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Monday, January 3, 2022

GRICE ITALICVS II/XXII

 

 

Grice ed Agamben – nudi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Grice: “Agamben is a terribly complex philosopher, and a fascinating one – he has philosophised on things I did: ‘fantasma,’ as used by Aristotle in ‘Interpretatione,’ the unsaid and the unsayable (indicible), that Aganbem might apply to ‘il ragazzo’ – or ‘fanciullino’ – he has philosophhised on ‘love’ (amore – eros – idea dell’amore – and semiology of the sphynx, imagine, and imagine perverse – the use of bodies (uso dei corpi) and ‘silence’ (il silenzio nel linguaggio): lingua, iinguaggio, dialetto – verita – the sacred dimension of language in swearing – ‘sacramgneto del linguaggio – the logic of commands and the commandmets – the power and the glory – he obviously enjoys in word play! Flosofo. D’antica famiglia veneziana di origine armena, si laureò in Giurisprudenza nel 1965 con una tesi su Simone Weil. Ha scritto diverse opere, che spaziano dall'estetica alla biopolitica. A Roma, sempre negli anni sessanta, frequenta con intensità Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini (interpreta l'apostolo Filippo nel film Il Vangelo secondo Matteo), Ingeborg Bachmann. Nel 1966 e nel 1968 partecipa ai seminari promossi da Martin Heidegger su Eraclito e Hegel a Le Thor. Nel 1974 si trasferisce a Parigi, dove frequenta Pierre Klossowski, Guy Debord, Italo Calvino e altri intellettuali, mentre insegna all'Università Haute-Bretagne. L'anno seguente ha lavorato a Londra, mentre dal 1986 al 1993 ha diretto il Collegio internazionale di filosofia a Parigi, frequentando, tra gli altri, Jean-Luc Nancy, Jacques Derrida e Jean-François Lyotard. Dal 1988 al 2003 ha insegnato alle Università degli Studi di Macerata e di Verona. Dal 2003 al 2009 ha insegnato presso l'Istituto Universitario di Architettura (IUAV) di Venezia.  Sempre nel 2003 ha abbandonatoper protesta contro i nuovi dispositivi di controllo imposti dal governo statunitense ai cittadini stranieri che si recano negli Stati Uniti d'America, cioè lasciare le proprie impronte digitali ed essere schedatil'incarico di professore illustre all'New York. In precedenza era stato professore invitato in altre istituzioni, tra cui l'Università Northwestern, l'Università Heinrich Heine di Düsseldorf e la European Graduate School di Saas-Fee. In seguito "si è dimesso dall'insegnamento nell'università italiana". Oggi dirige la collana Quarta prosa presso l'editore Neri Pozza e organizza un seminario annuale presso l'Parigi Saint-Denis.  Tra gli autori che ha studiato e proposto: Walter Benjamin, Jacob Taubes, Alexandre Kojève, Michel Foucault, Carl Schmitt, Aby Warburg, Paolo di Tarso, ma anche Furio Jesi, Enzo Melandri e in genere trattando temi di filosofia politica, biopolitica (in particolare i concetti di stato di emergenza, esilio e autorità), mistica cristiana ed ebraica, angelologia, storia dell'arte e letteratura. Collabora con "aut-aut", "Cultura tedesca" e con diverse altre riviste di filosofia. In occasione della laurea honoris causa in teologia presso l'Friburgo il 13 novembre  ha pronunciato la conferenza Mysterium iniquitatis, poi tradotta in Il mistero del male. H ricevuto il Premio europeo Charles Veillon per la saggistica e nel  il Premio Nonino "Maestro del nostro tempo".  Il pensiero di Giorgio Agamben, benché caratterizzato da una omogeneità che copre tutto l'arco evolutivo delle sue opere, può essere per comodità suddiviso in due momenti distinti. A fare da spartiacque è un testo fondamentale: Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, il quale si inscrive nelle tematiche e nel dibattito sollevati dalle ricerche di Foucault attorno al biopotere, indagando il rapporto fra diritto e vita e sulle dinamiche dei modelli di sovranità.  La prima riflessione agambeniana predilige tematiche estetiche, in particolar modo letterarie, nel contesto di un grande confronto con il pensiero di Martin Heideggerche ha conosciuto personalmente partecipando ai seminari estivi tenuti in Provenza ncon quello di un altro filosofo a lui caro: Walter Benjamin, autore del quale curò la prima edizione italiana delle opere complete per Einaudi, ritrovando anche un discreto numero di testi inediti (tra cui quelli nascosti e conservati da Georges Bataille alla Biblioteca nazionale di Francia e riscoperti da Agamben nel 1981 tra le carte di Bataille presenti nella biblioteca); la collaborazione con Einaudi si interruppe per sopravvenute incomprensioni con l'editore.  All'inizio degli anni novanta alcuni suoi allievi hanno fondato la casa editrice Quodlibet. I suoi studi hanno riguardato varie tematiche, dal linguaggio alla metafisica, approfondendo il significato dell'esistenza del linguaggio e dei suoi limiti referenziali esogeni ed endogeni., dall'estetica nella quale indaga sulle relazioni intercorrenti fra filosofia ed arte chiedendosi se quest'ultima permetta una differente espressione del linguaggio rispetto alla prima, all'etica che approfondisce le tematiche e gli aspetti emergenti dal contesto dei lager nazisti.  A sostegno del pensiero di Agamben riguardo alla sua concezione della "nuda vita" vale infine quanto scritto in un articolo pubblicato in data 17 marzo  intitolato Chiarimenti:  «È evidente che gli italiani sono disposti a sacrificare praticamente tutto, le condizioni normali di vita, i rapporti sociali, il lavoro, perfino le amicizie, gli affetti e le convinzioni religiose e politiche al pericolo di ammalarsi. La nuda vitae la paura di perderlanon è qualcosa che unisce gli uomini, ma li acceca e separa.»  Homo sacer A partire dal concetto latino di homo sacer, la sua ricerca principale si svolge nei seguenti volumi (ripresi nell'edizione definitiva: Homo Sacer. Edizione integrale.  I. Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, II,1. Stato d'eccezione, 2003 II,2. Stasis. La guerra civile come paradigma politico,  Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento,  Il regno e la gloria. Per una genealogia teologica dell'economia e del governo, II,5. Opus Dei. Archeologia dell'ufficio,  Quel che resta di Auschwitz. L'archivio e il testimone, Altissima povertà. Regole monastiche e forma di vita,  IV,2. L'uso dei corpi,  Al cinema Ha interpretato il ruolo di Filippo nel film del 1964 Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini.  Opere: “Jarry o la divinità del riso”,  in Alfred Jarry, Il supermaschio, trad. G. Agamben, Milano: Bompiani (poi Milano: SE,) André Breton e Paul Éluard, L'immacolata concezione, trad. G. Agamben, Milano: Forum, (poi Milano: ES). L'uomo senza contenuto, Milano: Rizzoli, 1970 (poi Macerata: Quodlibet) (contiene: «La cosa più inquietante», «Frenhofer e il suo doppio», «L'uomo di gusto e la dialettica della lacerazione», «La camera delle meraviglie», «Les jugements sur la poésie ont plus de valeur que la poésie», «Un nulla che annienta se stesso», «La privazione è come un volto», «Poiesis e praxis», «La struttura originale dell'opera d'arte», «L'angelo malinconico») José Bergamin, in José Bergamín, Decadenza dell'analfabetismo, trad. Lucio D'Arcangelo, Milano: Rusconi,  (n.ed. Milano: Bompiani) La notte oscura di Juan de la Cruz, in Juan de la Cruz, Poesie, trad. G. Agamben, Torino: Einaudi, Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Torino: Einaudi (ristampato Einaudi) (contiene: «Prefazione», «I fantasmi di Eros», «Nel mondo di Odradek. L'opera d'arte di fronte alla merce», «La parola e il fantasma. La teoria del fantasma nella poesia d'amore del '200», «L'immagine perversa. La semiologia dal punto di vista della Sfinge») Marcel Griaule, Dio d'acqua, trad. G. Agamben, Milano: Bompiani, 1978 Infanzia e storia. Distruzione dell'esperienza e origine della storia, Torino: Einaudi. Contiene: «Infanzia e storia. Saggio sulla distruzione dell'esperienza», «Il paese dei balocchi. Riflessioni sulla storia e sul gioco», «Tempo e storia. Critica dell'istante e del continuo», «Il principe e il ranocchio. Il problema del metodo in Adorno e in Benjamin», «Fiaba e storia. Considerazioni sul presepe», «Programma per una rivista») Gusto, in Ruggiero Romano , Enciclopedia Einaudi,  6, Torino: Einaudi,  L'io, l'occhio, la voce, in Paul Valéry, Monsieur Teste, trad. Libero Salaroli, Milano: Il Saggiatore, nuova ed. Milano: SE; poi in La potenza del pensiero,  Il linguaggio e la morte. Un seminario sul luogo della negatività, Torino: Einaudi (ristampato Einaudi,) La fine del pensiero, Paris: Le Nouveau Commerce, 1982 Un importante ritrovamento di manoscritti di Walter Benjamin, in «aut-aut», (numero intitolato «Paesaggi benjaminiani»), Firenze: La Nuova Italia, La trasparenza della lingua, in «Alfabeta», Milano: Coop. Intrapresa, Il viso e il silenzio, in Ruggero Savinio, Opere 1983, Milano: Philippe Daverio, 1983 Il silenzio del linguaggio, in Paolo Bettiolo , Margaritae, Venezia: Arsenale, 1983,  69–79 Idea della prosa, Milano: Feltrinelli, (poi Macerata: Quodlibet) (contiene: «Soglia», «I: Idea della materia, Idea della prosa, Idea della censura, Idea della vocazione, Idea dell'Unica, Idea del dettato, Idea della verità, Idea della Musa, Idea dell'amore, Idea dell'immemorabile», «II: Idea del potere, Idea del comunismo, Idea della giustizia, Idea della pace, Idea della vergogna, Idea dell'epoca, Idea della musica, Idea della felicità, Idea dell'infanzia, Idea del giudizio universale», «III: Idea del pensiero, Idea del nome, Idea dell'enigma, Idea del silenzio, Idea del linguaggio, Idea della luce, Idea dell'apparenza, Idea della gloria, Idea della morte, Idea del risveglio», «Soglia. Kafka difeso contro i suoi interpreti») Quattro glosse a Kafka, in «Rivista di estetica», Torino: Rosenberg & Sellier, La passione dell'indifferenza, in Marcel Proust, L'indifferente, trad. Mariolina Bongiovanni Bertini, Torino: Einaudi,  Il silenzio delle parole, in Ingeborg Bachmann, In cerca di frasi vere, trad. Cinzia Romani, Bari: Laterza, 1989,  V-XV Sur Robert Walser, in «Détail», Paris: Pierre Alféri et Suzanne Doppelt (l'Atelier Cosmopolite de la Fondation Royaumont), autunno La comunità che viene, Torino: Einaudi, 1990 (n.ed. Torino: Bollati Boringhieri) (contiene: «La comunità che viene: Qualunque, Dal Limbo, Esempio, Aver luogo, Principium individuationis, Agio, Maneries, Demonico, Bartebly, Irreparabile, Etica, Collants Dim, Aureole, Pseudonimo, Senza classi, Fuori, Omonimi, Schechina, Tienanmen», «L'irreparabile») Disappropriata maniera, in Giorgio Caproni, Res amissa, G. Agamben, Milano: Garzanti, 1991 (poi in Categorie italiane,  89–103) Kommerell o del gesto, in Max Kommerell, Il poeta e l'indicibile, Genova: Marietti, VII-XV (poi in La potenza del pensiero,  Bartleby, la formula della creazione, Macerata: Quodlibet. Contiene: Gilles Deleuze, Bartebly o la formula trad. Stefano Verdicchio; G. Agamben, Bartebly o della contingenza: Lo scriba o della creazione, La formula o della potenza, L'esperimento o della decreazione») Nota introduttiva a: René, Il testamento della ragazza morta, trad. Daniela Salvatico Estense, Macerata: Quodlibet,  7–8 Maniere del nulla, in Robert Walser, Pezzi in prosa, trad. Gino Giometti, Macerata: Quodlibet,  7–11 Il dettato della poesia, in Antonio Delfini, Poesie della fine del mondo e poesie escluse, Daniele Garbuglia, Macerata: Quodlibet,  VII-XX (poi in Categorie italiane,  79–88) Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino: Einaudi, 1995 (ristampa 2008) (contiene: «Introduzione», «Logica della sovranità», «Homo sacer», «Il campo come paradigma biopolitico del moderno», «») Il talismano di Furio Jesi, in Furio Jesi, Lettura del Bateau ivre di Rimbaud, Macerata: Quodlibet, 1996,  5–8 Mezzi senza fine. Note sulla politica, Torino: Bollati Boringhieri, 1996 (contiene: «Avvertenza», «I: Forma-di vita, Al di là dei diritti dell'uomo, Che cos'è un popolo?, Che cos'è un campo?», «II: Note sul gesto, Le lingue e i popoli, Glosse in margine ai Commentari sulla società dello spettacolo, Il volto», «III: Polizia sovrana, Note sulla politica, In questo esilio. Diario italiano 1992-94») Per una filosofia dell'infanzia, in Franco La Cecla, Perfetti e indivisibili, Milano: Skira, 1996,  233–40 Categorie italiane. Studi di poetica, Venezia: Marsilio, 1996 (contiene: «Premessa», «Comedia», «Corn. Dall'anatomia alla poetica», «Il sogno e della lingua», «Pascoli e il pensiero della voce», «Il dettato della poesia», «Disappropriata maniera», «La festa del tesoro nascosto», «La fine del poema», «Un enigma della Basca», «La caccia della lingua», «I giusti non si nutrono di luce», «Il congedo della tragedia»). Nuova edizione (Roma-Bari: Laterza, ), accresciuta di otto testi e con un nuovo sottotitolo: Studi di poetica e di letteratura. Verità come erranza, in «Paradosso», 2-3 (numero intitolato «Sulla verità», Massimo Dona), Padova: Il Poligrafo, 1998,  13–17 Image et mémoire, Paris: Hoëbeke, 1998 (contiene: «Aby Warburg et la science sans nom», «L'origine et l'oubli. Parole du mythe et parole de la littérature», «Le cinéma de Guy Debord», «L'image immémoriale») Quel che resta di Auschwitz. L'archivio e il testimone. Homo sacer. III, Torino: Bollati Boringhieri, 1998 (contiene: «Avvertenza», «Il testimone», «Il musulmano», «La vergogna o del soggetto», «L'archivio e la testimonianza», «») Introduzione, in Giorgio Manganelli, Contributo critico allo studio delle dottrine politiche del '600 italiano, Macerata: Quodlibet, 1999,  7–18 La guerra e il dominio, in «aut-aut», 293-294, Firenze: La Nuova Italia, settembre-dicembre 1999,  22–3, poi anche in: Paolo Perticari , Biopolitica minore, Roma: Manifestolibri  Il tempo che resta. Un commento alla «Lettera ai romani», Torino: Bollati Boringhieri, 2000 (contiene: «Prima giornata. Paulos doulos christoú Iësoú», «Seconda giornata. Klëtós», «Terza giornata. Aphörisménos», «Quarta giornata. Apóstolos», «Quinta giornata. Eis auaggélion theoú», «Sesta giornata», «Soglia o tornada», «Appendice. Riferimenti testuali paolini», «») Araldica e politica, in Viola Papetti , Le foglie messaggere. Scritti in onore di Giorgio Manganelli, Roma: Editori Riuniti Un possibile autoritratto di Gianni Carchia, in «Il manifesto» (supplemento «Alias» 26), Roma, 7 luglio 200118 Le pire des régimes, in «Le monde», Paris, 23 marzo 2002 The Time That Is Left, in «Epoché», VII, 1, Villanova: Villanova University,  1–14 L'aperto. L'uomo e l'animale, Torino: Bollati Boringhieri, 2002 (contiene «Teromorfo, Acefalo, Snob, Mysterium disiunctionis, Fisiologia dei beati, Cognitio experimentalis, Tassonomie, Senza rango, Macchina antropologica, Umwelt, Zecca, Povertà di mondo, L'aperto, Noia profonda, Mondo e terra, Animalizzazione, Antropogenesi, Tra, Desoeuvrement, Fuori dall'essere», «») Nota, in Ingebor Bachmann, Quel che ho visto e udito a Roma, Macerata: Quodlibet, 2002 (con Valeria Piazza) L'ombre de l'amour, Paris: Rivages, 2003 Stato di Eccezione. Homo sacer II, 1, Torino: Bollati Boringhieri, 2003 (contiene: «Lo stato di eccezione come paradigma di governo», «Forza di legge», «Iustitium», «Gigantomachia intorno a un vuoto», «Festa lutto anomia», «Auctoritas e potestas», «Riferimenti bibliografici») Intervista a Giorgio Agamben (sullo Stato di eccezione) in Antasofia 1, Mimesis, Milano 2003. Genius, Roma: Nottetempo, 2004 (poi in Profanazioni,  7–18) Il giorno del giudizio, Roma: Nottetempo, 2004 (poi in Profanazioni,  25–38) La potenza del pensiero. Saggi e conferenze, Vicenza: Neri Pozza, 2005 (contiene: «La cosa stessa», «L'idea del linguaggio», «Lingua e storia», «Filosofia e linguistica», «Vocazione e voce», «L'io, l'occhio, la voce», «Sull'impossibilità di dire io», «Aby Warburg e la scienza senza nome», «Tradizione dell'immemorabile», «*Se. L'assoluto e l'Ereignis», «L'origine e l'oblio», «Walter Benjamin e il demonico», «Kommerell o del gesto», «Il Messia e il sovrano», «La potenza del pensiero», «La passione della fatticità», «Heidegger e il nazismo», «L'immagine immemoriale», «Pardes», «L'opera dell'uomo», «L'immanenza assoluta») Profanazioni, Roma: Nottetempo, 2005 (contiene: «Genius», «Magia e felicità», «Il Giorno del Giudizio», «Gli aiutanti», «Parodia», «Desiderare», «L'essere speciale», «L'autore come gesto», «Elogio della profanazione», «I sei minuti più belli della storia del cinema») Introduzione, in Emanuele Coccia, La trasparenza delle immagini. Averroè e l'averroismo, Milano: Bruno Mondadori, 1995,  VII-XIII Che cos'è un dispositivo?, Roma: Nottetempo, 2006 L'amico, Roma: Nottetempo, 2007 Ninfe, Torino: Bollati Boringhieri, 2007 Il regno e la gloria. Per una genealogia teologica dell'economia e del governo. Homo sacer II, 2, Vicenza: Neri Pozza, 2007 (nuova ed. Torino: Bollati Boringhieri, 2009) (contiene: «Premessa», «I due paradigmi», «Il mistero dell'economia», «Essere e agire», «Il regno e il governo», «La macchina provvidenziale», «Angelologia e burocrazia», «Il potere e la gloria», «Archeologia della gloria» preceduti, intervallati e seguiti da Soglie, «Appendice: L'economia dei moderni», «») Che cos'è il contemporaneo?, Roma: Nottetempo, 2008 Signatura rerum. Sul Metodo, Torino: Bollati Boringhieri, 2008 (contiene: «Avvertenza», «Che cos'è un paradigma?», «Teoria delle segnature», «Archeologia filosofica», «») Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento. Homo sacer II, 3, Roma-Bari: Laterza, 2008 Nudità, Roma: Nottetempo, 2009 (contiene: «Creazione e salvezza», «Che cos'è il contemporaneo?», «K.», «Dell'utilità e degli inconvenienti del vivere fra spettri», «Su ciò che possiamo non fare», «Identità senza persona», «Nudità», «Il corpo glorioso», «Una fame da bue», «L'ultimo capitolo della storia del mondo») (con Emanuele Coccia) Angeli. Ebraismo, Cristianesimo, Islam, Vicenza: Neri Pozza,  La Chiesa e il Regno, Roma: Nottetempo,  (con Monica Ferrando) La ragazza indicibile. Mito e mistero di Kore, Milano: Electa Mondadori,  Altissima povertà. Regole monastiche e forma di vita. Homo sacer IV, 1, Vicenza: Neri Pozza,  Opus Dei. Archeologia dell'ufficio. Homo sacer II, 5, Torino: Bollati Boringhieri,  Il mistero del male. Benedetto XVI e la fine dei tempi, Roma-Bari: Laterza,  Pilato e Gesù, Roma: Nottetempo,  Qu'est-ce que le commandement?, Parigi: Bibliothèque Rivages,  Il fuoco e il racconto, Roma: Nottetempo,  L'uso dei corpi. Homo sacer IV, 2, Vicenza: Neri Pozza,  To Whom Is Poetry Addressed?, in "New Observations", Stasis La guerra civile come paradigma politico. Homo sacer, Torino: Bollati Boringhieri,  L'avventura, Roma: nottetempo,  Pulcinella ovvero Divertimento per li regazzi, Roma: nottetempo,  Che cos'è la filosofia?, Macerata: Quodlibet,  Che cos'è reale? La scomparsa di Majorana, Vicenza: Neri Pozza,  Autoritratto nello studio, Milano: Nottetempo,  Karman. Breve trattato sull'azione, la colpa, il gesto, Torino: Bollati Boringhieri,  Creazione e anarchia. L'opera nell'età della religione capitalista, Vicenza: Neri Pozza,  Homo Sacer. Edizione integrale (1995-), Macerata, Quodlibet,  Il Regno e il Giardino, Vicenza: Neri Pozza,  Lo studiolo, Collana Saggi, Torino, Einaudi, . A che punto siamo? L'epidemia come politica, Macerata, Quodlibet,  Note  Giulia Farina, Enciclopedia della letteratura, Garzanti, 1997 p.9  Con il quale progetta una rivista. Cfr. l'ultimo capitolo di Infanzia e storia, Einaudi, Torino. Giorgio Agamben  Al quale si rivolge con L'amico, Nottetempo, Roma. Cfr. la lettera di solidarietà di Carla Benedetti dell'11 gennaio 2004 su "Nazione indiana":  la pagina sul sito della scuola.  Del quale ha diretto per qualche tempo le edizioni complete presso Einaudi, prima di abbandonare il progetto per contrasti con la casa editrice. cfr. la lettera a "la Repubblica" del 13 novembre 1996.  . Tra l'altro ha lavorato per il Warburg Institute negli anni,grazie alla cortesia di Frances Yates  . Altri autori di cui si è occupato sono Charles Baudelaire, Robert Walser, Paul Valéry, Antonio Delfini, Giorgio Manganelli, Max Kommerell, Elsa Morante, Giovanni Pascoli, Victor Segalen, Giorgio Caproni, Patrizia Cavalli, Marcel Proust, Arnaut Daniel ecc.  Paolo Vernaglione, TEOLOGIAIl «Mistero del male» di Giorgio Agamben. Fuga dal tempo del dominio [collegamento interrotto], in il manifesto, Lettera ad H. Arendt, 1970 (The Hannah Arendt Papers at the Library of Congress)   Roberto Gilodi, BenjaminUno «straccivendolo» alla ricerca capillare dei rifiuti di Baudelaire, in Alias, Roma, il manifesto,   cite web url=http://iep.utm.edu/a/agamben.htm  G.Agamben, Chiarimenti  Andrea Cavalletti, "La guerra civile, paradigma della politica" Archiviato il 4 marzo  in ., il manifesto Prima della pubblicazione di Stasis, questo volume era numerato II,2. Thomas Carl Wall, Radical Passivity: Levinas, Blanchot and Agamben, postfazione di William Flesch, Albany: State University of New York Press, 1999  Philippe Mesnard e Claudine Kahan, Giorgio Agamben à l'epreuve d'Auschwitz: temoignages, interpretations, Paris: Éditions Kimé, Eva Geulen, Giorgio Agamben zur Einführung, Hamburg: Junius,Alfonso Galindo Hervas, Politica y mesianismo: Giorgio Agamben, Madrid: Biblioteca nueva, Asselin e Jean-Francois Bourgeault , La littérature en puissance autour de Giorgio Agamben, Montréal: VLB, Calarco e Steven DeCaroli , Giorgio Agamben. Sovereignty and Life, Stanford: Stanford University Press, 2007 Francesco Valerio Tommasi, Homo sacer e i dispositivi. Sulla semantica del sacrificio in Giorgio Agamben, «Archivio di filosofia », Justin Clemens, Nicholas Heron e Alex Murray, The Work of Giorgio Agamben. Law, Literature, Life, Edinburgh: Edinburgh University Press, 2008Greg Bird. Containing Community: From Political Economy to Ontology in Agamben, Esposito, and Nancy. Albany: State University of New York Press, Leland de la Durantaye, Giorgio Agamben: A Critical Introduction, Stanford: Stanford University Press Alex Murray, Giorgio Agamben, London-New York: Routledge, Thanos Zartaloudis, Giorgio Agamben. Power, Law and the Uses of Criticism, London-New York: Routledge,  (DE) Oliver Marchart, Die politische Differenz zum Denken des Politischen bei Nancy, Lefort, Badiou, Laclau und Agamben, Berlin: Suhrkamp, William Watkin, Literary Agamben: Adventures in Logopoiesis, London-New York: Continuum, Vittoria Borsò et alii , BenjaminAgamben, Wurzburg: , Konigshausen & Neumann,  Lucia Dell'Aia , Studi su Agamben, Milano: Ledizioni,  (con saggi di Witte, Liska, Dell'Aia, Talamo, Miranda, Recchia Luciani) Francesco Valerio Tommasi, "L'analogia in Carl Schmitt e Giorgio Agamben. Un contributo al chiarimento della teologia politica", in L'ircocervo, /1.Jacopo D'Alonzo, "El origen de la nuda vida: política y lenguaje en el pensamiento de Giorgio Agamben", in Revista Pléyade, C. Salzani, Introduzione a Giorgio Agamben, Il Nuovo Melangolo,  (HR) Mario Kopić, Giorgio Agamben, «Tvrđa», 1-2, ,  44–93. Flavio Luzi, Quodlibet. Il problema della presupposizione nell'ontologia politica di Giorgio Agamben, Stamen, Roma . E. Castano, Agamben e l'animale. La politica dalla norma all'eccezione, Novalogos,  Carlo Crosato, Critica della sovranità. Foucault e Agamben. Tra il superamento della teoria moderna della sovranità e il suo ripensamento in chiave ontologica, Orthotes,  V. Bonacci , Giorgio Agamben. Ontologia e politica, Quodlibet  Lucia Dell'Aia e Jacopo D'Alonzo , Lo scrigno delle segnature. Lingua e poesia in Giorgio Agamben, Istituto Italiano di Cultura, Amsterdam . Con uno scritto inedito di G. Agamben (Porta e soglia) e contributi di: L. Dell'Aia, R. Talamo, C. Salzani, J. D'Alonzo, V. BorsòColilli.  Bios (filosofia) Zoé (filosofia) Homo sacer Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Giorgio Agamben Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giorgio Agamben Opere di Giorgio Agamben, . Opere riguardanti Giorgio Agamben, . Giorgio Agamben, su Goodreads.   italiana di Giorgio Agamben, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Giorgio Agamben, su Internet Movie Database, IMDb.com.  Catherine Mills, Giorgio Agamben, su Internet Encyclopedia of Philosophy. L'aperto. L'uomo e l'animale. Recensione da LiberCensor.net. Agambeniana.  delle opere di Giorgio Agamben, ferma al gennaio 2004, su agamben.web.fc2.com. Jacopo D'Alonzo,  di Giorgio Agamben (aggiornata al dicembre ) , su filosofia-italiana.net. 9 aprile  13 aprile ). "Il frutto maturo della redenzione", Toni Negri su Agamben Altissima povertà. Regole monastiche e forma di vita recensione da Sitosophia Il mistero del male Traduzione spagnola nel 68esimo numero del magazine messicano "Fractal".  Agamben. Keywords: nudi, Ereignis, eye, occhio, occhi, polifemo, argo, i marziani di Grice – la etimologia accettata – ‘porre davanti agli occhi” – binocularismo – monocularismo – algarotti, il sacramento del linguaggio – Fjeld -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Agamben” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51711128401/in/photolist-2mPYYve-2mMx3Tk-2mLLMp2-2mLMaMX-2mKAuZM-2mFT3it-2mFT2vb-2mFXqcz-2mFU9hT-2mFU9hY-2mFU9hs-2mFT3hm-2mFU9hx-2mFXqcE-2mFT3hr-2mFNtjG-2mDcYKz-2mDcG8r-2mDcJUZ-2mD53dA-2mDcHuz-2mD94Xi-2mDaeCf-2mDaeWB/

 

Grice ed Agazzi – Apollo febo, ovvero, l’impegno della ragione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Grice: “I like [Emilio] Agazzi; his tutees thought he was into the ‘impegno della ragione,’ but then MY tutees thought that I was into the philosophical grounds (as in coffee) of rationality: intentions, categories, ends – I go by “H. P. Grice,” so surely I can find an acronym that would NOT leave the essential “H” out – as in Speranza’s GHP – a highly powerful or hopefully plausible version of Myro’s system G – “in gratitude to Paul Grice.” Grice: “Agazzi is a marxist – cf. my ontological Marxism, I am one, too – so his ‘ragione’ is Hegelian – he has also philosophised on Croce, and idealism, but the idea that there is ‘impegno’ behind reason is tutorial – surely reason is a natural faculty that does- not require much of an ‘impegno’ – the more impegno, the less rational you will be counted – if he means that!” -- Filosofo. Agazzi nacque a Genova. Qui conseguì la maturità classica a la laurea in lettere e filosofia con una tesi su Il pensiero filosofico di Piero Martinetti presso l'Università Statale. Fu assistente volontario di storia della filosofia dapprima a Genova dal 1945 al 1954, dove fu in particolare influenzato dal pensiero di Adelchi Baratono, ordinario di filosofia teoretica, e successivamente, dal 1954 al 1964, a Pavia (ove in particolare collaborò con Ludovico Geymonat e Vittorio Enzo Alfieri); contemporaneamente, dal 1949 al 1972, insegnò filosofia nei licei di Genova, Voghera e Pavia. Nel 1964 conseguì la libera docenza in storia della filosofia moderna e contemporanea; dal 1965 al 1968 insegnò filosofia della religione nella facoltà di Lettere e filosofia a Milano, in particolare riprendendo il suo interesse per Piero Martinetti; mentre nella stessa facoltà insegnò dal 1969 al 1982 filosofia della storia, ottenendo un incarico stabile dal 1973.  Dalla seconda metà degli anni Settanta si dedicò in particolare allo studio della filosofia tedesca moderna contemporanea, accentrando la sua attenzione sulla Scuola di Francoforte, città in cui svolse ricerche approfondite ed ebbe contatti con docenti universitari; negli stessi anni frequentò ripetutamente università tedesche, polacche e jugoslave.  Impegno politico Da sempre attento agli sviluppi del pensiero marxista in Italia e in Europa, accompagnò la sua intensa attività di ricerca scientifica ad un attivo impegno politico: esponente del Partito Socialista Italiano negli anni Cinquanta, nei decenni successivi aderì dapprima al PSIUP, quindi al PDUP e a Democrazia Proletaria. Collaborò in varie forme a molte riviste e quotidiani della sinistra (tra gli altri Il Lavoro Nuovo, l'Avanti!, Mondoperaio, Quaderni Rossi, Passato e Presente, Classe); nel 1983 fondò la rivista di teoria politica Marx centouno.  Dopo il 1986, gravemente ammalato, dovette rinunciare ai suoi studi, lasciando nel 1990 l'insegnamento. Morì a Pavia il 25 settembre 1991.  Archivio L'archivio di Emilio Agazzi e gran parte della sua biblioteca sono stati do 1992 dagli eredi alla Fondazione Turati, dove è tutt'ora conservato presso l'archivio della Fondazione; il fondo contiene quaderni di appunti, manoscritti e materiali di lavoro per il periodo dagli anni Quaranta agli anni Ottanta del Novecento.  Opere: “Croce e il marxismo” (Einaudi); “Linee fondamentali della ricezione della teoria critica in Italia”; “L'impegno della ragione” (Cingoli, Calloni, Ferraro, Milano, Unicopli); Filosofia della natura. Scienza e cosmologia, Piemme, Casale Monferrato); “La filosofia di Piero Martinetti, Sandro Mancini, Amedeo Vigorelli e Marzio Zanantoni, Edizioni Unicopli, Milano, . Traduzioni Jürgen Habermas, “Etica del discorso” -- Laterza, Bari-Roma  Note  Agazzi Emilio, su SIUSA Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. 21 febbraio .  Fondo Agazzi Emilio, su SIUSA Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Collezione Emilio Agazzi  su Fondazione di studi storici "Filippo Turati". 21 febbraio .  E. Capannelli ed E. Insabato , Guida agli Archivi delle personalità della cultura in Toscana tra '800 e '900. L'area fiorentina, Firenze, Olschki, Scuola di Milano  Emilio Agazzi, su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.Collezione Emilio Agazzi su Fondazione di studi storici "Filippo Turati". Filosofia Filosofo Professore1921 1991 18 novembre 25 settembre Genova Pavia. Emilio Agazzi. Agazzi. Keywords: Apollo febo, ovvero, l’impegno della ragione; etica del discorso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Agazzi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51795578729/in/dateposted-public/

 

Grice ed Agazzi – dialettica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bergamo). Grice: “[Evandro] Agazzi has all the best intentions, but perhaps he lacks a Lit. Hum. background – he basically approaches my topic of “logica filosofica” which he contrasts with ‘logica matematica,’ and he has a special tract on my pont about ‘formalismo’,’ which I later called ‘modernism’ – “ragioni e limiti del formalismo” – his essay on ‘mondo incerto’ reminds me of my ‘intention and uncertainty’!” – Filosofo. Figlio di Agazzi, ordinario di pedagogia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Cattolica di Milano e preside della Facoltà di Magistero, fu allievo di Gustavo Bontadini e amico di Ludovico Geymonat, con cui a lungo collaborò, durante gli studi di filosofia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e di fisica presso l'Università Statale di Milano. In seguito si è perfezionato all'Oxford, a quella di Marburg ed a quella di Münster; dal 1963 è libero docente in Filosofia della scienza e dal 1966 in Logica matematica.  Evandro Agazzi ha inizialmente insegnato Geometria superiore, Logica matematica e Matematiche complementari presso la facoltà di Scienze dell'Genova; ha insegnato altresì Logica simbolica presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, Filosofia della scienza e Logica matematica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.  Dal 1970 è Professore di Filosofia della scienza presso l'Genova e dal 1979 detiene la cattedra di Antropologia filosofica, Filosofia della scienza e Filosofia della natura presso l'Friburgo in Svizzera. È stato professore invitato nelle Berna, Ginevra, Düsseldorf, Pittsburgh ed anche all'Stanford; è dottore honoris causa dell'Córdoba (Argentina).  Ha presieduto numerose associazioni filosofiche nazionali e internazionali: Società Filosofica Italiana, Società Italiana di Logica e Filosofia delle scienze, Società svizzera di Logica e Filosofia delle scienze, Federazione internazionale delle Società filosofiche; è stato membro del Comitato Nazionale per la Bioetica. Attualmente è presidente della Académie Internationale de Philosophie des Sciences e dell'Institut International de Philosophie.  Pensiero I settori ai quali Evandro Agazzi ha rivolto prevalentemente i suoi interessi sono stati: la filosofia generale della scienza, la filosofia di alcune scienze particolari (matematica, fisica, scienze sociali, psicologia), logica, teoria dei sistemi, etica della scienza, bioetica, storia della scienza, filosofia del linguaggio, metafisica antropologia filosofica, pedagogia.  Attualmente le sue ricerche riguardano per un verso la caratterizzazione dell'oggettività scientifica e la difesa di un realismo scientifico basato su un approfondimento delle nozioni di riferimento e di verità, con le relative implicazioni di tipo ontologico, per un altro l'approfondimento del concetto di persona e delle varie conseguenze che ne derivano, in particolare nel campo della bioetica.  Filosofia della scienza La riflessione di Agazzi assume come punto di partenza la necessità gnoseologica di stabilire nella conoscenza scientifica «la più perfetta forma di conoscenza oggi a disposizione dell'uomo». Su questa base, anche i metafisici devono necessariamente passare per l'epistemologia, intesa come fondazione delle «strutture metodologichedella scienza». L'epistemologia, come la intende Agazzi, assume la scienza come un sapere oggettivamente rigoroso: tuttavia l'oggettività in questione non è quella metafisica delle essenze o quella fisica delle qualità, bensì un'oggettualità e intersoggettività.  Sulla base di questi due punti, come Agazzi specifica nel suo celebre libro intitolato Temi e problemi di filosofia della fisica, l'oggetto di una disciplina scientifica è la cosa, esaminata da un punto di vista tale per cui il ricercatore si pone grazie a una precisissima impostazione metodologica, tramite la quale ritaglia su una cosa un aspetto (oggettività), condiviso dai ricercatori che accettano gli stessi criteri di oggettivazione (intersoggettività). Il rigore scientifico cessa di essere inteso in senso dialettico e confutatorio o in senso matematico e quantitativo: è piuttosto inteso nel senso di dar ragione tramite l'immediato empirico o il mediato logico.  In questa prospettiva, la scienza assume la forma di un linguaggio che parla di un universo di oggetti. La configurazione della scienza è caratterizzata da quattro peculiarità:  è realistica, giacché fa costante riferimento alla realtà; è relativa, giacché costituisce il proprio oggetto; è rigorosa, giacché ha una valenza che è sia logica sia linguistica; è responsabile, giacché si pone il problema etico delle conseguenze che da essa scaturiscono. Per Agazzi, la filosofia non deve però limitarsi a fare queste riflessioni sulla scienza: deve anche operare un'incessante ricerca del fondamento, sia attraverso la critica dello scientismo e dell'ideologismo, sia attraverso la proposta di quello che Agazzi chiama, in I compiti della ragione, un «uso costruttivo della ragione: quello che si avvale dell'argomentazione, quello che cerca di comprendere e, al massimo, di persuadere».  Opere: “Lógica Simbólica”; “Temi e problemi di filosofia della fisica”; “Il bene, il male e la scienza”; “Introduzione ai problemi dell’assiomatica”; “Le geometrie non euclidee e i fondamenti della geometria”; “I sistemi fra scienza e filosofia”; “Studi sul problema del significato”; “Scienzia e fede. Nuove prospettive su un vecchio problema”; “Storia delle scienze La filosofia della scienza in Italia nel '900”; “Filosofia, scienza e verità”; “Logica filosofica e logica matematica”; “Quale etica per la Bioetica?” “Bioetica e persona”; “Cultura scientifica e interdisciplinarità  Interpretazioni attuali dell’uomo: filosofia, scienza, religione Il tempo nella scienza e nella filosofia; “Filosofia della natura, Scienza e cosmologia”; Prefazione di F. Minazzi. “Novecento e Novecenti”; “Paidéia, verità, educazione”; “Valore e limiti del senso comune”; “Scienza”; “Le rivoluzioni scientifiche e il mondo moderno”; “Ragioni e limiti del formalismo”. Note  Cfr. l'articolo ”Don Carlì, una vita al Seminario. Un libro per l'uomo cuore di Città Alta“, in L'eco di Bergamo, Giovedì 20 novembre 42.  Storia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Le fonti, Volume 1, Alberto Cova, Vita e Pensiero, Milano, 2007557.  Scuola di Milano Epistemologia Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Evandro Agazzi Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Evandro Agazzi  Evandro Agazzi, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Evandro Agazzi, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Evandro Agazzi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.  Pagina personale di Evandro Agazzi sul sito dell'Genova. Valori e limiti del senso comune, Evandro Agazzi, Milano, FrancoAngeli. Evandro Agazzi. Agazzi. Keywords: dialettica, significato, segno, segnato, segnante, seminarone a Genova ‘studi sul problema del significato’ – Grice, Peirce, segno, segno e comunicazione, segno per comunicare, comunicazione che lascia segno, tiro al segno – segno naturale --.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Agazzi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51794238487/in/dateposted-public/

 

Grice ed Agostino – GIVSTIZIA – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Grice: “I like Agostino; he has philosophised exactly about what I did: identita personale; libero albitrio; and some of the topics that I philosophised with H. L. A. Hart, notably ‘parole di giustizia,’ and ‘bias’: ‘violenza e giustizia’ -- Filosofo.  Consegue la laurea in giurisprudenza nel 1968. Ha insegnato nelle Lecce, Urbino e Catania. Ordinario è professore di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata, in cui ha diretto il Dipartimento di "Storia e Teoria del Diritto". Insegna altresì alla LUMSA e alla Pontificia Università Lateranense ed è professore visitatore in diverse università straniere.  Tra i maestri che hanno influenzato il suo pensiero figurano Sergio Cotta e Vittorio Mathieu. Particolare attenzione è dedicata nella sua produzione scientifica alla teoria della giustizia, alle tematiche della bioetica, e quindi alle problematiche della tutela del diritto alla vita, alla teoria della famiglia.  Nel suo scritto La sanzione nell'esperienza giuridica, del 1989, sostiene e riattualizza la teoria retributiva della pena.  Già membro del Consiglio Scientifico dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, attualmente è Presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica, di cui è membro fondatore e di cui è stato presidente negli anni 1995-1998 e 2001-2006. Ricopre inoltre la carica di Presidente dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani. È membro della Pontificia Accademia per la Vita.  È stato direttore di Iustitia e Nuovi Studi Politici; attualmente è condirettore della Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto. Dirige per l'editore Giappichelli la collana Recta Ratio. Testi e studi di Filosofia del diritto, nella quale sono apparsi più di cento volumi. È inoltre editorialista del quotidiano Avvenire. Grazie a queste cariche e alle sue pubblicazioni, oggi D'Agostino è considerato uno degli intellettuali di riferimento del movimento teocon italiano.  Ha coordinato la sessione "I cattolici, la politica e le istituzioni" nell'ambito dei lavori del X Forum del Progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana sui 150 anni dell'Unità d'Italia.  Polemiche sul tema dell'omosessualità Ha suscitato polemiche la constatazione di D'Agostino per cui le unioni omosessuali sono «costitutivamente sterili»: la constatazione fu ripresa dal ministro Mara Carfagna nel 2007 che affermava che «non c'è nessuna ragione per la quale lo Stato debba riconoscere le coppie omosessuali, visto che costituzionalmente sono sterili» e che «per volersi bene il requisito fondamentale è poter procreare».  Opere: “La sanzione nell'esperienza giuridica”; “Una filosofia della famiglia”; “Diritto e Giustizia”; “Filosofia del diritto, Parole di Bioetica, Parole di Giustizia, Lezioni di filosofia del diritto”; “Lezioni di teoria generale del diritto, Bioetica, nozioni fondamentali, Il peso politico della Chiesa, Un Magistero per i giuristi. Riflessioni sugli insegnamenti di Benedetto XVI,  Bioetica e Biopolitica. Ventuno voci fondamentali  Corso breve di filosofia del diritto,  Jus quia justum. Lezioni di filosofia del diritto e della religione  Famiglia, matrimonio, sessualità. Nuovi temi e nuovi problemi. Carfagna: "Gay costituzionalmente sterili" da La Repubblica. Francesco D’Agostino. Francesco D’Agostino. D’Agostino. Agostino. Keywords: giustizia, ius quia iustum non ius quia iussum – iussum – iubeo, perh. ‘jus habere’ to regard as right. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Agostino” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51794746919/in/dateposted-public/

 

Grice ed Agresta – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mammola). Grice: “I would hardly call Agresta a philosopher, but then my working site was formerly a Cisterian monastery and bore the name of San Giovanni il Battista, so who am I to judge?! In any case, I always wondered why Loeb (in the Macmillan edition) cared to publish the four volumes of letters of Basil (of Blackwell fame) – now I know – Agresta dedicated his life to this saint – In a way I drew from him in my netasteousia, i. e. transubstantatio – how a pirot-1 becomes a pirot-2 – a human becomes a person. Pater used to say that at Oxford it’s all about Hellenism, no Ebraismo! Yet Agresta, an Italian, of sorts --  he was half-Greek! – is a good example, alla Basil, of how troublesome those with a classical – i. e. Graeco-Roman – education found all those ‘heresies’ of the Christian dogma! Three persons in one – and the rest of them. Hardie used to tell me, ‘Lay the blame on the Christian doctrine, not on Aristotle’s theory of the substdance!” --  Filosofo. Abate Generale dei Basiliani d'Italia è ritenuto tra i più illustri dell'ordine Basiliano. Nato a Mammola (RC) il 10 gennaio 1621, morì a Messina il 23 Dicembre 1695. Al battesimo fu chiamato Domenico, figlio di Giovanni Michele Agresta e di Dianora Scarfò. Inizia i primi studi alla Grancia Basiliana di Mammola, continua al seminario di Gerace, a 16 anni frequenta gli studi superiori a Napoli, ma viene colto da febbre maligna e miracolosamente come egli afferma recupera la guarigione ritornando a Mammola. Dopo due anni il 23 luglio 1639 veste l'abito di San Basilio Magno nel monastero del San Salvatore di Messina. Abbandonando il nome Domenico prende quello di Paolo; l'anno successivo viene consacrato sacerdote nella basilica di Sant'Apollinare di Ravenna, ricevendo il nome di Apollinare e inizia la professione monastica.  Don Apollinare Agresta dotto teologo, filosofo, studioso, storico e scrittore. Nel 1669 fu insignito del titolo di Maestro di sacra teologia. Negli anni successivi il 24 luglio 1675, viene nominato Abate Generale dell'Ordine dei Basiliani d'Italia da Papa Clemente X, con l'incarico di riorganizzare l'ordine dei Basiliani; nel 1680 veniva ancora confermato, poi riconfermato da Papa Innocenzo XI, ed ancora un'altra volta nel 1692 da Papa Alessandro VIII. Conservò la carica fino alla morte.  Ha rivestito incarichi prestigiosi. Giovanissimo viene insignito di numerose cariche: è responsabile di diversi monasteri della Provincia di Calabria e d'Italia, introduce nuovi metodi di studio per gli studenti, procurandosi fama e onore dalle comunità locali e religiose. Ricopre la carica di Abate al monastero di S. Onofrio, presso Monteleone oggi Vibo Valentia, regge successivamente la Grangia di San Biagio del monastero basiliano di San Nicodemo di Mammola (RC); ma anche fu inviato al monastero italo-greco di San Giovanni Theresti di Stilo (RC), a reggere il monastero di Mater Domini in Nocera de' Pagani nella Campania, e dopo viene nominato Procuratore Generale della Badia di Grottaferrata, oggi Monastero di Santa Maria di Grottaferrata, meglio conosciuto come Monastero di San Nilo.   RomaChiesa di San Basilio (Stemma visibile sugli archi della Chiesa)  RomaChiesa di San Basilio (Lapide a conferma della edificazione voluta da Don Apollinare Agresta) L'Agresta ebbe sempre a cuore il decoro nel culto e delle costruzioni ed arredamenti degli edifici religiosi. Fu edificata da lui nel 1682 la Chiesa di San Basilio agli Orti Sallustiani a Roma, che si trova in Via San Basilio vicino a Piazza Barberini, come conferma una lapide marmorea in latino dentro la chiesa. Nella Grancia Basiliana di Mammola edificò una cappella in onore di San Nicodemo Abate Basiliano e affidatala alla sorella Vittoria vi fece collocare le reliquie del santo (in seguito al terremoto le reliquie sono conservate nella cappella di San Nicodemo nella Chiesa Matrice di Mammola). Si adoperò per la costruzione del Collegio di San Basilio a Roma. Nel monastero di Rosarno restaurò la cappella della Madonna. Acquistò campi e case e restaurò numerosi monasteri permettendo ai monaci di vivere una vita più comoda. Donò indumenti liturgici in tutti i monasteri basiliani.  I Monaci Basiliani del Monastero di Grottaferrata (Roma) devotamente ricordano il loro Generale conservandone, con cura gelosa, un guanto pontificale. Marco Petta eFrancesco Russo, studiosi e storici del Monastero di Grottaferrata, sono state le ultime due personalità religiose che hanno scritto in ricordo dell'Abate Generale Don Apollinare Agresta, consultando all'interno del monastero la vasta biblioteca che conserva scritti di grande valore e importanza.  Nel Museo Diocesano di Reggio Calabria, si può ammirare un reliquario a braccio, che conserva le reliquie di San Giovanni Thereste, donate dall'Agresta quando ricopriva la carica di Abate del Monastero italo-greco di Stilo.  Un ritratto in giovane età del monaco è pubblicata nel libro "Mammola" di Don Vincenzo Zavaglia. Autore di numerose pubblicazioni, i libri di Don Apollinare Agresta, a distanza di secoli, ancora oggi vengono consultati e citati da numerosi ricercatori e studiosi, tra le sue opere più importanti ricordiamo: “Vita di San Basilio Magno” (Roma) -- ancor oggi pregevole per le molte notizie che ci dà dei monasteri basiliani delle Calabrie e d'Italia --; “Vita di S. Giovanni Theristi” (Roma); “Vita di San Nicodemo A.B. (Roma Privilegi e concessioni fatti dal Gran Conte Ruggero al sacro archimandritale Monastero di Giov. Theristi (Roma); Constitutiones Monachorum Ordinis S. Basilii Magni Congregationis Italiae (Roma) Compendio delle Regole o vero Costitutioni monastiche di S. Basilio raccolto dal Bessarione (Roma). Sono rimaste inedite alcune biografie riguardanti San Luca di Tauriano, il beato Stefano di Rossano, San Proclo di Bisignano, la beata Teodora Vergine, San Onofrio di Belloforte e San Fantino di Tauriana.  D. Vincenzo Zavaglia, Mammola, Frama Sud, Chiaravalle C. Marco Petta, Apollinare Agresta Abate Generale Basiliano, Tipogr. Italo-Orientale S. Nilo Grottaferrata 1981. Apollinare Agresta, in Enciclopedia Treccani, 1929 Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Monastero di Santa Maria di Grottaferrata o Monastero di San Nilo, su abbaziagreca. Santuario di San Nicodemo, su sannicodemodimammola. Foto di Don Apollinare Agresta alla giovane età di 24 anni, su flickr.com.  Apollinaire Agresta. Agresta. Keywords: stato laico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Agresta” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690466087/in/photolist-2mT4DT6-2mKH9Gx/

 

Grice ed Ajello – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Grice: “I love Ajello; bevause he was a Plathegelian, while I’m an Ariskantian; I always found Plathegel very HARD to understand, Ajello doesn’t; there’s something in an Italian that makes Hegel’s Dutchiness very comprehensible, even more so than to the Dutch themselves!” Filosofo -- discepolo di Puoti, aprì uno studio privato come maestro ma ebbe vita stentata fino a quando ottenne un posto al ministero dell'Istruzione.  Partecipa ai moti e per questo fu licenziato in tronco. E arrestato e gli e  vietato l'insegnamento pubblico e «di far uso anche moderatissimo della stampa» , per cui dove tornare all'insegnamento privato della filosofia e della letteratura.  Seguace convinto della filosofia hegeliana, che contribuì a diffondere in Italia, basa la sua filosofia soprattutto sull'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio. Opere: “Della muliebrità della volgar letteratura dei tempi di mezzo”; “Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze”; “Discorsi di storia e letteratura” -- Enciclopedia Italiana Treccani alla voce corrispondente  Opere di Giambattista Ajello, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.  CONSIDERAZIONI SULLA MULIEBRITA DELLA VOLGAR LETTERATURA DEI TEMPI DI MEZZO DI GIAMBATTISTA AJELLO. Di questa operetta del signor Ajello, della quale han già tenuto parola vari giornali del regno, sorge in ul timo luogo a dar contezza ilProgresso. Nè ciò senza ra gione, perocchè , essendo l'Ajello uno de'collaboratori de' quali il nostro giornale si pregia, il nostro qualsiasi.giu dizio sarebbe forse paruto sospetto , e noi , diffidandone a ragione , abbiamo aspettato che ci avesse preceduto quello di altri non ligati a lui collo stesso. vincolo di amicizia. Per la qual cosa avendomi io in particolare , senza dissi- ' mulare a me stesso la malagevolezza di giudicar l'opera di uno amico, tolto l'incarico di qui ragionarne mi converrà avvertire che riassumerò le idee dell'Ajello non dal solo libretto di cui è qui sopra rapportato il titolo , m a da un suo lungo articolo ancora inserito nella Rivista Napolitana, nel quale , rispondendo l’Ajello alle o b biezioni del culto giovine Stanislao Gatti (2), ha meglio 69 (1) Anno.3.° fasc.IV. Museo di letteratura e filosofia , vol.I.° pag . 60. opera periodica compilata per cura di Stanislao Gatti, alla quale auguriamotuttoquel successo đi che l'ingegno del Direttore ci è larga guarentigia. CONSIDERAZIONI SULLA MULIEBRITA' sviluppato le sue idee e dileguato quei dubbi che per a v ventura avrebbono potuto far nascere. Dall'uno e l'altro lavoro cercherò cogliere il pensiero dell'autore qual si c o n viene a chiunque prenda a disaminare un'opera nell'in teresse solo del progresso del pensiero, non già per m i serabili e grette vedute individuali , per le quali cercasi trovare una contraddizione in ogni pagina e far la guerra non ai principi, m a agl'individui, privilegio di separazione alla repubblica letteraria solo concesso. Ecco dunque la serie delle ragioni principali dall'A jello discorse e rapportate , quanto più per m e si potrà, colle sue stesse parole. Ogni qualvolta si porti la nostra attenzione sui versi ed opere di arte che ci ha tramandato l'antichità ed a quelle che nel medio evo ebber vita, non sipuò non re star colpito dalla capital differenza che le separa. Nelle prime nate in mezzo alle culte e pulite società di Grecia e di Roma , vediamo farsi della donna quel conto che d'ogni cosa si farebbe da cui ci provvenisser soltanto vo luttuose dolcezze 'e vivaci e corporali diletti: laddove nelle séconde, comunque nate in mezzo a feroci e brutali pas sioni e lotte continue di elementi tra loro pugnanti e d i scordi , son le donne reputate quasi di superiore e più n o bil natura e fattevi obbietto d'uno entusiastico culto e d'un devoto e mistico amore. Vediamo la passione espressa nei versi degli antichi esser meglio ardenza di voglie ed e b brezza di sensual godimento che puro e indefinito desio ed abbandonevole affetto ed obblio di se stesso e del mondo nell'amata persona , come ne'poeti del medio evo si o s serva. E però campeggiar ne'primi la gelosia ,la quale in sostanza (come bellamente si esprime l’Ajello) è amor proprio , è poca o niuna stima dell'oggetto amato , spa rire interamente dalle opere dei secondi, cantori di una passione più dell'antica disinteressata e gentile. Questo puro e spirituale amore , questa stima ecces siva , questo universale e presso che religioso culto fatto nel medio evo alle donne , è ciò che si chiama dall’Ajello muliebrità della moderna letteratura con vocabolo di cui non starò affatto a disaminar la convenienza, bastandomi aver significato ilpensiero che ad esso congiunge l'autore. É di questo singolare e non mai più veduto fatto, il quale, se costituisce ladifferenza del Tibullo dal Petrarca in quanto ai lor pensieri ed affetti amorosi , forma un nuovo ed i m portante elemento della nostra letteratura , che rende r a gione il suo libro ,cercando principalmente dare al fatto un fondamento , come l'autor dice, nella natura umana, avvalorando in tal modo e psicologicamente spiegando quei fatti , c h e , storicamente affermati , son mutabili e troppo speciali ed angusti perchè la Scienza della Storia debba farne un gran caso. La qual trattazione spero non sem brerà inutile ad alcuno o di mero passatempo, imperoc chè se la letteratura forma parte integrante della vita di un popolo e quindi della sua storia, nè si può senza colpa per trattar l'una trascurar l'altra, 'e se la patria nostra si è fatta felicemente studiosa delle sue memorie del medio evo le quali, se non sono le più liete,sono certo lepiù gloriose, il saggio dell'Ajelo non giunge certamente inopportuno , ed egli riscuoterà senza dubbio il plauso di tutti coloro che rettamente sentono e pensano.Ilche assaibe ne , nè poteva altrimenti accadere, intese lo stesso Ajello il quale , mostrando nella sua introduzione esser quella tal muliebrità principal differenza della moderna letteratura dal l'antica, massime considerandola ne'suoi lontani effetti sulla vita ed il pensar delle nazioni, ed i nuovi e signoreggianti elementi delle moderne lettere star nell'amore e la morte ; assai logicamente concludeva doversi il lavorare intorno ad uno di questi elementi reputare opera per la moderna critica importantissima. N o n voglio con ciò dire essere egli stato il primo ad investigar le cagioni di questa che con lui chiamerà volontieri muliebrità della moderna lettera tura , chè già , comunque per lo più senza prove e quasi dommaticamente assunte , varie opinioni eran corse sul l'oggetto e di reputati scrittori tutte e dallo stesso Ajello a quattro ridotte nel seguente modo. Che il Cristianesimo in 'ispezialtà sia stato cagione del devoto e più puro amor per le donne.  Parole del Conte Cesare Balbo nella sua lodatissima vita di Dante. Ch'ei sidebba alle invasioni degl’arabi, massime alla vicinanza dei mori di Spagna. Che soprattutto ei sia necessario e natu ralissimo effetto delle sociali e locali condizioni in cui f u ron posti gl'invasori , poichè presero più ferma stanza sul territorio romano, e che ilfeudale ordinamento ebbe aqui stato alquanto di consistenza e di stabilità. Che sieci stato recato dalle genti germaniche con tutti gli altri lor costumi statici narrati e descritti da C e sare, Tacito ed Ammiano Marcellino. Or, movendo dalla prima opinione sostenuta precipua mente da scrittori Tedeschi per una certa loro inehinevo lezza all'astratto e più per reazione alla miscredenza del secolo passato , ecco le ragioni che ad essa oppone l'a u tore. Essere il fatto di cui è parola apparso al secolo undecimo e però aver dovuto la cagione aver prima ope rato. Or in quella sorta di tempi potea forse la Chiesa aver qualche possanza , m a ogni buono effetto il qual d e rivasse proprio dall'indole della religion cristiana , dovea esser contrastato e depresso fra la grossa ignoranza e lo scompiglio e il grido di bestiali e matte passioni. Con che non s'intende dire il Cristianesimo non avere avuto potere a quei giorni , m a che la sua spirituale e gentil n a tura non potea avere in tanta barbarie e in si profonda ignoranza pieno e libero effetto, ma scarso e poverissimo. In fatti la vera e nobil sua natura troviamo sconosciuta , e praticato solo ciò che avea di più esteriore e formale , e di Concilie di Papi contro i tornei, il duello e di giudizi di Dio gridar vanamente. Aver senza dubbio il Cristianesimoconferito potentemente a migliorar la condi zionefemminile,ma nonperciòpotersidireche,eman cipando la donna, producesse poi quel puro amore e reli gioso culto che nel medio evo si ottenne , essendo questi due fatti non pur diversi , ma sino ad un certo segno in dipendenti e slegati , di sorta che sonosi appresso scompagnati sempre e fuggiti. Esser l'amore cantato ne' tempi di mezzo gentile e purissimo, m a si profano e quasi idolatra. Or se si rifletterà che il Cristianesimo immoto e fisamente stretto cogli occhi al Cielo e all'altra vita , come al solo vero scopo dell'uomo , tenga la terra un esilio e transitoria stanza di sperimento , ed abbia sempre temuto che avesse pregio e bellezza ; si vedrà che cosa dovesse pensar delle donne , di queste possenti allettatrici de'cuori umani , delle quali non ci ha cosa che più grande e general potere abbia sull'uomo , che meglio e con più forza il discosti e distolga dai celesti e santipensieri. Ecco perchè il Cristianesimo , qual si mostrò nel decimo ed u n decimo secolo, promosse il celibato , popolò di anacoreti i deserti della Tebaide e , riferendo ogni nostra mise ria al malaugurato potere ed alle lusinghe della donna ( di che tristi e multiplici esempi glie ne fornivano le s a cre carte-) vide in costeimen la compagna che la se duttrice é quasi la principal nemica di lui, ed , anzi che confortarci ad amarla , non ha fatto , nè fa tuttavia , che distorci dal porvi affetto grande e terreno , come dal più tenace e periglioso laccio del nostro animo. Nel Romano impero di Levante , ove più liberamente ed ef ficacemente la Religione Cristiana operò , quel che era suo effetto averlo avuto , migliorar cioè la condizion delle donne , come si può veder nelle leggi pubblicate da Giu stiniano ; m a nessuna ombra trovarsi nelle opere di quel tempo della muliebrità occidentale , niente d' amore che almen puro fosse e gentile.La quale ultima cosa non es sendo giunto a produrvi dopo ben dieci secoli di non contrastato impero ,tanto meno si potrebbe tener come cagione della muliebrità della letteratura d'Occidente quando anche si volesse concedere che qui campo m a g giore egli si avesse.ottenuto. Il che tanto più sembrerà vero in quanto si osserverà quel grande ed universale amore , che nei cristiani poeti de'mezzi tempi vediamo, trovarsi a un di presso in quei paesi ed in mezzo a quei popoli che usaron di avere più mogli e chiuse le ten nero e schiave ; e più nel mezzodi della Francia che in Italia, ove il Cristianesimo dominò maggiormente ; ed es serne rimase le tracce più nella classe cavalleresca e g e n tile che nella media e popolana , sulla quale sempre di L'influenza degli Arabi sulla muliebrità dell'occiden tal letteratura vien rigettata dall'Ajello sull'appoggio delle seguenti ragioni 1.o Perchè non ci si poteva da essi r e care ciò che non avevano , essendo la loro letteratura , come tutta quella delle genti orientali', obbiettiva e sensia  gior potere il Cristianesimo fa prova. magbile, e priva interamente ed ignara di quel profondo ed in definibil desio , di quel levarsi dell'animo oltre ai confini del finito e del presente in una sfera più pura e beata che pur cosi spesso accade trovar nella nostra. La qual dif ferenza dell'araba dalla nostra letteratura trova una giu stificazione a priori nel clima , stantechè , secondo l'Ajello , un clima nordico o temperato farà le donne più caste e restie , quindi più stimate e libere, e l'amore più disip teressato e gentile che sensuale ed ardente , ed esprimente anzi il grido e il lamento d'un principal bisogno del cuore che un corporale appetito ; dovechè sotto meridionale e caldissimo cielo , gli uomini poligami ed , invece di dolci e sole compagne , chiuse le donne e soggette, l'amore non rivestirà la stessa fisonomia . Essere il fatto di cui è parola della natura di quelli che non si possono comunicare da un popolo all'altro , nè procedere da altro che da intrin seca e spontanea cagione. E ciò per non essere l'amore cantato nel medio evo artifizioso o bugiardo , m a sì bene profondamente sentito e spontaneo , e gli usi galanti e c a vallereschi ingenerati e tenuti da universali bisogni e da affetti veraci e potenti tanto che vediamo il culto per le donne penetrato sino nelle leggi barbare , le quali provveg gono sempre a certi e già provati bisogni e non a quelli eziandio che si possono temere . Oltrechè le usanze d'un p o polo possono derivare da'suoibisogni ed affetti, non questi da quelle, massime in popoli giovani e rozzi e però di altera e disdegnosa natura , ne'quali le usanze non sono mai recate e tenute da capriccioso impero di moda o da servile imitazion degli stranieri, come in più colti e vanitosi tempi interviene, ma siderivanodaalcunbisognooopinionicheessiabbiano. 3.° Perchè la storia mostra esser la gaia scienza passata in Ispagna,sededegliArabi-mori,dallaProvenza,checo storo (dappoichè non se ne trova traccia in Oriente, ne le sociali condizioni il concedevano ) ricevettero dai C r i stiani le costumanze cavalleresche , e queste , invece di a p parir prima in Ispagna,poi nella Francia, in Alemagna e finalmente nella remota e divisa Inghilterra , vedonsi apparir prima in Provenza e in Alemagna e in Inghilterra ed assai più tardi nella Spagna che,per la vicinanza dei Mori, avrebbe dovuto prima averle. Perchè infine, se i costume dei Mori non furono indarno pei lor vicini, 'non è da credere che grandi eprofondi ne fossero stati gli ef fetti a cagione delle sterminatrici guerre religiose, e della differenza di culto e di lingua. Al che si aggiunga esser tale la diversità del genio orientale da quel d'Occidente che quel che di arabo si trovi nelle spagnuole scritture e dicristiano nelle arabe si possa agevolmente scorgere. Escluse in questo modo le due prime opinioniche al Cristianesimo ed agli Arabi riferiscono la muliebrità della occidental letteratura , viene l'autore a fermar la sua opi nione , la quale si compone in parte dalla unione delle ultime due", di quella , cioè che ai Germani attribuisce il nuovo culto che ebber le donne , citando Tacito e gli altri romani storici che di loro scrissero ; e dell'altra che , negandolo , il fa singolarmente nascere dalla vita feudale ; opinioni che , cosi sole e divise come sono, paiono al l'autore assai ristrettive ed anguste , e per giunta inelte a spiegar tutto il fatto. Il che , volendosi fare, soggiunge con assai d'accorgimento , è mestieri cercarne la cagione pro prio in grembo e nell'indole dell'età che lo accolse e m o strò ; e però bisogna con ogni studio possibile e partita mente'esaminar quello che costituisce il medio evo , in somma quei generalissimi fatti che mutaron la faccia di Europa,e rovesciando ilRomano Imperio,nascerfecero é detter forma e colore alle nuove società d'Occidente . >> Or principali elementi della nuova civiltà essere il roma no'; il cristiano e il germanico , nè trovandosi il nuovo amor del medioevo nel primo elemento , nè derivar po tendo dal secondo , resta che in ispecie almeno e sopra tutto dall'ultimo derivi. La venuta infatti d'un giovine é poetico fatto non potersi altramente spiegare che per mezzo di coloro che ristorarono la nostra vecchiezza con la robustezza e gioventù loro , e ci affrettarono per la via di progresso e di moral perfezione. E poichè i Germani stanziatisi nelle terre romane eran venuti sotto il doppio ed efficace potere della civiltà antica e della religioncrie stiana , doversi perciò esaminar questo fatto e questo scon tro , considerando i Germani 1.o come genti uscite di tra  1   montana : come uomini barbari , pur non selvaggi : come bellicosissimi : come stanziatisi isolati e di visi per le campagne , indi costituitisi in feudale ordina mento : 5.0 come popoli giovani e vigorosi accostati al potere di una civiltà antica e grande e d’una religione mansueta e gentile. Questo quintuplice modo di copșide rare i Germani , bello senza dubbio e fecondo d'impor tanti applicazioni , produce la suddivisione di questa se conda parte del libro dell'Ajello in cinque capitoletti che riassunti contengono: 1.° Ilfreddo e duro clima , sepa rando e concentrando le famiglie , e impedendo la poli gamia , dar naturalmente preminenza e crescer stima alle donne ; e facendole più schive e pudiche , e di maggior verginal compostezza e matronal decoro dotate , render p e r ciò l'amore assai più puro e devoto, anzi quasi estatico e contemplativo. Con che l'autore non intende dire essere di questa natura stato l'amore delle rozze e selvatiche genti venute sul territorio romano , ma solo che in esse, come abitanti di settentrionali contrade,esser ne dovea la natural disposizione e quasi il germe, il quale , ingenti litisi gli animi , n o n potea rimanersi luogamente ascoso, ed infecondo. Essere i Germani venuti in Occidente genti barbare si m a non già selvagge e , per lo contatto col Cristianesimo e la romana civiltà, nel secolo undeci mo pervenute a quel giovine stato di coltura che è il primo uscir della barbarie e che eroico o poetico si chia merebbe , in cui l'amore ha più generale e grande effi cacia , a differenza dei tempi selvaggi ove la sola parte brutale e sensibile predomina , e degl'inciviliti ne'quali la civiltà , aguzzando la facoltà riflessiva e scolorando l'im maginazione , toglie ogni prestigio e possanza all'amore. Essere genti bellicosissime , presso le quali sogliono tenersi in molto pregio le donne ; la qual cosa pruova l'autore con l'esaminare in che mai psicologicamente con sista l'amore, e mostrando ch'è ilcompimento dell'umana natura ; che perciò congiunge proprietà opposte , m a leo gandole armonicamente ; che tutte le qualità virili pos sonsi ridurrre alla fortezza , le femminili alla debolezza ; e che in conseguenza chi daddovero è uomo ed ha in se uso e coscienza di moral fortezza , più inclinar deve ad amare , e a stringersi allato il timido e debil sesso ; tap topiù che i forti son più magnanimi e di più aperto e gen tilcuore,eperòpiùproclivi all'amore. Che, natalaca valleria, questa alla sua volta avere assai conferito a cre scere stima edonore alle donne, le quali la storia stessa, in conferma di queste teoriche ,mostra stimate più in Isparta che nelle altre parti di Grecia , ed in Italia più tra gl'indo mabili Sanniti ed i bellicosi Romani che altrove. 4.° A g giugnersi a ciò la feudalità la quale , per lasciar spesso alle donne e fino in seno alla domestica vita un alto e quasi so vrano posto, dovette grandemente aiutare il loro svolgimento morale , e perciò di molto conferire a farle generalmente v e nire in considerazione ed opore , non già come causa unica , non essendo nè cosi generale nè efficace di tanto che possa pressochè sola bastare a rendere ragione del fatto. Nel quinto capitolo finalmente , annodando tutte le sparse fila del suo lavoro , ecco,coine l'autore formola la sua opinione , la quale , per essere stata assai ben rias sunta da lui stesso nell'indicata risposta al Gatti, mi per metterò qui trascriverla. » lo stimo , egli dice , che nel giovanile elemento della società di quel t e m p o , così per la natural disposizione che ne recarono i vincitori per effetto dello stato eroico a cui dopo la conquista per vennero, dell'indole forte e guerresca che maggiormente si svolse tra noi , e della vita feudale nata dalla conquista, fosse il fomite , il germe, e un'inchinevolezza grande ad amare e a stimar molto le femmine. D'altra parte , nel Cristianesimo e nella civiltà romana era 1.o un pensiero é un principio opposto ; 2.° molta gentilezza e moral col tura. Il pensiero e il principio opposto non avea potere di contraddire a quella gagliarda e natural disposizione di giovane società : conciossiache , quanto all'elemento r o m a no , per esser vecchio e stanco , eoltracciò in alcun modo corretto e purificato dalla religion cristiana , se non era in esso l'amor puro e devoto,neppure era l'amor bru tale e la disistima delle età antiche e pagane ; e quanto al Cristianesimo , sanno i miei leggitori quanto poco in quella sorta di tempi valgan gl'insegnamenti , e le caute e fredde ragioni in mezzo al grido e alla forza di caldi e giovani affetti , sempre più avvalorati da tante cagio che  ni,e poidallapresaepiaciutausanza.Rimaneanell'ele mento romano e nel cristiano la gentilezza e la moral col tura ; e perocchè queste non contraddicevapo, alla detta natural propensione , anzi , ingentilendo gli animi e i m o di , aiutavanla e snodavano , furono subito accolte da quelle genti rozze ; chè è nota la spontanea proclività nostra al vero ed al bello, massime quando paion nuovi ed ignoti. In s o m m a , a dirla breve , ciò che nel Cristianesimo e nella civiltà romana era contrario all'amore eccessivo e devo to , fu da giovine e gagliarda forza vinto e depresso ;e ciò che non lo impediva e vietava , m a aiutava e svol geva , fu spontaneamente accolto é voluto. Questa parte io fo all'elemento romano e al cristiano; nė mi spiace rebbe di farla anche agli Arabi in alcuna mapiera , pur chè in sostanza mi sia conceduto ch'eglino , ingentilendo inostri,aiutarono ilfatto,nongiàcomunicandoneilger me , o dandolo già bello e formato ,che è la sola cosa da me contraddetta.» E più sopra lo stesso Ajello dice « Feci vedere che il fatto che io m'ingegdava di spiegare ,mostrava chiaro uno scontro di nuovo e di antico ,di gioventù e dim a turità e quasi una doppia e biforme natura : e che però dovea esser nato da opposti e contrari elementi , o dallo scontro e fusione che io dissi del mondo romano e cri stiano col barbáro'o germanico . Difatto , quanto alla parte giovanile , primitiva e poetica , in Achille è quello a p punto che è nel Tancredi del Tasso ; v'è tutto il verde è la rude e virginal gagliardia di un giovine mondo. Se da Tancredi è diverso , mancagli il :sentir delicato e gentile , e quella fina cortesia , e quella sociale e m o ral raffinatezza'; mancagli insomma l'elemento romano e'l cristiano che soli di tutto questo potevano esser cagione. Ed io nel saggio il conferma i colla storia, mostrand o : 1.o che se ci ha luogo in Occidente , dove con quasi pari forza si scontrarono l'elemento romano e il germanico , questo luogo è il mezzodi della Francia , vero anello e temperamento fra la preminenza romana d'Italia e il si gooreggiante spirito franco del settentrione ; e che quivi udironsi i primi canti d'amore , quivi la cavalleria prima apparve : 2.o che a tutti gli altri grandi ed universali i Germani , o certo tanto inferiore a quello delle nostre genti che ne soffrirono l'invasione  fatti di quella età è comune il doppio e biforme aspetto del nostro , e quanto alle lettere tolsi ad esempio le cro nache e il poema di Dante , provando in tal modo che questa è la propria rappresentativa sembianza del medioevo, e che però è necessario che ogni grave e universale fatto dei mezzi tempi abbia la stessa impronta e natura . Ecco , se non andiamo errati , la esposizione fedele delle cose dall' Ajello discorse con uno stile , del quale non potrò certamente essere io quello che porterà giudi zio ; m a che alla universalità dei leggitori ha lasciato d e siderare concisione maggiore, e minori proposte e promesse, massime in un libro , comunque di molta sostanza , picciola fare che si vcol dal dei nostri , nacque e vive sotto lo stesso Sole naturalmente all' astratto , costretti , in non dovrà tenermi , che o pullo esso mole pur sempre. Volendo poi dir qualche cosa della questione brevi osservazioni sul merito alcune l'Ajello esercitato sulla nostra letteratura da quei lurchi barbari, i quali mi pesano sull'anima peggio , nè mi par vero ai verso la terra ladizione da loro tanto beneficio. E primamente che , per amor belli ridenti Tedeschi natale , si piacciono gli antichi costumi di che i poeti fan sempre descrivercene l'aurea semplicità di tutta itempi antenati sia venuta pretensione la riforma rimotissimi, condonando che dai loro rozzi e feroci ad essi la strana costumi; non posso comportarmi nellostessomodo con chi , la Dio mercè di Virgilio e diDante.Inclinati , mi permetterò contro il potere anzitratto d'una m a che siavi chi possa riconoscere , perdonando non mai riprovevole i primi che irradiò la cuna difetto di campo , a vagare tra le nuvole , non è maraviglia migliore si sforzino dipingerci vaghi colori.Chiunque esser preoccupato che di quella egualmente riguarda il presente lavoro alla donna , non temerò di affermare , il rispetto , cioè zialmente mostravasi presso i Germani , il loro tempo non si trova nella stessa posizione che antico adorno di tanti. E, per non parte sola de'costumi trat che più spe di da non potersi affatto indicare quale aiuto o incitamento avesse potuto riceverne. Già ormai tutti convengono a non prestar moltissima fede all'opuscoletto sui costumi dei Germani, che Tacito si piacque comporre mosso da profonda indegnazione per i pervertiti costumi de'suoi concittadini. Le memorie dell'antica Roma sono sempre presenti al pensiero di questo venerando scrittore , che , trasportandole là dove crede trovare ancora energia,comunque selvaggia, di vita e mancanza di mollezza e di servitù , sperava puter far vergognare i suoi compatriotti della perdita di quelle virtù cheu n tempo formarono la loro gloria e potenza , ed eran passate ad abbellire la vita di u n popolo ta nto ad essi per intellettual coltura inferiore. O che iom'iną ganno , o certo quanto di buono attribuisce Tacito, ai Germani s'appartiene ai primi tempi della romana virtù. Dimostrarlo importerebbe oltrepassare ilimitidel presente articolo , nè per fermo varrebbe molto alla soluzione della questionecheho peroratralemani.Pure,ammessoche i Germani pensassero essere nelle donne qualche divinità re e provvedenza e che tenessero conto de loro consigli e sponsi , non saprei facilmente comprendere come possa ciò aver contribuito, per quanto sivoglia menoma parte, a quello spiritualismo d'amore che nel medio evo ebbe vita. Quella stessa opinione che Tacito attribuisce aiGer mani la storia ha segnalato ne'selvaggi dell'America e n e gli antichi Galli e nei Romani stessi, presso i quali le Sibille e le maghe e le facitrici di sortilegi, femine tulle e credute inspirate , dimostrano la generalità della stessa credenza figlia, come par sia chiaro,del Paganesimo.Ne questa credenza stette meno in compagnia d'uno amor tutto materiale , anzi presso di alcuni popoli colla disistima delle donne , come massimamente presso i Germani ,.i quali , staudo allo stesso testimonio di Tacito , in nes suna considerazione civile le aveano. Ma di questo così lontano ed Oscuro tempo sarebbe inutile cosa occupar ci, potendo gli stessi Germani essere considerati più da vicino , quando , cioè , si son fatli vedere in mezzo di noi , fuori delle loro selve natie : tanto più che lo stesso Ajello conviene esser quell'asserzione priva d'ogni psico logico e scientifico fondamento, nè bastare fermarsi a' soli Germani , ma esser necessario venirli seguitando noi conquistati paesi , e vedere e notare come vi simutino e sfigurino per il poter della romana civiltà ed anche della religione che vi trovano già stabilita e potente. Nella qual trattazione progredendo ,l’Ajello ba poi,come bo disopra fatto vedere , lasciato una parte molto importante ai Germani sul mutato aspetto d'amore, poggiandosi a ragioni le quali non mi sembrano tali da non poter meritare ós servazione alcuna in contrario.Esse infatti si presentano a prima vista sfornite di qualsiasi appoggio storico , e ri vestono un carattere a priori , di che l'autore stesso pare si compiaccia e faccia pompa a disegno. Il suolo romano , egli dice , era occupato da genti venute di tramontana, barbare non selvagge, bellicosissime e giovini accostate al potere d'una civiltà antica e grande, e d'una religione mansueta e gentile , stanziatesi iso late e divise per le campagne e poi costituitesi in feudale ordinamento. Or se in mezzo ad esse poste in tali con dizioni muta sembianza l'amore e di passionato e caldo si fa più puro e quasi contemplativo , fa d'uopo ad esse genti in quel m o d o considerate recarne la cagione. Conciossiacchè gli uomini del settentrione, ove le donne sono naturalmente più che altrove libere e stimate, amano d'uno amore più modesto e divoto, benchè non irrequieto e torbido ,,e giunti sul territorio nostro si trovarono non solo in uno stato di eroismo in cui l'amore ha più generale e grande efficacia , m a forti abbastanza di tutta quella fortezza che è madre di generosità e magnanimità, produttrici esse sole di vero e nobile amore. Queste ragioni, comunque con tanto ingegno e forza di ragionamento dall'autore discorse , non m i sembrano gran fatto ammessibili. Ed in vero parmi che dopo aver con inolta giustezza l'autore osservato non doversi pene trare nelle selve dei Germani per ispiegare i costumi che essi mostrarono in tempi a noi più vicini , siasi poi di questa verità dimenticato nel corso del suo ragionamen to. Or se la nuova letteratura cominciò dopo più secoli da che i barbari si erano stanziati sul nostro territorio dopo che l'invasione era da lunga pezza compiuta , ed il medio evo si andava già luminosamente svolgeodo , non so che abbiano a fare con noi gli usi, anche dati per veri, della Scandinavia o della Pannonia , le abitudini di po poli nomadi e feroci con quelle di società costituite e ci vili. Già molto tempo prima che venissero a stabilirsi tra di noi , i barbari aveano subito tutto il potere della nostra civiltà , e quando poi lo stabilimento fu fermato e cessò l'opera delle arsioni e delle rapine , essa li dominò c o m piutamente e di quel che era proprio dell'antica vita nulla potevano più ritenere , nè ritennero. Che si dirà dopo più secoli passati in tale nuovo e tutto opposto ordinamento e condizione di vivere , il quale delle loro selve restar non dovea nemmeno la reminiscenza ? So che l'Ajello vorrebbe solo gli si concedesse essere ne'Barbari la natural dispo sizione e quasi il germe il quale , collo ingentilirsi degli animi , produsse poi il suo frutto. Ma per i primi venuti quella disposizione , anche concedendosi , dovea restare bene annullata e sparire nel caldo dei combattimenti e delle stragi e d'una conquista assai fresca. I loro figli doveano nascere ,e naquero infatti , romani , nè quindi poteva passare in loro una disposizione tutta propria dello stato selvaggio di cui non aveano cognizione , massimamente che quel rispetto della donna non era in essi la conse guenza del sagro principio dell'uguaglianza dei dritti trai due sessi , e che , non avendo una tradizione a custodi re , poco dovea restare o nulla si conservò tra di loro delle antiche memorie.  Nella quale opinione sempre più mi vado confermando quando contemplo più da vicino icostumi di colesta gente . Chi non conosce la poca pudicizia di Basina madre di Clodoveo , di Fredegonda moglie di Chilperico, e di B r u nebaut regina di Austrasia ? « Basterebbero , dice il chia rissimo e dotto Cesare Balbo, i fatti di Rosmunda e di Romilda amostrare lanativaferociade'Longobardi,come quelli di Gundeberga e di Teodora ad accennare tal b a r barie alquanto ingentilita e dalla principiante cavalleria e forse anche dal loro conversare cogľ Italiani . non sa che nel più antico poema dell'Allemagna , quello dei Niebelungen,» l'amore vi prenda poca parte nelle azio. Vita di Dante. Chị ni , i guerrieri s'interessino a passioni diverse dalla g a lanteria , le femine poco compariscono , non sono l'og getto di culto veruno e gli uomini dalla unione con loro non sono nè inciviliti, nè resi più mansueti, che gli antichi Germani vi compariscono furbisfrontatamente, mancatori di fede e bugiardi? Chi sa in s o m m a quanto erano pessimi i costumi di queste genti ,o che si consi derino sul loro suolo , o nel primo contatto con noi , potrà dire se mai poteva essere in loro disposizione alcuna al culto della donna , ed ad uno spirituale e puro amore. Al qual proposito mi si permetta appoggiarmi all'autorità, di uno storico riputato di nazione Tedesca , e pero poco sospetto , il quale , cominciando dal riconoscere che la sola trasmigrazione operi un rivolgimento in tutta la maniera di essere , rompe quasi tutti i legami della vita domestica, nè a riparare questi mali offre il m e n o m o rimedio , onde l'anarchia ed il mal costume si dilatino per ogni dove e da per tutto recano il disordine e la devastazione ; finisce col mostrare lo sfrenato e terribile disordine in che , quan do posero stanza in Italia , si trovarono i Longobardi , miscuglio di generazioni racimolate da tutte le parti del mondo, popolo di rotti costumi e stato però di pernicioso impero sui suoi disgraziati vicini. E questo che il Leo dice dei Longobardi dicasi pure dei Franchi , la discesa de'quali in Italia fu per questo bel paese, come sempre, la più terribile sventura che la provvidenza nell'abisso del suo consiglio gli abbia giammai preparato. Dopo le quali osservazionituttenon sipotrànonconchiuderechesemai in quelle genti originariamente germane si mostrò qual che cosa che sentisse di rispetto alla donna o di spiritua- lismo d'amore , fu perchè la nostra civiltà le investi c o m piutamente , perchè sispogliarono del primo uomo , e non più Germani,ma RomanioItalianituttidiventarono.Chè lo spiritualismo non si alimenta nell'amore se non collo sviluppo dell'intelligenza , e spirituali,e mistici veramente non furono nel medio evo che Petrarca e Dante , i più grandi uomini di quei tempi e de'posteriori. Si vegga dunque se in quei petti di bronzo dei barbari poteva mai Leo , Storia d'Italia.   conservarsi nascosa e risplender poi una fiamma che sola a cor gentile si apprende , e da rozzi e disleali uomini maravigliosamente rifugge. Posso però dispensarmi dal con futare quella generosità e magnanimità che loro l'Ajello attribuisce , poichè se mai possono dirsi quei barbari forti di quella specie di fortezza che è di generosi sentimenti produttrice, lascioal lettore pensarlo. E qui parmi il luogo di far notare il poco conto te nuto dall' Ajello degli effetti prodotti sui barbari dalle loro trasmigrazioni , errore essenziale , perchè la società ger mana , come è stato ben detto , fu modificata, spaturata , disciolta dall'invasione , ed il suo organizzamento so ciale peri come quello dei popoli invasi , gli uni e gli altri non mettendone in comune che gli avanzi. Oltrechè ( colla profondità sua solita osserva ilTroya ) « la grande trasmigrazione di genti dovè necessariamente nel corso di più secoli trasmutare la faccia ed i parlari della Germania di Tacito. Negli ultimi anni di Attila gli ottimati degli Unni eran divenuti Romani pel lusso , e l'intera nazione in Europa godeva di stabili sedi che le facevano aver men caro il suo antico viver da pomade. Le antiche razze celtiche della Pannonia si eran confuse da lunga stagione coi Romani , e quella provincia feconda sempre d'impe ralori avea fin dai tempi di Diocleziano pressochè rimu tata la popolazione con le moltitudini sempre crescenti de'nuovi barbari sopravvenutivi. La lingua tuttavia e le discipline romane prevalsero per molte età nella Pannonia , e quando i Longobardi vi entrarono , già molti discen depti di quei nuovi barbari eran divenuti romani. Pur non credo che gli Unni ed alcuni altripopoli , de'quali ho toccato fin qui, avessero perduto l'interaloro natura dopo Attila, sebbene abitassero nell'imperio. Ma il tempo ed il vivere sul suolo romano cancellarono finalmente anche in tali barbari l'impronta della loro indole natia » (1). (1) Storia d'Italia. Uno dei più profondi e coscienziosi layori usciti alla luce in questo secolo.  Dopo le quali osservazioni non riusciranno molto ef ficaci tutte le ragioni desunte dal clima c h e l'Ajello p r o duce in sostegno della sua opinione. Volere infatti assumere che nei paesi meridionali sieno più bramose e sfac ciate le donne , e sotto freddo cielo più schive e pudiche, non mi sembra possa essere appoggiato dai fatti. Chè l'ot timo autore non potrebbe certo asserire più delle fioren tine e milanesi donne essere schive e,pudiche le tede sche , più delle napolitane o greche giovinette le donne di Francia, o d'Inghilterra ; la pudicizia non dipendendo totalmente dal clima , m a nella massima parte dall'edu cazione , dal principio morale e buon senso più o meno sviluppato di ciascheduna nazione. Naturalmente le genti di un clima meridionale sono dotate di una sensibilità m a g giore di quelle che vivono a settentrione , m a la posizione de'due sessi è relativamente uguale nelle due contrade. Se le donne del nord sono poco sensibili, per far sentire i maschi bisogna scorticarli. Quindi la diversità del clima importerà a spiegare la maggiore o minore ardenza del l'amore ; ma in quanto a quel misticismo o , mi si la sci pur dire , platonismo dell'amore , pon saprei ben v e dere in che ilclima vi possa contribuire , essendo una cosa tanto poco del corpo che tutta nella regione dello spirito risiede. È in questo senso che io trovo giustissima l'interrogazione del Gatti.- Come può un fatto che ha per condizione naturale le nebbie ed i ghiacci del nord trasportarsi e fruttificare ugualmente sotto il sole del m e z zogiorno ? Alla quale interrogazione non è certo adequata risposta dire che il fatto non era indigeno dei Germani, m a che questi ne portarono con loro il germe, il quale sbucciò poi per opera dello scontro e della fusione dei vin citori coi vinti. Questo germe portato da un clima lon tano e freddo in uno meridionale, e che aspetta quisilen ziosamente per più secoli per poi finalmente , cessati gli urti dei barbaricon uomini civili e compiuta la fusione, uscir fuori come la ranocchia dopo la tempesta, io m'inganno , o è troppo malagevole cosa a comprendersi.  Nè posso ancora convenire coll’Ajello che il freddo e duro clima faccia di sua natura libere e più stimate le donne, quindi più divoto e rimesso l'amore , parendomi la storiacontraddir del pari a tale asserzione tanto che non mi sarebbe difficile mostrare la miglior condizione delle donde essere stata in ogni tempo in ragione inversa della. Non inviderunt, è la bella espressione di Livio,laudessuasmu lieribus viri romani , adeo sine obtrectatione gloriae alienue vivebatur ; monumento quoque quod esset, tcmptum Fortunue muliebri aedificatum dedicatumque est. freddezza del clima . E per non dilungarmi di troppo, io non so se mi si possa negare l'importanza da esse olte nuta presso il popolo Ebreo , e la continua bella mostra che vi fanno , e se possano mai obbliarsi ibei caratteri di Debora e di Giuditta , della profetessa Olda , di Rut , di Sara , di Rachele , della moglie di Tobia é d'innumere voli altre, e la venerazione di che gli Ebrei le circonda vano , ed il purissimo amore di che furono l'obbietto , e tutta finalmente la legislazione Ebrea che in tanta con siderazione, a preferenza delle altre genti,le avea. Chiaro argomento che n o n le nebbie ed i ghiacci , non la fero cia brutale delle orde vaganti producono stima alle donne e danno purità all'amore , cose poste naturalmente nella ragion diretta dello sviluppo del pensiero e dell'incivili mento , e della migliore organizzazione individuale d'un po polo. Ecco perchè la donna fu sempre in Italia più che altrove , avuta in pregio e stimata. Senza parlare della scuola antica italiana o pitagorica, che dir si voglia , e degli antichissimi costumi Etruschi, presso i quali le donne aveano molta importanza, ENEA fonda una città e dal nome di sua moglie la chiama “Lavinia”. Son le donne Sabineche s'interpongono frai combattimenti del Capitolino e riducono gl'inferociti guerrieri a concordia, ed il nome di esse è imposto alle curie di Roma. Fra il duello degli Orazii e de'Curiazii comparisce lagrimosa la sorella de'primi, e basta la morte di lei a sospendere il gaudio pubblico della città. In tutti gl'intrighisuccessivi del regno (come sem pre in Italia )le donne figurano. La libertà di Roma è consolidata col sangue di Lucrezia , come più tardicon quello di Virginia , e l'ardire e magnanimità di Clelia viene eternato con una statua equestre. Veturia respinge le armi parricide di Coriolano, è cosi tanti e tanti altri racconti che conservatici dal canto delle tradizioni mostra no potentemente la verità di ciò che assumemmo di sopra. Fu a Roma innalzato un tempio alla Fortuna muliebre (1), e fu dato il primo esempio di onori pubblici alle donne, le quali vi sentivano in tanto alto grado la propria dignità e tanto vi aveano d'importanza che spesso si dovettero le pubbliche assemblee occupar di loro che vi si presentavano con petizioni e di tumulti l'empirono . In R o m a aveano le donne il passo per le vie , non si poteva fare o dir cosa disonesta in loro presenza , i giudici capitali non potevano citarle e coloro che le citavano in giudizio non potevano toccarle, ut, dice bellamente Valerio Massimo, inviolata manus alienae tactu stola relinqueretur. Chi non conosce le sorprendenti prerogative delle Vestali ? Camminavano pre cedute da u n littore ; incontrandosi con loro i consoli ed i pretori abbassavano , in segno di riverenza , i fasci; andavano in cocchio anche quando gli altri per legge nol potevano; avevano distinto sedile negli spettacoli ; la loro dichiarazione in giudizio avea forza di giuramento , ed un reo di morte , che avea la fortuna d'incontrarsi con lo ro , rimaneva assoluto. Tanto la verginità era in onore ! Ecco perchè quelle che eransi rimase contente d'un sol matrimonio , corona pudicitiae honorabantur , e Spurio Carvilio, comunque per tolerabile cagione, dice Valerio Massimo , avesseripudiato sua moglie , non fu meno segnato di reprensione come colui che avea la fede coniugale al desiderio di figli posposta. Il matrimonio era la comunione di tutt'i dritti divini ed umani , ed era veramente bella l'istituzione della Dea Viriplaca , nel cui tempio i coniugi in discordia concorrevano. Dea , dice lo stesso autore , coși chiamata perchè placava i mariti , degna veramente di essere onorata e riverita anzi adorala quanto altro I d  dio , utpote quotidianae ac domesticae pacis custos , in pari iugo charitatis ipsa sui appellatione virorum maiestati debi tum ac feminis reddens honorem . Tralascio di ricordare co m e usciti dell'infanzia i fanciulli eran dati in educazione ad una donna rispettabile del parentado , e come sino alla età di quattordici anni aveano essi comuni colle fanciulle gli studi della puerizia , e la esțesa coltura delle donne romane , massime negli ultimi tempi, come di cosa ormai troppo vulgare. Si che possiam dire col Michelet che par v tendo pressogl'Indianidall'amormistico,l'idealedella o donna riveste presso i Germani i tratti d'una verginità selvaggia ed'una forza gigantesca, presso i Greci quelli della grazia e della scaltrezza, per giungere presso i Romani alla più alta moralità pagana, alla dignità virgi ne nale e coniugale. Ma , per venire a tempi più vicini in mezzo allo universal degradamento , dice uno storico, ilcui nome sarà pronunziato sempre con riverenza, le dame romane non aveado perduto l'avvenenza e l'in gegno delle antiche matrone ,e d erano perciò assai p o tenti. Anzi non ebber mai le donne tanto credito presso alcun governo, quanto n'ebbero le romane nel decimo secolo. Sarebbesi detto che la bellezza aveasi usurpato i drittidell'impero »E qualèilpaese,esclamailLeo,ol tre l'Italia , dove la bellezza delle donne non dirò che accese, ma solafecerisolvereipopoliallaguerra?dovele donne hanno più lungo tempo dominato, non pur ne'negozi temporali , m a in quelli che appartengono alla coscienza? Nè questa tradizione è stata,o potràessermai interrotta, chè vive e spira ancora nelle donne d'Italia tutto ilsor riso di questo cielo d'incanto , tutta la maestosa dignità di chi sentesi nato a grandi cose , ed esse inspireranno per sempre l'ingegno dei poeti e degli artisti,e saran nostra guida e consiglio nel periglioso progresso della vita. Esclusa cosi qualunque specie di potere dei Germani sulla mutata sembianza di amore , penso doversi dire al. Histoire Romaine. Cito con tanto più di piacere questo scrittore in quanto che egli è uno de'pochissimi serittori di Francia i quali dotati di molto ingeguo e buon gusto si giovano delle cose degl'Italiani rendendo loro giustizia. Si vegga dopo di ciò se ilf reddoe duro clima renda più stimate e libere le donne, e quindi rimesso e più di voto l'amore. Al mio modo di vedere, se l'amore può essere ardente e bramoso senza che perciò abbia nulla di spirituale e di contemplativo, quest'ultima qualità non può star però senza la prima. Petrarca e Alighieri non avreb bero sublimato a tanta spirituale altezza i loro amori se 'amato non avessero ardentissimamente. È la storia di tutti gli amori nel medioevo. Come dunque il fatto in parola o la muliebrità potea venirci dai freddi amori dei fred dissimi uomini del nord ?  trettanto della feudalità, opinione sostenuta da uno scril tore di Francia troppo sventuratamente conosciuto, e dal l’Ajello modificata con quel buon senso a lui proprio , e sull'appoggio di ragioni che a m e sembrano sufficienti per escluderla del tutto. Non solo ( son parole sensalissime dello stesso Ajello) perchè a și grande effetto ella è trop po scarsa e lieve cagione, ma e perchè non è cosi ge nerale , nè efficace di tanto che possa pressocchè sola b a stare a render ragione del fatto » È di vero ( è lo stesso Ajello che ripete queste già conosciute ed indubitabili verità ) in Italia non è stata mai o pressocchè nulla , per chè le città conservarono l'antica preminenza sulle c a m pagne, e gli uomini vissero anzi raccolti nelle prime che divisi e sparsi per il paese, per non dir che proprio in quelle parti , dove pria vigorosa ed ardita levò il volo l'italiana poesia , furon tosto i signori o invogliati o co stretti a lasciar le castella e a venirne ad abitar le città. Anche in Ispagpa ( per la subita invasione , o per non essere stato mai quel paese fuor che in picciola parte s o g getto a Carlomagno) o non furono feudi, o almeno in quel modo che in Alemagna in Francia e inInghilterra. Eppure non si potrebbe dire che le donne italiane o spa gpuole fosser molto meno stimate che le francesi , nè che la poesia in quelle due meridionali contrade mostrasse uno amor manco devoto e gentile » Ciò posto ,trovo chiaro che non si debba sul fatto in parola attribuir potere alcuno alla feudalità , conciossiacchè, per potersi un fatto chia mar legittimamente causa dell'altro, è mestieri che siasi mostrata trai due una connessione necessaria e continua, e , dove apparisca o manchi l'uno , l'altro apparisca o manchi delpari. E questi requisiti abbiam veduto non convenire alla feudalità , perchè non stata in quei luoghi ove la letteratura ebbe più notevolmente quel che l’Ajello chiama muliebrità . Si perdoni quindi a chi , con un modo di giudicar tutto francese , crede spiegare ogni cosa con una causa sola, comunque non apparsa d a d dovero che sul territorio di Francia, e che, non v e dendo al di là della Senna, cerca con quella miseria di fatti che gli colpiscono lo sguardo metter fondo a tutto l'universo. Il buon senso d'un Italiano non poteva m o    strarsi impacciato ugualmente , massime in riguardo alla feudalità , la quale tra noi o non fu mai, o certo non vi si mantenne che come una eccezione , in guerra continua col nostro modo di pensare e di sentire, senza importan tanza , senza metter mai radice nei costumi. ciò che in ogni tempo ha segnalato il carattere degl'Italiani , o m a g giononall'uomoma aiprincipi,battersinonperun'in dividuo ma per una idea e che è stata la causa della loro grandezza intellettuale e debolezza politica. Pure nel viver disgregato e locale dei barbari con stituiti in feudale ordinamento crede l’Ajello essersi svolte e rafforzate le domestiche affezioni ed aiutato lo svolgi mento morale delle femmine , ed aver quindi molto contri buito a dar loro pregio e riverenza. Alla quale opinione io non posso soscrivermi ,perchè non mi pare che nella vita isolata dei castelli e di continua guerra possano raf forzarsi le dome stiche affezioni , e molto meno aquistarvi pregio le donne , ed avere impero sull'animo d' un signore assoluto e brutale e costretto a trattar continuamente le armi , nè d'altro bramoso o sciente. Chè in una vita tutta di sospetto e di disgregazione fisica e morale , la donna lontana dal consorzio delle genti , nè conosciuta che dal solo feroce obbligato compagno della sua vita, non è altro d'un fiore che non olezza, o a cui non giungano gli sguardi delle innammorate giovinette. Ora dicasi se ne'costumi feudali poteva rattrovarsi in uno stato tale da trarre i caldi sospiri degli amanti e i teneri passionati versi degli erranti trovatori. Certo la privazione eccita il desiderio e il fa più che mai bramoso ed irrequieto , m a egli è pur vero che n o n si desidera l'ignoto , e le donne racchiuse nei feudali castelli erano appunto uno ignoto che non può desiderarsi. Quindi , se ci ha luogo dove le donne potevano aquistar pregio , erano per fermo le città italiane o i castelli de'Signori nel modo come stavano in Italia,  ne' quali le donne erano si custodite, ma non sottratte agli sguardi degli amanti. A ciò si aggiunga l'estrema ruzione dei costumi feudali cor nella lettera tura di quel tempo le tracce più capaci di fare arrossire la gente; la violenza e le rapine che essi concedevano largamente si più a lungo durarono in Germania, e pochis, che lasciarono  simo , come è chiaro , in Italia. Nè si potrà fare a meno di conchiudere che la feudalità nè per se stessa , nè in concorrenza di altre cause poteva dar gentilezza all'amore , nė vi contribui in realtà , perchè l'amore fu veramente gentile e purissimo in Italia , dove la feudalità non ebbe vita , o almeno fu preminenza della vita cittadina che p o g giava sopra principi di opposta natura. Oltrechè non do vrebbe dimenticarsi che il principio della esclusione delle femmine dalla successione dei loro congiunti,almeno in con correnza coi maschi , fu un principio tutto feudale e ri messo in vigore tra di noi dai Germani , poichè già nella legislazione giustinianea era per opera, come par Ed a questo luogo mi si permetta osservare quanto poco al vero s'appongono coloro i quali sostengono averci i barbari trasfuso il sentimento della indipendenza personale , e la feudalità aver fatto valere in Europa ildritto della personale resistenza. Chè non so se quelsentimento si trasfonda mai negl' individui distruggendoli o rendendoli schiavi, e se ottimo mezzo possa essere la scimitarra dei barbari per coloro che sventuratamente ne sentivano il peso , ed erano in quel modo conci che tutti sanno , sostituendo alla maestà dell'imperio la forza brutale ed il governo ditantipicciolitirannotti.Nè sosequalsentimento e dritto possa svolgersi in tale sorta di tempi, ne' quali l'uomo era considerato come proprietà dell'altro uomo, e l'uno dominava sull'altro , non in forza d'idee comuni ad entrambi, ma per se stesso ed il suo compagno, il capriccio. Certo ove mi si dirà coll'Ajello che i barbari » ri storaron la nostra vecchiezza con la robustezza e gioventù loro , che ci fecer quasi nuovamente bollire e correre per le vene il sangue, che a colpi di aste e di spade ci scos sero e ci affrettarono per la via del progresso e di moral perfezione, è questo un linguaggio che intendo , ma quando si dirà che gli stessi barbari ci trasfusero il sen timento della indipendenza individuale , non mi verrà fatto d'intenderlo ugualmente. Conciossiacchè l'indipendenza non si sostiene che in forza d'una idea,ed ibarbari non ci portarono alcuna idea puova. Al che mi pare avere splendidamente supplito il Cristianesimo ed in particolarità  . ro , del Cristianesimo , all'intutto scomparso . sia chia e  la Chiesa Romana. Fu questa che sola in quei tempi si oppose al soprastanteimperio della forza bruta con tutta l'energia della sua gioventù , cheproclamò altamente l'in dipendenza del pensiero e dell'opinione, e svegliò quindi negli animi quel nobile sentimento di dignità personale che i barbari avrebbero suffocato chi sa per quanto tempo e stette in quel mar burrascoso del medio evo come ter ribile e continua protesta contro le usurpazioni della for za. Fu ne'municipi d'Italia che il dritto di resistenza si svolse ed, attulito solo per poco tempo, primamente ri surse con più forza a vita novella. Cosi è a questa Niobe delle nazioni che l'umanità dovrà esser grata della sua civiltà presente , a questa veneranda vestale che non ha cessato mai di vegliare per mantener sempre vivo il fuo. co sagro dell'incivilimento. Ecco come un uomo di cui il nostro paese si onora, Luigi Blanclı , s'espriineva nell'antecedente fascicolo di questo giornale a proposito dello stabilimento dei Normanni in Inghilterra. Or la conquista e lo stabili iento dei Normanni inInghilterra, non ostante che ilCristianesimo avea proclamalo il rispetto dell'uomo indipendentemente dalla sua condizione o dellesuecircostanze accidentali,ma perchè dotato d'intelligenza,di li bero arbitrio e di risponsabilità, non tenne conto di questo alto e salutare principio, e considerò l'uomo vinto come cosa e non come persona, fatto peresser posseduto e non governato. Dicasilostessodei Franchi, dei longobardi, in riguardo ai quali l'opera su cennata del dottissimo Troya ha p o r tato una luce immensa. Ogni buono italiano farà voti che lunga basli li vita a questo nostro concittadino onde possa menare a fine il suo cosi bene incominciato lavoro. DELLE VICENDE DELLA STORIA DELLA DIVERSA FORMA CH'ELLA TOGLIE IN TUTTO IL SUO SVOLGIMENTO. Gli uomini prima sentono senz'avvertire. Primachè l'io cominci a distinguersi dal non -me e dall'assoluto,e a governare e correggerelasensibilità,e secondo sua volontà far uso della ragione, ci ha un tempo ch'egli pressochè ignoto a sè stesso se ne sta avviluppato e come un ascoso e tacito osservatore dei fatti sensitivi e razionali , che indistinti e confusi gli si vengon mostrando nella coscienza. Abbagliato e vinto dalla sensibilità e d o minatodallaragione,egliama,afferma,crede,enon sadiamare,dicredere,diaffermare:permodo chesi direbbe ch'ei sia tutto passivo, se in lui non fosse una spontanea attività, certo involontaria, ma ad ognimodo un'attività , una forza insomma che in sè stessa ha la ragione e 'l principio del suo movimento. Ma a questo primo periodo della vita intellettuale, secondo che noi dicevamo , un altro succede di veramente opposta e contraria natura. Perciocchè , svoltasi a poco a poco la volontà , in che pro priamente è posta la personalità nostra , cominciamo a scorgere che ci ha alcuna cosa che lecontraddice ,e però che non deriva o dipende da lei; che infinein mezzo a tanta successione e mutabilità di fenomeni (che sono i volontari e i sensitivi ) ce ne ha di così fatti, che non m u tan viso come gli altri fanno , che in mezzo a quel ma   Ma perchè siavi riflessione (e si ponga ben mente a questo, chè molto ce ne gioveremo) è mestieri che osservando d'una in altra cosa si passi, che prima un lato se ne consideri, indi un altro, e cosi sempre segui tando; è mestieri, a dir breve, della successione degli atli,non sipotendo ben disaminare un obbietto,senza che gli altri si lascin da un canto', e si dimentichino al menoperunmomento.Il perchè tra la spontaneità e la riflessione tra l'altro è questa differenza, che la prima ha un veder largo, istantaneo e complessivo, e la seconda un guardar lento, e uno scrutar succedevole e parziale. E peròse riflettendo non abbiam tutte ad una ad una con siderato le parti dell'obbietto, se giunti non siamo a quel supremo gradodellascienza, che possonsi allaperfinerag gruppare e riunire le parti slegate e divise, e ricostruirne quel tutto stato già scomposto e notomizzato, non cene viene che scienza incompiuta, e l'erroreeziandio,sete ner vorremo per l'intero quello che sia parte soltanto.E difatto pressochè sempre avviene che la riflessione tulta quanta in un obbietto affisandosi, cosi trascurane e di mentica gli altri , che anzi tempo si tiene in possesso di quella verità di cui non ha contemplato e conosciuto che un solo e povero lato. Per il che nella riflessione (e il dichiareremo innanzi più largamente), come in quella che per isvolgersituta ha bisogno della successione degli aui e però del tempo, possonsi determinare tre periodi o momenti che sivoglian dire. Nel primo il “me” e il “non-me” e i loro rapporti son quelli che meglio fanno invito esolletico alla nostra attenzione. Nel secondo , sviluppatici dal contingente, tro viamo l'assoluta nelle eterneverità che sonoci rivelate reggiare, a quel continuo trasformarsi , stan saldi: ed allora finalmente asceverar cominciamo e distinguere dal per sonale l'impersonale, dal me ilnon-me e un certo che d’im mutabile e costante, che è quanto dire l'assoluto. E pe rocchè sceverare, distinguere, recar l'osservazione d'una in altra cosa è propriamente analizzare e un far uso della riflessione; questo periodo ben è stato dai filosofi ad dimandato di riflessione e di analisi in contrapposizione del primo che han chiamato della sintesi e della spontaneità dalla ragione, e ne scopriamo la indipendenza dal me e dalla natura. Nel terzo finalmente, che è il supremo grado della scienza , attraverso a quelle idee assolute traguar diamo l'assoluta Sostanza , di cui quelle non sono che m a nifestazioniedapparenzealcortoe debolesguardodella specie umana . Dalle quali cose è manifesto che la rifles sione, come quella che è molto lenta nelsuo lavoro, e che per l'intera cognizione di un obbietto è necessitata di guardarne ciascun lato partitamento , terrà un periodo i m mensamente più lungo della spontaneità , la quale di sua natura ha un'assai corta vita e fuggitiva. Spontaneità e riflessione, questi dunque sono idue necessari periodi e le inevitabiliforme del nostro pensiero. Nel primo ci son rivelate dalla ragione, comunque al quanto confusamente , tutte le verità prime. Nel secondo null'altro in sostanza aggiungiamo al giànoto;ma, per ciocchè entra in giuoco la riflessione, distinguiamo, analizziamo, scopriamo i rapporti e la generazion delle cose , e dove che prima tenevamo il vero soltanto, poscia abbiamo la scienza: e, per dar alcun che di sensibile alle espressioni , nella spontaneità la ragione svolgesi come in linea retta ; nella riflessione ella si rifà su propri passi e conosciutasi alla perfine, sopra sé stessa si torce e si ri piega. Ancora , se nella vita spontanea,tutto è congiunto nel pensiero inuna inviolata e vergine unità , ed avvi vatoevestitodaglisplendidicolorid'una giovaneevi gorosa immaginativa,cuiquellasminuzzatriceelentadella riflessione non è ancor giunta a sturbare ed agghiaccia re; se in quel tempo trascuriamo e quasi ignoriamo noi stessi, e ciecamente credendo alla ragione , ci diamo a tut to che ci paja bello, vero o buono e ilseguitiamo abban donatamente nel caldo d'un amore vivissimo;èmanifesto che quello è tempo di poesia , di canto , d'ispirazione , come il periodo che gli tien dietro è tempo di fredda e severa analisi, di riflessione, che è quanto dire di filosofia: la qual cosa bene fu antiveduta ed espressa dal Vico quando scrisse che tanto è più robusta la fantasia,quanto è più debole il raziocinio. Però siccome nel primo periodo per quel potere che dicemmo dei sensi e della fantasia , non chiediamo e non adoriamo che il bello, o il bene  e'l vero in tanto che belli; nell'altro , fatti più rigidi é spassionati, al solo e nudo vero spezialmente ci inchiniamo, avvegna che non potessimo mai più intutto distorci dalla bellezza. Del rimanente ognun intende che questi due pe riodi , spontaneo e riflessivo, non si limitano in maniera chequandol'unovengaamancare allorasolamente l'altro cominci. Non ci ha mai in natura un limite e un taglio cosi netto tra le cose succedentisi , che non ci sia nel digradare un cotal innesto,in cui lo spirar della pri ma e'lnascer dell'altra vadansi percosidire sfumando, in quel modo che nell'iride quei vaghi primitivi colori. E sul proposito notisi la bellezza delluogo del Vico che abbiam voluto mettere innanzi a questo lavoro: nel qua le oltre che in due righe è detto quel che altri han poi stemperato in tante parole, scolpitamente è indicato quel l'inpestarsi che dicevamo dei due periodi. Perciocchè tra l'etàdelsentireodellaspontaneità,equella del riset tere , u n ' altra è frapposta dell' avvertire perturbato e c o m mosso , che è il primo apparir della riflessione quando an cora in noi è grande ilpotere dei sensi e della fantasia. Tutte queste cose (le quali verremo di mano in mano applicando)volevano esserdettealquantopiùdistesamente e tratto tratto avvalorate e dimostrate con una esatta e scrupolosa osservazione dei fatti di coscienza ; ma le son cosìnote oggidi , che sarebbe stata operavana e fastidio sa ; spezialmente dopo che quello stupendo ingegno del Cousin le ha esposte con tanta efficacia e chiarezza in più d'una sua scrittura.Ilperchèabbiamsolovolutotoccarle, per mostrar quali sieno in fatto di filosofia le nostre opi nioni, per fermare almen brevemente le teoriche da cui intendiamo dipartirci , e procedere in questo nostro ragio namento il più che sapevamo ordinati e seguiti. PERIODO SPONTANEO Poemi o storie artistiche. Or che abbiamo esposto brevemente e fermato quelle teoriche onde avevamo biso gno , accostandoci e stringendoci al nostro 'subbietto , di ciamo che il primo apparir della Storia è veramente nel poema , e nata che sia la prosa , nella storia paramente  ammirazion delle genti quel grandioso spettacolo ch'ei oon sa bastevolmentea m mirare e magnificare. E qui è da notare che se la Storia nasce poetica , questo avviene pel subbietto e per l'obbietto, vale a dire che non pure avviene per lo stato dell'intel ligenza degli scrittori, chein quei primi egiovani tempi ètutta spontanea e immaginosa, ma eziandio per le con dizioni sociali di quella età ; essendochè le antiche società , quanto alle moderne , eran semplicissime, siccome quelle in cui non era contrasto di opposti elementi o principi , ed un solo , come il teocratico nell' Indie e nell'Egitto , tutti gli altri arsorbiva e signoreggiava:la qual cosa non è a dire quanto più armoniche e poetiche lefacesse.Sen zachè sebensièintesochesiaspontaneità,echevalga quell'involontario e irriflessivo svolgersidel pensiero;è chiaro che l'amore , il disinteresse , la gloria , il patriot tismo, e tanti altri affetti tuttiespansivi,generosi e gran di , sono a quei tempi le cause e gli stimoli e le occa sioni alla più parte degli avvenimenti , e molti altri v a gamente adornano e illegiadriscono ; dovechè nei tempi posteriori è un venir su di tanti piccioli e privati interessi, di tante passioni misere e vili, di tante cupe frodi e in fami tristizie, che è uno sconforto. Onde assai andrebbe lungi dal vero chi pensasse che Erodoto , per esempio , o Tucidide , sceverassero e scartassero dalla narrazione tutti quegli avvenimenti che prosaici lor pareano e indegni delle loro nobilissime istorie.Di prosaico poco o nulla vera nelle prime società, e quel poco eziandio facea su quelle vive e immaginose menti dei Greci assai diversa impressione che sulle nostre non farebbe. Quegli storici adunque non sceglievano fatti da fatti, come ultimamente è stato scrit to , e che sarebbe opera da Boileau, ma abbracciavano, od almeno credevano di abbracciar l'intero, il quale alle lor menti si porgeva tutto fulgidamente colorato ed in vaga  artistica, o vogliam dire che altro più diretto scopo non abbia che la bellezza. Percosso vivamente l'uomo dai fatti maravigliosi e grandiche glisuccedonointorno, olicanta e li celebra nel primo impeto della sua maraviglia , o li narra agli avvenire, non gli soffrendo il cuore che se ne porti iltempo si care e belle ricordanze, e che abbia a toglier per sempre alle lodie alle nobilissima mostra . Se non che costoro tutti intenti come sono alla bellezza delle loro istorie , saran poco solleciti dispogliarla verità delle tante favole statevi aggiunte dalla immaginazione e dall'ignoranza della gente,e per chè il racconto se ne faccia più maraviglioso e attratti vo, assai ve ne introdurranno. Ed infatti seessile narra no , nondimeno il più delle volte non mostrano di aggiu starvi fede, secondo che fanno i nostri creduli e semplici cronisti. Manna, di acuta e squisita intelligenza e carissimo amico nostro , scrivendo non ha guari delle vicende , non della Storia moderna ma della Storia in idea, ha detto che la Cronaca e la Ştoria filosofica son da tenere idue punti estremi di tutto il suo svolgimento. In questo, a dirla schietta , non pos siamo affatto affatto accordarci con lui,e poichèquicade in acconcio, vogliam fare un po'di contrasto a questa sua opinione , e , cel creda , per solo amore alla verità , edancheperfermarquiunpensiero,chenoncièin contrato finora di trovar sostenuto da alcuno. Che la Storia filosofica sia l'ultimo estremo da un canto, il pensiamo e diciamo ancor noi, nè potremmo a l tramenti;ma chelaCronacal'altrosia,questorisoluta mente neghiamo. E qui preghiamo il lettore che non si è stancato di venirci seguitando , che voglia alquanto cre scere la sua attenzione ; dappoichè dovendo farci da alto ed in fretta toccar di molte cose, forse che il postro pen siero non si mostrerà così chiaro come noi vorremmo ; e temiamo non si annebbi la verità col dir disordinato ed Oscuro . Comunque le società dei tempi di mezzo , per le in vasioni e leoccupazioni dei popoligermanici,che per cosi dire le rinnovarono e rinvigorirono , una sembianza aves sero di freschezza e di gioventù; nompertanto si grande era in loro la parte antica della caduta società,o vogliam dire l'elemento romano , che molto dal vero si scosterebbe chi le stimasse società semplici e primitive , e quei fattie quella sembianza ch 'ei vi trova , volesse recare a ciasc un tempo di nascente coltura : per non dire che all'elemento romano e al germanico si aggiungeva l'ecclesiastico di. Or se noi troviamo la Cronaca nel Medio Evo , non per questo dobbiam credere ch'ella sia d'ogni tempo di nascentecoltura,echeaquelmodolaStorianascaosi risvegli. No certo, ch'ella nasce poetica, tutto chè disordinata e incolta. Nasce neipoemi del Niebelungen, del Cid  lla, e ardita mente poetica; e se quella ci dà epistole,sermoni, eglo ghe , cronicacce ed altra merce cosi fatta ; questa ci of fre e novelle e poemi senza fine,e versidiamore eprose di romanzi. niente inferiore, e cresceva la contrapposizione e la guerra . Questo fece che accanto ad una cotalbarbara selvatichezza stesse una cortesia e una gentilezza di tempi assai colti e politi; ad un soverchiar della forza e ad una sfrenatezza senza confine , un'austera virtù ed un'idea assai svolta della moralità e della giustizia, e al volo amoroso e spontaneo d'una giovane e bella poesia , lo strisciar lento è vile di tanti scritti insipidi e senza vita. Di contraddizione c'era dappertutto,finotraifattieleopinioni;ma inniente meglio si manifesta che nella letteratura,spezialmente per quell'uso contemporaneo delle due lingue, volgare e la tina, ch'eran come rappresentanti di due letterature, e che valsero a meglio tenerle disgiunte e distinte. La la tina non era propriamente che un po'di luce trasmessa, un povero barlume riflesso da tutto ľ antico splendore,che non si era potuto interamente spegnere per quel soprav vivere e durar della Chiesa dopo il misero cader dell' I m perio. Pertanto ell'era tutta vecchia , squallida e scompa gnata dalla vita ; e dovea essere : perchè gli scrittori la tini ( oltre ch'erano frati la più parte, viventisi,a quei giorni assai ritirati e divisi dal mondo )per quel loroim. maturo e sciocco legger negli antichi ,ebber della barba rieilmaleenon ilbene;n'ebberoadirbreve,lagrossa ignoranza senza il verde , la vita , la spontanea vigoria. Dal che provenne ch'eglino desser poi fuori di quelle smorte eanfibie scritture, barbare a un tempo,e fredde e scolorate ; le quali solo il Medio Evo poteaci dare , e di cui per mala ventura ci ha fatto si ricco e grazioso pre sente. Con due lingue adunque nel Medio evo son due let terature d'indole e di forma differenti: una tutta smorta, scarna e prosaica , l'altra tutta fresca e bella ,   La Cronaca dunque è merce da mezzi tempi, per ciocch'ella nacque dalle condizioni di quell'età , è veduta in altro tempo d'incivilimento che spunti e ger mogli. Onde il signor Manna , per la troppafretta forse, si è lasciato andare in un errore simigliantissimo a quello del Vico , che pensò la Cavalleria potersi trovare in ogni tempo primitivo , e sconobbe ch'ella fu ingenerața  tra i crociati in Levante, cosicchèvideroco'propri lor oc edellaTavola Rotonda;ecompostasi'escaltritasilaprosa, nasce in Villehardouined in Joinville che certo cronache non sono ; od almeno in Guglielmo di Tiro , in Alberto d'Aix, inRaimondod'Agiles, inRauldiCaen, enegli altri entusiastici e vivaci storici delle Crociate. E non si dica che tra costoro parecchi eran frati, e che questo fatto in certo modo contraddica al nostro pensiero ; dappoichè anzi il riferma assai bene , mostrando che tostochè essi usci ron di quelle condizioni che dicevamo , altramenti scrissero le istorie loro. Basti dire che di quei monaci altri furon ehi quei mirabili fatti che ci han narrato ; ed altri furon sospinti in mezzo al mondo dall'improvviso turbinė che a quei giorni sconvolse l'Europa, e dal vivissimo entusias mo che vi accese tutte le menti Imperò vivendo eglino meno divisi dalla società , dettero finalmente alle lor nar razioni quel colore e quella rappresentazion della vita e dei costumi del tempo , che nelle cronache indarno cercherem mo , e che sarebbero affatto perduti per noi, se non ci fosser rimase della volgar letteratura tante opere bene rap presentevoli ed esprimenti, come sono, sebbene alquanto posteriori , le novelle del Boccaccio e del Sacchetti, e le istorie del Villani, del Compagni e del Malespini. enonsi tali cagioni , che son tutte proprie del Medio Evo , e che in altre età indarno si cercherebbero. Ci mostri il sig. na non dico una Cronaca Man ,maunsolframmentodiCro naca prima d'Erodoto.Quanto a noi,fermamente pensiamo che se potessimo avere tutto quel che in Grecia si scrisse nanzi a costui,non troveremmo ip mente che storiemaravigliosa poetiche , comechè ordinate con manco d'arte , e quel che è più sicuro , poemi , e canti guerreschi polari. Veramente ci fa maraviglia e po ingegno del Manna che quell'avveduto non abbia scorto,che avendo eglidi  viso tutto lo svolgimento storico in artistico e filosofico, era necessità che quanto più si ascendesse ai primi tem pi,piùdipoesiaed'artevisitrovasse.Orcome può trovarvi egli quelle insipide ed agghiacciate cronache m o nacali? In esse , se ne togliete l'ignoranza che è vera mente degna d'una cultura bambina , ilresto ci sa più d'avanzo dispenta e grave letteratura,che di comincia mento d'una nuova e leggiadra;e a dirla in due parole, non ci vediamo che elemento romano ed ecclesiastico. E quando si pon mente che per lo più furon monaci i lor compilatori, quasi intutto, come dicemmo , segregati dal mondo , e quel che è più , non d'altro conoscitori che d'al cun latinoscrittore;quando sipon mente a questo,non sappiamo chi possa far lungo contrasto e non accostarsi alla nostra opinione. Manna adunque , scambiando un fatto con lo svolgimento dell'idea,'equel che accade con quelcheé, ha creduto logico un antecedente meramente storico efor tuito.E sipotrebbedirech'eglicredaalricorsodellena zioni, se per divinare un fattoprimitivo ha toltoesempio non da nascente, ma da rinascente coltura.Perciocchè vo lendo egli parlare dei napolitani storici, e non trovando nei primi tempi che i cronisti longobardi, se n'è lasciato ingannare,ed ha stimato che la Storia a quel modo na scesse;eche inquellesueteoricheeipotessefermareche la Cronaca e la Storia filosofica fossero gli estremi di tutto lo storicosvolgimento.Sei volevatrovare nellanapolitana letteratura ilprimo apparir della Storia, almeno cercar lo dovea in Guglielmo di Puglia, e in quel poema che serisse, allorchè le ardite e fortunate imprese dei Nor manni fecer maravigliare questa estrema parte d'Italia. Per lequali cose,conchiudendo diciamo ,cheleprime istorie sono i poemi ,indi le narrazioni puramente artisti che ; che questo avviene pel subbietto e per l' obbietto vale a dire , per lo stato dell'intelligenza dello spetta tore , e per quello della società ch' ei ritraenei suoi rac conti : infine che la Cronaca è scrittura propria dei mezzi tempi, e quanto alla Storia moderna , ella è storico e non logico antecedente. PERIODO DI RIFLESSIONE . Ilme, il non-me e I loro rapportic hiaman dunque i primi e sforzano la nostra attenzione: e se questo è vero  Storia morale o Secondo che detto abbiamo , corta durata ha S. Momento del MB e NON-MB. politica. quel periodo di spontaneità , e tosto nasce e si educa la riflessione per aver vita assai più lunga e meglio svolta.Ve ramente ch'ella con quel suo analizzare e sminuzzare ogni cosa,con quel suo lento e sospettoso procedere, or in questoorainquell'obbiettopartitamente affisandosi,to glie ardire allaimmaginativa, ed or ne soffocaeimpedi sce, or ne scolora ed agghiaccia ogni spontanea creazione: nompertanto induce lo spirito umano , non certo in più belle,ma inpiùgraviesodecontemplazioni,cheapoco a poco e come per mano il trarranno a quella compiuta e ordinata scienza, che è l'ultimo obbietto , e insieme la pace e 'l riposo della sua irrequieta intelligenza. Or noi dicemmo che la riflessione di sua natura è parziale e suc cessiva , e che tutto ilsuo svolgimento potrebbesi distin guere intrepartiomomenti,ondeilprimoèquellodel me edelnon-me. E difatto,chivogliaun trattoprofon darsi nella coscienza, vedrà che se ci son fatti che più chiamino e sforzino l'attenzione , certo sono i sensibili, indiivolontario personali.Isensibilicomequellicheson manco intimi e profondi,e quasi esterioriall'animo,sono i più vivi ed appariscenti, e imeglio osservabili;eivo lontari o personali vengonsi lor mostrando allato tenace mente, perciocchè l'impersonalità della sensazione indica subitamente e rivela la personalità nostra , e quell' assi duo tramutarsi e succedersi dell'obbietto ci reca al senti mento d'alcuna cosa che duri attraverso a quella indefi nita varietà delle sensazioni, che è l'identità delsubbietto. Quanto aifattirazionali,questiinverosono imenoap parenti, perchè non simostrando che in mezzo allamu tabilità e alla determinazione dei sensitivi e dei volontari, tolgon sembianza mutabile e determinata , e ci ha mestieri diaccorta e ben ammaestrata osservazione per poterneli sceverare , e svestire di quella falsa e mendace apparenza.  (come vero è), ecco qual nuova faccią prenda la n o stra intelligenza, e di quanto questo primo momento della riflessione si discosti dalla spontaneità. In questa ilme non si scorgendo ancoradistinto da quel che lo inviluppa e nasconde , e lasciandosi intutto andare a seconda della ra gione e della sensibilità, senza mai volgersi indietro e por menteasèstesso,èchiarocheseogniattoalloraèfe de, amor vivo e caldissimo, ed estatica contemplazione ha da essere altresi pieno e bello di nobile disinteresse ; doveché nel primo momento dellariflessione,per quel ne cessario mostrarsi e dintornarsi della persona , per quel considerar la natura solo in tanto che ne dia pena o di letto , come pressochè tutto è dubbio, amor proprio , e sospettosa e lenta osservazione , cosi pure le opere nostre la più parte generate da personali e interessate cagioni ; e se prima moveaci il bello,e il bene e ilvero intanto che belli, muoveci dappoi l'utilità. Dicevamo che la Storia si farà a cercar l'utile; poi con un tal rude passaggio alla moralità sola il riduceva m o , come se niente altro esser ci potesse d'utilită , quivi tutta si raccogliesse. Per voler soddisfare a questo dubbio, e farci incontro a parecchie altre objezioni che ci sipotrebberofare,dichiareremoalquantomeglio ilno stro pensiero, e il rafforzeremo in fretta almen tanto che basti. Tolto via l'utilità fisica, che in verun modo non ci potrebbe venire dal racconto dei fatti delle nazioni,l'uti Jità non può veramente esser posta , che nel giovare al l'uomo o come agente morale, o come creatura intelli gente; perocchè non si potendo allettare la sensibilità , alla Storia non resta che correggere la volontà, o svolgere e  saran per Però la Storia, dopo che si è mostrata puramente artistica , vorrà avere uno scopo che le paja manco vano , e che dia più pronti e certi frutti; vorrà insomma esser utile , ed eccovi apparir la Storia morale , la quale , se più non guarderà la bellezza siccome unico ed immediato suo scopo , se ne gioverà nondimeno per ornare ed avvivare i suoi racconti, essendochè l'uomo , come dicemmo , po scia che l'ha un tratto conosciuta , mai più non si di stoglie dalla bellezza. costantes generi , contumax etiam adversus tormenta servo rum fides. Ond'iomi maraviglio che ilsignorMannaabbiapo tuto sconoscere questo si manifesto intendimento di Tacito, dandogli uno scopo meramente artistico, com'ei si da rebbead Erodoto. E mi pare che in questosbaglioeisia caduto , per aver troppo semplicemente diviso tutta la vita storica inartistica e filosofica,nonbadando che seconla riflessione si può dir che cominci l'amor del sapere ola filosofia, non per questo ella è filosofia, intesaintuttala determinazion della parola , cioè la scienza già ordinala formata ; e per dir più chiaramente , che innanzi all'ul tima forma sua ben può la Storia esser riflessiva , e non esser pertanto ancor filosofica. Il perchè non potendoegli di buona fedetrovare in Tacito la sua Storia filosofica ha dovuto di necessità trovarvi l'artistica,quantunquela Storia avesse in lui cangiato natura , essendochè l'artedi primo scopo e signora ch'ella era , è divenuta istrumento ed ancella. SMomentodelleveritàassolute.- Storia positive. Per affisarsi che faccia la riflessione al subbietto e all'ob bietto e ai lor rapporti, verrà tempo alla perfine ch'ela sarà percossa da quella strana immutabilità e indipendenza dei concetti della ragione; che anzi quello stesso atten dere ed osservare i fenomeni sensibili e volontari sarà ca gione che le si dimostri l'assoluto ; essendochè di due o più cose non pur dissimiglianti ma opposte sieme e confuse ; più pensando ed osservando ne distrigate e dintornate l'una", più l'altra vi si porgerà chiara edi stinta. L'osservare che sopra una sorta di fenomeni non ha potere la volontà , e che lo stesso non-me non sipuò sottrarre a certe.leggi immutabilissime e salde , fa chesi vadano sempreppiùdistinguendo e sceverando ifatirazio pali, e apertamente se ne vegga la indipendenza dalsub bietto e dall'obbietto. Oltre diche,inquellaguisachela impersonalità dei fati sensibili rivela e determina la per sonalità dei volontari, cosi la mutabilità , la contingenza, la naturafinita e dipendente dell'animonostroe delana tura,distintamente cisvelal'immutabile,l'infinito,l'as soluto; l'essere, in una parola , il quale non che dipen  e strette in   dere da altre cose , a tutte anzi è sostegno e fondamento. In questo secondo suo momento adunque la rifles sione,disviluppatasidal contingente,separaepone l'asso luto,o vogliam direl'eterneveritàrivelatecidallaragio ne. E però ch'ella suole, dimenticando gli antichi, tutta a'nuovi obbietti abbandonarsi, e massimamente dopo che ha scorto, che ilme e ilnon-me non son poi gli ultimi termini della scienza , e che ci ha alcun più degno e nobile obbietto intutto indipendente da quelli,e che anzi abbrac cialiecomprende,e ponloroelimitieleggi,da'quali, tramutinsi pure a lor posta , mai uscir non possono, o sottrarsene.E megliovedràl'importanzae ladignitàdel l'assoluto , quando si sarà avveduta che non ostante la caducità e l'impersetta natura del contingente, le verità nondimeno stanno e sopravvivono.Di questo procederà che alle personali vedute del primo momento altresuccederanno impersonali e disinteressate, e seprima chiedevasi l'utile, il vero poi soprattutto si chiederà. Eosi la Storia che abbiam veduto correr dietro al l'utile,volgerassi a più nobile scopo escientifico,enon vorrà che il vero ; e purchè il trovi e narri, le parràdi aggiungere l'ultimo e naturale suo scopo. Vero è, che non si essendo anco giunto a tale con la scienza, che basti e valga a ricongiungere e riferire alla prima Sostanza quelle assolute verità , e a considerare il vero come rive lazione dell'infinita Intelligenza. Vorrà la Storia il vero, ma senza sapere iltrovarlo infine che importi;e conside randolo partitamente nei fatti in tanto che esistenti e a v venuti , scambierà il reale col vero , e solo vedrà negli avvenimenti la vicina dipendenza di cause ed effetti, non si elevando mai a più larga e lontana connessione. Per tanto degli Storici di questa età , sola e prima cura sarà trovare i fatti e accertarli, mostrarne le immediate o poco lontane cagioni, o almeno le occasioni e i rapporti, e solo che dieno una tal quale narrazione di importanti e certi fatti , nissun pensiero si prendono del rimanente, e par loro adempiuto ogni ufizio eche laStoriasiafatta.E non pen sate ch'ei sipiglino affanno di virtù e di vizi,di giusto edingiusto,diquestaoquellacredenza;evidanno a divedere una freddezza e un'indifferenza , che c'è da sconsolarsene, per modo che vi sembra non abbian cuore,o senso morale , e sien tutto pensiero e intelligenza. Il qual morale indifferentismo stimiamo sia tra l'altro ingenerato dai costumidiquelleetàch'essersoglionoassaiguastie dissoluti:onde avviene che disperato si del miglioramento, appoco appoco l'animo vi si adusa, e dopo di averli con siderato come un necessario male e durissima legge del l'umana natura,finirà colvenire in quella tristae scon solante indifferenza , di che non è stato che sia peggiore. Anche questa maniera di Storia vediamo adunque inrap porto manifesto con l'obbietto e col subbietto , con lo svol gimento progressivo dell'intelligenza, e con le sociali c o n dizioni dell'età in cui suole apparire. Se non che , acció che non ci si dia non meritato biasimo , vogliam qui fare avvertire che se noi riferiamo la Storia al subbietto e al l'obbietto, questo facciamo per guardar la cosa da più lati, e non perchè ci sembri che quelli in sostanza sien diversi rapporti. Conciossiache limitando noi l'obbiettività al solo mondo civile, il quale , come ha detto il Vico , è fatto dall'uomo , ci avvediamo che il riferirvi la forma che vien prendendo la Storia ,egli è come riferirla un'al tra volta allo svolgimento della nostra intelligenza. Questi sono gli storici , che abbiam chiamato positivi. E molti potremmo indicarne che più o meno van com presi in quel numero ; ma ci piace di nominar soltanto il Davila e il Macchiavelli, come assai vivi esempi di que stageneraziondinarratori.Solovogliamo quiricordare che se in molti di questi storici alcun che ci ha di arti stico, morale o politico, non per questo non son da te nere per positivi, quando loro intendimento sia stato il narrare ifatti che veri stimavano senz'altra briga.Dap poichè se nell'ideale e nella scienza tutto è ben distinto e determinato , nella realtà per contrario tutto intrecciasi e confonde, e mai non si ha il fatto cosi nudo e segre gato dagli altri che gli stan dallato , o che lo han pre ceduto o seguiranno , secondo che la scienza lo ha de scritto. Cosi questa famiglia di Storici è a parer nostro assai numerosa e comprensiva ; e risolutamente vi chiu diamo e 'l Guicciardini e l'Hume e'l Gibbon e 'l Giannone e 'l Robertson , avvegnachè di costoro , chi voglia solo un lato considerarne, alcuno dirà artistico, un altro forse chiamerà morale o politico , e in quegli ultimi per avventura gli parrà già di vedere l'ultima forma della Storia, che è la filosofica, e di cui or passeremo a ragio nare . Per ilche,quando perassaisecolisièveduto un sorgere e fiorire, e un cader d'imperi e di nazioni , una catena lunghissima di successi grandi ; quando in somma il dramma storico dell'umanità di tanto è cre sciuto,che sene può avereun'assai larga e svariata esperienza;èforzacheavedersicominci allaperfine e un tal ritorno di avvenimenti al tornar delle stesse ca gioni , e certi costanti rapporti e lontanissime dipendenze , e una certa comune natura delle nazioni sotto alle dissi miglianze grandi che son tra loro. Oltre di che al rovinare e mancar di tanti regni potentissimi, di tanti vasti e splendidi imperi, che pare a non on d o vermi finire', e  Storia filosofica. S.III. Momento delle verità assolute come manifestazione La riflessione di sua natura , quanto più va innanzi nel suo lavoro , della prima Sostanza. Tanto più visi addestra, ed acquista di acume e di profondità, e noi tratto tratto più incontentabili ci facciamo e vogliosi di sapere. Dopo di aver separato e distinto il meeilnon-me,siamocielevatialquantopiùsu,edat traverso alla vicenda ed alle permutazioni del contingente , abbiamo intraveduto e scorto l'assoluto in quelle immu tabili verità, che son come le leggi del pensiero e della natura. Ma giunti che siamo a questo punto di conoscenza , veggendo che quelle assolute verità non derivano o dipendono di sorta dal subbietto e dall'obbietto ; qual sia dimandiamo la lor sorgente e derivazione , di qual sostanza essi fenomeni sieno manifestazione nella nostra intelligenza. E questa interrogazione torna inevitabile e necessaria per quei due principi disostanzae dicausalità, che non ci lascian mai , eche ad ogni fenomeno,ad ogni cosa che cominci,a trovare o pensar ci sforzano una so stanza e unacagione.Le veritàassolute adunque noi ri feriamo e leghiamo all'assoluta Sostanza,all'Essere crea tore e intelligente, e quivi soffermasi la riflessione niente altro chiedend , vi si appaga e riposa. e  tutto in loro accogliere e stringere il futuro destino dei p o poli ; non può la disingannata intelligenza non distorsi da quell'angusto e caduco spettacolo, e non elevarsi a più larghe esublimi considerazioni. E scorgerà che iregnie gl'imperi non son poi che apparenze peculiari e fuggenti, è che fra tanta vicenda e permutazion di fortuna,duran nompertanto le umane generazioni e governate da costan tissime leggi;e da tanti sanguinosi elacrimevolicasi,da tanti mali e miserie incredibili, risorgon sempreppiù a m maestrate e possenti,come se cavasser benedalmale,e a simiglianza d'un nobilissimo fiume, il quale non che scemare e impaludarsi tra la rena e i sassi e i dirupi, sempre crescendolesue acque,alteramenteprocedeverso l'infinito mare che l'attende. Pertanto a quel modo che riferiamo le leggi del pensiero alla prima Intelligenza , e le abbiamo per un suo apparire e rivelarsi nella ragione ; così pure quelle discoperte ed osservate leggi dellaStoria riferiamo al primo Essere, e le consideriamo come forma visibile dellamente e del disegno di lui sopra il destino degli uomini , che è quanto dire come la stessa Provvi denza divina. Quando adunque dalla mutabilità , dall'incostanza e dalla contraddizione del reale , elevar ci sappiamo insino all'idealeeilconsideriamocome espressionedellamente di Dio ; quando più non vediamo nella Storia una for tuita o capricciosa successionediavvenimenti,ma losvol gimento di un'idea nel tempo, e l'adempimento sopradi noidel provvidodisegno del Creatore. Sorgerà quella Storia che detto abbiamo filosofica; e , conciossiachè la riflessione non vada più oltre, questo è l'ultimo e più n o bile grado a cui possa ella giungere. Or questo supremo pensiero,questo provvido disegno di Dio sulle umane generazioni , certo in niente meglio si dimostra che nella Storia della religione ; e se aggiun gete che solo il Cristiano incivilimento pote acidare una cosi fatta Storia ; che , dalla nostra infuori, niun'altra religione non ha avuto un si chiaro e non interrotto cam mino attraverso a tutte le età; che la scienza infine non avea a cominciar da capo e far tutto di per sé, percioc ehè ella potea lavorare per un sentiero ch'or silascia in travedere , or profondamente è segnato nei Libri Santi ; non è dubbio che dei cinque elementi della Storia , che sono l'industria, lo stato, l'arte, la filosofia e la religione , dovea quest'ultima prima costringer l'attenzione dei nostri scrittori, e, lasciatisi da un canto gli altri quat tro , informare a suo modo la Storia ,e invadere a prima giunta e assorbire tutta la vita delle nazioni. Di qui av verrà che questa prima e incompiuta Storia apparirà anzi teologica che filosofica. E tale infatti è quella del Bossuet , per essersi quel dottissimo Vescovo tutto chiuso e raccolto nel Cristianesimo , e fattolo centro , scopo e m i sura a tutta la Storia dell'umanità. Ad ognimodo quello è il primo passo verso la Storia filosofica , e il primo n a scere e incarnarsi di quella idea , che dopo meno di un secolo vedemmo tanto allargarsi nell'Herder , che in quel suo stupendo lavoro tutti abbracciò ed avvinse gli elementi della vita delle nazioni. Se non che la Storia dell'umanità non si sarebbe per avventura a tanto alto grado elevata nell' Herder, se QUEL MARAVIGLIOSO E POTENTISSIMO INGEGNO DI GIAMBATTISTAVICO non avesse prima , con lo scriver la Scienza nuova, fondata ne la filosofia. Di quest'opera straordinaria assai volentieri parleremmo , ch'ella è primo vanto e gloria nostra, e Dio sa quantoci gode il cuore in pensare che abbiam noipure il nostro Dante; m a sarebbe un varcar quei limiti che ci siampostiinquestolavoro:dappoichènon abbiam voluto intrattenerci intorno alla scienza della Storia , m a solo indicare una opinione che avevamo del suo progressivo svolgimento,cavandolo daquellodelpensieroumano.Non però di meno vogliam mostrare che quell'idea che d'una vera e compiuta Storia filosofica osservando e ragionando ci siam fatta , quella stessa aver partorito e fecondato la Scienza nuova.Infatti, poichè il Vico dallo studio psico logico dell'uomo ebbecavato quella sua comune natura delle nazioni, vale a dire le leggi universalissime della Sto ria, andò fino a riferirle alla prima Cagione, e le tenne espressione visibile del Consiglio divino ; ond'ei medesimo scrisse,l'opera sua doversi riputare una Teologia sociale e una storica dimostrazione della Provvidenza. E concios siache per potersi elevare , sccondo che dicempo, dal  reale all'ideale , ei bisogna che il primo ci sia noto, as sai giovossi il Vico della FILOLOGIA DELLA LOQUELA DEL LAZIO, che al dir del Michelet, è la scienza del reale, o dei fatti storicie delle lingue; e sull'ale poi della filosofia cacciossi in quella potente e lontana astrazione. La filologia adunque e la filo sofia , cioè le scienze del reale e del vero (ch'è l'idea le ) , son le due fecondissime sorgenti a cui ha attinto la Scienza nuova ; e una storica dimostrazione della Provvi denza è l'ultimo e proprio suo obbietto. Ma se grande nella Scienza Nuova è la parte del l'uomo e di Dio che fuungran passo do poche il Bossuet in Dio solo s'era affisato ), la parte del non-me o della Natura è nulla , o incerta e poverissima; la qual cosa poi tanto crebbe e ingigantissi nell'Herder per sual filosofia di quel tempo ,che l'uomo ne venne presso cheschiavoallaNatura,ev'ebbeaperdereilsuoli bero arbitrio. Perciò questo elemento tra l'altro devesi aggiungere alla Scienza Nuova;essendochè l’Uomo,Dio e la Natura sono i tre obbietti alla filosofia , e questi stessi entrar debbono,e in bell'armonia legarsi nella Storia, sesivorràch'ellasiacompiutae perfetta,echearrivi a quell'idealesupremo cheil progresso della scienza ci promette,e cheledotteedoperosefaticheditantichiari uomini del nostro vivente ci fanno sperare non lontano Raccogliendo ora tutte le coseche inquesto secondo periodo abbiam toccato ,diciamo che la Storia dopo di es ser nata artistica vuol esser utile , indi vera , ed ultima mente filosofica; che questoavvieneper l'obbiettoepelsub bielto , secondochè abbiamo or detto espressamente , or sol tanto lasciato intravedere. Quanto alle vicende e al progressivo cammino della Storia ,questo è il nostro pensiero. E qui porremmo fine al nostro lavoro se tutti i lettori così fossero , li vorremmo. Ma ci ha di tali uomini , che non san ve dere nei fatti che dissimiglianze e contraddizioni, e non si elevando più che tanto, stringer non sanno più di due cose insieme, e non diciamo porre un po' d'ordine e d'armonia in quel caos d'avvenimenti, ma nemmanco innalzarsi a un sol pensiero, a un qualche men che vi la sen gran fatto. come noi cino rapporto. Costoro certamente vorranno che tutta la Storia vadasi per cosi dire a adagiare nel disegno che in fino a qui siam venuti delineando, e che d'ogni Storico subito e chiaramente si possa diffinir la natura e 'l tempo del suo venire ; e perocchè questo , non potendo essere non viene lor fatto, eccoveli gridar tostoall'errore e al sistema : come se i casi valessero a romper le regole, e come se negli uomini non fosse libero arbitrio , ed oltre alla ragione non fosse la personalità del volere, la quale di quanto conturbi , e modifichi , e arresti e affretti al l'idea il naturale e logico suo svolgimento , non è chi non vegga. Per non dire che in alcuni storici la stima e l'imi tazion dell'antico , in altri l'indole o le false opinioni o la povertà del sapere son cause che sovente essi dienci parti fuori tempo ; e che ifatti talvolta sembri che vadano a ritroso con le idee. E valga l'esempio delBotta venuto troppo tardi per esser , com ' egli è , storico morale e p o litico. Oltre di che alcuni , venuti nella intersezione di due periodi , e però accogliendo quel che cade e quel che sor ge, hanno in quei loro scritti alcun che d'indeterminato, il quale cosi n e asconde e sforma la vera faccia, che non sapreste a quale specie di storici li dobbiate propriamente riferire. Cosi in Livio vediamo a un tempo l'artistico e'l patriottico o politico e anche un po' del morale , ed era mestieri per i tempi in che scrisse; in Sallustio ancora l'artistico, ma il morale più determinatamente ; in Sveto nio quasi intutto il positivo. Del rimanente il reale o quel che accade può ben rifermare , ma non ha potere di con trastar l'ideale o quel che è: laonde se la nostra osser vazione psicolologica è stata accurata,esatta e compiuta non ci si avrà a contraddire , e le vicende della Storia quelle saranno , che abbiamo fuggevolmente descritto.Giambattista Ajello. Ajello. Keywords: Roma antica nella filosofia di Hegel. Refs: Luigi Speranza, “Grice ed Ajello” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51794314171/in/dateposted-public/

 

Grice ed Albergamo – CROTONE – filosofia italiana – Luigi Speranza (Favara). Filosofo. Grice: “Albergamo is a fascinating author – a very Italian philosopher who can teach Lucrezio and the classics at the ‘gym,’ as they call it, and yet survey the ‘storia delle scienze essate’ and the ‘storia delle scienze empiriche.’ Alla Bridgman, he is into ‘the logic of the science.’ But he can also define the ‘spirit’ in terms of ‘freedom.’ He has also analysed, vis-à-vis- his interest in Galieleo and science, the very Italian idea (already in Cicerone) of ‘super-stitio’ and magic – his approach to these matters is phenomenological, which coming from Favara as he does, is understandable!” --  Filosofo. e un pioniere della filosofia della scienza in Italia. Nato a Favara, in provincia di Agrigento, da Giacomo e Giuseppina Butticé. Suo nonno era un ricco proprietario di una rinomata pasticceria di Favara. Il padre, ferroviere, fu trasferito prima a Messina e poi a Palermo, portando con sé la famiglia. A causa di questi trasferimenti, svolge gli studi liceali da autodidatta, conseguendo poi la laurea in filosofia presso l'Palermo.  Nel 1931, vinto il concorso a cattedra di storia e filosofia, si trasferisce a Trapani, dove insegna al liceo classico Ximenes, e dove sposa Maria Carmela Rizzo, da cui avrà quattro figli. Insegna poi a Benevento ed infine a Napoli presso il Liceo classico statale Vittorio Emanuele II, dal 1936 al 1967.  Pressoché tutta l'attività filosofica e didattica di Francesco Albergamo si svolge a Napoli, ed è caratterizzata dal clima culturale molto vivo nella città di Benedetto Croce. Come filosofo, si dedica a due principali linee di attività. La prima è dedicata all'insegnamento ed alla didattica della filosofia, l'altra allo studio del rapporto tra filosofia e scienza. In entrambe le linee, il suo lavoro ha avuto una grande caratura culturale, e la sua personalità fu considerata, nella città di Napoli, di grande spessore etico, per la generosità e l'impegno che hanno contraddistinto la sua vita.  Circa la prima linea, il ricordo della sua attività didattica è rimasto a lungo nei tantissimi giovani che hanno ricevuto una solida formazione filosofica di cultura laica, razionale, liberale. Vero è che a Benevento, dove aveva insegnato per soli due anni, gli è stata dedicata una strada che, significativamente, parte da Piazzale Benedetto Croce per poi ricollegarsi a Via Francesco de Sanctis.  Al Liceo Classico Vittorio Emanuele tra i diversi allievi che si sono distinti nel campo della filosofia e della cultura ricordiamo in particolare due delle figlie di Benedetto Croce. Il suo nome è ricordato in una lapide dedicata alle più illustri personalità che vi hanno insegnato, tra cui Giovanni Gentile. Oltre all'insegnamento nei licei, è stato libero docente di filosofia teoretica presso l'Napoli, dove ha svolto una intensa attività di corsi e conferenze.  Con i suoi manuali di storia della filosofia, e con numerose pubblicazioni dedicate ai licei, FA costituisce un importante punto di riferimento nella didattica della filosofia a livello nazionale, prima per il classico e poi anche per lo scientifico. Una notevole attività è anche dedicata alla formazione dei docenti di filosofia, con numerosi articoli, pubblicazioni, corsi e conferenze.  L'altra linea di attività, quella dedicata allo studio del rapporto tra filosofia e scienza, si snoda lungo un arco di tempo molto vasto, che va dall'inizio degli anni '30 fino alla sua scomparsa. I risultati sono confluiti nella pubblicazione di importanti saggi filosofici. Di formazione idealistica e kantiana, appena trasferitosi a Napoli, nel 1936, instaura un rapporto stretto con Benedetto Croce, con frequenti visite e colloqui nella sua abitazione a Palazzo Filomarino, guardata a vista dalla polizia.  Dalle sue lettere a Croce si evince un chiaro riconoscimento di Croce come suo Maestro, oltre a forti sentimenti di devozione e di sincera amicizia.  In particolare, alla caduta del fascismo, esprime al Maestro la sua "profonda gioia" perché "finalmente l'Italia comincia a incamminarsi per la via maestra che le avevate additato", e prosegue poi: "Gioiamo della gioia vostra e dei vostri cari: della gioia che ora, dopo tutto quello che voi, giusto, avete sofferto, aleggia sulla vostra casa. Questo rapporto si affievolisce a partire dai primi anni '50, quando più che la filosofia fu la politica a provocare un allontanamento di Francesco Albergamo dall'ambito crociano, per aderire progressivamente agli orientamenti ed alle ideologie della sinistra e del marxismo.  Già agli inizi degli anni '50, aderisce al movimento dei "Partigiani della Pace", nato a Parigi nel 1949 sotto il simbolo della colomba della pace, appositamente dipinta da Pablo Picasso,stringendo una forte amicizia con Lucio Lombardo Radice, Maurizio Valenzi, Renato Caccioppoli, Ambrogio Donini e altri.  Nell'estate del 1952 partecipò ad una delegazione in visita alla repubblica democratica tedesca, assieme a Giancarlo Pajetta, Renato Guttuso, Francesco Flora. La visita era, naturalmente, finalizzata a diffondere ed esaltare le "conquiste del socialismo". Di ritorno dal viaggio, il Ministero dell'Interno dispose il ritiro del passaporto, e quello della Pubblica Istruzione gli comminò una ammonizione, come se avesse abbandonato il servizio senza autorizzazione, mentre il viaggio era stato fatto nel periodo di chiusura estiva delle scuole. Fu forse questo episodio, che Francesco Albergamo considerò una manifesta soperchieria di stampo scelbiano, che lo indusse l'anno successivo ad iscriversi al PCI, salutato da Togliatti con un cordiale telegramma di benvenuto.  Nel corso di tutti gli anni '50, partecipò attivamente alla vita culturale e politica della città di Napoli, che in quel periodo era in grande effervescenza. Il movimento culturale della sinistra napoletana non si riconosceva pienamente in una ideologia, come afferma Gerardo Marotta, "ma si fondava su un dibattito filosofico che traeva i suoi succhi da un corale sforzo di comprensione del proprio tempo. Il dibattito raccoglieva e valorizzava l'eredità culturale degli illuministi e degli hegeliani napoletani del secolo precedente, attingendo alla lezione storicistica meridionale che va da Vico a Croce, passando per F. De Sanctis e G. Salvemini, e collegandosi poi al pensiero di Antonio Gramsci.  L'Albergamo partecipa con conferenze che venivano organizzate dalle associazioni culturali napoletane tra cui "Cultura Nuova" ed il "Gruppo Gramsci", ed accetta, sia pure a malincuore, una candidatura del PCI alle elezioni comunali di Napoli.  Il problema del rapporto tra filosofia e scienza viene visto in termini di nuovi modi e nuovi contenuti per la didattica delle scienze e della filosofia. Tra i primi in Italia, ed in aperta polemica con la scuola crociana ed il clima dominante, Francesco Albergamo avverte i rischi, per lo sviluppo della società italiana, di una cultura prevalentemente classica: Con la seconda rivoluzione industriale che è in atto in tutto il mondo, noi italiani non ci possiamo permettere il lusso di rimanercene ancorati ad una cultura prevalentemente classica ed umanistica."  L'Albergamo lavorò con la passione di una intera vita, fino a pochi giorni dalla sua morte. L'ultimo suo scritto uscì postumo su "Critica" marxista. In seguito alla sua scomparsa il quotidiano comunista L'Unità dette notizia della sua scomparsa con un lungo saggio. Possiamo, per semplicità di esposizione, dividere l'opera dell'A in tre periodi. Nel primo periodo, il pensiero dell'Albergamo si muove nel quadro di una concezione filosofica di tipo idealistica, dominata in Italia da Croce e Gentile.  Tuttavia, più che alle tematiche tipiche dell'idealismo, è interessato ai problemi nuovi che si pongono al pensiero filosofico a causa dello sviluppo impetuoso della scienza nel novecento, in particolare nei settori della fisica relativistica e quantistica, della matematica, e della biologia. Albergamo precorre, in una prospettiva idealistica, la necessità di un dialogo costruttivo, osmotico, della filosofia con le particolari discipline scientifiche ed empiriche.  Nel primo lavoro scientifico (1), richiamandosi all'insegnamento di Kant, sostiene che la scienza, come esperienza dell'attività dello spirito, è resa possibile dalle forme trascendentali. Tuttavia, sostiene l'Albergamo, gli sviluppi più recenti della matematica (geometrie non euclidee, matematiche non archimedee, gli iperspazi, ecc.) e della fisica (teoria della relatività di Einstein, meccanica quantistica, principio di indeterminazione di Heisenberg) provano la contingenza di tali forme trascendentali, .  Affronta anche il problema, fortemente dibattuto, dell'alternativa tra determinismo ed indeterminismo, e perviene alla conclusione che anche l'alternativa indeterministica sia egualmente legittima: la conoscenza scientifica può essere costruita anche se si ignora il principio di casualità e si finge che i fenomeni si succedano a caso, secondo le leggi matematiche della probabilità. Queste tesi originali furono apprezzate e commentate , all'epoca, da diversi filosofi italiani, tra cui C.Ottaviano, Aliotta, ed altri, fino a pervenire ad una ampia esposizione della problematica filosofica connessa alla scienza del novecento. Il saggio La critica della scienza nel novecento", pubblicato in prima edizione nel 1942 e poi più volte ristampato fu giudicato "assai pregevole" da Croce. Di questa opera, Guido De Ruggero scrisse che essa "offre una delle più efficaci sistemazioni speculative che io conosca delle vedute pragmatistiche della scienza, compresa quella del Croce alla quale più strettamente si connette. L'ambizione dell'Albergamo, che traspare chiaramente nei diversi spunti critici nei confronti dei limiti dell'idealismo nell'affrontare il problema della logica della scienza, è quella di "costituire una confutazione dell'idealismo per via dell'idealismo stesso. In altre parole, vuole in qualche modo superare la concezione che relegava la scienza nel limbo degli "pseudoconcetti", per dare piena legittimità ai processi conoscitivi, sia delle scienze esatte che delle scienze empiriche, restando comunque ancorato all'idealismo.  Benedetto Croce in qualche modo accetta e favorisce la ricerca di A, giudica "assai ben pensato e ragionato" il suo lavoro, ma rimane rigido nell'accogliere la storia della scienza come parte integrante della storia della filosofia. Finito il periodo bellico, l'attività dell'A si sviluppa poi in una serie di opere in cui sistematicamente, ed in un quadro storico, vengono trattati i problemi della logica delle scienze esatte e della scienze empiriche. In questo periodo A, dirigendo per l'editore Laterza una collana di scrittori di teoria delle scienze, propone alla cultura italiana la conoscenza di importanti pensatori d'oltralpe, come Poincarè, Bergson, Bachelard, ed altri.  Il secondo periodo dell'attività di Francesco Albergamo può datarsi attorno ai primi anni '50, ed è caratterizzato da un progressivo allontanamento da Croce e dalla sua scuola, dovute alle difficoltà dell'Albergamo a trovare un pieno accoglimento delle sue tesi sulla scienza, ed anche, in qualche misura, a diverse valutazioni politiche.  L'esigenza di Francesco Albergamo era quella di dare piena legittimità filosofica alla logica del pensiero scientifico. Per raggiungere questo obiettivo, era necessario operare un "capovolgimento" dialettico nel rapporto Natura-Spirito della filosofia crociana, allo stesso modo in cui Marx aveva operato nei confronti di Hegel. Per Albergamo infatti "spiritualismo e materialismo costituiscono in realtà una opposizione dialettica, nella quale di continuo ognuno dei due deve vincere la resistenza opposta dall'altro... come già nella dottrina hegeliana, così anche quella del Croce esige… un "capovolgimento", in maniera che il suo oggetto…trovi proprio nel suo opposto la condizione per vivere e svolgersi. Nel terzo periodo di attività, a partire dal 1967, quello della massima maturità ed originalità, affronta una analisi sistematica delle forme di "pensiero prelogico", inteso come "pensiero che, spontaneamente, senza alcuna riflessione logica, veniamo indotti a formulare per una suggestione tanto irresistibile quanto inconscia che inibisce la nostra intelligenza. Analizza con grande attenzione tali forme di pensiero, sulla base dei risultati e delle osservazioni di etnologi ed antropologi (da Frazer a Levy-Bruhl, Levy-Strauss, H. Kelsen, ed altri), oltre che dei risultati della scuola psico-analitica, da Freud a Cesare Musatti.  Analizzando questa poderosa base di osservazioni sperimentali, perviene ad individuare i principali meccanismi della prelogica: automatismo associativo, intuizione animistica, inibizione dell'intelligenza ad opera del sentimento.  Vengono così portati alla luce della consapevolezza quei processi inconsci ove si generano mito e magia.  Le molteplici e diverse credenze mitiche e magiche, con la loro uniformità di struttura e le loro coincidenze spesso sorprendenti, sono interpretate come il risultato di un automatismo psichico inconscio, che persiste pur attraverso le situazioni storiche più diverse.  La tesi dell'Albergamo è che tali forme prelogiche, che sono alla base dei miti, dei riti, e delle pratiche magiche dei popoli primitivi, lungi dall'essersi esaurite con il progredire del pensiero scientifico e filosofico, sono presenti in maniera diversa, non solo in età infantile ed in alcuni soggetti psicopatici, ma anche nelle stesse persone colte, nonché in alcuni ambiti dello stesso pensiero scientifico e filosofico. Accanto a questo nuovo ed affascinante filone di ricerca, si intensifica l'opera di educatore, con decine di opere destinate alla scuola, manuali , antologie , trattati, nonché da studi e pubblicazioni sulla didattica delle scienze e della filosofia degli scritti di Albergamo. Opere:  “Saggio di una concezione filosofica della scienza” (Napoli, Loffredo); “Disegno storico della filosofia ad uso dei licei classici e degli istituti magistrali” (Milano, Sig.); “La tesi finitista contro l'infinito attuale e potenziale” in Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze; “La filosofia di Spir”, in Annuario Liceo Vittorio Emanuele di Napoli); “Critica del concetto di infinito”, in Annuario Liceo Vittorio Emanuele di Napoli, “L'Italia di Augusto e l'Italia oggi” in Augusto. Celebrazione nel bimillenario augusteo, a cura del R. Provveditorato agli studi di Trapani, Trapani); Cura di I. Kant, Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza” (Bari, Laterza); “Il criticismo kantiano e la scienza moderna” (in Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze); “Kant e la scienza moderna, in Archivio della Cultura Italiana, “Le basi teoretiche della fisica nuova” (Padova, Cedam); “Filosofia e biologia, in Sophìa; Recensione di A.V. Geremicca, Spiritualità della natura, Bari, Laterza, «Sophia»,  “La critica della scienza del Novecento” (Firenze, La Nuova Italia editrice); “Lo spirito come attività creatrice” (Firenze, La Nuova Italia editrice); “Il concetto di realtà e le scienze empiriche”, in Ricerche filosofiche. Rivista di filosofia, storia e letteratura, n. unico; “Vitalismo e meccanicismo nel secolo XX”; in Rivista di Fisica, Matematica e Scienze naturali; Versione, studio introduttivo e note di G. Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana” (Verona, La Scaligera); “La matematica nella critica della scienza contemporanea, in Sophia, L'ordine nel mondo degli oggetti, in Logos, Recensione di A. Marzorati, Spiritualismo, Milano, Bocca, Sophia», La natura: Saggi filosofici, Verona, La Scaligera); “Croce critico della matematica, in Rassegna d'Italia; “Storia della logica delle scienze estate” (Bari. Laterza); “Traduzione, studio introduttivo e note di H. Poincaré, Il valore della scienza” (Firenze, La Nuova Italia); “La scienza nell'antichità classica, in A. Padovani (a c. di), Antologia filosofica, Milano, Marzorati); “Traduzione, introduzione e note di H. Poincaré, La scienza e l'ipotesi, Firenze, La Nuova Italia, Cura di La scienza nell'antichità classica. Antologia filosofica, Como, Marzorati); “La scienza nel Rinascimento, in Grande antologia filosofica, XI Scienza, natura e storia in Gramsci, in Società; Introduzione a S. Laplace, Saggio filosofico sulla probabilità, Bari); “Cura e introduzione di G. Bachelard, Il nuovo spirito scientifico, Bari, Laterza (Nuova ed. riv, L. Geimonat eRedondi, Bari, Laterza). Storia della logica delle scienze empiriche, Bari, Laterza); Le scienze naturali nella filosofia di Croce, Bari, Laterza Il pensiero scientifico contemporaneo. Antologia storica; Le scienze esatte e le scienze fisiche; Le scienze naturali, Firenze, La Nuova Italia); Il pensiero scientifico nell' 800 e nel Questioni di storia contemporanea); “Il millesimo anniversario della morte di Avicenna, in Rinascita, Il valore teoretico della matematica, in Atti del Congresso di studi metodologici, Torino, Torino, Introduzione a J. W. Goethe, Scienza e natura. Scritti vari, Bari, Laterza); “presentazione di A.V. Geremicca. Prefazione a A.M. Frankel, Le scienze naturali nella filosofia di Benedetto Croce, Bari, Laterza); “Cura di E. Bergson, L'evoluzione creatrice, s. i. t., Mazara (Trapani)  Le scienze nella dottrina crociana delle categorie, in E FLORA (a c. di), Benedetto Croce, Milano, Malfasi Editore, La critica della scienza oggi in Italia, Roma, Perrella); “Il dogmatismo religioso contro la libertà e l'autonomia della scienza, in Il Calendario del popolo, La vita nella dialettica della natura, in Società,  Recensione di S. Timpanaro, Scritti di storia e critica della scienza, con una avvertenza di Sebastiano Timpanaro jr. (Firenze, Sansoni  «Belfagor»); Recensione di C. Luporini, La mente di Leonardo, «Belfagor», La geometria di Euclide non è la sola possibile, in Il Calendario del popolo, Scienza e filosofia di Einstein, in Rinascita, Recensione di H. Reichenbach, I fondamenti filosofici della meccanica quantistica, «Società», Introduzione alla logica della scienza” (Firenze, La Nuova Italia); “I rapporti tra la filosofia e le scienze nel liceo scientifico, in Convegno nazionale di studio sulla didattica della filosofia I Licei e i loro problemi, Intuizione e ragionamento nella matematica, in Atti del Convegno Nazionale "La didattica della matematica nella scuola primaria", Roma,  Matematica e realtà, in Società,  “La teoria dei quanti nelle interpretazioni fenomenistica: del Reichenbach”; in VIII Congrès International d'histoire des sciences, Florence Milan, I, Paris, Direzione della sezione ‘Scienze’ del Dizionario Bompiani degli autori di tutti i tempi e di tutte le letterature e redazione delle voci: Albert Einstein, Luigi Galvani, Hendrik Anton Lorentz, Edme Mariotte, Carlo Matteucci, Emile Meyerson, Hermann Walther Nernst, Julius Robert von Mayer Storia della filosofia per i licei scientifici, voll. 3, Padova, Cedam, Sopravvivenza della prelogica nel pensiero scientifico e filosofico, Stabilimento Tipografico G. Genovese, Napoli, estr. da «Atti dell'Accademia di Scienze morali e politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli»,  Cura di A. Einstein, Filosofia e relatività, Palermo, Palumbo, Pensiero e attività educativa nel loro corso storico, va. Palermo. Palumbo; La natura: Saggi filosofici, Bologna, Patron); Fenomenologia della superstizione, Roma, Editori Riuniti); Mito e magia, Napoli, Guida); L'educazione scientifica, Milano, Vallardi, estr. da La pedagogia. Storia e problemi, maestri e metodi, sociologia e psicologia dell'educazione e dell'insegnamento, diretta dal Prof. Luigi Volpicelli, La ricerca umana. Storia della filosofia, Palermo, Palumbo  Problemi del pensiero. Guida interdisciplinare per lo studio della storia della filosofia, Palermo, Palumbo, La teoria dello sviluppo in Marx ed Engels, Napoli, Guida, Lo strutturalismo di Claude Lévi-Strauss, in Critica marxista; Lo sviluppo dell'Antropologia culturale, in Genus, La "Storia del pensiero filosofico e scientifico" di Ludovico Geymonat, in Critica marxista, Il pensiero filosofico e scientifico nell'antichità e nel medioevo, Napoli, La Città del Sole (rist. del testo del 1963, con aggiunte di A. Gargano). Il pensiero filosofico e scientifico in età moderna, Napoli, La Città del Sole 2006 (rist. A. Gargano). Il pensiero filosofico e scientifico nell'età contemporanea, Napoli, La Città del Sole (rist. A. Gargano). Fonti Fondazione Croce, Napoli Lettere tra Croce e Francesco Albergamo e di Albergamo a Codignola, Gentile, Ottaviano e Sciacca, In Giornale critico della filosofia Italiana settima serie,  XIV anno XCVII, fasc.I gen. Apr.  Due lettere inedite di Croce a Francesco Albergamo,in Rassegna Storica Salentina, La Veglia ed. Carmelo Ottaviano, Recensione al Saggio di una concezione filosofica della scienza, in Sophia, a.V n.3, luglio –sett. 1937, pp300–303 A. Aliotta, Recensione al Saggio di una concezione filosofica della scienza, in Logos, R. Mck, Recensione al Saggio di una concezione filosofica della scienza , in Journal of Philosophy,  3Profondo cordoglio per la scomparsa del compagno Albergamo, L'Unità, G. Marotta, Renato Caccioppoli, la Napoli del suo tempo e la matematica del XX secolo, Napoli, la città del sole, Lettera di F.Albergamo a M.F. Sciacca, 2Centro Internazionale i Studi Rosminiani, Stresa, citat. Francesco Albergamo. Albergamo. Keywords: Crotone, il finito e l’infinito, idea de la scienza, scientia, la scienza italica, la scuola di Velia, la scuola di Crotone – la scuola di Girgentu – scienza naturale – scienza fisica – fisica – fisica filosofica – scienza umana – scienza esatta – scienza empirica – anti-finalismo – meccanicismo, galelei, il liceo classico, prmenide, zenone – la scuola di crotone – girgentu – empedocle e i fenomeni – l’entita matematica alla scuola di Crotone, disegno della storia della filosofia ad uso dei licei classici – liceo classico – liceo scientifico – Benedetto Croce – carteggio Croce/Albergamo – la logica della scienza – la non-sicenza, mito – superstizione – animismo – l’italia nei tempi di Augusto ed oggi – la critica della scienza in Italia oggi – lo spirito – lo spirito come liberta creatrice – meccanicismo e vitalismo – il kantismo – la filosofia della scienza – la metafisica – la filosofia nell’eta fascista – saggio filosofico sulla scienza – la natura – saggi filosofici  -- saggio su una concezione filosofica della scienza – scienza della natura – pitagora e la scienza della natura – fisicismo – naturalismo -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Albergamo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51794412383/in/dateposted-public/

 

Alberti (Bologna). Grice: “I like [Leandro] Alberti; his “Tutta Italia” is a must; his claim to fame is to translate from Roman to Tuscan (no big deal there) what is deemed the first ‘daemonological’ tract – Mirandola used ‘ludificatio,’ which was vastly translated as ‘inganno’ or by Leandro as ‘illusioni’ – which has echoes with Descartes’s malignant demon hypothesis and my “Some remarks about the senses”!” – ‘Filosofo. Nato da Francesco Alberti, di origine fiorentina, fu condotto agli studi umanistici dal noto medico e umanista Giovanni Garzoni. Entrato nell'Ordine domenicano nel 1493, studiò teologia e filosofia con Silvestro Mazzolini da Prierio continuando tuttavia a coltivare con il Garzoni i propri interessi umanistici e storici.   De viris illustribus, Bologna 1517 Il primo risultato dei suoi studi fu il contributo che egli diede, in soli 18 giorni, alla stesura dei De viris illustribus Ordinis Praedicatorum libri sex in unum congesti, opera collettivacon il Garzoni, il Castiglioni, il Flaminio e altridi biografie di domenicani, stampata a Bologna. Nel 1521 tradusse dal latino in volgare la Vita della Beata Colomba da Rieto  Tenuto al dovere della predicazione, fu «provinciale di Terra Santa»cioè compagno nelle predicazioni itinerantidel maestro generale dell'Ordine, Tommaso De Vio e del successivo maestro Francesco Silvestri: con quest'ultimo percorse tutta l'Italianell'ottobre del 1525 era a Palermo e la Francia dove, a Rennes, il 19 settembre 1528 morì il Silvestri. È poi attestato, a Roma, prendere parte al capitolo generale nel giugno del 1530.  Negli immediati anni successivi rimase nel convento di Bologna, dove commissionò a fra' Damiano Zambelli le decorazioni da eseguirsi nella cappella dell'Arca di san Domenico e i bassorilievi eseguiti da Alfonso Lombardi, questi ultimi pagati dalla città dopo la richiesta in tal senso avanzata dall'Alberti. In quest'occasione scrisse un opuscolo sulla morte e la sepoltura del Santo, il De divi Dominici Calaguritani obitu et sepultura, pubblicata nel 1535. Un'altra sua operetta, la Chronichetta della gloriosa Madonna di San Luca, fu pubblicata nel 1539 ed ebbe altre edizioni accresciute dal contributo di altri autori anonimi.  Il 20 gennaio 1536 fu nominato vicario del convento romano di Santa Sabina, un incarico che non dovette prorogarsi per più di due anni, giacché dal 1538 è sempre documentato a Bologna. Fu anche inquisitore di Bologna probabilmente dal 1550 al 1551 o al 1552, anno della sua morte.  L'opera più importante dell'Alberti, dedicata ai sovrani francesi Enrico II e Caterina de' Medici, è senz'altro la Descrittione di tutta Italia, pubblicata a Bologna nel 1550. Ad essa seguirono in ottanta anni altre dieci edizioni a Venezia e due traduzioni latine a Colonia: nell'edizione veneziana del 1561 si aggiungono per la prima volta le Isole pertinenti ad essa, mentre quella del 1568 è arricchita dalle incisioni di sette carte geografiche. Opera di geografia e di storia, ricalca in gran parte la Italia illustrata di Flavio Biondo, ampliandola e migliorandola nell'esposizione e nella citazione delle fonti, ma mostrando scarso spirito critico, attenendosi egli «ai dati dei geografi antichi o, per la parte storico-antiquaria, ad autori moderni di dubbia attendibilità come Raffaele Volterrano o Annio da Viterbo: e solo quando vengono a mancare testi precedenti ricorre a elementi di più diretta esperienza [...] parimenti nella critica storica preferisce riferire insieme le differenti versioni, anche di tempi e di valore molto diversi, senza prendere posizione».  Opere:  “De viris illustribus ordinis praedicatorum libri sex in unum congesti” (Bologna); “De divi dominici calaguritani obitu et sepulture” (Bologna); “Historie di Bologna”; “Libro detto Strega o delle illusioni del demonio”; “Descrittione di tutta Italia, nella quale si contiene il sito di essa, l'origine et le Signorie delle Città et delle Castella” (Bologna); “De incrementis dominii veneti et ducibus eiusdem” (Lugano); “De claris viris reipublicae venetae” (Lugano). Universal Short Title Catalogue, Scheda delle opere di Leandro Alberti. Così scrive egli stesso: De viris, c.A. L. Redigonda, “Liber consiliorum conventus Bononiensis, Archivio del convento di San Domenico, Bologna. A. Battistella, Il Santo Officio e la Riforma religiosa in Bologna, Bologna, G. Roletto, Le cognizioni geografiche di Leandro Alberti, in Bollettino della Reale Società geografica italiana, Abele L. Redigonda,Dizionario biografico degli italiani,  1, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Descrittione di tutta Italia in Il Genio Vagante, Bergamo, Leading Edizioni,  Massimo Donattini , Il territorio emiliano e romagnolo nella descrittione di Leandro Alberti, Bergamo, Leading Edizioni, Michele Orlando, La Puglia nell'odeporica domenicana di fra Leandro Alberti, in Rivista di Studi italiani, ora al sito rivistadistudiitaliani La Puglia, introduzione e note al testo dalla Descrittione di tutta Italia, Michele Orlando, UNI Service, Trento, Liber Liber. Opere di Leandro Alberti, su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Leandro Alberti, Leandro Alberti, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Descrittione di tutta l'Italia su culturitalia.uibk. ac.at. LA STREGA; OSSIA, DELLE ILLVSIONI DEL DEMONIO. Dialogo composto dall’illustre e molto dotco Prencipe Segnore Giovanfrancesco Pico della Miradola, segnore e conte della Concordia, volgarizzato dal Ven. P. F. Leandro dell’Alberti, Bolognese, dell’ordine de predicatori. LE PERSONE PARLANO. APISTIO -- FRONIMO -- DICASTO -- STREGA . APISTIO. FRONIMO. Dimmi do juevacola cosi infreta caminando per la piazza ove vendon sil herbe tanta moltitudine di popolo. FRONIMO. No loro, ma andiamo anche noi un puoco, accio intedia mola cagione di tanto concorso, conciolia che puoco di no potra esserela perduta di puochi passi. APISTIO. Noi   in ver un luogo. FRONIMO. Di quale augello ragioni tu en. APISTIO. Della strega. FRONIMO. Tu giuog h i he Apistio. APISTIO. Pensa purche quello ho detto I ho detto no per givo con e periscrizzo, ma da dovero  Conciosia che debbia esser molto aggrado a ciascun huomo, ma maggiormete alli gentili e curiosispiriti, di conoscerequello, loqualeno hamaicon osciutolaantiquita. FRONIMO. Dunque tuteaffas tichi diuuolerintendere quello chenon ha inteseuerunos APISTIO. Dunque il timitacheiovogliammi persuadere diconoscerequello che non mai hanno volute conseffarede haue r e intero li huom n i gradi e molto litterati, e pur se l’ha a veranno inteso non appareinuer un luogo. FRONIM. Chi co far. APISTIO. L.oaugello Strega. Béchegiahabbia lettot CollaliinfamelanotturnaStrega.E coficonfeffadino sapere, di qualeger nerationedeucceglistalastregha. FRONIMO. Affaimi meraueglio chefendo tu molto dotto nelli Poeti, ficomea mepare cunonhai lettocomeeraconsuetudinenellitem pianti chi di esserscacciatofuoridelleporte & uscileftreghe cosa che seraanoi aggradeuole, perche sepuotra comput: tare in uecediuiuandenel pranso,quandoritornaremo. E forsi anchora ser amolto piu utile cosa chenon sapiamo, intendendo qualche nuouo secreto. Conciolia che am e pa te,etragioneuolmére istimo,fiapresa una Strega etiuieffer douecorre peruederla tantamoltitudinedipopolo.mesco T a t o c o n li fanciulli. APISTIO. Habitano in questi luoghi le streghe? O cercamente non mi serebbe grave di caminare diecemiglia, peruederle. FRONIMO. Hor su, sea dunque non m a i uedeftiueruna, forfihora fara satisfacco alla tua cu. riosauoglia. APISTO. sepur accadesse cheiopoteffi ci trovare coteftoaugellodam e contantodesiderio cerco,eno giamai citrouato Meftitia augurio infaufto edanno efpresso Peggio chel bubo annontia porge, etlega. Anchorpurhouedutonellantichemaledittionifusknomi nalalaStrega.Machecofasiaquella ediqual naturanon ficouiene.EtiftimaPliniochesiaunafauola,quello cheers scritto deltelitreghecioe che asciuccaueno collelabbra le p o p e delli fanciulli   Da uiciaticorpiaforzaegreffo. Er egliecoteftoluto offeruato pinsino dalli Heroici tempi.' Quellecosemimoueno che sono venuti nellithalamieca. mere delli Proci, o siano delli lascivi e molto libidino f i buo, m e n i cosidicendo Ouidio . Procàildimostraqualesiaqueftoangue Chere-laceratoda questoanimale, Aforbeilsanguelaftregainfelice, Delle Streghe gia preda fortelangue, Puoco iluagitofanciullefcouale, Et chi ederspello agiuto allanodrice. bb ii conuna uergadispinobianco,ecome hannoqueda natu. ra,chesonobråminosiucceglicon ilcapo grandeliocchi fermi,ilbeccotoruo,epartedellepennecanute.colunghie rampinate,eperciocolisuolenoefferechiamatepercheha n o confuetudine di Atridere nella spauenteuole norte. Hor tu uediilnomela cagione diello,lanaturadiquella &ancho talafigura comeegliestaraifcrittadalliantichi. APISTIO. Ben intendo quelloturaccolima forsi sonodidiuersemanie re e generationi cotefte ftreghe,edi differente natura,c o n cioliachefedice,comenon fuccianocollelabralepopedi fanciullini, ma ch beueno ilsangue.Ilpche cofidiffe Ovidio Di notte ai fanciulliniuola spesso Empiendo il petto dellionoffiosangue Siprefto conlalinguainfatiabile, Chelsoccorso opportuno effernon lice: N o paionoatecoteftiofficiifrafedellestreghe,tanto diuer Se nontidimoftranouaria& anchorcontrarianaturaecó ditioner Erano ragioneuolmente da efferiftimatiquelliaus gel li misericordiofi, liquali faceuano Ifficiodellanudrice, ma quefti sonodaesserreputatigrandemêtenoceuoliema kegni dalli quali sono occisi li fanciullini havendoli bevuto il sangue.FRONIMO. Iotediro'ilueroaniipaionopiupre ftociascunadiquestecosefauolė,che altro.Mapurseuisiri trouaqualchecosadiueronellafauola iopenso chenosias nonatiquelliaugelline anchor che se ritrouano nell’inerf. Chalquinto giorno depuo fuo natale Perche quelli fallititolieuerfifiguranola uecchianelliuc.. celli.Mabenpensofuflifattoquesto conloagiutodelliDe. moniiiniquiemalederti cio echeliancidentiaugellihora appareuono in una forma della nodrice ethora dellainlidia triceE. questomaggiorméte am e lofa credere percheildi monio insegno il gioueuolerimedio contro delleincantas tioniemaleficii,perliqualieranoligatelementi delli huo . mincio n inganni,econ bugie,dicédofeefferGiano,uuole uachetreuoltetoccaffilioconlarburafrödaleporteetuscii cioeconlafrondadeunoalberosimilealcitrono &treuol tesegnandocon dettafronda le pietre chesono sottolain trata delluscio, bago ando la intrata con l’acq ua , e com i m a d a gaanchorsefaceslino dell’altre cose che non erano sagre, ma anzi a b omine uoli sacrileg i i e p o rtéri, Bé che anchor de quelle confedica. Se poil infanti per la nocte oscura Vesla ecilsangue elucca con l’esperti  Labrila Strega,etintalmodo leindura. Cosine tempinoftrihannoconsuetudinedifare le streghe, quando se narra che sono portare al giuoco di Diana. Guaftas no nellecune lifanciullininuouamente natiche piangono, dipoiincontinentiledanoligioueuolirimedi.Liquali, co m e ainepare,fonoinloroarbitrioepoßianzadi doucrlida re. Imperhomeritamenteegliederiuatoquestonome.Ca ciofia che queste crudeli e bestiali femine lequali cometter no tanta scelerita,anchorda noi cosicome dalliantichi có. uenientemente sono chiainate streghe. APISTIO. Hammi parccute inganni Fronimo pariméte inlieme con moltialtri,cte dendo efferuero,quello chescioccamentediceiluolgo,cio eche fononoloche feminuzze,lequaliuolanonellamezza notte alliconuiti, et alli delette uoli piaceri carnali delle L e muriofianodellispiritidellaoscuranottee che coteftefer minuzze guastinocon incantilifanciulli.FRON .Meglio potreste parlare Apiftio.Conciosia che non mai fe debbe di re checoloroerrano,liqualiapertamenteracontano quello che hanno con locchio dellaragionechiaro e manifeftono puochihuomeniben docci, & amaeftraticólacõținuaprati 1 caet .   sa etanchorfonoomatidebuonicoftumieuertuti. APISTIO. Io ti prometto cheno'e-maiftatopossibiledieffermiper fuafo queftoche tu di percoralm o d o che lhabbia creduto. FRON.Per qleragione,no teha poffuropsuadeiuecuno A PIST. Per que f t ca , i n e che pare una cosa da ridere, come fiapoffibicleh e fattoun cerchio et unto il corpo conno fo che unguento,in un'certo m o d o erdettepoicecceparole coun no fochemormorio fecógiúganodettefemenuzze incontinéte colli demonii infernali e che caualcanodinot. te souradiunolegnodettoGramitaconilqualesifuolecal fecrareillino,elacanoua oyerosaliscanosouradiunacaura o diuno beccoo diunomoncone,esiano portateper aria, eche trapallino li Spatji delli'uenti e ricrouanfe alli cantie ballidi Diana,ediHerodiade, E cheiui giocano,mangio no beueno,epiglianolasciui piaceri- Puruoglioanchorago giungere un altra cosa cioechenonseaccozzanonelparla. re,ficomeho inteso conciofiache alcune dicono efferpors tate moltoinalcoperaria, eraltrediconoappo diterraalcu ne confeffanodiandaruifolamente con la imaginatione e noncon ilcorpo,epoifermarsisouradellagodi Benacoo Hadi Garda, nellialtiffimimonti, vero e chemolto m i m e raueglio chenondicanodiefferefermatefouradellacima delmõte Micalainsiemecon Thalete overo sula cima del Mimante siano poste a caminare con Anaslagora, Ilquale c -u n n o n t e n o n guar i d i s c o s t o d a Colophon e da continue neui affediato, dacuife conoscelatempeftadebbe venire. Altrecacótano de esser portate allo albero di Benevento det tolanuce,rebême arricordo.Ma qualee la cagionenosi fermano piu presto nelterritoriodi Arpino piu vicino (fico/ me io penso) alla nostra regione coueroportate alla Quer zadi Mario,etanchorfeno leparefaticadiandarepiudiß costo perchenon sono portate per infino nella Cheronea alla Querza di Alessandro Dicesianchorache hannoamo rosipiacerecolli demonii che non sono congiunti colli corpirei on oerro. Ma dimmi un puoco Apistio, che toccame ci possono esser cotefti? Chepiacerisouerinche modo poffo no haueceamorosisolazziconqueftauana, efintaimagine, efeminedicarne. Ho letto come le larve oʻsianolenuo's ceuoliombre dellanorię e dellinferno pigliano piaceri colli' morti etche combatteno con effi, e no con liuiui. FRONIMO. Dimmi Apistio, seiosciorco tutteletue ragioni, fico me spero consentirai. APISTIO. Io ti prometto di cosenti re. FRONIMO. Egli e certamente cosa da huomo ragioneuole, e di sano intelletto, dilaffarsi muouere 'e guidare dalle ragio ni effcnipij,etdalleauthoritatidelli antichi,lequaligia sono con cómun sentimento confermate,edipoi quiuifermarsi ma moltomaggiornéte-eropera di coluicheedigradeinna gegno,echeha lógo temporiuoltolilibridellidoctihuome ni. Donqueseiocolletueragioniticonduceroa cosentirea quello decuihoratenemenibeffe,chefaraipoi? APIST. Che faro: Vimetterolemani. FRON .Pensocheancho , sauiinetteraiipiedi. APISTIO. Ma nongianelliceppi. FRONIMO. Deh non hogiamaicercaměte pensato co testo. Vero-e. chebengrandemece desiderocuintédique. fto,accione uenghinellamia oppenione, collipiedi, e cole mani, ficomedire sisuole. APISTIO.lononfifiutoquello chesperi, e desideri,sefaraiquelloche tudietprometti. FRON. A me pare perilragionarehauemofattocaminan do,chetuseimoltodottonellipoetidelliGentili,etanchora affai siaornato dePhilofophia. APISTIO.Il mio Fronimo diquestohoranomiuogliodareiluanto cioeche beninte dali Poeti et fia dotto nelli parlari. C o n c i o f i a c h e e g l i e m o l tomaggiorelacognitioneadouereintéderequelliper co ialmodo chesouerchia le forze decoluiloqualearrogáte? mente alcunauoltaselauoglia attribuire, hauendopuoco ftudiatoinesli, ethauédolipuocapratica. Ilpercheegliegra demente necessarioa coluiauoleintendereefli poeti e philosophi, diconoscereetintenderenon triuialmenree grossa, mente la l i n g u a greca e latina. Et anchore gli e bisogno d i hauere ben intese lifecreti,esentimenti extratti fuori delle crerario della philosophia. Delliqualisonoornatiebenue ftitili poeti emaggiormente Homero. De cui,ho udito che fuillustratoetaddobbatocon grandiCómétariidaAristo. tileetanchora dallialtriPhilofophidelladottaschuola. Anchor   c h o r h o i n t e s o c h e s e sforzo il Plutarcho con uno molto grande libro di attribuire ogni scientia, ogni arte, e finalmente ognicosadiuinaethumana,aquellociecoHomero.Ilperá cheionegoeffereinme quellacognitione perfetta,sicome tudi,m a no nego pechoesfermiessercitatoalcuna'uolta per piaceredellanimomio inleggere quelli,licomeiocercaffi lacognitionedellelingue econquasileggermētebeuendo qualchi amaeftramétigioueuoliallicostumi,etanchora ac c i o n o n fufli riputato ignorante, fra li amici e compagni , o c curendola occafione.Cosi senóho beutalargamétela philosophia, de cui se dice che -e nascosta in detti author i a l m a c o (l i come di r e si suole). I h o t o c c a t a e gustat a con l a l o m i t a dellelabra. FRONIMO. Io credochetusiaconduttonon dalla arrogantia ne anchor dalla fimulatione,m a solamen tedallauerita.Laqualeuertu ecollocatadaAriftotelenel m e z z o fra ğiti uitii.Imphoche dimostri di n ó effer ignorare ne anchortutiuátidisapereognicosa. Ecosiquellecosehaj dettodellanotitia ecognitióedellipoeti nó fon discoftodal lauerita. CóciosiachePlatoneetAristorelesonopieniditer ftimoniidiHomero,diHefiodo di Simonide, Pindaro,E u ripide,edellialtriPoeti.Ilpercheiodubbiro affaichetu lia molto dottonella philosophia decui pare non molto inte diedimoftridinonsapere.E cosiho istimationeche dis mostrarai molte cose chesonodategiamolto tempo con gregateinfiemenelfinedenoftriragionamenti,lequalidi. mostrihoradino sapere. APISTIO. Io te diro, come sono alcune cose che qualche uolraci sonofuto donare dalla natura leaza uer uno studio o fiano uertuti, ouero altre cose,fi come prencipiidelleuertude. FRONIMO. Non per que, Atosonomacatodallamia oppenionem a anzi hai tu posto inme maggiore dubitatione con corefta tua risposta.APII STIO. Chehaicudetcos 'FRONIMO.Iohodetto,e dir Co cbe ragionocon uno Philosopho.Vero eiche meglio allhoramicauaro questafantafia,pigliando prencipio imi perho da quiui,cioe se uuoi promettere di responde -- re a quellecose,dellęqualiho desideriode interrogarti, perlequalihauemo comenciatodiparlare. ĄPISTIO.Io  DELLE STREGHE 8   to matrimonio  prometto de responderti liberamente. Horlu addimanda. FRONIMO. Dimm i il mio Apistio, hai tu giamai letto in Omero che anda li e V l y f f e alli Cime r i i s. APISTIO. Si. Et anchora ho letto in chemodo andodaquella gére chefa ua nellaariacaliginofa.cioe che erasenzauiada poceruien trareiraggidelsole.FRON .Dimmeseltepiace,checol lafeces. APIST. Hoaffaicole.FRON .Nó leggiamoquel leparolediessoingreco,lequalihoraledicoinnoftrouolga' re cosi.lo fu quello che cauai fuora allhora allhora ilcoltello dellacosciasecominciaidicauareconilscarpellounafofla, allamisuradiun gomito,indiequindiincerchioetancho rainfundeililibamini,cioelifacrificii,colleumbresAPIS. Tu hai molto egreggianiétedechiarato il sentimento,eno manco ageuolmente isposteleparole. FRONIMO. Credo habe bilettono una uoltam a louéte ligiuochidiDiana,eliballi collecompagne Nymphe.APIST.Eglieuero,etu non re inganniapunto.FRON .Anchoriopensochetuhabbiri, uoltoquelli libri douesonoscrittiliamorosi ragionamenti, erlafciuisembiatide Anchiseconlaimpudica Venere eco 1 ·me fufferogeneratimolti Baroninellitempiantichidicote Atifallacietingánatori Dei. APIST.Etanchoraquestosper seuolueholetto. FRONIMO. Tu debbisapercome queftimal uagi Dimonii ingannaueno con merauigliosi huominicheerano deditialleopererufticaliepastoralisico me eracommunamente lauitadi quelliliqualifurono rie trouati nelli tempi Heroici.CosianchoraingannoilD e m o nioPeleo pastorepadrede Anchise,conciolia che effo fico me diffecoluilaffolagreggedelli porcielarmentonógus cidiscosto dallemura inuna ombrosa ualle forto laimagin ne dellaThetide dea marina.cosiiftimatadalle genti.Et ac ciomancoseaccorgessedelfrodo glifuin SEGNATO dauno altro frodulento demonio uno delli Capitanii Grecichiama to Proteo con il qualepigliarebbe There madre de Achille la qualedimostrauafiincentofigure.Ma benuedieconfi dera uno altrofrodo,con loquale grandemente inganno, cioeche non dimost.raua di uuolere commettere iltupro, n e anche lo a d u t l e r ' o , ma fi n s e d i u g o l e r e contra h e r e i l l e c i. di quelli  to matrimonio, Loquale con suoiuersiegreggiamere carito Hesiodo, ficomeseuedenellescritturede Greci.Ilpchepra babilméte dicemoeffer da quiui deducto ,cioedallo effem . pio diHefiodo,loEpithalamiodi Catullo.Ilche anchorr dimoftrailtenoredelverso,chiaramétedemostradoquella ancica facilitaetquestodechiarailcontinuo e sollecito ftu diodi CatulloiseguitareliGreci,pcotalmodo che ispreffe leintegreElegiediCallimacho,alcunauoltarendedoilsen timentoetaltreuolteisprimendoleparole.Anchora inganno per co t a l via il demonio facilmente Paride, focto figura di quelle ore Dec. Il quale fi come scriffe Colutho Thebano nellibrodellapresadi Helena, nosolamentepafceualeper corelle del suo padre, ma anchorli Tori, eptal modo feue ftiuadelleueftimente che pareuàun rozzopaftore etigno fantebifolco. Le quali cose, ampiamente con sue scritture quellolerecita. In questo modo fece inuisibile il Demonio quello Lidio paftore regale,con lainuersapaladelloanel lo.cioeconquellapartegiacesottolagemma,epretiofapic tra,ma ciuolta,conlaquale Atupro ecomesseilpeccatocon la Řeina.Il perche pigliauono li Demonii uariee diuerfe fi gure alcunauoltadelle Dee,che erano uolgate,altreuokic leformaucnoineffigiadelleterrestre Nymphe efouerere presentauenolefiguredelle Dee marine.Epercheeracredu c o c h e s e nascondessino, con il suo ingegno sotto le unde del e tacqua accio puotessino effer ucdure etpiu fortemente abr bruggiare licuoridellimiserie ciechj huomeni, ftauanoa p po delliprofondiluoghi dellacqua doue dicontinuoper driuoltarediquellacuisiritroualacandidafpumaet iuipa teuafussero appodellenodrici,doue eranonudrigateda güellet Anchora appareuanocolleimaginifintedi nuvoli, fi c o m e fauolefcaméte raccontano appareffe Giunone ad Tinone, De cuifingononascelliilsuppositi Coéraur . Cofifin gono d i c o s t cu i i o c c ħ I f f i o n e p pieta di Giove fu f f i trasferito ne cieli, e fussi fatto secretariodiqllo,etpõstoufficio hauefli ardireditécareGiunonedelftupro la qualela mentadosicon Giove uimando ad Ilione una nuuolaafimilitudinedi Giu donc. cn la qualegiacedoIrionc,ecredendosi dipigliare co amorosi piaceri con Giunione, ne ebbe li centauri. A l e r i demonii apparecchiaueno prestigiicioefalsedemoftrationi, illusionie incantarioni,collequaliiogannauenolegenci, popoli, etinescaueriocondoppiafrodeilcozzouolgo,ecan choralidorcihuomeni.Ecosinonlaflauauerunocoloreet imagine della diuinita (la quale con diuerse menzogne e bugie sifforciava di usurparlaetafeattribuirla) conlaquas le'noncostringeffeilcozzoetignorantesecolo,afarsiadora re,etanchoraleciïauaconlalasciuia.Cóciosiacheeglie.cee to che anchora eglivergognasse Diana,laquale fugeuadi amare lauerginita accioforfitirassiasesllihaueanoiodio la fozza libidine. I dl e c u i gioco, havemo scoperto in di forccio del demonio. EcosisottoilnomedellaLuna(laquale senza uetun dubbio chiamauefli Diana )raccótaueno fuffi fuergognata da Endimione,eda Hippolyto licome dimot AtraFirmiano,fotto il nome di Diana ilqualepensava pers r e n e s e a quel luogo. E il nome di Virb i o c i o e di tre volte huomo elaleggemolto diligétemente cercata,doue fedo ueffe ponere,elemani medicheuolidiEsculapiocheporr Sino agiuto alle piaghe debbost credere fuffero tutte queke lecose fauole etillusionidelliDemonii,epurfeuifuffe qual che cosache pareffeinuero fuffiftara iltuttofedebbe pene Sareesserefattoperartemagica delDemonio.Vero-e-che Efculapioalfinefupoipremiatoconlamercede epremia delliincantadoriche/elamiserabilemorte. Concioliache eglienarrato da tuttiliantichiauthori,qualmente fuoce cisodalfulguro,benchefianouarieoppenioniperqualecat. gione,e per quale sacrilegio, fufficosi crudelmente Occio. I APIST . Dice Vergilio che cosifufliocciso, percherefufciso Hippolyco dalla morte.Nonfajcu cheduolendoHippolyco fugire dauanti da Theseo suopadre infuriaro loquale cerca uadeucciderlosendelifalsameceaccusatodallamadregna Phedraetsendofalitosouradellacarretta e(pauêtatilicat ualliperlimoftrimarini,f icomenarra Seneca, cadėdofuoci delcarroploimpito,etracciatoemorto,sendoitoneline ferno fu resuscitato,efanato da Esculapio Veroie-chedice Plinioche cosifuflipercoffodalfulgureEfculapioe r cagio nediCastoreedipolucefigliuolidiTjidareRe di Oebalia   quello che scrive Tertulliano, cioechefur & arfo dal cielo Esculapio, perche biasimeuolmente hauea effercitatolamedicina.E cosiritrouiamomolto maggior us dietanellanarrationedicotefta cosa chenellamorte diR o molo.Maegliebenvero checiascunodiloro,e-ftatoreferi, 20c computato fra gli Dei,benche coftui fuffe uno ladrone, e quellaltroun mago erincantatore.Vero -e-chemoltopiu mimaraueglio digildo, e cuihorauoglioraccotare,cioe che nó ben péfaflılifattisuoiquelgradehuomo,ilğleerasoftēta toetenatocórâreifperedaun certogrăprencipene giorni d e noftri agoli che le ubrigaua di far. FRONIMO . I n altrom o d o scriffero Panaiaso,Poliantho, Phylaccho,eThelefarcho Anchoraltcidicono p altrecagio nifuffeoccifodalceleftialefulgure Esculapio. APISTIO. Deh no ti siag r a u e d i r a mentare il cutto, i m p e r h o felti piace e tu ti ricordi. FRON . Io son côtéro.Furono alcuni,liqualilcriffe tochecofifpauêteuolmétefuffeucciso percheresuscitoTyn daro eno lifigliuoli,Vero:e-cheStaphylodiceno fuflire fufcitaroueruno da Esculapiom a ben -e-uerochefusanato Hippolypo chefugiuada Troezeneecofipquacaufa, fufli percoffo emorto dalfulgure. Ma Polyanthoscriue che cosi fuffiuccisopchelibero lifigliolidi Pretodallasciochezza. E puo le Philarcho esser li cio iter venuto p che a g i u r o li figlio bdi Phineo. Ma fraquelli cħ háno voluto refufcitaffeimorci alcunidilorodicono cheresuscitomoltidiquelliche furo noucefinella battaglia e guerra di Troia. Et altri scriveno che resuscitaffede qlli chemancarono nella guerra de Tebani. Egliebenuerochenó cimanca Telefarcho, che dice come fusse in tal modo percoflo ,perche se fforzaua di riuo careallauita Orione nolorefuscito imperho.Anchoreglie moltomanifefto uedere la guerra etan chor la battagliade Ilio, e di Troia, e tuttilimodi delcome batrer ioisefece.E cosi designado ilcerchio ,accio demostra Bidouiandarono,ecobarteronoThelamone e Peleo figlioli di Eaco.c doue Olyffe,collialtri Troiani,fu portato dal De: monio ,egiapiunó cóparfe inuerun luogo.APIST .Turac contimarauigliose cose.FRON .Sono certaméte marauia gliose etanchor vere. Dipoiquelloprenicemádo indiuerfi: CC  cuaniluoghie paeli, etanchora'per infino nellaGermania etanchoradiroequefto etdouenonmandoépercercare guelhuomo:Horlendopericolatocostui,uêneincoteftono Aroeccellete Caftello uno dellsiuoi discepoli,chelaffoliues ftigiidelle sue malgradeuoli e diabolice opere perinfinoallo noftrigiorni.Concioliachedesignaualaimaginediquella chehaueafattoilfurto,etdimostrauelaa colui,a cuierano Aatorobbarelesuerobbe,nellaincheftaradiacqua,osianel kaamola,cocertifacrilegii.e fuperftitioni,etiujlefaceuauc dere la figura iueftimenti con tuttiim o di erano fucoserua. tiinrobbarequellacosa.Joconobbiunodaluimanifeftato, ilqualehauearobbatoleámolette ciocalcuniremediicon troliueneficii,econtrodealorimali etoccultamere Shauca portatoa casa,efecretamenteferratinelcophinonon lofa pendoueranapersona.Emi ricordodel tempo pelquale la fciodettesoperftitionierinego lartemagicaS. e caminaffis mo insiemediecegiorni,pareamenonsarebbonobafteuo bidaisprimeree ramentare quellecose,lequaliho osferuar to enotato dellemanifefteinfidic del Demonioneanchor ferebbonosufficientidipuorerenarrarelimodi,cheofferus elloperingannarelhuomo.Ilperchemericamenteie chiar mato Saranaffo.Conciofia che sempre fu,e,et fara nemica dellhumanageneratione,cosiincuttelealtre cose,come in quefta, decuihoggi hauemo determinate di ragionare Quanto al modo che dimostra dipigliarecarnalipiaceriio le dico che quello lo vuole negare (si com e contrario a t a n u vidottiefauiihuomeni Jiquaidiconobauerloconosciutoda quellichelhanno isprimentato,etanimosamente teftifica no dihauerloudito)e-riputatoftoltoepazzodafanto.Ago itino il qualescrise con ieftimoniidi coinufa a m a nel quintodecimo libro della CittadiDio,qualméresonostatoritro. HatifouentedelliSelaaniepergersiFauni faftidiofialledon De,chiamatidaluolgoIncucbbiioe chesefforcianodico metterelafozzalibidineinfiemecolledonne etchesonori trouatidiquellichehannohauutoilsuodesiderio,pigliado. ne amorosi piaceri con effe. Et anchor diceche sono alcuni alori demonii chiamati da Galli Dusiili quali di continuoco grande importunita tentano le donne per avere l a f c i u i p i š  ceri, efouêtenedcuenenoalcocento dellilorobrimatid e fiderij, ecotetidanoifonoderij Folleti. APISTIO. Ti priegoo, feguitapur olera, FRONIMO . Horquantopettenne aluiaggiofannoper aria credocheanchor habbia udito (cc c e t o se tu non l’hauer a j letro) come ne vemn e Ab b a r e n e l l a Italiafouradiunavolátefaecada Pythagora, perinlinodal lo HyperboreoTempiodiPhebo.APIST.Ne ancheque fto-e dame narcofto cóciosiachelhoritrovatoscrittodaun certo Philosopho Platonico. FRON. Se bentutiramenta taiqueftecole, facilmerecrederaile altri.Ilperchetu debbi Sapere qualmente comenciaffe cutiaquella Necyomátia di Olyffe,dalcerchio,cioequellaartedidiuinaremediãtelicor pi morti.E cosifacilmentepuo conoscerenon efferecosa nuouaqueftifigmenticfittionidifarelicerchi,m a anzifos no antichipreftigii,cfalse delusionilequalianchora hanno cercato di seguitare li Poeti Latini. Cóciosiachesefinga Scipion c c avare con il ferro la cavata terra altre ,etutte qucile cose che seguitano,adeffempiodiOlyffe.Quanto alliragio namenticolleombreo sianocollispiritiiotedico chesono molto piuantichi che fufferoritrouatida Homero .Ilchef a cilmente quelli ilpoffon sapere, liqualiconoscono fufferorj trouatiliuersidiOrpheop queftacagione,econosconoco m e Omero ha seguita qt ou e l l o non solamente in nominare Tyresia ma anchora ha imparato essi nomi congranfole lecitudine econnon menore offeruatione.Ilpercheferiue GiustinoMartyre,come furon composti escrigriliprimiuer fidella Iliade ad esempio delli primi uersi di Orpheo , liqua Jiera noi ntitulaci di Cerere. E coliconuarü riti, costumiciof feruationiogniuno desiderayaecercauadihauer compagnia familiarita e ragionamenticollimorti,per cotalmodo,che dipojera detto come quelli scende vanto giu nellinferno . che narrafi interaenefiaPythagora,poilògotempo dopo Orpheo etHomero ,edicesicome uedessejuinelloinferno JanimadiHefiodo,ediHomero,cheeran tormentateper quellecosehaueanoscrittodelliDei.E pqueftofediceche fu grădemete honoratoe reueritodalli Croroniati, etancho sa molto piuperche racconto dihauere ueduto efferui gran 1    demente cruciati, e martoriati quelli,che refiutaueno di pigliare amorosi piacericolle sue dolcimogliere. Ma quanto atrapassare per ilfpatio dellaria,ionon fo in che cosa dubiti, ouero p e c c h e t u li maravegli. Con c i o l i a c h e a m e parc non importa,febene misuri lepenne delliuenti con una laeta o con uno scanno ,ouero con una caura. Non fe dice in qual m o d o fuffi portato Pythagora, o Empedocle, neinluunocarrodaduerote,oda quatro,o dauno alatoPegaflo oda Dragoni,oda Olori,accio seguicaffeVes nere,Medea ouerofulficondottoconduiserpentisottoil giouo comecòduceuano Circe,ocollilioniamodo diCya bele,o.colliLynciadessempiodiBaccho,ouerofuflitcapor tato in altosouraEuropeelaterra Asidafecondo lacoluetų dinedi Triptolemeo,acciochequellofusliportato lauorato redelle fructa, e questo coltore della philofophia, m a inueco furono amenduoiingannati da Pallade cioe dalla astutia e melitia del demonio. APIST. E cio mi ricordo d’avere udito narrare feno me inganno, di Simonemago, ilqualeebbe are diméto diuuolereandareperaria imperhoinsuamalhora. Conciofiache desidetandodi vuolersaliresouralaria.c fina gēdodiuuolereascederenellaltocielo,ecosisendogiapore catomolto inalto dalliDemonii,percomandamétodiSan toPietroapoftolfou laffato uenireconrátaftetagiu interra d a dettimalegni fpiriti,chrópedofi tutte loffa,fu Ioétedella, uita.FRON.Ě forlianchehai udito dinon so che Ethiopili quali haueanoinusanzadiimporeilfrenoe labrigliaalla Dragoni, edipoiseggédosouradellaloro fchinaueneuano inEuropa.Cosisediceeffernarratoda Ruggeri Bacchone. Ma purcrcdaquellouipareilprudente edotrolettoredi questa cosa accio tu no pens voglia ramétare liuoli di Dedalo , liquali se n o s o n o s e m p l i c e menzogne, sono al m a c ocre duticomefrodiet inganni del demonio eta nchorajotaci in che modo sparue Apollonio Tyaneo, dalla presentia di Domitiano Cesare. Oltro dicio fetu confeffi fuffero appo, delli antichi lispiritiincubi e succubi,cioe che si d i m o f t r a p e n o i n f o r m a e FIGURA DI MASCHI e di femine donand o amor tofielafciuipiaceriimodo diciascuno feflo allimiseri mor   Y tali    c o n certiunguéti, accio appareffe a led vero alli altri che fufferotraffigurate e c o n uerfeinunaaltrafiguradiffimiledallaprima.Ebenche,co teftohuomo dotto,fingeffediessere trafinutato,non perho dicefufficóuersoinuno uccello benchehaueffeufato quel® lamędememedicina. Ma bugiardamente narrafufftramu tatoi uno asino. Anchor dicecheebbe gran cordoglioquel Ja femina, dubitandoperloerrorehauea fattoinpiglia: relabuffolettache fufficangiatoLuciano inunoAlino.Il perche dimoftroe non effereuarialaeffentiadella cosa,m a lilaimagine.Etelloconquestochiaramente ilconfermo, econfettoche fendodiuenuto Asino, hauearetenutolame te,elintellettodi Lucio. Etanchotanó edaistimarechegli ueneffeinfantasiatalesopinio cioeditrasmurare la forma f e l non fuffi f u r a c h i a r a fama come c o t e s t e cose erano molto inufanzaappodiquelledonnedi Theffalia,ecome elle molio fe delectaueno letefsercitauenoineffe.Non lo con fermoanchora quefto, quello Platonico Apulegio, chepoi boseguito:fingendo diessereprimaitoin Theffaliaauanti  tali perquale cagione non uoi credere chesiano anchora fimilifpiricipenoftritempiscóciosiachecotestosecôferma có tálietátiteftimoniicliqualiioglicamétaro,feltipiaceras Quanto allunguento,iocredolosappi,perchediffusamen tenehascrittoil Syro Luciano el africano Apulegio, uno in greco e l’altro in latino, Eco si se ha queste cose i scritte da l u i. Dunque cheuuoledirecofiquellocophinetto,e quelletan te buffelette equellooliodiquelladoma puoca istima nella sua CONVERSAZIONE. Di poi esfo m e d e m e authoreledichiara dicendo.Incontanentefuunta delluny guento,fufattaageuole dauolare.Edipoifoggionge. Dop po puoco spario di tempo non douento altro cheuno cor, u o da norte.E cosi pareua aquelli,liquali guardaueno,00€ tofingeuano diguardare fuflidiuenutouncoruodinotte. Io non mai crederei, che ver uno se potesse t r a f f o r m a c e d i una specie dicreatura in una altra osiaper uirtu de alcuno unguento overo per incanto magico. No dimenoy voleuano quelle sreghe effecuedute ungersi decuine fatto fingeffe diefferueftito diuna nuoua forma sendo priuo del laprimarSedricamenteioreferiscoleparolediquello cosi diče.pigliaanchoraunpuocopiudellunguentoefatte& c. Et assai alcrecosescrissenelle quali parecotuttiimodiquafi habbia uoluto seguitare ilSamosateno. Cóciosia cheha fato tomentionedello Thebalicomormorio dellolio trasforma uadiunaformanellalera edelliremediidellecosecontrodi quegli incatiliqualifaceuanoritornare lhuomo alla prima figura. APIST.Perqualcagionecreditusiafattomentione diquellemedicinedicose lequalieranoinagiucorio,econ. traquelliincanti,efrodimagicedFRON . Segliepurcosa uera egioueuolein queste medicine,penso siapreso d’Arisotele. Nelle operedecuiholettcohe e ripostofralemera uigliosecosecomee cosuetudinechemuoionofacilmeteli Aliniperloodoredelle rose.IlchesapendoLucianoeLucio finseno di mancare dallaformadellalino,de cuiprimaha? ueano fintiessernefigurati.Oueroforse egliequiui nascosta unalcracofa magica. Eglieda saperecome gia grandemente eran o infamate le donne di Thessalia e di Thressa, che fa ceflino delliueneficii e dell’incanti, et anchora era detto che fussi condutta la luna e m e nata secondo le piace u a colli u e r sida quelle, e chiamatelefiffeftelledelcieloilche anchora cracoftume delli Sabini ficomescriuc Oratio , etokro di cio diceuasifuffero inspirate da Baccho eteranochiamateMis mallonecioeseguacidiBacchoporradolecornasicomefa ceua ello,etanchoraeranodecreAdonidee furiauanocollo complicate ferpefrali Thyrliconillusioni magice, etincáti, prestigii Et erano tenute in tanto honore e veneratione che uuolsiintrare nella compagnia di quelle la Reina Olympia madre delgrade Alessandro.loistimo forseche quelle cose paionobugie Quotrebbenohauerpresoprencipiodaquale che fimilitudinee colore deluero.Pare anchor cosa piu pro babileche haueffono qualcheaccrescimentodadertiprodi güemerauiglioseopere de demonii non senza qualcheue rofondaméto dellauerahistoriacoloratoer adombratoco molteuanitatie fitrionichedallifonniilicomee scrittoda. Synelio ilqualeuugleua haueffonohauutolefauoleantedit  1 tecCOG    m i ricordo il qualesefforzodidimostrarecon grade ingegno inchemo do haueffonolamaggiore partedellefauolefermo fonda mentodallahistoria etanchorafforzofididimoftrarecome dipoi fufferofuco fouente ampiate in maggiore cose effe fauolefondarefouta diefla verita dalla falra fama del cozzo vuolgo.E coscredo iofcriuefleVergilioquelperso. La dotca carta teftese di Palephato .  1 il Sole confinteparoleeconaflạipersuafioni,dauaad inte.. derealledonne di Thessalia, l equalinointēdeuanosimileco. Sfimilifinteopere,ouero dagrande aftutiae faggacita.Ilper che fu uno greco chiamato Palepharo fe beu teecofilialtii,daeflisonnü. Ecertamentenon sarebbe itaa to alcunäcánto brammoso di uolgare e manifeftare quello cose, chefufsero hauute e uedutenefonnii,licome ueduce fuoridel somnio collequalifufferotantotirauefforzatilhuo minidimerauigliarsi. O quátofonoliueneficii,maleficiiec incantationiramércate,iscritte, enátrate coli dalli Greci.co me dalli Latini, Percia da Vergilio e detto di quella antifti tee sacerdotessa della stirpe de Mafsilli, la qualeprometteua disciorelementidellihuomenicolliuerfi,cioedifarlifarefi come lepiaceua, etdifarefermare lacquane fiumi,difareci tornareadietrolipianetiedichiamare,etfareuenireafelc notturnemani cioelispiritidellanotte.Anchoraperquesto senarranolemedicineerincantidiCirce,diMedea diCar nidia,equellealtregenerationidiueleni,lequaliconduco. no lhuomenialpazzescoamore chiamate da Theocrito Si cilianoPhiltre di Simetha ecofida luiscritte,loquale regui, to Marone ne fuoiuersi. Puo efferche douiamo pensare che fianotuttequestecose finte senza uerun fondamentos Ver toechemiramentodhauerlettonelPlutarcho,quellafauo lacon gradeingenoe segacicaritrouaradiAganice diThef falia, laqualenarracome conduceuaasuauoglia laLuna. Ma cosi era la verita, chequella conoscendo la cagione che la Luna horaeraritondahoracornuta, ethorapiuno seue deua, perlainterpositionedellaonibradellaterrafraeflaet facomelecoduceuainquel tempo la Luna interra ficome: lepiaceua. Eco sidiconohaueffero principio lalorifauoleda Veramente eglie molto chiaro qualmenteochelhuomeni eranotramutaticolliincaptieueneficiiindiuerse figure sig c o m e bugiardamente et anchora scioccamente parlaueno alcuniouerocheappareuonocosi. Ilpercheparenonsepose finegare senzaqualcheAtoltitiachealmancoquellinonpa refsonoaleoadaltriefferefimilecofa.Non tiraccordidi quello che tanto chiaramente se dice delle figliuole di Prei t o cioe che impieno con falli m u g i t i e voci di animali li c a m pifet hauer havuto paura dello aratro, eta nchora hauer,cer cole cornanellaleggierefronterCofice-narratacorestafas uola;Come furonotre figliuole di Preto, le quali sendogia. Nel fiore della giouentu e conoscendo seefter bellissimeintras.o nel Tempio di Giunone, spreggiarno la Dea Giunone, cipucandosieffer piu belle diquella perilcheadiratala Dea ai miffe tale folia inesse che le pareua fulsero diuenute in formadiuaccheilperche hauendopauradiportaree con ducereloaratro fuggirononelleselue.CosinarraVergilio, con il testimonio di Homero, ma Ovidio dice in altro modo cioechecosi diuennene nel furore e pazzia,che glipareus dieffer douentate uacche nella Isola di Chea, perche haues no consentitoaquelli haueanofurato alcuni animali dellar) mento d’Ercole. Le qualidi poifuronoreduttease, etui suilluminatalafantasiada Melampo, ficomefu Lucio con la rosa,m a dicono alcuni altri che furono fanatee ritornare allaprimafiguradaEsculapio, siacomesi uoglia, cosiegtie narrato uariamente.Vero e-oche intraffinoin fimilifurie pazzie, o fufli per ira opera del demonio, overo pe t qualche corporale infirmita ritrouolantichita a quelle gios ucuolie diuerfici medii. Ma tu debbe faperecome bebbero li Demonii uariie'diuersi modi, eranchoracótinuideingan nareli uomini, in quelli tempi, nelli quali teneuano loim perio quali ditutto il mondo, e non solamente per lifacerdo dietAntiftitidelliTempii,cperlioracolierefpoftededi Ido lictimagini,m a anchora ingannauenoper mezzodeals çunedonniciuole inspiratedalfalsoPichia,et fraudolente Apollinc.E cosipercotcftimcoodinduceuanoglihuomen afare ftupefattiemaraueglioldellelorooperationi et ins.  uiluppauono   YA ma non gia con quello il quale seguito Varrone nelle Satire. Conciosiache quello Litio e-moltopiu anticodicoteftoálcro Menippo. Ben che so che tu intendi quello SIGNIFICA (SEGNA)  Larva pur anche io i uoglio ramentare, per parere disaperlo, etanchora per raj zentarlo lecosihora horanon te occorrefi:Sono Larue mooceuoliombre dello inferno,ouero ispauenteuole scon bodellanoue ele Lamieeranochiamarealcuneimagini efpiripimoltibrammosidelafciuiamorie fozzipiaceri,es mche grandemente desideraueno dimangiarelhumana arneV.edimo chefauoleeranocotefte.PurdimmiApi nonpaionoatecotestecoseche hauemo narrato s o p r a molto similia quelle delliquali longamente dicesi dellemaluagie Streghe dellanoftra etades APISTIO J n neticaame paionoquasisimili.Iiperchehoraoccorrono a me quelle parole dell’antica fauvola cioe Larva Lamia etIn cubicongutellodiersodi Ausonio.  a l a p p a don o quelli nelle precipitanti rouine delle scclerita , defotto colore della sagrata religione.E perciopigliauono Qaric formeediuersefigure.Colisepuouedere e consider rue Protheo figliuolo dell’Oceano appo de quasituttiipoet p.loquale ledemoftro in formadiuariifimulacri efigure, ficomediceVergilioconloteftinioniodiHomero,cioeche fubitosufatrohorrendoporco efuriosa Tigre, squammolo dragone,et una Lioneffa con lafuluante egialda ceruice molte altre coseramentanodilui,che lafloperbrcuita'. mente appareueno quellieccellentiBaroniche furono oce siliad Ilio alVinicore.Coli anche liramenia in che m o d o agparessead ApollonioTlaneouna fantasmaouetoappal tente figuradellaEmpusa,cioediunacerta generationedi Larue o fiaspauenteuoleimagine auuotara a Diana,cheua no,licomesefinge,conunopiedee conuertonseinuariefi gure et alcunauolcaincontinétechesisono rappreferiate fpareno,epiunon feuedeno. Anchora dicesicomehauesse conuerfácioneuna Larua,ofiaLamia,forrocoloredị hono . Kuolematrimonio,conMenippo Cinico dd Dimofte bomio,   Nora e-la stregain cunede fanciulli, con quelladonnescasceleragine. FRONIMO. Hor piuolcre, ramentiamo pur del altre cose, a c c i o f e possa donare egual giudicio e g i u i t o senz pa u n t o di menzogna.Credo chetu fappi,qualmente sonoscrittiiu finitiuersidelliueneficii,et incanci,dellilicquorie beuande delli Pharmachiemedicine,etanchorsonocantate fauole fchedociele Nenie Marsice cioelefauolede Marfi. Matu debbe sapere come sono iscritte e cantar ce o n una certame Laphora e similitudine quelle cose che cosi leleggono ,cioè che lhuomeni,liquali remigaueno gcupisceno colliporci, perledonneche lusinghe e chebruggiasseHercole lendo unto con ilsangue di Nesa eche fufferoinstillasili amori col li veleni di Colcho, cóciofiachechiaramenteseconosceful; secosignificateemanifeftatelesceleratecompagnie epros phanimodidellasozza enefanda libidine,collanridetteor seruationiecanti.Vero-e-cheuoglio tuintenda,come non erano  imperhodetci incantine anchora detre representatio nifofficientidispauentare ueruno,m a folamente pigliauei no, epauentaueno quelliche uuoleuano il perche narra Homero qualmente OliffeasfaltoCirce incantatrice non con ildolcebaso,m a siconlagutocoltello.Jlqualecosi comená fu presodal ciecoamore ,cosianchor nó fu inuiluppato dalli incantamenti: Li quali non nuocenosenza malegna sottilita delli demonii. Leganoquellicheugoleno et acciocheuuoi leno ufano uariearti, e diuersimodi.Pigliano il rozzo volgo con lafozza libidine,ecolli deletreuoli,etlafciuipiacerie giranoasequellichesonodeditiallauita ciuilecollericchez ze,econladouicia epuranchoraltrinecoduconoasuoiuo“ tibenche puochi con lepromiffioni,econ laesca dellaglo ria; ed ellhonori,cioe quelli chese sono dati allistudi della philofophia. Ma quátopertenealliconuitiattédiben. Sedito, come quelli inpartefonoyerietinparteimaginationiet ilusioni,non perhofarodiscoftonedisconueneuole dalli antichi scrittori. ConcioGache ritrouiamoiscrittoda Herodor." todellamenfa del Sole eda Solino essere-istimata quella unacosadiuina.CosiritrouiamonellauitadiApollonio Tia teo  neo , il convito della spora di quello, la quale era riputata una dell’antidette Lamie o delle Larve, o delle Lemire, eLeg. giamoiui,coine'sparbinoliyasipareuanodioro,ediariento cheeranofulamenfa. Etincoralmodo appareuanoiDes monii all’huomeni sottouarieimagini e figure chiamate da PhiloftraroEmpuse eLamie eMormolichie,ofianoLate ue.Gia puocoavantihauemodechiarato checosasianocos teftifpiriti,etombre.Ma quanto alleLamieritroviamoin Esaia dicono.co m e raprefentanouna certa beftialefigura:AlcuniHebreial trimentescriueno,dicendo come seintendeper leLamie alcune ombre e fpiriti furiosi,benche siafattamêtione nelli Treni di Geremia propheca dellem a m m e ouero p o p e della Lamia. Ma altriistimano fia derivato cotefto nome dal lapiaree spaccare etalquantidallaLama cheuuoldirenok sagine,oispauenteuole pronfondita .E dequindicredono sia derivato quel detto di Horatio. Ne traggiil fanciuluiuodepasciuta, Lamia deluentre. AnchornarrafifusserogiaconduttinelspettacolodaProbo Cesare molte Lamie.lu qual m o d o e figurafufli quella che inganno Menippo,non lipuofacilmentecofidaaltroluogo conoscere quanto da Philostrato. Ilqualenarracomefu ingamnatoeffo Cinicoda quellaLamia,quandoellafinger ua dipigliarloper marito, edipigliare amorosi piaceri con quello. Parimente i o i s t i m o fulfi uccellato e s c h e r n i r o Apollonio,  quando erapregarodaquellanonseincrodeliffenelli tormenti. Cofiera ingannato,percheiftimauaefferele Lal miemoltofacileadouereamare Hhuomeni,edipoipensaus che grandemente brammasino dehauere amorofi piaceri coneffi,enonmanicodipoicredeuache mangiassimolecat ni humane. Ma il mio Apistioio techiariscoqualmentenon fonotiratii demonii dalle brammofe voglie d eamorosi pia  propheta il luogo delle Lamie, doue famentione del fcontrodelliDemonii incubicioede quellichefedimostra no allhuomeniinfiguradifemine, ecolidanolafciuipiace riallimaschi eriftimano coftoroche siano leLamie dihur mana effigia dal mezzoin fue dal mezzoin giu   c e r i n e condutti da desiderii libidinosi, ma sono codutti dalla malgradeuole invidia adimostrarecoreste cose accio ro uiniiso emandano nelprecipitiodelli peccatilhumanagę.nerationeetalfinelaconducano nella infernale dannatio ne doue efli sonoconfinatiinperpetuo.Etacciobenintens di infiamniano cotestisceleraci spiriti,limiferi mortali,cioc quelliimperhochefilaflinoingannare conunacerrafiam m a occoltam a non sono efiinfiammarida quelli ilche ini teseilpoeta Vergiloquandodiffe.Inspirainelliunooccolto fuogo. Conciosiachemi arricordochefunariatodallaStre ga che quando se appresentata il demonio allisentimenti suoi in diuerse e uarie forme haueainu sanza diconoscerlo e didiscernerlodalliueri animali delliqualiello hauea pigli ato la forma in questomodo.Lepareua che uiintraffenel pettouncertocalore,etuna certafiamma,per laquale era certificatacome quelloerailDemonio.Anchoranarraua qualmenteera apparechiata alla fpreuedura una fiamma đı fuoco, ficomele pareua nelgiuoco, douc conueniuano tuttiauantila Donina, olaaukti del Demonio che seprefen cainformadiornatiffimaReina con la quale fiammadice uache incontinentesecocceuanolecarni femagnono ren dolemoftrateadeflafiamma.NonbrammanoliDemoni ilsanguehumano,neanchordesideranolecarniper managiare , ma il tutto opera d o e p r o c a c c i a n o, a c c i o c o n d u c h i n o lanimee corpi delli miseri mortali nelli sempiterni tormenti. Laqualcosaiofocheegreggiamente inrenderai,quando udiraiparlareDicafto.Ilqualefebenuedoenonme ingan palocchioperillongospatio,ame pare gia fiaallemani,a combattere con la strega. APISTIO . Benben Fronimo. Tume haigiunto. Bêcheame paressedidisputarecoliuno degnoe nobile caualiere,percheioteuedo vestito coriquel le ciuiliet egreggieueftimente,ecintodiuna moltoornata {pata manon credeuogiadidifputareconuno cheintens deffe tanto eccellentemente linascoffi sentimenti delli P o c tihiftorici,Philofophi etanchora delliChriftianiTheologi. Ilpercheconoscendoiolatuasufficientia,tipriegouoglitu per talm o d o adaptare in cotefta parte che ciretta  deluia, gio ,   gio,chepuoffi seguitareitgia comenciato ragionamento , et anchor puoffi dimostrare dellaltre cose,con ilsecondo dit to,sicomegia hai fattoquelle prime con il prino,ficomese fuoledire.cioe coli tanra facondia fortilica,e dechiaratione chepossonointrareinme bendigefteedechiarateficome f avesse io ben poi mastigare H o r n o perdiamo tempo, ma te priego seguita lagia comeciara disputatione.FRON.Se rebbe bisogno dimolto piu dotro dim e ,et anchor sarebbe necessariodino puoco,ebreue viaggio,m ad i longo tiposo in douere fatiffarealletue humaniffime petitioni No dimen o pur mifforzaro disatisfare a tequáto porro.Cerraméte farebbeuilan,eprivodiogniciuilita,feionon efsaudillele gratioseetanchor honefte addimandedicoluide cuihogia conosciutoperlesueresposte che grandemete desideraebrå ma deintéderelauerita.Dunqueseguirolagiacomenciata difputatione,eramétaro quellecosepaionosianoaccómo date aquelloauãtidiceuamo,quáto imperhociconcedera ilbreue spatiodel uiaggio.Giahauemodettomolte coseet hora uoglio rispóderea quello tu dicesti cioe che pare nale accozzanoleStregheisiemenelnarrarelecosefatteadeffe dal Demonio,eparenó fecóuieneno inreferire quelle cose delloro sceleratogiuoco,ma cheunadiceinunmodo elal t r a i n altro modo .I o ti r i s p o n d o che c o t e f t o  puo intervenire o dalla paura o da mancamento di memoria, perche c o m u n a mēte fonogroffe de ingegno,ecôradinedella uilla.Anchor Sepuo cagionare et in col parlea malitia del demonio il qual inganamano tuttoiunmedemomodo.E questofacilme. te lepuo conoscere nellantichiprestigii,etillusioni. Concio Siacheegliealtrageneratione dejucătationinello Euflino altra nella regione Taurica etaltra maniera nella Italia E fében consideraraj conoscerainon esserfimiletotalmen re quella PharmaceutriadiTheocritoaquelladecuipar la Vergilio cioenoii.e-fimilelartede ueneficii et incanta, menti unacon altra.Anchorpareinteruenisseilfimilenel li oracoli e responsioni. Perche altre erano le resposte date per le femine inspirate dalli malegni demonij,etaltre erat n o quelle hauute per le aperture e coragini della terra,    et altreanchoraquellecheeranopigliate dallhuomeniper lifonnii nelli Tempii. HperchealcunidormiuanonelTem piadiPaliphea,elmiedici Calabresianchora essihaucano confuetudine, con& Dauni,diriposarsiappodelsepolcrodi Podalicio,ilqualePodaliciofufigliuolodiEsculapio efueca cellentejnedico.Anchora emanifefto comesoleuanogia Geceaffaipersoneneltempio diEsculapio. Ilchenon solas mene fuofferuatonellitenipi Heroicim a anchoraperinsie no allaeta di Antonino. De cuiraccontaHerodiano chean doa Pergamo perlanti decta cagione.Anchoraleggiamo q u a l m e n t e h a u e u a n o consuetudine li oracoli di dare r e f p o n f i o n i p e r il mezzo di intier esta r u e, e t a n c h o r a p e r m e z e zestatue,emediante anchoralecolombe,ofufferoquelle neriaugelliofusserofemine disimile nome non loro,m a benfoperdetci modireuelaueno lecoseocculte etannon tiaueno quelle doueano uenire. Anchora assai auttori narrano come erano farte simili cose nella India per il mezzo del Jalberi, et in Dodone,ficomeracconto Aleffandro Magno, Erano anchoraaliriliqualisubicamenteintcandolisopraun certo furore narrauano marauigliore cose.Ecosi ritrouauoni ficoteitietaltrimillimodi,ediuerfiJunodallaltroda reuela re lisecret,etannonciare le coseda uenire.E come erano di uersespecie egeneracionidellaugurii,ediuersilimodi del fceleratorico,damanifestarelecoseoccoltee da aluontias rele cosedouéano uenire,cosieranodiuerfi i sacrificiicollir quali sagrificaueno,eanchora diuerfi'imodi dieffofcelefto prophano,eteffecrando sagrificio.Anchora erano diuersili incantamentidelliantichi enon manco sonouarii nella10 ftra eta enon manco sonofatticon altrisceleraticoftumie modi chesoleuanofarequelliantichiRomani.Sononarra tealcunecosedallanticoCacone nellilibridella agricoltu raditátasciocchezzache retrouansipuochile poffonoleg gere senza gran riso etischerno.Nondimeno furono imper r h o i scritte DA UNO UOMO ROMANO, il quale fu  censore e triomphatore. Ma quanto al moto.cioeinchemodo fiano portatedalDemonio ,equanto alluogodoue fono ferma te tunon tidebbimerauegliare.Concioliachequellacosa che   e conåfuoingegno.bugiardafallace,etingannaterigcel i e quellafouentdee piumodi,ediuatianaturainaquellache c-ueracefeaccostaallasemplicita.Ecorefto efaciledauc derein quelle coseche hauemo ramentare,enon manco anchora se puo conoscerepellifigmenti,e fauole de poeti, comefonola fedariietanchorcótrarii.Etanchefpeffeuol tequelloferitrovanellenarratehistorie.Ilperche fouente seritrovauna cosascriccainduoietremodi,etanchorqual che uoltaipiuan o cótrarioallalto,esepurno seranocorra tii alm a n c o seranno diuerse uarii.lisimile intecujene anche nelleoppenionide philofophi, enellerefponfionidelli(auii (ureconfolti,edoctoridelleleggicosipontificalicome imps riali conciolia che se citrouano varieoppenioni circauna medema cosa,Manon maiimperhoseritrouaquea cofa, nelle (criteurede Theologgi, eccettoche inquelle cosel e quali sono communi coli alliPocci comealli Philofophi. M a inquelle cose,lequalipropriamentepertengonoadeffs TheologgiciocnellicomandamentideIddio ecosinella! He cose, che pertengonoallafedecatholica,etaliicoftumi, chefononeceffariiallafalurenoftranon uifaricrouaucig. na diffenfionem a fonodatutti:narráciedęchiaraticongran deconcordiae consonantia etinunomedesimomodo.Ve to-e-chelDemoniomalegno amicodelladiffenfione,con c o m e -e-bugiardo et ingamatore cufi-e.uario,e uerfipelle. accio dicameglio.Ilquale uocabolo segondoliftudiolid e l la lingua latina e-cauaro kuorida quelle favole delle quali gia auantipädladimo,per ilcuiinganno diceuanli effertraf murai Thuomeni nellilupitcoicomeingamaha Pichau gora,Empedocle,Apollonio ellaleriantichiPhilofophi disi mile generatione con ilcolore della dottrina,(üpercheula "Ha coteftilaciuoli,ecotefti modi,colliqualifacilmenteuili quoreua tenereligari) ecosicomeanchoragia tirauaafe de donneci uole con il mangiar e beuere, imbriagaree con lila sciui e carnalii piaceri.cosi anche hora tira similmente a fe, Thuomiciuoli e donniciuole c o n fimili piaceri,liquai c o m e chiaramente sevede furono sprezzati da moltiPhilofophi. M a quelliPhilosophiconduceuaconmoldimodiafarliado es   tare cioeoconilcolore della capientia oucto con lasuperti cionedellafallareligione.Concioliache perhauere e gra. di della cognitione,e per ottenere la doutrina faceuano esto OrationielaudeuoliHinnialliOracoliquero all Tempo dellifall Dei Per lequali cose gli pareuade impetrare la cognitione dellecose chedoucano uenire,etanchor pareuali diotteniredicflereportatiperariaindiuersi luoghi.E coj fendofatięquestecose con loagiuto delDemonio,quellilo attribuuano ad una certa cosa diuua,che pareua fufli 11€ dettihuomeni.Inchemodo altramentehauerebbonopor furouedeteli discepolidiPichagoraestofuo precettoredif. putarehoranelTaucominiodiSicilia erhoranelMetaponto in cosi puoco spacio di tempo. Per quale via f e r e b b e camminato per aria Empedocle et anchora in che modo cofi prestosouradellafactaferebbecorsoAbarc,perilchefuchia maco Acrobares Coluigrandementeseinganna,chicrede, che Apollonioconosceffeaffaidellecose doueano uenireet icheluicomidaflealliDemonijetquellilubbedisceno,per paurahauciserodiluiFengeuaiDemonioaftutoemalus gio diesseremartoriato da luietanchoradiesseresforzata accioche sendo quello inescato fottocolore della finta diyi nita,dipoipiuforcemente seaccoftafse alalere cose etotal mente rouinalenellipeccati.Ilche facilmente,fel apiace. i puotrai conoscere dal fine che seguicaua .Sforzosi difare uccidereprimicramétePithagoranellaseditione,e dipoidi farlotagliareipezzi.Amazzo Empedocle neluergognolo Iceco loqualehaneacoduttoatantasciocchezza checrede ua dihauereortenuto ladiuinita.Ilperchecidiceuaallícom pagniqualmentefcdoucuanoalegrare,concioliachenon farebbe piu uomo mortale m a douentar ebbe Dio immortale. I m p e r h o c o f i f c c i f f e q u e l l o in greco , m a i o l o voglio e mentareinuolgare.Remanetiuiinpace,conciolia che io f o n o a u o i Dio immortale, e non piu mortale. O che morir con questa morte, quero di quella decuiscriffe Democrito Troegenio, quando diceva, qualmenteello pendeouaucto Seeta attaccato ad uno cornale con uno lacciuolo al collo églieda pensare chelipaffalidicoteftauicaperin&igatio ne super persuasionedel Demonio. Anchora non l contenu focdiquello inganno,et illusionem, a anche diceua come gia erapassatalanimafuaperdiuerficorpicon questepar role grecelequale uolgarmente lediro cofi.Gia tofuuna Lanciula etun fanciullo.Ecolialfinefuconducoallamor le colleuocidelliDemonii,econilfpiandore dellefiaccole ficomeraccontaHeraclide.Forsianchorane conduffiApof lonionelTempiternosupplicio con tanima insiemecoilcom p o. La quale morte no parech e h a i n d e g n i a alli n j a g h i e t i n c a n t a t ori. Con cio la che variamente egli e narrata la morte di esso, perche sono alcuni che dicono come mori in Efeso ultriscriuenochemoriin Creta, et alquanti alttiuuolero mancale inRhodo.Vero-e-chenon erainpiediilgodose polcrodiquellonerempidi Philoftraco.Benchefuffyadors toereueritaperDiodaalcunistoltiepazzi.ilquale scelera to costume ficomelaltri frodidelDemonio manico etheb befinefrapuoco spatio di tempo.Cofianchoraporloayenimento di messer Giesu Christo pero Imperadore di tutto il modo mancarono tutti li oracoli respofte, edomesticiragio namétideliidolierdelifalfi Dei. Nelliqualierainusluppa. toe strettamente legatoquasi tutto ilmodo.E cofiquello, dquale apercaméte,epublicamentedauaresposteperliora coli per liIdoli,eper lialtrim o d i hora fcioccamente parla perleoscurecauernedesiderandolilasciyiecarnalipiaceri, fiqualihorasono uergognofi cheallhoraallegentierano gloriosi.ltperche fa scritto quelparlares Dignate Anchisa del Paphio coniugio. Ino solamétefuronoquellilasciin piacerigloriofredigrar de reputatione ne tempi eroici , ma anchor nella era di Alessandro e di Scipione. Alliquali fu attribuito cotefta gloria, che eranoistimatida molti figlioli di Gioue.E questomolto maggiormenteemanifeftoperlehistorieche iopossacon Ognidiligentia raccontare cioe cheera credutoche il D e . monjo chesefaceuachiamareGiouein figuradiferpente hauessehaguto amorosipiacericon lamadre diScipio ne, econOlympiamogliere delRe Philippo.Et eranoin tantaoscuricadiméte checredeuonofulliGioueDio.Eco Gin coteftie fimilimoditicauane peccatiquelli che erano la f c i u i libidinosi e carnali, m e s c h i a n d o l i i mpe r h o a n c h o r a ce ii LIBRO PRIMO qualche colore di supexftnione.Anchor cofiinelengaquelli, liqualidefiderauenoebrammauenola gloria,eteccellencia dellihonorimondani,liqualitendofralimortalijeshauédo proirontiatilecosedauenireper la conuerfaçione, familia cicacontinuahaueano hauuto colliDemoni anchora fimile méte dopo lamorce pronosticaueno.Ilperchefauolefcame tenarraflidiOrpheo comesendouiuofu riputaco profeta. et dipoisendo morto fedice comedauaanchorresposte.È dicefle anchorqualmentesendolitagliatoilcapo,dalledon ne Theeffe,ando effocaponelLelbono ;etiuihabito in unaspauenteuoleruppeuaticinando edandarefpoufioni perliIpiracolietaperturedellaterra.Portauanoanchora in yoltali oracolidiAmphiarale diAmphilochouanie diuina torifendoanchee gliuiuietil simile fecero doppo la morte, Ilche forsigrandementedefidero Empedocle quidouuol. fiefferciputatoDio immortale.Fauolosamente anchorrac contano comeeffercitayanolamiliciaelaguerraliReggi doppolamorte efaceuanobattaglia,ecombatteuanoa cheandauanoacacciarelianimali,e luccellietcayalcauay poficomenarrauanodiRhefoRedi Traciachecaualca, uainRhodope. Oltradiciodiceuano comenosolamente fc eccicauano,etferappresentauenoleanimede quelli con lopradellicerchii,edellisagrificiiramétatida Homero,m a anchora spontaneamente,econalcunipattiinquelmodo, ficomeseriue Philoftrato,leappresentarsiAchillealTianeo, etal Vinicore Protesilao,collaltri Capicanii fecero baccaglia co Priamo.Veroeche lafaccia juoltiicoftumi,eliatti,ege Aidequelli,perchefonodialtra maniera emolto diuerfi,e Yariida quelli chesonoiscrittida Homero eperchesonoan chor diffimilidaquellichenarrano lhistoriediDarete Phri gio ediDittoCreteseteinsegnanoquantosianolijnganoi delli Demoni elebugiechehannopoftonellacognitione etanchorti dimostrano li noceuoli deliramenitie pazziem e fchiatecollibuonicoftumi.PerilcheseilDemonio hauccel laioebeffato,etingannatoperquestimodi quegliliqualise iftimauerosauiiedotti credendo lecose contrarie e totalmente da l ragione discoste quale ci la cagion ce h e t anto grandemente tuti marauegli diuditezediuedere molte co feuarie, diuerfe collipiedilaconfegratahoftia.E cosiinquestomodo comanda quellofceleratonemico deIddioachiunqueuuo leentrarenellasuaprofana,maledetta,eperfidecópagnia, che abbandonino, preggino,etischetniscanolanoftra fan: ciffimareligioneChriftiana.Imperhononsipuoaccozzare neconuenireinsiemelabugiaefalsitacon laueritanellete n e b r e et oscurisa c o n la luce n e a n c h o r la fuperftitione c o n lareligione.Io credo ilmio Apistio,chehormaitutifiaaffaj certificato e chiarico cosipian pian caminando di quello decuihauemocóferitoedisputatoetanchordi quellodel qualemi addmandasti.Deh pertuafedeuediuedicola la Strega, che eagrandiragionaméticonildotto Dicafto, nel portico avanti del sagrato tempio. APISTIO. Diovi fa lui. DICASTO.Siatie benuenuti checosa ci e dinuouoil no  sciocchee pazze econtrarielunadellakira nelleStreghedenoftritempirM a anzimaggiormente cu tidebbi merauigliarediquellaeccellentesapientiaepoffan zadiChrifto,laqualetalmérehaoperato chequellohauca persuaduto ilDemonio malegno eperuerfo inanti lo auek nimento di esso a tantiReggi,Oratorie Philofophi delle genti,ficomecosaeccellente emolto meracigliosa edegna dogni sapientia hora a pena ilpoffa perfuadere ad alcuni huomiciuoli e donniciuolecioeche lo adorano loreuerisco Do Ihonorano,efacjonoquellecosecheglicomandae cos fiperqueftomodotu odebbemacauegliarechequello chegiaerafatropublicamenteintuttoilmondo,etfratutte le generationi sicomecosa honoreuole e gloriosa che hora H a fatta nelli picciolie Atretti canto n i d a p u o c h i secretamente, e con ignominia e vergogna. Ma voglio che tu ben consideri una cosa de divina gloria frale altricioeche glie, tanto fodo,fermo,eftabileilfondanientodellatriomphantefede de Chrifto chenon uvole ilDemonio peruerfo emalegno niuadinoallesuefcelerate congregarioni,eradunamenti, neanchorauuole che conuersino con luile Streghe,fepris manop reneganolasantiffimafedediChrifto,e Spreggiar nolisagramemidellasagrosantaRomana Chiesa,econcul cano  Kro Apiftio APISTIO. Loaddimandamo ate.Conciolig che Fronimo noftro erio ftamo venuti quiaccio udiama imperhosettipiace. STREGA .Heime doue fon giuntai DICASTO.Non hauerpauraM a ftapurdibaonauoglia eparlasenzauerunpauéto.E nodubitaredi meconiciofia cheiotiseruaroquátotihopromeffo ciocche'nóseraimar toriata feliberamente manifeftarai iurre letue maluagic opere lequalinonpoffonopioefferpalcofte,perchegiaho liteftimonijcometuseiindettoerroreepeccato etanchot fulhai cófeffato fi comeiográdemenre desiderauo. STREGA. Deh heime. Gia lho detto. Per qualecagionedonque m itormentatidiuolerloanchoraunaltrauolrahora inten; dere? DICASTO ,Perche e bisognodiritornarlo a confef faren o n solamente inantidi duoiu e r ditre teftimoniim s anchoraauantidipiu etalfineanchedavantidituttoilpo polo fedesideridiIchifare la pena tassata dalle leggi e a voi che setidi questa'maledetta compagnia,per tantifacrilegii, et ā r e f c e l e r a t e o p e r e c h e uoi facte. Vero e che gia h i a m e promessodi faretuttoquellocheticomandaro,et10teho promesso seruandotulepromiffioniantidectedinon confo gnartinellemani delGiudice ilqualeincontanentetifareb b e brugiare cosi sendoli c o m a n d a t o dalle leggie.Hor a noir tic o m a n d o altro eccetro che tu ramêti unálıca uolta quelle c o s e c h e t u h a i f a t rco o l i demonii nel giuoco o s t a nel corso come fedice uolgarmente. STREGA. O maladerco giuo co, O giuocoinfelicepme, mala fortemia.DICASTO . Nonbisognanohoralagrime,non piantineanchegridi. STREGA.Deh perquellahumanitaetgentilezzachein uoi leritroua,priegouinon mi uogliateperhora piu darmi faftidio.M a fiaticontentidi concedermiun puoco fpatio di tempo ,etun puoco diriposo  narta tantochemiramentiiltutto ecolidipoiuinarraroognicosa chehofatto:DICASTO. Piacédouigli cöcedero,quellochele piace,etaddimanda. Conciosia chepoiraccotarajl tuttoconmegliore animo, conpiuageuoleuoce,seespettaremoadintrarenelliragia namenti perinfinoadomanc.Doue haueromolto Alberti (Bologna). Grice: “I like [Leandro] Alberti; his “Tutta Italia” is a must; his claim to fame is to translate from Roman to Tuscan (no big deal there) what is deemed the first ‘daemonological’ tract – Mirandola used ‘ludificatio,’ which was vastly translated as ‘inganno’ or by Leandro as ‘illusioni’ – which has echoes with Descartes’s malignant demon hypothesis and my “Some remarks about the senses”!” – ‘Filosofo. Nato da Francesco Alberti, di origine fiorentina, fu condotto agli studi umanistici dal noto medico e umanista Giovanni Garzoni. Entrato nell'Ordine domenicano nel 1493, studiò teologia e filosofia con Silvestro Mazzolini da Prierio continuando tuttavia a coltivare con il Garzoni i propri interessi umanistici e storici.   De viris illustribus, Bologna 1517 Il primo risultato dei suoi studi fu il contributo che egli diede, in soli 18 giorni, alla stesura dei De viris illustribus Ordinis Praedicatorum libri sex in unum congesti, opera collettivacon il Garzoni, il Castiglioni, il Flaminio e altridi biografie di domenicani, stampata a Bologna. Nel 1521 tradusse dal latino in volgare la Vita della Beata Colomba da Rieto  Tenuto al dovere della predicazione, fu «provinciale di Terra Santa»cioè compagno nelle predicazioni itinerantidel maestro generale dell'Ordine, Tommaso De Vio e del successivo maestro Francesco Silvestri: con quest'ultimo percorse tutta l'Italianell'ottobre del 1525 era a Palermo e la Francia dove, a Rennes, il 19 settembre 1528 morì il Silvestri. È poi attestato, a Roma, prendere parte al capitolo generale nel giugno del 1530.  Negli immediati anni successivi rimase nel convento di Bologna, dove commissionò a fra' Damiano Zambelli le decorazioni da eseguirsi nella cappella dell'Arca di san Domenico e i bassorilievi eseguiti da Alfonso Lombardi, questi ultimi pagati dalla città dopo la richiesta in tal senso avanzata dall'Alberti. In quest'occasione scrisse un opuscolo sulla morte e la sepoltura del Santo, il De divi Dominici Calaguritani obitu et sepultura, pubblicata nel 1535. Un'altra sua operetta, la Chronichetta della gloriosa Madonna di San Luca, fu pubblicata nel 1539 ed ebbe altre edizioni accresciute dal contributo di altri autori anonimi.  Il 20 gennaio 1536 fu nominato vicario del convento romano di Santa Sabina, un incarico che non dovette prorogarsi per più di due anni, giacché dal 1538 è sempre documentato a Bologna. Fu anche inquisitore di Bologna probabilmente dal 1550 al 1551 o al 1552, anno della sua morte.  L'opera più importante dell'Alberti, dedicata ai sovrani francesi Enrico II e Caterina de' Medici, è senz'altro la Descrittione di tutta Italia, pubblicata a Bologna nel 1550. Ad essa seguirono in ottanta anni altre dieci edizioni a Venezia e due traduzioni latine a Colonia: nell'edizione veneziana del 1561 si aggiungono per la prima volta le Isole pertinenti ad essa, mentre quella del 1568 è arricchita dalle incisioni di sette carte geografiche. Opera di geografia e di storia, ricalca in gran parte la Italia illustrata di Flavio Biondo, ampliandola e migliorandola nell'esposizione e nella citazione delle fonti, ma mostrando scarso spirito critico, attenendosi egli «ai dati dei geografi antichi o, per la parte storico-antiquaria, ad autori moderni di dubbia attendibilità come Raffaele Volterrano o Annio da Viterbo: e solo quando vengono a mancare testi precedenti ricorre a elementi di più diretta esperienza [...] parimenti nella critica storica preferisce riferire insieme le differenti versioni, anche di tempi e di valore molto diversi, senza prendere posizione».  Opere:  “De viris illustribus ordinis praedicatorum libri sex in unum congesti” (Bologna); “De divi dominici calaguritani obitu et sepulture” (Bologna); “Historie di Bologna”; “Libro detto Strega o delle illusioni del demonio”; “Descrittione di tutta Italia, nella quale si contiene il sito di essa, l'origine et le Signorie delle Città et delle Castella” (Bologna); “De incrementis dominii veneti et ducibus eiusdem” (Lugano); “De claris viris reipublicae venetae” (Lugano). Universal Short Title Catalogue, Scheda delle opere di Leandro Alberti. Così scrive egli stesso: De viris, c.A. L. Redigonda, “Liber consiliorum conventus Bononiensis, Archivio del convento di San Domenico, Bologna. A. Battistella, Il Santo Officio e la Riforma religiosa in Bologna, Bologna, G. Roletto, Le cognizioni geografiche di Leandro Alberti, in Bollettino della Reale Società geografica italiana, Abele L. Redigonda,Dizionario biografico degli italiani,  1, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Descrittione di tutta Italia in Il Genio Vagante, Bergamo, Leading Edizioni,  Massimo Donattini , Il territorio emiliano e romagnolo nella descrittione di Leandro Alberti, Bergamo, Leading Edizioni, Michele Orlando, La Puglia nell'odeporica domenicana di fra Leandro Alberti, in Rivista di Studi italiani, ora al sito rivistadistudiitaliani La Puglia, introduzione e note al testo dalla Descrittione di tutta Italia, Michele Orlando, UNI Service, Trento, Liber Liber. Opere di Leandro Alberti, su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Leandro Alberti, Leandro Alberti, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Descrittione di tutta l'Italia su culturitalia.uibk. ac.at. LA STREGA; OSSIA, DELLE ILLVSIONI DEL DEMONIO. Dialogo composto dall’illustre e molto dotco Prencipe Segnore Giovanfrancesco Pico della Miradola, segnore e conte della Concordia, volgarizzato dal Ven. P. F. Leandro dell’Alberti, Bolognese, dell’ordine de predicatori. LE PERSONE PARLANO. APISTIO -- FRONIMO -- DICASTO -- STREGA . APISTIO. FRONIMO. Dimmi do juevacola cosi infreta caminando per la piazza ove vendon sil herbe tanta moltitudine di popolo. FRONIMO. No loro, ma andiamo anche noi un puoco, accio intedia mola cagione di tanto concorso, conciolia che puoco di no potra esserela perduta di puochi passi. APISTIO. Noi   in ver un luogo. FRONIMO. Di quale augello ragioni tu en. APISTIO. Della strega. FRONIMO. Tu giuog h i he Apistio. APISTIO. Pensa purche quello ho detto I ho detto no per givo con e periscrizzo, ma da dovero  Conciosia che debbia esser molto aggrado a ciascun huomo, ma maggiormete alli gentili e curiosispiriti, di conoscerequello, loqualeno hamaicon osciutolaantiquita. FRONIMO. Dunque tuteaffas tichi diuuolerintendere quello chenon ha inteseuerunos APISTIO. Dunque il timitacheiovogliammi persuadere diconoscerequello che non mai hanno volute conseffarede haue r e intero li huom n i gradi e molto litterati, e pur se l’ha a veranno inteso non appareinuer un luogo. FRONIM. Chi co far. APISTIO. L.oaugello Strega. Béchegiahabbia lettot CollaliinfamelanotturnaStrega.E coficonfeffadino sapere, di qualeger nerationedeucceglistalastregha. FRONIMO. Affaimi meraueglio chefendo tu molto dotto nelli Poeti, ficomea mepare cunonhai lettocomeeraconsuetudinenellitem pianti chi di esserscacciatofuoridelleporte & uscileftreghe cosa che seraanoi aggradeuole, perche sepuotra comput: tare in uecediuiuandenel pranso,quandoritornaremo. E forsi anchora ser amolto piu utile cosa chenon sapiamo, intendendo qualche nuouo secreto. Conciolia che am e pa te,etragioneuolmére istimo,fiapresa una Strega etiuieffer douecorre peruederla tantamoltitudinedipopolo.mesco T a t o c o n li fanciulli. APISTIO. Habitano in questi luoghi le streghe? O cercamente non mi serebbe grave di caminare diecemiglia, peruederle. FRONIMO. Hor su, sea dunque non m a i uedeftiueruna, forfihora fara satisfacco alla tua cu. riosauoglia. APISTO. sepur accadesse cheiopoteffi ci trovare coteftoaugellodam e contantodesiderio cerco,eno giamai citrouato Meftitia augurio infaufto edanno efpresso Peggio chel bubo annontia porge, etlega. Anchorpurhouedutonellantichemaledittionifusknomi nalalaStrega.Machecofasiaquella ediqual naturanon ficouiene.EtiftimaPliniochesiaunafauola,quello cheers scritto deltelitreghecioe che asciuccaueno collelabbra le p o p e delli fanciulli   Da uiciaticorpiaforzaegreffo. Er egliecoteftoluto offeruato pinsino dalli Heroici tempi.' Quellecosemimoueno che sono venuti nellithalamieca. mere delli Proci, o siano delli lascivi e molto libidino f i buo, m e n i cosidicendo Ouidio . Procàildimostraqualesiaqueftoangue Chere-laceratoda questoanimale, Aforbeilsanguelaftregainfelice, Delle Streghe gia preda fortelangue, Puoco iluagitofanciullefcouale, Et chi ederspello agiuto allanodrice. bb ii conuna uergadispinobianco,ecome hannoqueda natu. ra,chesonobråminosiucceglicon ilcapo grandeliocchi fermi,ilbeccotoruo,epartedellepennecanute.colunghie rampinate,eperciocolisuolenoefferechiamatepercheha n o confuetudine di Atridere nella spauenteuole norte. Hor tu uediilnomela cagione diello,lanaturadiquella &ancho talafigura comeegliestaraifcrittadalliantichi. APISTIO. Ben intendo quelloturaccolima forsi sonodidiuersemanie re e generationi cotefte ftreghe,edi differente natura,c o n cioliachefedice,comenon fuccianocollelabralepopedi fanciullini, ma ch beueno ilsangue.Ilpche cofidiffe Ovidio Di notte ai fanciulliniuola spesso Empiendo il petto dellionoffiosangue Siprefto conlalinguainfatiabile, Chelsoccorso opportuno effernon lice: N o paionoatecoteftiofficiifrafedellestreghe,tanto diuer Se nontidimoftranouaria& anchorcontrarianaturaecó ditioner Erano ragioneuolmente da efferiftimatiquelliaus gel li misericordiofi, liquali faceuano Ifficiodellanudrice, ma quefti sonodaesserreputatigrandemêtenoceuoliema kegni dalli quali sono occisi li fanciullini havendoli bevuto il sangue.FRONIMO. Iotediro'ilueroaniipaionopiupre ftociascunadiquestecosefauolė,che altro.Mapurseuisiri trouaqualchecosadiueronellafauola iopenso chenosias nonatiquelliaugelline anchor che se ritrouano nell’inerf. Chalquinto giorno depuo fuo natale Perche quelli fallititolieuerfifiguranola uecchianelliuc.. celli.Mabenpensofuflifattoquesto conloagiutodelliDe. moniiiniquiemalederti cio echeliancidentiaugellihora appareuono in una forma della nodrice ethora dellainlidia triceE. questomaggiorméte am e lofa credere percheildi monio insegno il gioueuolerimedio contro delleincantas tioniemaleficii,perliqualieranoligatelementi delli huo . mincio n inganni,econ bugie,dicédofeefferGiano,uuole uachetreuoltetoccaffilioconlarburafrödaleporteetuscii cioeconlafrondadeunoalberosimilealcitrono &treuol tesegnandocon dettafronda le pietre chesono sottolain trata delluscio, bago ando la intrata con l’acq ua , e com i m a d a gaanchorsefaceslino dell’altre cose che non erano sagre, ma anzi a b omine uoli sacrileg i i e p o rtéri, Bé che anchor de quelle confedica. Se poil infanti per la nocte oscura Vesla ecilsangue elucca con l’esperti  Labrila Strega,etintalmodo leindura. Cosine tempinoftrihannoconsuetudinedifare le streghe, quando se narra che sono portare al giuoco di Diana. Guaftas no nellecune lifanciullininuouamente natiche piangono, dipoiincontinentiledanoligioueuolirimedi.Liquali, co m e ainepare,fonoinloroarbitrioepoßianzadi doucrlida re. Imperhomeritamenteegliederiuatoquestonome.Ca ciofia che queste crudeli e bestiali femine lequali cometter no tanta scelerita,anchorda noi cosicome dalliantichi có. uenientemente sono chiainate streghe. APISTIO. Hammi parccute inganni Fronimo pariméte inlieme con moltialtri,cte dendo efferuero,quello chescioccamentediceiluolgo,cio eche fononoloche feminuzze,lequaliuolanonellamezza notte alliconuiti, et alli delette uoli piaceri carnali delle L e muriofianodellispiritidellaoscuranottee che coteftefer minuzze guastinocon incantilifanciulli.FRON .Meglio potreste parlare Apiftio.Conciosia che non mai fe debbe di re checoloroerrano,liqualiapertamenteracontano quello che hanno con locchio dellaragionechiaro e manifeftono puochihuomeniben docci, & amaeftraticólacõținuaprati 1 caet .   sa etanchorfonoomatidebuonicoftumieuertuti. APISTIO. Io ti prometto cheno'e-maiftatopossibiledieffermiper fuafo queftoche tu di percoralm o d o che lhabbia creduto. FRON.Per qleragione,no teha poffuropsuadeiuecuno A PIST. Per que f t ca , i n e che pare una cosa da ridere, come fiapoffibicleh e fattoun cerchio et unto il corpo conno fo che unguento,in un'certo m o d o erdettepoicecceparole coun no fochemormorio fecógiúganodettefemenuzze incontinéte colli demonii infernali e che caualcanodinot. te souradiunolegnodettoGramitaconilqualesifuolecal fecrareillino,elacanoua oyerosaliscanosouradiunacaura o diuno beccoo diunomoncone,esiano portateper aria, eche trapallino li Spatji delli'uenti e ricrouanfe alli cantie ballidi Diana,ediHerodiade, E cheiui giocano,mangio no beueno,epiglianolasciui piaceri- Puruoglioanchorago giungere un altra cosa cioechenonseaccozzanonelparla. re,ficomeho inteso conciofiache alcune dicono efferpors tate moltoinalcoperaria, eraltrediconoappo diterraalcu ne confeffanodiandaruifolamente con la imaginatione e noncon ilcorpo,epoifermarsisouradellagodi Benacoo Hadi Garda, nellialtiffimimonti, vero e chemolto m i m e raueglio chenondicanodiefferefermatefouradellacima delmõte Micalainsiemecon Thalete overo sula cima del Mimante siano poste a caminare con Anaslagora, Ilquale c -u n n o n t e n o n guar i d i s c o s t o d a Colophon e da continue neui affediato, dacuife conoscelatempeftadebbe venire. Altrecacótano de esser portate allo albero di Benevento det tolanuce,rebême arricordo.Ma qualee la cagionenosi fermano piu presto nelterritoriodi Arpino piu vicino (fico/ me io penso) alla nostra regione coueroportate alla Quer zadi Mario,etanchorfeno leparefaticadiandarepiudiß costo perchenon sono portate per infino nella Cheronea alla Querza di Alessandro Dicesianchorache hannoamo rosipiacerecolli demonii che non sono congiunti colli corpirei on oerro. Ma dimmi un puoco Apistio, che toccame ci possono esser cotefti? Chepiacerisouerinche modo poffo no haueceamorosisolazziconqueftauana, efintaimagine, efeminedicarne. Ho letto come le larve oʻsianolenuo's ceuoliombre dellanorię e dellinferno pigliano piaceri colli' morti etche combatteno con effi, e no con liuiui. FRONIMO. Dimmi Apistio, seiosciorco tutteletue ragioni, fico me spero consentirai. APISTIO. Io ti prometto di cosenti re. FRONIMO. Egli e certamente cosa da huomo ragioneuole, e di sano intelletto, dilaffarsi muouere 'e guidare dalle ragio ni effcnipij,etdalleauthoritatidelli antichi,lequaligia sono con cómun sentimento confermate,edipoi quiuifermarsi ma moltomaggiornéte-eropera di coluicheedigradeinna gegno,echeha lógo temporiuoltolilibridellidoctihuome ni. Donqueseiocolletueragioniticonduceroa cosentirea quello decuihoratenemenibeffe,chefaraipoi? APIST. Che faro: Vimetterolemani. FRON .Pensocheancho , sauiinetteraiipiedi. APISTIO. Ma nongianelliceppi. FRONIMO. Deh non hogiamaicercaměte pensato co testo. Vero-e. chebengrandemece desiderocuintédique. fto,accione uenghinellamia oppenione, collipiedi, e cole mani, ficomedire sisuole. APISTIO.lononfifiutoquello chesperi, e desideri,sefaraiquelloche tudietprometti. FRON. A me pare perilragionarehauemofattocaminan do,chetuseimoltodottonellipoetidelliGentili,etanchora affai siaornato dePhilofophia. APISTIO.Il mio Fronimo diquestohoranomiuogliodareiluanto cioeche beninte dali Poeti et fia dotto nelli parlari. C o n c i o f i a c h e e g l i e m o l tomaggiorelacognitioneadouereintéderequelliper co ialmodo chesouerchia le forze decoluiloqualearrogáte? mente alcunauoltaselauoglia attribuire, hauendopuoco ftudiatoinesli, ethauédolipuocapratica. Ilpercheegliegra demente necessarioa coluiauoleintendereefli poeti e philosophi, diconoscereetintenderenon triuialmenree grossa, mente la l i n g u a greca e latina. Et anchore gli e bisogno d i hauere ben intese lifecreti,esentimenti extratti fuori delle crerario della philosophia. Delliqualisonoornatiebenue ftitili poeti emaggiormente Homero. De cui,ho udito che fuillustratoetaddobbatocon grandiCómétariidaAristo. tileetanchora dallialtriPhilofophidelladottaschuola. Anchor   c h o r h o i n t e s o c h e s e sforzo il Plutarcho con uno molto grande libro di attribuire ogni scientia, ogni arte, e finalmente ognicosadiuinaethumana,aquellociecoHomero.Ilperá cheionegoeffereinme quellacognitione perfetta,sicome tudi,m a no nego pechoesfermiessercitatoalcuna'uolta per piaceredellanimomio inleggere quelli,licomeiocercaffi lacognitionedellelingue econquasileggermētebeuendo qualchi amaeftramétigioueuoliallicostumi,etanchora ac c i o n o n fufli riputato ignorante, fra li amici e compagni , o c curendola occafione.Cosi senóho beutalargamétela philosophia, de cui se dice che -e nascosta in detti author i a l m a c o (l i come di r e si suole). I h o t o c c a t a e gustat a con l a l o m i t a dellelabra. FRONIMO. Io credochetusiaconduttonon dalla arrogantia ne anchor dalla fimulatione,m a solamen tedallauerita.Laqualeuertu ecollocatadaAriftotelenel m e z z o fra ğiti uitii.Imphoche dimostri di n ó effer ignorare ne anchortutiuátidisapereognicosa. Ecosiquellecosehaj dettodellanotitia ecognitióedellipoeti nó fon discoftodal lauerita. CóciosiachePlatoneetAristorelesonopieniditer ftimoniidiHomero,diHefiodo di Simonide, Pindaro,E u ripide,edellialtriPoeti.Ilpercheiodubbiro affaichetu lia molto dottonella philosophia decui pare non molto inte diedimoftridinonsapere.E cosiho istimationeche dis mostrarai molte cose chesonodategiamolto tempo con gregateinfiemenelfinedenoftriragionamenti,lequalidi. mostrihoradino sapere. APISTIO. Io te diro, come sono alcune cose che qualche uolraci sonofuto donare dalla natura leaza uer uno studio o fiano uertuti, ouero altre cose,fi come prencipiidelleuertude. FRONIMO. Non per que, Atosonomacatodallamia oppenionem a anzi hai tu posto inme maggiore dubitatione con corefta tua risposta.APII STIO. Chehaicudetcos 'FRONIMO.Iohodetto,e dir Co cbe ragionocon uno Philosopho.Vero eiche meglio allhoramicauaro questafantafia,pigliando prencipio imi perho da quiui,cioe se uuoi promettere di responde -- re a quellecose,dellęqualiho desideriode interrogarti, perlequalihauemo comenciatodiparlare. ĄPISTIO.Io  DELLE STREGHE 8   to matrimonio  prometto de responderti liberamente. Horlu addimanda. FRONIMO. Dimm i il mio Apistio, hai tu giamai letto in Omero che anda li e V l y f f e alli Cime r i i s. APISTIO. Si. Et anchora ho letto in chemodo andodaquella gére chefa ua nellaariacaliginofa.cioe che erasenzauiada poceruien trareiraggidelsole.FRON .Dimmeseltepiace,checol lafeces. APIST. Hoaffaicole.FRON .Nó leggiamoquel leparolediessoingreco,lequalihoraledicoinnoftrouolga' re cosi.lo fu quello che cauai fuora allhora allhora ilcoltello dellacosciasecominciaidicauareconilscarpellounafofla, allamisuradiun gomito,indiequindiincerchioetancho rainfundeililibamini,cioelifacrificii,colleumbresAPIS. Tu hai molto egreggianiétedechiarato il sentimento,eno manco ageuolmente isposteleparole. FRONIMO. Credo habe bilettono una uoltam a louéte ligiuochidiDiana,eliballi collecompagne Nymphe.APIST.Eglieuero,etu non re inganniapunto.FRON .Anchoriopensochetuhabbiri, uoltoquelli libri douesonoscrittiliamorosi ragionamenti, erlafciuisembiatide Anchiseconlaimpudica Venere eco 1 ·me fufferogeneratimolti Baroninellitempiantichidicote Atifallacietingánatori Dei. APIST.Etanchoraquestosper seuolueholetto. FRONIMO. Tu debbisapercome queftimal uagi Dimonii ingannaueno con merauigliosi huominicheerano deditialleopererufticaliepastoralisico me eracommunamente lauitadi quelliliqualifurono rie trouati nelli tempi Heroici.CosianchoraingannoilD e m o nioPeleo pastorepadrede Anchise,conciolia che effo fico me diffecoluilaffolagreggedelli porcielarmentonógus cidiscosto dallemura inuna ombrosa ualle forto laimagin ne dellaThetide dea marina.cosiiftimatadalle genti.Et ac ciomancoseaccorgessedelfrodo glifuin SEGNATO dauno altro frodulento demonio uno delli Capitanii Grecichiama to Proteo con il qualepigliarebbe There madre de Achille la qualedimostrauafiincentofigure.Ma benuedieconfi dera uno altrofrodo,con loquale grandemente inganno, cioeche non dimost.raua di uuolere commettere iltupro, n e anche lo a d u t l e r ' o , ma fi n s e d i u g o l e r e contra h e r e i l l e c i. di quelli  to matrimonio, Loquale con suoiuersiegreggiamere carito Hesiodo, ficomeseuedenellescritturede Greci.Ilpchepra babilméte dicemoeffer da quiui deducto ,cioedallo effem . pio diHefiodo,loEpithalamiodi Catullo.Ilche anchorr dimoftrailtenoredelverso,chiaramétedemostradoquella ancica facilitaetquestodechiarailcontinuo e sollecito ftu diodi CatulloiseguitareliGreci,pcotalmodo che ispreffe leintegreElegiediCallimacho,alcunauoltarendedoilsen timentoetaltreuolteisprimendoleparole.Anchora inganno per co t a l via il demonio facilmente Paride, focto figura di quelle ore Dec. Il quale fi come scriffe Colutho Thebano nellibrodellapresadi Helena, nosolamentepafceualeper corelle del suo padre, ma anchorli Tori, eptal modo feue ftiuadelleueftimente che pareuàun rozzopaftore etigno fantebifolco. Le quali cose, ampiamente con sue scritture quellolerecita. In questo modo fece inuisibile il Demonio quello Lidio paftore regale,con lainuersapaladelloanel lo.cioeconquellapartegiacesottolagemma,epretiofapic tra,ma ciuolta,conlaquale Atupro ecomesseilpeccatocon la Řeina.Il perche pigliauono li Demonii uariee diuerfe fi gure alcunauoltadelle Dee,che erano uolgate,altreuokic leformaucnoineffigiadelleterrestre Nymphe efouerere presentauenolefiguredelle Dee marine.Epercheeracredu c o c h e s e nascondessino, con il suo ingegno sotto le unde del e tacqua accio puotessino effer ucdure etpiu fortemente abr bruggiare licuoridellimiserie ciechj huomeni, ftauanoa p po delliprofondiluoghi dellacqua doue dicontinuoper driuoltarediquellacuisiritroualacandidafpumaet iuipa teuafussero appodellenodrici,doue eranonudrigateda güellet Anchora appareuanocolleimaginifintedi nuvoli, fi c o m e fauolefcaméte raccontano appareffe Giunone ad Tinone, De cuifingononascelliilsuppositi Coéraur . Cofifin gono d i c o s t cu i i o c c ħ I f f i o n e p pieta di Giove fu f f i trasferito ne cieli, e fussi fatto secretariodiqllo,etpõstoufficio hauefli ardireditécareGiunonedelftupro la qualela mentadosicon Giove uimando ad Ilione una nuuolaafimilitudinedi Giu donc. cn la qualegiacedoIrionc,ecredendosi dipigliare co amorosi piaceri con Giunione, ne ebbe li centauri. A l e r i demonii apparecchiaueno prestigiicioefalsedemoftrationi, illusionie incantarioni,collequaliiogannauenolegenci, popoli, etinescaueriocondoppiafrodeilcozzouolgo,ecan choralidorcihuomeni.Ecosinonlaflauauerunocoloreet imagine della diuinita (la quale con diuerse menzogne e bugie sifforciava di usurparlaetafeattribuirla) conlaquas le'noncostringeffeilcozzoetignorantesecolo,afarsiadora re,etanchoraleciïauaconlalasciuia.Cóciosiacheeglie.cee to che anchora eglivergognasse Diana,laquale fugeuadi amare lauerginita accioforfitirassiasesllihaueanoiodio la fozza libidine. I dl e c u i gioco, havemo scoperto in di forccio del demonio. EcosisottoilnomedellaLuna(laquale senza uetun dubbio chiamauefli Diana )raccótaueno fuffi fuergognata da Endimione,eda Hippolyto licome dimot AtraFirmiano,fotto il nome di Diana ilqualepensava pers r e n e s e a quel luogo. E il nome di Virb i o c i o e di tre volte huomo elaleggemolto diligétemente cercata,doue fedo ueffe ponere,elemani medicheuolidiEsculapiocheporr Sino agiuto alle piaghe debbost credere fuffero tutte queke lecose fauole etillusionidelliDemonii,epurfeuifuffe qual che cosache pareffeinuero fuffiftara iltuttofedebbe pene Sareesserefattoperartemagica delDemonio.Vero-e-che Efculapioalfinefupoipremiatoconlamercede epremia delliincantadoriche/elamiserabilemorte. Concioliache eglienarrato da tuttiliantichiauthori,qualmente fuoce cisodalfulguro,benchefianouarieoppenioniperqualecat. gione,e per quale sacrilegio, fufficosi crudelmente Occio. I APIST . Dice Vergilio che cosifufliocciso, percherefufciso Hippolyco dalla morte.Nonfajcu cheduolendoHippolyco fugire dauanti da Theseo suopadre infuriaro loquale cerca uadeucciderlosendelifalsameceaccusatodallamadregna Phedraetsendofalitosouradellacarretta e(pauêtatilicat ualliperlimoftrimarini,f icomenarra Seneca, cadėdofuoci delcarroploimpito,etracciatoemorto,sendoitoneline ferno fu resuscitato,efanato da Esculapio Veroie-chedice Plinioche cosifuflipercoffodalfulgureEfculapioe r cagio nediCastoreedipolucefigliuolidiTjidareRe di Oebalia   quello che scrive Tertulliano, cioechefur & arfo dal cielo Esculapio, perche biasimeuolmente hauea effercitatolamedicina.E cosiritrouiamomolto maggior us dietanellanarrationedicotefta cosa chenellamorte diR o molo.Maegliebenvero checiascunodiloro,e-ftatoreferi, 20c computato fra gli Dei,benche coftui fuffe uno ladrone, e quellaltroun mago erincantatore.Vero -e-chemoltopiu mimaraueglio digildo, e cuihorauoglioraccotare,cioe che nó ben péfaflılifattisuoiquelgradehuomo,ilğleerasoftēta toetenatocórâreifperedaun certogrăprencipene giorni d e noftri agoli che le ubrigaua di far. FRONIMO . I n altrom o d o scriffero Panaiaso,Poliantho, Phylaccho,eThelefarcho Anchoraltcidicono p altrecagio nifuffeoccifodalceleftialefulgure Esculapio. APISTIO. Deh no ti siag r a u e d i r a mentare il cutto, i m p e r h o felti piace e tu ti ricordi. FRON . Io son côtéro.Furono alcuni,liqualilcriffe tochecofifpauêteuolmétefuffeucciso percheresuscitoTyn daro eno lifigliuoli,Vero:e-cheStaphylodiceno fuflire fufcitaroueruno da Esculapiom a ben -e-uerochefusanato Hippolypo chefugiuada Troezeneecofipquacaufa, fufli percoffo emorto dalfulgure. Ma Polyanthoscriue che cosi fuffiuccisopchelibero lifigliolidi Pretodallasciochezza. E puo le Philarcho esser li cio iter venuto p che a g i u r o li figlio bdi Phineo. Ma fraquelli cħ háno voluto refufcitaffeimorci alcunidilorodicono cheresuscitomoltidiquelliche furo noucefinella battaglia e guerra di Troia. Et altri scriveno che resuscitaffede qlli chemancarono nella guerra de Tebani. Egliebenuerochenó cimanca Telefarcho, che dice come fusse in tal modo percoflo ,perche se fforzaua di riuo careallauita Orione nolorefuscito imperho.Anchoreglie moltomanifefto uedere la guerra etan chor la battagliade Ilio, e di Troia, e tuttilimodi delcome batrer ioisefece.E cosi designado ilcerchio ,accio demostra Bidouiandarono,ecobarteronoThelamone e Peleo figlioli di Eaco.c doue Olyffe,collialtri Troiani,fu portato dal De: monio ,egiapiunó cóparfe inuerun luogo.APIST .Turac contimarauigliose cose.FRON .Sono certaméte marauia gliose etanchor vere. Dipoiquelloprenicemádo indiuerfi: CC  cuaniluoghie paeli, etanchora'per infino nellaGermania etanchoradiroequefto etdouenonmandoépercercare guelhuomo:Horlendopericolatocostui,uêneincoteftono Aroeccellete Caftello uno dellsiuoi discepoli,chelaffoliues ftigiidelle sue malgradeuoli e diabolice opere perinfinoallo noftrigiorni.Concioliachedesignaualaimaginediquella chehaueafattoilfurto,etdimostrauelaa colui,a cuierano Aatorobbarelesuerobbe,nellaincheftaradiacqua,osianel kaamola,cocertifacrilegii.e fuperftitioni,etiujlefaceuauc dere la figura iueftimenti con tuttiim o di erano fucoserua. tiinrobbarequellacosa.Joconobbiunodaluimanifeftato, ilqualehauearobbatoleámolette ciocalcuniremediicon troliueneficii,econtrodealorimali etoccultamere Shauca portatoa casa,efecretamenteferratinelcophinonon lofa pendoueranapersona.Emi ricordodel tempo pelquale la fciodettesoperftitionierinego lartemagicaS. e caminaffis mo insiemediecegiorni,pareamenonsarebbonobafteuo bidaisprimeree ramentare quellecose,lequaliho osferuar to enotato dellemanifefteinfidic del Demonioneanchor ferebbonosufficientidipuorerenarrarelimodi,cheofferus elloperingannarelhuomo.Ilperchemericamenteie chiar mato Saranaffo.Conciofia che sempre fu,e,et fara nemica dellhumanageneratione,cosiincuttelealtre cose,come in quefta, decuihoggi hauemo determinate di ragionare Quanto al modo che dimostra dipigliarecarnalipiaceriio le dico che quello lo vuole negare (si com e contrario a t a n u vidottiefauiihuomeni Jiquaidiconobauerloconosciutoda quellichelhanno isprimentato,etanimosamente teftifica no dihauerloudito)e-riputatoftoltoepazzodafanto.Ago itino il qualescrise con ieftimoniidi coinufa a m a nel quintodecimo libro della CittadiDio,qualméresonostatoritro. HatifouentedelliSelaaniepergersiFauni faftidiofialledon De,chiamatidaluolgoIncucbbiioe chesefforcianodico metterelafozzalibidineinfiemecolledonne etchesonori trouatidiquellichehannohauutoilsuodesiderio,pigliado. ne amorosi piaceri con effe. Et anchor diceche sono alcuni alori demonii chiamati da Galli Dusiili quali di continuoco grande importunita tentano le donne per avere l a f c i u i p i š  ceri, efouêtenedcuenenoalcocento dellilorobrimatid e fiderij, ecotetidanoifonoderij Folleti. APISTIO. Ti priegoo, feguitapur olera, FRONIMO . Horquantopettenne aluiaggiofannoper aria credocheanchor habbia udito (cc c e t o se tu non l’hauer a j letro) come ne vemn e Ab b a r e n e l l a Italiafouradiunavolátefaecada Pythagora, perinlinodal lo HyperboreoTempiodiPhebo.APIST.Ne ancheque fto-e dame narcofto cóciosiachelhoritrovatoscrittodaun certo Philosopho Platonico. FRON. Se bentutiramenta taiqueftecole, facilmerecrederaile altri.Ilperchetu debbi Sapere qualmente comenciaffe cutiaquella Necyomátia di Olyffe,dalcerchio,cioequellaartedidiuinaremediãtelicor pi morti.E cosifacilmentepuo conoscerenon efferecosa nuouaqueftifigmenticfittionidifarelicerchi,m a anzifos no antichipreftigii,cfalse delusionilequalianchora hanno cercato di seguitare li Poeti Latini. Cóciosiachesefinga Scipion c c avare con il ferro la cavata terra altre ,etutte qucile cose che seguitano,adeffempiodiOlyffe.Quanto alliragio namenticolleombreo sianocollispiritiiotedico chesono molto piuantichi che fufferoritrouatida Homero .Ilchef a cilmente quelli ilpoffon sapere, liqualiconoscono fufferorj trouatiliuersidiOrpheop queftacagione,econosconoco m e Omero ha seguita qt ou e l l o non solamente in nominare Tyresia ma anchora ha imparato essi nomi congranfole lecitudine econnon menore offeruatione.Ilpercheferiue GiustinoMartyre,come furon composti escrigriliprimiuer fidella Iliade ad esempio delli primi uersi di Orpheo , liqua Jiera noi ntitulaci di Cerere. E coliconuarü riti, costumiciof feruationiogniuno desiderayaecercauadihauer compagnia familiarita e ragionamenticollimorti,per cotalmodo,che dipojera detto come quelli scende vanto giu nellinferno . che narrafi interaenefiaPythagora,poilògotempo dopo Orpheo etHomero ,edicesicome uedessejuinelloinferno JanimadiHefiodo,ediHomero,cheeran tormentateper quellecosehaueanoscrittodelliDei.E pqueftofediceche fu grădemete honoratoe reueritodalli Croroniati, etancho sa molto piuperche racconto dihauere ueduto efferui gran 1    demente cruciati, e martoriati quelli,che refiutaueno di pigliare amorosi piacericolle sue dolcimogliere. Ma quanto atrapassare per ilfpatio dellaria,ionon fo in che cosa dubiti, ouero p e c c h e t u li maravegli. Con c i o l i a c h e a m e parc non importa,febene misuri lepenne delliuenti con una laeta o con uno scanno ,ouero con una caura. Non fe dice in qual m o d o fuffi portato Pythagora, o Empedocle, neinluunocarrodaduerote,oda quatro,o dauno alatoPegaflo oda Dragoni,oda Olori,accio seguicaffeVes nere,Medea ouerofulficondottoconduiserpentisottoil giouo comecòduceuano Circe,ocollilioniamodo diCya bele,o.colliLynciadessempiodiBaccho,ouerofuflitcapor tato in altosouraEuropeelaterra Asidafecondo lacoluetų dinedi Triptolemeo,acciochequellofusliportato lauorato redelle fructa, e questo coltore della philofophia, m a inueco furono amenduoiingannati da Pallade cioe dalla astutia e melitia del demonio. APIST. E cio mi ricordo d’avere udito narrare feno me inganno, di Simonemago, ilqualeebbe are diméto diuuolereandareperaria imperhoinsuamalhora. Conciofiache desidetandodi vuolersaliresouralaria.c fina gēdodiuuolereascederenellaltocielo,ecosisendogiapore catomolto inalto dalliDemonii,percomandamétodiSan toPietroapoftolfou laffato uenireconrátaftetagiu interra d a dettimalegni fpiriti,chrópedofi tutte loffa,fu Ioétedella, uita.FRON.Ě forlianchehai udito dinon so che Ethiopili quali haueanoinusanzadiimporeilfrenoe labrigliaalla Dragoni, edipoiseggédosouradellaloro fchinaueneuano inEuropa.Cosisediceeffernarratoda Ruggeri Bacchone. Ma purcrcdaquellouipareilprudente edotrolettoredi questa cosa accio tu no pens voglia ramétare liuoli di Dedalo , liquali se n o s o n o s e m p l i c e menzogne, sono al m a c ocre duticomefrodiet inganni del demonio eta nchorajotaci in che modo sparue Apollonio Tyaneo, dalla presentia di Domitiano Cesare. Oltro dicio fetu confeffi fuffero appo, delli antichi lispiritiincubi e succubi,cioe che si d i m o f t r a p e n o i n f o r m a e FIGURA DI MASCHI e di femine donand o amor tofielafciuipiaceriimodo diciascuno feflo allimiseri mor   Y tali    c o n certiunguéti, accio appareffe a led vero alli altri che fufferotraffigurate e c o n uerfeinunaaltrafiguradiffimiledallaprima.Ebenche,co teftohuomo dotto,fingeffediessere trafinutato,non perho dicefufficóuersoinuno uccello benchehaueffeufato quel® lamędememedicina. Ma bugiardamente narrafufftramu tatoi uno asino. Anchor dicecheebbe gran cordoglioquel Ja femina, dubitandoperloerrorehauea fattoinpiglia: relabuffolettache fufficangiatoLuciano inunoAlino.Il perche dimoftroe non effereuarialaeffentiadella cosa,m a lilaimagine.Etelloconquestochiaramente ilconfermo, econfettoche fendodiuenuto Asino, hauearetenutolame te,elintellettodi Lucio. Etanchotanó edaistimarechegli ueneffeinfantasiatalesopinio cioeditrasmurare la forma f e l non fuffi f u r a c h i a r a fama come c o t e s t e cose erano molto inufanzaappodiquelledonnedi Theffalia,ecome elle molio fe delectaueno letefsercitauenoineffe.Non lo con fermoanchora quefto, quello Platonico Apulegio, chepoi boseguito:fingendo diessereprimaitoin Theffaliaauanti  tali perquale cagione non uoi credere chesiano anchora fimilifpiricipenoftritempiscóciosiachecotestosecôferma có tálietátiteftimoniicliqualiioglicamétaro,feltipiaceras Quanto allunguento,iocredolosappi,perchediffusamen tenehascrittoil Syro Luciano el africano Apulegio, uno in greco e l’altro in latino, Eco si se ha queste cose i scritte da l u i. Dunque cheuuoledirecofiquellocophinetto,e quelletan te buffelette equellooliodiquelladoma puoca istima nella sua CONVERSAZIONE. Di poi esfo m e d e m e authoreledichiara dicendo.Incontanentefuunta delluny guento,fufattaageuole dauolare.Edipoifoggionge. Dop po puoco spario di tempo non douento altro cheuno cor, u o da norte.E cosi pareua aquelli,liquali guardaueno,00€ tofingeuano diguardare fuflidiuenutouncoruodinotte. Io non mai crederei, che ver uno se potesse t r a f f o r m a c e d i una specie dicreatura in una altra osiaper uirtu de alcuno unguento overo per incanto magico. No dimenoy voleuano quelle sreghe effecuedute ungersi decuine fatto fingeffe diefferueftito diuna nuoua forma sendo priuo del laprimarSedricamenteioreferiscoleparolediquello cosi diče.pigliaanchoraunpuocopiudellunguentoefatte& c. Et assai alcrecosescrissenelle quali parecotuttiimodiquafi habbia uoluto seguitare ilSamosateno. Cóciosia cheha fato tomentionedello Thebalicomormorio dellolio trasforma uadiunaformanellalera edelliremediidellecosecontrodi quegli incatiliqualifaceuanoritornare lhuomo alla prima figura. APIST.Perqualcagionecreditusiafattomentione diquellemedicinedicose lequalieranoinagiucorio,econ. traquelliincanti,efrodimagicedFRON . Segliepurcosa uera egioueuolein queste medicine,penso siapreso d’Arisotele. Nelle operedecuiholettcohe e ripostofralemera uigliosecosecomee cosuetudinechemuoionofacilmeteli Aliniperloodoredelle rose.IlchesapendoLucianoeLucio finseno di mancare dallaformadellalino,de cuiprimaha? ueano fintiessernefigurati.Oueroforse egliequiui nascosta unalcracofa magica. Eglieda saperecome gia grandemente eran o infamate le donne di Thessalia e di Thressa, che fa ceflino delliueneficii e dell’incanti, et anchora era detto che fussi condutta la luna e m e nata secondo le piace u a colli u e r sida quelle, e chiamatelefiffeftelledelcieloilche anchora cracoftume delli Sabini ficomescriuc Oratio , etokro di cio diceuasifuffero inspirate da Baccho eteranochiamateMis mallonecioeseguacidiBacchoporradolecornasicomefa ceua ello,etanchoraeranodecreAdonidee furiauanocollo complicate ferpefrali Thyrliconillusioni magice, etincáti, prestigii Et erano tenute in tanto honore e veneratione che uuolsiintrare nella compagnia di quelle la Reina Olympia madre delgrade Alessandro.loistimo forseche quelle cose paionobugie Quotrebbenohauerpresoprencipiodaquale che fimilitudinee colore deluero.Pare anchor cosa piu pro babileche haueffono qualcheaccrescimentodadertiprodi güemerauiglioseopere de demonii non senza qualcheue rofondaméto dellauerahistoriacoloratoer adombratoco molteuanitatie fitrionichedallifonniilicomee scrittoda. Synelio ilqualeuugleua haueffonohauutolefauoleantedit  1 tecCOG    m i ricordo il qualesefforzodidimostrarecon grade ingegno inchemo do haueffonolamaggiore partedellefauolefermo fonda mentodallahistoria etanchorafforzofididimoftrarecome dipoi fufferofuco fouente ampiate in maggiore cose effe fauolefondarefouta diefla verita dalla falra fama del cozzo vuolgo.E coscredo iofcriuefleVergilioquelperso. La dotca carta teftese di Palephato .  1 il Sole confinteparoleeconaflạipersuafioni,dauaad inte.. derealledonne di Thessalia, l equalinointēdeuanosimileco. Sfimilifinteopere,ouero dagrande aftutiae faggacita.Ilper che fu uno greco chiamato Palepharo fe beu teecofilialtii,daeflisonnü. Ecertamentenon sarebbe itaa to alcunäcánto brammoso di uolgare e manifeftare quello cose, chefufsero hauute e uedutenefonnii,licome ueduce fuoridel somnio collequalifufferotantotirauefforzatilhuo minidimerauigliarsi. O quátofonoliueneficii,maleficiiec incantationiramércate,iscritte, enátrate coli dalli Greci.co me dalli Latini, Percia da Vergilio e detto di quella antifti tee sacerdotessa della stirpe de Mafsilli, la qualeprometteua disciorelementidellihuomenicolliuerfi,cioedifarlifarefi come lepiaceua, etdifarefermare lacquane fiumi,difareci tornareadietrolipianetiedichiamare,etfareuenireafelc notturnemani cioelispiritidellanotte.Anchoraperquesto senarranolemedicineerincantidiCirce,diMedea diCar nidia,equellealtregenerationidiueleni,lequaliconduco. no lhuomenialpazzescoamore chiamate da Theocrito Si cilianoPhiltre di Simetha ecofida luiscritte,loquale regui, to Marone ne fuoiuersi. Puo efferche douiamo pensare che fianotuttequestecose finte senza uerun fondamentos Ver toechemiramentodhauerlettonelPlutarcho,quellafauo lacon gradeingenoe segacicaritrouaradiAganice diThef falia, laqualenarracome conduceuaasuauoglia laLuna. Ma cosi era la verita, chequella conoscendo la cagione che la Luna horaeraritondahoracornuta, ethorapiuno seue deua, perlainterpositionedellaonibradellaterrafraeflaet facomelecoduceuainquel tempo la Luna interra ficome: lepiaceua. Eco sidiconohaueffero principio lalorifauoleda Veramente eglie molto chiaro qualmenteochelhuomeni eranotramutaticolliincaptieueneficiiindiuerse figure sig c o m e bugiardamente et anchora scioccamente parlaueno alcuniouerocheappareuonocosi. Ilpercheparenonsepose finegare senzaqualcheAtoltitiachealmancoquellinonpa refsonoaleoadaltriefferefimilecofa.Non tiraccordidi quello che tanto chiaramente se dice delle figliuole di Prei t o cioe che impieno con falli m u g i t i e voci di animali li c a m pifet hauer havuto paura dello aratro, eta nchora hauer,cer cole cornanellaleggierefronterCofice-narratacorestafas uola;Come furonotre figliuole di Preto, le quali sendogia. Nel fiore della giouentu e conoscendo seefter bellissimeintras.o nel Tempio di Giunone, spreggiarno la Dea Giunone, cipucandosieffer piu belle diquella perilcheadiratala Dea ai miffe tale folia inesse che le pareua fulsero diuenute in formadiuaccheilperche hauendopauradiportaree con ducereloaratro fuggirononelleselue.CosinarraVergilio, con il testimonio di Homero, ma Ovidio dice in altro modo cioechecosi diuennene nel furore e pazzia,che glipareus dieffer douentate uacche nella Isola di Chea, perche haues no consentitoaquelli haueanofurato alcuni animali dellar) mento d’Ercole. Le qualidi poifuronoreduttease, etui suilluminatalafantasiada Melampo, ficomefu Lucio con la rosa,m a dicono alcuni altri che furono fanatee ritornare allaprimafiguradaEsculapio, siacomesi uoglia, cosiegtie narrato uariamente.Vero e-oche intraffinoin fimilifurie pazzie, o fufli per ira opera del demonio, overo pe t qualche corporale infirmita ritrouolantichita a quelle gios ucuolie diuerfici medii. Ma tu debbe faperecome bebbero li Demonii uariie'diuersi modi, eranchoracótinuideingan nareli uomini, in quelli tempi, nelli quali teneuano loim perio quali ditutto il mondo, e non solamente per lifacerdo dietAntiftitidelliTempii,cperlioracolierefpoftededi Ido lictimagini,m a anchora ingannauenoper mezzodeals çunedonniciuole inspiratedalfalsoPichia,et fraudolente Apollinc.E cosipercotcftimcoodinduceuanoglihuomen afare ftupefattiemaraueglioldellelorooperationi et ins.  uiluppauono   YA ma non gia con quello il quale seguito Varrone nelle Satire. Conciosiache quello Litio e-moltopiu anticodicoteftoálcro Menippo. Ben che so che tu intendi quello SIGNIFICA (SEGNA)  Larva pur anche io i uoglio ramentare, per parere disaperlo, etanchora per raj zentarlo lecosihora horanon te occorrefi:Sono Larue mooceuoliombre dello inferno,ouero ispauenteuole scon bodellanoue ele Lamieeranochiamarealcuneimagini efpiripimoltibrammosidelafciuiamorie fozzipiaceri,es mche grandemente desideraueno dimangiarelhumana arneV.edimo chefauoleeranocotefte.PurdimmiApi nonpaionoatecotestecoseche hauemo narrato s o p r a molto similia quelle delliquali longamente dicesi dellemaluagie Streghe dellanoftra etades APISTIO J n neticaame paionoquasisimili.Iiperchehoraoccorrono a me quelle parole dell’antica fauvola cioe Larva Lamia etIn cubicongutellodiersodi Ausonio.  a l a p p a don o quelli nelle precipitanti rouine delle scclerita , defotto colore della sagrata religione.E perciopigliauono Qaric formeediuersefigure.Colisepuouedere e consider rue Protheo figliuolo dell’Oceano appo de quasituttiipoet p.loquale ledemoftro in formadiuariifimulacri efigure, ficomediceVergilioconloteftinioniodiHomero,cioeche fubitosufatrohorrendoporco efuriosa Tigre, squammolo dragone,et una Lioneffa con lafuluante egialda ceruice molte altre coseramentanodilui,che lafloperbrcuita'. mente appareueno quellieccellentiBaroniche furono oce siliad Ilio alVinicore.Coli anche liramenia in che m o d o agparessead ApollonioTlaneouna fantasmaouetoappal tente figuradellaEmpusa,cioediunacerta generationedi Larue o fiaspauenteuoleimagine auuotara a Diana,cheua no,licomesefinge,conunopiedee conuertonseinuariefi gure et alcunauolcaincontinétechesisono rappreferiate fpareno,epiunon feuedeno. Anchora dicesicomehauesse conuerfácioneuna Larua,ofiaLamia,forrocoloredị hono . Kuolematrimonio,conMenippo Cinico dd Dimofte bomio,   Nora e-la stregain cunede fanciulli, con quelladonnescasceleragine. FRONIMO. Hor piuolcre, ramentiamo pur del altre cose, a c c i o f e possa donare egual giudicio e g i u i t o senz pa u n t o di menzogna.Credo chetu fappi,qualmente sonoscrittiiu finitiuersidelliueneficii,et incanci,dellilicquorie beuande delli Pharmachiemedicine,etanchorsonocantate fauole fchedociele Nenie Marsice cioelefauolede Marfi. Matu debbe sapere come sono iscritte e cantar ce o n una certame Laphora e similitudine quelle cose che cosi leleggono ,cioè che lhuomeni,liquali remigaueno gcupisceno colliporci, perledonneche lusinghe e chebruggiasseHercole lendo unto con ilsangue di Nesa eche fufferoinstillasili amori col li veleni di Colcho, cóciofiachechiaramenteseconosceful; secosignificateemanifeftatelesceleratecompagnie epros phanimodidellasozza enefanda libidine,collanridetteor seruationiecanti.Vero-e-cheuoglio tuintenda,come non erano  imperhodetci incantine anchora detre representatio nifofficientidispauentare ueruno,m a folamente pigliauei no, epauentaueno quelliche uuoleuano il perche narra Homero qualmente OliffeasfaltoCirce incantatrice non con ildolcebaso,m a siconlagutocoltello.Jlqualecosi comená fu presodal ciecoamore ,cosianchor nó fu inuiluppato dalli incantamenti: Li quali non nuocenosenza malegna sottilita delli demonii. Leganoquellicheugoleno et acciocheuuoi leno ufano uariearti, e diuersimodi.Pigliano il rozzo volgo con lafozza libidine,ecolli deletreuoli,etlafciuipiacerie giranoasequellichesonodeditiallauita ciuilecollericchez ze,econladouicia epuranchoraltrinecoduconoasuoiuo“ tibenche puochi con lepromiffioni,econ laesca dellaglo ria; ed ellhonori,cioe quelli chese sono dati allistudi della philofophia. Ma quátopertenealliconuitiattédiben. Sedito, come quelli inpartefonoyerietinparteimaginationiet ilusioni,non perhofarodiscoftonedisconueneuole dalli antichi scrittori. ConcioGache ritrouiamoiscrittoda Herodor." todellamenfa del Sole eda Solino essere-istimata quella unacosadiuina.CosiritrouiamonellauitadiApollonio Tia teo  neo , il convito della spora di quello, la quale era riputata una dell’antidette Lamie o delle Larve, o delle Lemire, eLeg. giamoiui,coine'sparbinoliyasipareuanodioro,ediariento cheeranofulamenfa. Etincoralmodo appareuanoiDes monii all’huomeni sottouarieimagini e figure chiamate da PhiloftraroEmpuse eLamie eMormolichie,ofianoLate ue.Gia puocoavantihauemodechiarato checosasianocos teftifpiriti,etombre.Ma quanto alleLamieritroviamoin Esaia dicono.co m e raprefentanouna certa beftialefigura:AlcuniHebreial trimentescriueno,dicendo come seintendeper leLamie alcune ombre e fpiriti furiosi,benche siafattamêtione nelli Treni di Geremia propheca dellem a m m e ouero p o p e della Lamia. Ma altriistimano fia derivato cotefto nome dal lapiaree spaccare etalquantidallaLama cheuuoldirenok sagine,oispauenteuole pronfondita .E dequindicredono sia derivato quel detto di Horatio. Ne traggiil fanciuluiuodepasciuta, Lamia deluentre. AnchornarrafifusserogiaconduttinelspettacolodaProbo Cesare molte Lamie.lu qual m o d o e figurafufli quella che inganno Menippo,non lipuofacilmentecofidaaltroluogo conoscere quanto da Philostrato. Ilqualenarracomefu ingamnatoeffo Cinicoda quellaLamia,quandoellafinger ua dipigliarloper marito, edipigliare amorosi piaceri con quello. Parimente i o i s t i m o fulfi uccellato e s c h e r n i r o Apollonio,  quando erapregarodaquellanonseincrodeliffenelli tormenti. Cofiera ingannato,percheiftimauaefferele Lal miemoltofacileadouereamare Hhuomeni,edipoipensaus che grandemente brammasino dehauere amorofi piaceri coneffi,enonmanicodipoicredeuache mangiassimolecat ni humane. Ma il mio Apistioio techiariscoqualmentenon fonotiratii demonii dalle brammofe voglie d eamorosi pia  propheta il luogo delle Lamie, doue famentione del fcontrodelliDemonii incubicioede quellichefedimostra no allhuomeniinfiguradifemine, ecolidanolafciuipiace riallimaschi eriftimano coftoroche siano leLamie dihur mana effigia dal mezzoin fue dal mezzoin giu   c e r i n e condutti da desiderii libidinosi, ma sono codutti dalla malgradeuole invidia adimostrarecoreste cose accio ro uiniiso emandano nelprecipitiodelli peccatilhumanagę.nerationeetalfinelaconducano nella infernale dannatio ne doue efli sonoconfinatiinperpetuo.Etacciobenintens di infiamniano cotestisceleraci spiriti,limiferi mortali,cioc quelliimperhochefilaflinoingannare conunacerrafiam m a occoltam a non sono efiinfiammarida quelli ilche ini teseilpoeta Vergiloquandodiffe.Inspirainelliunooccolto fuogo. Conciosiachemi arricordochefunariatodallaStre ga che quando se appresentata il demonio allisentimenti suoi in diuerse e uarie forme haueainu sanza diconoscerlo e didiscernerlodalliueri animali delliqualiello hauea pigli ato la forma in questomodo.Lepareua che uiintraffenel pettouncertocalore,etuna certafiamma,per laquale era certificatacome quelloerailDemonio.Anchoranarraua qualmenteera apparechiata alla fpreuedura una fiamma đı fuoco, ficomele pareua nelgiuoco, douc conueniuano tuttiauantila Donina, olaaukti del Demonio che seprefen cainformadiornatiffimaReina con la quale fiammadice uache incontinentesecocceuanolecarni femagnono ren dolemoftrateadeflafiamma.NonbrammanoliDemoni ilsanguehumano,neanchordesideranolecarniper managiare , ma il tutto opera d o e p r o c a c c i a n o, a c c i o c o n d u c h i n o lanimee corpi delli miseri mortali nelli sempiterni tormenti. Laqualcosaiofocheegreggiamente inrenderai,quando udiraiparlareDicafto.Ilqualefebenuedoenonme ingan palocchioperillongospatio,ame pare gia fiaallemani,a combattere con la strega. APISTIO . Benben Fronimo. Tume haigiunto. Bêcheame paressedidisputarecoliuno degnoe nobile caualiere,percheioteuedo vestito coriquel le ciuiliet egreggieueftimente,ecintodiuna moltoornata {pata manon credeuogiadidifputareconuno cheintens deffe tanto eccellentemente linascoffi sentimenti delli P o c tihiftorici,Philofophi etanchora delliChriftianiTheologi. Ilpercheconoscendoiolatuasufficientia,tipriegouoglitu per talm o d o adaptare in cotefta parte che ciretta  deluia, gio ,   gio,chepuoffi seguitareitgia comenciato ragionamento , et anchor puoffi dimostrare dellaltre cose,con ilsecondo dit to,sicomegia hai fattoquelle prime con il prino,ficomese fuoledire.cioe coli tanra facondia fortilica,e dechiaratione chepossonointrareinme bendigefteedechiarateficome f avesse io ben poi mastigare H o r n o perdiamo tempo, ma te priego seguita lagia comeciara disputatione.FRON.Se rebbe bisogno dimolto piu dotro dim e ,et anchor sarebbe necessariodino puoco,ebreue viaggio,m ad i longo tiposo in douere fatiffarealletue humaniffime petitioni No dimen o pur mifforzaro disatisfare a tequáto porro.Cerraméte farebbeuilan,eprivodiogniciuilita,feionon efsaudillele gratioseetanchor honefte addimandedicoluide cuihogia conosciutoperlesueresposte che grandemete desideraebrå ma deintéderelauerita.Dunqueseguirolagiacomenciata difputatione,eramétaro quellecosepaionosianoaccómo date aquelloauãtidiceuamo,quáto imperhociconcedera ilbreue spatiodel uiaggio.Giahauemodettomolte coseet hora uoglio rispóderea quello tu dicesti cioe che pare nale accozzanoleStregheisiemenelnarrarelecosefatteadeffe dal Demonio,eparenó fecóuieneno inreferire quelle cose delloro sceleratogiuoco,ma cheunadiceinunmodo elal t r a i n altro modo .I o ti r i s p o n d o che c o t e f t o  puo intervenire o dalla paura o da mancamento di memoria, perche c o m u n a mēte fonogroffe de ingegno,ecôradinedella uilla.Anchor Sepuo cagionare et in col parlea malitia del demonio il qual inganamano tuttoiunmedemomodo.E questofacilme. te lepuo conoscere nellantichiprestigii,etillusioni. Concio Siacheegliealtrageneratione dejucătationinello Euflino altra nella regione Taurica etaltra maniera nella Italia E fében consideraraj conoscerainon esserfimiletotalmen re quella PharmaceutriadiTheocritoaquelladecuipar la Vergilio cioenoii.e-fimilelartede ueneficii et incanta, menti unacon altra.Anchorpareinteruenisseilfimilenel li oracoli e responsioni. Perche altre erano le resposte date per le femine inspirate dalli malegni demonij,etaltre erat n o quelle hauute per le aperture e coragini della terra,    et altreanchoraquellecheeranopigliate dallhuomeniper lifonnii nelli Tempii. HperchealcunidormiuanonelTem piadiPaliphea,elmiedici Calabresianchora essihaucano confuetudine, con& Dauni,diriposarsiappodelsepolcrodi Podalicio,ilqualePodaliciofufigliuolodiEsculapio efueca cellentejnedico.Anchora emanifefto comesoleuanogia Geceaffaipersoneneltempio diEsculapio. Ilchenon solas mene fuofferuatonellitenipi Heroicim a anchoraperinsie no allaeta di Antonino. De cuiraccontaHerodiano chean doa Pergamo perlanti decta cagione.Anchoraleggiamo q u a l m e n t e h a u e u a n o consuetudine li oracoli di dare r e f p o n f i o n i p e r il mezzo di intier esta r u e, e t a n c h o r a p e r m e z e zestatue,emediante anchoralecolombe,ofufferoquelle neriaugelliofusserofemine disimile nome non loro,m a benfoperdetci modireuelaueno lecoseocculte etannon tiaueno quelle doueano uenire. Anchora assai auttori narrano come erano farte simili cose nella India per il mezzo del Jalberi, et in Dodone,ficomeracconto Aleffandro Magno, Erano anchoraaliriliqualisubicamenteintcandolisopraun certo furore narrauano marauigliore cose.Ecosi ritrouauoni ficoteitietaltrimillimodi,ediuerfiJunodallaltroda reuela re lisecret,etannonciare le coseda uenire.E come erano di uersespecie egeneracionidellaugurii,ediuersilimodi del fceleratorico,damanifestarelecoseoccoltee da aluontias rele cosedouéano uenire,cosieranodiuerfi i sacrificiicollir quali sagrificaueno,eanchora diuerfi'imodi dieffofcelefto prophano,eteffecrando sagrificio.Anchora erano diuersili incantamentidelliantichi enon manco sonouarii nella10 ftra eta enon manco sonofatticon altrisceleraticoftumie modi chesoleuanofarequelliantichiRomani.Sononarra tealcunecosedallanticoCacone nellilibridella agricoltu raditátasciocchezzache retrouansipuochile poffonoleg gere senza gran riso etischerno.Nondimeno furono imper r h o i scritte DA UNO UOMO ROMANO, il quale fu  censore e triomphatore. Ma quanto al moto.cioeinchemodo fiano portatedalDemonio ,equanto alluogodoue fono ferma te tunon tidebbimerauegliare.Concioliachequellacosa che   e conåfuoingegno.bugiardafallace,etingannaterigcel i e quellafouentdee piumodi,ediuatianaturainaquellache c-ueracefeaccostaallasemplicita.Ecorefto efaciledauc derein quelle coseche hauemo ramentare,enon manco anchora se puo conoscerepellifigmenti,e fauole de poeti, comefonola fedariietanchorcótrarii.Etanchefpeffeuol tequelloferitrovanellenarratehistorie.Ilperche fouente seritrovauna cosascriccainduoietremodi,etanchorqual che uoltaipiuan o cótrarioallalto,esepurno seranocorra tii alm a n c o seranno diuerse uarii.lisimile intecujene anche nelleoppenionide philofophi, enellerefponfionidelli(auii (ureconfolti,edoctoridelleleggicosipontificalicome imps riali conciolia che se citrouano varieoppenioni circauna medema cosa,Manon maiimperhoseritrouaquea cofa, nelle (criteurede Theologgi, eccettoche inquelle cosel e quali sono communi coli alliPocci comealli Philofophi. M a inquelle cose,lequalipropriamentepertengonoadeffs TheologgiciocnellicomandamentideIddio ecosinella! He cose, che pertengonoallafedecatholica,etaliicoftumi, chefononeceffariiallafalurenoftranon uifaricrouaucig. na diffenfionem a fonodatutti:narráciedęchiaraticongran deconcordiae consonantia etinunomedesimomodo.Ve to-e-chelDemoniomalegno amicodelladiffenfione,con c o m e -e-bugiardo et ingamatore cufi-e.uario,e uerfipelle. accio dicameglio.Ilquale uocabolo segondoliftudiolid e l la lingua latina e-cauaro kuorida quelle favole delle quali gia auantipädladimo,per ilcuiinganno diceuanli effertraf murai Thuomeni nellilupitcoicomeingamaha Pichau gora,Empedocle,Apollonio ellaleriantichiPhilofophi disi mile generatione con ilcolore della dottrina,(üpercheula "Ha coteftilaciuoli,ecotefti modi,colliqualifacilmenteuili quoreua tenereligari) ecosicomeanchoragia tirauaafe de donneci uole con il mangiar e beuere, imbriagaree con lila sciui e carnalii piaceri.cosi anche hora tira similmente a fe, Thuomiciuoli e donniciuole c o n fimili piaceri,liquai c o m e chiaramente sevede furono sprezzati da moltiPhilofophi. M a quelliPhilosophiconduceuaconmoldimodiafarliado es   tare cioeoconilcolore della capientia oucto con lasuperti cionedellafallareligione.Concioliache perhauere e gra. di della cognitione,e per ottenere la doutrina faceuano esto OrationielaudeuoliHinnialliOracoliquero all Tempo dellifall Dei Per lequali cose gli pareuade impetrare la cognitione dellecose chedoucano uenire,etanchor pareuali diotteniredicflereportatiperariaindiuersi luoghi.E coj fendofatięquestecose con loagiuto delDemonio,quellilo attribuuano ad una certa cosa diuua,che pareua fufli 11€ dettihuomeni.Inchemodo altramentehauerebbonopor furouedeteli discepolidiPichagoraestofuo precettoredif. putarehoranelTaucominiodiSicilia erhoranelMetaponto in cosi puoco spacio di tempo. Per quale via f e r e b b e camminato per aria Empedocle et anchora in che modo cofi prestosouradellafactaferebbecorsoAbarc,perilchefuchia maco Acrobares Coluigrandementeseinganna,chicrede, che Apollonioconosceffeaffaidellecose doueano uenireet icheluicomidaflealliDemonijetquellilubbedisceno,per paurahauciserodiluiFengeuaiDemonioaftutoemalus gio diesseremartoriato da luietanchoradiesseresforzata accioche sendo quello inescato fottocolore della finta diyi nita,dipoipiuforcemente seaccoftafse alalere cose etotal mente rouinalenellipeccati.Ilche facilmente,fel apiace. i puotrai conoscere dal fine che seguicaua .Sforzosi difare uccidereprimicramétePithagoranellaseditione,e dipoidi farlotagliareipezzi.Amazzo Empedocle neluergognolo Iceco loqualehaneacoduttoatantasciocchezza checrede ua dihauereortenuto ladiuinita.Ilperchecidiceuaallícom pagniqualmentefcdoucuanoalegrare,concioliachenon farebbe piu uomo mortale m a douentar ebbe Dio immortale. I m p e r h o c o f i f c c i f f e q u e l l o in greco , m a i o l o voglio e mentareinuolgare.Remanetiuiinpace,conciolia che io f o n o a u o i Dio immortale, e non piu mortale. O che morir con questa morte, quero di quella decuiscriffe Democrito Troegenio, quando diceva, qualmenteello pendeouaucto Seeta attaccato ad uno cornale con uno lacciuolo al collo églieda pensare chelipaffalidicoteftauicaperin&igatio ne super persuasionedel Demonio. Anchora non l contenu focdiquello inganno,et illusionem, a anche diceua come gia erapassatalanimafuaperdiuerficorpicon questepar role grecelequale uolgarmente lediro cofi.Gia tofuuna Lanciula etun fanciullo.Ecolialfinefuconducoallamor le colleuocidelliDemonii,econilfpiandore dellefiaccole ficomeraccontaHeraclide.Forsianchorane conduffiApof lonionelTempiternosupplicio con tanima insiemecoilcom p o. La quale morte no parech e h a i n d e g n i a alli n j a g h i e t i n c a n t a t ori. Con cio la che variamente egli e narrata la morte di esso, perche sono alcuni che dicono come mori in Efeso ultriscriuenochemoriin Creta, et alquanti alttiuuolero mancale inRhodo.Vero-e-chenon erainpiediilgodose polcrodiquellonerempidi Philoftraco.Benchefuffyadors toereueritaperDiodaalcunistoltiepazzi.ilquale scelera to costume ficomelaltri frodidelDemonio manico etheb befinefrapuoco spatio di tempo.Cofianchoraporloayenimento di messer Giesu Christo pero Imperadore di tutto il modo mancarono tutti li oracoli respofte, edomesticiragio namétideliidolierdelifalfi Dei. Nelliqualierainusluppa. toe strettamente legatoquasi tutto ilmodo.E cofiquello, dquale apercaméte,epublicamentedauaresposteperliora coli per liIdoli,eper lialtrim o d i hora fcioccamente parla perleoscurecauernedesiderandolilasciyiecarnalipiaceri, fiqualihorasono uergognofi cheallhoraallegentierano gloriosi.ltperche fa scritto quelparlares Dignate Anchisa del Paphio coniugio. Ino solamétefuronoquellilasciin piacerigloriofredigrar de reputatione ne tempi eroici , ma anchor nella era di Alessandro e di Scipione. Alliquali fu attribuito cotefta gloria, che eranoistimatida molti figlioli di Gioue.E questomolto maggiormenteemanifeftoperlehistorieche iopossacon Ognidiligentia raccontare cioe cheera credutoche il D e . monjo chesefaceuachiamareGiouein figuradiferpente hauessehaguto amorosipiacericon lamadre diScipio ne, econOlympiamogliere delRe Philippo.Et eranoin tantaoscuricadiméte checredeuonofulliGioueDio.Eco Gin coteftie fimilimoditicauane peccatiquelli che erano la f c i u i libidinosi e carnali, m e s c h i a n d o l i i mpe r h o a n c h o r a ce ii LIBRO PRIMO qualche colore di supexftnione.Anchor cofiinelengaquelli, liqualidefiderauenoebrammauenola gloria,eteccellencia dellihonorimondani,liqualitendofralimortalijeshauédo proirontiatilecosedauenireper la conuerfaçione, familia cicacontinuahaueano hauuto colliDemoni anchora fimile méte dopo lamorce pronosticaueno.Ilperchefauolefcame tenarraflidiOrpheo comesendouiuofu riputaco profeta. et dipoisendo morto fedice comedauaanchorresposte.È dicefle anchorqualmentesendolitagliatoilcapo,dalledon ne Theeffe,ando effocaponelLelbono ;etiuihabito in unaspauenteuoleruppeuaticinando edandarefpoufioni perliIpiracolietaperturedellaterra.Portauanoanchora in yoltali oracolidiAmphiarale diAmphilochouanie diuina torifendoanchee gliuiuietil simile fecero doppo la morte, Ilche forsigrandementedefidero Empedocle quidouuol. fiefferciputatoDio immortale.Fauolosamente anchorrac contano comeeffercitayanolamiliciaelaguerraliReggi doppolamorte efaceuanobattaglia,ecombatteuanoa cheandauanoacacciarelianimali,e luccellietcayalcauay poficomenarrauanodiRhefoRedi Traciachecaualca, uainRhodope. Oltradiciodiceuano comenosolamente fc eccicauano,etferappresentauenoleanimede quelli con lopradellicerchii,edellisagrificiiramétatida Homero,m a anchora spontaneamente,econalcunipattiinquelmodo, ficomeseriue Philoftrato,leappresentarsiAchillealTianeo, etal Vinicore Protesilao,collaltri Capicanii fecero baccaglia co Priamo.Veroeche lafaccia juoltiicoftumi,eliatti,ege Aidequelli,perchefonodialtra maniera emolto diuerfi,e Yariida quelli chesonoiscrittida Homero eperchesonoan chor diffimilidaquellichenarrano lhistoriediDarete Phri gio ediDittoCreteseteinsegnanoquantosianolijnganoi delli Demoni elebugiechehannopoftonellacognitione etanchorti dimostrano li noceuoli deliramenitie pazziem e fchiatecollibuonicoftumi.PerilcheseilDemonio hauccel laioebeffato,etingannatoperquestimodi quegliliqualise iftimauerosauiiedotti credendo lecose contrarie e totalmente da l ragione discoste quale ci la cagion ce h e t anto grandemente tuti marauegli diuditezediuedere molte co feuarie, diuerfe collipiedilaconfegratahoftia.E cosiinquestomodo comanda quellofceleratonemico deIddioachiunqueuuo leentrarenellasuaprofana,maledetta,eperfidecópagnia, che abbandonino, preggino,etischetniscanolanoftra fan: ciffimareligioneChriftiana.Imperhononsipuoaccozzare neconuenireinsiemelabugiaefalsitacon laueritanellete n e b r e et oscurisa c o n la luce n e a n c h o r la fuperftitione c o n lareligione.Io credo ilmio Apistio,chehormaitutifiaaffaj certificato e chiarico cosipian pian caminando di quello decuihauemocóferitoedisputatoetanchordi quellodel qualemi addmandasti.Deh pertuafedeuediuedicola la Strega, che eagrandiragionaméticonildotto Dicafto, nel portico avanti del sagrato tempio. APISTIO. Diovi fa lui. DICASTO.Siatie benuenuti checosa ci e dinuouoil no  sciocchee pazze econtrarielunadellakira nelleStreghedenoftritempirM a anzimaggiormente cu tidebbi merauigliarediquellaeccellentesapientiaepoffan zadiChrifto,laqualetalmérehaoperato chequellohauca persuaduto ilDemonio malegno eperuerfo inanti lo auek nimento di esso a tantiReggi,Oratorie Philofophi delle genti,ficomecosaeccellente emolto meracigliosa edegna dogni sapientia hora a pena ilpoffa perfuadere ad alcuni huomiciuoli e donniciuolecioeche lo adorano loreuerisco Do Ihonorano,efacjonoquellecosecheglicomandae cos fiperqueftomodotu odebbemacauegliarechequello chegiaerafatropublicamenteintuttoilmondo,etfratutte le generationi sicomecosa honoreuole e gloriosa che hora H a fatta nelli picciolie Atretti canto n i d a p u o c h i secretamente, e con ignominia e vergogna. Ma voglio che tu ben consideri una cosa de divina gloria frale altricioeche glie, tanto fodo,fermo,eftabileilfondanientodellatriomphantefede de Chrifto chenon uvole ilDemonio peruerfo emalegno niuadinoallesuefcelerate congregarioni,eradunamenti, neanchorauuole che conuersino con luile Streghe,fepris manop reneganolasantiffimafedediChrifto,e Spreggiar nolisagramemidellasagrosantaRomana Chiesa,econcul cano  Kro Apiftio APISTIO. Loaddimandamo ate.Conciolig che Fronimo noftro erio ftamo venuti quiaccio udiama imperhosettipiace. STREGA .Heime doue fon giuntai DICASTO.Non hauerpauraM a ftapurdibaonauoglia eparlasenzauerunpauéto.E nodubitaredi meconiciofia cheiotiseruaroquátotihopromeffo ciocche'nóseraimar toriata feliberamente manifeftarai iurre letue maluagic opere lequalinonpoffonopioefferpalcofte,perchegiaho liteftimonijcometuseiindettoerroreepeccato etanchot fulhai cófeffato fi comeiográdemenre desiderauo. STREGA. Deh heime. Gia lho detto. Per qualecagionedonque m itormentatidiuolerloanchoraunaltrauolrahora inten; dere? DICASTO ,Perche e bisognodiritornarlo a confef faren o n solamente inantidi duoiu e r ditre teftimoniim s anchoraauantidipiu etalfineanchedavantidituttoilpo polo fedesideridiIchifare la pena tassata dalle leggi e a voi che setidi questa'maledetta compagnia,per tantifacrilegii, et ā r e f c e l e r a t e o p e r e c h e uoi facte. Vero e che gia h i a m e promessodi faretuttoquellocheticomandaro,et10teho promesso seruandotulepromiffioniantidectedinon confo gnartinellemani delGiudice ilqualeincontanentetifareb b e brugiare cosi sendoli c o m a n d a t o dalle leggie.Hor a noir tic o m a n d o altro eccetro che tu ramêti unálıca uolta quelle c o s e c h e t u h a i f a t rco o l i demonii nel giuoco o s t a nel corso come fedice uolgarmente. STREGA. O maladerco giuo co, O giuocoinfelicepme, mala fortemia.DICASTO . Nonbisognanohoralagrime,non piantineanchegridi. STREGA.Deh perquellahumanitaetgentilezzachein uoi leritroua,priegouinon mi uogliateperhora piu darmi faftidio.M a fiaticontentidi concedermiun puoco fpatio di tempo ,etun puoco diriposo  narta tantochemiramentiiltutto ecolidipoiuinarraroognicosa chehofatto:DICASTO. Piacédouigli cöcedero,quellochele piace,etaddimanda. Conciosia chepoiraccotarajl tuttoconmegliore animo, conpiuageuoleuoce,seespettaremoadintrarenelliragia namenti perinfinoadomanc.Doue haueromolto ápiace re,felno uifera graue uiritrouiacipresenti.APISTIO.NO parui   Pauigraueaquellihuomeni desiderosididottrinadiparz cicledesuoipaesia andarperinfinoaGnosocittadiCreta allaspeluncae tempiodiGioueperudireleleggiualiee di Puiocomomento di Minoffe,ediLicurgo,etferaame dun que faftiddioi caminareunmiglio,accioimparqiuellecose lequalinfeo sonovere,almancopaionouerifimilipladispu tatione di Fronimor FRONIMO .Hora mi callegromolto perchetiucdotantoiftimareiionm e nialauerita, puran choraseben nolhai certa cu faialmaco contodellafupility dinediefi.IIperchenoseraanchorame grauedicitornare quidalnostroCaftelloperessercitiodelcorpo.DICASTO Cofi.dunqucretornareridanoi,etioue aspettaro con gran difio,Andatidunqueinpace,E tu guardianodellacarcere ritorna colala Strega,etu Strega pensa benil turco, accio il polli ordinatamente, efenzauerusiabugianarrare. IL SECONDO LIBRO DEL DIALOGO DETTO S a r e g a d e l S i g n o r e Gio u a f r a c e s c o Pico dalla Mirandola &c . molgariggiato dal Veń.P.F.Lcadro delli Albert Biologuese. LE PERSONE RAGIONANO. DICASTO ,APISTIO, STREGA. FRONIMO, DICASTO . O fiatreeben uenuti.Atempo fecigiúti,con Icioliachehorahoraseracondutto fuoridella pregionelaStrega esecamenataauktidinoi. APISTIO. martoriare quel lachegiahacófeffatorAPIST.Deh buonadónano-e-ita to portato quiuerunacosa da sormérarti Vero e cheFroni moetio Gamouenutiquisolamétcp uedertietudirtietan chor p aiutarti quáto potremo.FRON.In Heritacosi-e c o m e ha detto Apifio.STR ,Deh quäto grauemetemi mars torianocotestemanettediferro,ecotefinodiegroppidelle legatureDeh cheioho pauran o mi siendatimaggiori tor menti. F R O N .TipriegoDicafto,comanda chelasciolta. D I C A S T O . I o son cöteto.O caualiere supresto sciogliela. STREGA Hormai cominciaro'un  SNN DELLE STREGHE 10 Ecco coco che e-menata legata. STREGA.Eime,cime.Inquestomodo ferua sile p r o m i s s i o n i P e r q u a l c a g i o n e u u o l e t i poco diripigliar lispiriti   DICASTO. Sta purdibuonauogliaperchetipromettodi n o n m a n c a r e i n u e r u n a c o s a d i quello ti ho promesso o u t chetuserualepromiffionididireiluero senzabugia edi narrareognicosaa punto diquelloferaiinterrogara.Siche racconta iltuttointeramente. Vi prometta di feruarequello cheajho promessoliberamétefenzaalcuna menzogna.DICASTO .Dunque comeciadinarrarequel lecoselequalilaltrogiorno,etalichorahierifuiltardoam e folo cöfeffaftiscriuendoleilNotaio.STREGA.Seuoilerar mencarete,elereducerete amemoria,colleuoftré intercon gationirefponderocon quelordine,cheuoreti.DICASTO AddimadatiuoiApiftioeFronimo,concótentolepofsetiin terrogare cócioliachehoggifarauoltroquestospettacolo, cotesta impresa.Ma eglie be uero che uoglio'effecuipresente acciola ammonisca leusciffefuoridellacarreggiataçlıcome fifuole dire cheritorniallauiadrita. APISTIO.Hor luStre g ad i m m i a n d a f t i m a i a l g i u o c o d i D i a n a o u c r o d i H e r o d i a d e r STREGA. Si sono bene andata al giuoco m a chel fia o diDianao diHerodiadenon il-fo.Conciosia chepia non houditoramentare quelligiuochi.FRONIMO .Gia tedif Si b i e r i Apistio come il Demonio ingannava i uomini in diversi modi. Il perche in queltempo, nelquale era adorata Diana dalle genti, et era molto honorato e glorioso iln o m e d i q u e l l a p e r ilm o n d o , p a r e u a u n a e c c e l l e n t e c o s a d i p o t e r uiessereannoueratofralecompagnedieffaDiana.Benche inpechofufferodetteuergininondimento eranochiamare Nimphe cioespore, ecofilepiaceuadieffereaddimandate f p o s e, m a m a g g i o r m ē t e l e a g gra di valo effetto et opra, ben che non fuffecercatacon legitimorito,ecostume.Concia. siache erano iui continuiftuprietadulterii. Perilche serie ueHomero nellisuoiuerfifouentequellacolgata sentens tia,Nellamefchiaraamicitia.Imperho fauolescamentedi cano comely Dei falsioueroquelli antichiBaconiebbero amorosipiacericonlacompagniadiDiana,ouero diunal traNimpha,odiNapea odiOreade,odiDriadeFengrua noefferleNapeeleDee dellefelue,dellicolliemonticelli, dellifiori,ficomediceuano esserele OrcadeNimphe delli monici  I monni,ele Driade Nimphedelli alberi, Anchora credeuang li Gentili,etilgozzouolgo,chefufferoinamoracęleN i m pheMarineedellifiumi E. Colifouenceleggerai di Cirene Leucotheafintadallantichieffecla Dea Matutacioelauro ta chiamata Dea marina p c h e e r a s o u r a s t ā r c a k c e m p o m a i s mino Et anchor ritrouacaiscrittodiCimgdecene cioediquel laDea,laquale faceua acque care le onde marinesche, secondo le loro fauole, nomanco uederai iscritto molte cose del laltrefinte Dee odelmare,odellifiumi.E percheglipareua efleremolto piu sicuro diconuersareperlim o n i,che som mergersi nellonde delacque etanchorpareuaeffercosa pia aggradeuole.dimitromettersinelle cacciagionidiDiana,che inuilupparfinelliprocellosiflutidi Tritono enelleondema r i n e s c h e, in per ho maggiormente se deleitarono nel giuoco di Diana, ene balliesalci di quella ficome cosepiuaggrade uoli, gioconde,e piaceuoli.Anchora tico dapoi molti altri conlusingheuolimodi sottolafiguradiHerodiadeIdumea laqualegrandementesedeletrauanelliColazzeuoliecraftu. Fattamentionedicotefto giuoco di Diana, ouerdiHerodia debelleleggiedecretidePonteficidouifiramécanoleleg. gifuronocófermateper ilConcilio .Nelqualfu fatto quel l o f t a t u t o, che si dove f f e r o s cacciare le maghe et incantatrici. FRONIMO.Deh ptoafededimmiDicafto,iltimitueffere cotefto quelmedemo giuocode cuinefattomemoria juic DICASTO .lote dito ilmio Fronimo.Sono uarieoppenio nidiquestacosa,conciosiachesonoalcuni,chedicodnoe 6, etsonoaltriche uuoleno siauna noua heresia.FRONIMO Dirolamiafancasia.Iocredochequelloinparcefiaantico etinpartenuouo,cioenuouoquantoallenuouefuperftitio niceerimonie iuihorsaesatino,ficometudicefti,parlando da Philosopho,chelfüfliantico quáto allaesseruia,etsiuouq quanto alliaccidenti. DICASTO .Ben ben Fronimo,cerca mente tuhaiiniaginatouna eccelletedistintione;conlaqua keaffaicofefesciorånochehannodependentiada quelluo 8o, dacuihannopigliaioalcunigrandeoccasione dierrore Iftimadochecotestedonnuzzesianosempreportatealgiuo  . RAZO. BIBLIOTECA EMANUELE LOORIO ) ff   co solamente con la fantasia enoni con ilcorpo. APISTIO. I D u n q u e ru istimiche le Streghe F a n o sempre strafferrite e portatealgiuococon ilcorpo DICASTO.Nonfongiadi quefta oppenione che sempre fano portate cola al giuoco con il corpo, perche a l c u n a v o l t a f o n o f u s e r i t r o u a t e p c o c a le modo accostato f o u r a di un travo c n tanto profondo sono chenofemiuanocosaalcuna benchefufferofortemērebuf sate,etelledipoicredeuonodiefferstateportatealgiuoco, é nondimenoeranojui. Anchora altreuoltesonostateuedo tefralegambe de aleurie,efra lecoscie,esserui delle feope feratecon tanta fermezza chen o sepuoreuano cauare fuori rida che fouente sono portare al giuoco e con ilcorpo e con lanima,et altre uolte pur credendo di efferportateinquelmodo,folamentesono iuipresentecon lafaritafiaetimaginatione: DICASTO. Eglie alcunauolr ta preftigiodelDemonio ouerofalsademostrationeetuna aftura delusione etaltreuolte efecondo che uoglionolestre ghe.Imiricordodihauerelettonellilibridifrate Artigo,e difrateGiacoboThodeschiMaeftriinTheologia dellordia ne de fratiPredicatori,qualmenteeglienarraro diunaftee, ga laquale  pensitu occorca questo  quellechedormiuano,collequalecofe credeuanoeffe dieffereportate al giuoco.APISTIO.Per qualcagione pafsaua quellispatiiintuttiduoi e modi fecon . do che le piaceua,cioe con ilcorpo uigilando etanchor (per fe uolte folamēre con lafantasiacioe quâdo le rincresceua i uiaggio.Ilpercheallhorafedendonelletto ethauedodetto alcune diaboliche parole, regli rappresentavano tutte le com e! del giuocoi una uerdanuvola etoscuracome lacqua det mare ficomeuifufferorealmentestatepresente. FRONTIMO .Che cosa responderefti alliaduerfarii. DICASTO. Primieramente cosiglirispondereicheiomi maraueglio come uoglianomisuraretuttilimodidellisacrileggidelle fuperftitioni edelle magiche uanitadi,con uno folom o d o delviaggio alcunauoltaferuatoinunaregioneepaesedel mondo dauna certafcelefte compagniadidonne profane e rubelledinostrafede ecosivoglianoiftéderequestacosa. atuttelepartidelmodo.Et anchordireiche pěsanoforfidi Capere   scrittore di maggio te autorita dicoluilo racconta.Conciosa che fano aflaicore daGratianoaltrimenteiscritteerivolte,enarraremolto di nerfeda quelle chefuronopublicate nellicöcilii,edallion teficiIperche credoche coteftafussiuna cagione fralaltre perlaqualeironfußlipercoralmodo approuatalacompilaa tionedelDecretodaluifatta,dalliVenerabiliPadri della cose cheseucdeano in quella regione,lequale sonod a n nate perilConcilio .Nondimeno se fanno imperho affat core dellequalinonseleggefufferofattejui  I fapere táto che glipäre di potere coftrēģere tampiao f á n za delDemono,laqualehebbedalprincipiodellasuacrea tioneinunomoriario.Dipoianchoradireichecostoronon polionopatire che siaispofto quelcestodellalegge co ilgiu diciode altrui,liqualicertameresonodi maggiore dottrina acciachecauano fuoriquelle egiudicio,dieffi, coselequali pertegono allanatura,da quellechesonopertinentiallafe de catholica.Anchorfefforzatiodi dimoftrarelaperiamente cfenza uergogna chenon siaquellacosa,laqualenó poffor n o negare chenon sipossa fare etanchorache non siafatta qualcheuolta,eccetto senonlauuolenonegarecon suagiá de profomprione,etignominiacioe negando le migliara deteftimonii.Mafotlianchoruno dimaggioranimodime direbbediuuoler uedereun piufedele effempio delle leggi delConciliochefuffiramentatoda un Chiefa, chefullofferuatainuecedileggiedallaquale non fuffilicitoauerunodiappellare.Horlupuranchoragliuud côcederequelloche diconom a consideraben cheglisiaan choraferratolaboccaad effraduerfarii con la tua ottima di Aintione, ficomeam e pare erinueroegliecos. Perlaquale facilmentefepuo conoscere,qualmente ilcorso ofiailgiuo co dicotefte donniciuole ethuomiciuolineconuienein •parte con quello giuoco ,etinparte euarioe diuerfo da quello .Conciosiache nonse dice quichese creda Diana effereDeadelliPagni,neanchoraseuedonoquiui quelle che sono pur impercio communi collealtrifuperftitionidelliGentili Pagani, etanchorafansiaffai schernieuituperiode Dio,c 2 & ola i    bialimeuoliofferuationqi, uariiritiemaladettichefonofino insegnatidallimalignifpiritie Demonii a questimiferih u o miciuolie donniciuole licomenellidannariunguéti da un gerfi,nella deletratione difpargere ilsangue innocente del lifanciullininella offeruationedelcerchio,nellimagichijn cantamentinellaltrimoltidiabolicimaleficii,eneluiaggio) e discorso grande per l a r i a con il corpo. Colui che  e g a l s e , che il Demonio non puotessemaggiormente mouere licor, pi,chenópoffonoruicilhuomeniinsieme,parládoimperho, naturalmente,equantoalliprencipiinaturalidiciascunodia effiiopenso,cheferebbedaefferreprouatoedánatocome Heretico,perchediceilfan&iffimolobbo chenonepoffan, zafouradellaterrada egualareaquelladelDemonio.Ants choraritrouianoneluangelioqualmente fu portato Miffera GiesuChristonoftrosignordalDomoniosouradelMonte eranche foura delpinnacolodel Tempio.E tenuto indubin tabilmėteuero dalli Theologgi c o m efonoubbedienti cugi licorpi allefortarize separate o fiano alli spiriti ispogliati del corpo, quátoperteneimperhoalmouereda luogoaluogo, ecoli effifpiritinaturalmentelepuonomouere afuopiacess te purnon sianoimpediti daIddio prima causa di tuttele creature ecosi quefta euna disputationedellalegge natu rale cioefepoffonolispiritiignudie priuidimatermiao u e te licorpilo no,m a chesianoportatida luogoa luogo questihuomenicdonne inucritae senza menzogta,eglie, dispurationedel fatto cioe fecost-e-ueramenteIlperchetu debbisapere chgeuadore-certochelepossafareunacolae chetuuuoiintéderedapoieconoscerelee -fattaofefaci, i nólefacialtrimëreno lopuotraiintendereeccettocheper boccadelliteftimonii,ochelhauerannoeffifatto,oueroIba ueranno veduto coli essere; overo l h a y e r a n o u d i t o d aquelli che l’averano fatto che feranostatoueriet certie fidelihuo meni.E cosihora quanto apertene a noi cioeche siano por : tatialmaledetto giuoco,queftirebelliidnoftrafantiflima fede, Ma ve m o fermoechiaro eper cofa indubitabile peril mezzo de gran numero di testimonii, liqualilhannomolto largamente narrato. FRONIMO. Non /ermaraueglia se  quelli   ghellisciocchezzanoinan tefto,cociofiachecoficompren dono laueritacollialtri.I]perche ficomeilgloriosoIddione wahe ilben dalmale cofilhuomenidimalo animo,edima laopeniojie,sefforzanodicauareilmale dalbene.Écolipa rimente perlamalignitadellicatriuihuomeni sonoftateca uate tutteleHereniedallesagre litterenonperdifettoecol pa dieflifagratissimilibri,efantissime littere,m a per la p e r uerfamalitiadellhuomeni.APISTIO.Deh peramore de Iddioaipriegononuogliateinterromperelemie interrogazioni. Benche gia abbia deliberato de interrogar u i poi de dettecore purnon parehorailtempo,fiche ui priegonon m i datiadeffo noglia m a laffatimi seguitare. DICASTO . Tu hai ragioneilnostroApiftio,Seguitapur oltreer addis manda aleiquellochetipiace. APISTIO.Su Stregadimy m i , Andavi tua l g i u o c o c o n l a n i m a i n s i e m e c o n i l c o r p o , o s pur con uno senza laleros Viandaga e con lanimae con ilcorpoinsieme. APISTIO. Come e chiamato quefto. uoftrogiuocor'Eglie chiamato dallinoftriCom, pagni il  DELLE STREGHE,  giuoco della Donna. APISTI . Inchemodoane d a ui tu col a r Deh c h e nogli andava, ma ben gli era portata. APISTIO. Conchecofa: Con una Gramicadacascetareil Lino. APISTIO. Comefiapoffibi lequesto chesiaportataquella,non la portandoueruno STREGA.Má beneraportatadalmio amoroso. APISTIO. Chi-e-coftui STREGA. Ludovigo. APISTIO . EglieforsiunoqualchehuomocosichiamatoSTREGA .. Nonhuomono,ma ilDemonio,chesepresencauainfor ma dihuomo,loqualecredeuofuffiDia ĀPISTIO. Mima raueglio assai certamenteche il demonio ingannatore del Ihuominihabbipigliato questo n o m e de Chriftiani. FRONIMO .T u si marauegli che colui habbia pigliato quelto nome deriuatodalliGentiliePagani,ilqualefefuoletraffi, gurare nello Angiolo della luce. APISTIO. Tudici molto gagliardamente cheegliederiuatodalliGentili. FRONIMO. Anchoraildicoche ederiuatodalliGentili.Concio wachenonmairetrouaraiinuerunoluogone inGrecone ipLatino osiaconefsempio,ocon origine (senonme ingå    noimperho)dondefiaderiuato.Vero e che mi ricordo di avere letto solamente ne Commentarii di Giulio Cesare r Litavico, da cuidipoiun puoco-e.ftatopiegatoerecorto nella lengua franciefaer-e-detto Luilo eriuoltatoanchor poi nella lingua del Lazio, e scritto Lodovico dovi quello se referrisée. APISTIO. Nonuogliopiuoltrediqueftacofadisputare, maggiormeieperhora,percheho deliberatoinqucho tem po divuolerragionare con questanoftraStrega. FRONIMO .IlmioApiftio,hodettoquelloame pare,sempreim ) perhoapparecchiatodiudireleoppenionidepiudottiepia prudentidime. APISTIO .Non piu.HorfSutrega.dehnó cisiamolesdtoi scoprireameinteramentelicuoilasciuipia ceti. STREGA. Dimmi de checosahaitudelideriode ing. Tédereç. APISTIO. Pareuaateunohuomo queftoruoamor roso: STREGA.Sipareuahuomoi tuttelemembrá cecet tochenepiedi.Liqualisemprepareuano piedidiOcchari uoltati a dietro e riuerfatip e r cotal m o d o c h e era riuolto'm dietroquellosuoleesseredauanti.APISTIO .Per quale ca gionecredituDicafto chefinga,ilDemonio tuttelaltrem e bra dahuomo elipiedidaOcchasDICASTO.Setulegt geraituttiliproceflidicotefteStreghefatti dalliInquisito titu ritrouaraiinefliqualmente ilDiavolo osia ilDemo nio,o periluoglichiamare Saranaqffuo,a n d o secangiain cffigiadi huomo,sempre apparecontuttele membrada huomo,eccetto checollipiedi.Dilche inueritatidico cheso uentemenesonomoltomarauigliato ecoliframe hopen f a t o c h e forfi q u e f t a e la ragione. C i o e c h e I d d i o n ó p e r m e s techeelloisprima,e fingatuttalauerafimilitudinedellbuo mo,acciononingannieslohuomo conlaeffigiahumana. E laragioneperchenóhafimiliipiediallaltriniembradel ta finta EFFIGIA de llhuomo credopossaessereperche-e-con fueto diefferelignificatoperipiedinellimisticiparlaridella fcrittura leaffertionie desiderose uoglieet imperho gli pore tariuoltiadietro.cioe cheha lisuoidefideriisemprecontra de Iddio eriuoluicontrodelbenfare.Ma perchecagione p i u p r e f t o h a u uoluto fingere li piedi  de Occa che daltro animale io confesso chiaramente di non sapere,ccettofelnoix  1 ui fuffi ulfuflequalchenascostaproprietanelloccha,la qualsee poi feffe ageuolmente adaptareallamalitia.Ve r o -e-che hora nonm i arricordodihauereuedutoin Ariftotele che siaftai M offeruatafimile cofa da quello,m a anzipiu presto dice; che-e-quella generatione di uccelli molto uergognosa,fe ben m i r a m e n t o . FRONIMO. Diro dua parole Dicafto. Puorrebbeessereanchorachelnoftronimico hauelliuolu to anchoraspargerealcune occoltereliquiedellaantiqua Superftitione delli Genrili.A cuieranogiafagcificateleocche fotroilfallofimulacroe fintaimaginedeInacho ede Ina chide.Jlperchecosileggiamoin Ovidio. se Ne giova il Capiroglio per 'w a Occa - e x f t a t o , $11.Turo,chelfeganon dia Inacho in lance Ma sicomeuuoleno altricofifedebbe dire Inachide ioilfeganon traggiin piattor DicePliniocome eraconsuetudinedipresentareilfigato dellocchaadInachoDiodelloArgiuo fiume.Ilqualeuccel bo dilettaflimolto di praticare perleacque. Ma che fuflifa . grisicatoad Inachide parqueltofacilmenteseproua,cong cioliachefeuedeperlebiftoriedi Herodoto comehauea. nouranzaliSacerdotidelliEgipriidimangiarelecarnidel le ocche, et era i ui rece r i c a et adorata con grande superstiztione Isia cioe Diana.Anchora-emoltopiufaggiala Occa. chenon-e il Canericomediceello et chefacilmentecomo pe c o n meravigliosi modi il silentio della n o t t e e conturba il teporo.AllaqualenottecredeuantoefferefourastanteDia na.IlpercheforsipigliailDemonio lafiguradellipiedidi coreftouccello,peruuoler dareadintenderallisuoiprofani esceleratiseruitoridiquestariaemaluagiacompagniache debbianoseguitarequellouccelloin ftareuigilanti,enon dormirecome quellofa ilquale eruigilanteedipuocofone no,e quando ,etpigliare piaceri,equel tempo cósumarlo nellisceleratiediabolicigiuochi.Anchor raccontasappodalcuniscrittoricome egliequalcheparte di detto aagello  bisogna farelaguardaemoltopreuifta enon dorme etcofidebbono efferquelliche uanoalgiuococioe essereuigilanti et ftarefuegliati c h e prouocaeteccitalefeminea libidines   Puo essere anchesegnodequalche occolto,epazzescoamo te,conciosia che fernroga iscritto qualnienceb r a m m a r o n g leOcche dipigliarelasciuipiaceri con altragenerationede animali.IlpercheritrouiamoscrittodaPlinio,comeseina? morarono le ocche di Oleno fanciullo di Argo, e di Glauco sonatore di Cetra del Re Ptolomeo.Ma egliebenueroche credo chemalefeacicordaffePlinioinquestoluogo,Cócio fia c h e q u e l l o f a n c i u l l o n ó b e b b e nome Olen o, m a A m p h i locodellapatriaOleno ficomeramientaTheophraftonelli broamatorio.E non fuquellacosacoralmentefuoridiragio ne,perchegiafurono annoueratele palmedellipiedi delle Ocche fraledeletteuolietaggradeuoliuiuandedellameo fa.E penso per quefte de efferesignificatole pretiofiflime ui uáde elaggradeuolicibidellaDeliamensa,cioedellamen sadelSole,cheeranoperlaloroeccellentiadamettere auã tiruttiquellicibicheerano dellamensa delSole di Ethio pia.Nellaquale non se legge;ui fuffero posti soura de effa. auantiliconuitati,lipiedidelleOcche,conciosiacheanchor nonhauea penfatoMeffalino Cocta,didoverliarrostire.Par ionoa m e cotestecosemolto piua proposto che quello dico n o a l c u m i , cio e che le ocche abbiano prudenza perche se narra che domesticamente conversaveno nelli bagnic on Lascido Philosopho, Il perche io istimo chequestomodo dicon uerfationcedibeneuolentia,piupreftofuffifimileaquello, c o n i l q u a l e c o n u e r s a u a A i a c e L o c r e s e c o n il d r a g o n e . E c o s i anchora pensonon fuffimolto discosto daquesta cosa,quel lafamiliareuoce,laqualeudiua Socrate,etanchora iftimo fuflimoltosimilequellaltrauoceper laqualediuinaua leca seoccolteetannotiaua quelledauenire Atridea Laomea dontiade,sicomenarranoquelli Versi,fccitcidaOrpheo con iltitolo dellepietre,ficome sedice.Non -e-anche total 'mente discostodaogniragioneloproprietadellanaturadi questo uccello ,quäto alla uelocita del caminare che fanno nel uiaggio ,laquale uelocita e'molto fimile a quella del giuocodelleStreghe.Ilperchenonretrouiamochefulsigia maiuerunoaugello ilqualefaceffeapieditantolongouiag gio,quantoleOccheLequali uenerodalliMorini lipopoli (  cioedal   etancho fada Ciceroneilqualenonerauedutodaalcroeccettoche dalai. DICASTO.Nonsolamente qucftointeruieneinuc derelispettacolietfinteimaginidelDemonio m a anchors nelliprodigiietapparitionidiuine,cioeche quellecosesono alcunauoltadapupchịuedute.Et dimoftrate siano acciolas Gli altrisolamente ioramentato di quell u m e che era soura delcapodifantoMartinozilquale fuueduto dapuochifico me narraSeueroSulpitio etanchorpurdirbediquelaltro lumecheilluminauaSantoAmbrogiochi padaua,loqualso JamérévedeuaPaulino.Ma chequeltaimaginedel Demonio, solamente l i q u e d u t a dalla strega , i o d i r o la mia o p p e li popoli Belgicichesonoliultimidellhuomeni,licomedice Plinio,etcaminarono colliproprijpiediperinfinoaR o m a APISTIO .Dimini Strega,Dimoftrauelo mai altrafornia delli piedi,quando ueniua da te,eccetto chedi Occa. NO maidiniostroe alıcamente.APISTIQ.In chemodo ueniualodatesSTREGA.Alcunauoltaaddima datodame etanchefouentedaseisteffo.APISTIO.Neue n i y a m o s e m p r e in FORMA DI UOMO. Si sempre fedimostrayaineffigiadi uomo quando pigliauaamorosi piacecimeco, APISTIO. Q quegliconuna rugosa egia grinzafemina STREGA.Eie me Eime,OimeOime.DICASTO .Dichehaitupaura Chi e quello che cifpaventa Vedetile,uedetile DIGAS.Doui,douirSTREGA.Colti,cofti,almuro alm u to.DICASTO .Informadecui?STREGA,Di Passece. DICASTO. Dehbémicati comehorahapigliatolaeffigia diun molto libidinoso aụgello non contrasio alcagioname codellamiala femina,laquale fouerchja conlasua infaçiabir lecifrenatauogliaturcisimoftridellafozza libidite.APIE STIO.Hoquantomimaraueglio chenonsiaverundinoi, cheuediquestafintaPafferă eccecto,chiella.DICASTO . Ben iopoffomirare,m a gianonlapoffo yedete,e cosipara menon siauérundiuoichelaueda.APISTIO.O certame marauigliolacosa.FRONIMO .Deh uedetiinchemodo semarauegliailnostro Apistio.Matunonsimaraueglidello anellodiGigeLidiopaftore,ramétato daPlatone, che piaceri yuoreuano eßerç gg 0 el 70 CO 21 el al di no del Tagnione, lo penso posla interuenire questofacilmereperlami citia,egrande familiaritahacon quello. E cosioccorre per janridettafamiliaritache-eportataefanellamantocioein quellocherätoamanonsolamente conliocchima anchor confla poffanıza imaginaria. E t anchora ilconosce e distize guedallialtciuccellietanimali,quandoseglirappresenta, ineffigiadiquegli,sicomehoudicoda effa,percheleparë una fiammaardente glijmpinganelpetro,ilcheno leinter nienenelscontrodellialtrianimali.Giafolio tregiorniche raccontotuttaspauentata dihauere uedutolantidettofuo amoroso informadiunatortuofaserpecjuolainmododi un cerchio. FRONIMO.Cosi haitu letto Apiftio,qualmen te apparelli ilD e m o n i o alliGentilii n effigia diserpe,et ant chorainfimilitudinediaugelli.Nontiricordidihauerueda tonellilibricome guidarcizoli CoruiAlessandroalloOrae culo eTempio diHamone,doui,egliandauas APISTIO . Siholetto etanchorahorixouato,(febenmiricordo)com me fecerolimileufficiopur ancheliDragoni.FRONI M O ,Chenedicudiquestecosemarauigliore?Non istimie f u c h e f u f f e r o q u e l l i li demonii im a l u a g i i ,i n f o r m a d i C o r u i t Etanchor non creditu fufferofimilmente liDemonii quel l i d u o i C o r u i a n n o v e r a t i fra le g r a n d i m a r a y e g l i e d a Arifto tele,chestavanoin CariacircailTempio diGioues D u n g perchetantonimarauegli conciolia cheritrouiamoinPli nio come fufle usanza diuscire fuoridella bocca diAci fteaProconesiolauaga anima di Hermolimo Glazomeno in fimileeffigiadeCorui.De cuisediceua fauolofamence chiquellafullanimadieffo,non datuttiuedutam a Sola: mente daalcunihuomeni. Mamancotutimarauegliaretti se tu fapefliquello che-e-raccontato daAriftoteleetanchor dapiualtriscrittori,diquellohuomo Thalio.APIST.Deb p e r t u a c o r t e s i a r a c o n t a q u e l l o g l i i n t e r u e n i f f e . F R O GN l. i interueneuache gliandauainantiedietrolaboccaunalimi le figura,laqualenon era ueduta dallalecihuomeni.APIST. Dunquesenzaleggerezzadianimofepuo crederéaleuna uoltachequellimuoiono,ficomediconoalcupniorkojjoue derelibuoniereifpiritinelliassumpticorpiliqualinon fon   ueduci   geduti dallaltri& FRONIMO. O fi fi,questa-e-cosacerta. Conciofia che e creduto questo a tanti prodi,et eccellenti huomeni,liqualinarranocotefto etanchoraeglieda molti dotti authori suco scritto.APISTIO . D i m m i b u o n a d o n n a , feļanchora parritala paura,che haueuis S T R E G A .Si ben feparte.coliperiluoftroragionare,come anchoraperlauo ftraprefentia. APISTIO.pEoflibile chetuhaggicançapau ra del tuo amorosos Qime.Gia non lo temeus, M a dipoiche sono condutta nella prigione,et haggio con : tra suauogliaconfeffato linoftrilasciuipiaceri,grandemen te,etoltrodiquellofiapoffibilediraccontaremi spauéta.E qualche uolca se fermaaquellousciuolodellaprigione,eta quella feneftrella,reprehendomiedimoftrandosimolto for teturbatocomeco.Edipoimiprometteogniagiutorioper cauarmifuoridi quiui,purche ioftiaquerae tacciperloaue nire,epianoconfeffiuerunacosama anzinieghiquelloche gia ho confeffato.A P I S T I O . T e spauentauelom a i quando tuandauialgiuocorSTREGA.No certamente.APIŞTIO Andauicu quiui ogni giorno,o pur inqualche tempo deteira minato :S T R E G A .Viandauanella secondanotredopod giorno dalSabbato,edipoida quindi nellaquarta notte, cioe'nellanottedelLune edellaZobia.APISTIO.Glian daftimaidigiorno:STREGA.Nomai.FRONIMO.De quindi sipuo anchorconoscere lereliquie dellamica super Aicione,fetutiramentarailj ululatiuoci.egrida,fattiad He cate,altrimentechiamata Diana,eLuna,nellinotturni Teja u i p e r l e C i t t a d e. A c u i f o l e u a n o f a r e o r a t i o n e le d o n n e f i c o m e scriue Pindaro ,quando limaschi separati,secondo la lo to usanzasoleuanoancheeglifareorationealSole,per con ikeguire liloroamorosi piaceri.Ijpercheeradedicatolanoki " re a c o r e f t i r a g i o n a m e n t i et a p p a c e n d o il g i o r n o , i n c o n t a . nientierano terminati esiparlamenti.E percio leggiamo quel uerfo. M i h a fiato laspro oriente collieqai anheli. APIS.Forhgiacesottodiquesuton a cosamoltopiuascoffa FRON.Chicosa APIST. QuellochediceilgrecoPoeta Menandro.M a iolodicoinuolgare quelloieringreco cofi.  Com  O nortererbisogno a tedi affaicaénalipiaceri.D I C A S T O . Cerraméte ciascun di uoidotcaméte,m a humanaméte par l a . M a i o u o g l i o r a c c o n t a r e u n a d i u i n a fetentia e n o n c o s a d i paocomomento neanchoraproceduradalloinganneuole o r a c o l o d i A p o l l i n e ,m a d a q u e l l a s o p r a n i a u e r i t a d e I d d i o . APISTIO.N o n bisognatanto proemio,fu di presto,selti piace. DICASTO.Ioildiro,nonhauerepauca. Cofidice C h r i f t o n e l u ä g e l i o . C o l u i c h i m a l e o p e r a h a in o dio la luce. FRONIMO. Certamente tuhairamentato quello chi e veriffimo.APISTIO.Horlu dimmio bona Strega chivuol direche non andauati a questi balli e giuochidiDiana,odi Herodiade ouero ficome le chiamatia quellidella D o n n a , nellaltrinortif Maaccio iodica piu chiaraméte, perche non erauativoipresentelealtrinottiallimal gradevoli prestigii, e b j a r m e g o l i i l l a f i o n id e l D e m o n i o r o u e r p e r c h e n ó p a r e u a a teuifuffipresentes STREGA . I nollo fo.APIST .Te appa recchiauicu,ouero loafpetrauicheteportaffe STREGA : C o s i f a c e u a f a t t o il c e r c h i o m i u n g e u a , e f a l i u a a c a u a l l o d i un fcanno, etincontanenteeraportataperariaper insinoak giuoco.Anchota alcunauolaconculcauacolli piedilah o Atia fagratanelcircolo,conmoki ischerni,etallhoraallhora sepresentavailmioLudouico,con ilqualepigliauaamorosi piacerifecondochemipiaceua.APISTIO . Dichecofare. composto quefto uoftro maladetto unguento :S T R E G A Fra laltticose, epermaggiorparte fattodifanguedefanciul kini.APISTIO IncheparteteungeuitisSTREGA.Eime Mivergognodiraccontarlo.APISTIO.Dsefacciataetim pudica meretrice,tutiuergognidinarrare quellocheto nonseivergognatodifare?ŠTREGA .E coreftamocofi gran merauigliar APISTIO.Sutielenara ferpe gera fuori I u e l e n o . V i a u i a d i fu i n c h i l u o g o u n g e u i t u r S T R E G A . Giachefiabisognolodicahor fuildiro.Vngenammiquel lifuoghicolliqualimi pongo asedere. APISTIO .Dehuer deticonquantahoneftaibadetto.M ahograndesideriode intendere inquantofpatioditempoeri túportatada cafa tuaperinfinoalgiuoco.STREGĂ .In puocospatio.API STIO.Quátomo puocor STREGA.Inmanco dimezza: 1   hora. APISTIO.Quanto eritu discostoda terraquando te eriportata?STREGA.Tátoquanco-e-laltezzadiuna gius ftaforre.APIST.Ho pur gran defideriode intendere quello che sifain questo uostro sceleratogiuoco.Iperche o buona Strega se desideriche fa quiuenuro per douertiagiutare, de no tirecrescadi narrare currequelle cose che iuisefanno per cotal modo ficomelerappresentaffitotalmentea noi.Il faro sendo dunque giuntaal fiume Giordano. APISTIO.Aspettaun puocoluSiregama dimme Fronimo;Che cola odiť llfiumeGiordanos FRONIMO , Credo que ftaefferuna bugia del demonio cioechesefacci tanto uiaggioperiosmoalfiume Giordaso in cofipuocofra tjoditempos Perilchepensocheellodica queftinocabuli eccellentiluoghiaquestedonnuzze acciomaggiormente leucceglie leinganniemoltopiu'letegalegalecollilega m i delin o m i d eprimi e magnifici luoghi.. nore da creder t e c h e sia p o r t a t o u n o h u o m o in m e z z a h o r a d e l l a I t a l i a n e l laAlia.Ma forfihapigliatoSathanafloda quindiilcolore della fauolapchehabitauacola Herodiade.Veroc chemol tomimarauegliononfingachesianporcate nellaScithia alTempiodiDiana. Ilcheforsfiengerebbe quello fraudu tente nemico dellhuomo,fefufficoli domestico e familiare il n o m e d e l l a S c i t h i a , q u a n t o q u e l l o d e l Giordano: L o g u a leconosce ciascunchi ha udito recitareiluangelio nellia grati Tempii. Dipoinon -e-molto conueneuole quefto fute m e a quello fcelerato giuoco,m a fiben ferebbe a propofto quello Taurico,non sagro m a facrilego perle crudeliffime a c c i f i o n i e f p a r g i m e t e d is a n g u e . M a f o r s e l e c o n d u c e a d u n altro fiuineiui uicino,efa parere alloro, che siano altroui. Benchesianodella trilequaliconfeffanodinon esserepor tate allacqua ouero alfiumem a fiben foura delle fomitati dellimonti,etiuifermate.DICASTO .Non pareameim possibileche possonoefferportate alGiordanealmanco per fpatiodi due hore,ficome quasituttele streghe fra fecouie neno, edicono.FRONIMO.Iftimitu chequellepoffong misuraretantospatio,quanto/e-fraquestanostra patria ela Siria,elaPheniciaincofipuocotempor DICASTO .Dimmi Fronimo. Non puo il Demonio mouere li corpi afuopia cece FRONIMO .Si.Manon seguita pecho cheglimuor uaincofipuocotempo cioecheleconducaosiasouradella terra,uerloloIlluciohora chiamata SchiauoniaOuero alla finestrauersola Ibracia,quero alladestraper lAfrica odero passandoilmare lonio eloEgeof,ouradiCorcitadelPelo ponesfloo,u r a leCiclade,guardando Rhodo eCipro,ecosi leggendofiano porte foura della rippa del G i o r d a n o . D E CASTO.Chi prohibiffecoteita cufarFRONIMO .Lituoj dottori.DICASTO. I n che m o d o ilprohibisconosFRONI M O In quelmodo cheuieraSantoThomafo.deAcquino come nonpuoeffermoffatuttalagrandezzadellaterradal Demoniodaluogoaluogo,facendoliresistentialagranmae Atranatura.Laqualeuierachefiarouinatoetotalmentegua ftoloimegroordinedellecreature e delli elementi.Eglic c o n t r o l a n a t u r a d e lc o r p o h u m a n o d i e f f e r p o r t a t o c o n c a n ta celerisa con laquale insiensefe conferui et fi guasti.Ilper che uiueno quellecose cheferebbe neceffario perloimpi todellaria chemancallino,perchenon effendo in ueruna cosamutata lanaturadiquello gliferebbegrandeoftacolo e grande contrariera.M a lepurfimuralie diuentaffipiura do facilmenteseabbruggiarebbeedouentarebbe fuogo,er anchora sedouentaffepiuspeffoefodo,maggiormentei m pedirebbe la uelocita,etageuolozza delcorso.Anchoraiosi uogliodire piu chelecumoueflituttalariacon latuafantam Sia ficomefermoilcielo Ariftotele conla sua etappodelki Greci feceancheilsimulePhilopono,efimilmenteScotoap podelli fuoiseguaci anchora serebbe cotto dite,sendouiin oppositol a intrinsecanatura f i a d o , e d e l l i u č c i, o d e l l a r i a l e c ó s u m a r e b b e p i u t e m p o a s s a i diquellochediconointerporui.APISTIO Vipriego,lagi cötenti,dilasare a dechiararequefte sottilitadead uno altro giorno.HorsuStregaseguitaparoleo. S T R E G A .Sendo dunque cola giuntivediamo federelaDonnadel giuoco  1 d e l l a quätita.Perlaquale bife gnachesiaportatounapartedopo laleradieffo corpoper quelgrandeuacuo dinullaariariempiuto.Iperchedaqui uiin Afiatoleo uiaogni impedimento della resistencia del insieme   12 20 .Eglie staro Berno molto conos al la 10 OL ud NI 10 Hal insiemeconilsuoamoroso:APISTIO Chie/coluie S T R E G A. N o n lo so.M a soben questo che è uno belliffie m o h u o n o d i u n a r i c c a u e f t e d i o r o m o l t o b e n a d d o b a t o . APISTIO .Seguita pur.STREGA.Quiuiporrauamoal. sembianti receuendole,lecomanda chesiano pofte rouradiunoscanno,edipoicicomandalidiamoindi sprégiodeIddio dellipiedifoura,edipoianchoracúole che gliurinamo foura eche lifacia motuttiliuituperii poffemo. APISTIO. O Diobuono,oimeche odidire?Chifu quele Jotantomaluaggio huomo chetidequestesagradehoftie daportarea coteftomaledetto,etiscommunicatogiuocot sciutoinquesto Caftello DICASTO.O scelerato.O inico operuerfohuomo:fouidicoche credosiastatouno delj p i u s c e l e r a t i h u o m e n i c h e m a i fi r i c e o u a f f i n o a l m ó d o . I l p e t che hauendolo ritrouatoimbratato in mille sceleritadelo giudicai fulli primieramente degradato,cioe priuato della compagnia delli miniftri di Chrifto e dipoi ilconsegnai al Podefta,etello incontenente,segondola ordinatione delle leggi,lofecebrugiare.APISTIO.DehStreganon laffareil comenciato ragionamente. Poimangiamo,be temo,ecidiamo amorofipiaceri.Hormaicheuvoletipia intendere?APISTIO.Voglioche raccontiaparteper par teiltutto.Ma primadimmichecosamangiatic STREĠA . Dellacarne edellialtricibi,chefifuolenousarenellicon uiti.APISTIO.Dondebaueticotefteuiuande :STREGA . Vecidemo dellibuoim a eglieben uero,che dipoi resusciz Tano. APISTIO. De chisono&STREGA.Sonodellinor ftrinemici etanchora cauamo deluino fuoridelle uegge e delliuaffelliacciopossiamobere.Et dipoichehauemomant giatoe benbeuutcoiascun addimanda ilsuoamoroso,cioe Demonio informadihuomo'perfatiffareallasualibidino fa uogliae con huomenichiedeno lesuc amorose, anche el 3 D i m o n i i i n e f f i g i a d i b e l l i s s i m e p o l c e l l e , e g i o v a n e e in t a l modo ciascunpigliaamorosipiaceriefatiffaallefireffrena, an del Tai pi na 5ell ap Tin adi 60 laDonnadellehostieconsagrate.E quellaconallegrafaca oli cia e gratiofi 36 teuoglie.DICAS.Paiono am e illusioni efauole quelle che diconio dellibuoi.FRO.Sonosimiliaquellecosedellequali  narrafauolescamente colui. APISTIO.Chicola:FRONIMO.Conosco chetuvuoilodicainuolgare,quello che e scriccoin greco,Hor fucosidice. Vápoje caminano e cuoi,ç muggislenolecainidellibuoi.APISTIO .Vetaméte fono simili.Chedifferentiaechicaminafouradellaterrailcuoio del buc,e che moto libra m u g g i f f e n o e ftridano le carni m e z z e cotte, da queftoprestigioefincaimaginatione,cioechepiegatala p e l i e d e l b u e g i a m a n g i a c a , f a l i l c a f o u r a li p i e d i : F R O N I K MO.Gócederonoli antichichemandaffelauocelanauedi taggio di Argo ,etanchor diflenoche diuinosu cauallo di Achille.MacoluichinonnjegaparlafsıXanho cioeilca. HallodiHettore,iltimamochenegara ilPegaffo,cioeilca uallocollealidePerfeo oilDedalo,ouero coluiloquale ci portomarauigliosefpogliedelmoftrodiLibia,ilqualeAtrac ciaualatenerellaariacolle ftridentialitAPISTIO.Masetu c r e d i c h e u o l i e f f a Strega, Per c h e f o r r i d j e t u n e s a i b e f f e q u a d o c u l e g g i, q u a l m e n t e le P a r c h a l i e p e i n e p o r t a r o no Perseo: FRONIM O . N o mirido fe tu ftimichesianofacceque ItecoseconactedelDemonio,mafibenmi rido,etmene fobeffefecuctedichesianofacteperopera etingegno del thuomo lopensochenone /similemoftro,cioe difingere che l’huomo o ilcauallohabbialepenne peruolare,odifins gerecheilcauallohabbiaintalmodo lalenguachelapossa tiuolarlaepiegarlaperproferireleparole.cócioliachemol siaugelletrisenzaalcunomiracoloperopera egradeactifs, ciodellhuominiapuocoapocoimparanodiprofericemol teparoleecofifendouiulaiileproferisconoS.e dunquese inlegna dirivolgerela lengua acoteftiaugеlletiper cotale m r t che proferisconolhumane parole,quanto maggiore menteseporradire chelopossanofarelefoftantieseparate osjano buoni oreifpiritiecioe di poter riuolgere la lengua per labocca dellianimalipercotalmodo che proferiscano dritamenteleparolesAPISTIO .Tu dichequestofępuo fare. FRONIMO. Anche ilconfermo conciolia che solo ciascundeeffifpiritidinaturaeguale.APISTIO Ilpuoise ftiprouarecon qualcheeffempio: FRONIMO. Molto ben i pollo prouare,M a h o t a ne baftiano raccontato nel fagta   libro d e i N u m e r i,cioeche la Afina di B a l a a m parloe.E dit conoeTheologgicheparloeperoperadellangiolo concio fiache effanon fapeua c o s i lendoli quelloche dicesse, rivol tae conduta lalenguaadire quello cheera commodo er ageuole per loeffercito delliHebrei.D e cuine hauea gouee noe curailbuon Angiolo;sicomeraccontalascritturaecosi b o narrato quefto effempio solamente accio io tacci quelle historiegia'narratede quellibuoidelliGentili,che parlaro 00, APISTIO .DedimmiStrega.Noisapiamocomenon hranno liDemoniicarneneoffadunque come mangiano, b e u e n o , e l u f f u r i a n o r S a r e f p o n d i p r e f t o . S T R E G S A i c o n . me ame pare, fonosimiliq,uantoallepartiuergognosealla carne,APISTIO.Patreftidarciuneffempio diqualcheco fa c h e sia f i m i l e a q u e l l i suoi corpi.  STREGA. N o lo so ben Ma purpaionoaffaisimilialla ftoppaouecoalbambagio, quando e-coffrettoinsiemee condeniaio.Cosipaionoquel lineltoccare,miasempre sonoimperho freddi.APISTIO . H o r seguica piu a u a n t i . STREGA . P o i e r a u a m o satiatidelli carnali piaceri erauamo portatiallenoftrecase.APISTIO . N o n tiueneuam a i quiuiaúisitare: STREGA .E fpeffeuola te.Anchor qualche uoltaquando andaua almercato,eritor naua accompagniauammi.E ricordammicome ritornando acasaungiornofuiltardodalCaftello effendoegliinmia compagnia,tre uolte pigliaffimoinsieme amorosi piaceri auantigiongeflia casa.APIS TIO.Quanto -e-discottola tua casadallemura delCastellorSTREGA.Circadiun mi gliaro. APISTIO.Danque non emarauegliafelfimoftro effomaluagio Demonio informa dellamolto libidinofa paf feratM a pur Fronimo,iotedicoiluero,anchora non posso capirceon ilmio ingengno cheuoglionosignificarecoretti tantosozzipiacericarnali.FRONIMO.Tidirolamiaopi pênione Iopenso chefaccicotestoeslo ingánatoredellhuor menipersatisfacealleffrenateuoglie diqueste facciate et impudichemeretricilequalinonhannoiltimore'de Iddio, Chi e quellofienochefacaminarelhuomosecondoilraa gioneuole appetito egiustodifio.Ilperché remofio tantideta t o f r e n o d e l l a r a g i o n re i m a n e l h u o m o c o m e u n o a n i m a l e hh LIO 10 Eté 11 1 TO    xrationale, efi comeunabeftia, ecosidipoidesidebraram. ma et anchora cerca le cose da bestia ,etineffefedeletra. APISTIO.Ne anchepercioeglieposibilechepoffacapite con lanimo donde poffono hauere tanti lasciui piaceri DICASTO :Chehabbianograndipiacericredochelpoffa interuenireperpiu cagioni,dellequalialcuneneraccontato Jarrelaffaropermaggiorehonefta. Conciosiachehauemo a parlare sempre in cotalm o d o ,eprencipalmente incolga k cheanchorlapudica orecchiauipoffaftare.Puodunque guestointeruenire,almiogiudiciopercheseglidimostrail Demonio maladettoinunamolto aggradeuole figura,cioc belladifaccia colliladrjocchiecon ilgiocondo uolto con ciofiachepuocoimportaalDemonio difingeree difigura. Re una formadiariaofozzao veramente bella, ecosifigura te formeficomeparepoffonpiacereaquellicheuuoleinga nare Ilperchecofilosinghaetiraquellemeschinelledonni ciuolea fecon effa fintabellezzaecolliocchicosifigurati, etconlafciuifembianti.Etanchoraacciochemaggiorment tele ingannano fingonodieffereinamotatidiloro.11fimile fannouerfodiquelli sciagurati huomeni,diinoftrandosi in forma di belle damiselle,ecosi uifanno apparerecuttele proporcionidellemembra,etuttelebellezze,etuttililasci. uisembianti che desidarano accio che meglio glipoffono ingannare. Dipoianchorgli fannoparerequellipiaceriche hannoconqueftefinteimaginisianomoltomaggiori che poffonohanerecolli'uerihuomeni,econ leueredonne: Hor pensacome sono inganriati,etuccellatidalDemonio.Ecoh n a r c a u a quello scel e r a t o , e (maledetto incantatore di Don Benedettoauantinominato.IIqualeraccontauaqualmeno tegliparcuadihauerehauutomaggioredelectationecon il Demonjoiqueftafintaimagine chiamatadase Armelina checon tuttelalaifemine,collequalihaueamaihauutolara uipiaceri.Etaccionon pensaftiche con puochefefuffii m pazzatio o tiuogliodireche questafozza bestia,piu presto cofilo chiamaro che h u o m o anchora hauea hauuto uno fie gliuolodella propria sorella.Ionon dicocosache sia secreta cóciosiachetuttequeftecosecheraccoratosonoiscrittenel   ljgrocelli   U p r o t e f l i f a t t i d i lui. Era tan t o i m p a z z i t o d e t mt o i s e r o h uomo in queftodiabolico amore,epercotalmodo beftialme t e brugiaua di cotefta fua Armelina. cioe del Demonio in do ficomefannoduoicompagni insieme benchenonfuffo ucduta dalcunoaltro. Ilperchefendouditocosi ragionare, n o n sendo ueduta quella pensaua chiunque ludiua chefufti doucntatopazzo.Debuditelescelerateopete checostuifa ceuaperamoredicotestasua Armelina nonbattiggjaua fanciulliniquando glierano portati fecondo la conluetudi medeChristianiperdouerebattiggiare, ma hauendo fino de battiggiarliconliremidadaacasasenza battesmno, o n consacrauale hoftic quádo diceualam e s a benche fengeffe diconsegrarleecolligefti,econ un certomormorio,perna fcondere lisuoifrodi,ecosifaceualeadorare alpopolo,non fondoconsegrate.Veco-e-chesepur qualcheuolcadritame t e h a u e f f e consegrate, alzando la sagrada hostia in alto per dimostrarla al popolo ci o e ilcrocifissooaltrafu gura collipiedi riuoltiinsuinuituperioetiscerno de Iddio edallasuafantiffimafede.Dipoileconseruauaperdarlealle fccleratefemine,etallimaluaggihuomeni,accioleportaffe toalmaledettoetiscómunicato giuoco.E coliquellodiabo tico ebeftialeamore era causa dicantipeccati. Anchora -e nellam e d e m epazzia unaltroftoltoe pazzo,chiamato ilPi heao ilqualetantopazzescamente amaunodiauolodetta dalui Fiorinache seglidimoftraiu forma de femina,che fouente hămidettoiftaminandolo piupreftodiuuolerepa. siteognimartorio,che abbandonaretantabelligimafer mina conlaqualehahauutotantiamorosipiaceriquarant taanni. Eper cotalmodo-erdivenutoatantapazzia chenå eredeefferaltroIddicohe quella.Vedetiquantosonoinui, luppati costi meschinelli h u o m e n i nelle reti del dem o n i o . Etanchor non pensati chesolamente commettano cotefti fceleratispreciatori dellafantiffima c triomphacifima fede  1 formdai femina,chesouentelhaueainsuacompagniaspas leggiandoper lapiazza,ecosiandauanoinsiemeragionan f i c o m e sisuolela alząua con lafigura luie-figurataridottaalcontrario 11 1 hh ii f el   diChristo,dellipeccaticircalasagrahoftiaereffagloriofiff m a f e d e f e n d lo e g a t i d a q u e s t o p a z z e s c o a m o r e , m a a n c h o c o m m e t c e n o dellaltri male opere senza numero . C o n c i o Siache cobbano lecose dealiruiimbrattano ogniluogo col lisuoimaleficii esouradelcurto sonosommerli coralmente n e l l i a d u l t e r i i, n e s t u p r i i n c e s t i e f o r n i c a t i o n i. N o n h a n n o c o spettodicommettere lipeccati con pacenti,sorelle,fratelli et altrepersone.Vccidenoli fanciulliasciugano ilsangue di quellifannouenireedescendece dalcieloacerbiflimetemi p e s t e g u a s t i n o li c a m p i e l e f r u t t a c o n l a g r á d i n e, e g r a g n u o s la con tanta ruina, che pare se ferebbono portati piu m o d e l Atamente quelliche anticamente incantauano le feutta controdelliqualidipoifufattalaleggeescrittanelledodeci tauole.APISTIO. Dunquenon folamente sefforzano di daredannoallefrutta,etallealtrecose cheproducelaterra ma ancheracercanoperogniuiadinuocereanoicon ilcic loe con laria checi copri: Caccio  so. DICASTO .Addimandalotua dei, APISTIO. HaigiamaicuStregacommoffolituonice, Catto balenare laria? Sifpeffeuolte. APISTIQ . Hai tu guaftele biade con la grandineouerotempeftas STREGA. Nouna voltamalouentefi. APISTIO. Inchi modorSTREGA, Fatto chehauea ilcerchioeccocheinco t i n e un u ei n i u a i l m i o Ludovigo , m a n o n i n f o r m a di bu o m o mainfigura di fuoco. Allhoracomençiquenodiscedere del lariafulgore,efenteuasituoni,ebalenaua il cielo edipoicas Scauala grandineetempeftasouradellicampie prencipal mentesourade quellicheeranonoftrinemici,delliqualide fiderauafufferotouinatie.guafti.APISTIO.Deh dimmi, peramore:decuifaciuicucantarouina:STREGA.llface uaperodio,enon peramore.FRONIMO.Miricordodi hauerlettoneuersi comeeDemoniifaceuanoli ftrepiti,co fidicendoloingegnosopoetaOuidioinquestomodo nos minádolisottoilnome delliDei,oueroquellimaleficiiicuc.. cedella persona dieffo. Perqualagiutoquandouolfaftrenfor: Ifiumiinfoncisuoitornare e mosh Inftabelcofe,ftabelfompreuenfi,   Regietto,euenci echiamo quandopiacemmi. Ma questanoftraSirega,piupotentechMeedeaeccitoan thoralatempeftae grandine elaconduffefouradellebia de. Anchora tirano gli animi dellbuomeni'ne peccati colli fuoilafciuipiaceri,perchelosinghanolisentimenticon effi. Ilperchehomai-e-qualirinouatoquel detto diLucano in queftonoftroCastello cosidicendo, Ārfenoiuecchi dillicitafiamma Netantola bevanda nofsia uale 1. Quanto la modella caua l l a e r e t t o Ri f a t o i n f u c c o, l a m e n t e f e i n f i a m m a: E perisce incantata,né piu fale Deluelen haufto pura del defetto. Eraquelmaluaggio Don Benedetto,decuihauemo ragio nato de annisettanta duoi,quando gliscacciaflimolafiami niadelfceleratoamore con laqualetanto ama quella sua Armelina,o quellofuoDiavolo,informadifemincaon una altra grandiffimafiamma uscitadiuna granftipadi legoed E cosiromaseturcoincenere.E questo-e-ilmodo dascaccia re u n fuogo con laltro.Vine-unalcroin quefto fcelera s a m o te rommerfochibaoltrodisettanciqueanni,etanchoruno altrocheha vedutooccanta folfitü,Liqual andauano aldet toprofanoetifcommunicatogiuoco delDiauoloottouolre m e s e l e c o s t -e f t a t o c o n o s c i u t o pe r t e f t i m o n i o e c o n f e f f i o n fiede molti dieffriniquiemaluaggihuomeni,chenon sono folamenteunao due puero treStreghe,m a sonoingrande moltitudine,ecofiche non sono solamente ute o quatro stre gonierscelecacimaschi,liqualiuannoa questo indiauolato giuoco,ethannoquestiprofanipiaceri colliDemoniiinefli gia difemine,m a egliesutotitrouatopercerto comeuiuar noingrannumero ecin granmoltitudinpeercotalmodo che credono secondo la loro iftimatione che ui si ritroua a quefta maledetta congregatione oltro di due migliaradi persone APISTIO. Oh chefenteio diceslaantiquitasola, mentebalaffatoinscrittoditreouetquarto Maghe digrå  Caccioconlamiavoceilmalfe fpiacemmi Carco dinebbie,enebbiealseren genero  m a ame parechenenoftri fama, giorniseritrouanomolte Medee,no puoche Candie, nó una sola Ericho. FRONIMO. Tu cinaraucgliiche se ritrouano-secento M e d e e con cijoria chetusaibecn h e son inuna Citra della lialiadodece migliaradiCircecioedimeretrici,lequalisonotenuefora lenondimenotunon timeraueglidieffe.APISTIO .Ben bente intendo.I percheperbuon rispetto,no bisognaalati mente cercareouero inueftigareil sentiment dellpaarabo la perlinascostiluogbj. FRONIMO. Diroe anche due pa role.loistimo chehabbiaIddio con sua gran prudemtia uos lutofermareestabilirelasuafanciffimafedenelliapimi del lifideliindiuersimodiperfarecrescerepiu ampiamentein ogni canto la christia n a r e l i g i o n e in q u e s t o infelice tempo, Helquale pareuadiognicoladimale in peggio. APISTIO , Inchemodo FRONIMO.  Prencipalmėteincemodi.E primaperilfucceffodellecosegiapredetteetannunciate,de poiper limviracolifattidiuinamente epoianchoraperillco prireche ha fattoladiuinaprouidentiadellescelerirade de de corefti indiauolari riti,e maledetteopere dellantidecco molto bialme uole giuoco. Giahauemouedutouenireapun tole sanguinolenti guerre la crudele fame e carifteia lahore tenda peftilentia licomegia auantjerano state annontiate diuinamente permoltjarniHauerebbono forsipoffutocre derealcunifacilimenteper cotalmodo oppreflidallagrans dezza di queste tribulationi che fusseroproceduteo casual menico fatalmentedate calamitadi etribulationifelnon fuffisutonuouamente fuegliaraeteccitatalafedeinquesto noftroCastellocontantimiracolifattidallagloriosaVecgie ne Mariamadre deIddio.Lequalicofeficomedaseconfer m a n o ,efortificanolafede Chriftiana,cosianchora per acq denslaconfeffionedicotesteAtregheglida uigoria eforza Per la quale confeffionee per il gran numero delli'teftimos nud i a m e n d u o i li f e f f i c i o e c o s i d e l l i m a s chi com e d e l l e f e y mine,cognoscemoapettamentequalmente liDemonijco donemicietaduerfariidellafedeChriftiana Laquale e di tanta forza chequanto maggiormente e con ognisuafor za,aftutia   p e r fare dipoidello unguentod a ungere di luoghiuergognofiquando uogliameoffereporcati algiuos co. DICASTO. Acciononiftimatieffercoteftefavole eche fano sonniio imaginationiechefianosolamenteillusioni, e non siainverita,erealmentecioèdiandareper lecase di q u e f t o e d i q u e l l o a d u c c i d e r e l i b a m b i n i, u i d i c o q u a l m e n t tefono ftatoritrovatidellifanciullini,ben certamenteinfen ci,cheanchorpigliauanolapopa,etillatte,liqualihaueano ledita forate,elepiagheebucchisottoleunghini. APISTIO. RefpondiStrega.Aflaimimaraueglio chenon greffino,eche cridaslinodetti fanciullini,quando uoili trag tauatitantomale,echelipungeuati.S T R E G A . Sonoal Ihora per coralm o d o indormentatic h e n o n feiitino. M a dipoiquando sono fuegliaticridanoad alta uoce e piango no e Aridono ,efeinfermano,etanchoraalcunauoltamon teno. APISTIO. Perche non muoiono tutti. Perchelifanamo.Conciosiacheglidiamodelligioueuo / lireniedi,ecofilikberemo.Hiperchenetiramograndiguza dagni. APESTIO . Chi uiha infignato questi cemedii STREGA . E demonii. APISTIO. Questo a meno n p a s teverifimile.FRONIMO.Eperche.Non faitucomeit Demonio conosceleuirtudedelleherbe ,lequalianchora  za aftucia,etingannilacercato di rouijare e di ofcurare, tantomaggiormente se alza erefpiandeperognilato. APISTIO. O quáto ben lhai codutto questo tuoragionaméto . M a horfu dimmiobuonaStrega.Vccideftigiamaiuerun fanciullorSTREGA:Non un folo,m a simolti.APISTIO . Conilcoltello oueroconlamazza.STREGA.Con laagus gliaecollelabra.APISTIO fucbimodor STREGA.Ine trauamodinottenellecase denoittinemici,perle porteet usci cheeranoapertia noi,dormeudo e loro padriemadei cpigliauamoi fanciullini,econducendoli appo delfuogo , forauamoconlaaguglialortoleunghi,dipoiponendowic fabraasciugauamotanto sangue,quantone puotevamote n i r e n e l l a b o c c a . E p a r t e d i q u e l l o n e d e g l u t i u o , c i o e ilm a n dayagiùnelRomaco epartene riseruauoinunabuffua o inuno uafetto piaa   comeptatitis hanno conosciuto lhuomenisanchortudebbifaperecome giafuconoscrittemolteregoledamedicare nel Tempioda Esculapio,lequalidipoilecolse Hippocrate,ele Scriffenelli suoi libcisicome citrouiamo.Anchor sono fccicci molti g i o ueuolireinediciosialle piaghe,efedice,come contro delli geleni,nellehistorie che furonoritrouatiperlifonnii. E puf anche leggiamo qualmente soleuano dormire nel tempia diPasipheaenelláltri Tempiidelliifimati DeidalliGentils ficomegiapiu auanti diceflimo,quellichi cercauauo li res mediicontro delliinfirmitade,sapendo chegliserebbono reuelatiperilsonnio.Ilperehetunon tidebbimarauegliaro seanchoranerempipresentiglireuela ilDemonjoliremes diiaquestariaemaluaggia generationedihuomeni,edifc mine lequalifrequêteméreconuerfano con lui,APIS TIO Dichecosauidannospecáza,douiatihauerdaloro:S T R E GA.Longa uita,Grandedoujtiaericchezze,econtinui pia cericarnalilequalihauemo,ene pigliamo delettatione. APISTIO.Deh dimmiperquella fede chenonhai.Ti dok nologia maidelli danaris Gia m e nc donoe ale quanti ucro'e che disparfono .Pur seruai alquanti puochi quatrini.APASTIO.Veramentesonograndiricchezzeco tefte.Dehpensachecosapoi serebbe felteprometteffeli T h e s o r i d i C r e s o q u e r o ci promett e s s e m a g g i o r e d o u i r i a d i quella di Alessandro Magno ,cóciosia che era portato lo ora. diquellodaquarantamigliara denuli,five-uero quello che scriueCurtio,quero ficomediceilPlutarchoin Greco,ilqua lecosidicoinuolgarepersatisfarea ciascuno eraportatolo orodieffodadiecemigliaradigiogatiOrichiisulecarrette erdacinquemigliarade Cameli. FRONIMO.Paredicon tentarsicoteftauilee fozza fecedihuomenie di donnesele d o n a t a n t i p i a c e r i q u a n t o n ó h a u e a S a r d a n a p a l l o ,n e S m i n dre,ne Stratone.E cosipiuolicanon cercanopurhabbiano, queftipiaceridiabolici.APISTIO .Almáncoquelleerano h u m a n e e u e r e , b e n c h e u e r g o g n o s e e b i a s m e uoli , m a q u e ftedelleStreghesono coseda ridere,eda fars-beffe,esono: menzogne finteeuane.FRONIMO. Tunondirai che quellesianowane,setu ben considerarai questo uocabulo   pi 10 nie lo comentátitieecimaginarie cioe parte finte,epartenuoue. DICASTO.Iftimo chequelle siano inparteuere cioe fon dareinquellacosache-e-erinparcesianofallaciefinte,enó firmate inuerunuerofondamento,emaggiormente circa diquelle coke,dellequalenarranoalcunicomesecangiano in forma diGatteetinaltre figure di animali,Ihuomenic d o n n e di questo maledetto giuoco,etche resuscitano libuci che hånomágiato,sendolipoidatodellauerga dalladonna o dal Signore del giuoco, fouradellapelledouiuisonoposto d r e n t o To f f a d i d e t t o b u o mangiato. I p e r c h e f i a t i c e r t i c o m e tutte quefte cose sono imaginacioni illufioni,etcose che cosifaapparere ilDemonio Icelerato,et aftuto chesiano, mainueritanonsononeanchoraessolepuofare.Ma che fianoalcunauokaporcatiperariaetchefouentemangiano beueno,etdianslibidinofipiacericolliDemoniicofiin for madimarchicomeinformadifeminenon e-danegare, neanchordariputarecosa falsanecontrariaallauerita.Puo trebbi narrare afraicose confermate da digniffimi testimo nii fe v o n hauefli paura che poi ui lamencafti di m e ,d i c e n do cheuihauefliingannatorobbandouiiltempoconcefloa uoi da douer udire la Strega.APISTIO . Ti priego,fiacona tento di riferuare cotefta curiora disputacione per infino a d o m a n e . D I C A S T O . G i a -e-diputato quello ad altriragio .namenti,purmolticuriosi.Vero.e-fetu purtanto brammi deintendere questo,fiaticontétodidisinarehoggiconmieco, benche fiamonella uilla non mancarano imperhotandi cibiquantoseránoneceffariida iftinguerelafame. FRONI M O .Non -e-darifutareilconuitodelloamico,douisiritroj u a n o a f f a i d o t t i r a g i o n a m e n t ib , e n c h e p u o c h i c i b i. C o n c i o fiachere-moltopiuaggradeuoleallifpiritigentili,etaquel l i c h e s e d e l e t t a n o d e l l a d o t t r i n a il c o n u i t o o r n a t o d i c u r i o l i parlamenti chede uariera edi moltitudine di uigande. APISTIO.Piacémmi assaiciascunadicorefte cose.Perche c o n u n a si p a s c e il c o r p o e c o n l a l t r a J a n i m o . D I C A S T O , HorchiederipuruoidallaStregaquelloche vipiace,laffal. to coftuiquiVicarioetinmioluogo,perinsinoritornaroda noi.Perche uoglio impore alsopraftäte della mensa,quello   c h e d e b b i a f a r e. APISTIO . S u S t r e g a d i . H a u e a il t u o a m o r roso'uerunsegno,con ilqualeaddimandatodateuenesse n e l c e rchio : STREG A . S i h a u e a in q u e s t o m o d o . c h e o g n i uolta chemi fuffidiscostatadalli altri,ecosi sola due uole Ihauesichiamato incontanenteuiueniua. APISTIO .M a per quale cagione non treouero quatro uolte. Non loso.Coferaammaestratadalui.Maanzimolto for teme ammoniua nólochiamassetreuolte.APISTIO .Chi ne pensitu di questa cosa Fronimos FRONIMO. Questi pattidel demonio daluipendeno,esonoin fua dispositio ne,enon solamentequestipattimanifefti,m a anchor li occulti . D e l l i q u a l i il n o s t r o f a n t o D o t t o r e A g o s t i n o i n s i e m e c ó a l c u n i altri D o t t o r i n e h a n n o scritto . N o n d i m e n o p u r io c t e do chenon sianaturalecaufainquesto numerodi duoine a n c h e p e n s o c h e u o g l i a dimostra r e c o t e s t o il m i s t e r i o d e l l a Diadeosadelladualita,dimostrato da Zarera Caldeo,per  Pithagora alli Platonici. O liacoftuida chiamare Zareia, frcome diceOrigenenellibrodelliPhilofophimenoni,o fa da scriuereZarata ilcheulaPlutarchoCheroneodesignano doilMaestro di Pithagora,dechiarando una parricoladel Dialogodi Timeo oueroanzisiada dire Zaradaconciosia chenellibrodelleleggi,lanominatodaTheodorito Theo logo ZaradonM.ache cosaimportaalDemoniodidisputa rediquestacosaediquestonome loistimochequiuigia ce nascosto qualche inganno,equalche aftuta frode delD e m o n i o m a l u a g i o. O u e r a n c h o r i o p e n s o c h e il f a c c i a c c i o n ó se accordi con lavoce della santiffima Trinita,e cosi uuole pareredinonapprouarequella.LaqualeeDio uiuentein sempiterno.O forsianchorailfaacciotiraetauertiscamag. giormenteThuomodallaconsuetudinedellecerimonie del la nostra religion e Christiana, A n c h o r a il puo fare per quale che altro ingannoetfro de il quale noi non sapiamo ritrovato dalli antichi Gentilie Pagani sottoilnumero pare.Loqua leuuoleuanofufficonsegratoalliinfericioeallispiritierano giu nel profondo elo dispare allisuperi,cioe allispiritihabir tauano Touradellicieli.APISTIO .Aftaisonfatiffatto.M e dimmi Strega.Conosceuitudiesser ingánatada questotuo amoroso STREGA.Non mai.APISTIO.Come-e-posli!   b i le cotesto: Quando tu vede u i d e s p a r i c e l i d a n a r i , c h e c o s a ittimauiturSTREGA.In chemodo de parefsinonon con, Sideraua,Vero-e-cheeglidame ritornaua,etmicompara uaconmolciamorofipiaceri,epercotalmodomi legaua, chenon pensauaaltcochedela.APISTIO .Che cosaaddi mandaua che uuoleflida tequando tiprometteua ianitecol se,quandocidayatantipiacericarnali,echefingeuadiesser t a n t o g r a n d e m e n t e i n a m o r a t o d i t e s STREGA. N o n a d i. mandauaaltrodameeccettocherenegasselafedediChri/ Stoenon uuoleffehauersperanzapiuinello,ma cheme ilu genocchjassealuieloadorasse eloteneffeper Div. FRONIMO . O iniquiilimo,o fpurcissimo,o fceleratiffimofpiri to detto ueramente dalliHebrei Sathanaflo ouero aduerfä rio,edalligreci Diauolo,edalliLatiniCalunniatore.Se puo pensare maggiore calunnia,emaggiore ingiuriacontrade iddio quáto eche faccicanta forza questo fcelefto colle fue maluagie parole diuuolerlirobbareladiuinita,echelauor gliaattribuireasecontantaatroganza,econ tante bugies IlpercheforsihaamatoquestonomediDemonio osiaper dimostrarechehabbiala scientia ouerper daretimorealle creature.Eglie uero cheecosasupremante aluipropria efa miliare ditessere ordinaree comporre le isisidie et ingani, Coliparimenteingannoilprimohuomo,sottoilnomedelli Dei donde-e-uscitoiluocabulo del Calumniatore,ficomedi ceGiuftinophilosophoemartire. APISTIO .Sa Stregadi, Inchemodo erasu discernuraeconosciutafralialuribuoni Christiani:STREGA.Non uierauerunadifferentiaframe elialtri.AndauaallaChiesa,miconfessauaneltempo della QuaresimaauantidelSacerdote decurtiemia peccatieco cerco che diquefto Dipoi andauá collalori a comunicarmi alloálcare.E cosinon eradifferenciaalcunaframe elaltre donne.Non uierauaane coteftecoreilmio amoroso.Sola. mente eglimi comádaua che douessedirealcune cosepian pian,enafcoftamentefacessealcuni arcilequalicosedetree faite altro da nienon uuoleua. APISTIO :Racconta iltur to aparteperparte.Sendo nella Chiesane giorni delle feste,comandauaame cheleggendoilSacerdote lamessa adaltauoce(sicome;Tesuole)diceffeiopianpian ii ii   Hon euero,tunenientpierlagolaequandoleuauaquel lola hostia consagrara soura del suo Capo per dimostrarla atuttoilpopolo acciochesiaadoracae reuericamoleus cheioriuoltafi liocchialtrowe,enon laguadasse, etanchor micomandauarivoltafsilemani dopo lespallee piegaffele deta sottoleueftimente incotestomodo ,sicome uoi uedeti io facio.cioecheglifaceffele ficca.Dipoianchoramidiceua. nondouesliscoprireuerunacosadellinoftriamorofipiaceri, al Confeffore n e anchora di quelle cose che pertengono al giuoco.Egli iftimaua poiche non importafle cosa alcuna se ben uuoleffedirealConfefforelealtrecoseoueronon ledi ceffe.Voleuaanchora,chesendoandataa communicarmi, fecondolausanza incontinentisendonimipoftal hoftia consagrata nella bocca, la giraffi fuora fingendo di asciuca r mi la bocca e laconferuaffenelfacciuoloperportarlaalgiuoco, accioilbeffalimo, etischernissimoconquelli fceleratim o di,sicome disopra disse,etanchora perche il conculcassimo collipiedicon quelliuituperiigiaauantiraccontati.Dipoi portauadicontinuo due hoftieconsagratenella miaueste culite,percheellome diceuache uieratālauectuineffefen dole portate in quel m o d o senza riuerentia,m a anzicon uie tuperio,chemainonpuotrebbe confeffarelinoftripiaceri, neanchoraaltracosa delgiaoco,benchefußiancheinterro gata dallo Inquisitore n e con tormenti,ne con altrimodi. N o di meno aftreggendommi imperholo Inquisitore em e pacciandommidiuuolermgirauemente martociarefenon confefauaquestenostrescclerate operemi commando quel demonio maluaggio, legetraßein queluafo,loqualehai uea portato a m e ilGuardiano della pregione per farele mie necesitati.APISTIO. Facefti questoiscómunicato.com mandamentos STREGA. O me mischinella, et infelice's bubbidi.Ma non ui rencresca diudire una cosamolto hori rendae pauentosa cheoccorse.Rompendoioinfeliceescia gurata quellesagratissimehoftienelfterco,con unuaerga, vide uscire da quelle il vivo sangu e. FRONIMO. Che odi dire hoggi: Puoesserequesto Credocercamentechemai piuno udiranolemie orecchie finilioperefcelerate etis communicate. DICASTO. Andiamo un puoco nel giardino ecosiforsicaminandoefpasseggiandouiritornara lo a ppetito. H o r f u r a m e n a la strega nella pregione. APISTIO. Inueritauidicochenómaihauerebbecreduto che fe poteffino,non dico fare,m a pur penfare tante fceleritade, tantemaluagioperee tante ifcomunicate cose,quante ho udito hoggidalla Strega.Ilperche avanti facilmenre haverebbe perdonato acoteftagenerationedihuominie didon ne credendo chefufferocondurrida qualche leggierezza o ueroda qualchemancamento diceruello adintrareinque fto errore etanchora iftimaua che fusserocotefteStreghe e Stregoniingannati dalle apparentiuisioni e illusion e fittio nidelDemonio etanchora(iodirolamiaoppenione)non giurarebbichenon sianoingannati, ma hora11comebuono e fedele Chriftiano c o m e sono itato eth o creduto quello, che debbe credereciascunuero Chriftiano, non mai con fentirebbifedouessedare uenia,neperdonareacoresti ini. quifcelerati emaluagginiolatori,efpreciatoridella nostra fantiflimafede. DICASTO. Se tidimostraroche cotestoap pertenne alla Religione Christiana di douer credere che sia noinuerirafattedaqueftifcelerarihuominialcunemaluag gie opere etseiɔti conducero tantiteftimonii, ilperchne o n puottaifaredinon credere efferemolte cosenellantidetro giuoco chesonouere,enonfintene ancho imaginate,m a Li come siamo consue t i d i parlare che siano reali io penso che dipoinon farajostinaraméter efiftentia. APISTIÓ. Ancho ranon sepiegailmio animopiuinunaparte che nellaltra. DICASTO. Dimmifettepiace,Vedeftimairefuscitare  municate.APISTIO.Anchora iosondicoteftaoppenione dinonudiremaipiufimilisacrilegginesimilihorrendeope te. FRONIMO. Dehperamore deIddiopartiamocidi quietandiamoincontrodi Dicafto, feltipiace,cheritorna danoi. APISTIO. Moltomipiace Andianio. DICASTO Hoben comeuafecifatiffattir Vi-e-anchorarimastaalcuna cosa da dovere intendere. FRONIMO. D e h il n o f t r o D i cafto,iotedico chepercotalmodo siamostomacati cheno hauemopiubisognodipranso.Iotesoben direchesiamo per una uolta sariati   uerunmorto. APISTIO. Non maihoueduto tantomira, colo. DICASTO. Creditu che possono resuscitare e mortis FRONIMO. Non lonegara no. Conciosache-e-quefta cofamoltocancataefouente ramentaca dalli Poetietand chora-e-scrittadalli Philosophi, e maggiormente da Platone. Liqualinarrano come resuscitarono limorti,etusciros no dell’inferno. APISTIO. Ne ancho per queste cose m i acqueto,incoteftaoperachi-e-ditantomomento. Ecolino credoalliPoetinealliPhilofophidicioma libenaluange lioDICASTO.Io tiuoglioproporreanchordelliefsempii dialtracosade cuinonlefamentionenella fagrascrittura, Dimmi credi tu siano uscite le naui dalle Gad i cioe da quelle due Isolecheso non elfinedella Bethicanellaetremita della terra noftrauersolooccideniedouife diuide la Euro padallaA fricaretanchorchesianouscirefuoridelportode VlissiponadiLusitaniaosiaPortugalljareche quelleriuolte versiol Zephiro siano stato portate da circauentimigliara di ftaggi,o piuomanco fiacome silioglia,perinsinoa quel larantoampiaterra(lagrandezzadecuianchornon fecor nof c e) e cosi portando le hora il  Zephiro per il mare atlantico siano giunte allo Indico feno. APISTIO . Si lo credo . DIGASTO.Tu locredi. MadimmiacuilocreditAPIST. A tantimercatapti liqualiraccontanoin che modo hanno fattotaluiaggio souradellelarghespaledelmare colle 11o dantinaui. DICASTO. Haicu maiparlatocon quellis. APISTIO. Non ho gia ragionato con quelli ma pur alcunayol ia ragionando di cotesta cosa curiosacon quelli liquali h a uerano udito daquelliche hannonauigato per detti luoghi lo diceuano,etconfermauano che coli era. DICASTO. Il mio Apistio dimmi non ti hauerebbono poffuto ingannare quegli. APISTIO. Deh, no chi serebbecoluichi dubi tal, che l’huo m e n i gravi e gia maturi di conseglio si d e l e tra s s i n o d i favole e di menzogn e s DICASTO. e dunque io producero quiuinelmezzo non menore numero ditestimonii dinon manco grauica:edinon manco.oppenioneet istina tione,de quellituoi liqualihanno cófermato con giuramer to come. Sono portate algiuo cole streghe e li stregoni, come li demonii danno amorosipiaceriállhuomini in effi g i a d i donne et alle donne in figura di huomini, e cotesto Thanno havuto dalla bocca dies li stregoni e streghe conil  20 line old od sagramento costretti chene dirai esera tu poi fatiffatto. FRONIMO. Se potrebbedire ueramenteche coluinon fussiin talmodo satisfatto,fuffioscioccoo pazzoouero oftinato. APISTIO. Deh pertuafede di'per quale cagione. FRONIMO. Percio chequando sono moltidiunamedeme voce, 11on pare c o n u e n i e n t e c h e sia u e r u n la d e b b i a n e g a r e eccettosilnofussida qualchebuonaragioneper cotalm o po costrettolaqualehabbiatåraforzacheportagettareal baffo quellaoppenionecosiconfermata ditantihuomeni. Jlchecredotunon habbi.APISTIO.Questatuaragionc h a puoca forza in quelle cose che paiono louerchiare lefors ze dellanatura,m a ben affaine ha in quelle cose ne ueneno nellulodellhyomo.Ilperche non ho fattodifficultadi crede requelviaggiodellenauidiSpagna nella Indiaetaquella terranuouaecofiaquellialtriluoghima benfogran diffisculta in credere il giuoco di Diana. FRONIMO. Puo' esserre uno molto maggiormente contrario a quelli che raccontano il viaggio della India che aquelli che narrano I givo; codellanotturneHecare cioediDiana.Concioliache dets. touiaggiononfugiamaipiùperuerun modo conosciuto dalla antichita,m a solamente furono ritrovatialcunipuochi segnali con liqualidicono gia giongeffe non soche naui dal JaIndiaal litto di Spagna. M a hora senauigadella Europa per il mare di Ethiopia nella India. Eco si hora gia f o r o s r o gnatiiporti,etilittinellecauoledepinte.Anchoraalpresen Refono ftato ritrouatealcune Isoledi marauigliosa grandez za chemai non furono conosciute dalli antichi.Et anche nonfumai ramentata nescrittaquellaampiaterra,emol to marauigliosa per lasua grandezza retrouaraquesti anie ni paffatiLaquale,fefusiAtataconosciutadalliPhilofophi, liqualiseimaginauanoesserepiuMondi nellordinedella natura,forsicon maggiore ragione hauerebbono dimo, Atratolaloropazzia.Delle qualicofeinouamétecontantefa ticheritrouare'non hanno fattopur uno puoco dimentione   o Strabone,o Ptolomeo,quero anchora quellialtri;che for no suco reputatipiufauolatoridiefli.M a delle Streghe ne fattochiaramentione nellilibridelliantichietanchor delli moderni.APISTIO.Io lento, m a nó foimpechoin chem o do,apuocoapuocomouersilanimomio accioconsentialla quaoppenione.Vero-e-cheuolétieriudireieteftimoniipro mellida Dicasto diconducerliauantidinoinelmezzo,ec a n c h o r a d i s i d e r o d e i n t e n d e r e d e l l e r a g i o n i se ne ha della l e tri,olcro di quelle che ha detto. FRONIMO. Deh il mio Apiftio tu debbefaperecome-e-fegnodipuoca Atabilicadi animodiuacillare,erdipiegarsimoquiidimo riuolgerli indimo fermarsiedipoimouersidalluogodouieraferma, to. Conciosia che quelle cose,dellequaliauanti diceuamo. Senonpareuanoateuerepurpareuano imperhomolte fi milialuero dapoianchoracontradiceuie dicenichemeri tamente era da esserecontradetroda tea similicose,m a ho ta c o n una certa inclinatione di anim o confeffi dieffere tirar toesforzatodidouercósentireallanostrafentétiaetoppeni one. llpercheame pare(perdonamiperho)chemeritame tepuotreffieffernuotato diinstabilita eccetto,setunon ha) ueffiusato iconia ,ouero simulatione,e ficcione. E cotefto n o serebbe meraueglia, perchetuseiusatonellifintigiuochide gli Poeti etanchoraseitumoltoeffercitatonelliDialoggidi Socrate.Perilche interujene che lepersone sono usate in der tilibri, onon maio uero con gran difficulta sepossono rimo ueredallidettimodi.APISTTO. Fronimo mio io non fingo in cosa alcunane anche giudico che fiabi sognofra teem e de Ironia ouero simulatione, ma io te dico il vero, che non quorejcofi prorontuosamente credere una cosaditantom o mento.Ilperchepaream echedamegliodidubitare pur che modestamente sefaccietanchoradiscoprireetidi e quindiledubbitationidellanimomio,cioemoa temoa Di cafto,ficomescopreloinfermolesue infiaggionie piaghe. Al Chirurgico,checrederefacilmente senzaragione.Cone ciofacheiersententiadiungrandehuomo(fiben miricor do )come sedebbe andarepian pian,edipaffoin passo in quellecoselequalipaionoche Couerchiano lepoftre forze accioche se inconcanéti fufferosprezzate n o s a m o da nasco ftoinuiluppatinellifrodi, epelcontrario,seincontanétefuf ferocredutedanoi 1100siamopresinelleceticollesuspicior ni delle fcioccheuecchiarelle.In uero'fisonftato dubbioso nell’animo mio, c o s i m i p a r e u a d i d o u e r dubitare N ó h o i m perhomai contraftato conlaninoostinaco.FRONIMO. Secolie-echetusiadiquestobuonanimo cioeche uogli in coresta cosa usarelintellettoenonla uolonta ,certaniente possemo havere buona speranza dite . M a t i u o g l i o d a r e u n buonricordocosiinquesta cosa decuihoradisputiamo.co m e n e l l a l t r i c h e p o r t a n o p e ricolo, e sono de importanza (si  o m e si s uole dire) c i o e c h e p e r c o t a l modo fa c c i c h e n o n u a diauantilauolontaallointelletto cosiuogliodire chenon uogliuna cosa seprimanon hauetaibenintesa econosciu ta.M a sono alcunichecaminano pel contrario nellordine delliftudiidelladottrinacioeprima diffiniendo,e concludendo  con l a s u a uolonta, ouero secondo il suo u uolere che cosasiailuero auanriben consideranoconlointelletroeffo vero .APISTIO. Hogran seredintendere che cosa ha da direinqueftonoftro caso Dicasto,Joqualeuedo ritornare d a noi. Certamente non puotrano essere(almio giudicio ) eccettechedegneeteccellenticose,purcheluuoglia ferua tele promisfioni. FRONIMO. Bisogna primeraméte iftin guere lanostra fame edipoisifatiffaraallacuasete. DICASTO. Andiamo perche-e-apparecchiatoilpranso.Dehpec noftrafedenon tardiamo piu conciosia che affailongamen tehqucmohoggidisputatofichenonbisognapiu dimota re.Equando poihaueremoinkaurato ilfarigatocorpo di quelloeglieneceffarioperla continuarouinadelnaturale caloreintraremo poi nel giardino della disputationec h e cirimane.fando fram e fe-e-uero imperho quel lo che ha narrato la strega. DICASTO. P i a c i m m i,a d d o manda lantis dettiuitiiesceleritade,cioeche spesieuoltefacionola penin tentiapelliufernodopo lamorte etiuisianomartoriatigrai uemente.Non ferebbemegliocheleprohibiffeIddio non si faceffino,che dipoi lhauerano fatte didarli la penitentias DIÇASTO.Meglio certainére ferebbe felsereferisceque, Hoa coluichihafattolemaluagieoperepercheselnonhain uefleoperatomale hauerebbe fattoben per fo.APISTIO . DunqueperchenonleprohibiffeIddio.Non ferebbemag giore cosa epiudiuina,lefusserodiuinamente 'uietare& DICASTO. Sono b e n u i e t a t e c o n la l e g g e m a n o n c o n l o p e t e ra CioeIddioļeprohibiscemediantelalegge,m a nowole per forzateniceIhuomo non operia suo piacere.A P L S T I O Perche épermeņa da Iddiolamalgradeuole operatione, et il peccato cioeperchepermettechelhuomo facciopecca to DICASTO.Perchere liberolhuomo,er-e-infuoarbi. trioe volunta elibertadioperare ficome alai piace,oilben oilmale.APISTIO.Nóferebbestatomeglio chenófufli mainatocoluiloqualeconosceuaIddio,chedouea fouina rcin. APISTIO . JIP OICHE HAVEMO SCACCI a t o l a f a m e c o l l i c i b i e u i u a n d e t i p r i e t. g o Dicafto Inquisitore delliHeretici uoglieffer concento,chepossachiede reinantidituttelaltrecele,una certa m i a dubitatione Laquale ha granden mente feditolanimomio ,no con uno scrupulo niacon una agura láza,pen pur quelloche tu uuoi.APISTIO.Non guarimi sa tiffanoquellecosechediconoalcuni della pena,chi-edata da Iddioacoteftibiafimeuolihuoineni e donne, 3 e,per   teinquefe grandisceleritadeetiniquitade&DICASTO. Si Terebbestatocertamentemeglio chenon fuffimai apo paruto almondo coluichiperfeuerane peccatiper infinoal f i n e d i s u a u i t a , m a c h e f u f f i m o r t o n e l u e n t r e d i sua madre. APISTIO. Maremainonfuffeftatoperuerunmodo peii fituchelfuffemeglioperquello DICASTO.Perchi: APISTIO .Per luj.DICASTO . Perdonamiilmio Apistio Tu parli moltoscioccamente. E poffibiletunoucoulideri che questaje,unapazzescaquestionesConciofiachetanto ifrasesonocorrarij,elloreniente cheuno-e-rouinatodallalt t r o : N o n f a i t ü c h e n o n p u o i n t e r u e n i r e u e r u n a c o s a o sia p r o fperaouerfineftraa niente chediinaginamorAPISTFO . PerqualcagionedunquehacreatoDio coluiloqualecono fceua douefte andare allieterni fupplitii DICASTO. Per sua fommaetinfinitabönta.APISTIO .Come fiapoffibi. de coteftor DICASTO. Cofve-poffibile.Perche non sia for uerchiata lainfinitabonra di Iddio dellaperuersa malitia dellhuomeni.E cosisenarra cherespondeflesamo Pietro Apoftolo a Simon M a g o ,rendointerrogato da quello quali di fimile cofa feben referisceClemente ladisputationefatta f r a ' e f i. D i m m i u n p u o c o A p i s t i o ti p a r erebbe fuffi b e n c h e ceffafliIddiodacantogranbeneficio cioedicreareleante m e pedrespettodellhuomo chel doueffe dapoimale ufarec conciosia chereioperadifomina bontae de infinita poteny tia Anchorasebenconsideraraiconlameitėtuatuttele uercudeetopere dilddiodimostratealmondo tu uederái che secauafuorila Giustitia dasemedeme,folamenteftren gédo quelliliqualipiuprestohanno puolutofuggire fabori t e la benignita di quello che receuerla .N e anchora per questoseiftingue ouero se diminuisce lamisericordia cory cioliachemanco punisce quellicherechiederebbeilrigo redellagiustitia.Efouenteuseissequalche cosa daeflafcelel tagine perpetratapfreie carciuiliuomeni edonne cauata d a I d d i o p e r q u a l c h e m e g l i ore fine. De cui dice farito Agosttino, che etantobuono,chenon permetterebbeueniffe ueruntmale fenonvuoletteda quello trarne maggior ben. Ilche spefeuolte,li1100fempre,elftátoüeduto uscirnede kk ii  la cariftiadellauixuaglia.Etanchot conoscono qualmėteseguicaronoperdettaingiustauendu ta moltiegrandimisterilliqualiramentano con gran ciuerentia. Anchor per i tormenti et occisioni, e crudelta de che feceroi Tiranni contro delli secui de Iddio, cispiandelauercia egloriadicflimartiri.MachepiudirorPerlacrudelemots te e durissimapaflione etuituperofamorte dimiffer Giefu ChristoueroDioethuomo,apparuilainfissigabuontadeId dio riscuotando,eredimendo tutta lhumana generatione dalla eternal morte, etaprendo laportadellamilericordia ec anchordellaGiufticia.APISTIO .Dob quantoben hanno f a t i f f a c t o a m e c o r e ft e tue ragioni. Cos i a n c h e p a r e a m e c h i fiailueroquellochituhadetto.Ma horasendoiofatiffatre da re quanto aquestedubbitationi pregoriuoglifeguicart il giacomenciato ragionamento auanti delpranso,ciodi narrarecomeegliecoreftogiuoco cosavera enon finta ti Titrouatnaelle fauole,sicomeprometteftįdidouer dimotta re.FRONIMO.Vuotucredereatuttelhistorie APG STIO.No.percheseritrouanodellefauolenarrate con co lorede historia,licome equellafauola Samofatenacioe di Luciano.Anchorasonomoltealtrehistoriepercoralmodo incertee scritreinduoimodi,efouenteancheinpiu,tanto uarieediscopueneuolifrafediuna medeme cosache paio n o ellernon guari discosto dallesemplicifauole. FRONIM O. Certamenteturespondibenenonmancobeninten di.Ilperche ficome alcuna uolta rispiande fralletenebreet  maliilben, dallidottihuomeni, feben forsinofiafutócon fiderato dalrozzo uolgo. E per dimostrare che colisia ftato uoglio narrare alcunipuochi effempii,benche sepuotrebi boiioramentareintiniti.Leggiamo qualnientefuflivendu -to ilgiusto Giosepho da frategli,con graue loro peccato.Il rozzo uolgo non pensa piuolaa,m a solamente eglieag , gradevoleihistoriam a lhuomenidottiedigranfpicito,pici tofamenteconsiderandoauertisconoqualmenteperdetta iniqua emaluagiamercantia,interuienechedipoifufatto Iosephoquasisignore,eRe dituttoloEgittoecheliberoil padre efiategli etuccalafameglia dallamorte ,che glifey rebibneteruenura per   ofcurita dellefauoleun puoco ditumedellauerita.colifral denarrationidellehistorieche sonofra le contrarie,forfaucie ritroueraiunauera,ecosisendo Jaltce false,eneceffario dian nouerarlefrallefauole.Conciofia chenon fie poflibile,che combarrijlaueritaconlauerita. Mao Dicafto,amepare dintendere quello chiuorebbe Apiitio . DICASTO. Chi cosa s. FRONIMO. Vna historia da molti teftimoniirappro uataa cuinoferitrouaffealtranarrationecontrariadimag gioreouerodiegualeauttorira.APISTIO. Jaueritatuhai dettoquello chedesiderauo.DICASTO .Iuiprometiodi dimostrareche ficomepertenealli Chriftiani didouercrede reche fifacciquestomaladetto e iscómunicatogiuoco.com fianchegliapertene didouerlo iftirpare esuelgere,erouina re. Ecofruipramettodiparcareaffaihiftorienon contrarie frafe, mafjben moltoconcordeuolie fimili.Anchor uoglio farecodacui qui auanti la Strega, elacostregnerocon ilgiu ramentoaccioconfeffiiluero.Suoguardiano della carces tepreftoconducequivilaStrega.Efapiatiqualmére testi monii,che uiproducersoo n o molti,esonopigliatidaquel di che fono ha u u w i dall’huomeni costretti colli giuramenti et anchora sono iscrittipermemoriadequelliseguicaranodie tro anoiet anche per approuarelauerita:APISTIO .Core ifto ho a piacere deintendere. Horfu dunque comenza. DICASTO. Benche uipotrebbimádare a leggere li-libriferic tidiqueste cose congransollecitudineefochecotestonon fpiacerebbe a Fronimo, ilqualemoftra dihatere ftudiatoin tuttelegeneracionide scrittoriperquelladegnadifpurcacio ne che hafacto,purno mi parephoradi farlo perche cono fcoche Apiftio non remanerebbe contento ,ilquale dechias facon il suo parlare tanto elegante di hauer gran pracicanel lilibriscritticon ilpolitoetersoftilo,etanchorpacedilettat fi grandemente dequelliscrittoripolitietben accommoda tinelparlare etornatidiun certofaufto,epompadieloqué tia,ecosiparechenonlipiacerebbonoquellialtrilibripriui dedetta policita,edidettaelegátiadidire.APISTIO.Puo effer Dicasto che tu condanni quesse figure di rhetorica  hi uit Ea nico Zio U ouero cheforecilornato parlare cofidellidersi come della prosa o   fia sciolta oratione DICASTO. No. Non maillofatto ne anchorfonperfarlo. APISTIO .E pur imperho usanza de alcuniliqualiquandoharannointeleladoctrina dePaci secioequellachire-scrittaperquestjúcellediuuolerilehet nire,ebeffate lacontinuata oratione,ben ordinata ediftit tamentecomposta collicoloriefigurerechorice,benichean chotapurhoueggiutodellilibriiscrittiaPacifedaeflıBarn bacielegantemente etornatamere compofi. DIGASTO . Vuoreftimai cuchefufliunodiquelliche sono amouerati frallirozzietinelegatirconciosiachefocome colielegante mentefecissecoSanGiovanniGrisostomo,ilmagno Baglio, Tee Gregorii in Greco, et in Latino san Geronimo, Agoftino Ambrogio, Cipriano conmoltialcis APISTIO cioefodaefenzaerroree senza fauple, laela quentia non solamente debbe efferecondemnata eciproua. ta,ma anzidebbeefferdacuctilodataficomeeccelétebud non fralliinortali,chi-e-approvatoconlaragione etauttori tadelliantichiefapientidoctori. APISTIO. Chelibrifono coteftisetinchetempofuronofcrircis. DIGASTO .Sono molti.Veto echealcunidieffifuronoscrittigiafesantaany nifactunoui-e-chifucópoftonellanoftraeta. APISTIO. Chi furonoliauttoride dictilibri. DICASTO.Credo chi f u f f e r o Belgici o e Galli, over Germani e Thodeschi. Ma di que h o ultimo de cui h o det o Furono li scrittori duo i Thodeschi. Liqualilif forzaron odispaccaree rompere limaghi incantatori, e le Siregheconunmaltello, emolto piu'forter menteeconmaggiore giustitia,chenonfeceNicocreonc ciránodi Cipro ad occidere collimaltelliAnaffarco Abdeci de philofopho.APISTIO. De chiftillosono. DICASTO. Di quello chiuolgarmétesechiamaPacifinocioeperque ftiuncelle  Dimmi Scrifferoanche egliikerli:DICASTO .Sialquátidiloco,ac ciolaffanoalcunididire comeeraconuenièrenellantidetti sempidiscriuereinquelmodo,conciosiache anchoracom batteuanocollinemicidellafededi Cbrifto colliuerft.Non mancano anchoranenoftritempidi quelli liqualifacilme tesonoriratiallefagre cosedellasantiffimafedediChrifto, conloelegåteftilo econ loaccomodato parlare.Purchesia calta,e fobria  EN 0 0 1 1 2 lo Y li libri . Et anchor la strega la quale gire appropinqua a n i c i condutra dal Guardiano della prigione forsiramentaradel laltrecofe altro diquellecha racco:ato che nófono anche elleiscritrein uer un libro.DICASTO. Son contéto difare horacome uuojparimpechochiedédoniperdouăzs,ledi toequalche cosa chenon fiaticonfueri diudire. Cosiciofia fiqhcelle,m a fono (crittecon molta sottilira,quanto fiapof fibileascriverediessamateria,decui parlano, ficomeimpe sho h a m m ipareet anchorsonofermati con la verita delle teftimoniidefantihuomeni.E non folamentepareame co teftoma anchoraamolijeccellentiTheologgi.Ilprencipio diquefto ultimo uolume comencia dal Pontefice Maximo, ecil fin-erapprouato con la auttorica di Cesare.Gia ho chiai ramenteefermamenteintefecome landdettolibrofu publicamente approvato dalli dottori di sagra Theologia del Juniuerfita di Colonia Agrippina. APIST10.Vuorej Dicaa ftochetuminarraffiquellecose lequalituhaipromeffodi narrare al propofito noftro ofiano di quelle da quei luoghi cavate, overo de altri luoghi accio le possam o meglio intendere con il cuo parlare concio sia ch e meglio le dechiarara i narrandole tu.Tlperchefendo anchorquiuipresentealladi fputationeilnoftroFronimo credocheanchealuinófera grauediramentare dellalırecosecheforfinonfiritrouano Icricce,ficome p suagétilezza hieriethoggi non liparuigra medinatraremoltecose degue ,chenon fonoscritteinquel che de ben h o apparato le littere Grece e Latine, non di meno imperhonionm i fono con menore Audio effercitato fralli Theologgi. Liqualiłassanolapolitiaerornamento dellino caboli etanchora tantatersitudinedi parlare folamente se fforzanodiconoscerelecosecome inueritafono. FRONIMO. Eglie menoredanno quello delleparole che quello delia cognitizione delle cose. Mare-ben neto cheioiftimo, chccoluidebbeellereffaltatoelodato fouradellaltriilqua Jehalornarodelparlarecongiuntocon la cognitionedelle cofe cioefoura di quelli chi hanno solaméte o lungoialtro. Vero echesepurnonliposloviohauereamenduoi,iftima shec'megliodịhauere lacognitionedellecose chelparla  re polito,et ornato ,dieloquentia.Benche ficome ho poflur coconoleereperiltuoragionare,pofseuilafare ftacediad. domandare questa uenia eperdono. DICASTO. Io diro latinamente al meglio puoco. Hor sucomenciaro. Auanti diognicosauoidoueresaperecome egliechiaroemanife. fto,chicolui,chinegaffeesserelaDemonii,meritarebbedi eserschacciatofuoridellacatholicaChiefia,licome grádea. meiitecontrarioallasagra scrittura,e maggiormetre aluanı: gelio.APISTIO.Concedo cotefto effer uerissimo sanza ver un dubbio. FRONIMO . Anche meritarebbe di essere Scacciato coftuidisinileoppenione cioeche diceffenó effer iDemonii,fuoridella Accademia edalLiceo.cioe fuoridel JaschuoladiAriftotele.Concioliacheappo diPlatone e di tutiie Platonicie fationon puoca memoria delli Demonii, acuinone-contrarioAristotele,m a anzifouentenefamen tione non solamente nella Ethica, Politica e Rethoricama anchor nell’altri luoghili qualihoranóscrivo. DICASTO. E ben vero che ne faniioricordo, ma sonoimperhoinques Sto differentiate dalli nostri dottori cioechequelliistimano aisianodelliDemonü buoniedellimaluagieperuersi.Ma noi diceno che cutri i demonii sono perversi, iniqui, e malegni. Liquali benche li nominamo sotto dicotetto nome Sat canasio e di diavoli pur piu chiaramente anchora sono SIGNIFICATI per questo nome “demonio”. Il perche dice il Propheta David, tutti li dei delle genti sono demonii e lo Apostolo Paulo anche egli scrive. Non uuoreidouentafticompagni del i demonii e in uno altro luogo dice, Credono e demonii, e tremanodi paura. Non fugia maiuerun huonofa uioche dubitaffe,chequandolimalificiincantadori,eStre gheeStregonirouinanolefruttacollisuoimaluagiincana elegano edipoisciolgono a suopiacerelibeni del cagioni  ? matrima nio,cioeche fannopermodo che licôgiugatinel matrimo nionon poffoliohauerehonefti piaceriinsieme,edipoiqui dolepiaceglidanno facultadipuoterli hauere,etche an. chora tormentano lecreaturefuoridelconsuetomodo del lanatura chenonsianofattedettecoseconpattieconuen tionidellDemonii.Boperqueftoetanche permoltealtre cagionisonofateordinatemolte altrecosecontradicotefti teretiniquihuomenje donine dalliTheologgi cosi antichi c o m e moderni etanchora dalla facra scrittura, edalleleggi Canonice della santa Romana Chiesa etanchordalleleg giImperialt.Imperbo cheritroviamoilcomandamentode Iddio nelDeuteronomiocome fedebbonoucciderelima. leficietincantatori_ilfimilecomanda nellLeutico,cioeche SranolapidatiliAriolie, quellichihanno ilfpitico Phitonico, dioe lidiuinatori. E Gratiano radunaaffaicosenella vigesima festa causa de decreti contro dicoteftifcelerati malefici. Anchora sepoffonouederequelle cose chescriue SantoAgostione libridellaCittadiDio;edelladottrina Chriftiana diqueftamaladetragenerationed /perchefepor fon piu p u o c h e cose raccontare oltra di quello , che h a esso fantiffimoe doctissimo huomo scrittoinquejluoghi. Iocacı giolimoderni Theologgi liqualinon puoco hanno scritto contra dellimaleficietincantatori,eparimente anche con trodellimaleficiter incantamenti sono anchora constituce leggicontradieffumaleficiemathematicinelleCiuilileg.: gicioenel Codigo di Giustiniano Imperadore: FRONIMO. Anchor se vedono affaicolene libride moderni philosophi.colide Platonici come de Peripatetici, cioedilambli co di Proclo, e di Porphinio, lequali poffoneffer'moltoapro pofito. APISTIO. Sicomeiononnegoche siano e demonii e chepoffonfareaffaicofeconlafuaperfidamaliciacosián theio defidecochemifano dechiarate quellecose, chipro, priamentepentengonoa quefte Streghe, cioesedannoal giuoco ouero uisiano portate con ilcorpo enonfolamente con la uolontao con una imaginatione, e finta reprefenta tione. DICASTO.Suole dare gran faftidioquefta queftio. ne ecagionaregrandubioinmoltepersonetragendoneof calionedalleparole del Concilio dell equaline faicoquanti mētione. Lequaliparoleleggonfinellaquintaquestiondel LaurigesimafefaCausa.Ilperchecredonoalcuni noefferui presentialli dettigiuochiqueftedonnuzze ehyomuzzicon il corpo,una solamente con lainagniatione.M a alcuni altri diconoeffercocefto giuocounanuouafpeciediHereliadi  versa da quella antica superftitione. Anchorà altrinuoletto chelafiatotalmente quellamedememacheiuifiafatiofo lamételaquerellaetimpoftalaperda quellicheistimano essere Diana Dea overo Herodia, ferebbediuerfanaturadelcapro dadiuerfopeco cipiouscita.Vero echesonoportatialliballieconuiti,etal lila fciu i piaceri della norte uuolendo euigilando. Il perchie Fronimo e dame approuata la tua diftin&ione della disputa rionedihieticon laqualeconchiudefticontecoteftogiud codelle streghee malefiche e antico quanto alla essential e oftantiamare nuouo quanto alliaccidenticide quanto - lecerimonie. FRONIMO .Sehoritrouatonellantichefu, pecftilionidej Demonio ilcerchio,lounguento !, lincanto, il caminare de lcl iorpi humani per il spacio dell a r t a , li conviti apparecchiati di piaceri carnali donati all’huomeni e donne dalli demonii in figura de maschi e di femine chi cosa ci manca piu accionoiftimamoessereantico ilcommertiot familiarita dellis piritimaluagie scelerati colliperuerfiet in quihuomini?M a percheseritrovano alcunecofe in questo vituperoso etis communicato spettacolo di demonii hora da moltinarrate; lequalinon fileggono fussero anticamente dimostrate ho detto lacagione, cioecheiltuttoseattribuiffe allagrandiffima afturia emalignita, delsceleratoeperuerfo n e m i c o dellhuomo.ilquale in diuersitempi a diuerfiordim e gradidi huomini haue apparecchia tomoke aru, e modi dingannardi accio che cosicondettiuarii coftumiecondi uecli ingannie piaceritrageffe efli huomeni delle precipito ferovine delli peccati. DICASTO. Per cotefta ragione assai  ouerochicredonochi.fi cangianoe trasformanoe corpi humaninęlicotpidi Gatge ode alorianimali, per opera del demonio e anchoraquel liche affermaucnodiefferforfipentalmodo difcetuto il rapto della mente quando sefachefeipuo bên conoscereic reconoscerepereffofel fia portato il corpoinquelluogodo Disalisselamente consciosiachedicaSanpauloapoftolodi n o n sapere cotesto:M a quefte Streghe q u a n d o sono portál te con ilcorponon sonorapitecom låninocioe ficome G fuoledirenon sono in fpirito, ma purse. Fussero rapite in questo modo ami  al 01 tel do od th que Ich til che ON efto ad LO me ol fal ad cit ced era din hadi ad 20 il a m i e piaciuto quello chehaidetto APISTIO. D u g uoi cerdetechesianoportaticolaconilcorpo DICAS Sicre dochesiano portatialcunauolraconilcorpo etalcuirauol ta che cosi facilmenre posson esser ingannati cioe che rendo naadamente illurae schernitala imaginaria potemiase pene fano, e gli parediessere portati corporalmente oltro di Carr gatacheier nodelli colli del Morite idea, et anchorglipa reditraparfareloAscaniolagodi Frigia,etanchodiandare oltro dello ululatodelloaltiffimoMonte Caucaso dellai n diacollarmi delle Amazoni. E péfano,diuolare colle penne di Dedalo sicome lepare nel sonno. Ma per queste coseno fono perseguitatineprelidalli Inquisitori neanchorefsami nati, ne tormentacinecondentatiouero giudicati.MAPer Questonoicerchiamoconogni diligentiacocesti STREGONI E e Malefic iperche hanno renegato lafede di Chrifto chipigliatononiel fantiffimo battesimo,e promiTonodiferuaria.eranchorperchehanno ischernicoc beffaro Wlagraniéti della santa Chiesa, et hanno sprezzato Christouero dioeuerohuomoredétoredelmodo ethino adorato il nefandissimo e spur i f li mo demonio invece de Iddio,et anchora permoliialtrimaleficii che hannofarro liquali serebbono troppo longhida douerliraccărare. PER Quelle cose Et Altre fimilifatte contro de Iddioe dellasua trionphantillima fede noili perseguitamo,elieffaminamo e facciamo liprocessi e cosidipoiretrouati e conuinri nelle lorofceleritadepertalmodo che non lopofson negare, dia moli nelle mani delli Reggi, Signori, PrencipieBaronio gerodelliloro ufficialiaccioli puniscano egli diano la penitentia secondo che comandano non solamente le leggi an . sichedella Chiesama anchoralenuoue etanchorane no. ftrigiornirinunuate,primeramenteda Papa Innocencio Otrauo, ed a Papa Giulio secondo.Vero-echetiammonia sco che ben auerufle da iftimare,che non sianoporrato al giuoco corporalmente la maggiore parte di coreftirei huomini. FRONIMO. Il nostro Dicasto hieriammoni Apistio egli feci intédere.comne n o doueffe fprezzare e farfi beffe di  I. quellochịe creduto da tutti o uedr’alla maggior parte probabile cioechelepoffa fareintaleeralmodo. Concioliachg ersententiadi Aristotele, come non erin tutto falsoquello chi-e decto da tutti. Il che intendendo quel Glorioso Thomaso Acquistato annouerato frallisanciper lasua bonta e piet ta ,&anchor p lasuaegreggia dottrinarepucato frallieccel lenriffimidottoriiftimoefferedelliDemonii,liqualidaua nocarnalipiaceriallhuomeni& alledonne ineffigiadima . fchiedifemine:dertiIncubi esucubi equestomaggiormés teconfermonelsecondo libro delle sententie, percheuiera. No molti saggi, prodi, & anchordorti huomenidicotefta oppenione. I perche o Apiftio,non vuole contradirea quello chive-statorenuroueroconiantapublicafama,& anchorap prouato con ilcosentimientodicanti eccellenidottori.DICASTO.Ben etottimamentelhaiammonito .M a anchor accio se posta haver maggior certezzadicotefta cosa,uien qui dame stregae giura allisantiu angelii de Dio, liq uali ho posto fo r c o l e r u a m a n i come tu vedi , di racontare, e di respondere il vero di quello ferai interrogata. Esappiqualme tefeiubbrigara atalegiuramento chesetune mentiraiedi raipur unam e n o m a bugia,no ritrouaraiperdono,ne remis fione; appo dinoi,& anchorpurpensa dinonritrouarlanel Jaltromodo appo de Iddio. Ho giarato, E cosisia ricerticheno uiingānaco;neanchorm i.DICASTO  Dunn que dimmieratuportara'algiuococonilcorpo,ouerofajn lamente con lanima o sia con la imagination. Con ilcorpoinsiemecon lanima.DIGASTO .Come puotu saperedieffereftataportataperariacola con il corpo congiunto con l’anima Perchejo toccava con que mani il demonio detto Ludovico. DICASTO. Deh, chi co s a t o c c a u i t u r  Il corpo di quello. DICASTO. E m o quel tale, quale e ciascun delli nostri. E porpiumolle. DICASTO .Vieranoquiuidellialtri colli corpi r O l i fi in g r a n moltitudine. DICASTO. E cosi diconotuttilaloricheho giamai essaminato, anchor sanza darlinerunmartorio & il simile anche diconodi Inquisioridelaleriluoghi,cioechieframinando quellidi questamaladetra compagnia comesimilmentehanno di [posti,vo discostandosi da quello cheh a mconfessatoquel liinquesto medememodo. BENCHE SAPÍAMO checo teftanone la cagioneperlaqualedebbianoeffermartoriati e puniti, ma anci per havervi o l a t a e t o t a l a fede promessa nel facto battesimo non dimeno imperho tuttie maschi e le femine di queftafceleratiffimaradunanzae compagnia.co fidiquestoCaftellocomedellaltriluoghidelmondo,coli dellicaliacome fuori di essa dicono inqueftomodo etcone fermano esser il vero di esservi portati corporalmente con quell’altre cose, delle quale ne ha detto la strega. Et a c c i o maggiormente lo poffeti crederevi voglio narrare unahifto siachenó fu favola ne anchorae cosaancicamangoua,Gia puochi mesi paffari eta porcato nelle brazza della madre un faciulito maschio, fi comesifuole aquella fortiffimaroc ca diquesto nostro castello chi'c circodata di larghiffime fosseet incorniata di fortiffimeetanchoraaltiffimemura, hora vedendo detto fanciullinoquello fceleratiflimo Don Benedetto Bernio ,ilqualefudipoibrugiaroperle suemale magieopereficomeauanti diceflimo) che parlava all’hora copil Castellano della coccafuo parente, gliuieneincontinente una brammosa e bestiale voglia di asciucarli il sangue. Al perche moltogliparuipiulongoquelgiorno che non pa reaquelliJigualidebbono receuere lamercededellesue Atentarefatichepertantobeftialeappetitoe desiderioham uça diguftare dellinnocente sangue del destofanciullino. Hor sendo pur alfinegiunto laoscura notte dellescelerira. de madref, efeceportarperaria al demonio efermarfinel Ja casa doue giaceua ilmischinello fanciullo nella cuna.Et asciugotantsoangue daquello infelice bambino,cheroma Sefi comeunatrasparente ombra,che preko preftopalla, non hauendoeffigiahumana.Ma nomaiimpo faconosciu itala cagione dellinfirmitadieffone della pallidezza perin finochenon fugiudicatoecondannatoeffomaluagiohuo. m o al fuogo. Perche allhoraelloaddimaudo perdonanza al padre del fanciullino, per il male havea farco. Ecosiandoe ri cornoperariapassandofouradiquellealtemura dellanuje   detta rocca laqualeuedericola. Vadimo auantarfilantiqui cadelli antropophaggicive de quelli popoli di Scithia chi magnaveno le carni dell’huomini, et anchora purmaraue gliatlilanottraetadiquellihuominįhoraritrouatinelle110 de detmare Eoicide orientale che ancheessisecibano colle carnihumaineconcioliachenelmezzo dellaItaliain una regiunemoltohabitataefrequeritatadalli mortali, discolo da ogniferitae bestialica, fi-e ritrovata una gradiliima c o m pagtira d’huomim cosi maschi come femine laquale/e-par sciucapinftigatione del demonio disanguehuinano. M a ritorijateStrega.Che piacerihaueuitunclloprelafciuccó un corpodiaria STREGA. Non soc on chi corpo. Malo ben questo che havea molto maggiori piaceri con lui che con il mio marito: DIGASTO Non faueuiumai paura,et horrore efpauonto conoscendochi quello era il demonio, icon ilquale cu haueui questi iscommunicati e sceleracipira c e r i : No. C o c i o sia che n o u e d e u a a l t r o c h e una figura di huono. cccettochenepiedi,liqualinon pareuano am eficonelafacciailperco, el altre membra. APISTIO. O chi figura o chi aspetto o chi effiggia di finuto animale, er di finta bestia. FRONIMO. Eglie imperho taleche nascon de lacrudeleaetasprezza edimostraunagentileforma,et fuauemolilia con altribeltadedallequalif.noquellidol cemente tiratielusengati.Fingono lantichiche essercitarse Venere lufficio dicacciatrice cercando per le Selve li lasci uti piaceri di Adono, ac c i o n e t r a g g e f f e à fe il cacciatore. H perche dicelo ingenioso poeta. Noda il gignocchio al modo di Diana Cintralauefte,ecaniellanimali. Della predafecuraadhorta, e inganna. Et anchora non alorimére inganno ilpaftore Anchise,eccet t o c h e in q uel modo, che e’aggradevole ad un huomo che habitasse nella villa. Cohanchorcalitafsiinun cerco Hii Hio da Homero inchemodoferapresentopuressaVenereaus tididetto Anchiseineffiggia egrandezzadiAdmeta uergi nie.llpcheiuisiritrouano quelleparole greche lequali hora Jetaccio. DICAS. Dehpertuafedeegentilezza,fiacontéto  di   Simile a Adameta fanciulla pura. DICASTO. Chicora pensi tu uuolefli SIGNIFICARE quellasimi Jitudine del Poeta: FRON .Non puo coildimoftranoquel le coseavanti precedono,& anche quelle che seguitano. Conciofiache addomando coluichi caminaua solo disco Ato dallisuoi buoi eloeccito efuegliocon ilsplendore e con Na gratiae lotiro a douerfi inarauigliare, fingendoff mors  ditrafferricleinbolgaré. APISTIO. Horfudilleinquel modo che face f t i h ieri, quando tu dice f t i q u e l l altri p u t greche nel nostro volgare. FRONIMO. Non semprese accorda talacerra,ficomefisuoledireperdouerefuonarene anche Temipresuccedennapiacevolmenteesecondoildifioleco Yefatte allaf provedurae prefontyofainéte, Cojneltrasferim t ë i patlare greco in latino et in volgare n o n sid e b b e face enzabuonpenserb esageublezzaditempo. DICASTO. Priegoti cheluoglihoratrafferiregiustamente fepuoi,feair choranonpuoifarecome uuoi,faalmegliotifiapoffibile. FRONIMO.Io son contento,pernonparere diefferofti. nato. Cofiuuoledire. Dar Sre Venere nata delconante Gioue. Avanti di Anchifein forma e figura, taleecosidipoihauendoliraccontarolageneratione,esuc ceffionedelli fuoi antichi con longhe fauole ,lo conduffe alfineallilasciuipiaceri. APISTIO. Holettocome feciA n chise la meriteuole penitentia per dette cose,conciosia che f u p e r cof f o d al fu l g u r e e cosi ritro o che gli fu a nnonciato qualmente cofiglidouea interuenite.Ilperche ritrouiamo queluerso scritto in greco, loquale hora hora cofi lo dico it? nolgare perchefo uiferamoltoaggrado.LoadicatoGioue fediffecon lardente fulgure.E benche dimostra chiello d o ideaefferpercoffo con talepena epunitione perrefpettodel peccato chi era manifeatato, non dimenoanchora inanji fignifica c o m e colui ferebbe punito dalli dei, il quale d e fideratebbe diuuolerehauere amorofi piaceri elibidinofe deleteationicoeffiDei:Penichecôigegnofee maravigliose fauole fingonolantichiqualmėte per simili cofe fuffjuccisa Semele figliuoladiCadmodallo fulgure.N e anchorasong cótrarioa Callimacho,inquella cosa che se narra di Tiresia at . ce che 710 qui Erg hon havuto figliuoli, conciofiache foué tefe leggi delli figliuoli delli Dei. Anchemi ricordoqual méte giadoidifadicellicomeerapurqualchefondamento delle favole. Pe č i l c h e s e g l i c q u a l c h e fondamento d e c h i Cortijslono.  Thebano cioechisupriuatodesuederedallaDea Giunone perchehaueahauutoamorofipiacericon Pallade,oalman cohauea cercatodihauerlibenchealtramenteloracconi taCuidio.Vero-e-chi Callimacho,finge questa cosacon 'piuhoneftoparlaredicêdochecofigli interueneffe, perche uide Pallade ignuda. FRONIMO. Chicosa ne hauemp per queata facola? APIS IO. Io te lo dico. Havemo questo al mio parere chejopensoo al manco dubitochehanocge te quefte cose efimulateefinite. FRONIMO. Ifimatuche apparefseno li Demonii in quelliantichitempidiquelliB a Toni di Troia e di Grecia Li quali demoniic redoche tufen do Chriftiano sianofermamenteda tetenuti effere una ria emaluagiaschiattae generatione de spiritie APISTIO. O si. fi fermamente lo credo. FRONIMO. De b n o n ti r i n f cresca di rispondere. Da chi procede che pare tu non uogliccedere, chequellimaluagiTpiritidefideraffino,etanchecers cassinodidarelafciuipiacerialledonne informa dihuomi ni & allhuominiineffigia didonnecAPISTI0.Doh cbi e'beni gran cosa questa da doverti rispondere. Io te lo dico. Per ciono locredo, perche non sapiamo qual menrenolonjo i demonii di carnenedioffa, comenoi.Ilperchenon sipossono delentareincoresticarnalipiaceri. FRONIMO. Egliepur una gran cosa Api f t i o che tu n o n ti u u o i r a mentare di quello che f o u e n t e h a u e m o d e ciall perche se tute lo ricordafi, noti maraueglia restine anchor direfti, quello che horadi. Gia fpeffeuokre-e-ftatodetto, comedannoeflimaladeeti nemici de Iddio erdellihuomini coteftifceleratipiacericar naliallihuomeni,er alle donne n o n per delectatione,chi habbianoeflireispiriti ma solamenteperingannaregli huomeni e conducerlinepeccati eralfinehell inferno dove efli sono confinatii n perpetuo. APISTIO. Il mio Frenimo ti pregono t i turbare, Pur anche io ho un dubio, Se l n o fussiperaltroeccettochep qirarelhuomeninellipeccatino se ditebbe che haueffero .   l fono dong figliuoli quelli detti figliuoli delli Dei, pche lispi ricisenza carne &oftanópoffono generare: FRON. Core Atanó epuoca dubitatione, cociolia che facendo Moises, mer moria nel Genesisdelli figlioli didioedellifigliolidell’homi ni furono alcuni che istimarono fuffero SIGNIFICATI peili alli piaceri carnali hauutifralli demoniie le donne, & altci,uno Jenofianosignificatililibidinosipiacerichehaueano lhomj. Nidellagiustagenerationeeftirpedi Sech:collefeminedel laingiuitagenerationedellaschiatadiÇainIlperche seale cunauoltafeleggediqualchuno,chefulle decto figliuoloo di Gioue o di Apolline non perhosedebbecrederechecoftui ueraméte fianato delsangue delliDemonii,cóciohache nó hanno sangue,m a sedebbe iftimare chelsia nato del semç di qualche huomo, dacuilhaueranpigliaro. Serebbonoass Saicosedar accontare delmodo de cuipaiono esse regenerati gli figliuoli dalli demonii che hanno libidinosi piaceri colle donne :m ape c non aggravare le orecchi e del pudico lettore paream etitacerlene parlar volgare. Anchorpuo effe rche qualcheuoltaquellichesono ftaroreputatifigliolidellidei odelleDee:ssanoftatocubbati fendofanciullioidalle loro madre,peri Demonii,sendoanchoressenelparto, etoccul, taméte postisottodiquelledóne.che ingánauano etledaua n o libidinosi piaceri facédole parere cħefli lhaueffono gene ratidiquellee cosico doppia le st mm De 70 li al frode leingånauano,cioe pri mieramenre facendole parere che glicócepiffeno e parcuri scenoedipoifacendolinudrigareinuecede suoifendo de altrui. Ma se p r f u f f i q u a l c h u n o che vuolesse dice che in verita fuffero faci generaci quelli chiamati dalla antichita fi gliuolie figliuoledelliDei,edelleDee,enon efferstarafro deinportarli,ma checosifufferogeneratidalli Dei e dee (ben che credo che sia il falso conci o s i a che conosco come sono alfaicose fauole)direicome furonogeneratidelseme del JiuerihuominiportatodalliDemonii nel tempo della concettione, quando dauano lasciui piaceri aquelle,E cosi in questomodo sedefenderebbedaefliilnascimentodiEnea nellAsia e quello diAchillenella Grecia, li quali furono digniffimi huominine tempi heroici, o siadiquelli eccellenti   Baroni,cosidiTroiacome dellaGrecia: Alichorfepúotreb: bedirequalmentein questo modoconcepilaReinaOlim p i a m o g l i e d i Philippo, Alessandro Magno, nella Macedonia e nella Italia lainadre del grande Scipione Africano. DICASTO. Il nostro Fronimo cercamente paiono corefte cose che tu hai raccorato molte semiglianti a quelle che narra santo Agostino. FRONIMO. Dirotti anchor molto piu quanti come non solamente tirauano a fe li Demoni t i n i q u i e fceleraci le femine collilasciuie carnali piacerim a anchor tentaueno l’huomini del'maladetto uitio della sodomia, colli maschi. Il perche facilmente era persuaso alli mortali cotesto sozzo e uergognoso amore de fanciulli coll’essempio dequel lili quali erano tentati dalli demonii dicendo che pigliaua. no il fioredies li fanciulli. Hebbe questo vergognoso e seele rato uicio di contra natura primieramente origine dell’Asia, e' deindi nella Grecia e nella Italia, e poi i puoco spatio dite po introperinfino nelli Celti popoli della Gallia. Per il che non e dubbio che la captura e presa di Ganimede in Troia non sia antica e non solamente e manifesto lo molto antico incendio e ruina con il fuogo di Sodoma, di Gomorra ,edi quelle altreCitade della āfia, appo delli Christiani e delli Giudei,m a anchoreramentatodalliGentili.Fu primo au thore appreffodelliThracicosidi questopuzzulentouitio, come delculto& honoredelliDei, Orpheo sendo andato di Asia nellaThracia,Veroe che sonoalcuni altrichiuuole no fuffiilprimo inuentoredieffofcelerarissimopeccato,np Orpheo,ma Thamira. Fugiapercotalmodouolgatoemãe nifeftatoqueftotantofceleratiffimo uiio,che eracredutb dallireiemaluaggihuominichelfuffilicito. E cosi'pareja appreffo delliCeltichelfuffefatizauerun punto dipeccato, ficome dice Ariftotele.Veroeficomecrediamochesiaistin to eruinatoinquellipaesiperilbeneficiodellafantissimafe de diChristo, cosimaggiormente uie-ftacoinconsuetudine appodelliPerfi,perlagiaanticasceleritae perchenon uie ftarafermalaleggedimefferGiesu Christo perlaquale fan tiffimalegge conoscemo quellochie bono,eche sedebbese guitareeparimêreintédemo quello chiemaloepeccato e chi  fedebbe fugire.E costilDemoniorio eperuersonon sol laniente ritrouo quelli maladetti giuochi e quelli scelerati piacericarnalipertirarealecosimilipiaceri quellefemine erano inclinate alla libidine & anchoriquicandole alla ge. neratione dellifigliuolilanatura ,m a anchora ritrouo questa abomizatione dellasozza esporçalibidine contra natura. E non contento anchor di hauerla solamente ritrouatam a facciomaggiormente ne tiraffiIhuomeni,anchorprometre? jua diuersipremii,aquellichesefusserográdemetedelletrati & efferciratiinefa.llperchepromesse adalcunila perpetua vita,cioelaimmortalita,sıcomefeceaGanimede De quira scontano liibri qualmente crederonolantichi,uonmácoim piamentechescioccamétechelfullportatojucielo.Ad al trianchorpromesseloindiuinare,ficomeaBranco pastore, D e cuidiconocolle fue faliole che glifuinspiratoilu perche loistimocheben sipuo suonarelarecolta,(licomecomuna mentefedice quandosehaueratrascorsodallitempi Heroi cicioeda quelli temp iquando furono quelli Baroni e huoi miniriputaci Dei,ecapitaniiforciflimipecinsinoaScipione, perchecredonon hritrouanochesianopiuftatesimilecofe. DIGASTO. Chi cosaditurTudebbe sapere comesonoin teruenuteinognitempo,& inognieta qualchenotabilico ke.APISTIO. Ma perchenon losano DICASTO, Affaibe fonomanifeftemanoimphotutte.APISTIO.Da chipce de chenosianomanifeftate DICASTO. Perhora occorce noa me duaragioni.Vnaeche sendo fcagiato ilDemonio malegno nemico dell’huomo dalla segnoria del mondo p forza del sanguee dell atrjófantemortedimeßer Giesu Christo non cofi importunaméte epublicamétecollesueillusioni ingánalhuomo,Percheficomefcacciatoebaditobabitanel Jiluoghinascostiedeserti,m a anticamente era adorato sot tospeciedidiuinita.Laltraragioneeperche giaistendeuale retidello amore lafciuoatuttele generationi dellbuomini,   Ito 1 di Appolline APISTIO. Io ti priego non parcarepiudicote fecofelequalesicomefonomanifesteam e colifonomnara uigliofe, Ma uoreiintéderedi quellechesonooccorse peral tritëp Ci, óciofiachecredosianopocheroseoccorse Haticinio . 1 te $ mmi  ma horaforzasigrandementedipore lilaciuolifolamente perpigliaredue generationidhuoniinicioeliottimieliper limi . lo ad domando ottimi que gli che se sono dedicati e cosegrati ad Iddio con tutte le sue forze havendo conculcato esprezaroturteledelectationiepiacerianchor boneftidi questo mondo. Efa continuamente a q u e s t i aspera e crudele guerra. M a sendofactaquesta guerra danascostoetoccul tamente nosimanifestauerunacosadiquelle,eccettoche alcuna volta per essempio e per salute delli altri. Poi io chiamo quell’altra generatione pellima, cio e quella delle becer ghe edelli Seregonidelliquali hora parlamo,Ta sai ben quanteminacie,equantitormétifienobisognoper cauatı lifuoridellaboccaquellifuoiindiauolatiamori efceleratiffi mi piaceri.Ilperchenon parlanoliberalmentedi quelli non liraccoranocome fonio,eccettochecollisuoinefandiffi micompagnidelgiuoco. APISTIO.Dung anchor iftéde J a r e t e d e l l a s c i u o amore il demoni o alli f a n t i huomini e t a figura della ingainatrice Venereshauendosi pinto le guan c i e e le l a b r a c o n la c e r u facio e con un bello colore, e c o n il  quellichitotalmentesefonoaugotatiaDior DICASTO . fetu hauefli cognitionedelleuiteedelloperediquelliiscrit tenellilibrinon hauereftipuntodi dubitatione.M a accio tu ne conosciqualchepartesepiunó lhauerai conosciuto,a uogliopurraccontarealcune puoche cofe diquesti ottimi huominie fanti, cioeinchemodo sefforzasse il demonio di doverli pigliare con lareteelaciuolodellalibidineelasciuo amore. Narra Sufpitio Seuero, come fece ogni forza esso nemico dellhuomo per ingánare quello gloriofifsimouescouo santo Martino in figura diGiouedi Mercurio,diPallade,e di Venere,Dimmiilmio Apistio non iftimituchequando fefingeuade esser Giove no gli promettesse delli Reamie dellelignoriere che quando sedimoftrauaineffigiadi Mercurio chegliprometesselaeloquentia eladottrinaecogni tiondei tuttelescientiehumane equandoseappresentaua in sunilitudine diPallade che non glioffereffela fapientia,e laprestancianellartemilitarelaqualegiahaueuasprezzato e renunciaror Chi cosa puo tu pensare gli promettestesottola purpuriffo con lo quale tingono le femine le maffelle con il bomagio, eccetto che diletteuoli elasciui piaceri N o n penso tuchelfingefsediesserueftirodericcherobbe eueftimétidi diuerficolori,ethauesse anche fintoin questa imagine liua ghielusingheuoliocchipertirarlonellasciuo amoreset an chorchel ragionale delasciui & libidinosi piacerisTi dira Athanafiosanto,conquantiuariinodi tentoilmalegno spi ritoquellogloriofoabbate.S.Antonio nel deserto ,ilquale Athanafiofcriffelauicaecostumidiquello.Anchore buon teftimoniolafreddaneue diquátofuogodilibidinetentaffe ilserafico Franciefco nella quale accio iltingueffeloincen / dio dieffo,segligeto dentro ignudo.Te inligaara anchor il cespugliodellepungenti spinne quanta delicatezzadiamoro fipiaceri presentaffe auantidellocchidellamente del pudi coe cafto santo Benedetto ,collequaleritrouo ilgioueuoleri medio controditanta Cozzacosacruciandolapropria pelle delsuodelicatocorpo. Non crediariimperhochelmanca di punco anchehoradicicarealcunidellaturba emoltirudire nello pazze s c o a m o r e é volgari piaceri carnali, pur che veda di possere, ma anzi di continuo grandemente cerca con milli modi e con mille arti percoducerlinellasuamaluagia eriauoglia. FRONIMO.Vi voglio narrare una cosa intervenuta ne nostri giorni a comfermatione di quelloche ha detto il nostro Dicasto. Ho conosciuto uno huomo molto essere citato nella militia, a piedi il qualehammi dico fovente di haver havuto piaceri libidinosi o n il demonio, *credendo che* lfuffs una vera femina. E fu in cotesto modo sicome egli narrava, chi era huomo semplice e senza malitia. Sendo ello nella Toscana e caminando peralcune sue occurrentie verso Pisa e venendo da un castello pur del Pisano, dovi havea perduto nel giuoco de dadili danari, eco si molto di mala voglia lamentandosi dellifanti& anchor ed Iddio per la per dutadielli, ecco rivede seguitare dopo lui dui a cavallo che parevano mercatanti, e parevano che cavalcaflino molto infretta, doue adietro diunodjeflisedeuaingroppadelcas uallo una femina la quale dimostrando dinon poterepiyol troftarea canalloperlagran fretra che facevano paruiche 3 scendeffe interra. Hor costuiuedendola bella & anche sola pigliandola per la mane caminauano insieme e la inuito allo allogiamente seco quando serebollo a Pisa, e cofi parupi che quella gratiofamemreaccecai se l’invito. Eco si pur oltca caminando insieme e anchor piacevolmente ragionando, canto colui se in siammo di amore di lei, che senza ver un freno della giusta ragione, ec iecamente chiedendola de piaceri dishonnestie quella consentendo linediuiénea quello che tanto pazzescamence bramata. Ma' uditi cosa meravegliosa, come hebbe havuto li suo i s c e l e r a t i d i s u r e  i s c o s t i da ogni ragione di huomo, ecco che incotenenti quasi tramortie diurene tanto manco di animockegiacque nel campo dovi la vea comesso il fozzo peccato dalejhore come mezzo morso.Vero eche foura giungendo e suoi compagni chi ne venevano dopo lui d a longhi e ritrovandolo in coral modo giacere fanza forze corporali, il portarono alla citta e fusei meti infermo, e gli cascarono tutti gli pelli dalla persona e narrava come per tal modo vi fussero brugiate le calze nella soperficie disoura comme selfulfiftatoil fuogo vero l’havesse brugiare. Dipoi diceva comesericor dava che quella femina, ma piu presto quel diavolo in forma di femina l’havea molto pregato cheldevesse getare a terra una haftateneuaiimane douiuieranel Ja cima un ferro in forma di croce, cioe un pedo, li corne noi diciano promettendoli di darli una molto piu bella lanza segliubidiua. APISTIO. Molto mi ritrouo fatisfactoquae toallipiacericarnaliprocuratidalli Demonii dalprincipio dellaniquita. FRONIMO. Hor voglio chetuintèdicome ha ilDemonioquestausanzaperdouerpigliareThuomini, di ufare ogni frodo nel conuerfare collhuomirificome iften desseuna reteperinuilupparli.Ilperchenon solamente usa queftonelli piaceri carnalim a anchor intutte le altre fami: liaritade. Etacciotupoffi conoscerechelfia vervooghioh o racomenzare dalle bataglie di Troia. Che penfitu uuolefle SIGNIFICARE quell Dragone di altezza di fette gomiti canto dia mestico chibeueuacóAiaceLocrese& andaualiauantinel liuiaggi demoftrådoltlauiarecoliftaua tantodimefticame teconlui, ficomefuffiftatouncagnuolo. Che cosauogliono dimostrare le penne diDedalo:e lealidelPegafloretuttel . laltcicose,annouerate frallimoftri delle fauole Et anche quelli tapti prodigii emiracoli delli Philosophi C h e crediçu uuoleffe direquellotantoaceleratouiaggio che fece Pythagora andando e ritornando per u n aviam o l t o longa d a (t a . Jiaperinsino nella Isola de Sicilia in cosi puoco tempo.Cor m e pensi tu puotesse caminare tanto spario di paese cosiuelo cementeri come uno uccello Empedocle inchemodoisti mitucheandaffecon tanta uelocitalicomelaborea Abaro fouradiunafaetadi Appolline a vificare Pythagora. Di che luogo creditu uscisse quella voce, che refiro Socrate, ma non losforzor Ghi vuol dire quel genio e familiare spirito di Plotitro: Che significaquella Occa che habitava tanto dimesticamente con Jacy de philosophore fic ome fono puochie philosophi in comparatione dellaltci huomeni,cosianchor questoperuerfonemico dell’huomo tirauamolto piu delli mortali nella uoragine precipitosa della sporcha libidine che litentaffidi vanagloria. Enonfolamentelitencauaisteriormente e visibilmente, ma anchor f o u e n t e interiormente e invisibilmente. E se tu pensarai che puoco importa siano tentati l’huomin idal demonio dilasciuiaedi. Carnali piaceri o interriormenteo veco isteriormente, te lasaperadire que itadifferentia Santo Geronimo Il quale chiaramente scrisse ledicedi quelli fantiheremite,doujraccontale grandi ten tationipatirononeldesertodalliDemonii,ecoteftofeceper ammonitione di quelli doueano uenire,Atchor 11on m a n coeglifcriffequellegranditentationichelfuftene,dicendo qualmente inuna carne quasi morta solamente bugliua. noliincendii& asperifuoghi della fozza libidine. APISTIO. Dung feaffatico anchor Venere, cio e il demonio di u u o l e r combatare con Santo Geronim o colli dardi del a puzzolente libidine? FRONIMO .E bensefforzo difaretutto quello puote & anche non fece manco cru delleguerra con ilglorioso Pontifice.SantoMartino,sotto questo n o m e di Venere ficome racconta Severo doveder scriue li laciuoli e itele retida quello nemico in effigia di Venere. Ma chelfedimoftrafiea santo Geronimo vi fibilmenteoueroiltentaffe interiormente, non Ihaveto chiaro.Vero echecredotuhabbilettonelliantiquissimiau thoridelliGentili,come hauea consuetudine Venere dim o were lhuomini interiormente & ancoisteriorméte.Ma eglie ben ueroche quando serapresentaalliocchicorporali,efaci lecoladadouer conoscerem a quandosolamentesedimo A t r a nella imaginatione, & e c c i t c a e m u o u e li sentimenti i n t e riorinonsonocosi facilmenteconosciutidaogniunolisecre *titradimentietaftureinsidiediquella.Ilpercheeglie detto pellihinnidiOrpheo Venereuifibileet inuisibile. Et anchora e detto che li amori u s c i f f e n o d i quella f e c i s c o n o l a n i m e colle intellettualisaete. Imperhodice Orpheo in quell altro himo greco coli in volgate noftrohorada me trasferito, aparente e non aparenteo vero paiono e non paiono. E pur ancheinun altrohinnocosiscriueingreco quello che hora diro volgarmente uuolendo dimostrare che sianopercorso lanime colliintellecualidardi,queste fedissenolanime colle intellettualisaete. Anchor feuedonoquelliuersi di Procolo Platoniconellhinnofatto alla licia Venere in Greco uiauia da me co f i i n volgare tra dotti acci o si manifestano le intellettuali nozze. Hauendo INDICIO delle intellettuali nozze edel liincelletcualihymenei, cio e delli intellettuali Dei delle nozze. APISTIO. Dice Apulegio che qlo spirito ilquale couet s a u a t a t o d i m e s t i c a mente con SOCRATE era dio e no il demonio. FRONIMO. Ma pel contrario scrive il Plutarco & a n Co Massimo Tirio chiamadolo il demonio. Decujunodieffi ne hascrittoun libro,elalcrodui. Perqualcagionefedicech unaltro demonio pigliafféilpatrocinioegouernodiplatone o di Zenone ouer di Diogene Perche fu un altro demonio inolto domestico di Plotino s9i veriraui dico che questo fa ceuanope ringanarli. Sono tutte menzogne quellechedie cono alcuni comesonouarielenature del Demonio , cioe che alcuni dieslisedeletranodigouernare le Cittade, ele co sedomeftice, efamiliarieraltriuolentierifeoccupanonelle coferufticaneedella uilla,etalquantiallegramente se in tromettono nellopre della terra,et anchora fono reputati molti che habbino cur adelle cose marinesche. Sono tutte  coteste cose   & aliri ale loeffercitarsi nellarmi della battaglia. Ilperche fauolescame tenarrauano, cheinspirasseperlifomnijlamedicina Esculapio e Podalicio, e che fussero T o u r a f t a n e i a l l e p r o c e l l o s e o n d e etépeste delmare li Dioscuri, cioe Castore e Poluce figliuoli di Gioue, et anchor dicevano che essercitasseno le opere della guerra dopo la morte Rheslo & Achille, & in antichi tempi di Troia, Theseo. ueroecheraccotauanochequelliprimi nascostamenteeffcrcitauanolarme,m a questoultimoaper tamente enellampio campo. Racconialianchor perfama checombatreffenellicampiepianuradi Marathono laeffi giadi Theseoper li Atheniefi contradelli Medi, equeftoan che scriffe il Plurarcho. Deh vedi una gran pazzia. Credeuano foftoro che li demonii fuffero lanime separatedallicorpill., gerche diceuano che Asculapio medicaua, Minone e Rhal damáto giudicaua,Scacciaua le gragnuole etépefteli Dioscurio sia Castore e Polluce, Diuinaua Amphilocho, Mopro, Orpheo, eT rophonio,elebattaglie eguerre trattaua Rhei fo, Achille,e Theseo .Ditutte coteste cose era authore ilD e r monio,Ecacciolifuffero preftatelorecchie edato fede,ecoli maggiormentefusserotiratilhuominieglifaceffinolifagri ficiilicomeallanime delli Baroni signori & eccellenti huomini con una cerca vana speranza f , ing e vano tutte queste cose. Dalle quali superstiitioni e inganni, non furono contrarii Platone et Aristotele, e maggiormente scrivendo li libri delie publice leggie disputando delle institutioni & artici uiliecittadinesche. Anchor e cosa publica,comene noftri giorni son ftato tenuti e portati delli demonii nelle guasta , deo sianoualidiuctro enelle annelli,& inaltrecose, & anie chorcomequellineinici dell’huomini hanno dato resposte perilgérre,perlacosta,&altrimembri dellimortali ficomie dalspiritodi PythiaodiApolline,acciopoffemofacilmente coteste cose elalorisimilisonniidellisciocchiepazziGecilie pagani,propriamente semilia quelli narrati daalchunifa uolescaméte,qualmente alquanti diquellifeeffeccicauano nella medicina,& alirihaueano cura e gouerno delli naui. Gheuolilegnie delli gouernator idieffi, & chealquantierat no sourastantialdiuinare,enon puochialleleggi,   cono s c e r e come il f c e l e r a c o nemco de Dio e dell'humana generatione ha pensato in diuersi tempi diverse vie e modi de ingannare Ibuomofouo specie di familiarita. APISTIO. In uerita cosiancheioistimo, DICASTO. Nó dubitarem a siapurdibuona uoglia,cóciosiacheapuocoapuoco ne ue. rainella nostra ferma oppenione e vera sententia. APISTIO. Ma nongiain questomodo.Maegliebenuerochemilasto coducere dalleragionie dalliteftimonii.  DICASTO. Vieni qui Strega, esappiacome fei coffretracon quelmedeno giurainento cheeriauanniesappia qualmente in brieuisem raipunicaconilnostrofuogo,edipoiincontinenciconquell altro che mani o n mancara: fe tu mentirai in pun to d i q u e k locheteinterrogarodeluoftromaladecco giuoco, I doso,enon houerun dubbioin questa cola. DICASTO. Dimmi. Magirali e beueti cola al giuoco uostro scele ratorVero echequantoallipiacericarnaliaffaisiamofacil fatto.E cosipiu non bisogna diaddimandartine. Simangiauadainquelmedemomodo ebeueua comeera cófueto dimīgiareincasaconilmiomarito ,econlimieifir gluoli. FRONIMO. HieritipropofiApistio iefsempio quel lamensadelsole cotanto noininarae iamentara da Heroi doro,edaSolino,& anchordaPomponioMela.Ilperchetu debbe (appere qualmenteil Demonioastuto ne cira affai dellipoueri e delcozza uolgo collipiaceri della gola olico dellasperanza lo chiariffeneanchor dicecheufcisfenoledittecarnifuo kidellaterrane che saliscenosouradicffamesa béchelodi caHerodoco.VeroechePomponioMelae, GaioSotivo dicono cheeranodiuinaméteportatedittecarni.Machies coluidi cosicozzoingegno chinon adaerciscacome fussero quelleuiuandeecibilusingheuoliingamida ingannareil gufto dellaignoranteturba,Et anche chi'e-coluidicofipuo R e promissionidelledelettationicarnali.Che cosa pođemo istimare uyolessunosignificare quelle carni poste souradellapridettamensadel Solerde cuilefameir tione fanto Geronimo fcriuendo a Paulino,ficomedi una cosamolto uolgata,emolto marauegliofarMachicofa fuffe nó co discorso   co discorso, il quale veda Solino contrario ad Herodoto, et il Mela contrario di Solino chenon coilofcacomeuariament tee dimostrata quefta fuperftitioner cóciofiache quello fcri ua qualmente eranoiuiportelecarni nelpratoappo della citadalmagiftratonellaoscura notte,chesemangiauano nelgiorno,echedipoieradetto daquellidel paesfeu,ffero uscitefuoridellaterrasEgliebenuerochediceSolinocome e quellaméfainunluogodellombre,etiersempreapparec chiata abondantemente di lauri,dolei, etaggradeuoli cibi, et uiuande,dellequaline puomágiareciascunchevuole et atuetasuauoglia,ebenchenefianomágiatein grancopia da quellicheneuuoleno,non dimeno imperho non mai mancano, ma sempre iuicresconodiuinamente. Ma Pomponio non dicepurunamejionaparoladoue fifa questa mensa,o apreffodellaCittaouernoellaoscuracarcereeca cetto che dice com e divinamente iui nascono li cibi.  E ben o che cotetti Scrittorinon convienono insiemein ogni cosa, purimperho eglie fermamentedacuttiquellicenuto feno za contrarierac,omeèunamarauegliosacofa,&anzidiuis nalantidetto conuito del sole. Ilchere-molto conueneuol le conquesto di Diana, sorella di Phebo o del Sole sicome egli dicevano. Anchora istimono essere puoco a noftro proposito quello che racconta PomponioMelanelladescricio, niedel Mondo cioeche seritrovaunluogodoni continua mente tilpiandono grandi fuoghinellaoscuranotteetpaio noefferiuiquafieffercitidi soldati chi occupano ampiopa ose eriuifiano fermati suonandocimbalitamburini,fiauti, e trombeche paionomoltomaggioredequelli cheusano Thuomini. Dimoftrauano anchora una fimilitudine diC o n uito lincantamentiemagicheopere deOliffe,sendofpar foilsangueintornointorno. Nelqualeluogo ui ueneuono li demonii, e t f i demostravano in diverse et varie figure. In qual modo diceva il Vinitore, che conuerfaffi l’anima di Olisse cauata da Homero collombre &imaginidi Pro tefilaoedellialcriBaronificomedicePhiloftrato.Ma hora lescelerateemaladetteStreghee Stregonidenoftritempi,  TI ro fir Tiel TOY MU feron ii be KTOV DIO  I cavano il sangue dalli fanciullini, epermaggiorpartelocon servano nelliuafiperfarequelmaladettounguento, E bep che paiono coteftecoseaffaisofficienci, per hauernarrato il detto convito, non dimeno imperhouoglioanchorloggiun gere la mensa di Achille. APISTIO. Che cosa s e c a m o g u e. fta fiammo pucadudire. FRONIMO. Non ti marabigliare E t anchorari pricgonon uoglisprezzare quello ,che uoglio nafcare conciosiachenon fingouerunacosa Ipera che senonmivuoicredereaddimadalotua Maflimo Tirio, Il che fe f u f a r a i, te l o raccontara, ma anzi te lo dimostrara colle suecatre scritctei o e iinarrara dimia certecosaiferittapermo lu i secoli, ci o e avant i d i mill e s a n n i c o m e a c f u o i tempi fiz manifefta la Mensa di Achille che eramolto simile a quella delle ftreghedouidicono chehocauiseggiono mangiano'e beueno APISTIO. Il mio Fronimo io creda alle tue parole. FRONIMO. Puc quando anchornonmiuuolesti credere, ioti moftrarebbi il libro dell’antidetro authoree Greco e anche latino cbieapreffodim e. Nelquale anchorvie foritto di unacerta isoladelmare Euffindouie il Tempio di Achille Nella quale Cove n t e e f t a t o u c d u t o d a l u i, esso Achil e ch e ha fatto conuiro a quellihuomini iuiandauano & che ha cono sciutoP atroclo figluolo di Thete e altri demoni (& fico meeglidice) lichoridelliDemonii.cio elemoltitudinidief ft& anchobaneucduto di Dioscurichedannoagiatorioal., lenani chepericolquotio,accioiolascidiramentarequello cheeffofcriffc.comeera confuetudine diefferueduto nello Ili o le forze di Hertore. Ma co r e f t e c o s e n o n p e r t e n g o n o a l conuito delleLemuri.APIST.Nó pareno queftecolemol. todiscosto dalconuito diNereo edelloceano,delliqualine fannomemoria diuerst-poeti.FRONIMO.Réfo I lmaligno Saftuto nemicodellhuomocoreftivelenatiConuiti,accio priuaffeIbuomodelloeccellentifmocouitodiChristo che: ha apparecchiato f o u r a d e l l a mensa s u na e l suo R e a m o. M a h o r a, u r voglio raccontare, non un convito finto e scrito dalli poeti ma w a maraveglosa cosa gia puochi anni passati ha mi narrata da un grande huomo ornato cosi di eccellentedi gnitacome didouitiae di ricchezze. Fuunbuonfacerdote nelle    nelle Alpi Rhetie cioe di Germania gia dodicianni fa ilqua le dovendo portareilfagrosantouiarico del corpo di Messer Giesu Christo adunogravementeinfernio: &efTendolimola to discosto, eaedendo dinon poterlo cosiprefto portare ca minando apiedi,sicomeerailbisogno,falisuilcauallo e le goflralcolloinona affaihonoreuolecaffetta dilegnos fan , tiffimosagramento, e comenzoaffaiinfreta di caminareper f a c i s f a r e a l d e b i t o f u o. H o r s e n d o a l quanto caminato f e g l i f e r ceincontrauno che loinuitoascienderegiu del cauallo, et andare cô luiper uedere uno marauegliofo fpetracolo.Ilche imprudentemente eglifacendo per uedere cotefta curiosa cofacome fufcielo, ecco incontenentisentidiesserportato perariainfiemeconcoliche Thauea inuitato, & in puoco spacio d itempo feue diporre foura la cima diun akiflimo monte dovie rauna molto ampia & ameneuole pianura, in/ c o r n i a r a da altissimi alberi e con pavente voli ruppi se trata . Nel mezzo de coi ui fiue devano diversi e varii balli, & an c h o t u t e le maniere de g i u o c h i c o l l e n i e n s e apparecchiate dilautirdiuecficibi, & ancheseudiwanotutre le generationi de fuoni e di deletteuoli canticono gni dolcezzaetrastullo cbrieuemenite semteuasi & udeuafitutte quellecose, lequali suolenorallegrarelianime dellhuomiui.Dilchenjoliomara uegliandosiilbuonefemplicefacerdotee purnonhauendo ardimento diparlareperlagrannjaraueghia,& sendomez zo fuoridi feifteffo glifuchiedutodal copagno, che lhauea condotto quiuifeuvoleuaadorareefarerinerentiaallaM a donna cheera jui, & ufferitliqualcheduono,fecondo che fa ceuanolaltriEraasederenelmezzo unabellissimaReinari c a m e n t e u e f t i t a f, o u r a d i u n a r e a l e f e g g e , a c u i l e p r e f e n t a u a ciascunaduoiaduoioaquattroaquattro conuarioordine areuerirla & ad adorarla presentandolidiuerfi duoni. Horudendo costuitainentare la Madonna e uedendola ornata ditantofpiandoriedatantisergentiferuita istimochelafus filagloriofamadrediDio eReinadelcieloedellaterra,cô ciofiachenon sapeva checotestecosefufferoinaencioniere trouidelli Demroni ilpercheselohaveffeiftimato,novaise rebbeandato.Horafrafeben pensandochecofaglidouelle  presentareperifdoi non puoterleoffericepiuaggradeuole presenteallamadre che ilcorpo fagratiffimodelluounige n i c o figliuolo, e c o l i a n d o d o u e f e d e u a q u e l l a e t a d o r o l lia n ginocchiadoli alli piedi; edipoileuádolidalcollolacafferra doueerail-fagrauiffimocorpodi Misser Giesu Christo, divotamente u i l pa o f e n e l g r e m i o. O di cosa meravigliora, ecco che incontinenti, come la hebbe poftasoura del gremio di quellaReina,coliprestofparuilafeggedi oro elaReina erauifu con tuttaquella moletudine,etcon ognicosa che pareuaiui,epiunonfuuedutopurun puoco diueftigiodi quellinedelļicóukinedeli giuochi, neapparui quelloche fuffe fatrodelcompagnio. Hor conoscendo ilfemplizzotro p r e t e come full e stata quest caos a opera del demonio tutto smarrito e mezz o fuoridife fteffo comentio di pregare Ido dio che non lo abbandonasse in quellifilueftri luoghipriui diognihabitationedemortali.Ecosigirádohorindiequin dilocchi,eandadomo qui,noliperquelliaspriluoghiper uedere sepuoteuaritrouare qualcheueftigiodihuomini ac cioplotesse intenderedove fuffe, eritrouandofi sempre in maggioriruineeboschie feluealfinpurranto caminoper quelle precipitose ruppi, che dopo molto longa fatica, edoi po longospatioditempo con grauiaffanniritrouo unpaz Atoredacuiintese,comeeradiscostoda quelluogodoue andaua a portare ilcorpo di Christo da circa cento miglia , Poi che fu ritornia:o con gran strache zza alla fuahabitatio ne andodalMagistratodiMassimiliano Imperarore,erae coiolíiltuttoper ordineficome horaio honartaro. Ma che coteste cosepoffoirefferfattedal Demonio telo dirano Hi Theologgiliqualimostrano comelanatura dellicorpieub bediente alla uolonta delle foftantie separate dalla materia quanroimpechó pertene almouere daluogo aluogo.A n chora puotraiintêdereallaiessempiidellicorpihamanipot tatiperaria da luogoaluogo,seryutoraidallilibridiFras teArrigo,etdi FrateGiacopo Thodeschi eccellenti Theo Soggi dellordine'de Frati Predicatori chiamati il maltello, loquale fecero,confirmandolocon affaiteftimoniodimoke cole che effi uideno colliproprii occhi .Loquale maltello puotrai hauere,fetulouuoraiusarecontrodiquellicheso noduri,enon uogliono credereiluero acciochetu lipieghi à douer crederequellochesono abbrigaci ouero lilpacchi in cento migliara de pezzi. APISTIO. Cenamentehoudij tounamarauigliosa cosa, laqualenon puooffuscare la sera nottene anchose puo direche fusseun fomnio nechesalu ta cófeffataper paura,ouero permatrocio,operqualche al trafintacagione.Ma uorebbiintenderedachepuotepros cedere che sparislinotutte quelle cosenel toccare diquella hoftia fagraca, concioliache li demonii, non solamentete m a n o il toccare d i quella ma ancho cercano . e c o m a n da no che siano portate assai di quelle al giuocoe di poi le fa m o gettare in terracon grādi scherni e lifanno dare foucadelli piedi elifan faretuttequelle uergogne siposson fare,fico m e disouraha parrato la Strega. DICASTO. Tunáti deb biper questomarauigliare conciofiachefapiamo come se (pauentanoeDemonii perilsegnodella santissima Croce,e nondimeno anchora qualche uolta apparisconoinfiguradi Chrifto crocifisso accio piu facilmére posson ingånare lhuol. mini.Inueritatidicochetunon timacauegliarestisetu ha. Yefli Jettoleopereelauicadi santo Martino e di. S. Francesco di molti altri santi eseancho. tuhauefliben effaininato come Messer Giesu Christo sendo anchor in questa mortale CarneilqualescariaualiDemonii silasciotétatead esso De monio eglipmeffecheloportafferouradelpinnacolodel Tempio,edeindipoi'sourdaelmonte,& anchepermesle maggiorcosa,cioeche fuffemalerattato da quelliperfidi Giudeiferui del demonio e tormentato, et ultima menrecrocifico. Olcrodecio tupresupponichelaStreghenarrano cheliDemoniiconculcano,ediano dellipiedisoucadelle hostie consegrare, ma non e c o l i, con c i o l i a che non fanno corefto li Demonii m a/elbenverochelofa questo lamay legnita dell’huomini asuggestione dieffiDemonii.Anchos racredochecosicomefalafedeinsiemecon lariuerentia che fanno l’huomi in essa santissima Croce,enella fagrolan (a hostia consagrata che il maladecto demonio se ne fugge: cos ianchor uifaccifaretantiuituperiieffoperlagranmalistia de essi, eper ilricuperio lifanno. Ma quanto al semplice u coprere. Credo chefuflila semplicita diquello cagioneche sparefsinotutti quelli apparecchiamenti, etuttequellalerico fé,emaggiormiére la forzadellafedefecechenon solamente non f u ingannato in suo danno, ma anchor fece c h e f u p e r e serunoacciopuotes le narrare allialorie dechiarare come quella cofa dequihocą parlamehepareua effermoltodu biofa, cioelele streghe e STREGONI vano al giuoco con il cor poouero solamente con la fantasia & imaginatione ouero se vi possono andare punefleruera, & e verae non una imaginatione. Auchar permette alcuna uolta la possanza de id dio,chesiaschernitoilsagramento elaCroce,ellaltricose diuine, &alcunavoltano:segondochealuipare.E perchela fa,sepuosempredarequalcheragioneingenerale,mianon re puo imperhosempre isplicarein particolare, conciolia chi e tanto rozzo e grosso l’occhiodell intelletto poftro, a dovere INVESTIGARE li secreti della divina magiesta. APISTIO. Hormai son satisfattocon queste ragioni, ecitrouomi conten to rendouscitodellenere& ofcurecauernedelledubitatio pi.FRONIMO.Ben uedisetuhaialtrodubbio,efupresto chiedelachiarezzaa Dicasto, perchegia glimolto poffenti euelocicaualliquasi hannotiratoilcarrodelsoleappo del suo SEGNO, quabto al nostro hemispherio, accio non bisognali poi remanere quicoteftanotte, sendo ferate le porte del castello. Il percheftareffimomolto maleagevoli,questanotte delfinuerno,in cotesto Monastero a pena comenzato doui non stritrouaanchor uerun letto. APISTIO. Hamnipare. che non cifiaaltroda chiedere eccetto che delliueneficii o fano incanti. DICASTO. Di che cosa dubith. APISTIO. Se fouofatti veramenteo purchepaionoesserfacti solamente con la imaginatione. Conciona che affai ha manifeftato la forza delladiuinaGiusticiasempregiustaenon sempre co: nosciuta perche Iddio alcuna volta permetta, fepursefallo, & alcuna volta il prohibisca. FRONIMO. Non te ricordi di: Lucio Samofateno, e di Lucio Madautefo. APISTIO. Si ben. Et ancho mi ricordo di hauere alcunauoltaletto dette  5 cose, & anchegiaduoigiornifaleho uditoramentarea te. Ma egli e ben vero che dubito affainon fianofauolee che in ueritanó fufferofattecofiquellecoseche se narrano in quel asino greco et anche latino. FRONIMO. Coli come iono dubito che siano assai cose finte emoltopiudiquellochelo Etanchor sepurcoliuuoi che sianotutte quellecose che for n o ne detti libri fauole et imaginationi, cosi anche credo che dett e favole e f i t c i of n i i a n o c a nate da qual che vero fondamento.Conciosia che il nostro Divo Aurelio Agostino iftir mo chequelle trasformacioni e tramutationiiscritteda Varrone cio edelliaugelli di Diomede, delle bestie di Circee delli lupi di Archadia pigliaffono origine e principio da qual, che cofa uera. Et anchor raccontanel decimo otcauo libro della Citta di Dio, comeerausanzanetepi' suoi difaremol te coseaffaifimilia quellechenarraouerofingea pulegio. Veroe che dice, come gli demonii non possono fare ver una cora con la forza della sua natura se non la permette Iddio. Lioccolti giudici di cui, fono infinitie non uisiritrouaimpe tho verun dieffiingiufto. IIperchesepare che li demoni fa ciono qualche cosa similea quelleche ha creatolomnipo. tente euero Iddio, eche pare chemutano una speciedi uno animaleinunaltra:ouerotramutanouna creatura in unal tan,on euerochecofi,fia,maebenuerochecosifaappare teouero imprimendo dettefpecieefigurefintenellimagi, natione e fantasia, overo mettendo avanti li occh i corporali un altraf inta specie e figura. E cosi  io ile di 5 lui che ha conturbata la fantasia, diesser una cosa in luogo di analera & il simile parera allaltci. non dimeno fera imperho quel medemo, overo gli prepora una similitudine auktiloco chi la quale di continuoglifaraparereefferecofi, ecosicre. deca dieffer veduto anchedall altri.E coteftanon egramel raueglia,percheseun corpo puo ingannarelifeptimeci corporali e farli parere una cosa altrimento di quello che e-fico m e vediamo che failuietro, il quale imprime quell suocolore nellocchio percotalmodoche fa parere tuttelaltrecosefimi leaTenelcolore, benche fianoaltrimentoinsecolorate,quá t o maggior mete i spiriti ignudi da ogni corpo, cio e li demo qualche uolta pareraacoi  nit Quotrano conturbare la fantasia er ingannare l’occhi elal trisentimenti delle creature inferioris E coliin cotéfto modo iftimaraifuffero quelle operediquei Almi, e di quella specie di quello prestance cauallo, chiporcaua li gradi pesi ladispu tatione del philosopho, chdiifpucaua senza corpo le cose di Platone le astute opere delli lupi di Arcadia, e liuerfi di Circe che trafformaronoli compagni di Oliffe. Ecosituttecol tefte cosefedebbono attribuire al spirito imaginario, ouero alla fantasia. che cosi era ingannata a cui pareua essere quel la cosa che non era. Il simile anchor diremo della cerva in uecede Iphigenia, e li augelli i uece delli compagni di Olisse, cioe chefufferoposte simili imaginie figure dalli demonii auktilocchidellhuomini,opur ancheforliuifuffipoftauna uera cerua,etancheueriaugellinóuiapparëdoIphigenia nelicompagnidiOliffe,o sendoiuipresente,oueroportati in aloriluoghi. DICASTO. O quanto ben , e quanto brieueme tehaicuraccontatoquellecosdei santoAgoftino,enóman co uere ficomeio iftimo.Eglie ferma cóclufione tenuta dal li theologgiqualmente sono soggietti naturalmente i sentimenti dell’huomini e la imaginatione e fantasia alla poffanza delli demonii, perche sono essi sentimenti e imaginatione inferiorie manconobili di dettefoftārie separate eprine di ogni corpo eco si sendo piunobili,glisonosoggietrequei Accosemen nobili,Iipercheanchor uoglionarrare alcune verissime coseacoteft opposito per confermare quello che havemo detto Eglietaccotatonelleuitedesati Padri come fuacconciataunagiouenenper incanti incoralinodo ch epare g a u n a sfrenar a cavalla. I perche sendo presentata avanti di santo Machario, perle orationi dieffu fuleuato d avanti l’occhi diciascun quel prestigio, equellaillusione del demonio, eco si pareva in quel modo sicome era in verita. Puote il demonio commovere li interiori sentimenti a molti, alliqua lipareuafufli altrimentequellameschinagiouine di quello che eram a non puote mouere imperhoeffisentimentiinte tioridisanto Machario fortificati principalmene con loadiu torio di Iddio aface parere quello che non era Anchor non aftregnega la finta figura di quel huomo, che paceua uno asino nella Citta di Salamina della Isola di Cipro,liocchi diciascuncheloucdeuadaiftimarecbelfuffeun Alino.eca cetto di quella donna m a g a el incadratrice laquale glih a . uea per talmodo conturbato la fantasia colli suoi maleficii, che anchealuipareyadi esser douentato uno asino, ecosi portaua le legna in vece di giumento.Vero erchefaugiutato per prudentia dialcuni niercatanti Genoueh, liquali ue: la Chiesa perfareriuerétiaetadorare Iddio iftimaronoche quello non fufleuna vera bestia, eco si cercarono di agiutar. e difareportarelamerite uole pena alla incantatrice. In verita ui dico che possono fare li m alegni demonii appare temoltecose altrimente di quello che fono,epossonom o ueremoltecoseerappresentarlenella fantasia,efareparece u n a cosa in altro m o d o di quello chi-e-et anchora fare i li mile nelli corporali senrimenti in un medelimo huomo. Oltro dicio occorre che fono ingannati liocchi di quelli che vedono, et ancho e conturbato l’occhio della mente, fendomoffa la imaginatione. Anchorsıcome,giaauantidi ceffimo,puo esserportatoilcorpo per diuerfiluoghi.Ilger cheinteruiene che quelliliqualinon ben e sollicitamente ellaminanoquestecosea parteaperparte facilmente sono ingannati ecosi non ben chiaramentec onsiderando lilibri delli doreielitterati huomininon possondcitta mente giudicare quanta differentia e fralle cose create, equelle che uscis seno da qualche natura delle creature efra quello chi e intiero, e quello chilerparte,efra iluero,e quello che erfimile aluero,equellochedimostra lasuaimagine,equello che dimoftraquelladaltrui.Enon ben pesanocon la giustabio y lanza la forza di tutta la natura nelaportanza delli demonii Er alfineanchonon confiderano ligiudiciide Iddio,liquali speffe uolte sono occultissimi anoi,ma impho sempresono fatlicolomma giustitia. FRON. Hormaise appropinquala fera egia comencia di apparere la oscura noite il oche l’hora tarda ciinuita di ritornare a casa. Siche Apistio se non seifatis Gattopģīta nostra longa disputatione n ó poflo piu ueder che. Chi inginocchiare e prostrare in terra aukti la porta del coradobbian fareacciopollieffercôtéto.Cöcioliachetuhal poffutoconoscere come queftomaladetto eriscommunica to giuoconon efictionene fauola. coliperli libri dell’antichi, con e per l’opere fatte ne tempi nostri, e come egli e in sostantia antichissimo e nuouo per molte conditionier che e Atato mutaro secondo la maligna e perversa volonta delli demonii, eforsianchorlomutara, percheetantalaasturiaelucili tadieffoiniquo inganrratoredell’huomini che continuamen e cerca nuovi modi daposferingannarenoi. Ho dimoftrato a te li Cerchi li unguenti, le parole magiche et incanti liu i a g o giperligrandifpatidellariali lascivie libidinosi piaceri del li demonii che sisonoritrouaricosi' ne tempi nostri, comene tempi delli Baroni antichi. E tho dimostrato qualmente pen Saronolipecaerfi demoni di douer calonniaree uituperare l’humana generationedallaprimaantiquitacioedalprimo huomo perinfinoadhora.E comehaingannato Ihuomo collesueresposte,colliragionamenti con lafamiliarita edi mestichezza,ecome ha cercatoperogniuiaemodo di ingå nare ognifeffo,etognieracollifimulacri euarie imagini,et che seesforzatodiufurpareladiuinita,e farsiadorarecome Dio,etche ha fatto nuoceuoliconuitiallimortali,etcheliba portatoasimilitudinediun giumento chehabbialeali, eco me hadesideratodihauer lisceleratiffimipiacericarnalicolo lihuomini.M a perche iotiueggiohoramolto Atracco per tantouiaggiochehaifactocon lanimotuoin diuerseregio nie paesi della [calia della Sicilia,etiolcrodel Ionio mare e dello Eulino e tan cho r perche te ho codoico colli mei ragionamenti nell’Africa nell'Asia, e perinsino alli Hiperborei Mode dovi non ci ho condotto. Il perch es e ra h o ma i tempo ne debbicitornaremeco acasa. APISTIO. Tudiiluero, liben hormaiehora.E cositecone uengo,emolto satisfaco. DICASTO. Se i tudung content di quello chehauemodetto: Ec in uericaneuieninellanoftra oppenione. APISTIO. Si certamente son contento, et inueritauidico, che credo quello che e statodetto. DICASTO. Dicupurdado vero o pergivoco. APISTIO. Puo effer quefto Dicasto, che tu iltimiche io dica quello per iscrizo e giuoco che ha creduto tutta l’antiquita e tutta anchor la pofterit ad Io dico quello che ancho confermano colli isperimenti & efsempii, li Poesi, Oratori, Hiftocici leggitti, philosophi,theologgi, Ihuominipruden tili soldati lirufticie contadini, beniche le ritrouano alcuni Sauioli, liqualiripucandosi piu dotiefauiiditurcilaltri,che queftoniegano, DICASTO. Dung ficome io uedo tu hai mutato oppenione. APISTIO. Che bisogna piu affirmarlo, Gia te l’ho detto, Eco sipercheioho uefitolanimomiodi un altrohabitocuesta, epareame dihauerritrouatola verita di quello cheprima non credeuo in questa cosa giacendo nella nera et oscura tenebradella igriorantia e della fallita, desiderograndemetediunutareilnome edipigliarneuna tro conueneuoleaquefto nuovo habito, de cui hora son vefito. DICASTO. Molto mi piace , Eco li per fatiffare alla tu  honesta voglia cidarounnome conuenientesicome addj mandi. Dug perlo auenire serai chiamato. PISTICO. APISTIO.O. quantohammi piace queftonome.Horacoliper ognimodouoglioefferchiamato. FRONIMO. Se piu non cirestacosa alcuna de cuitu habbi desiderio de intendere. egli e hora che ci partiamo con buon al i centia del Reverendo padre Inquisitore e che presto retorniamo al castello, Il perche Vale Reverende padre. DICASTO. Ite tan in pace. Leandro Alberti. Alberti. Keywords: diavolo, satana, mefistofele, angelo caduto, demonio, eudemonico. Refs. Luigi Speranza, “Grice ed Alberti” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51794356528/in/dateposted-public/

 

Grice ed Alberti – della thoscana senz’autore -- filosofia ligure – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo. Grice: “I like [Leon Battista] Alberti; of course he is from Genova – Liguaria being the heart of my Italy, or the Italy of my heart!” – Grice: “I like Alberti’s ramblings on love to his lawyer friend – a full page without a p.s. – and it’s none of the Kantian conversational maxims or Ovidian tactics, but just a prohibition to mingle with the ladies!” --  Italian philosopher, on ‘aesthetics.’ Cf. Grice on sensation. Grice: “No one can fail to be enchanted by Lusini’s great likeness of Alberti at the loggiato of the uffizi! Ah, if we had the same at Oxford!” -- Genova-born essential Italian philosopherGrice, “I love his “De statua”it’s more philosophical anthropology than aesthetics!” «Ci è un uomo che per la sua universalità parrebbe volesse abbracciarlo tutto, dico Leon Battista Alberti, pittore, architetto, poeta, erudito, filosofo e letterato»  (Francesco de Sanctis, Storia della letteratura italiana). Filosofo. Una delle figure artistiche più poliedriche del Rinascimento. Il suo primo nome si trova spesso, soprattutto in testi stranieri, come Leone.  Alberti fa parte della seconda generazione di umanisti (quella successiva a Vergerio, Bruni, Bracciolini, Francesco Barbaro), di cui fu una figura emblematica per il suo interesse nelle più varie discipline.  Un suo costante interesse era la ricerca delle regole, teoriche o pratiche, in grado di guidare il lavoro degli artisti. Nelle sue opere menzionò alcuni canoni, ad esempio: nel "De statua" espose le proporzioni del corpo umano, nel "De pictura" fornì la prima definizione della prospettiva scientifica e infine nel "De re aedificatoria" (opera cui lavorò fino alla morte, nel 1472), descrisse tutta la casistica relativa all'architettura moderna, sottolineando l'importanza del progetto e le diverse tipologie di edifici a seconda della loro funzione. Tale opera lo renderà immortale nei secoli e motivo di studio a livello internazionale da artisti come Eugène Viollet-le-Duc e John Ruskin. Come architetto, Alberti viene considerato, accanto a Brunelleschi, il fondatore dell'architettura rinascimentale.  L'aspetto innovativo delle sue proposte, soprattutto sia in ambito architettonico che umanistico, consisteva nella rielaborazione moderna dell'antico, cercato come modello da emulare e non semplicemente da replicare.  La classe sociale a cui Alberti faceva riferimento è comunque un'aristocrazia e alta "borghesia" illuminata. Egli lavorò per committenti quali i Gonzaga a Mantova e (per la tribuna della SS. Annunziata) a Firenze, i Malatesta a Rimini, i Rucellai a Firenze. Presunto autoritratto su placchetta, (Parigi, Cabinet des Medailles). Leon Battista nacque a Genova, figlio di Lorenzo Alberti, di una ricca famiglia di mercanti e banchieri fiorentini banditi dalla città toscana a partire dal 1388 per motivi politici, e da Bianca Fieschi, appartenente ad una delle più nobili casate genovesi.  I primi studi furono di tipo letterario, dapprima a Venezia e poi a Padova, alla scuola dell'umanista Gasparino Barzizza, dove apprese il latino e forse anche il greco. Si trasferì poi a Bologna dove studiò diritto, coltivando parallelamente il suo amore per molte altre discipline artistiche quali la musica, la pittura, la scultura, la matematica, la grammatica e la letteratura in generale. Si dedicò all'attività letteraria sin da giovane: a Bologna, infatti, già intorno ai vent'anni scrisse una commedia autobiografica in latino, la Philodoxeos fabula. Compose in latino il Momus, un originalissimo e avvincente romanzo mitologico, e le Intercoenales; in volgare, compose un'importante serie di dialoghi (De familia, Theogenius, Profugiorum ab ærumna libri, Cena familiaris, De iciarchia, dai titoli rigorosamente in latino) e alcuni scritti amatori, tra cui la Deiphira, ove raccoglie i precetti utili a fuggire da un amore mal iniziato.  Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1421, l'Alberti trascorse alcuni anni di difficoltà, entrando in forte contrasto con i parenti che non volevano riconoscere i suoi diritti ereditari né favorire i suoi studi. In questi anni coltivò soprattutto gli studi scientifici, astronomici e matematici. Sembra si sia tuttavia concretamente laureato in diritto nel 1428 a Bologna, o forse a Ferrara, nonostante le difficoltà economiche e di salute. Tra Padova e Bologna intrecciò amicizie con molti importanti intellettuali, come Paolo Dal Pozzo Toscanelli, Tommaso Parentuccelli, futuro papa Nicolò V e probabilmente Niccolò Cusano.  Per gli anni 1428-1431 poco si sa, benché debba escludersi che si sia recato a Firenze dopo il ritiro del bandi contro gli Alberti, nel 1428, e sia del pari assai poco probabile che al seguito del cardinal Albergati abbia viaggiato in Francia e nel Nord Europa.  A Roma Nel 1431 diventò segretario del patriarca di Grado e, trasferitosi a Roma con questi, nel 1432 fu nominato abbreviatore apostolico (il cui ruolo consisteva per l'appunto nel redigere i brevi apostolici). Così entrò nel prestigioso ambiente umanistico della curia di papa Eugenio IV, che lo nominò (1432) titolare della pieve di San Martino a Gangalandi a Lastra a Signa, nei pressi di Firenze, beneficio di cui godette fino alla morte.  Vivendo prevalentemente a Roma ma spostandosi per periodi anche lunghi e per varie incombenze a Ferrara, Bologna, Venezia, Firenze, Mantova, Rimini e Napoli.  Le prime opere letterarie Tra il 1433 e il 1434, scrisse in pochi mesi i primi tre libri de Familia, un dialogo in volgare completato con un quarto libro nel 1437. Il dialogo è ambientato a Padova, nel 1421; vi partecipano vari componenti della famiglia Alberti, personaggi realmente esistiti, scontrandosi su due visioni diverse: da un lato c'è la mentalità moderna e borghese e dall'altro la tradizione, aristocratica e legata al passato. L'analisi che il libro offre è una visione dei principali aspetti e istituzioni della vita sociale dell'epoca, quali il matrimonio, la famiglia, l'educazione, la gestione economica, l'amicizia e in genere i rapporti sociali: l'Alberti esprime qui un punto di vista "filosofico" pienamente umanistico, che ricorre in tutte le sue opere di carattere morale e che consiste nella convinzione che gli uomini siano responsabili della propria sorte e che la virtù sia insita nell'uomo e debba essere realizzata attraverso l'operosità, la volontà e la ragione.  A Firenze  Statua di Leon Battista Alberti, piazza degli Uffizi a Firenze. Alberti visse prevalentemente a Firenze e Ferrara, al seguito della curia papale che fra l'altro partecipò al Concilio, ossia alle sedute ferrarese e fiorentina del concilio ecumenico (1438-39) che dovevano riappacificare la chiesa latina e le chiese cristiano-orientali, in particolare quella greca.  In questo periodo l'Alberti assimila parte della cultura fiorentina, cercando (invero con moderato successo) d'inserirsi nell'ambiente intellettuale e artistico della città; sono verosimilmente gli anni in cui nascono i suoi interessi artistici, che si traducono da subito nella duplice redazione (latina e volgare) del De pictura (1435-36). Nel prologo della versione in volgare, dedica l'opera a Brunelleschi e menziona anche i grandi innovatori delle arti del tempo: Donatello, Masaccio (morto già nel 1428) e i Della Robbia.  Intorno al 1443, al seguito del pontefice Eugenio IV lasciò Firenze, ma con la città continuò ad avere intensi rapporti legati anche ai cantieri dei suoi progetti.  De pictura Magnifying glass icon mgx2.svg  De pictura. Del 1435-1436 è il De pictura, scritto verosimilmente dapprima in latino e tradotto poi in volgare; se la redazione latina, senza ombra di dubbio la più importante e ricca, sarà dedicata al Gonzaga marchese di Mantova, per quella volgare l'Alberti redasse una dedica al Brunelleschi che, trasmessa da un solo codice strettamente legato al laboratorio personale dell'Alberti, forse non fu mai inviata. Il De pictura rappresenta la prima trattazione di una disciplina artistica non intesa solo come tecnica manuale, ma anche come ricerca intellettuale e culturale, e sarebbe difficile immaginarla fuori dallo straordinario contesto fiorentino e scritta da un autore diverso dall'Alberti, grande intellettuale umanista e artista egli stesso, anche se la sua attività nel campo delle arti figurative—attestata (benché in modi non lusinghieri) già dal Vasari—dovette essere ridotta. Il trattato è organizzato in tre "libri". Il primo contiene la più antica trattazione della prospettiva. Nel secondo libro l'Alberti tratta di “circoscrizione, composizione, e ricezione dei lumi”, cioè dei tre principi che regolano l'arte pittorica:  la circumscriptio consiste nel tracciare il contorno dei corpi; la compositio è il disegno delle linee che uniscono i contorni dei corpi e perciò la disposizione narrativa della scena pittorica, la cui importanza è qui espressa per la prima volta con piena lucidità intellettuale; la receptio luminum tratta dei colori e della luce. Il terzo libro è relativo alla figura del pittore di cui si rivendica il ruolo di vero artista e non, semplicemente, di artigiano. Con questo trattato Alberti influenzerà non solo il Rinascimento ma tutto quanto si sarebbe detto sulla pittura sino ai nostri giorni.  La questione del volgare Pur scrivendo numerosi testi in latino, lingua alla quale riconosceva il valore culturale e le specifiche qualità espressive, l'Alberti fu un fervente sostenitore del volgare. La duplice redazione in latino e in volgare del De pictura manifesta il suo interesse per il dibattito allora in corso tra gli umanisti sulla possibilità di usare il volgare nella trattazione di ogni materia. In un dibattito avvenuto a Firenze tra gli umanisti della curia, Flavio Biondo aveva affermato la diretta discendenza del volgare dal latino e l'Alberti, ne dimostra genialmente la tesi componendo la prima grammatica del volgare (1437-41), e ne riprende gli argomenti difendendo l'uso del volgare nella dedicatoria del libro III de Familia a Francesco d'Altobianco Alberti (1435-39 circa).  Da qui deriva la significativa esperienza del Certame coronario, una gara di poesia sul tema dell'amicizia, organizzata a Firenze nell'ottobre 1441 dall'Alberti con il più o meno tacito concorso di Piero de' Medici, una gara che doveva servire all'affermazione del volgare, soprattutto in poesia, e alla quale va associata la composizione dei sedici Esametri sull'amicizia da parte dell'AlbertiEsametri ora pubblicati fra le sue Rime, innovative tanto nello stile quanto nella metrica, che costituiscono uno dei primissimi tentativi di adattare i metri greco-latini alla poesia volgare (metrica «barbara»).  Nonostante ciò, l'Alberti continuò a scrivere naturalmente in latino, come fece per gli Apologi centum, una sorta di breviario della sua filosofia di vita, composti intorno al 1437.  Ritorno a Roma Chiusosi il concilio a Firenze, ritornò con la curia papale a Roma. continuando a ricoprire il ruolo di abbreviatore apostolico per ben 34 anni, fino al 1464, quando il collegio degli abbreviatori fu soppresso. Durante la permanenza a Roma ebbe modo di coltivare i propri interessi propriamente architettonici, che lo indussero a proseguire lo studio delle rovine della Roma classica, come dimostra la stessa Descriptio urbis Romae, risalente al 1450 circa, in cui l'Alberti tentò con successo, per la prima volta nella storia, una ricostruzione della topografia di Roma antica, mediante un sistema di coordinate polari e radiali che permettono di ricostruire il disegno da lui tracciato. I suoi interessi archeologici lo portarono anche a tentare il recupero delle navi romane affondate nel lago di Nemi.  Questi interessi per l'architettura che diventeranno prevalenti negli ultimi due decenni della sua vita, non impedirono una ricchissima produzione letteraria. Tra il 1443 e la morte compone una delle sue opere più interessanti, il Momus, un romanzo satirico in lingua latina, che tratta in maniera abbastanza amara e disincantata della società umana e degli stessi esseri umani.  Dopo l'elezione di Niccolò V, l'Alberti, come antico conoscente, entrò nella cerchia ristretta del papa, dal quale ricevette anche la carica di priore di Borgo San Lorenzo. Tuttavia i rapporti con il papa sono considerati piuttosto controversi dagli storici, sia per quel che riguarda gli aspetti politici che per l'adesione o la collaborazione dell'Alberti al vasto programma di rinnovamento urbano voluto da Niccolò V. Forse venne impiegato durante il restauro del palazzo papale e dell'acquedotto romano e della fontana dell'Acqua Vergine, disegnata in maniera semplice e lineare, creando la base sulla quale, in età Barocca, sarebbe stata costruita la Fontana di Trevi.  Intorno al 1450 Alberti cominciò ad occuparsi più attivamente di architettura con numerosi progetti da eseguire fuori Roma, a Firenze, Rimini e Mantova, città in cui si recò varie volte durante gli ultimi decenni della sua vita.  In tal modo dopo la metà del secolo l'Alberti fu la figura-guida dell'architettura. Questo riconosciuto primato rende anche difficile distinguere, nella sua opera, l'attività di progettazione dalle tante consulenze e dall'influenza più o meno diretta che dovette avere, per esempio, sulle opere promosse a Roma, sotto Niccolò V, come il restauro di Santa Maria Maggiore e Santo Stefano Rotondo o come la costruzione di Palazzo Venezia, il rinnovamento della basilica di San Pietro, del Borgo e del Campidoglio. Potrebbe forse essere stato il consulente che indica alcune linee-guida o, ma ben più difficilmente, aver avuto un ruolo anche meno indiretto. Sicuramente il prestigio della sua opera e del suo pensiero teorico condizionarono direttamente l'opera di progettisti come Francesco del Borgo e Bernardo Rossellino, influenzando anche Giuliano da Sangallo.  Morì a Roma, all'età di 68 anni.  Il De re aedificatoria  Frontespizio  Matteo de' Pasti, Medaglia di Leon Battista Alberti. Magnifying glass icon mgx2.svg  De re aedificatoria. Le sue riflessioni teoriche trovarono espressione nel De re aedificatoria, un trattato di architettura in latino, scritto prevalentemente a Roma, cui l'Alberti lavorò fino alla morte e che è rivolto anche al pubblico colto di educazione umanistica. Il trattato fu concepito sul modello del De architectura di Vitruvio. L'opera, considerata il trattato architettonico più significativo della cultura umanistica, è divisa anch'essa in dieci libri: nei primi tre si parla della scelta del terreno, dei materiali da utilizzare e delle fondazioni (potrebbero corrispondere alla categoria vitruviana della firmitas); i libri IV e V si soffermano sui vari tipi di edifici in relazione alla loro funzione (utilitas); il libro VI tratta la bellezza architettonica (venustas), intesa come un'armonia esprimibile matematicamente grazie alla scienza delle proporzioni, con l'aggiunta di una trattazione sulle macchine per costruire; i libri VII, VIII e IX parlano della costruzione dei fabbricati, suddividendoli in chiese, edifici pubblici ed edifici privati; il libro X tratta dell'idraulica.  Nel trattato si trova anche uno studio basato sulle misurazioni dei monumenti antichi per proporre nuovi tipi di edifici moderni ispirati all'antico, fra i quali le prigioni, che cercò di rendere più umane, gli ospedali e altri luoghi di pubblica utilità.  Il trattato fu stampato a Firenze nel 1485, con una prefazione del Poliziano a Lorenzo il Magnifico, e poi a Parigi e a Strasburgo. Venne in seguito tradotto in varie lingue e diventò ben presto imprescindibile nella cultura architettonica moderna e contemporanea.  Nel De re aedificatoria, l'Alberti affronta anche il tema delle architetture difensive e intuisce come le armi da fuoco rivoluzioneranno l'aspetto delle fortificazioni. Per aumentare l'efficacia difensiva indica che le difese dovrebbero essere "costruite lungo linee irregolari, come i denti di una sega" anticipando così i principi della fortificazione alla moderna.  L'attività come architetto a Firenze A Firenze lavorò come architetto soprattutto per Giovanni Rucellai, ricchissimo mercante e mecenate, intimo amico suo e della sua famiglia. Le opere fiorentine saranno le sole dell'Alberti a essere compiute prima della sua morte.  Palazzo Rucellai  Facciata di palazzo Rucellai. Forse sin dal 1439-1442 gli venne commissionata la costruzione del palazzo della famiglia Rucellai, da ricavarsi da una serie di case-torri acquistate da Giovanni Rucellai in via della Vigna Nuova. Il suo intervento si concentrò sulla facciata, posta su un basamento che imita l'opus reticulatum romano, realizzata tra il 1450 e il 1460. È formata da tre piani sovrapposti, separati orizzontalmente da cornici marcapiano e ritmati verticalmente da lesene di ordine diverso; la sovrapposizione degli ordini è di origine classica come nel Colosseo o nel Teatro di Marcello, ed è quella teorizzata da Vitruvio: al piano terreno lesene doriche, ioniche al piano nobile e corinzie al secondo. Esse inquadrano porzioni di muro bugnato a conci levigati, in cui si aprono finestre in forma di bifora nel piano nobile e nel secondo piano. Le lesene decrescono progressivamente verso i piani superiori, in modo da creare nell'osservatore l'illusione che il palazzo sia più alto di quanto non sia in realtà. Al di sopra di un forte cornicione aggettante si trova un attico, caratteristicamente arretrato rispetto al piano della facciata. Il palazzo creò un modello per tutte le successive dimore signorili del Rinascimento, venendo addirittura citato pedissequamente da Bernardo Rossellino, suo collaboratore, per il suo palazzo Piccolomini a Pienza (post 1459).  Attribuita all'Alberti è anche l'antistante Loggia Rucellai, o per lo meno il suo disegno. Loggia e palazzo andavano così costituendo una sorta di piazzetta celebrante la casata, che viene riconosciuta come uno dei primi interventi urbanistici rinascimentali.  Facciata di Santa Maria Novella  Facciata di Santa Maria Novella, Firenze. Su commissione del Rucellai, progettò anche il completamento della facciata della basilica di Santa Maria Novella, rimasta incompiuta nel 1365 al primo ordine di arcatelle, caratterizzate dall'alternarsi di fasce di marmo bianco e di marmo verde, secondo la secolare tradizione fiorentina. I lavori iniziarono intorno al 1457. Si presentava il problema di integrare, in un disegno generale e classicheggiante, i nuovi interventi con gli elementi esistenti di epoca precedente: in basso vi erano gli avelli inquadrati da archi a sesto acuto e i portali laterali, sempre a sesto acuto, mentre nella parte superiore era già aperto il rosone, seppur spoglio di ogni decorazione. Alberti inserì al centro della facciata inferiore un  di proporzioni classiche, inquadrato da semicolonne, in cui inserì incrostazioni in marmo rosso per rompere la bicromia. Per terminare la fascia inferiore pose una serie di archetti a tutto sesto a conclusione delle lesene. Poiché la parte superiore della facciata risultava arretrata rispetto al basamento (un tema molto comune nell'architettura albertiana, derivata dai monumenti della romanità) inserì una fascia di separazione a tarsie marmoree che recano una teoria di vele gonfie al vento, l'insegna personale di Giovanni Rucellai; il livello superiore, scandito da un secondo ordine di lesene che non hanno corrispondenza in quella inferiore, sorregge un timpano triangolare. Ai lati, due doppie volute raccordano l'ordine inferiore, più largo, all'ordine superiore più alto e stretto, conferendo alla facciata un moto ascendente conforme alle proporzioni; non mascherano come spesso si è detto erroneamente gli spioventi laterali che risultano più bassi, come si evince osservando la facciata dal lato posteriore. La composizione con incrostazioni a tarsia marmorea ispirate al romanico fiorentino, necessaria in questo caso per armonizzare le nuove parti al già costruito, rimase una costante nelle opere fiorentine dell'Alberti.  Secondo Rudolf Wittkower: "L'intero edificio sta rispetto alle sue parti principali nel rapporto di uno a due, vale a dire nella relazione musicale dell'ottava, e questa proporzione si ripete nel rapporto tra la larghezza del piano superiore e quella dell'inferiore". La facciata si inscrive infatti in un quadrato avente per lato la base della facciata stessa. Dividendo in quattro tale quadrato, si ottengono quattro quadrati minori; la zona inferiore ha una superficie equivalente a due quadrati, quella superiore a un quadrato. Altri rapporti si possono trovare nella facciata tanto da realizzare una perfetta proporzione. Secondo Franco Borsi: "L'esigenza teorica dell'Alberti di mantenere in tutto l'edificio la medesima proporzione è qui stata osservata ed è appunto la stretta applicazione di una serie continua di rapporti che denuncia il carattere non medievale di questa facciata pseudo-protorinascimentale e ne fa il primo grande esempio di eurythmia classica del Rinascimento".  Altre opere  Il tempietto del Santo Sepolcro. Attribuito all'Alberti è il progetto dell'abside della pieve di San Martino a Gangalandi presso Lastra a Signa. L'Alberti fu rettore di San Martino dal 1432 fino alla sua morte. La chiesa, di origine medievale, ha il suo punto focale nell'abside, chiusa in alto da un arco a tutto sesto con decorazione a motivi di candelabro e con lesene in pietra serena sorreggenti un architrave che reca un'iscrizione a lettere capitali dorate, ornata alle due estremità dalle arme degli Alberti. L'abside è ricordata incepta et quasi perfecta nel testamento di Leon Battista Alberti, e fu infatti terminata dopo la sua morte, tra il 1472 e il 1478.  Del 1467 è un'altra opera per i Rucellai, il tempietto del Santo Sepolcro nella chiesa di San Pancrazio a Firenze, costruito secondo un parallelepipedo spartito da paraste corinzie. La decorazione è a tarsie marmoree, con figure geometriche in rapporto aureo; le decorazioni geometriche, come per la facciata di Santa Maria Novella, secondo l'Alberti inducono a meditare sui misteri della fede.  Ferrara  Il campanile del duomo di Ferrara. L'Alberti fu a Ferrara a varie riprese, e sicuramente tra il 1438 e il 1439, stringendo amicizie alla corte estense. Vi ritorna nel 1441 e forse nel 1443, chiamato a giudicare la gara per un monumento equestre a Niccolò III d'Este. In tale occasione forse dette indicazioni per il rinnovo della facciata del Palazzo Municipale, allora residenza degli Estensi.  A lui è stato attribuito da insigni storici dell'arte, ma esclusivamente su basi stilistiche, anche l'incompleto campanile del duomo, dai volumi nitidi e dalla bicromia di marmi rosa e bianchi.  Rimini  Tempio Malatestiano, Rimini. Nel 1450 l'Alberti venne chiamato a Rimini da Sigismondo Pandolfo Malatesta per trasformare la chiesa di San Francesco in un tempio in onore e gloria sua e della sua famiglia. Alla morte del signore (1468) il tempio fu lasciato incompiuto mancando della parte superiore della facciata, della fiancata sinistra e della tribuna. Conosciamo il progetto albertiano attraverso una medaglia incisa da Matteo de' Pasti, l'architetto a cui erano stati affidati gli ampliamenti interni della chiesa e in generale tutto il cantiere.   Tempio malatestiano sulla medaglia di Matteo de' Pasti. L'Alberti ideò un involucro marmoreo che lasciasse intatto l'edificio preesistente. L'opera prevedeva in facciata una tripartizione con archi scanditi da semicolonne corinzie, mentre nella parte superiore era previsto una specie di frontone con arco al centro affiancato da paraste e forse due volute curve. Punto focale era il  centrale, con timpano triangolare e riccamente ornato da lastre marmoree policrome nello stile della Roma imperiale. Ai lati due archi minori avrebbero dovuto inquadrare i sepolcri di Sigismondo e della moglie Isotta, ma furono poi tamponati.  Le fiancate invece sono composte da una sequenza di archi su pilastri, ispirati alla serialità degli acquedotti romani, destid accogliere i sarcofagi dei più alti dignitari di corte. Fianchi e facciata sono unificati da un alto zoccolo che isola la costruzione dallo spazio circostante. Ricorre la ghirlanda circolare, emblema dei Malatesta, qui usata come oculo. Interessante è notare come Alberti traesse spunto dall'architettura classica, ma affidandosi a spunti locali, come l'arco di Augusto, il cui modulo è triplicato in facciata. Una particolarità di questo intervento è che il rivestimento non tiene conto delle precedenti aperture gotiche: infatti, il passo delle arcate laterali non è lo stesso delle finestre ogivali, che risultano posizionate in maniera sempre diversa. Del resto Alberti scrive a Matteo de' Pasti che «queste larghezze et altezze delle Chappelle mi perturbano».  Per l'abside era prevista una grande rotonda coperta da cupola emisferica simile a quella del Pantheon. Se completata, la navata avrebbe allora assunto un ruolo di semplice accesso al maestoso edificio circolare e sarebbe stata molto più evidente la funzione celebrativa dell'edificio, anche in rapporto allo skyline cittadino.  Mantova  Chiesa di San Sebastiano, Mantova.  Basilica di Sant'Andrea, Mantova. Nel 1459 Alberti fu chiamato a Mantova da Ludovico III Gonzaga, nell'ambito dei progetti di abbellimento cittadino per il Concilio di Mantova.  San Sebastiano Il primo intervento mantovano riguardò la chiesa di San Sebastiano, cappella privata dei Gonzaga, iniziata nel 1460. L'edificio fece da fondamento per le riflessioni rinascimentali sugli edifici a croce greca: è infatti diviso in due piani, uno dei quali interrato, con tre bracci absidati attorno ad un corpo cubico con volta a crociera; il braccio anteriore è preceduto da un portico, oggi con cinque aperture.  La parte superiore della facciata, spartita da lesene di ordine gigante, è originale del progetto albertiano e ricorda un'elaborazione del tempio classico, con architrave spezzata, timpano e un arco siriaco, a testimonianza dell'estrema libertà con cui l'architetto disponeva gli elementi. Forse l'ispirazione fu un'opera tardo-antica, come l'arco di Orange. I due scaloni di collegamento che permettono l'accesso al portico non fanno parte del progetto originario, ma furono aggiunte posteriori.  Sant'Andrea Il secondo intervento, sempre su commissione dei Gonzaga, fu la basilica di Sant'Andrea, eretta in sostituzione di un precedente sacrario in cui si venerava una reliquia del sangue di Cristo. L'Alberti creò il suo progetto «... più capace più eterno più degno più lieto ...» ispirandosi al modello del tempio etrusco ripreso da Vitruvio e contrapponendosi al precedente progetto di Antonio Manetti. Innanzitutto mutò l'orientamento della chiesa allineandola all'asse viario che collegava Palazzo Ducale al Tè.  La chiesa a croce latina, iniziata nel 1472, è a navata unica coperta a botte con lacunari, con cappelle laterali a base rettangolare con la funzione di reggere e scaricare le spinte della volta, inquadrate negli ingressi da un arco a tutto sesto, inquadrato da un lesene architravate. Il tema è ripreso dall'arco trionfale classico ad un solo fornice come l'arco di Traiano ad Ancona. La grande volta della navata e quelle del transetto e degli atri d'ingresso si ispiravano a modelli romani, come la Basilica di Massenzio.  Per caratterizzare l'importante posizione urbana, venne data particolare importanza alla facciata, dove ritorna il tema dell'arco: l'alta apertura centrale è affiancata da setti murari, con archetti sovrapposti tra lesene corinzie sopra i due portali laterali. Il tutto, coronato da un timpano triangolare a cui si sovrappone, per non lasciare scoperta l'altezza della volta, un nuovo arco. Questa soluzione, che enfatizza la solennità dell'arco di trionfo e il suo moto ascensionale, permetteva anche l'illuminazione della navata. Sotto l'arco venne a formarsi uno spesso atrio, diventato il punto di filtraggio tra interno ed esterno.  La facciata è inscrivibile in un quadrato e tutte le misure della navata, sia in pianta che in alzato, si conformano ad un preciso modulo metrico. La tribuna e la cupola (comunque prevista da Alberti) vennero completate nei secoli successivi, secondo un disegno estraneo all'Alberti.  I caratteri dell'architettura albertiana Le opere più mature di Alberti evidenziano una forte evoluzione verso un classicismo consapevole e maturo in cui, dallo studio dei monumenti antichi romani, l'Alberti ricavò un senso delle masse murarie ben diverso dalla semplicità dello stile brunelleschiano. I modi originali albertiani precorsero l'arte del Bramante. I caratteri innovativi di Alberti furono: La colonna deve sostenere la trabeazione e deve essere usata come ornamento per le fabbriche; l'arco deve essere costruito sopra i pilastri.  Il De statua Il trattato, scritto in latino, è relativo alla teoria della scultura e risale al1450 circa. Nel De statua, l'Alberti rielaborò profondamente le concezioni e le teorie relative alla scultura tenendo conto delle innovazioni artistiche del Rinascimento, attingendo anche ad una rilettura critica delle fonti classiche e riconoscendo, tra i primi dignità intellettuale alla scultura, prima di allora sempre condizionata dal pregiudizio verso un'attività tanto manuale.  Nel trattato che si compone di 19 capitoli, l'Alberti parte, sulla scorta di Plinio, dalla definizione dell'arte plastica tridimensionale distinguendo la scultura o per via di porre o per via di levare, dividendola secondo la tecnica utilizzata:  togliere e aggiungere: sculture con materie molli, terra e cera eseguita dai "modellatori" levare: scultura in pietra, eseguita dagli "scultori" Tale distinzione fu determinante nella concezione artistica di molti scultori come Michelangelo e non era mai stata espressa con tanta chiarezza.   Il definitor, lo strumento inventato da Leon Battista Alberti. Relativamente al metodo da utilizzare per raggiungere il fine ultimo della scultura che è l'imitazione della natura, l'Alberti distingue:  la dimensio (misura) che definisce le proporzioni generali dell'oggetto rappresentato mediante l’exempeda, una riga diritta modulare atta a rilevare le lunghezze e squadre mobili a forma di compassi (normae), con cui misurare spessori, distanze e diametri. la finitio, definizione individuale dei particolari e dei movimenti dell'oggetto rappresentato, per la quale Alberti suggerisce uno strumento da lui ideato: il definitor o finitorium, un disco circolare cui è fissata un'asta graduata rotante, da cui pende un filo a piombo. Con esso si può determinare qualsiasi punto sul modello mediante una combinazione di coordinate polari e assiali, rendendo possibile un trasferimento meccanico dal modello alla scultura. Alberti sembra anticipare i temi relativi alla raffigurazione 'scientifica' della figura umana che è uno dei temi che percorre la cultura figurativa rinascimentale. e addirittura aspetti dell'industrializzazione e addirittura della digitalizzazione, visto che il definitor trasformava i punti rilevati sul modello in dati alfanumerici.  L'opera fu tradotta in volgare nel 1568 da Cosimo Bartoli. Il testo latino originale fu stampato solo alla fine del XIX secolo, mentre solo recentemente sono state pubblicate traduzioni moderne. I sistemi di definizione meccanica dei volumi proposti dall'Alberti, appassionarono Leonardo che approntò, come si può rilevare dai suoi disegni, dei sistemi alternativi, sviluppati a partire dal trattato albertiano e utilizzò le "Tabulae dimensionum hominis" del "De statua" per realizzare il celeberrimo "Uomo vitruviano".  Il Crittografo Alberti fu inoltre un geniale crittografo e inventò un metodo per generare messaggi criptati con l'aiuto di un apparecchio, il disco cifrante. Sua fu infatti l'idea di passare da una crittografia con tecnica "monoalfabetica" (Cifrario di Cesare) ad una con tecnica "polialfabetica", codificata teoricamente parecchi anni dopo da Blaise de Vigenère. In The Codebreakers. The Story of Secret Writing, lo storico della crittologia David Kahn attribuisce all'Alberti il titolo di Father of Western Cryptology (Padre della crittologia occidentale). Kahn ribadisce questa definizione, sottolineando le ragioni che la giustificano, nella prefazione all'edizione italiana del testo albertiano: «Questo volume elegante e sottile riproduce il testo più importante di tutta la storia della crittologia; un primato che il De cifris di Leon Battista Alberti ben si merita per i tre temi cruciali che tratta: l'invenzione della sostituzione polialfabetica, l'uso della crittanalisi, la descrizione di un codice sopracifrato.»  Tra le altre attività di Alberti ci fu anche la musica, per la quale fu considerato uno dei primi organisti della sua epoca. Disegnò anche delle mappe e collaborò con il grande cartografo Paolo Toscanelli.  De iciarchia Iciarco e Iciarchia sono due termini usati dall'Alberti nel dialogo De iciarchia composto nel 1470 circa, pochi anni prima della sua morte (avvenuta nel 1472) e ambientato nella Firenze medicea di quegli anni. Le due parole sono di origine greca ("Pogniàngli nome tolto da' Greci, iciarco: vuol dire supremo omo e primario principe della famiglia sua", libro III), e sono formate da oîkos o oikía "casa, famiglia" e arkhós "capo supremo, principe, principio".  Il nome stesso di iciarco vuole esprimere quello che secondo il parere dell'autore è il governante ideale: colui che sia come un padre di famiglia nei confronti dello Stato. Secondo le parole dell'Alberti, "il suo compito sarà (...) provedere alla salute, quiete, e onestamento di tutta la famiglia, fare sì che amando e benificando è suoi, tutti amino lui, e tutti lo reputino e osservino come padre" (ivi).  Questo ruolo di "padre di famiglia" del governante ideale era finalizzato, nella sua visione politica, ad una stabilità, in definitiva "conservatrice", che permetterebbe di governare senza discordie che, dilaniando lo Stato, nuocerebbero a tutto il corpo sociale ("Inoltre la prima cura sua sarà che la famiglia sia senza niuna discordia unitissima. Non esser unita la famiglia circa le cose (...) che giovano, nuoce sopra modo molto., ivi).  Il termine iciarco, nato coll'Alberti e strettamente legato alla sua visione "paternalistica" del governo dello Stato, non ebbe comunque alcun seguito e non risulta che sia mai più stato impiegato nel lessico politico.  Opere: “Apologi centum”;  “Cena familiaris”; “De amore”; “De equo animante (Il cavallo vivo); “De Iciarchia”; “De componendis cifris”; “Deiphira”; “De picture”; “Porcaria coniuratio”; “De re aedificatoria”; “De statua”; “Descriptio urbis Romae”; “Ecatomphile”; “Elementa picturae”; “Epistola consolatoria”; “Grammatica della lingua toscana” (meglio nota come Grammatichetta vaticana); “Intercoenales”; “De familia libri IV”; “Ex ludis rerum mathematicorum”; “Momus”; “Philodoxeos fabula”; “Profugiorum ab ærumna libri III”; “Sentenze pitagoriche”; “Sophrona”; “Theogenius Villa” -- Opere architettoniche Palazzo Rucellai, Firenze, Via della Vigna Nuova Loggia Rucellai, Firenze, Via della Vigna Nuova Facciata di Santa Maria Novella, Firenze, Santa Maria Novella Abside di San Martino, 1472-1478, Lastra a Signa, Pieve di San Martino a Gangalandi Tempietto del Santo Sepolcro, Firenze, Chiesa di San Pancrazio Tempio Malatestiano (incompiuto), iniziato nel 1450 circa, Rimini, Tempio Malatestiano Chiesa di San Sebastiano, 1460 circa, Mantova, Chiesa di San Sebastiano Basilica di Sant'Andrea, 1472-1732, Mantova, Basilica di Sant'Andrea (Mantova) Palazzo Romei, Vibo Valentia Manoscritti Liber de iure, scriptus Bononiae anno 1437, XV secolo, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo manoscritti, Trivia senatoria, XV secolo, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo manoscritti. Cecil Grayson, Studi su Leon Battista Alberti, Firenze, Olschki,  L.B. Alberti, De pictura, C. Grayson, Laterza, 1980: versione on line Copia archiviata, su liberliber. Christoph L. Frommel, Architettura e committenza da Alberti a Bramante, Olschki, 2006,  Bernardo Rucellai, De bello italico, Donatella Coppini, Firenze University Press, De re Aedificatoria  In tale occasione manifestò il suo interesse per la morfologia e l'allevamento dei cavalli con il breve trattato De equo animante dedicato a Leonello d'Este.  De Vecchi-Cerchiari, cit.95.  De Vecchi-Cerchiari, cit.104  Rudolf Wittkower, op. cit. 1993  Rudolf Wittkower,op. cit. 1993  Leon Battista Alberti, De statua, M. Collareta, 1998  Mario Carpo, L'architettura dell'età della stampa: oralità, scrittura, libro stampato e riproduzione meccanica dell'immagine nella storia delle teorie architettoniche, 1998.  Simon Singh, Codici e Segreti45 David Kahn, The Codebreakers, Scribner. Il nome deriva dal fatto che il libello, di appena 16 carte, è conservato in una copia del 1508 in un codice in ottavo della Biblioteca vaticana. Lo scritto non ha epigrafe, pertanto il titolo è stato assegnato in seguito: fu riscoperto infatti nel 1850 e dato alle stampe solo nel 1908.  viviamolacalabria.blogspot.com, viviamolacalabria.blogspot.com//09/esempio-tangibile-di-palazzo-nobiliare.html?m=1. Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, Argentorati, excudebat M. Iacobus Cammerlander Moguntinus, 1541.  Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, Florentiae, accuratissime impressum opera magistri Nicolai Laurentii Alamani. Leon Battista Alberti, Opere volgari. 1, Firenze, Tipografia Galileiana, Leon Battista Alberti, Opere volgari. 2, Firenze, Tipografia Galileiana, Leon Battista Alberti, Opere volgari. 4, Firenze, Tipografia Galileiana, 1847. Leon Battista Alberti, Opere volgari. 5, Firenze, Tipografia Galileiana, Leon Battista Alberti, Opere, Florentiae, J. C. 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Semiotica della crittografia, Stampa Alternativa &a mp;Graffiti, Viterbo ; Pierluigi Panza, “Animalia: La zoologia nel De Re Aedificatoria", Convegno Facoltà di Architettura Civile, Milano, in Albertiana, S. Borsi, Leon Battista Alberti e Napoli, Firenze, . V. Galati, Il Torrione quattrocentesco di Bitonto dalla committenza di Giovanni Ventimiglia e Marino Curiale; dagli adeguamenti ai dettami del De Re aedificatoria di Leon Battista Alberti alle proposte di Francesco di Giorgio Martini in Defensive Architecture of the Mediterranean XV to XVIII centuries, G. Verdiani,, Firenze, , III. V. Galati, Tipologie di Saloni per le udienze nel Quattrocento tra Ferrara e Mantova. Oeci, Basiliche, Curie e "Logge all'antica" tra Vitruvio e Leon Battista Alberti nel "Salone dei Mesi di Schifanoia a Ferrara e nella "Camera Picta" di Palazzo Ducale a Mantova, in Per amor di Classicismo, F. Canali «Bollettino della Società di Studi Fiorentini», S. Borsi, Leon Battista, Firenze, . Roberto Rossellini gli ha dedicato un film- documentario per la TV nintitolato "L'età di Cosimo dei Medici" (88').   Architettura rinascimentale Rinascimento fiorentino Rinascimento riminese Rinascimento mantovano Medaglia di Leon Battista Alberti.TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Leon Battista Alberti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Leon Battista Alberti, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Leon Battista Alberti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Leon Battista Alberti, su MacTutor, University of St Andrews, Scotland.  Opere di Leon Battista Alberti, su Liber Liber.  Opere di Leon Battista Alberti, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Leon Battista Alberti, . su Leon Battista Alberti, su Les Archives de littérature du Moyen Âge. Leon Battista Alberti, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.  La  aggiornata degli studi albertiani dal 1995 in poi, e le informazioni più recenti sulla ricerca albertiana, su alberti.wordpress.com. Il sito della Société Internationale Leon Battista Alberti, su silba-online.eu. Biografia breve, su imss.fi. Fondazione Centro Studi Leon Battista AlbertiMantova, su fondazioneleonbattistaalberti. Momus, (testo in latino, Roma 1520), facsimile, progetto Europeana agent/base/  Identitieslccn.   Que' che affermano la lingua latina non essere stata comune a tutti e' populi latini, ma solo propria di certi dotti scolastici, come oggi la vediamo in pochi, credo deporranno quello errore vedendo questo nostro opuscolo, in quale io raccolsi l'uso della lingua nostra in brevissime annotazioni. Qual cosa simile fecero gl'ingegni grandi e studiosi presso a' Greci prima e po' presso de e' Latini, e chiamornoqueste simili ammonizioni, atte a scrivere e favellare senza corruttela, suo nome, grammatica. Questa arte, quale ella sia in la lingua nostra, leggetemi e intenderetela.    I. Ordine delle lettere. i r t d b v  n u m  p q g c e o a x z l s f ç ch gh   concordanze II. Vocali.   Ogni parola e dizione toscana finisce in vocale. Solo alcuni articoli de' nomiin l e alcune preposizioni finiscono in d, n, r.  Le cose in molta parte hanno in lingua toscana que' medesimi nomi che in latino.  Non hanno e' Toscani fra e' nomi altro che masculino e femminino. E' neutrilatini si fanno masculini.  Pigliasi in ogni nome latino lo ablativo singulare, e questo s'usa in ogni casosingulare, così al masculino come al femminino.  A e' nomi masculini l'ultima vocale si converte in i, e questo s'usa in tutti e' casi plurali.  A e' nomi femminini l'ultima vocale si converte in e, e questo s'usa in ogni caso plurale per e' femminini.  Alcuni nomi femminini in plurale non fanno in e: come, la mano fa le mani.  E ogni nome femminino, quale in singulare finisca in e, fa in plurale in i: come la orazione, le orazioni; stagione, stagioni; confusioni, e simili.  E' casi de' nomi si notano co' suoi articoli, dei quali sono vari e' masculini da e' femminini.  Item e' masculini, che cominciano da consonante, hanno certi articoli non fatti come quando e' cominciano da vocale.  Item e' nomi propri sono vari dagli appellativi.  Masculini che cominciano da consonante hanno articoli simili a questo:  1. SINGULARE.   EL cielo DEL cielo AL cielo EL cielo O cielo DAL cielo.  2. PLURALE.   E' cieli DE' cieli A' cieli E' cieli O cieli DA' cieli.  Masculini, che cominciano da vocale, fanno in singulare simile a questo:  3. SINGULARE.   LO orizzonte DELLO orizonte ALLO orizonte LO orizonte O orizonte DALLO orizonte.  PLURALE.   GLI orizonti DEGLI orizonti AGLI orizonti GLI orizonti O orizonti DAGLI orizonti.  E' nomi masculini che cominciano da s preposta a una consonante hanno articoli simili a quei che cominciano da vocale, e dicesi: LO spedo, LO stocco, GLI spedi, e simile.  Questi vedesti che sono vari da quei di sopra nel singulare, el primo articoloe anche el quarto; ma nel plurale variorono tutti gli articoli.  Nomi propri masculini non hanno el primo articolo, né anche el quarto, e fanno simili a questi:  Propri masculini, che cominciano da consonante, in singulare fanno così:  Cesare DI Cesare A Cesare Cesare O Cesare DA Cesare.  Nomi propri, che cominciano da vocale, nulla variano da' consonanti, eccetto che al terzo vi si aggiugne d, e dicesi:  Agrippa DI Agrippa AD Agrippa, ecc.  In plurale non s'adoperano e' nomi propri, e se pur s'adoperassero, tutti fanno come appellativi.  E' nomi femminini, o propri o appellativi, o in vocale o in consonante che e' cominciano, tutti fanno simile a questo:  rdanze 5. SINGULARE.   LA stella DELLA stella ALLA stella LA stella O stella DALLA stella.  LA aura DELLA aura ALLA aura LA aura O aura DALLA aura.  PLURALE.   LE stelle DELLE stelle ALLE stelle LE stelle O stelle DALLE stelle.  LE aure DELLE aure ALLE aure LE aure O aure DALLE aure.  E' nomi delle terre s'usano come propri, e dicesi: Roma superò Cartagine.  E simili a' nomi propri s'usano e' nomi de' numeri: uno, due, tre, e cento e mille, e simili; e dicesi: tre persone, uno Dio, nove cieli, e simili.  E quei nomi che si referiscono a' numeri non determinati come ogni, ciascuno, qualunque, niuno, e simili, e come tutti, parecchi, pochi, molti, e simili, tutti si pronunziano simili a e' nomi propri senza primo e quartoarticolo.  E' nomi che importano seco interrogazione come chi e che e quale e quanto e simili, quei nomi che si riferiscono a questi interrogatori, come tale e tanto e cotale e cotanto, si pronunciano simili a e' propri nomi, pur senza primo e quarto articolo, e dicesi:  Io sono tale quale voresti essere tu; e amai tale che odiava me.   Chi s'usa circa alle persone, e dicesi: Chi scrisse?  Che significa quanto presso a e' Latini Qui e Quid. Significando Quid, s'usa circa alle cose, e dicesi: Che leggi? Significando Qui, s'usa circa alle persone, e dicesi: Io sono colui che scrissi.  Chi di sua natura serve al masculino, ma aggiunto a questo verbo sono, sei, è, serve al masculino e al femminino, e dicesi:  Chi sarà tua sposa? Chi fu el maestro?  Chi sempre si prepone al verbo. Che si prepone e pospone.  Che, preposto al verbo, significa quanto presso a e' Latini Quid e Quantum e Quale, come: Che dice? Che leggi? Che uomo ti paio? Che ti costa?  Che, posposto al verbo, significa quanto apresso e' Latini Ut e Quod, come dicendo: I' voglio che tu mi legga. Scio che tu me amerai.  E' nomi, quando e' dimostrano cosa non certa e diterminata, si pronunziano senza primo e quarto articolo, come dicendo:  Io sono studioso. Invidia lo move. Tu mi porti amore. Ma quando egli importano dimostrazione certa e diterminata, allora si pronunzianocoll'articolo come qui: Io sono lo studioso e tu el dotto.  E' nomi simili a questo: primo, secondo, vigesimo, posti dietro a questo verbo sono, sei, è, non raro si pronunziano senza el primo articolo, e dicesi: Tu fusti terzo e io secondo; e ancora si dice: Costui fu el quarto, elprimo, el secondo, ecc.  Uno, due, tre, e simili, quando e' significano ordine, vi si pone l'articolo, e dicesi: Tu fusti el tre, e io l'uno. Il dua è numero paro, ecc.  Fra tutti gli altri nomi appellativi, questo nome Dio s'usa come proprio, e dicesi: Lodato Dio. Io adoro Dio.  Gli articoli hanno molta convenienza co' pronomi, e ancora e' pronomihanno grande similitudine con questi nomi relativi qui recitati. Adonquesuggiungeremogli.  De' pronomi, e' primitivi sono questi: io tu esso questo quello costui lui colui. Mutasi l'ultima vocale in a e fassi il femminino, e dicesi: questa, quella, essa. Solo io e tu, in una voce, serve al masculino e al femminino.  E' plurali di questi primitivi pronomi sono vari, e anche e' singulari. Declinansi così:  Io e i': di me: a me e mi: me e mi: da me.  Noi: di noi: a noi e ci: noi e ci: da noi.  Tu: di te: a te e ti: te e ti: o tu: da te.  Voi: di voi: a voi e vi: voi e vi: o voi: da voi.  Esso ed e': di se e si: se e si: da se; ed Egli.  Non troverrai in tutta la lingua toscana casi mutati in voce altrove che in questi tre pronomi: io, tu, esso.  Gli altri primitivi se declinano così:  Questo: di questo: a questo: questo: da questo.  Quello: di quello: a quello: quello: da quello.  Muta o in i e arai el plurale, e dirai:  Questi: di questi: a questi: questi: da questi.  E il somigliante fa quelli.  E così sarà costui e lui e colui, simili a quegli in singulare; ma in pluralecostui fa costoro, lui fa loro, colui fa coloro, di coloro, a coloro, coloro, da coloro.  Questo e quello mutano o in a e fassi el femminino singulare, e dicesi:questa e quella; e fassi il suo plurale: queste, di quelle, a quelle.  Lui, costui, colui, mutano u in e e fassi el singulare femminino, e dicesi: costei, lei, colei, di colei, ecc. In plurale hanno quella voce che e' masculini, cioè: loro, coloro, costoro, di costoro, a costoro, ecc.  Vedesti come, simile a' nomi propri, questi pronomi primitivi non hanno el primo articolo né anche el quarto. A questa similitudine fanno e' pronomi derivativi, quando e' sono subiunti a e' propri nomi. Ma quando si giungono agli appellativi, si pronunziano co' suoi articoli.  Derivativi pronomi sono questi, e declinansi così:  El mio, del mio, ecc., e plurale: e' miei, de' miei, ecc.  El nostro, del nostro, ecc. E plurale: e' nostri, de' nostri, ecc.  El tuo. Plurale: e' tuoi. El vostro. Plurale: e' vostri.   El suo. E pluraliter: e' suoi, ecc.  Mutasi, come a e' nomi, l'ultima in a, e fassi el singulare femminino: qual a, converso in e, fassi el plurale, e dicesi: mia e mie; vostra, vostre; sua e sue.  In uso s'adropano questi pronomi non tutti a un modo.  E' derivativi, giunti a questi nomi, padre, madre, fratello, zio, e simili, si pronunziano senza articolo, e dicesi: mio padre, nostra madre, e tuo zio, ecc.  Mi e me, ti e te, ci e noi, vi e voi, si e sé sono dativi insieme e accusativi, come di sopra gli vedesti notati. Ma hanno questo uso che, preposti al verbo, si dice mi, ti, ci, ecc.; come qui: e' mi chiama; e' ti vuole; que' vi chieggono; io mi sto; e' si crede.  Posposti al verbo, se a quel verbo sarà inanzi altro pronome o nome, si dirà come qui: io amo te, e voglio voi.  Si al verbo non sarà aggiunto inanzi altro nome o pronome si dirà: -i, come qui: aspettaci, restaci, scrivetemi.  Lui e colui dimostrano persone, come dicendo: lui andò, colei venne.  Questo e quello serve a ogni dimostrazione, e dicesi: Questo essercitopredò quella provincia, e: Questo Scipione superò quello Annibale.  E' ed el, lo e la, le e gli, quali, giunti a' nomi, sono articoli, quando si giungono a e' verbi, diventano pronomi e significano quello, quella, quelle, ecc. E dicesi: Io la amai; Tu le biasimi: Chi gli vuole?  Ma di questi, egli ed e' hanno significato singulare e plurale; e, prepostialla consonante, diremo e', come qui: e' fa bene; e' sono. E, preposti alla vocale, si giugne e' e gli, e dicesi: egli andò; egli udivano.  E quando segue loro s preposta a una consonante, ancora diremo: egli spiega; egli stavano.  Potrei in questi pronomi essere prolisso, investigando più cose quali s'osservano, simili a queste:  Vi preposto a' presenti singulari indicativi, d'una sillaba, si scrive in la prima e terza persona per due v, e simile in la seconda persona presenteimperativa, come stavvi e vavvi; e ne' verbi, d'una e di più sillabe, la prima singulare indicativa del futuro, come amerovvi, leggerovvi, darotti, adoperrocci, e simile. Ma forse di queste cose più particulari diremoaltrove.  III. Seguitano e’ verbi.   Non ha la lingua toscana verbi passivi, in voce; ma, per esprimere elpassivo, compone con questo verbo sono, sei, è, el participio preteritopassivo tolto da e' Latini, in questo modo: Io sono amato; Tu sei pregiato; Colei è odiata. E simile, si giugne a tutti e' numeri e tempi e modi di questo verbo. Adonque lo porremo qui distinto.  1. INDICATIVO.   Sono, sei, è. Plurale: siamo, sete, sono.  Ero, eri, era. Plurale: eravamo e savamo, eravate e savate, erano.   Fui, fusti, fu. Plurale: fumo, fusti, furono.  Ero, eri, era stato. Plurale: eravamo e savamo, eravate e savate, erano stati.  Sarò, sarai, sarà. Plurale: saremo, sarete, saranno.  Hanno e' Toscani, in voce, uno preterito quasi testé, quale, in questo verbo, si dice così:  Sono, sei, è stato. Plurale: siamo, sete, sono stati.  E dicesi: Ieri fui ad Ostia; oggi sono stato a Tibuli.  ndere i link alle concordanze 2. IMPERATIVO.   Sie tu, sia lui. Plurale: siamo, siate, siano.  Sarai tu, sarà lui. Plurale: saremo, ecc.  3. OTTATIVO.   Dio ch 'io fussi, tu fussi, lui fusse. Plurale: fussimo, fussi, fussero.  Dio ch'io sia, sii, sia stato. Plurale: siamo, siate, siano stati.  Dio ch'io fussi, fussi, fusse stato. Plurale: fussimo, fussi, fussero stati.  Dio ch'io sia, sii, sia. Plurale: siamo, siate, siano.  4. SUBIENTIVO.   Bench'io, tu, lui sia. Plurale: siamo, siate, siano.  Bench'io fussi, tu fussi, lui fusse. Plurale: fussimo, fussi, fussero.  Bench'io sia, sii, sia stato. Plurale: siamo, siate, siano stati.  Bench'io fussi, fussi, fusse stato. Plurale: fussimo, fussi, fussero stati.  Bench'io sarò, sarai, sarà stato. Plurale: saremo, sarete, saranno stati.  E usasi tutto l'indicativo di questo e d'ogni altro verbo, quasi come subientivo, prepostovi qualche una di queste dizioni: se, quando, benché, e simili. E dicesi: bench'io fui; se e' sono; quando e' saranno.  5. INFINITO.   Essere, essere stato.  6. GERUNDIO.   Essendo   7. PARTICIPIO.   Essente  Dirassi adonque, per dimostrare el passivo: Io sono stato amato; fui pregiato; e sarò lodato; tu sei reverito.  Hanno e' Toscani certo modo subientivo, in voce, non notato da e' Latini; e parmi da nominarlo asseverativo, come questo: Sarei, saresti, sarebbe. Plurale: saremo, saresti, sarebbero.  E dirassi così: Stu fussi dotto, saresti pregiato. Se fussero amatori dellapatria, e' sarebbero più felici.   IV. Seguitano e’ verbi attivi.   Le coniugazioni de' verbi attivi in lingua toscana si formano dal gerundio latino, levatone le ultime tre lettere ndo, e quel che resta si fa terza persona singulare indicativa e presente. Ecco l'essemplo: amandolevane ndo, resta ama; scrivendo resta scrive.  Sono adonque due coniugazioni: una che finisce in a, l'altra finisce in e.  Alla coniugazione in a, quello a si muta in o, e fassi la prima personasingulare indicativa e presente; e mutasi in i, e fassi la seconda; e così si forma tutto il verbo, come vedrai la similitudine qui, in questo esposto:    1. INDICATIVO.   Amo, ami, ama. Plurale: amiamo, amate, amano.  Amavo, amavi, amava. Plurale: amavamo, amavate, amavano.   Amai, amasti, amò. Plurale: amamo, amasti, amarono.  Ho, hai, ha amato. Plurale: abbiamo, avete, hanno amato.   Amerò, amerai, amerà. Plurale: ameremo, amerete, ameranno.  In questa lingua ogni verbo finisce in o la prima indicativa presente, e in questa coniugazione prima, finisce ancora in o la terza singulare indicativadel preterito.  Ma ècci differenza, ché quella del preterito fa el suo o longo, e quella del presente lo fa o breve.  2. IMPERATIVO.   Ama tu, ami lui. Plurale: amiamo, amate, amino.  Amerai tu, amerà colui. Plurale: ameremo, ecc.  3. OTTATIVO.   Dio ch'io amassi, tu amassi, lui amasse. Plurale: Dio che noi amassimo, voi amassi, loro amassero.  Dio ch'io abbia, tu abbi, lui abbia amato. Plurale: Dio che noi abbiamo, abbiate, abbino amato.  Dio ch'io avessi, tu avessi, lui avesse amato. Plurale: Dio che noi avessimo, avessi, avessero amato.  Dio ch'io, tu, lui ami. Plurale: amiamo, amiate, amino.  4. SUBIENTIVO.   Bench'io, tu, lui ami. Plurale: amiamo, amiate, amino.   Bench'io, tu amassi, lui amasse. Plurale: amassimo, amassi, amassero.  Bench'io abbia, abbi, abbia amato. Plurale: abbiamo, abbiate, abbino amato.  Bench'io avessi, tu avessi, lui avesse amato. Plurale: avessimo, avessi, avessero amato.  Bench'io arò, arai, arà amato. Plurale: aremo, arete, aranno amato.  5. ASSERTIVO.   Amerei, ameresti, amerebbe. Plurale: ameremo, ameresti, amerebbero.  6. INFINITO.   Amare, avere amato.  7. GERUNDIO.   Amando.  8. PARTICIPIO.   Amante.  Vedi come a e' tempi testé perfetti e al futuro del subientivo mancano sue proprie voci, e per questo si composero simile a' verbi passivi: el suo participio co' tempi e voci di questo verbo ho, hai, ha.  Qual verbo, benché e' sia della coniugazione in a, pur non sequita la regola esimilitudine degli altri, però che egli è verbo d'una sillaba, e così tutti e'monosillabi sono anormali.  Né troverrai in tutta la lingua toscana verbi monosillabi altri che questi sei: Do; Fo; Ho; Vo; Sto; Tro. Porremogli adonque qui sotto distinti.  Ma, per esser breve, notiamo che e' sono insieme dissimili ne e' preteritiperfetti indicativi, e ne' singulari degli imperativi, e nel singulare del futuroottativo, ne' quali e' fanno così:  DO: diedi, desti, dette. Plurale: demo, desti, dettero.  FO: feci, facesti, fece. Plurale: facemo, facesti, fecero.  HO: ebbi, avesti, ebbe. Plurale: avemo, avesti, ebbero.  VO: andai, andasti, andò. Plurale: andamo, andasti, andarono.  STO: stetti, stesti, stette. Plurale: stemo, stesti, stettero.  TRO: tretti, traesti, trette. Plurale: traemo, traesti, trettero.  In tutti e' verbi, come fa la seconda persona singulare del preterito, così fa la seconda sua plurale; come amasti, desti, leggesti.  DO: da tu, dia lui.  FO: fa tu, faccia lui.  HO: abbi tu, abbia lui.  VO: va tu, vada lui.  STO: sta tu, stia lui.  TRO: tra tu, tria lui.  DO: Dio ch'io dia, tu dia, lui dia.  FO: faccia, facci, faccia.  HO: abbia, abbi, abbia.  VO: vada, vadi, vada.  STO: stia, stii, stia.  TRO: tragga, tragghi, tragga.  V. Seguita la coniugazione in e.   Questa si forma simile alla coniugazione in a. Mutasi quello e in o, e fassi la prima presente indicativa. Mutasi in i, e fassi la seconda, come qui: leggente e scrivente, levatone nte, resta legge, scrive; onde si fa leggo, leggi, leggeva, leggerò, ecc. Solo varia dalla coniugazione in ain que' luoghi dove variano e' monosillabi. Ma questa coniugazione in e varia in più modi, benché comune faccia e' preteriti perfetti indicativiin -ssi, per due s, come: leggo, lessi; scrivo, scrissi. Ma que' verbi che finiscono in -sco fanno e' preteriti in -ii per due i, come esco, uscii;ardisco, ardii; anighittisco, anighittii. Ma, per più suavità, nella linguatoscana non si pronunziano due iunte vocali. Da questi verbi si eccettuano cresco ed e' suoi compositi, rincresco, accresco, e simili, quali finiscono, a' preteriti perfetti, in -bbi, come crebbi, rincrebbi.  Item, nasco fa nacqui, e conosco fa conobbi. E que' verbi che finiscono in mo fanno e' preteriti in -etti, come premo, premetti; e quei che finiscono in do fanno e' preteriti in -si, per uno s, come ardo, arsi; spargo, sparsi; eccetto vedo fa vidi; odo, udi'; cado, caddi; godo, godei e godetti. E quegli che finiscono in ndo fanno preteriti -si, per uno s: prendo, presi; rispondo, risposi; eccetto vendo fa vendei e vendetti.  Sonci di queste regole forse altre eccezioni, ma per ora basti questo principio di tanta cosa. Chi che sia, a cui diletterà ornare la patrianostra, aggiugnerà qui quello che ci manchi.  Dicemo de' preteriti, resta a dire degli altri.  1. IMPERATIVO.   Leggi tu, legga colui.  2. OTTATIVO.   Futuro singulare: Dio ch'io scriva, tu scriva, lui scriva. E così fanno tutti.  Verbi impersonali si formano della terza persona del verbo attivo in tutti e' modi e tempi, giuntovi si, come: amasi, leggevasi, scrivasi. Ma questo si suole trasporlo innanzi al verbo, giuntovi e', e dicesi: e' si legge; e' si corre; e massime nell'ottativo e subientivo sempre si prepone, e dicesi: Dio che e' s'ami; quando e' si leggera', e simile.  VI. Seguitano le preposizioni.   Di queste alcune non caggiono in composizione, e sono queste: oltre, sino, dietro, doppo, presso, verso, 'nanzi, fuori, circa.   Preposizioni che caggiono in composizione e ancora s'adoperano seiunte, sono di una sillaba o di più.  D'una sillaba sono queste:  DE: de' nostri; detrattori.  AD: ad altri; admiratori.  CON: con certi; conservatori.  PER: per tutti; pertinace.  DI: di tanti; diminuti.  IN: in casa; importati.  Di, preposto allo infinito, ha significato quasi come a' Latini ut. E dicono: Io mi sforzo d'essere amato.  Quelle de più sillabe sono queste:  SOTTO sottoposto  SOPRA sopraposto  e dicesi  ENTRO entromesso  CONTRO contraposto  Preposizioni quali s'adoperano solo in composizione:  Re, sub, ob, se, am, tras, ab, dis, ex, pre, circum; onde si dice: trasposi e circumspetto.  VII. Seguitano gli avverbi.   Per e' tempi, si dice: oggi, testé, ora, ieri, crai, tardi, omai, già, allora, prima, poi, mai, sempre, presto, subito.  Per e' luoghi, si dice: costì, colà, altrove, indi, entro, fuori, circa, quinci, costinci, e qui e ci, e ivi e vi. Onde si dice: Io voglio starci, io ci starò, pro qui; e verrovvi e io vi starò, pro ivi.  Pelle cose, si dice: assai, molto, poco, più, meno.  Negando, si dice: nulla, no, niente, né.  Affirmando, si dice: sì, anzi, certo, alla fe'.  Domandando, si dice: perché, onde, quando, come, quanto.  Dubitando: forse.  Narrando, si dice: insieme, pari, come, quasi, così, bene, male, peggio, meglio, ottime, pessime, tale, tanto.  Usa la lingua toscana questi avverbi, in luogo di nomi, giuntovi l'articolo, e dice: el bene, del bene, ecc.; qual cosa ella ancora fa degli infiniti, e dicono: el leggere, del leggere.  Ma a più nomi, pronomi e infiniti giunti insieme, solo in principio della loro coniunzione usa preporre non più che uno articolo, e dicesi: el tuo buono amare mi piace.  Item, a similitudine della lingua gallica, piglia el Toscano e' nomisingulari femminini adiettivi e aggiungevi -mente, e usagli per avverbi, come saviamente, bellamente, magramente.  VIII. Interiezioni.   Sono queste: hen, hei, ha, o, hau, ma, do.  IX. Coniunzioni.   Sono queste: mentre, perché, senza, se, però, benché, certo, adonque, ancora, ma, come, e, né, o, segi (sic).  E congiunge; né disiunge; o divide; senza si lega solo a' nomi e agli infiniti. E dicesi: senza più scrivere; tu e io studieremo; che né lui né lei siano indotti; o piaccia o dispiaccia questa mia invenzione.  E questo ne ha vario significato e vario uso. Se si prepone simplice a' nomi, a' verbi, a' pronomi, significa negazione, come qui: né tu né io meritiamo invidia. E significa in; ma, aggiuntovi l, serve a' singularimasculini e femminini; e senza l, serve a' plurali quali comincino da consonante. A tutti gli altri plurali, masculini e femminini si dice nel-; e quando s sarà preposta alla consonante, pur si dice: nello spazzo, nelle camere, ne' letti, nello essercito di Dario, negli orti.  E questo ne, se sarà subiunto a nome o al pronome, significa di qui, di questo, di quello, secondo che l'altre dizioni vi si adatteranno, come chi dice: Cesare ne va, Pompeio ne viene.  E questo ne, posposto al verbo, sarà o doppo a monosillabi o doppo a quei di più sillabe; e più, o significa interrogazione o affirmazione o precetto. Adonque, doppo l'indicativo monosillabo, la interrogazione si scrive, in la prima e terza persona, per due n, la seconda per uno n, come, interrogando, si dice: vonne io? va' ne tu? vanne colui? Nello imperativo si scrive la seconda per due n, e dicesi: vanne, danne. La terza si scrive per uno, e dicesi: diane lui, traggane. E questi monosillabi, la prima indicativa presente, affirmando, si scrive per due n, e dicono: fonne, vonne, honne.  Se sarà el verbo di più sillabe, la interrogazione e affirmazione si scrive per uno n in tutti e' tempi, eccetto la affirmazione in lo futuro, quale si scrive per due n, come dicendo: portera' ne tu? porteronne. E questo sino qui detto s'intenda per e' singulari, però che a' plurali siscrive quello ne sempre per uno n, come andiamone.  Non mi stendo negli altri simili usi a questi. Basti quinci intendere e' principi d'investigare lo avanzo.  E' vizi del favellare in ogni lingua sono o quando s'introducono alle cose nuovi nomi, o quando gli usitati si adoperano male. Adoperanosimale, discordando persone e tempi, come chi dicesse: tu ieri andaremoalla mercati. E adoperanosi male usandogli in altro significato alieno, come chi dice: processione pro possessione. Introduconsi nuovi nomio in tutto alieni e incogniti o in qualunque parte mutati.  Alieni sono in Toscana più nomi barberi, lasciativi da gente Germana, quale più tempo militò in Italia, come elm, vulasc, sacoman, bandier, e simili. In qualche parte mutati saranno quando alle dizionis'aggiungerà o minuirà qualche lettera, come chi dicesse: paire pro patre, e maire pro matre. E mutati saranno come chi dicesse: replubicapro republica, e occusfato pro offuscato; e quando si ponesse una lettera per un'altra, come chi dicesse: aldisco pro ardisco, inimisi pro inimici.  Molto studia la lingua toscana d'essere breve ed espedita, e per questo scorre non raro in qualche nuova figura, qual sente di vizio. Ma questivizi in alcune dizioni e prolazioni rendono la lingua più atta, come chi, diminuendo, dice spirto pro spirito; e massime l'ultima vocale, e dice papi, e Zanobi pro Zanobio; credon far quel bene. Onde s'usa che a tutti gl'infiniti, quando loro segue alcuno pronome in i, allora si gettal'ultima vocale e dicesi: farti, amarvi, starci, ecc.  E, mutando lettere, dicono mie pro mio e mia, chieggo pro chiedo,paio pro paro, inchiuso pro incluso, chiave pro clave. E, aggiugnendo, dice vuole pro vole, scuola pro scola, cielo pro celo. E, in tuttotroncando le dizioni, dice vi pro quivi, e similiter, stievi pro stia ivi.  Si questo nostro opuscolo sarà tanto grato a chi mi leggerà, quanto fu laborioso a me el congettarlo, certo mi diletterà averlo promulgato, tanto quanto mi dilettava investigare e raccorre queste cose, a mio iudizio, degne e da pregiarle.  Laudo Dio che in la nostra lingua abbiamo omai e' primi principi: di quello ch'io al tutto mi disfidava potere assequire.  Cittadini miei, pregovi, se presso di voi hanno luogo le mie fatighe, abbiate a grado questo animo mio, cupido di onorare la patria nostra. E insieme, piacciavi emendarmi più che biasimarmi, se in parte alcuna ci vedete errore.  Que’ che affermano la lingua latina non essere stata comune a tutti e’ populi latini, ma solo propria di certi dotti scolastici, come oggi la vediamo in pochi, credo deporranno quello errore vedendo questo nostro opuscolo, in quale io raccolsi l’uso della lingua nostra in brevissime annotazioni. Qual cosa simile fecero gl’ingegni grandi e studiosi presso a’ Greci prima e po’ presso de e’ Latini, e chiamorno queste simili ammonizioni, atte a scrivere e favellare senza corruttela, suo nome, grammatica. Questa arte, quale ella sia in la lingua nostra, leggetemi e intenderetela. Ordine delle lettere I r t d b v n u m p q g c e o a x z l s f ç ch gh Vocali a ę ẻ i o ô u ę è é ę Coniunctio ể Verbum ẻ Articulus el ghiro girò al çio el zembo. e volse pôrci a’ porci quèllo chẻ ể pẻlla pelle. [p. facsimile1]  Tavv. 1-2. Roma, Bibl. Vaticana, Cod. Vat. Reginense Lat. 1370, «Della thoscana senza auttore», cc 1r-v (cfr. p. 361)  [p. 178] Ogni parola e dizione toscana finisce in vocale. Solo alcuni articoli de’ nomi in l e alcune preposizioni finiscono in d, n, r.  Le cose in molta parte hanno in lingua toscana que’ medesimi nomi che in latino.  Non hanno e’ Toscani fra e’ nomi altro che masculino e femminino. E’ neutri latini si fanno masculini.  Pigliasi in ogni nome latino lo ablativo singulare, e questo s’usa in ogni caso singulare, così al masculino come al femminino.  A e’ nomi masculini l’ultima vocale si converte in i, e questo s’usa in tutti e’ casi plurali.  A e’ nomi femminini l’ultima vocale si converte in e, e questo s’usa in ogni caso plurale per e’ femminini.  Alcuni nomi femminini in plurale non fanno in e: come, la mano fa le mani.  E ogni nome femminino, quale in singulare finisca in e, fa in plurale in i: come la orazione, le orazioni; stagione, stagioni; confusioni, e simili.  E’ casi de’ nomi si notano co’ suoi articoli, dei quali sono vari e’ masculini da e’ femminini.  Item e’ masculini, che cominciano da consonante, hanno certi articoli non fatti come quando e’ cominciano da vocale.  Item e’ nomi propri sono vari dagli appellativi.  Masculini che cominciano da consonante hanno articoli simili a questo:    singulare    EL cielo DEL cielo AL cielo EL cielo O cieloDAL cielo   Plurale    E’ cieli DE’ cieli A’ cieli E’ cieli O cieli DA’ cieli. Masculini, che cominciano da vocale, fanno in singulare simile a questo: [p. 179]    Singulare   LO orizzonte DELLO orizonte ALLO orizonteLO orizonte O orizonte DALLO orizonte    Plurale   GLI orizonti DEGLI orizonti AGLI orizontiGLI orizonti O orizonti DAGLI orizonti.  E’ nomi masculini che cominciano da s preposta a una consonante hanno articoli simili a quei che cominciano da vocale, e dicesi: LO spedo, LO stocco, GLI spedi, e simile.  Questi vedesti che sono vari da quei di sopra nel singulare, el primo articolo e anche el quarto; ma nel plurale variorono tutti gli articoli.  Nomi propri masculini non hanno el primo articolo, né anche el quarto, e fanno simili a questi:  Propri masculini, che cominciano da consonante, in singulare fanno così:  Cesare DI Cesare A Cesare Cesare O CesareDA Cesare. Nomi propri, che cominciano da vocale, nulla variano da’ consonanti, eccetto che al terzo vi si aggiugne d, e dicesi:  Agrippa DI Agrippa AD Agrippa, ecc. In plurale non s’adoperano e’ nomi propri, e se pur s’adoperassero, tutti fanno come appellativi.  E’ nomi femminini, o propri o appellativi, o in vocale o in consonante che e’ cominciano, tutti fanno simile a questo:    Singulare    LA stella DELLA stella ALLA stella LA stellaO stella DALLA stella. LA aura DELLA aura ALLA aura LA aura O auraDALLA aura. [p. 180]  Plurale  LE stelle DELLE stelle ALLE stelle LE stelle O stelleDALLE stelle. LE aure DELLE aure ALLE aure LE aure O aureDALLE aure. E’ nomi delle terre s’usano come propri, e dicesi: Roma superò Cartagine.  E simili a’ nomi propri s’usano e’ nomi de’ numeri: uno, due, tre, e cento e mille, e simili; e dicesi: tre persone, uno Dio, nove cieli, e simili.  E quei nomi che si referiscono a’ numeri non determinati come ogni, ciascuno, qualunque, niuno, e simili, e come tutti, parecchi, pochi, molti, e simili, tutti si pronunziano simili a e’ nomi propri senza primo e quarto articolo.  E’ nomi che importano seco interrogazione come chi e che e quale e quanto e simili, quei nomi che si riferiscono a questi interrogatori, come tale e tanto e cotale e cotanto, si pronunciano simili a e’ propri nomi, pur senza primo e quarto articolo, e dicesi:  Io sono tale quale voresti essere tu; e amai tale che odiava me.  Chi s’usa circa alle persone, e dicesi: Chi scrisse?  Che significa quanto presso a e’ Latini Qui e Quid. Significando Quid, s’usa circa alle cose, e dicesi: Che leggi? Significando Qui, s’usa circa alle persone, e dicesi: Io sono colui che scrissi.  Chi di sua natura serve al masculino, ma aggiunto a questo verbo sono, sei, è, serve al masculino e al femminino, e dicesi: Chi sarà tua sposa? Chi fu el maestro?  Chi sempre si prepone al verbo. Che si prepone e pospone.  Che, preposto al verbo, significa quanto presso a e’ Latini Quid e Quantum e Quale, come: Che dice? Che leggi? Che uomo ti paio? Che ti costa?  Che, posposto al verbo, significa quanto apresso e’ Latini Ut e Quod, come dicendo: I’ voglio che tu mi legga. Scio che tu me amerai.  E’ nomi, quando e’ dimostrano cosa non certa e diterminata, [p. 181]si pronunziano senza primo e quarto articolo, come dicendo: Io sono studioso. Invidia lo move. Tu mi porti amore. Ma quando egli importano dimostrazione certa e diterminata, allora si pronunziano coll’articolo come qui: Io sono lo studioso e tu el dotto.  E’ nomi simili a questo: primo, secondo, vigesimo, posti dietro a questo verbo sono, sei, è, non raro si pronunziano senza el primo articolo, e dicesi: Tu fusti terzo e io secondo; e ancora si dice: Costui fu el quarto, el primo, el secondo, ecc.  Uno, due, tre, e simili, quando e’ significano ordine, vi si pone l’articolo, e dicesi: Tu fusti el tre, e io l’uno. Il dua è numero paro, ecc.  Fra tutti gli altri nomi appellativi, questo nome Dio s’usa come proprio, e dicesi: Lodato Dio. Io adoro Dio.  Gli articoli hanno molta convenienza co’ pronomi, e ancora e’ pronomi hanno grande similitudine con questi nomi relativi zs qui recitati. Adonque suggiungeremogli.  De’ pronomi, e’ primitivi sono questi: io tu esso questo quello costui lui colui. Mutasi l’ultima vocale in a e fassi il femminino, e dicesi: questa, quella, essa. Solo io e tu, in una voce, serve al masculino e al femminino.  E’ plurali di questi primitivi pronomi sono vari, e anche e’ singulari. Declinansi così:  Io e i’: di me: a me e mi: me e mi: dame. Noi: di noi: a noi e ci: noi e ci: da noi. Tu: di te: a te e ti: te e ti: o tu: da te. Voi: di voi: a voi e vi: voi e vi: o voi: da voi. Esso ed e’: di se e si: se e si: da se; ed Egli.  Non troverrai in tutta la lingua toscana casi mutati in voce altrove che in questi tre pronomi: io, tu, esso.  Gli altri primitivi se declinano così:   Questo: di questo: a questo: questo: da questo. Quello: di quello: a quello: quello: da quello.  Muta o in i e arai el plurale, e dirai:   Questi: di questi: a questi: questi: da questi. [p. 182]  E il somigliante fa quelli  E così sarà costui e lui e colui, simili a quegli in singulare; ma in plurale costui fa costoro, lui fa loro, colui fa coloro, di coloro, a coloro, coloro, da coloro.  Questo e quello mutano o in a e fassi el femminino singulare, e dicesi: questa e quella; e fassi il suo plurale: queste, di quelle, a quelle.  Lui, costui, colui, mutano u in e e fassi el singulare femminino, e dicesi: costei, lei, colei, di colei, ecc. In plurale hanno quella voce che e’ masculini, cioè: loro, coloro, costoro, di costoro, a costoro, ecc.  Vedesti come, simile a’ nomi propri, questi pronomi primitivi non hanno el primo articolo né anche el quarto. A questa similitudine fanno e’ pronomi derivativi, quando e’ sono subiunti a e’ propri nomi. Ma quando si giungono agli appellativi, si pronunziano co’ suoi articoli.  Derivativi pronomi sono questi, e declinansi così:  El mio, del mio, ecc., e plurale: e’ miei, de’ miei,ecc. El nostro, del nostro, ecc. E plurale: e’ nostri, de’ nostri, ecc. El tuo. Plurale: e’ tuoi. El vostro. Plurale: e’ vostri. El suo. E pluraliter: e’ suoi, ecc.  Mutasi, come a e’ nomi, l’ultima in a, e fassi el singulare femminino: qual a, converso in e, fassi el plurale, e dicesi: mia e mie; vostra, vostre; sua e sue.  In uso s’adropano questi pronomi non tutti a un modo.  E’ derivativi, giunti a questi nomi, padre, madre, fratello, zio, e simili, si pronunziano senza articolo, e dicesi: mio padre, nostra madre, e tuo zio, ecc.  Mi e me, ti e te, ci e noi, vi e voi, si e sé sono dativi insieme e accusativi, come di sopra gli vedesti notati. Ma hanno questo uso che, preposti al verbo, si dice mi, ti, ci, ecc.; come qui: e’ mi chiama; e’ ti vuole; que’ vi chieggono; io mi sto; e’ si crede.  Posposti al verbo, se a quel verbo sarà inanzi altro pronome o nome, si dirà come qui: io amo te, e voglio voi. [p. 183]  Si al verbo non sarà aggiunto inanzi altro nome o pronome, si dirà: -i, come qui: aspettaci, restaci, scrivetemi.  Lui e colui dimostrano persone, come dicendo: lui andò, colei venne.  Questo e quello serve a ogni dimostrazione, e dicesi: Questo essercito predò quella provincia, e: Questo Scipione superò quello Annibale.  E’ ed el, lo e la, le e gli, quali, giunti a’ nomi, sono articoli, quando si giungono a e’ verbi, diventano ·pronomi e significano quello, quella, quelle, ecc. E dicesi: Io la amai; Tu le biasimi; Chi gli vuole?  Ma di questi, egli ed e’ hanno significato singulare e plurale; e, preposti alla consonante, diremo e’, come qui: e’ fa bene; e’ corsono. E, preposti alla vocale, si giugne e’ e gli, e dicesi: egli andò; egli udivano.  E quando segue loro s preposta a una consonante, ancora diremo: egli spiega; egli stavano.  Potrei in questi pronomi essere prolisso, investigando più cose quali s’osservano, simili a queste:  Vi preposto a’ presenti singulari indicativi, d’una sillaba, si scrive in la prima e terza persona per due v, e simile in la seconda persona presente imperativa, come stavvi e vavvi; e ne’ verbi, d’una e di più sillabe, la prima singulare indicativa del futuro, come amerovvi, leggerovvi, darotti, adoperrocci, e simile. Ma forse di queste cose più particulari diremo altrove.    Sequitano e’ Verbi    Non ha la lingua toscana verbi passivi, in voce; ma, per esprimere el passivo, compone con questo verbo sono, sei, è, el participio preterito passivo tolto da e’ Latini, in questo modo: Io sono amato; Tu sei pregiato; Colei è odiata. E simile, si giugne a tutti e’ numeri e tempi e modi di questo verbo. Adonque lo porremo qui distinto. [p. 184]    Indicativo    Sono, sei, è. Plurale: siamo, sete, sono.  Ero, eri, era. Plurale: eravamo e savamo, eravate e savate, erano.  Fui, fusti, fu. Plurale: fumo, fusti, furono.  Ero, eri, era stato. Plurale: eravamo e savamo, eravate e savate, erano stati.  Sarò, sarai, sarà. Plurale: saremo, sarete, saranno.  Hanno e’ Toscani, in voce, uno preterito quasi testé, quale, in questo verbo, si dice cosi:  Sono, sei, è stato. Plurale: siamo, sete, sono stati.  E dicesi: Ieri fui ad Ostia; oggi sono stato a Tibuli.    Imperativo    Sie tu, sia lui. Plurale: siamo, siate, siano.  Sarai tu, sarà lui. Plurale: saremo, ecc.    Ottativo    Dio ch’io fussi, tu fussi, lui fusse. Plurale: fussimo, fussi, fussero.  Dio ch’io sia, sii, sia stato. Plurale: siamo, siate, siano stati.  Dio ch’io fussi, fusse stato. Plurale: fussimo, fussi, fussero stati.   Dio ch’io sia, sii, sia. Plurale: siamo, siate, siano.    Subientivo    Bench’io, tu, lui sia. Plurale: siamo, siate, siano.  Bench’io fussi, tu fussi, lui fusse. Plurale: fussimo, fussi, fussero.  Bench’io sia, sii, sia stato. Plurale: siamo, siate, siano stati. [p. 185]  Bench’io fussi, fussi, fusse stato. Plurale: fussimo, fussi, fussero stati.  Bench’io sarò, sarai, sarà stato. Plurale: saremo, sarete, saranno stati.  E usasi tutto l’indicativo di questo e d’ogni altro verbo, quasi s come subientivo, prepostovi qualche una di queste dizioni: se, quando, benché, e simili. E dicesi: bench’io fui; se e’ sono; quando e’ saranno.    Infinito   Essere, essere stato    Gerundio   Essendo    Participio   Essente  Dirassi adonque, per dimostrare el passivo: Io sono stato amato; fui pregiato; e sarò lodato; tu sei reverito.  Hanno e’ Toscani certo modo subientivo, in voce, non notato da e’ Latini; e parmi da nominarlo asseverativo, come questo: Sarei, saresti, sarebbe. Plurale: saremo, saresti, sarebbero.  E dirassi così: Stu fussi dotto, saresti pregiato. Se fussero amatori della patria, e’ sarebbero più felici.    Sequitano e’ verbi attivi    Le coniugazioni de’ verbi attivi in lingua toscana si formano dal gerundio latino, levatone le ultime tre ·lettere ndo, e quel che resta si fa terza persona singulare indicativa e presente. Ecco l’essemplo: amando, levane ndo, resta ama; scrivendo, resta scrive. [p. 186]  Sono adonque due coniugazioni: una che finisce in a, l’altra finisce in e.  Alla coniugazione in a, quello a si muta in o, e fassi la prima persona singulare indicativa e presente; e mutasi in i, e fassi la seconda; e così si forma tutto il verbo, come vedrai la similitudine qui, in questo esposto:    Indicativo  Amo, ami, ama. Plurale: amiamo, amate, amano.  Amavo, amavi, amava. Plurale: amavamo, amavate, amavano.  Amai, amasti, amò. Plurale: amamo, amasti, amarono.  Ho, hai, ha amato. Plurale: abbiamo, avete, hanno amato.  Amerò, amerai, amerà. Plurale: ameremo, amerete, ameranno.  In questa lingua ogni verbo finisce in o la prima indicativa presente, e in questa coniugazione prima, finisce ancora in o la terza singulare indicativa del preterito.  Ma ècci differenza, ché quella del preterito fa el suo o longo, e quella del presente lo fa o breve.    Imperativo  Ama tu, ami lui. Plurale: amiamo, amate, amino.  Amerai tu, amerà colui. Plurale: ameremo, ecc.    Ottativo  Dio ch’io amassi, tu amassi, lui amasse. Plurale: Dio che noi amassimo, voi amassi, loro amassero.  Dio ch’io abbia, tu abbi, lui abbia amato. Plurale: Dio che noiu abbiamo, abbiate, abbino amato.  Dio ch’io avessi, tu avessi, lui avesse amato. Plurale: Dio che noi avessimo, avessi, avessero amato.  Dio ch’io, tu, lui ami. Plurale: amiamo, amiate, amino. [p. 187]    Subientivo  Bench’io, tu, lui ami. Plurale: amiamo, amiate, amino.  Bench’io, tu amassi, lui amasse. Plurale: amassimo, amassi, amassero.  Bench’io abbia, abbi, abbia amato. Plurale: abbiamo, abbiate, abbino amato.  Bench’io avessi, tu avessi, lui avesse amato. Plurale: avessimo, avessi, avessero amato.  Bench’io arò, arai, arà amato. Plurale: aremo, arete, aranno amato.    Assertivo  Amerei, ameresti, amerebbe. Plurale: ameremo, ameresti, amerebbero.  Infinito  amare, avere amato.  Gerundio  Amando.  Indicativo  Amante.   Vedi come a e’ tempi testé perfetti e al futuro del subientivo mancano sue proprie voci, e per questo si composero simile a’ verbi passivi: el suo participio co’ tempi e voci di questo verbo ho, hai, ha.  Qual verbo, benché e’ sia della coniugazione in a, pur non sequita la regola e similitudine degli altri, però che egli è verbo d’una sillaba, e così tutti e’ monosillabi sono anormali. [p. 188]  Né troverrai in tutta la lingua toscana verbi monosillabi altri che questi sei: Do; Fo; Ho; Vo; Sto; Tro. Porremogli adonque qui sotto distinti.  Ma, per esser breve, notiamo che e’ sono insieme dissimili ne e’ preteriti perfetti indicativi, e ne’ singulari degli imperativi, e nel singulare del futuro ottativo, ne’ quali e’ fanno così:  Do: diedi, desti, dette. Plurale: demo, desti, dettero.  Fo: feci, facesti, fece. Plurale: facemo, facesti, fecero.  Ho: ebbi, avesti, ebbe. Plurale: avemo, avesti, ebbero.  Vo: andai, andasti, andò. Plurale: andamo, andasti, andarono.  Sto: stetti, stesti, stette. Plurale: stemo, stesti, stettero.  Tro: tretti, traesti, trette. Plurale: traemo, traesti, trettero.  In tutti e’ verbi, come fa la seconda persona singulare del preterito, così fa la seconda sua plurale; come amasti, desti, leggesti.  Do: da tu, dia lui.  Fo: fa tu, faccia lui.  Ho: abbi tu, abbia lui.  Vo: va tu, vada lui.  Sto: sta tu, stia lui.    Tro: tra tu, tria lui.  Do: Dio ch’io dia, tu dia, lui dia.  Fo: faccia, facci, faccia.  Ho: abbia, abbi, abbia.  Vo: vada, vadi, vada.  Sto: stia, stii, stia.  Tro: tragga, tragghi, tragga.    Sequita la coniugazione in e.  Questa si forma simile alla coniugazione in a. Mutasi quello e in o, e fassi la prima presente indicativa. Mutasi in i, e fassi la [p. 189]seconda, come qui: leggente e scrivente, levatone nte, resta legge, scrive; onde si fa leggo, leggi, leggeva, leggerò, ecc. Solo varia dalla coniugazione in a in que’ luoghi dove variano e’ monosillabi. Ma questa coniugazione in evaria in più modi, benché comune faccia e’ preteriti perfetti indicativi in -ssi, per due s, come: leggo, lessi; scrivo, scrissi. Ma que’ verbi che finiscono in -scofanno e’ preteriti in -ii per due i, come esco, uscii; ardisco, ardii; anighittisco, anighittii. Ma, per più suavità, nella lingua toscana non si pronunziano due iunte vocali. Da questi verbi si eccettuano cresco ed e’ suoi compositi, rincresco, accresco, e simili, quali finiscono, a’ preteriti perfetti, in -bbi, come crebbi, rincrebbi.  Item, nasco fa nacqui, e conosco fa conobbi. E que’ verbi che finiscono in mo fanno e’ preteriti in -etti, come premo, premetti; e quei che finiscono in dofanno e’ preteriti in -si, per uno s, come ardo, arsi; spargo, sparsi; eccetto vedo fa vidi; odo, udi’; cado, caddi; godo, godei e godetti. E quegli che finiscono in ndo fanno preteriti -si, per uno s: prendo, presi; rispondo, risposi; eccetto vendo fa vendei e vendetti.  Sonci di queste regole forse altre eccezioni, ma per ora basti questo principio di tanta cosa. Chi che sia, a cui diletterà ornare la patria nostra, aggiugnerà qui quello che ci manchi.  Dicemo de’ preteriti, resta a dire degli altri.  Imperativo  Leggi tu, legga colui.    Ottativo  Futuro singulare: Dio ch’io scriva, tu scriva, lui scriva. E così fanno tutti. Verbi impersonali si formano della terza persona del verbo attivo in tutti e’ modi e tempi, giuntavi si, come: amasi, leggevasi, scrivasi. Ma questo si suole trasporlo innanzi al verbo, giuntovi e’, e dicesi: e’ si legge; e’ si corre; e massime nell’ottativo e [p. 190]subientivo sempre si prepone, e dicesi: Dio che e’ s’ami; quando e’ si leggerà, e simile.  sequitano le preposizioni    Di queste alcune non caggiono in composizione, e sono queste: oltre, sino, dietro, doppo, presso, verso, ’nanzi, fuori, circa.  Preposizioni che caggiono in composizione e ancora s’adoperano seiunte, sono di una sillaba o di più.  D’una sillaba sono queste:  De: de’ nostri; detrattori. Ad: ad altri; admiratori. Con: con certi; conservatori. Per: per tutti; pertinace. Di: di tanti; diminuti. In: in casa; importati. Di, preposto allo infinito, ha significato quasi come a’ Latini ut. E dicono: Io mi sforzo d’essere amato.  Quelle de più sillabe sono queste:  Sotto sottoposto Sopra sopraposto e dicesi Entro          entromesso Contro contraposto Preposizioni quali s’adoperano solo in composizione: Re, sub, ob, se, am, tras, ab, dis, ex, pre, circum; onde si dice: trasposi e circumspetto.    Sequitano gli avverbi    Per e’ tempi, si dice: oggi, testé, ora, ieri, crai, tardi, omai, già, allora, prima, poi, mai, sempre, presto, subito. [p. 191]  Per e’ luoghi, si dice: costì, colà, altrove, indi, entro, fuori, circa, quinci, costinci, e qui e ci, e ivi e vi. Onde si dice: Io voglio starci, io ci starò, pro qui; e verrovvi e io vi starò, pro ivi.  Pelle cose, si dice: assai, molto, poco, più, meno.  Negando, si dice: nulla, no, niente, né.  Affirmando, si dice: sì, anzi, certo, alla fe’.  Domandando, si dice: perché, onde, quando, come, quanto.  Dubitando: forse.  Narrando, si dice: insieme, pari, come, quasi, così, bene, male, peggio, meglio, ottime, pessime, tale, tanto.  Usa la lingua toscana questi avverbi, in luogo di nomi, giuntavi l’articolo, e dice: el bene, del bene, ecc.; qual cosa ella ancora fa degli infiniti, e dicono: el leggere, del leggere.  Ma a più nomi, pronomi e infiniti giunti insieme, solo in principio della loro coniunzione usa preporre non più che uno articolo, e dicesi: el tuo buono amare mi piace.  Item, a similitudine della lingua gallica, piglia el Toscano e’ nomi singulari femminini adiettivi e aggiungevi -mente, e usagli per avverbi, come saviamente, bellamente, magramente. Interiezioni    Sono queste: hen, hei, ha, o, hau, ma, do.    Coniunzioni    Sono queste: mentre, perché, senza, se, però, benché, certo, adonque, ancora, ma, come, e, né, o, segi (sic).  E congiunge; né disiunge; o divide; senza si lega solo a’ nomi e agli infiniti. E dicesi: senza più scrivere; tu e io studieremo; che né lui né lei siano indotti; o piaccia o dispiaccia questa mia invenzione.  E questo ne ha vario significato e vario uso. Se si prepone simplice a’ nomi, a’ verbi, a’ pronomi, significa negazione, come [p. 192]qui: né tu né io meritiamo invidia. E significa in; ma, aggiuntovi t, serve a’ singulari masculini e femminini; e senza l, serve a’ plurali quali comincino da consonante. A tutti gli altri plurali, masculini e femminini si dice nel-; e quando s sarà preposta alla consonante, pur si dice: nello spazzo, nelle camere, ne’ letti, nello essercito di Dario, negli orti.  E questo ne, se sarà subiunto a nome o al pronome, significa di qui, di questo, di quello, secondo che l’altre dizioni vi si adatteranno, come chi dice: Cesare ne va, Pompeio ne viene.  E questo ne, posposto al verbo, sarà o doppo a monosillabi o doppo a quei di più sillabe; e più, o significa interrogazione o affirmazione o precetto. Adonque, doppo l’indicativo monosillabo, la interrogazione si scrive, in la prima e terza persona, per due n, la seconda per uno n, come, interrogando, si dice: vonne io? va’ ne tu? vanne colui? Nello imperativo si scrive la seconda per due n, e dicesi: vanne, danne. La terza si scrive per uno, e dicesi: diane lui, traggane. E questi monosillabi, la prima indicativa presente, affirmando, si scrive per due n, e dicono: fonne, vonne, honne.  Se sarà el verbo di più sillabe, la interrogazione e affirmazione si scrive per uno n in tutti e’ tempi, eccetto la affirmazione in lo futuro, quale si scrive per due n, come dicendo: portera’ ne tu? porteronne. E questo sino qui detto s’intenda per e’ singulari, però che a’ plurali si scrive quello ne sempre per uno n, come andiamone.  Non mi stendo negli altri simili usi a questi. Basti quinci intendere e’ principi d’investigare lo avanzo.  E’ vizi del favellare in ogni lingua sono o quando s’introducono alle cose nuovi nomi,o quando gli usitati si adoperano male. Adoperanosi male, discordando persone e tempi, come chi dicesse:  tu ieri andaremo alla mercati. E adoperanosi male usandogli in altro significato alieno, come chi dice: processione pro possessione.  Introduconsi nuovi nomi o in tutto alieni e incogniti o in qualunque parte mutati.  Alieni sono in Toscana più nomi barberi, lasciativi da gente Germana, quale più tempo militò in Italia, come elm, vulasc, [p. 193]sacoman, bandier, e simili. In qualche parte mutati saranno quando alle dizioni s’aggiungerà o minuirà qualche lettera, come chi dicesse: paire pro patre, e maire pro matre. E mutati saranno come chi dicesse: replubica pro republica, e occusfato pro offuscato; e quando si ponesse una lettera per un’altra, come chi dicesse: aldisco pro ardisco, inimisi, pro inimici.  Molto studia la lingua toscana d’essere breve ed espedita, e per questo scorre non raro in qualche nuova figura, qual sente di vizio. Ma questi vizi in alcune dizioni e prolazioni rendono la lingua più atta, come chi, diminuendo, dice spirto pro spirito; e massime l’ultima vocale, e dice papi, e Zanobi pro Zanobio; credon far quel bene. Onde s’usa che a tutti gl’infiniti, quando loro segue alcuno pronome in i, allora si getta l’ultima vocale e dicesi: farti, amarvi, starei, ecc.  E, mutando lettere, dicono mie pro mio e mia, chieggo pro chiedo, paio pro paro, inchiuso pro incluso, chiave pro clave. E, aggiugnendo, dice vuolepro vole, scuola pro scola, cielo pro celo.  E, in tutto troncando le dizioni, dice vi pro quivi, e similiter, stievi pro stia ivi.  Si questo questo nostro opuscolo sarà tanto grato a chi mi leggerà, quanto fu laborioso a me el congettarlo, certo mi diletterà averlo promulgato, tanto quanto mi dilettava investigare e raccorre queste cose, a mio iudizio, degne e da pregiarle.  Laudo Dio che in la nostra lingua abbiamo omai e’ primi principi: di quello ch’io al tutto mi disfidava potere assequire.  Cittadini miei, pregavi, se presso di voi hanno luogo le mie fatighe, abbiate a grado questo animo mio, cupido di onorare la patria nostra. E insieme, piacciavi emendarmi più che biasimarmi, se in parte alcuna ci vedete errore.  Della Thoscana senza auttore; cc. 55r-94v: Ant. Galateus de Sìtu Iapigiae; cc. 95r-104v: Ant. Turcheti Oratio; cc. 105r-108v: Iusti Baldini [Oratio]; cc. 109r-113v: una rassegna delle regioni di Roma antica, attribuita a Paulus Victor. Per la descrizione e la storia del codice vedi l’ed. del 1964, pp. xi-xviii, cit. qui sotto. [p. 362]    Firenze Biblioteca Riccardiana 2. Cod. Moreni 2. Cod. cart. sec. XV, contenente tre opere dell’Alberti precedute da un foglio di guardia in pergamena, ora num. I, al cui verso:figura l’abbozzo autografo dell’Ordine delle Lettere, corrispondente con alcune varianti all’inizio della grammatica nel cod. Vaticano. Per la descrizione del cod. vedi vol. II, pp. 405 sgg. della presente edizione e cfr. C. Colombo, L. B . Alberti e la prima grammatica italiana, in «Studi Linguistici Italiani)), III, 1962, pp. I76-87, e la nostra ed. cit. qui sotto, pp. vi-viii.  edizioni  1. C . Trabalza, Storia della grammatica italiana, Firenze, 1908, pp. 531-48.  2. L. B. Alberti, La prima grammatica della lingua volgare, a cura di C. Grayson, Bologna, Commissione per i Testi di Lingua, 1964.  B) LA PRESENTE EDIZIONE  Il testo della presente edizione è in sostanza quello medesimo da noi pubblicato nel 1964. Ci siamo limitati a correggere alcune sviste ed errori tipografici e ad introdurre qualche lieve emendamento in seguito alle osservazioni fatte in recensioni a quella edizione del 1964, tra cui l’attento esame particolareggiato di Ghino Ghinassi in «Lingua Nostra», XXVI, pp. 31-32. Quanto scrivemmo allora intorno alla data del cod. Vaticano andrebbe ora qualificato seguendo il giudizio del compianto Roberto Weiss, cioè che si tratta di copia fatta più tardi di un manoscritto, ora perduto, copiato nel 15081. Tale precisazione però non incide sulla costituzione del testo né cambia i criteri adottati nella presentazione della grammatica quale figura nel cod. Vaticano. A parte qualche correzione e integrazione, di cui diamo ragione nell’apparato, abbiamo  [p. 363]seguito fedelmente il manoscritto, ritoccando soltanto la grafia nei casi seguenti: distinguendo u da v, togliendo e aggiungendo h secondo i casi, livellando in doppia qualche scempia inerte smentita da doppia corretta (e viceversa). Abbiamo pure rammodernato la punteggiatura irregolare del codice, e modificato gli accenti salvo nello specchio delle Vocali, dove è indispensabile rispettare l’originale. Riguardo a questo specchio, perché il lettore possa apprezzare pienamente le varianti col frammento del cod. Mor. 2, riproduciamo a p. sg. il facsimile dell’Ordine delle lettere pella lingua toschana, che dovette rappresentare una prima stesura dell’inizio della grammatica quale appare nel cod. Vaticano2.  La scoperta di questo frammento autografo, aggiunta alle prove interne, soprattutto di carattere linguistico, da noi esposte minutamente nella edizione citata, hanno reso oramai certa l’attribuzione di questa grammatica all’Alberti. Non occorre qui insistere su un problema già risolto definitivamente; basti rimandare per ogni ulteriore informazione alla introduzione a quella edizione. Né avremmo altri elementi da aggiungere alla ipotesi ivi formulata che l’Alberti abbia steso questa grammatica durante il quinto decennio del sec. XV, o comunque non più tardi del nov. 1454, data in cui scrivendo a Matteo de’ Pasti (vedi pp. 291 sgg. di questo volume) adoperò lo spirito aspro greco per distinguere è verbo da earticolo, proprio come nella grammatica. Per l’importanza di questa innovazione e per la piena illustrazione del testo della grammatica, si veda l’edizione citata. L’opera è priva di titolo nei codici. Le diamo qui quello di Grammatica della lingua toscana, fondandoci suglì accenni interni, nel 1° paragrafo per la «grammatica» e passim per la «lingua toscana».  C) APPARATO CRITICO  p. 177. 14. Alla forma particolare del g per significare il suono gutturale sostituiamo, sull’analogia di ch, gh(cfr. facsimile Cod. Mor. 2) rg. Cod. giro giro alcio(ma cfr. Cod. Mor. 2). p. 179. 6. Il copista avrà saltato per sbaglio il vocativo. p. 180. 25. Cod. sono e sei e serve. [p. 364]  firenze, Bibl. Riccardiana, Cod. Moreni 2. Foglio grammaticale autografo di L. B . Alberti (cfr. p. 177-78). [p. 365] p. 181. 15. Cod. similitudini com 25-26. L'analogia delle altre serie consiglia le integrazioni. p. 183. 2. Cod. aspettoci, che potrebbe anche correggersi in aspettati (come propone il Ghinassi) 16. Accogliamo l'integrazione già proposta dal Trabalza, op. cit., p. 540 19. Cod. quasi s'osservano30. Cod. si giugni. p. 184. 18. Cod. fussimo fussir fussero stati. p. 183. 3. Cod. saremo, sarete, sareste stati 6. Cod. questi. p. 186. 9. Cod. amàvamo, con l'accento sulla terzultima, dopo aver cancel- lato l'accento sulla penultima (sono d'accordo ora col Ghinassi che sarebbe difficile sostenere che l'accento sulla terzultima risalga senza dubbio all'originale) 10. Introduco le forme del preterito, sal- tato dal copista (ma se ne parla subito dopo alle r. 16-17) 28. Cod. Dio ch'io ami tu lui ami (cfr. 187, 3). p. 187. 11. Cod. amerai. p. 188. 2. Nel marg. del cod. il copista ha scritto So, per indicare l'omissione di questo verbo nella serie di verbi monosillabi 4. Cod. notamo, che non può valere come perfetto qui, e perciò va corretto in notiamo 26. Cod. tragga traggi tragga. p. 189 7-8. Cod. anigittisco anigittii 19. Cod. forsi. p. 190. s. Cod. sine 23. Cod. quale. p. 191. 3. Cod. verrovi (ma sarebbe contro la regola già stabilita a p. 183) 6. Cod. affirimando 24. Cod. ne osegi, da cui si deve staccar l’o per quel che si dice subito appresso, lasciando un segi problematico (forse errore di trascrizione per e.g. o per etc.?). p. 192 s. Cod. camemere 10. Cod. preposto, ma, come osserva il Ghinassi, deve essere un errore 17. Cod. lezione incerta tra siane, diane 36. Cod. Vulase saceman; correggiamo il primo in vulasc per conformità con la serie di 'nomi barberi' tutti terminanti in consonante, senza però poterne spiegare il significato; il secondo (p. 193, I) in sacoman anziché supporre una forma sachemanaltrimenti non attestata. p. 193. 11 . La lezione papi è chiara nel cod. ma difficile a spiegare (si è pensato a pabbio, papeo, papiro). ↑ Vedi «Italian Studies», XX, 1965, pp. 109-10. ↑ Per la discussione e illustrazione del foglio autografo del cod. Mor. 2 vedi l’art. cit. sopra di C. Colombo.   InFirenze,tragliuomini di studio,educati cioèaglistudi umani,sidistinseroaquestopropositogl'ingegniliberida ogni abito di pedantería,che non s'erano allontantanati con superbo fastidio dalla fonte di quelle vene, soprattutto gli artisti e gliuomini d'azione.E tra questi,chi meglio conobbe ilvalore di questo luminoso mezzo che il suo popolo gli offriva, e insieme intravide il lavoro che la mente e la volontà fanno nella formazione e nell'uso della parola, fu l'antico grande cittadino nato in esilio, l'umanista architetto, l'abbreviatore · moralista della famiglia, il raccoglitore e innovatore della ·F. TORBACA,Rimatori napoletani del secolo X V ,in Discus sioni e ricerche letterarie, Livorno, Vigo,1888,pagg.166 e 135 eseguenti.  217   tradizione formatasi a Santa Maria Novella?,cioè Leon Bat: tista Alberti. Egli primo, o più preparato e franco di tutti, si mosse a difesa del « volgare idioma »,che sentiva « degno d'onore » con « vere ragioni », « in diverse maniere » pro vando 2 : e una di queste maniere fu probabilmente quella di far riconoscere nella lingua che per lui era paterna, l'ordine grammaticale ; che cioè l'uso di quella lingua è ordinato e legittimo non meno del latino,e che si può raccogliere in « ammonizioni atte a scrivere e favellare senza corruttela »; che insomma in quest'uso comune e stabile sono applicate leggi di ragione. Intendo che probabilmente a lui si devono quei Primi principij della grammatica o della lingua toscana, cioè quel geniale « saggio... d'una grammatica dell'uso vivo di Firenze 3 » che i Medici conservarono a noi, e che ora Le prime linee del suo trattato della Famiglia l'Alberti le tolse dall'opuscolo di Giovanni Dominici a Bartolomea Obizzi negli Alberti,noto col titolo Regola del governo di cura famigliare. V.lo nell'ediz. SALVI, Firenze, Garinei, 1860. 2 Queste parole sono di Michele del Giogante.V. FR .FLAMINI, La lirica toscana del Rinasciniento anteriore ai tempi del Magni. fico,Pisa,Nistri,1891,pagg.8-9.Cfr.O. Bacci,op.cit.,pag.86. *L.MORANDI.LorenzoilMagnifico,Leonardoda Vincie la prima grammatica italiana;Leonardo eiprimi vocabolari:ricerche: Città di Castello,Lapi,1900,pag.146. Ma cfr.F. SENSI,Ancora di L. Alberti grammatico, in Rendiconti del R. Ist. lombardo, Serie II,vol.XLII (1909).L'opuscolo è pubblicato in appendice alla Storia della grammatica italiana di C. TRABALZA,Milano, Hoepli, 1908. Propongo qui l'opinione che mi par più probabile,anche dopo che il Morandi ha difeso la sua nell'articolo Per Leonardo da Vinci e per la « Gramatica di Lorenzo de' Medici », nella Nuova Antologia 1° ottobre 1909. Il titolo,che la copia vaticana dell'opu. scolo ha,non esemplato dall'originale,e nel foglio di guardia da altra mano che quella dell’amanuense segnato,DELLA THOSCANA SENZA AUTTORE,mi pare si possa desumere qual era nella mente di questo autore dal ringraziamento finale (c.16a):«LaudoDio che in la nostra lingua habbiamo homai e' primi principij; di  218 1   dimostra in chi l'ha dato l'antico cittadino italiano e il filo logo moderno. Così Leon Battista dette primo alla patria sua,fuori della quale era nato, la corona della lingua: e da lui n'ereditò la difesa ilgiovanetto figlio di Piero dei Medici (cioè del fautore di lui in quest'opera) e di Lucrezia Tornabuoni : il quale, seguendo il suo genio nativo,che lo conduceva all'acquisto della grandezza, cercò esser popolare 1 »; e de'suoi grandi intendimenti,e delle cure che gl'imponeva ilprincipato nella sua città, voluto e mantenuto ad ogni costo, non credeva nu trito », « aggiungendosi ... prospero successo ed augumento al fiorentino imperio 2 » si estendesse e diventasse comune ad altre città e province, come Roma avea fatto della quello ch'io al tutto m i disfidaua potere assequire ». Ch'egli poi le ammonitioni » di quest' a arte » anche « in la lingua nostra » chiamasse «suo nome,Grammatica » lo dice espressamente nel proemio ; e quest'esempio ci dà facoltà d'argomentare per a n a logia, che anche l'Alberti indicando un suo lavoro con le parole De litteris atque coeteris principiis grammaticae abbia potuto intendere aquesta arte... in la lingua nostra ».Del resto, una annotazione assaisimileadaltradellaGrammatichetta,traquelle del Colocci, nel vatic.4817 (c.68a;sotto iltitolo aLingue de variiBarbari »),mi fa supporre ch'egli conoscesse quell'opuscolo, perluiprezioso,cheeranellaLibreriadeMedici «senzaauttore»; egli che,in Roma,quella libreria frequentava, come prova, se non altro,l'indicazione che sitrova nell'altrosuo ms.,ilvat.3217 (c. 329 b): a Bapta Alberto in libreria de medici de Rythmis ». A proposito della quale opera,altrove (4817,c.139),dice che stima facesse dell'autore: «Leon Alberto huomo alli tempi nostri di dottrina et d'ingegno a nullo inferiore ». Questo sia detto col rispetto dovuto all'autorità di Luigi Morandi, nel comune amore del vero. 1 GINO CAPPONI, Storia della repubblica fiorentina, Firenze, Barbèra,1875,t.II,pag.191. Cfr.0. BACCI,Op.cit.,pag.69. 2 Commento del Mco L. DE M. sopra alcuni de'suoi sonetti, nelle sue Opere,Firenze,Molini,1825,vol.IV. ultima questa, che la lingua « nella quale era nato e  219   220 latina. Allo stesso modo poi il figliuolo suo Giovanni, che venne veramente, come allora si diceva, a capo delle cose del mondo col nome di Leon X , voleva tenuta in onore diffusa la lingua latina serbata nella ecclesiastica e allora restaurata secondo l'esemplare augustèo 1: inter caeteras curas, quas in hac humanarum rerum curatione divinitus nobis concessa, subimus, non in postremis hanc quoque habendam ducimus, ut latina lingua nostro Pontificatu dicatur facta auctior . Così dunque Lorenzo raccolse l'eredità dell'antica lingua fiorentina da Leon Battista e dagli altri generosi custodi e difensori di essa della generazione anteriore, e ne fece la lingua dotta della sua corte popolana, uno strumento di regno. Quanto il suo esempio fosse efficace sui prìncipi con temporanei, lo dice un cortigiano della generazione a lui se guente,Vincenzo Colli oda ColledettoilCalmeta,chedisegnò e difese l'ideale della lingua cortigiana : « La vulgar poesia et arte oratoria, dal Petrarca e Boccaccio in qua quasi adulte . rata, prima da Laurentio Medice e suoi coetanei, poi m e diante la emulatione di questa et altre singularissime donne di nostra etade, su la pristina dignitade essere ritornata se comprehende2».E questadonnaeraBeatriced’Este,lagio vane sposa di Ludovico il Moro, e le principali tra le altre erano la sorella maggiore di lei sposa del marchese Francesco Gonzaga,Isabella,ed Elisabetta Gonzaga sposa di Guidubaldo da Montefeltro duca d'Urbino. Breve a Franc.De Rosis scritto dal Sadoleto,citato dal PASTOR, Storia dei Papi dalla fine del M. evo,vol. IV,p. Nella Vita di Serafino Aquilano in fronte alle Rime di lui, ediz.cit.,  (Leon X ),trad.Mercati,Roma,Lefebvre,1908,pag.410. I e 1 pag.11.. Keywords: della thoscana senza autore id ny LEONARDO Alberti, no LEONE Alberti. Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Alberti," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51616912104/in/photolist-2mUWr2e-2mUuQG8-2mTDBnW-2mTzuqN-2mTBDZh-2mT17bU-2mSMKfP-2mRyRFD-2mQPiYS-2mQH692-2mQkxxa-2mPTwCM-2mPMBQM-2mPAuFE-2mN36eA-2mMZakg-2mN3BKY-2mMR3uj-2mMNk8z-2mLKtaD-2mLGX8g-2mKCQBD-2mKMsLp-2mPqEYR-2mKGTYe-2mKT4G5-2mKBG8V-2mKyxbn-2mKbtnq-2mKfd8P-2mJ3q6x-2mGT6p1-2mFWw3T-2mDdaEq-2mDaWHG-2mDdaac-2mDaXWZ-Bmcr3X-BvUfSB-BYzvBt-u8e6xs-nTuR51-o8NiFL-o95idg-nBMfBK

 

 

Grice ed Albertini – la confederazione di Romolo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pavia). Filosofo. Grice: “H. L. A. Hart calls Albertini a Proudhonian!” -- Grice: “I like Albertini; like me, he has dedicated his life to ‘fides,’ or ‘una federazione di due,’ “a garden of Eden just meant for two” – fiducia, fedes – what Remo asked from Romolo, but failed!” Filosofo. Insegna a  Pavia. Sostene un progetto di unione federalista per l'Europa alla guida del Movimento Federalista Europeo e della Unione dei Federalisti Europei. Adiere al Movimento federalista europeo. Di idee liberali, lascia tuttavia il Partito Liberale dopo la decisione di quest'ultimo di appoggiare la monarchia nel referendum. Dopo la laurea in filosofia divenne docente di Storia contemporanea, Dottrina dello Stato, Scienza della Politica e Filosofia della politica a Pavia. In seguito alla sconfitta sul progetto di Esercito Europeo, la CED, e alle dimissioni di Spinelli, lo sostitue alla guida del Movimento Federalista Europeo. A Milano con un gruppo di militanti del Movimento federalista europeo fonda Il Federalista che si occupa del dibattito sui temi di fondo del federalismo.  Diresse il Mfe italiano. Presidente dell'Unione dei Federalisti Europei. È poi rimasto come figura di riferimento e d'indirizzo all'interno del Mfe. A livello teorico, fin dalle pagine taglienti e polemiche su Lo Stato nazionale, sostene, sulla scia di Einaudi, che a furia di voler custodire una sterile sovranità, lo stato italiano e ridotto a "polvere senza sostanza". Da lì l'esigenza di guardare all'unificazione europea come alla medicina d'urto indispensabile. Maestro di federalismo, articolo di Arturo Colombo, Corriere della Sera, Archivio storico.  Lo Stato nazionale, La politica, Giuffré, Il federalismo e lo stato federale, Giuffré, Che cos'è il federalismo, L'integrazione europea, Proudhon, Vallecchi, Tutti gli scritti, Nicoletta Mosconi, Il Mulino, Movimento Federalista Europeo Unione dei Federalisti Europei  Centro studi sul federalismo: perspectives on federalism , su on-federalism.eu. Il Federalista: "Mario Albertini teorico e militante" di Nicoletta Mosconi su thefederalist.eu. Centro studi sul federalismo: Opere di Mario Albertini, su csfederalismo. youtube: 1985 Mario Albertini commenta la manifestazione federalista di Piazza Duomo, su youtube.com. V D M Logo MFE.svg Federalismo europeo Flag of Europe.svg. E’ per me un grande onore essere stato invitato a fare una relazione a questo convegno per ricordare Mario Albertini, un uomo che ha fatto tanto per noi federalisti, per l’Europa e per l’umanità intera. Questo onore è particolarmente significativo per me perché egli, come Altiero Spinelli, ha fatto del pensiero della scuola inglese degli anni Trenta e dei primi anni Quaranta, insieme a quello dei Padri fondatori americani, la base del suo pensiero federalista. Albertini spiegò che mentre il pensiero fondato sulla fonte inglese ha dato una risposta alla domanda “perché creare la Federazione europea?”, quello fondato sulla fonte americana ha dato una risposta alla domanda “come crearla?”[1]. Quanto alla domanda “quale forma di federazione?”, la risposta, per Albertini come per gli inglesi, era contenuta nella Costituzione degli Stati Uniti d’America.  Il problema che oggi voglio affrontare riguarda il modo in cui il pensiero di Albertini ha sviluppato queste due tradizioni federaliste. In generale si può dire che egli è stato il massimo esponente del pensiero hamiltoniano della seconda metà del Novecento, oltre che il creatore della scuola federalista italiana. Egli è stato non solo un esponente, ma anche un innovatore, spesso illuminando il pensiero di altre scuole, in altri casi differenziandosi con contributi originali.    Quale forma di federazione.  Per Albertini, come per Spinelli e per la scuola inglese, la questione centrale era la trasformazione di Stati a sovranità assoluta in Stati federati in uno Stato federale. Per loro il federalismo di Althusius o di Proudhon – considerato da Albertini come “una tecnica… per il decentramento del potere politico”[2] – non era di grande rilievo. Albertini sosteneva che Proudhon “era rimasto, quanto alla concezione dello Stato, un anarchico”, benché egli lo abbia definito anche un “grande presbite” che “ha previsto quale sarebbe stato il limite tragico della democrazia nazionale qualora non avesse trovato i suoi correttivi nella democrazia locale e nella democrazia europea”. Albertini affermava inoltre che il federalismo richiede “la creazione di orbite di governo democratico locale ad ogni livello di manifestazione concreta delle relazioni umane”[3]. Ma egli concentrò il suo pensiero sulla creazione di una federazione tra Stati sovrani, essenziale per garantire la pace fra loro.  Mentre gli scrittori della scuola inglese si erano attenuti ad un’esposizione classica della forma di una tale federazione, Albertini ne fece la migliore rielaborazione della seconda metà del Novecento[4]. Sia la scuola inglese, sia Albertini, condividevano la preferenza per il sistema europeo basato su un esecutivo parlamentare piuttosto che quello presidenziale americano, pur accettando per il resto gli elementi principali della Costituzione americana. Albertini riteneva cioè più valido un “governo responsabile di fronte al Parlamento europeo… come istanza di controllo democratico dell’attività dell’Unione”[5].  Egli arricchì il pensiero federalista anche con la sua analisi della relazione tra nazione e Stato[6]. Secondo lui, lo Stato nazionale, con il suo dispotismo, danneggia la vita dei cittadini, ponendo restrizioni allo sviluppo economico e provocando la guerra[7]. I suoi limiti si manifestano anche nella “contraddizione tra l’affermazione della democrazia nel quadro nazionale e la sua negazione nel quadro internazionale”, che pregiudica anche l’affermazione del liberalismo e del socialismo a livello nazionale[8]. Lo Stato nazionale dovrebbe essere sostituito con uno Stato federale plurinazionale; la Federazione europea sarebbe “un popolo di nazioni, un popolo federale”, e non “un popolo nazionale”; il federalismo prevede una struttura di Stati democratici plurinazionali fino al livello mondiale[9]. Il pensiero della scuola inglese su questo tema non era diverso, ma l’analisi di Albertini è più approfondita.  Negli anni Trenta, la scuola inglese indicò nel federalismo la soluzione alproblema della guerra. Dal punto di vista logico, l'obiettivo finale non può che essere una federazione mondiale, ma essa è realizzabile solo nel lungo periodo. Parecchi, quindi, sostenevano la proposta di Clarence Streit per una federazione di quindici democrazie, Stati Uniti inclusi, per impedire una guerra provocata dall’Asse. Ma l’America isolazionista non era disponibile e nel 1939 i leader della scuola inglese si indirizzarono verso l’ipotesi di una federazione delle democrazie europee, in attesa dell’adesione degli Stati allora fascisti dopo il loro ritorno alla democrazia.  Questo fu naturalmente il punto di partenza per Albertini che, dopo il rifiuto del Regno Unito di partecipare alla Comunità europea, prefigurò, per cominciare, “una Federazione europea comprendente almeno i sei paesi che hanno preso la testa del processo di unificazione”, e poi la sua “estensione graduale a tutta l’Europa”[10]. Quando il Regno Unito entrò nella Comunità, egli aggiunse che “bisogna attendere che l’adesione alla Comunità dia i suoi frutti”[11]. Attendiamo ancora questi frutti – e speriamo bene!  Kenneth Wheare indicava “la somiglianza di istituzioni politiche” fra gli Stati membri come una condizione della formazione di una federazione[12]. Albertini fu più preciso, affermando che era necessaria, sia nella federazione che negli Stati membri, “l’attribuzione della sovranità al popolo nel quadro del regime rappresentativo, con la possibilità di sdoppiare la rappresentanza mediante la doppia cittadinanza di ogni elettore”[13]. Questa condizione è divenuta particolarmente rilevante per quanto riguarda le nuove democrazie candidate all’adesione all’Unione, e rimane un problema cruciale per la creazione di una federazione mondiale.    Perché la federazione.  Nel 1937 Lionel Robbins pubblicò il libro Economic Planning and International Order, analizzando le ragioni per le quali il quadro di una federazione internazionale era essenziale per il buon governo di un’economia internazionale. Nel 1939, in The Economic Causes of War, egli spiegò perché la causa della guerra non fosse il capitalismo, bensì la sovranità nazionale, e concluse con un appello appassionato per una Federazione europea[14]. Albertini ha ricordato che questi libri furono le più importanti fonti federalistiche per Spinelli, quando era al confino sull’isola di Ventotene[15].  Per la scuola inglese del dopoguerra, come per Robbins nel1939, la pace era lo scopo del federalismo. La pace era il “valore centrale” e “l’obiettivo supremo” del federalismo anche per Albertini[16], la complessità del cui pensiero era talvolta nascosta dalla semplicità delle sue formulazioni. Egli ha ricalcato il pensiero di Lord Lothian definendo la pace non come “il semplice fatto che la guerra non è in atto”, ma come “l’organizzazione di potere che trasforma i rapporti di forza fra gli Stati in rapporti giuridici veri e propri”[17]. A partire dal 1981, Albertini riconobbe che “con la lotta per l’unificazione europea si sono ottenute le prime forme di politica europea e la fine della rivalità militare fra i vecchi Stati nazionali dell’Europa occidentale”[18]. Cioè, per quanto riguarda i rapporti reciproci fra questi ultimi, l’obiettivo della pace era già stato raggiunto, mentre per alcuni Stati dell’Europa orientale, e soprattutto per il mondo intero, esso rimaneva l’obiettivo supremo.  Per i cittadini dell’attuale Unione, dunque, altri obiettivi sono diventati più importanti. Albertini ha citato dal Manifesto di Ventotene l’affermazione che la questione di chi controlla la pianificazione economica è la “questione centrale”[19] (lo stesso quesito che Robbins aveva proposto nel 1937), ma ha anche individuato altri valori essenziali del federalismo contemporaneo: la sicurezza ecologica[20], il rifiuto dell’egemonia (vedi le preoccupazioni di Carlo Cattaneo e dei Padri fondatori americani)[21] e la democrazia negli Stati nazionali, che la loro interdipendenza sta indebolendo sempre più[22]. Mi pare che questi costituiscano gli elementi per spiegare i valori federalisti ai cittadini dell’Unione europea di oggi. Per quanto riguarda alcuni Stati dell’Europa centrale e orientale, invece, e soprattutto per il federalismo mondiale, la pace rimane l’obiettivo di maggiore rilievo.    La Federazione mondiale.  Nel suo libro The Price of Peace, pubblicato nel 1945, William Beveridge spiegò che la sovranità nazionale è la causa della guerra, e la rinuncia ad essa in una federazione mondiale il metodo per abolirla[23]. Benché egli riconoscesse che questo obiettivo era lontano e che nel frattempo solo una confederazione sarebbe stata realizzabile, questo libro mi fece avvicinare al federalismo come risposta alla terribile esperienza della guerra. Dopo Hiroshima e Nagasaki, la federazione mondiale sembrava una necessità urgente a milioni di persone, di cui circa mezzo milione comprò Anatomy of Peace di Emery Reves[24].  Nacquero movimenti per la federazione mondiale, soprattutto nei paesi anglosassoni e in Giappone, leader politici come l’ex-primo ministro Clement Attlee ne diventarono sostenitori, e si sviluppò una letteratura mondialista. Ma il clima della Guerra fredda scoraggiò la maggior parte di coloro che caldeggiavano quell’obiettivo e il pensiero federalistico quasi lo abbandonò.  Albertini fu un’eccezione. Egli era più coerente, più tenace, più risoluto di altri nel confrontarsi con i fatti del potere e con le sue conseguenze. Per lui, “il rischio della distruzione del genere umano” legato alla bomba atomica era “assolutamente inaccettabile”[25]. Ma egli riconobbe, come Beveridge, che le condizioni per creare la Federazione mondiale non erano presenti e che la lotta per un’Assemblea costituente, fondamentale per la sua dottrina per quanto riguarda la Federazione europea, non era ancora praticabile. La sua strategia per il federalismo mondiale era dunque simile a quella dei federalisti anglosassoni: “il rafforzamento dell’ONU”, insieme ad altri “obiettivi intermedi” nel “processo di superamento degli Stati nazionali esclusivi”, processo che aveva “già raggiunto uno stadio molto avanzato” nella Comunità europea[26]. Tipica del suo pensiero federalistico era l’enfasi sui militanti federalisti, sulla necessità “di costruire… un’avanguardia politica mondiale” per la creazione di una Federazione mondiale[27].    Come creare la Federazione.  Albertini e la scuola inglese erano generalmente d’accordo sulla forma e sul perché della Federazione. Ma le loro idee erano diverse sul come crearla.  Gli inglesi cercavano di influenzare il loro governo, negli anni Trenta e Quaranta, perché adottasse una politica federalista per dare l’avvio ad una federazione, e in seguito per costruire elementi pre-federali nelle istituzioni e nelle competenze della Comunità. I principi fondamentali di Albertini erano invece l’Assemblea costituente e il fatto che i federalisti dovevano rimanere estranei alla lotta per il potere nazionale.  Spinelli ha scritto che nel periodo che va dal 1947 al 1954, egli aveva “lavorato sull’ipotesi che i principali ministri moderati si sarebbero accinti alla costruzione federale”[28]: un metodo assai simile a quello dei federalisti inglesi. Poi, dopo il fallimento, nel 1954, del progetto per una Comunità politica europea, egli avviò il Congresso del popolo europeo e lanciò la campagna per dar vita a un’Assemblea costituente attraverso “una protesta popolare crescente… diretta contro la legittimità stessa degli Stati nazionali”[29]. Quando diventò evidente a Spinelli che la campagna non aveva il successo da lui sperato, concepì la proposta che i federalisti acquisissero il potere in un numero crescente di municipi importanti, come base per una successiva campagna. Albertini non poteva accettare questa idea, che contraddiceva tutti i fondamentali principi federalisti, e il Movimento federalista europeo fu d’accordo con lui. Spinelli, infastidito, scrisse nel suo diario che per Albertini, “tentare di preparare l’evento (della lotta finale) era sporco opportunismo, occorreva preparare sé stessi all’evento”[30]. Spinelli era un politico geniale, capace di concepire e condurre campagne d’azione culminate nello straordinario successo della sua ultima battaglia, quella per il Progetto di Trattato per l’Unione europea al Parlamento europeo. Ma egli non restava all’interno di regole stabilite, e la sua tendenza ad iniziare successivi “nuovi corsi” e a impostare nuove strategie presentava troppe difficoltà per un Movimento come il MFE. Albertini era assolutamente convinto che bisogna rispettare certi principi fondamentali, che egli seguiva con una coerenza e una tenacia eccezionali. Queste caratteristiche furono cruciali per la sua posizione nella storia del pensiero federalistico, mettendolo in grado non solo di sviluppare la propria opera intellettuale, ma anche di fondare la scuola italiana del federalismo hamiltoniano.  Una differenza fra Albertini e gli inglesi era legata alla sua concezione del pensiero storico, basata sul metodo weberiano secondo il quale, nelle sue parole, “non ci sono conoscenze storiche senza quadri teorici di riferimento specifico per ordinare i fatti e completarne il significato (‘tipi ideali’)”, anche se “l’elaborazione teorica deve esser condotta solo sino al punto nel quale essa rende possibile la conoscenza storica e non oltre, perché al di là di questo punto essa si convertirebbe nella pretesa di sostituire la conoscenza storica… con la conoscenza teorica”[31]. Alla tradizione empirica inglese non manca la capacità di sviluppare teorie. L’evoluzione darwiniana e il liberalismo sono testimonianze di questo. Ma mi pare che nella tradizione weberiana lo sviluppo della teoria precede il suo adattamento ai fatti, e forse questo approccio fu una causa delle differenze fra Albertini e gli inglesi.    Lo sviluppo della Comunità europea e del pensiero di Albertini.  Benché gli inglesi abbiano sviluppato la loro democrazia attraverso un processo riformista, senza un’Assemblea costituente, l’idea di una tale Assemblea era ritenuta accettabile da molti. Nel 1948, Mackay, un importante federalista membro del Parlamento inglese, ottenne il sostegno di un terzo dei membri del Parlamento per una risoluzione che chiedeva un’Assemblea costituente europea[32]. Ma mentre per gli inglesi un processo riformista, a iniziare dalla CECA, sarebbe stato utile, il punto di partenza per Albertini, nel 1961, era soltanto “il conferimento del potere costituente al popolo europeo… o tutto o niente”; bisognava rifiutare “pseudostazioni intermedie… sino a che non si riusciva ad ottenere tutto il potere (ossia quello costituente)”; la soluzione della Comunità “ispirata dal cosiddetto ‘funzionalismo’ (la geniale idea di fare l’Europa a pezzettini…) era sbagliata” e le Comunità economiche erano “parole vuote”[33]. Ma da buon weberiano egli era disposto ad adattare la teoria ai fatti, e nel 1965 scrisse che la CECA aveva stabilito una “unità di fatto… così solida da poter sorreggere l’inizio di un processo vero e proprio di integrazione economica”, la quale “fu un fatto capitale per la vita dell’Europa”[34]. E un anno dopo scrisse che “l’integrazione europea è il processo di superamento della contraddizione tra la dimensione dei problemi e quella degli Stati nazionali”, cioè “i fatti dell’integrazione europea” minano i poteri nazionali esclusivi, “creando nel contempo, con l’unità di fatto, un potere europeo di fatto”, che i federalisti possono sfruttare politicamente[35]. Nello stesso saggio egli individuò il trasferimento del controllo dell’esercito, della moneta e di parte delle entrate dai governi nazionali a un governo europeo come elementi cruciali del trasferimento della sovranità[36]; e nel 1971, considerando la prospettiva delle elezioni dirette del Parlamento europeo, egli scrisse che una tale situazione “può essere considerata pre-costituzionale perché dove si manifesta l’intervento diretto dei partiti e dei cittadini si manifesta anche la tendenza alla formazione di un assetto costituzionale”[37]. E’ interessante, perfino commovente, osservare come, mentre gli inglesi, nella loro situazione diversa, trascuravano l’idea della Costituente, Albertini stava modificando la sua teoria alla luce dei fatti, cioè del successo crescente della Comunità europea. Questo lo ha condotto verso un contributo molto importante al pensiero federalistico: una sintesi dell’approccio di Spinelli e di quello di Monnet.    Verso una sintesi di spinellismo e monnetismo.  Le sue idee sulla moneta forniscono un altro esempio dello sviluppo del suo pensiero. Nel 1968 egli scrisse che “non c’è mercato comune senza moneta comune, e moneta comune senza governo comune, dunque il punto di partenza è il governo comune”[38]. Ma quattro anni più tardi egli affermò che l’Unione monetaria avrebbe potuto “spingere le forze politiche su un piano inclinato” perché, impegnando qualcuno per qualcosa che implica il potere politico, può accadere che finisca “per trovarsi, suo malgrado, nella necessità di crearlo”. Sul terreno monetario, sarebbero stati possibili “dei passi avanti di natura istituzionale, tangibile, europea, ad esempio nella direzione indicata da Triffin”, cioè un sistema europeo di riserve, che sarebbe stato scambiato dalla classe politica “per una tappa sulla via della creazione di una moneta europea”; e si poteva prevedere, dunque, “un punto scivoloso verso una situazione che si potrebbe chiamare di ‘Costituente strisciante’ “[39].  Albertini stava “preparando l’evento”, anche se non nel modo approvato da Spinelli, il cui progetto era allora diverso e che scrisse nel suo diario che Albertini aveva ridotto il MFE in “sciocchi seguaci di Werner”[40], nel cui Rapporto erano indicate le tappe verso l’Unione economico-monetaria. Ma la riconciliazione fra i due non era lontana, grazie alle imminenti elezioni dirette del Parlamento europeo e al grande Progetto di Trattato per l’Unione europea elaborato da Spinelli.  Già nel 1973 Albertini, nella sua analisi dell’Unione monetaria, aveva individuato le elezioni dirette come punto decisivo “perché riguarda la fonte stessa della formazione della volontà pubblica democratica”[41]. Le elezioni del Parlamento europeo sarebbero state una delle chiavi, dunque, insieme alla moneta e all’esercito, per il trasferimento della sovranità. Nel 1976, il Consiglio europeo decise le elezioni e Spinelli si imbarcò nel suo quinto e ultimo nuovo corso[42]. Albertini osservò che era “iniziata la fase politica – per definizione costituente – del processo di integrazione europea”, e concluse che la Comunità sarebbe stata la base della Federazione europea, attraverso “singoli atti costituenti che rafforzano il grado costituente del processo rendendo possibili ulteriori atti costituenti e così via”, e che “solo con una prima forma di Stato europeo (da istituire con un atto costituente ad hoc) si può avviare il processo di formazione dello Stato europeo per così dire definitivo”: cioè bisogna accettare “il paradosso di ‘fare uno Stato per fare lo Stato’”. Egli rese esplicito il ruolo della Comunità in questo processo, nella “costruzione graduale, e via via pari al grado di unione raggiunto, di un apparato politico e amministrativo europeo”: un processo che “si può in teoria considerare finito solo quando lo Stato iniziale europeo (con sovranità monetaria, ma non in materia di difesa), si sia trasformato nello Stato europeo definitivo, con tutte le competenze necessarie per l’azione di un governo federale normale”[43].  Il cammino weberiano di Albertini conduceva, dunque, verso una sintesi feconda fra lo spinellismo e il monnetismo attraverso “l’idea di sfruttare le possibilità del funzionalismo per giungere al costituzionalismo”, perché “l’unificazione europea è un processo di integrazione… strettamente collegato con un processo di costruzione degli elementi istituzionali a volta a volta indispensabili…”[44]. Egli era pronto per spiegare in termini teorici l’ultima opera di Spinelli, cioè il Progetto di Trattato per l’Unione europea del Parlamento europeo.    Dal progetto di Trattato alla Convenzione di Laeken.  Albertini riteneva che il progetto fosse realistico, perché proponeva “il minimo istituzionale indispensabile per fondare le decisioni europee sul consenso dei cittadini”. Il “pregio maggiore del progetto” stava nel fatto che “affidava al Parlamento a) il potere legislativo”, detto oggi codecisione, in modo che “l’attuale Consiglio dei Ministri… per questo rispetto, funzionerebbe come un Senato federale”, e “b) il potere che risulta dal controllo parlamentare della Commissione, che comincerebbe ad assumere la forma di un governo europeo”. Il progetto era “ragionevole”, perché “solo quando l’Unione avrà dimostrato di saper funzionare bene, sarà possibile disporre della grande maggioranza necessaria per attribuire all’Unione la sovranità anche in materia di politica estera e di difesa”[45]. Esso conteneva, dunque, l’idea accennata prima di “fare uno Stato per fare lo Stato”.  Il genio politico di Spinelli, manifestato nel progetto di Trattato, non solo ha favorito la riconciliazione fra lui e Albertini, ma ha anche portato a un esito concreto un elemento molto importante del pensiero federalistico di Albertini, cioè la relazione fra l’azione politica e la filosofia di Monnet e di Spinelli. E’ tragico che Spinelli sia morto credendo che il progetto fosse fallito perché l’Atto unico era un “topolino morto”. Albertini è invece sopravvissuto finché si sono manifestate conseguenze veramente significative. In un documento pubblicato sull’Unità europea del dicembre 1990, egli ha potuto affermare che, “salvo catastrofi”, il potere di fare la politica monetaria sarebbe stato trasferito al livello europeo, e che dunque bisognava adeguare il meccanismo decisionale, “facendo funzionare la Comunità come una federazione nella sfera dove un potere europeo, in prospettiva, c’è già (quello economico-monetario con le sue implicazioni internazionali); e come una confederazione nella sfera nella quale un potere di questo genere non c’è e non ci sarà per un tempo indefinito (difesa)”. Il “Trattato-costituzione” del Parlamento – prosegue il documento – porterà ad una “evoluzione naturale delle istituzioni (il Consiglio europeo come presidente collegiale della Comunità o Unione, il Consiglio dei Ministri come Camera degli Stati, la Commissione come governo responsabile di fronte al Parlamento europeo, il Parlamento europeo come istanza di controllo democratico dell’attività dell’Unione e come detentore, insieme al Consiglio, del potere legislativo)”[46].  Si può registrare un progresso significativo di questa “evoluzione naturale” negli anni Novanta. Il voto a maggioranza qualificata è già applicabile nel Consiglio all’80% degli atti legislativi; il Parlamento ha un diritto di codecisione per più della metà degli atti legislativi e per il bilancio; la responsabilità della Commissione di fronte al Parlamento è stata clamorosamente dimostrata. La Comunità non funziona ancora “come una federazione nella sfera dove un potere europeo c’è già”, cioè in quella economica e monetaria; ma la Convenzione di Laeken apre la porta al compimento del processo.  La questione non è più se ci sarà un documento chiamato costituzione. Questo ora appare accettabile, oltre che per gli altri governi, anche per quello britannico. La questione cruciale è se le istituzioni saranno veramente federali, completando l’evoluzione prevista da Albertini, compresa la codecisione e il voto a maggioranza per tutte le decisioni legislative, insieme alla piena responsabilità della Commissione come governo di fronte al Parlamento.  La lotta federalista non è divenuta meno ardua, perché i sostenitori della dottrina intergovernativa includono, a quanto pare, non solo i governi britannico, danese e svedese, ma anche quello francese, e persino quello italiano. Bisogna persuadere i cittadini, le classi politiche, e infine i governi, che una costituzione basata sul principio della cooperazione intergovernativa sarebbe sia inefficace che antidemocratica. Grazie all’opera di Spinelli e di Albertini, e ai contributi di tanti altri, il MFE è senz’altro pronto a far fronte a questa sfida, in particolare per quanto riguarda i cittadini, la classe politica e soprattutto il governo italiano.    Albertini e la sua collocazione nella storia del pensiero federalistico.  Spero di avere dato qualche indicazione del ricco, ampio, profondo e colto contributo di Mario Albertini al pensiero federalista della sua epoca.  Forse è stata la scelta soggettiva di un federalista britannico l’aver sottolineato l’importanza particolare, per la storia di questo pensiero, della sintesi fatta da Albertini degli approcci dei due geniali federalisti della seconda metà del Novecento: Jean Monnet e Altiero Spinelli.  Oltre che con le sue opere, egli ha dato un contributo al pensiero federalista come fondatore della scuola moderna italiana. Al tempo stesso, dopo che Spinelli ha fondato, ispirato e guidato il MFE con un carisma eccezionale, Albertini ha creato e sostenuto il Movimento che è stato capace di organizzare la grande manifestazione di Milano, con la partecipazione di circa mezzo milione di persone, nel giugno del 1984, per chiedere al Consiglio europeo di sostenere il Progetto di Trattato di Spinelli; e, cinque anni dopo, di ottenere il consenso dell’88% dei votanti nel referendum italiano su un mandato costituente per il Parlamento europeo. Come e perché un solo uomo ha fatto tutte queste cose diverse? Forse l’impressione di un osservatore esterno potrebbe interessarvi.  Albertini nei suoi scritti ha messo in evidenza sia la ragione, sia la volontà[47]. Egli era orientato da entrambe e operava sulla base di entrambe, con enfasi sulla ragione per la sua opera intellettuale, e sulla volontà come Presidente del Movimento; e metteva entrambe al servizio della sua fede profonda nel federalismo come priorità essenziale per il benessere e per la sopravvivenza stessa del genere umano. Egli espresse questo atteggiamento in un modo non molto conosciuto fuori del MFE, sottolineando che servono “delle persone che fanno della contraddizione tra i fatti e i valori una questione personale”, in un contesto nel quale “il distacco tra ciò che è, e ciò che deve essere, è enorme”[48].  Albertini dedicò la sua vita all’impegno per risolvere questa contraddizione e aveva la capacità di persuadere altri a fare lo stesso. Egli era un oratore ispirato e, benché i suoi scritti fossero talvolta complicati, era anche capace di formulare concetti in modo semplice e appassionato, come quando ha scritto che “la federazione… ha realizzato istituzioni molto sagge, capaci di trasmettere a molte generazioni una forte esperienza di diversità nell’unità, di libertà, di pace”; che “soltanto la politica e solo nel massimo della sua espressione, può risolvere i problemi delle relazioni internazionali”; e inoltre che serve l’avanguardia mondiale “per il grande compito mondiale della costruzione della pace”[49].  La sua capacità di ispirare gli altri era basata sulla sua fede nel valore di ciascuno, nella fiducia che ogni persona avesse sia la capacità che la responsabilità di dare il proprio contributo[50]. Le sue idee sugli apporti di diverse persone e organizzazioni sono state una parte del suo contributo al pensiero federalista. C’era posto per quelli che accettavano passivamente il federalismo e per i leader occasionali. Ma la sua predilezione era per il nucleo duro dei militanti, la cui opera in particolare era basata sulla percezione della contraddizione tra fatti e valori. Egli trasmise un messaggio speciale agli intellettuali, ai quali ricordò la necessità dell’ “uscita nel campo aperto degli uomini di cultura per completare la politica come arte del possibile – la politica in senso stretto – con la politica in senso largo, cioè l’arte di far diventare possibile ciò che non lo è ancora”[51]. Per questi – per voi – l’enfasi era sulla volontà come sulla ragione.  Nel maggio del 1956 Spinelli scrisse nel suo diario: “Ho lanciato ad Albertini l’idea di costituire un ‘ordine federalista europeo’. Che sia questa una buona idea?”[52]. Spinelli era un grande innovatore, con notevole capacità di intuizione. Albertini aveva le caratteristiche per realizzare quell’idea: sincerità, integrità, coraggio, coerenza, devozione. Mi pare che egli abbia davvero creato una specie di ordine federalista.  La sua opera era un processo continuo di costruzione; e ora voi, i suoi colleghi e amici, avete la responsabilità di proseguirla senza di lui, considerandolo non come un monumento di erudizione e di impegno eccezionale ma come una tradizione vivente che voi dovete continuare a sviluppare.  Quanto a me, benché non sia d’accordo con tutte le sue idee, ho un tale apprezzamento per la sua opera e una tale convinzione della sua importanza che sto lavorando, con l’aiuto dell’Istituto Altiero Spinelli, su un’antologia in lingua inglese dei suoi saggi, perché queste idee siano meglio conosciute dal pubblico dei lettori che leggono, non l’italiano, ma la lingua che Albertini designò, nel primo numero del Federalistapubblicato anche in inglese, come la lingua universale necessaria nella sfera politica[53]. Spero che questa antologia non solo sarà utile per i federalisti non italiani, ma favorirà anche un giusto riconoscimento del contributo di Albertini nella storia del pensiero federalista[54].  E’ con grande piacere, in conclusione, che esprimo la mia ammirazione e gratitudine per la vita di Mario Albertini, e per la sua devozione esemplare alla nostra causa suprema del federalismo. Nelle parole incomparabili di Shakespeare: “He was a man, take him for all in all, (we) shall not look upon his like again”.     * Si tratta dell’intervento al convegno di studi organizzato l’8 aprile 2002 dalle Università di Milano e di Pavia e dal Movimento federalista europeo sulla figura di studioso e di militante di Mario Albertini a cinque anni dalla sua scomparsa.  [1] Cfr. Mario Albertini, L’unificazione europea e il potere costituente (1986), in Nazionalismo e Federalismo, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 302, 304. (Molti degli scritti di Albertini sono stati ripubblicati, con l’indicazione delle rispettive fonti, in due antologie: Nazionalismo e Federalismo e Una rivoluzione pacifica. Dalle nazioni all’Europa, da cui sono state tratte le citazioni. Si è posta tra parentesi, dopo il titolo, la data del saggio originale per aiutare i lettori a valutare il contesto e tracciare cronologicamente lo sviluppo del suo pensiero).  [2] Mario Albertini, Il Risorgimento e l’unità europea (1961), in Lo Stato nazionale, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 184.  [3] Mario Albertini, La Federazione (1963) e Le radici storiche e culturali del federalismo europeo(1973), in Nazionalismo e Federalismo, cit., pp. 99, 114, 128.  [4] Mario Albertini, La Federazione, ibidem.  [5] Mario Albertini, Moneta europea e unione politica (1990), in Id., Una rivoluzione pacifica. Dalle Nazioni all’Europa, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 323.  [6] Mario Albertini, Lo Stato nazionale, Bologna, Il Mulino, 1997, ristampa delle edizioni precedenti del 1960 e del 1980.  [7] Mario Albertini, La nazione, il feticcio ideologico del nostro tempo (1960), in Id., Nazionalismo e Federalismo, cit., p. 22.  [8] Mario Albertini, Le radici storiche (1973), op. cit., pp. 126-7; Id., L’integrazione europea, elementi per un inquadramento storico (1965), in Id., Nazionalismo e Federalismo, op. cit., p. 235; Id., Qu’est-ce que le fédéralisme? Recueil des textes choisis et annotés, Parigi, Société Européenne d’Etudes et d’Informations, 1963, p. 32.  [9] Mario Albertini, Per un uso controllato della terminologia nazionale e supernazionale (1961), in Id., Nazionalismo e Federalismo, op. cit., p. 30.  [10] Mario Albertini, La strategia della lotta per l’Europa (1966), in Id., Una rivoluzione pacifica, op. cit., p. 59.  [11] Mario Albertini, Il problema monetario e il problema politico europeo (1973), in Id., Una rivoluzione pacifica, op. cit., p. 185.  [12] Kenneth C. Wheare, Federal Government, Londra, Oxford University Press, 1951 (prima edizione 1946), p. 37; in italiano in Kenneth C. Wheare, Del governo federale, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 92.  [13] Mario Albertini, L’unificazione europea e il potere costituente (1986), in Id., Nazionalismo e Federalismo, op. cit., p. 296.  [14] Lionel Robbins, Economic Planning and International Order, Londra, Macmillan, 1937, e Id., The Economic Causes of War, Londra, Jonathan Cape, 1939; alcuni capitoli di ambedue in italiano in Lionel Robbins, Il federalismo e l’ordine economico internazionale, Bologna, Il Mulino, 1985.  [15] Cfr. Mario Albertini, L’unificazione europea(1986), op. cit., p. 302. Cfr. anche John Pinder (a cura di), Altiero Spinelli and the British Federalists: Writings by Beveridge, Robbins and Spinelli 1937-1943, Londra, Federal Trust, 1998, p. 46.  [16] Mario Albertini, Qu’est-ce que le fédéralisme? (1963), op. cit., p. 32; Id., Cultura della pace e cultura della guerra (1984), in Id., Nazionalismo e Federalismo, op. cit., p. 151.  [17] Mario Albertini, Le radici storiche (1984), op. cit., p. 114; Lord Lothian, Pacifism is not Enough (1935), ristampato in John Pinder e Andrea Bosco (a cura di), Pacifism is not Enough: Collected Lectures and Speeches of Lord Lothian(Philip Kerr), Londra, Lothian Foundation Press, 1990, p. 221. In italiano: Lord Lothian, Il pacifismo non basta, Bologna, Il Mulino, 1986.  [18] Mario Albetini, La pace come obiettivo supremo della lotta politica (1981), in Id. Nazionalismo e Federalismo, op. cit., p. 185.  [19] Mario Albertini, L’unificazione europea(1986), op. cit., p. 304.  [20] Mario Albertini, Cultura della pace e cultura della guerra (1984), op. cit., p. 161.  [21] Mario Albertini, Le radici storiche (1973), op. cit., p. 140.  [22] Mario Albertini, La strategia (1966), op. cit., pp. 63-4.  [23]William Beveridge, The Price of Peace, Londra, Pilot Press, 1945.  [24]Emery Reves, The Anatomy of Peace, New York, Harper, 1945; in italiano: Anatomia della pace, Bologna, Il Mulino, 1990.  [25] Mario Albertini, La pace come obiettivo supremo (1981), op. cit., p. 184.  [26] Mario Albertini, Verso un governo mondiale(1984), in Id., Nazionalismo e Federalismo, op. cit., pp. 203-4.  [27] Mario Albertini, Verso un governo mondiale, op. cit., p. 207.  [28] Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio. La goccia e la roccia, a cura di Edmondo Paolini, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 18.  [29] Loc. cit.  [30] Altiero Spinelli, Diario europeo, I, 1948-1969, a cura di Edmondo Paolini, Bologna, Il Mulino, 1989, p. 417.  [31] Mario Albertini, L’unificazione europea e il potere costituente (1986), op. cit., pp. 293-4.  [32] Cfr. John Pinder, “Manifesta la verità ai potenti”: i federalisti britannici e l’establishment, in AA.VV., I movimenti per l’unità europea 1945-1954, a cura di Sergio Pistone, Milano, Jaca Book, 1992, p. 125.  [33] Mario Albertini, Quattro banalità e una conclusione sul Vertice europeo (1961), in Id., Nazionalismo e federalismo, op. cit., pp. 226, 228, 229, 232 n. 7.  [34] Mario Albertini, L’integrazione europea(1965), op. cit., pp. 249-50.  [35] Mario Albertini, La strategia (1966), op. cit., pp. 69, 71.  [36] Ibidem, pp. 66-7.  [37] Mario Albertini, Il Parlamento europeo. Profilo storico, giuridico e politico (1971), in Id., Una rivoluzione pacifica, op. cit., p. 216.  [38] Mario Albertini, L’aspetto di potere della programmazione europea (1968), Id., in Nazionalismo e Federalismo, op. cit., p. 262.  [39] Mario Albertini, Il problema monetario(1973), op. cit., pp. 184, 187, 191.  [40] Altiero Spinelli, Diario europeo, III, 1976-1986, p. 186.  [41] Mario Albertini, Il problema monetario(1973), op. cit., p. 192.  [42] Altiero Spinelli, La goccia e la roccia, op. cit., p. 18.  [43] Mario Albertini, Elezione europea, governo europeo e Stato europeo (1976), in Id., Una rivoluzione pacifica, op. cit., pp. 223, 225, 226.  [44] Mario Albertini, L’Europa sulla soglia dell’unione (1985), in Id., Nazionalismo e Federalismo, op. cit., pp. 274, 276.  [45] Ibidem, pp. 283-5.  [46] Moneta europea e unione politica. Un documento del Presidente Albertini in vista del Consiglio europeo di dicembre, in L’Unità europea, n. 202 (dicembre 1990), p. 20.  [47] Per esempio in Mario Albertini, Verso un governo mondiale (1984), op. cit., p. 205.  [48] Mario Albertini, La strategia (1966), op. cit., p. 72; Id., Le radici storiche (1973), op. cit., p. 136.  [49] Mario Albertini, La federazione (1963), op. cit., p. 100; Id., L’integrazione europea (1965), op. cit., p. 252; Id., Verso un governo mondiale(1984), op. cit., p. 207.  [50] Mario Albertini, La strategia (1966), op. cit., p. 59.  [51] Mario Albertini, Il Parlamento europeo(1971), op. cit., p. 204.  [52] Altiero Spinelli, Diario europeo, I, 1948-1969, op. cit., p. 297.  [53] Mario Albertini, un governo mondiale(1984), op. cit., p. 202.  [54] Non ho menzionato finora nessuno fra i federalisti italiani viventi, perché non sarebbe giusto individuare alcuni fra i tanti che hanno fatto cose importanti per il federalismo contemporaneo. Ma in questo contesto sarebbe del tutto ingiusto non menzionare il mio debito nei confronti di un federalista della nuova generazione che ha avanzato la proposta dell’antologia, per cui ha fatto una selezione di saggi (materiale eccellente anche per la preparazione di questo mio articolo), cioè Roberto Castaldi, che ha preso questa iniziativa quando studiava per la sua tesi di master sull’opera di Albertini all’Università di Reading. Mario Albertini. Albertini. Keywords: la confederazione di Romolo, federale, italia federale, politica federalista, filosofia federalista, stato italiano, gli stati uniti d’America sono una repubblica federale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Albertini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51794905915/in/dateposted-public/

 

Grice ed Alderotti – filosofia italiana – filosofia toscan – filosofia fiorentina Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “I like Alderotti; but then his favourite treatise was Aristotle’s little thing to his son, Niccomaco – which Hardie instilled on me like a leech!” “Alderotti was what we would call a Florentine-Bologne-oriented Aristotelian; he thought, with Aristotle, that the heart trumps the head --  Grice: “What I like most about lderotti is his archiginnasio – no such thing at Oxford! So, as Speranza says in “Colloquenza all’archiginnasio,” Alderotti knew what he was doing, even if his pupils did not!”Scienziato e filosofo erudito, scrisse per l'amico e protettore Donati, uno dei primi testi di medicina in lingua volgare, il Della conservazione della salute. Il più conosciuto medico del Medioevo, tanto da meritarsi una citazione nel XII canto del Paradiso – v. 83 -- di Dante, insegna a Bologna, applicando, durante le sue lezioni di medicina, un innovativo metodo scolastico. Iniziava la lezione con una lectio o expositio di un passo tratto da un testo autorevole (di Ippocrate, Galeno, ecc.). Procede poi per quaestiones con riferimento alle quattro cause aristoteliche. La causa materiale (la materia della trattazione), la causa formale (la sua forma espositiva), la causa efficiente (l'autore dell'opera),  lacausa finale (il fine o lo scopo dell'argomento prescelto). A questo punto il maestro formula una serie di dubia, cui facevano seguito i momenti euristici della disputatio ed, infine, della solutio. Alighieri lo cita in modo dispregiativo nel Convivio (I, x 10): “Temendo che 'l volgare non fosse stato posto per alcuno che l'avesse laido fatto parere, come fece quelli che transmuta lo latino de l'etica ciò e Alderotti ipocratista provide. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere. Tra i primi volgarizzatori toscani è maestro Taddeo, il famoso medico fiorentino, pubblico professore di medicina nell'Università di Bologna, uno dei personaggi più notevoli del suo tempo ; egli è pure il primo traduttore italico della morale a Nicomaco , che volgarizzata entra oramai a far parte della cultura generale. Di traduzioni della Nicoma chea,c'eran ledue greco-latinedell'Ethica uetus edell'Ethi ca noua,frammentarie,e quella del liber Ethicorum com pletaletterale;ma ilvolgarizzatorenon poteacertamente servirsi di un testo incompleto o di traduzioni letterali che avrebbero evidentemente lasciato Aristotele oscurissimo nel volgare come lo era nell'originale greco e nelle traduzioni latine. C'erano le traduzioni arabe : quella del commentario di Averroe ; ma come si sarebbe potuto presentare per la primavoltaa'laici,incapacidicomprendereunvastosi stema filosofico, Aristotele con tutto il bagaglio delle sue dottrine logiche e metafisiche che servono di base all'Etica ? Restava il compendio alessandrino-arabo , e questo difatti ammesso alla facile diffusione del volgare divenne il testo morale aristotelico di moda più recente (1). Al principio della seconda metà del decimoterzo secolo maestro Taddeo ridusse in volgare toscano ilcompendio ales sandrino-arabo della morale a Nicomaco ; poco più tardi (1)Ho in un lavoro precedente trattato dell'Etica volgare e fran cese ; a quel lavoro modesto richiamo il lettore il quale , trattandosi di una questione già molto controversa,voglia con sicurezza accogliere le nostre conclusioni; giacchè ora alle conclusioni sono costretto dalle necessità e dall'economia dell'argomento. (C. MARCHESI, Il Compendio volgare dell'Etica Aristotelica e le fonti del VI libro del Tresor in Giorn. Stor.della lett.it.,vol.XLII,pp.1-74).  116 IL COMPENDIO ALESSANDRINO -ARABO   IL COMPENDIO ALESSANDRINO-ARABO 117 Brunetto Latini , nella seconda parte del Tresor accolse il volgare di Taddeo,modificato secondo il testo originale la tino ch'ei conobbe e a cui portò contributo di novissime m e ditazioni. Sicché tra i due compendi è una notevole diffe renza : una differenza che va tutta a favore di ser Bru netto il quale ebbe il vantaggio di lavorar dopo in un secolo in cui, per quella energia naturale delle letterature novelle, si progrediva assai rapidamente nel gusto e nella cultura . La traduzione di Taddeo in gran parte fedele al conte nuto, nella forma è condotta con una notevole indipendenza rispetto alla frase latina, e non di rado si vede la sicurezza ch'è nell'intendimento del traduttore e la buona conoscenza ch'egli ha del linguaggio filosofico: spesso compendia lam a teria, d'altra parte allarga tante volte la frase o ilconcetto e diluisce nel volgare il testo latino per bisogno di ripeti zioni e di esempi o di ampliamenti, servendosi, come fa in principio,di qualche altro rifacimento,e aggiungendo dichia razioni proprie. Taddeo non è un traduttore letterale che si preoccupi dalla frase e voglia mantenersi fedele alla pa- ! rola o al tenore dell'esposizione; egli è solo un interprete occupato del contenuto che pur vuole spesso acconciare dal lato espositivo nella maniera più rispondente,secondo lui,a'bisogni della chiarezza e della semplicità. General mente palesa una certa libertà nel compendiare e nel ren dere il concetto con espressioni diverse dall'originale,come quando per es.traduce uita scientiae et sapientiae con uita contemplatiua ; delle parti più confuse e difficili a inten dersi fa una parafrasi invertendo anche l'ordine delle idee e disponendole in maniera più agevole per la intelligenza finale, seguito in questo naturalmente da Brunetto. Ecco un esempio :    118 IL COMPENDIO ALESSANDRINO -ARABO Rerum quedam sunt co gniteapudnosetquedam sunt cognite apud natu ram .Oportet ergo ut a m a tor scientie ciuilis promtus sit ad res eximias et sciat opiniones rectas. Opinio nes autem recte sunt ut in arte ciuili incipiatur a re bus apud nos cognitis,et in consuetudinibus pulcris et honestis facta sit assuetu do,principium enim estet inceptio a qua res est. Ex manifesto existente suffi cienter quia res est,non indigeturpropterquid res est. Indiget autem homo ad promtitudinem habita tionis veritatis rerum bo narum aut aptitudine bone instrumentalitatis ex qua sciat uerum ,aut forma per quam accipiantur princi piarerumabeofacile.Qui za. uero neutram babuerit h a rum aptitudinum audiat sermonem Homeri (corr. Hesiodi)poete ubi dicit: quidem bonus est,hicau tem aptus ut bonus fiat. Qualche volta invece il concetto è più largamente defi nito per l'aggiunta di qualche breve dichiarazione che serve a chiarirne il contenuto e a precisarlo di più rispetto alle considerazioni precedenti; cosi il testo dice che l'uomo ri fugge dai luoghi solitarî o deserti o ermi,e Taddeo aggiunge: «perchè l'uomo naturalmente ama compagnia »; altrove è detto che beatitudine è cosa completa che non abbisogna  Sono cose lequali sono manifeste alla natura,e sono cose lequalisonomani feste a noi ; onde in questa scienza si dee cominciare dalle cose lequali sono manifeste a noi.L'uomoloqua lesideestudiarein questa scienza ed apprendere, si dee ausare nelle cose buone e giuste e oneste ; onde gli conviene avere l'a nima sua natural mente disposta a quella scienza : m a quello uomo che non hae neuna di queste cose,è inu tile a questa scien Iliachosesquisont connues å nature et sont choses qui sont conneues à nos ; par quoinosdevonsence ste science commen cier as choses qui sont conneues à nos,car qui se vuet estudier å savoir ceste science, il doit user des choses justes,droites et bon nes et honestes,où il li covient avoir l'ame natu raument ordenée à ceste science : mais cil qui n'a ne l'un ne l'autre regarde à cequeHomerusdist: Se li premiers est bons,liautresestap pareilliezàestrebons: mais qui de soi ne set neant, et qui n'aprent de ce que hom li en seigne,ilestdoutout mescheanz.   IL COMPENDIO ALESSANDRINO-ARABO 119 d'altra cosa ; e Taddeo chiarisce « di fuori da sè ,. Altre aggiunte , come quelle di aggettivi, tendono solo ad accre scere l'efficacia del concetto ; d'altra parte ilvolgarizzatore coordina spesso le frasi sciolte e le considerazioni staccate dell'originale latino nella continuata semplicità di un solo periodo. Brunetto riempie le lacune : molte espressioni trascu rate da Taddeo o tralasciate a dirittura per difficoltà d'in tendimento sono supplite nel Tresor ; per es. il testo fa una triplice divisione delle arti: « quedam habent se habitu dine generum et quedam habitudine specierum et quedam habitudine individuorum»:Taddeo omette quest'ultima ca tegoria delle arti,notando solo le generali e le particolari; Brunetto, traducendo anche con finezza letterale ed etimo logica,completa «et aucunes sont sanz deuision ».Altrove sono interi brani del tutto omessi nel volgare che Brunetto restituisce alla esposizione del compendio aristotelico. Dia mone un esempio. Arsciuilisnonpertinet La scienza da La science de cité go pueronequeprosecuto- reggerelacittade ridesideriiatqueuicto- non conviene a fantneàhomequivueille rie,eoquodamboigna- garzonenèauo mais Taddeo non vide nel compendio alessandrino il legame tra le due considerazioni,e omise l'ultima;difatti il com pendiatore o il traduttore latino butta giù una frase fuor di senso che non ha rapporto alcuno con l'originale; Aristotele dice:«non è acconcio l'uditore giovane perchè èinesperto delle azioni che riguardano la vita, e i discorsi della nostra verner ne afiert pas à en  1 risuntrerum seculi, mocheseguitile cequeanduisontnonsa neque proficit ipsis. Non son ensuirre sa volonté, por tem . que ilse torne me, enim intenuit ars ista scientiam sed conuersio . nem hominis ad bonita- suevolontadi,pe- chant des choses dou sie rò che non cle : car ceste ars ne qui savi nelle cose del ert pas la science de l'o secolo. à bonté.   120 IL COMPENDIO ALESSANDRINO -ARABO scienza da queste si tolgono e intorno a queste si aggirano (οι λόγοι δ'εκ τούτων και περί τούτων). Non pero tutte lelacune sono supplite da Brunetto : la omissione di qualche concetto importante nel volgare e nel francese , è giustificata dal fatto ch'esso si trova altre volte particolarmente espresso e dalla facilità di richiamarlo alla mente nei luoghi ov'esso è ripetuto ; cosi avviene per il principio più volte enunciato della eccellenza del bene voluto per sé , rispetto al bene voluto per altro. Brunetto elimina pure qualche ridondanza del volgare ; cosi « ars directiua ciuitatum , che Taddeo traduce «l'arte civile la quale insegna reggere la cittade » 1 è resa nel Tresor « l'art qui enseigne la cité à governer »; altre volte invece la espressione è più estesa in Brunetto , come quando traduce con «principaus et dame et soverai n e » il semplice « princeps » riferito all'arte civile, mentre più sicuro intendimento dell'espressione : dice il testo che la beatitudine , come l'uomo che dorme, non manifesta al cuna virtù quando l'uomo la possiede in abito e non in atto , e Brunetto aggiunge « ce est à dire quant il porroit bienfaireetilnelefaitmie»;epocoprimaalladefini zione della potenza razionale ch'è più degna quando si è in atto, aggiunge « chè il bene non è bene se non è fatto (car se il ne le fait, il n'est mie bons)».Talune espressioni proprie del traduttore francese vanno oltre i bisogni della chiarezza e la necessità dell'intendimento ; laddove il testo latino dice del bene dell'anima ch'è il più degno di tutti, Brunetto inserendo il concetto della divinità mette di suo la ragione « car ci est li biens de Dieu » , evidentemente per il bisogno di ribadire il principio che pone in dio il sommo bene e di asservire il trattato aristotelico alle idea  il volgare dice solo « principale e sovrana ». L'aggiunta * comunemente è fatta per maggiore precisione e per un   IL COMPENDIO ALESSANDRINO-ARABO 121 c o n « colui che sta nel travito » ; il francese si riconduce all'esatta interpretazione « li sages cham pions et fors ». Nello sfrondare le ridondanze del volgare e nel ridurre la materia alle proporzioni dell'originale la tino,Brunetto non sempre riesce a cogliere l'esatto inten dimento della parola , e riducendo smarrisce l'idea che vi èracchiusa;ilt.ha«quemadmodum peritiagonistaeatque « robusti coronantur quidem et accipiunt palmam apud actum agonisetuictorie»;Taddeo traduceaėsomigliantedi quello che sta nel travito a combattere ; chè solamente quelli che combatte et vince , quelli å la corona della vittoria », e fa vera illustrazione della frase finale «e se alcuno uomo sia più forte di colui che vince, non à perciò la corona , perch'egli sia più forte, s'egli non combatte, avvegna che egli abbia la potenzia di vincere >; Brunetto si ferma alla prima parte « si comme li sages champions et fors qui se combatetvaintemportelacoronedevictoire trascurando il significato particolare dell’apud che qui sta per post. Pure nellaintelligenza della parola latinailtestofran cese è generalmente più fine del volgare (1), nel quale tal volta si trova sconvolto l'ordine delle frasi e delle idee , (1)Un esempio:t.difficile:Tadd.impossibile,Brunet.dure chose; t. in omnibus artificibus, T. nelle cose artificiali, B. choses de mestier et de art.  lità contemporanee della fede. Generalmente Brunetto ha m a g g i o r i r i g u a r d i p e r il t e s t o , p e r c i ò c h e r i g u a r d a i c o n cetti semplici e le singole espressioni. Cosi egli corregge la frase talvolta malamente resa o ingiustamente compendiata e confusa da Taddeo . Questi si restringe talora a molto s e m plice espressione, impropria, che mal si adatta al concetto latino,come quando traduce « periti agonistae atque ro busti >   122 IL COMPENDIO ALESSANDRINO -ARABO per deviazione dal retto intendimento del latino. Riporto un brano . Brun.car il estdure chose que Taddeo traduce la seconda parte del periodo: ut pote. come se fosse esplicazione del concetto già espresso : opera decora exerceat; Brunetto la riferisce invece al precedente : absque materia.Nel volgare italicoetalvoltaanche,inma niera alquanto diversa , nel francese l'espressione latina è modificataquando apparisca troppo cruda.Infinedel compen dio aristotelico si parla di uomini che non si possono correg gere con parole, per cui occorre « assiduatio uerberum t a m quam in bestia »;Taddeo traduce vagamente «pena »; Brunetto è più civile ancora « menaces de torment ». Il volgarizzatore francese tende spesso,più che il medico fio |rentino, a modificare quelle che a lui sembrano asperità di giudizio o durezze d'espressione. Così,nello stesso brano, de'delinquenti per natura,di coloro che non possono cor reggersi con parole nė percastighi,diceilt.«tollendisunt de medio»,eTaddeoletteralmente«sondatorredimezzo »; Brunetto è meno severo «tel home doivent estre chastié si que il ne demourent avec autres gens ». È un riscontro ca suale; ma sinotiad ogni modo come l'urbanità dell'espres sione francese e la temperanza cortese di giudizio pare si accordi coi principî positivi di un diritto criminale molto recente ! E Brunetto si accorda talvolta con Taddeo nel m o  T. difficile est enim Tadd . perciò che non homini ut opera decora è possibile all'uomo exerceat absque mate ch'egli faccia belle o riautpotequodha pereech'egliabbia beatpartemcompeten arte la quale si con tem rerum bone uite pertinentiumetcopiam eabbondanzad'amici familieetparentumet ediparenti,eprospe prosperitatemfortune. rità di ventura sanza venga a buona vita, li beni di fuori. ne ... 5 1 l'on face b e lesoevres,seiln'ia gran part des choses avenables à bono vie et habondance d'avoir etd'amisetdeparenz, et prosperité de fortu   IL COMPENDIO ALESSANDRINO -ARABO 123 dificare le opinioni del testo , come quando fieri amendue della loro vita comunale, rinnegano il detto d'Aristotele che l'ottimo governo sia nel principato, affermando migliore il governo delle comunità. Un'osservazione finale. Brunetto qualche volta fa dei tagli al testo latino e al volgare , sopprimendone talune espressioninonperamoredibrevità,ma evidentemente perch'ei si rifiuta di accoglierne il giudizio. Ciò risulta chiaro dalla costanza con cui l'espressione è soppressa ogni qualvolta si presenti nell'intendimento voluto dal l'autore. Una prova : al principio del II° libro (cap. VII ediz. Gaiter) il compendio latino e con esso Taddeo fa una duplice divisione della virtù:virtù intellettuale,come sa pienza scienza e prudenza,e virtù morale come castità lar ghezza umiltà ; e poi lo esempio « quando noi volemo lodare un uomo di virtude intellettuale diciamo :questo è un savio uomo intendevile e sottile:quando volemo lodare un altro uomo di virtude morale, diciamo : questo è un casto uomo umile e largo » (1). Nell'uno e nell'altro caso Brunetto sop prime a dirittura l'espressione che racchiude il concetto della umiltà. La prima volta dice della virtù morale,ch'essa è « chastée et largesce »e soggiunge un po'infastiditoe non curante del testo « et autres choses semblables »; nella se conda parte dice semplicemente « ce est uns hom chastes et larges ».Ed è curioso e notevole documento questo d’uno tra ipiù illustri rappresentanti del laicato dotto del tem po, uomo di parte e d'azione tenace e bellicosa e guelfo ardente,che si rifiuta cosi chiaramente di accogliere l'umiltà tra le virtù morali, ribellandosi al giudizio che uomo umile ė uomo virtuoso. C'è qui l'alto sentire del laico e lo spi (1) « ex parte moralium largum uel castum uel humilem .uel m o destum eum appellamus ».    124 IL COMPENDIO ALESSANDRINO-ARABO ritosdegnosoelaboriacavallerescadeltempo,chesian nidava bensi nella fierezza solitaria e nella severa integritå dell'uom casto , o sorrideva nel magnifico gesto signorile d e l l ' u o m l a r g o e c o r t e s e , m a n o n si a c c o n c i a v a a i n d o s s a r e il saio dell'umile curvato.  Quale dei due traduttori abbia merito maggiore non possiam dire. Taddeo ha il merito dellapriorità;ma egli compendia troppo , abbrevia , toglie parte di considera zioni e di esempi al testo latino ; Brunetto che lavorò a p presso a lui è più fine e completo , e poi anche il fran cese si prestava allora assai meglio del volgare italico. Taddeo molte volte amplia o riduce la materia , Brunetto traduce con maggiore fedeltà sia nell'evitare le ripetizioni inutili del volgare sia nel colmarne le lacune rispetto all'ori ginale latino , le cui espressioni segue con attenzione e riproduce spesso con esattezza.Siamo nel periododeicom pendi e dell'enciclopedia. Un compendio fatto è fatica ri sparmiata al maestro che deve dire le «chose universali ». Brunetto,che aveva intelligenza fine,trasse il compendio italico alla lingua di Francia e l'incluse nell'opera sua e ne colmò le lacune e ne affinò i contorni e lo ripuli di fronte al testo latino da cui egli pompeggiandosi dicea di aver tratto la parte morale del Tresor . E non fa cenno di T a d deo : egli accoglie, corregge, assimila; d'altra parte è tutta una letteratura e una divulgazione anonima quella che dal l'ultimomedioevovaaltrecento,eidirittidi proprietà letteraria non sono ancor sorti. C'è però da osservare che nel ritocco della materia volgare Brunetto non va oltre qualche singola espressione o frase, trascurata o ridondante. Egli non si attenta mai a rimaneggiare e ad acconciare la materia nel contenuto ideale,per ilmodo con cui le idee furono esposte nel volgare o compendiate o disposte o in   IL COMPENDIO ALESSANDRINO -ARABO 125 terpretate.Questo dunque testimonia onorevolmente che Tad deo era allora ritenuto autorevole intenditore del trattato ari stotelico anche da un uomo per cultura famoso come ser Brunetto, sebbene al grande discepolo di costui non appa risse ugualmente felice dicitore del volgare.Tuttavia le m o dificazioni introdotte da Taddeo e assai più ancora da Bru netto non sono tali da farci notare la presenza di nuovi elementi etici o l'azione modificatrice diretta del tradut tore spinto da una evoluta coscienza sociale del tempo.Gli scrittori del medio evo accolgono e credono ; sono ansiosi di notizie come sono pieni di fede. Si accetta tutto, il vero e il falso, anzi più il falso che il vero ; a Taddeo che scrive un sonetto sulla pietra filosofale (1) risponde Brunetto che r a g i o n a s u l l e v i r t ù d e l l e p i e t r e . È a n c o r a i n t a t t o il m o r t o e d i ficio secolare della fede , che più tardi la critica del quat trocento ridurrà nei frantumi donde sorgerà la nuova co scienza degli individui e delle genti. (1)MAGLIABECH.XVI,7,75;cartac.sec.XV.«Carmina magistri Tadei de florentia super scientiam lapidis philosophorum ex Alberto Magno edita feliciter. «Soluete icorpi inaqua a tuti dico |Voi che in tendete di far sol et luna |Delle duo aque poi prendete l'una |Qual più vi piace e fate quel chio dico |Datella a ber a quel uostro inimico | Senza manzare i dicho cosa alguna |Morto larete e riuerso in bruna | Dentro dal cuore del lion Anticho |Poi su li fate la sua sepoltura |Si e in tal modo che tuto si sfacia |La polpa e lossa o tuta sua giuntu ra|La pietraareteedapoiquestosifacia(sic)|Deterraaquaetdaqua terra fare |Così la pietra uuol multiplicare |E qual intendera ben sto sonetto |Sera signor de quel a chi e suzetto ».  Il compendio alessandrino-arabo prestó dunque la ma- : teria etica aristotelica al volgare d'Italia e di Francia ; e la morale a Nicomaco potè cosi divenire libro di attualità adoperato e sfruttato, nella valutazione dei principi etici e nella decisione delle finalità umane, dai nuovi scrittori vol gari: tra questi ė Dante Alighieri,a cui Taddeo dié motivo   di presentare in più nobil veste il volgar di Toscana (1), e Brunetto Latini avea ad ora ad ora insegnato « c o m e l ' u o m s'eterna ».   IL COMPENDIO VOLGARE LE FONTI DEL VI LIBRO DEL " TRESOR , Il presente lavoro fa parte di un altro più esteso e completo sui rifacimenti aristotelici latini e volgari, il quale spero verrà presto a portare un contributo,non privo d'interesse,alla storia ell'aristotelismo nella pre-rinascita e a colmare qualche lacuna la conoscenza del movimento intellettuale che fu prima del quattrocento:giacchè ne'volgarizzamenti e ne'rifacimenti sta i cultura del trecento ; seguendo il volgarizzarsi e il diffondersi della cultura medievale e classica, specialmente, noi troveremo i sentiero ascoso che va da Dante teologo al Petrarca filologo. Ma ora ho fatto opera molto modesta; trattando solo le spi. ese questioni critiche agitate intorno al compendio volgare ell'Etica, ho inteso risolvere taluni dubbî,lungamente mante nūti, ed eliminare molti errori. Il lettore, che attende forse uno studio riassuntivo sulla influenza della morale aristotelica, comprenderà come questo sia possibile solo alla fine dell'opera, quando le ricerche già fatte e i risultati ottenuti ci metteranno in grado di poter volgere uno sguardo sicuro e sereno su quel grande campo dove la tradizione aristotelica alligno rigogliosa e tenace ramificandosi e abbarbicandosi per una serie copiosis. sima di rampolli viziosi e invadenti.  DELL'ETICA ARISTOTELICA C. MARCHESI. 1 E   2 C. MARCHESI Il compendio volgare dell'Elica nicomachea fu per la prima volta impresso a Lione (1568)a cura dell'editore Jean de Tournes, su di un manoscritto appartenente a Jacopo Corbinelli (1).Do menico Maria Manni stimo inutile, per le moltissime mende, la edizione francese,condotta inoltre su un solo manoscritto,e ristampò il trattato aristotelico valendosi principalmente di due codici Laurenziani,il 19 e il 23 del plut.XLII (2).L'ultima ediz.del 1844 fu condotta da Fr. Berlan su un cod.del sec.XIV e in base a un esemplare dell'ediz. lionese emendato e comple tato da Apostolo Zeno su un ms.del 1410 (3). Com'è noto,ilcompendio volgare dell'Elica aristotelica è quello stesso che forma il VI libro del Tresor volgarizzato, se condo la comune opinione, da Bono Giamboni ; pero si trova anche in tutte le edizioni del Tesoro volgare:Treviso,Gerardo Flandrino(de Lisa),1474;Venezia,Fratelli da Sabbio,1528;Ve. nezia,Marchio Sessa,1533;Venezia,1839acuradiLuigiCarrer il quale nel libro VI seguì anche le due edizioni, Lionese e del Manni;Bologna, 1878,ed.da Luigi Gaiter il quale si valse di tutte le stampe precedenti,de'mss.del Tesoro e di raffronti continui col testo francese. Eppure di questo compendio manca una stampa che ne ripro duca fedelmente e criticamente la lezione;giacchè a tutti gli editori dell'Elica,che eseguirono le loro stampe sulle precedenti o solo col sussidio di qualche ms.,sfuggi quella rigogliosa co munione di codici, che abbiam potuto noi esaminare, da' quali (1) L'Etica d'Aristotile ridotta in compendio da ser Brunetto Latini et altre tradutioni et scritti di quei tempi. Con alcuni dotti Avvertimenti intornoallalingua,Lione,Giov.deTornes,1568. (2) L'Etica d'Aristotile e la Rettorica di M. Tullio aggiuntovi il libro de' Costumi di Catone, Firenze, 1734. Dall'edizione lionese trasse la parte riguardante le quattro virtù un tal Luigi Ruozi che la pubblicò modifican dola nell'ortografia e nella lezione: Trattato delle quattro virtù cardinali compendiate da serBrunettoLatini sopra l'Eticad'Aristotile,Verona, 1837,pp.16. (3) Elica d'Aristotile compendiata da ser Brunetto Latini e due leggende di autore anonimo,Venezia,1844.  ---   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 3 sarà possibile, con un esame complessivo, trarre nella sua veste primitiva l'antico volgarizzamento toscano; d'altra parte gli editori più recenti del Tesoro nel curare la lezione del VI libro, ritenendolo, com'era naturale,volgarizzamento dal francese, come tutti gli altri libri, credettero opportuno acconciarne la lezione anche inbase al testo francese,alterandone laveste ori ginaria e originale. Intorno a questo antico e primo compendio volgare dell'Etica si è agitata una lunga e spinosa questione. Esso fin dalle prime stampe porta il nome di Brunotto Latini, e il fatto stesso poi che si trova inserito nel testo volgare del Tresor, di cui costi tuisce appunto la materia del VI libro,non ha mai fatto dubitare ai critici e agli editori ch'esso non si debba considerare come una parte del Tesoro e quindi,come tutti gli altri libri, volga rizzamento di Bono Giamboni.Solo il Mabillon,ritenendo che Brunetto stesso avesse volgarizzato il suo Tresor, credeva che ciò fosse pure avvenuto dell'Etica (1). Il primo dubbio intorno al traduttore del compendio francese in toscano fu mosso dal Manni, indotto da una nota del Salviati il quale « trovò in fronte « a un particolar testo dell'Etica : Qui comenza l'Elica di Ari. « stolile volgarizzata per maestro Taddeo medico e philosopho «dignissimo».Ad ogni modo egli si acqueta volentieri all'au. torità della Crusca che cita il Tesoro « tutto » stampato per traduzione di Bono Giamboni (2).Altri che vennero dopo nota rono che qualcuno dei mss. dell'Etica indicava un maestro Taddeo come il volgarizzatore dell'opera ; difatti il Lami ritiene che ilvero traduttore sia Taddeo (3),e ilMebus,seguito dal Maffei(4),sostieneche la versione di Taddeo,fatta probabil mente assai prima,venisse più tardi inserita nel Tesoro volga. rizzato,in tuttiglialtri libri,da Bono Giamboni (5).Lo Chabaille, (1)Museum Italicum,Paris,1687-89,vol.I,P. I,p.169. (2)Op.cit.,pp.xisgg. (3)Novelle letterarie,Firenze,1748,p.303. (4) Storia della lett. ital., 3a ediz., Firenze, 1853, 1, p. 35. (5)VitaAmbrosii Traversarii,p.CLVIII.    che curò la edizione critica francese del Tresor, dalla perfetta somiglianza ch'è tra l'Elica e il vi libro del Tesoro, deduce che Brunetto avesse tradotto Aristotile in italiano prima ancora di voltarlo in francese, e che quindi il compendio volgare del l'Etica dev'essere a lui attribuito (1).Il Paitoni,che scrisse sopra tale argomento un lungo articolo, finisce col non sapere da che parte decidersi (2).Giov.Battista Zannoni ha spinto in vece la questione molto avanti,servendosi di un passo del Conrito di Dante (Tratt.I,cap.10),dove è fatto cenno di un volgarizzamento dal latino dell'Etica per opera di Maestro Taddeo,ilcui volgare Dante chiama «laido».Lo Zannoni ri tiene « che Brunetto voltasse in francese il volgare di Taddeo « e che il Giamboni a questo desse luogo nella sua versione «delTesoro»(3).QuestacongetturaèancheaccoltadalPuc cinotti,ch'è stato il più accanito difensore di Taddeo (4).Il Sundby combatte tutte le opinioni precedenti:quella delloCha. baille e dello Zannoni,opponendo loro le parole stesse di Bru netto che,nella sua introduzione, assevera di aver tradotto dal latino in francese,de latin en romans;quella del Mehus, citando il passo di Dante il quale parla evidentemente di una traduzione dal latino. Egli reputa diversa da quella che abbiamo la traduzione di Taddeo,dicui sifacenno nel Convito;afferma recisamente che Brunetto ha tradotto Aristotile dal latino in francese e che il testo italiano dell'Etica è opera di Bono Giam boni(5).IlGaiter,ch'è ilpiùrecenteeditoredelTesoro,se guendo,come pare,lacongettura dello Chabaille,confonde la (1)Lilivresdou TresorparBrunettoLatini,Paris,1863,Introd.,p.xv. (2) Biblioteca degli autori antichi greci e latini volgarizzati, Venezia, 1766, vol.I,pp.103-29. (3) Il Tesoretto e il Favolello di ser Brunetto Latini, Firenze, 1824,Pre fazione,pp.XXXV sgg. (4)Storia della medicina,Firenze,1870,vol.I.  4 C. MARCHESI (5) Della vita e delle opere di Brunetto Latini, Firenze,1884,pp.139 sgg. La stessa opinione del Sundby aveva esposta prima V. Nannucci,Manuale, Firenze, 1858, vol. II, p. 383.   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 5 Nicomachea con ilLibro de'Vizi e delle Virtù e con il VI libro del Tesoro, il quale « fu prima compilato e poscia dall'autore «annestato nella maggior parte del Tesoretto»(1);e altrove ricorda una nota del Sorio che attribuiva a Brunetto Latini il volgarizzamento dell'Elica d'Aristotile (2); del resto non fa cenno dellaquestione.IlCecioni,perultimo,trattando delSecretum Secretorum , in una breve digressione sull'Elica volgare, dopo avere riassunto tutte le opinioni,assicura che Taddeo deve averne fatto una traduzione, poichè altrimenti sarebbe inesplicabile il motivo per cui parecchi codici di rispettabile antichità attribui. sconolatraduzioneaTaddeo;ma delrestoaffermachelaque. stione circa il volgarizzamento dell'Etica, che noi possediamo, rimane indecisa nè si potrà forse in alcun modo risolvere (3). Cosi scetticamente si chiude la questione, irresoluta. Dopo l'esame dei codici dell'Elica volgare e latina e del Te soro, non è più lecito dubitare di poter decidere la questione in modo definitivo, e a definirla concorrono parecchi dati positivi e sicuri; il primo, di capitale importanza : la tradizione m a n o scritta. Il compendio volgare della Nicomachea ci ha una ben larga ed evidente tradizione isolata.Nelle biblioteche di Firenze,ove il latino del testo aristotelico ebbe per la prima volta veste vol gare e popolare conoscenza, ben ventidue codici ci attestano della larga diffusione che il volgarizzamento ebbe come opera a sė, indipendente da altre opere più larghe che la integrassero. A'codici fiorentinisiaggiungonoaltrichehopotutoesaminare: due Ambrosiani,tre Marciani,uno della Nazionale di Napoli,uno della Comunale di Nicosia. Pochi altri mss.dell'Elica si trovano sparsi per le biblioteche d'Italia, ma da ragguagli cortesi che ho potuto avere di essi, è lecito dedurre come tutti quanti ade riscano per contenuto e per lezione al nucleo centrale e fonda mentale dei mss.fiorentini.  (1)Ediz.cit.del Tesoro,Prefaz.,p.xv. (2)Ivi,p.XLII. (3) Propugnatore, 1889, p.72.   Tutti icodici presentano una redazione unica del volgarizza- mento,che è quella stessa della edizione Manni, con la quale ho fattolacollazione(App.I).Le varianti frequentinellalezione,le inversioni,le omissioni reciproche,gli scambi,le lacune del testo a stampa sopra tutto, si debbono, oltre che alla bontà maggiore o minore del modello, a sbagli de' trascrittori, e non valgono dinanzi alla somiglianza e conformità dell'assieme.Molte lacune e accorciamenti si possono attribuire soltanto a sbada taggine de'copisti per le gravi difettosità che ne vengono al senso,e sono indubbiamente prodotte dalleespressioni consimili cheapocadistanza han prodottolafacileomissione:giacchè il copista credendo di proseguire saltava d'un tratto il brano. Accanto alle lacune (1), che dànno qualche volta luogo a strane combinazioni d'idee,va notato un buon numero di ampliamenti, di cui taluni sono ripetizioni di luoghi antecedenti.Qualche volta le parole si trovano collocate in maniera diversa nel periodo o sostituite con altre e mutate con lo scopo di abbreviare o modifi c a r e il c o s t r u t t o ( 2 ) ; l e m o l t e d i f f e r e n z e o r t o g r a f i c h e v a n n o r i f e r i t e al tempo della trascrizione. Fra i codici che più si accostano al testoastampa vanno notati 6.c.g.h.4.2.m .p.e specialmente d ed e,iquali hanno pure comuni con il testo Manni molte particolarità ortografiche.Le maggiori divergenze presentano i codd.7 e 1;in quest'ultimo è notevole un'aggiunta al libro sesto (3). Nel cod. V la lezione presenta spiccate differenze, (1) È da osservare come nel secondo libro (cap.IX del Tesoro)occorrano tre parole greche trascritte con caratteri latini:19)apeyrocalia (5. x.8. m .p.) oapeiorocalia(4.y.)edanche apeyrochilia(6)eapherocalia(g):in pa recchi codici tale parola è mancante perchè manca il brano che la contiene; 29)eutrapeles(x.y.4.m.p.)o eutrapelos(2.6.7.d.e.f.g.h.)ed anche eutrapelo (6) ed eutrapeleos (8); 3o recoples (y.x.5. 7. 8. c.d.f.h.4. 2. p.) orechoples(e.g.)ed anche recupes(6)erecopls(2).Inqualchecodice, come nel cod.1, il copista salta il passo dove avrebbe dovuto introdurre le parole greche. ( 2 ) C o m e s i n o t a a n c h e p a r t i c o l a r m e n t e n e l l ' A m b r . C . 2 1 , i n f ., c h ' è u n a trascrizione umanistica della seconda metà del '400, (3)Manni,p.39;Gaiter,p.115:«in questo cambio era grande brigaet  6 C. MARCHESI   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA specialmente nella seconda metà,dalla lezione comune,e risente dell'influenza dell'opera francese di Brunetto e dell'azione diretta modificatrice del trascrittore : l'influenza del francese in questo c o d i c e , c o m e n e l l ' A m b r o s . c . 2 1 i n f ., c i è a t t e s t a t a i n d u b b i a m e n t e dal fatto ch'essi vanno oltre il limite solito dell'Elica e prose guono con le stesse parole, intorno alla differenza tra la retorica e la scienza di fare le leggi, le quali chiudono il VI.libro del Tresor; ma possiam dire che per quanto la lezione di V sia in molti punti alterata,non presenta tuttavia una redazione diversa dalla comune dei mss.e delle stampe del Manni e del Gaiter, alla quale ultima specialmente aderisce verso la fine.Dall'esame critico della lezione risulta una somiglianza intima tra icodd.1 e 7 ; tenendo poi conto delle particolarità più comuni, possiamo stabilirediversi gruppi di codici:a)1.a.y.5.6.7.8.x.r. 9.checidannolapiùautorevolelezione;b)g.C.d.e.f.N.r. 2.s.;c)4.m.p. Come s'è detto, il compendio volgare dell'Etica si trova pure inserito nel volgarizzamento del Tresor, di cui forma la prima metà della seconda parte, o meglio il VI libro, secondo la indi. cazione comune.Dei venti codici del Tesoro da me esaminati, dodici solamente contengono il trattato aristotelico : gli altri sono mutili (App. II). La lezione dell'Etica ne' codici del Tesoro, tranne le solite Jivergenze omai notate come comuni in questa redazione del l'Etica volgare,è da collegarsi alla stessa famiglia dei codici isolati e de'testi a stampa.C'è da notare nel complesso un numero maggioredivarianti,omissioni,aggiunte,frequentissimi sbagli di trascrizione e qualche breve interpolazione del copista  «pero fue trouata una cosac'aguagliasse etquestacosasièildanaio. « percio che l'opera di colui che fa la chasa si aghuaglia ad opere di colui « che fae i calzari col danaio; chè per lo danaio puote l'uomo donare et « prendere le grandi cose e picciole, per cio che 'ldanaio è uno strumento «perloquale ilgiudicepuotefaregiustizia,perocheeldanaioèleggie «senz'anima.ma ilgiudiceèleggiech'àanimaetdiogloriososièleggie « uniuersale d'ongni cosa »,   stesso,che sidistingue subito permancanza di riscontroinaltri codici.Oltrere P,che servirono di base allastampa fiorentina, uno de'codici più fedeli all'ediz.del Manni è l'Ambros.G. 75 Sup.e Z ,dove pur si trova una grande confusione causata dallo spostamento di varie parti.Tra icodd.più scorretti dal lato ortografico e P. In base alle particolarità più comuni icodd.del Tesoro si possonodividere ne'seguenti gruppi:19)d.v.1. 2°)n. λ.π.φ.3ο)λ.μ.γ.Ρ.Ζ.ε.Ambr. Riassumendo,possiam dire: la lezione del testo aristotelico volgare appare generalmente, ne'codd.dell'Etica e del Tesoro, fluttuante,poco sicura.Ma lesolite differenze nella espressione, nella struttura del periodo, le frequenti omissioni e aggiunte di parola,gli spostamenti e le lacune,comuni alla maggior parte dei codici,riguardano più d'ogni cosa la bontà della copia,la correttezza del modello copiato, la esperienza o la libertà del l'amanuense, ma non compromettono in alcun modo l'unità del volgarizzamento. La materia dell'Etica si trova nella maggior parte dei codici ugualmente distribuita.Una grave inversione presentano 1. d. e.s.;inessiiltestodap.6Manni[Gaiter25:compimentoe forma di uirtu ] va d'un tratto a p. 18 (Gaiter 57 : ciascuno huomo che ingiusto et reo sie] e seguita sino a p.21 (Gait.66 : E pero è bestial cosa seguir troppo la dilettazione del tatto] donde torna indietroap.9 [Gait.34:La potenzia uae'innanzi all'acto] e prosegue sino a p. 18 [Gait. 57 : dee l'uomo essere punilo];quindi tornadinuovoap.6 (Gait.25:beatitudoècosa ferma et stabile] seguitando sino alla fine del primo libro [p.8 M ., 31 G.: Questièun casto huomo, humile et largo).È determi nato cosi uno scambio reciproco, nel principio, de'libri secondo e terzo.  'T 8 G. MARCHESI Un'altra inversione è nei codd.del Tesoro a.T. X. u.In essi iltestodell'Eticadallafinedelcap.XXIX (pp.M.35,G.101: l'uomo si uiene a fine con grande sottilglianza de li suoi in tendimentinelecoselequalisonbuonema questasottilglianza e cerlezza e sauere ragion diuina e le dilettationi che l'uomo   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 9 elegge per gratia d'altro.son queste ricchezza etc.... Jez.u] corred'untrattoalcap.XXXVIII (pp.M.41,G.121]eprosegue sino al primo periodo del cap.XXXIX (pp.M. 43,G. 125:per a u e r e l u n g a m e n t e u i n t i li d e s i d e r i d e l l a c a r n e . L o m a g n a n i m o serue bene.....u]; quindi ritorna al cap.XXXIV (pp.M. 37, G.110)evasinoalcap.XXXVIII (pp.M.41,G.120:inman. giare e in bere e in luxuria e tutle dilectationi corporali ne la misura delle quali l'uomo elegge per se medesimo.et quando ella e rea si detta callidita. ne le cose ree si come incanta menti.....u];dopo itre primi periodi del cap.XXXVIII torna cosi nuovamente al cap.XXIX (pp.M. 35,G. 101). La stessa i n v e r s i o n e n e l l ' o r d i n e d e l l a m a t e r i a h a il m s . V i s i a n i . I codici dell'Etica,in gran parte,presentano la solita divisione della materia in dodici libri,che non di rado è limitata alla semplice indicazione numerica,senza alcun accenno all'argo m e n t o s v o l t o ( h . 4 . ) ; i n p a r e c c h i c o d i c i ( y . c . e . h . 4 . m . r .) l a materia oltre che in libri è divisa in tanti capitoletti ; in altri (5. 6. I. v.) soltanto in rubriche le quali sono qualche volta costituite dalle stesse parole del testo,come in 5 e 6.Altri co. dici mancano di qualunque divisione sia in libri che in rubriche (p.8.Amb.166).L'Ambr.C.21inf.,delsec.XV,presentala partizione comune fino al decimo libro;la materia degli ultimi due è divisa in tre capitoli (c.53':tracta di la beatitudine la quale puo hauere in questo mondo : Di po la uirtu diciamo di labeatitudine;c.57"tractachesel'huomohabuonanatura la ha da dio : sonno huomini che sonno buoni per pauura ; c.57'diGouernamento dilacittade:lonobilehuomoetbuono regitore di la citta fa nobili et buoni cittadini). In d in luogo di libri è detto fioretti, e cosi pure al principio di v : Fioretti dell'Elicha d Aristotile del primo libro.  . Dei codici del Tesoro,taluni (e,u,n) non danno alcuna in dicazione sul modo con cui la materia è distribuita;altri (a,a) hanno un elenco delle rubriche posto in principio alla seconda parte dell'opera, vale a dire il VI libro; in 8 è un rubricario generale posto in principio del Tesoro; le rubriche di t fanno !   parte del testo,e una divisione in capitoli si trova in r (De leuilenominale deletrepotenziedel'anima Come lobene si diuide de la polenzia dell'anima de la uerlude intellec tuale |di che l'omo desidera tre cose |de le uerlude che ssono inabito comesitroualauerlude comel'omopuofarebene e male d e le tre isposizioni in operatione de le cose che conuienefareperforzaetc.).Induecodici(Z eAmb.)tutta la materia del VI libro è divisa in cinque capitoli : 1°) « Incipit «libro d'eticha Aristotile; 2) Secondo capitolo d'elicha Ari «stotile:sonooperationi lequali homo fa;39)Terzocapilolo « d'eticha : due sono le specie d'amista ; 4 ) Quarto capitolo de « eticha : la dilectatione è nata e notricata ; 5°) Quinto capitolo « de etica : Dopo le uirtù diciamo oggimai della beatitudine ».Altri codici presentano la divisione per libri o per rubriche che si trova nelle stampe. Riferiamo il titolo originario dei dodici libri dell’Etica, traen dolo da'codici più antichi ed autorevoli, del sec.XIV : « Prologo « sopra l'etica d'Aristotile Qui si finisce il prologo di questo « libro d'Aristotile. Qui appresso si comincia il primo libro e « tracta in questo primo libro della felicitade : le uite nominate ve famose.IQui comincia ilsecondo libro dell'Etica d'Aristo « tile e comincia a diterminare delle uirtudi e primieramente « mostra che ongni uirtu che noi abbiamo è per costumanza « d'opere:Concio siacosa che siano due uirtudi.|Qui comincia « il terzo libro dell'etica e tratta dell'operazioni le quali sono « uolontarie e che non sono uolontarie : Sono operazioni le quali « l'uomo fae sanza sua uolontade |Qui comincia il quarto libro « dell'etica d'Aristotile ove si ditermina di quella uertude la « quale è detta uertude della liberalitade :Larghezza è mezzo in « dare e in riceuere pecunia |Qui comincia il quinto libro del « l'etica e determina della giustizia la quale è uerti che dee « essere nell'operatione delli huomini : Iustizia si è abilo lau « d e u o l e | Q u i c o m i n c i a il s e s t o l i b r o d e l l ' E t i c a e c o m i n c i a a d e « terminare delle uertudi intellettuali per ciò che infino a quie «ellisiaediterminatodelleuirtudimorali:Due sonolespezie  10 C. MARCHESI   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 11 « delle uirtudi |Qui si comincia il settimo libro dell'etica del « s o m m o filosofo Aristotile e ditermina della uertude la quale è « detta uertude della contenenza : Li uizii de costumi molto « reil Qui comincia l'ottavo libro dell'etica d'Aristotile nel quale «ditermina dell'amistade la quale è cosa necessaria all'uomo: « Amistade si è una delle uertudi dell'uomo IQui comincia il « nono libro dell'etica d'Aristotile il quale ditermina della pro «prietade dell'amistade: Lo conueneuole agualliamento si « aguallia le spezie Qui comincia il decimo libro dell'etica « d'Aristotile nel quale tratta della dilettazione e della felicitade « per ciò che pare che queste due cose si sieno fine de la dilet. « tazione et dice qui che la dilectazione si è fine dell'operazione «virtuosa:La diletlazionesiènataenotricata|Quicomincia « l'undecimo libro dell'etica d'Aristotile nel quale ditermina della « beatitudine la quale puote l'uomo auere in questa uita. Et dice « qui che la beatitudine è cosa perfecta : Dopo le uirtudi di. « c i a m o o g g i m a i | Q u i c o m i n c i a il d o d e c i m o l i b r o d e l l ' E t i c a . E t « determina come l'uomo il quale à buona natura si l'ae dalla « grazia di dio, et questi cotali sono disposti ad acquistare uer. « tudi : Sono uomini che sono buoni per natura ». Del rubricario più comune diamo per saggio quello del primo libro:«Perqualescienziașireggelacittade delleuiteet « quale è laudabile |di due modi di bene che è beatitudine «dellepotentienaturalidell'anima demeritidelleoperationi aditrespeziedelbene Comes'acquistaetconserualabeati. « tudine |Onde uiene la beatitudine e di che à bisognio chi « non puote auere la beatitudine per che /che cose sono aspre « a sofferire |come ae similitudine l'uomo felice con dio onde « procede felicitade |in che comunica l'uomo colle piante et colle «bestieetincheno dell'animacom'aecontrarimouimenti « della uertu intellettuale e della morale ».Nel codice Marciano II,141,lamateriaèdiversamente distribuitaindodici«parti»; la prima non è indicata,poi «della forteça: Diciamo omai di « ciascuno habito della liberalità: largheça è meço in dare « del conuersare: dopo questo dobbiamo dire di quelle cose    «dellagiustitia:Justiciasièhabilolaudabile dellointellecto « dell'anima : Due sono le specie delle uirtudi |de tre uitii primi : «Vilii e costumi molto rei|dell'amistade:Amistade e una «delle uirtude dell'uomo e d'iddio |dello aguagliamento della «amistade:Loconueneuoleadguagliamento delladilectatione: « La dilectationesiènata enutricala |della beatitudine:Quando «noiauemodeterminato delcorreggimentodeVitii.depaura. « della pena : La scienzia delle uirtudi si a questa utilitade ». Ilcompendio volgare del Trattato Aristotelico,come si può desumere dall'incipit e dall'esplicit di ogni codice,veniva più comunementeindicatocoltitolodiElhicad'Aristotile,edanche: Etica del sommo phylosofo Aristotile; molto più raramente : Fioretti dell'Elica d'Aristotile. Occorre anche talvolta la indi cazione latina : Elhica Aristotilis, e più sovente quella di Liber E t h i c o r u m . N e ' c o d i c i d e l T e s o r o il t i t o l o p i ù c o m u n e è p u r e : l'Etichad'Aristotile,edanche:l'EtichadelgrandesauioAri slotile;in parecchi si trova l'indicazione latina:Ethica Ari stolilis. Nei codici dell'Etica manca ogni notizia intorno alle necessità e a'criteri dell'opera.Fa eccezione ilcod.Marciano II, 134 il quale contiene, solo fra tutti, l'epistola proemiale del volgarizzatore ad un amico,che a quella fatica del tradurre avevalo indotto. « Incipit proemium transductoris huius operis « uulgaris.— Più uolte essendo amicho mio da la tua gintileza « con grande instanzia infestato l'Eticha Iconomicha et politicha de « Aristotile de lingua latina in parlar (moderno] et uulgar ti « transducha. La quale richiesta considerando truouo la mala «sua axeuolezza uincere ogny mia faculta.Et anche hauendo « udito altri circha a questa opera auere insudato non m'è pa «ruto douerse seguire per fugire la riprensione de molti.Ma « pure la forza de la tua amicizia è tanta che mi constringie et «fami intraprendere quello che mi cognosco impossibile.Onde « la gratia superna inuocho al principio di tale faticha doue « mi mecto seguendo el uoler tuo iusta mia possa. Et perche el « dire de Aristotile è scropoloso et stranio molto dal modo del « nostro parlare, pure quanto potro ad esso mi acostero.Alcuna  12 C. MARCHESI   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA « uolta le sue proprie parole et alcun altra el senso dimostraro «suzinto,seruando la uerità del testo.Ma auanty che questo « cominci alquanto della persona et essere suo toccharo ad cio « che le sue opere pergrate siano da te riceuute ». Il prologo non ci porge alcuna notizia storica,e del resto sulla sua auten ticità ci lascia grandemente perplessi. Il fatto che,tra tanti manoscritti dell'Etica, noi lo troviamo solo in questo,abbastanza tardivo,della fine del sec.XV,può destare grave sospetto,ma non sarebbe ad ogni modo motivo sufficiente per indurci a rin negarlo senz'altro. Ben altri motivi non ci permettono di prestar fede all'autenticità del proemio Marciano. In esso il volgarizza tore dice di aver udito « altri circa a questa opera avere in « sudato » ; l'espressione è molto ambigua ; giacchè o si riferisce a precedenti volgarizzatori,e ciò non è possibile perchè Taddeo fuilprimoavolgarizzarl'Etica,oatraduttorilatini;ma per quanto sappiam noi in nessuna delle traduzioni latinedella Ni comachea si leggono accenni alle difficoltà del traduttore; solo Ermanno ilTedesco,nel prologodellasuaversione delCommen. tario d'Averroè alla Poetica d'Aristotele,dice della grande dif ficoltà da lui trovata « propter disconuenientiam modi metrifi «candiingraeco cum modometrificandiinarabo,etpropter auocabulorumobscuritates»(1);ma cisembrerebbeaffatto inopportuno scorgere nel prologo alla Poetica di Ermanno un rapportocolprologoall'EticadiTaddeo.Epoinel1200eneltre. cento è ben difficile trovare la nota individuale,sopratutto nelle traduzioni; furon più tardi gli umanisti che alteri del merito proprio rivelarono a quattro venti le difficoltà del lavoro da essi intrapreso e compiuto; del resto tutta la parte del pro logo, di cui ora parliamo,si connette con la praemunitio tanto comune agli scrittori del quattrocento, i quali nell'introduzione alle opere loro ci ricordano spesso la difficoltà dell'argomento e il timore della critica e la debolezza dell'ingegno e il riguardo 13  (1) Il prologo è pubblicato dal Jourdain (Recherches critiques sur l'age et l'origine des traductions,latines d'Aristote, Paris, 1843, p. 141).   amorevole per l'amico che la vince sulle giuste considerazioni e preoccupazioni dell'autore.È questo,ripeto,un motivo comune agli umanisti,a'quali l'aveva comunicato lo spirito retorico delle composizioni proemiali latine. Lo stile poi del proemio è assai diverso dal volgare di Taddeo, ch'è quale potea rampollare schietto di mezzo all'efflorescenza letteraria dell'ultimo dugento.Lo stile del prologo marciano ri. sente molto invece di quel volgare farneticante da scuola e da sacrestia che pretendea ingentilirsi nel '400 signorilmente, usur pando gli addobbi lessicali delle forme latine.C'è in fine un ultimo argomento decisivo. Nel titolo dell'epistola proemiale è adoperata la parola transductoris,e nel volgare stesso del pro logo si trova adoperato il verbo transducere. Ora nel sec. XIII e XIV la espressione latina traducere non è ancora passata col s i g n i f i c a t o m o d e r n o n e l l a t i n o e n e l v o l g a r e ; il p r i m o , c o m e p a r e , ad usare il vocabolo traducere con il significato di tradurre, fu il Bruni, fin dal 1405 ; d'allora soltanto s'introdusse nel latino e quindi nell'italiano (1). Sicchè possiamo affermare che il prologo Marciano è di avan. zata fattura quattrocentina.Come sia comparso non sappiamo, nè torna conto indagare e congetturare sulle cause e sulle ori gini di tutte lescritturecheapparveroingrande numero,affac cendate e moleste,in quel tempo di continue esercitazioni re toriche e di finzioni letterarie. Stabilita la unità del volgarizzamento contenuto ne'codd.del l'Eticaedel Tesoro,passiamooramai allaindicazionedell'autore. De' ventinove codici dell'Elica, da me esaminati, ventidue sono anonimi;uno,del sec.XIV (5),attribuisce la traduzione a un maestroGiovanniMin.(2);seicodici(4.y.&.g.m.p.)danno il nome del volgarizzatore dell'Elica, traslatata in uulgari a magistro Taddeo. (1) Vedi R. SABBADINI,Del tradurre iclassici antichi in Italia,in Atene e Roma,an.III,no 19-20,col.202. (2)ExplicitethicaAristotilistranslataamgio iohemin.uulgare.deo gratias.  14 C. MARCHESI   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 15 Dei codici del Tesoro,tre del sec.XIV,oltre la solita attri. buzione a Brunetto in principio di tutta l'opera, alla fine del sesto libro ci danno un'indicazione particolare del volgarizzatore, la quale è sfuggita a tutti gli studiosi del Tesoro ed è di molta importanza per la questione agitata intorno all'autore del com pendio volgare. Ecco dunque le soscrizioni.a:Explicit etica Aristotilis a magistro Taddeo in uulgare traslala ; T : Explicit hetica Aristotilis a magistro Taddeo in uolgare trasleclata ; 1:Explicit Elicha Aristotilis a magistro Tadeo in uulghari traslatlata. Dalla tradizione manoscritta si può dunque ricavare : 1o) che ilcompendio volgare della Nicomachea ebbe una larghissima diffusione come testo particolare, indipendente da altra opera ; 2°)ch'esso,quando non correva anonimo,veniva comunemente attribuito a maestro Taddeo. Ma da'codici del Tesoro balza fuori un nuovo cumulo d'in dizi gravi e sicuri, che infirmano seriamente l'unità del vol garizzamento dell'opera di Brunetto,attribuito sempre con cordemente per intero a Bono Giamboni : 19) Parecchi codici del sec. XIV danno, come s'è visto, il nome del volgarizzatore del l'Etica : Maestro Taddeo ; la soscrizione finale, perchè non si possa ritenere aggiunta posteriore,è sempre di mano del copista che ha trascritto il codice per intero.Questà attribuzione è l'unicachesitroviintuttoilms.,oltreaquellageneralecon cui va riferito il complesso dell'opera a Brunetto.Ciò è di spe. ciale importanza per noi : difatti, giacchè il copista solo per l'Etica sente il bisogno di riferire il nome del traduttore, vuol dire ch'ei sapeva che solo quella parte del Tesoro rimaneva estranea al volgarizzamento generale dell'opera, e il volgare di Taddeo vi si trovava come inserito. In qualche codice anepigr. e mutilo,come a,l'attribuzione a Taddeo è anzi l'unica indica zione di autore che sitrovi in tutta l'opera.2 ) Di solitoicodici mutili si fermano prima di giungere all'Elica; d'altra parte pa recchi mss.del Tesoro si arrestano alla fine del compendio aristotelico. Ciò dimostra che questo costituiva come un punto    di fermata, era un libro introdotto a parte, si che poteva benis simo arrestare al libro V l'amanuense che fosse sprovvisto del. l'originale, o determinare una pausa nella trascrizione,alla fine del libroVI(1).3o)Nel cod.r,miscellaneo,l'Elica è preceduta dal VII libro del Tesoro : si può notare dunque il distacco ch'è tra le due parti, non considerate come legate e dipendenti nella stessa opera.4°)In qualche ms.,come ri,precede una tavola della materia che giunge sino a tutto il libro V , escludendo la rimanente, dall'Elica in poi ; e ciò dimostra ancora che l'Elica arrestava quasi il corso regolare dell'opera volgarizzata ed era estraneaalvolgarizzamento del Tesoro.5°)Un particolare fon damentale:ilcod.d ha questa soscrizione dell'amanuense,al l'Etica: Ecplicit l'Etica Aristotile in questo tanto che io noe t r o u a t a ; c i ò s i g n i f i c a c h i a r a m e n t e c h e il c o p i s t a , p e r t r a s c r i v e r e la parte dell'opera che comprendeva il compendio aristotelico, era obbligato a ricorrere ad un altro testo che non era quello unico del Tesoro.6°)Ci resta finalmente da osservare che mentre tutti i codici del Tesoro differiscono quasi sempre e in m a niera notevole nella lezione, mostrano invece una concordanza molto maggiore nell'Etica; vuol dire che si tratta di un testo particolarmente prefisso a'trascrittori.Ciò dimostra ancora la maggiore divulgazione del testodell'Etica lacui lezione più re golare, rispetto alla lezione caotica del Tesoro, era fissata da una più grande diffusione delle copie. Concludiamo questa prima parte. Dall'esame dei codici e della materia manoscritta ci risulta che esisteva nel secolo XIV un compendio volgare della Nicomachea,attribuito a maestro Taddeo, che noi troviamo anche inserito integralmente nel Tresor vol garizzato, di cui costituisce il VI libro. Ma nèicodicidelTesoro,nèquellidell'Eticacidicono da ( 1 ) Il S o r i o d a q u e s t o p a r t i c o l a r e , c h ' e g l i o s s e r v ò n e l c o d . A m b r ., t r a s s e argomentoprincipalediattaccoallaautenticitàdelVIIlibrodel Tesoro.La opinione del Sorio fu combattuta dal Gaiter (Propugnatore, 1874,pp.334 sgg.) con argomenti dubbi ed indecisi: l'uno e l'altro eran difatti fuor di strada.  16 C. MARCHESI   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 17 che volgarizzó Taddeo.La questione è importantissima;data la identità tra l'Elica e il volgare del VI libro del Tresor non resta che una questione di priorità:0 Brunetto si servi di Taddeo, o Taddeo di Brunetto ; vale a dire,o maestro Taddeo volgarizzo il VI libro del Tresor, il quale ebbe così tradizione e fortuna isolata da tutto il resto del volgarizzamento, ch'è opera di Bono ; o Brunetto si servi per il suo Compendio francese del volgare di Taddeo,che fu introdotto però intatto nel Tesoro, in luogo di un volgarizzamento diretto dal francese. Nel Convito di Dante è unpasso che spinge molto avanti la questione: Tratt.I,cap.10:«La gelosia dell'amico fa l'uomo «sollecitoalungaprovvedenza:ondepensandocheperlode < siderio di intendere queste Canzoni alcuno inletterato avrebbe «fatto il comento latino trasmutare in volgare,e temendo che 'l « volgare non fosse stato posto per alcuno che l'avesse laido « fatto parere, come fece quelli che trasmutò il latino del «l'Etica,ciò fu Taddeo Ippocratista,provvididiponere «lui,fidandomi di me più che d'un altro».IlSundby,che vuole ad ogni costo ritenere di Bono tutto il volgarizzamento del Tresor,se ne sbriga assai piacevolmente: « Nel caso adunque « che il passo succitato del Convilo fosse esatto in tutte le sue « parti, la cosa sarebbe chiarissima : la traduzione di Taddeo « dovrebbe essere affatto diversa di quella di cui noi ci occu « piamo,e questa si dovrebbe attribuire a Bono Giamboni » (1). E non ci sarebbe niente da dire; resterebbe però fin ora da spiegare,se non altro,la tradizione manoscritta che,laddove non tace,dà il nome del volgarizzatore:Taddeo,accordandosi col passo di Dante ; e d'altra parte non sarebbe lecito trascurare quegl'indizi che non danno certamente più come sicura l'unità delvolgarizzamentodiBono.Nedevefareombra l'appellativo di « laido » dato da Dante al volgare di Taddeo, giacchè per C. MARCHESI.  ( 1 ) O p . c i t ., p . 1 4 2 . 2   certo questo non è il modello migliore di prosa trecentistica, e la opinione del Nannucci (1),di cui si fa forte il Sundby,può ri tenersi giustificata da un sistema di ammirazione proprio della fede e dell'entusiasmo delle generazioni passate per tutti i do cumenti letterarî del nostro trecento. Tutto dunque ci fa credere che il volgarizzatore sia maestro Taddeo : 1 ) Esiste una sola Etica volgare in tutti i codici; 2 )i codici che portano il nome del volgarizzatore l'attribuiscono a m a e s t r o T a d d e o ; 3 ) l a d i c h i a r a z i o n e e s p l i c i t a d i D a n t e , il q u a l e ha l'aria di parlarne come dell'unico,comunemente noto,vol. garizzamento ch'esistesse a suo tempo dell'Etica latina. kesta anche esclusa la prima congettura,che Taddeo volgarizzasse il francese di Brunetto ; Dante ce lo dice esplicitamente : « colui « che trasmutó lo latino dell'Etica ». Del resto, a prescinder da altriargomenti principaliedecisivi,ch'esporremosubito,ilcom: pendio volgare dell'Etica non può ritenersi come volgarizzamento del VI libro del Tresor per le frequenti differenze, non solo di forma ma di sostanza,che presenta rispetto al testo francese: e sono omissioni o aggiunte di pensieri,di esempi,di considera zioni, ampliamenti o riduzioni di concetti : e tutto questo non può ammettersi nella traduzione di un'opera,a meno che il traduttore non abbia voluto rimaneggiare per conto suo l'ori ginale. Dunque Taddeo volgarizzò e compendio da una delle redazioni l a t i n e d e l t e s t o a r i s t o t e l i c o , l a q u a l e e r a n o t a a l l o r a s o t t o il n o m e di Liber Ethicorum , nome ch'è anche particolarmente proprio di un'altra redazione latina della Nicomachea, letterale e molto o s c u r a , c u i il c o m m e n t o t o m i s t i c o a v e a s p i n t o a l l o r a a l l a m a s s i m a diffusione. Dal testo tomistico difatti il Sundby ( 2) fa derivare il compendio francese e volgare dell'Elica,e pone iraffronti;ve dremo appresso come il critico danese si sia messo su una falsa (1)Manuale della lett.italiana,vol.I,p.382. IlN. trova anzi l'Etica «adorna di molta purezza e semplicità di stile».  18 C. MARCHESI (2) Op. cit., pp. 144 sgg.   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 19 strada.Ad ogni modo che Taddeo abbia tradotto direttamente dal Jatino ci è confermato dal confronto tra l'Etica volgare e il Liber Ethicorum da cui dipende; se avessimo scarsezza di argomenti o mancanza di prove sicure potremmo anche valerci delle soscri zioni di taluni codici dell'Etica e del Tesoro che indicano il nostro volgarizzamento come Elhica Aristotilis e più spesso Liber Ethi corum ,facendoci sospettare lasua provenienza dal testo latino. Di maestro Taddeo i codici (4. y.) ci dicono soltanto che su « florentino » e Dante aggiunge ch'ei fu medico, « Ippocratista ». Di un Taddeo, d'Alderotto, fiorentino, « fisico massimo », scrisse, con la solita ingenuità,una breve vita Filippo Villani (1),il quale ce lo descrive di parenti oscuri, poverissimo, dedito ai mestieri più vili, e « col cerebro oppilato e tenebroso » fino ai trent'anni (2). Passati gli anni trenta « si consumarono quegli «umori grossi»;Taddeo divenne un altro uomo e rivelòilsuo ingegno dedicandosi allo studio delle arti liberali,della filosofia e per ultimo della medicina,che insegnò pubblicamente a Bo logna. Dice il Villani : « Fu costui de' primi infra' moderni che adimostrò le segretissime cose dell'arti nascoste sotto i detti « degli autori, e la spinosa terra e inculta solcando all'ottimo « futuro seme apparecchiò. Questi, sprezzati alcun tempo i so pravvegnenti guadagni,cupido di gloria e d'onore,si dette a « commentare gli autori di medicina. Nella qual cosa fu di tanta «autorità,che quello ch'egli scrisse è tenuto per ordinarie achiose,lequali furono postene'principali libridimedicina. « E fu in quell'arte di tanta reputazione, quanto nelle civili « leggi fu Accorso, al quale egli fu contemporaneo ». Il Villani ci riferisce inoltre un aneddoto molto curioso, riportato poi dal (1) Le Vite d'uomini illustri Fiorentini,colle annotazioni del co.G. M a z zucbelli,Firenze, 1847,pp.27-28. (2) Il Biscioni, in una nota sopra Taddeo, inserita nelle Prose di Dante e del Boccaccio, Firenze, 1723, vuol dimostrare che Taddeo era di famiglia cittadinesca,che possedeva effetti stabilieche prese per moglie una de'Ri goletti, il cui padre aveva il titolo di dominus, che in quei tempi si con cedevasoltantoa cavalieri.Cfr.notadelMazzuchelli,Op.cit.,p.98.    20 C. MARCHESI Negri (1) e dal Fabricio (2), intorno agli eccessivi compensi che Taddeo « tenuto come un altro Ippocrate da'Signori d'Italia in « fermi » (3), esigeva per le sue visite giornaliere ; e ci narra che chiamato a Roma dal pontefice,Onorio IV,richiese cento ducati d'oro al giorno; invece,dopo la guarigione del pontefice, n'ebbe in compenso diecimila (4).Il Villani non ci dà alcun cenno cronologico;dice solo che fu seppellito a Bologna d'anni ottanta.Giovanni Villani (Storie, VIII,cap.65),seguito dal Fa. bricio, dal Poccianti e dal Cinelli, pone l'anno della morte nel 1303;l'Alidosi sostiene invece che Taddeo morisse nel 1299,il Biscioni nel 1296 (5) e il Negri (6), per approssimazione, nella fine del sec.XIII.Delle opere di Taddeo ci attesta il Mazzu chelli (7) ch'esiste una raccolta a stampa col titolo « Expositiones «inarduumAphorismorumHippocratisvolumen.Indivinum « Prognosticorum Hippocratis librum . In praeclarum regi. a minis acutorum Hippocratis opus. In subtilissimum Iohan «nitiiIsagogarum libellumIohan.Bapt.Nicollini Salodiensis aoperainlucememissae.Venetis,apudLuc.Antonium Iuntam, «1527».Scrisseancheinci.Galeniartemparvam commen taria, Neapoli, 1522. Il Mazzuchelli, che attribuisce anch'egli a Taddeo la traduzione in volgare dell'Elica d'Aristotile,aggiunge che nella libreria dei pp.Minori Osservanti in Cesena si con serva un ms.intitolato Magistri Taddei Glossae in Galenum, eiusdem Aphorismata.Di maestro Taddeo si conservano in al cuni codici (8) parecchi trattatelli medicinali e fra questi è par (1)Istoria degli Scrittori Fiorentini,Ferrara,1722,p.508. (2)Biblioth.latinamediae etinfimaeaetatis,Patavii,1754,t.VI,p.221. (3)Notissimo anche un distico del Verino (de illustr.urbis Florent., lib.I)su Taddeo:«Est quoque Thadaei celeberrima fama,non alter For « sitan in medica reperitur ditior arte ». (4) A proposito di questo aneddoto vedi la erudita nota del Mazzuchelli, Op.cit.,pp.98 sgg.  (5)Cfr.Mazzuchelli,Op.cit.,pp.99 sgg. (6) Op. cit., loc. cit. (7) Op.cit.,p.98. (8)Biblioteca Angelica (Roma),1376 a c.321: Thaddaei de florentia   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 21 ticolarmente diffuso un libellus de seruanda sanitate o libellu's conseruandae sanitatis, dedicato a Corso Donati (1). Fra i m a noscritti che lo comprendono è di speciale importanza l'Ambro. siano J. 108 sup.,del sec.XIII (2),per una nota posta in principio, d i m a n o d e l l o s t e s s o c o p i s t a c h e t r a s c r i s s e t u t t o il c o d i c e : « I s t e « libellus |scriptus et compositus per probissimum et prudentis « simum uirum dominum magistrum Taddeum de Flor. doctorem « in arte medicine in ciuitate bononie | transmissus nobili militi « domino Curso donati de florentia », È notevole anche il proemio del trattato medicinale:« Quoniam passibilis et mutabilis a existit humani corporis conditio, complexionem et consisten « tiam quam a principio sue originis homo habuit non seruando, « necessarium extitit artem et scientiam inuenire,per quam in « sanitate et natura et corpus hominis conseruetur, motus igitur « precibus et amore cuiusdam mei amici,multa mihi dilectionis «teneritate coniuncti nec non pro utilitate aliorum hominum, « more uiuentium bestiarum ad conseruationem sanitatis et uite « in humanis corporibus libellum medicinalem inuenire disposui « de libris et dictis philosophorum breuiter compilatum ». Da queste ultime parole risulta ancor meglio l'identità ch'è tra l'autore del libellus, studioso sfruttatore e compendiatore di m a teria filosofica e l'autore del nostro compendio volgare dell'Etica. Il trattato di Taddeo,molto curioso,contiene quei precetti igienici che bisognerebbe osservare fin dal principio della giornata in torno alle abluzioni del capo,all'igiene della bocca,dello stomaco, libellus medicinalis ; 1506, c. 46t : Magistri Thaddaei de florentia de r e giminesanitatis;1489,c.160:Curacrepotorummagni Tadeiabeocom posita. (1)Riccardiana,1246;Magliabechiana,cl.21,cod.62;141. (2)Membran.a due colonne;contiene:19) Vegetii de re militari libri; 29) Isiderus de bellis; a c.31a segue la notissima epistola de cura et modo rei familiaris di Bernardo,al gratioso militi et felici domino Raimundo domino CastriAmbrosii;a c.32asegue iltrattatodiTaddeo.Ilcod.consta d i c c . 3 5 n . n u m ., l a c . 3 4 * e 3 5 a v u o t e . Q u e s t o c o d . s i t r o v a l e g a t o a s s i e m e con un altro membr.dello stesso formato,di cc.19 scritte perdisteso,con tenente i Saturnali di Macrobio.    22 C. MARCHESI de'cibi,delle bevande,della digestione,del sonno;sulle condi zioni del corpo umano durante le diverse stagioni e quindi sulla igiene delle stagioni. Segue a dire della efficacia terapeutica, molto larga,dialcune pillole,da prendersi avanti o anche dopo ilcibo,compostedaun«frateRobertodeAlamania»conuna quantità di sostanze vegetali e aromatiche. La parte trascritta nel cod.Ambros.finisce con la ricetta adatta «ad faciendum «cristerepropassioneyliaca». QuestoTaddeofamosissimo medicodelsuotempoedanchepoeta(1),autoredicommentari e di trattati, insegnante l'arte della medicina nell'Accademia di Bologna,fualtresìquellochetradussedallatinoinvolgare il compendio dell'Etica aristotelica. E veniamo al VI libro del Tresor. È noto ed è stato detto da tutti gli editori e gli studiosi del Tresor, ch'esso risulta da m o l teplici e varie compilazioni fatte in diverso tempo da Brunetto, su scrittori specialmente latini; poi riassunte e combinate nel compendio enciclopedico francese del maestro di Dante. Lo C h a baille anzi afferma che Brunetto avea preludiato alla compila zione del Tresor con opuscoli separati in prosa e in verso, fra cui l'Elica d'Aristotile,ch'egli dunque suppone,come parecchi altri,compendiata e volgarizzata da Brunetto Latini,prima della compilazione del Tresor (2). Ma su ciò non vale la pena discu tere,giacchè sarebbe combattere contro imulini a vento. ( 1 ) M a g l i a b e c h ., c l . X V I , c o d . 7 5 , T a d a e i m a g i s t r i d e F l o r e n t i a C a r m i n a . (2) Op. cit., Introd., p. vi.  Riferiamo un passostesso di Brunetto:Liv.I,cap.I:«Il « (cist livres) est autressi comme une bresche de miel cueillie « de diverses flors; car cist livres est compilés seulement de « mervilleus diz des autors qui devant nostre tens ont traitié « de philosophie, chascuns selonc ce qu'il en savoit partie ; car « toute ne la pueent savoir home terrien, porce que philosophie « est la racine d'où croissent toutes les sciences que home peut   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 23 « savoir ». Egli dunque non dice di essersi limitato a raccogliere e tradurre scritti latini soltanto; e si deve intendere anche di volgari. Fra questi è il compendio dell'Etica di maestro Taddeo che Brunetto, valendosi anche di raffronti continui con il testo latino originale,trasporto nel VI libro del suo Tresor. Allo Zannoni, il quale riteneva che Taddeo avesse tradotto Aristotile di latino in italiano e che Brunetto poscia voltasse il testo di Taddeo in francese (1), il Sundby opponeva le parole di Brunetto, che nel Prologo della seconda parte (il VI libro del Tesoro volgare)dichiara di tradurre il libro d'Aristotile de latin en romans (2).Per venire in aiuto di quanto abbiamo asserito non è necessario ricorrere alla sottile nota del Paitoni (3),ilquale sosteneva che il volgare italiano si chiamava anche « latino » ; giacchè essendosi Brunetto servito non solo del volgare di Taddeo, ma anche,come vedremo,della redazione originale latina,anzi avendo acconciato e rifatto in molti punti il volgare in base al t e s t o l a t i n o , è c h i a r o c o m e a b b i a p o t u t o d i r e d ' a v e r t r a t t o il s u o compendio dal latino,che del resto è anche l'originale dell'Etica diTaddeo. E poniamo lenostreconclusioni.Ilcompendiovolgaredell'Etica è la traduzione che maestro Taddeo fece di una delle redazioni latine del testoaristotelico,laquale ci è rimasta.La traduzione è in gran parte fedele al contenuto, nella forma è condotta al quanto liberamente: spesso il traduttore compendia la materia, d'altra parte allarga sempre la frase o il concetto e diluisce nel volgare il testo latino per bisogno di ripetizioni o di esempi o di ampliamenti,servendosi,come fa in principio,di qualche altro rifacimento o aggiungendo delle dichiarazioni proprie.Taddeo non è un traduttore letterale che si preoccupi della frase e voglia mantenersi fedele alla parola o al tenore dell'esposizione; egli (2) I codici del Tesoro traducono « di latino in uolgare », ovvero « di « latino in romanzo » o « di gramaticha in uolgare ».  (1)Op.cit.,c.s. ( 3 ) O p . c i t ., c . s .   è solo un interprete occupato del contenuto che pur vuole p a recchie volte acconciare dal lato espositivo nella maniera più rispondente, secondo lui, a'bisogni della chiarezza e della s e m plicità.È l'originale una traduzione latina,già compiuta nel l'anno 1243 o 44 (1), di un compendio alessandrino-arabo della Nicomachea,elementarissimo,semplice e piano,ridottoa una esposizione riassuntiva molto breve, e talvolta anche efficace, nonostante l'incertezza e la poca fedeltà di talune espressioni. Molti luoghi fondamentali, anzi diciam pure tutte le parti più notevoli per gravità e serietà di enunciati,per difficoltà di contenuto critico, vengono senz'altro omesse interamente, o ri dotte alla loro ultima e più semplice espressione. Cosi, per dare qualche esempio , nel 1° libro è saltato il passo importante al principio del cap.3,in cui Aristotile nega la possibilità diotte. nere una precisione assoluta nei giudizi e pone la necessità del giudizio per approssimazione ; altra omissione considerevole è quella della prima metà del cap.4,in cui Aristotile passa alla definizione del supremo de beni, alla critica del concetto di fe licità, e si accinge a discutere la dottrina platonica del bene assoluto; è tralasciata pure tutta la confutazione della dottrina platonica delle idee (cap.VI) e l'astrusa enunciazione fondamen tale dell'Eudaluovía aristotelica considerata come bene vero ed assoluto che comprende in sè, unificandoli, tutti gli altri beni necessari all'autarchia della vita ; e della seguente trattazione intorno a'principii (cap. VII) non è alcun cenno nel compendio . Dei brani accolti tuttavia è vero e proprio ampliamento. Ad ogni modo il testo si prestava benissimo all'intelligenza comune per l'intendimento più facile e semplice e la forma più piana che non l'oscurissimo Liber Ethicorum del commento tomistico. (1)Questo compendio fu conosciuto prima dal Jourdain (Op.cit.,p.144) in un codice,no 1771,della Sorbona; e più tardi dal Luquet (Hermann l'Allemand, in Revue de l'histoire des Religions, Paris, 1901, t.44,p.410) in due mss. della Biblioteca Nazionale : il n ° 12954, che pone la data della versionenel1244,eilno16581cheèforselostessovedutodalJourdain.  24 C. MARCHESI   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 25 Come compendio poteva anzi dirsi ben riuscito;giacché per ri durre allora in più brevi proporzioni l'Elica nicomachea, ch'è da per sè una condensazione poderosa delle norme logiche e de principi esposti nell'Organo, bisognava appunto sfrondarla di tutti i luoghi più ardui 'a spiegarsi e a comprendersi senza l'aiuto di richiami e di collegamenti, e semplificarne e chiarirne il contenuto eliminando la rassegna delle opinioni e la parte critica, sopprimendo le divisioni minori, togliendo il carico degli argomenti favorevoli o 'contrarî ad ogni problema e riducendo questo alla sua più semplice ed elementare espressione.Ilcom pendio arabo latinizzato era dunque il testo etico aristotelico di moda piùrecente.Essocièrimasto,sottoilnome diLiber Ethico r u m , i n u n c o d i c e L a u r e n z i a n o , g i à G a d d i a n o ( P l u t . 8 9 i n f ., 4 1 ) membr.in fol.del sec.XIII,a due colonne,di cc.scr.219,miscell. enontuttodiunamano;contiene:1)unaCronicadianonimo; 2)laHistoria troiana di Darete frigio,premessa un'epistola:Cor nelius Nepos Sallustio Crispo suo salutem ; 3) Graphia aureae urbisRomaeseuantiquitatesurbisRomae dianonimo;4)Eu tropii historia romanae Ciuitatis dilatata a Paullo Diacono : 5) Liber Alexandri regis ; 6) un'epistola di Alessandro ad Aristo tile intorno alle regioni e alle cose notevoli delle Indie ; 7) Liber Sibyllae, di Beda ; 8) un'epistola dell'abate Ioachim ; 9) un'ora zionediSenecaaNerone;10)iLibrideremilitaridiVegezio; 11)ilLiberEthicorum,d'Aristotile:vadac.131ac.142;la materia è distribuita in ventidue capitoli indicati dalla iniziale colorata;manca ognialtradivisione.Com.:Incipitliberprimus Ethicorum .R.;allafine:Incipiamus ergoetdicamus.Explicit prima pars nichomachie Ar.que se habet per modum theo rice et restat secunda pars que se habet per modum pratice. Et est expleta eius translatio ex arabico in latinum . Anno incarnationis uerbi M. CC.XLIII.Octaua die Aprilis. La soscrizione, importantissima per la storia di questa reda zione,è di mano dello stesso copista,scritta con lo stesso in chiostro e coi medesimi caratteri di tutto il testo aristotelico. Seguono di mano più recente e in carattere minuto alcune cita    zioni dell'andria e dall'Eunuco di Terenzio.La lezione dell'Etica verso la fine è molto incerta e in taluni punti a dirittura insa nabile. Dopo il Liber Elhicorum vengono le orazioni catilinarie e iltrattato de Senectute,l'orazione di Sallustio contro Cicerone, l'invettiva di Cicerone contro Sallustio, le orazioni pro Marcello , pro Ligario,proDeiotaro,ilibride Officiis,iParadoxa,epoi la Catilinaria e il Giugurtino di Sallustio; seguono, di mano del sec.XIV,alcune bolle di papa Bonifacio VIII. La versione dell'Etica, compiuta nel 1243, si deve con molta probabilità attribuire ad Ermanno ilTedesco (Hermannus Alemannus),il quale trovandosi in quel tempo nella Spagna,a Toledo,aveva due anni prima (nel 1241) ridotto in latino il commento di Averroè alla Nicomachea,e più tardi nel 1256 compi la versione di altri due testi arabi di Averroè relativi alla poetica e alla retorica d'Aristotile. La traduzione di Taddeo,che dovette essere di poco,meno di un ventennio, posteriore, corse ed ebbe fortuna e divulgazione ; ce lo attesta il buon numero di codici, l'uso che ne fece Brunetto, la dichiarazione di Dante che ne parla come di cosa comune mente nota,egli che molte espressioni del volgare di Taddeo ricorda nella sua Commedia . Brunetto Latini più tardi si accinse a svolgere nella parte morale del suo Tresor la dottrina etica di Aristotile. Egli si servi del volgare di Taddeo,ma prese anche i n m a n o il t e s t o l a t i n o : c e l o d i m o s t r a n o l e a g g i u n t e e l e m o dificazioni introdotte, che corrispondono in tutto con il Liber Ethicorum ; qualche altra volta ridusse il volgare di Taddeo e quindi con esso anche il latino della redazione araba. Nessuno vorrà certo ancora dubitare che l'Etica di Taddeo sia tratta dal compendio francese di Brunetto, rivendicando a questo la priorità; giacche,pur volendo saltare sul passo di Dante, sulla particolare designazione de'codici,sulla tradizione isolata dell'Elica volgare,rimane sempre una barriera dinanzi a cui bisogna fermarsi:la materia de'due Compendî.La dipendenza diretta dell'Elica dal testo latino ci è fra l'altro attestata dalle numerose espressioni latine trasportate di peso,quando corrispon  26 C. MARCHESI   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 27 dano nel lessico volgare, nel compendio di Taddeo; mentre Brunetto è costretto tante volte a tradurre dirersamente,m u tando la dizione, e dall'Elica e dal Liber Ethicorum . D'altra parte poi nell'Etica molte cose ci sono che mancano nel com pendio franceseeche pur dipendono dal testo latino.Un'ultima prova : tutti i codici dell'Elica e del Tesoro si chiudono allo stesso modo, con le stesse parole, e la chiusa non corrisponde al testo francese. Brunetto va più in là di Taddeo : egli include nel suo compendio tutta la fine del rifacimento latino. Se si do. vesse considerar l'Etica come un volgarizzamento del libro VI del Tresor,anzi che come un compendio indipendente,non si spiegherebbe più quella ostinata lacuna e quella costante diver genza alla fine. Solo cinque codici dell'Elica, di trascrizione al quanto tarda, seguono volgarizzando l'opera di Brunetto : i tre c o d i c i M a r c i a n i e i c o d d . 9 e A m b r o s . C 2 1 . i n f ., i q u a l i r i v e l a n o molto chiaramente l'influenza del testo francese. In essi il brano finale è volgarizzato in modo del tutto differente; ciò è na turale: giacchè nessun codice dell'Etica e del Tesoro dava quella parte del testo francese, i trascrittori, che tennero l'occhio al Tresor , dovettero pensare , ciascuno per conto proprio, a volgarizzarla.Anzi il Marciano II, 134 contiene tutto quanto ilcompendio di Taddeo,compreso ilbrano finale rias suntivo,che non si trova invece negli altri codici dell'Etica o del Tesoro iquali proseguono col testo francese sino alla fine; e questa nel Marc.II,134 ci appare evidentemente come una sovrapposizione voluta dal trascrittore. Naturalmente tutti i giudizi e i sospetti di ampliamenti, di aggiunte, di mutamenti arbitrarî del volgarizzatore, di sbagli continuati degli amanuensi, agitati dagli editori del Tesoro, ca dono innanzi all'entità e al valore storico diverso dei due com pendi, volgare e francese. E data la priorità del volgare, cadono anche meschinamente tutti i tentativi di emendazione apportati dagli editori alla lezione del VI libro in base al testo francese (1).  (1) Nel Propugnatore (1874, pp. 105 sgg.) il Gaiter, che accudiva allora   Quale dei due traduttori,in fine,abbia merito maggiore non possiam dire.Taddeo ha ilmerito della priorità;Brunetto che lavoròappresso a lui è più fineecompleto,e poi anche ilfran cese si prestava allora molto meglio del volgare italico.Taddeo qualche volta amplia o riduce la materia, Brunetto si richiama al testo.Siamo nel periodo de compendi e dell'enciclopedia. U n compendio fatto è fatica risparmiata al maestro che deve dire le«chose universali».Brunetto,che aveva intelligenza fine, trasse il compendio italico alla lingua di Francia e l'incluse n e l l'opera sua e ne colmo le lacune e ne affino i contorni e lo ripuli di fronte al testo latino,da cui egli pompeggiandosi dicea di aver tratto la parte morale del Tresor. E non fa cenno di Taddeo : egliaccoglie,corregge,assimila;d'altraparteètuttauna let teratura e una divulgazione anonima quella che dall'ultimo m e dievo va al trecento,e i diritti di proprietà letteraria non sonoancor sorti. E poi maestro Taddeo forse non appariva degno di menzionespecialealmaestrodiDante;echisa,forse,che in questo non dobbiamo trovare indizio di una lotta accademica, svoltasi di mezzo al laicato dotto della seconda metà del dugento e nel trecento,negli Studi pubblici,tra medici inchinevoli alle lettere e letterati avversi a'medici ? C'è però da osservare che nel ritocco della materia volgare,in base al testo latino, Bru netto non va oltre qualche singola espressione o frase, trascurata o ridondante. Egli non si attenta mai a rimaneggiare e ad ac conciare la materia nel contenuto ideale, per il modo con cui le idee furono rese nel volgare o compendiate o disposte o interpretate riguardo all'originale latino.Questo dunque testi monia onorevolmente che Taddeo era allora ritenuto autorevole  28 C. MARCHESI a preparare,con l'aiuto dei mss.e del testo francese,la sua edizione del l'operadiBrunetto,inunsaggiodicorrezionialVI libro,siscagliasempre, con taluni intendimenti spiritosi,contro l'amanuense che tanto strazio avea fatto del presunto volgare di Bono ; e con l'aiuto del testo francese si affanna a correggere gli sbagli e a colmare le lacune lasciate dai trascrittori e da Bono stesso.   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 29 ed esperto intenditore del trattato aristotelico anche da un uomo per cultura famoso come ser Brunetto, sebbene al grande di scepolo di costui non apparisse ugualmente felice dicitore del volgare. Dunque Brunetto si valse del volgare di Taddeo (1), ch'ei ri. dusse e acconciò in molti punti in conformità al testo latino, come si vedrà chiaramente dal confronto che faremo. Più tardi gli amanuensi del Tesoro,al posto del VI libro,introdussero il volgare già ben noto dell'Elica, essendo ben chiara e conosciuta la dipendenza del compendio francese dall'altro volgare.Cosi resta anche spiegato il fatto che parecchi codici del Tesoro si fermano all'Etica: Il compendio di Taddeo rimaneva, rispetto al VI libro del Tesoro, originale e fondamentale ; in un volgariz zamento italico dell'opera di Brunetto esso dovea necessariamente e naturalmente tenere il posto del francese che da esso proveniva. Già anche loChabaille noto come la seconda parte del Tresor, interamente consacrata alla morale, offre «plus d'ensemble « et plus d'unitė » (2); ed anche noi durante l'esame critico dei codici abbiamo potuto osservare come appunto il VI libro non presenti quella lezione così fluttuante, incerta, caotica degli altri libri;ciò è ben chiaro:icopisti avevano un testo già da lungo tempo fissato. Con questo se abbiamo voluto rilevare la differenza che l'Etica offre, nell'incertezza minore della lezione, rispetto a'libri volga rizzati del Tesoro,non intendiamo affermare che la lezione del compendio di Taddeo siacostante e sicura.La mancanza diuna lezione rigorosamente affine nella maggior parte dei codici si deve al fatto ch'essi servivano non ad uso letterario, nel qual caso la lezione avrebbe dovuto essere molto più rigorosa,ma ad uso morale;per cui itrascrittori,quando non erano affatto (1) Così lo studio accurato della questione e la inconfutabile testimonianza del documento son venuti a confermare in parte la fortunata ipotesi dello Zannoni. (2) Op. cit., p. xv.    30 C. MARCHESI Ho già detto che gli amanuensi introdussero il compendio di Taddeo nel posto del VI libro del Tresor ; ho detto gli amanuensi e non il volgarizzatore, giacchè non mancarono alcuni (non oso affermare se Bono od altri) i quali vollero volgarizzare tutta l'opera,compreso il VI libro; ma il nuovo volgare dell'opera francese,di fronte al comunissimo compendio originale di Taddeo , rimase eclissato e restò soltanto in pochi codici quattrocentini, che ho potuto rinvenire.I codici sono due,di valore e di con tenuto diverso. 1°) Magliabechiano 21. 8. 149 cartac.del sec.X V , in 4o,di cc.53 scritte ed 8 bianche,anepigrafo.Ilcod.contiene l'Etica tratta evidentemente dal Tresor, giacchè va oltre il limite del compendio di Taddeo, e comprende la chiusa del libroVI dell'originalefrancese.A c.46'segue,senzaalcuna par ticolare indicazione, il trattato sulla « doctrina di parlare > ad Alessandro;infineac.53':ExplicitAristotilisEuthica uul garisAmen.Lalezionesimantieneperunabuonametàfedele al testo comune dell'Elica; dal cap.47 (1)sino alla fine presenta una grande ed accentuala differenza e mostra evidentemente la (1) Secondo la edizione Gaiter.  ignoranti,semplificavano dove e come volevano,buttando giù il periodo anche ridotto, che sembrasse loro di rendere in ogni modo fedelmente l'idea espressa dall'autore e di significare lo stesso concetto. Nei codici dell'Etica si trovano molte espressioni qualche volta incerte, fluttuanti dalla differenza ortografica al periodo ridotto o allargato o smembrato o dissennato, che ci testimonia da una parte della negligenza o della caparbietà di trascrittori ignorantelli,in un tempo in cui tutti quanti tenevano un crogiolo dove manipolare la pasta morale delle dottrine ari. stoteliche o supposte tali, e dall'altra parte dello stato de' testi donde copiavano,che,data lagrande diffusionedell'opera,doveano a forza portare le tracce di cancellazioni,aggiunte,modifica zioni,lasciatevi dai possessori:filone di muffa questo che ci fa tante volte scivolare il piede lungo il percorso delle trascrizioni trecentistiche di autori ritenuti catechisti o morali.   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 31 L'Etica (ediz.Manni, Li Tresors. Liv. II, Magliabech. 21. 8. pp.52sgg.).L'uomo part.I,chap.XLI.Li 149. c.33 . ch'è buono si diletta in bons hom se delite en semedesimoabbiendo soimeisme,pensantas allegrezza delle buone bones choses; autressi operazioni,eseegliè sedeliteilavecsonami, buonomoltoallegrasi cuiiltientautressicom conl'amicosuo,loquale mesoimeismes.Maisli eglitienesiccomeun mauvaishomtozjorsest altrosè;mailreofugge enpaor,ets'esloignedes dallenobiliebuoneope- bonesoevres;etseilest razioni,os'eglièmolto moltmalvais,ils'esloi reosifuggedaseme- gnedesoimeisme;car desimo,peròchequando eglistasolosièripreso da ricordamento delle maleopere,ch'egliha fatto,enonamanèse, faites,etblasmesacon. nèaltrui,perciòchela science,etporcehetil natura del bene è tutta mortificatainluinel profondo della sua ini- quità;nènonsidiletta soiettozhomes;etce avientporcequelara cine de touz biens est ilnepuetseulsdemorer, sanztristesce,porceque illiremembredesmau vaisesoevresqueila  influenza continuata del testo francese, si che c'è da pensare a unanuovaredazionesovrapposta.Riportounbranochevalga a far notare meglio le differenze e le relazioni dell'Etica di Taddeo col testo francese e il volgare del cod.Magliabechiano. mortefiéeenlui,eten son mal ne se puet de. tutto el bene è mortifi. pienamente nel male ch'eglifa,perciòchela liter plainement, car cata in lui.etnel male naturadelmalesi'ltrae toutmaintenantque il nonsipuòdilettarepie. alcontrariodellasuadi- sedelite,enunechose namente,percioche lettazione,edèdiviso malfaite,lanaturede quand'eglisidilettadi insemedesimo,eperciò son mal si l'atrait au èinperpetuafaticaed contrairedeceluidelit. quellomalesieltrae angoscia,epienod'ama- Etàcequelimauvais al contrario di quella ritudineedisozzuradi estpartizensoimeisme, dilettatione.percioche perversità.Adunquea siconvientqueilsoitl'uomoreoèdiversoet L'uomo ch'è buono si diletta in se medesimo pensando nelle buone cose, et similmente si diletta coll'amico suo, el quale egli reputa se medesimo. Ma l'uomo ch'è reo sempre sta in paura et fuggie dall'o pere buone ; et s'egli ė molto reo fuggie da se medesimo et non può stare solo sanza tristizia, impercioch'egli si ricor da delle sue rie opere, ch'egli à fatte et ripren delo la coscienza sua. Et perciò vuole male a se medesimo et ad ogni altro huomo.Et questo èperchèlaradicedi uno male, la natura di   quello cotale uomo nes- en continuel travail de in se medesimo è m e sunopuoteessereamico, penseretplainsdemolt stierechesiaincontinua per ciò che l'amico deve insemedesimo,ecompi. ne se laisse cheoir en a lei.Lo cominciamento lla possa tornare a bene. doit efforcier chamentodellainiquità lettazione,laquale l'huo piglia accrescimento gars; mais li fermes mo ba nelle femmine, per usanza di tempo. liensquitozjorsestavec alqualesiuadinanzi L'officio del confortare l'amistiéetquipointne unodiletteuolesguarda  32 C. MARCHESI sance sensible ; et ce confortamento,ma pare cede loconfortamento poonsnosveoirpar.i. essereetsomigliarsia puoteesseredettaami- homequiaimeparamors llui;maelcomincia stade per similitudine, une dame,car tout avant mento dell'amista è di infinoatantoch'ella passeunsdelitablesre scunouomosideeguar- niuno huomo può essere chosequiàamerface. amicoaquellotale,per dare ch'egli non caggia in questo pelago d'ini- sere et en itele male niuna cosa la quale sia quità,anzi si dee isfor- zare di venire a finedi mecineparcuiilpuisse seria et tale infelicità bontà,perlaqualeabbia Certes, et en itele mi- cioch'egli non ha in se aventuren'aurailjà daamare.Ettalemi. ainz se felicitade.Adunquecia. queiln'aenluinule maliceetdeiniquitéque ch'eglinonsilascica mentononèamistà,ave- l'on ne puet raembre, dereinquestoistraboc gnachè egli si somigli inordinato! Addunque dilettazione e allegrezza àbienvenir:donques nonhamairimedioche chascuns se gart que il chascunsqueilviegne etdellamalicialaquale àlafindebontépar èsanzarimedio|anzisi dell'amistà si è diletta zionesensibileavutadi- quoiilsepuissedeliter del'uomo sforzare ac nanzi,si come l'amista mento d'allegrezza colli tel tresbuchement de suoi amici.Lo conforta. Addunque ciaschuno huomo si de guardare amertume,etyvresde fatichaetpensieroetsia avere in se cosa da a- laidesceetdeperversité, pieno di molta amari mare.E questo cotale etqueilsoitdestortpar tudineetèebbrodisoz hae in se tanta miseria, misere neant ordenée. zura di peruersita, et che non è rimedio niuno Donc nus ne puet estre sia distorto per miseria ch'egli possa venire a amisdetelhome,porce en soi meisme et avec cioch'elli uengha alla d'unafemina,allaquale sonami.Confors n'est finedellabontaper la v'hadinanzidilettevoli pasamistié,jàsoitce qualeeglisipossadi guardamenti,eladiletta- que illesembleàestre: lettareinsemedesimo, zionesièlegamedell'a- mais li commencemens et hauere compimento mistà,eseguitalainse- d'amistiéestunsdeliz didilettationecolsuo parabilemente.Ladispo- rasavorez par conois- amico.L'amistà non è sizione dalla quale pro   Gli huomini rei tardo s'accordano nelle oppi nioni : et sono sanza parte d'amista, et per  IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 33 se desevre, ce est deliz. si pertiene a colui ch'à insegravezzadicostumi ed esercizio di vertude, unità d'opinione e con cordia di mettere amore, perciò che le discordie dell'openione sono da trarre dalla nobile con. gregazione,acciòch'ella rimanga unita di pace e in concordia di volon tade. Quelle cose che danno altrui vera digni. tade da reggere,sisono le uirtudi e le loro opere e l'unità dell'oppinione; e questo si truova negli uomini buoni, concios sia ch'egli sono fermi e costanti in fra loro, e nelle cose di fuori, perciocch'egli uogliono bene continuamente.Ma rade volte addiviene che gli uomini si accordino in una oppinione,eper cagione di compiere gli loro desideri si soste: gnano molta briga e molta angoscia e molta fatica, ma non per ca. gionedivertude,ehanno moltesottilitadiinseper ingannare colui,con cui hanno a fare, e perciò sempre sono in rissa e in tenzone. C. MAECHESI. 3 .Cil habiz dont pre mierementnaistlicon fors puet estre apelez amistié par semblant jusqu'à tant que il croist par longuesce de tens. Et li ofices dou confort affiert au preudome et au ferme que il soit griez en moralité de sa vie et es proesces et es costumes et toutes ver tuz, et plains de science et de bone opinion et de concorde, desirrous d'a. mor ; por ce devroient estre ostées toutes des cordes et malvais pen. sers d'entre les nobles compaignies des homes, si que il puissent vivre en pais et en concorde de propre volonté,cele chose qui plus aide à maintenir et governer les dignitez des vertus et ses oevres.Et la con corde des opinions et es bons homes,porcequ'il sont parmenant dedans soi et es choses dehors ; car toutes foiz jugent et vuelent bien. mentoellegamechenon si parte e sempre con lei et la dilettazione (sic). L'abito dal quale pro ciede confortamento si può dire amista per si. militudine infino a tanto ch'elli crescie per lungo temporale. L'ufficio del confortatore s'appartie ne a buono huomo et al fermo, el quale è graue di costumi et exercitato nelle uirtu,et essere pie toso di scienza et auere accontamento d'oppinio. ni, et concordia intro ducta d'amore (sic),per. ciò che le discordie delle oppinioni sono per disfa re le diuisioni dell'opere le quali sono nella nobile congregazione in con cordia di uolontà .Quella cosa la quale aiuta reg. giereladignitàelavirtu et l'opere delle uirtu.et concordiadelleoppinioni si truoua negli huomini buoni et costanti intra se et nel desiderio delle cose di fuori, percio che perano bene et uogliono Limauvaishomepo bene. s'acordent à lor opinion ; car il n'ont en amistie nulepart,etporacom plir lor desirriers suef questi cotali sempre ado   frentilmaintespoines chagionedicompierele etmainttravailconmie leloroconchupiscienzie poramistié;etsontes eglisostengonomolte mauvaishommesmain- faticheetmoltitraua tes mauvaises soutil- gli:. per chagione d'a lancesporengigniercels mista, et molti scaltri quiàelsontàfaire,et mentietmoltesottilita. porcesontiltouzjors Etsonohuominireiper enpaineetenangoisse. chagione d'ingannare L'altro codice, che ci presenta una redazione affatto nuova e dipendente in tutto direttamente dal testo francese, è il Maglia bechiano II.II.47 (vecch.segn.VIII.1376),cartac.delsec.XV, a due colonne,di cc.scr.160 ; con le didascalie in rosso e rozzo disegno a colore nella prima iniziale e ne'margini della prima pagina.Contiene il Tesoro;precede un indice della materia:a c.5*:QuestolibrosichiamailTesoroilqualeèchauatoper lo maestro Burneto Latino di firenze di piu libri di filosofia che sono strati per li tempi; a c.59a : Qui comincia l'eticha di Aristotille; finisce l'Etica a c.76*: Qui finisce illibro dell'eticha d'Aristotille. La soscrizione finale a carta 160 4: Qui finisce il libro del Tesoro che fece il maestro bruneto Latino di firenze. dio ne sia lodato.La lezione offertaci dal ms.Mgl.è infelicis sima e costellata di sbagli, di contorcimenti e travisamenti di parola che pare non si possano attribuire tutti quanti al copista : il volgarizzatore in molti punti dà a vedere di essere poco felice conoscitore del volgare come poco esatto intenditore del francese.Molte espressioni francesi o sono adattate malamente all'idioma italico o lasciate intatte a dirittura e trasportate di peso nel volgarizzamento. Ma ciò vedrà il lettore nel con fronto che poniamo tra il testo del Liber Elhicorum e l'Elica di  34 C. MARCHESI coloro ch'anno a fare con loro.per cio sempre sono in brigha et in a n goscia.   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 35 Taddeo (1) col compendio francese di Brunetto e il volgare del VI libro del Tresor ; confronto da cui balza fuori un docu mento largo e complesso,vivo e certo della tradizione morale aristotelica, nel tempo in cui visse e conobbe e compose Dante A lighieri. (1) Dell'Etica di Taddeo do la lezionecritica,quale risulta da'codici più autorevoli dell'Etica e del Tesoro,diversa quindi da quella offertaci dalle stampe che si son succedute fin ora.     Liber Ethicorum . L'Etica d'Aristotile. Omnis ars et omnis incessus et Ogni arte e ogni dottrina e ogni omnissollicitudouelpropositumet operazioneeognielezionepareado quelibetactionumetomniselectio mandarealcunbene.Adunquebene ad bonum aliquod tendere uidetur. dissero li filosofi, che lo bene si è Optime ergo diffinierunt bonum di. quello lo quale disiderano tutte le centesquodipsumestquodintenditur cose.Secondodiverseartisonodiversi exmodisomnibus.Suntautemin- fini;chesonotalifinichesonoope tentaperartesmultasdiuersa.Que- razioniesonotalifinichenonsono damenimsuntactioipsametetque- operazioni,maseguitansialleopera damsuntipsumactum.Cumquesint zioni.Conciosiachosachesianomolte artes ac ipsarum actiones multe, artiemolteoperazioni,ciascunahae eruntintentaperipsasmulta.Ac losuofine.Verbigrazia:lamedicina tamenactuminipsisexistitmelius sihaeunsuofine,cioèfaresanitade, actione.Estigiturintentumperme- el'artedellacavallerialaqualein dicinamsanitasetperartemregiti- segnacombattere,sihaunsuofine uamuelredactiuamexercituumuic- perloqualeellaètrovata,cioèvit toriaetpernauium structiuam naui- toria,elascienzadifarelenavi,si gatioetperdomusrectiuamdiuitie; haeunaltrofinecioènavicare;ela etistasuntactahonorabilia.Que- scienzacheinsegnareggerelacasa damautemartiumhabentsehabi- suaelafamigliasuahaeunaltro tudinegenerumetquedamhabitu- fine,cioèricchezza.Sonoalquante dinespecierumetquedamhabitudine artilequalisonogeneraliesono indiuiduorum.Ideoque quedam ipsa. alquantelequalisonospecialiecon rum sunt sub aliis, ut sub militari factura frenorum et cetere artium instrumentorum militarium , et sub tengonsi sottoquelle.Verbigrazia:la scienzadellacavalleria siègenerale, sotto la quale si contengono altre arteexercitualicetereomnesbellice scienzeparticolari,siccomeèlascienza siuelitigatorie.Etsimpliciterhono- difarelifrenieleselleelespadee rabilissimaomniumartiumestcon- tuttel'altre,lequaliinsegnanofare stitutiuaetinstructiuaceterarum(1). cose,lequalisonomistieriabatta Etquemadmodum quibusque rebus glia;equesteartiuniversalisonopiù anaturaproductisestperfectioquam degneepiùonorevilidiquelle,im. persenaturaintendit,etintellegibi. perciocchèleparticolarisonfatteper libusestperfectioquamintenditper l'universali(1).Esiccomenellecose (1) In tutto il principio del compendio di Taddeo, e quindi anche del testo francese, si sente l'influenza diretta dell'altra redazione del Liber Ethicorum , che servì di base al commento di S. Tommaso. Ecco il latino di quest'altra redazione: « Omnis ars et omnis doctrina, similiter « autem et actus et electio, bonum quoddam appetere uidentur. Ideo bene enunciauerunt bonum ,  36 C. MARCHESI   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 37 beržalglio per suo adirizamento,tutto   Tutte arti e tutte opere e tutte in. Tous ars et toutes doctrines et tramesse sono per chiedere alcuno touteseuvresettouztriemenzsont bene.Dunquedissebeneilfilosafo porquerreaucunbien,donquesdis- chequeglichetuttelecosedeside trentbienliphilosophequeceque rano è ilbene.Secondo le diuerse touteschosesdesirrentestlebien. (arti)sonolefinidiverse.Chetalifini Seloncdiversars,lesfinssont di. sonoopere,talisonoch'esconodel verses;cartelesfinssonteneuvres, l'opere.Eperciochemoltesonol'arti ettelessontcelesquel'onensuitpar el'opereciascuna à suo fine.Che medicina ae una fine cioè a fare lesarsetlesoevres,chascune a sa santade.Elafinedelabatalgliasi fin;carmedicineaunefin,ceest ènetoria,el'artedifarenauià àfairesanté;etbatailleasafin, unaltrofine,cioènauichare.Ela les oevres ; et porce que maintes sont porquoielefutrovée,ceestvictoire; scienzacheinsengnaagouernarea et les ars de faire neis ont une autre l'uomo sua magione e sua familglia fin,ceestnagier;etlasciencequi àun'altrafinecioèricchezza.Etsono enseigneàhomeàgovernersamaison alcuneartichesonogieneralieal etsamaisnieauneautrefin,ceest cunechesonospezialli,cioèpersua richesce.Etsontaucunesarsquisont diuisione,eperòsonol'unasottol'al generaus,etaucunesquisontespe- trasicomelascienzadichaualleria ciaus,c'estparticuleres,etaucunes ch'ègienerale,edisottoaquella sontsarzdevision;etporcesont sonopiùaltrescienzepartichullari, lesunessouzlesautres;sicomme cioèlascienzadifarefrenieselle estlasciencedechevalerie,quiest espadeetuttel'altrecosecheinse generaus,etdesozlisontautres gnanoafarecosecheabattalglia sciencesparticuleres,ceestlascience bisongnano. de faire frains et seles et espées, et E l'arti universalli sono più dengne toutesautresarsquienseignentà epiùonoreuolichel'altre,percio fairechosesquiàbataillebesoignent. chelleparticullarisonotrouatteper Etcistartuniversalesontplusdigne leuniversali.Ecosìtuttelechose queliautre,porcequelesparticu. chesonofattepernaturaèunadi leressont troveesparlesuniversales. retana cosa per a che la natura in Ettoutaussicommeenchosesqui tendefinalmente.Altresituttelecose sontfaitesparnatureestunedar- chesonofatteperartièunafinale reinechoseàquoilanatureentent cosaachesonoordinatetuttelecose finelment,autressieschosesquisont diquellaarte.Esicomecoluiche faites par art est une finel chose à Li Tresors. Livre II, Part. I, Magliabech.1.1.47.c.59 sq. chap.III. quoi sont ordenées trestoutes les trae di sua arte a uno sengnio à uno   38 C. MARCHESI « quod omnia appetunt. Differentia uero quaedam uidetur finiam. Hi quidem enim sunt opera «tiones;hiueropraeterhasoperaquaedam.Quorum autemsuntfinesquidampraeteroperationes, « in his meliora existunt operationibus opera. Multis autem operationibus entibus et artibus et doctrinis,multi sunt et fines.Medicinalis quidem enim sanitas,nanifactiue uero nauigatio, •yconomicae uero diuitiae.Quaecumque autem sunt talium sub una quadam uirtute,quemad «modum sub equestrifrenifactiuaetquaecumque aliaeequestriuminstrumentorumsunt:haec « autem et omnis bellica operatio sub militari ; secundum eundem itaque modum aliae sub alteris. • In omnibus itaque architectonicarum fines omnibus sunt desiderabiliores his quae sunt sub ipsis. « Horum enim gratia et illa prosequuntur . (1) Quest'esempio, che manca nella nostra redazione latina, è tratto dal Liber Ethicorum del commentotomistico:«Igituretaduitamcognitioeiusmagnum habetincrementum,etquemad. • modum sagittatores signum habentes... »  seintellectus,eodem modorebusef. fattepernaturaèunoultimointen fectisabarteestperfectioquam per seintenditartificiumhumanum.Hac finalmente,cosìnellecosefatteper autemperfectioestbonumadquod arteèunointendimentofinale,al intenditur, et est optimum eorum que queruntur propter ipsum et di quelle arti; siccome l'uomo che ipsiuscausa.Scientiaigituristiusest saettahalosegnopersuodirizza scientiadiuinamaximiexistensiuua. mento(1),coşiciascunaartehae menti in uitaetconuersatione hu. unsuofinaleintendimento,loquale mana.Habentesigiturintentionem dirizzalesueoperazioni.Adunqua acpropositumdignum ualdeestut l'artecivile,laqualeinsegnareggere inueniamusinquisitioneremqueest lacittade,éprincipaleesovranadi perfectiouoluntatis.Arsigiturdi. tuttealtrearti,perciocchèsottolei rectiuaciuitatumprincepsestartium, sicontegnonomoltealtrearti,lequali eoquodsubhaccontinenturresho. sonoonorevili,siccomelascienzadi norabilesualideconsistentie;utpote farel'osteedireggerelafamiglia, arsexercitualisetarsfamiliedo- elarettoricaèanchenobile,percio mus dispensatiua ac rethorica,et ch'ellasiordinaedisponetuttel'altre eoquodipsautitarartibusactiuisomni- chesicontegnonosottolei,elosuo busetcomponitetordinatlegesearum compimentoàilfinedituttel'altre. atqueiuditia(sic)etdistinguitinter Adunquelobeneloqualesiseguita laudabilesetillaudabiles.Huius itaque artisperfectioacpropositumadpro- l'uomo,percioch'ellalocostringe priatpropositaomniumartiumreliqua- di fare bene e costringelo di non rum.Bonumigiturusitatumsecundum fare male.La recta dottrina sièche suum modum est bonum humanum ; l'uomo si proceda in essa,secondo ipsumnamqueeffectiuumestcetero- chelasuanaturapuotesostenere. rum bonorum omnium artium et Verbigrazia:l'uomocheinsegnageo saluatartificesnequidaganthorridum metriasideeprocedereperargo dimento lo quale la natura intende quale sono ordinate tutte l'operazioni diquestascienza,sièlobene del   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 39 chosesdecelart.Etaussicomme altresiciascunaarteaeunafinale cilquitraitdesonarcauseignala cosache'ndirizaquellaopera.Qui celui bersail por son adrescement, parla del gouernamento della citta tout autressi a chascune ars CCXVII.Dunque l'arte che insen finelchosequiadrescesesoevres. gnialacittagouernareèprincipale III. Donques l'art qui enseigne la cité àgovernerestprincipausetdame etsoverainedetoutesars,porceque desouzlisontcontenuesmaintesho- norablesars,sicomme rectoriqueet lasciencedefaireostetdegoverner e donna di tutte l'arti, peròchedisottoaleisonotuttii maestrionoreuoliecontiensisotto luituttemolteonorabillearti,sicome retoriccha e la scienza di fare oste edigouernaresuamasnada.E an samaisnie;etencoreestelenoble, coraènobileperoch'ellamettein porcequeelemetenordreetadresce toutesarsquisouzlisont,etlisiens compliemensetsafinssiestfinet compliementdesautres.Donquesest ele li biens de l'ome, porce que ele constraintdebienfaireetelecons- traint de non mal faire. Lidroizenseignemenzsiestque onailleselonccequesanaturele ordineeadirizzaartichesonosotto lui,eilsuocompimentodisuafine sièfineecompimentodel'altre. Dunqueilbene(che)diquestascienza uiene si è bene dell'uomo pero che 'l constringniedinonfarelomale. E il diritto insegniamento ch'ell'à inleisecondosuanaturalepuote soferire.Cioèadirechecoluiche puetsofrir;ceestàdirequecilqui insengnagouernaredeeandareper enseignegeometriedoitalerparar- suoiargomentichesonoapellatidi gumensquisontapelésdemonstra- mostrazioni.Erittorichadeeandare cions,etenrectoriquedoitalerpar perargomentieperragioneuedere argumenzetparraisonvoiresembla- senbiabille,eciòauienepercioche ble.Etceavientporcequechaschuns ciascunoartieregiudicabeneedicela artiensjugebienetditlaveritéde ueritàdiciòcheapartienealsuome cequiapartientàsonmestier,eten stiere,ecosiinciòèilsuosennosottile. ce est ses sens soutis.  une e sovrana La scienza di città governare non Lasciencedecitégovernerne sifamichaafanciullonedahuomo afiertpasàenfantneàhomequi chesegualesueuolontadi,percio vueilleensuirresavolenté,porceque che amendue sono non sacenti delle anduisontnonsachantdeschosesdou cossedelseculo,chequestaartenon siecle;carcestearsnequiertpasla chiedelasienzadell'uomo,mach'egli sciencedel'ome,maisqueilsetorne sitorniabontà.Esapiatechein àbonté.Etsachiésqueenfesestde. fateèinduemaniere,chel'uomo ij.manieres;carlihompuetbien puotebeneessereuechioditenpo estrevielsdeaageetenfesdemors; euechioperhonestavita.   40 C. MARCHESI autillaudabile.Et saluatioquidem mentifortiliqualisichiamanodimo. uniuslaudabilisexistit,quantomagis strazioni,elorettoricodeeprocedere gentiumacciuitatum.Rectadoctri. nellasuascienzaperargomentie natioestinquirereinunoquoquege- ragioniverisimili;equestosièpercio nerumiuxtamensuramquamsustinet checiascunoarteficegiudichibene naturailliusgeneris;etutexigitur etdicalaveritadediquellocheap. quidemamathematicodemonstratio partieneallasuaarte.Lascienzada et a rethore sufficientia persuasiua. reggere la cittade non conviene a Unusquisque enim artificumrecto garzonenèauomocheseguitilesue iuditio iudicat de eo quod est infra h a cose buone e giuste e oneste ; onde Rerumquedamsuntcogniteapud gliconvieneaverel'animasuanatu nos,etquedamsuntcogniteapud ralmentedispostaaquellascienza: naturam.Oportetergoutamator maquellouomochenonhaeneuna scientieciuilispromtussitadres diquestecose,èinutileaquesta eximiasetsciatopinionesrectas.Opi- scienza(1). (1)Questo ci prova chiaramente che Brunetto non ebbe tra mani altro testo latino fuor del compendio alessandrino-arabo; giacché le altre traduzioni greco-latine della Nicomachea gli avrebberodatolagiustaindicazionedel poeta:Esiodo.Maforsepertuttoilriferimento,che  son volontadi,peroche non > bitum suae scientiae,et in hoc est nellecosedel secolo.E notache gar perspicaxipsiusscientia.ludicans zonesidiceinduemodi,quantoal autemdeomnisapiensestomnipe- tempoequantoallicostumi,che ritiaimbutus.Arsciuilisnonpertinet puòtaloral'uomoesserevecchiodi pueronequeprosecutoridesideriiatque tempo e garzone di costumi, e tal uictorie,eoquodamboignarisunt fiatagarzoneditempoevecchiodi rerumseculi,nequeproficitipsis.Non costumi.Adunqueacoluisiconviene enimintenditarsistascientiamsed lascienzadireggerelacittade,lo conuersionemhominisadbonitatem; qualenonègarzonedicostumie nequediffertpueretateautinmo- chenonseguitalesuevolontadi,se ribuspueris,nonenimaduenitquidem nonquandosiconvieneequantosi defectusexpartetemporissedpropter conviene ed ove si conviene. usum uite in moribus puerilis;pueri ergodissolutietdesideriorumprose- cutoresnonproficiuntpenitusexarte ciuili. Qui autem utitur desiderio secundum quodoportetetquando Sono cose le quali sono manifeste allanatura,esonocoselequalisono manifeste a noi; onde in questa scienza si dee cominciare dalle cose, oportet,etquantumoportetetubi oportet,hicplurimumproficitex scientia artis ciuilis. loqualedeestudiareinquestascienza, edapprendere,sideeausarenelle lequalisonomanifesteanoi.L'uomo savi   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 41 et puet estre enfes par aage et viel Dunque la sienzia di città ghouer parbonevie.Donqueslasciencede nare è a fare huomo che non sia governer citez n'afiert à home qui fanciulo de cuore molle e che non estenfesensesfaizetquiensuie sesvolentės,selorsnonquantille covient faire et tant comme il co- vient,et là où il se covient,et si comme est covenable. seguasuauolontadi,senoquelliche siconuengonoetantocom'ellesi debono e la dove si conuiene e si come conueneuole. E sono chose che sono chonueneuoli a natura e cose chesonoconueneuolliannui;che Iliachosesquisontconnuesà natureetsontchosesquisontcon- chisivuolestudiareasaperequesta neuesànos;porquoinosdevonsen scienza,eglideeussarecosegiustee cestesciencecommencieraschoses buoneeoneste,ond'egligliconuiene quisontconneuesànos,carquise auerel'arminaturallementeaquesta vuetestudieràsavoircestescience, scienza,macoluichenonanèl'uno ildoituserdeschosesjustes,droites nèl'altroriguardiaciòchedee.Se etbonnesethonestes,oùillicovient 'lprimoèbuonoel'altroèapere avoirl'ame naturaument ordenée à gliato ad essere buono.Ma chi da cestescience;maiscilquin'ane ssenonsanienteenonaprendedi l'onnel'autreregardeàcequeHo- ciòchel'uomogl’insenguia,egliè merusdist:Selipremiersestbons, deltuttomecciante.- Quidicedelle liautresestappareilliezàestrebons; treuieCCXVIII. Dacontaresono maisquidesoinesetneant,etqui .ij.uie.L'unaèuiadichonchupi. n'aprentdecequehomlienseigne, senziaediconuotizia.L'altraèuita ilestdoutoutmescheanz(1).IV.Les cittadina,cioèdisennoediproeza viesnoméesquisontàcontersont ed'onore.Laterzaécontenpratiua. .ij.L'uneestviedeconcupiscenceet E più ujuono secondo la uita delle decovoitise;l'autresiestvieciteine, bestie,ch'èapellatauitadichonchu ceestdesensetdeproesceetd'onor; pisenzia,peròch'egliseghonolaloro la tierce est contemplative: et li uolontade e loro diletto. E chatuna plusorviventselonclaviedesbestes, diqueste.ij.uiteàsuapropriafine quiestapeléeviedeconcupiscence, diuersedal'altre,tuttoaltresìcome porcequeilensuientlorvolentezet [lasienzadiconbatteredi]medi lordeliz.Etchascunedeces.ij.vies cina à sua finediuersa dalla scienza asaproprefin,diversedesautres, delconbattere,chèquellabadaafare toutautressicomme medicineasa santà,equellaadauereuetoria.Qui findiversedelasciencedecombatre; diuisadelbeneCCXVIIII.Ubene carelebéeàfairesanté,etcele ėinduemaniere,che'unamaniera autreàvictoire.V.Libiensesten èch'èdisideratapersemedesimo[e ij.manieres;carunemanieredebien l'altra)eun'altramanieradibeneè    niones autem rectae sunt ut in arte Le vite nominate e famose sono ciuiliincipiaturarebusapudnos tre;l'unasièvitadiconcupiscenza, cognitis,etinconsuetudinibuspul- l'altrasièvitacittadina,cioèvita crisethonestisfactasitassuetudo diprodezzaed'onore;laterzasiè principium enim est et inceptio a vita contemplativa : e s o n o molti quaresest.Exmanifestoexistente uominichevivonosecondolavita sufficienterquiaresest,nonindigetur dellebestie,laqualesichiamavita propterquidresest.Indigetautem diconcupiscentia,perciòchesegui. homoadpromtitudinemhabitationis tanotuttelelorovolontadi;ecia leritatisrerumbonarumautaptitudine scunadiquestevitesihasuofine boneinstrumentalitatisexquasciat propriodiversodaglialtri,sicome uerum,autformaperquamaccipian- l'artedellamedicinahadiversofine turprincipiarerumabeofacile.Qui dallascienzadicombattere,chè'l veroneutramhabueritharumaptitu- finedellamedicinasièdifaresani. dinumaudiatsermonemHomeripoete tade,e'lfinedellascienzadifare ubidicit:Illequidem bonusest,hic battagliesièvittoria.Benesièse autem aptus ut bonus fiat. Vite condo due modi, chè è uno bene lo famosetressunt.Uitaconcupiscen- qualeuomovuoleperse,eunaltro tieetuoluptatis,uitaprobitatiset beneloqualel'uomovuoleperaltro. honoris,uitascientieetsapientie; Benepersesìcomelabeatitudine, pluresuerohominumseruisuntuo- beneperaltruisonodettiglionori luptatis uitam bestiarum eligentes elevertudi,perciòcheuomovuole inexecutionedelectationum.Sunt questecoseperaverebeatitudine. autem termini harum uitarum distan. Naturalcosa èall'uomoch'eglisia tesetbonaipsarumbonadiuersificata. cittadino,etconversicongliuomini Sicutergobonum quodestinarte artefici,econtralanaturadell'uomo exercitualiestaliudabonoquodest sièd'abitaresoloneldeserto,elà inartemedicinali,sicabinuicemalia ovenonsianogente,peròchel'uomo sunt bona trium uitarum . Et bonum naturalmente ama compagnia. quidem medicine est sanitas,bonum Beatitudo si è cosa compiuta,la exercitualisestuictoria.Estautem qualenonabbisognaneunacosadi bonumsecundumduosmodos:bonum fuoridase,perlaqualelavitadel per se et bonum propter aliud; et l'uomosièlaudabileegloriosa.Adun. quesitumquidemproptersemelius quelabeatitudinesièlomaggior estquesitopropteraliud.Nosuero beneelapiùsovranacosaelapiù manca nelcompendiodiTaddeo,BranettosivalseanchedelLiberminorum moralium :«.aduertat « intentionem poetae dicentis : Optimus est hominum qui a semet ipso intelligit quod expedit.Qui « autem ab altero hoc intelligit, est in uia directionis. Qui uero nec a semet ipso intelligit nec « ab altero recipit, hic uir est inutilis »,  42 C. MARCHESI  -  IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 43 est qui est desirrez por lui meisme, et une autre maniere de bien est qui est desirrez por autrui. Biens par lui est beatitude,qui est nostre fin,à quoi nos entendons;bien par autrui sont les honors et les vertuz; car ce desire li hom por avoir beatitude. Naturale cosa è a l'uomo ch'egli sia cittadino e ch'egli conuersi in tra le gienti, cioè intra gli uomini e intra gli artefici. E contra natura sarebe abitare in diserto oue non à persona,però che l'uomo naturale. mente si diletta in conpangnia. Bea tittudine è cosa conpiuta, si che non à niuno bisongnio d'altra cosa fuori di lui, per chui la uita degli uomini ė pregiabile e groliosa:dunque è beatitudine il magiore bene di tutti, e la più sourana cosa e la trasmil gliore di tutti i beni che sieno. Qui diuisa di treposanzie CCXX. Tutte le opere dell'uomo o sono malvagie o [buone.om .]. Colui che lle fa buone l'opere,egli è degno d'auere il compimento della uertu di  L'anima dell'uomoae.ij.posanze. L'una è uegiettative,e questa è co mune ad alberi ed a piante, ch'egli anno annima uigettatiua,altresìco m'àno gli uomini ; la seconda è apel latta sensitiua ; la terza è apellata r a zionabile,l'èperquestoche l'uomoè ragioneuole e diuisato da tutte le cose, per ciò che niuna altra cosa ae anima razionale se no l'uomo ;e questa possanza è alcuna uolta in natura e al cunauoltainpodere.Ma beatittudine è quand'ella è in opera e non miga quand'ella è in podere solamente; chè s ' e g l i n o 'l f a , e g l i n o n è m i c h a b u o n o . Naturel chose est à l'ome que il soit citeiens,etque ilconverseentre les homes et entre les artiens; car contre nature seroit de habiter en desers où il n'a nule gent,porce que li hom naturelmentsedeliteen com paignie. Beatitude est chose complie,si que ele n'a nul besoing d'autre chose fors de li,par quoie la vie des homes est puissanz et glorieuse: donques est beatitude li graindres biens de touz et la plus soveraine chose et la très mieudre de touz biens qui soient. V I . L ' a m e d e l ' o m e a j i j. p u i s s a n c e s . L'une est vegetative, et ce est c o m mun asarbresetasplantes,caril ont ame vegetative aussi come li home ont;lasecondeestapeléesen sitive, et est c o m m u n e à toutes bestes, car eles ont ames sensitives; la tierce est apelée rationable,et por ceste est li hom divers de toutes choses,porce que nule autre chose n'a ame ratio. nableselihom non.Etcestepuis sance rationable est aucune foiz en oevre et aucune foiz en pooir; mais beatitude est quant ele est en oevre, et non pas quant ele est en pooir seulement; car se il ne le fait, il n'est mie bons. ch'è disiderata per altrui. Bene per lui è beatitudine, ch'è nostra fine a che noi intendiamo.Bene per altrui sono gli onori e le uertu : chè questo si disidera per auere beatitudine. Toutes les oevres des homes ou   -44 C. MARCHESI Ogni operazione che l'uomo fae o ellaèbuonaoellaèrea;equello uomo lo quale fa buona la sua ope. razione, si è degno d'avere la perfe. zione della virtude di quella opera zione.Verbigrazia: lo buono cetera tore,quando egli cetera bene,si è degnacosach'egliabbiailcompimento di quella arte,e lo rio tutto il con. trario. Adunque se la vita dell'uomo è secondo l'operazione della ragione, allora si è laudabile la sua vita, quand'egli la mena secondo la sua propria vertude; ma quando molte vertudi si raunano insieme nell'animo dell'uomo, allora si è la vita dell'uo mo molto ottima e molto onorata,e molto degna,sicchè non puote essere più;perciò che una virtude non puote beatitudinem ultimam propter se uo lumus,cum sitfinisnosteretintentum à nobis; honores autem et uirtutes propter beatitudinem, eo quod per ipsas pertingimus ad illam. Homo naturaliter ciuilis est et con uiuithominibusetsocietatesexercet comel'uomo;lasecondapotenziasi cumartificibusdecenter,nequeap chiamaanimasensibilenellaquale petitsolitudinemnequedesertum participal'uomocontuttelebestie, neque heremum. perciòchetuttelebestiehannoanima Beatitudoestrescompleta,nullius sensibile;laterzasichiamapotenza indigens,perquamuitahominislau. razionale,perlaqualel'uomosiè dabilisexistit.Beatitudoigiturexce diversodatuttel'altrecose,perciò lentissimum est eligibilium et opti. che neuna altra cosa hae anima ra mumbonorum,cumsitperfectiore zionale,sicomel'uomo.E questa rumoperabilium.Sicutigiturestin potenziarazionalesiètalorainatto qualibetartiumbonumquodillaars etalorasièinpotenzia;ondela intendit,etsicutestcuilibetmem. beatitudinedell'uomosièquandoella brorumcorporisactuspropriusin vieneinatto,enonquandoellaèin quoeialiudnoncomunicat,sicest homini actus proprius in quo aliud ei non comunicat. Homini autem se cundum animam uegetabilem C O municant terrae nascentia,et secun dum animam sensibilem comunicant ei animalia; actus uero ei proprius, inquo nullum aliud ipsi comunicat, est actus secundum rationem et di scretionem. Ratio uero duplex est: potenzia: ratio uidelicet actualis et ratio poten tialis;dignior autem ad intentionem rationis et magis cognita est ratio actualis,ut pote actus hominis di. scernentis et agentis. Et omnis actio quam agit actor aut est bona aut est mala. Actor autem bene agens in omni arte meretur intentionem uir tutis, ut bene citharizans citharedus bonus ;citharizans autem male malus. ottima che l'uomo possa avere. L'a nima dell'uomo si ha tre potenzie; l'una si chiama potenzia vegetabile, nella quale comunica l'uomo cogli arbori e colle piante,perciò che tutte le piante hanno anima vegetabile,si    IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA bonesoumauvaisessont.Etcilqui quell'opera.Chècoluichebeneopera fait lesbonesoevres,ilestdignes èdegnod'auereilcompimentodisuo d'avoirlecomplimentdelavertude mestiere,equeglichemalfanno,il celeoevre;carcilquibiencitoleest contrario.Dunqueselauitadell'uomo dignesd'avoirlecomplimentdeson èsecondol'operadiragione,alora mestier,etciquimallefait,lecon- è da pregiare quand'eglila mena traire;doncselaviedel'omeest secondolapropriauertu.Maquando seloncl'oevrederaison,lorsestele mantieneuertusonogliuominisaui, prisablequantillamaineseloncla esauioebisongniabile,enorevolee propre vertu; mais quant maintes moltodengniosichepiùnonpotrebe vertuzsontenl'ome,savieestbesoi. essere;percidcheunasolauertunon gnableethonoréeetmultdigne,si puotefarel'uomodeltuttobeatone queplusneparroitestre,porceque perfetto.Chèunasolarondineche uneseulevertunepuetfairel'ome uengnianèunosologiornotemperato detoutebeatitudeneparfait;carune nondonaciertanainsengniadelprimo solearondelequivieigneneunsseus tenpo.Eperciòinunopocodiuita jorsatemprésnedonentcertaineen- d'uomoeinunopocoditenpoch'egli seignedouprintens;etporceenpo facciabuoneopere,nonpossiamoperò devied'ome,neenpodetensque direch'eglisiabeato.CCXXI.Qui ilfacebonesoevres,nepoonnosdire diuisa di tre maniere di bene.Il queilsoitbeates.VII.Libiensest beneèdiuisatointremaniere,che devisezen.iij.manieres,carliuns l'unoèilbenedell'anima,el'altro estbiensdel'ame,etliautresest delcorpo.Mailbenedell'animaèil doucors,etlitiersdehorslecors; piùdengniochenullodeglialtri, maislibiensdel'ameestplusdignes peròcheglièilbenedidio,esua quenusdesautres,carceestlibiens formanonèchonosutaseperl'opere deDieu,etsaformen'espasconneue separlesoevresvertueusesnon.Et sanzfaillebeatitudeestenquerre lesvertuzetenelsuser,maisquant beatitudeestenhabitetaupooir del'ome,etnonensesfaiz,ceest àdirequantilporroitbienfaireet ilnelefaitmie,lorsestvertuous aussicommecilquisedort,carses oevres ne ses vertuz ne se mostrent pas.Maisl'omquiestbeatescovient aussicommeparnecessitéqueilface uertudiose non.E sanza fallo beati tudineèinchiedereleuertuefarle. Maquandobeatitudineènell'abitoe inpoteredell'uomononèsenone fatti:questoèadire,quandoeglipuote benefareeno'lfaaloraèegliuer tudiosoaltresìcomecoluichedorme; chèsueopereesueuertunonsimo strano.Ma l'uomoch'èinbeatitudine conuiene altresì come per necissetà ch'eglifacciailbeneinoperaesi comeilsauiochampioneeforteche lebiensenoevre.Etsicommeli sichonbatteuuoleportarelacorona 45    46 C. MARCHESI Actusigiturhominisunaestuitarum l'uomo fare beato,nè perfetto,sic famosarum trium prenominatarum, una rondine quando appare uitascilicetrationisetscientieet sola,eunosolodietemperatonon sapientie.Etomnisquidemresbona dànnocertadimostranzachesiave. existitetdecorapropteruirtutemsibi propriam. Vita ergo hominis actus estanimeintellectiueperuirtutem sibipropriam;sedcumuirtutesani- memultesint,eritperoptimam et honoratissimam in fine et dignis- simaminfineperfectionisetcomple- menti.Unanempehyrundononpro- nosticaturuernequediesunicatem- peratiaeris,sicnecuitapaucaet lobenedell'animasièpiùdegno tempusmodicumsignumcertumsunt benedineuno,elaformadiquesto beatitudinis. bene si non si conosce se non nell'o Bonum tripliciter diuiditur; est perazioni, le quali sono con vertudi. bonum anime et bonum corporis et nutalaprimavera;ondeperciò nè. inpicciolavitadell'uomo,nè in pic ciolotempochel'uomofacciabuone operazioni,nonpotemodicereche l'uomosiabeato. Lo bene sidivide in tre parti,chè l'unosièbenedell'anima,l'altrosi èbenedelcorpo,el'altrosièbene difuoredalcorpo.Diquestitrebeni,  come bonum extra corpus. Bonum ergo delle vertudi e nell'uso loro; ma quoddignissimebonumdiciturest quandolabeatitudineènell'uomoin bonum anime,neque apparet forma abito,e non in atto,allora si è vir istiusboni,nisiinactibusquisunt tuosacomel'uomochedorme,lacui auirtute.Etbeatitudoquidemest operazioneevirtudenonsimani. inacquisitioneuirtutumetinusu festa;mal'uomobuonodinecessità earumsimul.Cumquefueritbeatitudo èbisognochel'aoperisecondol'atto, inhominetamquaminpossessioneet etèsomigliantediquellochesta habituetnonactu,tuncesttamquam neltravitoacombattere;chè sola uirtuosus dorniiens cu non apparet mente quelli che combatte et vince, actionequeuirtus.Beatusautemactu quelliàlacoronadellavittoria;e necessarioexercetbeatitudinem.Et sealcunouomosiapiùfortedicolui, quemadmodumperitiagonisteatque chevince,nonàperciòlacorona, robusticoronanturquidemetacci. perch'eglisiapiùforte,s'eglinon piuntpalmamapudactumagoniset combatte,avvegnach'egliabbiala uictorie,sicuirtuosielectiboniac potenziadivincere;ecosìlogui. beati laudantur et premia uirtutum derdone della virtude non ha l'uomo suscipiuntdumapparentoperationes senoninfinoatantoch'egliadopera ipsorum secundumueritatem;etisto. lavirtudeattualmente;equestosiè rumuitaestinseipsadelectabilis. perciòcheloloroguiderdoneela Unusquisqueenimhominumdelecta- lorobeatitudineèladilettazione,che La beatitudine si è nell'acquistare   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 47 della uettoria, tutto altresì l'uomo buono e beato ae il guiderdono e la loda della sua uertu ch'egli fae et mostra ueracemente per queste opere, perciò che il guiderdono delle sue opere e della beatittudine è ildiletto ch'egli n'atantoe com'egli opera la uertu ; chè ciascuno si dileta in cid ch'egli ama ; il giusto si dileta in giustizie e l'asagia e gli piacciono, e 'l uertudioso nelle uertu. Et tutte l'opere che sono per uertu sono belle e dilettabille in se medesime. Beatitudeestlachoseaumonde Beatitudineèlacosaalmondoche quiesttrèsdelitable,maislabeati tudequiestenterreabesoingdes biensdedehors;carilestdurechose quel'onfacebelesoevres,seiln'ia grant part des choses avenables à bonevieethabondanced'avoiret d'amisetdeporenz,etprosperitéde fortune, et por ce la sapience abe. soigned'aucunechosequifaceco perciòlasapienzaàbisongniod'al noistre sa valor et ses honors.Se cuna cosa che faccia conossere suo aucuns done as homes dou monde, ualore e suo onore.Se alcuno dona disgloriousetsoverainsfaiz,l'en ahuomodelmondodonogroliosoe doitbiencroirequecildonssoitbea. souranofattol'uomodebenecredere titude,porcecequeestlamieudre chequellodonosiabeatitudine,perciò chosequiestrepuisseaumonde;car ch'eglièlamigliorecosachepossa eleestmulthonorablechose,etest esserealmondo;ch'ell'èmoltoono. licompliemensetlaformedevertu; rabilecosa[essere]edèilcompimento neiln'estpasditdouchevalnes elaformadellauertu;nèeglinonè desautresbestes,nedesenfans,que michadettodelcaualloedel'altrebe ilsoient beates,porce qu'il ne font oevres de vertu. Beatitude est chose ferme et estable, tozjors en une fermeté, si que ele ne stie,nè degli fanciulli che sieno beati, perciò ch'egli non fanno opere di uertu . Beatitudo è cosa ferma et stabille . ( 1 ) A r r e s t i a m o q u i l a t r a s c r i z i o n e d e l c o d . M a g l i a b e c h ., s e m b r a n d o c i l a p a r t e t r a s c r i t t a s u f f i ciente ad attestare la propria dipendenza dal testo francese. milglioreepiugioiosaetradiletta bille:mallabeatitudinedeeessere interraebenidifuori.Chègliè dura cosa che l'uomo faccia belle opere e ch'egli abbia parte di cose aueneuolliahuonauitaedabondanza d'auereedabondanzad'amiciedi parenti e prosperita di fortuna, e  F sages champions et fors qui se combat et vaint emporte la corone de victoire, toutautressilihom bonsetbeatesa le guerredon et la loange de la vertu que il fait et mostre veraiement par ses oevres, porce que li guerredons de la beatitude est li deliz que l'om atentcomme iluevrelavertu,car chascuns se delite en ce que il aime : lijustessedeliteenjustise,etlisages en sapience,etlivertueusenvertu; et toute oevre qui est par vertu est bele et delitable en soi meisme. . (1)   virtude, si è bella e diletteuile in se Beatitudo autem omnium rerum est medesima. Beatitudo si è cosa ot optimaiocundissimaatquedelectabi- tima,giocundissimaedilettabilissima. lissima.Beatitudotamenqueesthic Labeatitudine,laqualeèinterra,si bonisexterioribusindiget;difficile abbisognadeglibenidifuori,perciò est enim homini ut opera decora che non è possibile all'uomo ch'egli exerceatabsquemateriautpotequod facciabelleopereech'egliabbia habeatpartemcompetentemrerum artelaqualesiconvengaabuona boneuitepertinentiumetcopiam vita,eabbondanzad'amiciedipa familie et parentum et prosperita- renti,eprosperitàdiventura,sanza temfortune.Ethacquidemdecausa libenidifuori;eperquestacagione indigetarssapientiearteregnandi, nonabbisognaalcunacosachefaccia ut apparere faciat honorificentiam manifestare il suo onore e lo suo va suiatqueualorem.Etsialiquarerum lore.Sealcundonoèfattodidome donata est hominibus a deo excelsa nedio glorioso e eccelso agli uomini etgloriosa,dignumestutbeatitudo delmondo,degnacosaèdacredere siuefelicitasdonumsitdiuinum se- chequellodonosiabeatitudine,im cundumquodipsaestoptimaomnium perciòch'ellasièlapiùottimacosa rerum humanarum ; est igitur de onorevole molto e compimento e rebus prehonorabilibus,cum sit com.  48 C. MARCHESI turineoquodestamatumapud eglihanno,infinoatantoch'egliado ipsum ; delectetur ergo iustus in perano la virtude; chè il giusto si justitiaetuirtuosusinuirtuteet dilettanellaiustiziae'lsavionella sapiensinsapientia.Etactionesfientes sapienza,elovirtuosonellavirtude; peruirtuteminseipsissuntdelecta. eognioperazione,laqualesifaper biles uenuste ac decore. forma di virtude. E neuna genera plementum uirtutis siue forma et zione d'animali puote avere beatitu fructusipsius— [Non)diciturautem dine,senonl'uomo,eneunogarzone deequonequedealioaliquoanima- nonhaebeatitudine,perciòcheneuno liumhuiusmodi,nequedepueris,quod animalenèneunogarzonenonado sintbeati,eoquodnequehuiusmodi perasecondovertude. animalia neque pueri agant opera Beatitudo si è cosa ferma e stabile uirtutis.Etbeatitudoestresfirma sempresecondounadisposizione,nella stabilissecundumdispositionemunam, qualenoncadevarietadenèpermu inquamnoncaditalteratioetpermu- tazione alcuna,e non v'ha talora tatio,etnoncomitanturipsameuen: beneetaloramale,matuttaviabene, tusuarii,etnuncbonitasnuncmalitia. equestosièperciòchelabonitade Etenimbonitasetmaliciaestinopere elareitadesiènellaoperazione hominis;etcolumpnabeatitudinis dell'uomo.Lacolonnadellabeatitu estoperasecundumuirtutem;co- dinesièl'operazione,chel'uomofae 1   se remue pas,et si n'est mie une foiz bien et autre mal, mais toutes foiz bien,porce que li muemenz de bonté ou de malice n'est pas se es oevres des homes non. Li pilers de beatitude est lesoevres que l'onfait selonc vertu,et la colone dou con traire est les oevres que l'on fait selonc vice; et la vertus ferme et estable est en l'ame de l'ome.Li hom vertueus ne se contorbe ne ne s'es maie por nule temporal chose qui li avieigne ; car il n'auroit jà beatitude se il s'esmaioit,car dolor et paor abatent l'oevre de vertu et la joie de beatitude. Felicités est une chose qui vient par vertu de l'ame, non pas dou cors ..... IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 49 Aucunes choses sont mult griez à sostenir;mais quant l'on les a bien sostenues,lors apert et se mostre la hautesce de son corage; et sont au tres choses qui ne sont griez à sos tenir, ne li hom qui les sueffre ne mostre pas que en lui soit force.Et jà soit ce que mort et maladies de filz soient griez à sostenir, ne doivent pas remuer l'ome de sa felicité; car bienetfelicité,ethome felixetDex glorious et benois sont tant digne chose et tant honorable que nulz pris ne nule loenge ne lor sofit pas; et nos devons reverer et magnifier et glorifier Dieu sor toutes choses et si devons croire que en lui sont tuit bien et toutes felicitez.,porce que il est commencemenz et achoisons de touz biens. C. MARCHESL 4    secondo virtude,e la colonna del con trario suo si è l'operazione, la quale l'uomo faesecondolovizio;equesta operazione si erma e stante nel. l'anima dell'uomo,et l'uomo virtuoso non si muove,e non si turba per cosa contraria temporale che gli possa a v venire, perciò che già non arebbe beatitudine, s'egli si conturbasse, perciò che la tristizia e la paura si toglie altrui l'allegrezza della beati. tudine. Sono cose le quali sono molto forti a sostenere; ma quando l'uomo l'à sostenute pazientemente, si dimostra la grandezza del suo cuore ; e sono altre cose le quali sono lievi a sostenere,e perché l'uomo le so. stegna non si mostra grande fortezza in lui,siccome morte di figliuoli e loro malitia.Queste cose,avegnache ellesiano forti,non permutano l'uomo di sua felicitade.La felicitade e l'uomo bene avventurato e domenedio bene detto e glorioso sono tanto degna cosa e tanto da onorare che le loro lodi non si possono dicere,e spezial mente si conviene a noi di reverire e magnificare messere domenedio sopra tutte cose, e dee l'uomo pen sare di lui, che nel suo pensare ha l'uomo tutto bene, e tutta felicitade, perciò ch'egli è cominciamento e ca gione di tutto bene.  50 C. MARCHESI lumpna uero contrarii beatitudinis est opera secundum contrarium uirtutis; et optima operationum secundum uir tutem est stabilissima earum in ani ma ;et uita beatorum continua est semperperactioneshonorabilesbonas; et uirtuosus perfectus absque ex tollentia speculatur in rebus virtuali bus et substinet irruentia mala et tollerat ea tollerantia decenti et non turbatur cor neque formidat ex ma. gnis calamitatibus ex temporis malitia occurrentibus ; nisi enim eas decenter sustinuerit conturbabitur eius felicitas et inducentur super ipsum meror et tristitiaque impedient secundum uir tutes operationes. Quedam autem actionum malitie difficiles sunt ad sufferendum : sed quando acciderint homini et eas sustinuerit,demonstrant eius magnanimitatem.Alie uero que. dam facilepossuntsufferrietheecum inciderint homini et eas sustinuerit, non demonstrant eius magnanimita tem ; et mortuis ex bonitate actionum filiorum et ex malitia ipsarum con tigit [modicum aliquid tante, in. quam,quantitatis].transmittetfelices a sua felicitate ad infelicitatem ; neque infelices a sua infelicitate ad felici tatem.Bonum etfelicitasatque felices et deus benedictus et excelsus digniora sunt et honoratiora quam ut lau dentur. Immo conuenit quidem uene rari deum et ipsum singulariter m a gnificare et eius intuitu felicitatem etfelicesetbonum,cum sintresdi. uine, et gratia quorum omnia alia aguntur;et creditur de eo quod est Felicitade si è un atto il quale procede da perfetta virtude dell'anima et non del corpo.   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 51    principiumbonorum etipsorumcausa, quod sit res diuina. Felicitas est quidem actus anime procedens a uirtute perfecta,non cor poris sed anime.  52 C. MARCHESI   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 53 Prima di passare al raffronto della parte finale nelle diverse redazioni, non sarà inopportuno riprodurre ancora un brano, del principio del secondo libro, che valga a confermare le diffe renze e le relazioni da noi stabilite tra i due compendi, volgare e francese, e il testo latino. Liber Ethicorum. Litresor,Liv.II,P.I, Virtusergoduplexest, chap.IX.-Porceapert uidelicetintellectualiset ilque.ij.manieressont moralis;intellectualis, devertuz:l'uneestde utsapientiaetprudentia l'entendementdel'home, etsimilia.Laudantese- ceestsapience,science nim hominem ex parte Et uirtutum quidem tuel,nos disons:ce est  uirium intellectualium eum appellamus. intellectualium genera prisierdevertu intellec uns sages hom etsoutis; par enseignement,et liumestperbonam et porcelicovientexpe honestam conuersatio- rience et lonc tens. La nem;nequesuntinno- vertudemoraliténaist bispernaturam.Res etcroistparbonuset enimnaturalesnonegre. honeste;car ele n'est diuntur a natura sua pas en nos par nature ; perassuetudinem,utpe- àcequechosenaturele tra,quaesempertendit nepuetestremuéede et sens ; l'autre est de sapientem eum dicimus autscientemaut(secun- choses semblables. Et dumaliquidhuiusmodi); cepuetchascunsveoir sed ex parte moralium clerement; car quant largumuelcastumuel un home humilem uel modestum mais quant nos le volons tioetincrementumfit prisierdemoralité,nos inhomineperdoctrinam etdisciplinam;ideoque chastesetlarges.X.La in eius acquisitione ex- vertu de l'entendement perimentoindigetettem- estengendréeetescreue pore longo. Generatio autem uirtutum mora en l'ome par doctrine et moralité,ce est chastée et largesce, et autres disons:ceestunshom nos volons L'Etica.– Due sono le virtudi; l'una si è dettaintellettuale,sicco me lasapienza e scienza e prudenza; l'altra si chiama morale,sicome castitade e larghezza ed umiltade; onde quando noivolemolodarealcuno uomo divertudeintellet. tuale,diciamo: questi è un saviouomo,intende vile e sottile; e quando noi volemo lodare un altro uomo di virtude morale,cioè de costumi, si diciamo:questi è un uomo umile e largo.- Concio siacosachesiano due vertudi,una intel lettuale e l'altra morale, la intellettuale si si in genera e cresce per dot. trina e insegnamento,e la virtude morale si si in. genera e cresce per b u o na usanza;e questa ver tude morale non è in noi per natura,percioc cbè natural cosa non si puote mutare della sua disposizione per contra   54 C. MARCHESI riausanza.Verbigrazia: ad centrum naturaliter, lanaturadellapietrasi etignisadcircumferen èl'andareingiuso,onde tia,numquam assue non la potrebbe l'uomo receptionem , et perfi questevirtudinonsono tiunturinnobisexbona in noi per natura,la po. (1) Taddeo amplio e chiarì meccanicamente l'esempio della pietra e del faoco, valendosi del latino del Liber Ethicorum del commento tomistico: « ..... puta lapis natura deorsum latus non autiqueassuescitsursumferri,nequesideciesmilliesassuescat quis,eumsursumiaciens»;e sopratutto del Liber minorum moralium : « Lapis enim qui naturaliter deorsam descendit quamvis « quis probiciat ipsum sursum uicibus innumerabilibus, quarum non comprehenditur multitudo, «uolens per hocassuefacereipsummouerisursum,numquamhabebitpossibilitateminhoc.Et « similiter ignis non est possibile at recipiat per assuetudinem diuersum motionis suae ». nos par usage; por quoijediqueces vertuz ne sont pas dou tout en nos sanz nature ne dou tout selonc nature ; mais li commencemenz et la racine de recoivre ces vertuz sont en nos par nature,et le lor c o m pliment est en nos par usage.Et touteschoses  tanto gittare in suso, situm; neque aliarum ch'ellaimprendessead rerumullaassuescetop. andareinalto;elana- positumnaturesue(1). turadelfuocosièd'an. Attamen cognationem dareinsuso,ondeno'l aliquamhabetconsue. potrebbe l'uomo tanto tudo cum natura et co trarreingiuso,ch'egli gnationemaliquamcum imparassedivenirein intellectu.Nonsuntita que in nobis uirtutes niunacosanaturalepuo- morales naturaliter,ne tenaturalmentefarelo quepreternaturam;sed contrario della sua na- nati sumus ad earum giuso;eduniversalmente tura.Mà avvenga che scunt huiusmodi oppo consuetudine.Itemomne puissanced'aprendrela tenziadiriceverleèin quodinnobisestnatura. estennousparnature, noipernatura,elocom- literpreextititinnobis etlicomplemenzesten pimentoèinnoiper potentialiter,deindeap usanza.Ondequestever. paretactualiter.Ethoc tudinonsonoinnoial manifestumestinsen postuttopernatura;ma sibus. Sensus enim in laradicee'lcomincia. nobisnonfiunteoquod mentodiriceverequeste uideamusuelaudiamus multociens,sed e con trariofitinnobis.Ha bemus enim eos prius naturaliteretpostmo. vertudi si è in noi per natura,e'lcompimento elaperfezionediqueste virtudisièinnoiper usanza.Ognicosala dumexercitamurineis. sonordreparusage con traire.Raison comment : la nature de la pierre est d'aler tozjors aval, ne nus ne la porrait tant giteramont que ele seust sus aler; et la nature doufeuestd'aleramont, ne nus ne leporroit tant avaler que il seust en aval metre la flamme. Et generalment nul na tural chose ne puet par usage aprendre à faire lecontraire de sa nature. Et jà soit ce que ceste vertuz ne soit en nous par nature, certes la   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 55 diusinterextremadicta, Etporunemeismechose  et d'oïr, et par celui quellapotenziaodee ethocmodoestinom- pooirvoitetoit,etnus vede,enonvedel'uomo nibus artificibus.Nam nevoitdevantqueilen prima eode,ch'egliab- hedificatores sumus ex ait le pooir. Donques bialapotenziadelve- usuhedificandietcytha. savonsnosquelipooir dereedell'udire.Dunque rediexusucytharizandi; est devant le faire.Mais vedemo già che la po- ex bene quidem facere es choses de moralité tenziavadinanziall'atto. hocbonisumusinbiis, estli contraires;car E nelle cose morali è ex male autem mali. l'uevre et li faiz est de. tutto locontrario,chè vant le pooir. Raison l'operazioneel'attova eadem fituirtusetcor- comment:aucunshom dinanzi alla potenzia. rumpitur.....autem a la vertu de justise, Verbigrazia:l'uomosi similiter(sanitatis).Et cor mentneleseustlimais. rumpunturexpaucitate tresseiln'eneustovré fatteprimacase,edal- etmultitudine,uttimi- autrefoiz.Autressi se trimenti non potrebbe ditas et procacitas. Ti- vent aucun bien citoler peravereeglimoltevolte averequellaarte,seegli midusenimfugitomnia, Exeisdemergoetper porce que il a devant hae la virtude che si actiones laudabiles cor- fait maintes cevres de chiamagiustiziapera- rumpunturproptersu- jostise;etunsautresa vereeglifattoinnanzi perfluitatemautdiminu- lavertudechastée,porce molteoperazionidigiu. tionem,utexercitia su- que il a devant fait stizia,edhael'uomola perfluaautdiminutaet maintesoevresdecha virtudechesichiama nutrimentisusceptiosu-stée.Toutautressiest castitadeperavereope- perfluaautdiminutafor- des choses de mestier rate dinanzi molte ope- m a m sanitatis corrum- et de art.On scet faire razionidicastitade;e punt,equalitasautem maisons,porcequeon cosiadivienedellecose ipsorumsanitatemfacit enamaintesfaitespre artificiali, chè l'uomo et auget et conseruat.Et mierement ; car autre hal'artedifarelecase uirtutes morales porce que il en sont non l'avessemoltevolte procax autem omnia in- molt usé.Et li hom est adoperata dinanzi;esi. uadit. Fortitudo autem bons por bien faire,et migliantemente l'arte qualeèinnoiperna- Virtutesautemacqui- quisontennosparna tura,sièprimaepoi rimusexfrequentatione turesontpremierement sivieneinatto,siccome actuumhabitusinducen- enpooiretpuisenfait, avviene de sensi del- tes. Iusti etenim sumus aussi comme li sens de l'uomo,chèprimaha exusuactuumiustitie, l'ome;cartoutavanta l'uomolapotenziadive. etcastisimiliter,scilicet lihom pooir de veoir dere e d'udire, e per ex usu actuum castitatis, del ceterare ha l'uomo inhisesthabitusme- mauvaispormalfaire.   et inest fortitudo ei qui scit fugere a fugiendis et inuadere inuadenda, ethichabitusacquiritur Per una medesima exconsuetudineuilipen cosasigeneranoinnoi di(sic)terribilia.Sicca levirtudi,esicorrom ponosequellacosasifa indiversimodi;eadi viene della virtude si comedellasanitade,che una medesima cosa in diversi modi fatta fa ella sanitade e corrompela. Verbigrazia: la fatica s'ella è temperata si in. genera sanitade nel corpo dell'uomo,e s'ella è più che non si con. viene o meno che non si conviene,si corrompe lasanitade;esìadiviene della virtude che si cor rompe per poco e per troppo, e conservase per tenere lo mezzo.Verbi. grazia: paura e ardi mento corrompono la prodezzadell'uomo;per cio che l'uomo che ha paura si fugge per tutte le cose, e l'uomo ch'è arditoassalisceognicosa e credelasi menare fine; e nè l'uno nè l'al. tro non èprodezza;ma la prodezza si è tenere lo mezzo intra l'ardi mentoelapaura;edee stitatishabitusacqui. ritur ex consuetudine retrahendiseauolupta tibus,etsimiliterseha betinceterishabitibus laudabilibus.....  56 C. MARCHESI per avere molte volte ceterato ; e l'uomo è buono per far bene,e lo rio per far male. naissent en nos et se cor rumpent les vertus,se cele chose est menée en diverses manieres;tout autressi c o m m e la santé ; car travailleratempree. ment engendre santé au corsdel'ome;maistra vailler o plus ou mains que mestiers n'est,cor ront la santé; mais meenneté la garde et acroist : autressi est de vertu, car ele corront et gaste par po et par trop,et si se conserve et maintient par la meenneté.Raison com ment : Paors et harde corrumpent la p r o e s c e d e l ' o m e ; c a r li hom qui a paor s'enfuit por toutes choses, ne n'ose nule emprendre; et li hardis emprent à faire toutes choses,et les cuide mener å fin. Et sachiez que l'une ne l'autre n'est pas proesce: mais proesce est aler entre hardement et paor. Et doit li hom foïr les choses qui sont à foïr, et envaïr les choses qui sont à envaïr. Et cist habiz est aquis par usage de desprisier les terri bles choses,et habiz de chastée est aquis par u a mens   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 57 l'altre virtudi ,siccome tu hai inteso della pro dezza ; chè tutte le virtù s'acquistanoesisalvano per tenere lo mezzo. Col raffronto del devez entendre de toutes vertuz. brano finale mettiamo termine a questo prospetto comparativo, che porta un contributo,non privo d'in teresse, alla conoscenza della fortuna aristotelica, ed è d'impor tanza fondamentale per la storia dei compendî neolatini del l'Elica nicomachea.  che sono da fuggire. E sage de retenir soi contre l'uomo fuggire le cose cosideiintendereintutte ses covoitises. Autressi   Liber Ethicorum . Educatio puerorum secundum no- Dee essere lo notricamento delli bilem legem necessaria est ad indu- garzoni secondo la nobile legge, e cendumeispermodumcastitatiset ausarliadoperazionidivirtù,ein non per modum continentie. Inde- questodeeesserepermododicastità, lectabilisenimestapudplureshomi. enonpermododicontinenzia,per. numususuirtutumpermodumcon- ciocchèl'usodellacontinenzianonè tinentie.Nequeabstrahendaesteis dilettevoleamoltiuomini,enonsi manus statim post pueritiam, sed dee ritrarre la mano di gastigare continuanda est eis usque ad con• il fanciullo via via dopo la fan sistentiam et robur uirilitatis. In ciullezza;anzi dee durare in fino al rectificandoquosdamsufficitredar- tempo,chel'uomoècompiuto.Sono gutioetcastigatiosermocinalis,in uominichesipossonocorreggere aliisautem quibusdam uixsufficitas. per parole e sono altri che non siduatiouerberumtamquaminbestia. si possono correggere per parole, Neutrouerohorummodorumrecti- anziv'èmistieripena.Esonoaltri ficabiles tollendi sunt de medio.No- che non si correggono in niuno di bilisetstrenuusrectorciuitatisciues questiduemodi,equesticotali(1) nobilesefficit,etbonioperatoresha- sonodatorredimezzo.Lonobilee'l benteslegemetoperalegisexer- buonoreggitoredellacittafanobili centesaduersantureisquicontraria cittadiniebuoni,liqualiservanola agunt,etsibonaagant.Inpluribus leggeefannol'operachecomanda ciuitatibus iam abiit regimen uite la legge e sono avversari a coloro hominum ideoque dissolute uiuunt che non osservano gli comandamenti etpropriassectanturuoluptates.Et dellalegge,avegnach'ellifacciano regimen quidem conuenientius est bene.Inmoltecittadièitoviailreg. communis prouisio moderata,cuius gimentodellavitadellihuomini,però usumobseruarepossibileestetnon chesivivonodissolutamenteese summedificile:etquodcupitquili. guitanolelorovolontadi.Lopiùcon betseruariinseetamicisetfiliiset venevolereggimentocheporresi familia.Etprecipueydoneusadtalis puotenellacittà,sièquellocheè regiminisconstitutionemestillequi temperatoprovedimento,intalmodo sciueritquoddictumestinhoclibro. chesipuoteosservareenonètroppo Scietenimcanonesuniuersalesad grave;equelloloqualedesidera particulariadistrahere.Communis l'uomochesiosserviinsèenelli  58 C. MARCHESI (1)Icodd.8. v.11:...ce questicotalisono rei perchè sonopartitiintuttodalmezo,et « debbono essery odiati si come sono li lupi et cacciati d'ongne buono luogo. Lo nobile etc. ). L'Etica d'Aristotile.   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 59 Li Tresors,Liv.II,P.I,chap.XLIV. Magliabech.,I,I,47. Et li norrissemens des enfans doit I nodrimenti da fanciulli debbono estrenoblesentelmanierequeil esserenobili,sichesiabeneapreso soientaprisàfaireetàuserlesbones afareedausodibuoneopereper oevresparchastéenonmieparcon- chastitaenomicapercontinuanza. tinance,carcontinancen'estmiecon- Checontinuanzanonemichaconue venablechoseasgens;etl'onne neuollecosaagienti;el'uomonon doitpasostercestusagenecest deemichaleuarequestausanzane chastiementmaintenantqueilont questochastighamentoimmantenente enfance passée, mais maintenir la ch'egliàlafanciullezasua,maman jusquesàtantquelidroizaagessoit tenerla insinoatantocheildiritto acompliz.Iliahomesquipueent estre governé par chastiement de paroles,etautresiaquinepueent mieestrechastiéparparoles,mais par menaces de torment; et autre homesontquel'onnepuetchastier neparl'unneparl'autre;ettelhome doiventestrechastiésiqueilnede- mourentavecautresgens.XLV.Li chacciatisich'eglinodimorinocon noblesgouverneresdelacitéfaitles l'altrigienti.Quidicedelgouerna citeiensnoblesetlesfaitbienoyrer mentodellacittaCCLXVIII.Ino. etgarderlaloietcontresterasautres biligouernamentidellacittadefanno quinelagardent,jàsoitcequeil icittadininobilieglifabeneoperare lefacentbien,Maintescitezsontoù eguardarelalegieecontradirea ligouvernementdelaviedel'ome quegliche nollaguardano,concio sontdestruit,etviventdissoluement, siacosach'eglifaccianobene.Molte car chascuns va après sa volenté. città sono oue il gouernatore della Liplusnoblesgovernemensquisoit ụitadell'uomoèdistrutaeuiuono enlaviedel'ome,etàmoinsde disolutamente,chè chattuno poineetdetravail,estcilquel'on apressosuauolonta.Ilpiùconuene consiredemaintenirsoietsamaisnie uollecomandamento egouernamento etsesamis,etcilpuetconvenable- chesianellauitadell'uomoeapena mentmaintenirgensquiaurala dipeneeditraualglioèquellache science de ce livre; porce que il l'uomo considera di mantenere se e saurajoindrelesenseignemensuni. suamasnadaesuoiamici;equeuli verselsaveclesparticulers;carci- puoteconueneuollementemantenere teiennecommuneestdiversedela gientecheàconsecolascienzadi particulere,aussicommeentozmes- questolibro;peròch'eglisapragiun agiosiacompiuto.Esonohuomini chepossonoesseregouernatipergha. stigamentodiparole,ealtrisonoche nopossonoesseregastigatiperpa role,maperminacieditormenti;e altrisonochel'uomononpuotees seregastigati nè per l'unonè per l'altro;etallihuominidebbonoessere  uae 1   60 C. MARCHESI (1)Taddeo riduce molto sensibilmente il testo latino e ne sopprime a dirittura la fine: forse egli ritenne compiuto a quel punto trattato aristotelico della morale e credette opportuno esclu. dere le parole seguenti; forse a lui melico e maestro fece ombra quell'accenno, in fine, all'arte della medicina. Probabilmente Taddeo rappresentava più da vicino il metodo pratico, e il libellus de servanda sanitate pnò darcene fede : s'è cosi, egli non poteva piacevolmente accogliere l'affer mazione aristotelica.  namqueciuilitasdiffertaparticulari suoifigliuolienegliamicisuoi.E quemadmoduminmedicinaetceteris lobuonoponitoredellaleggesiè potentiisoperatiuis;inhacintentione quegliloqualesaleregoleuniversali, nonmodicaestdifferentia.Inomnibus lequalisonodeterminate in questo ergo huius necessaria cognitio uni. libro,et salle coniungere alle cose uersalium simul et particularium. particulari le quali vegnono altrui Experientiaenimsolanonestsuffi- ciensinhiis,nequescientiauniuer- saliuminipsissecuraestetcerta absque experimento. Multi ergo m e dicorum sola freti experientia in se ipsis,quidem intendunt,bene uidentur operari et in aliis non proficiunt quicquam,eo quod naturam ignorant. Considerandum est itaque qualiter et per que erit quis peritus legis-lator. Erit autem hoc per noticiam rerum ciuilium,que subiectum sunt huius potentie. Quemadmodum se habet in ceteris artibus consimilibus huic, posse experientie in inuentione legis non estmodicum.Quidam putauerunt quod hac ars et rethorica sint unum et idem : in uno etiam putauerunt intralemani,peròcheabeneordi. esse uiliorem hanc rethorica : et leue quid reputarunt scientiam condendi le. ges.Non estautem sic;electionam que in arte qualibet actus nobilis est, et quidem per duo est,siue per scien tiam et experientiam: et per scien. tiam quidem est actus illius inuentio et per experientiam est ipsius directio et certificatio. Et universaliter con nareleleggisièmistieriragionee sperienza(1).   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 61 di uiuere coronpono ibuoni usi di  tiers;carenchascunechoseconvient gnierelo'nsigniamentouniuersale ilconoistrelesparticuleresetlesuni. cholparticullare;chèciertauitadi verseleschoses,porcequeseuleespe. comuneèdiuersadallaparticullare, riencen'estmiesoffisansence;et savoir lesuniverselschoses n'est pas altresicomeintuttimestieri,chèin ciascuna cosa conuiene conoscere li seurechosesanzl'esperience;ainsi commenosveonsmaintmirequipar particullariequesteuniuersalicose, perochesollasperanzanonèmica soficiente in cio; e sapere l'uniuersali cosenon è mica sicuracosasanza seule experience sevent maint bien faireenlormestieretenseignierne lesporroientasautres,porcequeil n'ontsciencedesuniversels.Donques l'esperienze;sìcomenoiueggiamo moltimedicichepersolasperanza seracilparfaizmaistresdelaloi neseguemoltobenefareinsuome. quiseitlesparticulerschosespar stiere,einsengniareno'lpotrebono experience et qui seit les choses agli altri, però ch'elgli non áno universels. scienza de l'uniuersali cose.Dunque Home furent qui cuidierent que sara quegli perfetto maestro della rectoriqueetlasciencedemaistrie legiechefaeleparticullaricose deloifussentunemeismechose,et persperienzaechesalecoseuni penserentquecestesciencefustle- uersali. giere;maislaveritén'estpasainsi, Huomini furonochecredottonoche porce que li maistres de la loi doit lla retoriccha e la scienza di m o estresemblablesàsesciteiens,et strarelegiefossonounacosa,epen doitsavoircestart,etquilesaura saronochequestascienzafossele liseraprofitable,etautrementnon; giere;ma llaueritanonècosi,però etseilcommencastàfaireloisanz cheimastridellalegiedebbonoes cestescience,ilneporroitdoitrement seresimilgliantialorocittadinie conoistrenejugierlabontédesana- ture,deacomplirladefautedesa science,maisporcequenoscuidons consirertouteshumaineschosespar legiesanzaquestascienzaeglinon guisedephilosophie,simetronstout potrebedirittamentegiudicharenė avantlesdizdesancienssages;et conosere dibontàdisuanaturane encepenseronsquelesdesordenées conpieladifaltadisuascienza.Ma manieresdevivrecorrumpentles perochenoiabbiamod'andarecon bons us des citez,etliconvenable siderandotutteumanecoseperguisa lesredrescent,etquiestl'achoison diphilosophia,simetonotut'auanti demaleviededanzlacitéetdela idettideliantichisauieciòpen bone,etparquoilaloiestsemblable seremonoicheledisordinatemaniere as costumes. debonosaperequestaarte:chilese guirrasaràprofitabileealtrimenti non.Es'eglicominciasonoafare   ditio legum similatur potentiis ciui libus, nec potest esse conditor legum qui non habuit scientiam istius artis. Qui uero habuit eam proficiet per experientiam et qui non, non. Et cum inceperintimponere legem absque habitu scientiali,non recte discernent. Neque bene iudicabit,nisibonitaset excellentia multa nature suppleat de. fectum scientie. At quantumcumque natura bene disposita sit,est tamen promtior et expeditior est in uere iudi. cando,cum secum habuerit certudinem artificialem .Quoniam itaque proponi mus speculari in rebus humanis modo philosophico, substinemus primitus dictaantiquoruminhoc;deindeconsi derabimus modos uiuendi,qui extant ; qui ipsorum corruptiui sintconsortii ciuilis in ciuitatibus quibusdam et rectificatiui in quibusdam, et qui corruptiui in omnibus et qui rectifi. catiui in omnibus, et que est causa bonae uite quarundam ciuitatum et que causa quarundam habentium se e contrario, et quarum leges con suetudinibus similantur. Incipiamus ergo et dicamus.  62 C. MARCHESI   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 63 cittadini,e le conueneuoli la dirizzano, e chi è chagione di malla uita dentro alla città e della buona, e perché la legie è sembiante a costumi. Da questo prospetto risulta chiaro quanto abbiamo prima af fermato,ed insieme con la questione dell'Etica volgare è risoluta quella non meno importante del volgarizzamento del VI libro del Tresor e delle fonti di esso,che il Sundby con molto buona volontà ma con poca fortuna rintracciava nel latino dell'altro Liber Ethicorum , del commento tomistico, e nelle chiose di S. Tommaso (1). È naturale che il critico danese ha qualche volta gridato all'impossibilità di trovare il passo corrispondente nell'originale(2),ch'egli rinveniva del resto molto malconcio e scompigliato nel francese di Brunetto. Nè il Sundby fu il primo a esser tratto in inganno circa le fonti del VI libro del Tresor.Già il Mehus parla di un'Etica latina di cui si valse Brunetto, compilata per incarico dell'im peratore Federico Inell'Università di Napoli,e di una traduzione dalgrecoinlatinodelLibermagnorum Ethicorum,fattasotto gli auspici di Manfredi da maestro Bartolomeo di Messina (3). Il Mehus è senza dubbio fuor di strada ; giacchè quest'ultima opera rimane estranea alla tradizione dell'Elica nostra, nè di quella prima imperiale versione d'Aristotile pare che non sia lecito dubitare. De'rifacimenti latini dell'Etica aristotelica dirò compiutamente in un prossimo lavoro; giacchè non è più possibile star paghi alle vecchie notizie,e d'altra parte le buone ricerche del Jour  (2) lvi,p. 149. (3) Op. cit., p. 155. 144 . p. (1) Op.cit.,   dain non sono affatto compiute e i risultati da lui ottenuti non sono più in buona parte sostenibili(1). Della Nicomachea si conoscono cinque redazioni latine nel 1300 ; delle quali tre derivano direttamente dal greco : l'Ethica uetus (2) che comprende solo il secondo e il terzo libro,l'Ethica noua (3)che contiene il primo libro, e il Liber Elhicorum che abbraccia tutti i libri e al posto dei primi tre inserisce con frequenti ritocchi e modificazioni il testo dell'Ethica noua e dell'Ethicauetus.IlLiberEthicorum,che fu commentato da Tommaso d'Aquino,ebbe larghissima diffusione,come pare anche dal numero e dalla importanza de'mss. che lo contengono (4), insieme col commento tomistico servi di testo fondamentale per l'instituto filosofico etico del tempo. Per il tramite arabo ci son pervenuti due rifacimenti latini della Nicomachea,d'indole ben diversa:il Liber Ethicorum , volgarizzato da Taddeo,che servi di fonte al VI libro del Tresor, eilLiberMinorum MoraliumoliberNickomachiae(5),tradotto dall'arabo in latino per opera di Ermanno il Tedesco (Herman nus Alemannus)nel 1240. È questa la parafrasi dell'Etica fatta da Averroè ; il rifacitore non volle solo tradurre l'opera m a intese altresi chiarirla e spiegarla,accrescendone e sviluppandone idati dimostrativi che nel testo sono ridotti a'risultati de'processi lo gici.Aristotile parve un po'contratto ;l'arabo ne distese imuscoli (4) Fin ora ho potuto esaminare ventidue mss.,di cui quattro del sec.XIII (Laurenzian.89,sup.44;XIII Sin.1;79,13;XIII Sin.6),diciassettedelse colo XIV (Ambrosian.F. 141 sup.; A. 204 inf.,di mano di Giovanni Boc caccio;Laurenz.XII Sin.7;XII Sin.9;Nazion.Napoli,VIII G. 11;G. 25; G.27:Riccard.III;Marciana (mss.lat.)cl.VI,39,41,43,44,122;Uni vers.Padova 679,788; Antoniana XX ,456; Capit.Padova G. 54; e uno del sec.XV :Ambros.R. 50. sup.). (5 ) L a u r e n z . 7 9 , 1 8 ; 8 9 , s u p . 4 9 . T r o v a s i p u r e i m p r e s s o i n t u t t e l e e d i z i o n i di Aristotele con ilcommentario di Averroès (Venezia,Andrea d'Asolo,1483 ; Giunta, 1550, 1560, 1562, 1574).  64 C. MARCHESI ( 1 ) O p . c i t ., p p . 5 9 - 6 2 , 7 6 - 7 7 , 1 4 4 , 1 7 9 - 1 8 1 . (2 ) L a u r e n z . X I I I , S i n . 1 2 ; V I I I , D e x t . 6 . (3)Ashburnham.1557.   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 65 e ne arrotondo icontorni,stemperandone la fibra. Aristotile,ada giatosi nella mollezza araba un po' adiposa, si presento all'in telligenza un po'incerta,bambina alquanto e stentata,delle nuove genti latine che con più agevolezza poterono,cosi in veste più larga,contemplarlo e comprenderlo; e l'opera aristotelica, accresciuta di quel po' di cemento della parafrasi araba che riempiva gl'interstizî apparenti della sua costruzione ideale,poté intendersi e premere sulle coscienze senza l'aiuto di un com mentario apposito che dissolvendone l'unità finale ne facesse a p parire gli elementi semplici di formazione. APPENDICE I. I CODICI DELL'ETICA Cod.Ashburnhamiano955[= 1]membr.sec.XIV,conlaprimapagina miniata.Tit.: L'Etica del sommo phylosofo Aristotile; la soscrizione finale si legge difficilmente; pare: Explicit liber Ethicorum Aristotelis phylo. sophj in uulgari idioma scriptus: di cc. scr. 48, le cui ultime presentano molte abrasioni. Cod.Magliabechiano 12.8.57 [52]membr.sec.XIV;titolieiniziali color.,di cc.scr.26. Com. Prolago sopra l'etichadel sommo phylosofo Aristotile; in fine: Explicit liber ethicorum Aristotilis. deo gratias. In fondo è ilnome del trascrittore «Sander me scrissit». Cod.MagliabechianoA.2.3.2[= 3]membr.sec.XIV;titolieiniziali in rosso,di cc.scr.22. Com.: Prolago sopra l'etica d'Aristotile; in fine: Qui finisce il libro dell'Etica del sommo filosafoAristotile il quale tratta delle uertudi che ssi conuegnono auere a cchostumi ed a buona vita delli huomini. In fondo « Giouanni di Lapo Arnolfi lo fece scriuere. Compiesi di < scriuere martedi di XXII di Giugno Anno MCCCXXXIX »; più sotto è indicato iltrascrittore«Sanderme scrissit»:è lostessodelcod.precedente.  5 C. MARCHESI.   Cod.Magliabechiano2.4.274[= 4)membr.sec.XIVexc.dicc.scr.44, miscell., contiene il Trattato sulle avversità della fortuna (c.1-16'). L'Etica com.: Incipit Ethica Aristotilis translata in uulgari a magistro Taddeo florentino;infine:ExplicitethicaAristotilistraslatatapermaestro Taddeo. deo grazias. A c.1a « Qui cominciano le robriche di tutto il libro dell'eticha « d'Aristotile traslatata per lo maestro Taddeo ». Cod.Marciano (mss.ital.)II,3 [= M]membr.sec.XIV,225 X 164,di cc.46 non numerate;anepigr.Precede il trattato «de la doctrina di tacere «etdi parlare»diAlbertano da Brescia;finisceac.11a:Quifiniscee libro de la doctrina di tacere et di parlare el quale fece messere Alber tano giudice da brescia nell'anno domini Millesimo CCXL V del mese di dicembre Deogratias Amen.Dopo un foglio vuoto,ac.13a seguono alcune « Sententie Tulij et Senece et aliqua dicta Aristotilis », che vanno sino a c.18a.L'Eticii,anepigrafa,vadac.18'ac.46t;iltestoèmolto guasto e scorretto,senza alcuna divisione in libri; in fine: Finitus est liber deo gratiasAmen. Cod.Palatino634[=5] membr.sec.XIV;rubricheeinizialicolorate: di cc. scr.27, più una bianca. Tit.: Incomincia l'eticha d'Aristotile in uol. gare ; in fine: Explicit ethica Aristotilis translata a mgio iohe min . deo gratias. Cod.Riccardiano 1538 [= 6;vecch.segn.S.III.47]membr.sec.XIV inc.,miscell.,con belle iniziali colorate e rabescate e numerose vignette intercalate nel testo,di cc. scr.231. Tit.: Incipit etthica Aristotalis. Segue a l l ' E t i c a il t r a t t a t o d e l l e q u a t t r o V i r t ù , il S e g r e t o d e S e g r e t i e d a l t r e s c r i t t u r e sacre e profane;il cod.,come sivede dalla soscrizione finale,appartenne a un Bertus de Blanchis che ne fu forse anche il trascrittore. Cod.Riccardiano 1651 [= 7;vecch.segn.N. IV.27]membr.sec.XIV, coninizialicolorateerabescate,dicc.scr.50.Tit.:Prolagosopra l'ethica d'Aristotile;infine:explicitliberEthicorum Aristotelis.Contieneinoltre: Egidio Romano, la esposizione della Canzone di Guido Cavalcanti. Cod.Laurenziano89Sup.110[= a]membr.sec.XV,dicc.42.Nella  66 C. MARCHESI C o d . R i c c a r d i a n o 1 2 7 0 [ = 8 ] m e m b r . s e c . X I V , m i s c e l l .; p r e s e n t a t r a c c e di quattro mani diverse;la più antica riempi ifogli dell'Etica (da c.5a a c . 3 0 ). C o m .: Q u i c o m i n c i a l ' e t i c h a d ' A r i s t o t i l e . Cod.Ambrosiano C.21.inf.[39]membr.del sec.XV,dicc.58,con la prima pagina fregiata e miniata,con lo stemma del possessore e il ri tratto del filosofo; le iniziali di ogni libro colorate e fregiate. Com .: La Prefatione di 'l primo libro di l'Ethica de Aristotele ad Nicomacho suo figliuolo; nessuna soscrizione finale.   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 67 prima pagina è lo stemma del possessore con la indicazione « Jacopo di « piero benciuenni ciptadino florentino spetiale a pie'del Ponte Vecchio 1488 ». Tit.:Prolago sopral'eticadelsommophylosofoAristotile;infondoporta la data della trascrizione: 1451. Cod. Laurenziano 76. 70 [= r] cartac. sec. X V , di cc. 118. Precede a p. 1 « Insegnamento delle uirtudi e mortificamento de'uitii secondo Aristo « tile e detti e autorità notabili di Santi et di molti saui et filosafi et poeti » cioè,ilVIIlibrodel Tesoro.L'Eticacominciaac.78:Quicomincial'etica d'Aristotile; in fine: Explicit l'etica d'Aristotile. Cod.Magliabechiano2.4.106[= m]cartac.sec.XV,dicc.77,miscell.; contienevolgarizzamentidioperesacre.L'Etica(c.54-72t)com.:Qui co mincia un'opera facta per lo grande sapiente Aristotile detta l'Eticha; in fine: Finita l'eticha d'Aristotile translatata per maestro Taddeo.deo gracias.Sottoèl'indicazionedell'anno Scrittadigennaio1459». Cod.Magliabechiano2.2.72[= p]cartac.sec.XV,miscell.:contiene ladottrinadelparlare(estrattadallaP.I,cap.13del Tesoro),ilSegreto de Segreti,ilvolgarizz.daVegezioFlavio,un librodelleAringherieetc. Si trova unito a questo un codicetto dello stesso formato, di cc. 18, conte nente una piccola storia o diario della città di Firenze dal 1300 al 1379. L ' E t i c a v a d a c . 5 4 a c . 3 6 ', a n e p i g r . I n f i n e : C o m p i u t a è l ' E t i c a d ' A r i s t o tile translatata in uolgare da maestro Taddeo. Cod.Magliabechiano21.9.90(= r]cartac.sec.XV exc.miscell.Con tiene una parte del trattato del Governo della famiglia di L. B. Alberti e dell'Etica solo il libro ottavo e nono ; vede bene che il trascrittore ha volutoestrarrelaparteriguardantel'Amicizia;ambedue ilibrisondivisi i n v e n t i d u e c a p i t o l e t t i. A c . 6 1 è l a s o s c r i z i o n e d e l c o p i s t a « G i o v a n n i S t r o z z i » , eladata:20maggio1482. CodiceMarciano(mss.ital.)I,134(= N)membr.sec.XV,205X 138, cc.64 non numerate,con le iniziali dei libri miniate e dorate. Com .: Incipit proemium transductorishuiusoperisuulgaris;iltestocom.ac.21:Libri Ethicorum siue Moralium Aristotelis qui sunt X in multa capitula diuisi, quiageneraliterdemoribussehabet.Nam inprimolibrodeterminatde felicitate morali et eius partibus. Segue a c. 47 un semplicissimo ristretto volgare degli Economici,indue libri:Incipiunt libri Ichonomicorum Ari. stotilis duo diuisi in aliqua capitula pertinentis ad gubernationem familie. Nam inprimolibrodeterminatdepartibusIconomiceetdeconiugatione mulieris et uiri,quae dicitur nuptialis,de coniugatione parentum ad filios quae dicitur paterna,et dominorum ad seruos quae dicitur dispotica. « La scientia di regiere la casa ha nome Iconomicha et è differente da la    « scientia di reggiere la cipta la quale ha nome polliticha. Non solamente « perchè una cio e la Iconomica considera el regimento de la casa et la « politica el regimento de la cipta,ma etiandio perché in reggiere la casa «nondieesseresenonuno.».A c.61asegueunExtractumAristotelis de libro Secreta Secretorum de arte cognoscendi qualitates hominum ad Alexandrum regem . In ultimo è questa soscrizione: « Ex Venetiis primo «IdusIulijMCCCCLXXIII finis». Codice Marciano (mss.ital.)II,141 (= V]cartac.sec.XV inc.,272X200, di cc.48 non numerate,con la iniziale miniata e il titolo rubricato : Hetica d'Aristotile; finisce a c.38 ': Qui finisce il libro detto Ethyca d'Aristotile. Composto per lo nobile phylosapho Aristotile greco Atheniense scritto nel M.CCCC.XVIIIecompiutoadiXXVIIId'aghosto. Nellestinche di firençe nel malleuato di sotto. Seguono due carte bianche, e a c. 41 il libro di sentenze, che si legge pure nel Marciano II, 3. Cod.Mediceo-Palatino43 [= y] membr.sec.XV,di cc.scr.54,più quattrovuote:ititolideilibriedeicapitolicolorati;scrittomolto nitida mente.Per incuriadichirilegòne'due primi quaderni è un'inversione cui pone riparo la opportuna numerazione delle pagine.C o m .: Incipit Ethyca Ari. stotilistranslatainuulgariamagistro Taddeoflorentino;infine:Explicit Ethica Aristotilis traslatata per magistro Taddeo.Deo gratias Amen. Cod.Palatino501 [= X]cartac.sec.XV,dicc.44,miscell.;contiene il libro di ammaestramenti,sentenze,il libro di Catone,il trattato delle quattro virtù, e altri volgarizzamenti di carattere morale. L'Etica (c. 1-224) com.: Questa si è l'etica d'Aristotile; in fine: Explicit etica Aristotilis translata a magistro Taddeo. Cod.Palatino510[= d]cartac.sec.XV inc.,dicc.111,miscell.;con. tiene volgarizzamenti da Boezio,Cicerone etc. L'Etica (c.82--1066)com.: Qui chominciano i fioretti dell'etica d'Aristotile; in fine: Finiti i fioretti dell'etica deo gratias. C o d . P a l a t i n o 7 2 9 [ = f] c a r t a c . s e c . X V , d i c c . 4 5 : i n i z i a l i c o l o r a t e e fregiate. Inc. Qui chomincia il proemio sopra l'ettichia di Aristotile Pren . cipe di filosafi; in fine: Finito e libro chiamato l'eticha d'Aristotile a di X X V d'ottobre mille quatrociento quarantacinque per le mani di filippo Adimari da firenze a uso e stanza di se e di suoi amici deo gratias. Cod.Riccardiano1084 [= c]cartac.sec.XV,dicc.49;inizialieru briche colorate. Inc. Comincia il prolago del libro della hetica d'Aristotile; in fine « deo gratias amen ». Cod.Riccardiano1357[= e]cartac.sec.XV,dicc.248,miscell.;con tiene scritture sacre.L'Etica va da c.49a a c.702. Com.: Prolagho sopra  68 C. MARCHESI   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 69 l'eticha del somo filosafo Aristotile; in fine: Finiscie l'eticha del sommo filosafo Aristotile deo grazias. Cod.Riccardiano 2323 [= g] sec.XV,di cc.51; rubriche e iniziali grandi colorate.Precede la Introduzione al dittare di «maestro Giouanni « bonandree da Bologna », con questa ottava al principio « Di Bologna natio «questoautore|nellacittastudiandodou'ènato conallegrezzaemaestral «amore|digiouaniscolarquestotrattato|brieuementecomposeilcui ti «nore conciedeachil'aurabenistudiato|sopraquelchelaepistolaadi. « manda |et sofficientemente in lei si spanda ». L'Etica è compresa da c.20 ac.51;infine:ExplicitEth.Ar.traslatataamagistro Taddeoinuulgare. Scribere qui nescit nullum putat esse laborem. Cod.Riccardiano1610[= h]cartac.sec.XV,dicc.26,miscell.;contiene il trattato delle quattro virtù.Com.: Incipit liber Ethicorum Aristotilis; infine:ExplicitliberEthicorum Aristotilis.Ilcopistafu«lulianusAndree a de Empoli > che lo scrisse « per sè e per i suoi consanguinei ». Cod.Riccardiano1585[= v]cartac.sec.XV,dicc.69:inizialierubriche colorate,con frequenti macchie d'acqua nel margine.Contiene il Segreto de Segreti(1"-44a)el'Etica(441-68a);com.:Fiorettidell'etichad'Aristotile del primo libro; in finc: Qui finiscie el libro dodecimo ed ultimo delle tichacompostoperlonobilefilosofoetsommo Aristotile.Amen. Cod. Ambrosiano J. 166 inf. Cartac., trascriz. rec. Il codice consta di più parti cucite insieme. L'ultimo quaderno contiene l’Etica, il Segreto,e il volgarizzamento dell'orazione pro Marcello. La trascrizione è fatta con molta probabilità su di un codice antico, fedelmente. L'Etica è anepigrafa ; in fine : Explicit Eth. Ar.Manca ogni divisione della materia. Cod.Erbitense [Biblioteca Comunale di Nicosia].Cartac.,trascriz.rec. Contiene il volgarizzam . toscano del de Amicitia e il compendio dell'Etica, che manca del primo libro. Cod.Napolitano Nasion.XII.E.35 [= s]:Copia recente d'un ms. quattrocentino posseduto dalla biblioteca di casa Bentivoglio. Contiene il trattato della fisimomia (sic), ch'è aggiunto in fine come tredicesimo libro dell'Etica.Inc.: Dell'Eticha del sommo filosofo AristotilelibriXIII;in fine : Qui son finiti i dodici libri dell'eticha del sommo Aristotile.    I CODICI DEL TESORO Cod.Ambrosiano G.75 Sup.(= Amb.)membr.sec.XIV,aduecolonne, con rubriche fregiate e colorate; di cc.scr.121. L'Etica va da c.56a « In « cipit libro d'eticha Aristotile » a c.73a « Expicit libro d'eticha Aristotile. « I n c i p i t l i b r o c o s t u m a n t i e » . L ' u l t i m o c a p i t o l o c o n c u i si c h i u d e il c o d i c e è : Come ilsignoredeestarearendereragione.Finisce(c.121a)«eprenderai « commiato dal consellio e dal comune de la citta e te ne anderai a gloria dea honore. FiniscelolibrodimaestroBrunectoLatinidaFiorenza». Cod.Ashburnhamiano 540 (= a)cartac.sec.XIV;anepigr.e mutilo, dicc.138.L'Eticafinisceac.73t:ExplicitelicaAristotilisa Magistro Taddeo in uulgare traslata. Il resto del Tesoro si arresta a cc.88 (lib.VII, cap.27]; a c.90 è un capitolo in terza rima di Dante : lo scrissi già d'amor pii uolte in rime,con una notizia sull'occasione ch'ebbe il poeta di scriver quella poesia;a c.94 è una legienda chome tre monaci andarono nel paradiso di lutiano. il qual e in terra ... Seguono altri scritti,tra cui un framm . del Fiore di filosofi. Cod.Gaddiano 83 (= €)cartac.sec.XIV,acef.e mut.; ilprimo foglio è aggiunto di mano diJacopo Gaddi,dicc.147,sciupatodall'acqua.Ilcodice si chiude con l'Etica,ed ha questa soscrizione: Finito el libro fatto e chon pulato per Maestro Brunetto Latino. Il cod.come si vede da un'indicazione sulla guardia,apparteneva a'figliuoli di « Giouanni di ser Andrea di Michele « Benci lanaiolo cittadino fiorentino ». Cod.Laurenziano42.23(= )membr.sec.XIV,contitoliinrossoe le iniziali colorate, e il ritratto del maestro, in principio, dipinto nell'atto che insegna ; di cc. 142. Il testo è diviso in tre parti: dopo la prima è un indice della materia precedente; un altro indice di tutta la rimanente m a teria trovasi alla fine del codice. L'Etica va da c. 59! « Cominciamento del « segondo libro del Tesoro lo quale e appella l'eticha che compuose Ari « slotile » a c.774 « Explicit hetica Aristotilis a magistro Taddeo in uol. «gare traslectata».Infinedelcod.:«Explicitlibroloqualefuecomposto per lo maestro Brunetto Latino di fiorenza et poi traslectato di fran ciescho in latino (Bondi pisano mi scrisse dio lo benedisse. Testario sopra nome, dio lo caui di gienoua di prigione. et a llui et a li autri che ui sono  70 C. MARCHESI APPENDICE JI.   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 71 e da dio abiano benizione.Amen amen). La soscrizione è di mano dello stesso copista. Cod.Laurenziano 90 Inf.46 (= d)cartac.sec.XIV exc.,aduecolonne; titoli in rosso e iniziali colorate ; di cc. 211. L'Etica va da c. 74+ (Qui co. mincia l'ectica d'Aristotile et est la segonda parte del Tesoro) a c. 100a (Explicit l'etica Aristotile in questo tanto che io noe trouata).In fine del codice: Qui fenisce lo sourano libro-Explicit lo libro del Tresoro. Cod. Magliabechiano 2. 8. 36 (vecch. segn. 25. 258] secc. XIII-XIV : acefalo e mutilo di cc.91. Comincia al lib.II, P. I,cap.19 efinisceal lib.III,P.II,cap.21. L'Etica finisceac.19a,senza alcuna soscrizione. Tra il compimento della prima parte e il principio della seconda (cc.44-75)sono della stessa mano alcune tavole planetarie e astrologiche, tavole ad lunam et ad Pascham inveniandas etc. Proven.Strozzi. Cod.Palatino585(= ^)cartac.sec.XIVexc.,dicc.214;miscell.Con tiene,oltre il Tesoro,ilLibro di amaestramenti di costumi,le cinque chiari della sapienza,iltrattatodelle quattro Virtù morali,lo libro di Chato. L'Etica va da c.87+ [Qui chominciano le robriche del secondo libro delTesoro,cioèd'etichad'Aristotile- epoi:Quisichomincialosecondo libro del Tesoro e primamente dell'ecitta d'Aristotile) a c.115a [Explicit E t i c h a A r i s t o t i l i s a M a g i s t r o T a d e o i n u u l g h a r i t r a s l a t t a t a d e o g r a z i a s ]. Finisce il Tesoro a c.175a.Al recto dell'ultima carta,dimano di poco po. steriore, si legge « Questo libro è di Giuliano di Giouanni Quaratesi : chi llo « achatta, piaccagli renderlo per l'amore di dio, e dalle lucerne e da' fan «ciullilorighuardi».Com.iltestodel Tesoro:«Questoèlolibrochessi «chiama Texoro loqualeèchauato dalla bibbiaede'libridifilosofi a che ssono stati per li tempi ». Cod.Riccardiano 2221 (= 2)membr.sec.XIV,di cc.127; iniziali co lorateefregiate.L'Eticavadac.58'«Incipit libbro elichaAristotile» a c.75'«Expicit libbrod'etichaAristotile».A c.1224:Qui finiscielo libro di mastro bruneto Latini da fiorensa. Si nota una grande confusione nella distribuzione della materia dell'Etica,prodotta dallo spostamento di varie parti.   Cod.Laurenziano 42. 19 (= P) membr.sec.XIV, a due colonne,con molte miniature e iniziali colorate; di cc.93. L`Etica va da c.40a « Qui « comincia la seconda parte del Tesoro di Burnetto Latino el quale libro e si chiama la ethica d'Aristotile » a c. 51a « Qui finisce l'Eticha d'Ari a stotile » . = u. membr. Cod.Casanatense1911(= )cart.sec.XV,dicc.130;anepigr.mutilo. L'Etica va da c.33*(Qui chomincia il nobile libro che fecie il sauio Ari.   stotilefilosafocioèl'Eticasua)ac.45 (fincieillibrodel'etica).Inun'av. vertenzaappostaalcodicestessoènotatalamancanzadellaparteche ri guarda la Politica (lib.IX); vi si trova la teologia,divisa in due parti; com.:Voiuorestich'ioviconfortassil'animeuostremaiodubito fare ilchontrario.;(in questo trattato si parla di dio,angeli,sacramenti, del l'anima).Nel fl.r.membr.della guardia è un indice della materia che giunge sino alla natura del delfino (V libro). Cod.Magliabechiano2.2.82(= n)cartac.sec.XV,dicc.111,mutilo; siarresta al principio dell'Elica(cap.1):sièinutileinquestascienza. Inc.: Qui comincia lo libro il quale fece ser Benedecto (sic) Latini di firense e parla della nascienza di tutte le chose e ae nome il Tesoro. L'Etica ha questo tit.: Qui comincia il sechondo libro del Tesoro facto per ser Brunetto latini di firenze il quale parla dell'ethica di Aristotile. Si trovano in questo codice altri volgarizzamenti da Seneca , Boezio, G e ronimo etc. Cod.Magliabechiano2.2.48(= v)cartac.sec.XV,dicc.153,mutilo; e x p l . « Q u i d i c i e d e l l a B r a n c h a c i o e d i c h o n c r u s i o n e » . I n c .: I n c o m i n c i a il Tesoro di ser Brunetto Latini da Firenze conpilato in francescho. L'Etica va da c.60a [Qui parlla il maestro della beatitudine.coe.parlla Aristotile sopra l'eticha] a c.81* [Qui finisce il secondo libro di questo trattato di ser Brunetto Latini oue brieuemente a trattato della beatitudine e d e l l e u i r t t u s o p r a l ' e t i c h a d ' A r i s s t o t i l e ]. A l m a r g . i n f . d e l l a p r i m a p a g i n a si legge il nome di un possessore: Concini. I CODICI MUTILI DEL TESORO. Cod.Leopold.Gaddiano IV (= 0)membr.sec.XIV,a due colonne,con la iniziale dorata e dentro essa l'effigie dell'autore; di cc.40. Inc.: Qui in. chomincia el Tesoro di ser burnetto Latino di firenze. E parla del na. scimento e de la natura di tutte le cose. Si arresta alle parole « allora «uegnonolichacciatoriefanno»,cioè al penultimocapitolodellaprima parte (de unicorno).Sul foglio di custodia in fine si legge il nome del possessore « Liber mei Angeli Zenobii de gaddis de florentia ». Cod.Leopold. Gaddiano 26 (= T)cartac.sec.XIV,a due colonne,di cc.88. Inc.: Questo libro si chiama il Tesoro maggiore il quale fece maestro brunetto Latini di firenze, e tratta della bibia e di filosofia e  72 C. MARCHESI   IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 7 3 delle uecchie istorie ad amaestramento di choloro che leggierano.Contiene tutta la prima parte e il prologo della seconda (c. 85): « E poi uerra il prolagho apresso a questo dicha de l'eticha del grande sauio Aristotole ». Cod.Laurenziano 42. 22 (= E)cartac.sec.XIV,di cc.165;titoli in rosso e iniziali colorate, con l'effigie dell'autore in principio ; mutilo. Inc.: In nomine Domini Amen . Qui comincia lo libro del Thesoro maggiore, lo quale libro fece maestro brunetto Latino di fiorenza. Questo primo libro fauella del nascimento di tutte le cose di filosophia et di sue parti. Prologue de la natura di tutte cose. Si arresta alla prima parte : « per « ragunare la secunda parte di questo thesoro che dia essere da pietre pre «tiosecioecharbonchi perlle diamanti».La lezione di questocodice in moltissimi punti si allontana da quella comune delle stampe e dei codici, non solo per diversità di espressioni,ma anche per copia e qualità di notizie. Cod.Laurenziano 42. 20 (= B)membr.sec.XIV,a due colonne,col ri. tratto dell'autore in principio; titoli in rosso e iniziali colorate, di cc. 112. Inc. « Questo libro e chiamato il tesoro magiore il quale fece ser burnetto . « Latini di firenze il quale tratta de la bibbia et di filosofia et del cho « minciamento del mondo e de l'antichita de le uecchie istorie et de le a nature di tutte chose insomma ad amaestramento e dottrina di molti. «Ed erechato di francescho in uolgare apertamente».Comprende la prima parte e il prologo della seconda : Qui parla alquanto d'eticha d'A ristotile.A c.112a è un elenco de're di Francia. Cod.Laurensinno 42. 21 (= p) cartac.sec.XV,di cc.70. Inc.: Qui comincia il libro del Tesoro il qual fe ser brunetto da fiorença e parla del nascimento di tutte le cose.Contiene fino a tutto il libro V. Molte varianti. Cod.Magliabech.VIII.1375 (= U)membr.sec.XIV.Anepigr.,acef., matilo,dicc.32,aduecolonne,con le iniziali colorate.Proven.Strozzi. C o m i n c i a a l l a f i n e d e l c a p . 9 ( p . 3 0 , e d i z . . R o m a g n ., B o l o g n a , 1 8 7 8 ) « n e «elliuengnano.Etperciononaeinloropuntodifermeçça ketuttecose ve tutte creature si muouono e si mutano in alimento percio dico ken « questi tre tempi cioe li passati e li presenti e quelli ke sono a uenire non a sono niente se del pensiero noe a chuelli souiene de le cose passate e in « guarda la presente ed atente quelle ke deono uenire » etc. . . . sino a c. 41 (p. 94, ed. cit.) « e la reina non uolse aconsentire al matrimonio anzi la « uolea donare ». Da questo punto ch'è evidentemente interrotto, per man . canza di nesso con la pagina seguente,la distribuzione e l'entità della m a teria sembra in gran parte diversa dalla comune del Tesoro. Riferiamo talune rubriche : a c. 5a il cod. seguita « dira qui apresso Lamet frate di    C o m e l o r e M a n f r e d i p r e g h a il p p c h e li c o n c e d e s s e il r e n g n o e t c . e t c . » . Seguita quindi a dire di Manfredi e della battaglia di Benevento e di Carlo d'Angiò e di Gianni da Procida e de'Vespri,lungamente.Vengono appresso altre narrazioni « Come si lamenta il conte Giordano Cod.Palatino 483 (= Q)cartac.sec.XV,dicc.65. Inc.:Quichomincia lo libro il quale fecie ser Benedetto Latini di firenze e parlla della n a scienza di tutte le chose e a'l nome il Tesoro. Comprende la prima parte e il prologo della seconda. Ne resta esclusa dunque l'Etica e il resto del Tesoro. Insieme con questo codice si trova legato un altro, di mano diversa, contenente iframmenti del Buouo d'Antona,in ga rima. Cod.Riccardiano2196(= w)membr.sec.XV,aduecolonne,dicc.67. Si ferma al punto ove parla del « modo di trovare l'acqua e delle cisterne » (lib. I I I?). È da notare che ci troviamo di fronte a una lezione ben diversa dalla più comune. CONCETTO MARCHESI.  «GiosepoefigliuolodiJacobetc.... Come sicominciai agioaltempo «diSaulediJerusalem– Loquintoagiosicominciaquandoigiudei «eranoinpregione Danielf.gesseediSaul ·delgloriosoreSalomone «profetta de elias deloredugidiTebas– dieliseusprofete. de « isaie profette de germie profette etc. etc. ». A c. 9 abbiamo un cata logo di pontefici: segue la storia della chiesa di Roma e di Costantino. Poi « Come franceschi perdero lo 'perio di lo re imperadore di Roma « primo taliano di beringhieri come perdeo la sengnoria e uenne amao «dotto di Sasogna Reame della mangna Arigho della mangna «Comeloredifranciafusconfitto Comelo'peradorepreseliparlati «difrancia Comelachiesauacantidibuonipastoritradivalo'peradore « tinuamente la natura lauora in tutte cose – »; seguono figure astrono miche,della luna,del mappamondo. Finisce a c.32. « Dell'altra citta di uerso nasce lo fiume di rodano e uassene dall'altra parte uerso borghon « Francia diuide in « gnia e per proenza molto correndo e anzi che lli sia a mare si «duepartiellamaggioreparteentrainmare presoadArlil'altrobraccio.». Qui si arresta il codice. Come con KLII,p.1 74.  THADDÆUS FLORENTINUS. qua fortuna . Sunt quivelint ex humili prorsus loco , & infima populi fæce.(6) Sed contra aliisvidetur editus exAiderotta gente,non patricia illa & primaria;duplex enim fuit;sed altera,minus quidem nobili,fedhonefta & liberali. (c) Alderottum certe patrem habuit , (d) & ex gente Alderotta di ctus est a Scriptoribus . Fuere Thaddæi fratres Simon & Bonaguida , homines obfcuri, quorum vix nomen ad nos pervenit. (e) Ac Thaddæum quoque ip sum narrant non minimam ætatis partem non folum inglorie , sed ignominiose etiam transegisse. Adeo enim ftupidum a natura fuiffe tradunt,ut totis triginta annis n e c literas didicerit , nec honetto ulli artificio aprus fit visus . Itaque v i ctitasse ajunt sordido & illiberali quæftu , occupatum præ foribus sacelli S. Mi. chaelis in Horto vendendis minutis candelis , quas ibi religionis causa accendi mos erat . Sed exactis triginta ætatis annis , quafi ex veteri somno experre ctum , & dissipata cerebri caligine , incredibili ardore excitatum ad literas , quarum discendarum ftudio Bononiam , adhuc rudem , & vix in Grammatica eruditum convolasse ajunt . Sed hæc, quæ de Thaddæo memoriæ tradidit Philip pus Villanius , quamquam & Florentinus , & non indiligens scriptor, & ad m o d u m antiquus , aliquis in dubium revocat , quod fabulis fimilia videan . tur ; (f) qua de re integrum erit unicuique judicium . IÌ. C u m igitur Bononiam venisset, ut optimarum artium ftudiis animum excoleret , in quo omnes consentiunt, Philosophiæ totum , ac Medicinæ le de dit. Incidit Thaddæi adventus ad fcholas noftras in illud tempus , cum M e d i ca facultas, quæ antea ufu fere & exercitatione peritorum tota continebatur , a Philosophis tractata, nova luce donari cæperat; fi tamen vetus illa Arabum Philosophia , quæ tunc scholas invaserat ,n o n ubique tenebras & caliginem offundere poterat . Sed ita persuasum erat hominibus , atque hæc potislima Thaddæi laus fuit , quod primus ex noftris Medicinam cum Philofophia arctissi m o fædere conjunxisse visus sit. (g) Tentaverant id quidem ante Thaddæum alii, (h) & erantin Academia noitra ante illum Phyficæ, five,ut dicere ama bant,Phyficalis ientiædoctores,& professores,quifacemThaddæoipfiprætu. lerant ; nec dubito , quin eorum aliquem in scholis noftris audierit . Sed ille unus plus operæ contulit inftaurandis Medicina ftudiis ad ejus fæculi guftum , q u a m fuperiores omnes . Extant adhuc ampla ejus commentaria in libros vete rum Magiftrorum artis Medicæ , partim typis edita , partim manu exarata in locupletiorum bibliothecarum pluteis , quæ primum inter docendum in scholis nusprotulitexlibroHH .p.338.Excerpt.Scriptur. (c) Annotaz. del Dot. Ant. M. Biscioni al Conventus S Crucis Flor. Vid. Ci.Mazuccbel,in Conv. di Dante . In Firenze 1723. p. 68.  XVI. "Haddæus Florentiæ natus eft paulo post initium sæculi XIII.,(a) incertum THE , Nnn 2 (a) Obiit anno MCCXCV., ut infra dice- teringum & c. Presentibus Mag. Salveto de tur.Cum igitur,Philippo genarius decesserit, natum oportet Villavio auctore , octo annoMCCXV. Com.Bonon. Ferraria & M a g . Santo de Cesena . Ex Mem . ab (b ) Pbilip. Villan, in lib. de laut.Florent. in Append. N. XII. (e)Ex tabulisanni MCCLI.,quas Biscio. PROFESSORES . 467 (d)An.MCCLXXXIII.die VIII.exeunt. (f) Vid.Ci. Mazuccbel. loc.cit. Jul.Mag.Thaddeus professor artis Medicine (g) Vid.Jo.Antr.Vunjted defair.viror. fil. qnd.d n .Alderotti de Florentia fecit Joan. illuftr. p. 312. & c. n e m dn. Anglonis fuum procuratorem ad re ( h ) Petri Hispani, qui anno M C C L X X V . cipiendam pacem & remifsionem a Loteren. Ro.Pontifexrenunciatus,di&tusifJeannesXXI., go qui dicitur Rigutius & a Bonino fuo fi commentaria babemus in librum Ifaac Medici ,quae lio & ab omnibus & fingulis aliis de consan- Jubtilitatibus dialecticis abundant. Ilm in hipo guinitate ipsorum ... de omni injuria , & pucratem w Arijtotelem scripufe dicitur ; nec du offenfione que dicebatur eise facta per M a g . bito , quin bæc fcripta aliquanto ante Tbs.ddæi Thaddeum vel B.naguidam fuum fratrem commentaria prolierint. Sed quantum bæc illis vel per aliquem de contanguinitate ipforum præjliterint , doctorum hominum judiciun postea vel q u æ diceretur eise facts p e r predictos L o vlendit. Tbadilæo Allerotto ,   ab eo tradita , m o x ab auditoribus excepta , incredibilem ei famam concilia runt. Id autem in eo potissimum mirabantur homines , quod ita Medicinam tractaret , ut ejus facultatis canones & præcepta ad severioris Philofophiæ ratio nes exigeret ; quod nemo ante illum magno fuccefsu perfecerat. III. In hunc m o d u m recepta eft in scholis noftris vetus illa Medicina Philosophica , fi ita appellare licet , quæ brevi tempore omnes Europæ Acade. mias pervafit, & innumeros Scriptores tulit. Hinc agmen interpretum in Hip pocratem , & Galenum , atque Avicennæ in primis , aliosque veterum Medico rum libros, Thaddæo duce; cui non satis ad laudem fuit interpretem dici,sed plufquum interpres a quibufdam dici amavit, (a) & ut alter Hippocrates apud Italos habitus eft. ( b) Ejus autem gloffæ , præcipuis Medicinæ libris adjectæ, in scholis communi suffragio receptæ sunt , & pro ordinariis, ut dicere folebant, longo tempore habitæ eodem loco fuerunt apud Medicinx Itudiofos , atque Ac curtianæ gloffæ legum libris appofitæ apud Juris Civilis professores. Magister etiam Medicorum jure di&us eft, (c) ob excellentium Medicorum copiam, qui ex ejus fchola prodierunt. Tanta denique ejus nominis fama, & inre Medica celebritas fuit, ut perinde esset in usu popularis fermonis Thaddæum fequi, (d) ac Medicinam profiteri. IV . Docere cæpit Thaddæus circiter annum M C C L X ., aut non multo fe rius ; eodemque tempore scribendo vacabat , neque operam fuam curandis V.Cum igituræquefelixincurandisægrotis,acdoctusinscholareputa retur , non folum in civitate noftra Medicinam fecit, sed paflim vocabatur ad curandos magnates , & viros principes per alias Italiæ civitates . Hinc aliquis de illo magnifice potius , quam verescriptum reliquit , non confuevisse illum aliis , quam principibus , & nobiliflimisviris curandis operam præftare. Sed il lud tamen indubium eft , non fivisse aliò fe abduci ad curandum quemquam , nifi pacta ingenti mercede , quæ non tam efiet pro loci diftantia, aut difficul tate curationis , q u a m pro fui dignitate , & facultatibus eorum , ad quos CU randos vocaretur. Neque far erat de mercede pacisci: nam fibi quoque cau. t u m volebat de itu & reditu , accepta ingentis pecuniæ sponsione pro fecurita: te itineris·Dignæ sunt, quæ legantur, tabulæ an. MCCLXXXV .scriptæ,cum Thaddæus Mutinam iturus esset ad curandum Gerardum Rangonum . In iisRan goni procuratores T h a d d æ o promittunt , fe facturos, ut liberum iter & expedi ium ad eam civitatem habeat, fufcipientes in se omne periculum , & impen sam : quod si pactis minime ftetiffent, promiserunt, fe eidem reftituturoster mille libras bononinorum , quas depofiti loco a Thaddæo ipfo accepisse fate bantur . Similes tabulas habemus anno MCCLXXXVIII .cum Mutinam rurfus ment. in Parad. Dantis C. XII., dou a vellutela . 1189  1 468 MEDICINE ! (a) Ita appellati:r aBenvenuto ImolenfiCum evo. apud Ercard. Corp. Histor. med. ævi col 1 1 lo ibid. Sed qui plusquam Commentator a Pbi. qui revera opus fuum tum inscripsit, is fuit Turrisanus Tbaddæi au ditor;de quo alibifermo erit. plufquam Commen M a per amor della verace manna (6) Hic homo , cum penes Italos, ut al. fundature, Paradisi C. XII, t e r H i p o c r a s h a b e r e t u r . P b i l i p . V i l l a n . d e L a u d . ( e ) T b a l i l æ u s a d c a l c e m C o m m e n t a r . ix A Florentiæ ,five de Cl. Florentin. (d) Non per lomondo, percuimo's'afo In picciol tempo gran dortorli feo. Dant.Aligber. de S.Dominico Ord.Prædicator. tis defiderari patiebatur . Docendi tamen , & scribendi laborem intermifit an no,utopinor,MCCLXXIV.cum civilebellum,aLambertacciis,&Jere. miensibusexcitatum,civitatemnoftrammiseranduminmodum conculit.(e)Sed ipfe quoque fatetur,se aliquando a scribendo ceffasse ob quæstum , quem curan dis ægrotis faciebat. (f) Atque hinc apparet, quæ fides habenda fit Philippo Villanio , cum scribit, Thaddæum , fpreto lucro, fe totum interpretandis vete. rum Magiftrorum libris dedille. (8 ) Fallitur etiam Villanius , cum scribit, Thaddæum ftipendio publice conftituto Bononiæ docuiffe ; nondum enim, eo vivente ,M e d i c i n æ profefforibus ftipendia attributa fuerant . lippo Villanio , aliisque Scriptoribus dictus et , fanna Diretro all'Ostiense et a Taldea (c!Eo anno Mag.Thaddæus Medicorum magitter moritur . Ricobald. Compilat.Cbronolog. pborismos Hippocrat. (f) bulm . (g ) Pbilip. Villan. loc. cit. ægro   evocaretur ad curandum Guidonem Guidonum . Utrasque in Appendice dabi mus .( a) Sed quis credat , in his contractibus bona fide actum ? Ego fraude caruisse non arbitror . Facit , ut ita credam , infignis Odofredi locus , ad fraudes pertinens Advocatorum sui temporis; qui cum immodicasmercedes præterjus falque pro suis advocationibus & patrociniis extorquere vellent a clientibus eos adigebant ad ftipendium , quali deberent ex causa mutui .(b) Eodem artificio usum arbitror Thaddæum , quem ne obulum quidem verisimile eft_deposuisse apud Rangoni , & Guidoni procuratores . Sed ego tamen existimo,Thaddæum , probum hominem & pium , non ita immitem fuiffe, ut tam ingentes pecu-, nias exigeret ab iis , quos curandos aggrederetur . Potius crediderim, hanc cau tionem voluiffe , ne jutta mercede fraudaretur , & damna fibi æquo jure præfta rentur, quæ quacumque ex causa pertulisset. V I. Vocatus aliquando ad curandum R o m a n u m Pontificem , negasse dici tur se iturum , nisi centum aurei nummi in dies fingulos penderentur. Quod cum immodicum videretur iis, quibus negotium datum erat, ut cum Thaddæo transigerent, neque ea de re conveniret ; concessit tamen Pontifex , grandem quantumvis pecuniam vitæ & incolumitati fuæ pofthabendam ratus . M o x au . tem , cum arnice Thaddæum argueret , quod tam magno operam suam locaret, ille admirationem fimulans; ego vero, inquit, multo magis obftupesco, cum ceteri fere viri nobiles , & minores Principes quinquaginta & amplius aureos nummos mihi in dies conferre soleant, tibi , qui maximus es Chriftianorum Principum,grave visum esse,quod centum petierim .Sed Pontifex,ubi Thad dæi ftudio optime convaluit , decem millia aureorum eidem rependi juffit, non tam ut tantum virum pro dignitate fua, & ejus meritis remuneraretur , quam ut o m n e m ab se averteret avaritiæ suspicionem . VII.Itanarrat PhilippusVillanius, (c) qui tamen Pontificis nomen filet• Sed hunc fuisse Honorium IV . alii Scriptores tradunt, & in primis Joannes Tortellius in libro de Medicina & Medicis ad Simonem Romanum .(d) Sunt etiam qui hæc tribuant Petro Apono illuftri Medico , de quo alio loco dice mus. Sedcredibilenon videtur,tum quiapotiormihiet auctoritasPhilippi Villanii , & Joannis Tortellii , quam aliorum multo recentiorum , qui hæc de Petro Apono scripserunt;tum quia Honorii IV.ætate Petrus Aponus nondum ad tantam f a m a m pervenire potuerat , ut ad curandum Pontificem accerseretur . Sunt qui immaniter augent pecuniam , q u a m Pontifex recuperata valetudine Thaddæo numerari jusserit; nec desunt qui non minus , quam ducenta millia aureorum accepisse dicant . Sed nimis multa mihi etiam videntur pro iis t e m poribus vel ea decem millia , quæ Villanius omnium modeftiffimus narrat. VIII. Thaddæus certe Medicinam faciens ad ingentes divitias pervenit;nec facile est reperire plures ejus facultatis professores, qui majores fint consecuti. Ejus autem commodis, & utilitatibus consuluit etiam non uno modo Populus Bononiensis . Ei nimirum , & ejus hæredibus concessa eft immunitas a vectiga libus, & remissio ab omni munere publico. Additum eft, ut libere a quovis intra fines Agri Bononienfis prædia , & fundos emere posset, quos vellet ; m o d o ne ab exulibus & profcriptis. Itaque eum voluerunt gaudere omnibus civium commodis ,neque iis oneribus obnoxium effe,quæ cives reipublicæ causa sustine re debebant . Ejus quoque discipulis eadem . privilegia , & immunitates populi beneficio concessæ sunt,quibus gaudebant ScholaresJuris Civilis & Canonici. Id autem , nominatim pro auditoribus M a g . Thaddæi ftatutum , aliorum Medicina profefforum auditoribus communicatum est. (e) Ita honor additus est Scholæ ad Simonem Romanum Medicum præftantif (b) Dicit advocatus , fi promittis mihi fimum . Ex Cot. Vatican. aput Apostol. Zenun milleaureosnominefalarii,nonteneris.Sed inDissert.Volpian.To.I.p.151. faciasmihiunum inftrumentum ,inquo con (e)ExStat.Pop.Bon.anniMCCLXXXVIII. tineatur, quod tu teneris mihi dare mille ex vel potius M C C L X X X U I ., in quibus eji Rubri. causamutui.Odofred.inl.Sifubfpecie.C.de cadeprivilegioMag.ThaddeiductorisFixi Polulando. (c) Pbilip, Villan, loc. cit. ce & diicipulorum ejus. Vid.Append.N. X X .  ProFESSORES. 469 / } (a)Vid.Append.annoMCCLXXXV.,dow (d)Jo.TortelliusdeMedicina& Medicis MCCLXXXVIII. Medi.   Medicæ,quæ Thaddæi potissimum opera magis aucta,& nobilitata,parigradu deinceps fuit cum scholis Legum , & Canonum . X. Nescio quid molettiæ illi etiam intulisse credo Clarellum quendam,ut opinor , Medicum , five quod ejus doctrinam impugnaret , five quod medendi rationem carperet . Queritur de illo in Commentariis ad Joannicii Ifago gen,(d) X I . Habere consuevit in familia sua Thaddæus Medicos aliquot , quibus adjutoribus uteretur five in scholæ muneribus , five in ægrotantium cura. Eo rum aliqua mentio eft in ejus teftamento , quod in Appendice damus . Dome ftica quoque negotia , ne quid esset , quo a suis ftudiis interpellaretur , per pro curatoresaliquando agere consuevit. Anno certe MCCXCII. procuratorem suum conftituit Octavantem Florentinum , (g) affinitati fibi conjunctum,eum, qui Jus Pontificium exeunte fæculo XIII. in scholis noftris docuit;de quo fuo loco diximus . (c)Vit.Append.Pertinethocadannum tisnominedñeAdelefuefilieipfiMag.Thad MCCXCII. dum numero , quo luci altitudő indicatur . (8)An.MCCXCII.dieXV.MajiMag. tia. bus dicitur Regalettus Bunaguide de Floren .  470 MEDICINA IX.Quamdiu vixit priinum dignitatis locum tenuit interMedicinæ profef fores; ac multum ei quoque tribuerunt professores aliarum disciplinarum . (a) Sed gravis offenfionis causa ei aliquando fuit cum Bartholomæo Varignana,qui ex ejus schola, ut verisinile eit,prodierat, & magiftro adhuc vivente ma gnopere celebraricceperat. Receperat ille in Medicina erudiendos quofdam , qui ad Thaddæi fcholam ante accesserant. Id ei magno crimini datum eft a Tnaddæo; ac fortasse erat contra leges scholafticas,vel Academiæ noftræ mo rem . Neque vero aliter to'li diffidium potuit,& sarciri injuria,qua affectum fe credebat Thaddæus , quam ubi Varignana promisisset omnem pænam pora'em , & fpiritualem ultro subiturum , q u a m in e u m ftatuissent Vicarius Ar. chidiaconi Bononienfis , & aliquot doctores ex Collegio Magiftrorum , (b) arbi tri ad tam rem delecti. (c) quæ cum scriberet , nondum , ut arbitror , id auctoritatis consecutus erat , ut hujusmodi obtrectatoris importunitatem fortasse Thaddæus natura suspiciofus, & ad inanes metus comparatus; quod,ni fallor , oftendunt etiam tot capta de securitate itinerum , & ftipendiorum fuo r u m caurelæ , & iterata fæpius testamenta , de quibus diximus . Id porro ex ejus corporis habitu , & temperamento quid fuisse, pro certo habeo . Ipfe enim de se fatetur, fe somnambulum fuil. fe , (e) & interdum ex alio loco dormientem fine fenfu cecidiile. (f) ipfe (a) Vide tabulassocietatisinterMag.Gen Thaddeus doctor Fixice fecitsuum procurato tilemdeCingulo,LouMagGuilielmumdeDeza reminomnibusfuiscaufis&negotiisdn. ra fcriptas anno MCCXCV. in Append. deo matrimonio unite trescentas libras Pifa. (d) Finitus eft tractatus de febribus do norum in forenis de duodecim .Pretereado m i n o Clarello , qui facit nos evigilare , & tran firepermentemnoftramquidquidmalipo. brasejusdemmonete.ErMen.Con.Bonon. test. Tbad. ir Isag. Joannic. c. 32. Fortale ad ( i ) O t a v a n t e m , q u i p u t e a c a n o n u m p r o f e f. eundem pertinent, quæ babetad finem cap.36. Hoc eft, inquit, quod dicit tallidicus, qui fa. tereaque Adelæ fratrem , intelligimus extabulis cit omnia mala trautire per mentem noftram . an.MCCLXXXIII.scriptis inMem.Com.Bon., (e)Dequartoficprocedo:videtur,quod inquibuslegitur:Dn.OctavantedñiGuidalo homo poflitdormiendo fentire, nam dorinien do movetur , ficut patet in furgentibus de no . čte,quorumegofuiunus.Ibid.in.c.10.p.362. Guidalottipater jam indeabannoMCCLXVI. (f) Ibid.Sed locus fortasse mendojus in pe Bunoniæ degebat, ex Mem . Com .Bonon.,inqui a se avertere poffet. Sed erat accidere debebat , in quo insolens ali navit eidem propter nuzias quinquaginta li. for fuit , Guirlalutti Florentini filium fuiffe,propo cti de Florentia scolaris Bonon... emit dige. ftum ... pretio lib.L. bon. Regalettusautem tem XII . Anno M C C L X X I V . Thaddæus fere sexagenarius uxorem duxit Ade lam Guidalotti Regaletti filiam ,(h) Octavantis, quem ante nominavimus,fo rorem , (i) ex eaque filiam suscepit Minam , quæ adhuc innupta erat, cum (b) Magiftrorum collegium jure tunc dice O &avantem deFlorentiasuumcognatum.Ex Mem , Com. Bonon. batur,nonautemMelicorum;quianonsolumMe (h) An.MCCLXXIV.XV.Jan.Mag. dicinæ ,fed alia,um quoque artium liberalium pro fesjures complectebatur , ut ex ipfis hujus controver Thaddeus artis Fixice professor fil. and. Alde rotti de Florentia fuit confeffus habuiife a dño fæ actisapparet,quæinAppendiceexbibentur. Guidalottoqnd.dňiRegalettideFlorentiado.   XIII, Teftamentum fæpius , nec uno in loco Thaddaus fecit. Et quoniam perpetuo domicilium Bononiæ habuit , cum aliò diverteret ad curandos magna tes , itinerum pericula reputans , propterea teftamentum sæpius fecisse videtur. Sed omnium poftremum Bononiæ condidit initio anni M C C X C I I ., quo cete ra omnia revocavit facta Bononiæ , (b) Florentiæ , Ferrariæ , R o m æ , Mediola ni , Venetiis , & alibi . Pro anima fua , & ad pias causas x. mille libras bonon. legavit : quæ immanis summa erat pro ætate illa , & privati hominis facultati bus. Ex his bis mille quingentas libras impendi voluit emendis prædiis pro pauperibus verecundis , quorum administrationem esse voluit penes Fratres de Pocnitentia . Viger ad hanc diem ut cum maxime pium hoc inftitutum,a pru dentissimis civibus adminiftratum in civitate noftra , quo consulitur egettati h o neftorum civium , quibus oitiatim mendicare victum vel natalium , vel ætatis , sexusve conditio fine pudore non finit. (c) Fratribus Minoribus , penes quos sepeliri voluit , ubicumque ejus obitus contigisset, multa legavit. Atque illud viri prudentiam m a x i m e demonftrat, quod præftari voluit in perpetuum ali menta uni ex Fratribus ejus Ordinis qui Parisiis Theologiæ studeret , fupra numerum eorum , qui ibidem facris ftudiis destinati esse solerent. Jisdem Fra. tribus Minoribus Conventum erigi voluit , in quo tresdecim Fratres ali possent. Viginti ex fuis scholaribus magis egentes ex albo panno vestiri in die obitus sui mandavit , itemque familiares suos omnes masculos, qui secum eo tempore futuri essent. Statuit etiam impensam funeris fibi apud Fratres Minores cele brandi ,& certam insuper summam , pro die feptimo obitus sui, trigesimo , cen tefimo , & anniversario , erogandam in Fratrum refectionem , ut iis diebus pro anima fua preces ad D e u m funderent ; qui mos ab antiquissimis temporibus ad eam ætatem pervenerat . (a)ExliterisNicolaiIV.inCodicediplom. quisibisuppetiasferrent,ubieffetopus,tumin docendo , tum in medendo . (b) Etiam Bononiæ anno M C C L X X . for (e) Hanc Biscionius in adnotat. ad Convi. talle , antequan iter aliquod susciperet, teflamen vium Dantis Adolam vocat. , sed in testamento tum fecerat, quod indicatum vidinius in Memor . Autograpbo en Adela . mff. Biblioth. publ. Bonon. C o m . Bonon . ejus anni . ( f) Quia Fratribus Minoribus quidquam pof (c) Jam inde ab anno M C C L V I . Uher- fidere non licebat, voluit ut medietas predicte tus facerdos Sanctæ Catharinæ de Saragotia contingentis ipfi Opizo perveniat ad Dominas legaverat X. corbes frumenti pauperibus vere cundis , ut ex ejus tejlamerto apud Fraires Mi- cujus dicte Domine nores : ex quo apparet ejus pii inflituti anti pendere pro necessitatibus Fratrum Minorum quitas . infirmorum fenum & forenfium . Vide teftam. (d) Hos duos Medicos in schola fua , uti Thaddæi in Append. credibile efl, eruditos , in sua familia babebat , & Sorores S. Clare civitatis Florentie fructus & Sorores teneantur ex  PROFESSORES . 471 1 mo N ipse extremum obiit diem . Sed ante illud tempus filium genuerat ex illegiti mo complexu.Hic patrisnomen geflit,& vulgo Thaddæolusdicebatur,cum que Nicolaus IV.anno MCCXC.jure legitimorum nataliumdonavit.(a) XIV.De bibliotheca sua in hunc modum ftatuit.Avicenna opera,quatuor voluminibus contenta , & Galeni item , quæ totidem voluminibus comprehensa erant ,Fratribus Minoribus ea conditione legavit,ne ullo umquam tempore alie nari , diftrahive possent, aut e Conventu ipfo exportari . Fratribus B. Marize Servis legavit Metaphysicam Avicenna , Ethicam Aristotelis, & Sextum de N a turalibus Avicenna in majori volumine . Magiftro Nicolao Faventino Glossas fuas omnes , quas scripserat in veterum Medicorum libros , & Almanforem suum , & Magiftro Johanni Affifinati (d) Serapionem suum ,& Sextum de N a turalibus Avicennæ in minori volumine , fi quidem uterque in familia sua esset tempore obitus sui. Adelæ (e) uxori fuæ,præter aliquam pecuniæ summam , cu biculi sui supellectilem omnem legavit,& veftes,& gemmas,exceptis dumta. xat valis aureis, & argenteis , & usumfructum domus Florentiæ in via S. Cru cis,& fundosinagroFlorentino.HæredesauteminftituitMinamfiliamsuam Thaddæolum filium naturalem , & Opizum Bonaguidæ fratris sui filium ; quibus , fi abfque filiis masculis legitimis decessissent, Fratres Minores , (f) & pauperes verecundos fubftituit. Nupfit hæc Thaddæi filia Dorgo Pulcio Florentino sum   X V . Obiit Thaddæus an.M C C X C V . (e) cum annos octoginta vixisset.(f) Fuit autem ejus mors repentina , ut narrat Benvenutus Imolenlis , Dantis inter pres . Tumulatus eft apud Fratres Minores, quos vivus magnopere dilexerat , & apud quos ægrotus etiam aliquando sub extremum vitæfuæ tempus jacue rat.(g)Sedejusfepulchrimagnifice extructi,& elegantis,quod eratprope januam Ecclefiæ , propter recentiora ædificia ibidem excitata , nulla jam vefti. (d) Manni degli antichi Sigilli To. XII. (b) Nicolaus V.annoMCDLIV.mandavit, pag. 117. utHofpitaleS.AntoniiPatavini,quodFratresTer (e)AnnoMCCXCV.dieXX.Marzii Thad tii Ordinis , five de Penitentia,ex bonis bæredita dæus erat in vivis , ut ex charta societatis in riis Mag.Tbudlæi Bononiæ erexerant,indomum ter Mag.Gentilem Cingulanum , g Mag. Gui. pro Sanétimonialibus Franciscanis , ex Monasterio lielmum Dexarensem , quam in Append. danus . FerrarienfiCorporisCbriflitra.lucendis,convertere. Af eodem annoaddiemXVII.Juliiinvivisef tur.Sed r jijtentibusFratribus,res ita compofita eft de defiderat, ut ex bis tabulis , quas indicavit infequentiannoperBifurionemBononiæLegatum, CI.Montius:An.MCCXCV,dieXVII.Jul. ut iratres Ecclefiam S. Antonii , cu aljacentes D. Ugolinus de Montezanico Dn . Novellonus ætes cum molicocenfuad bufpitalitatemexercen Megloris de Florentia Dn. Amadeus Poete damretinerent;fedbonareliqua,quæadeosex Dn.FraterRaynucciusqund.Deotaiuti com bereditate Mag.7budlæipervenerant, novo Par milfarii & executores testamenti egregii vi tbenoni pro SanctimonialibusCorporisChristi con ri& discreti Mag. Thaddei and.Alderotti Aruendo attribuerentur : quod anno M C D L V I .pero qui fuit de Florentia artis Filice profetforis featumest,CatharinaVigria,quamnuncinSan. fueruntconfeffihabuiffeadñoBartholomeo clarum Virginum album relatam veneramur , cum  472 MEDICINE mo genere nato.(a)Thaddæolus autem fivequod cælibem vitam duxerit,five quod filios non genuerit , aut pofteritatis memoria apud nos diu fuperftites non habuerit, certe nulla ejus superfuit. Sed opulenta M a g . Thaddæi hæreditas non ita humanis cafibus subjecta fuit , ut nobiles ejus reliquis non exiftant . Sanctillimum enim ad hanc diem civitatis noitræ Monasterium Corporis Chrifti, & Collegium Puellarum S. Crucis ex bonis hæreditariis M a g .Thaddæi initium legata insuper alia , q u æ legi poffunt in tefta quali acceperunt. (b ) Mittimus mento ipso, quod in Appendice exhibemus. (c) Unum addimus, quod maxi me memorandum videtur,aureosnempe florenos xv.in annos fingulos legatos Zco Scansalti Pisado , quamdiu futurus effer in Januensium carceribus , ex qui bus ubi eum liberari contigiffet, cc. libras bonon. eidem perfolvi a suis hæredia bus mandavit . Nota est ex eorum tima Pilanorum cum Januensibus rum vires miserandum in modum temporum scriptoribus infelix pugna mari annoMCCLXXXIV.pugnata,qua Pisano XVIII . pax convenit . Tunc bello capri , qui supererant , redditi funt , effæti prope enecti. Diligentissimus Mannius jam , & tam longi carceris incommodis proftratæ funt . Magna corum cædes fuit, abductus præfertim ex nobilioribus. N e atque ingens numerus in captivitatem que ullis conditionibus adduci potuere victores, ut captivos redderent. Ita enim confilium fuit sobolem invifæ primariis civibus detentis , ne procreandis liberis dare operam poffent, fuccide. civitatis impedire , totque fortissimis viris , ac re nervos civitatis , usque in illud tempus potentissimæ . Itaque non ante annos Sigillum Universitatis Carceratorum Januæ detentorum illustrat. (d) Ex eorum numero erat Zeus Scanfalti, amicus , ut opinor , Thaddæi ; qui quam pronus effet ad ferendam miseris opem , cum ex hoc , tum ex fingulis fere teftamenti sui capitibus liquet . (a) Dn.Mina quondam Mag.Thaddei Corporis Cbrisi, W Puellarum S. Crucis, quæ AlderottiuxorDorgiquondamDorgidePula vidit,lowindicavitCi.Montius. cis.Ex tabulisan.MCCCI.inarcbiv.publ.Flo vent. Inilicavit Cl. Biscion. loc. cit. (c ) Vide Append. gia > pauci supererant , Ecclefiam S. Antonii , d adja centes æles , bonaque omnia ad eum locum perti deus confeffus eft quod ipse emit quandam pe. tiam terre... Actum in loco Fratr. Minor, ! Blanchi Cofe for. auri cccc, depofitos ab ipfo aliquot aliis Monialibus ex Ferrariensi Monaste. Mag.Thaddeo & c.Ex Mem.Com.Bonon. rio in nouum buc noftrum commigrantibus . Anno autem MDXCII. Fratres sertii Ordinis,qui ( f) Pbilippus Villan. loc. cit. (g) An.MCCXCIII.die... Mag.Thad nentia,erigendoPuellarumpericlitantium domici in camara Ministri ubi Mag.Thaddeus ja lio libere tradiderunt , quod in via S. M a m æ a cebat infirmus prefentibus M a g . Bertolaccio , mæniffimo civitatis locu, non longe a Monasterio Fratris Venture M a g Nicolao de Faventia CorporisCbrijli,conjtructumest,a S.Crucisti. &c.ExMem.Com.Bonon. tulo infignitum . H æ c ex monumentis Monialium   gia supersunt. (a) Minime igitur audiendus eft Joannes Villanius , qui Thaddæi o b i t u m p r o t r a h i t a d a n n u m M C C C I I I . , ( b ) a u t fi q u i s e f t a l i u s , q u i i n a l i u d tempus referat. Paulo poft ejus mortem dillidium ortum est inter Fratres Ter tii Ordinis , five de Pænitentia , & Priorem fratrum Prædicatorum , ac G u a r dianum Fratrum Minorum in eligendis pauperibus ad præfcriptum teftamenti ip fius M a g . Thaddæi . Sed litem o m n e m fuftulit Dinus Mugellanus , clarus legum interpres , qui per illud tempus Bononiæ docebat , cui utraque pars arbitrium dederat . (c) X V . Possem hic plura Scriptorum teftimonia de Thaddæo admodum ho norifica afferre ; possem & Scriptores multos emendare , multos supplere,qui de illo vel minus diligenter , vel minus vere scripserunt; in quo numero sunt præsertim scriptores noftri Alidofius , & Ghirardaccius . Sed hæc curabunt , qui magis otio abundant. Nunc ejus scripta recensenda funt, quæ & multa fue. runt, & magno in pretio habita . TH4DD=1SCRIPTA. Expositio in arduum Ipocratis volumen. Galenus Aphorismos Hippocratis illuftri commentario exornavit . Thaddæus & Hippocratis Aphorismos, & Galeni commentarium diligenter exposuit.Cum autem in septem libros, fivepar ticulas Hippocratis volumen Aphorismorum diftributum fit, Thaddæus fcrip. to tradidit expofitionem suam in sex priora capita , eamque absolvit anno MCCLXXXIII.decimadieSeptemb.,utadejuscalcemadnotatum efttam in editis exemplaribus , q u a m in m a n u exarato , quod vidi in bibliotheca , Collegii Hispanorum Bononiæ . Eft autem hoc Thaddæi opus valde proli xum , cuiscribendo non uno tempore insudavit. Sic enim ad ejus finem ait : I n his particulis explanandis diversa fuerunt tempora . N a m cum efjorn in nono anno mei regiminis ( qui publice docebant regere tur) incepi gloffare Aphorismos a principio. Et infpatiofex menfium glossa. v i primam , fecundam , tertiam , a quartam particulas, a quintam usque ad illum Aphorismum : Mulieri menstrua fine colore. Tunc autem fupersedi, convertens me ad glosas , quas fuper Tegni feceram , completiores edendas ; quas perfeci usque ad illud capitulum caufarum : A d inventionem vero salu brium . Ibidem vero deftiti impeditus a guerra civitatis Bononiæ , au lucrati va operatione distractus. Poft vero placuit mihi refumere , ut complerem glof fas Aphorismorum , addendo ad eas , quas primo feceram . Et feci additiones Super primam , Be fecundam , no quartam particulam . In tertia vero particu la solum glossas veteres divis : Item in quinta particula super veteribies glosis quas feceram primo nullam additionem feci . Incepi autem de nova glosam in illo Aphorismo : Mulieri menftrua fine colore , ut dictum est. Quod hic habetde Bononiensium bello,pertinerevideturad Lambertacciorum, & Jeremienfium turbas , quibus anno M C C L X X I V . civitas noftra pæne d e solata eft. C u m autem nono anno poftquam docere cæperat , ad inter pretandum Hippocratis Aphorismos le contulerit, in eoque opere tempus aliquod impendere debuerit , & rursum eo dimiffo , librum Tegni interpre tandum susceperit , & in eo verfatus fit, quoad Bononiæ in otio quietus esse potuit ; subductis rationibus apparet , non multo poft annum M C C L X . debuisse illum publice docendi in scholis noftris munus suscipere , imo ditavit hortulanum fuum . Vixit autem renze , noftro cittadino , il quale fu s o m m o Fisiciano sopra tutti quelli de' Cristiani . Je. scholas diceban  4 . ооо annis PROFESSORES . 473 (a) Fuit Thaddæus medicus famosus , apud Murat. Antiq. med. ævi To. I. col. 1262. conterraneus auctoris , ( Dantis ) qui le ( b) In questo tempo morì in Bologna git& scripsitBononiæ& vocatuseitplus. M.TaddeodettodaBologna,ma eradiFi. quam commentator.Et factus est ditiflimus, & mortuus est morte repen Villan, ad an. MCCCIII. tina , & fepultus eft Bononiæ ante portam (c) Extar Dini confilium ,five fententia in Minorum in pulchra & marmorea sepultu- arcbivo Fratr. Prædicat. Bonon. ra . Benvenut. Imol. comment, in Purgat. Dantis Ad   Ad septimam particulam Aphorismorum quod attinet , Thaddæus perpetua in eam commentaria non reliquit , sed monuit auditores suos , fi quis voluif fet ex ore docentis excerpere , quæ in nenda in schola protulisset , fe deinde emendaturum , & utin ordinem re digerentur curaturum . Sic enim inquit: immediate Icribere intendo. Sed fi quis de meis auditoribus notare voluerit eas corrigam , o in petias redigi faciam . Hæc autem verba fcripfi, ut si alicubi minus completa expositio reperiatur, non adfcribatur ignorantiæ , fed potius novitati , a pigritiæ scriptoris. Sed Thaddæi commentaria in septi m a m partem Aphorismorum nufpiam apparent , & ejus loco circumferri solebat expofitio Alberti Zancarii , de q u o alio loco dicemus . Expositio in divinum Hipocratis Pronosticorum volumen , A d cujus finem ita ada notatum eft in editis exemplaribus . Explicit liber tertius yra ultimus Pro. nofticorum Hipocratis fecundum antiquam translationem a Thaddæo Florentina explanatus. Sed revera Thaddäus ipfe non unam translationem præ mani bus habuit , fed faltem duas . (a) A d extrema vero capita , seu textus libri tertii nihil adnotavit Thaddæus , aut certe nihil adnotatum reperio in edis tis exemplaribus ; manu enim scripta explorare non licuit. Thaddæi Florentini in præclarum regiminis acutorum morborum Hipocratis volu men expositio. Hanc Thaddæus in proæmio fatetur se maxime procudisse ut rem gratam faceret Bartholomæo Veronenfi , q u e m fibi dilectiffimum vocat , & pollentis ingenii ; aitque,non minimo fibi adjumento fuisse ad id operis perficiendum . N o n attigit T h a d d æ u s , nisi tres priores libros hujus operis, ratus fortasse, quartum non effe legitimum Hippocratis færum ,quod aliis visum erat , ut fatetur Galenus ipfe initio commentariorum in hunc quartum librum de regimine acutorum . Suam porro diligentiam oftendit Thaddæus in his commentariis exarandis, appellans ad verfionem Græcam , ubi in ea , quæ ex Arabica facta erat , vitium suspicabatur. (b) Atque hinc apparet , duplicem ejus libri interpretationem per illud tempus in doctorum manibus verfatam fuisse, quarum altera ex Græca, altera ex Ara. bica lingua ducta erat . In fubtiliffimum figogarum Johannicii libellum expositio. E a m fic concludit Thad dæus : Scio tamen , quod de his obscure dixi , Jed fellus f u m a deficit charta : misera excusatio , & vix fapienti homine digna . Q u æ hactenus recensuimus Thaddæi opera in unum volumen redacta Venetiis edita sunt per Lucam Antonium Junctam anno MDXXVII.curante Joan ne Baptista Nicolino Sallodienfi , qui in epiftola nuncupatoria ad Aliobel. lum Averoldum Polenfium Antiftitem , & Romani Pontificis Legatum ad Venetos , impense Thaddæum laudat , illumque dicit, nonnisi ad lapsam Extat hic Thaddæi liber in Codice Vaticano , (c) ejufque hæc eft æcono. mia . Initio agit de corpore sano, ejusque , ut ita dicam , essentia, & va. riis sanitatis gradibus ; tum pergit in hunc m o d u m : Nota quod dicit Johan nicius , quod fi unaquæque res naturalis propriam naturam jervaverit, facit fanitatem , fi vero ipfam dimiferit, facit ægritudinem , vel neutralitatem , fta tum fcilicet, quo necfanum eft, necægrum .Sequiturinhuncmodum usque ad finem libri : Nota quod dicit Galenus ; nota quod dicit Hipocras, Avicenna.Nota quod venæ non dicuntur oriri ab epate quod oriantur ex ea dem materia v c. Nota differentiam arteriarum ad venarum , originem nervorum W c. Nota quod partes totius capitis funt quatuor B c . Inter has notationes , in quibus totus hic liber decurrit, aliquas quæftiones interferit, (a) Ad text. X. lib. I. ita inquit : Alia quod patet per translationem Græcam . Liba translatio non ponit hic nifi duos colores & c. III. text. X. ea Aphorismorum particula expo Super feptima vero particula nihil  474 MEDICINE principum fanitatem recuperandam vocari consuevisse . Auctoritates are definitiones fuper libro Tegni , quamplures utiles dubitationes . uti (b) Unde dicendum quod litera Arabica , (c) Cod. Vatic. 1. 4445. ex qua fumitur illa auctoritas, elt corrupta , 1   uti est illa: Quæritur hic an dari poffit membrum , quod nec recipitur, nec tribuit . Nunquam editus eft hic Thaddæi liber , quem ne ipse quidem au ctor satis elimatum cenfuit. Itaque rurlus Artem parvam Galeni , sive li brum Tegni interpretandum suscepit. Habemus hoc Thaddæi opus typis editum Neapoli cum hoc titulo: Commentaria in artem parvam Galeni. NeapoliannoMDXXII.Horum initiofatetur,fepræmaturamaliamexpo fitionem Artis parvæ edidisse,hisverbis: Atveroquoniamfuper eundem librum expofitionem facere necessitas compulit præmaturam , in qua non ut expedit Galeni instituta patefeci". Ideo e c. Magiftri Thaddæi conflia. In Codice Vaticano (a) consilia Medica Thaddæi sunt centum quinquaginta sex.Minore numero,imo perpauca,lirecte memi ni , funt in codice bibliothecæ Cæsenaris Fratrum Minorum . Primum in utroque codice est de debilitate visus. Ultimum in codice Vaticano eft de virtute Aquæ vitis. Docet in eo modum præparandi alembicum cu. preum . Incipit : A d faciendam Aquam vitem , quæ alio nomine dicitur aqua ardens. Eft unum ex his consiliis de minctu urinæ cum fanguine. Incipit: Conqueftus est dn. Bartoločtus comes . Eft is Bartholottus comes Ripæ Insulæ Suzariæ & Bardinæ , de quo plura diximus , ubi de Rolandino Passagerio a r tis Notariæ doctore agebamus . Eft aliud Thaddæi confilium ad midtum f a n guinis pro Duce Venetiarum . Aliud item de impedimento loquelæ propter mollitiem linguæ . Incipit : C u r a comitis Bertholdi . In librum Galeni de crisi. Eft in codice Vaticano . (b) Magiftri Thaddæi de Florentia quæftio de augmento . Eft in codice Vatica Thaddæum artis Medicinæ in civitate Bononiæ doctorem . Eft in codice bi. bliothecæ Eftenfis, tefte Muratorio . (d) Idem Italice extat , scriptus in m o d u m epistolæ cuidam ex Neriis Florentinis . Incipit : Imperciocchè la con dizione del corpo umano . ( e) Extat etiam latine typis editus Bononiæ anno MCDLXXVII.cum libelló Mag.Benedicti de Nurlia ejusdem argumenti. N u m autem Italice scriptus fit libellus ifte ab auctore suo , an latine, mihi non conftat. Italica tamen lingua , quæ tum nitefcere , & a Scriptoribus nobilitari cceperat, delectatum constat Thaddæum , qui Ariftotelis Ethicam in eam linguam vertit; quamquam hunc ejus laborem haud magnopere laudandum exiftimarit Dantes in Convivio , ubi ait , velle se suum illum librum Italica , five, ut ipfe inquit, vulgari lingua donare , ne ab alio quopiam interprete vitietur, ut Ethicæ Ariftotelis contigit, quam Thad dæus Italicam fecit.(f) Eum purgare nititur Biscionius,vitio vertens non tam Thaddæo , qui Italicam ex Latina non bonam , quam veteri interpre ti,qui nihilo meliorem ex Græca Latinam fecerat Ariftotelis Ethicam .(8) Sed vix quisquam probabit hanc Biscionii defensionem . Id unum enim r e prehendit inThaddæo Dantes Aligherius, quod Italicam interpretationem ejus libri non bonam dederit . Nihil autem impedit , quominus librum aliquem , licet mendofiffimum , & maxime corruptum , optime , quod ad nitorem verborum attinet , interpretari , & in aliam linguam elegantissime quispiam convertere possit . Habuerat Thaddæus Aristotelis Ethicam ex Thesauro Brunetti Latini , ut observat Laurentius Mehus , qui de his abun de disserit in prolegomenis ad epiftolas Ambrofii Camaldulenfis, nuper Flo rentiæ editas . ( h )  no . (c) Libellus fanitatis conservandæ factus pay adinventus per probiffimum v i r u m M a g. (f)E temendo,cheilvolgarenonfosse dato posto per alcuno , che l'avelse laido fat. (g ) Ibidem : (h) Tv.I.pag. 156. 157. Epift.Ambrof.Cam . to parere, come fece quegli, che tramutò il Ooo 2 (a) Cod. Vatic. 2418. PROFESSORES 475 Expe latino dell'Etica , ciò fu Taddeo Ipocratita (c) Ibid. 4454. provvidi di ponere lui, fidandomi di me più (d) Murat.To.IX.Rer.Ital.Script.p.583. che d'un'altro.Convito di Dante.In Firenze (e) Vid.Biscion.Annot.alConvitodi Dan (b) Ibid. 4451. te.loc.cit. 1723. p.68. 1   Experimenta Mag. Thaddæi probata ab ipfo. Hunc titulum habet collectio ex. perimentorum Medicinalium Thaddæi in codice Vaticano . (a) Incipit: Omnes herbee a radices quæ debent prius coqui , abluantur mundentur Poit brevem præfationem , fire inftructionem , defcribere incipit p r i m u m Syrupos varii generis . Receptio Syrupi majoris fecundum M . T. Syrupus Jor. danus M . T. ad correctiones epatis aut fplenis @ c . Deinde describit electua ria, inter quæ hæc confectio locum habet : Confectio qua utuntur magna tes in curia Romana , vagy maxime convenit in æftate fanguinem mundificans , colera fuaviter educitur . R. pulpæ Caffic fi. 16. 2. Tamarindorum 3. pe. nidii.zuc.violati añş.x.Syrupi violati, Ġ .Mirrhæ s3 conficianturfive dissolvantur cum tali fucco . X. Prunorum.ios feminum ordei mundi. lic quir. añ i 2 cum ifta aqua decoquatur usque ad spissitudinem mellis. Dein pergit ad vina medicata . In his ett Aqua vitis ad calculum M . B. ideft, M a . giftri Bartholomæi de Varignana , ut opinor , medici celeberrimi, cujus infra mentionem faciemus. Tum de oleis agitur , ibidemque describitur Tragea M. T. & Tragea M . B., ideft , Magiftri Thaddæi , & Magiftri Bar. tholomæi . Pulveres fubinde varii , & pilulæ , & unguenta describuntur, tum remedia quædam ad peculiares morbos . N e c desunt fuperftitiofa quædam , & vanissima. Tale eft illud : Ut homo poffit ire super ignem fine læfio. ne . Dicas ifta verba . ter in nomine individuæ Trinitatis.Abyfon. Dalma. tiu, vel Magata , v e a s nudus. Emplaftra quædam poft hæc describuntur : fed in hujus libri extremis partibus vix ordo ullus apparet , ut conjicere liceat, aliena manu aliquid genuinis Thaddæi experimentis additum ; quo ex genere esse arbitror superftitiola illa , quæ dixi . De Interioribus libri VI.a mag.Thaddæo correcti. Ita in codice Vaticano.(b ) Thaddæus de Bononia de aquis , oleis , a vinis medicatis. Extat inter codices mo locorecensuitejusCommentariainIpocratem,moxCommentariain Avicennam ; n a m neque in alia Hippocratis opera fcripfit Thaddæus , quam quæ indicavimus, quæque vel iple Biscionius feorfim poftea enumerat; nec ulla in Avicennam Commentaria scripsisse comperio.Addit tamen idem Biscionius descriptionem pulveris mirabilis Mag.Thaddæi, quam re perit ad calcem libri M a g . Aldobrandini . E g o alterius pulveris descriptio n e m in hunc m o d u m reperi ad calcem Almansoris , ideft, libri Rasis in codice Vaticano.(d) Recepta quam mag.Taddeusreliquitpauperibus in te ftamento : R. Cinamomi eleli s Macis. Croci aš 3 ij. Sene s fiat pul vis poftea R u s Tartari albi fubtilissime pulverizati, a misce fimul. Dosis ejus eft ; 3 ij cum brodio poteftconfici cum zuccaro ut melius conserve tur . E u m d e m pulverem defcriptum vidi in codice bibliothecæ Cælepatis Fratrum Minorum inter confilia Medica Mag. Thaddæi ad libri marginem in hunc modum : Pulvis folutivusTaddei. R. Cinamomi :5. Macis .Cra ci añ 7. 3. 1. Sene ad pondus predictorum . Fiat pulvis, cui potes addere de zuccaro albo vel rubeo B eft delectabilior. DON  476 MEDICINE Thomæ Bodleii. (c) Auxit immaniter Biscionius paucis verbis catalogum operum Thaddæi, dum pri (c) To. I. mill. Angliæ . Cod. 2359. (d) Cod. Vatic.4425. Aderotti. Alderotti. Keywords: le quattro cause. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alderotti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692254470/in/photolist-2mKHtgX-2mKSjjJ/

 

Grice ed Alfieri – LVCREZIO – filosofia italiana – Luigi Speranza (Parma). Filosofo. Grice: “I like Alfieri; the enzo is vital – Vittorio alfieri has statues at Torino! V. Enzo Alfieri dedicated his life to prove that Democritus was more of a poet than a philosopher. ‘Indeed, I will go as far as to argue that he ain’t no philosopher!’ Unfortunately, Abbagnano ignored him, and Lucrezio stayed in the canon! Then Alfieri tried to study the idea of the ‘in-divisibile,’ the ‘atom’ and the ‘clinamen,’ and how Lucrezio was a good poet but a bad philosopher!” --  Filosofo. - allievo diCroce. Nato a Parma, visse la maggior parte della sua vita a Milano ove si laureò in filosofia e insegnò storia della filosofia alla Bocconi, per poi continuarne l'insegnamento presso l'Pavia.  Allievo di Piero Martinetti e di Benedetto Croce, di cui condivideva l'ideologia liberale e il pensiero filosofico, ma anche gentiliano non ortodosso secondo la definizione di Ugo Spirito, fu un oppositore del regime fascist che lo arrestò una prima volta nell'aprile del 1928 quando a Milano scoppiò una bomba all'ingresso della Fiera che fece sospettare che si trattasse di un fallito attentato al Re. Alfieri fu incarcerato a San Vittore assieme a Ugo La Malfa, Umberto Segre e Mario Vinciguerra. Fu liberato senza processo tre mesi dopo per l'interessamento di Benedetto Croce che tramite Marinetti aveva fatto intervenire Mussolini.  Il secondo arresto, per la scoperta di lettere ritenute compromettenti dalla censura fascista, avvenne nel 1936. Alfieri fu scarcerato dopo quindici giorni per l'intervento diretto di Gentile ma dovette lasciare entro due giorni l'insegnamento a Modena e trasferirsi a Milano dove riuscì a sopravvivere grazie all'aiuto di amici e di parenti che lo ospitarono.  A Milano ottenne il primo incarico universitario presso la facoltà di Lingue della Bocconi dove rimase per 13 anni fino al suo trasferimento a Pavia per la docenza di storia della filosofia.  Suoi amici, «maestri e testimoni di libertà», come lui stesso li definì, oltre a Croce, furono Giuseppe Prezzolini, Giuseppe Lombardo Radice, Francesco Flora, Pilo Albertelli, il giovane professore ucciso alle Fosse Ardeatine e, tra i più vicini e affezionati, Giovanni Spadolini.  Fortemente critico nei confronti del movimento sessantottino e impegnato attivamente per le riforme della scuola, Alfieri è stato il fondatore del "Movimento per la libertà e la riforma dell'università italiana" e del "Comitato nazionale per la difesa della scuola", e presidente dell'"Associazione amici dell'Gerusalemme".  Negli anni 1937-1938 collaborò alla rivista L'Italia che scrive che ancora in quel periodo riusciva a mantenere una certa autonomia nei confronti del fascismo. Monarchico, iscritto al Partito Liberale Italiano; nel dopoguerra si avvicinò agli ambienti della destra, aderendo al Sindacato Libero Scrittori Italiani e collaborando con la casa editrice di Giovanni Volpe e con la rivista Intervento di Fausto Gianfranceschi. Negli anni '70 fu collaboratore culturale per la filosofia de Il Giornale diretto da Indro Montanelli.  Tra le sue opere di filosofia vanno annoverati saggi sulla filosofia greca-romana antica, “La tristezza di Pindaro”; “Lucrezio”; “Gli atomisti” e opere di estetica, L'estetica dall'Illuminismo al Romanticismo. Ad Alfieri, oltre ad un suo epistolario con Croce, si devono due libri di memorie autobiografiche (“Maestri e testimoni di libertà” e “Nel nobile castello”) dove sono originalmente ritratti personaggi della vita culturale e politica italiana da Croce a Scotti, da Jacini a Casati, a Flora. Antonio Troiano, I 90 anni dell'ultimo allievo di Benedetto Croce, in Corriere della Sera, 10 maggio 199648.  Massimo Ferrari, Piero Martinetti e Antonio Banfi, in Il Contributo italiano alla storia del PensieroFilosofiaTreccani, .  Alessandra Tarquini, Gli sviluppi della scuola di Gentile: da Armando Carlini a Ugo Spirito, in Croce e GentileTreccani, .  Andrea Mariuzzo, La Scuola Normale di Pisa negli anni Trenta, in Croce e Gentile Treccani, .  Marcello Veneziani, 68 pensieri sul '68: un trentennio di sessantottite visto da destra, Firenze, Loggia de' Lanzi, 199846.  Michele d'Elia, Monarchici e partito, su Italia Reale.  Benedetto Croce, Vittorio Enzo Alfieri, Lettere,  Milazzo, Edizioni Spes, Aldo Garosci, Nel nobile castello, in Tempo presente, Forum in occasione del novantesimo compleanno di Vittorio Enzo Alfieri, in Rendiconti, parte generale e atti ufficiali,  130, 1996,  110-140. Maria Luisa Cicalese, Vittorio Enzo Alfieri maestro di studi e di vita, in Nuova Antologia, Vittorio Enzo Alfieri: maestro e testimone di libertà: atti del Convegno, Cremona, 22 novembre 1997, Cremona, Circolo Culturale Benedetto Croce, 1998. Margherita ardi Parente, Vittorio Enzo Alfieri e il nobile castello, in Belfagor.   Già Vittorio Enzo Alfieri, nell’introduzione al breve primo scritto bembiano incluso in una strenna dell’editore Sellerio, aveva colto una possibile connessione ai dialoghi platonici più ‘letterari’, dove a proposito del piacere ecfrastico del giovane scrittore per il podere di S. Maria del Non scriveva: «Bembo si compiace a descrivere il luogo a lui caro, il fresco riparo dalla calura estiva, il fiumicello, i pioppi piantati dal padre, il quale si stupisce che nella piana verso le pendici dell’Etna vi siano platani, che gli fanno forse risovvenire i platani d’Ilisso»321.L’intuizione diviene più 320 «Del resto l’opera stessa prima del Bembo, il De Aetna, aveva richiamato a quei molteplici interessi – spesso da e su testi greci – che avevano ispirato le Castigationes Plinianae. E la stessa felice ambientazione del dialogo già di per sé dilata i confini dell’oggetto esegetico e rilancia tutte le più vitali istanze di plenitudo culturale, di renovatio che il Barbaro stesso (e il Poliziano per suo conto) aveva indicato tra gli scopi della propria lezione (Mazzacurati). Sono una plenitudo e una renovatio che si muovono anche da quell’indirizzo filosofico e umanistico insieme che era stato così caratteristicamente veneziano, dal Barbaro a Giorgio Valla: nella ripresa di un tutto autentico Aristotele che Aldo aveva consacrato con la sua monumentale edizione delle opere aristoteliche (1495-1498) ispirata alla lezione di Ermolao e dedicata a Alberto Pio. Proprio sulla base della retorica e della poetica aristoteliche, ripresentate come esemplari dopo secoli e secoli sulla laguna, poteva svilupparsi anche la filologia più nuova del Bembo, tutta fondata sul concetto di creazione artistica, non come furor o inventio platoniche, ma come imitatio naturae e su una considerazione critica nuova della lingua», Branca, La sapienza civile, cit. 130-131. 321 Bembo Pietro. De Aetna: il testo di Pietro Bembo tradotto e presentato da Vittorio Enzo Alfieri, note di M. Carapezza e L. Sciascia (Palermo: Sellerio, 1981) 35. 132   concreta se posta a confronto con un altro testimone contemporaneo di Bembo, Gregorio Giglio Giraldi322. Questi infatti nella sua lettera introduttiva a Renata di Francia alla Historia Poetarum tam Graecorum quam Latinorum (1545), su uno sfondo tutto boccacciano -- l’occasione della peste e la conseguente riunione di una piccola brigada (il puer Pico della Mirandola e B. Piso) --, così si esprimeva nel presentare la cornice diegetica del trattato: L'Alfieri, critico verso la cecità dell'eruditismo dei vecchi filologi che si affannavano a congetturare e spostare, sminuzzare e riattaccare i luoghi del poema lucreziano ( op. cit., p. 17 ), sintetizza ancora : “Il canto del sonno e dei sogni (vv. 816-1036) si riattacca a quei canti precedenti, ai canti delle illusioni, e apre la via ai versi contro la più terribile delle illusioni: contro l'amore. Ecco come viene il sonno: una parte dell'anima è dispersa fuori, una parte si è raccolta nel profondo della sua sede, e le membra si sciolgono, e manca il senso, perché i l s e n s o è o p e r a d e l l'a n i m a; ma il senso non manca interamente, perché, se no, non si potrebbe riaccendere mai più e sarebbe la morte. La causa del sonno è la continua perdita di atomi da parte del corpo, perdita che avviene specialmente per le incessanti percosse degli atomi aerei; e questi versi sono bellissimi, nella narrazione dell'inavvertito conflitto, eppoi ( vv. 950-953 ) nella rappresentazione della sonnolenza, con versi rotti e con un verso finale di grande dolcezza: ' poplitesque cubanti / saepe tamen summittuntur virisque resolvunt, ' ' e quel che dorme si sente scioglier le ginocchia e venir meno tutte le forze'. E il sonno segue al cibo e alla stanchezza, perché allora è avvenuto un tanto più grave turbamento di atomi in noi. Qui passiamo alle illusioni. Ognuno si sogna quello che è la sua occupazione del giorno: gli avvocati sognano di trattar cause, il generale di guidare eserciti alla guerra, il marinaio di lottare coi venti, Lucrezio d'essere sveglio a scrivere il 'De rerum natura' ( vv. 962-970). Ed ecco quelli che si sognano i pubblici spettacoli, dopo essersene storditi per tanti giorni; i cavalli, che sognano le corse; i cani, che sognano la caccia e fiutano in aria ve si agitano; gli uccelli si sognano di sfuggire ai falchi. Così gli uomini: sanguinosi e paurosi sogni di re, sogni terrificanti di uomini che si credono alle prese con pantere e leoni, e gente che parla dormendo e svela tutti i propri segreti, e gente che immagina di morire o di precipitare da alti monti, e gente che ha sete e si sogna di essere presso un fiume e di bere infinitamente”. E' come se all'interno di un'argomentazione piana, di un'espressione variata, di un vocabolo già abusato, di un ritmo additivo irrompessero sistematicamente una rivendicazione terminologica, un elemento imprevisto, un segnale indecifrabile, un'interruzione del ritmo, un vestigio ad investigare. Non cessano infatti di stupire, per vistosità e normatività, un'accelerazione espressiva e un turbamento linguistico, i quali tuttavia, anziché disperdersi in una sorta di dadaismo originario o di impazzire nel gioco retorico, concorrono al prima e al poi della dimostrazione, alla proporzione del dettato, alla simmetria e regolarità del verso. Essi stessi riducibili a struttura, più simile ora ad un reticolo cristallino, ora ad una tavola aritmetica, ora ad un ordinamento geometrico. Questa compresenza dell'uno e del molteplice, del medesimo e del diverso, del codificato e del nuovo -- responsabilità morale di annunciare un nuovo mondo. Linguistica, che porta alla preoccupazione dell'iso-morfismo, al voler far combaciare vocabolo e oggetto segnato ↔ segnante ordine linguistico ↔ ordine cosmico. La eversibilità e convertibilità di ordine fisiologico o naturale, e di ordine “filologico” -- verbale. Anzi, la fisiologia irrelata e caotica sembra comporsi e prendere forma in un divenire “caosmico” proprio grazie alla filologia, la quale *ordina* sintammaticamente il molteplice -- il complesso nel semplice, nel semplicissimo (atomon, indivisum), domina il caos, resiste alla morte ed all'amore, e, anziché immaginare o assecondare l'esistente, lo ferma e se ne appropria. A ut noscas referre earum primordia rerum cum quibus et quali positura contineantur et quos inter se dent motus accipiantque, quin etiam refert nostris in versibus ipsis cum quibus et quali sint ordine quaeque locata. Namque eadem caelum mare terras flumina solem SIGNIFICANT, eadem fruges arbusta animantis. Si non omnia sunt, at multo maxima pars est consimilis. Verum positura discrepitant res. Sic ipsis in rebus item iam materiai intervalla vias conexus pondera plagas concursus motus ordo positura figurae cum permutantur, mutari res quoque debent. Atque eadem magni refert primordia saepe cum quibus et quali positura contineantur et quos inter se dent motus accipiantque. Namque eadem caelum mare terras flumina solem constituunt, eadem fruges arbusta animantis, verum aliis alioque modo commixta moventur. quin etiam passim nostris in versibus ipsis multa elementa vides multis communia verbis, cum tamen inter se versus ac verba necessest confiteare et re et sonitu distare sonanti. tantum elementa queunt permutato ordine solo; at rerum quae sunt primordia, plura adhibere possunt unde queant variae res quaeque creari. Analogia tra formazione di "verba" et versus e formazione res, espressa dagli eadem e dal parallelismo tra "significant" e constituunt resa esplicita nella spiegazione della paronomasia ignis/lignum iamne videas eadem paulo inter se mutata creare gnis et lignum?  Quo pacto verba quoque ipsa  inter se paulo mutatis sunt elementis, cum ligna atque ignis DISTINCTA VOCE NOTEMUS. Costituenti minimi semantica (parola, sillaba, articolazione, prima articolazione, seconda articolazione, terza articolazione) ↔ natura (radice -- atomo - molecula). Reversibilità dei co-efficienti dei costituenti minimi, positura, motus, ordo, che già nella metafisica aristotelica -- dell'aristotele perduto -- erano indicati come le sole e tutte differenze che possono presentare tra loro le lettere. Circolarità tra realtà fisica e linguistica con successione intrecciata delle argomentazioni nei due passi elemento -- ELEMENTUM (gr. stoicheion) è costituente originario sia di alfabeto che natura, secondo Democrito e Leucippo, fonte Metafisica, Aristotele. Lo stoicismo, nella sua lotta contro l'epicureismo, sostiene la legge finalistica del Logos come vera unica legge che indirizza la scrittura delle opere e la formazione delle cose. Platone sostene l'esperienza letteraria come micro-cosmo produttori del reale. Concurcus motus ordo positura figurae. Sono documentati come 'produttori' del 'reale' (res, rerum) in Leucippo, Democrito (dalla Metafisica) ed Epicuro e sono gli esatti sinonimi latini dei termini greci (individuum, atomon; elementum, stoicheion, simple, simplice, simplicissimum. Il verso è straordinario, dal punto di vista ritmico, tutto spondaico, e semantico, essendo costituito da soli sostantivi elencati a-sindeticamente, e culminante dal punto di vista fonico su ordo, quasi palindromo, appena bi-sillabo. Un verso icastico, che riprende i termini già esposti ma in ordine sparso e vi associa figurae, termine con una doppia valenza (ma monosemia) materiale e linguistica. Numerose testimonianze nei testi grammaticali latini fanno emergere la perfetta corrispondenza della terminologia atomistica e linguistica, in quanto tutti i term9ni "concurcus", "motus", "ordo" et "positura" sono specificamente grammaticali. motus concursus gramm: fenomeni fonetici: sinalefe (contrazione in un'unica sillaba di due vocali, solitamente dittonghi), sineresi (contrazione in un'unica sillaba della vocale terminante di una parola e di quella iniziale della successiva), iato (incontro di vocali forti successive). Il “distaccamento”, l'”accostamento”, il “mutamento” degli atomi convertono la natura delle cose nello stesso modo in cui l'”omissione”, l'”aggiunta”, il “mutamento” delle lettere convertono l'identità delle parole. Il modello grammaticale sembra in ogni caso essere preminente e fungere da paragonante per scoprire e chiarificare i meccanismi del mondo atomico, “ex apertis in obscura”, per rendere più semplice il passaggio dall'esperienza sensibile della littera scritta all'invisibilità degli infinitesimi atomi, elementa. Gramm: flessione (verbo) music: ritmo retor: figura retorica  ut potius multis communia corpora rebus multa putes esse, ut verbis elementa videmus. L'assimilazione tra verba et res fornisce una giustificazione e funzione della poesia, nonché annulla il divario tra poesia e filosofia, aprendo la strada della ben più successiva divulgazione scientifica. E' convinzione epicurea quella dell'iso-morfismo tra parole e cose, e tale risulta nella costituzione del poema intero, costruito come un cosmo vero e proprio. La valorizzazione di ogni singola parola, la sua attenta scelta si riflette in un innalzamento a materia poetabile delle realtà anche più umili, come “minerali, piante, fiumi, cielo, mare, terra, fiere, uomini”. Si crea così una democrazia linguistica ante litteram, lontana dal buonismo religioso, spesso degradato in ipocrisia, o dagli esperimenti novecenteschi degl'atomismo logico di Russell, che demolendo la sintassi o creando l'enumerazione caotica volevano demolire la società borghese e capitalistica e criticare la massificazione elevando ogni singola parola, pur immersa nella sua massa uniformemente bianca e nera che è il testo. Vittorio Enzo Alfieri. Alfieri. Keywords: Lucrezio, l’implicatura di Lucrezio, la folla di Lucrezio, Croce, filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alfieri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51793159577/in/dateposted-public/

 

Grice ed Alfonso – filosofia italiana – Luigi Speranza (Santa Severina). Filosofo. Grice: “I like Alfonso – no, he ain’t a Spaniard; the surname was pretty popular in Southern Italy after the roaming of the Spaniards! And it’s ultimately barbaric, that is, Goth!” “Typically, for a philosopher, a professional one, I mean, he started with logic for teenagers (il ginnasio ed il liceo), but with a twist – he called his lectures (his ancestor may testify) ‘logica reale,’ or colloquenza reale – and he tried to criticse “il Vera,” who had written “Il problema dell’assoluto.” “Like me, he has an interest in S is P and S is not P (questo uomo no est sensibile). His first utterance is actually, NOT ‘the fat cat sat on the mat, and as he sat on the mat, he saw a rat” – but the rather naïf ‘il sole e luminoso.’ He gives two other examples, which are easy to detect, since he does not use quotes but ITALICS!: “questo corpo est rotondo” and “questa pianta fiorisce.” His idea, like mine, or Peacocke’s,, or Speranza, is that that is pretty much enough to deal with the most serious problems in philosophy: the judicatum, and its component Concetto 1 e Concetto 2 – “Questa pianta fiorisce’” -- Un temperamento di spirito positivo e di evoluzionismo idealistico, che attesta l’origine del suo metodo e la serietà dei suoi studi, ma che dimostra pure quanto egli si sia discostato dall’indirizzo del Vera e dello Spaventa per accostarsi a quella che fu chiamata la sinistra hegeliana»  (Luigi Ferri). Filosofo. Autore di 67 pubblicazioni scientifiche e di numerosi articoli su riviste letterarie e quotidiani, alcuni dei quali sulla Calabria e sui personaggi delle tragedie di William Shakespeare, che gli fecero guadagnare l’attenzione internazionale per l’approccio singolare alle opere del grande drammaturgo inglese.   Nato a Santa Severina il 17 agosto 1853 da una famiglia di proprietari terrieri, molto giovane si dedicò all'approfondimento delle Sacre Scritture, grazie ai due fratelli del padre, don Michele e don Francesco d'Alfonso, entrambi canonici del Capitolo metropolitano della Cattedrale; questi studi, parte dei quali furono pubblicati con il titolo “Le donne dei Vangeli” (Firenze, Successori Le Monnier), manifestano un approccio *positivista* sull'analisi del testo biblico.  Terminati gli studi nel suo paese natale si trasferì a Catanzaro, dove fu allievo del letterato e patriota rocchitano Vincenzo Gallo-Arcuri. Frequenta poi il Liceo Ginnasio "Pasquale Galluppi", conseguendo la licenza ginnasiale. Ottenne in seguito la licenza liceale con lode al Liceo classico del Convitto nazionale "Vittorio Emanuele II" di Napoli, che gli fece valere, su concessione del Ministero della Pubblica Istruzione, la possibilità di iscriversi contemporaneamente alle facoltà di Medicina e di Lettere e Filosofia presso la Regia Napoli. Alla facoltà di Filosofia, dove, allievo di Sanctis, Vera e Spaventa, ottenne vari riconoscimenti.  Conseguì entrambe le lauree in Medicina e Chirurgia e Filosofia, a soli tre mesi di distanza l'una dall'altra. I Lincei gli assegono il Premio Reale per le Scienze filosofiche e morali, consistente in 4.000 lire, per lo studio dal titolo “Kant. I suoi antecessori e i suoi successori”. Su espressa volontà del padre fece ritorno a Santa Severina, dove esercita la professione di medico condotto. Ma la passione per la filosofia e l'insegnamento prevalse e partecipò ai concorsi a cattedra per i licei, iniziando a insegnare Filosofia in Sicilia (Caltanissetta, Messina e Catania). Da questa esperienza di insegnamento cominciarono ad evidenziarsi sempre di più le sue qualità didattiche, tant'è che il ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli lo convocò a Roma per affidargli la cattedra di Filosofia nei licei della Capitale: prima al Liceo Ginnasio "Umberto I" (dove insegnò dal 1889 al 1909) e poi al Liceo "Ennio Quirino Visconti". Nello stesso periodo cominciò a collaborare con le più importanti riviste letterarie, tra cui il Nuovo Convito, la Rivista d’Italia, la Rivista moderna politica e letteraria, la Rivista italiana di filosofia, la Nuova Antologia, L’Educazione, la Rivista italiana di Sociologia, la Rivista di filosofia e scienze affini e con diversi quotidiani, tra cui L'Osservatore Romano.  Nel 1890 fu chiamato dal ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli ad insegnare Pedagogia e Filosofia all'Istituto Superiore Femminile di Magistero, dove, in seguito a concorso, divenne Professore dal 1903 al 1923. Ebbe come colleghi Luigi Pirandello, Maria Montessori e Luigi Capuana. Durante i trantaquattro anni di insegnamento al Magistero, fu relatore di oltre trecento tesi. Per il Dizionario illustrato di Pedagogia, curato da Luigi Credaro e Antonio Martinazzoli, redasse la voce Istituti Superiori femminili di Magistero. Dal 1896 fu anche libero docente di Filosofia teoretica alla Regia Roma, dove insegnò ininterrottamente fino al 1933, anno della sua morte.  All'insegnamento affiancò sempre una prolifica attività di scrittore, pubblicando complessivamente sessantatré opere, recensite in Italia e all'estero, che spaziano dai temi dell'educazione e della morale all'economia politica, dagli studi sull'ambiente e sulle foreste all'analisi criminologica dei personaggi shakespeariani. Il suo Sommario delle lezioni di pedagogia generale (Loescher, 1912) fu giudicato dalla Reale Accademia dei Lincei «frutto d'amorosa meditazione e di mente abituata alla ricerca e alla costruzione filosofica, che esce dai confini degli ordinari trattati di pedagogia per elevarsi ad una sintesi mentale superiore».  Tenne la prolusione all'Universal Congress of Races di Londra, che fu poi pubblicata col titolo “Speculative psichology and the unity of races” (E. Loescher & Co), e fu membro del VI Congrès international du progrès religieux a Parigi. Fu consulente medico della Real Casa d'Italia durante il regno di Umberto I e del Palazzo Apostolico Vaticano sotto il pontificato di Benedetto XV.  Mai volle aderire ad alcuna corrente filosofica e politica, e fu fortemente avversato dal ministro della Pubblica Istruzione Gentile,che decise di mandarlo anzitempo in pensione con un provvedimento ad personam. Si tratta del Regio Decreto n. 736 del 13 marzo 1923, all'interno della Riforma Gentile, che anticipa, per i soli professori del Magistero, il collocamento a riposo al compimento del settantesimo anno anziché al settantacinquesimo, come per gli altri docenti universitari. Il suo posto fu immediatamente occupato da Radice, amico di Gentile. Anche Croce intervenne nella vicenda in favore di d'Alfonso, chiedendo a Gentile una deroga a tale decreto, ottenendo però risposta negativa. La salma fu portata sulla carrozza della Real Casa e seppellita nel Cimitero monumentale del Verano.  Il paese natale, Santa Severina, gli ha intitolato una via del centro storico e la Scuola elementare.  Opere: “Le donne dei Vangeli, Firenze, Successori Le Monnier); “Sonno e sogni” (Milano-Roma, E. Trevisini); “Principii di logica reale” (Roma, G. B., Paravia & C.); “Il re Lear” (Roma, Società editrice Dante, Alighieri); “La dottrina dei temperamenti” (Roma, Società editrice Dante, Alighieri); “Lezioni elementari di psicologia normale” (Torino, Fratelli Bocca editori);  “Pregiudizi sull'eredità psicologica (genio,delinquenza, follia)” (Roma, Società editrice Dante Alighieri); “I limiti dell'esperimento in psicologia” (Roma, Casa editrice E. Loescher); “Sommario delle lezioni di filosofia generale (la filosofia come economia)” (Roma, Casa editrice E. Loescher); “Lo spiritismo secondo Shakespeare, E. Loescher & C.); “Sommario delle lezioni di Psicologia criminale. Critica delle dottrine criminali positiviste, Roma, Casa editrice E. Loescher); “Il Cattolicismo e la filosofia, Roma, Casa editrice E. Loescher); “Otello delinquente, Casa libraria editrice E. Loescher e C. Sommario delle lezioni di pedagogia generale (L'educazione come economia)” (Roma, Casa editrice E. Loescher); “Note psicologiche, estetiche e criminali ai drammi di G. Shakespeare (Macbeth, Amleto, Re Lear, Otello)” (Milano, Società Editrice Libraria); “Principii economici dell’etica”; “Naturalismo economico”; “Principi naturali di Economia Politica” (Roma, Athenaeum); “Gli alberi e la Calabria dall'antichità a noi” (Roma, Angelo Signorelli editore); “La disoccupazione: cause e rimedi” (Torino, Fratelli Bocca editori. Nicolò d'AlfonsoIl  del Sud  Furio Pesci, Pedagogia capitolina. L'insegnamento della pedagogia nel Magistero di Roma, Parma, Ricerche pedagogiche, 1994  Francesco d'Alfonso, Nicolò d'Alfonso. Ritratto di un intellettuale indipendente, Bisignano, Apollo edizioni, , pag. 42  Francesco d'Alfonso, Nicolò d'Alfonso, cit Attilio Gallo-Cristiani, In memoria del filosofo Nicolò d'Alfonso, Roma, A. Signorelli editore, 1934  La vicenda del pensionamento di Nicolò d'Alfonso è ricostruita e ampiamente documentata in Nicolò d'Alfonso. Ritratto di un intellettuale indipendente, cit., cap. V  Francesco d'Alfonso, L'onesto solitario. Vita e opere del filosofo Nicolò d'Alfonso, Reggio Calabria, Città del Sole edizioni,  Francesco d'Alfonso, Nicolò d'Alfonso. Ritratto di un intellettuale indipendente, Bisignano, Apollo Edizioni,  Francesco d'Alfonso , Amleto e Ofelia. La critica shakespeariana negli scritti di Nicolò d'Alfonso, Reggio Calabria, Città del Sole edizioni,  Furio Pesci, Pedagogia capitolina. L'insegnamento della pedagogia nel Magistero di Roma  Parma, Ricerche pedagogiche, 1994 Attilio Gallo Cristiani, In memoria del filosofo Nicolò d'Alfonso, Roma, A. Signorelli editore, 1994 Mariantonella , Giovanni Marchesini e la «Rivista di filosofia e scienze affini», Franco Angeli  Daniele Macris, Nicolò d'Alfonso: uno studio introduttivo, in Quaderni Siberenensi, Catanzaro, Ursini, Francesco De Luca, Santa Severina. L'antica Siberene, Pubblisfera edizioni, Antonio Testa, La critica letteraria calabrese nel novecento, L. Pellegrini editore, 1968 Silvio Bernardo, Santa Severina dai tempi più remoti ai nostri giorni, Istituto editoriale del Mezzogiorno, 1960  Santa Severina Università La Sapienza di Roma Accademia dei Lincei Liceo classico Pilo Albertelli.   Il prof. Nicolò D'Alfonso presenta : 1) Note psicologiche, estetiche e crimi n a l i a i g r a m m i d i G . S h a k s p e a r e M a c b e t h , Amlet o , R e L e a r , O t e l l o - ( s t .) ; 2 ). U n a nuova fase dell'economia politica , (st.);3) Speculative psychology and the unity of races (st.); 4) « Il cattolicismo e l'insegnamento della storia del cristianesimo nell'Università di Roma , (st.);5) - La filosofia della storia nel nostro tempo -; 6) -G. C. Morgagni e la biologia moderna »;7) «In Calabria». Il prof. D'Alfonso, come già risulta dall'elenco dei lavori presentati, s'è occu pato di argomenti disparatissimi, senza che però, a giudizio unanime della Commis sione, egli sia riuscito a trattarne alcuno con metodo scientifico. Per la più parte sono articoli occasionali e informativi, discorsi, prelezioni, ma invano si cercherebbe un'indagine compiuta con intento scientifico. Le nole psicologiche sui drammi dello Shakspeare, che del resto sono una ristampa di articoli pubblicati già parecchi anni addietro, per molti rispetti sono pregevoli, contenendo osservazioni giuste, e in ogni modo attestano l'amoroso studio che l'A. ha fatto dei drammi dello Shakspeare ; ma , a giudizio unanime della Commissione, non sono titolo sufficiente per l'assegno del premio a cui il D'Alfonso aspira.D'ALFONSO NICOLA. -E'un insegnante che ha una lunga eonorata carriera,emolti s s i m e p u b b l i c a z i o n i. M a q u e s t e c h e p u r c o n t e n g o n o m o l t i p r e g i , r i g u a r d a n o l a p s i c o logia,lalogicaelapedagogia Lastessaoperaches'intitola:«Saggiodifilosofiamo. rale »,è un saggio di psicologia applicata alla critica dell'antropologia criminale.«Il Somm a r i o d e l l e l e z i o n i d i f i l o s o f i a g e n e r a l e ( l a f i l o s o f i a c o m e e c o n o m i a ) i n c u i il D ’ A l fonso espone i concetti cardinali del suo pensiero, non tratta propriamente problemi morali,al cui studio non arreca contributo notevole l'opuscolo « Principi economici dell'Etica ». Formulati in questo modo i giudizi riassuntivi intorno ai quattordici candidati, e vagliati comparativamente ititoli di ciascuno, e tenuto conto infine dell'esito della prova orale, la Commissione procedette alla votazione definitiva, secondo le norme dell'art. 113. La terna risultò così concepita in ordine alfabetico : Calò Giovanni con tre voti favorevoli e due contrari; Ferrari Giuseppe Michele, con tre voti favorevoli e due contrari ; Orestano Francesco, a voti unanimi. Due voti riportò ilcandidato Zini. Essendosi quindi proceduto alla graduazione dei tre candidati designati per la terna , in ordine di merito, si ebbe il seguente risultato : 1°Orestano Francesco con voti quattro contro uno; 20 Ferrari Giuseppe Michele con voti tre contro due ; 3°Calò Giovanni con voti tre contro due. Ilcandidato Calò ebbe un voto come primo nellaterna. La Commissione pertanto propone a V. E. di nominare il dott. Francesco Ore . stano professore straordinario di filosofia morale presso l'Università di Palermo. Roma, 11 aprile 1907. Il Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione, esaminati gli atti del concorso,li riconobbe regolari e nell'adunanza dell'11 maggio 1907 deliberò di restituirli al Ministero senza vazioni.  La Commissione Osser.  -- quando un maggior numero di uomini si strinsero in rapporti fradi loro e furono animati dal *fine comune* (mutual goal) di *aiutarsi* (reciprocal helpfulness)  nel superare le difficoltà per la vita, onde sivideilgrande vantaggio del lavoro collettivo, questo fatto ebbe una grande importanza per quegli uomini e pei primordi dell'umanità in genere.Fu allora necessaria la dimora fissa in un luogo, ciò che dovea  A. LA STORIA DEL LINGUAGGIO.   diminuire loro idisagi e le incertezze del domani.Si preferi di dimorare presso le rive dei fiumi, dei laghi e del mare,che offrivano certi vantaggi. Risoluto il problema dell'esistenza nell'oggi, fu reso possibile il tentativo di produrre pel domani, allora si principio ad allevare il bestiume ed a coltivare la terra, prendendo insegnamento, come potevano, dalla natura. Allora fu reso maggiore il bisogno di *esprimersi* (express ourselves) e d'*intendersi* (comprehend ourselves) in un più largo ambito e nacque nell'uomo il desiderio di ben provvedere al suo avvenire, à quello della tribů o della piccola società ed a ricordare la vita passata per trarne insegnamento per l'avvenire. Fu reso ancora necessario il tradurre in segui materiali, e perció più memorabili, I rumori e le voci di *espressione* : prima origine della scrittura e della lettura. Ma,anche in questocaso,quando nonsitrattavadi do vereriprodurre l'immaginesensibiledelle cose,ma di u sare segni più o meno facili ad eseguire e da connettere alle parole, ciascuno dovette significare da principio in modo affattoarbitrarioedinintelligibileaglialtrilepro prie rappresentazioni; e solo posteriormente per mezzo di accordi alcuni *segni* (segnante/segnato) furono ricunosciuti da parecchi siccome *esprimenti* alcune date *rappresentazioni*. Si *stabilirono* (Grice – established procedure) cosi tanti segni (segnante, segnato) per quante erano le parole in uso. Però un cosiffatto costituirsi della società primitiva non avvenne per un aggruppamento solo, in un solo sito, di uomini e di famiglie. Dato invece il continuo dirimersi e disgregarsi degli uomini preistorici, bisogna ammettere che sia dovuto avvenire, isolatamente, in vari punti della superficie della terra; e per ciascuna piccola società dovettero stabilirsi speciali segni di scrittura e di lettura. Questi movimenti d’emigrazione e d'immigrazione, di conquiste, raggiunte con la violenza o con lacalma e l'astuzia, furono più frequenti nei primordi della storia; poichè in quei tempi non tutti i bisogni individuali e sociali dell'uomo potevano essere sollecitamente soddisfatti, quantunque fosse stato prepotente in lui il desiderio di soddisfarli. E poichè ogni gruppo sociale migrante, come avea un complesso di parole, cosi poteva avere un complesso di *segni* a quelle corrispondenti, avvenendo lo stesso per la società che subiva l'immigrazione o il dominio, con la mescolanza degli uomini dovette ancora avvenire una mescolanza di differenti linguaggi. In questo caso il gruppo sociale più potente dovea esercitare il suo dominio sul popolo nuovo arrivato o sul debole. Era necessario perciò che gl'imponesse anche la propria lingua, altrimenti non sarebbe stata possibile la comunicazione degli animi, prima condizione al vivere. Queste società col vivere a lungo in un sito andarono incontro ad alcuni disagi per lo sfruttamento del terreno non ancora coltivato secondo le leggi naturali o per la distruzione degli animali boschivi o infine perchè il loro sviluppo sociale dovea far loro avvertire nuovi bisogni o per dar nuove esplicazioni alle loro energie. Nacque perciò in loro o in parecchi di essi il bisogno di avvicinarsi ad altre società, sia per offrire a queste i prodotti particolari del loro suolo e della loro industria e rice verne altri; sia per offrire loro le proprie energie organiche dalle quali volevano trarre un profitto. L'avvicinamento e poi la reciproca compenetrazione degl’animi avvenne per via pacifica o per laviolenza e la forza, onde la società sopravvegnente sottomise a sè l'indigena.   -- sociale. Ma si deve anche ammettere che il popolo vinto o il nuovo abbia in parte contribuito a modificare la lingua dell'altro, non potendosi ammettere che esso si fosse potuto così facilmente e presto privare della sua lingua abituale e l'altro non ne avesse subita alcuna modificazione. Cosi,come la parola (del greco parabola), anche altri segni dovettero subire molteplici metamorfosi in ragione del vario congregarsi e disgregarsi degli uomini, in ra gione dei vari influssi che quelle società esercitarono fra di loro. E quando in mezzo alla vita indeterminata delle società primitive sorse un popolo energico e forte che acquisto di sè una coscienza superiore a quella degli altri popoli che si sforzò di soggiogare e di dominare ed impose loro i suoi costumi, le sue credenze, fu quello il primo popolo veramente storico e allora la lingua di esso fu imposta ai vinti ed ammesso riconosciuto da questi. Ma un popolo che sappia esercitare il suo dominioè destinato a vivere e a perpetuarsi. È necessario allora che esso diventi qualche cosa di organico, che abbia un ordinamento interno, che abbia leggi ed istituzioni. Un popolo cosi costituito è costretto a conservare ed a coltivare la propria lingua, dando un valore determinato alle proprie parole; perchè solo cosi è possibile il governo che deve implicare la stabilità delle leggi e della istituzioni alle quali deve perció connettersi una lingua determinate e fissa, altrimenti quel popolo ricadrebbe, come, malgradociò, tende sempre a ricadere, allo stato primitivo di disgregamento. In un popolo che vive e dura la lingua  deve non  solo fissarsi ma le parole di cui consta debbono moltiplicarsi. E ciò non può non ammettersi se si considera che una società che vive non può non compiere,per mezzo degli individui che la costituiscono, un'attività psicologica scrutativa e conoscitiva sulla natura circostante. Questa che da principio apparisce come qualche cosa di molto semplice, come un tutto a sè, in ragione che più si esercita l'attività umana sopra di essa,apparisce distinta in una molteplicità di gradi o di oggetti i quali alla loro volta da prima appariscono indeterminati nelle molte proprietà di cui risultano e, progressivamente, appariscono sempre più determinati. Tale è stato il movimento della conoscenza dai primordi della storia sino ai nostri tempi e non si è peranco arrestato. Di nessun oggetto si può dire che esso sia stato cosi studiato ed analizzato in tutte le sue note,in tutti i suoi rapporti, che un ulteriore studio nulla di nuovo potrebbe darci. Quantunque questo processo di scrutazione e di conoscenza si sia eseguito sopra ogni cosa, pure non tutti i popoli hanno all'istesso modo fatte le loro conquiste in ogni ramo della realtà. Giacchè alcuni hanno scrutato un ramo ed hanno lasciato intatto un altro di essa e, conseguentemente, la lingua si è più arricchita in quella regione della natura che non in un'altra. Inoltre è avvenuto nella storia che, come gli uomini hanno fatto un progresso nel campo della conoscenza, si sono ingegnati di servirsi delle loro cognizioni per modificare la natura esteriore a loro profitto, producendo una molteplicità di beni e sovrapponendo cosi all'opera della natura una nuova creazione che è quella dell'arte. Tutte le istituzioni sociali sono creazioni dello spirito,   -- Cosi quando un popolo emerge nell'arte della guerra e delle conquiste, come il popolo romano, deve anche creare una nomenclatura in cose militari e guerresche. Giacchè, anche in questo caso, ogni nuova veduta, ogni nuova invenzione, per quanto possa sembrare poco apprezzabile, pure deve essere contrassegnata dalla sua parola. Tale lingua non poteva riscontrarsi nei popoli che, nel movimento storico, precedettero quelli. Ed allora la nuova lingua potrà inprosieguo divenire patrimonio di nuovi popoli; perchè le conquiste di una nazione nel campo della conoscenza e dell'attività pratica tendono a divenire patrimonio ed eredità delle altre nazioni, Una nazione che emerga nel mondo pel suo dominio sul mare, ciò che non può avvenire senza la costruzione di vascelli di meravigliosa complicazione, come il popolo ligure, deve creare una nomenclatura marinaresca, sia per le varie parti e di vari apparecchi di cui consta un vascello, come per la loro funzione e per gli uomini che vi si addicono, nomenclatura che *prima della formazione di quei vascelli non avea ragion d'essere* e che ora deve essere accettata dalle altre nazioni che vogliono costruire  nelle quali se la natura interviene, essa non vi è come puramente tale, ma rianimata da un nuovo soffio. La storia ci fa vedere che ogni società civile ha prodotto qualche cosa di particolare in un ramo delle istituzioni sociali; o nelle leggi o nell'industria, nel commercio, nell'arte militare, nelle belle arti, nella religione, nella scienza. Corrispondentemente a questo progresso nell'attività intellettuale e pratica, nuove forme particolari debbono sorgere che contribuiscono ad accrescere la somma delle parole di un popolo. -- navi di quei tipi o forme, onde quelle parole genovese o ligure debbono in massima parte essere accettate come tali dalle altre nazioni. Anche una nuova e grande religione, come il culto di Marte, il dio della guerra dai romani, dovette formarsi una nuova lingua relativamente alle antiche religioni, quantunque alcune parole di queste siano state conservate nella nuova religione, all'istesso modo che qualche cosa del contenuto delle prime religioni si perpetua nel contenuto delle altre. E, poichè la religione, sopra tutto la religione istituta dal primo principe, Ottaviano, compe netra ed informa tutti gli aspetti della vita individuale e sociale, esercita la sua azione modificatrice nella lingua di tutte le istituzioni sociali. Nel culto romano di Marte troviamo parole che hanno un contenuto differente da quello che avevano nei popoli precedenti o che non ancora hanno accettato il Cristianesimo, quantunque le stesse parole possano prima essere state usate.E, poichè il Cristianesimo è stato il punto di partenza di un grande e lungo svolgimento artistico, teologico e filosofico, informato ai suoi principii, si è dovuto ancora produrre una lingua atta a rendere in tutti i loro elementi le nuove e grandi concezioni. Cosi l'attività pratica sociale e le istituzioni contribuiscono a fare arricchire la lingua latina dei romani. Ma infondo a questo progresso linguistico sociale dobbiamo trovare come principale fattore l'attività individuale di un Cicerone, di un Lucrezio, di un Varrone, di un Romolo! Come avviene delle nazioni che non fanno un passo innanzi nel progresso dell'umanità se non per l'opera dei grandi uomini che esse nondimeno hanno creato eeducato, avvieneanche pel progredire della lingua dialettale – o soziale – altre l’idioletto. Giacchè gl'individui in quanto vedono aspetti nuovi della natura o della vita s o  -- Però da principio essi hanno ricevuto dalla società in seno alla quale sono nati e cresciuti un linguaggio che era patrimonio comune a molti ; essi l'hanno solamente arricchito in quel ramo di attività nella quale hanno espli cato la loro energia e,se questa riguarda immediatamente la vita del popolo,potranno le nuove parole divenir popolari, altrimenti rimarranno sempre chiuse nella cerchia dei pensatori e degli studiosi. Così la lingua filosofica di Cicerone non è popolare o ordinario o volgare come non è popolare o ordinaria o volgare la filosofia, mentre il linguaggio della religione e dell'arte potrà più fa cilmente scendere sino al popolo e divenire suo patrimonio; perchè esse al popolo sopra tutto s'indirizzano ed in esso debbono trovare alimento. -- Pertanto se la lingua dell'arte, della filosofia, della storia differiscono in qualche modo fra di loro, differisce anche la lingua di un cultore di quella data branca di attività umana da quello di un altro.Così il idoletto o idioma di Platone differisce da quello di Aristotele e di Hegel. La lingua, l’idioletto, o l’idioma di Omero differisce da quello di Aligheri, di Shakespeare e di Goethe. La lingua, l’idioletto o l’idioma di Tucidide e di Erodoto differisce da quello di Livio, di Tacito, di Machiavelli. E ciò perchè ciascuno scrittore impiega nella realtà che studia e perciò nella lingua che trova e contribuisce a creare, quella sua attività particolare che  - - -47 -- ciale contribuiscono a formare la lingua ed imprimono parole nuove a nuovi fatti reali che si sono scoperti od escogitati. Ippocrate, che fu il fondatore della scienza medica nell'antichità, fu anche il creatore della lingua medica che si conserva in fondo alla compless lingua medica moderna. Cesare dette nuove determinazioni ed una più grande precisione alla lingua militare.   -- lo spinge ad usare nuove parole o a dare un nuovo contenuto o segnato a vecchie parole o it nobilitarle o a degradarle. In questo modo la lingua di un popolo che, come ogni conquista dell'uomo e dell'umanità, tende a sminuire e a perdersi, è sostenuto dalla vita nazionale ed è migliorato dal progresso che essa fa in ogni ramo dell'atti vità umana. Il suo progresso va di pari passo col progresso dell'umanità,  all'istesso modo che il decadere di questa trae seco il decadere della lingua. Una nazione mantiene integralmente la sua lingua quando una sola vita ed un solo pensiero circolano in essa quando vi è, cioè, unità nazionale, onde tutti i cittadini hanno la stessa educazione, la stessa coltura, le stesse aspirazioni, volgono la loro attività allo stesso fine collettivo, partecipano intimamente agli avvenimenti nazionali, sono animati dello stesso spirito religioso, artistico. Quando lo spirito nazionale si affievolisce o cade, tendendo allora la lingua a degradarsi, la scuola apparisce come una sostituzione alla vita sociale, la quale può creare il culto della lingua nazionale, facendo interpretare e gustare i capilavori letterari, storici e politici che quella data nazione possiede. In questo caso la scuola può creare un movimento per un nuovo risorgimento nazionale e per mezzo di essa può la lingua durare e vivere anche quando le istituzioni che la formarono e la sostennero son decadute. Ma se in quei casi la scuola manca, tutto va in rovina.  Nella scuola va incluso anche il culto per l'arte, quando questa non rappresenti il puntosalientedella vita nazionale, come avvenne in Grecia la quale dovette la popolarità di quella meravigliosa lingua primieramente al  culto per Omero I cui canti, artistici e religiosi insieme, venivano imparati a memoria e ripetuti e cantati da tutto il popolo. La religione ha anche essa una grande potenza a mantenere in vita una lingua, quando ogni altra istituzione sia perita in una nazione; perchè essa, tendendo a difondere un complesso organico di principii e di massime a tutto un popolo, in modo che tutti gl'individui vengano illuminati e spinti all'azione da essa (e già la religione esercita la sua azione in tutti i fatti della vita, onde la lingua religiosa penetra in ogni cosa), deve tenere perciò vivo il culto per la lingua nazionale. Quando queste condizioni mancano la lingua sidiscioglie,soprat tutto se quella nazione continua ad essere ilcentro d'im migrazionedialtripopoli,come avvennedell' Impero Ro mano dopo la sua caduta,in cui, con la invasione dei barbari, quando la scuola mancava, nuovi linguaggi e nuovi costumi penetrarono che dovettero affrettare la disorganizzazione di quella lingua in tanti linguaggi particolari a varie provincie e luoghi, varianti fra di loro secondo che varie erano le nuove condizioni di ciascuno. Alcuni di questi particolari dialetti più tardi divennero ancheessinuovelingue,quandoapparvero ipoeti,gli oratori,glistorici,ilegislatori,ireligiosi, i quali, per adattarsi al popolo al qualedoveano volgerel'operaloro, dovetterobeneconoscereilnuovolinguaggio ed,usan dolo, gli accrescevano prestigio e destavano il culto per esso. In questo modo una grande lingua si discioglie e gli altri linguaggi che vengon fuori da quella dissoluzione possono di nuovo nobilitarsi e divenire storici. La lingua tedesca non sarebbe divenuta una nobile e bella lingua se Lutero,col movimento religioso che egli. Risulta da quel che si è detto che non è stato un solo il popolo storico, ma vari,quantunque però si debba a m mettere che questi si sieno manifestati in una regione piuttosto che in un'altra del mondo e che vi sieno stati p o poli storici di cui non sono rimaste vestigia;perchè la parte che essi hanno rappresentato per la storia dell'u manità in genere non è stata di grande importanza, onde non sono divenuti centro di attrazione di altri popoli e non hanno avuto perciò l'energia di sottometterne e di dominarne altri. All'istesso modo che ogni popolo ha una storia parti colare e comparisce e sparisce dal teatro del mondo e ad un popolo si succedono altri popoli ed ognuno ha la ere dità degli altri ed ha insieme aspirazioni, tendenze ed uno spirito proprio,si foggia ancora in modo particolare la propria lingua. E come il suono o la voce è l'espres sione dello stato interiore psichico indeterminato dell'a  fondo ed inizio, in cui dovea avere gran parte la cultura del popolo, non avesse destato un culto per essa.I grandi poeti tedeschi, gli storici, i filosofi, gli scienziati,animati dallo spirito della riforma,contribuirono poi a rendere importante nel mondo e nella storia quella lingua. L'a vere la Grecia conservata, dopo la sua caduta, la sua antica lingua la quale, tenuto conto dei mutamenti necessari che in essa son dovuti avvenire pel progresso del pensiero umano, si è continuata nella lingua greca moderna, si deve all'essere essa, dopo la sua caduta, stata quasi tagliata fuori dal grande movimento del mondo, il cui centro divenne ROMA, e al non essere più essa stata fatta segno alle invasioni e alle immigrazioni di altri popoli. Quando, dopo la rovina dell'impero romano,il pen  - -- animale o dell'uomo, anche la lingua, nel complesso si stematico delle sue parole , è l'indice dello stato intellet tuale di un popolo,della sua storia,del grado dellasua eticità,della sua energia,delle sue aspirazioni economi che, artistiche, sociali, religiose, scientifiche. Sicchè, conosciuta la lingua di un popolo, ci è dato conoscere la sua vita naturale e spirituale; perchè nulla è nella vita naturale e spirituale degli uomini che non sia in qualche modo nel suo linguaggio. Diciamo in qualche modo,per «chè la lingua non è l'espressione perfetta della vita e del movimento della psiche. Le parole di cui il linguaggio consta sono sempre vi 'brazioni tradizionali,empiriche o convenzionali per espri mere alcune rappresentazioni o azioni o energie delle cose;'sono perciò involucri naturali ed estrinseci in cui si avvolge la coscienza e la mente per esprimere la realtà delle cose e degli avvenimenti ; la cui ricchezza di par tivolari, d'intrecci e di energie è profonda ed inesauribile. Sono perciò una pallida immagine della realtà e della mente,quantunque siano però qualche cosa di superiore e di più perfetto relativamente al linguaggio indetermi nato.Equandovièdissdiotrarealtàelingua,dimodo .che quella apparisce alla mente nel suo progresso di complicazione,mentre la lingua si pietrifica, questa diviene un impaccio alla espressione dellamente che di continuo si muove e si svolge; ed è solo rompendo questo in volucro sensibile e dandogli un valore più nuovo e più altochesi possonointendereemanifestarelepiùascose pieghedel pensieroedella mente;giacchè per inten dere il pensiero non vi vuole che il pensiero.  Ad ogni modo la mente nella sua progressiva forma-. zione si sforza di creare il suo linguaggio ; perchè il linguaggio serve pel pensiero ;e foggia nuove parole o nuove combinazioni di parole o dà un nuovo significato alle vecchie parole. E perció la storia ci fa vedere che quelle nazioni che sono state ricche di pensiero,co inella sfera di attività pubblica e sociale,come nella s'era artistica, religiosa, scientifica, hanno avuto una lingua an corariccadiparole,dilocuzioni,diflessioniper espri mere i più fuggevoli moti della realtà e dello spirito ; ed in quella nazione in cui la vita del pensiero è stata poverit o nascente si è ancora avuta una lingua povera . di parole e di uso. Ciascuno di questi gradi dell'evoluzione del linguaggio è l'espressione dello stato psichico e cerebrale di quei dati popoli, stato in parte ereditato in parte acquisito ; dello stato degli organi vocali e dell'ambiente cosi na turale come etico che gli uomini si sono creato ed in cui sono vissuti.Queste tre seriedi fattori hanno la parte principale nella storiadel linguaggioe,secondo il grado. -- del loro accordo dello sviluppo di esso, costitu'scono la lingua peculiare di un dato popolo.  --  siero cristiano che porto seco una nuova civiltà,più pro fonda e più complessa della romana, a poco a poco si sostituiva alle vecchie istituzioni, LA LINGUA DEL LAZIO non potè essere più adatta ad esprimere il nuovo pensiero, sopra tutto dopo le invasioni barbariche; e se fu colti vata dalla Chiesa e dai dotti,questi per entrare in re lazione col popolo e partecipare perciò alla vita.nazio nale, dovettero usare il vulgare. Qualche cosa di analogo avviene nella storia dell'in   è psicologicamente molto simile agli animali, emette an .che esso dei suoni indeterminati. Ma in ragione che ac . quistano maggior sviluppo i sistemi del suo organismo e gli organi vocali e le sensazioni acquistano maggior pre cisione funzionale, il bambino si assimila gli elementi delle voci o delle parole che ode intorno a sè,assimila zione che è resa facile da predisponenti condizioni ere ditarie, le riferisce alle cose con cui è in rapporto, le fissa nella memoria, si sforza di pronunciarle,riuscendovi male da principio;ma dopo unalunga esercitazione,ar riva a pronunziare bene ed a mano a mano non solo al cuni monosillabi, ma anche parole più o meno semplici. Nella storia del fanciullo si ha insomma come riepilogo quello che è avvenuto nella lunga storia dell'umanità ; cosi il bambino da poco nato non ha altro modo per esprimere isuoi stati interni che ilgrido,ilpianto,che sono poco più che un moto riflesso, una forte sensazione che si estrinseca per le vie del respiro.  - dividuo. Come il grido indefinibile che l'animale emette •è l'espressione dello stato indeterminato dei sentimenti che lo agitano e dello stato informe delle rappresenta zionichelomuovono,come dellapovertàdeicentridelsuo :sistema nervoso, cosi il bambino che nei suoi primi anni 53 Abbiamo usato promiscuamente la parola linguaggio e lingua ; m a è bene dichiarare che la lingua implica m a g giori determinazioni che non il linguaggio che è qualche cosa di più generale ed inderminato relativamente ad essa. La linguaè un linguaggio divenutoclassicoostorico,con nesso cioè ad una vita nazionale, per cui ogni parola ha una storia e le cui origini si possono seguire anche in altri linguaggi che sono presupposti della lingua che si   Dopo che le parole son divenute storiche, sono state cioè connesse ad un segno materiale,possono continuare, sopra tutto in tempi in cui le lingue si formano, ad a vere una storia circa alla loro struttura. Ed anzi tutto pare non si debba ammettere che , quando LA LINGUA PREISTORICA abbia principiato a divenire STORICA, si fossero tra dotte in segni materiali tutte le parole parlate. Invece si deve aminettere che queste dovettero essere moltissime neila lorogradazionedipronunziadaindividuoad iudiv'duo, da tribà a tribù, per la ragione detta precedentemente. E quando si volle tradurre in segni una parola la quale aveva immense gradazion ,essi furono appunto quasi una. somma di una molteplicitii di parole parlate le quali se: poterono fissarsi in segni non poterono però definitivamente fissarsi in un tipo di vibrazione fonica ad esse corrispon denti,quantunque pero questo fosse stato il fine dell'in venzione dei segni materiali e della scrittur a e questo. fosse anch e il fine dell'inseegnamento della lettura. Da ció segue che le parole parlate furono moltissime relativamente alle impresse. Stabilitasi la forma della parola parlata e della i m pressa non si tenne più alcuna ricordanza della deriva- . zione primitiva di essa nè si pensó più a modellare le: parole sulle forme delle vibrazioni naturali. Dovette per  - -- studia. Si può dire ‘lingua’ della natura, ‘lingua’ degli animali, ‘lingua’ dei bambini, ma non lingua senza quotazioni. L'uomo che per morbi perde la facoltà di parlare che prima posse deva in modo perfetto, non *parla* più la lingua, *ha* però una lingua. La condotta dell'uomo si può chiamare una ‘lingua’ in quanto manifesta per mezzo di una. serie di atti tutto un concetto interiore della vita.   -- ció necessariamente ammettersi che i primi popoli storici dovetterò averə ciascuno una nomenclatura e corrispondenti forme d'impressione e di scrittura e,nel loro con tinuo movimento di espansione e di concentrazione, tutto dovette mutare fino a che un popolo non raggiunse la sua stabilità. Ma anche allora la stabilità della lingua non fu definitiva. Abbiamo detto che la parola è qualcosa di molto più complesso del semplice suono o della semplice voce o esclamazione o della semplice imitazione di suoni o rumori naturali, quantunque derivi da essi -- è già un suono o più suoni e rumori connessi che complessivamente e sprimono una rappresentazione formata od un'azione od un concetto.Vi sono perciò parole di pure voci o suoni, altre di puri rumori ed altre infine risultanti degli uni e degli altri. Studiando l'acquisizione della loquela nel l'individuo vedremo come egli dall'attività più semplice passa alla più complessa, cosa che,come avviene ora nel l'individuo, si veritica anche nella storia dell'umanità in genere.Dovettero perciò iprimi uomini da principio pronunziareparolerisultantidipurevociodipuri ru mori; anche allora, o più tardi poterono pronunziarsi monosillabi,che sono l'unità di un rumore edi una voce. Il mono-sillabo è perció la parola più conforme alla possibiliti tisiologica e psicologica di esecuzione fonica dei popoli primitivi e rappresenta la vibrazione primitiva della cosa,trasformata dall'attività fisiologica e psicolo gica degli uomini.Le lingue dei primi popolifurono per cid monosillabiche.Ed a questo proposito possiamo noi indagare se le lingue primitive fossero più o meno ric che di parole delle lingue moderne o in generale delle lingue più complesse. E bisogna dire di si se si pensa che, quantunquepei primi popoli storici il mondo esteriore fosse qualche cosa di molto semplice, pure, nel ri produrre gli oggetti essi teneano conto solo della vibra zione la quale era varia d'intensità nelle cose ed era ancora più variamente ripetuta od imitata dagli uomini di una popolazione e dalle varie popolazioni. Onde varie parole doveano primitivamente indicare la stessa cosa. Anche perché, potendo una stessa cosa dare vibrazioni differenti, essa veniva indicata con quella tale vibrazione della quale più s'interessava il soggetto. Cosi il cavallo poteva essere indicato pel suo nitrire, per lo scalpitare, pel m ovimento della criniera, pel rumore che fa nei masticare il cibo, per la velocità nella corsa, ecc. cosa assumeva. In tal caso la parola monozillabica primitiva si dice  -- Per questa ragione le parole dovettero molto più delle cose esse represe in considerazione. Ma in tempi più progrediti abbiamo una lingua più complessa, in cui cioè le parola o la maggior parte di esse sono risultanti di più sillabe; e in questo caso le parole monosillabiche non spariscono. E questa le lingue poli-sillabiche o la agglutinante o l’articolata. Perchè in esse la sillaba si collegano o si articolano con la sillaba. La parola poli-sillabica potè divenir tale o perchè mono-sillabi di una lingua si vide che corrispondevano alla stessa cosa, di modo che, pronunziandole insieme due o più esigenze venivano conciliate. O perchè una sola sillaba assume una voce nuova secondo che la nuovi movimenti; perchè le cose assumono ancora nuove energie se l'attività scrutatrice del soggetto si esercita .su di esse.   radice la quale non cessa di essere parola, perchè esprime una rappresentazione, per quanto indeterminata, ma è considerata come una parola elementare la quale è come il ceppo comune ed originario di altre parole. Essa, entrando in rapporto con altre parole più o meno semplici o pure assumendo varie flessioni, si complica in modo da esprimere una rappresentazione più complessa o un concetto. Se la lingua mono-sillabica, esprimendo rappresentazioni indeterminate, e la LINGUA PRIMITIVA, la lingua agglutinante o articolata segnano un *progresso* relativamente alle precedenti. Perchè in essa, una parola poli-sillabe e un complesso di al meno due parole mono-sillabe e perció si parlano da quei popoli nei quali è più sviluppata l'attivitàr appresentativa, onde un solo mono-sillabo non sempre è sufficiente ad esprimere una rappresentazione molto complessa. La lingua del Lazio, la maggior parte delle cui parole hanno flessioni, in cui la “radice” e il “tema” assumono varie forme e una lingua flettente. E quella che han raggiunto il maggior sviluppo possibile e puo costituire l'espressione di una tela organica di concetti e di un pensiero dalle più ricche gradazioni e di sfumature appena apprezzabili. In tale lingua, il nome sostantivo o aggetivo ed il verbo assumono flessioni (declinazione e congiugazione) e mediante tali forme si esprimono i vari rapporti delle cose e l'avvenimento dell'azione nei vari gradi di tempo e di condizione in rapporto con l'avvenimento di altre azioni. Una lingua flettente e perció *posteriore* anche alla lingua agglutinante, quantunque non bisogna credere che, quando esse appariscano, le parolea gglutinanti e monosiilabiche non esistano più. Esse sono le ultime apparse nella storia  - Con lo sviluppo della lingua del Lazio va di pari passo lo sviluppo del mondo logico. Giacchè sono due aspettidiuna stessa cosa.. Il pensiero e la sua manifestazione sensibile. Non si può ben comprendere l'importanza della lingua del Lazio senza vedere l'importanza dell'energia logica che è inclusa in esso, la quale sottratta, l'attività della loquela rimarrebbe un fenomeno puramente fisico e *fisiologico* ma non umano, o pure sa rebbe l'espressione di uno stato interno indeterminato.  delle lingue, e sono state parlate e scritte da popoli ricchi di pensiero e di azione. Se dunque le lingue ultime dei popoli civili, che noi crediamo le più perfette, perchè ricche di flessioni (onde tra queste bisogna comprendere la latina o lingua del popolo del Lazio) ha avuto una così lunga e avventurosa istoria ed alla loro formazione hanno, piùo meno immediatamente, con corso tanti e cosi disparati elementi e lingue di minore perfezione e lingue anche complesse e ciascuna lingua, per quanto immediata sia, risulta di elementi molteplicissiini ed accidentalissimi (per quanto vi sia qualche cosa di costante),comparisce chiaro quanto debba essese difficile, fare una compiuta anatomia della lingua del Lazio ed assegnare a ciascuno elenento di essa, a ciascuna parola di cui essa risulta, il suo vero valore e la sua vera istoria. Bello stesso ; Sonno e sogni. E. Trevisini, Milano-Roma scolastico. E. Trevisini,Milano-Roma . Ilparlare, il leggere e lo scrivere nei bambini, saggio di 00 1 Saggi di pedagogia:(ilproblema dell'educazionemorale. Le donne dei Vangeli. Successori Le Monnier, Firenze. La rappresentazione psicologica è l'immagine che l'oggetto della percezione lascia di sè nel campo co sciente quando è sottratto all'azione stimolante che esso può esercitare sugli organi dei serisi del soggetto. Questa rappresentazione è tanto più indeterminata ed imprecisa per quanto più l'oggetto che l'à prodotta risulta di un numero grande di qualità e di note,per quanto più breve è stato il tempo che essa ha agito da stimolo sul soggetto, per quanto meno sviluppata è l'attività percettiva cosciente del soggetto e per quanto meno questa si è esercitata su di esso. Non vi è oggetto del mondo esterioreilquale,dopo l'osservazione volgare e dopo lo studio scientifico, non risulti di una molteplicità di note e di qualità ed in cui queste qualità non abbiano un determinato grado d'intensità; ma queste note non appariscono determi nate e distinte fra di loro innanzi al soggetto quando  I. 1.   l'oggetto gli si presenta d'innanzi per laprima volta o quando per la prima volta l'anima principia ad es sere attività cosciente;allora l'oggetto apparisce come un tutto indistinto,anzi apparisce come una nota sola. Cosi appariscono il mondo esteriore e gli oggetti di esso al bambino nel primo sbocciare della sua coscienza e cosi devono essere apparsi all'uopo primitivo che non ha avuto una potente attività scrutatrice; ed in questa stessa posizione è l'uomo moderno dirimpetto a quelle cose più o meno complicate che gli si parano d'innanzi per la prima volta e che non ha avuto il tempo di scrutare. In ragione che l'attività cosciente si esercita sempre più intensamente sul mondo este riore gli oggetti a mano a mano appariscono come distinti gli uni dagli altri ed in ciascuno oggetto la nota uniforme e primitiva che lo designava si pre senta progressivamente moltiplicata in più note dif ferenti.  a mano ad affievolirsi, a divenire sempre più imprecise, a perdere una parte delle note che le costituiscono e lentanente a sparire quando non vengano rianimate, mediante nuove percezioni degli stessi oggetti che le han prodotte, nella coscienza; 10 Se l'attività del soggetto si esercitasse sulla rap presentazione dell'oggetto già percepito piuttosto che sull'oggetto ripetutamente percepito, non vi sarebbe progresso nella scrutazione dell'oggetto, anzi vi sa rebbe regresso;perchè èlegge psicologica infallibile che le rappresentazioni degli oggetti già percepiti tendono a mano   mentre la ripetuta azione del soggetto sull'oggetto fa sempre scoprire di questo nuovi aspetti e nuove re lazioni;ed a questa condizione la rappresentazione dell'oggetto sempre più si arricchisce e si compie e risponde più precisamente all'oggetto reale. Si può fare a meno dal percepire più oltre l'og getto e considerare solo la rappresentazione in sè stessa quando esso è stato cosi studiato ed analizzato e scrutato che un ulteriore studio non aggiungerebbe nulla di nuovo allarappresentazione diesso,laquale però, perchè si mantenga integra, deve spesso ripro. dursi nel campo della coscienza.E ciò può sopra tutto avvenire quando l'oggetto che si studia risulta di poche qualità e determinazioni; ma quando l'oggetto è ricchissimo di struttura, di organi e di funzioni, quando presenta un vasto e ricco sistema di fatti e di fenomeni, riesce quasi impossibile rappresentarlo compintamente, senza che alcuni aspetti di esso non sfuggano alla coscienza o non spariscano da essa.In questo caso il soggetto, per quanti sforzi faccia ad apprendere e conservare la rappresentazione compiuta · dell'oggetto,non può fare a meno dal tornare a per cepire spesse volte l'oggetto del suo studio per sem pre meglio comprenderlo e conservarlo. Sicché,parlando qui della rappresentazione psico logica, non s'intende dire che quella rappresentazione la quale rimane nel soggetto dopo la ripetuta azione di esso sull'oggetto: ciò che è la rappresentazione dell'oggetto percepitu. Ed è questa la condizione pilt  - 11   importante perchè la rappresentazione psicologica possa divenire obbietto della logica, quantunque non sia primitivamente tale. La rappresentazione della sensazione pura o lo stimolo della sensazione non può mai divenire obbietto della logica; perchè la sensa zione non consta che di certi stati dell'anima, che sa distinguere e che anzi attribuisce a sė stessa, senza riferirli allo stimolo : e ciò per quegli animali che per tutta la loro vita rimangono nella cerchia della sensazione pura.Ma nell'animale e nel l'uomo che rimane solo temporaneamente nella cerchia della pura sensazione dove stimolo ed animo si con fondono e che oltrepassa questa cerchia per divenire percezione e coscienza che è dualità tra l'anima che ora diviene soggetto e lo stimolo che diviene oggetto, ciò che prima ha determinato la sensazione (lo stimolo) può divenire oggettodellapercezioneedellacoscienza e poi della logica ; anzi non vi è oggetto della logica che non sia oggetto della coscienza. Onde segue che la materia prima del mondo logico è fornita dall'oggetto della percezione che è l'oggetto della coscienza, senza del quale non potrebbe darsi attività logica di sorta; perchè l'attività logica del soggetto si deve esercitare sempre sopra un oggetto, come il soggetto non diviene attività logica senza la sua relazione coll'oggetto. Il soggetto cosi diviene at tività logica, non nasce tale e la sua attività dere esercitarsi o sull'oggetto naturale esteriore o sulla rappresentazione interiore di esso,  essa non 12   In una zona logica cosi ampia non va compreso solamente l'uomo superiore con la sua potente ener gia logica, nè solamente l'uomo medio con la sua or  -13- pura Però il passaggio nel soggetto dalla pura sensa zione alla logica non è rappresentato da una linea cosi precisa che si possa dire : Di là dalla linea vi è tutto il mondo delle sensazioni, di qua vi è tutto il mondo logico compiutamente formato; giacchè, come avviene in ogni sfera che passa in un'altra sfera, quella che passa non è completamente esclusa come tale da quella in cui passa. E non bisogna credere che, superato una volta il confine, questo sia supe rato per sempre; perchè la vita della o dellerappresentazionidisensazionipuòtornarecome puramente tale anche quando una volta si sia pene trati nel campo logico.Inoltre è difficile per lo stu dioso tracciare questa linea in cui l'anima cessa di essere meramente sensitiva e fa il primo ingresso nel campo logico. Come ogni grado dell'esistenza,la logica occupa una determinata zona, chiusa fra due determinati limiti, di cui l'uno rappresenta il minimo della logicità,tanto chedilàdaquestolimitenonvièattivitàlogicane obbietto logico e l'altro rappresenta l'entità logica nel suo più alto grado.Dal primo all'ultimo limite il mondo logico compie un processo che implica una progressiva perfezione,per cui, partendo dal fatto puramente sensitivo, si allontana sempre più da esso per divenire entità logica compiuta. sensazione   dinaria potenzialità logica; ma ancora l'uomo volgare, il fanciullo, gli animali superiori ed alcune specie degli animali inferiori che arrivano a percepire.Però se, come avviene in ogni sfera dell'esistenza che ha una serie di gradazioni, la sfera logica presenta un sistema cosi ricco di gradazioni le quali passano l'una nell'altra in modo appena apprezzabile, tanto che è quasi difficile distinguerle, pure si può dire che tutte queste gradazioni vanno comprese in tre grandi sot tozone le quali possono chiamarsi la logica meccanica o estrinseca, la logica chimica o intima e la logica organica. La prima zona,rappresentandoleformelogichepiù elementari, se può stare di per sè come pura logica meccanica, si ritrova però anche nelle due zone sus seguenti; e cosi la sfera chimica si ritrova ancora nella sfera organica che è la più compiuta. In generale si può dire che l'oggetto della perce zione ovvero la rappresentazione di esso principia a mostrare il primo movimento logico allorché cessa di apparire innanzi al soggetto come risultante di una sola qualità naturale,ma apparisce come distinto in due o più qualità connesse in qualsiasi modo fra di loro ed allora si ha la forma primitiva della rappre sentazionelogica.Una qualitàsolaedincomunicabile ad altre qualità e zon trasformabile non fornisce al cuna materia logica.E se un fatto naturale,secondo che è più scrutato dal soggetto, comparisce sempre più ricco di qualità e si vede la ragione intima per    15 cui le varie qualità convengono all'oggetto,è chiaro che esso diventa progressivamente obbietto di una entità logica superiore. Ma può avvenire ancora che,dopo uno studio più profondo e comprensivo fatto sull'oggetto,questo ap paia innanzi al soggetto come intimamente connesso ad altri fatti esteriori ad esso, tanto che senza di questi non potrebbe essere quello che è. E ,se vi sono oggetti le cui note ed i cui rapporti sono immobili e fissi, ve ne sono altri in cui le qualità che li costi tuiscono ed i loro molteplici rapporti con enti fuori di essi si trasformano e cangiano. È chiaro allora che l'entità logica dell'oggetto si accresce e si complica. Può avvenire ancora che l'oggetto che ora è studiato comparisca come l'ultimo risultato di una storia spe ciale propria o di una storia di altri enti simili o dis simili da esso; onde l'importanza delle note attuali che lo costituiscono si accresce e mostra cosi una n a tura assai più elevata.La rappresentazionelogicaha cosi una considerevole latitudine ; perchè principia quando il soggetto vede almeno due note nell'oggetto e si conserva ancora quando si è scoperto in esso un numero grandissimo di qualità. Si è detto e ripetuto che è il linguaggio che segna nell'uomo ilprimo apparire delle attivitàlogiche.Ma non si considera che la parola linguaggio, avendo un largo contenuto esignificandoqualsiasimanifestazione dei fatti interni psichici,siano sensitivi che rappresenta tivi ed emotivi,ha una larga applicazione cosi nel campo    animale come nel campo umano ;onde non si vede con determinazione la necessità del coesistere solamente nell'uomo del linguaggio e della funzione logica,si deve però ammettere che la lingua che è un linguaggio formato e divenuto classico (onde vi è differenza tra linguaelinguaggio),quandoèbeneusata dal sog getto uomo,può far vedere in questo le più grandi energie logiche,all'istesso modo che una lingua im perfetta o poveramente usata può manifestare nell'uomo rudimentali qualità logiche. Però non si può concedere che deva necessariamente intervenire la lingua per potersi trovare nella sfera logica e perpoterecompierefunzionilogiche.Individui nati muti o sordo-muti possono compiere con grande coerenza logica i loro atti, all'istesso modo che la lo quela non sempre rivela una perfetta energia logica, come avviene per disordini nervosi e mentali o per ritardato sviluppo di tutte le attività psichiche. Al l'incontro ciò che è indispensabile perchè il soggetto compia le più elementari funzioni logiche è l'oggetto della percezione e la rappresentazione molteplice del l'immagine di esso, come è manifestato dagli atti e dalla condotta che gli animali e l'uomo non ancora parlante hanno verso quegli oggetti sui quali si eser cita la loro attività e dal giovarsi che l'animale fa dialcunequalitàdeglioggetti.E larappresentazione molteplice dell'immagine degli oggetti è anzitutto necessaria ancora per l'uomo logico che parla,la r a p presentazione e l'esecuzione della parola udita, par  16   lata e scritta non essendo che un'altra specie di r a p presentazioni specialideglistessioggetti sopraggiunta alla prima;per cui illavoro psicologico elogicodel l'uomo è assai più complicato di quello dell'animale, anche perchè, per la sua grande energia psichica, l'uomo moltiplica le rappresentazioni relativamente semplici che delle cose hanno gli animali,onde il lin guaggio diventa nell'uomo assai più intricato e com plesso. Segue da ciò che il linguaggio umano è una nuova aggiunta che si fa alla rappresentazione pri mitiva dell'immagine delle cose; ma rimane sempre questa l'obbietto delle attività logiche cosi animali come umane. Questo è ancora dimostrato dalla patologia del lin guaggio umano;poichè è statoconstatatoche,quando l'uomo perde la memoria della immagine percepita delle cose e conserva la ricordanza della parola udita, parlata o scritta,che ad essa corrispondono, la sua lingua è divenuta un caos; perchè, essendo perduto il nesso tra la cosa e la sua parola udita e parlata, l'attività logica non si può esercitare sulle parole, perché non si può esercitare sulle cose, come allora è manifestato dalla sconnessione e dalla incoerenza del linguaggio.  -1   Del giudizio e dei suoi elementi. Quando il soggetto distingue per la prima volta un dualismo nell'oggetto, cioè da una parte quello che, prima di questo atto psichico,costituiva tutto l'og getto, indistinto nelle sue qualità, e dall'altra quello che scorge ora in esso mediante l'atto di distinzione e vede che questo è connesso con quello in modo che senza di esso non sarebbe,si fa quel che si dice un giudizio. Sicché per avere un giudizio occorrono due fatti distinti fra di loro ed un atto psicologico che li connetta.Però bisogna considerarequestitreelementi di cui consta il giudizio come dati tutti e tre insieme nello stesso atto. Dei due fatti che possono dirsi anche termini,perchè significati con parole, il primo, quello che prima del l'atto psicologico faceva una sola cosa con la qualità che ora si distingue da esso e che meglio osservato e scrutato può mostrare altre qualità inerenti a sé,onde può divenire obbietto di altri giudizii,si chiama sog getto;la nota che gli si attribuisce sidice aggettivo  - 18 II.   od attributo ; l'atto psicologico col quale gli si attri buisce è il verbo. Bisogna bene intendersi sul significato della parola soggetto che si usa nel giadizio. In generale soggetto significa ente attivo, ente operoso. Si chiama soggetto l'anima cosciente e distinguente sè dall'oggetto e nel l'istesso tempo l'anima che esercita la sua attività sul mondo esteriore che considera come suo oggetto. E poichè dall'animale inferiore all'uomoedall'uomoemi nente per pensiero e per azione questa attività cono scitiva ed operativa sempre più si afferma e cresce, è cosi che la parola soggetto,quantunque possa ap plicarsi indistintamente alla serie degli enti animali, pure compete in sommo grado all'uomo ed all'uomo che abbia la più grande energia nel campo del pen siero e dell'azione. Intesa cosi la soggettività, scendendo dall'animale alla pianta, sembra non essere più il caso di dovere applicare la parola soggetto;ma,poichè la pianta è un organismo dutato di attività la quale consiste nel compiere una serie di funzioni interiori per le quali è continuamente messa in rapporto coll'ambiente este riore ad esso (aria,luce,terreno)e manifesta, quan tunque in modo assai più imperfetto di quel che si compia nell'animale, per mezzo di una serie di feno meni esteriori, i suoi fatti interiori ed il suo orga nismo compie una storia, pure si può concedere il nome di soggetto alla pianta la quale cosi manifesta anche essa una certa energia.  19   Ma igrammatici ed ilogici hanno anche dato il nome di soggetto non solo ad ogni opera dell'uomo, che può considerarsi come un tutto armonico in sé, avente un determinato fine,ma ad ognipartediessa, ad ogni ente della natura inferiore ed inorganica o adunframmentodiessa,adogni minerale,adogni fatto ineccanico o chimico e financo hanno consi derato come soggetto le qualità e gli attributi stessi delle cose.Però l'uso che in questo caso i gram matici hanno fatto della parola soggetto può essere giustificato,considerando che ciascuno degli enti in feriori agli enti organici e psichici è sempre un com plesso, anche quando sia semplice parte, di qnalità o proprietà concentrate e connesse insieme; onde, rigo rosamente parlando, non si può negare ad essi una certa energia senza la quale le proprietà non potreb bero esistere in essi; possiamo chiamare questa energia, meccanica, fisica o chimica; ma è sempre una energia E non si può non concedere che le qualità stesse che si considerano come attributi delle cose possano essere considerate ancora esse come soggetti,quando si riconosce che ciascuna qualità,essendo inerente a molti soggetti i quali hanno altre proprietà differenti, contribuisce in modo differente all'energia di ciascuno di essi. Cosi quando si parla della gravità che è una proprietà dei corpi, si vede che essa si manifesta di versamente secondo che si tratta di an corpo gassoso o di una pietra o di un liquido o di un pendolo o del sistema planetario.  20-   Quando ilsoggettodelgiudizioèconsiderato o stu diato dal soggetto psichico allora può anche chiamarsi oggetto; perchè, quantunque attivo in sè, è sempre qualche cosa di passivo relativamente al soggetto psi chicoilqualeesercitalasua azionescrutatricesudiesso.  - 21 Il secondo termine del giudizio, cioè quella qualità o quella determinazione che, quantunque insita nel soggetto o estranea ma conveniente ad esso,per mezzo dell'atto psicologico gli si riconosce come connessa, è stata chiamata dai logici attributo o predicato.Rap presentando il soggetto un gruppo di proprietà dif ferenti, suscettivo di ulteriori giudizii,e l'attributo una sola qualità o determinazione,è chiaro che questo può essere applicabile a più soggetti, non essendo ciascun soggetto costituito di attributi assolutamente speciali a sé; ma in mezzo ai tanti attributi comuni a molti soggetti ha solo qualcuno che conviene esclu sivamente a lui. Dei molti attributi che costituiscono un soggetto una parte sono sensibili o percettibili per mezzo degli organi dei sensi. Ogni oggetto del mondo esteriore è fornito di peso,ha una grandezza variabile, una re sistenza, è situato ad una certa distanza dallo spet tatore, ha una forma fissa o cangiante,un colore,una composizione mineialogica, chimica o organica, può presentare una struttura determinata, uno stato ter mico, può vibrare in modo differente nella intimità clelle sue molecole, può esercitare un'azione più o meno irritante o elettrica o offensiva sull'organismo   del soggetto,può dare speciali odori,può essere gn. stato per mezzo della lingua. Ma vi sono altri attri buti i quali non sono percepiti per mezzo degli or gani dei sensi ma vengono compresi mediante un atto della mente, quantunque le attività percettive possano contribuire o avere contribuito alla comprensione di queste nuove specie di attributi. Sono tutte quelle qualità che riguardano la provenienza od il fine del soggetto,isuoirapporticon altrioggetti,lasuaazione favorevole o nociva su di essi o viceversa. Inoltre il soggetto acquista attributi non semplicemente sensi bili quando desta in noi stati interiori piacevoli o do lorosi,ricordanze,speranze etimori,ma qualche cosa di più che sensibile, poichè in quel caso viene scossa l'intimità della nostra vita interiore.  22 Quantunque a primo aspetto sembri che ogni at tributo sia una qualità semplice e non suddivisibile in altre qualità,benchè una qualità possa averevari gradi d'intensità, ciò che non la fa considerare come qualche cosa di fisso, pure può una qualità essere il risultato di un sistema di altre condizioni o attributi. Quando diciamo che l'animale è sensibile,la nota della sensibilità pare che sia una qualità sola; ma, se si pensa che per essere sensibile l'animale deve im plicare una serie di organi e di funzioni e di condi zioni esteriori all'organismo, si è costretti ad ammet tere che quest'attributo è come la risultante di fatti molto complessi, non è dunque un attributo semplice. Se diciamo che Giulio ė ragionevole quest'attributo è   2:3 Il soggetto e l'attributo non potrebbero costituire il giudizio senza l'atto psicologico col quale l'uno ė connesso con l'altro; senza questo atto i due termini non avrebbero fra di loro altro legame fuori quello accidentale della coesistenza e della successione, che è un legame psicologico, non logico. Rigorosamente parlando,è quest'atto che costituisce ilverogiudizio; però senza i ter.nini esso non potrebbe essere, non sarebbe che una mera possibilità. Questo atto che è espresso dal verbo è quella scrutazione che l'anima attiva fa tra i due termini, per la quale si riconosce che l'uno è connesso indissolubilmente,intimamente e necessariamente con l'altro.Questo nesso intimo che lega i due termini è un fatto obbiettivo delle cose, non è una pura produzione dell'atóività psicologica, però non si pno pervenire ad esso senza l'attività picologica. È questa un'alta attività a cui l'anima umana per viene;perché per mezzo di essa può internarsi nella natura dell'obbietto, vederne il movimento, compren derlo ed assimilarselo. Sicché non si arriva al fatto logico senza l'attività psicologica e senza di questa l'energia logica rimarrebbe nella inconsapevolezza delle cose naturali, rimarrebbe per sempre muta ed inco municabile ad alcuno, Per questo vgni atto giudica  di una natura cosi complessa che deve presupporre un ricco sistema di condizioni perchè possa darsi. L'attributo ragionevole perciò non implica un fatto cosi semplice come l'attributo pesante.   tivo non è un atto meramente psicologico,ma è anche obbiettivo, il suo contenuto cioè corrisponde al conte nuto delle cose;ed in quest'atto si uniscono e com penetrano l'energia psichica e l'energia delle cose. Con l'atto giudicativo, subbiettivo insieme ed ob biettivo, si entra nel vero campo logico e si può dire che è sul giudizio che poggia tutto l'organismo logico e che è il giudizio, considerato nel suo sistematico svolgimento,che costituisce la parte più importante della logica e che il primo prodursi della più rudi mentale attività giudicativa dell'uomo o dell'animale segna ilprimo apparire del mondo logico. In generale si può dire che sempre che ilsozgetto principia a giudicare l'oggetto della percezione o la  24- Però'seil giudizio come necessaria convenienza dell'attributo al soggetto è la forma più perfetta alla quale il soggetto pensante non arriva se non dopo una lunga educazione,vi sono molte forme di giudizio inferiori ad essa, che possono considerarsi come tanti tentativi che l'anima fa per penetrare nell'intimità delle cose ed impadronirsene. Ciò conferma il fatto che non vi è un limite netto tra la psicologia e la logica e che se vi è una parte della psicologia quella inferiore, in cui non vi è nulla di logico,e che se vi è un'altra parte della psicologia, quella ultima e più raffinata, in cui ogni energia o la più parte delle energie sono logiche, vi è una larga zona psicologica in cui si manifestano le prime tendenze logiche ed in cui il lavoro logico è eseguito allo stato bruto.   rappresentazione di esso,allora questa cessadiessere rappresentazione psicologica e diviene rappresenta zione logica ; e non vi è alcuna rappresentazione logica la quale non sia insieme, implicitamente od e s p l i c i t a m e n t e , g i u d i z i o . E , s e l ' i n f i m o g r a lo d e l l a r a p presentazione logica deve implicare un solo giudizio almeno nella sua forma primitiva e bruta,un'alta rap presentazione logica si ha quando essa implica un gran numero di giudizii. Delle tre parti in cui si può considerare divisa la logica (la meccanica, la chimica e l'organica), la rappresentazione logica cosi intesa esaurisce le due prime parti. Se l'anima non può principiare ad eseguire funzioni logiche dall'infimo al massimo grado se non quando è divenuta percettiva,perchè allora solamente distingue fra di loro i fatti del mondo esteriore e distingue al cune proprietà di ciascun fatto,giacchè senza la mol teplicità dell'obbietto non può eseguirsi funzione lo gica di sorta, nondimeno non in tutto quello che per cepisce od in tutto quello che si rappresenta nella coscienza interiore vi è energia logica o, quando vi è, non vi è all'istesso grado in tutto. L'anima vivente o va incontro ad una varietà di fatti e steriorioquestilesipresentano a caso ovvero a s siste ad un inovimento di rappresentazioni o fa l'una cosa e l'altra insieme ed intercorrentemente. Questi fatti si succedono o coesistono fra di loro e sono per cepiti dal soggetto nella loro successione o nella loro coesistenza. Ogni fatto deve perciò connettersi ad un  25   altro fatto; e questa connessione può essere di due specie,o casuale estrinseca,ovvero intima,vera,con veniente. Bisogna però distinguere la casualità e la estrin- sechezza,tra ifatti psichici,che rimane sempre tale pel soggetto, per quanto questo possa elevarsi alla più alta attività psichica,dalla casualità e dalla estrin sechezza che apparisce tale al soggetto solo tempo raneamente nel primo periodo della sua storia,quando non ancora è giunto al grado di potere compiere un lavoro psicologico cosi intenso da sapere vedere una connessione intima tra due fatti; onde questa gli si presenta estrinseca senza esser davvero tale e, con un ulteriore sviluppo dell'attività soggettiva,sparisce la estrinsechezza e comparisce la intimità. no Non si può non ammettere però che questa estrin sechezza vera è in certo modo relativa al grado di sviluppo dell'attività del soggetto psichico;perchè,a vendo ciascun soggetto nel mondo es'errore un campo  - 26 Nel caso della estrinsechezza vera, per quanto in oggetto si succeda ad altri od apparisca al soggetto in concomitanza con altri oggetti, anche con un ac curato studio, non si saprà mai trovare una ragione del succedersi di un avvenimento ad un altro o della coesistenza di un fatto con un altro, di una qualità con un oggetto;giacchè ciascuno oggetto apparisce come assolutamente indipendente dirimpetto all'altro, perchè non lo modifica in alcun modo nė ne ė dificato.   speciale nel quale si esercita la sua attività, onde é messo frequentemeate in rapporto di coscienza solo con un determinato aggruppamento di oggetti, egli può vedere meno di estrinsechezza tra questi oggetti che non tra quelli estranei alla sua azione.In ragione che il soggetto allarga sempre più il suo campo og gettivo e lo scruta con maggiore intensità l'estrinse chezza si allontana sempre.E quando l'obbietto del l'attività soggettiva è tutto l'universo allora il filo sofo,guardando le cose dal più alto punto di vista che è quello dell'unità,non vede più estrinsechezza di sorta tra le cose;perchè ogni cosa vi apparisce come organo di un vasto sistema ed è necessariamente connessa a tutti i gradi di esso. La intimità,laveritàelaconvenienzatradueog getti (e perciò tra due rappresentazioni) o tra un og getto ed una sua proprietà si ha allora quando l'uno non può essere in alcun modo indipendente dall'altro per cui sempre che è dato l'uno è dato l'altro o, se prima è dato l'uno, dopo verrà necessariamente dato l'altro. Ora questa intimità ha vari gradi che possiamo riepilogare in tre zone logiche principali,presentando ciascuna zona immense gradazioni.  27 La prima zona, quella più elementare in cui si de signano le prime linee del mondo logico, di là dalla quale vi è il puro mondo degli oggetti delle percezioni e delle loro rappresentazioni scomposte e sconnesse, ha questo di particolare che in essa alcuni oggetti o r a p p r e s e n t a z i o n i s o n o , è v e r o , l e g a t e , d a n e s s i i n t i m i, m a   28 questa intimità è al suo minimo grado,rasenta quasi la estrinsechezza;perchè della loro intimità non si vede altro che il semplice succedersi costantemente diuna rappresentazioneadun'altraodilsemplicecoe sistere di una rappresentazione con un'altra.E questa conquista il soggetto può avere fatto non solo per pro pria esperienza ma anche per tradizione o per quel che si è detto consenso degli uomini. Qui non si vede alcuna ragione della convenienza delle due rappre sentazioni,alla qualeilsoggettorimaneperfettamente estraneo; e tutta l'attività del soggetto si esaurisce nel vedere questo puro costante coesistere e succe dersi delle cose e perciò il giudizio che esso compie è semplicemente meccanico, non fa che constatare quanto avviene nel mondo naturale. Così l'attività del soggetto qui è meccanica e delle cose non afferra che il semplice meccanismo,l'energia più elementare della natura, il muoversi delle cose per la loro pura gravità o per la loro forza od il muoversi per forze estranee ad esse ma che agiscono su di esse. In questa zona logica va compresa anche quella elementare attività giudicatrice mediante la quale si scopre o constata qualche proprietà o qualità che in teressa gli organi sensibili e percettivi del soggetto, come il sole è luminoso ; è un'attività giudicativa molto elementare.A questa zona logica possono per venire gli animali superiori e quegli animali inferiori i quali si elevano alla percezione, quantunque gli a nimal¡ non possono esprimere con paroletaligiudizii,    poichè bastano certi atti o movimenti che l'animale esegue adimostrarecheessohacompiutoungiudizio. Ma questa attività meccanica logica non solamente rappresenta la prima epoca dell'energia logica umana e l'energia dialcuni animali,ma anche quando l'uomo è atto ad elevarsi ad una attività logica superiore compie ordinariamente giudizii logici meccanici. È questa la posizione dell'uomo incolto. Di tutti gli a v venimenti naturali ed umani ai quali egli assiste non può vedere altra intimità che quella meccanica ed estrinseca ; alla ragione intima dei fatti egli non perviene. La seconda zona che si dice chimica e che sta più in alto alla precedente ed alla quale non si perviene se non per mezzo della precedente rappresenta quel campo della logica in cui il soggetto può compiere un più complesso lavoro di penetrazione tra gli og getti, onde quei nessi intimi che prima vedeva in modo quasi estrinseco sono visti davvero nella loro intimità. La parola chimica sembra bene adoperata;perchè cor risponde a quello stato della energia della materia in cui gli elementi relativamente semplici si compe netrano ed uniscono insieme per formare un corpo di una più elevata natura ed in cui corpi di complessa natura si scindono nei loro elementi sem plici;ondelachimicadelcampo logico corrisponde a quel grado delle attività psicologiche per le quali il soggetto afferra la convenienza vera di un oggetto. e delle sue proprietà e vede le intime ragioni per le  29 nuovo   La zona chimica logica si evolve cosi dalla mec canica non solo, ma questa coesiste nella chimica; perchè, anche quando vediamo il rapporto chimico di duerappresentazioni,vièsempreillato meccanico, l'incontro cioè di due oggetti o di un oggetto ed una qualità,quantunque questo meccanismo sia assorbito e trasformato dal chimismo. Avviene nel campo lo gico quel che avviene nel campo naturale in cui il chimismo implica ilmeccanismo,quantunque non sia semplicemente tale,essendoilmeccanismotrasformato ed elevato ad un più alto grado di esistenza nel chi mismo il quale senza di esso non potrebbe darsi. Però non bisogna credere che, quando l'uomo è ar rivato alla zona chimica della logica tutti i suoi atti logici siano giudizii chimici;perchè questi,implicando una grande difficoltàacompiersi,nonpossonofarsida ciascun uomo che in un campo speciale che ha scelto come materia del suo studio e delle sue ricerche; il resto della sua attività logica è rappresentato sempre dal meccanismo e questo può intercorrere nel chimi smo logico od alternarsi ad esso.  - 30 quali il soggetto non può fare a meno di quellapro prietà e questa deve sempre necessariamente andare congiuntaalsoggettoinquellecondizioni.É questo, si può dire, il campo della conoscenza vera e della scienza dove il soggetto compie le più elevate forme di giudizio,risultato di una lunga scrutazione psico logica nei rapporti delle cose.   III. Il giudizio nella sua for.na più elevata, implicando quell'atto del soggetto cosciente mediante il quale si riconosce che ad un oggetto del mondo naturale o ad un ente spirituale che qui diviene soggetto logico con viene intimamente e necessariamente un dato at tributo, esprime un rapporto tra i due termini che nelle stesse condizioni,deve essere tale costantemente, sempre vero, oggi e sempre, qui ed ovunque. Per questa ragione il giudizio non va soggetto a m u t a zioni per tempo e perciò si esprime sempre com'è,in tempo presente.Ogni dubbio,'ogni incertezza circa alla concordanza perfetta dell'attributo col soggetto nondarebbeilverogiudizio;seperòilsoggetto ri conosce l'incertezza nel suo atto giudicativo e c e r c a di uscirne per addurre la verità , sforzandosi di eser. citare tutto il suo potere percettivo nella scrutazione dei termini e nel loro rapporto, allora l'incertezza è unbene,perchèciconducealverogiudizio.Per la stessa ragione, quando in un giudizio interviene il de  - -31 Considerazioni sul giudizio.   siderio o la speranza od iltimore,non siavrà ilvero giudizio.  - 32 I logici classici si sono molto occupati della nega zione nei giudizii e li hanno perciò distinti in affer mativi o positivi e negativi: affermativi sono stati detti quei giudizii in cui si riconosce che l'attributo conviene al soggetto, negativi quelli in cui questa convenienza non si ha.Ma evidentemente ilogicinon hanno ammesso che è sull'oggetto della percezione o della sua rappresentazione che primitivamente deve volgere ogni giudizio e che bisogna guardarsi bene dal giudicare prima di avere studiato e scrutato bene l'oggetto.Se questo sifacesse,sivedrebbelainutilità e la vacuità di una gran parte di qnesti giudizii ne gativi,come è dimostrato anche dal fatto che alcuni giudizii negativi possono tradursi in positivi.Quando si ammette che un dato corpo non è solido, implici tamente si ammette che è liquido o gassoso.Per que sta ragione i veri giudizii devono essere tutti positivi; perchè, rigorosamente parlando, lo scienziato deve conoscere quello che una cosa è non già quello che non è. Quando si tratta che il soggetto può avere uno di due attributi che sono fra di loro contrari e che se gli convieneuno di essi gli sconviene neces sariamente l'altro, si dice che allora si possono for mulare due giudizii,l'uno negativo e l'altro positivo. Ma è facile osservare che, fatto il giudizio positivo, è perfettamente inutile formulare il negativo ilquale con parole diverse,per mezzo della negazione,ripete la positività del primo giudizio.   33 Vi sono però dei casi in cui pare che il giudizio negativo dovrebbe aver luogo. Cosi noi sappiamo che una data pianta deve fiorire; se la guardiamo in un'e poca in cui il fiore non è apparso,dobbiamo dire che la pianta non è fiorita; ma d'altra parte è in es.a la possibilità di dovere fiorire; poichè in tutti i fatti che implicano uno svolgimento od una storia non tutte le qualità che devono costituirli possono essere date belle e compiute dal bel principio; perchè ciò escluderebbe la storia; a ciò pensando, la pura nega . tività di questo giudizio è spuntato. Che se poi guar diamo la pianta non fiorita come ci si presenta per cettivamente, allora non si ha alcuna ragione a par lare di negazione. Sappiamo inoltre che la sensibilità deve essere un attributonecessarioall'uomo;ma permalattiedelsi stema nervoso questa funzione può perdersi, onde il direalloraquest'uomonon sensibile,potrebbepa iere un giudizio negativo incontestabile; ma si tra scura di considerare che quani'o l'uomo è divenuto insensibile non è pixi l'uomo compiuto, ma l'uomo che è nel declivio della dissoluzione e della morte e che, dicendo che non è sensibile, si riconosce che la sua  Molti, parlando e scrivendo, anche di cose scienti fiche, fanno grande uso di questi giudizii negativi ; ma èquestaunaconsuetudinedilinguaggiochequalche volta fa anche vedere la poca sicurezza e la povertà delle nostre cognizioni; perchè il difficilc non sta nel dire quel che una cosa non è,ma qnelcheèdavvero.   attribuzione sarebbe la sensibilità e che questa si è perduta solo per condizioni morbose. Nondimeno se il giudizio negativo è possibile esso può solo avere laragionediessereinquesticasididissoluzione edi sfacelo degli organismi e delleistituzioni,quantunque anche allora,stando alla semplice percezione, si po trebbe semplicemente giudicare quel che l'oggetto pre senta di positivo ; m a allora il soggetto che pensa non può fare a meno dal paragonare la primitiva gran dezza o la perfezione tipica di una data cosa con la dissoluzione e la rovina presente, onde quel che è ora è la negazione di quel che era prima. Può avvenire lo stesso quando si tratta di paragonare varioggetti fra di loro. Il giudizio nella sua forma classica è rappresentato dal soggetto, dal presente del verbo essere e dall'at tributo. M a il soggetto per tenere avvinto a sè l'at tributo deve esercitare una certa energia che indica il vero nesso tra il soggetto ed il suo attributo ; ora il g i u d i z i o f o r m u l a t o i n q u e l m o d o n o n f a v e d e r e t u t t a questa attività del soggetto,ne fa vedere,si può dire, la minima parte. All'incontro sono i verbi attributivi i quali possono risolversi nel verbo essere e nell'at tributo, che manifestano la vera energia, la vera at tualità del soggetto, che costituisce il giudizio nella sua realtà vivente; perchè fanno vedere il soggetto che si manifesta nel suo attributo e fanno vedere l'at tributo vivificato dal soggetto.Per questa ragione il giudizio espresso nella sua forma classica trova più  - 34 -   ragione di essere applicato nelle sfere inferiori mec . caniche della natura,quelle che manifestano una energia più povera, relativamente alla energia animale ed umana erelativamente all'altaenergiadella vita dello spirito. Qui tutte le attività, tutte le funzioni che si esercitano e che si esprimono con verbo sono gin dizii viventi. Se diciamo questo corpo é rotondo l'a' tributo, quantunque inerente al soggetto, pure è con siderato come qualche cosa d'indifferente ad esso.Qui si tratta del giudizio nella sua primitiva forma. Ma se diciamo questa pianta fiorisce facciamo un giudizio della seconda forma, perchè qui vediamo il soggetto che crea il suo attributo e vive in esso Ammesso il concetto del giudizio qui dato, risulta evidente che ogni giudizio implica una sintesi ed una analisi insieme e nello stesso atto. L'analisi vi dà la dualità dei termini, siano nello stesso soggetto che tra due oggetti ; e l'analisi è un morrento necessario a l g i u d i z i o ; p o i c h è s e n z a il d u a l i s m o g i u d i z i o n o n v i sarebbe ; m a d'altra parte cesserebbe l'atto stesso del  e per esso. Più elevata e spirituale è la natura del soggetto e più è ricco di attività speciali e più verbi glisipos sono attribuire e più giudizii compie, svolgendosi e vivendo.Più ilsoggetto appartiene alle sfere della materia bruta e meno verbi gli si possono attribuire 35 più le sue qualità possono essere espresse con la forma classica del giudizio; ma ciò non toglie che anche giudizii di questa fatta possano eseguirsi sopra alcuni soggetti di elevata natura.   giudizio se questo non fosse insieme sintetico; cés sando la sintesi cesserebbe anche l'analisi e viceversa. Non vi sono perciò giudiziipuramente analiticinè pu ramente sintetici;per conseguenzailsoggettovivente compie continuamente un'analisi ed una sintesi delle sue qualità e lo scomparire dell'una o dell'altra ap porta la morte di esso. Quando diciamo giudizio diciamo ancora ragione, pensiero. Però come il giudizio consiste più nell'atto psicologico,corrispondente al nesso intimo che vi è tra due rappresentazioni, che nella distinzione dei ter miui, quantunque i termini siano necessari al giudizio e senza di essi giudizio non vi sarebbe,lo stesso deve dirsi del pensiero e della ragione. Se non che queste due parole, considerate come semplice giudizio,dicono molto meno di quel che dicono quando sono adoperate nel senso assoluto del loro contenuto. Quando diciamo il pensiero,la ragione si vuole intendere il sistema di tutti i nessi possibili di tutte le rappresentazioni delle cose della natura e dello spirito insieme, sog gettivamente ed oggettivamente considerate. Quando poi sono applicate come semplice giudizio equivalgono ad un pensiero,una ragione. Per alcuni logici la parola proposizione esprime la stessa cosa chela parola giudizio eperòsiadoperano promiscuamente queste due parole. Ma se vi sono verbi attributivi che possono ridursi a giudizio,ve ne sono però altri i quali non vi si possono ridurre, perchè non corrispondono pienamente a quel che siè detto dovere essere un giudizio. Quando conosciamo  36   Si comprende però che gli avvenimenti storici pos sono essere guardati dal punto di vista estrinseco e quasi accidentale come fanno gli storici che riprodu cono i fatti semplicemente nel modo come sono suc cessi;ma questistessifattipossono ancheesserestudiati scientificamente e filosoficamente, considerati cioè in quel che essi hanno di intimo,di necessario e di co stante; allora, entrando quei fatti nel dominio della scienza,possono divenire obbietto di giudizii,  37 le proprietà e le speciali energie dei fatti naturali o psichiciosociali,ecc.allora possiamo faregiudizii; perchè si hanno avvenimenti e fatti che sono sempre gli stessi nelle stesse condizioni e si manifestano co stantemente ad un modo; ma se narriamo le gesta di Annibale o di Alessandro, ciascun verbo che siamo costretti ad operare non può essere il verbo di un giudizio;perchè esprime un avvenimento singolo che non è stato prodotto che da quel tale individuo in quelle sue particolari condizioni ed in quelle condi zioni di tempo,di luogo,in quello stato speciale di un popolo,avvenimento che non può più riprodursi e perciò il giudizio non si ha quando si deve espri mere uii fenomeno che non può ripetersi frequente mente,che è avvenuto una volta e non piùequando non si vede alcuna necessità del suo ritorno. In questo caso,più cheillinguaggioscientificoelogico,abbiamo illinguaggio storico,ed allora,più che ilgiudiziosi ha la proposizione:cosi è spiccata la differenza tra il giudizio e la proposizione :questo esprime gli avve nimenti storici, quello i nessi logici.   Il soggetto che giudica é determinato dall'atto stesso del giudizio alla vitapratica.Ogni essere vivente,dal l'animale infimo all'uomo, si sforza, come è noto, una condotta assai elevata, presupponendo ciascun suo atto una molteplicità di giudizii;onde si vede l'intimo rapporto che passa tra una grande intellettualità e la vita pratica. ancora  38 sottomettere ai suoi bisogni la natura esteriore, ed ogni atto,ogni movimento che l'animale esegue,cer cando di fuggire il malessere e di addurre a sè il benessere,presuppone una distinzione negli oggetti concuièinrapporto.La formicachevaincercadel frumento, riconoscendo in questo la proprietà di n u trire,non solo compie un lavorogiudcativo ma anche un atto col quale manifesta tale lavoro psichico.In tutti i pericoli che gli animali schivano come in tutti i movimenti che fanno per prepararsi il nido o per andare in cerca del cibo e per conservarsi,sipossono riconoscere gli atti che presuppongono ilgiudizio,per quanto questo possa essere classificato tra i giudizii meccanici. I psicologi in questo caso parlano d'istinto; ina è sempre l'istinto nel giudizio. In questo senso gli atti degli animali equivalgono ad un linguaggio che esprime alcuni nessi logici,quantunque sia il lin guaggioin unaformabrutaemonca.Intuttigliatti che gli uomini fanno per raggiungere i loro fini e la loro felicità si può riconoscere la conseguenza di un giudizio.E si comprende come l'uomo eminente che ha una perfetta conoscenza delle cose possa avere di   IV. Formazione del concetto. Il soggetto può compiere sull'oggetto un numero grande di giudizii secondo che pixi educato e svilup pato è ilsuo potere di scrutazione e secondo che più complicata è la natura dell'oggetto. Cosi, vivendo e studiando, la rappresentazione psicologica primitiva che il soggetto ha delle cose si arricchisce di attributi e di qualità ovvero sirisolvein attributiiquali erano primitivamente confusi in quel che dicevamo oggetto e che costituivano tutto l'oggetto.Nondimeno durante e dopo questo processo di scrutazione l'oggetto rimane sempre come qualche cosa in cui alcune qualità sono distinte ed altre indistinte, potendo le qualità indi stinte ricomparire subito distinte secondo che l'attività giudicatrice si rivolge su di esse ed allora le distinte ritornano indistinte. Si verifica anche qui un'applicazione speciale di quella legge psicologica secondo la quale in una data unità di tempo il soggetto non può compiere che un lavoro limitato e,come non può scrutare che succes.  1 39   per la prima volta sipresentino allo studio del soggetto ; in questi casi è la legge generale che pre domina. Dopo che si è compiuto sopra un oggetto un n u mero considerevole di giudizii non si deve credere che allora l'oggetto sia conosciuto pienamente.Più chela conoscenza del soggetto, si ha allora la conoscenza di un mucchio di note coesistenti;perchè,se il giu dizio è un'alta funzione psicologica e lozica, non è però la più alta la quale si ha invece quando tutte le note di cui l'oggetto risulta appariscono in esso come organizzate, cioè si ha un organismo di giu  40 sivamente un dato numero di oggetti e di rappresen tazioni,per la stessa ragione non può compiere in una unità di tempo e nello stesso atto psichico che un numero limitato di giudizii, quantunque succes sivamente possano essere compiuti sopra un oggetto tuttiigiudiziidicuipuò esseresuscettivo.Perònon si può sconoscere che le abitudini della mente possono arrivare ad un'altezza cosi meravigliosa:da conside rare come compiuti una serie di giudizii che non si haavutoiltempodicompierepacatamenteodicom pierli in un breve atto : è il meccanismo che penetra nelle più elevate regioni psichiche ed in cui si sem plifica, per mezzo della ripetizione, il processo giu dicativo primario che è più lungo e difficile. Ma in questi casi si deve trattare di compiere sempre giu dizii già compiuti altre volte o negli stessi oggetti od in oggetti differenti già percepiti, non in oggetti che   dizii. In generale con la parola conoscenza si vuol dire non solo l'apprensione e la ritenzione delle pro prietà dell'oggetto e degli oggetti in connessione fra diloro,ma ancorailoronessiconlealtreproprietà dello stesso oggetto e con le proprietà delle altre cose, a differenza del pensare e delragionareincuisitiene pii conto dei nessi delle cose. Quando l'oggetto è un mucchio di proprietà, queste aderiscono a quel centro comune che primitivamente costituiva tutto l'oggetto indistinto in sè stesso ;e,se si ha qui il grande vantaggio che ciascuna nota e per mezzo dell'atto giudicativo connessa all'oggetto, non si vede la ragione del coesistere di tutte queste qualità nell'oggetto e non sivede alcuna ragione del l'incontro delle note fra di loro.La parola mescolanin che usano i naturalisti quando vogliono indicare il coesistereel'essere diparecchi corpi incontattol'uno dell'altro senza perdere la loro natura corrisponde a questa sfera dell'obbietto logico in cui si possono c o m piere molti giudizii sullo stesso obbietto, ma senza che l'uno eserciti una preponderanza sull'altro,senza che l'uno abbia un valore superiore all'altro,e perciò ciascun giudizio ha un valore per sè ; e considerati tutti fra di loro costituiscono una mescolanza. Quandoilsoggettocominciaa scorgerenellarap presentazione la proprietà più appariscente,quella sopra tutto per la quale l'oggetto ha costantemente un valore speciale ed un uso,ed intorno a questa nota costantemente si aggruppano, con nessi pi'i o  meno 3. - +1   intimi, altre note si principia a scorgere nell'oggettu i primi rudimenti del sistema il quale può darsi non solamente tra le note dello stesso oggetto, ma anche tra più oggetti, secondo il campo su cui si esercita l'attività soggettiva. Intendere logicamente il sistema significa fissarlo nel suo minimum primitivo ed in una forma più com plicata e seguirlo a mano a mano sinoallaforma piiz completa in cui cessa di essere puro sistema e di venta sistema funzionante, sistema di sistemi ed ganismo vivo.  un si OL 42 L'intendimento del sistema è stata una delle pii grandi conquiste che ha fatto il pensiero filosofico in generale ed il pensiero logico in particolare. Questa parola che primitivamente ha significato la molte plicità scomposta delle cose è stata ulteriormente usata ad indicare la molteplicità ordinata di esse. È la filosofia di Hegel che ha compreso il sis'ema nella sua forma più alta e come non era mai stato fatto prima. Considerando Hegel l'universo come stema, si è molto addentrato nella comprensione delle cose. E , come il sistema occupa una gran parte cosi nel mondo della natura come in quello dello spirito, perchè interviene in ogni grado di essi e senza il si stema nessuna cosa potrebbe intendersi, cosi costi tuisce anche una sfera del mondo logico, tanto che senza di esso non potrebbe intendersi il concetto che rappresenta in sommo grado l'energia logica. Il sistema nella sua forma primitiva trova il suo   In questa forma primitiva il sistema apparisee, anche al soggetto superiore, nel regno minerale ed inorganico od anche in tutto ciò che l'uomo, serven dosi di materiali bruti ed amorfi, foggia pei suoi bi sogni; poichè qui si hanno sempre forme inferiori di sistema.Qui le qualità connesse al sistema sono co stanti finchè dura l'oggetto ; non hanno una energia superiore a quella meccanica, fisica o del chimismo inferiore od inorganico. Il sistema solare presenta una forma più perfetta di sistema;perchè esso presenta una molteplicità,un centro ed una periferia e gli uni di cui risulta sono di visi fra di loro e dal centro per mezzo di grandi tratti di spazio e sono uniti al centro del sistema  - 13 riscontro nel regno minerale; il sistema della seconda forma trova il suo riscontro nel regno della vita ; ma anche qui si riproduce,quantunque trasformato, il sistema della prima maniera. La forma più rudi mentale di sistema si ha quando ilsoggetto aggruppa intimamente intorno alla nota più importante dell'og getto altre note secondarie od intorno ad un oggetto principale altri oggetti di secondaria importanza fra i quali passino rapporti più o meno estrinseci. È questo il sistema quale apparisce alla soggettività volgare la quale non sa considerare l'oggetto diver samente anche quando ha dinanzi a sè un sistema nella sua più alta forma quale può apparire allo scien ziato. per legge di gravitazione. Per quanto si osservi qui in la   alto grado di sistema, perchè ciascuno degli elementi non è autonomo,ma connesso al centro,pure serva tra le parti di cui il sistema risulta una grande estrinsechezza. Per trovare una più elevata forma di sistema dob biamo entrare nel regno della vita e nei tessuti che co stituiscono l'organismo animale o vegetale;ma anche qui il sistema si presenta in una grande e meravi gliosa graduazione ; perchè se in questa sfera gli ele menti che devono intervenire non sono,  - 4'1 si os non sono, come nelle formeprecedenti,esseriinorganici,ma entidotatidi vita e di una più o meno grande energia interiore e non sono divisi fra di loro per mezzo di distanzepiù o meno grandi,ma sono in qualche modo in contatto fradiloro,ilcentroperò che deve implicare ilsi stema non è sempre determinato, anzi non vi è nei sistemi dei tessuti vegetali o nei tessuti di un'impor tanza inferiore degli animali,comeperesempio iltes sutograssosoedilconnettivale.Per questa ragione ė più perfetto quel sistema in cui gli elementi istolo gici che sono dotati di vita sono non solamente con nessi od in contatto fra di loroma anche unitiinuna comunione funzionale e che vi sia un centro ove con vergano le attività degli elementi e che l'energia fun zionale dal centro s'irradii anche verso la periferia. E, come vi è una sola funzione, quantunque assai multiforme, che circola pel centro e per le parti che, per contrapporle al centro, possiamo chiamare peri feria, vi deve anche essere la stessa identità di co   stituzione chimica tra gli elementi istologici di cui risulta il sistema. I biologi distinguono il sistena dall'apparecchio il qnale consiste in un complesso di organi di varia strut tura,ordinatiinmodo fradiloroda compiere'una: funzione di complessa natura.Cosisidice apparecchio respiratorio, uditivo, visivo, ecc. Inteso l'apparecchio in questo senso, ha una importanza logica intermedia tra l'organo ed il sisteina, superiore a quello, infe riore a questo. Ma un siste.na della vita non ha che una funzione speciale e non autonoma; perchè è connesso agli altri sisteini e non può compiere questa funzione senza l'in tervento e l'aiuto di altri sistemi. È qui che l'auto nomia del sistema principia a venir meno ; perchè cia. scun sistema non fa che compiere una funzione spe ciale in un sisteina che co.nprende tutti i sistemi della vita, ciò che s'indica col no.ne di organismo. Anche dicendo sistema di sistemi si dice sempre meno di quel che dice la parola organismu, la quale include una grande intimità e reciprocità funzionale tra i singoli sistemi e tra gli elementi istologici di cui risulta il sistema.  - Da questo punto di vistasesideve riconoscere che il sistema circolatorio sanguigno sia un grande si stema si deve però ammettere che non vi è nell'orga nismo un sistema più compiuto del nervoso, sia per la elevatezza della funzione che per la meravigliosa struttura e per la ricchezza e bellezza delle forme che esso presenta.   Nel sistema una parte può venire sottratta senza cheilrestodies30vadainrovina;maun organo qualunque dell'organismo non può essere tolto senza che l'organismo non perda una nota fondamentale della vita, la quale induce una diminuzione generale della perfezione organica e funzionale e se l'organo ha una importanza grande nell'organismo adduce la caduta o la morte di esso. La parola fisiologismo adoperata nel senso moderno (non nel senso antico e greco secondo il quale signi fica semplice attività naturale) contrassegna la nota più saliente dell'organismo che è la vita animale.Però il fisiologismo non è una sfera naturale autonoma ed indipendente dalle altre zone inferiori naturali;in esso  -46 Sipuò dire che solamente in questo secolo,pei grandi progressi che si sono fatti negli studi sulla vita in senso largo, si è potuta comprendere la grande importanza dell'organismo. Quando si dice che l'uni verso èun organismosivuole indicare un fattodiuna natura assai più complessa ed elevata che quando si dice che esso è un sistema. Quegli elementi che nel sistema diciamo parti nell'organismo diventano organi iqualisono,èvero,parti,manonconnessialresto più o meno estrinsecamente, come avviene nel sistema ordinario ; e sono elementi attivi e funzionanti pel resto dell'organismo tanto che contribuiscono grandemente a tutta l'energia dell'organismo e viceversa, questo dà ad essi un alto significato che, fuori dell'organismo, non avrebbero.   Ilchimismo,quantunquerappresenti una seriedi fatti inferiori a ciò che costituisceilfisiologismo,pure costituisce parte integrante di questo, cosi nel senso scientifico come nelsenso logico,tanto che senzachi mismo non potrebbe darsi fisiologismo; poichè non vi è funzione fisiologica la quale non implichi una serie di complicazioni e riduzioni chimiche. E , poichè non vi è fatto chimico che non implichi nello stesso tempo fatti meccanici e fisici; il fisismo èparte integrale del chimismo,cosi scientificamente come logicamente,e per conseguenza anche dell'organismo. Ed il fisismo si trova nel fisiologismo non solo come assorbito dal chimismo, ma anche come indipendente da questo. Cosi nell'organismo, oltre ai fatti chimici si trovano fatti anche puramente fisici, quantunque questi si tro vino in complicazione coi fatti chimici e fisiologici ; ma però il soggetto può fissarlied isolarli dagli aitri fatti e considerarli come puramente fisici. Avviene cosi nell'organismo logico quel che avviene nella natura in generale in cui le zone inferiori sono ciascuna autonoma e per sè e nell'istesso tempo in al troeper altro.La meccanicaela fisicarappresentano  - 47 invece sono implicate il chimismo ed il meccanismo ofisismo (adoperando anche questa parola nel senso m o d e r n o n o n n e l s e n s o a n t i c o s e c o n d o il q u a l e v o r r e b b e indicare semplicemente il fatto naturale. Si sa che la fisica moderna studia solamente alcuni fatti della n a tura, come la gravità, il calorico, la dinamica, l'elet tricità,la luce,la vibrazione dei corpi,ecc.).   alcuni gradi della natura dove si manifestano in tutto il loro potere.Ed anche la chimica è una zona per sé della natura,ma frattanto in questa devono ne cessariamente intervenire le sfere precedenti, mecca nica e fisica, altrimenti non potrebbe sussistere come chimica.E similmente i fatti più complessi della na tura quali sono la vita vegetale ed animale non po trebbero sussistere senza le due zone precedenti ; giac chè non vi è fenomeno vegetale ed animale senza che v'intervengano fatti fisici e chimici. Ifisiologi,inquestiultimitempi,avendo riscon trato fatti meccanici nell'organismo ed una certa so miglianza dell'organismo al meccanismo, si sono stu diati a tracciare le differenze che passano tra l'orga nismo ed il meccanismo ed hanno conchiuso che l'organismo non è un meccanismo. Per quanto giuste sieno state le osservazioni fatte, pure avrebbero rag. giunta una più vera conoscenza dell'organismo se avessero detto che esso implica ilmeccanismo, quan tunque il meccanismo che si trova nell'organismo non sia come quello che si trova nei congegni meccanici, ma trasformatoecomplicatodaifattidellavita;ondeé sempre una sfera dell'organismo.  18 Nel campo psicologico si raggiunge la sfera della perfezione quando l'anima èdivenuta organismo degli stati suoi, di sè stessa e dell'oggetto, ciò che è la mente; e non si raggiunge questo punto senza essere passati pel meccanismo psichico prima e pel chimismo poi;enondimeno queste due formediattivitàpsichica   esistono sempre nella mente come due sfere subordi nateefondamentali per essa,tanto che quando l'or ganismo mentale comincia a decadere, permanentemente o temporaneamente, ricomparisce il chimismo prima e poi gradatamente il meccanismo come forme autonome psichiche,e,quandoperunaincompiuta educazione psicologica,l'uomo non raggiunge la mente, si arre sta al chimismo. Il meccanismo psichico pure contras segna la vita animale e l'ultimo stadio di decadimento della mente già compiuta. La parola organismo trova più propriamentelasua applicazione, che non la parola sistema, quando si vuole significare in modo saliente quel che sia la fa miglia,lasocietàoloStato.La molteplicitàdegliin dividui funzionanti di cui una società risulta,l'essere questi individui animati da un fine comune che è lo spiritonazionaleecheècomeilcentrodelle individua lità,la varietà di classi,di funzioni, di aspirazioni, di attività in cui si possono scorgere tanti fini secon dari o aspetti speciali e necessari del fine comune,onde non tutti gl'individui partecipano all'istesso modo al raggiungimento di questo fine, ilpermanere dello spi rito nazionale mentre gl'individui che vivono in esso e per esso muoiono erinascono, fa diuno stato un or ganismo assai più complesso e di un'assai più elevata natura che non l'organismo animale. E più lo stato ė organico in questo senso e più è perfetto. Si può dire anzi che,dal primo costituirsi dello stato sino allo stato come può essere ai giorni nostri, si nota una  tendenza a raggiungere la forma perfetta della orga nicità . Quando si parla di organismo, sia che si tratti del l'organismo vegetale od animale, che dell'organismo eticosihad'innanziunaltro fattopiù complessochene rende più difficile la conoscenza ed è che l'organismo non può essere conosciuto in sè stesso se non è messo in relazione con tutto ciò che lo circonda. La pianta non può essere conosciuta se non si conoscono le sue relazioni con l'aria,col terreno,col calorico, ecc.La vita animale non sipuò conoscere pienamente se non si vedono irapporti che la legano al cibo che rappre senta il mondo esteriore, all'atmosfera, al clima, al luogo.Sisa che l'animaleassorbisce qualche cosadal mondo esteriore e lo rende ad esso per altri modi e per altre vie.Anche gli organismi etici non possono sussistere senza un ambiente non solo naturale, ma anche etico. Uno stato non può esistere senza il suo territorio,senza un determinatoclima,senzaiprodotti delsuolo,come non pno aver una vita spirituale propria senza assimilarsi il pensiero degli altri stati, senza essere in rapporto con essi e senza esercitare un'azione sugli altri stati. Il soggetto, passando dall'oggetto in cui questo è una mescolanza a quello in cui è un sistema ed a quello in cui è un organismo, compie un lavoro giu dicativo chimico progressivamente intenso.Conseguen temente larappresentazione dell'oggetto sidetermina sempre più e diventa anche essa sistematica ed or   --   Perchè si abbia il concetto logico le note di cui il concetto risulta devono essere comprese tutte nel loro organismo, di ognuna di esse deve vedersi la neces sità e l'importanza; poichè se di qualche nota non si sa vedere la necessità,cioè se non si vede diessa laconnessionealtuttoedallepartioaglialtri or gani od alle altre parti dell'oggetto,mediante un giu dizio intimo od una serie di giudizii, non si ha più ilconcettologico;siha alloralarappresentazione logica. Sicchè la rappresentazione logica si ha non solamente quando delle proprietà che costituiscono l'oggetto una o parecchie sono viste nella loro con nessione intima con esso e le altre sono viste acci dentalmente, ma anche se l'oggetto è compreso,nella maggioranza delle sue note, nel suo sistema e nel suo organismo e solamente una nota di esso non è vista nel sistema o nell'organismo, non si può dire che si abbia allora la conoscenza compiuta dell'og getto;sihasempre una conoscenza inferiore cheè  ganica non solo in sè stessa, ma anche in connes sione con altre rappresentazioni ; cosi anche a m a n o à mano la rappresentazione bruta e puramente psico logica diventa rappresentazione logica. Ma quando l'oggetto o la rappresentazione di esso è un sistema od un organismo, allora siamo innanzi ad una nuova zona logica che è il concetto che vuol dire conoscenza sistematica ed organica delle cose.Cosi si può fare una distinzione precisa tra la rappresentazione logica ed il concetto logico.   Poichè la conoscenza sistematica ed organica del l'oggetto è l'ultima a raggiungersi dal soggetto,s'in tende che prima di averlo pienamente raggiunto, un certo numero di note ha dovuto essere considerato come inesplicato od accidentale e non è stato espli cato se non dopo un ulteriore studio del soggetto. La perfetta conoscenza di un oggetto o di un fatto può non essere stata raggiunta dall'individuo che pensa;ma può possedersi dagli scienziati o conser varsi negli annali della scienza ; può ancora non es sere stata raggiunta dagli scienziati. In tutti e due questi casi si è nella sfera della rappresentazione lo gica,non del concetto. Finora i logici non han fatto distinzione tra r'ap presentazione e concetto ed han contrassegnato l'una e l'altro insieme con la parola idea. Si sa che la pa rola idea è stata largamente usata dai filosofi greci, dai filosoa del Medio-Evo e del Rinascimento e dai filosofi moderni e contemporanei. Quantunque dallo studio delle opere di Platone e di Aristotele appari sca che questi due grandi filosofi abbiano bene di stinto quel che ora si dice conoscenza rappresenta tiva dalla conoscenza perfetta delle cose,la opinione dalla verità,pure essi,usando la parola idea, pare  32 la rappresentazione logica. In questo caso una o pa recchie note sono considerate come inesplicabili ed accidentali, mentre le altre sono considerate come ne cessarie ed esplicate (la nota esplicata è la nota con nessa all'oggetto mediante l'atto giudicativo).   che non abbiano tenuto conto di questa distinzione e l'abbiano invece adoperata per indicare indistinta mente l'una cosa e l'altra : ciò che, trattandosi di un fatto di tanta gravità per la scienza, non può non ingenerare confusione ed equivoci nella mente del lettore. Gli stessi equivoci hanno sostenuto, adoperando la parola idea ifilo:ofidelMedio-Evo,delRinascimento, i filosofi moderni e contemporanei.Non si deve però noverare tra questi l'Hegel il quale frequen:emente nei suoi libri accenna alla differenza che deve pas sare tra la rappresentazione e la nozione od il col cetto.E se è vero che anche egli fa moltissimo uso della parola idea, l'adopera però per indicare il si stema od i vari gradi del sistema dell'universo; ed in questo caso è chiaro che la parola idea deve corri spondere al concetto. Ma,anche posteriormente all'Hegel,ilogici, ado perando la parola idea, non han creduto necessario dichiarare se essa deve corrispondere alla rappresen tazione od al concetto; però nel fatto l'hanno adope rata per indicare l'una cosa e l'altra indistintamente come si vede dai trattati di logica che circolano per le scuole di tutte le nazioni. E vi sono anche alcuni logici che adoperano promiscuamente le parole idea e concetto;ma non si può dire che la parola concetto che essi usano corrisponda a quel che si è detto do vere essere il concetto, anzi, stando a certe divisioni che essi ne fanno, si deve conchiudere che per co:  53   cetto essi intendono la rappresentazione. Cosi essi, tra le altre divisioni dei concetti, ne fanno una in concetti chiari ed oscuri,distinti e confusi,completi ed incompleti ; ma un concetto che sia oscuro o con fuso od incompleto deve essere una rappresentazione non un concetto. Per l'uso equivoco che della parola idea si è fatto per tanti secoli e perchè può ancora ingenerare con fusione nella mente, sembra necessario il non doverla più adoperare,tanto più che le parole rappresentazione e concetto,che sono anche esse due parole classiche, corrispondono benissimo a distinguere due gradi dif ferenti di quello che i logici hanno indicato con la parola idea. La parola concetto ha nella lingua latina ed ita liana un significato assai profondo e complesso ;poiché esprime l'ultimo e più compiuto risultato di un pro cesso,diuna seriediavvenimentiiqualihannoavuto il loro punto di partenza in un fatto che è il loro presuppostonecessarioelaloropossibilità.E questi avvenimenti devono essere legati fra di loro con legame tale di successione che ciascuno di essi non può rappresentare che un dato grado del processo, non può prodursi cioè prima che si sieno dati altri gradiod avvenimenti più o meno elementari che esso pre suppone e da esso devono prodursi altri gradi più c o m plessi i quali menano al pieno risultato del processo. Cosi si vede che la parola concetto include w a storia e che questo processo concettuale si riscontra non solo nella natura, nel suo insieme, ma anche in ogni grado di essa con questo diparticolare che più ci eleviamo nelle sfere alte della natura, quali sono la sfera della vita e dell'umanità,più questo processo. Del Concetto lin   si esegue compiutamente e, relativamente, in breve tratto di tempo ed ogni proprietà di ciascuno entedi queste importanti zone della natura compie insieme con le altre proprietà una storia. Quel processo che avviene nella vita dell'animale e della pianta risponde bene a quel che è un concetto. Si sa che la pianta ha il suo punto di partenza nel germe che può considerarsi come il grado infimo di essa,di là dal quale non vi è nulla della pianta. Partendo dal germe la pianta attraversa una serie di gradi,lo sviluppo delle foglie e la trasformazione di esse nel fusto, nei rami, nei fiori e nel frutto che racchiude il seme, ciò che segna il grado ed il limite ultimo dell'esistenza della pianta; onde essa parte dal germe e ritorna al germe. Si può dire che nel germe sono implicati tutti i gradi della pianta e che il grado che segue alla trasformazione del germe lo include come un presupposto necessario e cosi pos siamo dire del grado successivo relativamente ad es:a. È stato dimostrato che il fiore è una trasformazione della foglia ed il frutto è una trasformazione del fiore e perciò anche della foglia e che anche il seme sia una foglia trasformata; onde nel frutto sitrova come un grado ad un presupposto necessario il fiore e perciò anche la foglia, all'istesso modo che nel fiore sitrovalapossibilitàdelfrutto.Ora lastoria com piuta della pianta si ha quando essa attraversa tutti questi gradi e si considera uno di essi come quello a cui mirano i gradi precedenti, cioè il frutto ed allora  56   possiamo dire di avere il vero concetto della pianta. Cosi quando diciamo concetto diciamo anche sviluppo. Da ciò si vede che il processo del concetto che è il concetto stesso delle cose non deve essere inteso come una progressione aritmetica.Da un grado non sipassa all'altro mediante una aggiunzione di qualche cosa a  -- Ma gli avvenimenti di cui risulta il concetto non solo devono essere legati fradi loro pel nesso di suc cessione ma anche pel nesso di coesistenza; giacchè, quando il concetto è dato,esso rappresenta un com plesso di avvenimenti o di proprietà le quali ha con quistato e conservato nel suo processo,di cui ciascuna è necessaria, benchè non necessaria all'istesso modo chelealtre,perl'attualitàdelconcetto;enon po trebbe mancare senza che il concetto venisse sconvolto o degradato. Però bisogna bene intendere questo conservare che il concetto fa delle proprietà che acquista, nell'at traversare tutti i gradi necessari prima di attuarsi pienamente; giacchè le proprietà di un grado non sono conservate come precisamente tali nel grado seguente, ma sono conservate ed insieme trasformate e complicate. Cosi nel fiore non abbiamo la somma delle qualità della foglia insieme con quelle del fiore; ma lequalitàdellafogliasisonotrasformateinquelle del fiore, di modo che vi si conservano ma non come puramente tali,son divenute cioè proprietà nuove.E questa trasformazione avviene in tutti i gradi che il concetto attraversa.   qualchecosaltro il quale, dopo l'aggiunta,rimanga come puramente tale insieme con la cosa aggiunta, di modo che l'ultimo grado possa essere considerato comelasommadeigradiprecedentiedincuiigradi precedenti si conservino come puramente tali. In vero iprimi filosofi hanno compreso il mondo come una progressione quantitativa;peressilaveritàdelle cose non era che un risultato di una moltiplicazione o di una sottrazione dell'istesso principio naturale ; e l'esplicazione dell'universo dal punto di vista m a t e matico e quantitativo è stato quasi sempre tenuto di mira dai pensatori e dagli scienziati.Anche aitempi nostri in cui le scienze particolari possono dare larghi contributi per arrivare ad una concezione organica delle cose e dell'universo, è sempre il punto di vista quantitativo che esercita le più grandi attrattive su gli scienziati, anche quando si tratti di argomenti i più complessi ed ipiù remoti dalla quantità pura,come la vita sociale o nazionale o la vita organica ; si sa che anche ai giorni nostri ilcervello,come organo supremo dellavitaorganicaementale dell'uomo,sicrede non po tersi altrimenti intendere che considerandolo dal puuto divistaquantitativo.Ma ènotochePlatoneedAristo teleavevanointravistochelamatematicaedilnumero sono insufficienti per la comprensione piena delle cose e che l'HegeleilVera,apiùriprese,hanno molto insi stito nel far vedere l'importanza limitata della mate matica nel sistema dell'Universo e nel far vedere che il sistema delle cose non può essere compreso che dal  58   punto di vista qualitativo e specifico il quale però presuppone come un elemento subordinato la mate matica, ciò che è ben diverso.  a numero, quantità a quantità, mentre la chimica va dall'identico al non identico, che è il vero processo delle cose. Il processo chimico non esclude il processo matematico;perchè non può esservi processo chimico senza il processo matematico ; si sa che la chimica procede aggiungendo atomi ad atomi, molecole a molecole,ciò che èprocesso quan titativo e, mentre nella sfera della quantità, aggiun gendo quantità a quantità, questa è semplicemente aggiunta o sovrapposta a quella la quale,dopo questa nuova aggiunzione, nulla acquista enulla perde della sua natura qualitativa primitiva;aggiungendo all'in contro chimicamente atomi o molecole specifiche ad atomi ed a molecole specifiche, viene come risultato un corpo avente proprietà nuove, tutte diverse dalle proprietà che avevano gli elementi di cui si compone il nuovo corpo. Si sa che l'idrogeno e l'ossigeno di cui sicompone chimicamente l'acqua hanno proprietà diverse dalle proprietà che ha l'acqua. E ciò si può dire di tutti i corpi composti relativamente ai corpi semplicidicuirisultano.È questoillatoimportante e meraviglioso del processo chimico. 39 Noi crediamo che il principio chimico,la cui impor tanza era sfuggita agli antichi e si è vista solo ai tempi moderni,possa, più del principio matematico, esprimere bene il vero svolgimento delle cose ;giacchè la matematica procede dall'identico all'identico, ag giungendo numero a numero,   Sembra ora assodato dalla scienza chimica che l'im mensa varietà dei corpi composti inorganici ed orga nici sipossano tutti scomporre in quei pochi e deter minati corpi semplici ora conosciuti.Ebbene,in qual modo con cosi pochi corpi semplici si possono otte nere corpi innumerevoli con proprietà differentissime gli uni dagli altri?Semplicemente mutando ledispo sizionichimicheomolecolari;odaggiungendo sem plicemente una molecola di un nuovo corpo a molecole costituenti prima un altro corpo o moltiplicando una molecola specifica di un corpo composto di determi natemolecoleosottraendonealcuneadalcune.È questo processo che ci dà corpi di natura tanto differenti e diversi.  60 Ma se la chimica occupa un largo campo nellana tura,dallamateriaprimaallamateriacheraggiunge la più alta forma complicativa, alla sostanza nervosa,dap pertutto nella natura essendovi più o meno lente e conti nue complicazioni osemplificazionichimiche,ilprincipio però chimico,quello secondo il quale di due o più cose od elementi che si uniscono si forma un nuovo grado ilqualeha proprietànuoveedifferentidaquelli dai quali risulta,rimane non solamente nella natura ma anche nella storia delle cose naturali ed in quelle dello spirito. L'animale non s'intende aggiungendo alle note che costituiscono la pianta, la sensibilità ed ilmovimento;eseèveroche alcune qualità della pianta si trovano nell'animale, queste hanno assunto ụną naturą tutta nuova nell'animale, tanto che,rigo   rosamente parlando, ciò che costituisce la vita della pianta non si rinviene punto come tale nell'animale; perchè quelle note che costituiscono la pianta sono nell'animale elevate ad una nuova zona e vivificate e complicate e moltiplicate da una nuova vita.La nu trizione dell'animale è tutta differente dalla nutri zione della pianta, all'istesso modo che la struttura organica della pianta differisce dalla struttura animale. Ciò portanecessariamenteunadifferenzanotevolenella storia della pianta ed in quella dell'animale; sicchè tutto è nuovo nell'animale relativamente alla pianta e si ha nell'animale una nuova e complessa serie di proprietà tutte differentidalle proprietàvegetali.Cosi una proprietà che si aggiunga modifica tutte le altre proprietà, come fa la sottrazione di una data proprietà o funzione nell'animale.  -61 Nella storia organica e psicologica del regno ani male troviamo dominare lo stesso principio; giacche, se vi è una vasta scala di specie animali,in ciascuna specie la modificazione di una data proprietà organica e psichica,relativamente ad altre specie,adduce con sė una corrispondente trasformazione di tutte le altre proprietà organiche,funzionali e psichiche.Cosi laforma esteriore degli animali non è indifferente al loro grado di energia funzionale e di energia psichica; la sensi bilità è varia secondo le varie forme organiche,,se condo le varie forme di sistema nervoso ; i movimenti sono vari secondo che è varia la sensibilità ed è vario il sistema scheletrico ed il sistema muscolare. Una   Inoltre l'individuo come tale ha attribuzioni che non  --62-- varietà organica dunque non si ha senza avere unà varietà di tutte le altre proprietà e funzioni dell'ani male; cosi di ogni proprietà animale. Si sa inoltre che alla vita di uno stato devono con correretantecondizioni,tantifattori; ma c'inganniamo se crediamo che ciascuna condizione non eserciti se condo il suo grado alcuna azione determinante su tutte le altre condizioni e perciò su tutta la vita nazionale. L a ricchezza non è nè il solo fine né il solo fattore di una nazione;ma uno statoricco può avere un gran mezzo per creare condizioni necessarie ad elevare lo spirito di una nazione in tutti i suoi aspetti, a far felice la fa miglia e gl'individui; e d'altra parte uno spirito n a zionale elevato trova molte vie aperte all'acquisto della ricchezza.I grandi individui contribuiscono a far grande una nazione e d'altra parte sono le grandi nazioni che fanno le grandi individualità. Un'alta vita reli giosa non può intendersi e compiersi che nelle grandi nazioni e d'altra parte lo spirito religioso dà un ele vato contenuto all'arte,allaletteratura,spingegliuo mini alle investigazioni scientifiche e filosofiche, può dare indirizzi nuovi alla vita politica, commerciale, economica dei popoli, può dare un'impronta speciale a quel che sidicespiritonazionale.Ciascunfattoredella vita sociale dunque, mentre è modificato dagli altri fattori, dal loro grado di energia o di decadimento, contribuisce a modificare,svolgendosi,quale che sia il suo grado, gli altri fattori.   63 ha come faciente parte della famiglia in cui acquista nuove e più alte qualità,onde,senza il sacrifizio e senza l'abnegazione dell'individuo,lafamiglianon può vivere una vita rigogliosa. Cosi le attribuzioni della famiglia sono differenti da quelle dello stato, quan tunque senza la famiglia lo stato non potrebbe essere, essendo questo costituito di una moltitudine di fa miglie e perciò d'individui, i quali nello stato acqui stano nuove e più alte qualità; onde nello stato le famiglie e gl'individui non sono come sono fuori dello stato, Il principio chimico domina cosi la vita della n a tura e dello spirito,non ilprincipio matematico, quan tunque la chimica implichi e presupponga lamatema tica senza la quale né il chimismo, nè la natura, nè lo spirito stesso potrebbero essere.Onde,sepuò dirsi che il chimismo è lo schema dell'organismo delle cose, la matematica può dare lo schema quantitativo del chimismo e per conseguenzadellecose;ma perquesto è più lontana che non la chimica dalla realtà che non può intendere e che è sopra tutto qualitativa; ed è la chimica che fa intendere il concetto e che costi tuisce la seconda zona logica e che è parte integrante della vita del concetto più che la quantità la quale può corrispondere alla prima zona logica. S'intende che qui si parla del chimismo logico, non della chi mica come sfera della natura, la quale ha anche essa il suo concetto, come qui si parla della matematica come principio logico;non della matematica come sfera    speciale del pensiero e delle cose; poichè come tale ha anche essa il suo concetto. Sicché non si nega che la matematica possa dare un certo schema della realtà e che perciò non sia una certa logica ; si afferma solamente che essa ci dà uno schema assai povero della realtà, che non ce la fa intendere. In vero la logica classica non è stata che la logica matematica e se vi sono oggi dei logici i quali, coltivando la logica intesa matematicamente, credono di coltivare una nuova logica,essi s'ingannano, quantunque però diano nuovi svolgimenti alla vec chialogicalaquale,se nonpuòesserelalogicadella vita e dello spirito,può essere però la logica delle sfere inferiori della natura,della meccanica, in tutti i suoi gradi, e della fisica intesa come grado della natura in generale. Si sa che tutti i fatti meccanici e fisici possono ridursi a formole matematiche, quan tunque allora non saranno la meccanica e la fisica che ci guadagneranno, le quali sono sfere molto più con crete e ricche che le matematiche pure; onde,ridotti i f e n o m e n i m' e c c a n i c i e f i s i c i a s c h e m i m a t e m a t i c i , e s s i perdono la loro concretezza, perchè sono semplificati (le cose non potendo essere intesa che dal punto di vista semplificativo ecomplicativoinsieme;onde,s'in tende la meccanica e la fisica non solamente quando sono intese matematicamente, ma quando sono intese matematicamente ed insieme meccanicamente e fisica mente; in quel caso guadagna però la matematica la quale estende i suoi confini).  64   6.3 I fatti però meccanici e fisici dell'organismo non sono cosi facilmente riducibili a schemi matematici; non avendosi allora il meccanismo ed il fisismo puro od inferiore, ma ilmeccanismo ed ilfisismo come gradi dell'organismo,onde quei fatti sono allora determi nati da cause chimiche ed insieme fisiologiche e per ciò sono di una provenienza oscurissima e complica tissima; perchè il fatto meccanico o fisico può essere effetto di moltissime e svariate condizioni organiche e sono nello stesso tempo effetto e causa di altri fe nomeniorganici.Cosisipuòdiredei fenomeni psi chici e sociali; onde, per quanti sforzi la matematica faccia per entrare in questo regno, essa non potrà impadronirsene mai, potrà però calcolare matematica mente i fenomeni estrinseci di essi.Ciò conferma sem pre più il principio che non può essere la matema tica lo schema della realtà; ma è il chimismo. Aristotele, il primo grande logico dell'antichità e quasi il fondatore della logica, le cui dottrine per 22 secoli hanno doininato e dominano ancora nelle scuole, perché non si possedeva ai suoi tempi una conoscenza profonda della natura e dello spirito come si possiede ora, non poteva darci che la logica quantitativa che si può considerare come il grado primitivo e più ele  È lo studio profondo dei fenomeni biologici come in gran parte è stato compiuto ai nostri tempi, che può farci vedere la grande importanza del processo logico chimico per raggiungere il vero concetto delle cose;e ciò non era possibile prima dei nostri tempi.   mentare della logica. L'Hegel poi può dirsi il fonda tore della nuova logica più per avere fatto vedere l'insufficienza della logica classica ad intendere la realtà anzichè per averci dato compiuta la nuova lo gica;e ciò perchè anche ai suoi tempi gli studi na turali e biologici non avevano raggiunto quell'alto grado cheraggiunseroposteriormente.Nondimeno l'ap parire della logica di Hegel segna nella storia un'e poca grandiosa;poichè,per mezzo di essa sono state poste le basi e si sono fatti i primi passi della lo. gica reale come può aversi e svolgersi ai nostri tempi. Inteso il concetto come l'ultimo risultato del pro cesso storico e chimico delle cose non ha più quel l'importanza che ha nella logica classica il capitolo della comprensione e della estensione dei concetti, in cui il concetto è inteso solo quantitativamente. Bisogna distinguere il concetto che sta per co.n piersi dal concetto compiuto ; quello può essere chia mato concezione o concepimento che indica appunto l'atto del compiersi del concetto. Ora nell'atto che il concetto si forma attraversa vari gradi di cui cia scuno, se è considerato come arrestato nel suo c a m mino,può essereconsiderato come unconcettopersė; e si considera come grado di un altro concetto se as sume qualità e forme nuove di esistenza tanto che puòcorrispondere adun concettopiù compiutodiesso; ed in questo caso esso fa parte della concezione o del concepimento del nuovo concetto ; e ciò può dirsi di ogni concetto.  ĜO !   Considerando da questo punto di vista l'universo, si scorge facilmente che ogni sfera,ogni grado di esso è insieme concepimento e concetto, cioè è assorbito e complicato chimicamente in un concetto più alto e nello stesso tempo può essere considerato come un con cetto in sè. Questo duplice fatto forma dell'universo un vasto sistema e nell'istesso tempo un grandioso organismo;perchè ciascun concetto è in sè e per sè ed insieme in altro e per altro. conce  -67 Questo principio si osserva con evidenza in tutte le zone delle mondo della natura. I minerali ed i feno meni fisici sono insieme in sè e per sè in una deter minata zona della natura (concetti);ma essi sono per la chimica relativamente alla quale sono pimento.Cosi la chimica rappresenta anche una de terminata zona del mondo naturale ;ma, mentre è in sè, e perciò è un concetto,è anche concezione ;perchè la chimica è per la vita della pianta e dell'animale e perciò,mediatamente,anche ilminerale èperlavita. Nel regno della vita questo processo diconcepimento continua ; perchè,quando è data la forma infima della vita vegetale, si passa da forme vegetali semplici a forme gradatamente e successivamente più complesse sino all'ultima forma vegetale che potrà dirsi la più compiuta.In questo processo quei gradi che inatura listi dicono specie rappresentano appunto la conce zione della pianta;per cui ciascuna specie èinsieme concetto e grado del concetto superiore.Lo stesso può dirsi dellapiantarelativamenteall'animaleedelmondo della vita animale in generale.   Quando siconsideral'uomonell'ordinedellanatura sembra cheinluisiabbial'ultimorisultatodellastoria e del processo naturale ; ma d'altra parte l'uomo non è per sè solamente ; perchè egli è quel che è per la famiglia e per lo spirito nazionale che egli contribuisce a formare ed in cui vive e si muove,all'istesso modo che lo spirito nazionale è per Dio che è il puro per fetto spirito in cui perciò si ha il vero concetto ed a cui tutta la concezione dell'universo aspira; perchè Dio non è più per altro ma per sè ovvero ė inaltro per sè ; e tutta la vita ed il movimento della natura e dello spirito terreno non sono che un processo di ele vazione a lui e fuori di lui non sarebbero e non po trebbero esplicarsi. Cosi vi è un solo concetto e l'universo è una serie di concepimenti che sono relativamente concetti.E questi concetti costituiscono un processo di compli cazione che è chiuso tra due limiti estremi, il massimo ed il minimo. Il limite minimo si ha nell'elemento primo della naturaeperciò del pensiero,diqna dal quale vi è il sistema e l'organismo dei concetti, di là dal quale vi è il nulla della natura e del pen siero. Come tale questo limite minimo dei concetti può essere concepimento od elemento del concetto che segue ma non concetto.Il limite massimo ècostituito dal concetto assoluto, di là dal quale vi ha del pari il nulla e di quà dal quale vi è tutto ilsistema e l'or ganismo dei concetti. Ciò posto i concetti sono nella natura e nello spi    Le cose sono cosi in se stesse,obbiettivamente, con cezione e concetti ; ed il soggetto, volendo conoscerle, deve seguire lo sviluppo di ciascuna di esse, dal suo primo ed infimo grado sino alla sua più compiuta realtà;deve seguire il processo del formarsi e del trasformarsi delle proprietà costituenti l'oggetto che siconcepiscesinoalsuoultimostato,come avviene degli enti morti o sino al massimo grado della sua energia, come avviene degli esseri viventi o degli or ganismi etici.Quandoilsoggettoavràcompiutoquesto lavoro psicologico insieme elogico di concezione in modo che questo processo corrisponda alprocesso obbiettivo  rito,eperciònelpensiero,dispostiinmodo seriale; onde ciascun concetto che è tra i limiti ha un prima ed un dopo ed è concetto del concepimento 'precedente e concepimento del concetto seguente.Non sipuò dire però che il concetto che precede sia compreso come tale e nel senso della logica classica e con tutti i concetti precedenti dal concetto seguente ; poichè il chimismo che domina il processo dei concetti non a m mette lacomprensionenelsensoclassico,cheè conside ratain senso puramente quantitativo. Del pari non si può dire che ciascun concetto si estenda in altri concetti; perchè esso è chimicamente assorbito e trasformato dal concetto che segue immediatamente e non si può tro vare come semplicemente tale in altri concetti'; onde la estensione secondo la logica dei secoli non risponde al vero ; perchè in questa i concetti sono estrinseci gliuniagli altri,percuinonvièorganismodiconcetti. 69   70 d e l l a c o s a , e g l i a l l o r a a v r à r a g g i u n t o il c o n c e t t o d i e s s a : ciò che può dirsi cosi dei singoli concetti o di un si stema di concetti che del concetto assoluto.  L’economia nella vita dell’animale e dell’uomo.    L’ attività economica è una nota propria e fondamentale  della vita animale ed umana. Essa è rappresentata prima dalla  fisiologia, cioè dalle funzioni dell’organismo. Ogni funzione or-  ganica, studiata analiticamente, dimostra una dualità, cioè due  termini: l’organismo vivente che rappresenta l’unità degli or-  gani funzionanti; e il mondo a lui esteriore con cui è in con-  tinuo rapporto (alimento, ossigeno dell’aria, acqua, calore, luce,  ecc.). L’ uno dei due termini scisso dall’ altro annullerebbe in-  sieme con la vita l’attività economica; e l’organismo dovrebbe  disfarsi.   La vita, sostenuta da organi di elevata struttura e costi-  tuzione chimica, implica l’ unità degli elementi istologici, dei  tessuti, dei sistemi e degli organi che la rappresentano. Ma la  funzione di ciascun organo e sistema, mentre ha un fine che si  esercita o dentro l’organismo, in aiuto ad altre funzioni, o fuori  dell’organismo, contro il mondo esteriore per dominarlo e farlo  servire ai suoi bisogni, deve implicare una continua perdita  materiale degli organi funzionanti, che si riduce contempora-  neamente in una degradazione chimica di sostanze componenti  i tessuti e gli organi, dallo stato di elevata natura a quello di  più elementare costituzione molecolare. Nello stesso tempo deve  associarsi ad uno sviluppo di forze fisiche (forza meccanica,  vibrazioni molecolari, calorico, elettricità).   In tal modo i due termini debbono entrare in un rapporto  molto intimo e continuo fra di loro ; giacché il termine esterno  naturale, rappresentato dall’alimento, dall’ossigeno dell’aria, dal-  l’acqua, deve diventare interno. Infatti l’alimento da sostanza  esterna e morta, quantunque di elevata costituzione chimica.      ti    r   I ^    I  giacché è stata vivente, come la carne, le uova, il latte, le erbe,  frutta e semi di varie piante, modificati esternamente e poi in-  geriti dall’animale e dall’uomo, vengono ancora modificati, ri-  dotti in sostanze relativamente semplici. Passate poi nel circolo  sanguigno vengono ancora modificate dalla presenza dell’ ossi-  geno che i globuli rossi del sangue hanno fissato per nutrire i  tessuti in contatto dei quali sono messi e dai quali si compie  l’assimilazione. In tal modo il cibo raggiunge la sua massima  elevcizione; da termine esterno e morto diventa interno e vivo.  Ma qui comincia la scissura interiore, onde il termine interno  diventa per mezzo della funzione anche esso morto in alcuni  suoi elementi e le sostanze che lo costituiscono, decadute e sem-  plificate, vengono così restituite al mondo esterno, per mezzo  dei reni, della cute, del polmone e ancora modificate dalle glan-  dolo di speciale segrezione; all’ istesso modo che l’energia che  costituiva il termine interiore si risolve in forze meccaniche e  fisiche le quali si spengono entro l’organismo stesso e nel mondo  esteriore, anche per mezzo del lavoro.   Il termine interiore che da prima è un organismo vivente   di elevata struttura, perchè è e sussiste, si può chiamare bene,   secondo lo scrittore del j)rimo capitolo della Genesi, per cui è   bene tutto ciò che è creato da Dio ; ed il termine esteriore,   perchè anche esso è e sussiste, si deve anche esso chiamare   bene; ma, poiché deve essere degradato come tale, e trasfor-   %   maio e ridotto nei suoi elementi; diviene male. E male il deca-  dere, lo scomporsi, il menomarsi degli enti. Ma, poiché dai suoi  elementi di nuovo si ricompone, si organizza ed alimenta la  vita, diviene di nuovo bene; ma bene interno, come il bene in-  terno si trasforma in male interno airorganismo da prima, poi  in male esterno; perchè nei suoi elementi primi si trasforma in  male esterno, cioè in elementi inorganici senza una finalità su-  periore. Ma di nuovo può divenire bene esterno, perchè per  mezzo di essi si possono ricostituire i beni esterni più elevati  (piante, animali, ecc.). Il bene cosi si trasforma in male e questo  in bene. L'antico detto corruptio unius gene ratio alterius espri-  me un principio che domina il regno della vita vegetale ed  animale, giacché anche la pianta si trova in una posizione dua-  listica tra sè e il mondo a lei esteriore (il terreno, Tarla, la luce) ed è perciò in lotta con esso che tende a conquistare,   come questo è in lotta con la pianta. L'animale è in una lotta   più intensa col suo termine esteriore, la natura, come questa   %   è in lotta contro Tanimale. E questo lo schema più semplice  della vita vegetale ed animale.   Distinta cosi T attività economica in due termini e fatta  Tanalisi di questi, apparisce più chiaro il concetto generico di  economia. Quantunque questa parola sia stata adoperata la prima  volta in Grecia ed intesa come legge, amministrazione della  casa, implica anche il concetto di soddisfazione, di godimento,  che gli animali e noi abbiamo di qualche cosa che dalTesterno  penetri nel nostro organismo. Coinvolge anche il concetto d'in-  tegramento, conservazione, elevazione di qualche cosa di ma-  teriale per mezzo del lavoro delTuomo o per opera della na-  tura stessa, ma che rimane sempre nel mondo esterno alTuomo  e di cui questi può cercare di godere.   Importa notare la differenza tra Teconomia della vita ani-  male e quella delTuomo, che implica insieme con la vita orga-  nica 0 animale, qualche cosa di superiore o mentale. Benché  una grande differenza vi sia anche nel regno stesso delTani-  malità, nelle sue varie specie, dalTaniraale infimo a quello della  più complessa organizzazione, giacché dalla prima alla seconda  specie il processo della vita si va sempre più complicando e  specificando, alT istesso modo che si complica ed aumenta di  volume Torganisrao nei suoi tessuti e nei suoi organi ; onde si  ha un'organizzazione più vasta e complessa, pure in quest'ara-  pia graduazione di animali lo schema dell* economia della vita  è identico in tutti; benché varia sia la quantità dell' alimento  ingerito ed assimilato e poi consumato e ridotto ad elementi  semplici, come corrispondentemente varia sia la somma delle  forze fisiche esplicate.   L'animale infatti, a qualunque genere o specie appartenga,  non vive che monotonamente, sempre nel presente, benché va-  ria sia la sua attività esplicata per vivere, secondo la natura  della specie a cui appartiene, e vario sia l'ambiente naturale e  climatico in cui vive. Esso non ha cura che per conservarsi e  per fuggire i pericoli che lo minacciano; cerca la tana, il cibo,  e l’acqua per dissetarsi ; alleva con molta cura i suoi nati e provvede per il loro alimento; li protegge contro le insidie degli  altri animali sino a che essi non possano vivere da sè. Non  provvede pel suo avvenire e, durante la vita, non è suscettivo,  a causa delle limitate sue condizioni psicologiche, a migliorare  la sua posizione economica, come è avvenuto pel suo passato  in cui si è riprodotto sempre identicamente lo stesso tipo e  la forma del suo organismo.   Dall’animale all’ uomo si fa un passo gigantesco; giacché  questi, a causa della superiorità della struttura del suo organi-  smo e della sua intelligenza, si volge a studiare continuamente  sè e il mondo esteriore. Avendo il suo organismo molteplici bi-  sogni, egli si sforza di soddisfarli per mezzo delle sostanze che  trova nel mondo esterno; e, a differenza dell’animale, prevede  i suoi bisogni avvenire e provvede come può affinchè nulla  abbia a mancargli pel futuro. E, se tende da prima a sfruttare  la natura, come fa l’ animale, di poi, apprendendo da essa stessa  i suoi metodi, si sforza di produrre ciò di cui ha bisogno per  vivere (piante ed animali speciali). Si apn; cosi all’ uomo il   campo della produzione dei beni naturali di cui ha bisogno, e   %   che può ottenere per mezzo deir ingegno e del lavoro. E una  lotta che egli deve sostenere contro la natura, che ha avuto  principio col suo primo apparire sulla terra, che è andata sem-  pre crescendo ed intensificandosi lungo il processo della storia  e con lo sviluppo della civiltà; e che non avrà mai fine, finché  dura la vita umana. La materia economica non può perciò essere intesa fuori  della sua storia, anzi essa fa una sola cosa con la storia del-  r umanità ; giacché questa ha la sua base nell' economia e  senza di questa non potrebbe essere; all' istesso modo che nes-  sun aspetto 0 grado del mondo naturale ed umano sfugge alla  storia e fuori di questa non potrebbe comprendersi. La scienza  economica dunque deve trattarsi storicamente. È questo un ten-  tativo che può farsi solo oggi, in tempo di un grande sviluppo  dell'esperienza e della rifiessione umana, in cui il pensatore acqui-  sta coscienza di sé, dei propri bisogni fisiologici e mentali e del  mondo esterno naturale, in ciò che può soddisfare i detti bisogni.  V f Questa materia cosi deve essere studiata nei suoi due ter-   mini, il soggetto e l'oggetto, economici, ciascuno nella sua storia  e nel suo rapporto con l'altro, senza del quale nessuno dei due  termini potrebbe sussistere sotto l'aspetto economico; e questo  rapporto é tutto tra i due termini, per lo quale questi si uni-  scono e dividono continuamente. È la storia deU’umanità e della  natura insieme nel loro aspetto drammatico.   Nel trattare i principii naturali di economia bisogna trarre  insegnamento prima dello studio della storia deH'umanità. Ma  nella storia fatta dagli storici più valorosi e rinomati l'aspetto  economico non è messo gran fatto in evidenza; come se per loro  » * non avesse avuto che un' importanza trascurabile; non veniva   perciò compreso e considerato nella sua obbiettività e non si  sognava che un giorno i posteri sarebbero stati curiosi di cono-  scere, nei suoi particolari, il metodo e la materia dell' attività  economica dei popoli di cui si narrava la storia. Si credeva  che il cibo e gli altri beni di cui l'umanità ha bisogno sarebbero  stati sempre abbondanti e perciò non meritava che gli uomini se ne preoccupassero. Del resto anche gli storici più recenti  si sono cosi condotti verso l’aspetto economico della popola-  zione. Pure in ogni scrittore non possiamo non trovare qualche  accenno alla vita economica delle nazioni di cui si narra la storia  0, se non alla economia normale, aireconomia patologica, come la  carestia, la pestilenza, i risultati della guerra, le emigrazioni e le  immigrazioni, i perturbamenti della natura fatti per opera della  mano deiruomo, che, facendo vedere la deviazione del processo  economico normale e naturale nella storia, fanno meglio vedere  le necessità di questo. Avviene così nel campo economico quel  che avviene nel regno della vita, per cui le malattie che sono la  deviazione funzionale degli organi dal processo tipico normale  della vita, che apportano anche una corrispondente alterazione  chimica, istologica ed anatomica degli organi, hanno dato non  pochi contributi alla conoscenza delle funzioni normali della vita.   Vi sono poi le grandi crisi economiche nazionali o univer-  sali, come quella che ora si attraversa sull’ incarimento del  costo della vita, un fenomeno nuovo e gigantesco che non ha  avuto l’eguale nella storia, la cui origine oscura ci obbliga a  riflettere e a meditare per risolvere Tenigma. Vi sono inoltre  gli errori della storia che il popolo stesso compie per suo prò-  prio istinto o che compiono gli uomini di governo, errori di cui  è piena la storia e che, con le loro conseguenze patologiche,  fanno meglio comprendere il processo logico e progressivo della  storia come avrebbe dovuto essere. Cosi è stato disastroso per  la vita dei popoli il non avere compreso la natura propria della  moneta che si è voluta sempre di metallo prezioso, per cui  alla scarsezza di questa si debbono alcune rivoluzioni ed un  arresto nello sviluppo del lavoro e della produzione dei beni e  r arricchirsi di alcune nazioni che ne hanno molta a danno di  altre che ne hanno poca. Ma il presente stato economico del  mondo in cui l’ industrialismo ha raggiunto un grado di vitalità •   esuberante da per tutto ed attira l’energia e V operosità del  maggior numero degli uomini i quali affluiscono nelle industrie  e nelle città disertando i campi e i villaggi, ci spinge a stu-  diare il presente fenomeno e, mettendolo in relazione col pas-  sato economico, ci apre la via ad intendere la storia econo-  mica deir umanità.  Ma la storia economica che fa una sola cosa con la storia *   politica, artistica ed intellettuale delle nazioni, nell’ aggregarsi  o disgregarsi continuo di queste, è certo un grande e cospicuo  periodo del processo logico della storia del mondo ed è anche  quello più memorabile: quello cioè che, per essere stato esperi-  mentato primitivamente da alcuni uomini, riconosciuto e pro-  vato da altri, aggruppati da prima in piccole tribù o società, e  poi esteso, ad altri, è trasmesso a mano a mano ai posteri col  contatto degli uomini, attraverso il loro nascere, crescere e  morire. E l’attività economica che è stata sempre viva nella sto-  ria, quantunque abbia operato in modo inconscio agli uomini,  negli ultimi due secoli ha raggiunto uno sviluppo considerevole  insieme con lo sviluppo industriale e con l’estendersi del com-  mercio nel mondo. Questa da prima si è sviluppata istintiva-  mente ed impulsivamente per mezzo dell' ingegno dell’ uomo  che ha saputo trovare ed aprire le vie; poi è venuta la scienza  dell' economia industriale e commerciale, che ha riconosciuto i  fatti compiuti e ne ha formulato e cercato di spiegare le leggi.   Sicché non è stata la scienza economica che ha destato l’atti-  vità economica, bensì questa ha dato origine a quella.   Si può rintracciare dunque, attraverso la storia intellettuale,  politica e pratica dell’umanità, una storia economica. Ma la sto-  ria politica rappresenta il processo degli avvenimenti umani di  cui si conserva memoria; si è perciò innanzi ad un’epoca molto  avanzata dalla storia, quella in cui l’uomo ha cominciato ad    acquistare consapevolezza della sua superiorità sulla natura e  della possibilità del suo dominio sugli uomini inferiori per in-  gegno ed attività pratica. Ma la storia memorabile e memorata  presuppone la preistoria, che è di là dalla memoria degli uo-  mini e che nondimeno ha dovuto preesistere alla storia. Come  nessun aspetto della civiltà e delle istituzioni umane sfugge alla  preistoria, quale il linguaggio, la politica, l’arte, la religione, ecc.,  così avviene dell’economia e della scienza economica. E la sto-  ria d’altra parte si connette alla preistoria di cui è continua-  zione e complicazione, onde si può dire che nella preistoria si  trovano i principii economici più semplici ed elementari che  nella storia progressivamente si sono andati complicando ; ma  che sono sempre vivi ed attivi nella storia ulteriore: ed appariscono nella loro semplicità nelle grandi crisi di economia so-  ciale, quando si sente il bisogno di tornare alla vita naturale  e primitiva. Non bisogna però ammettere una barriera tra la  preistoria e la storia. Ciò che fu il principio è la base odierna  deir edificio economico.   Quantunque la preistoria pura e primitiva sfugga alla no-  stra osservazione, pure, come è avvenuto pel linguaggio, stru-  mento fondamentale deirintelligenza e deirattività pratica umana  e del progresso scientifico, si può rintracciarla prendendo le  mosse daireconomia naturale che può avere rappresentato essa  sola neirepoca preistorica tutta T umanità, che di poi divenne  storica, economia che anche oggi deve essere considerata come  il sostegno deireconomia storica, industriale odierna, e senza la  quale questa è destinata a fallire. In questo senso, guidati dalla  logica della realtà delle cose e dalla psicologia speculativa, si  può rintracciare il processo preistorico dell’ economia. Il punto  di partenza è qui Teconomia fisiologica, comune da prima al-  Tanimale e airuomo, giacché ambidue sono soggetti economici  che hanno la natura come termine a loro opposto. Ma, mentre,  come si è detto, la soggettività animale ha un arresto nel suo  sviluppo, la soggettività umana all’ incontro prosegue senza li-  miti, cercando di conoscere la natura ed adattarla alla soddi-  stazione dei suoi bisogni, che con la sua intelligenza sa scoprire  in sé, nel suo organismo e nella sua mente, nuove lacune da  colmare. A differenza però deiranimale in cui Torganismo si svi-  luppa rapidamente, onde breve è per esso il periodo in cui ha  bisogno delle cure dei genitori, perchè ben presto può fare uso  delle sue forze e rendersi indipendente, onde vive guidato dai  suoi istinti, l'uomo all’ incontro ha bisogno di un certo numero  di anni per potere da sé provvedersi del cibo e colmare tutti  i suoi bisogni. Ben presto morrebbe se, appena nato, non avesse  le cure materne, ed anche se venisse abbandonato a sé stesso  neH'infanzia e neiradolescenza. Molte altre cure poi richiede,  ed anche un certo numero d’anni, se egli vuole educarsi, eser-  citare un facile mestiere od una difficile professione; e volesse  elevarsi nella sfera dell’ alta cultura, dell’arte o della scienza.  In questo lungo periodo della sua vita il giovanetto è allevato  e educato dalla famiglia, o dalle istituzioni di beneficenza, dal-  r insegnamento pubblico e dalla religione. In tutto questo periodo dell’infanzia e della fanciullezza  il dualismo è rappresentato dal fanciullo, ente passivo nella sua  attività, e dalle istituzioni familiari e sociali, che sono il termine  veramente attivo, il quale, servendosi di elementi c vie naturali,  eleva e conduce il bambino all’attività pratica, affinchè possa  col tempo provvedere ai suoi bisogni. Il giovanetto, diventato  adulto, deve da sè solo risolvere il problema dell’esistenza, per  quanto possa essere agevolato dalle istituzioni ; allora egli si  trova d’innanzi alla natura alla quale domanda i mezzi di vita  0 di conservazione. Questi sono rappresentati dal ricovero e  dall’alimento che è fornito dagli animali e dai frutti e semi di  piante; e vegetali di una elevata costituzione chimica. Qui co-  mincia la lotta tra 1’ uomo e la natura. Questa è da prima prov-  vida madre per lui, onde gli concede facilmente ciò di cui ha  bisogno, ma non senza che egli taccia qualche sforzo, qualche  fatica, andando in cerca deU’alimento, sottomettendosi anche a  gravi pericoli e spesso rimanendo vittima delle intemperie o  degli animali che egli ha cercato di abbattere e conquistare.   E questa la condizione dell’ uomo primitivo che non ha a-  vuto dal passato insegnamenti e tradizioni; per cui l’esperienza  e l’osservazione debbono cominciare da lui che è fornito di un  organismo che si presta ad una grande varietà di lavori; e di  intelligenza che gli è guida all’ attività pratica, allo studio ed  alla conoscenza della natura della quale cosi può meglio ser-  virsi; e conserva memoria delle sue conquiste, passate e pre-  senti. Ma la natura, dà all’ uomo i mezzi di vita, purché li cer-  chi, non glieli assicura per sempre. Comincia cosi l’attività per  la ricerca del cibo e comincia ancora un’epoca di disgregamento per la ricerca dei luoghi dove la natura fosso più ferace di ve-  g'etabili e di animali, atti a far vivere l’uomo. In quest’ epoca,  certamente non breve, si ha un grande disgregamento del ge-  nere umano, in tutta la superficie della terra, per quei luoghi  dove la vita fosse possibile; giacché in quest’epoca in cui il la-  voro collettivo non era ancora principiato, l’uomo voleva essere  solo con la sua famiglia a conquistare e a godersi la preda.   D altra parte 1’ uomo in lotta con la natura primitiva, che  si slanciava ad imprese difficili ed audaci, in tempi in cui l’aria  sulla superficie della terra era buona ed in cui ralimentazione  era prevalentemente carnea, dovea dare al suo organismo uno  sviluppo ed una resistenza ammirevole, che lo rendeva atto a  trionfare dei più grandi ostacoli che nel suo cammino potesse  incontrare. Grande era anche la potenza generativa, per cui gli  uomini si moltiplicavano facilmente. Quel genere di vita tutto  naturale dava un’educazione anche naturale all’ uomo, che gli  dava la massima resistenza all’ impresa e lo rendeva refrattario  agli stimoli morbosi sino alla vecchiezza, se fosse riuscito a su-  perare il periodo della fanciullezza, flrano i tempi di Ercole.  In tutto questo lungo periodo egli cerca, con l’ ingegno che la  vita nomade e mal sicura dell’ avvenire rendono più acuto, a  modificare minerali e legna per costruire strumenti che rendes-  sero più facile il conseguimento del fine di vivere ; a rendere  alcuni animali adatti ad essere guidati, a viaggiare, a portare  masserizie ed a ottenere la prole di essi, anche per potersene  alimentare.   Finché si é in questo stato di vita nomade ed incerta in  cui non si può essere sicuri della vita avvenire ed in cui gli  uomini tendono continuamente a dividersi, le conquiste iiella  conoscenza dei metodi per servirsi della natura vanno perdute  e non é necessario il linguaggio che é possibile quando é data  una certa associazione di uomini i quali, a intendersi scambie-  volmente, conservino la tradizione delle precedenti attività li-  mane che agevolano la vita. Tutto questo lungo periodo della  vita umana sulla terra, di una larga estensione sulla medesima,  può essere indicato col nome di 'preistoria dell’ umanità. La  quale bisogna intendere non come ristretta in un solo angolo  della superfìcie della terra, ma come diffusa da per tutto, e dove la vita dell’ uomo fosse possibile, e rappresenta la fami-  glia da per tutto disgregata in famiglie, di cui ciascuna aspirerà  più tardi ad entrare nella storia e da nomade diventare fìssa.   In tutta questa lunga epoca i due termini dell’attività eco-  nomica sono r uomo e la natura; 1’ uomo il quale é uscito da  quello stato di felicità del periodo della sua fanciullezza in cui  vive a spese della sua famiglia o della carità altrui; ma l’uomo  che deve fare uno sforzo per andare in cerca dei mezzi di sus-  sistenza; deve cioè andare incontro ad una perdita di forza mu-  -..-.•V scolare e psichica, che, aggiunta alla perdita che apporta la vita   in sé stessa, apporta una perdita maggiore o un male interiore  maggiore. La natura, dando da viv^ere all’uomo, ha una perdita  in sé 0 una degradazione, quantunque parziale e limitata; ma  questa perdita apporta all’uomo un bene interiore.   La mancanza di sicurezza dell’alimento pel domani in que-  sto periodo della preistoria in cui non ancora si erano conosciuti  i metodi e non si possedevano i mezzi per ottenere gli animali  di cui avrebbero potuto servirsi e nutrirsi e né anco si sape-  vano conservare le carni degli animali di cui si era andati in  caccia, é la nota preminente di questo cosi largo periodo dell’umanità. La storia della civiltà ha per fondamento la storia  dell alimentazione. Il passaggio dalla preistoria alla storia, dalla  vita naturate allo stato di civiltà, si ebbe quando si potè pro\’-  vedere ad un alimento che potesse conservarsi per qualche anno,  assicurando così il prolungarsi della vita umana ed il fissarsi  di alcune popolazioni in dati siti della superficie della terra do-  ve la produzione di date sostanze alimentari potesse avvenire. Scambio e stimoli economici    Si eiiira cosi in un altra c più elevata sfera deH’attività  economica che è quella dello scambio (e questo avviene cosi  nella zona industriale propriamente detta che in quella naturale  ed agricola). Si cominciano così a formare dei piccoli mercati  in cui r uomo vende e compra. Jla s’ intende che, prima che  nella storia si stabilissero dei veri mercati, queste operazioni  di scambio avvenivano egualmente, quantunque in modo più   vago, appetiii ai)parve la libertà e l’ elezione nel lavoro del-  r uomo.   Nella sfera dello scambio si ha una maggiore facoltà di  acquisto ed un risparmio di tempo e di forza (ciò che è propria-  mente r attività economica); perchè il soggetto economico vende  ciò che ha prodotto facilmente e bene per acquistare ciò che da  sè stesso non avrebbe i)otuto produrre che male e con molta per-  dita di tempo. E ciò in generale ; perchè l’ ingegno umano po-  ti ebbe in ciò darci una smentita, non essendo molto rari quegli  uomini che hanno saputo tanto bene educare il loro ingegno e  1.1 loio attività pratica da diventare valenti produttori di una  varietà di beni e in modo perfetto. E questo avviene cosi per  la produzione dei beni inferiori e materiali che dei beni supe-  riori ed artistici.   Importa notare che lo scambio può avvenire tra questi e  quelli, come con le attività intellettuali dell’uomo. Cosi il lette-  rato, r uomo istruito e dotto, l’ insegnante, il medico, l’ inge-  gniere, l’ avvocato, scambiano il loro sapere, la loro dottrina  e l’arte, con beni materiali. Anche nella sfera dello scambio,  l’acquisto implica una perdita, quantunque la perdita sia ridotta  al minimo; perchè quello che il produttore perde gli è costato relativamente poco lavoro, mentre quello che acquista è per lui  un guadagno, perchè ha un prodotto che si suppone buono, che  egli non avrebbe potuto eseguire, anche perdendo molto tempo.   Per mezzo del lavoro artistico dunque la produzione dei  beni si specializza, mentre questi si possono moltiplicare senza  limiti, perchè ognuno può trovare nell’uomo una sorgente di  bisogni da colmare e nuove comodità che si desiderano, nuovi  beni che riescono a quel fine. E poiché in tutti gli uomini si ha  r istesso metodo e perciò gli stessi bisogni che si tende a sod-  disfare, i nuovi beni prodotti sono ambiti da tutti. Ma qui deve  intervenire l’opera dell’istruzione che sveglia e fa riconoscere  aU’uomo i propri bisogni e fa sviluppare in lui il desiderio di  soddisfarli.   Moltiplicandosi i beni che l’uomo ambisce, egli può acqui-  starli tutti col suo prodotto particolare che alla sua volta viene  ambito dai produttori dello merci altrui, con le quali egli scam-  bia la sua. Il principio economico qui non solo si conserva, ma  si eleva ad una più alta potenza di acquisto.   Ma più tardi 1 ’ uomo ha avuto un istrumento d’acquisto non  solo nel suo ingegno e nelle sue forze muscolari, ma anche nella  macchina che egli, aiutato dalla conoscenza delle leggi mecca-  niche ha prodotto ed applica ancora alla produzione di una  grande varietà di beni.   E necessario qui promettere che la macchina come inven-  zione umana è stata preceduta dalla macchina che è insieme  nell’organismo animale ed umano. L’ organismo infatti è insieme  meccanismo; e se come organismo è qualche cosa di più elevato  del meccanismo che implica, come meccanismo non cessa di  essere macchina; macchina organica si, ma sempre macchina.  Lo schema della macchina si ha infatti in tutti gli organi e i  sistemi più importanti deH’organismo ; nel cuore col sistema va-  saio annesso ; neU’apparecchio digestivo con le sue glandolo, co-  me in ciascuna glandola; nell’apparecchio respiratorio ; nei reni  e nella vescica; nel sistema osseo-muscolare-nervoso. L’occhio è  una macchina, come l’orecchio. Anche nel cervello si trovano  gli elementi più complicati della macchina; all’istesso modo che  le funzioni di tali organi sono insieme funzione e meccanismo. È  proprio della macchina costruita dall’ ingegno umano il venir    "•uw'mo'' • ‘‘‘ Hìacchina die è or-   moNe oigan.smo, anche essa per mez^o di questo .nuove   l.i macchina esteriore, sia immediatamente che mediatamente  per mezzo delle forze fisiche. ^uiawmente,   L’apparire della macchina è stato accolto con grande entu-  ..asmo da tutto il mondo, perchè ha portato una fraudo rivo  uz.one nel campo della produzione, poiché l’A accresciuta co.isi-  erc^olmcnte; ma ha anche contribuito ad una maggiore spe-  CK hzzaz.one d. produzione. E poiché la macchina è stata appli-  c a anche al trasporto dei beni in tutto il mondo, per mare e  PCI terra, ha anche contribuito ad accrescere in modo come  non era possibile prima, il commercio mondiale. Sicché ol!  e solamente possibile a pochi uomini godere di una grande   J-h nomi I che sono nel mondo. Si ha cioè il grandioso feno-  meno de la umversalizzazione del godimento dei beni. È questo  nsuUato di una lunga storia nell'attivirà degli scambi che  pimcipiata in modo limitato, tra individuo e individuo, per una’   lunpo tra vari aggruppamenti umani, tra varie popolazioni e  mi/ioiii , e tra tutte le parti del mondo. È questa veramente la   pffffcernza.''"’ « dell’industrialismo   S’intende che se prima lo scambio comincia cedendo merce  per merce, e in certe condizioni questo può sempre avvenire  lo scambio e .1 commercio che rendono accessibili le merci da  |.cr t„„o, h„„ dovuti avvenire con la moneta che é ,m mé.t  tei mine, inventato da. governi, tra due merci o più merci; per cui  «1 lavora, cioè si danno le proprie forze, il proprio ingegno e   a propria produzione, per guadagnare danaro e si ambisce que-  sto per provvedersi di tutti i beni di cui si ha bisogno. Segue  ancora che, in ragione che la produzione, gli scambi e il cL-   moneta ìr^nmiido; È qui necessario far notare che, se la parola stimolo inter-  lene a ogni passo nella trattazione dei fenomeni fisiologici e  pa ologici, come nei fenomeni psicologici, intendendo la psicoogia in tutta la sua ampiezza, in tutte le sue forme e in tutti i  suoi gradi, apparisce chiara la necessità dell’ intervento frequente  di questa stessa parola anche nello studio dei fenomeni econo-  mici, giacché anche questi hanno un fondamento fisiologico e  psicologico, senza il quale non potrebbero essere. Così nella pro-  duzione si ha uno stimolo interiore a produrre, il bisogno inte-  riore organico e psicologico, immediato o prossimo, che deve  sparire, facendo col lavoro esistente il bene che si desidera: l’im-  magine interiore cioè deve tradursi in atto col lavoro produttivo  e che diventa anche stimolo esteriore, la materia esteriore otte-  nuta col lavoro, per mezzo della coltura (sostanze vegetali) o con  rallevamento del bestiame (sostanze organiche). Queste debbono  alimentare e far vivere 1’ uomo, trasformando la materia morta  e bruta che deve dargli alcune comodità o godimenti dell’ animo.   Si ]Hiò dire che sono gli stimoli e gli stati interiori a spin-  gere 1 uomo all attivila; e più questi sono numerosi ed elevati  più muovono l’individuo al raggiungimento dei suoi materiali od  alti filli che egli vorrebbe vedere tradotti nel mondo reale. Ma  alla sua volta gli stimoli interiori sono il riflesso di stimoli este-  riori, di oggetti già percepiti o immaginati. È questo ciò che si  esprime con la parola ambizione umana la quale, se è la nota  preminente dei grandi uomini è anche una nota importante degli  uomini mediocri e d’ infimo ordine, giacché ogni uomo, secondo  il grado della sua costituzione mentale e della conoscenza del  mondo esteriore, naturale ed umano, vorrebbe far suoi tutti i  beni che conosce, sia di basso che di elevato ordine. Il cibo è uno  stimolo per l’alimentazione e la fame è uno stimolo per provve-  dersi del cibo. Cosi il gusto letterario e le conoscenze scientifiche  possono essere uno stimolo interiore per ajiprofondirsi nel campo  dell’arte e delle .scienze.   Non solo sono stimoli i due termini economici, oggetto e  soggetto, 1 uno per 1 altro: nia è anche stimolo il mezzo termine  fra le due merci o tra il soggetto e l’oggetto, cioè la moneta.  L come è nota della natura umana l’insaziabilità dei beni mate-  riali e spirituali, quando questi siano conosciuti ; ciò che è dif-  ficile, come 1 illimitatezza nell’acquisto, cosi avv^iene per la mo-  neta. Di questa anche 1 uomo non è mai sazio di possederne ;  perchè riconosce in essa una possibilità ed uno stimolo per    66     acquistare altri beni. Ed il possesso è di vari gradi. Vi è il pos-  sesso limitato della moneta, per quanto questa possa essere grande,  e di essa 1 uomo si contenta e che vuole o conservare o spen-   deie, 0 di questa egli si serve come stimolo per la produzione  di nuove ricchezze.   Proprio quando la vita economica, industriale, commerciale,  è molto complessa ed estesa, e tutto il mondo umano sembra  un grande mercato come è ora, per cui grandi sono i bisogni c  le richieste dei beni da per tutto; e l’ambizione umana si estende  ed intensifica ovunque, allora la ricchezza può essere adoperata  come strumento (stimolo) per acquistare nuove ricchezze. Cosi  viene stimolata la sete deH’uorno per l’acquisto indefinito della  ricchezza; perchè vi è richiesta di tutti i beni che egli conosce  e di cui vuole godere, come da per tutto viene apprezzato e  richiesto il lavoro dell’uomo. .Si comprende in tal modo come  piu sovrabbonda il danaro in una società, più gli uomini .sono  spinti all attività pratica e cresce la loro ambizione per guada-  gnare e godere. Uomini che hanno quest’aspirazione e non hanno  danaro, ma riconoscono di avere ingegno, forza muscolare e  tempo per arricchirsi, ricorrono al prestito del danaro. Ma cosi  si entra in una categoria economica più elevati, quale è appunto  il presfito, il cui polo opposto è il capitale. Il semplice possesso  della ricchezza, sia questa rappresentata dalla moneta o da altre  specie di beni immobili e mobili o da prodotti industriali od  artistici, se è come semplice servizio personale o della famiglia,  non merita il nome di capitale. Si richiede invece che essa si.a  data in prestito.      XV.    Il capitale-prestito,    11 capitale-prestito cosi rappresenta un più alto grado dello  scambio; e, come in questo, ciascuno dei due termini o soggetti  economici acquista e perde, cosi avviene nel capitale-prestito;  ma anche qui la categoria di acquisto e perdita implica una più  elevata economicità. Cosi colui che prende in prestito acquista la  ricchezza ma la perdita e rimandata aH’avvenire ; si ha cioè il  bene presente ; ma la perdita che dovrà aversi nell’ avvenire  consisterà non solo nella restituzione del capitale, ma anche  nell’ interesse convenuto. Frattanto l’uso provvido ed economico  del capitale avrà dovuto fargli acquistare nuove ricchezze. An-  che nuove ricchezze acquista il capitalista, cedendo tempora-  neamente la sua ricchezza ad altri; ma va incontro anche ad  una perdita temporanea della sua ricchezza durante il periodo  della sua cessione; perchè non se ne può servire.   Col capitale e col prestito l’attività economica da una sfera  limitata e quasi individuale, quale è quella dello scambio, da  prima in una ristretta cerchia, s’ingigantisce ed estende da pri-  ma in ciascuna nazione e più tardi gradatamente in tutto il  mondo; con la fondazione o moltiplicazione delle banche che  dànno una grande diffusione al capitale e al credito, stimolando  l’attività economica produttiva e portando la diffusione delle  merci da per tutto. E ciò con l’aiuto della macchina che ha  moltiplicato e specializzato la produzione dei beni industriali e  li fa penetrare, come vi fa penetrare anche i beni naturali, in  tutto il mondo umano. Ma per quest’attività si richiede l’ ingegno;  all’ istesso modo che 1’ esercizio di essa fa sviluppare Tingegno.   La produzione dunque della ricchezza capitalizzata e capi-  talizzante, per cui si tende sempre a ridurre al minimo la   perdita, nello stesso tempo che si tende a jiortare al massimo  l’acquisto, deve essere sempre l’obbietto dell’attività del soggetto  economico. Me questa che già fece esistente il capitale si affie-  volisce, 1 oggetto per mancanza di governo e di direzione tende  ad arrestarsi nel suo processo e, per le mutate condizioni este-  riori, tende a deviare, a perdere la sua potenzialità di acqui-  stare ed a venire cosi scemato come semplice ricchezza.   Sicché, se dalla produzione diretta primitiva alla produzione  capitalistica si ha una progressione per cui pare che la ricchezza  si produca da sé, indipendentemente dal soggetto, pure l’attività  di questo deve intervenire, cercando di farla progredire ed ac-  crescere. Deve prevedere il cammino che si può e si deve fare    e provvedere alla conservazione della ricchezza ed alla sua dif-  lusione proficua; ciò che è il lavoro di critica e di speculazione  che il soggetto deve tare. Ad ogni modo questo lavoro, se im-  plica una piccola perdita di tempo e di forza organica e psichica,  pure riduce con l’esercizio al minimo questa perdita; onde si  può dire che se il lavoro di produzione che da prima è grande,  secondo la quantità e la specificità d’impiego del capitale, esso  è di poi menomato e perciò agevolato; anzi deve al meccani-  smo, guidato dall’ intelligenza, il suo grande sviluppo.   All’incontro nella produzione naturale il soggetto deve so-    stenere una lotta intensa contro il suo oggetto, la natura indo-    mita e ribelle, che può essere vinta temporaneamente ma non  definitivamente ; giacché essa offre sempre nuove difficoltà al  soggetto produttore, anzi si può dire che dai primi tempi della  \ ita umana sulla terra, queste difficoltà si sono andate sempre  accentuando. E ciò perchè, se la natura da prima, dopo uscita  dal suo stato selvaggio, dava facilmente all’ uomo i suoi pro-  dotti, col progresso del tempo gliene ha dato sempre meno, an-  che essendosi moltiplicato l’ ingegno e il lavoro dell’ uomo volto  contro di essa. E ciò mentre gli uomini si moltiplicavano ed ac-  crescevano con la loro associazione i loro sforzi per la produ-  zione agricola.   Sembra che d’ oggi innanzi il lavoro dell’ uomo contro la  natura per obbligarla a produrre ciò di cui ha bisogno diverrà  sempre più intenso ed i mezzi più necessari alla vita diverran-  no sempre più difficili a conquistare. In altri termini la lotta tra l’uomo e la natura diverrà sempre più intensa; perchè la fina-  lità di questa è in opposizione alla finalità di quello; ed una con-  ciliazione solamente è possibile alla condizione che ciascuno dei  due termini conceda all’ altro qualche cosa di sé, senza annul-  larsi, anzi sostenendosi l’ uno con l’altro. Questo fa vedere che  r uomo deve essere limitato nelle sue pretese verso la natura e  che, se questa deve dare qualche parte di sé all’ uomo, non  può e non deve dare tutta sé stessa se non a costo di annullarsi ;  perchè allora anche la natura, dominata dall’ uomo ed alla quale  questi domanda i mozzi di vita, dovrà venir meno alle sue pro-  messe, producendo in lui le più grandi delusioni.   Frattanto, mentre i prodotti dell’ industria si moltiplicano  indefinitamente e progressivamente da per tutto, in quantità e  qualità, richiedendo questa un esiguo lavoro muscolare e meno  tempo, ciò che incoraggia l’ irregimentazione dei lavoratori, tanto  più perchè questi vi hanno la promessa di una vita agiata e  comoda, quasi sempre in città, senza sospettare che un giorno  avessero a scarseggiare gli alimenti necessari alla vita, i lavo-  ratori delta terra, all’ incontro debbono sostenere una lotta lunga  faticosa ed intensa per procacciarsi di che vivere. Del valore e delle sue forme inferiori   Le attività economiche, come quelle fisiologiche, sono cosi  connesse ecl intralciate fra di loro che l'esposizione logica e siste-  matica ne riesce oltremodo difficile, Non si può trattare un a-  spetto, una categoria economica se in essa non intervengano,  sottintese o manifeste, altre categorie. Sicché da prima si può  avere una conoscenza parziale o sconnessa di alcune funzioni;  e solamente dopo che si è raggiunta la piena conoscenza di  tutte, si può principiare a vederle ordinatamente. È que.sta la  ragione della difficoltà nello spiegarsi i fenomeni economici. E  l’ordine consiste neH’universalizzazione dei vari principii e nel  1’ unificazione di que.sti in tutte le loro gradazioni, in tutti i loro  movimenti, nei loro reciproci rapporti, tanto da apparire come  lo svolgimento di un principio solo. Sotto quest’aspetto molto  importante è il principio del valore in economia politica, cosi  in quella naturale come in quella industriale; e in tutte le isti-  tuzioni umane nelle quali questo concetto interviene. Ma solo una  esposizione storica e sistematica, in che consiste la vera tratta-  zione logica della dottrina, può farcela intendere in tutti i suoi  gradi ed aspetti.   Negli ultimi tempi si è parlato di valore in materia di arte  di scienza, di filosofia, di religione; ma poiché in tali rami di  attività umana, cosi come sono stati trattati, la dottrina del va-  lore non é dedotta da un principio più univ^ersale che comprenda  e questi e tutti gli altri rami del mondo naturale ed umano,  quella trattazione riesce incomprensibile e vana. E, benché si  possa dire che la filosofia e la religione implichino la più alta  sfera del valore, pure, se esse v^engono considerate come per  sé, senza alcuna comunicazione col resto del mondo, non come   il risultato di uno svolgimento e di una storia, il concetto del  valore che da esse si può trarre non deve essere soddisfacente.  E se il valore è una categoria universale che interviene in tutti  i gradi deiressere, nel mondo metafisico, come nel fisico e nello  spirituale, in ciascun grado ha un aspetto particolare, ha qualche  cosa d'identico e di differente con la stessa categoria di valore  degli altri gradi del mondo reale. Far distinguere perciò le dif-  ferenze dall’ identità del valore in ciascun grado della realtà è  il dovere di colui che tratta questa materia.   Da prima potrebbe sembrare che la teoria del valore si  identificasse con quella del bene; ed in vero vi è molta identità  fra le due categorie. Però del bene i filosofi e i moralisti hanno  dato più un concetto comprensivo che analitico e storico; ed  alcuni Tànno identificato con Dio stesso, il sommo bene. Essi  hanno anche fatto notare la varietà dei beni che sono nel  mondo e l'ànno anche sistematizzati; hanno messo il bene e tutti  i gradi di esso in correlazione col male e con tutti i mali pos-  sibili. Ma la dottrina del valore include quella del bene e del  male insieme, però le compie, mettendole in una posizione dua-  listica ed unitaria insieme, quasi drammatica; scinde cioè la ma-  teria in due termini in lotta fra di loro, rorganismo e il mondo  esterno che ha valore per quello, può cioè tornargli a bene ;  vede una dualità tra l'anima, la mente e il mondo esterno. E se  nella prima zona Torganismo vivente deve accettare e subire il  mondo esterno quale è, pure reagendo contro di esso; nella se-  conda zona r anima e la mente possono modificare per sè il  mondo esterno, elevandolo; o produrre addirittura qualità nuo-  ve neiroggetto.   %   E questo l’aspetto nuovo ed originale della dottrina del va-  lore, il cui regno in verità é quello della vita organica, vegetale  ed animale, le zone cioè superiori della natura; ed anche quello  deH’aniraa umana, nelle sue attività inferiori e nelle superiori,  intellettive, pratiche ed anche creative, che sono i gradi più  eminenti del mondo umano. L’attività umana perciò diventa essa  stessa una forma altissima di bene, il bene attivo, limitrofo a Dio  stesso: non il bene immobile che può anche menomare se stesso  e il suo termine opposto che presuppone e per cui è ; può pro-  durre cioè il male, dal quale può, è vero, di nuovo nascere il  bene che rientra nella sua ricostituzione storica e progressiva.  Ma, se r organismo e la mente rappresentano il regno e la  vitalità del valore, essi non esauriscono tutta la natura; vi è  in questa qualche cosa che essi presuppongono, senza di che  non potrebbero essere e muoversi; e che si può dire il loro  presupposto. E se si va a fondo nello studio della natura questo  che noi chiamiamo presupposto si risolve in una serie di pre-  supposti, una serie di gradi di cui ciascuno è presupposto e  presuppone altri. E questa è pure un’ ampia zona del valore  che si può dire puramente naturale, la quale, studiata, apparisce  come l’unità e la sistematizzazione di altre sottozone. Si ha cosi  la zona fisica la quale comprende e quella della materia e quella  delle forze. Sembra a prima vista che questa sia come chiusa  in sè ed isolata dal regno della vita e perciò fuori il mondo  del valore. Forme superiori del valore   Il processo ascensivo e discensivo, chimico, minerale, il quale,  non bisogna dimenticarlo, è sempre un processo di elevazione  e di menomazione insieme del valore, diventa più intenso in  quella sfera più elevata della chimica che è 1’ organica in cui  entra in composizione il carbonio. Pure quest’ attività è relativa-  mente qualche cosa di semplice se si studia in sostanze singole  che sono fuori dell’ organismo vegetale ed animale o estratte  da questi. Ma se si .studia entro di questi, l’ intensità trasforma-  trice del movimento chimico e di valore organico diventa stra-  ordinariamente complessa, quantunque questa complessità sia  minore nella pianta e maggiore nell’ animale. In quella è con-  siderato il lavorio complicati vo mentre è vivente; e con la morto  si ha il lavorio analitico. Nella vita interna dell’animale albi  contro intensissimo è il lavorio di scomposizione, come è quello  di composizione e di reintegramento, in tutti gli atti della vita,  sia considerata in ciascuna cellula e in ciascuna fibra che in  ciascun organo o sistema e nell’ unità funzionale di questi. Qui  il concetto del valore, cosi in ciascuno elemento della vita,  come in ciascun organo e tessuto e nell’ insieme dell’organismo  vivente, diviene di tanta molteplicità, complessità e varietà, che  la mente umana non può seguirlo in tutti i suoi elementi e in  tutti i suoi intimi processi.   Vi è una più alta regione della natura, rappresentata dalla  vita animale e vegetale nel loro insieme, come si svolge nel  mare dove vivono insieme piante ed animali in lotta fra loro;  e sulla superficie della terra che è rappresentata dal bosco nel  cui mezzo gli animali vivono e prosperano, come è avvenuto  nelle epoche primitive della natura vegetale ed animale. Qui     •V   ciascun animale, ciascuna pianta, è un elemento della vita na-  tumle, animale e vegetale, nel suo insieme e nella sua univer-  salità, nella quale si può riscontrare, in proporzioni ancora vaste  ed universali, il processo di elevazione e di riduzione, che si ha  in ciascuno organismo vivente, onde piante e generazioni di  piante muoiono ed altre nascono, come animali e generazioni di  ammali muoiono ed altri nascono ; ed alcuni servono di cibo  (hanno un valore) per altri : la corruzione degli uni è la vene-  razione degli altri. Ma per la vita vegetale ed animale hanno  un valore ancora il clima, le condizioni atmosferiche, le condi-  zioni del suolo ed anche le condizioni storiche di questo; giac-  che la vita vegetale ed animale nella loro lunga storia, come  elidono a modificare lo stato del terreno, contribuiscono ancora  a modificare la vita vegetale ed animale, onde animali si nu-  trono m modo più 0 meno rigoglioso di piante e di altri ani-  mali ; e la dissoluzione delle piante e degli animali rende più  energica la vitalità delle piante.   hin qui vi ò un processo puramente inconscio di movimenti  naturali e di elementi, di cui gli uni hanno valore per gli altri,  -la, benché l’animale distingua ciò che può avere un valore  Ku- lui (positivo 0 negativo), come l’alimento, l’acqua, la tana,   .1 c ura pei figli, la ricerca del clima a lui propizio, la fuga dai  leiicoli, alcune di queste cose sono un prodotto puramente na-  urale, che l’animale trova d’ innanzi a sé; solo alcuni animali  ivendo il potere limitato di costruirsi il nido e la tana • altre  i Olio tenomeni istintivi. ’ Apparso l’uomo con l’intelligenza di cui è dotato, che egli  < sercita e sul mondo circostante e su sé stes.so, il suo organismo  I sua anima, e tutto ciò che ha fiuto suo, nel mondo esterno  Ultra la natura e gli elementi che la costituiscono, acquistano  I 11 pili alto valore. Studiando sé stesso, egli non può non av-  ' crtire e scoprire i bisogni, le lacune che si generano conti-  1 uamento nel suo organismo e nel campo della sua mente; e  con la sua intelligenza prevede i bisogni avvenire. Nello stesso  t ‘inpo, essendo messo in rapporto col mondo esterno, egli studia  questo negli elementi, nelle qualità e proprietà, che lo costitui-  s-ono, nei suoi movimenti; cerca di adattarlo a sé ; e non solo  d colmare i suoi bi.sogni per mezzo di qualche cosa, di qualche   elemento di esso; ma anche di elevare il proprio benessere, di  assicurarlo per sè ed i suoi per l’ avvenire. Tutto questo processo  è avvenuto dal principio della storia dell’ uomo sulla terra e si  è andato progressivamente affermando, intensificando e svolgen-  do, sino a noi. E non solo non si è arrestato ; ma con lo studio  progressivo della natura, nella sua materia e nelle sue forze,  .sembra voglia assumere proporzioni più vaste anche nel nostro  tempo in cui non si lascia nulla di tentare e di studiare per  applicarlo al miglioramento ed al progresso umano.   Questo lavoro l’uomo ha compiuto empiricamente ed incon-  sapevolmente dai primi tempi ; e più tardi in modo più o meno  scientifico, organico e progressivo. Cosi deve essere inteso il  progresso che l’ umanità ha fatto nel campo del sapere. A questo  progresso nel regno della conoscenza si è andato sempre asso-  ciando un progresso nell’ attività pratica la quale è divenuta  anche materia di studio per l’ uomo ; questi due ordini di  attività essendo 1’ uno indivisibile da 1’ altro e 1’ uno stimolando  1 altro nel suo sviluppo. A questo processo coiioscitivm e pratico,  che implica un lavoro distintivo delle cose si è associato un  progresso nel linguaggio. Ad ogni atto distintivo o cosa distinta  applicandosi una nuovni parola, ciò ha contribuito al lavoro di  associazione e di conservazione delle conoscenze e delle atti-  vità umane.   Sarebbe un lavoro importante ma lungo seguire questo  fenomeno nella storia, per cui si è riconosciuto un valore ad un  dato minerale, ad una data pianta o animale, che hanno con-  tribuito alla soddisfazione di un bisogno organico o al mantelli  mento della vita o a dare certe comodità. Si è riconosciuto nelle  parti di alcune piante e nelle sostanze animali un valore nutri-  tivo e conservativo. E il primo valore che l’uomo ha cercato  nelle cose è stato quello che ha potuto contribuire a mantenerlo  in vita, come ha tatto 1 animale. Sono state cioè le cose neces-  sarie che egli ha cercato. Fatto sicuro del vivere, egli ha cercato  a ben vivere; quindi la ricerca e 1’ uso delle cose utili. Ma, ac-  canto a questa attività, si è sviluppata quella inventiva, per cui  egli, aiutato sia dal suo ingegno che dalle scoperte scientifiche,  ha cercato di costruire istrumenti, congegni, apparecchi e più  tardi, macchine, che contribuissero a modificare le inatGrie che    I     — 80 —   dovessero essergli utili. Sicché da una parte ha impiegato le  sue attività intellettive a scoprire, nei regni delia natura, ele-  menti, sostanze, energie, che potessero giovargli, dall’altra ha  cercato di trovare i mezzi per servirsene.   Queste attività dal loro più primitivo inizio nella storia  sino a noi, attraverso i millenni, si sono andate svolgendo ed esten-  dendo con l’estendersi delle comunicazioni e delle associazioni  umane. Sarebbe una ricerca importante seguire nella storia il  processo per cui 1’ uomo, singolo da prima, ha trovato un’utilità  in un dato animale, in una pianta o in un minerale. Si può rin-  tracciare questo cammino nelle letterature antiche, medioevali e  moderne di tutte le nazioni; giacché in varie epoche si vedono  nominati speciali metalli, piante ed animali, ai (]uali o alle parti  dei quali 1 uomo ha attribuito un valore e di cui si é servito. Così  l’uomo mano a mano ha aggiunto al valore delle cose, latente ed  inconscio, un nuovo valore. E, se da prima questo era qualche  cosa di limitato, più tardi al primitivo valore si sono aggiunti  nuovi valori, nuovi usi della cosa; nuovi congegni si sono in-  ventati, nuovi metodi si sono adoperati per poter estrarre la  cosa, modificarla, farla servire ai vari usi della vita ; metterla  in commercio affinché tutti gli uomini ne godano. Tanti metalli  e metalloidi che dalle epoche primitive della natura erano se-  polti nelle viscere della terra, aventi una semplice potenzialità  di valore chimico, vengono disseiipelliti dall’ uomo ed ai quali  la civiltà moderna dà alte attribuzioni economiche, come l’oro,   1 argento, il ferro, il rame, il solfo, il carbonio, ecc. Hi sa che  se presentemente ipiesta sola unica sostanza, il carbonio, veni.sse  a mancare, tutto il ritmo della vita contemporanea verrebbe  arrestato ; giacché é un istrumento di moltiplicissime attività  tisiche, meccaniche, chimiche e perciò, si può dire, rende possi-  bile la vita economica del nostro tempo. Ma questi bisogni ac-  ciescono 1 attività umana la quale si volge a rintracciare le  •sostanze di cui ha bisogno, da per tutto, cosi sulla superficie  ionie nelle vi.scere della terra. Anche le forze fìsiche le quali  prima erano in balla della natura, come le forze meccaniche,  il calorico, la elettricità, .sono state non solo conquistate e domi-  nate dall’uomo ma ancora dirette e specializzate per la produzione  di certi dati movimenti, beni o comodità della vita. La forza       V     meccanica e l’elettricità hanno dato un impulso straordinario  alla civiltà odierna. Più tardi 1’ uomo crea e dà certe attribuzioni di valore alle cose, come fa con la moneta, tanto necessaria  al mondo economico. Inoltre il v^alore acquista un nuovo e più  alto contenuto ed un significato nuovo nel mondo psicologico  ed artistico, come nella sfera religiosa. Ma in queste ultime e  così alte sfere dell’attività umana tale dottrina merita una trat-  tazione a parte. Nicolò Raffaele Angelo D’Alfonso. N. R. D’Alfonso. Nicolò d'Alfonso. Keywords: principii economici dell’etica, valore superiore, valore inferiore, economia, principio di economia di sforzo razionale – scambio, exchange – worth, assiologia, valore economico, l’economia di Platone, l’economia di Aristotele, linceo, dissertazione su Kant ai lincei – naturalismo economico – no positivista – critica a la psicologia criminologica positivista, Amleto, lo spettro di Amleto, Macbeth. Linguaggio e mente, il sole luminoso, l’oggetto rotondo, la pianta fiorisce – logica reale – psicologia del linguaggio, la storia del linguaggio, storia e prestoria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alfonso” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688359432/in/photolist-2mPpb7N-2mPpBQV-2mNzeEc-2mNb8t7-2mMQbzj-2mMJpgU-2mLQc9e-2mLP9qE-2mLQ1Vx-2mKy2vb-2mLK4N4-2mLQCG1-2mLDz3J-2mPu6xB-2mKDXUP-2mKFZMJ-2mKwv6q-2mKMa8P-2mKQDnb-2mKC3nj-2mKNtmY-2mKHdnD-2mKwdUT-2mKw3hq-2mPoBGn-2mPvmTf-2mKCfz1-2mKAsyK-2mKwmsU-2mKCdPg-2mKM4Dx-2mPYoE5-2mKPWrs-2mKLYsa-2mKN88B-2mKDteh-2mKxnN1-2mKCnei-2mKj2vX-2mKk6t5-2mKgT2F-2mJPC2N-2mDZZD3-BT3zr9-BLF8zr-naLzwu-naN7ba-ns1euc-ns1kPM-naLwMj/1

 

Grice ed Algarotti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Grice: “You’ve got to love ‘il conte Algarotti’; he is the typical Italian philosopher of language, relishing on ‘la bella lingua,’ by which they do not mean the Roman! “La Latina, in bocca di un popolo di soldati, e concise e ardimentosa.’” Grice: “Algarotti thinks that the Florentines have enriched it – ‘Imagine Aligheri in Latin!” – Grice: “All that should be lost on Oxonians, but it ain’t!” – Consider ‘conciseness.’ One of my conversational maxims is indeed, ‘be concise, i. e. or viz., avoid unnecessary prolixity [sic].” – So, if the Roman tongue was the tongue of soldiers, and a soldier needs to be concise in communicating with another soldier – The justification of the maxim is in the practice of ‘soldiering.’ With ‘ardimentosa’ we have moer of a problem!” – Grice: “In any case, Algarotti’s excellent point is that each conversational maxim has its root in the practice of the corresponding conversants!” -- Grice: “Nobody can fail to be enchanted by the drawing by Richardson of Algarotti!” -- essential Italian philosopher. Grice: “I don’t have a monicker, but Algarotti had two: il cigno di Padova and il Socrate veneziano. Filosofo. Spirito illuminista, erudito dotato di conoscenze che spaziavano dal newtonianismo all'architettura, alla musica, era amico delle personalità più grandi dell'epoca: Voltaire, Jean-Baptiste Boyer d'Argens, Pierre Louis Moreau de Maupertuis, Julien Offray de La Mettrie. Tra i suoi corrispondenti vi erano Lord Chesterfield, Thomas Gray, George Lyttelton, Thomas Hollis, Metastasio, Benedetto XIV, Heinrich von Brühl, Federico II di Prussia.   Saggi, 1963 (testo completo) Nacque da una famiglia di commercianti. Dopo un primo periodo di studio a Roma continua gli studi a Bologna, dove affronta le diverse discipline scientifiche nella loro vastità. Si trasfere a Firenze per completare la propria preparazione letteraria.  Inizia a viaggiare, raggiungendo Parigi. Presentare il proprio newtonianismo, opera di divulgazione scientifica brillante. L'opera fu prima apprezzata, e poi denigrata da Voltaire, che dal lavoro del suo caro cigno di Padova — come era solito appellarlo — trasse alcuni temi dei suoi Elementi della filosofia di Newton. Voltaire e Algarotti si erano conosciuti personalmente a Cirey nello stesso periodo in cui l'italiano preparava il saggio. Dopo il periodo trascorso in Francia, Algarotti si reca in Inghilterra, per soggiornare per qualche tempo a Londra, dove fu accolto nella Societa Reale. Tornato in Italia si dedica alla pubblicazione del Newtonianesimo. Dopo un breve ritorno a Londra, andò a visitare alcune zone della Russia (fermandosi in particolare a San Pietroburgo) e della Prussia.  Quando il re Federico si recò a Königsberg a incoronarsi, Algarotti si trova in mezzo gli applausi e il giubilo di quella potente e valorosa nazione misto e confuso coi principi della famiglia reale, e stette nel palco col re, spargendo al popolo sottoposto le monete con l'immagine di Federico. Fu in tale congiuntura che questi conferì a lui, quanto al fratello Bonomo e ai discendenti della famiglia Algarotti, il titolo di “conte”, meno vano quando è premio del sapere, e lo fece suo ciambellano e cavaliere dell'ordine del merito, mentr'era alla corte di Dresda col titolo di consigliere intimo di guerra. Dal momento che conosce Federico né l'amicizia, né la stima del re, né la gratitudine, la devozione e il sincero affetto del cortigiano vennero meno, né soffersero mai alcuna alterazione. L’amicizia fra Algarotti ed il re e estesa anche alla sfera più intima. Il re lo volle non solo a compagno degli studi e dei viaggi, ma altresì dei suoi più segreti piaceri, essendoché della corte di Potsdam, ora fa un peripato, ed ora la converte in un tempio di Gnido, il che significa: in un tempio di Venere. Utilizza la propria influenza anche a favore degli oppositori filosofici a Venezia, Bologna, e Pisa. Altre opere: “Viaggi di Russia”; “Il Congresso di Citera” -- un romanzo dedicato ai costumi galanti e amorosi rivisitati secondo quanto osservato nei diversi luoci in cui soggiorna. Altre opere: edizione in 17 volume con indice analitico – reproduzione anastatica -- Poesie -- Epistole in versi -- Annotazioni alle epistole -- Rime giusta l'ediz. di Bologna -- Elegia ad Francisci Marive Zanotti Carmina -- Dialoghi sopra l'ottica Neutoniana -- Breve storia della Fisica ed esposizione dell' ipotesi del Cartesio sopra la natura della luce e de' colori. I principi generali dell'ottica -- La struttura dell'occhio e la maniera onde si vede ; e si confutano le ipotesi del Cartesio e del Malebranchio intorno alla natura della luce e de colori -- Esposizione del sistema d'ottica neutoniano. Il principio universale dell'attrazione -- Applicazione di questo principio all'ottica -- Si confutano alcune ipotesi intorno la natura de colori, e si riconferma il sistema del Neutono -- Opuscoli spettanti al neutonianismo. Caritea, ovvero dialogo in cui spiega come da noi si veggano dritti gli oggetti che nell'occhio si dipingono capovolti e come solo si vegga *un* oggetto, non ostante che negli occhi se ne dipingano *due* immagini -- Dissertatio de colorum immutabilitate eorum que diversa refrangibilitate -- Memoire sur la recherche entreprise par m. Du fay, s'il n'y a effectivement dans la lumie re que trois couleurs primitives -- Sur les sept couleurs primitives, pour servir de réponse à ce que m. Dufay a dit à ce sujet dans la feuille du Pour et contre -- Le belle arti -- L'Architettura --  La Pittura -- L'Accademia di Francia ch'è in Roma. L'opera in musica. Enea in Troja. Ifigenia in en Aulide: opera -- Sopra la necessità di scrivere nella propria lingua -- La lingua francese -- La Rima -- La durata de' regni de' re di Roma -- L'impero degl'incas -- Perchè i grandi ingegni a certi tempi sorgono tutti ad un trat o e fioriscono insieme -- se le qualità varie de' popoli originate sieno dall' influsso del clima, ovveramente dalle virtù della legislazione -- Il gentilesimo. Il Commercio -- Cartesio -- Orazio -- La scienza militare del segretario fiorentino. Discorso militare -- La ricchezza della lingua italiana ne' termini militari -- Se sia miglior partito schierarsi con l'ordinanza piena oppure con intervalli -- La colonna del cav. Folfrd -- Gli studj fatti da Andrea Palladio nelle cose militari -- L'impresa disegnata da Giulio Cesare contro a' Parti -- L'ordine di battaglia di Koulicano contro ad Asraffo capo degli Aguani. L'ordine di battaglia di Koulicano a Leilam contro Topal Osmano. Gl'esercizi militari de' prussiani in tempo di pace -- Carlo XII re di Svezia -- La presa di Bergenopzoom. La potenza militare in Asia delle compagnie mercantili di Europa -- L'ammiraglio Anson -- La scienza militare di Virgilio -- La guerra insorta l'anno MDCCLV tra l'Inghilterra e la Francia -- Il principio della guerra fatta al re di Prussia dall' Austria, dalla Francia , dalla Russia , etc. -- Gl'effetti della giornata di Lobositz -- La condotta militare e politica del ministro Pitt -- Il poema dell'arte daila guerra -- Il fatto d'armi di Maxen -- La pace conchiusa l'anno MDCCLXII tra l'Inghilterra e la Francia -- La giornata di Zamara -- Viaggi di Russia -- Storia metallica della Russia -- Lettere a milord Hervey sopra la Russia -- Lettere al marchese Scipione Maffei sullo stesso argomento -- Congresso di Citera -- Giudicio di Amore sopra il Congresso di Citera -- Vita di Stefano Benedetto Pallavicini -- Sinopsi di una introduzione alla Nereidologia -- Lettera sopra il prospetto o Sinopsi della Nereidologia . 387 Risposta dell' Autore -- Gl'effetti dell'invasione dei goti e de'vandali in Italia -- Le Accademie -- Michelagnolo Buonarroti -- Gl'italiani -- Il passaggio al sud per il norte -- L'industria. Gl'inglesi -- Bernini -- Metastasio -- Gl'abusi introdottisi nelle scienze e nelle arti -- Le donne celebri nella letteratura -- La difficoltà delle traduzioni -- Il commercio -- Fontenelle -- La forza della consuetudine -- L'utilità dell' Affrica per il commercio -- Il secolo del seicento -- Ovidio -- Cicerone -- Plutarco -- I romani -- L'etimologie -- I  principi dotti -- L'eleganza nello scrivere del Vasari e del Palladio -- Galilei -- La maniera onde si venre a popolar l'America -- Dante Alighieri --  La lingua francese -- Voltaire -- Euclide -- Le misure itinerarie degli antichi -- La questione della preferenza tra gli antichi e i moderni -- Il secolo presente -- Omero -- Lettere di Polianzio ad Ermogene intorno alla traduzione dell'Eneide del Caro -- La Pittura -- Descrizione dei quadri acquistati per la Galleria di Dresda -- La prospettiva degli antichi -- Pitture ed altre curiosità di Parma -- Pitture di Mauro Tesi -- Pitture di Cento -- Pitture di Bologna -- Pitture di varie città di Romagna -- L'Architettura -- Un'antica pianta di Venezia, prete so intaglio di Alberto Durero -- L'uso dello appajar le colonne -- L'origine delle basi delle colonne -- Descrizione dei disegni di Palladio ed altri per la facciata di s. Petronio di Bologna -- Delle antichità ed altri edifizj di Rimini -- Delle cose più osservabili di Pisa -- Progetto per ridurre a compimento il R. Museo di Dresda -- Argomenti di quadri dati a dipingere a' più celebri Pittori moderni per la R. Galleria di Dresda -- Lettere scientifiche -- Lettere erudite -- Il Cesare tragedia di Voltaire -- EUSTACHIO MANFREDI -- Saggio tritico sulle facoltà della mente umana dello Swift -- L'opera de natura lucis del Vossio -- Omero -- I poemi del Tasso -- Milton -- La traduzione di Omero fatta dal Salvi -- Il poema le Api del Rucellai -- Iscrizioni ed epitaffj rimarcabili -- Sandersono -- Iscrizioni per la chiesa cattolica di Berlino -- Le traduzioni delle sue opere -- Il moto dell'apogeo della luna -- Le comparazioni -- Gli Scrittori italiani del cinquecento -- L'ANTI- LUCREZIO del card. di Polignac -- Gl'abitanti del Paraguai -- Alcuni plagiati de' francesi -- Le cose che i irancesi hanno imparato dagl'italiani -- L'invenzione degli specchj ustorj di Buffon -- L'Edipo di Sofocle -- L'ULISSE del Lazzarini -- L'elettricità -- Il CATONE dell' Addison -- Elogio di Giovanni Emo -- I fosfori -- La doppia rifrazione de' prismi di cristallo di rocca. -- La diffrazione della luce . 355 rocca -- Le Poesie di Gio: Pietro Zanotti -- Pope -- Lo stile di Dante -- L'opinioni del Rizzetti intorno la luce -- La stranezza di alcuni paralelli -- Il poema di Milton -- Il libro De orli et progressu morum del p. Stellini -- Elogio del Caldani -- Gl'influssi della luna -- L'abuso della filosofia nella poesia -- Il Poema del Trissino -- La maniera di seminare insegnata da Alessandro del Borro -- L'operetta Il Congresso di Citera -- Pregi degli scrittori toscani -- Le due tragedie di Mason r Elfrida ed il Carattaco -- L'odi di Tommaso Gray -- La necessità di arricchire di voci toscane il dizionario della Crusca -- La deformità di Guglielmo Hay. Il gnomone di Firenze rettificato dal p. Ximenes -- Storia de' Dialoghi dell' Autore sopra la luce e i colori -- L'origine dell'Accademia della Crusca -- Carteggio con Mauro ('Maurino') Tesi -- Lettere ad Eustachio Zanotti -- Lettere all'ab. Antonio Conti -- Carteggio con il p. d. Paolo Frisi. Lettere. Di Eustachio Manfredi al co. Algarotti -- Di Giampietro Zanotti al co. Algarotti -- Di Francesco Maria Zanotti al co: Algarotti -- Del co: Algarotti a Giampietro Zanotti -- Del co : Algarotti a Francesco Maria Zanotti -- OPERE INEDITE . Lettere . Di Francesco Maria Zanotti al co : Algarotti -- Di Eustachio Zanotti al co: Algarotti -- Della marchesa Elisabetta Ercolani Ratta -- Del co: Algarotti a Francesco Maria Zanotti -- Dell' ab. Metastasio al co: Algarotti -- Dell' ab . Frugoni -- Di Alessandro Fabri -- Di Flaminio Scarselli -- Di Benedetto XIV. Sommo Pontefice . -- Del co: Agostino Paradisi -- Del co: Giammaria Mazzuchelli -- Di mons. Michelangelo Giacomelli . 361 Del co: Algarotti a Flaminio Scarselli -- Del co: Algarotti a Benedetto XIV -- Del co: Algarotti al co: Giammaria Mazzuchelli . Dell ab . Clemente Sibiliato al co : Algarot -- Dell'ab . Saverio Bettinelli -- Del consigliere don Giuseppe Pecis -- Di Gio: Beccari -- Del marchese Scipione Maffei -- Del co: Aurelio Bernieri -- Del co : Paolo Brazolo . 277 , 279 Di Lodovico Bianconi.. 282 , 296 , 308 Del padre Paolo Paciaudi . 285 Del marchese Gio: Poleni. 288 Di Antonio Cocchi . 291 Del doge Marco Foscarini . 293 Dell' ab . Giammaria Ortes . 315 Del marchese Girolamo Grimaldi . 317 Dell' 300 , 6 GENERAL E. pag. 320 354 387 Dell' ab. Metastasio . Del padre Jacopo Belgrado . 335 Di Giovanni Bianchi . 338 Di Tommaso Temanza . 342 , 345 , 348 Del padre Antonio Golini . 350 Dell'ab. Gaspero Patriarchi. Di Giuseppe Bartoli . 369 Del co: Girolamo dal Pozzo . 373 Del marchese Bernardo Tanucci . 383 Dell'ab . Spallanzani . Di Jacopo Martorelli. 439 Del canonico Andrea Lazzarini. 443 Del co: Algarotti all'ab. Sibiliato . 3 Del co : Algarotti all'ab. Bettinelli -- Del co: Algärotti al consigliere Pecis --Del co : Algarotti al co : Aurelio Bernieri. -- Di Federico II. Re di Prussia al co: Algarotti -- Del Principe Guglielmo di Prussia -- Del Principe Ferdinando di Prussia -- Del Principe Enrico di Prussia -- Del Principe Ferdinando di Brünswic -- Del cardinale di Bernis -- Del sig. du Tillot . Del co: Algarotti a Federigo II -- Del co: Algarotti al Principe Guglielmo -- Del co: Algarotti al Principe Ferdinando -- Dello stesso al Principe Enrico -- Dello stesso al Principe Ferdinando di Brünswic -- Dello stesso al cardinale di Bernis -- Della marchesa di Châtelet . pag. 3 a 61 Di Voltaire -- Di Maupertuis -- Di Formey -- Di madama Du Boccage -- Del.co: Algarotti a Voltaire -- Del co : Algarotti a Formey -- Dello stesso a madama Du Boccage -- Di mad. Du Boccage al co: Algarotți --  Del co. Algarotti alla stessa -- Del triumvirato di CRÀSSO, POMPEO E CESARE.  Fu sepolto nel camposanto di Pisa in un monumento di stile archeologizzante, tradotto in marmo di Carrara. L'epitaffio è quello che per lui dettò il re di Prussia: “Algarotto Ovidii aemulo” --  Neutoni discipulo, Federicus rex". Algarotti medesimo si era preparato il disegno del sepolcro e l'epitafio, non già per orgoglio, ma spinto dal sacro amore del bello che anche in faccia alla morte non poteva intiepidirsi nel suo petto. Aperto al progresso e alla conoscenza razionale, esperto del bello (si prodiga come fautore di Palladio), fu rispetto alla filosofia un grande assertore delle teorie di Newton, sul conto del quale scrisse uno dei suoi più noti saggi, Il newtonianesimo. Viene considerato una sorta di Socrate veneziano e per comprendere la sua statura di insigne filosofo con un'infinita sete di sapere e divulgare è sufficiente porsi davanti al suo innumerevole campo di interessi. Al di là del suo ruolo di spicco nell'illuminismo filosofico, fu anche un diplomatico e un procacciatore d'arte. In particolare viaggia cercando antichita romani per conto di Augusto III di Sassonia. È noto che fu a comprare a Venezia il capolavoro di Liotard, il pastello de La cioccolataia, che poi divenne una delle perle a Dresda. Di bell'aspetto, dotato di un aristocratico naso aquilino (esiste al Rijksmuseum uno suo ritratto a pastello, sempre di Liotard, nel Saggio sopra Orazio non perde occasione di far notare come questi fosse ambi-destro, e tanto lodava i vantaggi di questa disposizione, che c'è chi suppone che egli la condividesse. Ebbe a filosofare praticamente su tutto, affrontandocon l'acuta attenzione dello scienziato presso ché ogni aspetto dello scibile umano. Basti ricordare i saggi “Sopra la pittura”; “Sopra l'architettura”; “Sopra l'opera in musica”; “Sopra il commercio”; “Poesie”. Il demone ben temperato. tra scienza e letteratura, Italia ed Europa, Sinestesie,  Note  Umberto Renda e Piero Operti, Dizionario storico della letteratura italiana, Torino, Paravia, 195226.  Ugo Baldini, BRESSANI, Gregorio, in Dizionario biografico degli italiani,  14, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Algarotti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Algarotti, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Francesco Algarotti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Algarotti, su Find a Grave.  Opere di Francesco Algarotti, su Liber Liber.  Opere di Francesco Algarotti / Francesco Algarotti (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Francesco Algarotti, . Spartiti o libretti di Francesco Algarotti, su International Music Score Library Project, Project Petrucci LLC.  Progetto per ridurre a compimento il Regio Museo di Dresda su horti-hesperidum.com. Sito Algarotti dell'Treviri, su algarotti.uni-trier.de. La casa di Francesco Algarotti è aperta da settembre  come alloggio turistico. Algarotti e Palladio , su cisapalladio.org. Il newtonianismo per le dame, su google.com. Opere del conte Algarotti, su google.com. Corrispondenza con Federico II di Prussia (testo francese e tedesco) V D M Illuministi italiani --  LGBT  LGBT Letteratura  Letteratura Teatro  Teatro Categorie: Scrittori italiani del XVIII secoloSaggisti italiani del XVIII secoloCollezionisti d'arte italiani Venezia PisaTeorici del restauroIlluministiScrittori trattanti tematiche LGBTMembri della Royal SocietyViaggiatori italianiMercanti d'arte italiani. Il conte Algarotti adunque per più ragioni, secondo che egli dice, entra in pensiero, che della metà a un di presso s'avesse ad accorciar la durata de’ regni de’ re di Roma. Alcune di queste possono considerarsi come certi sguardi, che getta ad un traito sopra tutto il corso degli anni, che. E per trattare ordinatamente la quistione reputo necessario l'accennare prima ditutto il cammino, che ho avvisato dover battere per giungere al vero. Breve lavoro sarebbe pertanto i l rispondere alle opposizioni della prima maniera, che fa contro le epoche dagli antichi fissate alla storia de' re, in ispecie a quelle, che sono in principio del suo saggio, le quali sono tratte, direi cosi, dalla sola natura del soggetto. P r ciocchè alcune ch'egli aggiugne in fine del suo saggio, quantunque risguardino in genere tutto il tempo della durata de' sette regni, contuttociò tratte sono dagli avvenimenti narrati dagli storici, e sono come un  fidicono passati. Sotto cotesti Re. Altre, e queste sono in maggior copia, risguardano più particolarmente ciascun regno, e s'in gegna con tutto questo di dimostrare, com e i fatti, che dagli storici, e principalmente da Livio ci furono tramandati, facciano guerra alle epoche assegnate da esso altri scrittori di quelle storie; le quali ragioni io non istimo Livio medesimo, e dagli essere di tal peso, che s'abbia -perciò ad infringere l'autorità degli storici, ed abbre viare della metà circa la durata de'mentovati Regni .  un risultato delle osservazioni sue sopra ciascun regno. Ma riesce poi più lunga faccenda il togliere quelle contraddizioni, e ripugnanze, che dice ritrovarsi tra i fat tiregistrarinegli annali  degli storici, e le epoche da elli assegnate. Ben è vero, che per questo rispetto chi volesse restringersi unicamente a mettere la cosa in dubbio, quella stessa facilità, con cui prese per guida que’.foli Storici, che gli andavano a grado, e fece scelta di que ' foli luoghi di questi, che gli erano favorevoli, potrebbe appigliarsi ad altro Scrittore, oppure ammertendo gli stesii sceglier da quelli que'luoghi (che al certo non gli mancherebbono), i quali favorissero l'antico cronologico sistema. Ma questo sarebbe porre folianto, c o m e disli, in dubbio la cosa ; anzi il far vedere , che non mancano testimonianze in favore sia dell'una , che dell'altra opinione , riuscireb be di non poca confusione , e darebbe a credere a' poco avveduti , che la quistione definir non sipossa. Onde io credo, che far si debba un passo più oltre , vale a dire non appagarsi di ridur la cosa a tal segno soltanto ,che vengano ad indebolirfi le ra gioni addotte dal Conte Algarotti contro l'antico Cronologico Sistema , per m o d o che non    che per l'altra , o pure anche che venga non fiavi per una parte ragion più forte , a rendersi più probabile l'antico Sistema, m a di più innalzarlo al grado delle cose più fi cure , che affermar si possano di quella pri ma età di Roma :ilche per recare adef fetto si dovrebbono esaminare le qualità , ed il particolarcaratteredi ciascuno degli Sto rici , che scrissero gli avvenimenti di que' secoli, e confrontandone i luoghi, far ragio ne dal tempo , in cui vissero , dal fine,per cui presero a dettare le loro Storie , in s o m m a adoperarsi per conciliarli fra di loro , ed accertarsi per mezzo di una sana Critica della verità de'fatti, onde chiaramente siscopra, se questi, ove sieno ben accertati , sieno poi tali , che all'epoche ripugnino . Ora adunque seguendo lo stesso ordine te nuto dall'Autore nelSaggio suo , allorchè mi sarò ingegnato di rispondere a quelle g e n e rali opposizioni , ch'egli fa, e dopo che avrò delineato non dirò già un ritratto , m a un lieve abbozzo de'tre principali Scrittoridelle Storie di Roma sottoi Re , mi farò distin tamente ad esaminare quelle irragionevolez ze ; ed anche ripugnanze, com'ei le chiama , per cui stimò doversi abbreviar ciascun R e gno , e per conseguente di molto , cioèdella  i b metà   metà forse, doversi scemar la durata di tutti fette iRegni . Si risponde ad alcune obbiezioni , che fa il Conte Algarotti coniro l'antico dero  no , CAPO Cronologico Sistema. P e r farci a considerar quelle ragioni, che adduce prima di tutto l'Autor nostro nel suo Saggio , e che tutta la quistione abbraccia fa d' ilpremettere , uopo , e che gli mette troppo bene a conto , ed è che i fatti fieno staticonservati illesi dalla semplice tradizione , che tro egli chiama vaga , senza ajuto degli A n nali ,i quali perirono nelle fiamme, cui die 1 noftri ultimi tempi alcuni Letterati Francesi dell'antica avanti Pirro osservato Storia molti luoghi avendo Roma farono doverne dubitar della certezza nel qual dubbio se fosse per avventura 'egli en trato , non opporre che , essendo il tutto dubbioso egualmente egli un partito Ora è da avvertire prender che a questi di sottilmente, p e n più ragionevolmente potrebbe i fatti dagli Storici narrati all'epo di mezzo per al  dero in preda i Galli la Città di Roma , e le epoche sieno state interamente distrutte da quell'incendio , nè per quelte sole tradi zioni veruna valendo , abbiano dovuto gli Storici posteriori immaginarsele a senno loro. Il qual partito , soggiugne il noitro Autore , ben volentieri presero essi, trovando modo di appagar con questo quel natural deside rio,che,nonmeno diciascuna famiglia, ha ciascun popolo di spingere, come e'fece ro , tant'oltre quanto poterono nella oscuri rità de'tempi la propria origine . E quello che è più lidà a credere,che a ciò fare giustificati fossero dalla opinione , la quale ei dice ch'essi aveano , che tante generazio ni corressero quanti Re ; onde circa tre R e gni largamente in ogni secolo si avessero a porre , essendo ogni generazione di trentatrè anni : laddove egli pensa , che più brevi di molto sieno di Regni , non giungendo questi l'uno fagguagliato coll'altro se non ai di. ciotto o vent'anni , secondo che scrisse il Neurone (a), la qual legge , segue egli a dire , si vede confermata in quella unga fe rie d'Imperadori , che da Yao infino a ' di b2 (a) “The Chronology of the ancient kingdoms of Rome, amended by Newton. Veggansi le due tavole Cronologiche in fine .  ..  nostri tennero il vasto Impero della China , D a tutto questo si raccoglie fupporsi dall'Au tor noftro , che quella vaga tradizione , la quale conservò gli avvenimenti , comechè facili a ricevere alterazioni , a cagion delle molte circostanze , che fogliono a c c o m p a gnarli , anzi che conservò , c o m e di alcuni dovrem notare le epoche precise , in cui non abbia potuto conservare le altre epoche più notabili, vale a dire la durata di ciascun Regno , e per conseguen te la somma dello spazio di tempo ,che ab bracciarono tutti isette Regni insieme,quan tunque cosa non meno importante di m o l tiffimi fatti, che pur furono da cotesta sua tradizion conservari, e non capace di pren dere come ifatti diverso alpetto passando per le bocche degli uomini. Non troppo ra gionevole pertanto mi sembra la sua preten. fione , e per asserire, che gli Storicidique' primi tempi di R o m a non fossero informati di queste epoche , farebbe mestieri produrre qualche testimonianza , o almeno congettura , da cui si potesse chiaramente inferire che di quelle veramente informati non fossero , la qual cosa non facendo egli , io ftimo , che non maggior ragion fiavi per credere a' fatti, che alle epoche . Cie seguiti sono 1 Ciò posto o è l'antica Storia di Roma del pari tutta dubbiofa , e d in questo caso inutili sono le osservazioni sue , o è del pari certa tanto a' farti , ed rispetto alle epoche allora non hassi a dire,che le , quanto i che sieno state supposte ci . Senzachè se gli Storici si fossero i m m a ginato a piacer loro le durate de'Regni se condo la legge delle generazioni, com'egli pensa , non si sarebbono tolto la briga di far registro di quanti anni precisamente sia stato ilRegno diciascun Re, edavrebbonodato qualche cenno d' aver seguita una tal legge ; fe pur non vogliam credere , non che seguit sero una regola da essi giudicata sicura,ma che avessero concepito di tessere un dolce inganno a'contemporanei loro , il che , senza che se ne adducano le prove , conceder non si dee a giudizio mio per modo nessuno . epo da'pofteriori Stori- * il malizioso disegno 1 Quantunque però sia abbastanza Ito , che , quand'anche tutta l'antica Storia di Roma fi fosse, non solo ugualmente per semplice tradizione conservata instrutti della Cronologia , che de'fatti por si debbano gli Storici mentovati ; nulla dimeno , fia per salvar dalle fiamme questa Cronologia , d a cui divorata ,ma anche più manife la presume ľ sup Aus b   due (6)Quae incommentariisPontificumaliisquepublicisprive. tisque erant monumentis incenfa urbe pleraeque interiere. T.Liy.Dec. I.Lib.VI.inprinc. ()Plut.inNuma inprinc.  non che vorrà negare . 22 RAGIONAM,CONTRO IL CONTE Autor noftro , sia perchè resti maggiormen te confermata la certezza dell'antica Storia di R o m a ( la quale a vero dire già ha a v u to troppo più valorosi difensori di quello ch'io m i sia ) stimo pregio dell'opera il *mostrare , che non fu poi , qual per alcuni si dipinge,si funesto l'incendio de'Galli per gli annali di Roma . E per cominciar da Livio , della testimo nianza di cui si fiancheggia in prima il no ftro Autore , oltrechè mostreremo fra breve , che a lui non poco premeva di fare passar per dubbiosi gli antichi avvenimenti seguiti avanti l'incendio de'Galli , se si considera no attentamente le parole di lui (b) , que ste non vengono a dir altro , se buona parte de'monumenti perì in quelle . fiamme,ilche nè io, nè alcuno, penso, Plutarco poi non dice altro (c), se non che , secondo quello , che avea osservato un certo Clodio ,supposte erano alcune m e m o rie appartenenti a Numa , essendo le vere mancate nella presa di R o m a . Se da questi   ро ALGAROTTI . CAPO II. 23 due luoghi di Livio , e di Plutarco si possa inferire , che abbiano gli Archivj di R o m a fofferto un generale incendio , lo lascio al giudicio de'giusti estimatori delle cose . Se R o m a fosse itata inaspettatamente presa di asfalto , non riuscirebbe forse difficile ilcon cepirlo;ma ad ognuno è noto,che iRo mani , dopo l'infaufta giornata di Allia, in cui furono da’Barbari sconficci, vedendo di ·non potere per modo nessuno difendere la Città dal vittorioso esercito de'Galli,ebbero ancora tale spazio di tempo (d) (tre giorni diconoDiodoroSiculo (e),ePlutarco)da po ter fornire di munizioni il Campidoglio,m e t tervi alla difesa il miglior nerbo della solda tesca , i più valorosi Senatori , e la più vi gorosa gioventù , ove ancora per teftimo nianza del medesimo Diodoro posero in fal v o quant' oro , argento , vesti preziose , e cose rare , che s'avessero (f) : ebbero t e m b4 Diodor. Sicul, loc, cif, non  le Vertali di ricoverarsi a Cere , non r é itando nella Città fe non que'venerandi v e c chị, che vollero rimanervi . Ora adunque (1) T. Liv. Dec. 1. Lib. V. cap. 21. 22. ) Diodor. Sicul. Bibliot. Stor. Lib .XIV.n. 115. p.729. tom . I. ed. Amft. 1746. Plut. in Camillo . >   ed incerta , ma poco o nulla men pregevole delle Storie medesime , di cui a b biamo fatto parola sopra, e per mezzo di cui , secondo quello che abbiamo osservato , riesce  24 RAQIONAM. CONTRO IL CONTE non avranno o i guerrieri rinchiusi nella roca o quelli, che lisottrassero colla fuga. all' eccidio della Città , falvati dalle f i a m m e quegli antichi Annali ? I n verità bisognereb be far forza a noi medesimi per idearci Romani accesi com'erano dell'amor Patria , e solleciti di ogni cosa , che potesse fervire alla gloria di quella , così ( 8) V o f f i u s d e H i f t . L a t . L i b . I. C a p . I. T o m . I V . O p a i della ca, ranti delle proprie poco Storie.M a supponiamo cu che,che questi an fossero periti ; il f a m o so Vossio Annali (g) osserva tacciar non per questo tica Storia dubbia credibile l'an avessero di Roma , essendo pur anche i loro Annali , che le circon fi dovrebbe vicine Città , con tuto ad un bisogno loro ; ed in secondo alle luogo non essereda cre dere , che coloro fra'Romani , i q u a l i li l e g g e vano , custodiyano duto la memoria , scriveano del tutto : ed ci riduciamo a quella tradizione vaga , , non però ,che di falsa, o cui i Romani abbiano mancanze supplire , avessero in tal caso po per ed, Amst. 1699   (4)Cic.de Orat.Lib.II.,de Legib.Lib.I. Nulla enim lex neque pax , neque bellum , nequè res ficnotata : Corn. Nep. in Attico n. 18. (1) SenexHistoriasfcribereinstituit,quarumsuntlibrisep.  M a che serve affaticarsi di provare con congetture una cosa , di cui abbiamo cost chiare , e sicure testimonianze ? N o n giunse ro gli Annali Maslimi .a'rempi di Cicerone , e non ne reca egli giudizio (h) in più luoghi. delle opere sue? Onde Fabio Pirrore , Lu cio Pilon Frugi , Valerio Anziate Scrittori che furono tra lemani dị Dionigi,ediLi vio, avranno prese le memorie per dettare le Storie loro , se non da'monumenti , che avanti l'incendio esistessero? Pomponio A t tico intrinseco amico di Cicerone , che se condo Cornelio Nipote (i) non tralasciò in certo suo libro di porre sotto l'epoca pre cisa cosa alcuna riguardevole del popolo R o m a n o , C a t o n e , il p r i m o l i b r o d e l l e S t o r i e d i cui comprendevaifattide'Re diRoma come riferisce lo stesso Cornelio (k), onde avran tratto i materiali per quest' opere loro ? Varrone il più dotro de'Romani , uomo al ALĞAROTTİ . CAPO II. 25 tiesce non solo ugualmente , m a più credi bile eziandio la Cronologia de'fatti. certo ili luftris estpopuli Romani, quae non in eo,fuo tempore com,primus continet res gestasRegum populi Romani Corn. Nep . in Cat . n. 3.  certo di non facile contentatura,su che avrà fondato l'opinion sua contraria a quella di Catone circa al tempo della fondazion di R o m a , se non sopra monumenti ,che a'suoi tempi ancora esistessero, in cui fosse accura tamente descritta quella prima età ? E , v a gliami per ultimo l'autorità di quel diligen te investigatore delle antichitàRomane Dio. nigi d'Alicarnasso , quante tenebre egli non dilegua coi Commentarj de’Censori, e con altre memorie , le quali pajono anteriori alla famosa irruzione de'Galli , o almeno sopra quelle compilate ? E non è forse da crede. re , che a quel Dionigi , il quale dovendo per mezzo di un suo computo fissar la giu Ata epoca della fondazione di R o m a , fi Itu dia di portare tanti monumenti , per venire in cognizione del numero d'anni , che cor sero dalla deposizion di Tarquinio insino all' incendiodiRoma (1),echecircaalladu, rata de'Regni non muove la minima que stione , anzi concordando con Livio , gli af segna il medesimo numero di anni ;a quel Dionigi,cui è data la lode di esattissimo nel fissar le epoche , come più sotto vedremo , (9)Dionyf.Halic:Antiq.Rom.Lib.I. p. 60. ex ed, RAGIONAM , CONTRO IL CONTE non Graeco-Lat. Friderici Sylburgii Lipfiae 1691, امی ju ALGAROTTI , CAPO II. C h e poi per vantare antichità abbiano gli Storici allungata la Cronologia , è noto a d ognuno esserregola dell'Arte Critica, doverfi presumere , che alcuno abbia ingan, nato sulla fola luogo bio , non ܕ nato in suo pro l'ingannare , m a doversi a d d'aver egli.veramente ciò fatto ; ed oltre a questo non può cade dur prove manifeste sopra Dionigi., come quello , ch'essendo straniero re per modo nessuno un talsospetto non era tentato dall'amor della patria a m e n tire per adularla , e che fece un particolare ftudio di chiarire l'antica Storia di Roma . che sarebbetor non mancassero i suoi fondamenti per accer tartaldurata,come cosa fuord'ognidub congettura , Non istimo ora del resto dover parlare della diversità , che l'Autor nostro dice c o r Tere tra le generazioni , e le successioni de' Regni;giacchè è manifesto non aver gli Storici seguito una tal regola , e quand'an . che seguita l'avessero potendosi far veder di leggieri , che se per alcuni motivi da lui e dal Neutone addotti sembra , che iRegni debbano riuscir più brevi , che le , per altri rispetti potrebbe più lunghi restassero tazioni . Tanto più che dovrò accennare in generazio succedere, che i Regni , che le gene ni  luogo più opportuno quelle regole ch'io stimo doverli osservare , nel fiffar queste g e nerazioni , potendosi queste sotto diversi a f petti riguardar da ' Cronologi . (mn)Description de l'Empire de la Chine par le P.Dus Halde. Tom .I. Faites de la Monarchie Chinoise  28 RAGIONAM,CONTRO IL CONTE per dare a divedere , che quella rego Mi basterà per ora notare , ch' in quella lunga serie degli Imperadori della Cina s'in • contrano n o n una volta sola , m a diverse fiare sette Regni di seguito , i quali se non giungono, si avvicinano però assai allo spa zio di tempo , che tolti insieme durarono i Regni de'Re diRoma :per comprovarla qual cosa giova il recarne alcuni esempj, che m'è venuto fatto di ritrovare ne'fatti di quella Monarchia descritti dall'accurato P . Du-Halde (m).Nellaprima.DinastíadaTi Pou-Kiang insino a Kiè corsero dugento e dodici anni. Nella seconda da Tching-Tang infino a Tai-Vou passarono dugento e quat tro anni ; e nella terza Dinastía dugento 'e venticinque da Tchao -Vang insino a Li-Vang. Facilmente non saranno questi foli i casi, in cui,non uscendo dalla serie degli Imperadori della Cina , fecte Regni di seguito abbiano abbracciato più di due secoli ; tanto però basta la ,   ALGAROTTI. CAPO II, 2.9 gi  la , la quale pure è vera , trattandosi di l u n ghissimo spazio di tempo , riesce falsa nelle itesse Tavole Cronologiche degli Imperadori Cinesi , quando si reftringa a fette soli R e gni . Ed ecco come si vengono a sciogliere tutte quelle diffico'tà inosse dall'Avior no stro per diminuir la credenza , che prestar fi dee agli Storici , e rendere improbabile in genere la lunghezza di questi Regni . O r a fa di mestieri farsi a considerare quelle ragioni , ch'ei deduce dalla ripugnanza dei fatti, di cui fecero gli antichi Scrittori re gistro,alleepoche,per venireadaccorciar ciascunRegno:Seiodicesli,che concor dando a un dipresso tutti gli Storici nelle epoche principali , e circa la durata de'Re- . gni , e discordando ne'fatti, ilconsenso loro nello afferir la durata dee meritar. troppo maggior fede, e pertanto doversi come lup-, posti rigettar quegli avvenimenti , e quelle epoche particolari di alcun fatto , che taluno fra essilasciò ne'suoilibri descritte, che ripugnano a quello , la di cui certezza è chiaramente ,e concordemente da essi affe rita; se jo ciò dicefli, mi servirei di una ragione più atta a far forza , che a persua dere . Perciocchè resterebbe sempre una c o tal nebbia , ed oscurità nella mente de'Lega   gitori, non vedendo eglino quali oltre a que ito fieno i motivi , per cui come falsi s'ab biano'a rigettar questi fatti, che falli certa mente avrebbono a d essere , quando ad una verità fi opponeffero . Laonde è convenien te o farne vedere per altre ragioni la fal fità , o mostrarne la non ripugnanza , quan do , come di alcuni veri dovrò fare meno avvedutamente ripugnanti, sieno stati dall'Au tor nokro creduti .Per condurre a fine le quali cose , siccome è d'uopo far uso delle regole , che prescrive l'Arte Critica , stimo pregio dell'opera il premetter quella , la quale più d'ogni altra ttimali necessaria , ed è il chiarir bene a quale Scrittore s'ab bia per CAPO (n) Si unus aut alius (Hiftoricus) adverfus plures teftifi: Centur , Historicorum conferendae dotes , fecundum cas je dicandum . Genuenfis in Arte Logico-Crit. Lib.IV, Cap. II. § . 19. can . 2.  30 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE COSI . l'antica Storia Latina , i di cui av. venimenti cadono nella nostra quiltione, a ri correre , ed in caso di disparere, a quale fi debba prestar maggior fede (n).   CAPO Trattasi della credenza , che prestar fi dee a Tito Livio , Dionigi d'Alicarnaso Plutarco , per rispetto ai fatti , che R a gli Scrittori , in cui troviamo descritti i principi di quella Nazione, al di cui co fpecto dovea tremar l'Universo , primeggia no Tito Livio , Plutarco per le vite , che stese de'due primi Re , eDionigidiAlicar naffo . Penso adunque esser buona cosa l'in .vestigare prima di tutto il vero carattere di ciascuno di questi, per rispetto al m a g g i o re o minor caso , che far si vuole della au torità di taluno di effi per riguardo a tal altro,ne’racconti,che pressodiloro sitrovano. per (a) Come Livio scrive, che non erra , Dante Inf. cant.  che non Fra ALGAROTTI, *31 cądono nella presente quistione. Se farò poi in questa disamiņa precedere Tito Livio agli altri due , si è , perchè di lui fi pregia più che d'ogni altro l'Autor nostro , e glid à ad una voce col creatore della nostraLingua,non meno chedellano Itra Poesia la lode di Scrittore 2 erra (a), la qual lode se vera se giusta sia 2 28. V. 124 III.   ( 5) Livius etiam , & Curtius artem declamatoriam affe&taffe videntur.Nimiam ftyli.curam in Hiftorico fufpettam ho beo ,Genuens. in Arce Logico-Crit. Lib.IV . Cap. 2o $.18.  32. RAGIONAM . CONTRO IL CONTE per rispetto a quel tratto della Storia Latina', che cade sotto la controversia noftra , verrà brevemente esaminando . pol L'andar dietro alle quistioni , e dubbie tà , che s'incontrano nella Storia de primi tempi di Roma, il diradar lenebbie,incui si avvolgeva quell'oscuro secolo , era cofa , che ripugnava all'indole di Livio , il qual certamente più compiacevafi nel dipingere con quel luo vivo , e maestoso itile i bei giorni di R o m a , che in ricercarne sottilmen te le origini traendo alla luce gli avveni menti , che succeduti erano in quelle rimote età . Pare veramente ch'egli dovesse te mer forte non i suoi lettorifi disgustassero, se egli si fosse messo in un tale intricato sen tiero , sentiero , che male egli avrebbe p o tuto spargere di tutti i fiori della sua E l o quenza ; la quale fua Eloquenza però , per dirlo alla sfuggita , rende sospetta a tal C r i tico la veritàde'fatti da lui narrati (b). Principale intendimento era adunque di lui lo stendere la Storia più luminosa di R o ma , vale a dire allor quando falira a gran   possanza , ed a grande onore questa R e p u b blica cominciò a stender le ali  Pontificum libros annosa volumina Storia in fine , la quale troppo più che l'antica era confacente algeniodi Livio, ed alcomun desiderio dei Romani de'suoi tempi, per cui preso avea a dettarla .Che se Tacito parago nando le Storie de'tempi suoi a quelle di que sto secolo , di cui favelliamo , dice , che m i nute,e poco memorevoli farebbono sembrate le per cose , 1Uni verso . Quando , domati finalmente i feroci popoli dell'Italia, qual rinchiuso fuoco, che rovescia ogni ostacolo più forte, avventò le fiamme in grembo all'emula Cartagine, ed a Corinto , e loggiogata parte coll'armi , par te coll' accortezza la Grecia tutta , e corsa l' Asia trionfando , essendo , per servirmi delle parole di Tacito , l'antica , e natural ansietà ne'mortali della potenza cresciuta e scoppia ta colla grandezza dell'Impero (c), sidivise in quelle fazioni , che tanti e si gran casi somministrarono alla Storia. Storia di gran di imprese , di gran personaggi , e di gran di avvenimenti ripiena ; Storia non troppo lontana dal secolo , in cui egli vivea , e per cui non avea a rivoltare ALGAROTTI . CAPO III. 33 T a c i t . H i f t. L i b . I I . C a p . 3 8 . n . 1 . ҫ   RAGIONAM. CONTRO IL CONTE te nimia obfcuras , velut , quae magno ex intervallo'lo ci vix cernuntur ; tum quod , & rarae por cadem tempo ra literae fuere ,u n a custodia fidelis memoria rerum g e ftarum ; & quod etiam fiquaein commentariis Pontificum, aliisque publicis, privatisque erant monumentis incenja urbe pleraeque interiere . Clariora deinceps certioraque ab secun 'da origine velut ab ftirpibus laetius feraciusque renatas urbis , gefta domi militiaeque exponentur,  1 34 mo cose , ch'egli avea a raccontare , e che non erano da eguagliarsi le Storie sue agli A n nali antichi diR o m a (d), poichè gli Scrit tori di quelle narravano guerre grosse, Città sforzate , R e prefi, e sconfitti, e dentro di scordie di Consoli con Tribuni , leggi a'fru menti , zuffe della plebe co'grandi,larghilli mi campi , scarso all'incontro e stretto effe re il suo : che ne avrà dovuto pensar Livio paragonandole a quelle di que'rimoti , ed oscuri secoli ? Se non tralasciò pertanto del tutto di far menzione de'principj de'R o m a ni, non altra ragione , penso io, averlo a ciò moffo , fe non per non incorrer la tac cia d'aver composta una Storia mancante , e per potersi in certo modo fpianar la ftra da a descrivere le susseguenti famose impre se di quel popolo d'Eroi . Ed in fatti dalle sue stesse parole fi rac coglie (e) non aver egli troppo dibuon ani (d)Tacit.Annal.Lib.IV.Cap. 32. n.1. & . . cum vetufla   ALGAROTTI . CAPO III. 35 m o lavorato a ftendere quel tratto delle sue Storie . Cofe le chiama oscure per troppa antichità , e che , per così dire , a cagione della grande distanza appena più sivedeano. Parla di quelli avvenimenti in modo che fi scorge , che poco o nessun conto ne fa cea , tanto più dicendo , ch'esporrà più l u minose , ed accertate gelta della quafi da più fertili , e rigogliole radici rinata Città dopo l'incendio de'Galli. Poco, ei dice, scriveasi avanti l'irruzione de' Galli , e se al cune memorie eranvi negli Annali de'P o n tefici , ed in altri pubblici , e privati m o n u menti,buona parte di queste peri nelle fiam me. La qualcosa , posto che veramente molte memorie ancora esistessero a'suoi gior ni di que'tempi, come ben feppe rinvenirle Dionigi , dà non lieve motivo d i dubitare non il dire , che molti di questi monumenti periti fossero in quell'incendio sia un mendi cato pretesto di lui per ispacciarsi in poche parole di quelle antichità . Per raccogliere il tutto in breve non p a re , che in questo tratto di Storia almeno Livio sia quel Livio , che non erra , e che a più buona ragione , che non quel verso diDante, adattar fe gli .patrebbe ilgiudicio  di с2   di Quintiliano (f), ove dice ,che quella dol ce facondia di Livio non sarà mai per a p pagare colui , che non la venuftà del dire , m a la verità cerca nella Storia . Perlaqual cosa a giudicio non solo del P.Rapino(g), m a di quasi tutti i più valenti Critici, e per l'accuratezza , e per lo discernimento , e per la verità delle cose narrateanteporre fidee a Livio Dionigi d'Alicarnaffo . Questo Storico è appunto il nostro caso . Perito egli era della lingua, e de'costumi de'Latini,fra cui fece lunga dimora.Con temporaneo di Livio, Critico eccellente p r e se a trattar quella parte della Storia Latina , ch'era più oscura per la lontananza de'tem consultò tutti gli antichi Romani Scrit tori diligentemente ; e siccome si scorge , se condo quello, che abbiam notato , che l'in tenzion di Livio era di trattar principalmen te la Storia di R o m a dopo l'incendio de' Galli , così il fine di Dionigi era d'inftrui re i suoi lettori nelle antichità soltanto di quella Nazione, per le quali sue doti ftimò  36 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE pi ? il Neque illa Livii lattea ubertas fatis docebit eum , qui non speciem expofitionis , fed fidem quaerit. Quiptil.Lib. X. Cap. I. (8) Rapin. Réflex. sur l'Hift. n. 28.   Sto . il Bodino (h) di doverlo in questa parte pre ferire a tutti gli altri Storici Greci e Latini. E se per avventura non è , come osservò il Rollin (i), nella lingua lua si eloquente, e si colto come Livio nella Latina , in quanto all'accuratezza , e diligenza il vince sicura mente d'affai.Che poi più cose, e più ac intorno antichità presso di lui , che presso Livio fi curatamente descritte ritrovino,èancheilparerediquel Varro ne dell'Ollanda Gerardo Vossio (k), ilqual coll' autori tà di Eusebio , e dello Scaligero , l'ultimo fuo sentimento egli fiancheggia de quali lo commenda appunto per quella dote , di cui noi abbisogniamo , voglio dire per essere stato egli più d'ogni altro dili gente nel fissar le epoche. M a a che serve andar raccogliendo le testimonianze de'Cri tici ? Niuno v'ha fra' letterari, che ignori quanto Dionigi sia benemerito delle R o m a ne antichità , e che non sappia esser egli alla C3 alle Romane ALGAROTTI : CAPO III, 37 (h) Dionyfius Halicarnasseus antiquitates Romanorum ab ipfius urbis origine tanta diligentia confcripfit, ut Graecos omnes , ac Latinos fuperaffe videatur. John B o d i n . M e t h . a d f a c i l. H i f t . c o g n . C a p . I V . (i) Rollin Histoire Anciene tom.XII. (A)VoffiusdeHift.GraecisLib. II.Cap.V.,&ibi Euseb. in prep. Evang., & Scaligerin animad.Euseb., il qual dice : Curatius co niemo tempora obfervavit ,    38 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE E'ben vero esservi taluno fra'moderni,il quale non fa gran calo dell'autorità di lui per riguardo a ciò , che scrive intorno alle origini de'popoli d'Italia , avendo a parer suo Dionigi ,per gloria della propria nazio ne , dato luogo troppo leggermente alle con getture , per derivar dalla Grecia i primi abitatori dell'Italia (l) . Lascio ad altri il giudicare le giusta fia, o no quest'accusa ; m a , quanrunque fosse ben fondata , non so avrebbe per questo a dubitare delle cose n a r rate da lui , le quali cadono nella nostra qui ftione : perciocchè in quella parte dell'Ope ra sua, di cui servir ci dobbiamo , n o n trattasi più delle prime origini de' popoli Italici , m a delle origini soltanto primi tempi di Roma; onde non può più aver luogo quel sospetto , ch'egli abbia v o luto adulare la nazion sua , non essendovi piùlagloriadiquellainteressata in modo nessuno . Questo Storico pertanto , quantun que venga una volta fola in campo nel Saga  Storia Latina de primi tempi quello , che è alla Storia d'Italia de'secoli di mezzo l'eru dito , e diligente.Muratori . e dei gio (1) Guarnacci Origini Italiche Lib. I. Cap. I. De 4   Veniamo ora finalmente a Plutarco .M o l to discordanti sono i giudici, che di lui re cato hanno i Critici :perciocchè , se a molti Letterati di grido siattribuisce per una par te quel detto , che se in uno universale in cendio di tutti i libri un solo scampar se ne potesse dalle fiamme, si vorrebbono falvare le vite di Plutarco ; non manca per altra parte chi ne rechi troppo più vantaggioso giudicio , e fra gli altri un celebre Lettera to Inglese il Signor Midleton (n) giunse a chiamar l'Opera di lui un abbozzo piuttosto , che il compimento di un gran disegno . A chi fu (m) Saggio sopra la durata de'Regni de'Re di Roma p. 142-3. del tomo III.delle Op. del Conte Alga rotti ediz. di Livorno 1764 Nella edizione fatta di questo Saggio in Firenze nel 1746. non è mai citato Dionigi , anzi nella lettera al Signor Zanotti dice P Autore : che non avea voluto leggere altri scrittori , cheparlafferode'Re diRomafuorchèLivio,ePlutarco. (a) Conyers Midleton prefaz, álla Vita di Cicerone , per  ALGAROTTI CAPO .III, 39 gio del nostro Autore (m ), sarà però quello , che più d'ogni altro ci additerà la strada , che li vuol battere per giungere al vero nella presente materia , c o m e quello , il quale più giustamente di Livio merita il nome di P a dre di Romana Storia . ! altro pon mente alle belle qualità , per cui fu lodato, ed a'diferti, perliquali C4   D e l resto per giungere a farci una chia ra idea del merito di questo Autore fa d' uopo prendere d'alquanto più alto i princi p j .Quantunque pertanto pregio essenziale della Storia sia la verità de'fatti, si voglio no con tutto ciò offervare e la scelta che fa l'Autore di questi, e le rifleffioni , e l'ordi ne , con cui dispone ogni cosa , e la dici tura , di cui si serve , del che tutto nell'al tra nostra Opera abbiamo copiosamente ra. gionato . O r a per parlar soltanto delle riflel fioni, queste son quelle , che danno a vede re il giudicio dell'Autore intorno alle cose narrate, giudicio ,che resta più o meno de gno di stima a misura , che viene ad esser fondato sopra valide ragioni , e che non esce di quella scienza , a cui ènoto aver con Jode dato opera lo Storico . Le considera  1 40 RAĞIONAM , CONTRO IL CONTE fu ripreso , riuscirà agevole il comporre i lorodispareri. Vero è, che ilSignorMidle ton ne recò più svantaggioso giudizio di al cun altro , perchè forle non ritrovò in lui, come bramato egli avrebbe, abbastanza en comiato l'Eroe , a gloria di cui egli consa crò una sua assai lunga , ed elaborata o p e ra , nella quale però sembra ad alcuni , che ne tefla egli piuttosto il Panegirico , che la Storia . zioni,   zioni di un Polibio , o di un Cesare sopra l'arte della guerra , o di un Tacito sul  ALGAROTTI , CAPO III, Inoltre dalla scelta , che fa de'fatti , fi (6) Arte Poetica del Signor Francefco Maria Zanotti verno de'popoli intanto degne sono di c o m tore le manifeste , in quanto hanno essi fama di ef mendazione fere stati di quelle facoltà ottimi conoscitori M a fupponiamo , che sitralascino . dallo Scrita riflessioni,non èforsevero, è per così dir forzato lo Sto che narrando rico a dar segni della approvazione fapprovazion ,odi sua ? Cosi pensa quel dotto , e Scrittore, uno de'primi lumi d' leggiadro Italia, cui il Conte fto fuo Saggio (o). Ora que ognun Algarotti indirizzo ciò posto professò principalmente sa , che Plutarco fcienza de'costumi ; questa cui le altre tutte qual più direttamente s'hanno a riferire , come raggi d'un meno cerchio al centro , esercita l'impero suo so pra le azioni tutte degli uomini, ond'è m a nifesto , che anche supposto , che Plutarco alcuna osservazione do reca giudicio dell'azione non aggiugnesse fcrivendo , e giudicio, di cui non piccol caso facoltà ,narran ', che va de uscito dalla penna di un F i far fi dee,come losofo de'più rinomati dell'antichità . go la poi , a , qual viene Rag.IV.pag.261,Bologna 1768.  qual dà maggiormente a conosce re il bellicofo genio di quell'Alessandro del Settentrione Carlo XII.,loggiugne (p), che tal cosa lasciato non avrebbe d'inserire nella vita di lui un Plutarco . remmo 6)Opere delConte Algar.tom.IV.Discordimilitari Disc,IX,pag.230 . 42 RAGIONAM , CONTRO IL CONTE ز e nel formare il carattere de'perso naggi , di cui stende la vita . Egli non sia p paga delle azioni pubbliche , e ftrepitose , nè si ferma intorno alla sola corteccia , m a seguendo , per dir così, i suoi Eroi in ogni lu go , e non temendo di abbassarsi col de. scrivere certe minute particolarità , entra ne? più fecreti ripostigli dell'animo loro, e pre fentà al lectore ad un tempo medesimo un fedel ritratto e di esli , e della umana na. tura . E questa singolar dote di Plutarco fu giàdal nostroAutore osservata; poichènar rando in un suo discorso un tal fatto parti colare , il qual dà viene in cognizione della perizia di lui nello scoprire le più nascoste proprietà del cuore umano , e nel formare Questo è il favorevole aspetto , fotto cui riguardar fi possono le vite da lui scritte,e gli encomj,di cui gli furono cortefi iCrie tici,vengono a ridurlia questo.Ma sevo leffimo poi in materie dubbie , ed oscure ri poläre interamente sulla fede di lui, corre  altri . ALGAROTTI . CAPO I11. 43 remmo non piccolo pericolo d'ingannarsi. Plutarco , con ben raro esempio , congiun geva un ingegno straordinario ad una credu lità somma (difetto , da cui i rari ingegni fogliono per altro andar esenti, cadendo più sovente nell' eccesso contrario ). Forse ritene va in questo parte degli influfli del Cielo di Beozia . Occupato da'negozji, ch' ebbe a trattare , e dall'impiego di dare lezioni di Filosofia , poco tempo gli rimaneva per ac certarsi della verirà delle cose , che s'accin geva adescrivere.Sifa,ed eglistessolo con feffa , che ignorava la lingua Latina , nè o b bligato era dalla necessitàa d iftudiarla , ava vegnachè dimorasse in R o m a , servendo la lingua Greca a que' tempi presso i Latini di lingua,come fuoldirsidiCorte,cioè par lata dalla più leggiadra , e brillante parte delpopoloRomano,edi linguadotta.La (ciopensare di quanti sbaglj una tale igno ranza possa essere itato cagione . Che della fola autorità di lui pertanto non si debba far molco caso , è il sentimento del dotto Bodino (9), del Rualdo , del Dacier , e di (1)Joh.Bodin.Method.Hist.Cap.IV..Interdum etiam in Romanorum antiquitatelabitur.Ruald.animad.inPlut. Dacier nelle note alla fua traduzion francese delle Vite di Plutarco . Vero    RAGIONAM. CONTRO IL CONTE Vero è, che l'erudito Giureconsulto Ei neccio (r) per salvar dalle accuse de'Critici un luogo di Plutarco , ove narra questo Sto rico aver N u m a concesso certi privilegj alle Vestali , i quali si sa indubitatamente non essere stati ad effe concessi senon dopo que sto R e , avvisofli di fare una mutazione nel teito di lui,di modo che seavantidiceva: aver conceduro grandi onori alle vergini V e Itali, veniffe a dire : loro concedettero ( i R o mani ei sottointende ) molti onori , e fog giugne , che per sì fatta maniera salvar li possono molti luoghi di questo Storico .cen Turati dagli eruditi. M a lasciando stare , che molti non saran no quelli,che con una talcurafanarfipof fano ; non so , perchè con tanta facilitànon . essendo il luogo di Plutarco un frammento di qualche antico Giureconsulto , il qual a b bia necessariamente cogli altri a concordare , si avventuri da lui questa emendazione , fen za addurne altra ragione, fe non che ilfal varsi con questa l'autoritàdi Plutarco.Am mesfa una tal Critica si fanno scomparire con poca fatica tutti gli sbaglj de'libri, che ci restano dell'antichità . (5)Heineccius ad legem Papiam Poppaeam Lib.I.Cap,  II, p. 27.Amít, apud Wetftenios,   ALGAROTTI . CAPO III. 45 Sia adunque per la ignoranza della lingua Latina , lia molto più per lo genio credulo , e poco critico , anzi qualora trattasi di Sto rie lontane da tempi fuoi portato al m e r a viglioso Plutarco, non è guida ficura per chi vuol penetrare nelle più rimote istoriche n o tizie . Quella Storia favolosa , che dic' egli rinvenirli (S ). nelle origini delle nazioni prende , e li ftende troppo negli scritti di lui sopra i diritti della vera Storia maggior mente sgombra dalle finzioni presso altri Scrit tori . M a per riguardo a quella parte della Storia di Roma , i di cui avvenimenti ca d o n o nella nostra quistione , potea troppo qui  cilmente schivar gli errori . N o n avea egli nella sua stessa lingua le accurate fatiche d i Dionigi di Alicarnasso Scrittore , che ben d o vea esfergli noto , e noto veramente gli era , facendone egli menzione ? Perchè adunque n o n fi restrinse a lui solo , tralasciando quelle fue popolari , e favolose tradizioni? Niuno dubiterà pertanto , che in questa parte della R o m a n a Storia pofpor si debba Plutarco a Dionigi. E ben riuscirà singolar cosa , fe recherò in mezzo l'autorità dello stesso Algarotti, il quale , fuori di questa fa (S ) Plut, in Theseo in princ.   quistione non lasciò di rendere il dovuto omaggio a Dionigi, e di mostrare il poco caso , che far fi dee della sola autorità di Plutarcone'fattide'Romani,efefarò ve dere aver egli in cofamolto più recente negato credenza a quel Plutarco, a cui tan to s'affida per rispetto ad avvenimenti ri motissimi dalla età di lui. Bafta per chiarirfi di quanto ho detto dar un'occhiata a ciò , che scrisse l'Autor nostro intorno all'impre fa di Cesare contro a'Parti (t). Questo è quanto ho io stimato dover pre mettere circa la fede, che prestar fidee agli Storici , innanzi di farmi ad esaminare . la verità , o falsità de'fatti , e la ripugnan ża o non ripugnanza di questi alle epoche il che mi studierò quanto più brevemente per me sipossa di recare ad effetto. Alicarnasco, Polibio ...... danno una più esatta contez fa delleragioni dei costumi Romani che non fanno i Romani medefimi ..... M a quei Greci sapeano a fondo la lingna Latina , buona parte della vita erano viffura co'Romani ec.  46 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE CAPO (*)Alg.Op.tom.IV.Disc.Milit.Disc.V. soprala impresadisegnata da Giulio Cesare contro a'Partipo 178-9. La verità si è , che ognuno si può effere ac corto quanto nelle cose dei Romani fia poco efatro Plu tarcoec.,epag.180. Egliècerto,chedellecoseRo mane le migliori informazionisi può dire che le dob biamo a' Greci. Ed è naturale che cosìfia. A forestieri ogni cosa giugne nuovo ec, D i qui èche Dionigi   ALGAROTTI 47 D i s cIsecnedndeenndo ora coll'Autor -noftro al para ricolare , ci si fa innanzi il Regno del bel licoso Fondatore della R o m a n a grandezza , e sarà secondo quello , ch'io Atimo Indole guerriera , dic'egli , danno ad una voce tuttigli Storici al Fondatore di quella Impero , che dovea coll'armi fare la con. quista del M o n d o . Questa indole bellicosa piùnonfipuò celebrareinRomolo,quando fi mostrasseaver eglipassatolamaggior par te del suo Regno in grembo alla pace:ora le prime guerre di lui contro i Sabini, che ridomandavano le donne loro , e contro al quni altri popoli per gelosia d'Impero, furo no tutte breviffime , e dellapenultima guer ra contro a'Camerj ce ne dà l' tarco (a) , che non cade più in là dell'anno sedicesimo dalla fondazione di R o m a . N e dopo questa si ha notizia di alira guerra , falvo  CAPO Regno di Romolo . ? cagio ne di non piccola maraviglia il farsi a c o n siderar la prima venir ad abbreviare la durata . ragione,ch'egliadduce per epoca Plu. @ Plut.inRomulo, IV.   salvo di quellaco'Vejemi , i quali doman davano , che fosse loro restituita Fidene , c o me Cittàdilorragione,dicuiRomolos' era impadronito , avanti che egli s'impadro niffe di Camerio . E questa guerra non si ha da porre più tardi , che sotto l'anno d i ciassettesimo dalla fondazione di R o m a 0 là in quel torno non essendo verisimile che una nazione potente com'erano iVejenti tardasse gran t e m p o a cercare di riavere il suo . Senzachè ognun ben fa, che le guer re tra que popoli erano subitanee , tra loro la vendetta non tardava molto a seguitar l'offesa . Posto adunque , ei soggiu gre , che l'ultima guerra fatta da Romolo cadeffe nell'anno diciassettesimo del suo R e gno , se non vogliamo , che i Romani fie no stati più lungo tempo in pace che in guerra fotto il reggimento dilui,nonsivuo le farlo regnar trentotto anni , m a della m e tà circa il Regno di lui accorciar fi dee 'Questa è la prima ragione , che adduce l'Autor noftro per abbreviar la durata del Regno di Romolo , a proposito di cui,,co m e già disli, strana riuscir dee a chi pon mente quella epoca , su cui fonda egli ilsuo argomento , ed è ľ  48 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE epoca della e che tro i Camerj somministrata guerra con da Plutarco . Il Conte   d ALGAROTTI . CAPO IV. Conte Algarotti , che la durata del Regno · di Romolo attestata da tutti gli Storici vuol distruggere , adopera per mandarla in rovi na un'epoca di un fatto particolare,dicui niuno fa menzione , fuorchè il solo Plutarco Storico a tutti iCritici , ed a lui medesimo sospecto . E d in fatti di questa guerra contro i Camerj Livio non ne parla punto nè p o co , prova forse della trascuratezza di lui nel tessere l'antica Storia. Dionigi (b) poi, il quale nel collocarla frale guerre co'Fide nati , e co'Vejenti da Plutarco non discor da ,non dice però , che questa precisamen te seguita sia l'anno sedicesimo d i R o m a . V e d e pertanto ognuno ,ch'io potrei , rifiu tando la testimonianza di Plutarco, togliere ogni fondamento a questa ripugnanza , m a conveniente mi pare di mostrarmi cortese ful bel principio delle osservazioni mie . Concediamo adunque , che nell'anno fe dicesimo di Romolo succeduta appunto sia questa guerra coi Camerj : .con qual ragio ne si prova , che tantosto abbiano impugna te le armi i Vejenti ? Forse perchè avendo i Vejenti mosso contro i Romani per riaver Fi... 49 (6) Dionyf. Halic. Lib. II. pag. 117.    Dice Plutarco , che i popoli circonvicini vedendo (c) riuscir bene tutte le guerre a Romolo ,da invidia,e da timore agitati, ftimarono non essere la sua crescente gran dezza da guardar con occhio indifferente , e doversi opprimere una potenza , era ne' suoi principi formidabile Laon de i Vejenti,i qualitenevano un ampio paese , ed erano de'più potenti fra' Tosca ni , mosfero contro Romolo , chiedendo la restituzion di Fidene che dicevano essere di giurisdizion loro ; il che , foggiugne P l u tarco , non solamente ingiusto ,m a ridicolo era , poichè domandavano come ad efli sper tante una Città , che non avean difeso, quan  50 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE che già do Fidene come Citrà di lor ragione soggioga ta da Romolo innanzi a Camerio , non è da credere , che un popolo potente come quello abbia tardato molto a farsi rendere il fuo , essendo le guerre a que'tempi fubitanee,nè tardando molto la vendetta a seguitar l'of fela? Ora io intendo dimostrare,anchecollo stesso Plutarco , effer piuttosto da credere , che alla guerra co' Camerj seguita fia las guerra co'Vejenti dopo qualche notabile spa zio di tempo . ( ) Plut. in Romulo .   do da Romolo era stata assalita , e lasciati in quel tempo gli uomini in balia de'nemi ci,aspettavano allora a pretenderne lemura. Livio poi dice , che presero le armi i V e jenti (d) , non perchè fossero possessori di Fidene loro tolta da Romolo , ma perchè i Fidenati erano anche Toscani , e quel che è più , perchè temevano non le armi de' Romani avessero ad esser fatali alle vicine nazioni ; e Dionigi in fine (e) dice , che il pretesto della guerra fu la strage de' Fide nati . Ora adunque , poichè siamo certi,che per gelosíad'Impero , e non per altro im pugnarono le armi i Vejenti , li dee piutto Ito credere effere questa gưerra fucceduta qualche tempo notabile dopo quella coi Ca. meri ; perciocchè stava ad osservare questo popolo , le poteva assicurarsi della sua forte Tenza arrischiar nulla, e se riusciva a qual che altra nazione di abbattere i Romani : veggendo poi , che s'erano felicemente sbri gati da quelle , e che anzi salivano ogni sanguinitate ( nam Fidenates quoque Etrufci fuerunt ), & quodipfapropinquitasloci,fiRomana armaomnibusin.  d 2 gior ALGAROTTI , CAPO IV. 51 (d)T. Liv.Lib.I.Dec. I. Cap.VI.n.15. Belli Pidenatis contagione irritaii Vejentium animi , & con festafinitimis effent,fimulabat. (e) Dionyf. Halic. Lib. II. pag. 117.   RAGIONAM. CONTRO IL CONTE Oltr' a ciò , avvegnachè seguita fosse., come si dà a credere l'Autor noftro ,questa guerra circa all'anno diciassettesimo dalla fondazione di R o m a , chi ci assicura , che altre non ce ne sieno state , le quali ,come di non gran conseguenza,n o n sieno state dagli Storici giudicate degne di entrare negli A11 nali loro ? Pretende pure egli stesso, che non fisia tenuto accurato registro de'fatti , anzi confervari fi fieno per mezzo di una cotal vaga , ed incerta tradizione ? Veda adunque non se gli possano ritorcere le sue stesse ar mi , e ch'egli medesimo ammetter debba p o ter offer fucceduti cali da cotefta fua vaga tradizione non conservati.  giorno a maggior buona cosa il non lasciarli fortificar nella grandezza stimò esfer pa ce . Se ruppe adunque per propria sua ial vezza la guerra , è probabile , che ciò non abbia fatto se non dopo un qualche conside rabil tratto di tempo , nel quale abbia ve duto , che nessuno s'arrischiava di sfidar R o molo a battaglia . Queste osservazioni,a me pare,bastar po trebbono per dimostrare, cheleirragionevo lezze ręcate in mezzo dal nostro Autore non sono di tal peso , che vagliano ad in fringere la Cronologia , e sminuir la durata del   'ALGAROTTI CAPO IV. 53 del Regno di Romolo : nulladimeno stimo pregio dell'opera , acciocchè maggiormen te appaja la verità , fare una luppolizione , Orsù adunque abbiasi per non detto tutto ciò , di cui abbiamo ragionato sin ora.Dianli per invincibili le ragioni del nostro Autore. Concedafi la presa di Camerio esser seguita ; com'ei pretende,l'anno sedicesimo di Ro m a , l'anno seguente la guerra co'Vejenti , e dopo questopace profonda ; che ne segui rà per ciò ? Si opporrà questo per avventu ra a quell  + ' indole bellicosa, che gli Scrittori danno ad una voce al Fondatore del R o m a no Imperio ? Non potrà un Principe dopo essere felicemente riuscito in molte pericolo se imprese , dopo essersi procacciato stima , e venerazione presso le vicine nazioni colla fua bravura , goder de'frutti delle sue vit torie , e riposando all'ombra allori 9. col mantenere il guerriero valore vivo , e rigoglioso ne'suoi soggetti, fare in modo,che la fama diprode ,ed invittoac quistatası, ed il sapersi esser egli a guerega giare sempre apparecchiato , gli proccurino una pace non inquieta,turbata , e vergogno fa,ma ferma,ftabile,sicura,pienadiglo ria, e di virtù . Troppo sarebber funesti all? uman genere gli Eroi , e troppo infelice vi de'conquistati ta d 3   (f)Op.del Conte Algar.tom.VIII.Epistoleinverfa ep.16. sopra ilCommerciopag.147, (8)Dionyf. Halic,Lib.II.p.82.  54 RAGIONAM .CONTRO IL CONTE se per guerra fosse valente , ce ne assicura D i o nigi (g) , ove con quanti modi studiato fi di sia ta avrebbono eglino stessi a menare , acquistarsi tal n o m e , viver dovessero o g n o ratra le stragi, e tra 'l sangue. E non eb be lo stesso Autor nostro a lodare l'amor delle bell'arti, la profonda Scienza Politica , e le altre civili virtù di quel bellicoso Prin cipe , il quale tanto, vivo , il processe, ed in tanto illustre modo , morto ,rese celebre la memoria di lui? E non fu la verità ster fa , che animò la sua tromba , quando ce. lebrò quel paese (f). Dove un Eroe audace , e saggio Nestore , e Achille in un fa fede al Mondo, Che l'Italo valor non è ancor morto . Troppo fiera fu adunque l'idea , ch'egli fi formò in questo suo Saggio di un Principe guerriero,potendo esseremoltobene,eche Romolo abbia la maggior parte del suo R e gno passato in pace , e che ciò non ostan te a sminuir non si venga la gloria milita re, dicui gode presso gli Storici. E chenell'artinonmenodipace,che 4   fia di ordinare lo stato va divisando . N e meno di un Romolo vi avrebbe voluto,per assodare , ed unire con faldi nodi una sì mal ferma società , e per ispirare la dovuta f o m missione , una sola foggia di vivere, di pen fare in certo modo , l'amordella patriaido. lo de'Romani ., e fonte di tutte levirtù loro, in uomini di varie nazioni , di non ottimi costumi,per l'armi,eperlevittorieferoci. N è quelle parole , che Plutarco mette in bocca di N u m a (h), quando per sottrarsi dallo accettare il Regno offertogli insiste, di cendo, chedi un uomo di spiritiardenti,e insulfiordell'età,che non diunRe,ma di un condottier di esercito avean di biso gno i Romani per fronteggiar que'potenti nemici , che Romolo avea lasciato loro sulle braccia ; quelle parole , dico , non sono da t a n t o , c o m e si c r e d e l ’ A u t o r n o s t r o , c h e , a n che concedendo non esservi ftata dopo l' anno diciassettesimo del Regno di Romolo guerra alcuna , perciò ritrar debbasi la m o r te di lui al diciottesimo, o ventesimo anno del suo Regno . Temeva Numa , che i po poli circonvicini, i quali non s'attentavano di moleftar i Romani , poichè ben sapevane  qual d4 ALGAROTTI , CAPO IV. 55 (5) Plut. in N u m a ,   56 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE Storici , che finsero aver que'personaggi, i quali a favel lare introducono , ragionato secondo le cir costanze , e giusta l'indole loro . Dalle m a l sime , che nel corso del suo Regno dimostrò Numa , dalla non curanza di luiper gli ono ri ricavo Plutarco questa parlata da lui fat ta , rifiutandoil Regno offertogli da'Romani. A proposito del qual nulla trovarsi appreffo Livio , altra prova. forse della sua trascuratezza , e che Dionigi (1) rifiuto è d a notare 2 qual prode Principe li reggeffe , non pren dessero animo dal genere di vita tranquillo , e filosofico, che noto era ad ognuno essere da lui professato , e non volessero lasciarsi sfuggir di mano una occafione sì favorevo le di abbattere un popolo , il quale già d a to avea tanti non dubbj fegni di voler fot tomettere le confinanti nazioni , ed in q u e to modo è da intendere , che Romolo la sciato avesse potenti nemici sulle braccia a' Romani . Senzachè , per non ripeter quello , che già disfi , e di nuovo mi converrà dire intorno al poco credito , che far sidee della autorità di Plutarco , certa cosa è , che quelle parole , le quali presso di lui si leggono c o me diNuma,s'hanno ariguardarealpari delle altre concioni,sia di Livio, chedilui, quai lavori della mente degli Storici 1    ALGAROTTI . CAPO IV. 57 ) firestringeadire,che avendoperbuo no spazio di tempo ricusato ilRegno , s'in duffe poi ad incaricarsene a persuasione de' fuoi , è inutil cofa riuscirebbe cercar in Lo stesso Plutarco poi è quello,che fom miniitra il fondamento ad un'altra ragione , con cui ftudiasi il noitro Autore di abbre viare il Regno di Romolo . Ammette .egli adunque , che nel cinquantesimoquarto anno dellasua età giunto siaa morte Romolo, ma conceder poi non vuole,che difolidi ciassette anni abbia cominciato a regnare , la qual cosa è forza dire , quando foftener si voglia , che di anni trentotto stata sia la durata del Regno di lui. Le ragioni , che egli adduce per mostrare non poter R o m o lo esser cosìper tempo falitolulTrono,non fono altre, se non che ciò ammesso ,non po. terli quelle tante cose , che questo Principe facea secondo Plutarco (k) con sì tenera età conciliare ; ed essere maggiormente impro babile , che si giovane abbia fondato u n a Città , fiasi fatio Capo di un popolo , ed  pone Plutarco . 1 abbia sto Storico quelle parole , che in bocca gli (1) Dionyf. Halic. Lib. II. pag. 121. (1) Plut. in Romulo . que   (1) Op.delConte Alg.tom .IV.Disc,milit.Disc.V.sopra cit.p. 180. Per via della conversazione , dic'egli ( Plu tarco)convieneinstruirsidelleparticolarità,chesonosfug gite agli Storici  58 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE abbia guidato difficilissime imprese , c o m e a tutti è noto . M a io non so ritrovare in primo luogo ripugnanza veruna tra la età , e la condot ta di Romolo innanzi a'principi del suo R e ' gno,principalmente se vogliamo attenersi a ciò che di lui narrano Livio , e Dionigi , e non ricorrere a Plutarco quale pren dendo le notizie dalla bocca di que'R o m a ni,con cui conversava , come stesso'noftro che dalla venerazione , in cui quelli tenevano dell' Imperio leggiadro Autore (1) , ben è da credere , ogni cosa , che appartenesse al Fondatore loro,sia Scrittor erudita, ed elegante (m ), diceva , che la grandezza sero i Romani cia , e dell'Alia dopo le conquiste , avea (parfo voluttà non ebbe , e di gloria fu que'pri lume di chiarezza de’ m i loro antenari posteri, qual rozzo , e barbaro popolo sem il , i quali senza la fama avverti lo .Un , che in fatto di stato ingannato Francese pari , a cui giun della G r e per così dire un Non so s e i moderni noftri Critici ileClerc , é i Muratorigli avessero menato buono tal fuo Criterio. (m) S. Euremont Ouvres mélées , pre   ALGAROTTI , CAPO IV. 59 (n) Montesq.Consid. surlescausesde lagrand,desRom. a segnes venando peragrare falous : hinc robore corporis bus animisque fumo jam , non feras tantum fubfiftere, fed in latrones praeda onuftos impetum facere, pastorie busque rapta dividere, & c u m his crescente in dies grege juvenum ferias, ac jocos celebrare,  pre 1 farebbono stati riguardati dalle colte n a zioni . Io non voglio per niun modo adot tare il parere di lui , anzi penfo , che lo stesso Signor Montesquieu , il quale osservò c o n occhio si filosofico tutto il corso della Romana Storia , abbia avvilito di non Chap.I. ( 0 ) D i o n y f. H a l i c . L i b . I. p a g . 7 2 . 8 ful bel principio della sua Opera (n) l'ori gine di quella Città Regina ; m a credo Tuttavia di potere a buona ragione sospetta fondato sopra popolari tradizioni , e proveniente dalla b o c re del racconto di Plutarco ca di coloro,che qual Nume Romolo ado ravano , quando nè Dionigi , e nè pur Li vio danno di ciò il minimo cenno . Ed in fatti Dionigi (6) ci fa sapere soltanto , che i due giovani Principi furono condotti Città de'Gabj , perchè loro s'insegnassero leLettere,laMusica,ed ilmaneggiarle armi alla foggia Greca insino a tanto che pervenissero alla pubertà , e tutti que'p r e gi , i quali attribuisce loro Livio (p) , T. Liv.Dec. I.Lib.I.Cap.3.1.4. Quum primum adolevit aetas nec inftabulis , nec ad peco troppo alla   disconvengono punto alla giovanile età , a n zi più diquella,ched'ogni altracomecor porali esercizj fon convenienti . M a su via concedasi per vero ciò , che dice Plutarco , sarebbe poi da farne le maraviglie, che un giovane d'ottimo ingegno fornito cominci a dar segni di quella prudenza , che ha da tilucere un giorno in lui.Educato Romolo , come fu , non v'ha inverisimiglianza nessu na,cheinlui,avvegnachè giovanetto,sfa villasse un raggio di qualche cosa maggior del comune M a dirà egli, per quanto , e dalla natura di belle doti fornito ,e dalla educazione in strutto suppor si yoglia Romolo , che abbia edificato una nuova Città , che si sia fatto Capo d'un popolo , che abbia guidato diffi cilissime imprese , sempre con si tenera età mal potrafficoncordare. Non sipuò nega re , che di troppo maggior forza , che non  60 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE e cominciassero a svilupparsi que'semi di generosità , che dalla sua prin cipesca origine avea tratto? Oltre di che quan te volte il corso dello ingegno è più velo ce di quello degli anni ? U n a illustre prova ben ce ne diede lo stesso noftro Conte Al garotri , il quale nella sua prima età in m o l te , e varie facoltà dimostrò l'acume , e la perfpicacia dell'ingegno suo . la   la precedente sia questa ragione : vediamo con tutto ciò il modo , con cui Romolo di venne Re , e non parrà più forse tanto dif ficile il concepire , che si giovane sia giun to a tanta grandezza ; e prina d'ogni cosa prendiamo le più sicure notizie di quello , che è succeduto dalla nascita di Romolo in Gino al tempo , in cui fu innalzato alTrono. A tutti que'racconti della infanzia diR o molo io ltimo doversi preferire quello di F a bio antico Storico seguito da molti , come dice Dionigi , ed acui più propende egli medesimo ( 9), come quello , che favole chia m a le narrazioni degli altri Scrittori . Egli adunque rigettando quella poetica finzione della Lupa , nega insino , che fieno stati ef posti i due gemelli ; che anzi afferma aver Numitore per destro modo sottoposti altri fanciulli , i quali furono da Amulio spieta tamente trucidati . Quindi essere stati i due Principi da Faustulo educati , ed inviati, perché ricevessero una insticuzione , secondo che richiedeva la origine loro,alla Città de' G a b j ; il qual Fauftulo , per dirlo alla sfuga gita , quaprunque pastore de'Regj armenti, è da credere fosse poco meno di un uomo  ALGAROTTI . CAPO IV. 63 (9) Dionyf. Halic. Lib, I. pag. 70-12 di   di stato de'nostri dì, attesa lasemplicitàde* costumi di que'tempi . Ritornati poi dalla Città de'Gabi , legue a dir Fabio presso Dionigi , di consenso dello stesso Numitore , i due giovani Principi fi azzuffarono co'p a stori d i lui , e gli sforzarono di ritirarsi in un co'loro armenti dà certi pascoli tuttoc chè comuni . Questo aver fatto Numitore per poterli accufare , e trovar m o d o di far entrare senza dar sopetto tutti que' pastori nella Città . Ordita una tal trama , esser v e nuto Numitore dal fratello Amulio a lagnarsi, e chiedere a lui , che gli dovesse consegna Te que'due Fratelli col Padre loro , i quali l'aveano sì villanamente oltraggiato , e d a n neggiato nelle cose sue, se pure seguito era ciò senza colpa di esso Amulio .Amulio per dare a divedere , che avuto non ne avea al cuna parte , manda tosto per esli ,  62 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE dando,che nella Città venir dovessero non il solo Faustulo co'suoi supporti figliuoli, m a tutti coloro eziandio , i quali erano di tale delitto accagionati . E con tal mezzo essen dosi , oltre a 'rei , grandissima moltitudine nella Città introdotta , Numitore , dopo aver a' giovani l'origine loro , i loro cali , e le offele da Amulio ricevute , averli scoperto animati alla vendetta , ed averli persuasi a esli , coman non   ALGAROTTI. CAPO IV. 63 non lasciarsi sfuggir di mano sì favorevole occasione di eftirpar quel Tiranno come fe cero . Questo è quanto si raccoglie da Fabio presso Dionigi ; narrazione , lia per la quali tà del testimonio, sia per la veritimiglianza , da antiporsi sicuramente a quella di Plutar co (r), che porta in se stessa scolpito ilca rattere della finzione , e che al primo aspet to si dà a conoscere per lavoro della fanta sía de'Romani de'suoi tempi , da cui attin geva questo Storico le sue notizie, i ogni cosa nel loro Fondatore finsero straordi naria , e maravigliosa . N o n fu adunque solo Romolo in quella impresa , anzi fu a quella stimolato dall'Avo , e fu diretto da quello il suo valore , perchè produr potesse non solo discordie, e sangue, ma utilità, e fi curezza . quali  con Non voglio poi ora parlare diquellaopi nione accennata da Dionigi (1 ) , e se non -abbracciata , n e m m e n o riprovata da lui, che R o m a stata sia anteriore a Romolo ; onde egli non Fondatore diquellaCittà,ma Capo soltanto d'una colonia chiamar 'si debba ; (1) Plut, in Romulo . ( 8) Dionys. Halic. Lib. I. pag.60. ..   concedo, che ne sia stato ilFondatore,ma è da sapersi, che , ha l'idea di edificare una Città , lia i mezzi per condurla a fine, fu rono opera di Numitore , e non diRomolo. Dionigi (1) di questo ci assicura , dicendoci , che due fini il mossero a ciò fare ; primie ramente per dare un ricetto degno di loro a'due giovani Principi , in secondo luogo per isgravare la troppo grande popolazione della Città di Alba , allontanando principal. mente coloro , che avean seguito le parti di Amulio , ond'egli poteffe regnare libero di ogni sospetto. La qual cosa è, avvegnachè oscuramente accennata da Livio (u) : per ciocchè dicendo questo contro l'autorità però e di Fabio , e di Dionigi , i quali per ianti rispetti degni sono di maggior fede , che il disegno di fabbricare una nuova Città fu pure Numitore ,  64 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE opera della mente dei due Fratelli,m a n i felto indizio , che troppo non erasi studiato di diradar le tenebredi que'primi secoli, soggiugne , ch'eravi allora una gran molti tudine diAlbani,e di altri,con cui pote vano popolarla. Nè mancó Lores quoque accefferant, come. (1) Dionyf. Hasic. Lib. I.pag. 72. (u) T. Liv.Dec. I.Lib.I.Cap.III.n.6. Supererat multitudo Albanorum ,Latinorumque , ad id p e r   come attesta Dionigi, di somministrar loro e danari,ed armi,ed ognialtra cosa,che abbisognasse per edificareuna Città (x).Ed a quella parte di popolo , che seco condot ta avea Romolo , fra cui eranvi non po chi de' principali di Alba , iecondo il parer dell'Avo , ragionò sul cominciare della edi ficazione (y ) . Dal tutto il fin.qui detto pertanto ftati  e (3) Dionyf. Halic. Lib. I pag. 72. (y) Dionys. Halic.Lib. II.pag.78. ) Dionyf, Halic. Lib. II, pag. 119. ALGAROTTI . CAPO IV. 69 ramente ne risalta non esserpunto cosa in verisimile , che di soli diciassette anni , o di diciotto abbia potuto Romolo farquello,che pur fece, se lipon mente, che in quelle sue prime imprese ebbe sempre a'fianchi l' A v o , ed ogni cota secondo il consiglio di lui esegui;fu egli l'Achille d'ogni impre fa,Numitore ilChirone. Tanto ho stimato dovermi stendere su que ho particolare , perchè non è Plutarco il solo, che ciò scriva ; ma lo stesso Dionigi chiaramente attesta aver Romolo incomincia to il fuo Regno di foli diciotto anni (z). Vero è , che se si dovessero togliere dagli anni , che corsero avanti N u m a cinquanta giorni , i quali vogliono molti Autori essere 1 chia.   66 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE stari aggiunti da questo R e , oltre ad undi ci giorni, che pur mancavano all'anno fe condo la riforma , ch'egli ne fece , tre anni fi vorrebbono togliere dalla età di Romolo , quando ascese al Trono , nè vi farebbe per venuto di diciassette, o diciotto anni , di quattordici , o quindici . Anche ciò con cesso nel modo , che divenne Re , non sa rebbe gran meraviglia , che divenuto lo foffe in età si tenera , non avendo forse altro egli fatto, senon imprestare ilsuonome alieim presedell'Avo:ma dipiùsivuolnotare che quegli Autori , da cui raccogliesi esser giunto al Solio R o m o l o di soli diciassette , • diciott'anni, non sono di parere , che tanti giorni mancassero all'anno avanti N u m a . za  r Dionigi , il qual dice (aa) essere il Fon dator di R o m a morto di cinquantacinque anni dopo averne regnato trentafette , e che aggiugne sulla testimonianza di tutti gli a n tichi Scrittori , i quali parlarono di lui, che molto giovane fu innalzato al Solio vale a dire di soli diciott' anni, di questa rifor ma dell'anno fatta da Numa , per quanto io ne abbia osservato , non ne dà alcun cen no , silenzio , che congiunto colla accuratez (aa) Dionyf. Halic. loc. cit, 2   ALGAROTTI.CAPO IV. 67 (bb) Plut. in Roinulo . (cc) Plut. in N u m a . (dd)T. Liv.Dec. I.Lib.I.Cap.19. (ee) Macrob.Salurnal. Lib.I. Cap.XIII.Numa ......quin quaginta dies addidit , ut in trecentos quinquaginta qua. suor dies za di lui mi mette in dubbio della verità della cosa.Plutarco poi , che dice esseregli morto di cinquantaquattro anni (bb), onde abbia dovuto incominciare ilsuo Regno di diciassette , parla di questa riforma (cc), m a vuole , che Numa altro non abbia fatto,le non aggiugnere gli undici giorni , che m a n cavano all'anno, e togliere l'irregolarità de' mesi , che erano in uso , essendovene tale , che non giungeva a venti giorni , e tale , che giungeva a trentacinque e più . Che al tro egli non abbiafatto,cheregolareimesi, ed aggiungervi alcuni pochi giorni, è quello pure , c h e intorno a questo raccogliere fi possa da Livio (dd) . So , che molti Scrittori , come Macrobio (ee) , 'Ovidio , Censorino , ed altri furono di contrario parere . Si dee però distinguere tra quelli , che asserirono , che l'anno avanti Numa era di soli dieci mesi, e quelli,che dissero precisamente di quanti giorni fosse composto , perchè potrebbe essere , trattan e2 dosi ....annus extenderetur,Ovid.Falt.Lib.I.    dosi di Scrittori molto lontani da'tempi di Numa , che da quelli , i quali lasciarono scritto essere stato l ' anno avanti N u m a di soli dieci mesi , abbiano altri , come forse Macrobio,argomentato , che l'anno foffe di foli trecento e quattro giorni , la qual c o n getturą ognun può vedere , quanto sarebbe · fallace, potendo esser benissimo, che fi fa. cessero avanti N u m a dei mesi più lunghi a l fai del convenevole , e si venisse a compor re con foli dieci mesi l'anno di trecento cinquantaquattro giorni, non di foli trecento e quattro . Del resto il.Signor Dacier (ff) afferma , che alla opinione, che di soli trecento e quattro giorni fosse composto l'anno avanti N u m a prevalse quella, che giugnesse ai trecento cinquantaquattro per l'autorità principalmen te di Fenestella , e di Licinio Macro . Cre do pertanto , che ciò basti per togliere quello 'o m b r a d'inverisimiglianza , c h ' altri ritrovar potesse tra l'età di Romclo , e l'elier egli giunto ad ottener la Corona , dovendosi, le condo la più comune opinione, togliere fol tanto pochi mesi , che risultano dagli undici giorni , i quali mancavano all'anno avanti (f) Dacier nelle note alla vita di Nuina di Plutarco ,  68 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE ! Numa ,   ALGAROTTI CAPO IV, 69 e3 CAPO (88) Così dice il Signor Dacier nelle mentovate sue annotazioni doversi leggere Plutarco , e non trecento e s e s s a n t a , c o m e m o l t o b e n e l o d à a d i v e d e r e il c o n tetto ,  Numa , e non tre anni dalla età di diciotto . Senzachè a me baita , come già disfi , che da quegli Autori , da cui fi rica- . va questa età di Romolo quando fali sul Trono , non fi può l'obbiezione dedurre in modo alcuno, anzi il primo glıtoglieilfon damento , non parlando di questa riforma. lui di dell' anno , te , il secondo la confuta espressamen dicendo, che l'anno avantiNuma giun geva ai trecento cinquantaquattro giorni (gg ). O n d e mi pare a sufficienza dimostrato , che tuttique'fatti,iqualirecatisono inmez z o dall'Autor nostro c o m e ripugnanti alla d u rata del Regno del primo Re diRoma ,ot timamente con questa possono conciliarsi, e vengono a perdere .ogni lor forza, e a di. leguarsi cutte le contrarie ragioni .   RAGIONAM . CONTRO IL CONTE (a)L'Ami desHommes Tom.III.Chap.V.DesPro cui  V. Fondare Regno di Numa. CAPO Ondare un Regno , e dargli le leggi sono due operazioni cosi fra loro diverse dice un valente Politico (a) , che richiedono per lo più due distinti Principi per eseguirle. Nascono ordinariamente gl'Imperj nella fe. rocia de'popoli tra la discordia,e learmi: laddove la Legislazione ( intendo io di quella , che veramente meriti un tal nome ), è uno de'piùpreziosifruttidellapace.Ed èben conveniente , che ciò , che rende per quan to si può gli uomini felici , tra quello for ger mal poffa , che ne fa l'infelicità m a g giore . Ed in effetto le leggi di Romolo ,. di cui abbiam sopra fatto parola , riguarda vano soltanto lo stato corrente degli affari, erano leggi , che abbisognavano , p e r così dire, allagiornata . Numa si che fu poi quello , che concepì una vasta pianta di L e gislazione , un general Sistema , il quale m i rar dovea alla eternità ; Sistema , che sotto di se comprendeva eziandio la Religione ,di hibitions .   ALGAROTTI. CAPO Y. 71 M a l'Autor noftro , quafichè ridur non si possa a credere , che senza alcuno indirizzo ira popoli feroci , e pressochè barbari, g i u n gere Per  fia potuto Numa a tanto senno da cui egli secondo l'uso de' Legislatori,iquali furono a' tempi degli Dei bugiardi, utilmen te fi servi per fiancheggiarne quelle leggi , quegli instituti , que'coitumi, e quelle opi nioni, che a parer fuo doveano maggiormen te contribuire alla felicità della Nazione : per se , mette in campo quella tradizione, che correva per bocca de'Romani insin da'tem pi di Augusto , secondo cui dicevasi essere Itato ilRe Numa uditor di Pitagora:onde le belle doti , le quali rilussero in lui, frutto fieno stato degli ammaestramenti di quel F i losofo , la qual tradizione torna molto in a v vantaggio del suo Sistema . Perciocchè , dic' egli , posto che N u m a sia stato discepolo di Pitagora, siccome sappiamo da Cicerone, Livio , e da altri Scrittori esser giunto q u e Ito Filosofo in Italia in età molto lontana dal tempo , in cui comunemente fi pone . N u m a , dee questo far accorciare almeno la durata de'cinque susseguenti Regni , perchè il Filosofo possa essere contemporaneo del Re Legislatore . еА 3 da   Per rispetto al qual suo ragionamento dei che se egli si fosse soltanto servito di quella tradi zione , secondo cui dicevasi N u m a essere Itato uditor di Pitagora , da questo n o n avrebbe potuto inferirne cosa alcuna in fa vore del suo Sistema , potendosi una tal v o ce concordar molto bene coll'antica C r o n o logia , cioè dicendo , che Pitagora venne in Italia in que'tempi , in cui secondo questa , fi crede regnasse N u m a ; facendo ascendere in una parolaPitagora a'tempi di lui.Ma siccome egli desiderava farlo discendere a’ tempi pofteriori , non bastavagli questa s e m plice tradizione , bisognava , che d'altronde in cui coreito raccoglier potesse il tempo , Filosofo venne in Italia : preselo da Cicero ne , e da Livio , ma non s'avvide, che vo. lendo servirsi della autoritàloro,erapoi for za rinunciare a quella tradizione base avea posto alla obbiezion sua. Percioc chè vero è bensì , ch'essi dicono esser giun to questo Filosofo molto più tardi in Italia di quel tempo , in cui secondo l'antica C r o nologia regnava N u m a , m a in tanto l'asse riscono in quanto l'uno lo fa contemporaneo di Servio , di Tarquinio il Superbo , o ,del Console Bruto l'altro. Volendo pertanto at gno è di particolar considerazione .  72 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE che per 9 te   266., ed ivi Giamblico , e Diodoro . () Diogen. Laert. inPythagora Lib.VIII.Clem.Alex,  + il qual venne Pitagora in Italia , poichè ne lia l'epoca , come bene osservò incerta il dotto P. Gerdil (b) , non però Scritto gran fatto fra loro i più accreditati far ri, i quali di tal sua venuta dovertero fessagesimaleconda te concordano quale asserisce piade 'feffagefima Clemente Alessandri . Diodoro menzione piade sesfagefimaprima sotto la facilmen no , che lo mette conda , e finalmente fotto la pone forto , Giamblico l’Olim , le quali epoche (c), il aver egli fiorito fotro l'Olim con Diogene Laerzio con variano la fessagesimale con Eusebio dice esfer egli morto nel quarto anno della fettantesima Olimpiade Diogene mentovato - ottanta o novant'anni . Livio poi , Cicero- in cui quantunque del (d) in età di , e per attestato Laerzio ne , ALGAROTTI CAPO V. renerli ad effi , non v'era ragione per a b bracciare soltanto il tempo , e n o n di qual R e fu contemporaneo questo Filosofo le non il tornar questo in avvantaggio del suo Sistema . lo pon parlerò qui del tempo , (1) Introduz. allo Studio della Relig. Lib. III. $. 2. p. Strom .Lib.1. (4) Diogen. Laert.loc.cit.   ed altri Scrittori in tanto ci danno 19 epoca inquanto,come ho accennato,cidi con di qual Re fu Pitagora contemporaneo le quali epoche però da loro fissate non ef cono dagli anni , che secondo la Cronolo gia comunemente ricevuta , corsero dal fine del Regno diServio, insinoalprincipiodel Consolato ; del che niente è da maravigliarsi, poichè essendo probabile aver dimorato in Italia questo Filosofo un notabile spazio di tempo , tale Scrittore avrà tolto l'epoca , di cui fece registro, dall'anno della sua v e nuta,tal altro da un fatto accaduto essendo lui in Italia , tal altro dalla sua partenza , o dal tempo di mezzo della sua dimora , onde possono aver detto tutti ilvero ,quando fiasi fermato in Italia non più di venticinque a n ni , che tanti ne corsero appunto dalla m o r te di Servio infino al principio del Consolaro . Tutto questo adunque io lafcierò da par te .Concedo , che ammettendo per vera quella popolar voce , essa dovesse piuttosto far discender N u m a a'tempi di Pitagora , che far ascender Pitagora a'tempi di N u m a . M a quello , a cui principalmente badar fi dee , è , che questa tradizione medesima non è fondata sopra alcuna autorevole testimo nianza , che la renda credibile . Vero è,che ne  74 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE 2 al.   verità  nelsuo gover ALGAROTTI , CAPO V. 75 alcuni rammentati da Livio , da Dionigi , e da Plutarco (e) furono di parere , che da Pitagora , il quale in quella parte d'Italia , che M a g n a Grecia nomavası , gittò ifonda menti della sua filosofica serta , N u m a ricevu to avesse quelle maflime di Religione , e di Politica , che pose in opera no . M a è da considerarsi negar Livio ciò apertamente , p.120. non essendo secondo luivenu to Pitagora in Italia,se non sotto ilRegno di. Servio Tullio , e dopo alcune ragioni , con cui studiasi di mostrar l'insusistenza della opinione di costoro, soggiugne, che di sua natura inclinato fosse alla virtù cotesto Re , nè bisogno avesse di straniera instituzione bastandogli la dura , e severa disciplina degli antichi Sabini , de' quali non v'avea una vol ta più incorrotta nazione (f ) . E questa se (e)T.Liv.Dec.I. Lib.I.Cap.7.8. 18. Dionyf. lic.Lib.II. Plut.in Numa . (f) T.Liv.loc.cit.Auétoremdoctrinaeejus,quianonexa taralius ,falfo Samium Pythagoram edunt: quem Servio Tullioregnante Romaecentumampliuspoftannos inul tima Italiae ora ....... juvenum emulantium ftudia coetus habuiffe conftat ....... fuopte igitur ingenio , temperatum animum virtutibusfuisfeopinormagis, instru&tumquenon tam peregrinis artibus, quam disciplina teirica , ac tristi veterum Sabinorum , quo genere nullum quondam incorru. prius fuis.   verità origine ebbe per avventura da una Colonia di Spartani venuta in Italia a't e m pi di Licurgo , come appare dalle memorie antiche nazionali portate da Dionigi , e di cui anche ne dà un cenno Plutarco (8 ) , la qual Colonia è da credere che trasfufo avesse ne'Sabini buona parte de'costumi de' Lacedemoni . Cicerone poi in più luoghi delle opere sue afferma fuor di alcun d u b bio esser giunto questo Filosofo in Italia sot to ilRegno di Tarquinio ilSuperbo,eche in Italiapur era a que’tempi,in cuiBruto diedelalibertà a'Romani(h).SottoilCon solato di Bruto lo mette pure Solino , ed Aulo Gellio in fine dice effer venuto questo Filosofo in Italia sotto il R e g n o dello stesso Tarquinio Superbo . Dirà forse taluno , che l'alterigia de'R o (8) Dionyf. Halic. Lib. II. pag. 113. Plut. in N u m a in piternum Hanc opinionem discipulus ejus Pythagoras maxime confirmavit,quicum ·Superbo regnanteinItalian veniffet tenait magnam illam Graeciam ec. Cic. Tusc . Brutuspatriam liberavit:ld.ibid.Lib.IV.Aulus Ge lius Noet. Attic.Lib.XVII.Cap.21.PofteaPytagoras Samius in Italiam venit Tarquinii filio regnum obtinente , cui cognomento Superbus fuit ,  76 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE mani princ. (h) Ferecides Syrus primum dixit animos hominum ellefema Quaeft. Lib. I. Pythagoras , qui fuit in Italia temporibus iisdem , quibus L.   mani fu cagione del non darsi credenza a questa tradizione dai dori, quafichè ellite messero non venir con questo a scemare la gloria di que'primi secoli ,, riconoscendo da un Greco l'Institutore della Religione , ed il più favio de'Re loro . Quantunque questa non paja ragion bastante per negare ciò , che gli Scrittori Romani ci dicono: poichè ammessa questa regola , rifiutar fi potrebbe come supporto tutto ciò , che uno Storico narra di avvantaggioso per la nazion sua , v e diam tuttavia ciò , che ne dissero iGreci. E' da credere ; che questi sisarebbono recato ad, onore l'aver dato a Romani il Maestro di N u m a : che per Greco passò presso Dionigi e Plutarco Picagora , che che ne sia della opinione di alcuni moderni , i quali nè G r e co.il. vogliono , e nè,pure di quelle Greche Colonie fondate negli ultimi confini d'Italia.  pal ALGAROTTI , CAPO V. 77 Ora ciò non oftantePlutarco(i)nonscio glie la quistione, e reca foltanto in mezzo le varie opinioni , che a'suoi di correvano , fra le quali degna è di considerazione quella di coloro , che asserivano essere venuto in Italia un certo Pitagora Spartano , il quale avea nella Olimpiade sedicesima riportata la (i) Plus,in Numar   bre (k) Dacier nelle annotazioni alla sua traduzione francese delle vite di Plutarco ; alla vita di Nuina .  78 RAGIONAM .CONTRO IL CONTE palma ne'giuochi Olimpici , fotto Numa terzo anno appunto del Regno di lui il Il Signor Dacier (k) fi ride di una tale opinione , fembrando a questo Critico ripu gnanza da non potersi comportare , che u n personaggio atto a dare instruzioni ad un R e , e ad un Re,qual fuNuma,abbiagareggia to in Olimpia per ootttenere il premio del corso.Ma a me pare con buona avendo Spartani questi additato parecchj al Re ftrato fondamento uli degli sommini Legislatore alla favola . , abbia ed pace di 'un tanto uomo , che le usanze moderne lo abbiano ingannato nel giudicar delle antiche. A tutti è noto , che Socrate il più rinoma to Filosofo della Grecia non isdegnava di suonar la cetra , e che anzi non lasciò di esercitarsi nella lotta ; ed oltre a ciò non era poi mestieri, che fosse un gran scien ziato costui per instruire N u m a delle leggi degli Spartani . Si sa , che quel popolo nella rigidezza de' costumi, e privazione di prel so che tutte le cose, le quali rendono dol ce la vita , godeva per altro dell'avvantag gio d'aver leggi , che per la semplicità , e   ALGAROTTI , CAPO V. .79 con  brevità loro , e per la cura del governo nel farle apprendere a'fanciulli erano note a tutti coloro, che doveano obbedirvi. N o n farei pertanto lontano dall'ammettere que fta opinione ,se altro non vi fosse in con trario , fuorchè questa ripugnanza ritrovata dal Signor Dacier ; m a rinunciar vi fi dee per troppo più forte motivo , ed è la te stimonianza di Dionigi , il qual dice non ri levarsi da alcuna memorabile Istoria , che stato vi sia in Italia altro Pitagora anterio re al famoso Filosofo (l). Del resto,cheilcelebreFilosofodi que sto nome nonsia stato a'tempi di Numa , con molte , ed incontrastabili ragioni Atelio Dionigisiprova (m), e di più ac cenna ciò , c h e diede occasione a questa v o ce sparsası nel volgo , e sono la venuta di Pitagora in Italia , la sapienza di N u m a fuori dell'usato della nazion sua, a cui sipuò ag . giugnere la conformità della dottrina, ed il ritrovarsi presso alcuni antichi Scrittori , da cui non dissente Dionigi (n) , che N u m a fu chiamato al R e g n o il terzo anno della fedi cesima Olimpiade , il qual anno designarono dallo (1) Dionyf. Halic. Lib. II. pag. 121. (12)Idem loc.cit. (n) Idein Lib.II.pag. 120.   con dire , che fu quello appunto , in cui quel certo Pitagora Spartano avea riportato il premio de'giuochi Olimpici .E le pure è fondata quella taccia data a Dionigi di derivare da'Greci assai più di quello , che ragion voglia delle cosede'Romani ,Greco d a lui efsendo Pitagora stimato , ben è da credere , che nel secolo, in cui eglivivea, fossero i dotii,uomini sicuri della falsità di questa popolar tradizione . Chiaro è a d u n q u e abbastanza , che nessun caso si volea fare di questa , quando da'più dotti fra' R o mani , e fra' Greci fu non solo rigettata , m 3 confutata eziandio , e quando fondato sopra l'unanime consenso loro già esitato , non avea l'erudito Stanlejo di chiamarla fas vola folenne (0) Quello , di cui abbiamo infino ad ora raa gionato,non risguardailRegno diNuma, m a tendeva ad accorciare i cinque seguenti Regni,ed inquestoluogo se*o'èdovuto trattare , perchè da cosa appartenente a lui ricavata era l'obbiezione.Facciamoci ora a considerare quelle ragioni , per cui accorciar debbasi il Regno diN u m a medesimo . Pare adunque primieramente all'Autor nostro, che non () Stanlejus in Hift.Philosoph.part.VIII.Cap,X.  80 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE   ALGAROTTI . CAPO V. 81 Io non fo rispondere altro a queste ragio ni,se non lasciare al giudicio di chiha fior di senno,sesianon solo maraviglioso, eri pugnante , m a soltanto fuori dell'ordinario corso delle cose , che , quando un uomo fia stato di singolare ingegno dalla natura for nito , e quand'esso abbia posto cura in col tivarlo , giunga in età di quarant'anni ad acquistarsi il grido di favio : tanto più che sappiamo aver N u m a avuto l'arte di conci liarsi venerazione presso gente rozza , e per conseguente superstiziosa , collo sfuggire il con  non potesse esser fornito nella fresca età,ei dice , di quarant'anni questo R e di tanta fcienza , e di cosi alto lenno 2 che già ri suonaffe la sua fama non folo pressoi suoi nazionali , m a ancora presso gli stranieri, e che il suo nome già dovesse far tacere in un subito ogni particolar riguardo , e le ani mosità delle parti , che per lo spazio di un anno intero contefo aveano fra loro dello Imperio . Che tale fosse la riputazione , che si avea della sua scienza, nelle cose divine , ed umane , che quantunque i Padri vedes sero la grandezza , che tornava togliendo il Re dalla nazion loro,nondime n o niuno ebbe ardire di preporre ad un tal uomo . alcuno a'Sabini , 7 f   consorzio degli uomini , dimorando ne'sagri boschi, col disprezzar le pompe , M a questo non è il tutto , segue a dire il nostro Autore . Tazio , che reggeva R o m a insieme con Romolo , preso al grido della fapienza di N u m a , gli ditde Tazia unica sua figliuola in moglie ; ed ancorchè dalla Storia non abbiasi in qual tempo ciò preci samente avveniffe , si p u ò affermare senza tema di errore , questo essere avvenuto nei primi anni del Regno di Romolo dacchè Tazio morì prima della guerra co'Fidenati, e co'Camerį , cioè prima dell'anno sedice 6)Tacit.Annal.Lib.III.Cap.26. Nobis Romulus ut  82 RAGIONAM.CONTRO IL CONTE e le 1 gran dezze , e lasciar che corresse la voce dei suoi pretesi congressi colla Ninfa Egeria.La fama della sua giustizia non era tale da afa sicurar i Romani , che non sarebbono stati molestati da 'Sabini , quantunque essi avesse ro tolto il Re della nazion loro? Doveano finalmente concordare una volta i Padri , e stanchi forse i Romani , e mal foddisfatti , come quelli, che dato ne aveano non dubbj segni,del governo diRomolo,ilqualpen deva al tirannico (p), fi contentarono di eleggere a R e loro un Filosofo . fimo , libitum imperitaverat .   fimo , o diciassettesimo del Regno di R o m o lo ; e Plutarco (9) inoltre atteita , che T a zia era morta , quando N u m a fu chiamato al Regno , e che era vissutacon effo luilo spazio di ben tredici anni. Quindi ei rac coglie , che gran tempo innanzi fioriva la fama della fapienza di Numa , e dice,che, volendosi ritenere il compuro di Plutarco , sarebbe di necessità asserire contro ogni ve. risimiglianza , che all'età di soli venticinque anni la fama della fapienza di N u m a fosse già tanta da indur Tazio Re ad allogare una fua unica figliuola con lui u o m o priva Ed ecco altre opposizioni,a cuidàsem pre il fondamento il folo Plutarco . E che fede fi dee prestar m a i a questo Scrittore ,  to , f2 е ALGAROTTI , CAPO V. 83 onde conchiude non potersi fare a m e no di non dare un sessant'anni almeno a Numa , quando ad una voce fu eletto Re di Roma , e ne deduce , che se vogliamo , che , come s'ha dagli Storici , sia vissuto in fino all'età di ottantatré anni , avendo vent' anni più tardi, che non è la comune cre denza, incominciato a regnare , è neceffario , che di altrettanti fi venga ad accorciare il suo Regno. ( 1) P l u t . i n N u m a .   84 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE avanti lui ? Per formarci una chiara idea della falsità del ragionamento del nostro A u tore , connettiamo alcune delle epoche di Plutarco , che è il suo Achille per questi due primi Regni col suo Sistema Cronologico . Tredici e più anni avanti alla morte di Romolo ei raccoglie da questo Storicoesser seguite le nozze di Numa con Tazia. Que sto Storico medesimo dice esser nato N u m a nello stesso tempo che Romolo innalzava le mura dell'alta sua Roma (n): ma vuole il nostro Autore , che di foli diciannove anni circa stato sia il Regno di Romolo , dunque ne seguirebbe a ritenere tutte queste e p o che di Plutarco ,e congiungerle col suo S i stema , che nel fefto, o fettimo anno della età  e per rispetto almatrimonio di Numa con Tazia , e per rispetto all'esatto numero di anni , che vissero insieme , minute particola rità , le quali sfuggono agli stessi contempo sanei? D'onde ebbe egli si particolarinoti zie,che aver non potè non già ilsoloLi vio,ma nè pure l'accuratoDionigi,ilqua le tanta maggior diligenza usò nello stende re le sue Storie , che di maggior criterio è fornito, e che visse notabile spazio di tem po ( ) Plut. in N u m a . 1   ALGAROTTI , CAPO V. 85 età fua N u m a avesse menato moglie , ridi colo affurdo , ed inverisimiglianza troppo maggiore al certo, che non sia quellad' averla menata nell' anno vigesimoquinto . So che rigetterà egli quest'epoca , poichè chia ramente scorgesi doversi secondo il suo Si Itema porre  f 3 la nascita di N u m a quarant'anni innanzi alla fondazione di Roma ; ma è da riflettere ,che se di quelle , direi così , m i nute epoche , di cui favella Plutarco , non ne danno gli altri Scrittori un minimo cen no ,nel mettere la nascita diNuma alprin cipio del Regno di Romolo , o là in quel torno , concordano tutti ; poichè tanto asse risce Dione (s ) , lo stesso si raccoglie a un dipresso da Livio , ed infine l'accurato D i o nigi dice,che Numa,quando giunsealSo lio , era vicino al quarantesimo anno , onde non essendovi, come a luo luogo opportu no abbiam mostrato ragione alcuna di ab breviare il Regno di Romolo , fi vuol pure secondo lui mettere circa a'prinċipj di R o m a la nascita di N u m a . Perlaqualcosa stra no dee riuscire, che l'Autor noftro rifiuti (1) Dion. Cocej. in fragm . Peiresc. pag. 8. ex ed.Rei. quella mari Hamburg. 1750. T.Liv.Dec. I.Lib.I.Cap.8.n.21, Dionys, Halic, Lib, II. pag. 129.   quella epoca di Plutarco , la quale è atte Iata dagraviffimi Scrittori,ed ammetta quel le , nello asserir le quali trovasi solo questo Stórico. E' adunque forza rigettare le epo che di Plutarco , e queste sue minute noti zie,non solo perchè incerte,ma perchèfe fi colgono tutte insieme mal congiungerli possono col Sistema del nostro Autore . Per rispetto poi a quelle parole di questo R e presso Plutarco , con cui rifiuta il R e gno , le quali pajono a lui disdicevoli i n bocca  86 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE M a concediamo , che queste particolarità accertate fieno , e n o n ripugnino col Sitte m a di lui le epoche stesse di Plutarco , che grande assurdo ne seguirebbe poi ? Che T a zio avrebbe data lasua figliuola in isposa a Numa , mentre questi era di soli venti cinque anni;a Numa de'principali fra' Sa bini; a N u m a , che già erasi acquistato per avventura riputazion d i fapiente ; a N u m a infine, che quantunque giovane , ben si può far ragione dal gran renno, che poscia di mostrò , che di venticinque anni uguagliasse molti uomini , i quali già fossero avanti nell' età . Qui mi pare in una parola , che la grandezza moderna abbia offuscato l'intellet to del nostro Autore nel recar giudizio dell' antica semplicità .   E' ben vero però , che fa d'uopo fer marsi ancora alquanto intorno ad una sua considerazione, la quale entrambi gli abbrac cia,ma spero,chemi verràfattodidimo,  ALGAROTTI . CAPO V 87 bocca di un uomo di soli quarant'anni,già ne abbiamo sopra ragionato(1).Basteràag giugnere , che quantunque proferite le avel le questo Re Filosofo in taleesà,male non gli sarebbono state in bocca. Forse tuttigli uomini hanno da potersi vantare di militar bravura?E quando vantatosenefosse,non era egli noto , che mai vissuto non avea fra l'armi? Concedası , che questa dote fosse necessaria ad un Principe in quelle circostan ed egli appunto mostrò di stimarla tale e per questo accettar non volea l'offertagli Corona . Non hanno pertanto da parer disdi cevoli, e vergognose in bocca di un Filo sofo di quarant'anni , mentre N u m a di tutt' altro pregiavasi , che di stare in full armi , ed avea preso b e n diverso cammino per giungere alla gloria . Laonde mi pare , che già li fia fatto chiaramente vedere , che per quello , che spetta a'due primi Regni , non avea l'Autor noftro per accorciarli. alcun bastantemotivo Itrare ze , f A (+) Cap ly.   RAGIONAM. CONTRO IL CONTE strare non aver questa maggior forza delle altre sue obbiezioni. Pare adunque all'Au tor noftro improbabile ,  D 88 Tullo Ostilioriaccendere petti de'Romani (nervati che abbia la bellica virtù ne® di sessantacinque anni dice risultare l'antica Crono logia da quarantatré anni del Regno di N u m a , da un anno d'interregno , e da ven tuno pacifici già da unapace anni, iquali sessantacinque di Romolo . secondo potuto samente potuto Tullo Ostilio delta re dopo sì gran tempo Romani , e guidarli come ei fece si animo alla vittoria : fi ponga però soltan to mente alla pace , da cui uscivano i R o mani,e biano interrotto l'ardor guerriero n e ' per qual guerra una e chiaramente fi verrà a comprendere, come ciò fia poflibile. tal pace ab Lasciando ora da parte , se quegli ultimi anni di Romolo sieno stati cosi pacifici c o me si dà a credere il nostro Autore , o fe almeno , come abbiamo sopra mostrato, non abbia quel bellicolo Principe mantenuti vivi gli spiriti marziali ne'suoi Soggetti ; venia mo a vedere, fe ammettendo questasilun ga pace,ne risulti tale inverisimiglianza, per cui abbiasene a negar la possibilità . Tutta la ripugnanza consiste nel concepi come abbia те , 2 La   ALGAROTTI, CAPO V. 89 La pace de'Romani non era nata dall' ozio,èdaltimore,ma eraunapace,che ben lungi dal paventar de'nemici era in istato di farsi temer da quelli :onde non d o vea pure sembrare improbabile al nostro A u tore , che le circonvicine nazioni gelose della grandezza di R o m a non ne abbiano turba ta la tranquillità . E che senno sarebbe stato il loro di romper guerra con un popolo pol sente , e valoroso , che vivea in pace bensi, m a in una pace lontana dalle morbidezze , dura , rigida ,anzi feroce, che non le of fendeva in cosa alcuna , che dava speranza in fine di voler depor l'armi, confervar l' acquistato , nè più curarsi di estendere i c o n fini ? Aggiungafi inoltre di quai belle doti a b bia il saggio N u m a fornito i suoi soggetti p e n d e n t e il s u o p a c i f i c o R e g n o . N u m a a c conciò il popolo a Religione , e Divinità, per servirmi delle parole di Tacito,(u) fu, vale a dire, datore di quel freno , e {pro ne sì necessario, promosse, favorì , e ftudioffi in ogni modo di farfiorirel’Agricoltura,co me hassi non già dal solo Plutarco, ma da Dionigi eziandio (v). Ora ciò posto non iscriffe Plut, in N u m a , Dionyf, Halic. Lib.II, pag. 133  (w)Tacit.Annal.Lib.III.Cap. 26.n.3: lo   Che (a) Alg. Op. tom . III. Saggio sopra il Gentilefiro  go RAGIONAM . CONTRO IL CONTE lo stesso noftro Algarotti (x ), seguendo il parere del Segretario Fiorentino , che , se dove sono le armi, e non Religione, con dif ficoltà fi può quella introdurre, dove è R e ligione, facilmente si possono introdurre le armi? E in quanto allo avere un popolo di agricoltorinon avrà egliavuto probabilmen te sotto gli occhi una riflessione veramente aurea diPlutarco,laqualequestopiùFilo. fofo , che Storico inserisce nella vita di N u m a , ed è , che , se in villa si perde quella temerità , e malnata voglia , che ci spinge a rapire le sostanze altrui , fi conserva però ottimamente tutto il necessario coraggio per difender le proprie ? Che più? Non diceegli stesso , che quel Principe , che ha uomini può farne presto de'soldati (y ) , che un zappatore , un contadino li avvezza agevole mente a marciare, a patir caldo e gelo, alle fatiche , ed agli ordini della milizia ? Ecco in qual maniera da que'robusti contadini , della Religion loro veneratori , amanti della patria abbia Tullo Ofilio potuto ben tosto crarre un poderoso esercito. pag.273: ( y ) A l g . O p . c o m . V . V i a g g i di R u s i a p a g . 5 8 - 9 ;   ra , avere ALGAROTTI , CAPO V , C h e se altri poi si volgerà a considerare , per qual guerra abbia questo R e rotti gli ozj dellapatria, e spintii Romani all'ar mi, come s'esprime Virgilio, vedrà,che ca de rovinata del tutto la ripugnanza i m m a ginata dal nostro Autore . Nella prima guer che ebbero i Romani dopo ilRegno di N u m a , non trattossi di uscire dal proprio paese,e andarad invaderecon armata ma no l'altrui , trattosli di difendere i propri confini dagli Albani', che per gelosía d'ima pero vollero la guerra con esli, e le per avventura non si-sarebbono questi accinti di buon animo ad una straniera espedizione , è da credere , che non avendo ne'campi perduto il necessario coraggio per difende re il suo , con tanto maggior ardore moffi G fieno a rintuzzare la forza degli ingiusti aggressori. Che tali poi fieno stati gli Alba ni , avvegnachè Livio (7) secondo l'usanza fua distintamente non ne favelli , non ce ne lasciano dubitare e Diodoro Siculo , e lo Atesso tante volte lodato Dionigi (aa). Per ciocchè il primo dice, che finfero gli Alba ni di aver motiyo di lagnarside'Romani per (z)T.Liv.Dec. I.Lib.I.Cap.9.n.22. ( a a ) D i o d. S i c u l. e x c e r p . L e g a t. t o m . I. p . 6 1 8 . Dionys Halic.Lib.II.p.137.    iR o m a ni sia per gara di primato , sia a cagione di questo stesso maltalento , che contro esli gli Albani dimostravano , non mancassero di corrisponder loro in malevolenza , e già in questo modo fparli fossero que'semi di odio , i quali scoppiarono poi in guerra manifesta. Nè tralasciarfidee,cheilnuovoReTullo Ostilio già erasi colle sue belle qualità cat tivato l'affetto de'Romani , e col distribui re a'bisognosi cittadini certe terre, le quali aveano appartenuto a'due primi Re , come scrive Dionigi (bb), avea già dato ad effi  92 RAGIONAM , CONTRO IL CONTE avere un pretesto di muovere contro esli, c o m e quelli , che portavano invidia alla p o •tenza loro ; e Dionigi attesta , che Cluilio Dittator di Alba volle la guerra co’Roma ni, e permise a'suoi di dare il sacco impu nemente alle terre loro.Aggiungafi, che gli Albani, come sopra abbiam cacciato una parte del popolo loro , la qua le a persuasion di Numitore , che per rego la dibuon governo volea purgarne laCittà lua,era ita con Romolo probabile , che vedessero di mal occhio cre sciuta a tanta grandezza una Città formata de’rifiuti loro , e che d'altra parte riferito , avean a Roma, onde è mo 1 (bb) Diony. Halic. Lib. III. pag.137 1   motivo di sperare di dover condurre una vita felice sotto il governo di lui . In abbiano CAPO VI. Regni di Tullo Ostilio, Anco Marzio , Ccoci ora giunti al Regno di quel Tullo Oftilio , che meritò di nuovo corona per la sua perizia militare , e guidò alla vittoria (a). pure il nostro Autore , che d'alcun poco s'ac (a) Virg. Lib. VI. Aeneid,  potuto cor Patria si cara , e che già per le civili , e militari virtù di Romolo , e per lo senno di Numa salita era ingrande stima,ed ono re presso le vicine nazioni. difendere una Eccoci ALGAROTTI . CAPO V. e Tarquinio Prisco. que Ita maniera resta verisimile , che i Romani robusti, e valorofi com'erano dilornatura, offesi da un popolo ad essi odioso , governa ti , e retti da un favio , e prode Principe , che amavano , Agmina J a m desueta triumphis QuestoRegno adunquenon meno diquello del suo fucceffore Anco Marzio defidera   Vero è , che si potrebbe in primo luogo fospettare e dell'età si avanzata di Anco e della stessa asserzione , che questo R e alla morte sua non avesse un figliuolo, il quale giunto fosse alla pubertà . Perciocchè il n o Itro Autore da un'epoca del suo Plutarco raccoglie, che giunto già foffe Anco all' anno sessantesimoprimo dell' età sua , quan do venne a morte , prestando intera fede a questo Storico , allorchè dice , che Anco ni pote di N u m a per parte di una figliuola alla morte dell'Avo già era nel quintoanno dell' età fua (b); minuta particolarità , di cui egli folo c'instruisce , non facendone motto non solo Livio , m a nè pure Dionigi , entrambi  94 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE corcino , avvegnachè non possano chiamarfi di lunga durata , non giungendo ilprimo se non a trentadue anni , ed il secondo a ven tiquattro, secondo la Cronología c o m u n e m e n te ricevuta ; e la ragione , che lo spinge ad abbreviarli , non è altra , se non l'improba bilità , che , secondo lui , risulta dal doversi ! fupporre nell'antico Sistema , che il R e A n co Marzio fia morto nella età di anni fel fantuno senza aver figliuoli , i quali già p e r venuti fossero alla pubertà . (6) Plut. in Numa in fine. i   fe dati questi per ne nyf. Halic. Lib. 1. p. 136. (d) 'T. Liv. Dec. I. Lib. I. Cap. 14. n. 35. Jam filii ALGAROTTI , CAPO VI. 95 i quali fi restringono a dire , che questo R e nipote era per via di una figliuola del Re Numa (c).Nè certaèpurequell'altraal serzione del nostro Autore , che alla morte di Anco non fosse ancora alcun suo figliuo lo giunto alla pubertà : perciocchè , te L i v i o descrivendo non troppo accuratamente quel primo secolo di R o m a secondo l'ufan za fua,diceallasfuggita,cheifigliuolidi Anco erano vicini alla pubertà (d), Dioni gi , il quale con occhio più diligente scorse que'tempi , attefta , che uno de'sopraccen nati figliuoli era già pervenuto alla pubertà , e l'altro ancora fanciullo (e) . Dubbiosi sono pertanto,per nondirfalsi,ifondamentidella difficoltà. Vediamo ora , veri fia almeno questa convincente". Perdo nimi il Conte Algarotti; ma io debbo con fessare , che quando lessi questa parte del suo Saggio,non potei fare a meno di non com piangere m é c o stesso la deplorabil sorte della umana ragione , non potendosi coloro , che © T.Liv.Dec.ILib.I.Cap.13.n.32.NumaePom pilii Regis Nepos filia ortus Ancus Martius erat.Dio prope puberem aetatem erant . (e) Dionys, Halic.Lib.III.pag.184.    ne fanno la gloria , qual certamente egli era liberare da'pregiudizi pienamente . Grave presunzioneinvero controallagiustiziadella causa si è l'esser forzato un u o m o del suo senno a ricorrere a tali ragioni per sostenerla. La grande impressione , che avea fatto in lui il Sistema Cronologico del Neutone , 1' opinione , che aveva della dottrina di q u e fto Filosofo fecero sì , che lasciò sfuggir dalla penna certe ragioni , le quali eglim e desimo, le altri gliele avesse opposte , non avrebbe né m e n o degnate di risposta se è da credere , che tutti gli uomini facciano , e d Anco medesimo abbia fatto quello ,che pru dentemente far fi dovrebbe . Se finalmente anche concesso , che ne'giovani suoi anni abbia  96 RAGIONAM.CONTRO IL CONTE Lascio pertanto al giudizio de'giusti matori delle cose , se l'esser morto il Re Anco Marzio in età di anni sessantuno fen za aver figliuoli,iqualitrapassasseroiquac tordici ami, sia tale inverisimiglianza, che ci sforzi a negar fede a'più gravi Scrittori delle cose Romane di que'tempi , e lascio per conseguente pure al giudicio loro , fe , fupposto , cheil partito prudente fosse di tor moglie, essendo egliancor giovane perpo terlasciare , come l'Autor nostro s'esprime, dopo le figliuoli attial governo , esti   ALGAROTTI , CAPO VI. 97 abbia tolto moglie , sia cosa inverisimile , che se non tardi abbia avuti figliuoli,o pu re morti fieno avanti lui i primi,non rima nendovi che gli ultimi . Tutte queste cose , come dicea ,io le lascio al giudicio de'let tori , e mi reftringerò soltanto a dimostrare , che la speranza , la quale prudentemente a y rebbe potuto nodrire , c h e i suoi figliuoli poteffero succedergli nel Regno , non era tale da spingerlo a tor moglie affai per tempo , la qualcosa per recare ad effetto mi con verrà indagare attentamente quelle leggi , o per dir meglio costumanze ,secondo cuicrea vanli i R e di R o m a ; tanto più che , oltre all' effere materia per se importante , non ci riuscirà forse inutile l'averla trattata nel de. corso di queste osservazioni . Chi dunque prende a considerare la con ftituzione del governo di Roma a que tem pi,hadapormente innanziditutto,che le cose non erano ordinate , come sono negli Statide'giorninoftri,ma chesenonrego lavansi gli affari del tutto all' avventura , elea  forza, e l'accortezza aveano per l'ordina rio'non poca parte nelle deliberazioni .Dif ficile pertanto sarebbe trovare le leggi fone damentali , secondo cui fissata fosse la suc cessione al Trono , ovvero il modo della la g   A due capi ridur si può la base della constituzione di qualunque Stato : al m o d o , con cui si eleggono, od intendonsi eletti quel Principe , o que' Magistrati , che hanno da reggerlo , ed alla autorità , che questi hanno sopra i loro soggerti. Della autorità , che i Re di Roma avessero soprailorosog getti, non appartenendo punto alla presente quistione, io non farò parola . Chi deside raffe per avventura d'esserne informato, p o trà ricorrere al Grozio , ed al Cellario (1) ed a que'luoghi degli antichi Scrittori da essi accennati . Mi volgerò bensì a mostra che H. Grotius de Jure Belli & Pacis Lib. I. Cap.III. Chriftoph. Ceilar.Breviar.Antiq.Roman.Cap.II.feff.1.  98 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE 1 elezione : tuttavia connettendo alcuni luoghi degli Scrittori , e facendovi sopra alcune ri flessioni , verremo in chiaro , per quanto comportar lo possa un si rimoto secolo, di quelle consuetudini , le quali , secondo c h e io stimo , tenevano luogo presso i Romani di leggi fondamentali . per quanto raccoglier si poffa dalle scarse notizie di quella età il Regno di R o m a piuttosto elettivo , che altro chiamar li dee . re , 1 E 03.120. n.5 S. 2.   ma ALGAROTTI . CAPO VI. 92 E prima di tutto, le dalla qualitàde'Re, i quali fuccedettero l'uno all'altro , si può ricavare alcuno indizio , certa cosa è , che in que'sette Regni mai figliuolo non succe dette al padre , che anzi tutti furono di di verle famiglie. N o n parlo di Tarquinio il Superbo , il quale non per giusta strada, m a colla forza , e per mezzo delle scelleratezze giunse al Trono , a cui mai sarebbe in al tro modo pervenuto .Veda adunque l'Au tor noftro , se dalla elezione di Anco , che nipote era per via di una figliuola di N u che non subito dopo il Regno dell' Avo ,ma dopo quello diServioTullioasce se al Trono , inferir se ne possa, che piut tosto pendesse ad essere successivo il Regno di Roma . Che se Tarquinio Prisco allonta nò da Roma i figliuoli di Anco nella ele zione del nuovo Re , la qual precauzione egli s'avvisa dimostrar , che vantassero que sti giovani diritto al T r o n o ,si vuol notare , che tutto facea per li figliuoli di Anco ,per muovere i Romani a conceder loro il R e g n o , e tutto era contrario a Tarquinio . Erano i primi discendenti da N u m a figli uoli di Anco Principe , che congiunto avea le più belle qualità de'suoi antecessori, o n de è detto da Livio uguale a qualunque de' pal. g 2    Pa (8)T.Liv. Dec. I. Lib.I.Cap.13. n.32. Medium erat in Anco ingenium ,& Numae , & Romuli memor. Id. ibid. Cap . 14. n. 35. Cuilibet fuperiorum Regum belli ) Dionyf. Halic. Lib. III, pag. 184.  1 Too RAGIONAM , CONTRO IL CONTE passati R e nella gloria delle arti sia di Sequitur jactantior Ancus Nunc quoque jam nimium gaudens popu laribus auris . Uno di questi poi secondo Dionigi (1) già era alla pubertà pervenuto.Laddove Tar quinio oltre ad essere straniero essendo stato dal morto Anco fuo fingolar benefattore d e ftinato per tutore a'suoi figliuoli , la qual cosa fece per avventura , lusingandosi, che avrebbe egli tentato ogni modo di aprir loro la strada al Trono ,nè per gratitudine questo dovendofi fupporre ignoto a' R o m a ni , certa cosa è , che eravi ragion di teme re per lui di non poter ottenere il suo in tento , quantunque il Regno fosse elettivo , se i figliuoli di Anco avessero potuto chia marlo , esponendo a' Romani i meriti del paces che di guerra (g), e quello , che è più grandemente amato dal popolo ,secondo che disse Virgilio in que'suoi versi, ove più da Storico , che da Poeta favella (h) . pacisque,& artibus, & gloriapar. (h) Virgil.Aeneid.Lib.VI.   'ALGAROTTI . CAPO VI. 101 Padre loro, la di cui memoria era ad effi si cara . Sapea benissimo l'astuto, ed a m bizioso Tarquinio , qual impressione far p o tea nel popolo l'aspetto de' giovani Princi pi , ed il rinfacciargli, che avrebbono fatto la sua ingratitudine . T e m è pertanto la pre senza loro giustamente , e trovò m o d o di allontanarli da’ Comizj . Dal fin quì detto chiaramente risulta, che non ostante i pregj , che vantavano i figliuoli di Anco , essendo stati esclusi dal Trono , a cui quantunque per molti motivi gliene dovesse esser chiusa la strada (k), fu innalzato Tarquinio , ben lungi dall'inferire da questo allontanamento, che nella elezio . ne del R e i voti stessero ordinariamente per la ftirpe Reale , 'avendo un tale allontana mento bastato ad escluderli, se ne dovea a più buona ragione dedurre , che i Romani niun riguardo avessero al sangue Regio nella elezione del R e loro . min (k),Alienum quod exaétum: alienioremquod ortum Corin tho :faftidiendum quod mercatore genitum : erubefcendum quodetiam exule Demararo narum patre , Valer. Mas xim , Lib.III,Cap.IV.  M a veniamo ora con testimonianze degli Storici a dimostrar maggiormente il diritto de'Romani nell'elezione de'Re loro,eco.. g3   RAGIONAM, CONTRO IL CONTE ininciando da Livio:(1) Servio Tullio , dice questo Storico , avvegnachè foffe coll'uso al possesso del Regno , tuttavia perchè sa peva , che il giovane Tarquinio andava dif ieminando esso regnare senza ordine espres so del Popolo , conciliatosi il buon voler della plebe col distribuir certe terre tolte a’ nemici , fi arrischio di porre in deliberazio ne a'Romani , fe volevano , ed ordinavano , che regnasse o no , e con tanto general c o n senso , con quanto per lo innanzi alcun al tro giammai Re fu dichiarato . Ove è da notare ,che Tarquinio il Superbo per farsi strada al Trono non vanta già i suoi diritti come figliuolo di Re , nè taccia Servio di usurpatore, perchè coll'occasione di a m m i nistrar la tutela di lui era giunto al Princi pato , m a dice , che fenza espressa elezione del popolo Servio Tullio governava il R e gno : e Servio per dileguar que'rumori ,non risponde già non essere un tal consenso n e cessario , m a , assicuratosi prima dell'affetto quam jam ufu haud dubie Regnum poffederat; tamen quia interdum jactari voces  1 102 (1)T. Liv.Dec. I.Lib.I.Cap.18.n.46.Serviusquam del a juvene Tarquinioaudiebat fe injusu populi regnare , conciliata prius voluntate plebis , agro capto ex hoftibus viritim diviso, aufus eft ferre ad populum , vellent juberentne fe regnare : santoque consena fui, quanto haud quisquam alius ante, Rex eft declarcius;   # Questo è quanto dice Livio lo Storico , di cui l'Autor nostro maggiormente si pre gia ; m a per dare a vedere con alcun altro Scrittore la verità medesima , a chi della a u torità del solo Livio non si volesse appaga consideriamo c o m e parla lo ítesso S e r vio presso Dionigi per difendersi dalle accu fe di Tarquinio : mentre io era disposto (ei dice adunque a Tarquinio ) a rinunciare il Regno (m) iRomani mi trattennero , sulqual Regno essi hanno diritto , e non voi altri, o Tarquinj ; quindi prosegue : siccome al vostro A v o ( cioè a Tarquinio Prisco ) fu dato il Regno , quantunque estero , ed alie nisfimo dalla cognazione diAnco , sprezzati i figliuoli di Anco non fanciulli e nipoti , m a nel fiore dell'età loro , nello stesso m o d o a m e f u c o n c e s s o , p e r c h è il P o p o l o R o mano non un erede del Padre metre algo verno della Repubblica , m a un personaggio veramente degno del Principato. Tutto questo vien confermato dalla con g4  'ALGAROTTI. CAPO VI. 103 del popolo , pone in deliberazione a ' R o m a ni , le volevano , che seguitasse a reggerli , cose tutte , che l'autorità del popolo nella elezione de'Re appieno dimostrano . dotta 1 re , (in) Dionyf.Halic.Lib.IV.pag.237. 1   RAGIONAM. CONTRO IL CONTE dotta di Tarquinio Prisco verso i figliuoli di Anco ; chi si vorrebbe dare a credere , che un uomo cosi accorto avesse commesso tale inconsideratezza di lasciar dimorare in R o m a questi Principi, e non proccurare di al lontanarli per destro m o d o d a quella Città se avesse loro usurpato il R e g n o ? Bisogna credere , ch'ei s'avvisasse dinon esser reo d'ingiustizia veruna contro d'essi, non altro avendo fatto , se non usare una destrezza per ottener dal Popolo una cosa , di cui questo poteva liberamente disporre. Vero è , che sia Anco Marzio , fia Tare. quinio Prisco , destinando per tutori de'pro pri figliuoli personaggi, i quali doveano ef sere per ogni ragione ad elli tenuti grande mente , si lusingarono, che questi proccurasse roa'lorofigliuoli quelRegno, cheime desimi procacciarono per fe , servendosi p e r l'appunto del credito acquistatofi penden te il governo de'benefattori loro . M a que sta cura medesima , ed il non aver sortito l'effetto desiderato da que’ due R e , dimo-. ftra vie più il poco riguardo , ch'avea il Popolo Romano al sangue Reale nelle ele, zioni de’nuovi Principi . Del resto , se da quel general ritratto de? costumi de'Romani di que'tempi , che racs  1 104 1 CO   Troppo parrà a taluno , che dilungato mi fia in questa materia , la quale in vero non avrei trattato così ampiamente , se non mi fosli dato a credere , che anche prescinden (7) Montes Esprit des Loix Liv.XI.Chap. 12,  ALGAROTTI . CAPO VI. 105 cogliesi dalla Storia , si può trarre qualche congettura , essendo propria di popoli rozzi peranco e semibarbari una costituzione in forme di governo , non è da credere , che la successione al Trono di padre in figliuo lo stabilita fosse tra esli, essendo questa frut to di secoli più colti , e per recar finalmen . te la testimonianza di qualche moderno Scrit tore ', che questa verità abbia riconoíciuto , basterà per tutte quella del Montesquieu (n), il quale asserisce chiaramente e fuori di v e r u n d u b b i o , c h e il R e g n o d i R o m a e r a e l e t tivo . Veda adunque l'assennato lettore , se la speranza di lasciar figliuoli atti al R e g n o allamorte fua era tanta da muover Anco a tor moglie assai per tempo , e se anche c o n cedendo tutte le conseguenze , che da que Ro matrimonio cosi per tempo contratto ne deduce il nostro Autore , le quali altri forse non avrebbe alcun ribrezzo a negare il fon damento , che a queste ei pose, siastabile, e fermo fufficientemente . do   106 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE do dalla nostra quistione , non sarebbe per avventura riuscito discaro il veder posto in pieno lume untal punto. Tempo è ora, che veniamo al Regno di Tarquinio Prisco. Se de'Regni di Tullo Ostilio, ed Anco Marzio toccò per così dire soltanto alla sfug gita il nostro Autore , di troppo più forti r a gioni fi crede afforzato per accorciar la d u rata di quest'ultimo . E qui debbo di n u o vo avvertire , che l'essersi egli appagato degli scarsi racconti di Livio , e il non aver rivolto l'occhio a quel lume , che mena di ritto per l'oscuro calle di que' primi tempi di Roma , voglio dire a Dionigi , è stato cagione dell'aver egli ritrovate ripugnanze , che non vi sono . Strana a lui pare , per istringere le sue ragioni in breve,la disfimu lazione de' figliuoli di Anco , che per tren totto anni aspettarono luogo e t e m p o vendetta , e vendetta ei dice eseguita c o n tro un usurpatore del R e g n o in pregiudizio loro , avvegnachè fosse itato instituito tor di essi dal Padre medesimo . E d'altra parte a lui pare , che troppo grande disdet ta sia stata la loro, che di tanta dissimula zione dopo aver indugiato intino alla età di cinquant'anni ad operar quel fatto , non ne abbiano colto frutto alcuno alla tu . tuttociò essendo cona rimasi esclusi dal Trono .    per altro grido di accurato nel r a c cogliere i fatti descritti dagli Antichi (p), e il di cui difetto non è la brevità , cioè, ch'essendo stato ucciso il famoso Augure Accio Nevio colui , di cui si racconta il prodigio vero o supporto della cote tagliata col rasojo , i figliuoli di A n c o attribuirono questa uccisione a Tarquinio , fia perchè , essendo il R e entrato in pensiero di far m u tazioni nelle leggi , temeva non gli dovesse di  "ALGAROTTI , CAPO VI, 107 M a se avesse egli consultato Dionigi, avrebbe veduto , che vero è bensì aver in terposto i figliuoli di Anco trent'otto anni tra la ingiuria, e la vendetta in questo fen fo , che potessero recate ad effetto le loro crame, ma vero poinon è, che in questo frattempo questa medesima scelleratezza altre volte macchinato non avessero ,laqual cosa non sivenne a sapere,se non dopochè eb bero eseguita quella tragedia : Chiaramente in farti asferisce Dionigi , ove narra la m o r te di Tarquinio (o), che coteíti figliuoli di Anco più volte aveano tentato di togliergli la vita , che anzi aggiugne questa partico larità , omeffa da uno Storico moderno , il quale ha (1) Dionyf. Halic. Lib. IV . p. 204-5; ( 0) Rollin Hift. Rom.   RAGIONAM . CONTRO IL CONTE di nuovo efier contrario questo Augure,coa m e altre volte trovato lo avea , sia perchè egli non fece le necessarie ricerche per stato a  1 conoscere, e punirne gli uccisori . Riconci liolli Servio Tullio con Tarquinio , m a a v e n dolo ritrovato facile al perdono , dopo tre anni il messero a morte nel modo , che de scrive Livio . Dirà taluno non esser da cre dere , che abbia Tarquinio sì facilmente p e r donato un tale attentato a'figliuoli di Anco ; m a forse vero era ciò , di cui l'accagiona vano , e se ne avesse mostrato risentimento , avrebbe dato peso all' accusa . Del rimanen te è da credere , che note non fossero a Tarquinio le antecedenti macchinazioni , p e r chè dicendo Dionigi unicamente a proposi to di quest' ultima , che lo ritrovarono fa cile al perdono , dimostra , che le altre giun te non erano a cognizione di lui ; onde cagion di quella accusa , ben avesse egli m o tivo di tenerli per malcontenti , m a n o n a segno di volergli toglier la vita . ri che allora pre Anzi di più è da notare cipitarono l'impresaifigliuolidiAnco,quan do sividero chiusa lastrada dipoteredopo la morte del vecchio R e , esponendo i m e riti del Padre loro , procacciarsi il Regno ; voglio dire quando giunto Servio inalto   stato presso a Tarquinio , ed instituito tutor re de'figliuolidilui,vedevano,chequesti amato , e ten Tutto questo succeduto non sarebbe , se fosse stato, come pensa l'Autor noftro , Tar quinio un usurpatore , poichè non avrebbo no dovuto tentare tante obblique strade, usar tanta diffimulazione, ed è da credere , che più facilmente , e più presto sarebbono forse venuti a capo de'loro disegni . M a già so pra abbiam messo in chiaro , ch'elettivo ef Tendo ilRegno di Roma ingrato bensi, e sconoscente ad Anco fuo benefattore non usurpatore chiamar fi può Tarquinio Prisco . Strano pertanto non dee riuscire che abbiano frapposto i figliuoli di Anco trentore'anni non già tra l' ingiuria , e la  ALGAROTTI . CAPO VI, 709 e riverito da'Romani poteva con tro esli servirsi del credito rante ilRegnodi Tarquinio.Fecero per tanto pensiero di arrischiare il tutto iare , le poteva loro venir fatto con una d i {perata impresa di far levare il popolo a r u more,presso cui(prestando fededileggie ri l'uomo a quello , che spera ) stimato a v ranno , potere ancor molto la memoria del di quel Trono, a cui avvisavano di non poter giugnere in Padre , e così impadronirsi altro modo . acquistatofi du ma de   deliberazione , che fecero di vendicarsi ,m a tra l'ingiuria , ed il vedere la vendetta loro eseguita non sarebbe questo il solo esempio , che delle contraddizioni c'instruisca dello spirito umano . Non avete, dice pure egli stesso (1) Alg.Op.tom.IV.Disc,milit.Disc.XIX.Soprala Giornata di Maxen .  II. RAGIONAM . CONTRO IL CONTE N o n fa ora quasi più mestieri di farmi a dimostrare , che per non aver esli colto al cun frutto dalla loro lunga dissimulazione , non sidee,come fa l'Autornoftro,negare, che di trentotto anni stato non zio di tempo , il qual corse dalla morte di A n c o a quella di Tarquinio Prisco . E chi non sa , che moltissime volte non riescono ad uomini avvedutissimi i loro disegni ? Dice pure lo stesso Conte Algarotti , che l'efito il quale importa il tutto innanzi agli occhi del volgo , è nulla innanzi a quelli del fa vio ? (9) E d ancorchè fuppor fi volesse , che i figliuoli di Anco , i quali aveano per si lungo tempo con tanta cautela l'affare , non avessero poi usate condotto le dovute della c o n giura , non farebbe questo , per servirmi di avvertenze nell'ultimo scoppiar nuovo delle parole di lui in altra sua o p e sia lo spa tan ra   ALGAROTTI . CAPO VI. tante volte veduto la medesima nazione , il medesimo uomo prudentissimoragionevolisii m o in una cosa, imprudente , ed irragione vole in un'altra , benchè in ammendue gli dovessero pur esser di regola le stesse m a l fime , gli itefli principi (r)? Del rimanente chi la , se non si farebbo no gli uccisori impadroniti del Trono, quan do Servio Tullio , e Tanaquilla non foliero stati così avveduti , come e'furono ? A tutti è noto , che Tanaquilla fece correr voce , che Tarquinio ancor vivea , affinchè niente si tentaffe di nuovo , e Servio avesse c a m ро di premunirsi. Onde possiam conchiude re,chenèpureinquestoRegno diTar quinio vi è ripugnanza tale tra i farti , e le epoche , che ci sforzi ad abbreviarlo . Regni di Servio Tullio , e di Tarquinio E il non aver consultato Dionigi traffe più volte l'Autor noftro in errore , secondo () Alg.Op.tom.I.Dialoghi sopra l'OtticaNeuron,  C A Pp Oo quello , SE Superbo . VII. Dialog.IV.pag.140.   Per venire adunque prima di tutto alle ragioni , per cui giudica l'Autor nostro d o versi abbreviare il R e g n o di Servio Tullio : fu Servio , ei dice , ucciso da Lucio Tarqui n i o , d i p o i c o g n o m i n a t o il S u p e r b o , c h e v o leva ricuperare il R e g n o paterno toltogli d a effo Tullio, uomo intruso, e dischiattaser vile,e fu ucciso dopo un indugio di qua rantaquattro anni , il che , segue eglia dire , vie maggiormente pare inverifimile a chi fa considerazione, che questo Tarquinio era già u o m o da menar moglie , allorchè Servia Tullio divenne Re , ch'egliera dispiritiol tre  112 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE 1 quello , che abbiam sopra dimostrato , onde ritrovò irragionevolezze, ed inverisimiglian ze tali , che stimò doversi di sì lungo trat to di tempo abbreviar la durata de'Regni de'RediRoma,ilnon aver rivolto lo sguardo a questo Storico assurdi gli fece rinvenire in questi due ulti mi Regni. Perciocchè in vero gliere le difficoltà mosse de'cinque primi Regni contro la durata non avrebbe molte volte fairo mestieri d i mente a Dionigi ; m a più difficile riuscireb b e il rispondervi per rispetto ultimi,se nonsifacefleusodellaautorità di lui. troppo maggiori ricorrere necessaria. a questi due , per iscio 1   che abbrancato Servio nel mezzo della persona lo si portò di peso fuor della C u ria,e gittollo giù perli gradini;ora sea quarantaquattro anni del R e g n o di Servio si aggiungono venti circa , ch' eidovea ave re alla morte di Tarquinio Prisco,verrà ad esser vecchio di sessantaquattro anni , allor chè dimostrò tanta gagliardía . Questi sono i motivi, per cuistima l’Au tor nostro esser più inverisimile aver Servio regnato quarantaquattro anni , che Tarqui nioPrisco trentotto.Già abbiamosopradi mostrato non esser punto contraria a'fatti la durata del Regno di Tarquinio , ora verre mo a far vedere effer non meno verisimile la durata del Regno di Servio, che quella non  ALGAROTTI . CAPO VII. '113 tremodo ardenti , ed ambiziosissimo , .e v e niva tuttodi stimolato ad occupare ilRegno da Tullia sua moglie femmina trista fopra ogni credere , e malvagia . Dal che ne c o n chiude esser m e n o probabile , che Servio Tullio abbia potuto regnare quarantaquattro anni , che Tarquinio Prisco trentotto . Oltre di questo ei riflette, che Lucio Tarquinio , il quale vivente Servio Tullio è sempre q u a lificato giovane , fosse tuttavia giovane , e robusto alla fine del Regno di quello , la qual cosa egli arguisce da ciò , che fi leg ge , h   114 RAGIONAM, CONTRO IL CONTE a ) T. Liv. Dec. I. Lib. I. Cap. 17. n. 42. O T.Liv.Dec.I.Lib.I.Cap.16.n.41.Tuumeft..... non sia del suo antecessore. Desidererei per tanto prima di tutto lapere , onde abbia r a c colto l'Autor noftro quella particolarità ,c h e al principio del Regno di Servio già fosse Lucio Tarquinio in età da menar moglie . Di questo non m i venne fatto di ritrovarne parola presso gli Storici, e non mi posso persuadere , che perchè Livio (a) descriven do le azioni di Servio pone prima di tut to aver egli date in ispose due sue figliuo le a Lucio , ed Arunte , per questo abbia l' Autor nostro stimato di poter mettere q u e sti due matrimoni al principio del Regno di Servio : perciocchè in questo caso ognun vedrebbe sopra quanto fallace congettura egli avrebbe avventuraro questo fatto . M a quando pure da Livio ciò ricavar fi potesse , vorrei di più , ch'altri mi sciogliel se questo nodo, cioè se a tale età già per venuto era Tarquinio Superbo alla morte di Tarquinio Prisco , c o m e riuscir poffa proba bile , che Tanaquilla con quelle si eloquenti parole eforti presso Livio Servio Tullio (6) a Servi fi vir es Regnum , non eorum , qui alienis mani . bus peffimum facinus fecere: erige'te Deosque duces re. quere , qui clarum hoc fore caput divino quondam circum 1    ALGAROTTI . CAPO VII. Desidererei pure , ch'altri insegnar mi sa pesse ilmodo dicomporre insieme l'aver Tanaquilla un figliuolo giunto alla luccenna ta età , ed il proccurar, ch'ella fa il R e gno a Servio piuttosto , che a Tarquinio suo figliuolo . E d ecco che senza rivolgere al tro Storico , che il folo Livio , dando vento anni circa a Tarquinio Superbo al princi pio del Regno di Servio , ne risultano in verisimiglianze grandissime, per toglier le quali altro far non si potrebbe , che suppor re fanciullo Tarquinio Superbo alla morte di Tarquinio Prisco ; il qual partito essendo h2 115  - a prendere le redini del Regno ancor manti del sangue di Tarquinio Prisco , e a vendicar la morte dell'uccilo fuo marito , A m e sembra , che ad una tal vendetta ad ogni m o d o piuttosto ella proprio figliuolo , se questi già pervenuto era al ventesimo anno dell'erà sua , ed è ben da credere , che u n giovane Principe nel fior de'suoi anni facesse troppo più m e morabil vendetta della uccisione del Padre di quello , che fosse per fare Servio Tullio . fufo igni portenderunt : nunc te illa coeleftisexcitesflama ma:nuncexpergifcerevere:& nosperegriniregnavimus: qui fis non unde natus fis, reputa : Si iua , re subita 2 confilia torpent, at tu mea confiliafequere. animar dovesse il fu quello ,   '116 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE Posto ora adunque , che ancor fanciullo fosse TarquinioSuperbo alprincipio delRe. gno di Servio Tullio , ne segue , che da lui allevato , non avendo vedute. le grandezze del R e g n o dell'Avo , del quale lapea. aver Servio vendicata la morte collo allontanarne dal Trono gli uccisori , e per ultimo stret to seco lui in vincolo di parentado , e spe rando di succedere ad un uomo già oltre negli anni per commettere la scelleratezza che commise , dovettero concorrere questi due impulsi, vale a dired' avere a lato una malvagia , ed ambiziosa femmina , e d'ef fer fuori di speranza di poter succedere a Servio Tullio , avendo questi, come ce ne affi e  quello , che toglie tutte le ripugnanze , d altra parte non raccogliendosi dagli Stori ci , di qual' età precisamente ei fosse alla morte di Tarquinio Prisco , sarebbe quello , che prendere li dovrebbe .M a non abbia m o bisogno di congetture , poiché , che T a r quinio Superbo fosse per anco fanciullo , non figliuolo, ma nipote di Tarquinio Pri sco , chiaramente viene attestato d a D i o n i gi (c); il che dovremo di nuovo notar più fotto . ( c) D i o n y f. H a l i c . L i b . I V . p a g . 2 1 1 . 2 1 3 .   re frapposto qualche indugio , affinchè m a • nifeftamente n o n risaltassero agli occhi i d e suno  5 che ci dicono gli Storici (e) , per potere stringere quel scellerato matrimonio , fra l'una delle quali , e l'altra avranno p u ALGAROTTI , CAPO VII. 117 assicurano Livio , e Dionigi (d), fatto pen fiero di rinunciare il Regno , e dare la lic bertà a Romani . M a è da avvertire , che forse qualche notabil tempo trascorse oltre il ventefimo anno del Regno di Servio,in-· nanzi che si congiungessero con quelle infa m i nozze Lucio Tarquinio , e Tullia : per. ciocchè , fupponendo , che avanti al vente fimo anno del Regno suo non abbia Servio date le sue figliuole in ispose a' Tarquinj, ad ognuno è noto , che Tullia moglie era di Arunte , e non di Lucio , e Lucio a m m o gliato era coll'altra figliuola di Servio , o n de ebbero a passare per tutte quelle scelle ratezze , litti loro . Credo poi veramente , che dopo ch' ebbero coronate le commesse iniquità colle nozze , non si debbano per modo nef h3 (d) T. Liv. Dec. I. Lib. I.Cap. 18. n.48. Idipfum tani mite tam moderatum imperium deponere eum inani. mo habuisse quidam Auctores funt, ni fcelus intestinum li. berandae patriae confilia agitanti interveniffet . Dionyfi Halic. Lib. IV. pag. 243. (c)T. Liv.Dec. 1.Lib.I.Cap.18.n.46 Dionyf.Halic.Lib.IV.pag.232,234,   che la ragione , per cui finalmente val sero preffo Tarquinio le persuasioni della sua rea moglie , fu l'aver questi inteso c h e Servio volea dar la libertà a'Romani , alla qual risoluzione forse fu egli spinto princi. palmente dalle malvagità della figliuola , e di Tarquinio . Vedeva egli benislimo che Tarquinio da lui giudicato indegno del T r o no,appunto perchè tristo,giàdovea forse essersi formato una fazione di ribaldi pari suoi , e che dopo la morte di lui o avreb be forzato i Romani ad eleggerlo a Re lo ro , o pure quando avessero avuto tanto co raggio di eleggerne un altro , prevedeva , che avrebbe tentato ogni mezzo, ed anche accesa una civil guerra per giungere al T r o no . E d'altra parte Tarquinio Superbo, se con questa risoluzione di Servio non sifosse veduta tagliata ogni strada , non avrebbe avventurata la sua fortuna e la sua vita G T .Liv.Dec.I.Lib.I.Cap.18.n.46.Initiumcura  138 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE suno passar sotto silenzio i continui stimoli di una donna , quale si era Tullia , onde a buona ragione abbia detto Livio ( F) , che il principio di sconvolgere ogni cosa da una donna ebbe origine : m a contuttociò io sti me mo, bandi omnia a foemina orium ift   Tolti ora diciannove o venti anni dalla età , che aver dovea Tarquinio ilSuperbo , onde venga ad essere di soli quarantaquat sro o quarantacinque anni , e non di sessan taquattro,quandogittògiùper ligradini della Curja Servio Tullio, non parrà più in nessun m o d o inverisimile tanta gagliardía . Senzachè io lascio al giudicio degli assen nati , se , anche concedendo , che di sessan taquattro anni abbia Tarquinio fatta una tal prova , menandosi allora una vita più dura , e per conseguente più robusta , ed essendo Tarquinio riscaldato dalla collera , sia poi cosa da farne tanto le meraviglie .Onde mi pare di potere a buona ragion conchiudere , h4 1  1 1 V ALGAROTTI CAPO VII. medesima come fece, ma servito fifareb be della fama dell'Avo suo dopo la morte di Servio , che già era oramai pieno di anni per farsi elegger Re da'Romani, cosa , la qual potea giustamente sperare potergli riu sčir più agevole , che d 'intraprendere , com ' egli fece, di usurpare il Regno vivente lui medesimo . Ben vedea , che se tentato avel 1 se inutilmente questo passo di trucidare il suo Suocero , ed impossessarsi coll'armi del Solio , non gli rimaneva più speranza alcu na . Non arrischiò adunque iltutto, senon quando si vide in procinto di tutto perdere. 1 119 chę ) <   RAGIONAM . CONTRO IL CONTE che siccome non v'ha motivo di accorcia . re i precedenti Regni , così nè pure ve ne ha alcuno per accorciar quello di Servio Tullio . Siamo finalmente pervenuti al Regno dello steffo Tarquinio Superbo ultimo R e di R o ma . La principal ragione , che adduceľ Autor noitro per abbreviare ilRegno di lui , e che abbraccia anche i Regni di Tarqui nio Prisco, e di Servio Tullio, è questa. A c cadde,ei dice , che verso la fine del Regno di Tarquinio Superbo , Sefto Tarquinio , e Tarquinio Collatino essendo a c a m p o ad A r dea , vennero a contesa chi di loro avesse moglie più onefta ; d'onde poi nacque , c o m e ognun fa, il Consolato , e la libertà di R o m a . Ora questo Tarquinio Collatino a quel tempo secondo le parole di Livio ( 8) era giovane , e secondo lo stesso Autore era figliuolo di Egerio , a cui Tarquinio Prisco suo Zio commise la guardia di Collazia Città novellamente acquistara (h) nella guerra S a (8) Regiiquidem juvenes interdum orium conviviis comeslaf. fionibusve inter fe terrebant; forte potantibus his apud ( fratris hic filius erat ) Collasiae in praefidio relictus  bina , Sextum Tarquinium incidit de uxoribus mentio & c. T. Liv. Dec. I. Lib.I. Cap. 22. n. 57. (1) T. Liv. Dec. I. Lib. I. Cap. 15. n.38. Egerius }   1 3 1 1 ALGAROTTI . CAPO VII. bina, e ciò fu verso il principio del Regno di Tarquinio Prisco , il quale viene a c a d e re fe non prima l' anno centocinquanta se condo il computo comune della edificazione di R o m a . Convien dire , ei soggiugne , che Egerio a quel tempo avesse almeno i suoi quarant'anni , fe vogliamo crederlo atto a Costenere un carico di tanta gelosía , come è quello di castodire una Città, di nuovo a c quisto , e se vogliamo , che fosse nato , c o m e si h a d a L i v i o , p r i m a c h e T a r q u i n i o Prisco veniffe a Roma .Ma come può fta re , ei conchiude , che un uomo di quarant' anni l'anno di R o m a centocinquanta avesse un figliuolo'ancor giovane l'anno dugento quarantaquattro ? Cioè quasi un secolo dopo , come non fi voglia dire, ch'egli avesse fi gliuoli passati i novant'anni , il che merita va aver luogo secondo lui tra le meraviglie della Storiadi Plinio,non traifattidiquella di Livio . Pensa adunque l'Autor noftro , che s e vogliamo ritenere questa discendenza de'Tarquinj , fa mestieri prendere ilpartito di accorciare i Regni di Tarquinio Prisco , di Servio Tullio , e di Tarquinio Superbo , che occupano il tempo , che è di mezzo tra il figliuolo , ed il Padre . Molte cose io potrei qui porre sotto l. +    RAGIONAM. CONTRO IL CONTE (i)Collariae inpraefidio reli&us.T. Liv.loc.fupra cita  opera ucchio del lettore per isciogliere questa dif ficoltà, come farebbe il dire, che non sifa precisamente il tempo , in cui sia stata con quistata Collazia ; che Livio Storico non trop po'accurato può esserfi ingannato nel dire , che già nato era Egerio prima che Tarqui nio Prisco venisse a R o m a , che la custodia d'una Città non era carica a que'tempi , per esercitar la quale dovesse u n guerriero effer giunto all'età di quarant'anni : tanto più trattandosi di un Zio , che una tal c u ftodia commette ad un Nipote : perciocchè non essendo in quell'età le cose così rego late,come a'dinostri,piùosservavasinegli uomini , i quali davano al mestier delle armi,la bravura,elagagliardia,doti, di cui potea egli molto b e n e esser fornito alla età di venti o venticinque anni che n o n il s e n n o , c h e a ' n o f t r i t e m p i i n u n G o vernatore fi richiede , per fuppor ilqual sen no ci vorrebbe per avventura più avanzata età . Potrei dire di più , che se vogliamo Itare alle parole di Livio,da queste nonfi può dedurre , che la custodia della Città sia Itata a lui principalmente come Capo c o m mesla (i), ma solamente che fu lasciato di pre   ALGAROTTI. CAPO VII, 123  presidio inquella Città dal Re fuo Zio.Por ter essere finalmente , che questo Collatino giovane più non fosse , attesochè, per non far parola della poca esattezza di Livio , questo Storico non dice precisamente , che giovanefosseCollatino,ma cheiRegjgio vani passavano il tempo in conviti, mentre erano occupati in quella piuttosto lunga,che viva guerra , 1 gliuolo sotto le quali parole di Regi giovani può egli aver foltanto intesi i figli uoli del R e , e non Collatino , quantunque della stessa famiglia , tanto più che dicendo egli dopo,che stando essibevendo pressoSe sto Tarquinio , ove pur Collatino cenava , cadde ildiscorso sopra le moglj (k), a me pare , che quelle parole ove pur Collatino cenava , dimoltrino , che sotto quelle ante riori di Regj giovani non altri abbia volu to intendere Livio fuor che ifigliuoli di Tarą quinio . M a comunque fiafi di ciò , s'abbia per nulla il fin quì detto , concedasi essere impossibile , che Egerio abbia potuto avere un figliuolo giovane al fine del Regno di Tarquinio Superbo . Sappiasi adunque , che Dionigi (1) crede Collatino nipote,e non fie ( k) Forte potansibus his apud Sextum Tarquinium ubi Collatinus coenabat . T. Liv. loc. cit. (1) Dionys, Halic. Lib. IV. pag. 261,   RAGIONAM . CONTRO IL CONTE L'ultima ragione , con cui l'Autor nostro ftudiali di abbreviare il R e g n o di Tarquinio Superbo , e che abbraccia anche quello del fuo predecessore Servio Tullio , ei la ricava da questo . Tarquinio quando pervenne al Principato , avea secondo lui sessantaquattro anni , a'quali chi aggiugne i venticinque che si dice aver egli regnato , troverà, che era questi in età di Ottantanove anni , a l lorchè fu cacciato dal Regno , la qual par ticolarità posto che vera ,n o n sarebbe stata passata dagli Storici sotto silenzio . C h e più , segue egli a dire , leggeli, che il medesimo Tarquinio parecchj anni dopo che fu c a c ciato di Roma , combatté a cavallo al L a go Regillo contra ilDictatorePostumio (m), ciò , che verrebbe a cadere l'anno centefi m o circa della età fua , onde ei correrebbe la giostra c o n un secolo sulle spalle ,affurdo, prosegue egli , non punto diffimile da quello avvertito da Luciano (n), che quella Elena ,  gliuolo di "Egerio , ed in questa maniera con un colposolositagliailnodo. 1 i Per cui l'Europa armolli ,e guerra feo, E l alto imperio antico a terra sparse , (m)T. Liv.Dec. I.Lib.II.Cap.11.11.19. (1) Lucian, in Somnio seu Gallo , quan   "ALGAROTTI . CAPO VII 12.5 quando desto quelle si celebri fiamme i n petto a Paride già fosse coetanea di Ecuba . suo .  Lalcio io qui,d'avvertire , che a Tarqui nio Superbo si vogliono torre que'vent'anni, iquali,come già sopra abbiam mostrato , gli dà di troppo l'Autor noftro , onde per dirlo alla sfuggita , non avea egli da mara vigliarsi , che gli Storici abbiano taciuta quella particolarità , che quando Tarquinio fu cacciato di R o m a , già era pervenuto alla età di oitantanove anni . Quello poi , che tronca ogni quistione per rispetto alla giornata del L a g o Regillo si è , che Dionigi (o), ch'egli pure reca in mezzo a questo proposito, e non gli presta fede , riprende quegli Storici , i quali narrano tal fatto , e dice doversi credere suo figliuolo , e non lui medesimo esser quello , che fu,ferito com . battendo contro ilDittatore Poftumio . O v ? è da notare che anche facendo il caso , che con sole congetture si dovesse scioglie re questo nodo , essendovi due mezzi noti al nostro Autore per togliere l'inverisimi glianza ,, cioè o di abbreviare i due.Regni di Servio Tullio , e di Tarquinio Superbo, o pure di dire non essere stato lui,m a il ( 0 ) D i o n y f. H a l i c . L i b . V I . p a g . 3 4 9 .   CAPO VIII. Si dà risposta a varie opposizioni . Chiaro Hiaro ora resta abbastanza , che le in. verifimiglianze raccolte dal Conte Algarotti , s'altri le viene minutamente osservando ,non  I26 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE fuo figliuolo quello , che ritrovossi alla giord nata del Lago Regillo , il nostro Autorem prende piuttosto il primo , cioè quello , che favorisce l'opinion sua , quantunque a m m e t ter non si possa per modo nessuno , quando si sa , che Dionigi , il quale avea con tan ta cura studiati gli antichi Storici Latini , e che se non altro fu tanti secoli più antico del Conte Algarotti , Dionigi in s o m m a così diligente nel fiffar le epoche, stima più prudente partito prendere il secondo. La scio ora pertanto decidere da chi diritto ragiona , se tali fieno i motivi addotti dallo Autor noftro , che si debba pure accorciare il Regno di Tarquinio Superbo,o se piut tosto,come ioavviso,non resistanoalla autorità degli antichi Storici , e debbano c a dere a terra come damento , del tutto privi di fon fon   ALGAROTTI . CAPO VII. 127 folamente non sono valevoli a mandare in rovina la Cronologia comunemente ricevuta , m a nè pure hanno forza per ispargervi fo: pra alcuna ombra di dubbietà,nè efferne cessario ricorrere a quel suo ripiego di a b breviare pressochè della metà la durata de' sette Regni per conciliare la giovanile erà di Romolo colle grandi cose , ch'egli ope To , e l'età di N u m a colla sua esalcazione al Trono. Nè secondo quello , che abbia m o osservato , l' u o m o indugia troppo cogli ftimoli della vendetta , e dell'ambizione a fianco anzi lungo spazio di tempo non ba fta ad estinguerli; nè quella gagliardía ,che trovar non si può nella vecchia età , avvien che vi si trovi, onde senza negar credenza , com 'egli pretende , a' più gravi Storici dell' antichità in cosa , in cui tutti convengono , quale si èla duratade'fette Regni,torna ogni avvenimento ( per servirmi delle stesse fue parole in contrario senso ) nell' ordine naturale delle cose .  nolo . 1 Del resto si dee avvertire , e di fatticre do , che ognuno avrà avvertito quanto d e boli , e leggiere fieno le inverisimiglianze ed assurdi,dicuiservisli ilnostro.Autore per distruggere la durata de'mentovati R e gni , e venire a confermare il Sistema Cro.   128 RAGIONAM.CONTRO IL CONTE nologico del suo Filosofo . Q u a n d o altri nes gar vuole la verità di un fatto attestato da gravi Storici per folo glianze , o contraddizioni, queste devono ef ler tali , che ammesse per vere il fatto al trimenti fufliftere non pofsa : perciocchè è legge dellaPoesia,non della Storia,ilnarra re soltanto cose verifimili.La.Storiaècon tenta di narrar cose vere ; e quante cose , a v vegnachè vere inverisimili ci pajono per una minuta circostanza o smarrita , o di cui non pensarono gli Scrittori di far menzione ,per un costume, per una legge , per una fog. gia particolare di vivere, di cui come di cose a'contemporanei loro notiffime , n o n istimarono dover far parola ? In s o m m a molte volte assomigliar potrebbefi la Storia ad una macchina , la qual produca maravigliosi ef fetti , e i di cui ordigni sieno ignoti. Tali dicono essere i nostri orologi per rispetto a’ Cinesi,e noinondirado,inispecieinquan. to allaStoria,laqual'èo da’tempi,oda? paesi nostri lontana , fiamo nel caso loro . Ecco adunque ,che leguate n o n fi fossero le inverisimiglianze i m maginate dall'Autor noftro , sono queste si deboli, che come saette vibrate contro una motivo d'inverisimi quantunque eziandio di falda armatura , ben lungi di recare alcuna offesa ,    ALGAROTTI . CAPO VIII. 129 offesa , cadono effe medesime infrante a terra , chę  E appunto per iscogliereil nodo , ch'egli benissimo vedea , ch'alori gli avrebbe potu to mettere innanzi agli occhi, vale a dire per qual ragione egli opponesse alcuni fatti, in cui discordano gli Storici alla durata di tutti i sette Regni tolti insieme, ed alla d u rata di ciascheduno in particolare , in cui sono a un di presso di un medesimo pare re, ei dice , che la memoria de'fattidovet te con più sicurezza essere conservata dalla tradizione , che non fu da quante volte , mentre quelli avvennero tornato un Pianeta al medesimo sito del Cie lo ; la qual risposta io non so , se basterà per appagare chi considera alquanto adden tro nellecose ; perciocchè a me pare noti zia non meno importante,e degna di esse re dalla tradizione, e dagli Scrittori a' p o steri trasmessa il numero degli anni , che occupòilTrono un Principe,diquello,che fieno molti fatti , a cui presta l'Autor n o ftro intera credenza . N e aveano i Romani bisogno di troppo fortili astronomiche culazioni, come pare , ch'egli accennar v o glia,per sapere di grosso, quando terminal le,eprincipiassel'anno.Ed unaprova, che questa tradizione del numero degli anni , i essa trasmessa sia {pe   ' epoca di molti de principali fatti, non si sia notato però l'anno preciso, in cui segui ciascun fatto . O v e è da riflettere che lo stesso noftro Autore dicendo non ef fere da credere , che gli Storici sapessero quanti anni sieno trascorsi, mentre andava no fuccedendo i fatti, è forza ,che ammet  130 RAGIONAM , CONTRO IL CONTE guerra di Romolo con lo veramente credo poi , che quantunque tenuto fi sia registro non solo del numero degli anni , che durarono i Regni de'Re di Roma , ma ancora del Regno di ciascun . R e , e dell ta , che abbia regnato ciascun Re , e per con seguente della somma di tutti isetteRegni, inratta conservata fi fia , si può dedurre da quella ammirabile concordia degli Storici nella Cronología , concordia , la qual non si vede certamente ne'fatti. che non sapesser nè pure l'anno preci fo , in cui questi avvenimenti seguirono. Ora con questa sua sola concessione viene a ro vinare buona parte delle ragioni , ch'egli apporta per abbreviare ciascun R e g n o . E d in fatti quante volte non fi serve egli di epoche di avvenimenti minuti , e per lo più ; registrati soltanto da un Plutarco , per ritro var ripugnanze nell'antico Cronologico Siste ma , come sarebbe,per recarne alcuno esem pio , l'epoca della tro   ALGAROTTI . CAPO VIII. 131  e del diverse guerre ; tempo Approssimandosi l’Autor nostro al fine del suo Saggio , reca altra prova contro l'anti co Cronologico Sistema,e ben sivede,che avendola riserbata in ultimo , ei crede , che dia questa l'estremo colpo , e il nodo del tutto recida . Questa prova , ei dice , è c a vata dalle generazioni di uomini , le quali tro i Camerj , che è in Plutarco , l'epoca del matrimonio di Tazia con N u m a , che trovali presso lo Iteffo Storico , come anche il precito numero d'anni , che vissero insie m e , il q u a l p u r e è r i c a v a t o d a l l o e s a t t o r e giftro , che il medesimo Plutarco ne tenne , per non parlare de cinque anni nè più nė meno,che avea Anco allamortediNuma e degli anni , in cui seguirono precisamente della nascita di Egerio , ch'egli raccoglie da Livio . Le quali epoche tutte oltre all'essere tratte la maggior parte da Plutarco o da Livio , credulo il primo , Itraniero , e lontanissimo da'tempi ,poco accurato l'altro,non dovea no per nessun modo addursi da lui , come quello , che pretendea non aver la tradizio ne potuto tramandareepoche di troppom a g gior rilievo , che queste non fieno , e c h e sono da tutti i più gravi Storici ammesse per vere . fono i2   sono indicate dagli Autori nella Storia dei R e diRoma ,le qualigenerazionidice,che con vincono di falsa la loro Cronología quanto alle durate de'Regni . Nella vita di R o m o lo,ei segueadunque, liha,cheOttilioAvo lo di Tullo Ottilio mori nella guerra contro a'Sabini , la qual fu ne'primi anni di R o ma,iRegni pertanto,eiconchiude,diRo molo , di Numa , e di Tullo Oftilio non si stendono più là , che il tempo razioni.Da Numa ad Anco Marzio,ei se gué , ci è una generazione sola , perchè l' uno era Avolo dell'altro ; dal che seguita , che la generazione tra Numa , ed Anco coincidendo col tempo di Tullo Oftilio , ci fia l'età di un uomo qualche anno più o meno da Tullo al fine del Regno di Anco. Onde dal principio del Regno di Romolo allafinediquellodiAncocorrono datre generazioni . Lucio Tarquinio Prisco , p r o legue egli, uno de'Lucumoni dell'Etruria , viene a Roma uomo maturo sotto ilRegno di Anco , de cui figliuoli fu instituito tuto re : e però l'età di Tarquinio convenendo con quella di Anco , non resta che una . e fola generazione tra il Regno di Anco il Regno di Tarquinio Superbo figliuolo del Prisco . Talchè , ei conchiude , dal principio  132 RAGIONAM , CONTRO IL CONTE di due gene del   del Regno di Romolo alla fine di quello di Tarquinio Superbo fi contano quattro sole generazioni in circa, e non più. Ora som mando insieme gli anni di quattro genera zioni, che corrono durante ifetteRe diRo. m a fi hanno cento trentadue anni ; poiché una generazione di uomini trentatré anni . E fommando insieme gli anni di ciascun Re , secondo il computo di Livio , fi hanno d u gento quarantaquattro anni ; e vi ha più di un secolo di differenza tra due risultati, che pur avrebbono ad essere uguali .D'altra par te facendo , che tocchi a ciascun R e l'uno ragguagliato coll'altro diciannove anni di R e gno , come vuole il Neutone , fi ha cento trentatré anni, e tra questi due risultatinon corre differenza niuna . di comune sentimento vengono dati a  9 f ALGAROTTI . CAPO VIII. 133 Sin quì il nostro Autore . Io per rispon dere a questo lungo ragionamento prima di tutto voglio concedere , che quattro fole g e nerazioni fieno corse da Romolo insino a Tarquinio Superbo : perciocchè ciò si riduce finalmente a dire , che durante i Regni dei serte Re , quattro uomini in tutto ilR o m a no popolo ebbero prole un dopo l'altro di sessanta e un anno . Ora farebbe poi forse questa impossibilità tale fisica, per cui non i3   fi dovesse più prestar fede agli Storici delle antiche memorie de'Romani? Ma ,suppo sto (quello però , che in nessun modo con cedere fi può ) che questa fosse inverisimi glianza tale, per cui sipotesse negar cre denza alla Storia , s'è forse l' Autor nostro bene assicurato , che , non uscendo da quelle persone , di cui egli fece scelta per fissare le generazioni , quattro soltanto corse ne fie no pendente il Regno dei sette Re ? Dio nigi (a) attesta pure , che Tarquinio S u perbo fu nipote , e non figliuolo di Tarqui nio Prisco ?Questo accuratissimo Storico d o po aver fatto parola di molti assurdi , che ne seguirebbono , fe figliuolo, e non nipote ei fosse di Tarquinio Prisco , fi afforza colla autorevole testimonianza di Pison Frugi , il qual solo tra gli Storici affermò questa cosa . Nè mancadiaccennarequello,cheperav ventura fu cagion dello sbaglio : poichè dice , che dall'essergli nipote per natura , e figli uolo per adozione fieno stati forse gli altri Storici ingannati. Nè giovaildire,comefal'Autornoftro, che la contrarią opinione cioè , che figliuo lo fosse questo Re , e non nipote di Tar  134 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE qui (2)Dionys,Halic.Lib.IV.pag.211,213,   ALGAROTTI . CAPO VIII. 13 S parte (6) Hic, L. Tarquinius Prisci Tarquinii Regisfiliusneposre fuerit parum liquet:pluribus tamen auctoribusfiliumcreg diderim.T. Liv,Dec. I.Lib.I.Cap.18.n.46.  9 In quanto a Collatino poi, quà di nuovo addotto dall'Autor nostro p e r confermare il 2 fuo di numerare in quegli arcaismi come le autorità , contentofli e non si fece a pesarle il diligente sciando da Dionigi . In secondo luogo , la perder tempo ľ autorità di Dionigi , la quale , com ' è palese , è molto più da segui re , che non sia quella di Livio, ben diver sa è la maniera di spiegarsi dei due Scrit cori intorno a questo affare,l'uno ne tocca alla sfuggitą , l'altro vi si ferma , ragiona reca latestimonianza di uno de'più antichi Storici , e sappiglia a quella opinione , la quale sia per lo credito , che ha all'Auto re fia per , quinio Prifco fu opinione dei più, ed opi pione abbracciata da Livio medesimo ; d o vendosi in primo luogo riflettere alla m a n i e ta , con cui Livio s'esprime, vale a dire , che questo punto era assai all'oscuro , che egli peraltro seguendo i più credevalo figliuo lo (6) ; il che dimostra aver egli benissimo veduta la difficoltà , m a che non volendo , come sopra abbiam notato lo contesto di tutta la Storia , gli pare più sicura . is   suo Sistema , già sopra abbiamo osservato raccogliersi dallo stesso Dionigi (c) , che n i pote era , e non figliuolo di Egerio . Ciò posto ne viene , che senza uscire da quelle persone, di cui egli osservò le generazioni, non quattro , m a cinque numerar se ne debe bono d a Romolo inlino a Tarquinio Super bo : onde se aver non si dovea per assurdo tale da negar fede alla Storia l' essersi ritro vare quattro persone in tutto il popolo R o m a n o le generazioni , di cui fossero di fef santa e un anno , tanto meno dovrà parer ripugnante , che cinque susseguite ne sieno , ciascheduna delle quali uguagliatamente non oltrepassi i quarantanove anni . (.)Dionyf.Halic.Lib.IV.pag.2619 que  336 RAGIONAM.CONTRO IL CONTE M a dirà il nostro Autore , che ad una generazione comunemente si danno soli tren tatré anni , laonde n o n si può essere così largo , e concederne a ciascheduna di q u e Ite quarantanove . Qui mi convien prendere d'alquanto più alto i principi , e si verrà a conoscere , che quelle generazioni , a cui comunemente fi danno trentatré anni , o secondo altri tren tacinque,non sono della specie di quelle osa servate dal nostro Autore . Vediamo adun   ALGAROTTI : CAPO VIII. 137 q u e quali fieno quelle , a cui diedero tal nu : mero di anni i Cronologi , e verremo in chiaro , fe tali fieno le osservate da lui.La Cronologia , come tutte le altre facoltà,dee seguir la natura , come maestro fa ildiscen te , per dirlo alla Dantesca , e pure è che collo.Specularvi sopra molte fiate,in luo go diavvicinarsiaquellaaltrilafugge,e gli ultimi passi sono quelli c h e riconducono a lei nella  vero , L e generazioni pertanto , che fiffarono i Cronologi circa a trentatré anni, sono quelle , che generalmente si osservano in un lungo spazio di tempo nella maggior parte famiglie di una nazione;laonde, fe fiof servano in una sola, o poche famiglie , a n che per lungo tempo questa osservazione, non è più fattasecondo la regola , che general mentela maggior parte abbraccia:percioc chè , se nella maggior parte delle famiglie sono uguagliatamente le generazioni di tren tatré anni,potrebbe succeder benissimo, che fi ritrovasse una famiglia , od anche diver se , in cui queste foffero o più lunghe , più brevi. Se poi non si osservassero in un lungo spazio di tempo , riuscirà ancor più agevole il ritrovarne . M a le generazioni , di cui servifli il nostro Autore , nè corsero delle -   nella maggior parte delle famiglie , nè in lungo tempo , anzi nè pure in unasola fa miglia , essendo composte di diverse perso ne d i varie famiglie . Certamente se si fa un Cronologo ad osservare per tal modo le generazioni, ben tosto fisserà la regola ge nerale di queste a settanta e più anni , per chè in un notabil tratto di paese popolato iopenso,chenon passisecolo,senzachèfi veda uno , o forse più uomini , che di tale età hanno prole. Lo sbaglio in somma del Conte Algarotti consiste nello aver presa la regola d a quello che suole generalmente avvenire , gli esempj da ciò , che in pochi succede,ed aver pensato, che que'casipar ticolari sotto la general regola cadessero , o n de la Cronologia degli Storici delle cose de? Romani sottoi R e s'opponesse a quella legge , che osservaro aveano nella natura i più periti Cronologi . Nel che quanto sia a n dato lungi dal vero credo d'aver fatto ba ftantemente palese. Due ragioni reca ancora finalmente l'Au tore in difesa del Sistema del Neutone ,cui è necessario rispondere innanzi di por fine a quelte nostre osservazioni. La prima fiè , che tal Sistema discolpa Virgilio esattissimo Poeta , ci dice , da quello anacronismo i m pu  138 RAGIONAM, CONTRO IL CONTE > i   ALGAROTTI , CAPO VIII. 139 putatogli volgarmente per conto de'tempi , in cui vissero Didone , ed Enea . La secon da , perchè giustifica quella comune tradi zione tenuta in R o m a , che N u m a foffe fta to uditor di Pitagora . Ora per rispondere alla prima , questa . ammetter fi dovrebbe senza dubbio veruno qualora fosse stato Virgilio tenuto a soddi sfare alle leggi della verità storica;ma non fa mestieri ricordare , che da tali leggi sciolti sono i Poeti.Raro è quel vero, che non abbia bisogno del finto per aggradire ai più , e se non inftillano virtù , col dilet tare mancano i Poeti al principal fine dell' arte loro ; tanto più , che fecondo quello che pensa il dotto P. dellaRue (d),non per ignoranza delle antiche Storie , m a per dar ragione de'famosi odj , i quali si lungo tempo fra' Cartaginesi , e la Nazion suam durarono , e per introdurre quel patetico , che tanto piacque , come ce ne assicura Ovidio (e), a'suoi contemporanei , e tanto è degno di piacere ad ogni età,e ad ogni popolo , non ebbe difficoltà di commettere (4) Ruaeus in not.ad.Arg.Lib.IV.Aeneid.  quell' Ovid. Trift. Lib. II. Eleg. I. v. 535. Nec legitur pars ulla magis de corpore toto. Quam non legitimofoederejunétus4mor,   quell'anacronismo . S'aggiunga , che que ito anacronismo non era tale che facil mente potesse venire scoperto dalla comune de'Leggitori , da'quali soltanto balta , che non vengano scoperti gli errori storici dei Poeti : perciocchè correa fama fecondo A p piano ( f) , che Cartagine fosse stata fonda ta alcuni anni avanti all'eccidio di Troja da una colonia di Fenici , presso i quali poi ricoverossi dopo lungo tempo Didone , del che non lascia Virgilio didarne qualche cen nei ?  140 RAGIONAM , CONTRO IL CONTE Appian. apud Ruaeum cit. loc. no, > onde trattandosi di tempi assai lontani dalla età di Virgilio , questo rumore basta va per render tale la finzione, che non fof se la verità ad un tratto conosciuta ,e vinta a terra cader dovesse la invenzione di lui. Ma abbreviando della metà iltempo,che durarono i Regni de'Re di Roma viene forse a nulla cotesto anacronismo ? E che fa rebbe, se il nostro Autore inutilmente ado perato fi fosse , e che anche togliendo pref so che la metà degli anni dalla somma di tutti quelli , che corsero sotto a'Regni dei fette R e , non si venisse con questo a ren der probabile in alcun modo , che Enea , e Didone potessero essere stati contempora   Tre secoli e più corsero,secondo gli an tichi Scrittori , dall'incendio di Troja alla f u g a d i D i d o n e , c o m e o s s e r v a r o n o il d o t t o Petavio , e l'erudito Commentator di Vir gilio della Rue (g): ora da trecento e le dici anni (che tanti ne corlero fecondo il Petavio dall'eccidio di Troja alla fondazion di Cartagine ). togliendone cento e undici , come piace all'Autor noftro,vale adire facendo venire Enea in Italia cento undici anni più sardi, rimangono nulladimeno d u gento e cinque anni di svario . Laonde é chiaro , che nè Virgilio abbisogna della di fesa del nostro Autore , nè , quand' anche ne abbisognasse, sarebbe questa bastante per do (3)Petav.Rationar.tempor.Parte I.Lib.II.Cap.IV. Cartagofundata dicitur anno posttemplum incoatum144. qui est annus poft Trojanam calamitatem 316 . Ruaeus loc, supracis.  te svanire l' anacronismo da lui commesso . fa ALGAROTTI . CAPO VIII. 141 nei ? Sia adunque egli pur certo, che cote fto fuo ripiego nontoglie, ma soltantosmi nuisce l'anacronismo di Virgilio ; che anzi questo rimane peranco maggiore di due le coli . N è soltanto vuole il Conte Algarotti, che fia alla più esatta verità conforme ciò,che si legge in un Poeta, purché in alcun m o   anno  > che comunemente credefi centesimo undecimo dalla fondazion di Roma,alprin cipio del Regno , di cui già dovea effer giunto N u m a al quarantesimo primo della età fua (se pur vogliamo seguire ical coli dell'Autor nostro , il quale dando diciannove anni circa di Regno a Romolo faprincipiare il suo Regno aNuma giàvec chio di sessant'anni ) , e fissando d'altra p a r te , come già sopra abbiamo osservato , le condo la mente di lui, la venuta di Pitas gora anno soli 142 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE do favorir possa il suo Sistema; ma preten de eziandio, che maggior credenza prestar fi deggia ad una popolar voce ,laqualtor na in avvantaggio della opinion sua che a'più rinomati Storici dell'antichità . Già abbiamo sopra veduto il suo parere circa all'essere stato Pitagora contemporaneo anzi Maestro di N u m a , ora adunque a confer mare vie più ilsuo Sistema,lorecadinuo vo in mezzo quasichè ridondar debba in avvantaggio di questo il porgere , che fa fa vorevole interpretazione a d u n a tale p o p o lar voce . Avendone però già altrove fuffi cientemente favellato, non mi resta altro da aggiugnere , se non che , anche fiffando il principio del Regno di Romolo secondo lo intendimento del nostro Autore , a quello   ALGAROTTI . CAPO VIII. 143 Queste sono le riflessioni, le quali, fecon do quello,ch'iopenso,chiaramentedimo streranno , che il Conte Algarotti cadde trat to dal suo Filosofo in errore . Se parranno per avventura troppo più lunghe di quello , che neceffario fosse, gioveràin primo luo go considerare , che bastano poche parole per mettere una cosa in dubbio , m a effer forza per iftabilirne la certezza ricorrere a' principi, onde riescono sempre le risposte più lunghe delle opposizioni ; in secondo luogo , c h e ho stimato dovermi fermare alquanto in torno a certi punti , i quali oltre allo influi re nella materia , che per me trattar fi do vea , poteano essere forse non del tutto inu tili per chiarir la Storia di quella prima età di Roma . Che  gora in Italia circa a quello anno , che giu dicasi dagli Storici dugentefimo quarantesi moquarto diRoma, virimaneciònon ostan te un anacronismo di cento trentatré anni tra la venuta di questo Filosofo in Italia , ed il tempo , rendere in cui Numa-già era perve anno della età sua; o n de il Sistema del Neutone non può nè pure nuto al quarantesimo Pitagora , e Numa contemporanei , come non può affolvere Virgilio te dall’anacronismo interamen di Didone , e di Enea. 1 1   1144 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE Che se,come fpero,mi è riuscitodifar vedere l'inganno del Conte Algaroiti , sarà questa una novella prova di quanto sia in tralciato il cammino del vero , quanta 1 sia connesso , ed unito l'errore: collo inge gno umano , poichè gli uomini fommi non tralasciando desser uomini , in tutto spogliar non se ne possono. La più bella discolpa del resto che addur si possa in difesa di lui , îi è il dire , che fe pur s'ingannò , s'ingan nò seguendo un Neurone . L'opinione del Newton fu sostenuta in Italia dal conte Algarolti in un suo saggio sopra la durata de're gni de'Re di Roma,scritto nel 1729,cioè due anni dopo la morte di Newton e un anno dopo la pubblicazione del libro di lui!.Ora,in questo suo saggio l'Algarotti lascia poche censure intentale contro la cronologia dei primi due secoli e mezzo di Roma ,procurando di provare in particolare come non fosse succeduto davvero ciò che per una ragione generale il Newton aveva affer malo che non era potuto succedere.Ilsuo fondamento è soprallulto Livio ; e in secondo luogo Plutarco, non 1Ilsaggiodell'Algarotttisitrovanelvol.IV dellesueopere (Cremona 1779),p.106-138.Ma laristampachequivi n'è fatta non è in tutto conforme all'edizioni anteriori,delle quali ioho la seconda, Firenze 1746, presso Andrea Bonducci; e dico la seconda perchèl'editoreinunaletteradidedica all'illustrissimosig.cav.An tonioSerristorichiamaquestaunaristampa,enonpuò esservistata, se non una sola edizione prima, perchè una lettera dell'Algarotti allo Zanotti, che precede il saggio, è del 24 dicembre 1745 , e da essa appare che il saggio non fosse stato stampato prima. In questa lettera l’Algarotti dice appunto di averlo scritto oramai sedici anni passati,quando dava opera alla Cronologia sotto la scorta di quel lume vero d'Italia, Eustachio Manfredi, e che non vi avrebbe più riguardato,«sevoinonmiavesteeccitatoainandarlovicome fate»; e se n'era distolto , perchè « distratto da mille altre cose , e gli pareva,che non fosse da moltiplicare in iscritture e in istampe intorno a cose già trattate,benchè in modo diverso dal mio.» Que g l i il q u a l e a v e v a t r a t t a t a q u e s t a , e r a u n I n g l e s e d i c u i n o n d i c e il nome,ma di cui gli aveva dato notizia,in un suo viaggio in Inghil t e r r a , il s i g . C o n d u i t , e r u d i t o g e n t i l u o m o i n g l e s e e d e r e d e d e l N e w t o n , quello stesso che ha scritto una lettera di dedica alla Regina, messa avanti alla Cronologia.Lo scritto dell'Inglese doveva esser pub blicato in fronte d'una storia Romana. Non so chi fosse. E. M a n fredi scrisse gli « Elementi della Cronologia con diverse scritture appartenenti alCalendarioRomano.» Furon pubblicatiinBologna nel 1744.Egliaccettaladatavarron.dellafondaz.di Roma,01.6,3.  1.- LAMONARCHIA. 51   riferendosi a Dionisio mai ; anzi confessando di non avere lello se non idue primi'.Ora,ilsuo assuntoé che i fatti che Livio racconta dei Re,non s'accordano col numero d'anni che questi,secondo lui stesso,avreb. b e r o r e g n a l o . Il c h e p r o v a , m o s t r a n d o p e r R o m o l o , q u a n t a parte del suo regno resti vuota di avvenimenti,e quanta sial'inverisimiglianza,che,a17anni,ch'è l'etàincui si dice cominciasse a regnare, desse già segno di tanta prudenza civile e virtù di guerriero, quanta gli se ne attribuisce; per Numa,che dovesse,poiché eletto per la fama sua e per avere avuto in moglie Tazia, essere asceso sul regno a sessant'anni ; per Tullo Ostilio ed Anco Marcio, che dovessero aver avuto più breve re gno,di 32 anni il primo, di 24 il secondo,se dev'es. sere vero , che i figliuoli di queslo , il quale aveva , a detta di Plutarco, cinque anni alla morte di Numa, non fossero ancora maggiorenni alla sua,cioè quando Anco avrebbe avuto sessantun anni ; per Tarquinio Prisco, che non può avere regnato trenlolto anni, se dev'essere stato ucciso per opera de'figliuoli di Anco, attentato da giovani, ancora freschi del torto ricevuto, e non da uomini di cinquant'anni quanti ne avreb bero avuto alla morte di Tarquinio dopo cosi lungo re gno, anche supposto che non ne contassero se non soli dodici alla morte del padre; per Servio Tullio,che a i Cosi dice nella lettera allo Zanotti, secondo sta nell'ediz. del 1726;ma non è ripetuto in quella dell'edizione del 1779,che è variata anche in altri punti. E di fatti in questa seconda edi zioneècitatoDionisio,lib.VI,permostrarecome questi,accor gendosi dell'impossibilità, che Tarquinio Superbo assistesse egli stesso alla battaglia del Lago Regillo, vi fa invece assistere il figliuoloTito.Però,anchecosi,lostudiodell'Algarotti resta,come prima,poggiato tutto sopra Livio e Plutarco.  52 LIBRO QUARTO.   1. - LA MONARCHIA . 53 dargli quarantaquattro anni di regno,Tarquinio Superbo, ilqualeeragiàingradodimenar mogliealprincipio diquello,non avrebbe potuto a sessantaquattro anni opress'apoco ucciderlo nel modo che si racconta; per Tarquinio Superbo infine,che Tarquinio Collalino non avrebbe potuto essere giovine alla fine del regno di lui, poichè egli era figliuolo di fratello,se il suo cugino avesse avulosessantaquattro anni al principio del regno stesso; e che, se questi n'aveva tanti allora, n'avrebbe avuto ottantanove, quando su sbalzato dal trono, e cento alla battaglia al Lago Regillo dove avrebbe combattuto a ca vallo,e sarebbe poi morto, si può aggiungere, di cento trèanni.Sicché l'Algarotti crede che questi regni si debbono accorciare lulti, se la storia di ciascun Re si deveaccordarecolladuratadel regno.E di quanto biso gni accorciarli,egli lo trae da un'altra considerazione, cioè dal numero di generazioni , intervenule durante la monarchia.Queste,egli dice, non poter essere state se nonquattro:poichèiregnidiRomolo,diNuma ediTullo Ostilionon siestendono più di due generazioni, stante chéOstilio,avolodiquest'ultimo,ècontemporaneo di Ro molo;un'altra generazione richiede il regno di Anco, che è vissuto la maggior parte di sua vita durante il regno di ullio ; ed un'altra, i regni di Tarquinio Prisco. di Servio Tullio e di Tarquinio il Superbo , poichè il primo ha del pari vissuto la maggior parle di sua vita durante il regno di Anco. Sicché contando ciascuna generazione per trentatré anni,la durata della monar Chia sarebbe stata di centotrentadue anni,e ne tocche rebbero a ciascun Re , l'uno ragguagliato con l'altro, diciannove.  Sopra la durata de'Regni DE RE DI ROMA. Gli è una neceffaria conse guenza delSistemacronolon gico del Neutono abbrevia re considerabilmente i regni de' sette Re di Roma , a ciascun de' quali agguagliatamentegli Storici danno trentacinque anni di regno , mentre il comun corso di Natura secondo le offervazionidel Filosofo, non ne concede loropiù di diciot to o di venti . La qual conseguen za separesse stranaad alcuno,pur dovrà meno parerlo a chi risguar derà , che gli Archivi di Roma perirono dalle fiamme nel tempo che E 15   Ma noi (chiarati anco in questa parte dalle of (1) Plut,inNuma in principio p. 59.ed.Grecolat,Francofurti 1620.  16 che iGalli occuparono quella Cita tà(1),onde gliStoricinonebbę. ro dipoi alrro fondamento di quel lo scriveano, se non se la tradi zionevaga ed incerta,ch'era ri masa delle cose passate Talmente che ritenendo esli i nomi de'Re e registrando le azioni di quelli che tuttavia duravano nella m e moria degli uomini , fecero una Cronologia a modo loro. E questa Cronologia allungandola più del dovere, poterono in quella incer tezza fatisfareaquelnaturale ap petitocosidelleFamigliecome del le Nazioni, di cacciar le origini l o r o il p ị ù i n d i e t r o c h e p o s s o n o n e l la caligine del tempo .   (1).Come Livioscrivechenonera ra.DanteInf.29:  offervazioni del Neutono ,possiamo rimettere le cose al debito ordine nella serie de'tempi, e ciò fare mo non in altro modo che aflog gettando i Re di Roma a quelle comunileggi diNatura,allequa li ubbidiscono nelle Tavole cro nologiche tutti gli altri Re della Terra.Pur nondimeno questa par c o f a d u r a a m o l t i c h e si d e b b a f r a n ger ,dicono efli,l'autorità di Sto ricichenonerrano(1),echevo gliano uomini di jeri giudicar m e glio degli antichi di cose passate tantisecoliavanti.A questiioin tendo di ragionare ;e perchè ilN e u tono nella fua Cronologia non fa al tro che accennare così in generale la detta quiftione , io intendo d i fputarla con alcune particolari ra gio B 17   gioni,e quefte derivate appunto da quegliStorici,dell'autoritàde' quali e'fanno sì gran caso , e maffi- . me daTitoLivioPadre diRoma na Istoria.Nel che io mostrerò, che avolerritenere ifattida efio lui riferiti, egli è forza rigettar le epoche da esso affegnate 'a quelli, come non sivogliaammettere( che niuno ilvorrà) certe irragionevo lezze da non ammettersi,che na scono da'suoi raccontimedefimi, e da quella sua Cronologia,  18 E prima diognialtracosa io metterò innanzi una Tavoletta de' regnidiquestiRe distesagiustal' oppinioncomune la qualeporrà fotto l'occhio in un tratto l'anti co Sistema,eserviràameglio in tendere ilseguente Ragionamento. T4,   VII.TarquinioSuperbo 44 219  11. Numa muore dopo un regno di anni 38 III. Tullo Oftiliom u o IV.AncoMarziomuo 43 81 32 113 38 24 redopounregnodi anni 137 V. Tarquinio Prifco muore dopo un rem gno di anni Tulliomuo ·redopounregnodi - anni 1 TavolaCronologicade' anni anni RediRomasecondor de' ab oppiniondiTitoLivio. Regn.V.C. 1.Romolo muore 37 37 Interregnodiun'anno Í è cacciato da Roma dopounregnodianni 25 19 re dopo un regno di anni DO V i. Servio Ba 175 : 244   Dove non sarà fuor di propofi to avvertire quello che avverte lo stelloNeutono(1)comedaltem poincui laCronologia cominciòad ellercertaedesatta,non sitrovain tutta laStoria pure un'esempio di sette R e , i più de'quali furono a m mazzatied uno deposto,che ab biano regnato dugenquarantaquat tro anni senza interruzione veruna . Ma venendoalparticolare, e in cominciando da Romolo, i fatti di questo Principe dopo il ratto del ledonne,primacagione delmet tersi in arme (1).Nella Cronol.p.137. dellaE  20 :) furono le guerre contro i?Sabini, che ripeteano le donne loro,e.leguerrecontroal cuni popoli per gelosia d'imperio. Plutarconedà l'epoca della pe nul- , diz, Franzese 1728.   giuri sdizione,laqual Fidene era stata soggiogata da Romolo innanzi Ca merio . Il che ne somministra assai pro (α)και την πόλιν ελών, τοίς. μεν ημίσεις των περιγενομένων εις Ρώμην εξώκισε ,τών δ'υσομερόν- τωνδιπλασίους έκ Ρώμης κατώ κισεν εις την Καμερίαν Σεξτιλίαις Καλάνδαις.τοσύτοναυτώ περιήν πολιτών εκκαίδεκα έτησχεδον οί κάντι την Ρώμην .  21: nultima di queste guerre che fu c o n t r o i -C a m e r j , l a q u a l e e p o c a c a - , de nell'anno sedicesimo della edi-, ficazione di Roma ,e del Regno di Romolo (1). E dopo questa e gli non imprese altraguerra se non contro iVejenti, chemoslero cono tro i Romani domandando la resti tuzion diFidere,come di,Città che siapparteneva alla loro Β3   22 probabile argomento di por questa ultima guerra guerra l'anno decimofetti mo della edificazion di Roma o là in quel torno , non essendo punto verisimile che i Vejenti domandaf sero la restituzione di cofa tolta troppo lungo tempo avanti; tanto più che siccome era rozza .a quei di l'arte della guerra ,rozza altresì era quellade'Manifesti .Stando a (1) In Rom. in fine p. 37. Id. inNuma in princip.p.60. dunquecosìlacosa,cioè che l'ul tima guerra fatta da Romolo cadel senel'annodecimosettimodelre gno suo, e facendolo regnare tren totto anni,comedicePlutarco(1), ne rimarrebbe uno spazio di ven tun'anno in bianco, voglio dire tuttopacifico e quieto, e con verria dire che sotto il reggimen to    A questeparticolariragionidi abbreviare il regno di Romolo se ne aggiugne un' altra non meno ftringente tratta da Plutarco , fe condo cui egli deveaver comin B4 cia  23 to diquel Re fosserostatiiRom mani molto più tempu in non in guerra; il che non accorda punto con quella indole bellicosa che tutti gliAutori ad una voce danno al fondatore di quello Iinperio . N e ciò accorderia pure con quelle pa role che Plutarco mette in bocca á Numa , il quale per rifiutare il Regno offertogli dalRomani,dice che si convenia loro un Condot tierod'esercitoanzicheunRe per cacciare que' potenti nimici che Romolo avea lasciato loro in sulle braccia (1). pace che . (1) Plut,in Numa p.63.;   (1)Id.inRom.infine 77 24 ciatoaregnareinetàdi anni di cialette, dacchè egli è morto di anni cinquantaquattro secondoi computi di quello , e ne à regnata trentotto (1) . Ora come sipuò egli mai conciliare con una età cos sì tenera quelle tante cose che fa cea costui secondo lo stesso Plutara co,perlequalisivoleaunaetà più gagliarda,e più ferma?Egli eccellente ne'consigli e nella civil prudenzá mostrò moltepruovedel suomirabileingegno inoccasiondi trattar co' vicini , attendeva agli ftudidell'artiliberali;fi esercita vanellefatiche,nellecacce delle fiere,nelperseguitare gliaffaslini, nel purgar levie da'ladroni,e nel difender dalle ingiurie coloro che fusleroftatioppressi dall'altrui fu per P.37    perchieria(1):modi tutticheil feceró crescere in reputazione fra glialtri påstori,e chedebbono fara locrescerdietàapponoi.Nè lo aver' egli guidato a quel tempo impresedifficilisfime,lo efferfi fat to capo di un popolo , e lo aver fondato una Città ne rimoveranno dall'oppinione di farlocominciare a regnar più tardi, e di accorciare ilsuoregno. tore E da Romolo passando a N u ma,eglinoncisonomenfortira gioni per abbreviare il regno anco di questo . Io lascio ftare quella quistione roccata da Livio ,e da Plutarco(2)come questo Legisla (1)Plut.in:Rom.p.20. (2)Id.inNumap.60.69,e 74. Tit. Liv. Decad . I. lib. la pa 14.atergo.Ed.Ald.1918.. 25  :   por Authorem do&trina ejus quia non extat,alius,falfo SamiumP y thagoram edunt,quem Servio Tül lo regnante Rom& centum amplius poft annos in ultima Italiæ ora cir ca Metapontum Heracleamque de Crotonam juvenum æmulantium fta diacatus habuilleconstat.Liv,Ibid.  26 gnan tore potesse essere stato uditor di Pitagora, il quale essendo venuto inItaliapiùtardiche Numa non cominciò a regnare secondo la co mune oppinione (1) , ne farebbe (1) Plut,in Numa p.60. PherecidesSyrus primum di xit animos bominum esse fempiter nos:antiquusfane:fuit enim meo regnante Gentili.Hanc opinionem discipulus ejus Pythagoras maxime confirmavit, quicum Superbo re   fu Cic.Tusc.Quæft. Lib.I.  27 il regno suo più sotto, e per conseguente accorciare almeno le durate degli altri cinque regni,che furonodaessoNuma fino alRegi fugio;della certezza della qual'e pocanonsidubitadaniuno lo Jascio,dico,questa quistione ,la qua lenon risguarda tantoladuratadel regno diquestoRe ,quanto il prin cipio di quello :e vengo a cið che ne appartienepiù davicino, porre Plutarco ne dice che Numa aveva quaranta anni (1) , quando gnante in Italiam menisset , tenuit magnam illam Greciam ac. Pythagoras qui fuit in Italia temporibusiisdem,quibusL. Bru tus patriam liberavit. Id.Ib.Lib.IV. (1)InNuma p.62,   28 qua rantatre , la quale ultima cosa ne dicefimilmenteLivio(1).Ma qui io domando le parrà ragionevole ad altrui,che incosìfrescaetàpo tesseNuma essergiuntoaquelloe minente grado di fapienza, che fi dice;emoltopiùpoiseparrà ve risimile , che tenendo egli maslime modi di vivere differenti dagli u fatinel fuo paese(2),egli potesse esser salico in così alto grado di re Tit. Liv. Decad. I. lib. I.p. 16. a tergo .  fu eletto in Re di Roma, e che la governò per lospaziodi pu (1) Plut.InNuma p.73.2 74. Romulus feptem do triginta regnavit annos . Numa tres a quadraginta - (2) Vedi Plut. in Numa in princip.   Annumque intervallum regni fuit. Id ab re quod nunc quoque tenet nomen ,interregnum appella tum . ld paullo post. Consultissimus vir omnis di  putazione,che lo facesse riverire non solo appo gli stranieri, ma nel proprio paeseeziandio per così straordinario modo ,come narrano; e per recar le molte parole in u. na , che l'autorità del nome suo. fossetale,ch'ella dovesse in un subito far ceffare le animosità, e le gare delle parti, che per lo Ipazia di un'anno aveano conteso in Ro.: m a per lo Imperio (1) . M a egli (1)Patrum interim animos certamen regni ac .cupido verfa bat @c. OK 29 ci Tit.Liv.Decad.I. lib.I.p.14.   30 Plut.in Numa p.61. --- a y  ci è ancora alcuna altra confider1 zione da farsi.Tazio che reggeva Roma insieme con Romolo ,mcf so dalla gloria e dal nome dilui che tantoalto suonava,selofece genero dandogli per moglie una sua unica figliuola che si chiama vaTazia.Quandoquestoavvenif feper appunto nonsilegge;ma eglièverobensì,che ciðfumol divini atque'bumani juris dito nomine N u m e Patres Romani quamquam inclinari opes ad Sabi nos rege inde fumpto videbantur : t a m e n n e q u e se q u i s q u a m , n e c f a Etionisfuæalium,nec denique Pa trum aut Civium quenquam prefer re illo viro auf ud unum omnes . Numa Pompilioregnumdeferendum decernunt,Id. Ib.atergo,ep.15. to   (1)T.Liv.Decad.I.Lib.I. p.12.Plut.inRom.p.32.  31 sua to di buon'ora nel regno di R o molo ,dacchè Tazio muorì prima della guerra co'Fidenati, e co'Ca meri (1),cioè prima dell'anno see dicesimo del regno di Romolo ; e d'altra parte ne racconta Plutarco che Tazia era morta quando N u ma fu chiamato al regno, e ch'era vissuta con esso luilo spazio di tredicianni(2).Dal chetuttofi deeraccogliere,che grantempoa vanti la morte di Romolo fioriva lafamadellafapienzadi Numa;e converrià dire ,ritenendo il c o m p u todiPlutarco,cheavendoNuma foli venticinque anni,questa fama fossegiàtanta,che inducefleTa zio Re a dare in matrimonio una (2) Plut.in Numa p.61.   -(1) Id. in Numa p.63.  sua unica figliuola a lui uomo pri vato , il che mostra essere alieno da verisimiglianza, Diremo per tantoasalvareilvero,cheNuma dovesse avere sessanta anni almeno quando fu eletto con tanta unani mitàaRediRoma;eciòpofto, gli staranno molto meglio inbocca quelle parole che periscansarsi da questo carico gli fa dire Plutarco , qualmenteallecondizioni de'Ro mani era bisogno che laCittà avef seunRe dianimoardente erobu sto (1),le quali parole più tosto fi disdirieno che no ad un'uomo di quarantaanni.Postoadunque che Numa , come ragion vuole ,comin ci a regnare vent'anni più tardi che non si crede ,> di altrettanti an ni fi verrà ad accorciare ilsuo re gno   in età in circa di ottantatre anni (1).  gno , dove si voglia ch'egli sia morto come narrano , 33 sta E per tal modo abbreviando il regno di Numa , e similmente q u e l l o d i R o m o l o , si v e r r à a r e n der più probabile la lunghezza del la pace di cui godè Roma a tempo attorniata da popoli estre mamente gelosidellasua grandezza, come ellaera.Questapace giusta l'antico computo farebbe dileffan tacinque anni,iqualirisultano dal la somma de'quarantatre del regno diNuma,daun'anno d'interre gno,e da'ventun'anni passati da Romolo , dirò così , nell'ozio e nella cessazion dalla guerra ; e g i u C: quel > (1) ετελεύτησε δε χρόνον ο σ ο λύντοϊςογδοήκοντα προσβιώσας. Plut,in Numa p.64.   ven  di pre 34 itale cose discorse, questapace viene ad essere di ventiquattro an ni in circa e non più . E da ciò riesce molto più verisimile , come Tullo Ostilioerededelregno,non dell'arti di Numa , abbia potuto facilmente rinvigorir ne' Romani la bellica virtù inspirata loro da R o molo,ecomeabbiapotuto sente combatter con feroci Nazio ni e soggiogarle; il che di troppo fáriafuordell'uso,e della oppi nion comune se la virtù de' R o manifossestata(nervatadauna pa c e di fesfantacinque anni . Io non dirò nulla de' due fuf seguenti regnidiTullo Ottilio,edi Anco Marzio,ilprimo de'qualiè di trentadue anni (1), l'altro di (1) Tullus magna gloria bel li regnavitannosduosdotriginta. T. Liv.Decad.I.lib.I.p.24.   (2) Jam.filii prope puberem etatem erant Id. Ib.  35 ventiquattro (1) , se non che ab breviandogli un tal poco , egli ne parrà piùverisimilequello che di ce Tito Livio de'figliuoli di A n co Marzio : cioè che alla morte del padre e'non fossero ancora ag giunti agli anni della pubertà (2) (1) Regnavit Ancus quatuor dig viginti. Ib.p. 26. a tergo . Anco Marzio aveva cinque anniallamortediNuma(3):sea cinque se ne giungano trentadue, e ventiquattro, avremo leffantun’ anno,cioè l'età d'Anco Marzio allamorte fua;ilqualeavriadova to naturalmente lasciare figliuoli più adulti,postoche egliavesse regnato ventiquattro anni, e Tul C2 lo annos (3)Plut. in Numa pag. 74.   36 lo trentadue ; e cið perchè seconda ragione,un regio uomo come si era Anco Marzio e che fu poi Re , dovea menar moglie assaidibuon' ora per lasciare il regno a'figliuoli nella più ferma età che far fi po tesse. Eniente farebbe ildire,ch' egliavesle avuto figliuoli maggio ri di età che morisfero innanzi a lui , e che questa cura del padre di la fciar figliuoli atti al regno futle del tutto inutile in un regno e lectivo qual sieraquello diRoma , poichè dall ' una parte egli pare improbabile che dovessero ellere morri in tenera età tutti i primi suoi figliuoli più tosto, che gli altrs,edall'altrocanto eglisem bra che si avesse risguardo alla stir pe regia nella elezione del Re . Segno è di questo , che i Romani chiamarono al regno il medesimo 1 An    37 Ma  Anco Marzio nepote di Numa che Tarquinio Prisco allontand i figliuolidiluidaRoma neltem po de'Comizj (1). (1) C3 do peromnia expertus ( L.Tarquinius ) postremo tutore diam liberisregistestamento insti tueretur Jam filiiprope pube remætatemerant.EomagisTar quinius instare,utquamprimum comitia regi creando fierent: qui.. bus indi&tisfub tempus pueros vem natum ablegavit:isqueprimus de petisse ambitiofe regnuin & c. T. Liv:Dec. I.lib.I.p.26.atergo. Tum Anci filii duo , etfi a n tea femper pro indignissimo habue rant fepatrio regnotutorisfraude pulsos:regnare Romæ advenäm non modo civica, fed ne Italica qui demftirpis& c.Id.ib.p.29.terg. e   (1) Nel luogo citato.  р 3:8 Ma non è già così da passar sotto silenzio il regno del medesi mo TarquinioPrisco successoredi Anco.Ne viene costui rappresen tato come usurpatore del regno, secondo che disli, a' figli di quello , de'qualieglierastatoistituito tu tore dalpadre(1).Egliregna tren totto anni (2),e vien finalmente ammazzato per opera degli stessi fi gliuolidi Ancovaghidiricuperare il regno paterno tolto loro dalla frande dell'uomo straniero(3).Nel che (3) Sed injuria dolor in Tarquininın ipsum magis quam in Servium eosftimulabat (3) Duo de quadragefimo fer me anno ex quo regnare cæperat Tarquinius bc.Id.Ib. ipseregiinfidiaparantur.Id. Ib. aullo poft . ob hæc   che chi non ammirerà la flemma incredibile di costoro , che tra la ingiuria e la vendetta polero in mezzo trent'otto anni, spazio di tempo bastante a sedare e spegner forfe nell'animo qualunque più violenta passione? Questo fatto a dunque dovette avvenire nella lo to giovanile età non molti anni d o polamortedelpadre;ilche quan to è comprovato dalla vatura del fatto medesimo , lo è altresi dal non ne avere effiraccolto frutto alcuno, come coloro che dopo la uccisione di Tarquinio rimasero ne più nè meno esclusidal regno pa terno.La qualcosaben mostraef fere questa stataopera di età gion vanile e inconsiderata , e non di quella ferma e matura di cinquan ta anni, in cui Livio gli fa c o n troogni verisimiglianzaoperarque  3999 Ita. C4   Che diremo oltre del suo suc cessore Servio Tullo , il quale nel fapno regnare quarantaquattro an ni (1) ? Se non che dobbiamo di moltoaccorciareancoquesto regno, per quella medesima ragione per la qualeabbiamoaccorciatoquello di Tarquinio Prifco fuo predeceffore. Fu Servio Tullo anch' ello mello a morte da chi volea ricuperare il regnopaternotoltoglida essoTul lo,ch'era di schiatta fervile,e chefuportosultronodiRomaper artifiziodiJanaquilęmoglie diTar  40 sta Tragedia, E però rimane che fi debbaabbreviareilregnodi Tar quinioPriscocomesiè fattode' superiori. 1 qui (1) Servius Tullus regnavit, annosquatuor quadraginta.Id. Ib. p. 34. a tergo.   e preso dalla più violenta ambizione; e ch'egliin 41 quinio Prisco. È in ciò dovrà pa rere molto strano che Lucio Tar quinio , che fu poi cognominato il Superbo,abbiaaspettatoa metter lo a morte quarantaquattro anni.E molto più poi le altri vorrà por menteatrecose,chequestoTar quinioera giovine fatto allorchè Servio Tullo fu aflunto al Trono , ilqualela prima cosa diede per moglie due sue figlie a due giova ni Tarquinj Lucio ed Arunte (1); che questo Tarquinio era di natu ra 3rdentifima CS . > (1) EtnequalisAneiliberum animusadversusTarquinium fuerat, talisadversusse Tarquinii liberam esset: duas filias juvenibus, regiis' Lucio atqueAruntiTarquiniisjunio git •Id.Ib.p.30:a tergo•    fine era eccitato cotidianamente ad occupare il regno da Tullia fua moglie la più stimolofa è rea f e m mina che fulle mai (1) . Le quali cose considerate che fieno ,faranno che debba credersi molto più irra gionevole che Servio Tullo abbia potuto regnare quarantaquattro an ni,che Tarquinio Prisco trentotto.  42 Et ipfe juvenis ardentis animi do domi #xore Tullia in-, quietum inimum stimulante Id. Ib.p.38. Sen (1) Servius quanquam jam 16 fu haud dubie regnum possederat ; tamen quia interdum jactari voces a juvene Tarquinio audiebat büs Id.ib.p.32,àtergo. Vedi p.33. a tergo, quid te stregium juvenem confpici jenis6607 Nel fine del regno diSer. Tullo .   Senzache questoTarquinio,che è sempre chiamato giovine nella vi ta di Servio Tullo , moftra effére robusto e giovinę tuttavia allafi nedelregnodiquello,come co luichepiglioServioperlomez zo della perfona , e sollevatolo in alto lo gittò giù per la scala della Curia (1). La qual pruova giova nile non avrebbe potuto altrimenti fareseaquarantaquattro anni del regno diServioneaggiungiamo venti più o meno ,ch'egli ne do yea avere alla morte di Tarquinio Brisco ;.che lo farebbono vecchio di sessantaquattro anni allorchè ei (1)Multo ætateį viribus va lidior medium arripit Servium ,es latumque eCuria in inferiorempar temper gradusdejecit.Id.Ib.p.34. a tergo.  per 43 »   de uxoribus mentio , Suam quisquelaudat miris modis,  44 Ora venghiamo finalmente ale lo stesso Tarquinio Superbo che fu l'ultimoRe diRoma iAvvenne verso la fine di questo regno ,che nell'offidionedi Ardeainforgesle quistione traSesto Tarquinio e T a r quinio.Collatino marito di quella Lucrezia,chị de'dueavesse più savia moglie , dal che poi nacque , comeYaognuno),11Confolato ela libertàRomana,Ora quertoTar quinio Collatina secondo le parole di Livio era giovine","e Yecondo lo ftesto autorem pervenne ad occupare il regno 5. Upitni HI,1, cer era figlio di un Inde IT: (1)Forte potantikusbisapud Sextun Tarquinium ubii collati aus cænabat, Tarquinius Egerii fs lius incidit   .(fratrisbicfilius e rat Regis)Cyllațiæ in præfidio re lietus. 1:1, Ib.p, & , e 28. a tery.  45 eerto Egerio,il quale fu lafciato da Tarquinio Prisco alla guardia di Collazia Città di novella con quita nella guerra Sabina (1) ver -fo la metà del regno fuo o la in torno , che viene a cadere nell'an no cencinquantacinqueincircadal (1)Collatio.c quisquid citra Collariam agri erat Sabinisadema ***** ptum Egerius py,sub Indecertamine accenfoCollatinusne gatverbisopuseffe;paucisid quide12 horis poffe:frisi,quantum cæteris præftet Lucretia (14. Quin sivi gor juventa ineft confcendimus,e qws,invifimulqise præsentes 102 strarun ingenia? T'it,Liv.Ib.p.40. la   (1)Vedi'anco la Tavoletta Cronologica registrata di topra.  46 la edificazione di Roma (1),lomi penso che sarà mestiero darea ques sto Egerioaquel tempo per lo m e no trenta anni , sì perchè l'età sua foffe in alcun modo eguale al cari co commessogli dal Re Tarquinio Prisco,sìperchèquesto Egerioera nato prima del tempo in cui Tar quinio venne a Roma sotto il re. gno di Anco (2), Ora come può egli starecheun'uomoditrent'anni ļ' a n n o d i R o m a c e n c i n q u a n t a c i n q u e avere unfigliogiovine l'anno du genquarantaquattro,come non sivo glia supporre ch'egli avesse questo figlio dopo l'età degli ottant' an ni? ilche ben vede ognuno quan to 1 (2)T,Livio Decad. I.lib. I. p. 26.   che è di niez zo tra ilpadre,e ilfigliuolo. 47 to siacontrario all'ordinario corfo delle cose naturali. Per lo che se vorremo ritenere questa discenden za de'Tarquinj, bisognerà accor ciare ilregiodiTarquinio Prisco di ServioTullo e similmente di TarquinioSuperbo,che occupano tutti e tre il tempo ot Un'altrapruova peracccrcia re ilregnodiTarquinio Superbo e quello eziandio di Servio Tullo fuopredecessore, fipudcavarda questo. Tarquinio Superbo quand? egli occupò il regno avea festanta quattro anni,come abbiani veduto poco innanzi,a'qualichiaggiunga i venticinque che fi dice avere ef fo regnato (1)troverà,ch'egli avea (1) L. Tarquinius Superbus r e gna    48 ottantanove ánniallorchè fu elpus: fo dalregno;laqualcosapofto che vera , avšia merit:ito d'esser nota=; ta dagli Storici. Che più ? Si legno gechequestoTarquinio parecchi a n n i d o p o il R e g i f u g i o ( 1 ) c o m b a t tè a cavallo alLago Regillo con tro il Dittatore Postumio (2), il che gnavit annos quinque la viginti ! Regnatum konæ ab condita Urbe ad liberatam annos CCXLIV . Id. Ib.infinepo42. (1) Vedi T.Livio Decad.I. lib . II. (i) in Pofthumian prima in acie firos adhortantem inftruen temque Tarquinius Superbus quam quam jam '&tate a viribus erat gravior equum infeftus admifit ; ietusqueab latere,concursufuorini receptus in tutum eft. Id. Ib. Pr54 .    49 du  che verrebbe a cadere nell'anno centesimo e più.là ancora dell'età sua, irragionevolezza troppo mag giore chenon sipuò comportare , e la qual nasce pure anch'essa, co me ognunvede,da uncalcolofon dato sopra leEpoche Liviane. Come adunquesidebbano le var molti e dalle du rate de'regnidi inni cotefti R e , egli si provato rimane abbastanza altrimenti nasco dagliassurdiche insieme i nelvoler comporre no le altre condizioni che ac fatti,e regni; medesimi cer questi conpiù compagnano furono i quali fatti dalla tra a'pofteri men tezdatrasmesli quantevolte dizione,che non un pia tornò . Ed egli abbastanza , come se fi riducano seguirono del Cielo tre quelli sito neta al medesimo provato è medesimamente le ,cred'io,   SO  durate di cotesti Re allà ordinaria legge diNatura,che li faregna re presi insieme diciotto o venti anniperuno,secondocheàdisco perto il Neutono , tutte le difficol tà siappianano,esvauiscono leir ragionevolezze tutte degli Storịci. La qual cosa benchè sia oramai fuor d'ogni quistione,mi piace aggiu gnere un'altra pruova, perchè fi vegga vie meglio qualmente sorga il vero da ogni lato, come all' in contro da ogni lato si manifefta 1 errore·Questanovellapruova fa rà ricavata dalle generazioni d'uo mini che sono indicate dagli Au tori nella storia di detti R e , le q u a li anch' esse arguiscono di falla la tecnica loro Cronologia in quanto alle durate de' regni. Nella vita diRomolofià,che OttilioAvo lo di Tullo Oftilio morì nella guer- . > ra   mo (1) Principes utrinquepugnam ciebant:ab Sabinis Metius Cura tius, ab Romanis Hoftius Hoftilius (2) τετάρτω δε μηνί μεν την κτίσιν(ωςφάβιοςισορά) τοπε ρι την αρπαγήν ετολμήθη των γ υ Voixãi.Plut. inRom .p.25. Plut.Ib.p.29.descrivendo co meleSabinediviserolazuffatraiRo. mani,eSabiniaggiugne:aipšv.muidice κομίζεσαινήπιαπροςταίςαγκάλαις  51 racontroiSabini,(1)che viene a cadere ne'primi anni di quel re gno(2).Ilregnopertantodi Ro ut Hostius cecidit & c.T. Liv. Dec. 1. lib. I. p. 11. Indo Tullum Hostilium nepotem Hostilii,cujus in infima arce clara pugna adver Sus Sabinos fuerat , regem populus. j u s s i t. I d . I b . p . 1 6 . a t e r g o . P l u t . inRom .p.29. /   molo di Nama e di Tullo Ottilio, n o n o c c u p a a u n d i p r e s s o c h e il t e m po didue generazioni: quella del padre,o della madre che dir vo gliamo di ello Tullo Ostilio ,che duvette nafcere al principio del regno di Romolo ,e quella diTul lo Oftilio medesimo D a N u na ad Ancu.Marzio suno due ge nerazioni , poichè ello Numa era avolo di Anco Marzio (1); dat che ne feguita che la generazione tra Numa ed Anco finendo al tempo diTullo Oftilio,rimanga·una ge nerazione fola da Tullo alla fine del regno di Anco . Con che dal principio del regno di Romolo al  (1) Numa Pompilii regis ne pos filia ortus Ancus Martiuserat. T. Liv.Decad.I.lib.I.p.24. la Plut.inNuma p.74.   ne  la fine di quello di Anco corrono incircatregenerazioni.Lucio Tar quinio Prisco prima detto L u c u m o ne viene a Roma uomo maturo nel regno di Anco , (1) onde la gene razione di Tarquinio'coincidendo con quella di Anco non resta che una sola generazione di uomini tra ilregnodiAncoeilregnodiTar quinio Superbo figlio di Tarquinio ilvecchiooPrisco,Adunque dal principio del Regno di Romolo al la fine di quello di Tarquinio Su perbo corrono quattro fole genera zioni in circa di uomini e non più , EglièilverocheTitoLiviodi cedubitarealcuni,sequesto Tar quinio Superbo folle figliuolo a (1)T. Liv.Decad.I. lib.I. p.26.eatergo. 53   54 (1) Hic L. Tarquinius Prifci T a r q u i n i i f i l i u s, n e p o s v e f u e r i t , p a rum liquet:pluribustamen autho ribusfilium crediderim . Id. Ib.p. 33. devolvere retro ad ftirpem fra. trifimilior quam patri. Ib. a ter go .Quas Anco prius, patre deinde Sito regnante , perpelli fint.p. 37. Tarquinius reges ambos patrem 80 vie ,filium perfecisse p. 38.aterg.  nepotedelPrisco;ma fenzache i più erano di oppinione ch'ei gli fusse figliuolo (oppinione abbrac ciáca da esso Livio medesimo )(1), eglisipuòmostrare,cheda Tar quinio Prisco al Superbo correfle una sola generazioneper esser Col latino ancora giovane in ful fine del regno di Tarquinio Superbo , m e n t r e il p a d r e s u o E g e r i o e r a u o mo già fatto nel regno di Tarqui nio Prisco,come abbiamo veduto avatt   avanti.Ora fommando insieme gli anni di quattro generazioni, ognu na delle quali ragguagliata è di trentatre anni (1),si hanno cento e trentadue anni , e dando a cia fcun Re diecinove anni di regno , sihanno cento trentatre anni,ilche derivato dalle Leggi di Natura co sì maravigliosamente conviene col la regola cronologica delNeutono , che leosservazioniastronoinichepiù a capellononconvengonocolleTeo rie eco'calcolidiquel grand'uomo. Io nonaggiugneròaltroaque fto Ragionamento,se non che a quel modo che la Cronologia del Neutono assolve Virgilio che fu il più esatto de'Poeti da quello Ana cronismo imputatogli comunemen (1) Vedi la Cronologia del Neutono p.46. p. 56.  53 te   56 te in rispetto a'tempi in cuiyisse. ro Enea e Didone ,così ella può giustificarequellacomun tradizione tenuta inRoma,che Numa fusle stato uditore di Pitagora , e che non meno contribuisseafondarquel lo Imperio , il qual fu fignor delle cole,la Virtù Italiana che la Gre ca Sapienza. Algorottus. Francesco Algarotti. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Algarotti," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51715434392/in/photolist-2mTCXhf-2mMV7Uy-2mKwuhr-2mKC2Sh-2mKgUQf-2mKiHWP-nDMWb2/

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