi-  ficare la loro poetica, gli aderenti al gruppo accolsero  l'esortazione come una blasfemia da respingersi inte-  gralmente. Galvano ritenne legittima la protesta dei  compagni astrattisti apparendogli chiaro come Borgese  incaricasse l’ipocondriaca, solitaria ed estetizzante vita  del protagonista narrato nelromanzo, diesprimere un'e-  pidermica quota di edonismo e di sensualismo ribelle  ai disvalori della società positivistica industrializzata  e scientifica, votata al profitto, al commercio, al nuovo  capitale borghese. Dopo di che Galvano, confessando  di aderire parzialmente al pensiero del capitano della  brigata anti-astrattista Borgese, s'inalvea in una lettura  sorprendentemente sincretica aperta al riconosci-  mento dell’ambivalenza del rapporto tra astrazione  e Simbolismo. Al rifiuto delle suggestioni emotive  del Simbolismo, l’astrattismo, secondo Galvano, ne  intellettualizzerebbe le allusioni ele “corrispondenze”  (termine apertamente rimontante a Baudelaire) come  strumento oppositivo al dilagare prosastico del reali-  smo. L'astrattismo del dopoguerra ridurrebbe quindi ai  minimi termini la carica letteraria aumentando quella  metafisica, riscattando la tradizione dei padri nobili  dell’astrazione primonovecentesca e tesaurizzando nel  contempo (sulla scorta della ricostruzione filogenetica  di Pevsner) la lezione di Toorop, Gauguin, Munch  e Klimt insieme a quella degli antesignani Runge,  Blake, Antonelli, Ciurlionis, Kupka; in sostanza dei  precursori che evocarono ancora le leggi del mondo  fisico consentendo agli evoluti linguaggi non figurativi  di divincolarsi più recisamente dalla mimesi. Negli  anni tra le due guerre, sull'onda della fenomenologia  e della psicologia della forma, si assisté a un aurorale  revisionismo storiografico dell'Art Nouveau — anche  Edoardo Persico ebbe in animo di scriverne una storia!°    14. A. GALVANO (asterisco di) in, ‘Pitture di A. Galvano in un  esperimento di sintesi” (testo anonimo), Milano Studio B 24,  “Arte Concreta”, bollettino n. 12, seconda serie, febbraio 1953. Poi  in: P. Fossati, “Il movimento arte concreta 1948-1958. Materiali e  documenti”, Martano Editore, Torino, 1980, pp. 62, 63.   15 L. BorcEse, “Corriere della Sera”, 1° gennaio 1953.   16 A. Pica, Revisione del Liberty, in: “Emporium”, a. XLVII. n. 8,  vol. XCIV, n. 560, agosto 1941, p. 66.    46    — ma sarà con gli anni Sessanta e Settanta che diverrà  condivisa acquisizione la carica anticipatoria ricoperta  da Mackmurdo e dalla cultura figurativa a partire da  Blake. Anima nera del concretismo, Galvano assume  un ruolo sovversivo nel movimento proponendo ine-  dite e intelligenti aperture di senso che tuttavia non  giungeranno a ispirare un prolifico dibattito all’interno  del gruppo infragilito dalle difformità tra la posizione  intellettuale rigorosamente metodica dei milanesi e  gli arrovellamenti sulla materia fortemente allusiva  espressi dalla linea torinese. Risalendo alle sorgenti  dell’arte astratta, Galvano riannodò, in antitesi alle let-  ture formalistiche, le affinità con le fonti spiritualiste di  Decadentismo e Simbolismo e — pensando alla densità  mistica nell'opera di Huysmans sfogata in occultismo  e cattolicesimo — con le citazioni della Blavatsky e di  Steiner scritte da Kandinsky, con la prossimità di Mon-  drian ai circoli teosofici, con il lirismo magico di segni e  colori dell’orfismo di Kupka e, non ultimo, con uno dei  primitesti dedicati all’astrazione scritto da Julius Evola.   Dandy autoironico votato alla marginalità, Galva-  no disseminò il proprio percorso di tracce sulle quali  indugiare, trascorrendo liquidamente da una disciplina  all'altra in modo stupefacente per un intellettuale ani-  mato da pura vocazione pedagogica ma riottoso alla  metodicità dello studio scolastico. Attribuire un senso  univocoal suo pensiero equivarrebbe a fraintenderne la  filosofia e l’idea stessa di un'arte come autosufficiente  e spontaneistico operare nella ferita aperta tra vitali-  smo e intelletto che l’atto artistico non riesce tuttavia  a cicatrizzare. La civiltà intera corrisponde per lui alla  fenomenicità delle immagini da essa prodotte che, in  sostanza, aprirebbero al mistero quale autentico even-  to metafisico. Intendendo come piani dell’emersione  archetipica i segni dell’arte — della quale l’idealismo  si limiterebbe a coglierne l'aspetto teoretico, Alain  quello pratico e l’Esistenzialismo quello etico — sarebbe  troppo semplicistico archiviare la passione di Galvano  per Decadentismo, Simbolismo e modern style, come  l'infatuazione culturale per un'epoca vesperale. Egli  si sente invece custode ed erede di quella lacerante  contraddizione, di quella genesi oppositiva, di quella  disperata tensione verso uno spirituale fatalmente  arreso alle forme dell’estetismo, di quella magnifica e  perduta sfida, tanto da riversarne la forza vitale nella  personale proteiforme pittura così come nelle pro-  gressive illuminazioni della sua letteratura filosofica  e artistica.    Opere esposte                   1 Lettrice sdraiata -— 1931 — olio su tela — 63,5x81 cm       2 Autoritratto - 1940 ca — olio su tela — 23,5x18 cm       3 Astrazione - 1950 — olio su tela — 50x60 cm    et adi       4 Il giorno — 1952 — olio su tela — 100x80 cm       5 Pacato — 1954 — olio su tela — 90x110 cm       6 Composizione in nero — 1954 — olio su tela — 90x110 cm       / S.t.-1956-olio su carta — 34x48 cm       $ Ercole ed Anteros — 1956 — olio su tela — 85x115 cm       9 Omaggio a Van De Velde - 1959 — olio su tela — 80x90 cm       10 Ir1s — 1960 — olio su tela — 105x95 cm    58       10Y1-1960- olio su tela — 95x110 cm    3 F       12 Calligramma — 1960 — olio su tela — 100x85 cm       13 Fiori di lago — 1962 — olio su tela — 100x120 cm       14 Le jardin de cet astre — 1962 — olio su tela — 132x116 cm       15 Ireos — 1962/65 — olio su tela — 130x115 cm       16 Proposta — 1965 — olio su tela — 135x122 cm       17 Pavese — 1967 — olio su tela — 120x110 cm       18 Farfarello e Malambruno — 1967 — olio su tela — 80x60 cm       19 Gonfaloni — 1968 — olio su tela — 95x80 cm       20 Nastro n. 25 — 1968 — olio su tela — 90x80 cm       21 Nastri — 1969 olio su tela — 60x50 cm       22 Nastri colorati — 1969 - olio su tela — 110x100 cm       23 Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm       24 Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm    MALI       25 Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm       ter» IG    MOFBEE sie  Tre  ir" Saitta    Sl          26 Segni asemantici (dittico) - 1973 — olio su tela — 110x90 cm    pari #1 =$    Re    |a te n ;       26 Segni asemantici (dittico) - 1973 — olio su tela — 110x90 cm       27 Artemis — 1974 — olio su tela — 120x110 cm          28 Maioresque cadunt - 1974 — olio su tela — 90x80 cm    —____    TITO       sal - 1974 — olio su tela — 70x50 cm       30 s.t. 1974 - olio e carboncino su tela — 80x60 cm       31 Ireos - 1977 — olio su tela — 70x60 cm    —_—— mr LIIII:5          ——_—_ T=—r-—-r®x    (i    32 Iris n. 2 - 1975 - acquarello su carta — 40x30 cm       Sa Cespu glio — 1974 — acquarello su carta — 40x30 cm                   34 Glotre du lon g desir idees —- 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm       35 Fiori — 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm       VRREET L6 LL AIA USD GOG VE o VERDE IL I BEILET DART DIG SPARI DIO RR pia I I LITIO ODE LIL    36 Fiori — 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm          37 Une Fleur — 1975 — olio su tela— 70x70 cm          38 Scrittura - 1976 — acquarello su carta — 60x50 cm       39 Sassi e foglie — 1978 — olio su tela — 80x80 cm       40 Foglie morte — 1978 — olio su tela — 80x80 cm       41 Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 40x30 cm          Labrit, © di DASIO LT R EDLI u DILODIAT    42 Ciottoli e rocce — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm       43 Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm    ”  —    hu    ro iiriiRRRE       44 Rocce e ciottoli — 1981 — olio su tela — 80x80 cm       45 Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm       46 Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm       47 Rocce e sassi — 1982 — olio su tela — 80x80 cm    Opere in mostra    01 — Lettrice sdraiata — 1931 — olio su tela — 63,5x81 cm   02 — Autoritratto — 1940 ca — olio su tela — 23,5x18 cm   03 — Astrazione — 1950 — olio su tela — 50x60 cm   04 — Il giorno — 1952 — olio su tela — 100x80 cm   05 — Pacato — 1954 — olio su tela — 90x110 cm   06 — Composizione in nero — 1954 — olio su tela — 90x110 cm  07 — s.t.-— 1956 — olio su carta — 34x48 cm   08 — Ercole ed Anteros — 1956 — olio su tela — 85x115 cm   09 — Omaggio a Van De Velde — 1959 — olio su tela — 80x90 cm  10 — Iris-— 1960 — olio su tela — 105x95 cm   11 — Fiori - 1960 — olio su tela — 95x110 cm   12 — Calligramma — 1960 — olio su tela — 100x85 cm   13 — Fiori di lago —- 1962 — olio su tela — 100x120 cm   14 — Le jardin de cet astre — 1962 — olio su tela — 132x116 cm  15 — Ireos — 1962/65 — olio su tela — 130x115 cm   16 — Proposta — 1965 — olio su tela — 135x122 cm   17 — Pavese — 1967 — olio su tela — 120x110 cm   18 — Farfarello e Malambruno — 1967 — olio su tela — 80x60 cm  19 — Gonfaloni — 1968 — olio su tela — 95x80 cm   20 — Nastro n. 25 - 1968 — olio su tela — 90x80 cm   21 - Nastri — 1969 — olio su tela — 60x50 cm   22 — Nastri colorati —- 1969 — olio su tela — 110x100 cm   23 — Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm   24 — Nastri - 1970 — olio su tela — 60x50 cm   25 — Nastri - 1970 — olio su tela — 60x50 cm   26 — Segni asemantici (dittico) — 1973 — olio su tela — 110x90 cm  27 — Artemis — 1974 — olio su tela — 120x110 cm   28 — Matoresque cadunt — 1974 — olio su tela — 90x80 cm   29 — s.t.- 1974 -— olio su tela — 70x50 cm   30 — s.t.— 1974 — olio e carboncino su tela — 80x60 cm   31 — Ireos — 1977 — olio su tela — 70x60 cm   32 — Iris n. 21975 — acquarello su carta — 40x30 cm   33 — Cespuglio — 1974 — acquarello su carta — 40x30 cm   34 — Gloire du long desir idees — 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm  35 — Fiori —- 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm   36 — Fiori - 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm   37 — Une Fleur — 1975 — olio su tela — 70x70 cm   38 — Scrittura — 1976 — acquarello su carta — 60x50 cm   39 — Sassi e foglie — 1978 — olio su tela — 80x80 cm   40 — Foglie morte — 1978 — olio su tela — 80x80 cm   41 — Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 40x30 cm   42 — Ciottoli e rocce — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm  43 — Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm   44 — Rocce e ciottoli - 1981 — olio su tela — 80x80 cm   45 — Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm   46 — Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm   4/ — Rocce e sassi — 1982 — olio su tela — 80x80 cm       Finito di stampare nel mese di marzo 2021  da GARABELLO ARTEGRAFICA (SAN MAURO TORINESE) 

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