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Is Grice the greatest philosopher that ever lived?

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Monday, January 3, 2022

GRICE ITALICVS III/XXII

 

 

 

Grice ed Alici – reciproco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Grottazzolina). Filosofo. Grice: “If an Italian philosopher tells me he believes in God, I stop calling him ‘philosopher’!” --. Grice: “I like Alici; he has philosophised on some of the topics *I* did, since it should not surprise anyone, since we are philosophers (if I’m also a cricketer!) --.Grice: “I will organize some overlaps in hashtags: compassione. – serious study – il terzo incluso – I curiazi, i moscheteri -- ” :noi dopo di noi,” ‘we after we’ – the meta-language – romolo e remo; ossia, il bene condiviso; :romolo e remo; ossia, condividere la deliberazione; eurialo e isso, ossia, dall’io al noi; colloquenza romana; amore: l’angelo della gratitudine; eurialo e nisso: amore d legarsi – la reciprocita; pilade ed oreste --  luigi Alici Presidente nazionale dell'Azione Cattolica Italiana. Filosofo. È stato presidente nazionale dell'Azione Cattolica Italiana dal 2005 al 2008.  Allievo di Armando Rigobello, ha insegnato Filosofia morale nell'Università degli Studi di Perugia e Filosofia teoretica presso la LUMSA di Roma. Attualmente è Professore di Filosofia morale nell'Macerata, nonché titolare degli insegnamenti di Istituzioni di Filosofia morale, Filosofia morale (corso triennale), Etica pubblica ed Etica della vita (corso magistrale). È stato presidente del Corso di laurea in Filosofia (1997-2003), coordinatore del Dottorato di ricerca in Filosofia e Teoria delle Scienze Umane, presidente del Presidio di Qualità di Ateneo (-), direttore della Scuola di Studi Superiori "Giacomo Leopardi" (-).  Studioso dell'opera di Sant'Agostino, è autore di numerose pubblicazioni dedicate al rapporto tra interiorità e intenzionalità, comunicazione e azione, libertà e bene, con particolare attenzione alle tematiche dell'identità personale e della "reciprocità asimmetrica", esaminate anche sotto il profilo della loro rilevanza morale. Le sue ricerche più recenti, a partire dai temi della fragilità e della cura, sono dedicate al rapporto tra natura, tecnologia e libertà.  Impegnato fin da giovane nell'Azione Cattolica, nel corso degli anni ha ricoperto nell'associazione numerosi incarichi, prima a livello locale e poi nazionale: dal 1992 al 1998 è stato responsabile dell'Ufficio studi; -- è stato direttore della rivista culturale "Dialoghi"; il 24 aprile 2005 è stato eletto consigliere nazionale dell'associazione dalla XII assemblea nazionale. In seguito alla designazione del Consiglio nazionale, il Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana lo ha nominato presidente dell'associazione per un triennio. Il suo mandato è terminato il 27 maggio 2008.  È membro dei seguenti organismi: Consiglio scientifico dell'Istituto per lo studio dei problemi sociali e politici "Vittorio Bachelet" (Roma); Comitato Scientifico della Collana di “Filosofia morale” (Vita e Pensiero, Milano); Comitato di direzione della rivista “Dialoghi” (Roma); Consiglio Scientifico del “Centro di Etica Generale e Applicata” (Pavia); Comitato scientifico della rivista “Hermeneutica” (Urbino). Membro del Comitato Scientifico della Fondazione “Lanza” (Padova, /). Dirige inoltre la sezione di Filosofia della Collana “Saggi” (La Scuola Editrice, Brescia) e della Collana “Percorsi di etica” (Aracne Editrice, Roma).  Opere: “Il linguaggio come segno e come testimonianza. Una rilettura di Agostino”(Edizioni Studium, Roma); “Tempo e storia. Il "divenire" nella filosofia del '900” (Città Nuova Editrice, Roma); “Il pensiero del Novecento Editrice Queriniana, Brescia); “Il valore della parola. La teoria degli "Speech Acts" tra scienza del linguaggio e filosofia dell'azione” (Edizioni Porziuncola, Assisi PG); “Presenza e ulteriorità, Edizioni Porziuncola, Assisi (PG)); “La dignità degli ultimi giorni” (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)); “Con le lanterne accese. Il tempo delle scelte difficili, Ave Edizioni, Roma); “L'altro nell'io. In dialogo con Agostino” (Città Nuova Editrice, Roma); “Il terzo escluso, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)); “La via della speranza. Tracce di futuro possibile”  (Edizioni Ave, Roma); “Cielo di plastica. L'eclisse dell'infinito nell'epoca delle idolatrie” (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), (Premio "CapriSan Michele); “Amare e legarsi. Il paradosso della reciprocità, Edizioni Meudon, Portogruaro (VE)); “Filosofia morale” (Editrice La Scuola, Brescia); “I cattolici e il paese. Provocazioni per la politica” (Editrice La Scuola, Brescia); “L'angelo della gratitudine, Edizioni Ave, Roma); “Cittadini di Galilea. La vita spirituale dei laici” (Quaderni di Spello”, Edizioni Ave, Roma,  (Premio “CapriSan Michele); “Il fragile e il prezioso. Bio-etica in punta di piedi, Editrice Morcelliana, Brescia); “InfinitaMente. Lettera a uno studente sull'università, EUM, Macerata, . Edizioni di opere di Sant'Agostino La città di Dio, Rusconi, Milano; Bompiani, Milano. La dottrina cristiana, Edizioni Paoline, Milano; Confessioni, Sei, Torino, Manuale sulla fede, speranza e carità, Collana La vera religione, Città Nuova Editrice, Roma. “Il potere divinatorio dei demoni, Collana La vera religione, Città Nuova Editrice, Roma; La natura del bene, Città Nuova Editrice, Roma; Il libro della pace. «La città di Dio, XIX», Editrice La Scuola, Brescia); “Agostino nella filosofia del Novecento (con R. Piccolomini e A. Pieretti), 4Città Nuova Editrice, Roma (comprende: Esistenza e libertà, 2000; Interiorità e persona, 2001; Verità e linguaggio, 2002; Storia e politica). Azione e persona: le radici della prassi, V&P, Milano, Forme della reciprocità. Comunità, istituzioni, ethos, Il Mulino, Bologna, La filosofia come dialogo. A confronto con Agostino” (Città Nuova Editrice, Roma, Filosofi per l'Europa. Differenze in dialogo (con F. Totaro), Eum, Macerata, Agostino. Dizionario enciclopedico, di Allan D. Fitzgerald edizione italiana curata assieme a Antonio Pieretti, Città Nuova Editrice, Roma); “Forme del bene condiviso, Il Mulino, Bologna, “La felicità e il dolore. Verso un'etica della cura” Aracne Editrice, Roma, . Dialogando. Idee, pensieri, proposte per il nostro tempo, Edizioni Ave, Roma); “Unità e pluralità del vero: filosofia, religioni, culture, Archivio di filosofia); “Il dolore e la speranza. Cura della responsabilità, responsabilità della cura, Aracne Editrice, Roma); “Prossimità difficile. La cura tra compassione e competenza, Aracne Editrice, Roma); I conflitti religiosi nella scena pubblica. I: Agostino a confronto con manichei e donatisti, Città Nuova Editrice, Roma); “Noi dopo di noi. Accogliere, rigenerare, restituire: nella società, nell'educazione, nel lavoro” (FrancoAngeli, Milano); “I conflitti di valore nello spazio pubblico. Tra prossimità e distanza, Aracne Editrice, Roma); “I conflitti religiosi nella scena pubblica. II: Pace nella civitas, Città Nuova Editrice, Roma); “La fede e il contagio. Nel tempo della pandemia, (con G. De Simone eGrassi), Ave, Roma . L'umano e le sue potenzialità: tra cura e narrazione (conNicolini), Aracne, Roma . L’etica nel futuro (con F. Miano), Ortothes, Napoli-Salerno. Pagina di presentazione nel  docenti dell'Università degli Studi di Macerata, su docenti.unimc.  Dialogando. Il blog di Luigi Alici, su luigialici.blogspot. Predecessore Presidente nazionale dell'Azione Cattolica Italiana Successore Paola Bignardi.  “Love and duty are the cement of society” (Elster). “Love and duty are *not* the cement of society. The mechanism is *reciprocity*. Seemingly co-operative, helpful, altruistic behaviour, based on versions of the ‘I’ll-scratch-your- back-you-scratch-mine’ principle, require no nobility of spirit. Greed and fear suffice as motivation: greed for the *fruit* of co-operation, and fear of the consequence of *not* reciprocating the co-operative helpful overture of the other.” (Binmore). Chi tra Elster e Binmore ha ragione? Chi che vede nell’amore il “cemento della società”, o chi che considera invece la reciprocità dei due soggetti, basata su egoismo e paura, come il meccanismo sufficiente per tenere assieme la società? Oppure le cose sono più complicate? Grice propone di penetrare all’interno delle dinamiche della gratuità, della reciprocità e del tipo di razionalità che sottostanno ad esperienze conversazionale che potremmo chiamare “sociali”, come sono quelle dell’Economia di Comunione Conversazionale [cf. Bruni e Pelligra]. In particolare ci domandiamo a quali condizioni un soggetto o un’impresa mossi da una razionalità diversa da quella standard possano sopravvivere e svilupparsi in un contesto dove esiste una eterogeneità di soggetti interagenti. Inizieremo (§ 1) evidenziando le caratteristiche base dell’idea di razionalità che muove l’homo oeconomicus, cioè l’agente considerato “standard” dalla teoria economica convenzionale. Quindi, nella sezione 2, introdurremo un tipo di agente non standard, mosso da una razionalità in cui l’azione donativa ha una ricompensa intrinseca. Questo fa in modo che la reciprocità possa assestarsi come equilibrio stabile. Nella sezione 3 vedremo che, quando agenti eterogenei interagiscono tra di loro, le cose si complicano e gli esiti non sono più scontati. Per far questo ci serviremo della forma più elementare di giochi evolutivi; saremo, così, in grado di mostrare i risultati più interessanti del modello, che espliciteremo nelle conclusioni. * Alessandra Smerilli f.m.a. è dottoranda di ricerca in economia presso l’Università La Sapienza di Roma, dipartimento di Economia Pubblica. Luigino Bruni è ricercatore presso l’Università di Milano-Bicocca, Dipartimento di Economia. Gli autori ringraziano Nicolò Bellanca, Luca Crivelli, Fabio Gori, Benedetto Gui, Vittorio Pelligra e Luca Zarri per utili suggerimenti e critiche a precedenti versioni. Perché è così difficile cooperare (per l’economia)? L’idea di razionalità è dove sono maggiormente concentrate le assunzioni della scienza economica circa il comportamento umano, che potremmo anche chiamare antropologia filosofica, o psicologia filosofica. La razionalità economica, non cerca, principalmente, di descrivere il comportamento “quale è” nella realtà, ma piuttosto di individuare dei criteri di comportamento ottimo, razionale appunto, che fanno in modo di poter individuare tra i tanti comportamenti possibili quelli ottimizzanti – anche se tra analisi descrittiva e normativa esiste poi uno stretto rapporto. Le caratteristiche base dell’idea standard di razionalità economica, possono essere sinteticamente enucleate guardando alle assunzioni, che restano spesso implicite, del “gioco” più famoso utilizzato oggi in economia: il cosiddetto dilemma del prigioniero. Esso, nell’ambito della teoria dei giochi1, è usato per mostrare come la ricerca dell’individualistico tornaconto, in molte situazioni (in particolare in quelle dove non è possibile stipulare un contratto vincolante per le parti), non solo non porta al bene comune, ma neanche al bene privato dei singoli individui. La logica che sottende il gioco è usata per spiegare molti dei dilemmi dovuti all’assenza o al mal funzionamento dei mercati: dall’inquinamento, alla congestione del traffico, alle difficoltà della co-operazione. Il gioco rappresenta l’interazione tra due individui, che chiamiamo Romolo e Remo, identici (hanno le stesse informazioni e la stessa struttura di preferenze, i due elementi che fanno la diversità tra gli agenti economici –a cui va aggiunto, nel caso di imprese, il potere di mercato). Romolo e Remo si trovano a scegliere in una situazione ‘strategica’ di inter-dipendenza, ciascuno sa di avere di fronte un soggetto identico a sé, con le stesse preferenze, e *entrambi* conoscono la struttura del gioco (le ricompense, o pay-off associati agli esiti, che dipendono dalle proprie azioni o muoti conversazionali e da quelle dell’altro/i). Quali sono le preferenze? Per restare nel concreto, pensiamo ad una situazione famigliare: la raccolta differenziata dei rifiuti (ma il ragionamento, come si capirà immediatamente, è di portata più universale). L’ordine di preferenze dei nostri due giocatori, e in generale dell’homo oeconomicus standard che di norma l’economista ha in mente quando descrive il mondo, sono le seguenti. Al primo posto Romolo ed Remo – o Eurialo e Niso -- mettono: “l’altro fa la raccolta e io no”. A questo esito del gioco associamo il punteggio massimo, diciamo 4 punti. Al secondo posto “tutti la facciamo, me compreso” (3 punti). Al terzo “nessuno la fa” (2 punti). Al quarto “solo io faccio la raccolta differenziata” (1 punti). La tabella e il grafico sottostanti (che sono due modi diversi di rappresentare questa situazione, rispettivamente in forma normale ed estesa) rappresentano sinteticamente la struttura del gioco. La teoria dei giochi è oggi pervasiva nella teoria economica. Essa è soprattutto un linguaggio che consente di rappresentare in modo molto efficace interazioni (chiamate “giochi”) di tipo ‘strategico’, cioè situazioni nelle quali i guadagni, non solo monetari (chiamati pay-off, ricompense), dipendono dalla scelta dell’ altro soggetto o individuo inter-agente con lui, e non solo dalla propria (deliberazione condivisa). La teoria dei giochi ha oggi un campo di applicazione molto vasto, che va dalla collusione tra imprese all’inquinamento, dalle scelte elettorali al rapporto paziente-psicologo. Va notato che sebbene, per semplicità e per ragioni di chiarezza espositiva, abbiamo assegnato pay-off numerici (ipotesi che verrà eliminata nelle prossime sezioni), in realtà siamo all’interno di un orizzonte di tipo ordinalistico. Di per sé i valori numerici non possiedono alcun significato, e quello che conta è l’ordine delle preferenze individuali. Data una tale struttura di preferenze, si dimostra facilmente che Eurialo e Niso, *se sono razionali*, sceglieranno entrambi di *non* co-operare (non fare la raccolta differenziata), ritrovandosi così al terzo livello di preferenza (con due punti ciascuno: 2 punti per Eurialo, 2 punti per Niso), una situazione “dominata” dalla co-operazione reciproca (fare tutti la raccolta), in cui avrebbero ricevuto tre punti ciascuno (3, 3). Eurialo  Co-opera Co-opera 3,3 1,4 Non co-opera Non co-opera 4,1 2,2. Nella rappresentazione in forma estesa, gli esiti del gioco esprimono bene le caratteristiche base dell’idea di soggetto che l’economia normalmente segue nel costruire i suoi modelli. Il suo mondo ideale è quello in cui gode dei benefici (ad esempio un mondo non inquinato) senza sostenerne i costi che preferisce trasferire sull’altro, se può (separare i rifiuti, depositarli in raccoglitori diversi, ecc. ). Da qui il dilemma. Si dimostra facilmente che, poiché si trova di fronte uno/a con la stessa “razionalità” e preferenze, la soluzione del gioco è che entrambi Eurialo e Niso si ritrovano al terzo livello dell’ordinamento di preferenze, cioè nessuno fa la raccolta differenziata, quando invece ciascuno avrebbe preferito che tutti la facessero (che infatti si trova al secondo posto). E la realtà delle nostra città e del nostro pianeta ci dice quanto questi dilemmi siano reali e urgenti, e quanto la scelta ‘sociale’ non si discoste poi tanto dal modello astratto utilizzato dall’economia. Tutto ciò ci dice che la *soluzione* del gioco, e gli esiti dilemmatici dipendono sostanzialmente da due ipotesi base circa la razionalità. Primo, l’individualismo: ragionare esclusivamente nei termini di “cosa è ottimo, o meglio, per me: mittente/recipiente”). Secondo: lo strumentale (la bontà di una azione si misura sulla base della sua capacità di essere un *mezzo* condizionale per ottimizzare i pay-off, non per il suo valore categorico intrinseco. Date queste ipotesi, la non- [Nella tabella i numeri (i pay-off) esprimono utilità, quindi il più è preferito al meno. Il primo numero si riferisce a Niso, il secondo ad Eurialo. Nell’appendice abbandoniamo i numeri e passiamo ad un caso più generale (dove i pay-off è espresso in lettere, ordinate non in modo cardinale). Va aggiunto che non ogni inter-azione rappresentabili come dilemma del prigioniero porta a risultati dilemmatici e sub-ottimale a causa dell’antropologia sottostante. Si pensi, ad esempio, agli  [3  cooperazione (nessuno fa la raccolta) è un *equilibrio* stabile del gioco (o equilibrio di Nash), dal quale nessuno dei giocatori ha convenienza a spostarsi uni-lateralmente, a meno che non si sia capaci di stipulare un *patto* vincolante. Se un patto vincolante non è possibile -- si pensi alle interazioni quotidiane con numerosi agenti, come nel traffico stradale -- o troppo costoso, *non* cooperare risulta la ‘strategia’ ottimale per due ragioni. Prima se Eurialo suppone che Niso è azionale (individualista e strumentale) allora se co-operassi avvierei Eurialo allo sfruttamento (1 punto).Se invece Eurialo ha buone ragioni per pensare che Niso *non* è razionale o, come dice Dawkins, “ingenuo”, e che quindi si lasce sfruttare, Eurialo ha una ragione in più per *non* cooperare. Otterrai infatti 4 punti. Quindi l’esito dilemmatico è una combinazione di paura alla Hobbes e di opportunism. Se va male Eurialo cade in piedi e non si lascia sfruttare. Se va bene Eurialo prende tutto. Una razionalità puo essere con ricompense *non* materiali. In un mondo fatto di due individui mossi da questa razionalità la co-operazione può essere raggiunta solo quando siamo capaci di auto-vincolarci a delle regole non opportunistiche, per un bene individuale maggiore. Io gratto la tua schiena, tu gratti la mia. Questo principio è, in mille varianti, il tipo di co-operazione che può emergere tra due soggetti razionali di questa maniere. Grice lo chiama ‘altruismo reciproco’ -- individuando un comportamento pro-sociale in tutte le specie animali, dove però l’altruismo disinteressato non esiste, ma è solo maschera di più sottili forme di egoismo (o amore proprio e non benevolenza). In ogni caso la co-operazione è interamente condizionale e non un imperativo di tipo kantiano. Eurialo aiuta Niso a condizione che Niso aiuta Eurialo e vice versa. Viene comunque spontaneo chiedersi se negli esseri umani – o almeno due filosofi oxoniensi -- ci sia qualcosa di diverso, in termini di socialità, rispetto alle scimmie o alle formiche. Al di fuori di questi specifici casi nei quali la co-operazione emerge, un atto che non punti a rendere massimo il proprio interesse, di breve o di lungo periodo, è considerato *irrazionale* o ingenuo, poiché si diventa pasto degli altri individui più aggressivi, che cresceranno e prospereranno a spese degli ingenui. Forse molti degli atti di co-operazione a cui assistiamo nella vita quotidiana possono trovare la loro spiegazione sulla base di questo tipo di logica individualistica, strumentale, e condizionale. Non tutti però. E’ infatti nostra convinzione che la convivenza civile, e le dinamiche economiche conversazionale, conoscono anche altre forme di co-operazione, che possono emergere sulla base di un ragionamento mosso da un tipo *diverso* di razionalità non utilitaria ma assoluta. In quanto segue, cercheremo di esplorare le implicazioni che scaturiscono dalla seguente domanda. Come cambia il gioco della vita in comune se complichiamo la visione antropologica sottostante i modelli economici? L’elemento di diversità (rispetto all’approccio standard) che qui introduciamo, è la presenza di un valore *intrinseco* categorico assoluto ingorghi stradali. Questi sono perfettamente rappresentabili come dilemmi del prigioniero. Ma sarebbe impreciso definire gli automobilisti che escono per andare a lavoro individualisti e strumentali. Ma abbiamo a che fare con un problema di mancanza di co-ordinamento in una scelta collettiva, che se vogliamo rimanda anch’esso a una dimensione ‘sociale’ (come la capacità di addivenire a patti vincolanti), ma, antropologicamente, è meno coinvolgente di casi dilemmatici che riguardano l’inquinamento o il rapporto con il fisco. Questo per dire che la teoria dei giochi è un linguaggio che trascende l’ambito economico e la sua tipica forma di razionalità; e infatti essa è utilizzata anche per modelizzare agenti mossi da forme razionalità *non* strumentali (come in parte fa Grice). (Dal nome del matematico che nei primi anni cinquanta introdusse questa nozione di equilibrio stabile). Il fatto che nella realtà concreta riusciamo a non cadere nel dilemma dipende dal fatto che spesso riusciamo a disegnare patti o contratti vincolanti, con sanzioni. Grice mostra che anche il richiamo di allarme che certi uccelli emettono per avvisare il gruppo dell’arrivo di un predatore, a *rischio anche della propria vita*, è il risultato di un calcolo egoista. L’uccello può più facilmente salvare la sua vita se tutto lo stormo si sposta e non rimane isolato. -- associato a un comportamento di gratuità, da cui discende la possibilità di sperimentare una co-operazione, o reciprocità, non primariamente strumentale e condizionale, ma assoluta, costitutiva dell’umano, e categorical. Questo agente economico intende pertanto la reciprocità diversamente da come essa è usata oggi in economia. Rispetta l’ambiente, paga le tasse o edifica la casa rispettando i vincoli del piano regolatore (tutte faccende cooperative), ad esempio, perché questi comportamenti sono per lei dei valori, perché le danno una ricompensa intrinseca, e non solo strumentale (i vantaggi materiali della cooperazione, che pure sperimenta). Questo diverso tipo di agente non è quindi puramente consequenzialista e utilitario come invece è l’agente-individuo. Non valuta cioè la bontà del muoto conversazionale solo sulla base della conseguenza che tale muoto produce, ma tiene conto sia di una componente assiologica o deontologica – non aletica --, legata al valore, sia di una componente procedurale, più legata ai tipi di relazione all’interno delle quali il suo muoto si sviluppa. Sa inoltre che il suo muto è pienamente *efficace* se anche l’altro si comportano allo stesso modo (se reciprocano). Ma non condiziona il suo comportamento a quello dell’altro (come invece farebbe l’homo oeconomcus-individuo standard). Al tempo stesso, se l’altro si comportano sulla base della stessa razionalità assiologica e dello stesso valore intrinseco, allora egli soddisfa al massimo le sue preferenze, e anche il benessere sociale aumenta. In base ad una tale struttura di valori, o cultura della reciprocità gratuita, al primo posto dell’ordine di preferenze questo tipo di agente economico non mette, diversamente dal tipo standard, “tutti co-operano tranne me”, ma “tutti, me compreso, cooperiamo”, o doniamo. E questo perché il comportamento in sé è parte integrante del suo sistema di valori. Al secondo posto dell’ordine di preferenze pone: l’altro co-opera, io no. Al terzo posto: io co-opero, l’altro no. Al quarto, nessuno co-opera. Per capire questi valori si può partire dalla struttura di ricompense (i pay-off, cioè i numeri che misurano le ricompense) del dilemma del prigioniero. Ma occorre aggiungere, o sottrarre, ai pay-off materiali una componente intrinseca, sulla base della teoria classica della felicità o calculo eudaimonico, o beatifico, nella quale il comportamento buono in sé, o *virtuoso*, ha una ricompensa intrinseca. Così, se un soggetto ha fatto propria questa cultura della reciprocità gratuita o, per usare un’espressione più forte ma anche più corretta, della “comunione” (la communita immune), quando Eurialo co-opera e la controparte, Niso, no (pensiamo sempre all’esempio ambientale, o, se si vuole, ad un rapporto di amicizia), il suo pay-off, materialmente uguale a 1 (come nel gioco standard), aumenta a causa delle ricompensa intrinseca (che poniamo pari ad uno), attestandosi a 2. Se Eurialo invece *non* coopera ma la controparte, Niso, sì, ecco allora che il pay-off, pur essendo materialmente pari a 4, diminuisce a 3, perché si inserisce una *sanzione* intrinseca. 4 – 1 = 3. Si pensi a chi, pur avendo fatto propria la cultura della reciprocità, in un certo muoto non è coerente perché non riesce a vincere la tentazione del vantaggio materiale. La sua soddisfazione è comunque minore a causa della sanzione intrinseca, che potremmo chiamare anche insoddisfazione o senso di colpa o vizio. Il mondo peggiore (pay-off = 1) è quello in cui ciascuno è chiuso in se stesso. Qui il pay-off è 1 perché si parte da quello materiale (2) e gli si sottrae il valore intrinseco (2 – 1 = 1). Il mondo migliore è invece la *reciprocità*, un incontro mutuo di gratuità: (4), il pay-off materiale della co-operazione (3) più la componente intrinseca della gratuità. Sui vari usi della categoria di reciprocità nella teoria economica, cf. Crivelli. Questo ordine di preferenze dipende dall’ipotesi che la componente intrinseca dei pay-off sia costante e pari ad uno. Un’analisi più approfondita dovrebbe studiare i casi quando la motivazione intrinseca è maggiore, minore o uguale alla componente materiale. Non è da escludere, ad esempio, che all’aumentare di quest’ultimo dovrebbe aumentare la tentazione di tralasciare gli aspetti intrinseci. Se fare, ad esempio, la raccolta differenziata diventa estremamente costoso e laborioso, il numero di quelli, anche bene intenzionati, che la faranno diminuirà. Inoltre, una tale analisi ammette la possibilità di confronti  -- La componente intrinseca dell’azione è legata alla teoria classica della felicità o calculo eudemonistico di Bentham. La felicità, essendo il risultato di una vita virtuosa, è fuori dalla logica strumentale. La virtù è praticata perché ha un valore intrinseco, non per un calcolo machiavelico strumentale costi/benefici. La virtù, in particolare quella civica, ha bisogno di reciprocità perché porti ad una vita sociale pianamente realizzata, ma non può pretenderla, solo attenderla dalla libertà dell’altro. Ecco perché dagli antichi fino ad oggi alla felicità è associato un elemento *paradossale*. La feicita ha bisogno di reciprocità, ma solo la gratuità può suscitarla senza pretenderla. Un “gioco di reciprocità” (intesa nella maniera appena detta), che rimane sempre del tipo dilemma del prigioniero, può essere dunque rappresentato come segue: Eurialo Dona Non-Dona   Dona 4,4 2,3 Non-Dona 3,2 1,1 Rappresentiamo anche questo gioco in forma estesa. Dalla tabella, o dall’albero decisionale, si nota che se i due giocatori hanno questa stessa struttura di preferenze, l’unico esito stabile del gioco o equilibrio di Nash, dal quale cioè nessuno è incentivato a spostarsi, è “dona-dona”. Quindi per interpersonali di utilità, cosa peraltro non inusuale quando l’utilità attesa si calcola con la funzione di Von Neumann Morgernstern. Per un’analisi approfondita dei pay-off psicologici cf. Pelligra. Sul paradosso della felicità cf. Bruni. Il modello che può essere considerato il capostipite dei giochi del tipo gioco di reciprocità è quello introdotto da Sen -- questi giocatori-persone donare (o co-operare) è ‘strategia’ strettamente dominante, e l’unico equilibrio stabile del gioco è la reciprocità o la *comunione*: dona/dona. Cosa ci suggerisce questo gioco, pur nella sua estrema semplicità? Se sono un soggetto che ha questi valori non ho alternative a cooperare: gli altri possono rispondere o meno, e quindi il mio benessere/felicità è incerto (stando al gioco precedente, posso ottenere in termini materiali 2 o 4 punti): ciononostante per me l’unica possibilità, l’unica azione razionale, è cooperare, o come abbiamo detto, donare. Così, per fare un esempio, se sono alle prese con un fornitore difficile, non ho alternative al donare. Potrò trovare reciprocità o no, ma in ogni caso l’alternativa, ‘non-dona’ – che, nella pratica, significherà ogni volta qualcosa di diverso – è per me la peggiore (perché è sempre dominata dalla co-operazione) a causa della ricompensa (sanzione) intrinseca. E’ questo un soggetto che per alcune scelte non calcola i costi e i benefici. Che senso ha fare la raccolta differenziata se solo io la faccio. Ma agisce sulla base di un valore, o di una norma etica interiorizzata. Ciò spiega, tra l’altro, perché in certe società l’ecologia o il rispetto delle norme civili sono messe in pratica anche in contesti nei quali sarebbe razionale (nel senso standard) non farlo: iclassico fazzoletto di carta buttato fuori dal finestrino quando nessuno ci osserva, e quindi nessuna sanzione può essere applicata. D’altro canto, davanti a queste nostre considerazioni qualcuno potrebbe obiettare. Ma se ipotizzate che gli individui traggano soddisfazione dal muoto conversazionale stesso, diventa banale spiegare l’emergere (dalla perspettiva della psicologia filosofica) della co-operazione. In effetti l’idea è semplice. Ma ci auguriamo non banale, ma bizarra. In particolare, gli aspetti più interessanti intervengono quando pensiamo che nel mondo reale, nel mercato in particolare, non sappiamo normalmente con chi stiamo giocando, se abbiamo cioè di fronte un soggetto del primo tipo o uno del secondo. E qui entriamo in quello che possiamo chiamare il “paradosso della reciprocità” o della comunione, che possiamo sviluppare sinteticamente come segue, mettendo assieme i vari pezzi fin qui costruiti. Una vita buona ha bisogno di reciprocità genuine. La reciprocità genuina però non viene suscitata se la logica che ci muove è primariamente strumentale. La risposta dell’altro, la reciprocità, non possiamo pretenderla, ma solo *attenderla* dalla libertà dell’altro. Co-operare porta quindi a due esiti diversi (indicati con 2 o 4) in base alla risposta o non risposta dell’altro. Per comprendere questi risultati, si consideri che ognuno sa che l’altro ha di fronte due possibili scelte: donare e non donare, e, date le loro preferenze, qualunque scelta faccia l’altro per ciascuno è preferibile donare -- considerando anche il pay-off intrinseco. Se infatti l’altro giocatore (Eurialo) sceglie “donare” i punti di Niso sono 4 (mentre la mossa “non-dona” avrebbe portato solo 2 punti); e anche se Eurialo scegliesse “non donare”, Niso preferisce sempre “donare” che gli dà 2 punti invece di 1 (che è il pay-off di “non-dona/non-dona”). Può valere la pena specificare che qui con “donare” non si intende l’altruismo o la filantropia -- che possono restare atti individualisti. Donare è sinonimo di ciò che la cultura greco-romana chiama “amore”, e cioè un atto gratuito ma che ha sempre di mira la *reciprocità*, il rapporto personale con l’altro (amore-amicizia). Qualcuno potrebbe obiettare sostenendo che più che di una diversa forma di razionalità in questo caso siamo in presenza di un soggetto che ha solo preferenze diverse, ma la cui razionalità resta quella standard strumentale, perché in fondo anche lui massimizza la propria utilità. Noi preferiamo pensare che una persona che agisce mossa da motivazioni intrinseche sia più efficacemente rappresentabile da una forma di razionalità che Grice chiamava “rispetto ai valori” o assiologica che non dalla classica razionalità strumentale, che si caratterizza proprio per il suo essere tutta basata sul calcolo utilitario.Qui infatti nostri soggetti co-operativi fano la scelta non sulla base di un calcolo, ma per un valore. È ovvio che esiste una circolarità tra motivazioni intrinseche e il comportamento dell’altro -- su questo cf. Bruni e Pelligra. Per questo la vita in comune è fragile, come anche i filosofi – da Aristotele in poi - ci insegnano, perché essa dipende dalla risposta dell’altro – l’amore di Eurialo e reciprocato dall’amore di Niso e vice versa. Quale evoluzione? Facciamo ora un passo avanti, e ci domandiamo cosa succede quando soggetti standard e soggetti non standard (il secondo tipo che abbiamo appena descritto) interagiscono tra di loro. Sono situazioni che Grice studia. Sono ormai numerosi i modelli con un agenti altruistico che interage con un agenti auto-interessato. Qui ipotizziamo quattro casi, che, con diversi gradi di astrazione, possono rappresentare alcune situazioni reali che vengono a verificarsi quando l’interazione avviene tra soggetti diversi, perché mossi da culture diverse. Utilizzeremo, allo scopo, i rudimenti della teoria dei giochi evolutivi, nella sua forma più elementare, il cui elemento innovativo è l’introduzione della componente immateriale del pay-off corrispondente alla ricompensa intrinseca. Ipotizzeremo cioè i nostri giocatori immersi in un ambiente abitato da popolazioni diverse, dapprima due, e poi tre. La teoria dei giochi evolutivi utilizza lo stesso linguaggio, e in buona parte la stessa metodologia, della *biologia* evolutiva. Tra più popolazioni esistenti in un dato ambiente, nel tempo sopravvive quella che ha la fitness – capacità di adattamento – maggiore. Se due popolazioni hanno la stessa fitness sopravvivono entrambe. Ma se una ha una fitness minore delle altre è destinata all’estinzione, non nel senso biologico del termine (morte di tutti i soggetti di quella specie), ma che quel comportamento non verrà riprodotto, e saranno imitati i comportamenti vincenti. Il dibattito sull’applicazione di una tale metodologia agli essere umani e alle loro popolazione è aperto, e controverso. In quanto segue noi non intendiamo abbracciare la filosofia, né la metodologia, dei giochi evolutivi. Riteniamo soltanto che il linguaggio dei giochi evolutivi ci aiuti a mettere in luce dinamiche, che riteniamo reali, non facilmente individuabili con linguaggi diversi. Il nostro è quindi un esperimento, che ci piacerebbe, in futuro, portare avanti, mettendo a quel punto in questione alcuni assiomi che nell’attuale teoria dei giochi evolutivi ci appaiono troppo semplificati, come il concetto di fitness: semplificati, ma non inutili, come speriamo di mostrare. Primo caso: Tipi 1 e Tipi 2, non riconoscibili Come primo caso facciamo le seguenti ipotesi. Esistono solo due tipi tra loro non riconoscibili. Chiameremo tipi 1 quelli standard, e tipi 2 quelli non-standard o di reciprocità. Le ricompense intrinseche sono determinanti per la scelta (che, come visto, fanno sì che per il tipo 2 sia sempre razionale, perché strettamente dominante, “donare”). Ma per la sopravvivenza nel tempo di un tipo di agente, la cosiddetta fitness (misurata -- La versione più semplice di tali modelli si può trovare nel Manuale di microeconomia di R. Frank. Un testo classico è quello di Axelrod, e un recente studio, basato su evidenza sperimentale, è quello di Bowles. Un modello vicino a quello qui presentato è Sacco e Zamagni. Interessanti considerazioni metodologiche si trovano in Crivelli. Vale la pena specificare che mentre nella biologia evolutiva l’unità di selezione è il gene, in economia l’unità di selezione è il comportamento; inoltre, mente in biologia la trasmissione è ereditaria in economia essa avviene per imitazione. Sono i vari comportamenti adottati e imitati che rendono un agente più efficiente di un altro. Un contributo importante a questo riguardo è l’articolo The evolutionary turn in game theory diSugden -- dal valore medio dei pay-off materiali), contano solo i pay-off materiali, non i pay- off dovuti alla ricompensa intrinseca. c. I pay-off materiali sono i seguenti. Coopera – coopera. Non coopera – coopera. Coopera – non coopera. Non coopera – non coopera. Con a > b> c> d. La probabilità di incontrare un tipo 1 è p1, mentre quella di incontrare un tipo 2 è p2, dove, per la definizione di probabilità, p2 = 1- p1 In questo primo caso lo scenario non è roseo per i tipi 2. Si dimostra, infatti, che a sopravvivere saranno solo i tipi 1, e questo risultato è indipendente dalla percentuale di tipi 1 e 2 presente nella popolazione. Infatti, anche se i tipi 2 fossero la quasi totalità (ex. 99%) dell’universo, sarebbero destinati ugualmente all’estinzione perché sistematicamente sfruttati dagli individui. SE VALGONO LE IPOTESI PRECEDENTI, SOPRAVVIVONO SOLO I TIPI 1, PER OGNI VALORE DI p1 e p2. Se supponiamo un intervento ridistributivo dello stato che preleva risorse dai tipi 1 per sostenere i tipi 2 (es. ciò che avviene normalmente nei sistemi di stato sociale con le imprese sociali), il gap di fitness si riduce, e in certi casi potrebbe essere nullo, consentendo così la co-esistenza dei due tipi. Situazione diversa se ipotizziamo che i due tipi siano, per l’esistenza di un qualche segnale, riconoscibili, e che il tipo 2 decida di interagire soltanto con i suoi simili.  Aggiungiamo, quindi l’ipotesi. Rispetto ai giochi delle prime due sessioni, ora ricorriamo esplicitamente a pay-off ordinali, dove la sola condizione rilevante nella misurazione dei pay-off è il loro ordine, e cioè che a sia maggiore di b, b di c e c di d. Indichiamo con Fi la fitness dei tipi 1, e con Fp la fitness dei tipi 2. F1 = p1c + p2a F1 = p1c + (1-p1)a F2 = p1d + (1-p1)b. La tesi F1>F2 equivale quindi a: p1(b-a) + p1(c-d) > b-a, per p1 = 0 la disuguaglianza diventa a>b ed è quindi vera per p1 = 1 la disugualglianza diventa c>d ed è quindi vera osservo che valore di p1 (0, 1), p1(c-d) >0 p1(b-a) > b-a, perché b-a è minore di zero, quindi: F1>F2 valore di p1 [0, 1]. È possibile inoltre dimostrare che, per tutti I giochi di questo tipo, quale che sia la posizione iniziale di partenza, l’unico equilibrio evolutivamente stabile verso cui si converge nel tempo è quello che prevede l’estinzione di una delle popolazioni, nel nostro caso dei tipi 2.  9  e. i tipi sono riconoscibili e l’interazione è selettiva (il tipo 2 gioca solo con i simili). Se la riconoscibilità è perfetta (cioè la probabilità di simulazione è nulla), si dimostra facilmente che sarebbero i tipi 2 a sopra-vivere. Infatti, in questo caso vale il Risultato. SE IPOTIZZIAMO PERFETTA RICONOSCIBILITÀ DEI TIPI, SI ESTINGUONO I TIPI 1. Questo secondo risultato ci dice già qualcosa d’importante. La riconoscibilità, anche quando non perfetta (come nella realtà normalmente avviene), aumenta la fitness dei tipi 2. Ciò spiega, ad esempio, l’emergere del fenomeno della “rete”, una realtà tipica dell’economia sociale. Le varie componenti ed espressioni dell’economia sociale tendono infatti a cercarsi e scegliersi l’un l’altra: reti di imprese, reti di consumatori che insieme preferiscono le imprese sociali, reti di imprese (si pensi ai consorzi di co-operative, di veri livelli), risparmiatori e consumatori (il fenomeno delle banche etiche e della finanza etica). Nella realtà, però, supposto che un agente 2 voglia evitare di interagire con i tipi 1 (cosa da non dare per scontata), la perfetta riconoscibilità o la simulazione nulla sono comunque altamente irrealistiche (sono troppi i soggetti con i quali un’impresa e anche una persone interagisce: lavoratori, finanziatori, concorrenti, fornitori, consumatori ...). E’ quindi necessario ricorrere ad altre ipotesi per giustificare teoricamente lo sviluppo delle imprese sociali nel tempo. E’ quanto di cerca di fare negli altri due casi. Introduciamo ora un *terzo* tipo che si aggiunge ai due precedenti. Potremmo chiamarlo ‘civile’ o griceiano. Ipotizziamo che: f. il tipo 3 gioca una strategia “colpo su colpo”, una strategia intermedia (rispetto alle altre due più “radicali” dei tipi 1 e 2, che, rispettivamente, co-operano mai e sempre), che lo fa co-operare con chi coopera, e *non* cooperare con chi *non* coopera. Quest’ultimo co-opera quindi con chi coopera, e *non* co-opera con chi *non* co-opera. Il tipo civile o griceiano, non attribuendo un valore intrinseco (o attribuendogliene uno troppo basso) all’azione donativa, *non* ha “cooperare!” o “cooperiamo!” come ‘strategia’ *dominante*. La strategia dominante e “Siamo razionali”. Ma se ha di fronte un tipo 2, pur riconoscendolo, non lo sfrutta preferendo reciprocare. E’ un 21 La correlazione esclusiva tra tipi può avvenire per almeno due ragioni: o perché l’agente sceglie il tipo preferito che viene riconosciuto attraverso un segnale (che deve essere affidabile), oppure perché si trova in un cluster, cioè in un’area nella quale si trovano soltanto soggettio dello stesso tipo – pensiamo, ad esempio, ad una comunità locale come il gruppo maschile della sub-faculta di filosofia a Oxford, dove la probabilità che un agente si trovi ad interagire con uno “like- minded” è altissima, ed è indirettamente proporzionale al numero di forestieri – non filosofi non oxoniensi -- presenti in quella comunità. In questa situazione, i casi interessanti si trovano sui confini, dove la probabilità di interazioni miste aumenta (pensiamo agli effetti dell’introduzione di pratiche e comportamenti nuovi da parte del gruppo femminile, di missionari o di emigranti da Cambridge). Il segnale, inoltre, per essere efficace dovrebbe essere troppo costoso da imitare da parte dei tipi 1, come l’adesione ad un codice o procedimento di comportamento o ad una struttura di valori molto forte (come nelle botteghe del commercio equo e *solidale*, o nelle imprese di Economia di Comunione). Con riconoscibilità perfetta, la probabilità di incontrare un tipo simile è 1, mentre la probabilità di incontrare uno diverso è 0. Quindi F1 =(0(a) + 1(c))=c, mentre F2 = (0(d) + 1(b)) = b, quindi: F2 > F1. Rispetto a quella classica, questa versione di colpo su colpo è modificata, poiché non inizia sempre con un muoto di cooperazione, e poi il gioco non è ripetuto --  soggetto leale, che per questo chiamiamo “civile” o griceiano. Si ipotizza quindi l’esistenza di un segnale, utilizzabile solo dal tipo civile o griceiano, che gli permette di discriminare perfettamente tra i tre tipi che ha di fronte. Si ipotizza quindi che le altre due imprese non possono, o non vogliono, utilizzare quel segnale (pensiamo, ad esempio, a chi pur sapendo di rischiare entrando in un ambiente molto opportunistico, rifiuti l’idea della nicchia e accetti di scendere in campo, non utilizzando quindi il segnale di riconoscibilità. Cosa succede in questo caso? Innanzitutto è possibile vedere come la fitness del terzo tipo è sempre maggiore di quella del tipo 2. Infatti vale il risultato. SE E SOLO SE VALGONO LE IPOTESI PRECEDENTI (a. – d., f.) SI HA: F3 > F2 VALORE DI a, b, c, d, VALORE DI p1, p2, p3. Un secondo aspetto che emerge, è che l’evenienza che la fitness dei tipi 2 possa risultare maggiore di quella degli 1 dipende dalla percentuale di tipi 3 civili griceiani presente nella popolazione. Più quest’ultima è alta, maggiore è la fitness dei tipi 2 e minore quella dei tipi 1. Qui per semplicità supponiamo che gli scarti tra i pay-off siano uguali tr aloro, cio è che sia: (a–b) = (b–c) = (c–d). Tali scarti possono essere visti, rispettivamente, come vantaggio dello sfruttamento, premio della cooperazione e costo della coerenza. Anche nell’esempio numerico precedente tali scarti sono uguali (tutti pari ad 1). Con queste semplificazioni, vale il seguente risultato. SE VALGONO LE IPOTESI a.–d., f., g., F2>F1 SE E SOLO SE p +p <p. Il risultato ci dice ancora qualcosa d’importante. La sopra-vivenza dei tipi 2 dipende anche dall’esistenza, e dal numero, degli agenti del terzo tipo, cioè di soggetti che, pur *non* attribuendo un valore intrinseco ma derivato dalla razionalita generale all’azione del co-operare o donare non “sfruttano” il muoto co-operativo (come fa invece il tipo 1), ma reciprocano. Rispondono alla co-operazione. Per questo denominare questi tipi “civili”. Questo risultato può essere utilizzato anche a sostegno del ruolo della cultura civile – la conversazione civile – la civil conversazione del rinascimento italiano popolarizzato in tutta Europa. La sopra-vivenza e lo sviluppo di imprese e un soggetto più radicali, come i tipi 2, dipendono anche dalla “cultura civile” presente nell’ambiente dentro il quale operano. Di qui l’importanza duplice della diffusione della “cultura”, alla quale le imprese sociali non possono non attribuire grande importanza. Le imprese dell’EdC, ad esempio, dedicano un terzo dei propri utili alla formazione alla *cultura del dare*. Da una parte la cultura re-inforza le motivazioni intrinseche dei tipi 2, e dall’altra contribuisce ad aumentare e rafforzare il senso civico e la cultura della co-operazione dalla quale, indirettamente, dipende anche la loro sopra-vivenza e il loro sviluppo. Supponiamo, per assurdo, che la tesi non sia vera : Dovrà essere: F3 ≤ F2  => p1c + p2b + p3 b ≤  p1d + p2b + p3b = > p1c ≤ p1d, disuguaglianza che non e’ mai verificata essendo, per ipotesi, c>d. p1d + p2b + p3b > p1c + p2 a + p3c p1 (d − c) + p2 (b − a) + p3 (b − c) > 0 ;<=> p1(c−d) + p2(a−b )< p3(b−c) p1+p2 <p3.  Altra implicazione del risultato è il prendere coscienza che affinché i tipi 2 possano svilupparsi, i tipi civili debbono essere abbastanza numerosi. In particolare, si dimostra che la fitness dei tipi 3 è maggiore di quella dei tipi 1 se e solo se i tipi 3 sono in numero maggiore dei tipi 2. Ipotizzando, come nei risultati precedenti, l’uguaglianza tra gli scarti, abbiamo un altro risultato. SE VALGONO LE IPOTESI DEL LEMMA, F3>F1 SE E SOLO SE P2<P3. Rappresentiamo le due fitness nello spazio delle fitness e di p2. 0 P2* 1 P2 F1, F3. Da questo emergono due ordini di considerazioni. Il valore soglia di P2 (P2*) oltre il quale F3 diventa minore di F1 dipende dalle pendenze delle due rette, rispettivamente a per F1 e b per F3: (a – b) misura infatti il vantaggio che i tipi 1 hanno rispetto ai 3 per la presenza dei tipi 2 che sfruttano. Quindi minore è questo vantaggio, maggiore è la quota di tipi 2 che i tipi 3 possono tollerare Se a=b le due rette sarebbero parallele. Si nota che i tipi 3 perdono fitness con l’aumento dei tipi 2, e la differenza di fitness massima si ottiene in corrispondenza di P2 = 0. E’ il meccanismo che potremmo chiamare i figli delle rivoluzioni che uccidono i padri, perché li considerano troppo radicali, come i francescani di seconda generazione che rimossero Francesco dal governo dell’ordine, perché con il suo radicalismo impediva – a loro dire – lo sviluppo del francescanesimo più moderato e minacciava la morte stessa del movimento. Nell’ultimo scenario, ipotizziamo che la motivazione intrinseca, la componente non materiale dei pay-off, possa avere un effetto non solo sulla scelta ma anche sulla fitness. Finora non abbiamo fatto ciò per un senso di realismo. Eurialo puo persuadersi a vivere nella piena correttezza verso Niso perché attribuisce a tale comportamento un valore intrinseco. Se però poi non arrivano i risultati economici, se ho -- F3 >F1 <=> p1c +p2b  + p3b > p1c + p2a + p3c <=> p2pb + p3b > p2pa + p3c <=> p2 (b-a) > p3 (c-b) <=> p2 (a-b) < p3 (b-c) p2 < p3. Il valore soglia P2* è pari a P3, come sappiamo dal risultato.  F1 F3  -- ad esempio costi troppo elevati, la fitness di Eurialo ne risente. Ora però abbandoniamo questa semplificazione, e ipotizziamo che la fitness sia influenzata anche dalle motivazioni. Alcuni esperimenti dimostrano come i comportamenti ispirati da motivazioni intrinseche e da logiche di gratuità, oltre a non avere buoni sostituti - nel senso che in tali casi altre forme di incentivi monetari non funzionano - portano anche una maggiore efficienza in termini di risultati. Perché quindi non ipotizzare una fitness influenzata anche dalle motivazioni intrinseche? Le fitness del primo e del terzo tipo restano le stesse (questi due tipi non hanno motivazioni intrinseche), mentre cambia quella del tipo 2, dove la motivazione intrinseca è rappresentata da un ε > 0,29 che viene aggiunto ai pay-off materiali. Le fitness dei tre tipi diventano perciò le seguenti: h. F1 =p1(c) + p2 (a) + p3 (c) F2 =p1 (d) + p2 (b) + p3(b) + ε F3 = p1 (c) + p2 (b )+ p3 (b). Si dimostra che è possibile che la fitness dei tipi 2 sia maggiore anche di quella dei tipi 3. Vale infatti il: Risultato. SE VALGONO LE IPOTESI a. – d., f., h.: 1. F 2≥ F3, SE E SOLO SE ε≥ p1(C–D)31E 2. F2 ≥ F1, SE E SOLO SE ε≥ P1(C–D) + P2(A–B) + P3(C-B). C’è un rapporto diretto tra ε e (c –d) dove (c – d) misura il costo della coerenza per la fitness dei tipi 2, poiché è quanto questi perdono per essere coerenti con la loro cultura ottenendo “d” quando interagiscono con i tipi 1, invece di giocare, come i tipi 3, *non* coopera, ottenendo così “c”, che è maggiore di “d”. Il valore più piccolo che può assumere ε (cioè l’effetto materiale delle motivazioni intrinseche) affinché valga la disuguaglianza F2>F3, è ε* = p1 (c – d). Possiamo quindi osservare che, maggiore è il costo della coerenza (c – d), maggiore dovrà essere il valore-soglia ε* . Inoltre, c’è un rapporto diretto anche tra ε* e p1: se i tipi 1 sono, relativamente, molto numerosi, allora ε* dovrà essere più alto (e viceversa in caso contrario). Pensiamo, per fare un esempio, ad una impresa di Economia di Comunione che nel campo della legalità si comporta come un tipo 2. Paga le tasse, rispetta le leggi, per una norma etica alla quale attribuisce un valore intrinseco, non strumentale. Un tale imprenditore se opera in un mercato nel quale il costo della coerenza è molto alto o i soggetti opportunistici sono relativamente molti, per non estinguersi dovrà fare in modo che le proprie motivazioni etiche si traducano in maggiore fitness in una misura relativamente maggiore rispetto allo stesso imprenditore operante in un mercato più civile e dove i soggetti opportunisti sono meno. Come a dire che più un mercato, e una -- Rustichini e Gneezy -- A rigore potrebbe anche essere minore di 0. -- Ipotizziamo quindi che solo i tipi 2 e non i 3 “civili” abbiamo motivazioni intrinseche. F2 ≥F3 p1(d) + p2(b) + p3(b) + ε>p1c + p2b + p3b ε ≥ p1(c−d). F ≥ Fp(d) + p(b) + p(b) + ε≥p(c) + p(a)+p(c) 21123123  ε ≥ p1(c−d)+ p2(a−b)+ p3(c−b) -- società, premia i “furbi” (con condoni, ecc.) e penalizza i tipi cooperativi (con leggi che non riconoscono sgravi fiscali per le imprese sociale, ad esempio), più questi ultimi dovranno far sì che le motivazioni etiche si riflettano in maggiore efficienza, altrimenti non sopravvivono. Affinché valga invece la seconda disuguaglianza, F2 ≥ F1, il valore-soglia di ε, che chiameremo “ε ̊”, dovrà essere: ε ̊ = P1(C – D) + P2(A – B) + P3(C- B). E quale il rapporto tra i tipi 3 e i tipi 1? SE VALGONO LE IPOTESI DEL RISULTATO 4.1, F3 > F1, SE E SOLO SE P2 < P3 (b − c). (a − b) Come interpretare questo? (b – c) è il vantaggio dei tipi 3 rispetto ai tipi 1 (solo i tipi 3 co-operano con i tipi 2 ottenendo “b”), possiamo quindi chiamarlo il premio della cooperazione, mentre (a – b) è il vantaggio dei tipi 1 rispetto ai 3, perché è il premio dello sfruttamento che gli standard ottengono nei confronti dei tipi 2, al quale invece i tipi civili rinunciano. Dal Risultato 4.2. emerge un’affermazione a prima vista inquietante: affinché si affermino i tipi 3 (sui tipi 1) sarà necessario che i tipi 2 non siano troppi; in ogni caso questi ultimi potranno essere tanto più numerosi quanto più il “premio della cooperazione” sovrasta il “premio dello sfruttamento”. Se infatti i tipi 2 sono numerosi essi diventano pasto per i tipi 1, che hanno così un vantaggio relativo sui tipi civili. Il risultato potrebbe, infine, essere ulteriormente rafforzato se che quando un tipo 2 incontra un altro tipo 2 ottiene un di più dovuto alla reciprocità (il pay-off diventerebbe in questo caso a). i. F2=P1 (d)+P2(a)+P3(b)+ε La fitness dei tipi 2 potrebbe così essere maggiore di quella dei tipi 3 e 1 con un ε anche minore rispetto al valore di altro risultato. SE VALGONO LE IPOTESI DEL RISULTATO 4.1 E L’IPOTESI i. 1. F2≥F3, SE E SOLO SE ε≥ p1(C–D)+P2(B–A) E 2. F2≥F1, SE E SOLO SE ε≥P1(C–D)+P3(C-B). “ε**” e il valore soglia di ε, affinché valga la disuguaglianza F2≥F3 e, ricordando che la quantità (b – a) è negativa, possiamo subito notare che ε**≤ ε*. Similmente, ε ̊ ̊ =  p1 (c – d) + p3(c –b) è minore di ε ̊. Le motivazioni intrinseche e il di più della reciprocità si rafforzano a vicenda e rappresentano una strada molto interessante per esplorazioni. F<Fp(c)+p(a)+p(c)<pc+b+pbp<p(b−c). 1312312323(a−b). F2 ≥F3 p1(d)+p2(a)+p3(b)+ε≥p1c +p2b + p3b ε ≥ p1(c−d)+ p2(b−a). F ≥Fp(d)+p(a)+p(b)+ε≥p(c)+p(a)+p(c) 21123123ε ≥ p1(c−d)+ p3(c−b).  Riassumiamo i punti ai quali siamo giunti ragionando, con l’aiuto della teoria dei giochi, attorno alle prospettive e alle sfide di uno scenario economico nel quale fanno la loro comparsa soggetti diversi da quello standard. Un primo punto emerso in diverse parti di questo scritto è che un agire economico improntato alla gratuità e alla reciprocità, o alla comunione, in un ambiente abitato da agenti eterogenei non cresce con la politica dell’aumento numerico: escludendo l’ipotesi di perfetta riconoscibilità dei tipi, l’aumento numerico, di per sé non basta a far sì che i tipi 2 sopravvivano. Sono invece tre gli aspetti strategicamente cruciali affinché esperienze rette da una logica come quella delineata possano svilupparsi. Lavorare sulla cultura media della società (che noi abbiamo espresso con il “terzo tipo”, quello civile): il messaggio che emerge una volta che abbiamo esteso la dinamica ai terzi tipi è che i tipi 2 possono sopravvivere e svilupparsi soltanto all’interno di un’economia civile, un’economia nella quale sono numerosi gli agenti leali, che pur non attribuendo un alto valore intrinseco all’azione donativa (e quindi non hanno “donare” come strategia strettamente dominante in tutti i tipi di gioco), sono comunque corretti se incontrano un agente co-operativo, non lo sfruttano e co-operano con esso. Poiché le motivazioni intrinseche dipendono in parte dall’approvazione sociale, esiste un effetto di complementarietà strategica. Tanto più tali comportamenti sono diffusi, tanto più saranno premianti36. Infatti, uno sviluppo interessante del modello potrebbe essere quello di vedere sotto quali condizioni i tipi 1 possono trasformarsi evolutivamente in tipi civili, ma in questo scritto non lo abbiamo fatto. Va comunque aggiunto che se è vero che un impegno culturale che si limita a rafforzare le motivazioni intrinseche dei soggetti di tipo 2 non può bastare, al tempo stesso, però, questa seconda direzione ricopre un ruolo fondamentale, per evitare che nel tempo scompaia il tipo 2 e ci si assesti sul terzo tipo. Un mondo senza soggetti che, *almeno in certi contesti* -- ceteris paribus --, *donano* *incondizionalmente*, sarebbe un mondo più povero. La presenza dei due tipi civili e griceiani – Eurialo e Niso -- ci dice che nel tempo saranno questi ultimi gli unici a sopravvivere, a meno che le motivazioni intrinseche si riflettano nei pay-off ed il loro “riflesso” sia relativamente grande. Questo risultato è già di per sé significativo. Anche se in determinati contesti la motivazione intrinseca non riesce a migliorare la performance dei tipi 2, la presenza, magari solo transitoria, dei tipi 2 svolge un importante ruolo civile e culturale: permette cioè che l’incontro (o equilibrio) si assesti sulla reciprocità e non scivoli nella mutua diffidenza. Senza l’esistenza dei tipi 2, o, paradossalmente, senza il loro sacrificio, i tipi civili non avrebbero potuto sperimentare la reciprocità, perché in un mondo popolato solo da loro e da tipi standard, l’unica esperienza possibile è la diffidenza reciproca, la *non* cooperazione (war is war). Ciò serve a gettar luce sul significato culturale e civile che nella storia hanno esperienze radicali -- Ciò implica la possibilità di equilibri multipli ordinabili, cioè la stessa popolazione può essere altamente inefficiente o altamente efficiente a seconda che un numero anche piccolo, al limite anche un solo soggetto, decida di cooperare. 37 E’ infatti verosimile che i tipi 3, quelli civili, abbiano nel loro “programma” la possibilità della cooperazione perché nell’ambiente esiste, o è esistito, il tipo 2: certo si potrebbe teoricamente ipotizzare che i tipi 3 co-operino tra loro anche in assenza dei tipi 2. Ma, storicamente, la cultura civile dell’umanità è andata avanti grazie all’esistenza di esperienze *totalitarie* che hanno creato categorie nuove che poi hanno contaminato la cultura generale. Pensiamo, ancora una volta, alla regola d’oro, o, più recentemente, ai movimenti ecologisti -- come la comunione dei beni totale, certe forme di accademie o monachesimo, e in generale i primi tempi dei fondatori di nuovi carismi (si pensi, per tutti, ad un Francesco d’Assisi e alla sua vicenda storica. Simili esperienze non sempre sono riuscite a sopra-vivere con tutta la loro radicalità, ma senza di quelle chi è venuto in contatto con loro (nella nostra metafora, i “tipi civili”) non avrebbero potuto elevare il livello della convivenza Senza coloro che si sono fatti imprigionare, e hanno dato la vita per i diritti o per la libertà, oggi l’umanità – il tipo umano personale di Grice -- sarebbe meno libera e meno diritti sarebbero riconosciuti. Un po’ come avviene con il sale, che si perde nella massa ma dà quel di più al tutto. La metafora del sale non è però l’unica presente in quel codice della cultura occidentale che è il Vangelo: vi è anche quella della città sul monte, una città che illumina la città sotto monte. La dinamica evolutiva potrà condurre l’economia sociale, e l’economia di comunione, o sul sentiero sale della terra o in quello città sul monte. Ma, in entrambi i casi, occorre che la cultura rafforzi le motivazioni intrinseche. E forse questo il messaggio culturale che il giocco conversazionale griceiano vuole dare. Araujo, V.“Quale visione dell’uomo e della società?”, in Bruni, L. e V. Moramarco (a cura di), L’Economia di comunione: verso un agire economico a misura di persona, Milano: Vita e Pensiero. Aristotele, Etica Nicomachea, Milano: Rusconi. Axelrod, R. The evolution of cooperation, New York: Basic Books. Binmore, K. Game theory and social contract, Cambridge Mass: MIT Press, Vol. II. Bowles, S. et al. In Search of Homo Economicus: Behavioural Experiments in 15 Small Scales Societies, American Economic Review, 91, Bruni, L. La felicità e gli altri, Città Nuova, Roma. Bruni, L. e R. Sugden, Moral canals: trust and social capital in the work of Hume, Smith and Genovesi, Economics and Philosophy, Bruni L. e V. Pelligra, Economia come impegno civile, Roma: Città Nuova. Crivelli, L. Quando l’homo oeconomicus diventa reciprocans”, in Bruni e Pelligra. Dawkins, R. The selfish gene, Oxford University Press, Oxford. Frank, R. Microeconomia, Milano: McGrow-Hill. Elster, J. The cement of society. A study of social order, Cambridge: CUP. Gneezy, U. e A. Rustichini. A fine is a price, Journal of Legal studies, January. Gui, B. Economic interactions as encounters, mimeo, Università di Padova. Hollis, M. Trust within reason, Cambridge: CUP. Nussbaum, M. C. The fragility of goodness: Luck and Ethics in Greek tragedy and Philosophy, Cambridge: CUP. Pelligra, V. Fiducia r(el)azionale, in Sacco P.L. e S. Zamagni. Putnam, R. Bowling Alone, New York: Simon e Schuster. Sacco P.L. e S. Zamagni. Un approccio dinamico evolutivo all’alturismo”, RISS, Sacco P.L. e S. Zamagni. Complessità relazionale e comportamento economico, Bologna: Il Mulino. Sen, A. Isolation, assurance and the social rate of discount”, Quarterly Journal of Economics. Sugden, R. The Evolutionary Turn in Game Theory, Journal of Economic Methodology, Weibull, J. Evolutionary Game Theory, Cambridge MA: MIT Press. Zanghì, G. Dio che è amore, Roma: Città Nuova. Luigi Alici. Keywords: reciproco, alici, amore proprio ed amore altrui, self-love and other-love – il paradosso della reciprocita – eurialo e niso – noi – condividere la deliberazione – eidolon – comunita, immunita, genovesi, il canale morale, la fidanza e il capitale sociale in Genovesi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alici” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51791690452/in/dateposted-public/

 

 

 

 

 

 

Grice ed Alighieri – filosofia italiana – filosofia toscana – filosofia fiorentina – Luigi Speranza (Firenze). dante. Grice: “Problem with having Alighieri as a philosopher is that rhyming is not usually considered a priority – that’s why the old Romans like Lucrezio never had to rhyme – you might say metre is essential to Parmenide and Lucrezio – and that there is metre in my prose if not in endecasibili!” -- Grice: “This is important for an Oxonian; since Sir Peter once told me that he made an effort to understand Italian – ‘or Tuscan implicature,’ to be more precise – just to be able to digest Inferno compleat with rhyme.’” Grice: “Must say that my favourite Dante is ‘lasciate ogni speranza voi ch’entrate.”” Grice: “The Italians, all being Renaissance men, love to catalogue as ‘philosopher’ those whom the head of the Sub-Faculty of Philosophy at Oxford would NOT: Alighieri, one of them!” Grice: “But then, a sport of Italian philosophers is to ramble on “Pinocchio,” too!” -- “The Commedia and philosophy.” Liste di opere in Wiki.  Refs.: “Philosophical references in Dante’s Commedia.”  v.17. Sevolemeguardare in LINGUAD'oco ein LINGUA DI si, ec.e Pag .69. D’oco ,ec.N o n giudico superfluo ildire alcuna cosa su questa v.2. Massimamente quelli di LINGUA denominazione a,ncorchè ne sia stato già parlato da altri. Era costume de'nostri antichi,volendo essi denominare il linguaggio d 'una nazione, prendere il suo distintivo dalla particel. la affermativa del volgare di quella gente . Per tanto la lin gua Italiana si diceva la lingua del si, la Tedesca dell' io, la Franzese dell’oi, la provenzale dell’hoc. Eco sì si va d a discorrendo dell'altre lingue.IlVarchịnel TuoErcolano ac.335. facendosi interrogare dal Conte BaldaflarCastiglionesul parti colare della lingua Italiana , con queste parole : Cbi la cbie mase lalinguadelsi? risponde:seguiterebbeuna largbiffimodi. vifione,chehofa dellelingue,nominandole daquellaparticella, collaqualeaffermano,comeèlalinguad'hoc,chiamatada volgari lingua d'oca ; perciocchè hoc in quella lingua fignifica quanto væí nella Greca , e etiam ita mella Lasina , & pelle soffre si ; •perciò Dantedife: Ab Pifa, vitupero delle gesti Del belpaese là, dove 'lsifuona. Ed avanti al Varchi Benvenuto da Imola su questo medesimo luogo: Quiageneraliteromnisgens Italicautunturifto vulgari sì; ubi Germani dicunt io , do aliqui Gallici dicunt oi , do aliqui Pedemontani dicunt ol vel dic : leggo foc credendolo errore del copista nel M Ş . Laurenziano Derivano tutte queste particelle dal latino, Il “si” nostro dal sico sic est, eforse più interamenteda sicestbec, od al contrario da hoc eftfoc. L'altra di queste voci fu presa da' provenzali, cioè l'hoc: e da questa fu non solamente illor parlare denominato “lingua d'oco”, che vale a dire lingua dell'hoc. Ma il paese ancora “Linguadoca”.  e ne'tempi più balli della latina lingua fu detto “Occitania”, ilqual paese non è altro che l'antica Gallia Narbonensis. Lo io del Tedesco da illudbocest, ed in più perfetta pronunzia “ja”, forse dall'”iam est”. Il Franzese ai, dall “hec illud est”, che bene si ritrova nell'antico “ouill”, che adesso è diventato “oui”. Ed in somma il piemontese ol, dall'istesso “hoc illud”. Sicché, a proposito del passo di Dante, in lingua d’oco, e in lingua di sì, vuol dire in lingua provenzale, ed in lingua Italiana . V. 24. concioffiacbè. l. conciosracofache. Lingua, dal lat. 'lingua', voce usata in due signif. principal nel signif. propr., per quell'organo mobilissimo del corpo anide che è posto nella bocca ove si stende dall'osso joide fin dietro denti incisivi. Essa è la sede del senso del gusto, serve alla funzione del succhiare, alla masticazione, alla deglutizione, alla pronuncia delle parole, ed allo sputare.Varia molto nella grandezza ha la forma d'una piramide, appianata dall'alto al basso, rotonda su i suoi angoli, e terminata da certa punta ottusa che guarda ne davanti. E 'lingua' vale pure idioma, linguaggio, favella. Alighieri usa 'lingua' nei due suoi signif. principali spesse volte nelle sue opere, nel secondo signif. specialmente nel Vulg. El. Nella Div. Com. 'lingua' si trova 30 volte --19 nell'Inf.(II, 25; X1,72; IIV, XV, 87; XVII, 75; XVIII, 60,126; XXI, 137; XXII, 90; xxx,133; IITL 72, 89 ; XXVII, 18; XXVIII, 4, 101; xxx, 122; XXXI, 1; XXIII, 9, 1146; 3 volte nel Purg (vii, 17; XI, 98; xix,13) e 8 volte nel Par. 63; X1, 23; XVII, 87; XXIII, 55; XXVI, 124; XXVII,131; XXXIII,70,708). Sulle dottrine d'Alighieri concernenti la lingua, cioè il linguaggio umano, conviene rimandare al Vulg. El., specialmente al libro I di quest'opera. Si notino i seguenti usi. Lingua, riferito a sete; Inf. xxx, 122. Trarre la lingua, per Spingerla fuori della bocca; atto di SPREGIO; Inf. xvii, 75.-3. Mostrare ciò che puote una lingua, per Condurre un idioma all'apice della sua perfezione; Purg. VII, 17.-4. Scernere nella lingua, le parole dette o scritte; Purg. XV, 87.-5. La gloria della lingua, Il pregio d'un idioma, e la maestria dell'usarlo; Purg. XI, 98.-6. Alighieri chiama la lingua italiana lingua di sì, la provenzale lingua d'oc, la francese lingua d'oil;Vulg. El. 1, 8, 30 eseg.; cfr. Vit. N. xxv, 24 e seg.-7. Concernente la lingua primitiva Alighieri esterna in diversi tempi dee opinioni diverse. Secondo Vulg. El. I, 6, 29 e seg. la lingua dei primi parenti fu parlata da tutti i loro discendenti sino alla edificazione della torre di Babele, e dagli Ebrei anche dopo, onde la lingua primitiva fu semplicemente l'ebraica. Invece secondo Par. XXVI, 124 e seg. la lingua primitiva, parlata da Adamo, fu tutta spenta già prima della confusione babilonica, non ha dunque che fare nè coll'ebraica nè con altre lingue.-8. Anche in merito alla maggiore o minor nobiltà delle lingue latina e volgare Aligheri muta opinione. Secondo Conv. I, 5, 76 e seg. il latino è più bello, più virtuoso e più nobile del Volgare. Invece, secondo Vulg. El. 1, 1,  il volgare è più nobile del Latino. La seconda opinione è tutta propria d'Alighieri e segna un progresso nello svolgimento del suo pensiero. La prima era l'opinione dominante del tempo, accettata anche d'Alighieri, finchè i suoi studi lo indussero a lasciarla. La tèrra d’Occitania a gardat fin a aüra un immense patrimòni gropat simplament a sa lenga, una lenga qu’es istaa la primiera, comà es ressauput, naissuá dal latin, a èsser escrita, una lenga que vuèlh soventar, a donat vita a la primiera literatura moderna europencha, quèla qu’a servit de model per totas las autras lengas, qu’aviá trobat dau l’acomençament sa forma escrita, fòrça unitaria.  Es pas aicí lo luòc adont percorrer l’istòira de nòstra lenga faça als colonialismes qu’an empachat la creacion d’una lenga e de istitucions politicas unitarias mas la retrobaa unitarietat culturala de la tèrra occitana en cèstos darrieri ans a fait creisser un’ideá, beleu un utopiá, quèla de una Nacion, malaürament sença estat, de una Nacion culturala.  Lo mot Occitaniá, ben conoissut fin a la Rivolucion, a retrobat sa modernitat geografica, istorica, lingüistica. Malaürosament nòstra lenga ilh es aüra, apres mila ans, entren de se perdre, de se esvantar al solelh. Un procés qu’a començat a partir dal segle XVI, quand nòstra tèrra occitana a perdut definitivament son autonomiá. Quèlos que los expecialistas de la lenga noman gallicismes, an começat penetrar en Occitaniá sobretot a partir de l’ordonança de Villers-Cotterêts dal 15 d’aost dal 1539, quand lo francés es devengut lenga uficiala de la lei e de l’administracion francesa.  Eissubliaa la cultura dal Meianatge, quèla, per se comprener, dals trobaires, la lenga occitana es chaüta dins l’umbla condicion de, e zo dizo abó una paraula francésa, patois, patés. Cèsta paraula la vòl dire parlar abó las pautas, abó los pès.  Dins las Valadas avem perdut la valor de la paraula patois e l’anobrem tranquilament per dire que parlem a nòstra mòda, comà la se ditz dins tantas valadas. Mas lo mot patois pòl indicar qualsevuèlhe parlar natural dal mond, sença donar una precisa indicacion sus la lenga parlaa. Per aiquò Occitan es l’unica paraula que pòl servir per nomar nòstra lenga, l’unica que rend justiça a mila ans d’istòira. Pas mens de viatge sabem pas de adont arriba nòstre vocabolari, quala istòira an nòstras paraulas.  Comà bien sabon, la plus part dal vocabolari es d’origina latina, comun a quasi totas las lengas romanzas. Un’autra partiá dal vocabolari ven dal grec e decò aicí zo partagem abó las autras lengas; un’autra encara nos ven de las lengas alemandas o germanicas, de quèlos puèples qu’an envaít l’Imperi roman. Resta una fòrta presença de paraulas que beleu nos venon de las lengas parlaas dins nòstros territòris quand los romans sion arribats en çò nòstre: de lengas de sobstrat, que normalment partatgem en lengas anarias, al es a dire d’ancianas lengas mediterranèa comà lo ligure, l’etrusc o de lenga arias pre-latinas comà lo gallic o la lenga celta.  Comà la se pòl comprener sien drant a un tresaur lexical en partiá ben conoissut, mas adont los trabalhs lexicologics abondan pas e adont de ensemb lingüistic comà l’occitan alpec, nomat a son temps vivarò-alpenc, reston mal conoissut.  Comà a escrit Robert A. Geuljan dins son Dictionnaire Etymologique de la Langue d’Oc, en ligna, l’occitan “est la seule grande langue romane dépourvue d’un Dictionnaire Etymologique.   Volem pas de segur far concorrença al trabalh qu’es istat entrenat per lo Prof. Geuljan, mas prepausar de trabalhs sus l’etimologiá de paraulas pas gaire conoissuás de nòstra Valadas e de l’encemb occitano-alpenc per arribar, dins lo temps, a la redaccion d’un Diccionari Etimologic de l’Occitan Alpenc.  Pas mens nòstre Diccionari Etimologic sarè bilengas, es a dire li aurè una partiá entierament en lenga occitana e una traducion italiana. Escriure un Diccionari sus nòstra lenga adont per chasca paraula la se dona la traduccion dins una lenga diferenta de la nòstra me sembla una chausa que vai contra la lenga meseima.  Pensatz a un vocabolari de l’italian o dal francés o de un’autra lenga adont la descripcion de la paraula siè dins un’autra lenga.  Per l’occitan pareis siè la nòrma. Lo Tresor dóu Felibrige de Mistral, lo vocabolari de Alibert comà tuts los autri que sion istats realizats dins cèstos ans donan la paraula en occitan, mas tota la descripcion, e pas mesquè la traducion, dins un’autra lenga, o lo francés o l’italian.  Per far un autre exemple, plus recent, cito un grand trabalh de lexicografia comà quel de Jusiana Ubaud, adont tota l’introduccion e la descripcion de l’òbra es en francés. Perquè un’obra sus la lenga occitana deu èsser ilustraa en se servent d’un’autra lenga? Cèstos diccionaris rintran dins la categoriá dals vocabolaris “dialectals”; meseime los pauqui vocabolaris fait aicí dins las Valadas, normalment de l’occitan local a l’italian, rintran dins aicèsta categoriá.  Los catalans non pas, nos mostran, abó sos Diccionaris, que se pòion justament redigir de diccionaris completament en lenga sença la sugecion d’un autra lenga, comà totas las autras lengas nacionalas.  Per aiquò, en cèst espaci, en cèsta rubrica, chercharem de esclarzir l’origina de certenas paraulas, beleu pas gaire conoissuás, de nòstre vocabolari. ON ritrovando io, che alcuno avanti me abbia della volgare eloquenzia niuna cosa trattato. E vedendo questa cotal eloquenzia es sere veramente necessaria a tutti; conciò sia che ad essa non solamente gli uomini, ma ancora le femine, & i piccoli fanciulli, in quanto la natura permette, sisforzino pervenire: e volendo al quanto lucidare la discrezione di coloro, i quali come ciechi passeggiano per le piazze, e pensano spesse volte, le cose posteriori essere anteriori; con loaiuto, che Dio cimanda dal cielo, ci sforzeremo di dar giovamento al parlare delle genti volgari. Nè solamente l'acqua del nostro ingegno a si fatta bevanda piglie  ma  remo, ma ancora pigliando, ovvero compilando le cose migliori da gli altri, quelle con le nostre mescoleremo, acciò che d'indi possiamo dar bere uno dolcissimo idromele. Ora perciò che ciascuna dottrina deve non provare , aprire il suo suggetto,acciò si sappia che co sa sia quella,ne la quale essa dimora,dico, che 'l Parlar Volgare chiamo quello,nel quale i fanciulli sono assuefatti da gli assistenti, quan do primieramente cominciano a distinguere le voci,o vero,come piùbrevemente sipuò dire, ilVolgar Parlare affermo essere quello,ilquale senza altra regola, imitando la balia, s'appren de.Ecci ancora un altro secondo parlare il quale i romani chiamano “letteratura” (greco: grammatica). E questo se condario hanno parimente i greci & altri, ma non tutti; perciò che pochi a l'abito di esso pervengono ; conciò sia che, se non per spazio di tempo & assiduità di studio, si ponno pren dere le regole, e la dottrina di lui. Di questi dui parlari adunque ilVolgare è più nobile,si perchè fu il primo che fosse da l'umana gene razione usato, si eziandio perchè in esso tut to'lmondo ragiona",avegna che in diversi vocaboli e diverse prolazioni sia diviso ; si a n cora per essere naturale a noi, essendo quel l'altro artificiale: e di questo più nobile è la nostra intenzione di trattare. Il testo latino ha : ipsa (locutione) perfruitur ; ossia : di esso si serve.  non dico nostro,perchè altro parlar ci sia che quello dell'uomo ; perciò che fra tutte le cose che sono, solamente a l'uomo fu dato il parlare,sendo a lui necessario solo.Certo non a gli angeli, non a gli animali inferiori fu ne cessario parlare ; adunque sarebbe stato dato invano a costoro, non avendo bisogno di esso. E la natura certamente abborrisce di fare cosa alcuna invano. Se volemo poi sottilmente con siderare la intenzione del parlar nostro,niun'al tra ce ne troveremo, che il manifestare ad altri i concetti de la mente nostra.Avendo adunque gli angeli prontissima, & ineffabile sufficienzia d'intelletto da chiarire i loro gloriosi concet ti, per la qual sufficienzia d'intelletto l'uno è totalmente noto all'altro , o per sè , o almeno per quel fulgentissimo specchio,nel quale tutti sono rappresentati bellissimi, & in cui avidis simi sispecchiano;pertantopare,chediniuno segno di parlare abbiano avuto mestieri.Ma chi opponesse a questo , allegando quei spi riti, che cascarono dal cielo; a tale opposi zione doppiamente si può rispondere. Prima , che quando noi trattiamo di quelle cose , che Sono  Che l'uomo solo ha il comercio del parlare. Uesto è il nostro vero e primo parlare: Q a bene essere , devemo essi lasciar da 3   parte, conciò sia che questi perversi non vol lero aspettare la divina cura. Seconda rispo sta,e meglio è,che questi demoni a manife stare fra sè la loro perfidia, non hanno bisogno di conoscere , se non qualche cosa di ciascuno, perchè è, e qua nto è 1 : il che certamente s a n no ; perciò che si conobbero l'un l'altro avanti la ruina loro. A gli animali inferiori poi non fu bisogno provvedere di parlare ; conciò sia che per solo istinto di natura siano guidati.E poi tutti quelli animali, che sono di una medesima specie , hanno le medesime azioni , e le m e d e sime passioni ; per le quali loro proprietà p o s sono le altrui conoscere ; m a a quelli che sono di diverse specie, non solamente non fu neces sario loro il parlare, ma in tutto dannoso gli sarebbe stato , non essendo alcuno amicabile comercio tra essi. E se mi fosse opposto che il serpente che parlò a la prima femina, e l'a sina di Balaam abbiano parlato , a questo ri spondo , che l'angelo ne l'asina , & il diavolo nel serpente hanno talmente operato , che essi animali mossero gli organi loro ; e così d'indi la voce risultò distinta, come vero parlare; non che quello de l'asina fosse altro che rag ghiare e quello del serpente altro che fischiare.   ·Il testo ha: non indigent,nisiutsciantquilibetde quolibet, quia est, et quantus est. Parrebbe più proprio iltradurre cosi:non hanno bisogno di conoscere,se non ciascheduno di ciaschedun altro,che è,e quanto è: ossia l'esistenza e il grado.   Se alcuno poi argumentasse da quello,che Ovi dio disse nel quinto de la Metamorfosi, che le piche parlarono ; dico che egli dice questo figu ratamente,intendendo altro:ma se si dicesse che le piche al presente & altri uccelli parlano, dico ch'egli è falso; perciò che tale atto non è parlare , m a è certa imitazione del suono de la nostra voce; o vero che si sforzano di imitare noi in quanto soniamo,ma non in quanto par liamo. Tal che se quello che alcuno espressa mente dicesse, ancora la pica ridicesse, questo non sarebbe se non rappresentazione , o vero imitazione del suono di quello,che prima avesse detto.E così appare,a l'uomo solo essere stato dato il parlare ; m a per qual cagione esso gli fosse necessario, ci sforzeremo brievemente trattare. Che fu necessario a l'uomo il comercio Ovendosi adunque l'uomo non per istinto di natura,ma per ragione;& essa ra gione o circa la separazione, o circa il giudi dizio , o circa la elezione diversificandosi in ciascuno;tal che quasi ogni uno de la sua propria -- La voce del testo discretio sarebbe resa meglio dalla parola discernimento -- del parlare -- specie s'allegra; giudichiamo che niuno intenda l'altro per le sue proprie azioni , o p a s sioni, come fanno le bestie; nè anche per speculazione l'uno può intrar ne l'altro,come l'an gelo , sendo per la grossezza , & opacità del corpo mortale la umana specie da ciò ritenuta. Fu adunque bisogno , che volendo la genera zione umana fra sè comunicare i suoi concetti, avesse qualche segno sensuale e razionale ; per ciò che dovendo prendere una cosa da la ra gione, e ne la ragione portarla, bisognava es sere razionale; ma non potendosi alcuna cosa di una ragione in un'altra portare,se non per il mezzo del sensuale, fu bisogno essere sen suale , perciò che se 'l fosse solamente razio nale,non potrebbe trapassare;se solo sensuale, non potrebbe prendere da la ragione, nè ne la ragione de porre. E questo è segno che il subietto , di che parliamo , è nobile ; perciò che in quanto è suono,egli è per natura una cosa sensuale;& inquanto che,secondolavolontà di ciascuno , significa qualche cosa, egli è ra zionale 1. Iltestoha:Hoc equidem signum est,ipsum sub jectum nobile,dequoloquimur:naturasensualequi dem , in quantum sonus est , esse ; rationale vero , in quantum aliquid significare videtur ad placitum . A noi pare più giusto l'interpretare questo passo cosi. Questosegno (l'aliquod rationale signum et sensuale , di cui ha parlato poche righe più sopra ) è per l'appunto il nobile soggetto di cui parliamo : sensuale , per n a tura,in quanto èsuono;razionale,inquantoche,se   cheuomofuprimadatoilparlare, echedisseprima,& inchelingua. l'uomo solo fu dato il parlare. Ora istimo che appresso debbiamo investigare, a che uomo fu prima dato ilparlare,e che cosa prima disse, & a chi parlò , e dove e quando , & eziandio in che linguaggio il primo suo parlare si sciol se. Secondo che si legge ne la prima parte del Genesis , ove la sacratissima Scrittura tratta del principio del mondo , si truova la femina, primacheniunaltro,aver parlato,cioèlapre sontuosissima Eva, la quale al diavolo, che la ricercava, disse , « Dio ci ha commesso , che non mangiamo del frutto del legno che è nel mezzo del paradiso, e che non lo tocchiamo , acciò che per avventura non moriamo.» Ma a vegna che in scritto si trovi la donna aver pri mieramente parlato,non di meno è ragionevol cosa che crediamo , che l'uomo fosse quello , che prima parlasse. Nè cosa inconveniente mi pare condo la volontà di ciascuno, significa qualche cosa. Contro la quale interpretazione stala punteggiatura, e la voce esse del testo,che sarebbe di troppo ; ma ,per com penso, il brano riesce più chiaro, e si collega meglio col senso di tutto il Capitolo. 9  Anifesto è per le cose già dette , che a pensare,che così eccellente azione de la il   generazione umana prima da l'uomo,che da la femina procedesse. Ragionevolmente adunque crediamo ad esso essere stato dato primiera mente il parlare da Dio,subito che l’ebbe for mato.Che voce poi fosse quella che parlò prima, a ciascuno di sana mente può esser in pronto ; & io non dubito che la fosse quella, che è Dio, cioè Eli, o vero per modo d'interrogazione, o per modo di risposta.Assurda cosa veramente pare,e da la ragione aliena,che da l'uomo fosse nominata cosa alcuna prima che Dio ; con ciò sia che da esso,& in esso fosse fatto l'uo mo.E siccome,dopolaprevaricazionedel'u m a n a generazione , ciascuno esordio di parlare comincia da heu ; così è ragionevol cosa , che quello che fu davanti , cominciasse da alle grezza ,e conciò sia che niun gaudio sia fuori diDio,ma tuttoinDio,& essoDio tuttosiaal legrezza, conseguente cosa è che 'l primo p a r lante dicesse primieramente Dio. Quindi nasce questo dubbio,che avendo di sopra detto, l'uomo aver prima per via di risposta parlato, se risposta fu, devette esser a Dio; e se a Dio, parrebbe,che Dio prima avesse parlato,ilche parrehbe contra quello che avemo detto di sopra. Al qual dubbio risponderemo,che ben può l'uo mo averrispostoaDio,chelointerrogava,nè per questo Dio aver parlato di quella loquela, che dicemo.Qual è colui,che dubiti,che tutte le cose che sono non si pieghino secondo il voler diDio,da cuièfatta,governata,econservata   ciascuna cosa ? É conciò sia che l'aere a tante alterazioni per comandamento della natura in feriore si muova, la quale è ministra e fattura di Dio,di maniera che fa risuonare i tuoni, ful gurare il fuoco, gemere l'acqua, e sparge le nevi, e slancia la grandine ; non si moverà egli per comandamento di Dio a far risonare al cune parole le quali siano distinte da colui, che maggior cosa distinse?e perchè no? Laon de & a questa, & ad alcune altre cose credia mo tale risposta bastare. Dove,& a cuiprima l'uomo abbiaparlato. ta così da le cose superiori, come da le inferiori), che il primo uomo drizzasse il suo primo parlare primieramente a Dio , dico, che ragionevolmente esso primo parlante parlò s u bito,che fu da la virtù animante ispirato: per ciò che ne l'uomo crediamo,che molto più cosa umana sia l'essere sentito che il sentire, pur che egli sia sentito,e senta come uomo. Se adunque quel primo fabbro, di ogni perfezione principio & amatore ,inspirando il primo uomo con ogni perfezione compi , ragionevole cosa mi pare, che questo perfettissimo animale non prima cominciasse a sentire, che 'l fosse sen tito. Se alcuno poi dicesse contra le obiezioni, Iudicando adunque (non senza ragione trat che non era bisogno che l'uomo parlasse, es sendo egli solo ; e che Dio ogni nostro segreto senza parlare, ed anco prima di noi discerne ; ora (con quella riverenzia , la quale devemo usare ogni volta,che qualche cosa de l'eterna volontà giudichiamo),dico,che avegna che Dio sapesse, anzi antivedesse (che è una medesima cosa quanto a Dio) il concetto del primo parlante senza parlare, non di meno volse che esso parlasse; acciò che ne la esplicazione di tanto dono, colui, che graziosamente glielo avea do nato,se ne gloriasse.E perciò devemo credere, che da Dio proceda , che ordinato l'atto de i nostri affetti, ce ne allegriamo. Quinci possiamo ritrovare il loco, nel quale fu mandata fuori laprimafavella;perciòchesefuanimato l'uo m o fuori del paradiso , diremo che fuori : se dentro , diremo che dentro fu il loco del suo primo parlare. Ra perchè i negozj umani si hanno ad esercitare per molte e diverse lingue , tal che molti per le parole non  intesi da molti,che se fussero senza esse; però fia buono investigare di quel parlare, del quale si crede aver usato l'uomo, che nacque senza sono altrimente 1 Di che idioma prima l'uomo parld, e donde fu l'autore di quest'opera.   madre, e senza latte si nutri, e che nè pupil lare età vide,nè adulta.In questa cosa,sì come in altre molte, Pietramala è amplissima città, e patria de la maggior parte dei figliuoli di Adamo .Però qualunque si ritrova essere di cosi disonesta ragione, che creda, che il loco della sua nazione sia il più delizioso, che si trovi sotto il Sole , a costui parimente sarà licito preporre il suo proprio volgare , cioè la sua materna locuzione,a tutti gli altri; e conse guentemente credere essa essere stata quella diAdamo.Ma noi,acuiilmondo èpatria, sì come a'pesci il mare , quantunque abbiamo bevuto l'acqua d'Arno avanti che avessimo denti,e che amiamo tanto Fiorenza, che pe averla amata patiamo ingiusto esiglio, non dimeno le spalle del nostro giudizio più a la ragione che al senso appoggiamo. E benchè se condo il piacer nostro , o vero secondo la quiete de la nostra sensualità, non sia in terra loco più ameno di Fiorenza;pure rivolgendo i vo lumi de'poeti e de gli altri scrittori, ne i quali il mondo universalmente e particularmente si descrive , e discorrendo fra noi i varj siti dei luoghi del mondo , e le abitudini loro tra l'uno e l'altropolo,e'lcircolo equatore,fermamente comprendo, e credo, molte regioni e città es sere più nobili e deliziose che Toscana e Fio renza, ove son nato, e di cui son cittadino; e molte nazioni e molte genti usare più dilette vole, e più utile sermone , che gli Italiani. Ritornando adunque al proposto , dico che una certa forma di parlare fu creata da Dio insie me con l'anima prima ,e dico forma, quanto a i vocaboli de le cose,e quanto a la construzione de'vocaboli , e quanto al proferir de le con struzioni; la quale forma veramente ogni par lante lingua userebbe, se per colpa de la pro sunzione umana non fosse stata dissipata, come di sotto si mostrerà. Di questa forma di par lare parlò Adamo , e tutti i suoi posteri fino a la edificazione de la torre di Babel, la quale si interpreta la torre de la confusione. Questa forma di locuzione hanno ereditato i figliuoli di Heber, i quali da lui furono detti Ebrei ; a cui soli dopo la confusione rimase, acciò che il nostro Redentore , il quale doveva nascere di loro,usasse,secondo laumanità,dela lin gua de la grazia, e non di quella de la confusione. Fu adunque lo ebraico idioma quello, che fu fabbricato da le labbra del primo par lante . ' Il testo ha : qui ex illis oriturus erat secundum humanitatem ,non lingua confusionis, sed gratiæ frue retur.E deve tradursi:ilqualedovevanascere di loro secondo l'umanità , usasse della lingua della grazia, e non di quella della confusione. Hi come gravemente mi vergogno di rin  15 e per De la divisione del parlare in più lingue. A en ta nerazione umana : ma perciò che non possia mo lasciar di passare per essa, se ben la fac cia diventa rossa , e l'animo la fugge , non starò di narrarla. Oh nostra natura sempre prona ai peccati , oh da principio, e che mai non finisce, piena di nequizia; non era stato assai per la tua corruttela, che per lo primo fallo fosti cacciata, e stesti in bando de la p a tria de le delizie? non era assai, che per la universale lussuria, e crudeltà della tua fami glia, tutto quello che era di te, fuor che una casa sola, fusse dal diluvio sommerso , il male , che tu avevi commesso , gli animali del cielo e de la terra fusseno già stati puniti? Certo assai sarebbe stato; ma come prover bialmente si suol dire,Non andrai a cavallo anzi terza ; e tu misera volesti miseramente andare a cavallo.Ecco,lettore, che l'uomo , o vero scordato,o vero non curando de le prime battiture, e rivolgendo gli occhi da le sferze, che erano rimase, venne la terza volta a le botte, per la sciocca sua e superba prosunzio ne. Presunse adunque nel suo cuore lo incu rabile uomo, sotto persuasione di gigante, di superare con l'arte sua non solamente la na tura,ma ancoraessonaturante,ilqualeèDio; e cominciò ad edificare una torre in Sennar, la quale poi fu detta Babel, cioè confusione, per la quale sperava di ascendere al cielo,avendo intenzione, lo sciocco,non solamente di aggua gliare,ma diavanzare ilsuo Fattore.Oh cle menzia senza misura del celeste imperio;qual padre sosterrebbe tanti insulti dal figliuolo? Ora innalzandosi non con inimica sferza, ma con paterna , & a battiture assueta , il ribel lante figliuolo con pietosa e memorabile corre zione castigò. Era quasi tutta la generazione umana a questa opera iniqua concorsa ; parte comandava, parte erano architetti,parte face vano muri,parte impiombavano,parte tiravano le corde ", parte cavavano sassi, parte per ter ra,partepermareliconducevano.E cosìdi verse parti in diverse altre opere s’affatica vano , quando furono dal cielo di tanta con fusione percossi, che dove tutti con una istessa loquela servivano a l'opera , diversificandosi in molte loquele , da essa cessavano , nè mai a quel medesimo comercio convenivano ; & a quelli soli, che in una cosa convenivano una · Il Witte osservò che in luogo di pars amysibus tegulabant, pars tuillis linebant, come leggeva erro neamente la volgata nel testo latino , si deve leggere : pars amussibus tegulabant, pars trullis (o truellis) linebant, e si deve tradurre : parte arrotavano sulle pietre i mattoni,parte con le mestole intonacavano.    istessa loquela attualmente rimase , come a tutti gli architetti una , a tutti i conduttori di sassi una,a tuttiipreparatori di quegli una, e così avvenne di tutti gli operanti; tal che di quanti varj esercizj erano in quell'opera , di tanti varj linguaggi fu la generazione umana disgiunta. E quanto era più eccellente l'arti ficio di ciascuno , tanto era più grosso e barbaro il loro parlare. Quelli poscia , a li q u a l i il sacrato idioma rimase , nè erano presenti nè lodavano lo esercizio loro ; anzi gravemente biasimandolo, si ridevano de la sciocchezza de gli operanti.M a questi furono una minima parte di quelli quanto al numero ; e furono , sì come io comprendo , del seme di Sem , il quale fu il terzo figliuolo di Noè , da cui nacque il popolo di Israel, il quale usò de la antiquissima locu zione fino a la sua dispersione. e specialmente in Europa. Er la detta precedente confusione di lin gue non leggieramente giudichiamo , che allora primieramente gli uomini furono sparsi per tutti iclimi del mondo e per tutte le re gioni & angoli di esso. E conciò sia che la  P Sottodivisione del parlare per il mondo ,  principal radice dela propagazione umana sia ne le parti orientali piantata , e d'indi da l'u no e l'altro lato per palmiti variamente diffu si, fu la propagazione nostra distesa; final mente in fino a l'occidente prodotta , là onde primieramente le gole razionali gustarono o tutti,o almen parte de ifiumi di tutta Europa. Ma ofusseroforestieriquesti,cheallorapri mieramente vennero, o pur nati prima in E u ropa, ritornassero ad essa; questi cotali por tarono tre idiomi seco ; e parte di loro ebbero in sorte la regione meridionale di Europa, parte la settentrionale , & i terzi, i quali al presente chiamiamo Greci , parte de l’Asia e parte de la Europa occuparono.Poscia da uno istesso idio ma,dalaimmonda confusione ricevuto,nac quero diversi volgari , come di sotto dimostre remo ; perciò che tutto quel tratto, ch'è da la foce del Danubio, o vero da la palude Meotide, fino a i termini occidentali (li quali da i confini d'Inghilterra, Italia e Franza , e da l'Oceano sono terminati), tenne uno solo idioma: ave gna che poi per Schiavoni, Ungari , Tedeschi, Sassoni , Inglesi & altre molte nazioni fosse in diversi volgari derivato ; rimanendo questo solo per segno, che avessero un medesimo prin cipio , che quasi tutti i predetti volendo affir mare, dicono jo. Cominciando poi dal termine di questo idioma,cioè da iconfini de gli Ungari verso oriente,un altro idioma tutto quel tratto occupò. Quel tratto poi, che da questi in qua si chiama Europa, e più oltra si stende,o ve ro tutto quello de la Europa che resta , tenne un terzo idioma 1, avegna che al presente tri partito si veggia ; perciò che volendo affermare, altri dicono oc, altri oil, e altri sì, cioè Spa gnuoli , Francesi & Italiani.Il segno adunque che i tre volgari di costoro procedessero da uno istesso idioma,è in pronto;perciò che molte cose chiamano per i medesimi vocaboli, come è Dio,cielo,amore,mare,terra,e vive,muore, ama ,& altri molti.Di questi adunque de la meridionale Europa , quelli che proferiscono oc tengono la parte occidentale, che comincia da i confini de'Genovesi ; quelli poi che dicono sì, tengono da i predetti confini la parte orientale, cioè fino a quel promontorio d'Italia, dal quale comincia il seno del mare Adriatico e la Sici lia.Ma quelli che affermano con oil,quasi sono settentrionali a rispetto di questi ; perciò che da l'oriente e dal settentrione hanno gli Ale manni , dal ponente sono serrati dal mare in 1 Il testo ha : A b isto incipiens idiomate , videlicet a finibus Ungarorum versus orientem aliud occupa vittotum quodabindevocaturEuropa,necnonul terius est protractum . Totum autem , quod in Europa restat ab istis , tertium tenuit idioma. E deve essere tradotto cosi : A cominciare da questo idioma, cioè dai confini degli Ungari verso oriente , un altro idioma occupò l'intero tratto che da quei confini in là si chiama Europa , e che si protrae anche più oltre. Tutto il tratto poi della rimanente Europa tenne un terzo idioma. 19    glese, e dai monti di Aragona terminati , dal mezzo di poi sono chiusi da'Provenzali,e da la flessione de l'Appennino. Noi ora è bisogno porre a pericolo 1 la ' Il verbo periclitari del testo latino qui vale mettere alla prova , cimentare.  ragione, che avemo, volendo ricercare di quelle cose ne le quali da niuna autorità siamo aiutati, cioè volendo dire de la variazione, che intervenne al parlare , che da principio era il medesimo.Ma conciòsiachepercammininoti più tosto e più sicuramente si vada , però so lamente per questo nostro idioma anderemo,e gli altri lascieremo da parte , conciò sia che quello che ne l'uno è ragionevole , pare che eziandio abbia ad esser causa ne gli altri. È adunque loidioma,deloqualetrattiamo(come ho detto di sopra) in tre parti diviso , perciò che alcuni dicono oc , altri si, e altri oil. E che questo dal principio de la confusione fosse uno medesimo (il che primieramente provar si deve) appare, perciò che si convengono in molti vocaboli,come gli eccellenti dottori dimostrano; De le tre varietà del parlare, e come col tempo il medesimo parlare si muta , e de la invenzione de la grammatica. A   la quale convenienzia repugna a la confusione, che fu per il delitto ne la edificazione di Babel. I Dottori adunque di tutte tre queste lingue in molte cose convengono, e massimamente in questo vocabolo,Amor. Gerardo di Berneil , « Surisentis fez les aimes Puer encuser Amor.» Il re di Navara, «De'finamor sivientsenebenté.» M. Guido Guinizelli, « Nè fè amor , prima che gentil core , Nè cor gentil,prima che amor,natura.» Investighiamo adunque , perchè egli in tre parti sia principalmente variato,e perchè cia scuna di queste variazioni in sè stessa si varii, come la destra parte d'Italia ha diverso par lare da quello de la sinistra, cioè altramente parlano i Padovani , e altramente i Pisani : e investighiamo perchè quelli,che abitano più vi cini,siano differenti nel parlare,come è iMila nesi e Veronesi,Romani e Fiorentini;e ancora perchè siano differenti quelli,che si convengono sotto un istesso nome di gente,come Napole tani e Gaetani , Ravegnani e Faentini ; e quel che è più maraviglioso, cerchiamo perchè non si convengono in parlare quelli che in una medesima città dimorano , come sono i Bolo gnesi del borgo di san Felice , e i Bolognesi  della strada maggiore.Tutte queste differenze adunque,e varietàdi sermone,che avvengono, con una istessa ragione saranno manifeste. Dico adunque , che niuno effetto avanza la sua ca gione, in quanto effetto,perchè niuna cosa può fare ciò che ella non è.Essendo adunque ogni nostra loquela (eccetto quella che fu da Dio insieme con l'uomo creata) a nostro benepla cito racconcia,dopo quella confusione,la quale niente altro fu che una oblivione de la loquela prima, & essendo l'uomo instabilissimo e va riabilissimo animale , la nostra locuzione ne durabile nè continua può essere ; m a come le altre cose che sono nostre (come sono costumi & abiti),simutano;cosìquesta,secondo ledi stanzie de iluoghi e dei tempi,è bisogno di va riarsi.Però non è da dubitare che nel modo che avemo detto,cioè,che con ladistanziadeltempo il parlare non si varii, anzi è fermamente da tenere ; perciò che se noi vogliamo sottilmente investigare le altre opere nostre,le troveremo molto più differenti da gli antiquissimi nostri cittadini, che da gli altri de la nostra età, q u a n tunquecisianomoltolontani1.Ilperchèaudace mente affermo, che se gli antiquissimi Pavesi ora risuscitassero,parlerebbero di diverso parlare di quello, che ora parlano in Pavia ; nè altrimente questo , ch'io dico , ci paja maraviglioso , che I qualicisianomolto lontani(magis....quam a coetaneis perlonginquis).   ciparrebbe a vedere un giovane cresciuto,il quale non avessimo veduto crescere.Perciò che le cose , che a poco a poco si movono , il moto loro è da noi poco conosciuto;e quanto la va riazione de la cosa ricerca più tempo ad essere conosciuta, tanto essa cosa è da noi più stabile esistimata.Adunque non ci ammiriamo,se i discorsi di quegli uomini,che sono poco da le bestie differenti, pensano che una istessa città abbia sempre il medesimo parlare usato, conciò sia che la variazione del parlare di essa città non senza lunghissima successione di tempo a poco a poco sia divenuta , e sia la vita de gli uomini di sua natura brevissima. Se adunque il sermone ne la istessa gente (come è detto) successivamente col tempo si varia, nè può per alcun modo firmarse, è necessario che il par lare di coloro, che lontani e separati dimorano, sia variamente variato ; sì come sono ancora variamente variati i costumi & abiti loro , i quali nè da natura,nè da consorzio umano sono firmati, ma a beneplacito, e secondo la conve nienzia de i luoghi nasciuti.Quinci si mossero gl'inventori de l'arte grammatica ; la quale grammatica non è altro che una inalterabile conformità di parlare in diversi tempi e luo ghi.Questa essendo di comun consenso di molte genti regulata , non par suggetta al singulare arbitrio di niuno, e consequentemente non può essere variabile.Questa adunque trovarono,ac ciò che per la variazion del parlare , il quale  De la varietà del parlare in Italia da la destra e sinistra parte de l'Appennino. Ra uscendo in tre parti diviso (come di  24 LIBRO PRIMO , per singulare arbitrio si move,non ci fossero o in tutto tolte, o imperfettamente date le a u torità, & i fatti de gli antichi , e di coloro da i quali la diversità dei luoghi ci fa esser divisi. sopra è detto) il nostro parlare nella comparazione di se stesso, secondo che egli è tri partito, con tanta timidità lo andiamo ponde rando , che nè questa parte , nè quella , nè quell'altra abbiamo ardimento di preporre, se non in quello sic, che i grammatici si trovano aver preso per avverbio di affirmare: la qual cosa pare, che dia qualche più di autorità a gli Italiani, i quali dicono si.Veramente ciascuna di queste tre parti con largo testimonio si d i fende. La lingua di oil allega per sè, che, per lo suopiùfacileepiùdilettevoleVolgare,tutto quello che è stato tradotto , o vero ritrovato in prosa volgare,è suo;cioè la Bibbia,ifatti de i Trojani e dei Romani,le bellissime favole del re Artù , e molte altre istorie e dottrine 1. ma: 0 · Il Fraticelli avverte , a ragione , che qui bisognava tradurre non: la Bibbia,ifatti de' Trojani... i libri che contengono i fatti de' Trojani . L'altra poi argomenta per sè , cioè la lingua di oc ; e dice che i volgari eloquenti scrissero i primi poemi in essa , sì come in lingua più perfetta e più dolce; come fu Piero di Alver nia & altri molti antiqui dottori.La terza poi, che è de gli Italiani, afferma per dui privilegj esser superiore ; il primo è, che quelli, che più dolcemente e più sottilmente hanno scritti poe mi , sono stati i suoi domestici e famigliari, cioè Cino da Pistoja, e lo amico suo ; il secondo è, che pare, che più s'accostino a la g r a m m a tica,la quale è comune.E questo, a coloro, che vogliono con ragione considerare, par g r a vissimo argomento . M a noi lasciando da parte il giudicio di questo , e rivolgendo il trattato nostro al Volgare Italiano,ci sforzeremo di dire le variazioni ricevute in esso , e quelle fra sè compareremo.Dicemo adunque laItalia essere primamente in due parti divisa,cioè ne la de stra e ne la sinistra ; e se alcuno dimandasse qual è la linea che questa diparte,brievemente rispondoessereilgiogodel'Appennino;ilquale, come un colmo di fistula, di qua e di là a diver se gronde piove,e l'acque di qua e di là per lunghi embricia diversi liti distillan , come Lucano nel secondo descrive ; & il destro lato ha il mar Tirreno per grondatoio, il sinistro v'ha lo Adriatico. Del destro lato poi sono regioni la Puglia,ma non tutta,Roma,ilDucato 1,  + Ducato di Spoleto.    , Toscana,la Marca di Genova.Del sinistro so no parte de la Puglia , la Marca d’Ancona , la Romagna , la Lombardia , la Marca Tri vigiana, con Venezia.Il Friuli veramente,e l'Istria non possono essere se non de la parte sinistra d'Italia ; e le isole del mar Tirreno , cioè Sicilia e Sardigna,non sono se non de la destra , o veramente sono da essere a la destra parte d'Italia accompagnate.In ciascuno adun que di questi dui lati d'Italia, & in quelle parti che si accompagnano ad essi, le lingue de gli uomini sono varie ; cioè la lingua de i S i ciliani co iPugliesi, e quella de i Pugliesi co i Romani,edeiRomani coiSpoletani,edi que sticoiToscani,edeiToscani coiGenovesi,e de i Genovesi co i Sardi. E similmente quella de i Calavresi con gli Anconitani, e di costoro coiRomagnuoli,e deiRomagnuoli co iLom bardi,edeiLombardi coiTrivigianieVene ziani , e di questi co i Friulani , e di essi con gl'Istriani ; ne la qual cosa dico, che nessuno de gl’Italiani dissentirà da noi. Onde la Italia sola appare in X I V Volgari esser variata : cia scuno dei quali ancora in sè stesso si varia: come in Toscana i Senesi e gli Aretini, in L o m bardia i Ferraresi e i Piacentini ; e parimente in una istessa città troviamo essere qualche variazione di parlare,come nel Capitolo di so pra abbiamo detto. Il perchè se vorremo cal culare le prime , le seconde , e le sottoseconde variazioni del Volgare d'Italia,avverrà che in Si dimostra , che alcuni in Italia hanno brutto & inornato parlare. Ssendo ilVolgareItalianopermoltevarietà dissonante , investighiamo la più bella & illustre loquela d'Italia ; & acciò che a la n o stra investigazione possiamo avere un picciolo calle, gettiamo prima fuori de la selva gli a r boriattraversati,elespine.Sicome adunque i Romani si stimano di dover essere a tutti preposti , così in questa eradicazione , o vero estirpazione , non immeritamente a gli altri li preporremo ; protestando essi in niuna ragione de la Volgare Eloquenza esser da toccare. Di cemo adunque il Volgare de'Romani ,o per dir meglio il suo tristo parlare, essere il più brutto di tutti i Volgari Italiani; e non è maraviglia, sendo ne i costumi e ne le deformità de gli abiti loro sopra tutti puzzolenti. Essi dicono : M e sure, quinte dici 1. Dopo questi caviamo quelli de la Marca d’Ancona, i quali dicono Chigna mente sciate siate 2; con i quali mandiamo via questo minimo cantone del mondo si verrà,non solamente a mille variazioni di loquela , m a ancora a molte più. I Sorella mia , che cosa dici ? 2 Qualmente siate state.   , i Spoletani. E non è da preterire, che in vitu perio di queste tre genti sono state molte can zoni composte , tra le quali ne vidi una drit tamente e perfettamente legata, la quale un certo fiorentino, nominato ilCastra,avea com posto ; e cominciava , « Una ferina va scopai da Cascoli Cita cita sen gia grande aina '. » Dopo questi i Milanesi, & i Bergamaschi,& i loro vicini gettiam via ; in vituperio de i quali mi ricordo alcuno aver cantato, Ciò fu del mes d'ochiover. » Dopo questi crivelliamo gli Aquilejensi, e gli I striani, i quali con crudeli accenti dicono Ces fastù ; e con questi mandiam via tutte lem o n tanine e villanesche loquele, le quali di brut tezza di accenti sono sempre dissonanti da i cittadini, che stanno in mezzo le città, come i Casentinesi , & i Pratesi. I Sardi ancora , i quali non sono d'Italia,ma a la Italiaaccom pagnati , gettiam via : perchè questi soli ci p a jono essere senza proprio Volgare , & imitano la grammatica,come fanno le simie gli uomini ; perchè dicono, Domus nova,e Dominus meus. Una ferina vosco poi da Cascoli  « In te l'ora del vespero, · Il Fontanini propone di leggere : Zita zita sen gia a grande aina. Zita vale gita ; e aina val fretta.   « Ancor che l'aigua per lo foco lassi. » «Amor,chelongamentem'haimenato.» Ma questa fama de la terra di Sicilia, se dirit tamente risguardiamo , appare , che solamente per opprobrio de'principi Italiani sia rimasa ; iquali non con modo eroico,ma con plebeo seguono la superbia. M a quelli illustri eroi Federico Cesare & il ben nato suo figliuolo Manfredi , dimostrando la nobiltà e drittezza de la sua forma,mentre che la fortuna gli fu fa vorevole,seguirono le cose umane,e le bestiali sdegnarono.Ilperchè coloro,cheeranodialto De lo Idioma Siciliano e Pugliese. Ei crivellati (per modo di dire) Volgari d'Italia, facendo comparazione tra quelli che nel crivello sono rimasi, brievemente sce gliamo il più onorevole di essi. E primiera mente esaminiamo lo ingegno circa il Siciliano, perciò che pare che il Volgare Siciliano abbia assunto la fama sopra gli altri; conciò sia che tutti i poemi , che fanno gl'Italiani , si chia mino Siciliani,e conciò sia che troviamo molti dottori di costà aver gravemente cantato,come in quelle canzoni , Et,   Se questo poi non vogliamo pigliare, ma quello che esce de la bocca de i principali Si ciliani, come ne le preallegate canzoni si può vedere, non è in nulla differente da quello,che è laudabilissimo , come di sotto dimostreremo. |Traduzione letteraledialtripices,chesignifica in gannatori.  , cuore e di grazie dotati,si sforzavano di ade rirsi alla maestà di sì gran principi; talchè in quel tempo tutto quello , che gli eccellenti Italiani componevano , ne la Corte di sì gran re primamente usciva. E perchè il loro seggio regale era in Sicilia, è avvenuto,che tutto quello che i nostri precessori composero in Volgare , si chiama Siciliano ; il che ritenemo ancora noi ; & i posteri nostri non lo potranno mutare.Racha,Racha.Che suona ora la tromba de l'ultimo Federico ? che ilsonaglio del secondo Carlo? che i corni di Giovanni e di Azzo m a r chesi potenti?cheletibiedeglialtrimagnati? se non , Venite , carnefici ; Venite , altripici 1; Venite, settatori di avarizia.M a meglio è tor nare al proposito , che parlare indarno. Or dicemo,che se vogliamo pigliare ilVolgar Si ciliano,cioè quello che vien da imediocri pae sani, da la bocca de i quali è da cavare il giu dizio , appare , che il non sia degno di essere preposto a gli altri;perciò che 'l non si profe risce senza qualche tempo, come è in « Traggemi d'este focora se t'este a bolontate. »   I Pugliesi poi , o vero per la acerbità loro , o vero per la propinquità dei suoi vicini, che sono Romaneschi e Marchigiani , fanno brutti barbarismi.E'dicono, « Per fino amore vo'si lietamente. » Il perchè a quelli, che noteranno ciò che si è detto di sopra, dee essere manifesto, che nè il Siciliano, nè il Pugliese è quel Volgare che in Italia è bellissimo; conciò sia che abbiamo m o strato , che gli eloquenti nativi di quel paese sieno da esso partiti. De lo Idioma de i Toscani e dei Genovesi. per la loro pazzia insensati, pare che a r rogantemente s'attribuiscano il titolo del V o l gare Illustre; & in questo non solamente la  « Volzera che chiangesse lo quatraro. » Ma quantunque comunemente ipaesani pugliesi parlino bruttamente, alcuni però eccellenti tra loro hanno politamente parlato , e posto ne le loro canzoni vocaboli molto cortigiani, come manifestamente appare a chi iloro scritti con sidera,come è, « Madonna , dir vi voglio. » E, opinione dei plebei impazzisce , m a ritruovo molti uomini famosi averla avuta: come fu Guittone d’Arezzo, il quale non si diede mai al Volgare Cortigiano;Bonagiunta da Lucca,Gallo pisano,Mino Mocato senese,eBrunetto fioren tino, i detti dei quali, se si avrà tempo di esaminarli,noncortigiani,ma proprjdeleloro cittadi essere si ritroveranno. Ma conciò sia che i Toscani siano più de gli altri in questa ebrietà furibondi, ci pare cosa utile e degna torre in qualche cosa la pompa a ciascuno de i Volgari delle città di Toscana.I Fiorentini par. lano, e dicono, « Non facciamo altro. » I Pisani , « Bene andonno li fanti de Fioranza per Pisa.» I Lucchesi , « Fo voto a Dio,che ingassara eie lo comuno de Luca.» I Senesi , « Vo'tu venire ovelle?» Di Perugia , Orbieto , Viterbo e Città Castel lana, per la vicinità che hanno con Romani e Spoletani,non intendo dir nulla.Ma come che quasi tutti i Toscani siano nel loro brutto p a r   « Onche rinegata avessi io Siena.» Gli Aretini , « Manuchiamo introcque.»  lare ottusi,non di meno ho veduto alcuni aver conosciuto la eccellenziadel Volgare,cioè Guido, Lapo & un altro, fiorentini, e Cino Pistojese, il quale al presente indegnamente posponemo , non indegnamente costretti.Adunque se esami neremo le loquele toscane , e considereremo , come gli uomini molto onorati si siano da esse loro proprie partiti , non resta in dubbio che il Volgare , che noi cerchiamo , sia altro che quello che hanno ipopoli di Toscana. Se alcu no poi pensasse che quello, che noi affermiamo de iToscani,non sia da affirmare de iGenovesi, questo solo costui consideri, che se i Genovesi per dimenticanza perdessero il z lettera, biso gnerebbe loro , o ver essere totalmente muti , o ver trovare una nuova locuzione ; perciò che il z è la maggior parte del loro parlare ; la qual lettera non si può se non con molta aspe rità proferire.  nino , & investighiamo tutta la sinistra parte d'Italia, cominciando, come far solemo, a levante. Intrando adunque ne la Romagna , dicemo che in Italia abbiamo ritrovati dui Vol gari, l'uno a l'altro con certi convenevoli con  De loIdioma di Romagna, edialcuni Transpadani,especialmentedelVeneto. P Assiamo ora le frondute spalle de l'Appen    trarj opposto !, de li quali uno tanto femenile ci pare per la mollizia dei vocaboli e de la p r o nuncia, che un uomo (ancora che virilmente parli) è tenuto femina. Questo Volgare hanno tutti iRomagnuoli, e specialmente i Forlivesi, la città de i quali , avegna che novissima sia, non di meno pare esser posta nel mezzo di tutta la provincia. Questi affermando dicono Deusci, e facendo carezze sogliono dire oclo meo,e co rada mea.Bene abbiamo inteso,che alcuni di costoro ne i poemi loro si sono partiti dal suo proprio parlare,cioèTomaso & Ugolino Buc ciola faentini.L'altro de idue parlari,che ave mo detto, è talmente di vocaboli & accenti ir suto & ispido, che per la sua rozza asperità non solamente disconza una donna che parli, ma ancora fa dubitare, s'ella è uomo. Questo tale hanno tutti quelli che dicono magara , cioè Bressani, Veronesi , Vicentini , & anco i P a doani, i quali in tutti i participj in tus,e de nominativi in tas, fanno brutta sincope, come è merco , e bonté. Con questi ponemo eziandio i Trivigiani , i quali al modo de i Bressani, e de i suoi vicini proferiscono lo v consonante per f, removendo l'ultima sillaba, come è nof p e r n o v e , v i f p e r v i v o; il che veramente è barbarissimo , e riproviamlo . I Veneziani ancora non saranno degni de l'onore de l'investigato Il testo latino ha : duo .... vulgaria , quibusdam convenientiis contrariis alternata.    tra i quali abbiamo veduto uno , che si è sfor zato partire dal suo materno parlare, e ridursi al Volgare Cortigiano , e questo fu Brandino padoano.Laonde tutti quelli del presente Ca pitolo comparendo alla sentenzia,determiniamo, che nè ilRomagnuolo nè ilsuo contrario,come si è detto , nè il Veneziano sia quello Illustre Volgare che cerchiamo. CA Fa gran discussione del Parlare Bolognese. quello che della italica selva ci resta.D i cemo adunque,che forse non hanno avuta mala opinione coloro, che affermano che i Bolognesi con molto bella loquela ragionano ; conciò sia che da gli Imolesi,Ferraresi eModenesi qualche cosa al loro proprio parlare aggiungano ; chè tutti, sì come avemo mostrato, pigliano dai loro vicini, come Sordello dimostra de la sua Mantova , che con Cremona , Bressa e Verona confina. Il qual uomo fu tanto in eloquenzia , che non solamente ne i poemi , m a in ciascun modo che parlasse, il Volgare de la sua patria abbandond.Pigliano ancora iprefati cittadini Volgare ; e se alcun di loro, spinto da errore, in questo vaneggiasse , ricordisi se mai disse , « Per le plage de Dio tu non verás » ; Ra ci sforzeremo, per espedirci,a cercare   la leggerezza e la mollizia da gl'Imolesi, e da i Ferraresi e Modenesi una certa loquacità, la qual è propria de i Lombardi . Questa , per la mescolanza de i Longobardi forestieri, crediamo essere rimasa ne gli uomini di quei paesi ; e questa è la ragione, per la quale non ritro viamo che niuno , nè Ferrarese, nè Modenese , nè Reggiano,sia stato poeta;perciò che assue fatti a la propria loquacità , non possono per alcun modo,senza qualche acerbità,alVolgare Cortigiano venire. Il che molto maggiormente de i Parmigiani è da pensare ; i quali dicono inonto per molto. Se adunque i Bolognesi da l'una e da l'altra parte pigliano, come è detto, ragionevole cosa ci pare che il loro parlare , per la mescolanza de gli oppositi , rimanya di laudabile suavità temperato : il che per giudi zio nostro senza dubbio esser crediamo.Vero è che se quelli, che prepongono il Volgare S e r mone de iBolognesi,nel compararli essi hanno considerazione solamente a i Volgari de le città d'Italia, volentieri ci concordiamo con loro. M a se stimano simplicemente il Volgare Bolognese essere da preferire, siamo da essi differenti e discordi ; perciò che egli non è quello che noi chiamiamoCortigiano& Illustre;ches'elfosse quello,ilmassimo Guido Guinizelli,Guido Ghis liero,Fabrizio,& Onesto,& altripoetinon sariano mai partiti da esso ; perciò che furono dottori illustri , e di piena intelligenzia ne le cose volgari.  « Più non attendo il tuo soccorso, Amore. » Le quali parole sono in tutto diverse da le pro prie bolognesi. Ora perchè noi non crediamo che alcuno dubiti di quelle città che sono poste ne le estremità d'Italia;e se alcuno pur dubita, non lo stimiamo degno de la nostra soluzione; però poco ci resta ne la discussione da dire. Laonde disiando di deporre il crivello , accid che tosto veggiamo quello che in esso è rimaso, dico che Trento, e Turino,& Alessandria sono città tanto propinque a i termini d'Italia, che non ponno avere pura loquela ; tal che se così come hanno bruttissimo Volgare,così l'avessono bellissimo, ancora negherei esso essere vera mente Italiano , per la mescolanza che ha de gli altri.E però se cerchiamo ilParlare Italiano Illustre, quello che cerchiamo non si può in esse città ritrovare.  Il massimo Guido , Fabrizio ,  «Madonna,ilfermocore.» « Lo mio lontano gire. » Onesto  e pascoli d'Italia, e non avemo quella pantera , che cerchiamo , trovato ; per potere essa meglio trovare , con più ragione investi ghiamola ; acciò che quella , che in ogni loco si sente, & in ogni parte appare ?, con sollecito studio ne le nostre reti totalmente inviluppia mo. Ripigliando adunque inostri istrumenti da cacciaredicemo,cheinognigenerazionedicoseè di bisogno che una ve ne sia,con la quale tutte le cose di quel medesimo genere si abbiano a comparare e ponderare, e quindi la misura di tutte le altre pigliare.Come nel numero tutte le cose si hanno a misurare con la unità;e di consi più e meno , secondo che da essa unità sono più lontane , o più ad essa propinque. E cosi ne i colori tutti si hanno a misurare col bianco ; e diconsi più e meno visibili, secondo che a lui più vicini, e da lui più distanti si sono.E sicome diquestichemostrano quan tità e qualità diciamo, parimente di ciascuno I L'edizione del Corbinelli ha : redolentem ubique, etnec apparentem.Ilprof.Witte proponedileggere: nec usquam apparentem .  De lo eccellente Parlar Volgare, il quale è comune a tutti gli Italiani. A poi che avemo cercato per tutti i salti D   de i predicamenti e de la sustancia pensiamo potersi dire; cioè che ogni cosa si può misu rare in quel genere con quella cosa , che è in esso genere simplicissima. Laonde ne le nostre azioni, in quantunque specie sidividano,sibi sogna ritrovare questo segno,col quale esse si abbiano a misurare ; perciò che in quello che facciamo come simplicemente uomini , avemo la virtù,la quale generalmente intendemo ?; perciò che secondo essa giudichiamo l'uomo buono e cattivo;in quello poi che facciamo, come uomini cittadini,avemo la legge,secondo la quale si dice buono e cattivo cittadino;così in quello , che come uomini italiani facciamo , avemo le cose simplicissime. Adunque se le azioni italiane si hanno a misurare e ponde rare con i costumi , e con gli abiti, e col p a r lare,quelle de leazioni italiane sono simplicissi me,che non sono proprie di niuna città d'Italia, ma sono comuni in tutte 2; tra le quali ora si 2Iltestolatinoha:inquantum uthominesLatini agimus,quædam habemus simplicissima signa,idest morum,et habituum,etlocutionis,quibus Latino actiones ponderantur et mensurantur. Quce quidem nobilissimasuntearum,quæ Latinorum sunt,actio num,hæc nulliuscivitatisItaliæ propria sunt,sed in omnibus communia sunt: inter que nunc potest di scerni Vulgare.... Il Fraticelli raddrizzò la traduzione del Trissino a questo modo : in quello che, come uomini   Il testo latino ha : virtutem habemus , ut genera literillas(actiones)intelligamus.Edevetradursi:ab biamo per intenderle (leazioni)generalmente,lavirtù.   può discernere il Volgare,che di sopra cerca vamo, essere quello,che in ciascuna città ap pare, e che in niuna riposa 1. Può ben più in una,che in un'altra apparere,come fa la sim plicissima de le sustanzie, che è Dio , il quale più appare ne l'uomo che ne le bestie , e che ne le piante, e più in queste che ne le miniere, & in esse più che ne gli elementi,e più nel foco, che ne laterra.E lasimplicissima quantità,che è uno,più appare nel numero dispari che nel italiani facciamo , abbiamo certi segni semplicissimi , cioè de'costumi, degli abiti e del parlare, coi quali le azioni italiane si hanno a misurare e ponderare.Adun que quelle delle azioni italiane sono nobilissime , che non sono proprie di niuna città d'Italia, ma sono co muni in tutte: tra le quali ora si può discernere il Volgare .... Il Trissino , in luogo di nobilissime, ha semplicissime;eforselasua lezioneèlavera.Levoci nobilissima,hæc,propria,communiaedinterquo non possono riferirsi ad actiones, ma a signa: cosicchè si dovrebbe tradurre segni nobilissimi. M a il dir segni nobilissimi è, certo, poco conforme al concetto generale del Capitolo , nel quale l'autore non parla che di semplicis simi segni : e quindi la traduzione più propria parrebbe dovesse essere la seguente : ora , quelli , che sono segni semplicissimi delle azioni degli Italiani , quelli non sonpropri di nessuna città,ma comuni a tutte:trai quali....;epiùbrevemente:iqualisegnidelleazioni degli Italiani non son propri di nessuna città....  4Vulgare .... quod in qualibet civitate apparet, nec cubat in ulla. Il Manzoni, citando questo passo nella lettera al Bonghi, da noi ristampata, traduce più esatta mente : il Volgare, che in ogni città dà sentore di sè, e non si annida in nessuna.   pari; & il simplicissimo colore,che è ilbianco, più appare nel citrino che nel verde. Adunque ritrovato quello che cercavamo , dicemo , che il Volgare Illustre, Cardinale, Aulico e Corti giano in Italia è quello, il quale è di tutte le città italiane, e non pare che sia di niuna, col quale il Volgare di tutte le città d'Italia si hanno a misurare, ponderare e comparare. Perchè questo Parlare si chiami Illustre. Erchè adunque a questo ritrovato Parlare aggiungendo Illustre,Cardinale, Aulico e Cortigiano, cosi lo chiamiamo, al presente di remo ; per il che più chiaramente faremo parere quello, che esso è. Primamente adunque d i m o striamo quello che intendiamo di fare, quando vi aggiungiamo Illustre , e perchè Illustre il dimandiamo.Per questonoiildicemo Illustre, che illuminante & illuminato risplende. Et a questo modo nominiamo gli uomini illustri, o vero perchè illuminati di potenzia sogliono con giustizia e carità gli altri illuminare, o vero perchè eccellentemente ammaestrati , eccellen temente ammaestrano, come fe'Seneca e Numa Pompilio ; & il Volgare di cui parliamo , il quale innalzato di magisterio e di potenzia, innalza i suoi di onore e di gloria. E ch'el sia da magisterio innalzato, si vede , essendo egli  O n senza ragione esso Volgare Illustre o r niamodisecondagiunta,cioècheCardinale il chiamiamo, perciò che si come tutto l'uscio seguita il cardine , talchè dove il cardine si volta, ancor esso (o entro, o fuori che 'l si pie  Perchè questo Parlare si chiami Cardinale , di tanti rozzi vocaboli italiani, di tante per plesseconstruzioni,ditante difettivepronunzie, di tanti contadineschi accenti , cosi egregio , così districato, così perfetto e così civile ri dotto, come Cino da Pistoja e l'amico suo ne le loro canzoni dimostrano. Che 'l sia poi esaltato di potenzia, appare : e qual cosa è di maggior potenzia che quella, che può i cuori de gli u o mini voltare, in modo che faccia colui che non vole,volere;e colui che vole,non volere, come ha fatto questo, e fa? Che egli poscia innalzi di onore chi lo possiede , è in pronto : non sogliono i domestici suoi vincere di fama ire,imarchesi,iconti,etuttiglialtrigrandi? certo questo non ha bisogno di pruova.Quanto egli faccia poi i suoi famigliari gloriosi , noi stessi l'abbiamo conosciuto, i quali per la dol cezza di questa gloria ponemo dopo le spalle il nostro esilio. Adunque meritamente dovemo esso chiamare Illustre. NA Aulico, e Cortigiano.  Il testo latino ha : Est etiam merito curiale dicen dum , quia curialitas nil aliud est, etc. Il Fraticelli os serva in questo proposito quanto segue : « La Curia è il foro,illuogoovesitrattanogliaffaripubblici;ma es  ghi)si volge; cosi tutta la moltitudine de i V o l gari de le città si volge e rivolge, si move e cessa,secondo che fa questo.Il quale veramente appare esser padre di famiglia; non cava egli ogni giorno gli spinosi arboscelli della italica selva? non pianta egli ogni giorno semente o inserisce piante ? che fanno altro gli agricoli di lei se non che lievano, e pongono, come si è detto ? Il perchè merita certamente essere di tanto vocabolo ornato.Perchè poi ilnominiamo Aulico, questa è la cagione : perciò che se noi Italiani avessimo Aula,questi sarebbe palatino. Se la Aula poi è comune casa di tutto il regno, e sacra gubernatrice di tutte le parti di esso; convenevole cosa è che ciò che si truova esser tale,che sia comune a tutti,e proprio di niuno; in essa conversi & abiti; nè alcuna altra abi tazione è degna di tanto abitatore.Questo ve ramente ci pare esser quel Volgare, del quale noi parliamo ; e quinci avviene, che quelli che conversano in tutte le Corti regali , parlano sempre con Volgare Illustre. E quinci ancora è intervenuto che il nostro Volgare , come fore stiero va peregrinando , & albergando ne gli umili asili, non avendo noi Aula.Meritamente ancora sidee chiamare Cortigiano,perciò che la cortigiania ^ niente altro è,che una pesatura de   le cose che si hanno a fare; e conciò sia che la statera di questa pesatura solamente ne le ec cellentissime Corti esser soglia, quinci avviene, che tutto quello, che ne le azioni nostre è ben pesato , si chiama cortigiano. Laonde essendo questo ne la eccellentissima Corte d'Italia p e sato,merita esser detto Cortigiano.Ma a dire che 'l sia ne la eccellentissima Corte d'Italia pesato , pare fabuloso , essendo noi privi di Corte ; a la qual cosa facilmente si risponde. Perciò che avegna che la Corte (secondo che ụnica si piglia, come quella del re di Alema gna) in Italia non sia,le membra sue però non cimancano;ecome lemembra diquelladaun principe si uniscono,cosi le membra di questa dal grazioso lume de la ragione sono unite; e però sarebbe falso a dire, noi Italiani mancar di Corte quantunque manchiamo di principe ; perciò che avemo Corte, avegna che la sia cor poralmente dispersa, sendo dal Trissino tradotto la Corte , viene a prodursi confusione,perchè Corte è sinonimo di Aula o Reggia, Per l'esattezza del significato converrà rendere la voce curialitas per curialità : e cosi in appresso per cui curiale le voci curia e curialis. , e   Che i Volgari Italici in uno si riducono , Uesto Volgare adunque,che essere Illustre, Q Cardinale,Aulico e Cortigiano avemo dimo strato,dicemo esser quello,che si chiama Vol gare Italiano; perciò che sì come si può tro vare un Volgare che è proprio di Cremona , così se ne può trovar uno che è proprio di Lombardia, & un altro che è proprio di tutta la sinistra parte d'Italia; e come tutti questi si ponno trovare, così parimente si può trovare quello, che è di tutta Italia. E sì come quello si chiama cremonese e quell'altro lombardo,e quell'altro di mezza Italia, così questo che è di tutta Italia si chiama Volgare Italiano.Que sto veramente hanno usato gl’illustri dottori che in Italia hanno fatto poemi in Lingua Vol gare ; cioè i Siciliani, i Pugliesi , i Toscani , i Romagnuoli,iLombardi,e quelli delaMarca Trevigiana e de la Marca d’Ancona. E conciò sia che la nostra intenzione (come avemo nel principio dell'opera promesso) sia d'insegnare la dottrina de la Eloquenzia Volgare ; però da esso Volgare Italiano,come da eccellentissimo, cominciando, tratteremo nei seguenti libri, chi  e quello si chiama Italiano.    siano quelli, che pensiamo degni di usare esso, e perchè, e a che modo, e dove, e quando, & a chi sia esso da dirizzare. Le quali cose chia rite che siano, avremo cura di chiarire i Vol gari inferiori, di parte in parte scendendo sino a quello che è d'una famiglia sola.  e quali no. del nostro ingegno,e ritornando al calamo de la utile opera,sopra ogni cosa confessiamo, che 'l sta bene ad usarsi il Volgare Italiano Illustre così ne la prosa , come nel verso. M a perciò che quelli che scrivono in prosa,pigliano esso Volgare Illustre specialmente da i trovatori ; e però quello che è stato trovato 2, rimane un fermo esempio a le prose,ma non al contrario; per ciò che alcune cose pajono dare principalità 1 Il Corbinelli e, dietro lui, tutti gli altri hanno poli citantes,che non ha senso ol'hamoltooscuro;ma forse si deve leggere sollicitantes.  Quali sono quelli che denno usare il Volgare Illustre, P. Romettendo 1 un'altra volta la diligenzia 2 La voce inventum qui significa poetato.   al verso; adunque secondo che esso è metrico, versifichiamolo 1, trattandolo con quell'ordine , che nel fine del primo Libro avemo promesso. Cerchiamo adunque primamente,se tutti quelli che fanno versi volgari, lo denno usare, o no. Vero è, che cosi superficialmente appare di sì; perciò che ciascuno che fa versi,dee ornare i suoi versi in quanto 'l può. Laonde non sendo niuno di sì grande ornamento, com'è il Volgare Illustre, pare che ciascun versificatore lo debbia usare. Oltre di questo , se quello , che in suo genere è ottimo, si mescola con lo inferiore, pare che non solamente non gli tolga nulla, ma che lo faccia migliore.E però se alcun versificatore, ancora che faccia rozza mente versi,lo mescolerà con la sua rozzezza, non solamente a lei farà bene, ma appare che così le sia bisogno di fare; perciò che molto è più bisogno di ajuto a quelli che ponno poco, che a quelli che ponno assai;e così appare che a tutti i versificatori sia licito di usarlo. M a questo è falsissimo; perciò che ancora gli eccellentissimi poeti non se ne denno sempre vestire,come per le cose di sotto trattate si po trà comprendere.Adunque questo Illustre Vol gare ricerca uomini simili a sé,sì come ancora fanno gli altri nostri costumi & abiti : la m a gnificenzia grande ricerca uomini potenti , la · Il testo latino ha ipsum carminemus, che non vale versifichiamolo, ma pettiniamolo, rimondiamolo.  porpora uomini nobili; così ancor questo vuole uomini di ingegno e di scienze eccellenti ; e gli altri dispregia, come per le cose, che poi si diranno, sarà manifesto.Tutto quello adunque, che a noi si conviene , o per il genere , o per la sua specie, o per lo individuo ci si convie ne ; come è sentire , ridere , armeggiare ; m a questo a noi non si conviene per il genere ; perchè sarebbe convenevole anco a le bestie ; ne per la specie; perchè a tutti gli uomini saria convenevole : di che non c'è alcun dubbio ; chè niun dice,che'lsiconvenga aimontanari.Ma gli ottimi concetti non possono essere, se non dove è scienzia,& ingegno; adunque la ottima loquela non si conviene a chi tratti di cose grossolane ; conviene sì per l'individuo ; m a nulla a l'individuo conviene se non per le pro prie dignità; come è mercantare , armeggiare, reggere.E però, selecoseconvenienti risguar dano le dignità, cioè i degni ; & alcuni possono essere degni, altri più degni, & altri degnissi mi ;è manifesto,che le cose buone a i degni,le migliori a i più degni, le ottime a i degnissimi si convengono. E conciò sia che la loquela non altrimenti sia necessario istromento a i nostri concetti, di quello che si sia il cavallo al sol dato ; e convenendosi gli ottimi cavalli a gli ottimi soldati, a gli ottimi concetti (come è detto) la ottima loquela si converrà. M a gli ottimi concetti non ponno essere,se non dove è scien zia,& ingegno;adunque laottimaloquelanon    si convien se non a quelli, che hanno scienzia, & ingegno ; e così non à tutti i versificatori si convien ottima loquela , e consequentemente nè l'ottimo Volgare ; conciò sia che molti senza scienzia,e senza ingegno facciano versi.E però, se a tutti non conviene , tutti non denno usa re esso ; perciò che niuno dee far quello , che non si gli conviene.E dove dice,che ogni uno dee ornare i suoi versi quanto può,affermiamo esser vero ; m a nè il bove efippito !, nè il porco balteato chiameremo ornato,anzi fatto brutto, e di loro ci rideremo ; perciò che l'ornamento non è altro, che uno aggiungere qualche con venevole cosa a la cosa che si orna. A quello ove si dice, che la cosa superiore con la infe riore mescolata adduce perfezione, dico esser vero,quando laseparazionenonrimane;come è , se l'oro fonderemo insieme con l'argento ; ma se la separazione rimane,la cosa inferiore si fa più vile; come è mescolare belle donne con brutte. Laonde conciò sia che la senten zia de i versificatori sempre rimanga separata mente mescolata con le parole, se la non sarà ottima, ad ottimo Volgare accompagnata, non migliore,ma peggiore apparerà,a guisa di una brutta donna, che sia di seta o d'oro vestita. Ephipiatum vale insellato , e balteatum vale cin turato . In qual materia stia bene usare Apoichè avemo dimostrato, che non tutti  il Volgare Illustre. D tissimi denno usare il Volgare Illustre, conse i versificatori, m a solamente gli eccellen quente cosa è dimostrare poi, se tutte le m a terie sono da essere trattate in esso , o no ; e se non sono tutte , veder separatamente quali sono degne di esso. Circa la qual cosa prima è da trovare quello che noi intendiamo,quando dicemo degna essere quella cosa, che ha di gnità, si come è nobile quello che ha nobiltà; e così conosciuto lo abituante , si conosce lo abituato , in quanto abituato di questo ; però conosciuta la dignità, conosceremo ancora il degno. È adunque la dignità un effetto, o vero termino de i meriti;perciò che quando uno ha meritato bene , dicemo essere pervenuto a la dignità del bene ; e quando ha meritato male , a quella del male ; cioè quello che ha ben c o m battuto, è pervenuto a la dignità de la vittoria, e quello che ha ben governato , a quella del regno ; e così il bugiardo a la dignità de la vergogna , & il ladrone a quella de la morte. Ma conciò sia che in quelli, che meritano bene, si facciano comparazioni , e cosi ne gli altri, perchè alcuni meritano bene,altri meglio,altri   ottimamente , & alcuni meritano male , altri peggio,altripessimamente;e conciò ancora sia, che tali comparazioni non si facciano , se non avendo rispetto al termine de imeriti, il qual termine (come è detto) si dimanda dignità, manifesta cosa è,che parimente le dignità hanno comparazione tra sè,secondoilpiù& ilmeno; cioè che alcune sono grandi , altre maggiori , altre grandissime ; e consequentemente alcuna cosa è degna , altra più degna , altra degnis sima ; e conciò sia che la comparazione de le dignità non si faccia circa il medesimo objetto, ma circa diversi, perchè dicemo più degno quello che è degno di una cosa più grande, e degnissimo quello che è degno d'una altra cosa grandissima ; perciò che niuno può essere di una stessa cosa più degno ; manifesto è che le cose ottime (secondo che porta il dovere) sono de le ottime degne.Laonde essendo questo Vol gare (che dicemo Illustre) ottimo sopra tutti gli altri volgari,consequente cosa è,che solamente le ottime materie siano degne di essere trat tateinesso;ma qualisisianopoiquellema terie,che chiamiamo degnissime,è buono al presente investigarle.Per chiarezza de le quali cose è da sapere, che si come ne l'uomo sono tre anime , cioè la vegetabile , la animale e la razionale, cosi esso per tre sentieri cammina ; perciò che secondo che ha l'anima vegetabile, cerca,quello che è utile, in che partecipa con le piante ; secondo che ha l'animale , cerca   ,   quello, che è dilettevole, in che partecipa con le bestie; e secondo che ha la razionale , cer ca l'onesto, in che è solo, o vero a la natura angelica s'accompagna ; tal che tutto quel che facciamo, par che si faccia per queste tre cose. E perchè in ciascuna di esse tre sono alcune cose , che sono più grandi , & altre grandissi me ;per la qual ragione quelle cose, che sono grandissime, sono da essere grandissimamente trattate , e consequentemente col grandissimo Volgare;ma è da disputare quali si siano que ste cose grandissime. E primamente in quello, che è utile; nel quale, se accortamente consi deriamo la intenzione di tutti quelli, che cer cano la utilità, niuna altra troveremo , che la salute. Secondariamente in quello, che è dilet tevole; nel quale dicemo quello essere massi mamente dilettevole, che per il preciosissimo objetto de l'appetito diletta; e questi sono i piaceridiVenere.Nel terzo,cheèl'onesto, niun dubita essere la virtù. Il perchè appare queste tre cose,cioè la salute,ipiaceridi Ve nere, e la virtù essere quelle tre grandissime materie , che si denno grandissimamente trat tare, cioè quelle cose, che a queste grandissime sono ; come è la gagliardezza de l'armi , l'ar denzia de l'amore, e la regola de la volontà. Circa le quali tre cose sole (se ben risguar diamo) troveremo gli uomini illustri aver vol garmente cantato ; cioè Beltramo di Bornio le armi ; Arnaldo Danielo lo amore ; Gerardo de  Bornello la rettitudine ; Cino da Pistoia lo a m o re; lo amico suo la rettitudine. Beltramo adunque dice, « Non puesc mudar q'un chantar non esparja. » Arnaldo , « Laura amara fa 'ls broils blancutz clarzir. » Gerardo , N o n trovo poi , che niun Italiano abbia fin qui cantato de l'armi. Vedute adunque queste cose (che avemo detto), sarà manifesto quello , che sia nel Volgare Altissimo da cantare. In qual modo di rime si debba usare R a ci sforzeremo sollicitamente d'investi 0 gareilmodo,colqualedebbiamo stringere quelle materie , che sono degne di tanto V o l gare.Volendo adunque dare ilmodo, col quale   , « Per solatz revelhar Que s'es trop endormitz.» « Degno son io,che mora.» « Doglia mi reca nelo cuore ardire. » il Volgare Altissimo. Cino , Lo amico suo,  queste degne materie si debbiano legare ; primo dicemo doversi a la memoria ridurre,che quelli, che hanno scritto Poemi volgari,hanno essi per molti modi mandati fuori ; cioè alcuni per C a n zoni, altri per Ballate , altri per Sonetti, altri per alcuni altri illegittimi & irregolari modi , Come di sotto simostrerà. Di questi modi adun que il modo de le Canzoni essere eccellentissi m o giudichiamo ; là onde se lo eccellentissimo è delo eccellentissimo degno, come di sopra è provato,le materie che sono degne de lo eccel lentissimo Volgare, sono parimente degne de lo eccellentissimo modo,e consequentemente sono da trattare ne le Canzoni;e che 'l modo de le Canzoni poi sia tale, come si è detto , si può per molte ragioni investigare.E prima,essendo Canzone tutto quello che si scrive in versi, & essendo a le Canzoni sole tal vocabolo attri buito, certo non senza antiqua prerogativa è processo. Appresso , quello che per sè stesso adempie tutto quello per che egli è fatto, pare esser più nobile, che quello che ha bisogno di cose che sieno fuori di sè ; m a le Canzoni fanno per sè stesse tutto quello che denno ; il che le Ballate non fanno,perciò che hanno bisogno di sonatori,aliqualisonofatte;adunque séguita, che le Canzoni siano da essere stimate più n o bili de le Ballate, e consequentemente il modo loro essere sopra gli altri nobilissimo , conciò sia che niun dubiti, che il modo de le Ballate non sia più nobile di quello de i Sonetti. A p    , presso pare , che quelle cose siano più nobili, che arrecano più onore a quelli che le hanno fatte; e le Canzoni arrecano più onore a quelli che le hanno fatte, che non fanno le Ballate ; adunque sono di esse più nobili, e consequen temente il modo loro è nobilissimo. Oltre di questo, le cose che sono nobilissime, molto ca ramente si conservano ; m a tra le cose cantate, le Canzoni sono molto caramente conservate , come appare a coloro che vedeno ilibri; adun que le Canzoni sono nobilissime,e consequen temente ilmodo loro è nobilissimo.Appresso, ne le cose artificiali quello è nobilissimo che comprende tutta l'arte ; essendo adunque le cose,che si cantano, artificiali, e ne le Canzoni sole comprendendosi tutta l'arte , le Canzoni sononobilissime,ecosìilmodo loroènobi lissimo sopra gli altri.Che tutta l'arte poi sia ne le Canzoni compresa,in questo simanifesta, che tutto quello che si truova de l'arte, è in esse,ma non si converte 1. Questo segno adun que di ciò che dicemo , è nel cospetto di ogni uno pronto ; perciò che tutto quello che da la cima de le teste de gli illustri poeti è disceso a le loro labbra,solamente ne le Canzoni si ri truova . E però al proposito è manifesto , che quelle cose che sono degne di Altissimo V o l gare, si denno trattare ne le Canzoni. Sed non convertitur.Più chiaro di non si converte sarebbe però non e converso,ovvero non al contrario. De la varietà de lo stile secondo la qualità de la poesia. L'adpotiavimusdellatinononvaleavemoapprovato, ma abbiamo dato a bere.Il Fraticelli propone che si tra duca per traslato : abbiamo dato un saggio.  A poi che avemo districando approvato 1 co , e che materie siano degne di esso , e parimente il modo, il quale facemo degno di tanto onore, che solo a lo Altissimo Volgare si con venga; prima che noi andiamo ad altro, di chiariamo il modo delle ca nzoni, le quali pajono da molti più tosto per caso che per arte usur parsi. E manifestiamo il magisterio di quel l'arte , il quale fin qui è stato casualmente preso, lasciando da parte il modo deleBallate e de i Sonetti ; per ciò che esso intendemo dilu cidare nel quarto Libro di quest'opera nostra, quando del Volgare Mediocre tratteremo. R i veggendo adunque le cose che avemo detto , ci ricordiamo avere spesse volte quelli , che fanno versi volgari, per poeti nominati; il che senza dubbio ragionevolmente avemo avuto ardimento di dire ; per ciò che sono certamente poeti , se drittamente la poesia consideriamo ; la quale non è altro che una finzione rettorica , e po sta in musica.Non di meno sono differenti da i  , grandi poeti, cioè da i regulati; per ciò che quelli 1 hanno usato sermone & arte regulata, e questi (come si è detto) hanno ogni cosa a caso ; il perchè avviene , che quanto più stret tamente imitiamo quelli 2,tanto più drittamente componiamo ; e però noi , che volemo porre ne le opere nostre qualche dottrina, ci bisogna le loro poetiche dottrine imitare. Adunque s o pra ogni cosa dicemo, che ciascuno debbia pi gliare il peso de la materia eguale a le proprie spalle, a ciò che la virtù di esse dal troppo peso gravata , non lo sforzi a cadere nel fango. Questo è quello , che il maestro nostro Orazio comanda,quando nel principio dela sua Poe tica dice , « Voi , che scrivete versi , abbiate cura Di tor subjetto al valor vostro eguale.» Dapoinelecose,che cioccorrono + Il testo latino ha isti:quindi non quelli,ma questi; e per conseguenza nella riga seguente non questi, ma quelli. Sarebbe più chiaro dire i primi in luogo di quelli.  devemo usare divisione , considerando da cantarsi con modo tragico,o comico, o ele giaco. Per la Tragedia prendemo lo stile s u periore,per la Commedia lo inferiore, per l'E dei miseri. Se le cose che ci oc legia quello cantate col correno , pare che siano da essere modo tragico, allora è da pigliare il Volgare Illustre, e conseguentemente da legare la Can a dire , se sono  1 Il testo latino ha : tensis fidibus adsumat secure plectrum ; che deve essere tradotto : tese le corde , a s suma francamente ilplettro.  zone ; m a se sono da cantarsi con cómico , si piglia alcuna volta ilVolgare Mediocre, ed al cuna volta l'Umile ; la divisione de i quali nel quarto di quest'opera ci riserviamo a mostra re. Se poi con elegiaco , bisogna che solamente pigliamo l'Umile.M a lasciamo gli altri da parte, & ora (come è il dovere) trattiamo de lo stile tragico. Appare certamente , che noi usiamo lo stile tragico , quando e la gravità de le sen tenzie , e la superbia de i versi , e la elevazione de le construzioni,e la eccellenzia de ivocaboli si concordano insieme. M a perchè (se ben ci ricordiamo) già è provato, che le cose somme sono degne de le somme , e questo stile che chiamiamo tragico, par e essere il sommo dei stili; però quelle cose che avemo già distinte doversi sommamente cantare , sono da essere in questo solo stile cantate ; cioè la salute , lo amore e la virtù , e quelle altre cose , che per cagion di esse sono ne la mente nostra conce pute , pur che per niun accidente non siano fatte vili. Guardişi adunque ciascuno , e di scerna quello che dicemo ; e quando vuole que ste tre cose puramente cantare , o vero quelle che ad esse tre dirittamente e puramente se gueno , prima bevendo nel fonte di Elicona , ponga sicuramente a l'accordata lira il sommo plettro 1,e costumatamente cominci.Ma a fare   questa Canzone e questa divisione come si dee , qui è la difficultà, qui è la fatica; per ciò che mai senza acume d'ingegno, nè senza assiduità d'arte , nè senza abito di scienze non si potrà fare. E questi sono quelli che 'l Poeta nel VI de la Eneide chiama diletti da Dio, e da la ar dente virtù alzati al cielo, e figliuoli de gli Dei , avegna che figuratamente parli. E pero si confessa la sciocchezza di coloro , i quali senza arte,e senza scienzia,confidandosi solamente del loro ingegno, si pongono a cantar som mamente le cose somme.Adunque cessino que sti tali da tanta loro presunzione ; e se per la loro naturale desidia sono oche , non vogliano l'aquila,che altamente vola, imitare sentenzie a bastanza, o almeno tutto quello che a l'opera nostra si richiede ; il perchè ci affretteremo di andare a la superbia dei versi. Circa i quali è da sapere , che i nostri pre cessori hanno ne le loro Canzoni usato varie sorti di versi, il che fanno parimente imoder ni ; m a in fin qui niuno verso ritroviamo , che abbia oltre la undecima sillaba trapassato, nè sotto la terza disceso. Et avegna che i Poeti  , De lacomposizionedeiversi e de la loro varietà sillabica. Noi pare di aver detto de la gravità de le A   Italiani abbiano usate tutte le sorti di versi, che sono da tre sillabe fino a undici , non di meno il verso di cinque sillabe, e quello di sette , e quello di undeci sono in uso più fre quente ; e dopo loro si usa il trisillabo più de gli altri ; de gli quali tutti quello di undeci sillabe pare essere il superiore sì di occupa zione di tempo , come di capacità di sentenzie , di construzioni e di vocaboli ; la bellezza de le quali cose tutte si moltiplica in esso , come manifestamente appare , per ciò che ovunque sono moltiplicate le cose che pesano , si molti plica parimente il peso.E questo pare che tutti i dottori abbiano conosciuto , avendo le loro illustri Canzoni principiate da esso ; come G e rardo di Bornello , « Ara auzirez encabalitz cantars.» Il qual verso avegna che paja di dieci silla be,è però,secondo la verità de la cosa, di undeci ; per ciò che le due ultime consonanti non sono de la sillaba precedente.Et avegna che non abbiano propria vocale, non perdono peròlavirtùdelasillaba;& ilsegnoè,che ivi la rima si fornisce con una vocale ; il che essere non può se non per virtù de l'altra che ivi si sottintende. Il re di Navara , «De finamor sivient sen e bonté.» Ove se si considera l'accento e la sua cagione, apparirà essere endecasillabo.   , «Amor,che longiamente m'hai menato.» «Per finamore vo silietamente.» « Amor , che muovi tua virtù dal cielo.»  «Al cor gentil ripara sempre amore.» 11 Giudice di Colonna da Messina , Guido Guinicelli , Rinaldo d'Aquino , «Non spero che giammai per mia salute.» Et avegna che questo verso endecasillalo (co me sièdetto)siasopratuttiperildoverece leberrimo, non di meno se'l piglierà una cer ta compagnia de lo eptasillabo , pur che esso però tenga il principato, più chiaramente e più altamente parerà insuperbirsi, ma questo si rimanga più oltra a dilucidarsi. Così diciamo che l’eptasillabo segue a presso quello che è massimo ne la celebrità. Dopo questo quello che chiamiamo pentasillabo,e poi il trisillabo ordiniamo.Ma quel di nove sillabe, per essere il trisillabo triplicato, o vero mai non fu in onore, o vero per il fastidio è uscito di uso. Quelli poi di sillabe pari , per la sua rozzezza non usiamo se non rare volte ; per ciò che ri tengono la natura de i loro numeri ,i quali s e m Cino da Pistoja , Lo amico suo :   Erchè circa il Volgare Illustre la nostra nobilissimo ; però avendo scelte le cose che sono degne di cantarsi in esso , le quali sono quelle tre nobilissime che di sopra avemo pro vate; & avendo ad esse eletto il modo de le Canzoni , si come superiore a tutti gli altri modi , & a ciò che esso modo di Canzoni pos siamo più perfettamente insegnare, avendo già alcune cose preparate, cioèlostile,& iversi; ora de la construzione diremo. È adunque da sapere, che noi chiamiamo construzione una regulata composizione di parole, come è, Ari stotile diè opera a la filosofia nel tempo di Alessandro. Qui sono diece parole poste regu latamente insieme, e fanno una construzione.  pre soggiaceno a i numeri caffi, sì come fa la materia a la forma. E cosi raccogliendo le cose dette, appare lo endecasillabo essere su perbissimo verso ; e questo è quello che noi cercavamo. Ora ci resta di investigare de le construzioni elevate e de i vocaboli alti, e fi nalmente , preparate le legne e le funi , inse gneremo a che modo il predetto fascio , cioè la Canzone , si debba legare. De le construzioni, che si denno usare ne le Canzoni. P si   M a circa questa prima è da considerare , che de le construzioni altra è congrua , & altra è incongrua.E perchè(seilprincipiodelano stra divisione bene ciricordiamo)noi cerchiamo solamente le cose supreme , la incongrua in questa nostra investigazione non ha loco ; per ciò che ella tiene il grado inferiore de la bontà. Avergogninsi adunque , avergogninsi gli idioti di avere da qui innanzi tanta audacia, che v a dano aleCanzoni;de iquali non altrimenti so lemo riderci, di quello che si farebbe d'un cieco,ilqualedistinguesseicolori1.È adun que la construzione congrua quella che cerchia mo.Ma ci accade un'altra divisione 2 di non minore difficultà , avanti che parliamo di quella construzione,che cerchiamo,cioè di quella che è pienissima di urbanità ; e questa divisione e , che molti sono i gradi de le construzioni , cioè lo insipido , il quale è de le persone grosse , come è, Piero ama molto madonna Berta. Ecci il semplicemente saporito, il quale è de i scolari rigidi, o vero de i maestri, come è, Di tuttiimiserim'incresce;ma homaggiorpietà di coloro , i quali in esiglio affliggendosi, r i vedeno solamente in sogno le patrie loro. Ecci ancora il saporito e venusto , il quale è di alcuni , che così di sopra via pigliano la R e t torica,come è,La lodevole discrezione del Meglio, forse, ragionasse o giudicasse di colori. 2 Meglio distinzione (discretio).   «Nuls hom non pot complir adreitamen.» Amerigo di Peculiano , «Si com’l'arbres,que per sobrecarcar.» ' Præparata qui ha il senso di preveniente.  « Si per mon Sobretot no fos.» Il re di Navara , « T a m m'abelis l'amoros pensamens. » Arnaldo Daniello , marchese da Este,e la sua preparata 1 magni ficenzia fa esso a tutti essere diletto. Ecci a p presso il saporito e venusto , ed ancora eccelso, ilqualeèdeidettatiillustri,come è,Avendo Totila mandato fuori del tuo seno grandissima parte de i fiori, o Fiorenza , tardo in Sicilia , e indarno se n'andd. Questo grado di constru zione chiamiamo eccellentissimo , e questo è quello che noi cerchiamo, investigando (come si è detto ) le cose supreme . E di questo sola mente le illustri Canzoni si trovano conteste, come : Gerardo , « Dreit amor qu'en mon cor repaire.» Folchetto di Marsiglia , « Sols sui qui sai lo sobrafan, que m sorts.» Amerigo de Belimi,   « Tegno di folle impresa a lo ver dire.» « Avegna ch'io non aggia più per tempo.» « Amor , che ne la mente mi ragiona.» N o n ti maravigliare , lettore , che io abbia tanti autori a la memoria ridotti ; per ciò che non possemo giudicare quella construzione, che noi chiamiamo suprema , se non per simili esempj. E forse utilissima cosa sarebbe per abituar quella , aver veduto i regulati poeti , cioè Virgilio , la Metamorfosi di Ovidio , Stazio e Lucano , e quelli ancora che hanno usato al tissime prose ; come è Tullio , Livio , Plinio , Frontino , Paolo Orosio , e molti altri , i quali la nostra amica solitudine ci invita a vedere. Cessino adunque i seguaci de la ignoranzia , che estolleno Guittone d'Arezzo , & alcuni al tri, i quali sogliono alcune volte 1 ne i vocaboli e ne le construzioni essere simili a la plebe. Nunquam invocabulisatqueconstructionedesuetos plebescere.Non dunque alcune volte,ma sempre. , Guido Cavalcanti , « Poi che di doglia cor convien , ch'io porti.» > Guido Guinizelli , Cino da Pistoja, Lo amico suo, 1   dere ricerca , che siano dichiarati quelli vocaboli grandi , che sono degni di stare sotto l'altissimo stile. Cominciando adunque , affir miamo non essere piccola difficultà de lo intel letto a fare la divisione dei vocaboli ; per cið che vedemo , che se ne possono di molte m a niere trovare.De i vocaboli adunque alcuni sono puerili, altri feminili, & altri virili, e di questi alcuni silvestri,& alcuni cittadineschi chiamia m o 1,& alcuni pettinati, e lubrici; alcuni irsuti e rabuffati conosciamo ; tra i quali i pettinati e gl’irsuti sono quelli che chiamiamo grandi ; i lubrici poi e i rabuffati sono quelli la cui riso  nel metro volgare. A successiva provincia del nostro proce. Quali vocaboli si debbano porre e quali no 1IlCorbinelliha:ethorum quædam silvestria,quæ dam urbania:eteorum,quo urbana vocamus,quo dam pesaethirsuta,quædam lubricaetreburrasenti mus.LatraduzionedelTrissinovaraddrizzatacosi:edi questi alcuni silvestri,e alcuni cittadineschi;e di quelli che chiamiamo cittadineschi , alcuni pettinati e irsuti, alcuni lubricierabbuffati. Altrihanno invece:quædam pexaetlubrica, quædam hirsutaetreburra:cioèal cunipettinati e lubrici (ossia scorrenti),alcuni irsuti e rabbuffati. , nanzia è superflua; per ciò che si come ne le grandi opere alcune sono opere di magnanimità, altre di fumo , ne le quali avvenga che così di sopra via paja un certo ascendere,a chi però con buona ragione esse considera, non ascendere, m a più tosto ruina per alti precipizj essere g i u dicherà ; con ciò sia che la limitata linea de la virtù si trapassi. Guarda adunque , lettore , quanto per scegliere le egregie parole ti sia bisogno di crivellare; per ciò che se tu consi deri il Volgare Illustre, il quale i Poeti Vol gari , che noi vogliamo ammaestrare , denno (come di sopra si è detto) tragicamente usare , averai cura , che solamente i nobilissimi v o c a boli nel tuo crivello rimangano. Nel numero dei quali ne i puerili per la loro simplicità , com'è mamma e babbo,mate epate,per niun modo potrai collocare; nè anco i feminili, per la loro mollezza, come è dolciada e placevole; nè i contadineschi per la loro austerità, come è gregia e gli altri ; nè i cittadineschi , che siano lubrici e rabuffati, come è femine e corpo, vi si denno porre. Solamente adunque i citta dineschi pettinati & irsuti vedrai che ti resti no , i quali sono nobilissimi , e sono membra del Volgare Illustre. E noi chiamiamo pettinati quelli vocaboli, che sono trisillabi , o vero v i cinissimi al trisillabo , e che sono senza aspi razione , senza accento acuto , o vero circum flesso, senza z nè a duplici, senza gemina zione di due liquide , e senza posizione , in cui    ·Qucecampsarenonpossumus,cioèchenonsipos sono scansare.   la muta sia immediatamente posposta, e che fanno colui che parla quasi con certa soavità rimanere, come è amore , donna , disio, virtute, donare, letizia, salute, securitate, difesa. Ir sute poi dicemno tutte quelle parole , che oltra queste sono o necessarie al parlare illustre, ornative di esso. E necessarie chiamiamo quel le che non possiamo cambiare 1; come sono al cune monosillabe, cioèsi,vo,me,te,se,a,e,i, 0,u;eleinterjezioni,& altremolte.Ornative poi dicemo tutte quelle di molte sillabe, le quali mescolate con le pettinate fanno una bella armonia ne la struttura , quantunque abbiano asperità di aspirazioni , di accento , e di d u plici , e di liquide , e di lunghezza , come è terra , onore , speranza , gravitate, alleviato , impossibilitate, benavventuratissimo, avventu ratissimamente, disavventuratissimamente, sovramagnificentissimamente, il quale vocabolo è endecasillabo.Potrebbesi ancora trovare un vocabolo , o vero parola , di più sillabe , m a perchè egli passerebbe la capacità di tutti i nostri versi , però a la presente ragione non pare opportuno ; come è onorificabilitudinitate, il quale in volgare per dodeci sillabe si compie ; & in grammatica per tredeci , in dui obliqui però.In che modo poi le pettinate siano da es sere ne i versi con queste irsute armonizate,   lascieremo ad insegnarsi di sotto.E questo che si è detto de l'altezza dei vocaboli, ad ogni gentil discrezione 1 sarà bastante. Ra preparate le legne e le funi, è tempo da legare il fascio; ma perchè la cogni zione di ciascuna opera dee precedere a la ope razione,laquale ècome segno avanti iltrarre de la sagitta,ovvero del dardo;però prima,e principalmente veggiamo qual sia questo fascio, che volemo legare. Questo fascio adunque bene ci ricordiamo tutte le cose trattate) è la Canzone;eperòveggiamochecosasiaCanzone, e che cosa intendemo quando dicemo Canzone. La Canzone dunque,secondo la vera significa zione del suo nome, è essa azione o vero pas sione del cantare; sì come la lezione è la pas sione o vero azione del leggere ; m a dichiariamo quello che si è detto, cioè, se questa si chiama Canzone, in quanto ella sia azione o in quanto passione del cantare. Circa la qual cosa è da considerare, che la Canzone si può prendere in dui modi , l'uno de li quali modi è , secondo "Ingenuce discretioni,cioè ad ogni non viziato di scernimento .  , Che cosa è Canzone, e che in più maniere può variarsi.   o tuono , o nota, o melodia. E niuno trombetta , o organista, o citaredo chia m a il canto suo Canzone , se non in quanto siaaccompagnatoaqualcheCanzone;ma quelli che compongono parole armonizate , chiamano le opere sue Canzoni.Et ancora che tali pa role siano scritte in carte e senza niuno che le proferisca, si chiamano Canzoni ; e però non pare che la Canzone sia altro , che una c o m  che ella è fabbricata dal suo autore ; e così è azione ; e secondo questo modo Virgilio nel primo de l'Eneida dice , « lo canto l'arme e l'uomo.» L'altro modo è, secondo il quale ella da poi che è fabbricata si proferisce, o da lo autore, o da chi che sia,o con suono,osenza,ecosì è passione. E perchè allora da altri è fatta, & ora in altri fa, e così allora azione, & ora passione essere si vede.Ma conciò sia che essa è prima fatta,e poi faccia;pero più tosto,anzi al tutto par che si debbia nominare da quello che ella è fatta, e da quello che ella è azione di alcuno,che da quello che ella faccia in altri. Et il segno di questo è, che noi non dicemo mai , questa Canzone è di Pietro perchè esso la proferisca, m a perchè esso l'abbia fatta. O l tre di questo è da vedere, se si dice Canzone la fabbricazione de le parole armonizate, o vero essa modulazione, o canto ; a che dicemo , che m a i il canto n o n si c h i a m a Canzone , ma 0 suono,    piuta azione di colui, che detta parole a r m o nizate,& atte al canto. Laonde così le Canzo ni,che ora trattiamo,come le Ballate e Sonetti, e tutte le parole a qualunque modo armoni zate, o volgarmente , o regulatamente, dicemo essere Canzoni ; m a perciò che solamente trat tiamo le cose volgari,però lasciando le regulate da parte,dicemo,che dei poemi volgari uno ce n'èsupremo, il quale persopraeccellenziachia miamo Canzone; « Donne,che avete intelletto di amore.» E così è manifesto che cosa sia Canzone,e se condo che generalmente si prende , e secondo che per sopraeccellenzia la chiamiamo . Et a s sai ancora pare manifesto che cosa noi inten demo,quandodicemoCanzone;e consequente Meglio forse,quiealtrove,un collegamento (conjugatio).   , che la Canzone sia una cosa suprema, nel terzo Capitolo di questo Libro è provato;ma conciò sia che questo,che è dif finito , paja generale a molti , però risumendo detto vocabolo generale,che già è diffinito,di stinguiamo per certe differenzie quello che so lamente cerchiamo.Dicemo adunque che la Canzone,la quale noi cerchiamo,in quanto che per sopraeccellenzia è detta Canzone , è una con giugazione 1 tragica di Stanzie equali senza risponsorio , che tendono ad una sentenzia , come noi dimostriamo quando dicemmo 2 2Iltestolatinoha:utnosostendimus,cum diximus.   mente qual sia quel fascio,che vogliamo legare. Noi poi dicemo, che ella è una tragica congiu gazione ; perciò che quando tal congiugazione si fa comicamente , allora la chiamiamo per diminuzione cantilena , de la quale nel quarto Libro di questo avemo in animo di trattare.   Stanzie,e non sapendosi che cosa sia Stan zia, segue di necessità, che non si sappia a n cora che cosa sia Canzone ; perciò che de la cognizione de le cose, che diffiniscono , resul ta ancora la cognizione de la cosa diffinita, e però consequentemente è da trattare de la Stanzia, accio che investighiamo, che cosa essa si sia, e quello che per essa volemo intendere. Ora circa questo è da sapere, che tale voca bolo è stato per rispetto de l'arte sola ritro vato ; cioè perchè quello si dica Stanzia , nel quale tutta l'arte de la Canzone è contenuta, e q u e s t a è l a Stanzia capace , o v e r o il r e c e t t a c o l o di tutta l'arte; perciò che sì come la Canzone è il grembo di tutta la sentenzia,così la Stan zia riceve in grembo tutta l'arte; nè è lecito di arrogere alcuna cosa di arte a le Stanzie s e quenti ; m a solamente si vestono de l'arte de la. Quali siano le principali parti de la Canzone, e che la Stanzia n'è la parte principalissima. Ssendo la Canzone una congiugazione di   prima : il perchè è manifesto, che essa Stanzia (de la qual parliamo ) sarà un termine , o vero una compagine di tutte quelle cose , che la Canzone riceve da l'arte;le quali dichiarite, il descrivere che cerchiamo,sarà manifesto.Tutta l'arte adunque de la Canzone pare, che circa tre cose consista , de le quali la prima è circa la divisione del canto , l'altra circa la abitu dine1deleparti,laterzacircailnumero dei versi e de le sillabe; de le rime poi non face mo menzione alcuna;perciò che non sono de la propria arte de la Canzone.È lecito certamente in cadauna Stanzia innovare le rime, e quelle medesime a suo piacere replicare ; il che , se la rima fosse di propria arte de la Canzone , le cito non sarebbe.E se pur accade qualche cosa de le rime servare, l'arte di questo ivi si con tiene,quando diremo de la abitudine de le parti. Il perchè così possiamo raccogliere da le cose predette, e diffinire, dicendo , la Stanzia è una compagine 2 diversi e di sillabe, sotto un certo canto, e sotto una certa abitudine limitata. 2 Il testo latino ha : limitatam compaginem .   , La voce abitudine, qui e altrove, significa propor zione, disposizione.   S ne la Canzone. Che sia il canto de la Stanzia , e che la Stanzia si varia in parecchi modi Apendo poi che l'animale razionale è uomo, e che s e n s i b i l e è l ' a n i m a , & il c o r p o è a n i male ; e non sapendo che cosa si sia quest'a nima, nè questo corpo,non possemo avere per fettacognizionedel'uomo;perciòchelaperfetta cognizione di ciascuna cosa termina ne gli ul timi elementi , sì come il maestro di coloro che sanno, nel principio de la sua Fisica affer ma.Adunque peraverelacognizionedelaCan zone,che desideriamo,consideriamo al presente sotto brevità quelle cose,che diffiniscano il dif finiente di lei; e prima del canto,da poi de la abitudine,e poscia de i versi e de le sillabe in vestighiamo.Dicemo adunque,che ogni Stanzia è armonizata a ricever una certa oda , o vero canto; ma pajono esser fatte in modo diverso, che alcune sotto una oda continua fino a l’ul timo procedeno, cioè senza replicazione di al cuna modulazione, e senza divisione;e dicemo divisione quella cosa, che fa voltare di un'oda in un'altra;la quale quando parliamo col vul go,chiamiamo Volta.E questeStanziediun'oda   sola Arnaldo Daniello usò quasi in tutte le sue Canzoni; e noi avemo esso seguitato quando dicemo , · Il testo ha syrma, che è quanto dire strascico.  « Al poco giorno,& al gran cerchio d'ombra.» Alcune Stanzie sono poi, che patiscono divi sione. E questa divisione non può essere nel modo che la chiamiamo, se non si fa replica zione di una oda o davanti la divisione, o da poi, o da tutte due le parti, cioè davanti e da poi. E se la repetizion de l'oda si fa avanti la divisione, dicemo, che la Stanzia ha piedi ; la quale ne dee aver dui ; avegna che qualche volta se ne facciano tre, ma molto di rado.Se poi essa repetizion di oda si fa dopo la divi sione, dicemo la Stanzia aver versi. M a se la repetizione non si fa avanti la divisione,di cemo la Stanzia aver fronte; e se essa non si fa da poi,la dicemo aver sirima ?,o vero coda. Guarda adunque , lettore , quanta licenzia sia data a li poeti che fanno Canzoni ; e considera per che cagione la usanza si abbia assunto si largo arbitrio ; e se la ragione ti guiderà per dritto calle , vederai , per la sola dignità de l'autorità essergli stato questo,che dicemo con cesso.Di qui adunque può essere assai mani festo a che modo l'arte de le Canzoni consista circa la divisione del canto ; è però andiamo a la abitudine de le parti.e de la distinzione de'versi che sono da porsi nel componimento. tudine,sia grandissima parte di quello,che è de l'arte ; perciò che essa circa la divisione del canto, e circa il contesto dei versi, e circa la relazione de le rime consiste ; il perchè a p pare, che sia da essere diligentissimamente trat tata.Dicemo adunque,che la fronte coi Versi 1, & i piedi con la sirima, o vero coda , e pari mente i piedi co i Versi possono diversamente ne la Stanzia ritrovarsi ; perciò che alcuna fia ta la fronte eccede i Versi, o vero può ecce dere di sillabe e di numero di versi; e dico può, perciò che mai tale abitudine non avemo veduta. Alcune fiate la fronte può avanzare i Versi nel numero de i versi, & essere da essi Versi nel numero de le sillabe avanzata;come 1 Il Trissino tradusse con la stessa voce verso tanto il carmen che da Dante fu usato nel significato proprio e comune di verso, quanto il versus che fu invece usato da lui per indicare una data parte della stanza,che consta d'un certo numero di versi. Per togliere ogni equivoco noi stamperemo in corsivo e con l'iniziale maiuscola la parola Verso quando corrisponde al latino versus.  77 De la abitudine de la Stanzia, del numero de ipiedi e de le sillabe, noi pare, che questa che chiamiamo abi   , se la fronte fosse di cinque versi , e ciascuno dei Versi fosse di due versi , & i versi de la fronte fosseno di sette sillabe,e quelli de i Versi fosseno di undeci sillabe. Alcuna altra volta i Versi avanzano la fronte di numero di versi e di sillabe come in quella che noi dicemmo , Ove la fronte di quattro versi fu di tre ende casillabi e di uno eptasillabo contesta:la quale non si può dividere in piedi; conciò sia che i piedi vogliano essere fra sè equali di numero di versi, e di numero di sillabe,come vogliono essere frà sè ancora i Versi. M a siccome dice mo , che i Versi avanzano di numero di versi e di sillabe la fronte , così si può dire , che la fronte in tutte due queste cose può avanzare i Versi ; come quando ciascuno de i Versi fosse di due versi eptasillabi, e la fronte fosse di cinque versi ; cioè di due endecasillabi e di tre eptasillabi contesta. Alcune volte poi i piedi avanzano la sirima di versi e di sillabe, come in quella che dicemmo , Et alcuna volta i piedi sono in tutto da la si rima avanzati ; come in quella che dicemmo , « Donna pietosa, e di novella etate.» E si come dicemmo, che la fronte può vincere di versi, & essere vinta di sillabe, & al con  « Traggemi de la mente amor la stiva. » « Amor,che movi tua virtù dal cielo.»   trario ; così dicemo la sirima. I piedi ancora ponno di numero avanzare i Versi, & essere da essi avanzati ;perciò che ne la Stanzia pos sono essere tre piedi e dui Versi, e dui piedi e tre Versi; nè questo numero è limitato, che non si possano più piedi e più Versi tessere insieme. E siccome avemo detto ne le altre cose de lo avanzare de i versi e de le sillabe , così dei piedi e dei Versi dicemo , i quali nel medesimo modo possono vincere,& essere vinti. Nè è da lasciare da parte, che noi pigliamo i piedi al contrario di quello che fanno i Poeti regulati; perciò che essi fanno il verso de i piedi, e noi dicemo farsi i piedi di versi, come assai chiaramente appare. Nè è da lasciare da parte , che di nuovo non affermiamo , che i piedi di necessità pigliano l'uno da l'altro la abitudine & equalità di versi e di sillabe , p e r ciò che altramente non si potrebbe fare repeti zione di canto. E questo medesimo affermiamo doversi servare nei Versi.De la qualità de i versi, che ne la Stanzia si pongono, e del numero de le sillabe ne i versi. Cci ancora (come di sopra si è detto) una certa abitudine , la quale quando tessemo iversi devemo considerare;ma acciò che di  E , quella con ragione trattiamo,repetiamo quello che di sopra avemo detto de i versi; cioè che ne l'uso nostro par che abbia prerogativa di essere frequentato lo endecasillabo, lo eptasil labo, & il pentasillabo ; e questi sopra gli altri doversi seguitare affermiamo. Di questi adun que,quando volemo far poemi tragici,lo ende casillabo, per una certa eccellenzia che ha nel contessere, merita privilegio di vincere; e però alcune Stanzie sono che di soli endecasillabi sono conteste, come quella di Guido da Fio renza , « Donna mi prega , perch'io voglio dire. » «Donne,cheaveteintellettodiamore.» Questo ancora li Spagnuoli hanno usato , e dico li Spagnuoli che hanno fatto poemi nel volgare Oc. Amerigo de Belmi , « Nuls h o m non pot complir adreitamen . » Altre Stanzie sono, ne le quali uno solo epta sillabo sitesse;e questo non può essere,se non ove è fronte, o ver sirima, perciò che (co me sièdetto)neipiedieneiVersisiri cerca equalità di versi e di sillabe. Il perchè a n c o r a a p p a r e , c h e il n u m e r o d i s p a r o d e i v e r s i non può essere se non fronte o coda ; ben chè in esse a suo piacere si può usare paro , o disparo numero deiversi.E così come al  Et ancora noi dicemo :   cuna Stanzia è di uno solo eptasillabo formata , così appare,che con dui,tre,o quattro si possa formare; pur che nel tragico vinca lo endecasillabo,e da esso endecasillabo si co minci.Benchè avemo ritrovatialcuni,chenel tragico hanno da lo eptasillabo cominciato , cioè Guido de iGhislieri,e Fabrizio Bolognesi, Et alcuni altri.Ma se al senso di queste Can zoni vorremo sottilmente intrare, apparerà tale tragedia non procedere senza qualche ombra di elegia. Del pentasillabo poi non concedemo a questo modo ; perciò che in un dettato grande basta in tutta la Stanzia inserirvi un pentasil labo, ovver dui al più ne i piedi; e dico ne i piedi, per la necessità !, con la quale i piedi & i V e r s i si c a n t a n o ; m a b e n n o n p a r e c h e n e l t r a gico si deggia prendere il trisillabo, che per sè stia;e dico,che per sè stia;perciò che per una certa repercussione di rime pare, che frequen ' Propter necessitatem,qua pedibusque versibusque cantatur ; per la necessità che nei piedi e nei Versi si deve cantare. (Fraticelli.)  E, E, 1 « Di fermo sofferire, » «Donna,lofermocuore,» « Lo mio lontano gire. »   temente si usi ; come si può vedere in quella Canzone di Guido fiorentino, « Donna mi prega , perch'io voglio dire, » « Poscia che amor del tutto m 'ha lasciato. » Nè ivi è per sè in tutto ilverso,ma è parte de lo endecasillabo, che solamente a la rima del precedente verso a guisa di Eco risponde. E quinci tu puoi assai sufficientemente conoscere, o lettore,come tu dei disponere, o vero abituare la Stanzia ; perciò che la abitudine pare che sia da considerare circa i versi. E questo ancora principalmente è da curare circa la disposizione de i versi : che se uno eptasillabo si inserisce nel primo piede,che quel medesimo loco,che ivi piglia per suo , dee ancora pigliare ne l'altro; verbigrazia , se 'l piè di tre versi ha il primo & ultimo verso endecasillabo,e quel di mezzo, cioè il secondo, eptasillabo, così il secondo piè dee avere gli estremi endecasillabi, & il mezzo eptasillabo ; perciò che altrimenti stando , non si potrebbe fare la geminazione del canto,per usodelqualesifannoipiedi,come sièdetto;e consequentemente non potrebbono essere piedi. E quello che io dico de i piedi, dico parimente de i Versi; perciò che in niuna cosa vedemo i piedi essere differenti da i Versi,se non nel sito; perciò che ipiedi avanti ladivisione della Stan zia,ma i Versi dopo essa divisione si pongono. , Et in quella che noi dicemmo : De la relazione de le rime , e con qual ordine ne la Stanzia si denno porre. T dealcuna cosa al presente non trattando però de la essenzia loro ; perciò che il proprio trat tato di esse riserbiamo , quando de i mediocri poemi diremo.Ma nel principio di questo Ca pitolo ci pare di chiarire alcune cose di esse; de le quali una è, che sono alcune Stanzie, ne le quali non si guarda a niuna abitudine di rime , e tali Stanzie ha usato frequentissima mente Arnaldo Daniello,come ivi, « Si m fos amors de joi donar tan larga? » E noi dicemo, L'altra cosa è che alcune Stanzie hanno tutti i versi di una medesima rima , ne le quali è superfluo cercare abitudine alcuna ; e così resta che circa le rime mescolate solamente debbia mo insistere;in che e da sapere,che quasi  Et ancora sì come si dee fare ne i piedi di tre versi , così dico doversi fare in tutti gli altri piedi. E quello che si è detto di uno endeca sillabo , dicemo parimente di dui e di più , e del pentasillabo, e di ciascun altro verso. «Alpocogiorno,& algrancerchiod'ombra.»   'Iltestolatinoha:quisuasmultasetbonas Can tiones nobis ore tenus intimavit. Il Fraticelli traduce : ci canto a voce , ossia ci canto improvvisando.  tutti iPoeti si hanno in cið grandissima licen zia tolta;conciò sia che quinci la dolcezza de l'armonia massimamente risulta.Sono adun que alcuni, i quali in una istessa Stanzia non accordano tutte le desinenzie de i versi ; m a alcune di esse ne le altre Stanzie repetiscono , overamenteaccordano;come fuGottoman tuano, il quale fin qui ci ha molte sue buone Canzoni intimato 1. Costui sempre tesseva ne la Stanzia un verso scompagnato , il quale essò nominavaChiave.E come diuno,cosìèlecito di dui e forse di più. Alcuni altri poi sono, e quasi tutti i trovatori di Canzoni , che ne la Stanzia mai non lasciano alcun verso scompa gnato, al quale la consonanzia di una o di più rime non risponda. Alcuni poscia fanno le rime de i versi, che sono avanti la divisione, diverse da quelle dei' versi, che sono d o p o e s s a ; & altri non lo fanno; ma le desinenzie de la pri ma parte de la Stanzia ancor ne la seconda in seriscono.Non di meno questo spessissime volte si fa, che con l'ultimo verso de la prima parte, il primo de la seconda parte ne le desinenzie s'accorda ; il che non pare essere altro , che una certa bella concatenazione di essa Stanzia. La abitudine poi de le rime,che sono ne la fronte e ne la sirima,è sì ampla, che 'l pare che ogni    atta licenzia sia da concedere a ciascuno , m a non di meno le desinenzie de gli ultimi versi sono bellissime, se in rime accordate si chiudeno; il che però è da schifare ne i piedi, ne i quali ritroviamo essersi una certa abitudine servata ; la quale dividendo dicemo, che il primo piè di versi pari, o dispari , si fa ; e l'uno e l'altro può essere di desinenzie accompagnate,o scom pagnate ; il che nel pie diversi pari non è dubbio ; m a se alcuno dubitasse in quello di dispari, ricordisi di ciò che avemo detto nel Capitolo di sopra del trisillabo,quando essendo parte de lo endecasillabo , come Eco risponde. E se la desinenzia de la rima in un de i piedi è sola, bisogna al tutto accompagnarla ne l'al tro;ma seinun piedeciascuna delerimeè accompagnata, si può ne l'altro o quelle ripe tere, o farne di nuove,o tutte,o parte,se condo che a l'uom piace,pur che in tutto si servi l'ordine del precedente : verbigrazia , se nel primo piè di tre versi le ultime desinenzie s'accordano con le prime, così bisogna accor darvisi quelle del secondo ; e se quella di mezzo nelprimo pièèaccompagnata,oscompagnata; così parimente sia quella di mezzo nel secondo piè; e questo è da fare parimente in tutte le altre sorti di piedi. Ne i Versi ancora quasi sempre è a serbare questa legge; e quasi s e m pre dico, perciò che per la prenominata con catenazione,e per la predetta geminazione de le ultime desinenzie,ale volte accade il detto or 8    + Il testo latino ha : cum in isto libro nil ulterius de r i t h i m o r u m doctrina t a n g e r e i n t e n d a m u s . E si d o v r e b b e tradurre : che in questo libro non vogliamo parlar pivo della dottrina delle rime. 2 Nel Corbinelli questo ultimo capitolo è diviso in due . Il decimoterzo finisce con le parole : tanta sufficiant. (a bastanzasarà.);e il decimoquartocominciaconleparole:  , dine mutarsi. Oltre di questo ci pare conve nevol cosa aggiungere a questo Capitolo quelle cose, che ne le rime si denno schifare ; conciò sia che in questo libro non vogliamo altro, che quello che si dirà de la dottrina de le rime toccare 1. Adunque sono tre cose, che circa la posizione di rime non si denno frequentare da chi compone illustri poemi ; l'una è la troppa repetizione di una rima,salvo che qualche cosa nuova ed intentata de l'arte ciò non si as suma ; come il giorno de la nascente milizia, il quale si sdegna lasciare passare la sua gior nata senza alcuna prerogativa. Questo pare che noi abbiamo fatto ivi, « Amor,tu vedi ben,che questa donna;» la seconda è la inutile equivocazione, la qual sempre pare che toglia qualche cosa a la sen tenzia ; e la terza è l'asperità de le rime, salvo che le non siano con le molli mescolate; per ciò che per la mescolanza de le rime aspere e delemollilatragediaricevesplendore.E que sto de l'arte, quanto a l'abitudine si ricerca, a bastanza sarà 2.Avendo quello che è de l'arte   ' Il testo latino ha : discretionem facere, che qui vale trattare partitamente.  de la Canzone assai sufficientemente trattato , ora tratteremo del terzo , cioè del numero de i versi e de le sillabe. E prima alcune cose ci bisognano vedere secondo tutta la Stanzia, & altre sono da dividere, le quali poi secondo le parti loro vederemo.A noi adunque prima s'ap partiene fare separazione 1 di quelle cose, che ci occorrono da cantare ; perciò che alcune Stanzie amano la lunghezza, & altre no ; con ciò sia che tutte le cose che cantiamo, o circa il destro o circa il sinistro si canta ; cioè che alcuna volta accade suadendo , alcuna volta dissuadendo cantare, & alcuna volta allegran dosi , alcuna volta con ironia, alcuna volta in laude, & altra in vituperio dire. E però le p a role , che sono circa le cose sinistre , vadano sempre con fretta verso la fine, le altre poi con longhezza condecente vadano passo passo verso l'estremo Ex quo quo sunt artis.... (Avendo quello che è de l'arte .... ); ed ha il titolo seguente : De numero car minum et syllabarum in Stantia.(Del numero dei versi e delle sillabe nella Stanzia.)Alighieri. Keywords: lingua del si, la divina implicitura, lasciate ogne [sic] speranza voi ch’entrate, inferno – section on ‘divina commedia’ in philosophical dictionaries. ‘inferno’ catabasis, -- la catabasis d’Enea di Virgilio --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alighieri” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702240158/in/photolist-2mLKuHL-2mKwuhr-2mKAhjQ-2mKCnei-2mKDteh-2mKDA5r-2mKDGhr-2mKjso7-2mJR8Pr-2mJq2uE-2mJ4GHU-2mGnP2f-2mD5ko7-2mDaBF3-2mD9tnu-2mD9tnp-2mDaCcd-2mD8QUw-2mD5cUE-2mD9tnK-2mD5cUK-2mDaCco-2mDdVKR-2mDdVKW-2mDcR47-2mD9tnE-2mDdY2E-2mD5fju-2mDcTpQ-2mDdY2Q-2mD5fjz-2mD5fjQ-2mD9vKk-2mD5fjE-2mEuJp2-2mERQbG-2mEYjVz-2mD3rUh-sjSVNC-2mKrmMv-2mDkstv-2mDnDyd-2mDjoZS-yb7vPV-s3t4S5-q8gsC7-q7XSd8-pQKmoV-ofTuXT-2mUsgo9

 

Grice ed Aliotta – esperienza – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo. Grice: “I like Aliotta; he has philosophised on most things I’m interested in: ‘la guerra eterna’ is a bit of a hyperbole if you go by a principle of helpfulness, but that’s Aliotta! – He has focused on Lucrezio, which is fine – But he has also studied ‘colloquenza romana’ systematically – and more into the Italian rather than Roman idiom, he has explored Galileo (not the father, thouh: “Some like Galileo Galiei, but Vincenzo Galilei is MY man); he is also like me a ‘philosophical psychologist,’ along the lines of Stout and Wundt, that is – he as given proper due to the idea of ‘esperienza’ – unlike Oakeshott, who abuses of the notion! – and indeed, others see his attachment to ‘esperienza’ as an ‘ism’ (lo sperimentalismo).  He has also discussed the semiotics of Vico, and the idea of life-form, following Witters (‘cricket come forme di vita’). And he has explored one intriguing idea, that the so-called ‘meaning’ of life (‘il significato del mondo,’ actually) is that of ‘sacrificio’ which is very fine with me – but then it would, since I like ‘Another country’ – the ‘sacrifice’ -- He Antonio Aliotta (n. Palermo), filosofo. Fu componente dell'Accademia Nazionale dei Lincei, nonché dell'Accademia Pontaniana e della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti. Fondò la rivista internazionale di filosofia Logos e fu autore di una decina di monografie.  Allievo di Felice Tocco e Francesco De Sarlo, fu influenzato molto dalla concezione della conoscenza scientifica del secondo, che si rifaceva alle teorie di Franz Brentano.  Nel primo periodo della sua vita, Aliotta si interessò in particolar modo alla psicologia sperimentale come ricercatore, mentre in un secondo periodo, approssimativamente dal 1944, rivolse il suo interesse alla filosofia e all'epistemologia.  Tra i suoi allievi vi furono Nicola Abbagnano, Paolo Filiasi Carcano, Cleto Carbonara, Renato Lazzarini, Giuseppe Martano, Alberto Marzi, Nicola Petruzzellis, Michele Federico Sciacca, Luigi Stefanini, anche se la sua indole non dogmatica e aperta "a diverse culture e suggestioni" non diede luogo alla formazione di una vera e propria scuola riferibile al suo nome, ma incoraggiò i suoi allievi a indirizzarsi su percorsi culturali autonomi, emancipandosi dall'egemonia esercitata dal neoidealismo di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile.  Al suo magistero può essere associato anche la figura dello psicanalista Cesare Musatti, che si indirizzò allo studio della psicologia dopo aver assistito alle lezioni sull'argomento tenute da Aliotta all'Padova nell'anno accademico 1915-16.  Il 19 febbraio 1951 divenne socio dell'Accademia delle scienze di Torino.  A lui è intitolato il dipartimento di filosofia dell'Università degli studi di Napoli "Federico II".  Pensiero Psicologia Nella sua prima fase, prettamente psicologica, agli inizi del nuovo secolo, Aliotta afferma che i fatti psichici non possono essere quantificati come avviene con i fatti fisici esistenti e misurabili, in quanto i fatti psichici sono elementi costitutivi della coscienza. La psicologia, perciò, essendo una scienza empirica che studia i fatti psichici interni al soggetto, avrebbe dovuto servirsi del metodo dell'introspezione, riferendosi a formulazioni matematiche al solo scopo simbolico.  La filosofia La particolare concezione della conoscenza dell'autore, intesa né come esistente in sé, né come iscritta nel processo dialettico del pensiero, lo allontanò sia dalle posizioni positiviste che da quelle neoidealiste.  Nelle sue opere emerge una visione contraria all'idealismo: né Hegel, nemmeno Fichte, né tanto meno Schelling col loro proposito di racchiudere tutta la realtà nel pensiero, sebbene con sfumature diverse, soddisfano Aliotta, che invece paragona il pensiero a un processo vivente, costruito da tanti centri individuali tesi verso una armonia, continuatrice dei fenomeni dell'universo. Aliotta si sofferma sulla coordinazione delle conoscenze, sulle intese fra le persone, sulla sintesi della scienza e soprattutto sulla ricerca filosofica a cui assegna il compito particolare di supervisione dei campi di conoscenza con il fine di limitarne i dissidi e di ampliare, il più possibile, il punto di vista delle scienze particolari. Aliotta afferma che l'unico metodo che consente la ricerca della verità sia l'esperimento; la verità stessa non è assoluta e unica ma prevede vari livelli, i superiori dei quali sfruttano e inglobano quelli inferiori. La ricerca filosofica possiede, secondo l'autore, un formidabile strumento di indagine e di verifica che si chiama "storia".  In alcuni scritti successivi ("Il sacrificio come significato del mondo",1947), pubblicati nel secondo dopoguerra, Aliotta sembra avvicinarsi a un modello di pensiero a metà strada tra il pragmatismo e lo spiritualismo, nel quale mette in rilievo l'esperienza morale e il sacrificio, considerato come l'esempio di realizzazione più elevato, sia per l'individuo sia per la collettività.  L'affermarsi dello sperimentalismo produce in Aliotta una serrata critica all'astratto intellettualismo nonché apre la strada alla ricezione di studi avanzati sulla cosiddetta 'filosofia scientifica', in un panorama di reazione idealistica contro la scienza e di graduale affermazione in Italia di scienze come la sociologia (Guglielmo Rinzivillo, Antonio Aliotta. L'idea scientifica dello sperimentalismo in Una epistemologia senza storia, Roma, Nuova Cultura, 197 e sg.  978-88-6812-222-5).  Opere principali “Platone”, “Aristotele”; “Lucrezio”; “Epitteto”. La reazione idealistica contro la scienza; La guerra eterna e il dramma dell'esistenza; L'estetica di Kant e degli idealisti romantici; Il sacrificio come significato del mondo; Il relativismo dell'idealismo e la teoria di Einstein”; “Evoluzionismo e spiritualismo”; “Il problema di Dio e il nuovo pluralismo”; “Le origini dell'irrazionalismo contemporaneo”; “Pensatori tedeschi della prima metà dell'Ottocento”; “Critica dell'esistenzialismo”; “L'estetica di Croce e la crisi dell'idealismo italiano”; “Il nuovo positivismo e lo sperimentalismo”; “Cinquant'anni di relatività” (Edizioni Giuntine e Sansoni Editore).  Note  Vedi S. Belardinelli, in Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in .  Sergio Belardinelli, «ALIOTTA, Antonio» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 34 (1988)  Antonio ALIOTTA, su accademiadellescienze. 9 luglio .  Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, Utet, 1995235, voce "Aliotta".  Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, Utet, 1995236, voce "Aliotta".  Michele Federico Sciacca , Lo sperimentalismo di A. Aliotta, Napoli, 1951. Nicola Abbagnano Antonio Aliotta, in "Rivista di Filosofia", 1964, 55,  442–448. Adriana Dentone, Il problema morale e religioso in Aliotta, Napoli, 1972. Luciano Mecacci, Antonio Aliotta, in: Guido Cimino, Nino Dazzi , La psicologia in Italia: i protagonisti e i problemi scientifici, filosofici e istituzionali: Milano, LED, 1998,  391–402. «ALIOTTA, Antonio» Enciclopedia ItalianaII Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, 1948. Sergio Belardinelli, «ALIOTTA, Antonio» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 34, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1988. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Antonio Aliotta Collabora a Wikiquote Citazionio su Antonio Aliotta  Antonio Aliotta, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Antonio Aliotta, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Antonio Aliotta, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Antonio Aliotta, .  Opere di Antonio Aliotta consultabili nell'Archivio di Storia della Psicologia, su archiviodistoria.psicologia1.uniroma1. 16 dicembre  12 luglio Filosofia Filosofo del XX secoloAccademici italiani Professore1881 1964 18 gennaio 1º febbraio Palermo NapoliAccademici dei LinceiProfessori dell'Università degli Studi di Napoli Federico IIMembri dell'Accademia delle Scienze di Torino. Antonio Aliotta. Aliotta. Keywords: esperienza, l’implicatura di Lucrezio, sacrificare, significare, sacrificare, guerra eternal. aliotta — l’implicatura di lucrezio — il filosofo di campagna — la guerra eterna — sacrificare/significare — croce — il latinismo dello storicismo — galilei — vico – epicureismo campano -- Refs.: Luigi Speranza, Grice ed Aliotta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51715423617/in/photolist-2mTBDZh-2mTo5K7-2mTmHyA-2mS1rKF-2mRxLkZ-2mQzgRD-2mQCyu5-2mPxLC4-2mPyUzx-2mMV4GM-2mMV4Vn-2mMsULH-2mKNNqN-2mKLzDp/

 

Grice ed Allegretti – colloquenza – filosofia italiana – Lugi Speranza (Forlì). Grice: “I love Alegretti; very Italian; imagine: after tutoring for a while on dialettica at Firenze,, he retires to Villa Allegretti, Rimini, where he philosophises ‘De propositionibus’ (sulle enunciate) as part of the Dialettica!”  Grice: “He was so proud of the meetings at his villa that he called it ‘our Parnassus’!” Grice: “Allegretti’s idea of the villa meetings was modeled after Plato who, with fewer means, met at the gym in theVIlla Echademo!” -- – cf. Raffaello, “Il Parnaso.” -- Stemma della famiglia Allegretti Coa fam ITA allegretti Blasonatura cuore d'oro su campo azzurr. Noto per aver fondato, secondo alcuni storici, la prima accademia letteraria d'Italia.  Fu figlio di Leonardo Allegretti, giudice a Forlì, di parte guelfa. Apparteneva ad un'antica e cavalleresca famiglia, il cui capostipite fu Mazzone Allegretti (o Mazzonius Alegrettus), che nel 1095 prese parte alla prima crociata in Terra Santa e per “arma” scelse un “cuore d'oro su campo azzurro”.  Lesse filosofia a Bologna,  logica e filosofia a Firenze.  Fonda la prima accademia con un gruppo di intellettuali: Francesco dei Conti di Calbolo, Azzo e Nerio Orgogliosi, Giovanni de' Sigismondi, Andrea Speranzi, Rinaldo Arfendi, Valerio Morandi, Giovanni Aldrobandini, Spinuccio Aspini e Paolo Allegretti. Per motivi politici, gli Ordelaffi, signori di Forlì ghibellini, imposero il confino a Giacomo e al fratello Giovanni. Si trasfere perciò a Rimini. Richiamato dall'esilio, coinvolto in una faida familiare degli Ordelaffi, fu nuovamente costretto a fuggire a Rimini, ove fonda una nuova Accademia, l'Accademia dei Filergiti, con vocazione insieme letteraria e scientifica.  La sua prosapia si estinse per linea maschile ma s'innestò negli Aspini mediante una Margherita di Francesco Allegretti, che sposò un Lodovico, che fu erede degli averi e del cognome degli Allegretti. Si trova il seguito di questa famiglia nel senese e nel modenese (a Ravarino).  Note  Fonte: F. Valenti, Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in . Opere Nel XIV secolo, la sua opera principale era considerata il “Bucolicon”.  Ma scrisse anche:  un epicedio per la morte di Galeotto I Malatesta, signore di Rimini; un carme al Conte di Virtù; un carme per la "divisa della tortora"; Eglogae, in lingua latina; un carme sulla "bissa milanese", cioè lo stemma dei Visconti, il biscione.  Giorgio Viviano Marchesi, Memorie storiche dell'antica, ed insigne Accademia de' Filergiti della città di Forlì ..., Forlì, per Antonio Barbiani, 1741. Paolo Bonoli, Storia di Forlì scritta da Paolo Bonoli distinta in dodici libri corretta ed arricchita di nuove addizioni, 2 voll., Forlì, Luigi Bordandini, Filippo Valenti, ALLEGRETTI, Giacomo, in Dizionario biografico degli italiani, II, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1960. Opere di Giacomo Allegretti, Filosofi.  ALLEGRETTI, Giacomo. - Nacque, presumibilmente, a Ravenna, da Leonardo Allegretti, appartenente a famiglia guelfa di Forlì, in un anno da porsi tra quelli immediatamente precedenti il 1326. È supposizione abbastanza fondata (cfr. Massera, p. 156) che nel 1357 leggesse filosofia nello Studio bolognese; certo, nel 1358-59 fu lettore di dialettica e di filosofia a Firenze, dove rimase almeno fino al 1365.Benché se ne perdano poi le tracce, è indubbio che si trovava da qualche tempo a Forlì quando, nel 1376, fu colpito, nella sua qualità di guelfo, dal bando di Sinibaldo Ordelaffi. Ma la fama di dottrina in diverse materie -filosofia, astrologia, medicina -che lo circondava, era tale che egli fu ben presto richiamato alla corte forlivese, dalla quale, però, dovette di nuovo fuggire nel novembre del 1384 per aver rivelato, nella sua qualità di astrologo, ma senza essere creduto, la congiura che Pino e Cecco Ordelaffi stavano tramando contro Sinibaldo, loro zio. L'A. si rifugiò a Rimini, dove fu precettore del giovane Carlo Malatesta, allora succeduto al padre Galeotto (m. 21 genn. 1385), e medico presso la corte. A Rimini l'A. possedette una villa, luogo di raccoglimento, di studio e, forse, di dotti convegni, cui si compiaceva di dare il nome di Parnaso; donde la notizia, tratta dagli Annali forlivesi di Pietro Ravennate, secondo cui l'A. "Arimini novum constituit Parnasum",notizia ripetuta ed elaborata poi da vari scrittori nel senso, del tutto fantastico, che egli fondasse già allora una vera e propria Accademia. Negli ultimi anni della sua vita ebbe rapporti abbastanza stretti con la corte viscontea. Morì a Rimini nel 1393.  L'A. godette di non piccola fama presso i contemporanei. Citato, come astrologo, nel terzo trattato del De fato et fortuna di Coluccio Salutati, fu in diretta corrispondenza col Salutati medesimo, di cui si ha una lettera a lui con unito un lungo carme latino (Epistolario,I, pp. 279-288), e con Antonio Loschi, del quale si conservano due epistole metriche (ed. in Massera, pp. 193-203) a lui dirette.  Fatta eccezione per un problematico trattato in prosa De propositionibus,attribuitogli da L. Cobelli (sec. XVI) nelle sue Cronache forlivesi (Bologna 1874, p. 21), tutte le opere dell'A. di cui si ha notizia si riferiscono alla sua attività di poeta latino. Ci rimangono: un lungo carme (317 esametri) a sfondo mitologico-pastorale intitolato Falterona,pieno di contorte allegorie politiche (Venezia, Bibl. Marciana, cod. lat.cl. XIV, 12); un componimento a carattere araldico-encomiastico dedicato a Gian Galeazzo Visconti (edito da F. Novati nel 1904 in appendice allo studio Il Petrarca ed i Visconti in F. Petrarca e la Lombardia,Milano 1904, pp. 82-84); un Epitaphium inonore di Galeotto Malatesta (Milano, Bibl. Ambriosana, cod. P 256);un carme Ad Ludovicum Ungariae inclitissimum Regem (Venezia, Bibl. Marciana, cod. lat.cl. XIV, 12). La sua fama, però, era legata soprattutto ad un'opera ora perduta, il Bucolicon,che Flavio Biondo, nella sua Italia illustrata (Basilea 1559, p. 347), giudicava seconda soltanto alle Bucoliche di Virgilio e che il Massera (pp. 182-188) ha tentato con buoni argomenti di identificare in una raccolta di egloghe di maniera stampata nel sec. XVII e attribuita in un primo tempo ad Albertino Mussato. All'A., infine, come opinò il Sabbadini, andrebbero attribuiti i cosiddetti Endecasyllabi di Gallo, che egli avrebbe, secondo la tradizione, scoperti a Forlì nel 1372, ma che, invece, molto probabilmente contraffece, credendo erroneamente che quell'antico poeta fosse nativo di Forlì.   Fonti e Bibl.: Epistolario di Coluccio Salutati,a cura di F. Novati, I, Roma 1891, in Fonti per la storia d'Italia,XV, pp. 41, 279, 281, 282; III, ibid. 1896, ibid.,XVII, pp. 536, 538; IV, 1,ibid. 1905, ibid.,XVIII, pp. 14, 230; R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne' secoli XIV e XV,Firenze 1905, p. 179; E. Carrara, La Poesia pastorale,Milano 1919, p. 142; A. F. Massera, Iacopo Allegretti da Forlì,in Atti e memorie d. R. Deput. di storia patria per le prov. di Romagna,s.4, XVI (1925-26), pp. 137-203; L. Thorndike, A history of magic and experimental science,III, New York 1934, pp. 515-517; L. Bertalot, L'antologia di epigrammi di Lorenzo Abstemio nelle tre edizioni sonciniane,in Miscellanea Mercati,IV, Città del Vaticano 1946, p. 311.  La stessa origine hanno le presunte accademie di Rimini e di Forli, che gli scrittori fanno fondare negli ultimi decenni del se colo xiv a Iacopo Allegretti da Mantova, uomo versato cosi nella medicina e nell'astrologia come nelle lettere.Anche in questo caso la più antica affermazione in proposito non risale a nostra notizia al di là della seconda metà del secolo XVII.Uno storico di Forli, Paolo Bonoli, appunto nelle sue Istorie della Città di Forlì?al l'anno 1369 dice: « Strepitava ancora di Forlivesi la fama di G i a como Allegretti, Filosofo, Medico, Poeta et Astrologo; compose anch'egli la Bucolica, che doppo quella di Virgilio non vede forse ilmondo lapiùbella;traletenebre dell'antichità,manifestó molte compositioni del nostro C. Gallo,e in Rimini,ove poi ricovrossi, per schivar l'ira degli Ordelaffi, erresse una fioritissima Accade mia.».La notizia passa indi nel proemio delle Leggi vecchie,di stinte in XII Tavole, dell'antica Accademia de'Filergiti della città di Forlì e nuovi ordini-sopra essa Accademia, stampate nel 1663, aggiungendovisi però oltre l'Accademia riminese anche un'Acca demia in Forli,che sarebbe pure stata fondata dall'Allegretti,e che più tardi, organizzatasi, divenne l'Accademia dei Filergiti. «G i a como Allegretti – vi si dice – Filosofo e poeta illustre, trecento anni or sono,non si contentò di esercitare in Forli sua patria vir. tuose sessioni, che ancora in Rimino, dove sbandito ricovrossi, er gette una nuova Accademia ».3 Queste parole furono ripetute tali e quali da G. Garuffi Malatesta nel L'Italia Accademica 4; però nella parte ancora inedita di quest'opera che giace nella Gamba lunghiana, e dove si tratta appunto in particolare delle Accademie | Francisci Petrarcae Epistolae de Rebus Familiaribus et Variae, curate da GIUSEPPE FRACASSETTI.Volume III.Firenze 1863, p.39. 2 Forli, 1661 ; p. 168. 3 In Memorie storiche dell'antica ed insigne Accademia de'Filergiti della città di Forlì già citate:a p.338-340. 4Rimini,1088;p.116.  136   Ma anche qui,come dicevamo,sitrattadiunabbaglio.Aspet tando che maggior luce venga data in proposito in quella vita del l’Allegretti,che il Novati ha promesso da parecchio tempo,4 basterà notare che a base delle notizie circa queste due Accademie stanno leseguentiparoledegliAnnalesForolivienses5:«Anno Domini 1372 tempore Ecclesiae Arces in his civitatibus factae sunt: B o noniae, Imolae, Faventiae et Forolivii. Iacobus Allegrettus Forli viensis poeta clarus agnoscitur, qui plures Endecasyllabos Galli civis Forliviensis poetae invenit et Arimini novum constituit Par Quest'ultima parola fu interpretata senz'altro per Ac cademia, a cui, come al solito,furono ascritti i personaggi princi pali del tempo,perfino il Petrarca, come abbiamo visto. | Cfr.La Coltura letteraria e scientifica in Rimini lal secolo XIV ai pri. mordi del XIX di Carlo Tonini.Vol.I,Rimini 1881,p.70. 20.c.p.9sgg.;cfr.anchedelmedesimo:VitaeVirorum Illustrium Foroliviensium.Forli 1726,p.237. 3 Cfr.Della vita e delle opere di Antonio Urceo detto Codro di Carlo MALAGOLA.Bologna 1878,a p.163. 4 Cfr.Epistolario di Coluccio Salutati per cura di FRANCESCO Novati, Vol.I,Roma 1892,p.279,nota 1. 5 Rerum Italicarum Scriptores.Tomo XXII.Milano 1733,col.188.  137 di Rimini, egli dice di più che l'Accademia fondata dall'Allegretti in Rimini si radunava in una sala del palazzo Malatesta, adornata dei ritratti dei poeti ed oratori più celebri del tempo,e che vi era ascritto anche il Petrarca.1 Il già citato Marchesi dal canto suo circa l'Accademia fondata dall'Allegretti in Forli dice che costui « lasciata da parte la se verità degli studi astronomici,medici e filosofici, ne'quali aveva spesi con molta gloria isuoi giorni,finalmente l'anno 1370,rac colti in una degna Assemblea gl'intelletti più perspicaci,fece la memorabile fondazione,benchè senza nome particolare,regolamento ed impresa, invenzioni delle succedute età, ma col solo generico d ' A c c a d e m i a . F u r o n o i s u o i c o l l e g h i, o p i u t t o s t o d i s c e p o l i F r a n c e s c o dei Conti di Calbolo,Azzo e Nerio Orgogliosi,Giovanni de'Sigi s m o n d i, A n d r e a S p e r a n z i , R i n a l d o A r s e n d i , V a l e r i o M o r a n d i , G i o vanni Aldobrandini, Spinuccio Aspini e Paolo Allegretti, tutti illustri per sangue, ed assai più per l'affetto che professavano per le belle arti.Per le frequenti sessioni che, tenevano a porte aperte, e per gli ammaestramenti e saggi dati dal Fondatore, s'avanzarono molto iprimi Accademici colla coltivazione della poesia,sopra ogni altra scienza da essi tenuta in pregio ».? Esiliato poi l'Allegretti daForli,l'Accademiaandòdispersa,eleraunanze vennero riprese solo nel secolo xv per opera di Antonio Urceo.3 18 nasum >> DELLA TORRE   Orbene si osservi che l'Allegretti fu in Rimini maestro di Carlo Malatesta '; e qual cosa più naturale che assieme al Malatesta si trovassero altri giovani delle principali famiglie Riminesi ? Epperò quel Parnasum va senza dubbio inteso per scuola di umanità e non già per Accademia nel senso che l'intendono gli scrittori su riferiti. Quanto poi all'Accademia di Forli, come osserva giustamente ilTiraboschi,?severamentefosseesistita,loscrittoredegli An nales Forolivienses che nota il Parnasum aperto dall'Allegretti in Rimini, avrebbe a tanto maggior ragione notata un'Accademia. fondata in Forli, le cui vicende appunto egli si propone di nar rare;ed invece nulla.Come alsolito,gli scrittoridicose forlivesi, che, interpretando Parnasum per Accademia credevano che l'Alle gretti avesse fondata appunto un'Accademia in Rimini, sapendo che l'Allegretti era stato anche a Forli,gliene fecero fondare sen z'altro una anche in Forli,ascrivendovi come al solito quanti in quel tempo vi erano di uomini insigni per ingegno e per cultura. E con questa mania, sempre nel secolo Xvir, si andò tanto oltre, che si raggrupparono insieme perfino gli architetti del duomo di Milano per farne un'Accademia;laqualesarebbe cominciata verso l'anno 1380, mentre Giovan Galeazzo Visconti andava pensando di gettar le fondamenta del D u o m o : vi si sarebbe atteso « a quella maniera di fabricare,che i moderni chiamano Alemana »; avrebbe àvuto sede « nella Corte ducale compiacendosi in estremo quello stesso Duca del fabricare e dell'udirne talvolta discorrere i m a g giori architetti di que'tempi, ch'erano Giovannuolo e Miche lino, da'quali furono ammaestrati i compagni di Bramante » 3 Non occorre certamente fermarci piú a lungo per dimostrare l'as surdità di queste affermazioni:basti il dire che questa volta a base di esse non sta il più piccolo dato di fatto.4 1Cfr.ANGELO BATTAGLini:Della corte letteraria di Sigismondo Pan dolfo Malatesta Signore di Rimini in Basinii Parmensis poetae Opera prae stantiora. Tomo II,parte I. Rimini 1794,p. 46-47 e Lettera di Coluccio Sa lutati a Carlo Malatesta del 10 settembre 1401 in Epistolario di Coluccio Sa. lutatiacuradiFRANCESCONOVATI.VolumeIV.Roma 1896,p.538:«Velim igitur,simichicredideris,eum (GiovannidaRavenna)decernasintertuos recipere et in locum magistri tui, viri quidem eruditissimi, quondam Jacobi de Alegrettis et in eius provisionem acceptes et loces ». 3 Cfr. GiroLAMO BORSIERI Il supplimento della Nobiltà ili Milano. Milano, 1619,p.37,eZANON,Catalogoetc.inl.c.p.305. 4 Si dia in proposito la più semplice scorsa alla prima parte di Il Duomo di Milano di Camillo Boito, Milano 1889.Jacopo Allegretti. Giacomo Allegretti. Allegretti. Keywords: colloquenza, dialettica, villa, villa Allegretti a Rimini, Bucolicon, Andrea Speranzi, i filergiti, “De propositionibus”, scuola di Firenze, dialettica a Firenze, accademie italiane dall’A alla Z, Andrea Speranzi, il primo accademico italiano a Firenze. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Allegretti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716223001/in/photolist-2mRkgtK-2mMZakg-2mKR4wJ-2mKiPND

 

Grice ed Allievo – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Germano Vercellese). Grice: “I love Allievo; of course he reminds me of all those scholars back in the day that I relied on for my philosophising on ‘intending’ – since isn’t this an act of the ‘soul’ – I mean Stout, and the rest – I once was a Stoutian, and then for better or worse, I became a Prichardian!” --  Grice: “Now Oxford never knew what to do with people like Stout – surely ‘the Wilde’ readership was a possibility, but Lit. Hum. and the Sub-Faculty of Philosophy always considered ‘mind’ – (as in the journal, ‘a journal of psychology and philosophy’) secondary to metaphysics! We thought The Aristotelian Society had more prestige than the Mind Association, and we still do!” – Grice: “So Allievo, like myself, was fascinated by Stout and Spencer and Bain and – in the continent, closer to Allievo, and always having more prestige than the barbiarian islanders! – Grice: “Add to that the charm of his italinanness versus the Germanic coldness of a Wundt – his name is unpronounceable to Allievo – and you get to the heart of his philosphising on ‘psicofisiologia’ – where the ‘io’ meets the ‘tu’ – and his focus, having studied the philosophical tradition in Rome – to ‘educatio fisica’ – which obviously needs to be psicofisica!” -- Wundtan d Flechner!” – Giuseppe Allievo (San Germano Vercellese) filosofo.  Frequentò la facoltà di filosofia dell'Torino e seguì l'insegnamento di Giovanni Antonio Rayneri, sacerdote e filosofo di matrice rosminiana.  Laureatosi il 18 luglio 1853 insegnò pedagogia a Novara, a Domodossola, dove conobbe Rosmini, e a Ivrea e nel Collegio di Ceva. A Domodossola pubblicò i suoi primi saggi e scrisse articoli per la Rivista contemporanea di Luigi Chiala.  Arrivò alla cattedra di pedagogia a Torino (1869). Cattolico spiritualista, fu propugnatore del cosiddetto sintesismo degli esseri, principio secondo il quale «nessuna parte di un ente può sussistere divisa dal tutto dell'ente stesso, e nessun essere può sussistere né operare diviso dagli enti che costituiscono l'universo».  Il 13 gennaio 1895 divenne socio dell'Accademia delle scienze di Torino.  Pensiero Critico dell'hegelismo, soprattutto per motivi religiosi, Allievo sosteneva doversi rifare alla tradizione filosofica spiritualista italiana per combattere sia la dottrina hegeliana che quella positivista che nella pedagogia si stava in quegli anni diffondendo in Italia.  Rimase fino al 1912 nell'Torino insegnando pedagogia e dedicandosi a ricerche di antropologia e pedagogia. Fu autore anche di un'opera di vaste proporzioni dedicata a Il problema metafisico studiato nella storia della filosofia, dalla scuola ionica a Giordano Bruno (Torino 1877).  Opere principali: “Saggi filosofici”; “Il problema metafisico studiato nella storia della filosofia”; “Studi antropologici”; “L’uomo e il cosmo”; Si espone e si disamina l'opinione del Brothier. Si espone e si giudica la teoria di G. A. Hirn. Segue l'esposizione critica della teoria di G. A. Hirn -- Luigi Büchner -- Si pone la questione e si accenna il come risolverla -- Si accenna la differenza tra l'uomo ed il bruto. Concetto definitivo dell'antropologia. Valore ed importanza dell'antropologia -- Del metodo in antropologia Divisione dell'antropologia -- Concetto della persona umana -- Analisi della persona umana -- La virtù intellettiva -- Della coscienza personale -- La coscienza di sè e la conoscenza esteriore -- Individualità soggettiva della conoscenza esteriore -- Universalità oggettiva della conoscenza esteriore -- Il potere animatore ed affettivo -- Del corpo umano in sè e nelle sue attinenze col potere animatore -- L'organismo esanime ed il potere animatore -- Unità sintetica della persona umana TEORICA DELLA VITA UMANA -- La vita latente anteriore alla nascita -- L'infanzia -- Le prime origini dei problemi psico-fisiologici. L'attività volontaria -- La suprema libertà dello spirito -- Varie forme della personalità umana derivanti dall'attività volontaria -- Attinenze tra la facoltà conoscitiva e l'attività volontaria -- Corrispondenza dell'organismo col potere affettivo -- Trapasso dalla teorica dell'essenza umana alla teorica della vita umana -- Il corso della vita umana -- Della conoscenza esteriore -- Mente e corpo distinti ed uniti nella persona umana -- La gioventù -- La virilità -- I poteri della vita  -- Teorica della sensitività -- L'atteggiamento esteriore dell'organismo ed il potere animatore -- Concetto comprensivo della persona e dell'essenza umana La vita maschile -- La vecchiaia -- Delle potenze in riguardo all'oggetto -- Delle potenze in rapporto col soggetto umano -- Delle potenze umane in particolare -- Specie del potere affettivo -- Del potere animatore -- Distinzione essenziale tra la mente e l'organismo corporeo -- Unione personale della mente coll'organismo corporeo -- Del potere affettivo -- Carattere universale ed ufficio del sentimento -- Concetto e forme della vita umana -- La vita propria e la vita comune -- Divisione del corso temporaneo della vita ne'suoi periodi fondamentali -- Durata della vita umana -- Dei periodi della vita umana in particolare -- Considerazioni generali in torno i periodi della vita -- La vita oltremondana -- Delle potenze umane in generale -- Delle potenze considerate nel loro sviluppo -- La vita fisica e la vita mentale -- Del senso fisico e delle sensazioni -- Del senso spirituale e de' sentimenti -- Del sentimentalismo -- Dell'istinto -- Della percezione sensitiva -- Della fantasia sensitiva -- Teorica dell'intelligenza -- Della speculazione e della memoria. Dell'intelligenza in riguardo al soggetto conoscente -- Dell'intelligenza in riguardo all'oggetto pensabile -- L'esperienza e -- L'intelligenza umana e LA PAROLA --  Dell'immaginazione. Concetto generale dell'immaginazione. Specie dell'immaginazione. Efficacia dell'immaginazione. Delle potenze estetiche. Teorica della volontà. Potere della volontà. L'operare della volontà. La libertà del volere. TEORICA DEL CARATTERE UMANO E DEL TEMPERAMENTO -- Ragione e genesi del carattere -- Concetto generale del carattere id . Dell'intuizione. Dell'attenzione intermedia tra l'intuizione e la riflessione -- Della riflessione -- Dell'istinto in ordine all'oggetto -- Trapasso dalla teorica della sensitività alla teorica dell'intelligenza -- Concetto generale dell'intelligenza -- Dell'intelligenza in riguardo al soggetto pensante -- La libertà del volere e la scuola positivistica -- Critica del determinismo positivistico -- La libera volontà e l'ambiente Art.7. Sintesismo dei poteri della vita -- Del senso -- Dell'istinto rispetto allo scopo la ragione -- Dell'intelligenza in riguardo all'oggetto conosciuto -- Del carattere in ispecie -- Del carattere riguardato nella sua fonte -- Del carattere rispetto alle potenze ed alle forme dell'attività umana -- Del carattere morale -- Il carattere umano nella specie, nelle stirpi, nelle nazioni -- Del temperamento -- De'temperamentiinparticolare -- De'temperamenti in rapporto fra di loro “Studi pedagogici”; “Attinenze tra l'antropologia e la pedagogia”; Il linguaggio e la scrittura -- Dell'attenzione -- Dell'immaginazione sensitiva -- Dell'arguzia -- Della riflessione -- La memoria ed il ricordo -- Educazione del senso del bello -- La Levana di Giovanni Paolo Richter – Cenni biografici dell'autore --- Concetto generale -- Importanza ed efficacia dell'educazione -- La Levana o Scienza dell'educazione -- Appendice: Dell'educazione fisica infantile -- Dell'educazione della donna. “Esame dell'hegelianesimo”; “Il ritorno al principio della personalità”.  Note  Fonte: Francesco Corvino, Dizionario biografico degli Italiani alla voce corrispondente  in F. Corvino, Op. cit. ibidem  Giuseppe ALLIEVO, su accademia delle scienze. Giuseppe Allievo, su Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giuseppe Allievo, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giuseppe Allievo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Giuseppe Allievo, su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Giuseppe Allievo,  Filosofia Filosofo del XIX secoloFilosofi iSan Germano Vercellese Torino Membri dell'Accademia delle Scienze di Torino. L'intelligenza umana e la PAROLA (dal greco, parabola) sono due termini,che mostrano l'uno verso l'altro armonica corrispondenza e vicendevolmente si spiegano e s'illustrano, come lo spirito ed il corpo nell'uomo. Il conoscere ed il sapere umano ritrae dalla ‘parola’, che lo riveste, una peculiare impronta, che lo distingue dal conoscere proprio degli spiriti puri, e la lingua rivela la tempra mentale. L'intelligenza infantile si schinde dal suo germe in grazia della ‘parola’, con essa va via via sviluppandosi e progredendo, con essa ha comuni le vicende e le fasi. Infatti, la ‘parola’ torna necessaria all'effettivo pensare, all'effettivo conoscere. Finchè il pensiero non si concreta nella ‘parola’, ed in essa per così dire non s'incorpora, nès'incarna, è inconsistente, sfuggevole, vago, non per anco formato, ma solo rudimentale ed appena sbozzato. Le percezioni, che si hanno degli oggetti esterni mercè isensi, sono confuse, indistinte, e si dileguano col dileguarsi degli oggetti percepiti. Ben si possono in certo qual modo fissare colle immagini, le quali rimangono anche nell'assenza degli oggetti materiali. Ma le immagini sono pur sempre *individuali*, come gli oggetti, cui si riferiscono, e per di più sfuggevoli e vane.Veri pensieri e vere cognizioni propriamente dette non si hanno se non mercè la ‘parola’. E e questa torna tanto più necessaria, quanto più la idea da SIGNI-ficare (o segnare) e generale ed astratta, ed ecco ragione per cui I BRUTI NON ‘PARLANO’ (Monkeys can talk) siccome quelli, che sono destituiti della facoltà di generaleggiare e di astratteggiare. Che se ponga si mente non più alla percezione esteriore, ma alla ragione ed alle funzioni diverse della riflessione, la necessità della ‘parola’ si chiarisce ancora più evidente a segno che senza di essa tornerebbe impossibile la formazione di qualsi voglia specie dell'umano sapere. Se adunque la ‘parola’ è vincolo necessario, che lega la mente col mondo delle idee e mezzo es -- Vedi la nota g in fine del volume. Due altre ragioni si aggiungono a confermare vie meglio la necessità di siffatto studio, l'una sociale, pedagogica l'altra. La ‘parola’ non solo è mezzo alla formazione dei pensieri e delle idee, ma altre sì organo il più acconcio A MANIFERSTAR la proposizione ALTRUI, epperò vincolo necessario, che congiunge l'uomo co'suoi simili in comunanza di vita, condizione potissima della società umana. Gli spiriti umani, perchè ravvolti nell'involucro dell'organismo corporeo, non possono rivelarsi l'uno all'altro, nè intendersi, nè mutuamente rispondersi senza qualche MEZZO SENSIBILE riposto in qualche atto o movimento del corpo: quale è appunto la ‘parola’, la cui potenza ed efficacia sugli animi altrui è meravigliosa. Ancora, essa non solo è una necessità sociale, ma altre sì pedagogica, perchè è vincolo essenziale, che unisce in armonia di intendimenti e di voleri l'educatore coll'alunno, il maestro col discepolo, tanto chè senza di essa ogni educazione ed istruzione vera ed efficace rimane un vano e sterile desiderio. La ‘parola’ e l'immaginazione, quando vengono raffrontate l'una coll'altra, appariscono convenire insieme in ciò, che entrambe importano una dualità di elementi, sensibile ed intelligibile [[psico-fisico]] insieme accoppiati, e sono potenze individualizzatricie rappresentative dell'idea sotto forma sensibile. Ond'è che tal fiata l'immagine ridesta la ‘parola’, tal altra la ‘parola’ ri sveglia l'immagine, ed amendue rinvengono un punto di comune contatto nel linguaggio metaforico, figurato, immaginoso. Ciò nulla meno evvi tra queste due potenze siffatto divario, che l'immagine essenzialmente si di spaia dal semplice SEGNO, ed oltre di ciò la ‘parola’ è un sensibile tolto dall'organismo umano, l'immagine per contro è un sensibile attinto dalla natura esterna. Riguardata nella sua nativa essenza la ‘parola’ può venire definita un sensibile umano SEGNANTE (o significante) un intelligibile. Umano, dico, perchè riposto in qualche atto o movimento del nostro corporeo organismo, quale il gesto, la voce pronunciata ed udita. Rintracciando la ragione spiegativa dell'essenza della ‘parola’ noi la rinveniamo nell'essenza stessa dell'uomo. Infatti i due costitutivi della ‘parola’, quali sono IL SEGNO [o SEGNANTE]  sensibile e l'e lemento intelligibile [IL SEGNATO], ritrovano la ragione ed il fondamento loro nei due supremi costitutivi dell'essere umano, quali sono l'organismo corporeo [il segnante] e la mente [il segnato]; e come all'essenza dell'uomo torna tanto necessario lo spirito, quanto il corpo, così è tanto necessario alla ‘parola’ il SEGNO quanto l' idea significata [IL SEGNATO]. Onde si vede ragione, percui ai bruti, destituiti di mente, fallisce la ‘parola’. Inoltre a costituire la ‘parola’ non basta la dualità degli accennati elementi, ma occorre, che siano contemperati ad unità, essendochè il sensibile debbe essere SEGNO [segnante] di un intelligibile.  -- esenziale alla formazione de' pensieri ed all'acquisto delle conoscenze effettive, appare manifesto, che l'intelligenza umana, ad essere compiutamente compresa, va altresì studiata nelle sue attinenze colla ‘parola’. Ora quest'unità importa un primato dell'intelligibile sul sensibile, ed ha la sua ragione nel dominio della mente sull'organismo corporeo, ciò è dire nell'armonia stessa dei due supremi costitutivi dell'uomo. In fatti la mente nostra padroneggiando l'organismo, con cui è naturalmente congiunta, essa è che eleva i gesti, la voce, l'udito, il moto delle membra alla virtù di significare [O SEGNARE] una idea o un sentimento dell'animo, vincolando questi con quelli. Di qui la bella sentenza di Cicerone intorno l'origine della ‘parola’. Vox principium a mente ducens (De natura Deorum, lib.2). Nella parola adunque il segno O SEGNANTE sensibile e l'idea, o IL SEGNATO, sono due termini inseparabili tanto, quanto sono nell'uomo indisgiungibili lo spirito ed  il corpo. Da siffatto interiore e naturale compenetramento fluiscono alcuni corollarii, che reputo opportuno di accennare. Il pensiero progredisce di pari passo col linguaggio. La lingua corre le medesime sorti e segue le stesse fasi che il pensiero,tanto chè la ragion spiegativa delle origini, dei progressi, delle trasformazionie del corrompersi di un idioma va rintracciata nello studio delle vicende, a cui soggiace il pensiero di un popolo, che lo parla. Dichesi pare quanto vadano errati non pochi cultori della filologia, i quali la segregano onninamente d allo studio del pensiero umano, di cui il linguaggio è l'ESPRESSIONE esteriore, togliendole di tal modo il carattere di scienza, non solo, ma trasmutandola in un tessuto di errori. Lo stampo e l'indole peculiare di un idioma arguisce uno stampo o tempra singolare di mente in chi lo adopera. Epperò come gli è vero, che la lingua genericamente presa è nota specifica, che distingue l'umano pensare e conoscere da quello di altri esseri intelligenti, così è pur vero, che i differenti idiomi in particolare sono note altresì distintive, che differenziano le une dalle altre le menti umane individue e nazionali. Tuttavia in mezzo a questa tra grande varietà di lingue etnografiche apparisce un fondo comune, su cui tutte sono intessute, e, direi, uno spirito universale, che tutte le informa e le solleva ad una unità superiore, essendochè la mente umana, se si manifesta molteplice e varia nelle molteplici nazioni e nei varii individui, risguardata nella suas pecifica essenza è una ed identica, perchè, governata dalle medesime leggi logiche e rivolta all'universalità del vero. E quest’unità radicale delle lingue riverberata dall'unità specifica della mente umana arguisce logicamente l'unità originaria e specifica del genere umano, come la loro moltiplicità arguisce la varietà delle razze,in cui esso è distribuito sulla faccia della terra. Consegue ancora dal principio stabilito, che il tradizionalismo, il quale pronuncia, che l'uomo riceve dalla società insieme colla ‘parola’ anche le idee e la virtù dello intendimento, apparisce erroneo, siccome quello, che disconosce il primato dell'idea sul segno vocale, e l'ingenita virtù della mente di elevare la voce a dignità dinunzia del pensiero. Se l'uomo impara dalla società il linguaggio, ciò è dovuto alla virtù, che possiede la sua intelligenza, di intenderne il significato o SEGNATO. Infine discende quest'altro corollario, che non manca della sua importanza pedagogica. Vera istruzione non è, quando il discepolo riceva passive la parola del maestro, come se questa dia bell'e fatta all'alunno l'idea, la quale invece vuol essere un portato del suo lavoro mentale, e quindi si deve cooperare alla forma zione della ‘parola’. Poichè altro è ricevere la ‘parola e meccanicamente ripeterla, altro è FARLA NOI. IMPLICATURA. La’ parola’ ‘altrui ha sempre alcunchè di vago, di incerto e di oscuro per CHI LA RICEVE, mentre presenta un SENSO FERMO  e più o men definito per chi se la forma, come si avvera nella formazione di un neologismo come ‘implicatura’. Il linguaggio umano trae le sue prime origini da quell'impulso spontaneo della NATURA, che spinge l'infante a significare O SEGNARE mercè di una GRIDA INARTICOLATA il suo BISOGNO, il suo desiderio, la sua sensazione, e già abbiamo chiarito altrove, come a poco a poco egli ne abbia svolto il suo linguaggio ARTICOLATO. Ma la grida primitiva, onde si svolse il linguaggio articolato e convenzionale, non costituiscono tutto quanto il linguaggio naturale, spontaneo o di azione, il quale abbraccia altresì IL GESTO, il movimento, la fisionomia ed altri segni ed atteggiamenti esteriori della persona. Ora GESTO può anch'esso svolgersi e perfezionarsi, o come complemento del linguaggio o accompagnando e compiendo il linguaggio articolato, o da sè solo sotto forma di linguaggio mimico, quale lo scenico dei drammatici e lo educativo dei sordo-muti. Il linguaggio articolato primeggia sul naturale, perchè il suono articolato o l'organo vocale, accompagnato dall’organo auditivo ,è più pie ghevole, più facile, più svariato e perfettibile ,più acconcio ad esprimere le idee in tutte le loro articolazioni. Esso può essere o parlato, o scritto. La ‘parola’ parlata riesce più viva della scritta, più ESPRESSIVA, più animata, ma alla sua volta questa è stabile e permanente, quella sfugge vole e mobile. Il linguaggio articolato riveste forme diverse corrispondenti alle forme progressive dell'intelligenza nelle varie età degli individui. Quindi si distingue un linguaggio proprio dell'intuizione e del sentimento, un altro della riflessione e della coscienza, un altro della scienza e dell'arte. Il linguaggio dei popoli e degli individui fanciulli è povero, sintetico, metaforico e figurato. Quello dei popoli e degli individui adulti è più o meno concettoso, la grammatica ne è fissa, la prosa misurata. Quello dei popoli colti e dei pensatori è dotto, analitico e sintetico ad un tempo. Imparare a parlare è qualche cosa di più elevato che non imparare le lingue particolari; e noi impariamo a parlare apprendendo LA LINGUA MATERNA. Questa lingua, che abbiamo imparato da piccini, quando la nostra intelligenza cominciava a schiudersi, costituisce per noi il linguaggio per eccellenza. Ogni altra nuova lingua, che sia pprenda, si capisce soltanto mediante il suo paragone o rapporto colla lingua materna, ed a questa con maggior ragione convengono tutte le lodi, che noi attribuiamo alla lingua dei Romani come mezzo di coltura. Il bambino è sempre tanto desideroso di udirvi, che spesso vi interroga anche su cose conosciute, unicamente per aver occasione di ascoltarvi. Or bene tutto il mondo esteriore vien fatto comparire e brillare davanti alla fantasia del bambino mediante il nome, con cui vien designato ciascun oggetto. Tutto ciò, che è corporeo, venga analizzato sotto gli occhi del fanciullo durante i suoi due primi lustri, ma non gli si faccia analizzare affatto tutto ciò, che è solo spirituale. La lingua materna siccome e la più innocente delle filosofie pel fanciullo, siccome il più valido esercizio di riflessione. Parlategli molto e con precisione, ed anche da lui esigete la precisione.Una PROPOSIZIONE oscura, ma che diventa chiara se ripetuta una volta, provoca l'attenzione e rinforza l'intelligenza. Non temete mai di non essere intesi, e nemmeno se si tratta di intere proposizioni. La vostra faccia, il vostro accento, e il vivo bisogno che sente il fanciullo di comprendere, rendono chiara la cosa per metà. E questa prima metà farà col tempo capire anche l'altra. Pensate che I fanciulli. [SVILUPPO DELLA TENDENZA ALLA COLTURA DELLO SPIRITO] come facciamo noi per la lingua greca o per qualunque altra lingua straniera, imparano prima a CAPIRE la nostra lingua, che a ‘parlar’-la. Al bambino parlate sempre come se avesse qualche anno di più. L'educatore, il quale a torto attribuisce al suo insegnamento troppa parte di ciò, che impara l'alunno, ricordi che il bambino porta già pronto in se medesimo ed imparato tutto il suo mondo spirituale (cio è le idee morali e metafisiche), e che la lingua con tutte le sue immagini sensibili non serve che a rischiarare questo mondo interiore. Qui trova suo luogo la questione dello studio della lingua dei romani come mezzo di coltura mentale. Lo studio della lingua de romani e come una ginnastica dello spirito, che ne riceve una scossa ed eccitazione salutare.Esso studio, non tanto in virtù del mero vocabolario, quanto in forza della grammatica, che è la logica della lingua, costringe lo spirito a ripiegarsi sopra di sè, a riflettere sulla ‘parola’, considerandole come un riverbero della propria attività intuitiva. Dal linguaggio si passa a dire dello scrivere, ed anche su questo punto non sono meno assennati ed acuti I suoi accorgimenti. In sua sentenza, lo scrivere, ancora più che il ‘parlare’, separa e concentra le idee, perchè il suono meccanico della ‘parola’ parlata insegna a scosse e passa rapido, mentre i caratteri della scrittura ‘parlano’ in modo continuato e distinto. Lo scrivere facilita la produzione delle idee assai più che il suono rapido della ‘parola’, essendo esse una veduta interiore più che un'audizione esteriore. Sotto altri riguardi la ‘parola’ parlata assai sovrasta alla parola scritta, essendochè quella è ‘parola’viva, che esce animata dall'interiore organismo e discende potente nell'anima di chi la ascolta, mentre questa è parola morta, che esce dalla penna inanimata e non è che una debole eco della prima. Esercitate di buon’ora, e gli prosegue, il fanciullo a scriver e I pensieri suoi proprii piuttostochè ivostri. Risparmiategli i temi comunissimi, quali sarebbero le lodi della diligenza , del maestro di scuola,dei governanti ecc.Niente più nuoce a qual siasi componimento , quanto la mancanza di un oggetto proprio e di inspirazione. Una lettera, provocata unicamente dalla volontà del maestro, e non da un bisogno del cuore, diventa una  morta apparenza di pensiero,un inutile consumo di materia mentale. Se fate scrivere lettere, siano rivolte ad una persona determinata e sopra un determinato oggetto. Lo scrivere una pagina eccita e sveglia l'intelligenza assai più che il leggere un libro intiero. Vi è tanto poca gente,che sappia scrivere con un po'di garbo, quanto son pochi coloro, che sanno dire quattro periodi continuati  [2. Dell'attenzione. È avviso dell'autore,che l'attenzione,riguardata non in generale,ma specialeerivolta ad un particolare oggetto,non va raccomandata,nè suscitata o promossa con mezzi esteriori, quali sarebbero il premio od il castigo, poichè in tal caso il fanciullo più che all'oggetto proposto all'osservazione, terrebbe l'animo attento al premio, che lo attrae, od al castigo minacciato. Pongasi mente , che esso non è atto a sostenere un'atten zione prolungata e non mai interrotta;perciò non pretendete, che anche trattandosi d'un argomento, che possa interessarlo, vi presti la sua attenzione in qualunque ora e luogo e per tutto il tempo prescritto dai nostri regolamenti scolastici. La novità è pure una potente attrattiva per l'attenzione, m a per ciò stesso non va sciupata ripetendo troppo spesso le medesime cose sicchè diventino monotone e stucchevoli.  ]  .  Chi dovrà un giorno fare giustizia e scrivere veramente la storia del pensiero filosofico italiano nell’ultimo secolo, non potrà non dare una gran parte allo spiritualismo: del quale certo uno dei più illustri e combattivi rappresentanti è stato ed è»1. Le parole di Calò attestano una realtà difficilmente discutibile per chi si approcci anche alle vicende della pedagogia italiana nel mezzo secolo successivo all’Unità. Nato a San Germano Vercellese il 14 settembre 1830, Giuseppe Allievo2 compì gli studi secondari al seminario Arcivescovile di VGiuseppe Allievoercelli. Vinta una borsa al Collegio Carlo Alberto di Torino, si iscrisse nella Facoltà di filosofia della Regia Università. Si distinse per la preparazione e l’applicazione negli studi. In un articolo pubblicato sulla«Rassegna Nazionale», Giacomo Cottini riportò una lettera scritta da Aporti che comunicava al giovane Allievo la vincita di un premio che ammontava a trecento lire per i suoi meriti universitari3, segno premuni tore di una carriera accademica di primo piano. Laureato nel 1853, già lo stesso anno fu chiamato alla direzione di una scuola di metodo presso Novara, dove teneva anche il corso di pedagogia. Iniziò così una lunga serie di esperienze educative che lo portarono in diversi centri piemontesi: nel 1854 fu trasferito a Domodossola, poi per due anni ad Ivrea, quindi nel collegio di Ceva e successivamente a Casale Monferrato dal 1858 al 1860. L’anno seguente fu destinato sempre all’insegnamento di filosofia al Regio Liceo di Porta Nuova a Milano, l’attuale Liceo Parini, dove rimase per sei anni. Nel centro lombardo insegnò anche Filosofia teoretica, 1 G. Calò, Giuseppe Allievo Filosofo, in Vita e mente di Giuseppe Allievo, Torino, Scuola Tipografica Salesiana, 1913, p. 13. 2 G. B. Gerini, Gli scrittori pedagogici italiani del secolo decimonono, Torino, Paravia, 1910, pp. 707- 708; P. Braido, Allievo Giuseppe, in Dizionario Enciclopedico di Pedagogia, Torino, S.A.I.E., 1958, vol. I, pp. 59-60; M. P. Biagini, Allievo Giuseppe, in Enciclopedia Pedagogica, Brescia, La Scuola, 1989, vol. I, pp. 377-381.  3 G. Cottini, Giuseppe Allievo, «Rassegna Nazionale», I settembre 1913, p. 66. 22  logica e metafisica, all’Academia Scientifica – Letteraria. Ebbe modo di stringere rapporti con alcune delle personalità di spicco della cultura milanese: Pestalozza, Poli, Cantù, Tullio Dandolo. Continuò a tenere i rapporti con l’università torinese, dove nel 1857 aveva superato l’aggregazione nella Facoltà di lettere e filosofia, con giudizi molto positivi del Mamiani e del Rayneri4. Furono anni di intenso studio e anche segnati dalla sofferenza, dopo la morte di uno dei suoi figli5. Nel 1867 poté tornare a Torino poiché fu nominato insegnante di filosofia al Regio Liceo Cavour e incaricato del corso di pedagogia all’Università, dopo la morte del Rayneri. Continuò ad insegnare nella scuola sino al 1869, quando fu nominato titolare della cattedra di Pedagogia. Divenne ordinario solo nel 1878, ed insegnò ininterrottamente all’Università di Torino sino al 1912. La sua produzione pedagogica fu copiosa. Scrisse più di cento pubblicazioni tra monografie e saggi. Le sue opere più importanti furono: Saggi filosofici (1866), Della pedagogia in Italia dal 1846 al 1866 (1867), L’antropologia e l’hegelismo (1868), L’Hegelismo e la scienza, la vita (1868), L’educazione e la nazionalità (1875), L’educazione e la Scienza (1882), Del positivismo in sé e nell’ordine pedagogico (1883), Delle idee pedagogiche dei Greci (1887), Studi pedagogici (1889), Riforma 4 Cottini riportò un ricordo di Antonio Parato, risalente al giorno Allievo passò il concorso per l’aggregazione a Torino: «Antonino Parato, anch’esso decoro e vanto della scuola pedagogica italiana, disse nella sua Vita Magistrale, che avendo nel giorno stesso della pubblica prova incontrato Giovanni Antonio Rayneri, allora professore di Pedagogia nel Torinese Ateneo, gli venne dal medesimo annunciato con trasporto di gioia che il Collegio Universitario aveva allora allora accolto nel suo seno una sicura speranza della Filosofia italiana» G. Cottini, Giuseppe Allievo, cit., p. 69. 5 Nel suo articoli, Cottini trascrive una lettera di Allievo indirizzata all’abate e professor Bernardo Raineri, rinvenuta dallo studioso e sacerdote Alessandro Roca tra le carte che il Raineri affidò agli archivi dei padri rosminiani. Si tratta di pagine molto significative, scritte poco dopo la morte del figlio Giulio, deceduto all’età di soli dieci anni: «Professore carissimo, Vi sonon grato e riconoscente della vostra lettera consolatoria. La profonda e grave ferita, che mi sta aperta nell’animo, è insanabile, ma pure ringrazio di cuore gli uomini del loro pietoso ufficio. L’immagine del mio povero Giulio mi accompagna dovunque, eppure so che vivo non lo rivedrò mai più sulla terra. La mia mente è con lui nel sepolcro, dove assisto col pensiero alla dissoluzione delle sue povere membra, che si confondono colla polvere della terra e in ogni passo che faccio, mi pare ci sentirmi dire: Padre, perché mi calpesti? Ah, se io avessi la sventura di essere materialista, vedendo che il mio Giulio è tutto finito in un pugno di polvere, non saprei resistere all’idea di rinunciare anch’io alla vita in modo violento. La fede, solo la fede cristiana, mi fa forte nella lotta tremenda, e rassegnato ai duri, eppur sempre adorabili voleri di Dio. La natura mi ha strappato dal seno il mio diletto per convertirmi il corpo in poca polvere; la fede miaddita il suo spirito sempre vivo in cielo e mi assicura che quella poca polvere si rifarà corpo vivo per mantenerla. Non ho voluto che la salma di mio figlio giacesse qui a Milano, dove non si pensa più ai poveri morti: l’ho fatto in quel campestre cimitero, accanto ai sepolcri, dove riposano lacrimate le ossa de’ miei genitori. E vorrei anch’io abbandonare per sempre Milano, ma non posso nulla per me. I molti miei amici vivamente mi solleticano di chiedere la cattedra di pedagogia vacante nell’Università di Torino, e ci andrei volentieri, ma io mi tengo forte nel mio proposito di non chiedere più nulla al Potere. Ieri mi è giunto notizia che è morto un mio fratello ammogliato, lasciando dietro di sé tre creature. E quasi tutto ciò non bastasse , ho il mio ultimo bimbo di quatto anni ammalato da 25 giorni di febbre miliare, in grave pericolo di vita ed ormai disperato dai medici. Sono infelice, ma l’infelicità non è così, quando si è con Dio, il quale ci addolora quaggiù per bearci in cielo. Ricambiate i mieri saluti a quall’anima di Iacopo Bernardi: ditegli che gli sono proprio riconoscente della parte che prese al mio dolore, e voi vogliatemi sempre bene» Ibid., pp. 67-68.  23  dell’educazione mediante la riforma dello Stato (1897), Esame dell’hegelismo (1897), La pedagogia antica e contemporanea (1901), Opuscoli pedagogici (1909), G. G. Rousseau filosofo e pedagogista (1910). Scrisse anche alcuni manuali per le scuole secondarie come il Breve compendio di filosofia elementare ad uso de’ licei (1862), Elementi di pedagogia ad uso delle Scuole normali del Regno (1885) e il Compendio di Etica ad uso dei Licei (1899), con più edizioni e ampiamente adottati nelle scuole italiane. Allievo collaborò attivamente alla pubblicistica pedagogica e filosofica del tempo6. Nel 1867 con Carlo Passaglia fu il principale animatore del «Gerdil», organo dei giobertiani e spiritualisti torinesi, che ebbe però breve durata non riuscendo a superare l’anno. Vi scrissero, tra gli altri, Giovanni Maria Bertini e Francesco Bertinaria. Dal 1868 al 1873, Allievo diresse «Il campo dei filosofi», un periodico fondato a Napoli nel 1863 da Gaetano Milone, poi trasferito a Torino nel 1867. Si tratta di un’esperienza pubblicistica che ebbe una certa rilevanza nel dibattito filosofico e pedagogico italiano, come ha già sottolineato Eugenio Garin7. Vi collaborarono autori come Di Giovanni, Toscano, Morgott, Peyretti, Rayneri, Tagliaferri, Bonatelli, Marsella, Tiberghien, Bosia, 6 Cfr. G. Chiosso (ed.), La stampa pedagogica e scolastica in Italia (1820-1943), Brescia, La Scuola, 1997, pp. 340, 347-348, 378, 398-399, 438, 563-564, 573, 586, 611-612, 705. 7 Dopo aver citato alcuni brani della rivista, Garin osserva: «“Il Campo dei Filosofi Italiani”, la rivista vissuta a Napoli dal 1864 al ’67, e poi passata a Torino (1868-1872) sotto la direzione dell’Allievo, si proponeva di combattere soprattutto “l’idealismo dell’Hegel e il positivismo del Comte” – come scriveva l’Allievo nel programma del ’68, continuando del resto l’attività iniziata a Napoli dal barnabita Gaetano Milone. Oltre i saggi di critica all’hegelismo già citati, altri ve ne comparvero, dell’Allievo nel ’72, del Di Giovanni nel ’64, del Donati nel ’66, del Selvaggi nel ’67, del Tagliaferri nel ’70. E l’attività della rivista in questo settore meriterebbe di essere studiata, tanto più che non è privo d’interesse il legame subito stabilito fra hegelismo e positivismo, quasi gemelli nemici». Dopo aver ricordato la facilità con cui diversi idealisti si «convertirono» al positivismo negli anni seguente all’Unità, Garin spiega questo fenomeno riprendendo e valorizzando l’analisi dell’Allievo che vedeva in queste due teorie apparentemente distanti, un comune denominatore: «Quell’onesto studioso che fu Giuseppe Allievo, professore di antropologia e pedagogia a Torino, che aveva alimentato una vivace ma seria discussione intorno all’hegelismo sul “Campo dei Filosofi Italiani”, che nel ’68 aveva messo insieme un onesto libretto su L’hegelismo, la scienza e la vita, pubblicando quasi trent’anni dopo, nel ’97, a Torino, un Esame dell’hegelianismo, che voleva essere un bilancio, credeva di poter individuare una convergenza profonda fra positivismo e hegelismo. “L’Hegelianismo – scriveva – e il positivismo, che a tutta prima hanno sembianza di due dottrine diametralmente opposte e riluttanti, in realtà sono fra loro congiunti da un punto di contatto intimo e profondo.” Assoluta immanenza, realtà come processo e sviluppo, celebrazione della ‘scienza’ (Wissenschaft): ecco alcuni dei punti su cui insisteva l’Allievo, pur avverso a entrambe le concezioni. Ma comunque si valuti la sua disamina, e al di là dei ‘casi’ degli hegeliani passati al positivismo, una cosa certa l’Allievo coglieva esattamente: l’esistenza di una ‘riforma’ in atto della dialettica del senso dell’evoluzionismo, con tutto quello che una veduta del genere implicava, “in metafisica, in politica, in diritto, in morale, in religione” – per usare le sue parole. Proprio dentro questo processo, già avviato nell’ambito dell’eredità feurbachiana, si muoverà fra tensioni e polemiche Antonio Labriola: contro l’evoluzionismo spenceriano al posto del moto dialettico della storia, contro il socialismo neokantiano-positivistico al posto del marxismo, per una rinnovata filosofia della prassi, ma anche – lo dichiarerà a Engels – per una sostituzione del metodo genetico a quello dialettico, il che non era solo ‘questione di parole’» E. Garin, Tra due secoli. Socialismo e filosofia in Italia dopo l’Unità, Bari, De Donato, 1983, pp. 56-57.  24  Bertini, Polla, Leonardi, Naville, Passaglia e altri. In seguito pubblicò una serie di articoli sulla «Rivista filosofica». Nel 1883, quando era ormai divenuto uno tra i principali protagonisti del dibattito pedagogico nazionale, Allievo assunse la direzione de «Il Baretti»8, un foglio dedicato a questioni scolastiche e pedagogiche, che guidò sino al 1885. Qui vi apparvero perlopiù una serie di articoli utili a lumeggiare le sue posizioni in merito alla libertà d’insegnamento e, più in generale, alla politica ministeriale. Nella sua lunga carriera, Allievo rappresentò una delle personalità di primo piano della pedagogia spiritualista italiana. Le sue opere e il suo pensiero divennero un punto di riferimento per la riflessione e il mondo educativo cattolico9, trovando una considerevole «circolazione pedagogica», per riprendere una categoria riproposta da Prellezo10. La Bertoni Jovine ne parlò come il maggiore esponente del «neospiritualismo»11, sino a considerarlo, esagerando, come la guida della corrente cattolica12. Il ruolo assunto nella discussione pedagogica del tempo è senza dubbio legato alla posizione privilegiata avuta per quasi mezzo secolo in ambito accademico. Va tenuto conto che allora i docenti di pedagogia incardinati nelle Università italiane erano relativamente pochi. Serafini, riprendendo un brano di Cesca, rileva come nel 1890 si contassero solo cinque professori di pedagogia nelle tredici facoltà italiane di Lettere e Filosofia, e di questi solo tre erano gli ordinari13. Allievo era uno di loro, ed insegnava in un Ateneo come quello torinese che oltre ad avere con quello napoletano il primato per il numero di studenti iscritti, rappresentava in quei decenni uno dei poli principali del dibattito pedagogico italiano, sia in campo accademico, che in quello pubblicistico e scolastico. 8 Cfr. G. Chiosso (ed.), La stampa pedagogica e scolastica in Italia (1820-1943), cit., pp. 90-91. 9 G. Chiosso, I giornali scolastici torinesi dopo l’Unità, in Id. (ed.) Scuola e Stampa nell’Italia liberale. Giornali e riviste per l’educazione dall’Unità a fine secolo, cit., p. 17. 10 In uno studio dedicato a Rayneri, a cui ne seguì uno analogo su Allievo, Prellezo invita ad approfondire la capacità di influenza dei pedagogisti più impegnati teoreticamente con la realtà educativa. Egli parla della «necessità di promuovere ricerche puntuali allo scopo di definire limiti e portata dell’incidenza delle dottrine pedagogiche, non solo nell’ambito delle riforme dell’insegnamento pubblico, ma anche, ad esempio, in quello dell’azione educativa dei fondatori e primi membri delle congregazioni religiose dedicate all’insegnamento» J. M. Prellezo, Pensiero pedagogico e politica scolastica. Il caso di G. A. Rayneri (1810- 1867), in «Annali di Storia dell’Educazione e delle Istituzioni scolastiche», n. 1, 1994, Brescia, La Scuola, p. 149. 11 D. Bertoni Jovine, F. Malatesta, Breve storia della scuola italiana, Roma, Editori riuniti, 1961, p. 25. 12 «Il neo spiritualismo dell’Allievo se riuscì a creare una corrente alla quale aderirono studiosi come il Conti e l’Alfani e tutto il gruppo della Rassegna Nazionale non ebbe la capacità intrinseca di operare un capovolgimento della pedagogia e neanche quella di combattere efficacemente il positivismo che, benché debole dal punto di vista speculativo, era portatore di vivissime esigenze socali, sostenute dai partiti democratici» D. Bertoni Jovine, La scuola italiana dal 1870 a nostri giorni, Roma, Editori Riuniti, 1972, p. 63. 13 G. Serafini, L’idea di pedagogia nella cultura italiana dell’Ottocento, Roma, Bulzoni Editore, 1999, p. 83.  25  Riguardo alla «circolarità» di Allievo nella corrente cattolica, merita di essere accennata la collaborazione con i salesiani14. Il docente vercellese poté conoscere presumibilmente l’esperienza educativa della congregazione già negli anni dell’Università, prima come studente della città di Torino, e poi quando divenne professore. Diversi collaboratori di Don Bosco frequentarono infatti l’ateneo subalpino. In seguito, uno dei suoi figli studiò al collegio salesiano di Mirabello. Il docente vercellese si avvicinò sempre più alla congregazione: collaborò nel collegio salesiano di Valsalice, partecipò alle numerose manifestazioni scolastiche e culturali dei salesiani in città15, fece spesso visita in qualità di «esperto» alle scuole del santo piemontese. Alcuni studiosi salesiani hanno parlato di una vera e propria amicizia tra Don Bosco e il pedagogista vercellese16. Un episodio risulta significativo nella ricostruzione di questo rapporto. Quando alla fine degli anni ’70 l’oratorio di Valdocco rischiò di essere chiuso per dei provvedimenti voluti dal Ministro Correnti, Allievo si offrì per cercare di salvare l’istituto. Aiutò don Bosco nella compilazione dell’istanza da inviare al Ministero e si impegnò per inoltrare un ricorso al Consiglio di Stato. Negli anni seguenti mantenne stretti i rapporti con gli altri salesiani più giovani, soprattutto con don Durando, direttore generale degli studi delle scuole salesiani. Il pensiero dello studioso vercellese ispirò anche alcune opere dei primi pedagogisti salesiani17. Prellezo documenta l’influenza della pedagogia di Allievo sulla Storia della pedagogia (1883) di Cerruti e sugli Appunti di pedagogia (1897) di Barberis18. Una certa influenza è anche rilevabile nelle Lezioni di pedagogia di don Vincenzo Cimatti19. In 14 Sul tema si rinvia al documentato e approfondito studio di: J. M. Prellezo, Giuseppe Allievo negli scritti pedagogici salesiani, «Orientamenti pedagogici», n.3, maggio-giugno 1998, pp. 393-419. 15 Proverbio ricorda la presenza dell’Allievo alla seconda rappresentazione del Phasmatonices di Rosini nel 1868. «Le insistenza per la replica furono tali che il sipario si riaprì l’otto giugno: vi accorsero molti torinesi, tra cui il professor G. Allievo, docente di pedagogia alla Università di Torino, il quale “andava per la sala del teatro a trarre innanzi persone ragguardevoli”, mentre negli intervalli venivano eseguite le romanze verdiane di G. Cagliero» G. Proverbio, La scuola di don Bosco e l’insegnamento del latino (1850-1900), in F. Traniello (ed.), Don Bosco nella storia della cultura popolare, Torino, Sei, 1987, p. 172. 16 Trat tando del santo piemontese, Braido ha osservato: «reali furono le relazioni, perfino di cordialità e di amicizia, con alcuni teorici della pedagogia contemporanei, come A. Rosmini, G. A. Rayneri, G. Allievo» P. Braido, L’esperienza pedagogica preventiva nel secolo XIX, Don Bosco, in Id. (ed.), Esperienze di Pedagogia cristiana nella storia, cit., p. 313. Si veda anche: J. M. Prellezo, Giuseppe Allievo negli scritti pedagogici salesiani, cit., p. 413. 17 Su tale legame Pietro Braido ha rilevato: «Giannantonio Rayneri e Giuseppe Allievo esercitarono un palese influsso diretto su due note figure di studiosi salesiani di pedagogia, rispettivamente D. Francesco Cerruti e D. Giulio Barberis; gli inediti Appunti di Pedagogia sacra di quest’ultimo rivelano un’evidente dipendenza. Allievo, benefattore e sostenitore di Don Bosco, si batté strenuamente per la sopravvivenza delle scuole di Valdocco, mettendo a disposizione, in difesa della libertà educativa, la sua energica contrarietà al centralismo burocratico del Ministero della P.I.» in P. Braido, L’esperienza pedagogica preventiva nel secolo XIX, Don Bosco, in Id. (ed.), Esperienze di Pedagogia cristiana nella storia, cit., p. 313. 18 J. M. Prellezo, Giuseppe Allievo negli scritti pedagogici salesiani, cit., pp. 406-412. 19 Ibid., p. 413.  26  verità, anche altri manuali pedagogici del tempo si ispirarono alla riflessione dell’Allievo20. Se l’opera del vercellese fu accolta subito con favore dal circuito cattolico liberale e da quello salesiano, il gruppo intransigente non sembrò accorgersi del suo contributo. Solo all’inizio del Novecento, quando la dialettica interna nel mondo cattolico assunse toni meno aspri, anche «La Civiltà cattolica» lo menzionò per le sue posizioni a favore della libertà d’insegnamento21. Sebbene l’opera di Allievo mantenne una dimensione prevalentemente nazionale, egli attirò l’attenzione di alcuni studiosi stranieri come Naville, Daguet, Blum. Dopo una lunga esistenza spesa interamente alle riflessione educativa si spense a Torino il 24 giugno 1913. I. 1. Influenze rosminiane e dimensione europea Alla costruzione del sistema pedagogico e filosofico dell’Allievo, contribuirono molteplici scuole e sollecitazioni. Gran parte degli studi dedicati al pedagogista vercellese hanno rilevato un’«evidente traccia della riflessione rosminiana»22, come già aveva sottolineato nelle sue ricerche Gentile23. Per cogliere le ragioni di tale influenza, occorre in primo luogo considerare il peso del rosminianesimo nella cultura pedagogica e filosofica piemontese della prima metà dell’Ottocento. L’Ateneo torinese rappresentò con i seminari lombardi uno dei maggiori centri di influenza e propagazione della filosofia del roveretano24. Si tratta di un afflato radicato, che si conservò ancora a lungo nella cultura subalpina25. Allievo trascorse, pertanto, gli anni della sua formazione universitaria in un contesto permeato dal pensiero rosminiano. Diversi dei suoi professori erano discepoli rigorosi del roveretano. Grazie ad un suo docente, Allievo poté avere un primo contatto con Rosmini: Pier Antonio Corte inviò al pensatore roveretano un breve scritto dello studente vercellese per averne un parere. Poco tempo dopo, Rosmini rispose all’invito del professore e 20 Tra gli altri, Arcomano, sottolinea come il saggio di Costanzo Malacarne, Sunti di pedagogia, un classico della manualitstica pedagogica del tempo, appaia fortemente influenzato dalla pedagogia di Allievo. Cfr. A. Arcomano, Pedagogia, istruzione ed educazione in Italia (1860-1873), cit., p. 118. 21 G. Chiosso, Editoria e stampa scolastica tra otto e novecento, in L. Pazzaglia (ed.), Cattolici, educazione e trasformazioni socio – culturali in Italia tra Otto e Novecento, cit., p. 505. 22 G. Chiosso, Novecento pedagogico, Brescia, La Scuola, 2012, p. 151. 23 G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia. I platonici, Messina, Principato, 1917, pp. 363-376. 24 Cfr. A. Gambaro, Antonio Rosmini nella cultura del suo tempo, «Il Saggiatore», n.2, 1955, pp. 143- 157; F. Traniello, Cattolicesimo conciliarista, cit., p. 74. 25 Si veda: Antonio Rosmini e il Piemonte. Studi e Testimonianze, Stresa, Edizioni rosminiane, 1994. 27   apprezzò il lavoro pur sottolineando i limiti dello scritto di Allievo, allora solo ventiduenne26. Pochi anni dopo, nel 1854, il pedagogista vercellese ebbe anche l’occasione di conoscere personalmente il Rosmini, poichè allora dirigeva un corso di Metodica a Domodossola, frequentato da alcuni allievi dell’Istituto di Carità. Del roveretano ebbe una impressione eccezionale. Ricordando quella circostanza, ne parlò come di una persona dotata di una «modestia pari alla sua grandezza»27, ma anche di una profonda serenità, probabilmente legata, in quel periodo, al recente Dimmitantur per le sue opere. Il legame con il rosminianesimo fu corroborato da Giovanni Antonio Rayneri, da cui Allievo ereditò la cattedra all’Università di Torino. Professore e sacerdote, il Rayneri rappresentò un protagonista nel fermento educativo e pedagogico piemontese tra gli anni ’40 e ’50 dell’Ottocento. Il suo sistema pedagogico si innestava sull’impianto filosofico del roveretano, di cui offrì un’organica riproposizione in chiave educativa. L’elaborazione di Rayneri fu di vitale importanza per la circolazione della pedagogia rosminiana28. La lezione del suo predecessore rimase un costante punto di riferimento per l’Allievo. Lo studioso vercellese curò nel 1869 la pubblicazione postuma del saggio Della pedagogica, una summa in cinque volumi del pensiero del Rayneri, «supplendo il libro e mezzo, che mancava, con pochi appunti rinvenuti fra le carte dell’autore»29. Si tratta di un’opera considerata da Allievo come una delle maggiori confutazioni agli errori della pedagogia moderna30. In una delle sue prime opere più importanti, : L’Hegelismo e la scienza, la vita (1868) si trova una dedica molto significativa al suo maestro31. 26 In una lettera datata 17 febbraio 1852, il Rosmini scrisse al Corte: «La ringrazio d’avermi comunicato lo scritto del signor Giuseppe Allievo. L’ho letto con piacere e confermo pienamente il giudizio favorevole da lei portato e mi congratulo colla R. Università se fa di tali allievi, mi congratulo con Lei e coll’autore del detto scritto, che mi par l’ugna del leone. Quello che può mancare alla proprietà del linguaggio verrà in appresso, essendo cosa che solo s’impara cogli anni... Queste sottili osservazioni però non impediscono che il lavoro favoritomi sia degnissimo di lode» Citata in G. B. Gerini, La mente di Giuseppe Allievo, Torino, Tipografia S. Giuseppe degli artigianelli, 1904, p. 8. 27 G. Allievo, Il concetto pedagogico di Antonio Rosmini, in Per Antonio Rosmini, Milano, Cogliati, 1897, vol. II, p. 523. 28 G. Chiosso, Rosmini e i rosminiani nel dibattito pedagogico e scolastico in Piemonte (1832-1855) in Antonio Rosmini e il Piemonte. Studi e Testimonianze, cit., p. 102. 29 G. Cottini, Giuseppe Allievo, cit., p. 71. 30 Nella commemorazione già citata scrive: «La Pedagogica mi apparisce una spiccata antitesi dell’Emilio di Gian Giacomo Rousseau; in quella tutto è semplice, connesso, lucido, ordinato e preciso: in questo tutto è sconnesso, incoerente, saltuario; il nostro Pedagogista ha la coscienza del suo pensiero, misura i suoi conoscimenti, non trascorre mai gli estremi; il ginevrino scatta fuori con grandi paradossi che colpiscono, con pensieri sublimi, grandi originali, dove la verità è in lotta continua con l’errore; [...] Un’altra idea della vita, un giusto sentimento della natura umana, un vivo ed operoso concetto del dovere, sono questi i principi filosofici, che informano la Pedagogica del RAYNERI, principi diamentralmente opposti a quelli dell’umanismo contemporaneo, che fa dell’uomo Dio a se stesso» G. Allievo, Commemorazione del primo Centenario della nascita di Giovanni Antonio Rayneri, letta in Carmagnola, Asti, Tipografia Popolare Astigiana, 1910, pp. 14-15. 31 La dedica recita: «Alla cara e venerata memoria di Gioanni Antonio Rayneri, Che primo fra gl'italiani tentò elevare all'unità sistematica della scienza la. Pedagogica da lui per un ventennio professata all'Università di Torino questo tenue lavoro con riverenza di discepolo piamente consacro».  28  Nel 1910, il vercellese fu invitato a tenere un discorso in occasione del centenario dalla nascita di Rayneri32. Ormai prossimo alla pensione, ripercorrendo quasi cinquant’anni di insegnamento universitario, ricordò con queste parole il maestro: «Gran parte della mia vita pedagogica sta collegata col nome di lui, essendochè negli anni miei giovanili, sedendo sui banchi dell’Università io ascoltava la sua magistrale parola, e che egli ha illustrato per poco più di un ventennio quella cattedra, che io tengo da quasi mezzo secolo»33. Durante gli anni del suo magistero, Allievo rimase sempre in contatto con gli ambienti rosminiani, collaborando anche ad alcune riviste ad esso legato34. Diversi concetti e posizioni del sistema del vercellese sono chiaramente mutuati dall’alveo rosminiano. Un primo elemento è l’idea della personalità, che Allievo pone al centro della sua pedagogia35. In questo campo, accolse gran parte dell’impianto psicologico e antropologico del roveretano, riproponendo la tripartizione delle facoltà: senso, volontà e intelletto, largamente utilizzate e approfondite dal professore piemontese. Al Rosmini lo legano anche ragioni e argomenti di critica alla filosofia moderna. Al pari del roveretano, ma anche di altri autori spiritualisti, Allievo riunì Kant e i pensatori idealisti sotto la stessa etichetta di «scettici». Un altro elemento riguarda l’unità di filosofia e pedagogia, di cui Allievo si fece araldo di fronte agli eccessi di metodologismo cui erano tentati anche alcuni studiosi cattolici36. All’idea di unità, è collegato un altro concetto rosminiano accolto da Allievo, vale a dire quello del «sintetismo»37, strettamente connesso a quello di «armonia», considerato nodale per comprendere la sua idea di educazione38. Non senza motivo, Berardi riassunse la teoria della personalità dell’Allievo come una «traduzione del sintetismo di origine 32 G. Allievo, Commemorazione del primo Centenario della nascita di Giovanni Antonio Rayneri, letta in Carmagnola, cit. 33 Ibid., p. 4-5. 34 Tra le altre, offrì la sua collaborazione alla rivista La Sapienza, Rivista di filosofia e di Lettere, diretta da don Vincenzo Papa e pubblicata dal 1879 al 1886. Cfr. Antonio Rosmini e il Piemonte. Studi e Testimonianze, cit., p. 65. 35 Giovanni Calò sostenne come, in fondo, «Quella del Rosmini è una pedagogia della personalità» G. Calò, Pedagogia del Risorgimento, Sansoni, Firenze, 1965, p. 679. 36 Commentando un breve intervento dello studioso vercellese sulla pedagogia del Rosmini, Cavallera ho osservato come «l’Allievo individua nel concetto di unità la forza del pensiero pedagogico rosminiano uscendo dai consueti schemi della illustrazione della metodica, ma non va oltre tale precisazione» H. A. Cavallera, Rosmini nella Pedagogia dell’Ottocento, cit., p. 117. 37 Come conferma Mazzantini: «Rimasero sempre per lui fari di orientamento, nella sua vita di studioso, le dottrine ontologiche (già in gioventù manifestateglisi evidenti) della gradualità e del sintetismo degli esseri» C. Mazzantini, I capisaldi del sistema filosofico pedagogico di G. Allievo, «Rivista Pedagogica», n. 10, 1930, p. 702. 38 In merito la Quarello, che ha dato alle stampe uno dei lavori più precisi ed elaborati sull’Allievo, ha osservato: «Nella dottrina pedagogica dell’Allievo la legge fondamentale è dunque l’armonia, legge che necessariamente deriva da quella suprema filosofica: “Il sintetismo universale”» V. Quarello, G. Allievo, studio critico, Lanciano, Carabba, 1936, p. 121.  29  rosminiana»39. Sebbene il vercellese, ad esempio nei Saggi filosofici, sul tema si rifaccia alle opere del Krug, le tracce del discorso rosminiano sono evidenti. Se tali elementi mostrano un chiaro ancoraggio all’opera rosminiana, da una lettura più attenta delle opere di Allievo emerge tuutavia anche una serie di differenze con il roveretano che non permettono di ascrivere in toto l’opera del professore piemontese tra quello del circuito rosminiano vero e proprio, rispetto al quale, al contrario, manifestò l’esplicita intenzione di differenziarsi. Si tratta di una posizione che, secondo uno dei più importanti pedagogisti di scuola rosminiana, poteva tuttavia essere letto in modo positivo40. Già Francesco Paoli, curatore di alcune delle più importanti opere postume del Rosmini e suo ultimo segretario, nel saggio Della scuola di Antonio Rosmini, recentemente ripubblicato, nel disegnare la geografia del rosminianesimo in Italia sottolineava la dissonanza tra l’Allievo e il roveretano41. Questa precisazione di Paoli, peraltro in un libro con toni marcatamente apologetici, denota come tra i seguaci «osservanti» del roveretano, l’Allievo non fosse considerato un rosminiano «ortodosso», nonostante la riconosciuta prossimità. La distanza tra i due pensatori è documentata dal fatto che nelle opere del vercellese i richiami e le influenze dell’opera rosminiana si diradano. La maggior parte dei espliciti riferimenti al roveretano, infatti, si riscontrano nei primi lavori dell’Allievo, in specie nei Saggi filosofici (1866), con chiari rinvii all’ontologia, alla metafisica e alla logica. Ma già in un’opera dell’anno seguente, Della pedagogia in Italia dal 1846 al 1866, il legame con il sistema del roveretano appare più distaccato. In particolare, si coglie un certo ridimensionamento dell’apporto del Rosmini. Delineando l’itinerario della pedagogia italiana del primo Ottocento, sebbene non manchino apprezzamenti positivi, Allievo sottolinea come il vero innovatore della pedagogia italiana fu il Rayneri. Si tratta, senza dubbio, di un’interpretazione impensabile per qualsiasi studioso rosminiano42. 39 R. Berardi, La libertà d’insegnamento in Piemonte 1848-1859 e un saggio storico di G. Allievo, «Quaderni di cultura e storia sociale», febbraio 1953, p. 62. 40 Cottini rileva come: «Circa la discordia fra l’Allievo e il sommo Roveretano, osservò giustamente il mio quondam condiscepolo Prof. Giuseppe Morando, che il dissenso aperto e leale dell’Allievo porge maggiore rilievo alla riverenza sconfinata che questi gli professò, ed all’omaggio, ch’egli gli rese in ogni occasione» G. Cottini, Giuseppe Allievo, cit., p. 67. 41 Scrive il pedagogista di Pergine: «Di presente l’onore della Filosofia e della Pedagogia è sostenuto nell’Università di Torino dal Prof. Giuseppe Allievo, che se non professa del tutto la filosofia del Rosmini, l’accetta in gran parte e la onora colla esemplarità della vita e colle molte gravi sue pubblicazioni pedagogiche» F. Paoli, Della scuola di Antonio Rosmini (a cura di P.P. Ottonello), cit., p. 38. 42 Scrive: «Del Rosmini, per quel che spetta alla pedagogia rigorosamente intesa, non si aveva che il Saggio sull’unità dell’educazione, opuscoletto di poche pagine. I lavori del Tommaseo sono studi serii, monografie peregrine, pensieri, desiderii, come egli stesso li intitola, sono preziosi elementi scientifici, ma un organico sistema di scienza non fanno; egli stesso si tiene in guardia dalla mania de’ sistemi anche in  30  In alcune opere degli anni ’70, quando il sistema dell’Allievo si consolidò, il vercellese si discostò esplicitamente da elementi non secondari della filosofia rosminiana. Nell’opera in cui sistematizza con più rigore le sue teorie ontologiche, vale a dire Il problema della metafisica (1877), si affranca dal roveretano in merito alla dottrina dell’essere. Mentre Rosmini crede che l’oggetto primo della metafisica sia l’essere categorico, astratto e comunissimo, egli lo identifica nella realtà infinita e finita considerate nel loro insieme e nelle «vicendevoli loro attinenze»43. Nello stesso saggio, riconoscendo nel fatto di pensare il primo noto della metafisica, si preoccupa di sottolineare l’assenza di tale idea in Rosmini44. Sempre in campo gnoseologico, Allievo contesta inoltre la teoria secondo cui dall’intuito si arrivi alla visione dell’essere ideale universalissimo. Stando al pedagogista vercellese, l’intuito percepisce la realtà confusa ed indeterminata45, opponendosi così ad uno degli elementi caratterizzanti la gnoseologia del roveretano, oltre che oggetto di aspre contese con la filosofia neoscolastica. Pare ancora più netta la posizione esposta negli Studi psicofisiologici in merito alla psicologia e al rapporto tra anima e corpo: «In che ripone il Rosmini l’essenza dell’anima umana? È assai malagevole impresa il cogliere su questo punto della psicologia capitalissimo il suo pensiero; tanto parmi intricato, inconsistente, incerto!»46. E poi motiva: «Il concetto psicologico del Rosmini oscilla incerto tra questi tre pronunciati: 1° l’anima umana è sentimento dell’Io e niente di più: il sentire animale sta all’infuori di essa, ossia non è contenuto nella sua essenza; 2° l’anima possiede di fatto, siccome suoi essenziali costitutivi, il principio sensitivo animale ed il principio intellettivo; 3° il principio sensitivo è virtualmente contenuto nelle intellettivo»47. Contrario a tali posizioni considerate equivoche, proporrà un duo dinamismo coordinato su cui avremo modo di trattare in seguito. La valenza delle critiche mosse al pensatore roveretano dall’Allievo, è confermata dalle dure repliche di alcuni dei più «fedeli» epigoni di Rosmini. A questo proposito, sono molto significativi due scritti di Pietro De Nardi, rosminiano ortodosso, che stampò due severi pamphlet contro l’Allievo. pedagogia, e crede che addestrando in maniera variata il pensiero si serva , meglio che con severe teoriche, all’unità dell’idea. Il Rayneri seppe far tesoro de’ profondi e svariati lavori parziali de’ pedagogisti, che lo precedettero, coll’intendimento di ricondurli all’unità della scienza» G. Allievo, La pedagogia italiana antica e contemporanea, Torino, Tipografia Subalpina di Stefano Marino, 1901, pp. 148-149. 43 G. Allievo, Il problema metafisico studiato nella storia della filosofia dalla scuola ionica a Giordano Bruno, Torino, Stamperia reale, 1877, pp. 35, 46. 44 Ibid., p. 47. 45 G. Allievo, L’uomo e il cosmo, Torino, Tipografia Subalpina, 1891, p. 298. 46 G. Allievo, Studi psicofisiologici, Torino, Tip. del Collegio degli artigianelli, 1911, p. 60; 47 Ibid., 62;  31  Nel 1883, pubblicò La teorica rosminiana dello sviluppo graduato della ragione umana difesa da P. De Nardi contro la traccia di contradditoria che ad essa ha dato G. Allievo. In questo saggio lo studioso rosminiano considerava «gravissima nella sostanza»48 la critica mossa da Allievo riguardo lo sviluppo della mente nell’opera del roveretano, esposta ne Il positivismo in sé e nell’ordine pedagogico. L’anno seguente De Nardi pubblicò Due sillogismi di Giuseppe Allievo contro la percezione intellettiva come viene percepita da A. Rosmini49, nel quale contestava al pedagogista vercellese prima il merito di un appunto sulla filosofia del roveretano riguardanti i rapporti tra l’anima sensitiva e intellettiva, e poi criticò un presunto pensiero del vercellese secondo il quale «oggetti» di natura diversa non possano comunicare fra loro. Una prima risposta alle accuse del De Nardi appare ne L’uomo e il cosmo (1891), dove Allievo confuta i pamphlet e una recensione apparsa su Il Rosmini del marzo 1887, sostenendo che fossero state travisate le sue parole. Dopo aver mostrato l’infondatezza delle critiche fattegli, muove una critica molto significativa a certi epigoni del Rosmini i quali «s’immaginano, che il sistema rosminiano sia tutto quanto verità esso solo, sicché chiunque osa muovergli qualche appunto, bisogna dire che cammina nella via dell’errore»50. Per lumeggiare più chiaramente il rapporto tra Allievo e Rosmini, è inoltre indispensabile citare i due testi in cui l’Allievo trattò specificatamente dell’opera del roveretano: il brevissimo saggio, Il concetto pedagogico di A. Rosmini51 e il più sostanzioso articolo dal titolo Antonio Rosmini uscito prima nella rivista universitaria «Studium», e poi pubblicato nel 191252. Il primo lavoro, seppure breve, appare tuttavia molto significativo. Tale saggio fa parte del già citato Per Antonio Rosmini, un’opera che raccolse in due volumi gli interventi al congresso commemorativo per il centenario dalla nascita del filosofo, organizzato dall’Accademia degli Agiati di Rovereto nel Maggio del 1897. 48 P. De Nardi, La teorica rosminiana dello Sviluppo Generale della Ragione umana difesa da Pietro De Nardi contro la taccia di contradditoria che ad essa ha dato Giuseppe Allievo, professore all’Università di Torino, Intra, Bertolotti, 1883, p. 3. 49 P. De Nardi, Due sillogismi di Giuseppe Allievo, Professore all’Università di Torino, contro la percezione intellettiva come viene concepita da Antonio Rosmini esaminati da Pietro De Nardi, Professore di Filosofia nel Collegio Internazionale Italiano di Torino, con appendice del medesimo in risposta a T. Mamiani, Modena, Vincenzi, 1884. 50 G. Allievo, L’uomo e il cosmo, cit., pp. 417-418. 51 G. Allievo, Il concetto pedagogico di Antonio Rosmini, in Per Antonio Rosmini, cit., vol. II, pp. 521- 523.  52 G. Allievo, Antonio Rosmini, Pavia, Tipografia Fratelli Fusi, 1912. 32  Nel suo intervento Allievo riconobbe in prima istanza le virtù filosofiche di Rosmini53, attestando l’importanza di lavori come il Saggio sull’unità dell’educazione e Del supremo principio della metodica per lo studio della filosofia e della pedagogia. Tra i principali meriti, individuò l’aver difeso l’idea che l’educazione è vera, efficace e perfetta solo quando è «schiettamente cristiana». Un concetto che, secondo Allievo, intuirono in tanti ma «niuno meglio del Rosmini seppe farla risplendere di quella lucentezza ideale, che scaturisce dalla ragione speculativa»54. Nella stessa sede, tuttavia, Allievo volle sottolineare le differenze tra il suo sistema e quello di Rosmini55. Questa precisazione in un consesso con chiari intenti apologetici a pochi anni dal Post obitum, conferma con limpidità la volontà di Allievo di smarcarsi dalla discendenza rosminiana. Il secondo saggio citato, Antonio Rosmini, è molto più consistente e permette di approfondire le idee di Allievo circa il roveretano. Introducendo il lavoro, fa notare la grande risonanza che ebbe il pensiero di Rosmini, e cita tra i suoi discepoli Tommaseo, Cantù, Sciolla, Berti, Cavour, Bonghi, Pestalozza, Corte, Rayneri. Conduce poi un’analisi particolareggiata dell’opera filosofica e pedagogica del Rosmini, muovendo una serie di critiche e «correzioni» al pensiero del roveretano. Riguardo l’articolazione delle scienze nel sistema del roveretano, parla di un’ambiguità del Rosmini circa il legame tra la psicologia e l’antropologia56. In seguito contesta la seguente definizione di uomo tratta dall’Antropologia di Rosmini: «l’uomo è un soggetto animale, dotato dell’intuizione dell’essere ideale indeterminato e operante secondo l’animalità e l’intelligenza». Allievo trova in questo enunciato un eccessivo risalto per la parte «naturale» dell’uomo. Nel definire la persona, Allievo preferisce mettere l’accento sulla natura spirituale dell’uomo, poiché in esso l’animalità «è subordinata alla spiritualità, che la informa e la governa»57. Tale critica è poi smussata tenendo conto del modo in cui Rosmini affronta e suddivide la scienza antropologica. Riprende inoltre la critica al concetto dell’intuizione primaria dell’uomo dell’essere ideale indeterminato: «Questo - dice Allievo - è un pronunciato fondamentale del sistema di Rosmini, ma è impugnato da molti, e non è una verità dimostrata con tanto rigore, che debba essere accettata da tutti»58. Sempre in campo gnoseologico corregge l’espressione rosminiana di «sentimento corporeo» che secondo 53 «È virtù propria del genio speculativo risalire ai supremi principi dell’essere e del sapere, e nella loro unità comprensiva raccogliere tutto un intero ordine di idee organate da questo sistema» G. Allievo, Il concetto pedagogico di Antonio Rosmini, in Per Antonio Rosmini, cit., vol. II, p. 521. 54 Ibid., vol. II, p. 521. 55 «Ed io, sebbene da lui discorde in alcuni punti delle sue dottrine filosofiche, mando questo mio lavoruccio in attestato della mia scienza sincera e profonda ammirazione verso tant’Uomo» Ibid, vol. II, p. 523. 56 G. Allievo, Antonio Rosmini, cit., p. 8. 57 Ibid., 9-10. 58 Ibid., p. 10.  33  Allievo dovrebbe essere «senso corporeo», e poi aggiunge: «Come pure io non so capire come mai il senso intellettivo, la cui esistenza è innegabile, possa essere compreso come parte nel tutto, nella sensitività animale, come fece l’autore»59. Anche in campo pedagogico, fa degli appunti alquanto critici. Trattando dell’unità dell’educazione sostenuta dal Rosmini, lamenta l’assenza di un adeguato approfondimento del concetto di varietà60. Un'altra definizione contestata riguarda il rapporto tra le affezioni casuali e l’ordine interiore. Allievo riporta senza rinvii al testo originale: «si conduca l’uomo ad assimilare il suo spirito all’ordine delle cose fuori di lui, e non si vogliano conformare le cose fuori di lui alle casuali affezioni dello spirito suo». E poi ne prende le distanze, «correggendo» le posizioni del Rosmini»61. Sullo stesso argomento, commentando poco dopo la parte del Saggio sull’unità dell’educazione relativa all’«Unità degli oggetti» sostiene che è «alquanto sconnessa». Allievo fa notare come il Rosmini abbia dedicato molto spazio all’analisi dell’apprendimento e dell’educazione durante l’infanzia, soffermandosi sullo sviluppo delle facoltà del bambino. Il pensatore vercellese, tuttavia, fa notare come un corretto sistema pedagogico debba tener conto dell’intervento educativo, e del fatto che spesso si insegnino cose che il bambino non sa ancora, e che quindi lo studio delle naturali facoltà del bambino non sia sufficiente ma debba essere integrato dai metodi educativi esterni62. Anche se riconosce al Rosmini il contributo sulla libertà d’insegnamento, a dispetto per esempio di un Gioberti giudicato eccessivamente statalista, l’Allievo contesta al Rosmini l’affermazione secondo cui la scuola dovrebbe «guardarsi dallo spirito individuale siccome 59 Ibid., p. 12. 60 «L’autore ripone nell’unità la legge suprema dell’educazione; nel che io non convengo pienamente con lui. L’unità vera, effettiva, feconda non può andare disgiunta dalla varietà, né questa può andare scissa da quella. Unità senza varietà è arida, sterile, priva di moto e di vita; varietà senza unità è sparpagliata, dissipata, che si sciupa nel vuoto. L’uno nel vario, il vario nell’uno, ossia l’armonia è la legge suprema della vita in ogni ordine di cose. Epperò all’umana educazione l’unità e la varietà tornano essenziali amendue ad un modo. Certamente l’autore non esclude, né perde di vista la varietà, giacché riconosce la molteplicità delle dottrine, che si insegnano, e delle potenze, che vanno educate; ma occorreva che avesse in modo esplicito riconosciuta e formulata la varietà accanto all’unità, siccome egualmente necessaria» G. Allievo, Antonio Rosmini, cit., p. 17. 61 «Però in riguardo alla dottrina del Rosmini, a me par giusto l’osservare, che se per una parte sonvi nel nostro spirito affezioni casuali, le quali vanno acconciate e conformate all’ordine oggettivo delle cose fuori di noi, per l’altro anche nell’ordine esteriore vi hanno accidentalità e turbamenti casuali e fortuiti, a cui lo spirito nostro non che adattarsi, deve seguire una reazione, conservando intatta la sua indipendenza. Anche nel nostro spirito esiste un ordine oggettivo posto dalla nostra natura, sicché la formula del Rosmini sembra bisognevole di essere corretta e parmi più conforme a verità l’affermazione che il supremo principio pedagogico dimora nel mantenere in perfetta armonia l’ordine oggettivo dello spirito dell’alunno coll’ordine oggettivo delle cose fuori di lui. S’intende da sé, che quest’armonia importa il riconoscimento di un principio superiore divino, ed inoltre supremo, in cui l’ordine oggettivo esteriore e l’ordine oggettivo interiore hanno il loro centro di unità e la loro cagione efficiente» Ibid., p. 19. 62 «Il Rosmini, intento, alla legge suprema direttiva dell’umano pensiero descrive per filo e per segno i momenti successivi, per cui progredisce e per cui va condotta la mente infantile, il Pestalozzi in iscuola tracciava sulla lavagna a’ suoi fanciulli una proposizione, che di presente essi non comprendevano, ma avrebbero compreso col tempo» Ibid., p. 29.  34  da suo capitale difetto», e osserva: «Questa opinione dell’autore parmi bisognevole di essere ritoccata. Sta bene che l’educazione pubblica non debba tener conto delle singole famiglie e de’ singoli individui, ma se non vuole incorrere nel dispotismo e trasmodare, occorre che essa rispetti mai sempre lo spirito informatore della famiglia e la personalità individuale di ciascun uomo, essendochè lo stato è fatto per le famiglie e per le persone singolari, non questo per quello»63. Oltre alle critiche, emergono anche una serie di considerazioni positive. Allievo considera di vitale importanza il contributo di Rosmini nell’aver mostrato la conciliabilità tra lo spiritualismo e la realtà naturale dell’uomo64, di aver riportato la pedagogia ad un metodo realista65, il richiamo all’armonia come principio educativo, valorizza il tentativo di salvare l’unità della persona, l’idea di sviluppo armonico delle facoltà umane ed elogia il merito di aver unito didattica ed l’educazione. Vivo apprezzamento egli esprime circa il legame tra pensiero e nazionalità. Allievo scrive che «è meritevole di nota il rapporto, che il Rosmini istituisce fra il metodo filosofico e la diversa tempra degli ingegni proprii delle singole nazioni». Lontano da tentazioni sciovinistiche e da forme di autarchia culturale, il vercellese sostenne l’importanza di conservare le tradizioni della filosofia italiana. In questo senso cita la lezione III Del metodo filosofico in cui Rosmini scrive «Il vero metodo è indigeno all’Italia: il carattere dell’ingegno italiano consiste nella chiarezza» e ne sottolinea l’importanza66. Altri autori spiritualisti influenzarono Allievo. Tra questi esercitò un considerevole ascendente il Bertini67, almeno «quello» precedente alla conversione razionalista. Lo studio della sua opera, l’Idea d’una filosofia della vita, rappresentò un momento importante nello sviluppo del pensiero di Allievo. Il pensiero di Bertini lo convinse ad affermare il Primo teologico, vale a dire Dio inteso come potenza, sapienza, amore infinito, il Primo cosmologico e cioè che il creato è l’essere che partecipa della potenza, amore di Dio, e 63 Ibid., p. 21. 64 «Come la sua filosofia è essenzialmente spiritualistica, così il carattere, che informa la sua dottrina pedagogica, è lo spiritualismo, non però lo spiritualismo gretto ed esclusivo, che sacrifica la materia allo spirito, bensì lo spiritualismo largo e comprensivo, che riconosce come parte anch’essa essenziale dell’umano composto l’organismo corporeo, ma lo vuole subordinato all’impero dell’anima razionale» Ibid., p. 41. 65 Trattando del contributo pedagogico e scolastico dell’impostazione rosmininana osserva: «Un secondo punto di capitalissima importanza per la scuola normale è questo: “prima regola del metodo filosofico (scrive l’autore) è che l’osservazione precede il ragionamento”. Questa norma riguarda propriamente il procedimento, che deve tenere il pensiero nella costruzione della scienza» Ibid., p. 32. 66 Ibid., p. 33. 67 Sull’influenza del Bertini sull’Allievo, Virginia Quarello che pubblicò nel 1936 uno dei lavori più completi e attenti sulla filosofia dell’Allievo scrisse: «L’influenza del Bertini sull’Allievo, specie nel campo religioso, è stata fortissima tanto che il pensiero dell’uno non solo si connette, ma perfettamente aderisce a quello dell’altro» V. Quarello, G. Allievo, studio critico, cit., p. 62.  35  quindi il Primo enciclopedico per cui «l’infinito s’intria nel finito»68. Secondo Vidari oltre che il Rosmini, proprio al Bertini, Allievo dovrebbe la fondazione del suo sistema filosofico69. Stretti rapporti ebbe anche con Augusto Conti. Nei Saggi filosofici (1866) riportò tre scritti sull’opera del samminiatese: uno riguardante la Storia della filosofia, una recensione di un libro scritto sul toscano da Pietro Dotti, e un lavoro sui legami tra il pensiero di Naville e quello di Conti, con particolare attenzione alle considerazioni espresse dal filosofo ginevrino nel testo La vie éternelle. Allievo condivide una serie di concetti del Conti, come la critica al principio moderno secondo cui la filosofia nasca dal dubbio e non dalla sorpresa dell’essere70, l’analisi dei criteri della filosofia e il legame con il senso comune, il concetto di errore e di distinzione. Nel commento alla Storia della filosofia si possono riconoscere diverse analogie tra le concezioni dei due pensatori. Del testo citato, Allievo sottolinea diversi elementi positivi: l’idea che la storia della filosofia debba essere un confronto tra le teorie filosofiche e la filosofia perenne, l’importanza attribuita alla biografia e al contesto culturale per cogliere la filosofia, e il criterio «cronologico» con cui il Conti conduce la narrazione della storia della filosofia guidati da cause di relazione e connessione. L’unico appunto mosso dall’Allievo al Conti riguarda la questione degli universali71. Allievo fu anche un buon conoscitore del panorama culturale europeo e dei maggiori pedagogisti e filosofi stranieri. Si tratta di un elemento non così comune tra gli autori della seconda metà dell’Ottocento. Nonostante diffidasse di una certa esterofilia, che contestava 68 G. Calò, Il pensiero filosofico – pedagogico di Giuseppe Allievo, «La Cultura filosofica», n. 5, Sett-Ott. 1910, p. 447. 69 «Movendo dalla formula giobertiana «l’ente crea l’esistente», che non lo soddisfaceva del tutto, e passando attraverso all’Idea di una filosofia della vita del Bertini, che all’ALLIEVO era parsa un’opera provvidenziale per la filosofia italiana dopo i traviamenti a cui l’aveva esposta il Gioberti, Egli si arresta al concetto cristiano – cattolico della creazione, per cui da una parte è Dio infinito creatore libero, dall’altra gli enti finiti e reali che trovano in quella la loro causa prima» G. Vidari, Giuseppe Allievo, Torino, Stamperia Reale Paravia, 1914, p. 6. 70 «Ripudiando il criticismo come propedeutica della filosofia, egli vuole che il conoscere sia fin dalle prime tenuto per vero, e come tale riconosciuto ed esaminato dappoi, e non già posto in problema. La natura umana, perché ragionevole, è nella verità, opperò il conoscere naturale è di per sè evidènte, non già problematico nè bisognevol di prova. In questa evidenza del vero o del conoscere ci ripone il supremo ed intrinseco criterio della filosofia, dal quale fluiscono poi e nel quale si appuntano come criterii secondarii ed estrinseci l'affetto della verità, il senso comune, la tradizione scientifica e la rivelazione» G. Allievo, Saggi filosofici, Milano, Gareffi, 1866, p. 384. 71 Osserva il pedagogista: «Quanto è poi al concetto filosofico del nostro Autore, sebbene mi paja più comprensivo assai e più conforme a verità che non altri parecchi, durerei tuttavia non poca fatica ad accoglierlo come definitivo e perfetto. E veramente (per tacere qui di altri argomenti in contrario ) io non so fare buon viso a quella ontologia scolastiso-wolfiana non ancora abbandonata a' di nostri, che egli pone come parte integrale, anzi sublimissima della filosofia; giacché l'essere astrattissimo e onninamente indeterminato, in cui si vogliono concentrati i sommi universali di essa ontologia, ove si pigli da sè, disgiuntamente da Dio e dalle realtà finite, convertasi in un aereo ed inconsistente fantasma, che mal reggendosi di per sè è quindi impotente ad ammanire un saldo fondamento alla protologia, cardine di tutto il sapere» Ibid., pp. 359-360.  36  soprattutto ai positivisti e agli hegeliani, accolse nel suo sistema diversi elementi di autori stranieri: «Dello spiritualismo tedesco accetta e il sintetismo trascendentale del Krug (l’io riflette sui “fatti della conoscenza” anzi nella coscienza, per l’originaria armonia di pensiero e realtà, ideale e reale si sintetizzano) e in concetto del Krause della personalità ed essenza divina (“l’essere Dio è il principio personale del mondo”) e il suo Panenteismo, conciliante in sintesi sia la ragione con l’esperienza, sia il processo analitico (dall’io e dal finito a Dio) con il processo sintetico (da Dio all’io ed al finito.)»72. Nel Krug apprezzò la capacità di conciliare il realismo con l’idealismo73. Dello studioso riprese nei Saggi filosofici (1866)74 il principio della sintesi a priori, nel tentativo di spiegare l’origine dell’unità tra oggetto e soggetto. Si tratta di un concetto facilmente accostabile all’idea primaria di Rosmini. Allievo raccolse così soprattutto le tesi di quanti cercarono di superare le antinomie dell’idealismo75. Un altro autore molto importante nella biografia intellettuale di Allievo fu Lotze76, il successore di Herbart all’Università di Gottinga. Del filosofo sassone cita i Principes généraux de psychologie physiologique77 che definisce un «lavoro magistrale»78. Allievo lo cita nell’elaborazione della sua psicofisiologia, nel tentativo di sostenere con il suo «duodinamismo coordinato» un approccio che coniugasse gli studi sperimentali con la struttura spirituale della persona. Importante anche il legame con Maine de Biran di cui accoglie le idee circa il legame tra la persona umana e la persona divina, Allievo oltre che il principio de «l’autocoscienza della personalità vivente»79. Spesso citato fu anche Heinrich Pestalozzi. Il pedagogista vercellese fu quasi «devoto» all’esempio e alla pedagogia dell’educatore svizzero. Non senza ragioni Calò lo definì un «pestalozziano». L’unica critica che gli mosse riguardò l’utilizzo del termine «organismo», al quale Allievo preferisce quello di persona. 72 V. Quarello, G. Allievo, studio critico, cit., p. 28. 73 G. Allievo, L’Hegelismo e la scienza, la vita, Milano, Agnelli, 1868, p. 42. 74 G. Allievo, Saggi filosofici, cit., p. 30. 75 «E dirò che, con il Krause e con il Jacobi, proprio lo Stahl fu sempre presente all’Allievo, nella sua opposizione decisa all’idealismo post-Kantiano» V. Quarello, G. Allievo, studio critico, cit., p. 83. 76 A riguardo, la Quarello ha osservato: «Più forte, certamente, fu l’influsso di Lotze specie nel campo psicologico, benché, a mio credere, si possa pure far risalire al Lotze il concetto di Dio come suprema realtà personale, che crea il mondo degli spiriti personali» Ibid., p. 82. 77 H. Lotze Principes généraux de psychologie physiologique, nouvelle edition, traduite de l'allemand par A. Penjon, Paris, Bailliere, 1881. Si  tratta di una traduzione del primo capitolo del testo H. Lotze, Medizinische Psychologie oder Physiologie der Seele, Leipzig, Weidmann’sche bucchandlung, 1852. 78 G. Allievo, Studi psicofisiologici, cit. 79 V. Quarello, G. Allievo, studio critico, cit., p. 29.  37  Altri autori hanno sottolineato il ruolo del vercellese nella ricezione dell’herbartismo in Italia80. Sempre Calò lo giudicò «più herbartiano di quello ch’egli stesso non creda»81, un giudizio che fu in seguito emendato82. L’opera dell’Allievo è anche segnata dall’opera del Naville, a cui lo accomuna la convinzione che alla base della pedagogia ci debba essere l’antropologia e non l’etica come per Herbart o la psicologia scientifica come per molti positivisti. Nella voce sull’Allievo, presente nell’Enciclopedia Filosofica di Sansoni83 e riportata in quella Bompiani84, Pozzo accosta Allievo perfino a Plotino, riprendendo la valutazione del Gentile, sostenendo che il vercellese aveva una concezione teistica di «tipo plotiniano (l’ente uno infinito pone fuori di sé il molteplice e a sé lo richiama) da cui deriva il concetto di armonia dell’universo, come “coesistenza” (o “sintetismo”) di esseri che cooperano sotto l’imperio dell’inesauribile atto di Dio». In sintesi, ci sembra di poter ragionevolmente sostenere che nonostante i diversi apporti e «contaminazioni» con diversi autori, il professore piemontese abbia preferito smarcarsi da discendenze unidirezionali. Più che di Rosmini, di Pestalozzi, di Rayneri, egli si sentiva un rappresentante dello «spiritualismo italiano». Egli considerava questa corrente come la più genuina tradizione nazionale85, oltre che in linea con la più autentica pedagogia e 80 In merito alla crisi del positivismo iniziata già negli anni ’80 dell’Ottocento, Malatesta e la Bertoni Jovine commentarono: «Il Labriola prima, il Fornelli e l’Allievo poi e in ultimo il Credaro, avevano prodotto una svolta molto sensibile negli studi introducendo nella pedagogia i princìpi più validi dell’herbartismo» D. Bertoni Jovine, F. Malatesta, Breve storia della scuola italiana, cit., p. 43. 81 G. Calò, Il pensiero filosofico – pedagogico di Giuseppe Allievo, Prato, Tipografua Carlo Collini, 1910, pp. 34-35. 82 G. Calò, Dottrine e Opere, Lanciano, Carabba, 1932, p. 262. 83 Enciclopedia Filosofica, Firenze, Sansoni, 1967, vol. I, pp. 192-193. 84 Enciclopedia Filosofica, Milano, Bompiani, 2006, vol. I, p. 297. 85 Nel testo già citato Della pedagogia in Italia dal 1846 al 1866 (1867) ripercorre la storia della pedagogia italiana e chiosa: «Le opere pedagogiche chiamate fin qui a rassegna rivelano un carattere comune, che tutte le segna di una medesima impronta: lo spiritualismo. È questo il carattere dominante e tradizionale di tutta la pedagogia italiana da Vittorino da Feltre al Rayneri. Essa riconosce nel perfezionamento dell’uomo la preccelenza del principio spirituale sull’organismo corporeo, l’immortalità personale dello spirito umano e la dipendenza di esso da Dio risguardato come spirito conscio di sé, distinto sostanzialmente dal mondo, causa creatrice e finale di quanto sussiste. Essa considera la nostra temporanea esistenza siccome tirocinio e preludio di una esistenza oltremondana, e conseguentemente vuol preparare il fanciullo alla sua duplice destinazione, vuol educare in lui l’uomo temporaneo che passa quaggiù soffrendo, e lo spirito immortale fatto per una seconda vita. Essa ripudia siccome offensiva della dignità della persona umana la dottrina che vuole il fanciullo esclusivamente allevato per la patria e pel reggimento politico dominante, facendolo così, di essere avente ragione di fine, un semplice mezzo agli arbitrii del Governo e della società. L’ideale dell’uomo perfetto che la natura ha preformato nell’infante, essa lo addita vivente in Cristo, assegnando per iscopo all’opera educativa la virtù cristiana, non la virtù naturale, né la civile, né lo sterile misticismo. Per lei non si da istruzione vera ed efficace senza l’educazione dell’animo; non vera educazione morale senza religiosità; non religiosità vera senza Cristianesimo cattolico, sicché l’educazione ha da abbracciare tutto l’uomo e con tale universalità ed armonia, che i sensi vengano subordinati alla ragione, il corpo allo spirito, la libertà a Dio, la vita temporanea alla oltremondana. Mercé questo carattere dello spiritualismo la pedagogia italiana contemporanea mantiensi fedele alle sue tradizioni secolari e si ricongiunge colla scuola spiritualistica platonica di Firenze, perché discepolo ed amico di Giovanni di Ravenna, il grande scuolaro del Petrarca» G. Allievo, La pedagogia italiana antica e contemporanea, cit., p. 158.  38  filosofia greca86. Allievo era convinto che fosse una tradizione che andasse difesa87, soprattutto dall’idealismo e dal positivismo, considerate teorie di «importazione» aliene allo spirito filosofico italiano. I. 2. Gnoseologia e metafisica I testi in cui Allievo affronta i problemi più specificatamente metafisici e gnoseologici sono i Saggi filosofici (1866), Il problema metafisico studiato nella storia della filosofia dalla scuola Jonica a Giordano Bruno (1877) e Studi antropologici: l’uomo e il cosmo (1891). Non si può affermare che su tali questioni il contributo di Allievo abbia avuto una reale originalità. Lo studioso si è limitato piuttosto alla ricerca di alcune basi teoretiche che gli permettessero di fondare la sua pedagogia su una prospettiva «realistica», com’è stata definita la sua filosofia88. La carenza di approfondimenti è stata oggetto delle critiche di alcuni studiosi dell’Allievo come la Quarello89 e Mazzantini90. Sebbene il contributo di Allievo non abbia apportato novità rilevanti nel discorso gnoseologico e metafisico del tempo, espose comunque il suo pensiero in modo organico e coerente. Egli considera la Metafisica come il momento fondamentale della ricerca filosofica, caratterizzata dall’universalità e dalla trascendenza. La definisce come «scienza del Primitivo»91 o «Scienza de’ supremi principii del sapere e dell’essere»92. Contro gli orientamenti antimetafisici di marca positivista e scettica, considerava l’abrogazione del problema del senso e del «tutto» come un tradimento della filosofia. Essa trovava la sua ragion d’essere in quel mandato della persona umana, che strutturalmente e spontaneamente interroga l’Universo e ne pretende un significato. In questo senso la metafisica collocava la sua origine nel desiderio dell’uomo di «rendersi ragione di questo 86 G. Allievo, Studi pedagogici, Torino, Tipografia Subalpina, 1889, p. 33. 87 Accusato di nazionalismo, Allievo si difese: «Noi siam lontanissimi dall'assumere il nazionalismo per sommo ed infallibil criterio del Vero; che anzi arditamente sosteniamo, che nel principio di nazionalità qual è universalmente ammesso v'è del troppo e del vano assai da tor via, e gli bisogna essere ricondotto entro a più ragionevoli e modesti confini. Noi invece propugniamo l'italiana filosofia non per ciò solo che è italiana, ma primamente e precipuamente perché fondata sulla verità del Teismo cristiano, siccome ripudiamo l'Idealismo di Hegel ed il Positivismo di A. Comte perché disformi entrambi dal Vero, e non già perché l'uno di tedesca, l'altro di francese origine» G. Allievo, L’Hegelismo e la scienza, la vita, cit., p. 14. 88 V. Suraci, Giuseppe Allievo filosofo e pedagogista, «Educare», maggio - giugno 1952, p. 151. 89 V. Quarello, G. Allievo, studio critico, cit., p. 21. 90 C. Mazzantini, Due filosofi spiritualisti piemontesi della seconda metà del sec. XIX, «Archivio di Filosofia, organo del R. Istituto di Studi Filosofici», Roma, 1942, n. 1-2, pp. 35-36. 91 G. Allievo, Saggi filosofici, cit., p. 284. 92 G. Allievo, Il problema metafisico studiato nella storia della filosofia dalla scuola ionica a Giordano Bruno, cit., p. 5.  39  gran tutto, che dicesi universo»93, un’esigenza che non può essere soppressa, pena la negazione dell’identità umana. Sulla scorta del rosminianesimo e di molta filosofia cristiana, Allievo rileva come la crisi della metafisica fu prima inaugurata dal soggettivismo di Cartesio e poi consacrata dal criticismo di Kant. La gnoseologia moderna era soggiogata, a suo giudizio, da un equivoco legato alla volontà di condurre in dubbio il valore veritativo e orientativo dei criteri dell’evidenza e del senso comune insiti nell’uomo. Si tratterebbe di un cortocircuito conoscitivo dai corollari disparati. Se, infatti, da un lato si svaluta la ragione riducendone il dominio (kantismo), dall’altra si arriva a «divinizzare» l’Io (idealismo), attribuendo alla razionalità umane quasi gli stessi attribuiti che i teologi avevano sino ad allora riservato al Creatore. Per superare l’impasse, Allievo sollecitò in coro con il resto degli spiritualisti una correzione radicale della prospettiva. La filosofia non poteva uscire dalla palude dello scetticismo, se non «attestando» e «accettando» dei criteri conoscitivi immanenti all’uomo. Questa soluzione era considerata l’unica possibilità per uscire dall’equivoco gnoseologico moderno. Le sue posizioni gli costarono la critica del Gentile, che nel saggio sulle origini della filosofia contemporanea, inserisce l’Allievo tra i «mistici», cioè tra quei filosofi che continuavano a «credere» nell’esistenza di una realtà «esterna» all’Io pensante. Non potendo «dimostrare» l’esistenza del mondo e spiegare il suo rapporto con lo spirito, secondo Gentile, i realisti accettano in modo fideistico il senso comune. Per questa ragione, ossrvò che quella di Allievo è «una filosofia fondata sul mistero dell’evidenza»94, una critica poi ripresa e approfondita dalla Quarello95. Il sintetismo, cioè un’interpretazione della relazione intima tra l’essere e il pensiero in un’ottica realista, era considerato da Gentile come una soluzione non fondata per motivare la relazione tra la mente e il «supporto» mondo esteriore96. Questa visione armonica dell’essere, è anzi letta da Gentile, nella sua tipica riduzione della storia della filosofia a preambolo di un compiuto Io spirituale, come delle tesi idealiste «mancate». 93 G. Allievo, Il problema metafisico studiato nella storia della filosofia dalla scuola ionica a Giordano Bruno, cit., pp. 2-3. 94 G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia. I platonici, cit., p. 366. 95 V. Quarello, G. Allievo, sudio critico, cit., p. 20. 96 «Il sintetismo dell’Allievo, dunque, non vale più dell’ordine del Conti. Anche per l’Allievo basta il sintetismo ad aprire tutte le porte e svelare tutti gli enimmi. Così il gran problema gnoseologico del rapporto del pensiero con l’essere, per l’Allievo è prima risoluto che formulato. Criticismo o scetticismo? Separazione dell’essere dal pensiero, o identità dell’uno con l’altro? Ma il sintetismo c’insegna che tutto è unito e distinto in natura, e ciascuna forza opera consociata con tutte le altre! Anche il soggetto e l’oggetto vorranno essere insieme connessi, ma non confusi: conciliati in un armonia, che non sia per altro la negazione delle loro differenze» G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia. I platonici, cit., p. 366.  40  Il filosofo siciliano riconobbe in ogni caso nell’Allievo «una certa inquietudine circa la saldezza del suo principio filosofico»97, originata dal confronto con la logica hegeliana, che gli avrebbe «turbato i sonni» nel corso della sua opera. Di fronte alla tesi idealista, Allievo reputava l’accettazione dell’essere come l’atto più consono alla natura razionale dell’uomo98. Si tratta di un’attestazione «misteriosa», ma non per questo irrazionale99. Il primo dato della coscienza è la percezione di un mondo fuori di noi, tale dato si può o accettare o rifiutare, non si può dimostrare. Secondo l’Allievo la filosofia trova il suo fondamento nella constatazione dell’esistenza dell’essere. Il pedagogista sollecita perciò a tornare ad un sano realismo, a ripartire dal mondo delle cose, dal dato semplice della sua esistenza, dal mistero del sé, per giungere solo dopo all’Eterno. Ciò ha conseguenze gnoseologiche importanti, tra le quali il fatto che stando all’Allievo il ruolo iniziale nel ragionamento risiede nell’intuito che si muove verso la comprensione. Nel saggio Il problema metafisico studiato nella storia della filosofia dalla scuola ionica a Giordano Bruno, egli traccia una serie di stadi, o passaggi, con cui si sviluppa un pensiero filosofico compiuto. Un primo livello della riflessione riguarda la constatazione dell’esistenza di un senso comune e di criteri con i quali di norma si valuta e si giudica, in un secondo momento vi è un pensiero critico che si interroga sulla veridicità di quanto pensato, nell’ultimo passaggio il pensiero speculativo indaga e verifica con criteri validi e veritativi. Per l’Allievo, la riflessione speculativa non è la negazione del senso comune, ma ad esso è strettamente legato, poiché i criteri veritativi emergono spontaneamente nella persona, e non sono la costruzione dell’impegno filosofico. Il compito della metafisica è dunque proprio quello di riconoscere la «realtà della vita, pur mentre la spiega e si solleva al di sopra di essa per dominarla dall’alto: essa rispetta le credenze universali del genere umano, conformasi alle esigenze della natura umana, tien conto de’ suoi bisogni, soddisfa le sue imperiose aspirazioni, e non disconosce veruno degli elementi integrali dell’umanità»100. 97 Ibid, p. 368. 98 Osserva a proposito «Nel fatto della cognizione il soggetto e l’oggetto si compenetrano misteriosamente l’un l’altro senza però smettere ciascuno la sua la propria ed individua natura» G. Allievo, Saggi filosofici, cit., p. 14. 99 In un brano molto significativo, quasi replicando a tale obbiezione, Allievo enuclea la sua concezione del mistero: «La ragione ha certamente il diritto di respingere l’assurdo, perché l’assurdo ripugna, ma non ha diritto di respingere il mistero, perché il mistero è una proposizione, di cui si conoscono i singoli termini, che la compongono e non si comprende bene il nesso, che collega il soggetto col predicato. Quindi possiamo affermare che in ogni mistero dogmatico vi è sempre alcunché di conosciuto accessibile alla ragione, come in fondo di ogni verità conosciuta dalla ragione umana vi è sempre alcunché di ignoto, di tenebroso, un’ombra del mistero» G. Allievo, Appunti di Antropologia e Psicologia, Torino, Carlo Clausen, 1906, pp. 33-34. 100 G. Allievo, Il problema metafisico studiato nella storia della filosofia dalla scuola ionica a Giordano Bruno, cit., p. 38.  41  Allievo identifica nel «primo noto», evidente e concreto, la base della sua speculazione metafisica. Si tratta di quanto il vercellese chiama anche Io penso, da cui nasce la constatazione che l’essere esista e che possa essere riconosciuto nella sua realtà e verità. Sulla relazione tra il pensiero e il reale, si pone in continuità con il concetto di sintetismo esposto da Rosmini. Allievo ammetteva un Universale ontologico assoluto a cui erano subordinati i singoli universali ontologici, attraverso la legge del sintetismo e dell’armonia101. Il suo realismo gli impedisce di ammettere sia tesi che vorrebbero la causa del reale come qualcosa di non reale, sia quelle le forme di spiritualismo che identificano Dio con qualsiasi essere ideale. Secondo Allievo sebbene Dio sia l’origine dell’uomo e di tutte le cose non si identifica con esse. E anche qui applica una delle regole classiche della sua filosofia, il «Distinguere per unire», enunciato già nei primi libri, e posto alla base della sua gnoseologia102. In questo senso, avversa sia l’identificazione del pensiero con l’essere di origine idealista, sia il monismo materialista. La Quarello ha considerato insufficiente la spiegazione della relazione tra l’Io e il non Io nel pensiero del Vercellese: «Il punto debole del sistema dell’Allievo è proprio qui, in sede gnoseologica, nell’avere, cioè, posto a base della speculazione puramente filosofica l’evidenza dei dati della realtà, nell’avere voluto che il sapere filosofico non fosse che elaborazione del sapere naturale (oggettività della conoscenza) ammettendo poi, senza spiegarla, un’intima “conciliazione” fra ragione ed esperienza»103. E ribadisce «L’Allievo non ci spiega il come dell’atto conoscitivo anche se ampiamente ha tentato di svolgere la sua tesi di una corrispondenza tra pensiero e realtà, tra soggetto ed oggetto, tale da essere considerata una unione stabilita da natura, secondo la legge dell’ordine universale per la quale tutti gli esseri armonizzano in unità una molteplicità di parti e cooperano e sono uniti fra loro, pur rimanendo distinti, sì da formare una totalità armonica»104. I. 3. Il principio della personalità 101 Suraci spiega con le seguenti parole il «percorso» che va dal primo nota alla vera conoscenza: «L’Allievo nota che il pensiero, nel suo movimento dialettico, descrive un circolo non vizioso, ma solido per cui dall’uno gnoseologico, l’universale oggetto dell’intuito primitivo, si passa al molteplice della cognizione determinata, distinta, oggetto della riflessione: dal molteplice si passa poi alla visione comprensiva delle cose e quindi alla visione mentale dell’Uno ideale. Dialetticamente la mente umana, secondo l’Allevo, non fa che “discorrere dalla cognizione intuitiva o virtuale dell’Uno gnoseologico alla cognizione riflessa o attuale del suo molteplice ideale, e dalla cognizione attuale del molteplice ideale alla cognizione attuale dell’Uno gnoseologico”. Questa formula del movimento del pensiero somiglia molto da vicino a quella enunciata dal Rosmini nel n. 701 della sua Logica, al quale l’Allievo si attiene, citandolo spesso nel corso di questi “Saggi” e, potremo dire, in tutte le sue Opere» V. Suraci, Giuseppe Allievo filosofo e pedagogista, cit., p. 158. 102 G. Allievo, Saggi filosofici, cit., p. 3. 103 V. Quarello, G. Allievo, studio critico, cit., p. 21. 104 Ibid., p. 23.  42  Il 18 novembre 1903 Giuseppe Allievo lesse all’Università di Torino una prolusione dal titolo, Il ritorno al principio della personalità105. In quella occasione, ripercorse l’itinerario delle sue opere identificando in questo concetto il punto cardine di tutto il suo pensiero106. Questa considerazione fu poi ribadita qualche anno dopo nella prefazione degli Opuscoli pedagogici107. Oltre a riprendere il contenuto di questo principio e a mettere in luce la rilevanza nell’economia del suo pensiero, diversi autori hanno considerato l’elaborazione del principio della personalità come il più importante contributo di Allievo alla storia del pensiero pedagogico e filosofico108. Calò ne ha ricordato la valenza pedagogica, osservando come «nessuno con tanta consapevolezza e chiarezza aveva prima di lui messo in luce quel principio e mostratane la fecondità e illuminatane vivamente tutta quanta l’opera educativa»109. Con questo principio, Allievo affronta la più profonda questione antropologica, vale a dire la specificità dell’uomo rispetto al resto della natura. Di fronte alla domanda «chi è l’uomo?» Allievo parla della persona come «una mente informante un organismo corporeo»110. Egli individua due piani strettamente connessi: «nell’uomo la mente ed il corpo sono due sostanze diverse, eppur fatte l’una per l’altra il corpo è animato, l’anima è 105 G. Allievo, Il ritorno al principio della personalità, Prolusione letta all’Università di Torino il 18 novembre 1903, Torino, Tipografia degli Artigianelli, 1904. 106 Citò la prima prolusione letta all’Università nel 1870, in cui già enucleò tale principio. Scrisse: «Questo nuovo concetto, che allora mi era balenato alla mente, fece la sua prima apparizione nella mia Prolusione universitaria del 1870, intitolata appunto Il principio della personalità, base della scienza e della vita. “Questo principio (io scriveva allora) è quel centro ideale, che vale a comporre le antinomie tra le dissidenti scuole filosofiche nel mondo del sapere, ed i dissidi tra gli elementi sociali nel mondo dell’operare, e questi due mondi della scienza e della vita insieme composti solleva ad una unità superiore, che è il punto di contatto e di armonia di entrambi. Enunciando in una breve e chiara formola questo concetto, poniamo che, senza il riconoscimento speculativo e pratico della personalità, non si dà né vera scienza, né vera vita per l’uomo.” Da quel punto questo principio diventò il pensiero dominante della mia mente, il tema perpetuo delle mie meditazioni, lo spirito animatore de’ miei lavori e delle mie lezioni, la mia credenza filosofica rimasta incrollabile e costante in tanto volgere di anni, in mezzo a tante rivolture e volteggiamenti d’ingegni e di dottrine, l’arma della mia critica contro tutte quelle teoriche e quei sistemi che inchiodarono la scienza e la vita sul nudo calvario dei fenomeni sensibili, senza uno spirito che li animi e li illumini» Ibid., p. 4. 107 «Tutti i miei lavori pedagogici, a qualunque punto della umana educazione si riferiscano, sono informati da una idea unica e suprema, il concetto della personalità umana: da esso si vanno logicamente esplicando, in esso si ritrovano il loro principio di armonia, in esso si compongono ad una comprensiva e potente unità» G. Allievo, Opuscoli pedagogici, Torino, Tipografia del Collegio degli Artigianelli, 1909, p. 5. 108 Cannella, che peraltro afferma come il pedagogista piemontese non sia stato «in Italia conosciuto ed apprezzato abbastanza» scrive sul principio di personalità: «Lasciando da parte le sue critiche storiche, acute, precise, e bene spesso pregevolissime, io credo, per esempio, che la sua idea fondamentale pedagogica dell’educazione della personalità meriti molta considerazione e racchiuda in sé il nucleo vero, intorno a cui si deve aggirare una dottrina pedagogica. E così si può dire di molte sue opinioni sui problemi pratici, dove tanta confusione regna oggi, e dove l’Allievo ha già disegnato soluzioni assai giuste» G. Cannella, Opuscoli pedagogici inediti ed editi di Giuseppe Allievo, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», n. 2, 20 aprile 1910, p. 209. 109 G. Calò, Dottrine e Opere, cit., pp. 261-262. 110 G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, Torino, Tipografia Subalpina, 1904, p. 3.  43  incorporata»111. L’uomo è definito «sintesi vivente di un’anima razionale e di un corpo organico, insieme composti ad unità di essere; o meglio ancora è una mente informante un organismo corporeo, prendendo qui il vocabolo mente come sinonimo di spirito, ossia di anima razionale»112. Questo primo antropologico scaturisce dalla sua profonda origine: «Lo spirito umano, ossia la mente sostanziale è persona per essenza, il corpo umano con essa congiunto in unità di essere è personale per derivazione e partecipazione, ossia è della nostra personalità complemento estrinseco, non già principio intrinseco»113. Si tratta di una prospettiva che ha implicazioni teologiche. Trattando di questo principio Mazzantini ha osservato: «non è, dico, d’importanza suprema solo in quanto rivela l’uomo a se stesso, ma in quanto altresì offre un principio supremo interpretativo della realtà universale, compresa la stessa realtà divina»114. Su questo versante, è stato osservato come il principio della personalità sia imprescindibile dal teismo di Allievo115. Per il vercellese, infatti, il concetto di persona trova la sua ragion d’essere e il suo compimento nella relazione con la Persona infinita116. In una radicale e metafisica indagine antropologica, Allievo individuava la questione nodale della scienza pedagogica: «Ora l’idea fra tutte la più comprensiva, la più feconda, la generatrice di tutto il sapere speculativo, è, se io ben veggo, l’idea della personalità. Il moto riformatore della scienza debbe esordire da lei»117. Il destino della pedagogia era legato al rispetto di questo principio, che invece considerava minacciato dalle teorie coeve. Nel saggio già citato Sulla personalità umana, elenca una serie di orientamenti che 111 Ibid., pp. 49-50. 112 G. Allievo, Appunti di Antropologia e Piscologia, cit., p. 3. 113 G. Allievo, L’uomo e il cosmo, cit., p. 78. 114 C. Mazzantini, Due filosofi spiritualisti piemontesi della seconda metà del sec. XIX, cit., p. 33. 115 Ha scritto in merito Suraci: «Il principio “personalistico” serve all'Allievo per affermare senz'altro in sede pedagogica, che, “la personalità finita dell'educatore e quella dell'educando si reggono sulla personalità infinita di Dio, trovano in questa la loro ragione sulla personalità infinita di Dio, trovano in questa la loro ragione di essere la loro causa efficiente”. Ebbene, bisogna porsi da questo punto di vista ontologico ed essenzialmente religioso per intendere a pieno il valore e il vero significato della pedagogia dell'Allievo, nella quale convergono con ricchezza di argomenti e di ampia e, spesso, di esauriente trattazione scientifica, tutti i temi relativi all'essenza e allo svolgimento della natura umana e della educazione dell'uomo. La religiosità, la credenza di Dio e nella immortalità dell'anima, rimane, per il nostro autore, il punto di partenza e di arrivo dell'azione educativa, il cardine essenziale in cui si radica e gira la pedagogia; è luce inoffuscabile che deve rischiare l'idea e il fatto dell'educazione: “l'uomo si muove in Dio, principio della sua vita, fine supremo della sua esistenza”» V. Suraci, Giuseppe Allievo filosofo e pedagogista, cit., p. 9. 116 «La coscienza personale è il primo, fondamentale pronunciato da cui esordisce la scienza. La persona umana sovrasta per eccellenza e nobiltà di natura su tutto il corporeo universo; ma finito qual è sottostà alla personalità infinita divina. Non bisogna mai perdere di vista questa dualità di essere personali, che si richiamano e si corrispondono; poiché, tolta la prima, l’uomo rimane oltraggiato nella sua dignità personale e diventa una cosa; tolta la seconda, si apre il varco al più ignobile egoismo, alla libertà più sfrenata, alla più selvaggia indipendenza . L’uomo riconosce l’esistenza di un essere personale infinito, dacchè egli stesso è una persona finita, e con esso si congiunge con un vincolo d’intelligenza e di amore. Questo vincolo costituisce la religione, la quale forma l’oggetto della disciplina religiosa» G. Allievo, Il ritorno al principio della personalità, Prolusione letta all’Università di Torino il 18 novembre 1903, cit., p. 11.  117 G. Allievo, Sulla personalità umana, Torino, Fina, 1884, p. 4. 44  reputava nocivi a tale principio118. Divide queste teorie in due gruppi. Nel primo inserisce i sistemi che disconoscono la persona nella vita speculativa: il panteismo, il calvinismo, il fatalismo, il materialismo e l’ipermisticismo. Si tratta di teorie accomunate dalla svalutazione dell’apporto dell’individualità nella storia e nella vita. Nel secondo raggruppa gli orientamenti che menomano il ruolo della persona nella vita pratica: il socialismo, la statolatria, il dispotismo del costume. Si tratta di teorie che riducono la persona ad un «mezzo» per il raggiungimento del progresso della società. Nell’ultimo sistema citato, il dispotismo del costume, Allievo si schiera contro certa sociologia «per cui ciascuno vien tratto a conformare il proprio vivere e pensare, al vivere ed al pensare altrui come a norma suprema»119. Oltre alle teorie citate, il pedagogista vercellese denunciava il rischio di ingigantire il ruolo di un aspetto della persona a discapito della sua totalità. Il professore vercellese riconosce questa tendenza in due grandi sistemi che allora si contendevano il campo della filosofia: il positivismo e l’idealismo. Secondo Allievo la mente non è quella degli idealisti, staccata dal corpo e superiore ad esso, ma non è neanche quello dei positivisti e di certi psicologi sperimentali che riducevano il pensiero ad un’espressione materiale. Anche se non si confonde con essa, la vita della mente e dello spirito è intimante connessa con quella carnale120. La loro relazione non deve condurre all’assimilazione di una delle due nature che compongono l’uomo121. Entrambi i livelli sono distinti in una stretta «collaborazione»: «l’essere umano possedendo un corpo organato alla vita materiale non può essere spiegato tutto quanto senza la materia, ma neanco può essere spiegato colla sola materia, dacchè il suo organismo è informato di una sostanza spirituale»122. Sebbene il rapporto tra materia e spirito nell’uomo rimanga un «mistero»123, non è ammissibile assimilare su questo presupposto la persona al resto della natura determinata. Nella vita dell’uomo, infatti, emergono proprietà irriducibili alle dinamiche delle entità 118 Ibid., pp. 54-57. 119 Ibid., p. 57. 120 «L’uomo è siffattamente costituito, che non vi ha parte del suo essere, la quale non viva congiunta coll’universo corporeo esteriore. Sentire, pensare, volere, sono i tre supremi attributi costitutivi dell’umano soggetto; e tutti e tre si svolgono in intima ed operosa corrispondenza colla natura, fuor della quale rimarrebbero atrofizzati» G. Allievo, L’uomo e la natura, Torino, Carlo Clausen, 1906, p. 4. 121 La natura e lo spirito sono uniti «ma sarebbe gravissimo errore il credere, che siffatta unione si converta in una identità, negando così ogni sostanziale distinzione fra l’uno e l’altra, e confondendoli in una comune essenza. La distinzione esiste e non distrugge l’unione. Poiché nel mondo esteriore le sostanze sono corporee, e quindi i fenomeni e le forze sono fisici; nel mondo interiore la sostanza è l’anima, i fenomeni sono psichici, le forze sono facoltà o potenze. Ma il punto più spiccato, che distingue questi due mondi, malgrado la loro cospicua armonia, sta in ciò, che l’anima ha la coscienza de’suoi fenomeni, il dominio delle sue potenze; e questa coscienza di sé, questo dominio di sé manca alla natura» Ibid., p. 6. 122 G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 4.  123 G. Allievo, Studi psicofisiologici, cit., p. 11. 45  fisiche. Come osserva Allievo: «il punto più spiccato che distingue questi due mondi malgrado la loro cospicua armonia, sta in ciò, che l’anima ha la coscienza de’ suoi fenomeni, il dominio delle sue potenze»124. Negando la natura spirituale dell’uomo, la realtà effettiva della persona sfugge alla comprensione: «È un dogma del senso comune ed un pronunciato della sapienza filosofica tradizionale, che l’uomo non è tutto quanto materia organata, come non è neppure uno spirito puro, bensì una sintesi stupenda, un’armonia vivente di questi due distinti principii insieme composti ad unità di persona: ponete che tutto il suo essere si risolva in un composto di molecole organate a vita materiale, e voi non capirete più nulla dei solenni problemi, che agitano la coscienza dell’umanità, più nulla delle sublimi aspirazioni, che fervono indomabili nei penetrati dello spirito umano»125. Per il vercellese, è lo spirito che dà dignità all’uomo, sollevandolo dal resto della natura. La persona esprime il grado sommo dell’essere e lega l’individuo all’eterno. La coscienza dell’esistere colloca la persona in una dimensione irraggiungibile per qualsiasi altro essere della natura. L’esigenza di sottolineare il primato spirituale lo portò il docente piemontese a criticare in una serie di lavori la definizione aristotelica dell’uomo come animale politico126, che reputava ambigua. Data la confusione antropologica coeva, Allievo non reputava conveniente indicare primariamente nell’uomo la natura animale. Si rischiava di avallare le tesi dei materialisti positivisti e di un certo evoluzionismo127, che volevano ridotto l’uomo ad un «bruto», per usare le parole di Allievo128. Il pedagogista avvertiva il rischio di ridurre lo studio della persona, al solo aspetto materiale: «Per conseguente l’antropologia, anziché scienza distinta e superiore, apparirà niente più che una parte della zoologia, parte la più sublime, se vuolsi, ma pur sempre una parte»129. 124 Ibid., p. 15. 125 Ibid., p. 9. 126 G. Allievo, L’uomo e il cosmo, cit., p. 80. 127 Osserva: «La tristissima definizione, l’uomo è animal ragionevole, non solo capovolge l’ordine naturale, che regna tra questi due elementi, ma soppianta ben anco la stessa personalità umana, la quale ha la sua propria sede e radice nella mente imperante sull’organismo corporeo e fornita di una perenne sussistenza, mentre essa pone l’animalità siccome soggetto, di cui la ragionevolezza apparisce un mero e semplice predicato, tantochè venendo meno la prima, cessa issofatto la seconda, né questa può spiegare altra virtù, che non sia compresa nella cerchia di quella»127. In seguito ribadisce che accoppiare «all’animalità la ragionevolezza come ad un soggetto un attributo suo è un disconoscere il primato dello spirito sulla materia e della mente sull’organismo corporeo nell’uomo, ed un aggiudicarlo alla materia sullo spirito, al corporeo organismo sul principio pensante» G. Allievo, Della vecchia e della nuova antropologia di fronte alla società, Genova, Tipografia del R. Istituto dei sordo – muti, 1874, p. 7. 128 «Mentre il bruto opera per impulso irresistibile di cieco istinto, l’uomo opera consapevole di sé e del fine a cui mira, ed è arbitro delle sue azioni. Questa potenza, per cui l’umano soggetto si determina da sé ad operare per un fine conosciuto, è la volontà» G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 46.  129 G. Allievo, Della vecchia e della nuova antropologia di fronte alla società, cit., p. 6. 46  Per riscoprire l’autentica alterità umana, era invece compito dell’antropologia evidenziare nello sviluppo della persona quegli aspetti irriducibili al divenire determinato. Allievo richiama all’osservazione dell’uomo, delle sue facoltà, e della sua azione. Egli afferma che in ogni uomo inizia, prima o dopo, la «vita spirituale» che consiste nella coscienza del sé e del mondo: «Io sono: con questo pronunciamento un essere personale si desta alla vita, annunzia la propria esistenza, afferma se stesso, rivela sé a se medesimo, e specificamente si differenzia dagli esseri impersonali che esistono, pur non sapendo di esistere. Questa coscienza di sé può essere più o meno viva, più o meno ampia e potente, ma è pur sempre necessaria all’io, poiché una incoscienza assoluta ripugna alla natura di un essere intelligente, qual è la persona»130. Nella visione di Allievo, l’affiorare dell’Io, diviene così la prova della natura spirituale della persona: «Il vocabolo io chiude esso solo in sé la più decisiva confutazione del materialismo, essendochè il ripiegarsi che fa l’io sopra di sé ed il riconoscersi siccome sostanzialmente identico nella dualità del soggetto riflettente e dell’oggetto riflettuto è dote propria dello spirito ed affatto ripugnante all’essenza medesima della materia, che è di sua natura impenetrabile, cioè tale da non poter compenetrare interiormente sé stessa e tutta riconcentratasi siccome in semplicissimo punto: chè in tal caso cesserebbe di essere materia»131. L’emergere della individualità personale all’interno del mondo, indica anche lo sviluppo della coscienza alla scoperta della propria esistenza132. L’Io emerge primariamente in due connotati propri, vale a dire l’intelligenza e l’attività volontaria133. In questo senso definisce la persona come «sostanza dotata di intelligenza, mercé cui ha coscienza di sé affermandosi quale unità vivente di vita sua propria distinta dalla realtà esteriore e pur con questa unità, e di attività volontaria, per cui possiede sé stessa e dispiega liberamente la virtualità sua in ordine al fine universale segnato dalla personalità infinita di Dio»134. Questi due attributi sono l’espressione della coscienza, in 130 G. Allievo, Il ritorno al principio della personalità, Prolusione letta all’Università di Torino il 18 novembre 1903, cit., pp. 4-5. 131 G. Allievo, Sulla personalità umana, cit., p. 17. 132 «La coscienza personale è l’io, che rivela sé a se medesimo. Ora quali sono le rivelazioni della coscienza interiore? L’io sente di essere uno od identico con se medesimo, di possedere un’esistenza effettiva e reale, si riconosce e si afferma una sostanza sussistente, attiva, semovente, operosa, che svolge la sua intima virtù in una molteplicità di pensieri, di affetti, di voleri, ed in sé li raccoglie ad unità» G. Allievo, Il ritorno al principio della personalità, Prolusione letta all’Università di Torino il 18 novembre 1903, cit., p. 6. 133 «Lo studio della personalità umana è lo studio dela mente contemplata primariamente in sé medesima, poi nelle attinenze su coll’organismo corporeo. La mente, sede della personalità, emerge da due supremi costitutivi, che sono l’intelligenza conoscitiva e l’attività volontaria» G. Allievo, Sulla personalità umana, cit., p. 16.  134 Ibid., p. 55. 47  cui l’uomo trova la sua indipendenza, alterità e potenza rispetto al resto della natura135. Con altre parole, Allievo osserva: «Dovunque c’è la persona, cioè un soggetto dotato di intelligenza ed attività volontaria, là vi è lo spirito. La persona è una energia, un’attività, una forza, non cieca, ma intelligente e conscia di sé, non fatale e necessitata, ma libera e signora di sé, lo domina e lo trasforma informandolo giusta il suo ideale: ma la materia non conosce né se stessa, né lo spirito, non domina sé medesima, ma è irrepugnabilmente dominata dalle forze, che la investono»136. Nell’uomo, infatti, la volontà è radicata nell’intelligenza137. Solo una prospettiva simile, per Allievo, è capace di comprendere la vita della persona, e salvare la sua unità138. Commentando una parte del celebre libro di Smiles, Self – help, tradotto in Italia con il titolo Chi si aiuta Dio l’aiuta, Allievo scrive che ognuno: «sente di essere un’attività consapevole di sé ed arbitra del proprio operare, una forza morale, che si muove all’atto non per esteriore costringimento, ma per intrinseco impulso intelligente e libero. “Se ciò non fosse (scrive lo Smiles nel capitolo VIII della sua opera Chi si aiuta Dio l’aiuta), dove sarebbe la responsabilità? A che gioverebbe lo insegnare, l’ammonire, il consigliare, il correggere? A che servirebbero le leggi, ove non fosse la credenza universale, come è un fatto universale, che gli uomini obbediscono o no ad esse, secondo che deliberarono individualmente?”»139. 135 «La persona è un tutto individuo e sostanziale, che afferma sé come distinto dalla realtà universa; un soggetto, che possiede sé stesso mercè il pensiero e la volontà; una monade, che è conscia sui et compos sui, è presente a sé ed è tutta in ciascuna delle molteplici sue forme, determinazioni, momenti e stati, sicché il secreto de’ grandi caratteri dimora nel conservare la propria individualità personale in mezzo alle forze contrarie padroneggiandole; una sostanza dispiegantesi per intrinseca sua virtù da un centro o principio supremo di vita suo proprio e che nello esplicamento del suo contenuto compenetra tutta sé stessa in una viva ed attuosa unità di intendere e di volere» Ibid., p. 54. 136 G. Allievo, Lo spirito e la materia nell’universo, l’anima e il corpo nell’uomo, Torino, Carlo Clausen, 1903, p. 15. 137 Secondo Allievo l’attività volontaria è «la fonte secreta, inesauribile, da cui prorompe tutta la corrente della vita umana, ed a cui rifluisce con perpetuo circolar movimento. Il voglio pronunciato dall’io attesta l’atto di una coscienza personale ed annuncia il lavoro. S’intende da sé che questa forza, quest’attività interiore dell’io non è una volontà cieca, inconsapevole di sé, bensì illuminata dall’intelligenza, essendochè chi dice coscienza, dice conoscenza, e propriamente conoscenza di sé» G. Allievo, Il ritorno al principio della personalità, Prolusione letta all’Università di Torino il 18 novembre 1903, cit., p. 8. 138 «La coscienza è la rivelazione dell’anima a sè stessa nella sua natura e ne’ suoi fenomeni, nella sua sostanza e ne’ suoi modi, nella sua essenza e nella sua attività, nel suo essere e nelle sue manifestazioni. Così il concetto della personalità umana, vale a dire di un soggetto sostanziale fornito di intelligenza e di libera volontà, è il solo, che concilii la molteplicità dei fenomeni coll’unità del loro comune soggetto, sicché questi due termini nello sviluppo della vita umana si mantengano indisgiungibili, e si rischiarano l’un l’altro» G. Allievo, Studi psicofisiologici, cit., p. 74. 139 G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 47.  48  L’esistenza nella persona di una unità tra mente e corpo, rappresenta una premessa incontrovertibile su cui dipanare il discorso antropologico e pedagogico140. Negare questa dualità nell’uomo, significherebbe disconoscere un dato di realtà. Stando al pedagogista, la stessa idea di scienza appare contenere implicitamente l’affermazione dell’esistenza della coscienza141. Allievo dedicò ampio spazio al rapporto tra la dimensione spirituale e quella corporale. Com’è già stato osservato, l’uomo è sintesi tra persona e corpo, due nature che si mantengono in una relazione di armonia nell’uomo. In questo senso egli definisce l’uomo come «persona organata»142 o «persona incorporata». Questa relazione, pone il problema di come i due livelli siano coordinati tra loro. Come premessa a questo problema, Allievo scrive che «nell’uomo non vi sono due esseri, ma uno solo; quindi in lui le potenze mentali dell’anima e le funzioni animali del corpo si svolgono complicate insieme, sicché non si può tracciare una linea di separazione tra i fenomeni psichici ed i fisiologici»143. Contro i positivismi chiarisce in più di un’occasione che la vita della mente va distinta da quella materiale. Osserva: «L’anima non trae la sua origine dagli organi del corpo, ma (dicevano i pitagorici) vien dal di fuori nel corpo è un’emanazione dell’etere, simbolo dell’anima universale, ossia di Dio animatore supremo»144. Nel testo Studi psicofisiologici, si occupa in specie della relazione tra la natura spirituale e quella fisiologica, citando diverse opere di studiosi tra cui Marat, Lèlut, Lotze, Cerisem, Cabanis, Broussais ed Herzen. Polemico contro il monismo scientista, propone una teoria chiamata duodinamismo, che spiega in questo modo: «Mentre il monodinamismo concentra la vita umana tutta quanta in una sostanza, cioè o nel solo spirito o nella sola materia componente l’organismo corporeo, il duodinamismo riconosce nell’uomo due centri di vita sostanzialmente distinti, cioè l’anima razionale e la forza vitale, e da quella fa rampollare i fenomeni mentali, da questa i fenomeni fisiologici ed animali»145. La teoria si 140 Per Allievo l’uomo è «La persona, sostanza individua, sussistente in sé, volontariamente attiva; l’unità è l’identità dell’io nella molteplicità e varietà dei suoi modi e dei suoi fenomeni; la vita intima ed individuale intrecciata colla vita esterna e comune; la vita mentale svolgentesi insieme colla vita organica. Ecco le rivelazioni della coscienza personale, rivelazioni, che costituiscono le prime, spontanee intuizioni dello spirito umano, salde, inconcusse, irrepugnabili. Ora da ciascuna di queste rivelazioni la ragione vede spuntare una serie ordinata di problemi, che ammaniscano la materia, su cui la scienza ordisce le sue trame e compie il suo lavoro speculativo» G. Allievo, Il ritorno al principio della personalità, Prolusione letta all’Università di Torino il 18 novembre 1903, cit., p. 10. 141 «Così coscienza e scienza sono i due poli, fra cui si muove il mondo della speculazione: la coscienza ci rivela la personalità dell’essere, ed alla luce di questo principio la ragione costruisce la scienza» Ibid., p. 10. 142 G. Allievo, Della vecchia e della nuova antropologia di fronte alla società, cit., p. 14. 143 G. Allievo, Studi psicofisiologici, cit., p. 26. 144 G. Allievo, Delle idee pedagogiche presso i greci, Cuneo, Tipografia Subalpina di Pietro Oggero e C., 1887, p. 18. 145 G. Allievo, Studi psicofisiologici, cit., p. 69.  49  rifà ad autori come Barthez, Montpellier, Lordat. Essa «concilia insieme la molteplicità della natura umana coll’unità dell’Io individuale. Infatti l’anima razionale non essendo uno spirito puro, ma congiunto colla materia, è essa che informa ed avvia il corpo, è il suo principio ed animatore: così il principio corporeo produce i fenomeni della vita fisica ed animale, ma in grazia della forza vitale ricevuta dall’anima, la quale in tal modo produce direttamente e per se stessa i fenomeni della vita mentale, ed indirettamente, ossia per mezzo del corpo i fenomeni della vita corporea»146. Al naturalismo e al positivismo contestò, come già accennato, la riduzione dell’antropologia a un «capitolo della fisiologia, ad un ramo della zoologia»147. Allievo chiarisce è che non è contrario alla fisiologia, ma al «fisiologismo». Negli Studi pedagogici cita il caso dei fisiologi come Salvatore Tommasi, che sostengono come la disciplina non porti necessariamente al materialismo148. Inoltre osserva come anche alcuni positivisti abbiano ammesso una serie di difficoltà nello spiegare la vita mentale con la sola fisiologia. Per suffragare la sua tesi rinvia al saggio Herzen, Il cervello e l’attività celebrale, nel quale lo studioso riconosce quanto sia ancora lontana la possibilità di chiarire aspetti fondamentali del funzionamento della mente umana. Allievo trae queste conclusioni: «Così i più grandi rappresentanti del positivismo contemporaneo riconoscono l’ignoto, che giace in fondo al problema dell’unione tra la vita fisica e la vita mentale dell’uomo. Certamente la fisiologia moderna co’suoi luminosi ed incontestabili progressi ha sparso molta luce su questo problema, ma non ha svelato il mistero che lo avvolge»149. Allievo si poneva come obiettivo di salvare insieme le esigenze spirituali e i dati fisiologici. Osserva: «Il principio antropologico da me propugnato è antico quanto l’uomo, il quale intuisce per natura la personalità del suo essere, ma è pur fecondo di novità e di progressivo sviluppamento, perché ammette insieme armonizzati i due supremi fattori della scienza, voglio dire l’esperienza, che apprende la fenomenalità delle cose, e la ragione, che coglie il loro essere sostanziale»150. Nel principio della personalità si palesa lo spiritualismo di Allievo, che viene spiegato così dalla Quarello: «Realismo spiritualistico e spiritualismo teistico: tale è la filosofia dell’Allievo. È realismo in quanto il pensiero è l’ “attività” di un essere reale (io = persona); è spiritualismo in quanto la persona è essere uno, sostanziale cosciente di sé (“lo 146 Ibid., p. 72 147 G. Allievo, L’uomo e la natura, cit., pp. 13-14. 148 G. Allievo, Studi pedagogici, cit., pp. 42-43. 149 G. Allievo, Studi psicofisiologici, cit., p. 12. 150 G. Allievo, Il ritorno al principio della personalità, Prolusione letta all’Università di Torino il 18  novembre 1903, cit., p. 14. 50  spiritualismo, egli scrive, proclama la personalità umana”); è teismo in quanto Dio è pensato come persona (“il teismo proclama la personalità infinita di Dio”)»151. Lo spiritualismo dell’Allievo trae alimento dal principio della personalità. Se da una parte, infatti, si afferma una dimensione irriducibile alle dinamiche nell’uomo, e dall’altra l’attestazione di questa «natura» dell’uomo conferma il suo spiritualismo. «Preso nel suo ampio senso – osserva il pedagogista vercellese - lo spiritualismo risiede nell’ammettere l’esistenza di sostanze immateriali, che cioè non cadono sotto i sensi e non hanno le proprietà della materia, quali sono la figura, la grandezza, l’estensione, la divisibilità, il movimento locale, bensì sono fornite di intelligenza e di libera volontà»152. In questa duplice difesa dello spirito e della realtà materiale, sembra di poter affiancare Allievo al personalismo nato in Francia diversi decenni dopo, a cui lo accomunò la volontà di «evitare che la persona umana fosse schiacciata dal materialismo positivistico o assorbita nel vortice del monismo idealistico»153. I. 4. Antropologia e pedagogia Secondo Allievo, la pedagogia deve fare i conti con la realtà educativa e le sue dinamiche154. La riflessione teorica e la vita formativa rappresentano due poli indispensabili l’uno all’altro155. Allievo prospetta, in questo senso, un metodo di ricerca pedagogico sia empirico che razionale. Egli lo definisce «dialettico» in quanto «contempera insieme l’esperienza e la ragione, i fatti e i principi»156. La storia della pedagogia documenta come qualsiasi riflessione sistematica sull’educazione, abbia sempre fondato le sue posizioni su una concezione dell’uomo e del suo ideale. Anche per Allievo, l’antropologia come «scienza dell’essere umano»157 si 151 V. Quarello, G. Allievo, Studio critico, cit., p. 79. 152 G. Allievo, Appunti di Antropologia e Psicologia, cit., p. 8. 153 Pedagogie personalistiche e/o della Pedagogie della persona, Brescia, La Scuola, 1994, p. 15. 154 «Siccome l’educazione è ad un tempo un’idea ed un fatto, così la Pedagogia, che ne rampolla, assume il duplice carattere di scienza e di arte. Essa è scienza perché l’esplicazione razionale di quell’idea; è arte, perché ideale tipico di quel fatto. Come scienza è un sistema di cognizioni, una teoria speculativa intorno l’educazione umana, epperò potrebbe appellarsi pedagogia pratica» G. Allievo, Studi pedagogici, cit., 1889, p. 25. 155 «Così la scienza pedagogica è la teoria dell’educazione, l’arte pedagogica è la pratica dell’educazione; scienza ed arte, teoria e pratica bisognevoli l’una dell’altra. Poiché la mera pratica dell’educazione, non illuminata dalla scienza pedagogica, non è vera arte, bensì cieco empirismo; la scienza pedagogica alla sua volta, non tradotta in pratica, né fecondata dal magistero dell’arte, rimane una vana e sterile teoria» G. Allievo, Concetto generale della storia della pedagogia, Pavia, Bizzoni, 1901, p. 2. 156 G. Allievo, Studi pedagogici, cit., p. 55. 157 G. Allievo, L’uomo e il cosmo, cit., p. 1.  51  prospetta come uno studio di fondamentale importanza tanto per la teoria quanto per la pratica educativa158. Allievo colloca l’antropologia al centro dell’organigramma di tutte le scienze. Egli individua il suo obiettivo nella conoscenza dell’essenza unitaria della persona159. L’Allievo non pensa all’antropologia come ad una etnografia, ma come «scienza generale sull’uomo» connotata da un orizzonte metafisico. Dallo studio generale sull’uomo, discendono due gruppi di discipline, quelle che lo studiano nella sua accezione individuale, e quante ne approfondiscono l’aspetto sociale160. Le scienze che studiano l’uomo sotto l’aspetto individuale si dividono a loro volta in altri due gruppi. Del primo fanno parte tutte le discipline che si occupano della mente: logica, estetica, etica, eudemonologia, filologia, pedagogia. Al secondo gruppo afferiscono le scienze che riguardano l’organismo corporeo: fisiologia, anatomia umana, patologia, terapeutica, igiene, ginnastica. Le scienze che riguardano l’uomo sociale sono secondo l’Allievo la politica, la giuridica, l’economia pubblica colle scienze industriali e commerciali, la storia, l’etnografia, la filosofia della storia. Tutte queste discipline sono legate all’antropologia, che permea e fonda qualsiasi aspetto dello scibile umano. Secondo Allievo, la prospettiva sulla natura e il senso della persona, permea le possibili soluzioni avanzate riguardo la vita della società, le sue leggi, le sue prospettive, il suo sviluppo. Osserva: «Ogni problema sociale, vuoi politico, vuoi artistico, vuoi religioso, cova in sé un problema antropologico»161. Questa relazione è ancora più evidente per quanto concerne la scienza pedagogica, con la quale l’antropologia ha un «vincolo indissolubile»162. Lo studioso piemontese, infatti, pur riconoscendo un proprium alla pedagogia nell’affrontare dei problemi fondativi e generali sull’educazione, considerava necessario il contributo delle altre scienze, indispensabili per completare e integrare la ricerca pedagogica163. Tra queste primeggia l’antropologia filosofica poiché necessaria per chiarire 158 «L’educazione dell’uomo presuppone la conoscenza dell’uomo stesso, epperò la pedagogia o scienza dell’educare e la didattica o scienza dell’istruire, hanno il loro fondamento nell’antropologia, o scienza che studia l’essere umano» G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 3. 159 Allievo sostiene che l’antropologia studia «l’uomo nella sua intima e generalissima essenza, ossia nell’integrità e pienezza complessiva del suo essere» G. Allievo, Studi psicofisiologici, cit., p. 6. 160 Cfr. G. Allievo, Appunti di Antropologia e Psicologia, cit., p. 8. 161 G. Allievo, Della vecchia e della nuova antropologia di fronte alla società, cit., p. 4. 162 G. Allievo, Studi pedagogici, cit., p. 39. 163 Nel seguente brano elenca le discipline ausiliarie alla pedagogia, che sono: «1° L’antropologia generale, che studia l’uomo nella dualità di anima e di corpo e nella unità della sua persona; 2° la psicologia, che studia l’anima umana nelle proprietà della sua natura e nella varietà delle sue potenze; 3° la logica riguardata siccome la teorica della verità e della scienza; 4° l’etica, che studia il Buono, norma ed oggetto della libertà morale umana; 5° la cosmologia, che è una spiegazione scientifica del mondo; 6° la metafisica,  52  la natura e il fine dell’educando, e quindi dell’educazione. Nonostante i diversi ambiti di ricerca «tra l’antropologia e la pedagogia intercedono le due fondamentali attinenze della distinzione e dell’unione»164. Se il principio della personalità è il fulcro dell’opera di Giuseppe Allievo, l’antropologia è il centro della pedagogia. Non a caso, quando il professore vercellese sostituì Rayneri sulla cattedra di pedagogia all’Università di Torino, cambiò il nome dell’insegnamento da «Metodica» in «Antropologia e Pedagogia». Il carattere di ciascun sistema pedagogico dipende dalla prospettiva antropologica: «le diverse e contrarie teorie pedagogiche professate dai cultori di questa disciplina traggono appunto la loro ragione e origine dai diversi e contrari concetti antropologici, da cui essi hanno preso le mosse, e su cui hanno costrutto il sistema»165. Per capire e pensare l’educazione occorre una chiara idea su cosa sia l’uomo, se ci sia e quale debba essere il suo compito nel mondo: «Ogni dottrina pedagogica ritrae dai principi antropologici su cui si regge, la virtù peculiare, che la informa, e lo stampo singolare, che la individua»166 . Non si possono slegare questi due aspetti nella riflessione: «L’uomo e la sua educazione sono due termini insieme compenetrati, come un principio e la conseguenza sua, e che li disgiunge, è mente piccina che né l’uno, né l’altra intende. L’uomo spiega se stesso nell’educazione e l’educazione riflette se stessa nell’uomo; e sempre il concetto antropologico ed il concetto pedagogico serbano l’uno coll’altro rispondenza esatta o veri o fallaci che siano entrambi»167. La correlazione è necessaria. In un altro brano chiarisce gli scopi delle due discipline: «La distinzione delle singole scienze origina dalla distinzione dei loro oggetti: l’una non è l’altra, perché versa sopra un oggetto suo proprio, che non è quello dell’altra. Per conseguente la scienza antropologica dalla pedagogica si differenzia essendochè quella ha per oggetto suo l’essere umano, questa l’educazione umana, l’una studia l’uomo nell’integrità e compitezza dell’esser suo, l’altra sotto il peculiare riguardo della sua educabilità; la prima si propone di rispondere alla domanda: Che cosa è l’uomo; la seconda ha per ufficio di soddisfare all’inchiesta: Che l’educazione e come l’uomo va educato. Ecco il rapporto di distinzione, ma da questo stesso già si rileva il vincolo unitivo, che stringe l’una all’altra le due discipline, essendochè l’uomo e la educazione sua sono due termini inseparabili. La pedagogia ha coll’antropologia un vincolo così intimo e necessario, che trova in questa il fondamento e che studia l’Essere primitivo in sé e ne’ suoi rapporti col mondo e coll’uomo» G. Allievo, Del positivismo in sé e nell’ordine pedagogico, Torino,Tipografia Subalpina di Stefano Marino, 1883, p. 246. 164 G. Allievo, Attinenze tra l’antropologia e la pedagogia, «Rivista Pedagogica Italiana», Asti, 1897, vol. I, p. 308. 165 Ibid., p. 310. 166 G. Allievo, Delle idee pedagogiche presso i greci, cit., p. 31. 167 G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., 1909, p. 10.  53  la ragion sua ed in ogni punto del suo processo si regge sui principii supremi della scienza antropologica»168. Per fare pedagogia occorre dunque possedere una «conoscenza scientifica dell’origine, della natura, del fine dell’uomo»169. Bisogna tenere conto del fatto che nella temperie culturale in cui Allievo sosteneva queste posizioni, porre l’antropologia filosofica a fondamento della pedagogia, non era un’ovvietà, soprattutto quando essa era collocata entro un contesto metafisico. Porre il baricentro del discorso pedagogico sulla questione antropologica, era considerato da Allievo come la risposta emergente ad una problematica educativa reale. Si trattava di un problema radicale che faceva da discriminante tra le varie teorie. Le risposte alla questione circa la natura dell’uomo, non erano infatti da considerare secondarie per la qualità della relazione pedagogica: «Educare è sviluppare le virtù insite dell’uomo fanciullo. Ma che cosa e quale è mai l’uomo che si vuol educare? Forse l’uomo di Molescott, un mero giuoco di elementi chimici colla predominanza del fosforo pensiero, e niente più? O l’uomo-scimmia de’ moderni naturalisti? O l’uomo de’ panteisti tedeschi fatto una cosa sola con Dio? O l’uomo de’ razionalisti trasformato in libero pensiero? O l’uomo de’ mistici che lo spiritualeggiano per intero, mentre i materialisti lo abbruttiscono?»170. Per l’Allievo, si trattava di domande impellenti. La pedagogia esigeva nuova chiarezza sull’idea di persona: «Oggi più che mai essa reclama un supremo principio vitale, che risponda al suo altissimo compito, ricomponga ad unità di organismo potente la sua squilibrata compagine e le additi l’ideale suo, verso cui cammina franca e sicura»171. Secondo il pedagogista, la domanda circa la natura dell’uomo non poteva essere affrontata con gli strumenti epistemologici delle scienze esatte, incapaci di cogliere l’essenza della persona. Tale compito spetta alla filosofia, che diviene la prima interlocutrice della pedagogia. In più di una occasione chiarì che la sua era una «pedagogia filosofica»172 poiché si «fonda sopra un principio essenzialmente vero ed inconcusso, quale è quello della natura umana riposta nella personalità dell’io, e nel suo procedimento adopera non la sola esperienza disgiunta dalla ragione, né la sola ragione astratta, che disdegna la realtà dei fatti, bensì entrambe queste due potenze conoscitive, e l’una in armonia coll’altra»173. 168 G. Allievo, Attinenze tra l’antropologia e la pedagogia, cit., pp. 308-309. 169 Ibid., p. 309. 170 G. Allievo, La pedagogia italiana antica e contemporanea, cit., p. 125. 171 G. Allievo, Il ritorno al principio della personalità, Prolusione letta all’Università di Torino il 18 novembre 1903, cit., p. 12. 172 G. Allievo, La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti, Torino, Carlo Clausen, 1905, p. 3. 173 Ibid., p. 8.  54  Stando a Calò, uno dei punti centrali nell’opera dell’Allievo è questo: «Non trascurare le esigenze dell’esperienza né quelle della ragione; ecco, secondo l’Allievo, il primo canone del metodo filosofico»174. Ciò è confermato anche dall’esigenza di rompere le catene del misurabile, e allargare la pedagogia alla profondità e al mistero della persona. Solo «La pedagogia filosofica riconosce nell’alunno un’anima razionale non già separata dal corpo, ma con esso vitalmente congiunta in unità di persona, sebbene da esso distinta, un’anima, che sviluppa di continuo le sue energie in una successione di fenomeni, che formano la sua vita, epperò vuole un’educazione, che si estenda a tutto quanto l’uomo nella dualità delle sue sostanze e nell’unità della sua persona, alla vita temporanea e alla futura»175. La natura delle domande che l’esigenza dell’educazione ci pone, non si possono risolvere con il metodo scientifico176. Allievo non portò sostanziali novità nella riflessione epistemologica, ma difese la prospettiva pedagogica spiritualista, confutando i detrattori della metafisica in campo antropologico. Secondo Serafini, nonostante «il modello disciplinare intorno al quale egli lavora è ancora, in larga misura quello di una pedagogia come scienza pratica (quantunque punti particolarmente sulla figura d’una disciplina complessa) che si differenzia dal modello elaborato in ambito positivistico particolarmente per gli effetti che su questo ha il suo personalismo»177. Un altro carattere distintivo della pedagogia di Allievo è l’idea della specificità nazionale della pedagogia. Occorre secondo il pedagogista pensare in continuità con la storia del proprio popolo e con le proprie attitudini. Su questo tema trovò una consonanza con il saggio di Antonino Parato dal titolo «La scuola pedagogica nazionale», non senza motivo diverse volte citato dall’Allievo. I. 5. L’educazione 174 G. Calò, Il pensiero filosofico – pedagogico di Giuseppe Allievo, cit., p. 8. 175 G. Allievo, La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti, cit., p. 10. 176 Spiega Allievo: «La pedagogia è la scienza dell’educazione umana; e siccome l’uomo non può essere convenientemente educato se prima non è conosciuto secondo verità, quindi è che la pedagogia dipende ed attinge da tutte quelle scienze, che hanno per oggetto la conoscenza ragionata dell’uomo riguardato in sé ed in rapporto colla realtà universale. Ciò posto, che cosa è l’uomo, donde esso viene e dove va? Come si congiungono in lui ad unità di vita il corpo e la mente? I suoi destini si compiono quaggiù o in una vita ultramondana? Esiste la verità e la scienza, a cui aspira la sua intelligenza? Esiste una legge morale, norma della sua libera volontà? Che cos’è questo mondo esteriore, che lo circonda, ed in cui è posto a vivere? Qual concetto dobbiamo formarci di quell’essere assoluto ed infinito, che è l’oggetto della moralità e religiosità umana, origine prima e fine ultimo di lui?» G. Allievo, Del positivismo in sé e nell’ordine pedagogico, cit., pp. 245-246.  177 G. Serafini, L’idea di pedagogia nella cultura italiana dell’Ottocento, cit., p. 130. 55  In più di un’opera, il pedagogista vercellese denunciò una grave crisi educativa, che egli imputava alla confusione imperante circa i caratteri di una formazione adeguata178. Sulla base del principio della personalità, egli considerava l’efficacia educativa legata alla previa soluzione data al senso della perfettibilità dell’uomo179. Mancando, come già si è accennato, una concezione adeguata sulla natura dalla persona, anche la pratica educativa ne veniva fuori menomata. Tra i fondamenti pedagogici di Allievo si colloca questa massima: «Sul sentimento e sul rispetto della dignità della persona si fonda l’arte dell’educare»180. Al pari di un ampio stuolo di pedagogisti ed educatori, il docente vercellese era convinto che non si dà autentico sviluppo della persona senza un intervento formativo181. La natura esteriore, infatti, «non è per se stessa educativa nel senso rigoroso della parola, bensì tale diventa allorquando il fanciullo in sé accogliendola l’accompagna e la feconda colla coscienza del suo sviluppo»182. Per tratteggiare i caratteri precipui dell’educazione, Allievo si rifà alla lezione di Rayneri, che nella Pedagogica enumerò cinque attributi imprescindibili: Unità rispetto al fine, Universalità rispetto a tutte le facoltà umane che devono essere medesimamente sviluppate, Armonia tra le potenze umane, Gradazione, Convenienza, cioè – oggi diremmo – personalizzazione dell’intervento educativo183. Mentre il suo maestro considerava la «convenienza» come la più importante di queste leggi, Allievo sostiene il primato dell’armonia184, quale condizione necessaria per un’educazione efficace185. 178 G. Allievo, Studi pedagogici, cit., pp. 21-22. 179 «L’opera educativa si modella sul concetto dell’uomo: quale noi lo conosciamo, tale lo educhiamo, e per conseguente ogni dottrina pedagogica si informa e si esempla sopra una dottrina antropologica.(...) L’educazione muove dalla natura originaria dell’uomo, come da suo fondamento, lo segue nel corso progressivo della sua vita governando lo sviluppo delle sue potenze, mira ad un ideale di perfezione, a cui intende sollevarlo» G. Allievo, G. G. Rousseau filosofo e pedagogista, Tipografia Subalpina, Torino, 1910, pp. 81-82. 180 G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit. p. 185. 181 G. Allievo, Studi pedagogici, cit., pp. 67-68. 182 G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 68. 183 G. Allievo, Studi pedagogici, cit., p. 106. 184 Ibid., pp. 109-112; 185 L’educazione deve essere armonica rispetto a tutte le facoltà della persona «Che l’alunno debba essere educato in armonico accordo colla natura fisica circostante, colla famiglia e colla nazione, a cui appartiene, coll’organamento sociale, in cui vive, col grado di civiltà e collo spirito proprio del tempo, è una verità già riconosciuta e proclamata dalla pedagogia filosofica. Poiché l’alunno non è una monade solitaria ed isolata, chiusa ad ogni comunicazione esteriore, bensì abbisogna della convivenza di altri esseri, a fine di espandere la sua vitalità interiore e compiere il suo esplicamento. Ma egli possiede una personalità sua, che non può essere sacrificata al mondo fisico sociale; è fornito di una libertà interiore, che gli conferisce il dominio di sé medesimo, sicché egli è quale vuole essere, non quale lo fa la necessità insuperabile dell’ambiente; non potrebbe vivere una vita comune nel consorzio con altri esseri se anzi tutto non vivesse in se medesimo di una vita tutta sua propria; non potrebbe mettersi in conformità di accordo coll’ambiente, se da prima non fosse in concorde armonia con sé stesso; non potrebbe acconciarsi alle impressioni del grande organismo  56  Sebbene guidata da un criterio unitario, l’educazione può essere analizzata nella sua molteplicità. Allievo parla di un’educazione fisica, intellettuale, estetica, morale, religiosa. Distingue tra quella naturale, che segue lo sviluppo delle facoltà della persona, e quella esterna, guidata da modelli valoriali, culturali e intellettuali dal discente. Il perno dell’educazione della persona è la sua razionalità ed intelligenza. Riprendendo la tripartizione rosminiana delle facoltà umane186, Allievo ricorda come l’interiorità della persona sia il vero oggetto dell’educazione, mistero non materiale187, ed eccedente i meccanismi fisiologici188. I fenomeni dell’interiorità sono governati da leggi come quella di associazione, simultaneità, successione, e si fondano sulla dinamica delle potenze umane, tratto tipico della pedagogia rosminiana, che si dividono in corporee o fisiche e in spirituali o mentali189. Compito dell’educazione è di sviluppare le potenze umane, in cui l’intelligenza umana si esprime come desiderio spirituale190. Se l’educazione è il mezzo attraverso cui l’uomo può essere se stesso, questa va rivolta a chiunque. Allievo considerava necessario offrire a qualsiasi persona l’educazione e l’istruzione, senza discriminazioni per le condizioni economiche, sociali, o di genere. In questo senso contesta i positivisti che negavano la possibilità e l’utilità di occuparsi dell’educazione e dell’istruzione dei diversamente abili. Negli Opuscoli Pedagogici191 sostiene la necessità di educare i sordomuti, i nevrastenici, i balbuzienti, i ciechi, ed esorta ad approfondire gli studi sui mezzi con i quali sia meglio educarli, richiamando a prendere esempio da altre nazioni europee come la Francia. Nel saggio su Rousseau, contesta l’idea difesa nell’Emilio, secondo cui i della natura, se anzi tutto non sentisse il vitale influsso dell’organismo corporeo suo proprio; infine egli aspira ad un ideale della vita futura, il quale non può trovar luogo nella cerchia dell’ambiente della natura tutto circoscritto ad un punto del tempo e dello spazio» G. Allievo, La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti, cit., pp. 19-20. 186 «Sentire, intendere e volere, in questa triplice classe di fenomeni psicologici si raccoglie tutto lo sviluppo del nostro essere spirituale» G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 6. 187 «I fenomeni interni o psicologici non si veggono cogli occhi del corpo, non si toccano, non si odono, non si odorano: un pensiero, un affetto, un volere non hanno forma o figura, non divisione o dimensione, non grandezza o misura: essi soltanto alla coscienza si mostrano e sono oggetti di osservazione interiore» Ibid., p. 7. 188 «I fenomeni interni sono di loro natura superiori all’organismo; i sentimenti, i pensieri, i propositi deliberati sono manifestazioni esclusivamente proprie dello spirito, al cui compiuto sviluppo i fenomeni dell’organismo corporeo intervengono bensì, ma come condizione soltanto, non some causa» Ibid., pp. 7-8. 189 «Ciò posto, siccome i fenomeni interni ci vennero superiormente distribuiti in tre classi supreme, affettivi cioè, intellettivi e volitivi, così siamo condotti ad ammettere tre supreme potenze umane corrispondenti, la sensitività, l’intelligenza e la volontà, intendendole con tale larghezza, che la sensitività comprende tanto la sensazione animale, quanto il sentimento spirituale, l’intelligenza abbracci tanto la percezione o fantasia sensitiva quanto la ragione, e similmente la facoltà spirituale della volontà si mostri preceduta dagli appetiti inferiori e con essi collegata» Ibid., p. 12. 190 «Come l’istinto animale provvede alle esigenze della nostra vita fisica, così l’istinto spirituale fornisce alla vita mentale i beni, che le sono proprii. Ora lo spirito vive del Vero, del Bello, del Buono, e vi si sente portato da naturale istinto, il quale viene così a distinguersi in intellettivo, estetico e morale» Ibid., p. 29.  191 G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., pp. 94-97. 57  diversamente abili, Allievo parla di «storpi», non abbiano diritto all’istruzione e all’educazione192, ribadendo la convinzione che l’educazione sia un diritto per tutti. Tutti gli uomini sono persone, qualunque sia la loro condizione, e ognuno merita di essere educato e istruito, anche se ciò deve essere fatto secondo le inclinazioni e le potenzialità di ciascuno. Analogamente contestò Platone quando estromette i «malconformati di corpo» dalla cerchia degli educabili. Inoltre fa notare come «anche lo Spencer a’ di nostri muove rimprovero alla società che si prende cure dei miserabili, dei poveri, degli infermi, fino a dichiarare una grande crudeltà il nutrire gli inetti a spese dei capaci degli operosi»193. Allievo considera questa prospettiva come una diretta conseguenza del materialismo: disconoscendo il valore assoluto dell’uomo, non ha più senso la cura di quanti non «funzionano», non «producono», quanti insomma sarebbero solo un peso per il sistema economico. Secondo Allievo solo il riconoscimento della dignità suprema dell’individuo permette il rispetto di ciascuno e la sua valorizzazione. Dimenticata la persona nell’uomo, si elimina la ragione dell’eguaglianza degli esseri umani e dunque il diritto all’educazione per tutti. Sulla base del principio della personalità, il pedagogista vercellese fu altresì un difensore dell’istruzione e dell’educazione delle donne. Anche per l’Allievo, come per molti altri studiosi della seconda metà dell’Ottocento, era necessario concepire l’educazione della donna in armonia con l’ufficio della maternità e la cura della famiglia, compiti a cui secondo il pedagogista la donna era naturalmente destinata. Dopo aver difeso il ruolo della donna nella famiglia, spiega: «Né altri di qui inferisca, che la donna circoscrivendo nel recinto della casa il suo genere peculiare di vita debba crescervi e passarvi i suoi giorni solitari, ignorante, incolta, spregiata e negletta. Anch’essa possiede per natura tutte le facoltà costitutive della specie umana, a cui appartiene; epperò ha, quanto l’uomo, diritto alla verità, alla felicità, alla virtù, al rispetto della dignità umana, che in lei rifulge, al perfezionamento suo proprio. E se abbia da natura sortito qualche raro pregio di mente e di spirito, qualche felice attitudine al culto di qualche disciplina, od arte, o nobile professione sociale, chè non venga mai meno alla sua prima e natural missione, alla quale è chiamata nel santuario domestico»194. Allievo reputa che sia necessario offrire un percorso educativo e di istruzione anche alle donne meno abbienti. Dopo aver analizzato le opere della Saussure, contesta il fatto che si parli dell’educazione solo per i ceti sociali più alti: «Però io non posso passare sotto 192 G. Allievo, G. G. Rousseau filosofo e pedagogista, cit., p. 160. 193 G. Allievo, Delle idee pedagogiche presso i greci, cit., p. 113. 194 Ibid., pp. 117-118.  58  silenzio, che in questo eletto lavoro pedagogico della Saussure è tutto rivolto alla coltura della donna di agiata e civil condizione, come lo sono altresì le opere pubblicate dalle due egregie donne italiane, la Colombini e la Ferrucci intorno l’educazione femminile. Eppure anche l’educazione della donna popolana ed operaia può e deve fornire al cultore della pedagogia bello e grande argomento di studio e di meditazione, per quantunque debba essere discorso sott’altra forma ed in proporzioni più modeste»195. Nonostante l’inciso finale, il discorso dell’Allievo sembra innovativo rispetto alle comuni pratiche e teorie pedagogiche. La donna inoltre, in quanto persona, non poteva essere considerata proprietà di alcuno. Per questo motivo critica Rousseau che aveva fatto di Sofia una moglie totalmente asservita al marito. Al contrario: «La donna non è nata per essere la schiava né dello Stato, né dell’uomo»196. L’attività dell’educatore e della scuola deve anche essere in armonia con quella familiare. La famiglia è l’inizio e il paradigma dell’educazione. Chi si occupa di educazione deve avere come modello l’istituzione familiare. Allievo sostiene la necessità di una famiglia generosa, laboriosa e aperta. Contesta la famiglia rappresentata nell’Emilio, considerata isolata ed egoista. Invero, persistono nella sua opera ancora alcuni stereotipi sul sesso femminile. Allievo parla di un’inferiorità fisica197, e sostiene che «nella donna il sentimento e l’affetto predominano sull’intelligenza e sulla volontà», e sebbene sottolinei i vantaggi di questa caratterustica femminile198, considera l’uomo maggiormente capace di sottomettere la volontà alla ragione199. Secondo Allievo la durata dell’educazione abbraccia tutta la vita. L’uomo ha sempre da essere perfezionato. Il suo cammino verso il compimento di se stesso è costante200. È tuttavia vero che la vita è composta da diverse fasi, ognuna ha delle particolari esigenze educative. Allievo contesta cesure nette nella teorizzazione dello sviluppo della persona. 195 G. Allievo, Delle dottrine pedagogiche di Enrico Pestalozzi, Albertina Necker di Saussure, Francesco Naville e Gregorio Girard, Torino, Libreria Scolastica di Grato Scioldo, 1884, p. 222. 196 G. Allievo, G. G. Rousseau filosofo e pedagogista, cit., p. 159. 197 «Insegna la fisiologia, che l’organismo corporeo è più gagliardo e più robusto nell’uomo, più esiguo e più delicato nella donna; questa diversità di struttura deve naturalmente riuscire ad una differenza tra le potenze fisiche del sentire e del muoversi corporeo» G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., pp. 16-17. 198 «Essa pensa più col cuore, che col cervello. La verità la sente più che non la mediti, la intuisce più che non la ragioni, la crede senza avvolgerla fra le tortuose spire del dubbio, la accoglie tutta quanta viva ed intiera senza dissolverla e notomizzarla col coltello dell’analisi; pensa e riconosce Dio come un bisogno del cuore, anziché come un principio della ragione; posa il suo pensiero sulla realtà concreta e vivente e mal si rivolge alle aride astrattezze, alle generalità trascendetali» Ibid., p. 17. 199 «Venendo alla volontà, anch’essa nella donna soggiace alla influenza del sentimento, nell’uomo procede a tenore della ragione» Ibid., p. 18. 200 «L’educazione comincia colla vita e mai non cessa, perché la nostra perfettibilità dura quanto la nostra mortale esistenza; però essa muta tenore ed ufficio ed indirizzo secondo il mutare delle diverse età» G. Allievo, Delle idee pedagogiche presso i greci, cit., p. 33.  59  La vita non può essere divisa in tappe con demarcazioni rigide, dato che la crescita è graduale e soggettiva. A tal proposito critica Rousseau, il quale «ha rotto l’uomo (e con esso l’educazione) in tre pezzi, che spuntano non si sa come, l’un dopo l’altro, il fanciullo, l’adolescente, il giovinetto: e sotto il taglio della sua anatomia psicologica la personalità è finita»201. Tale istanza è legata ad uno dei principi cardine dell’educazione in Allievo, vale a dire l’armonia. «Se la virtù e l’anima e l’universo e Dio medesimo e tutto quanto esiste è armonia, appar manifesto , che anche essa l’educazione deve posare e reggersi tutta quanta sull’armonia, come suo fondamentale principio, val quanto dire essenzialmente ed integralmente ordinata all’armonico sviluppo delle forze del corpo e delle facoltà dell’anima»202. Importanti appaiono alcune annotazioni sul rapporto educatore-educando. Se la persona è libera e tende alla sua libertà, l’educatore non può agire sull’educando non tenendo conto di questo aspetto proprio della persona. Dato che l’uomo è libero, non si potrà ridurre l’educazione ad un meccanismo, l’educatore non costringe, non forza, non chiude, ma mostra, fa ammirare, interroga, sollecita, suscita. Su tale principio l’Allievo riprende fortemente il modello della paideia greca, contrapposto alla modernità che confusa sulla natura spirituale della persona e dunque sulla sua libertà, ha costretto l’insegnamento in un procedimento vuoto e disumano. Non c’è libertà senza l’autorità. La pedagogia moderna, di cui Rousseau è il più alto rappresentante, ha disconosciuto tale evidenza. Nonostante sia giusto assecondare la crescita naturale del bambino, non lo si può privare dell’intervento esterno: «Mai non ci deve cadere di mente, che nell’educazione umana suolsi seguire come infallibil maestra la natura medesima, sicché nulla mai si tenti, né si faccia, che contraddica a’ suoi principii, nulla si dimentichi, né si trascuri , che torni opportuno o necessario a secondarlo nel suo spontaneo sviluppo. Ai dì nostri vide questa potenza educatrice della natura Gian Giacomo Rousseau, ma di troppo la esaltò fino a bandire siccome inutile e nocivo il magistero dell’arte. Aristotele non disconobbe la virtù educatrice, che giace nella consuetudine o costume, e nella coltura della ragione o disciplina. Poiché i germi del Bello e del Buono deposti in noi da natura non crescono già né maturano mercé l’opera dei beni esterni, né il caso e la sorte fa sì che noi diventiamo onesti; bensì richiedesi a tanto fine l’esercizio della facoltà del volere e del sapere»203. 201 G. Allievo, Delle dottrine pedagogiche di Enrico Pestalozzi, Albertina Necker di Saussure, Francesco Naville e Gregorio Girard, cit., p. 117. 202 G. Allievo, Delle idee pedagogiche presso i greci, cit., p. 34. 203 Ibid., p. 155.  60  Per questo stesso motivo mette in guardia da una sopravvalutazione dell’autodidattica: «L’io umano è un soggetto personale, e quindi fornito di una energia pensante sua propria, per cui aspira scientemente e liberamente alla conoscenza della verità, siccome suo naturale obbietto; ecco l’origine ed il fondamento dell’autodidattica. Ma la personalità umana individua è limitata per natura, e quindi bisognevole di un intervento esteriore: ecco la ragione dei limiti, che circoscrivono l’autodidattica»204. La persona ha bisogno di altre persone per essere introdotta nell’esistenza. In un altro brano, Allievo individua nella «nuova psicologia» l’origine dell’equivoco: «L’autodidattica si regge tutta quanta sulla personalità dell’io, riguardato come un soggetto sostanziale fornito di una individualità singolare, per cui è consapevole che l’energia pensante, di cui è fornito, è tutta sua propria, e che gli atti intellettivi, in cui si svolge, vengono da lui ed a lui appartengono come loro principio originario e comune soggetto. Ora i fautori della nuova psicologia rinnegano apertamente la libera attività e la personalità dell’io umano riducendolo ad un insieme complessivo di fenomeni mentali, che non appartengono a nessun soggetto e si succedono a tenore di leggi ineluttabili, facendo dell’anima umana una mera funzione dell’organismo corporeo»205. La prima regola del maestro è il rispetto per il discente, che è l’attore principale dell’atto educativo. Una vera educazione è contraddistinta dal rispetto e dalla pazienza. L’educatore è chiamato a essere umile, non c’è inoltre insegnamento quando l’insegnante non impara a sua volta: «Il maestro deve di sicuro sovrastare al discepolo per ampiezza di dottrina, per coltura e sviluppo mentale, ma non dimentichi mai, che in faccia all’immensità dello scibile quel tanto, che egli sa, è poco meno che nulla, e gli bisogna perciò imparare sempre, ed imparare nell’atto medesimo, che istruisce gli altri»206. Allievo riprende la celebre frase di Plutarco che critica l’insegnamento come «riempimento», e sostiene che «Il vero imparare è un lavorare colla propria mente ed avere consapevolezza della verità scoperta e del come siamo giunti a scoprirla; il vero insegnare è un accendere la scintilla del pensiero e mantener viva la fiamma della riflessione. La parola del maestro riesce all’alunno necessaria in quella guisa, che ad un seme l’aria e la luce esteriore del sole, il quale destando la virtù sopita in esso lo schiude dal suo germe e lo tien vivo ed atto a spiegare le sue forme. L’acquisto della scienza è un martirio per uno spirito giovanile abbandonato alle solitarie ed isolate sue forze, come il possesso materiale 204 G. Allievo, La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti, cit., p. 16. 205 Ibid., p. 17. 206 G. Allievo, Delle idee pedagogiche presso i greci, cit., p. 83.  61  della scienza non conquistata colla nostra meditazione somiglia a splendido patrimonio avito, eredato da nepoti degeneri e dappoco»207. Educare è dunque far cresce armonicamente le capacità dell’alunno, è un atto della vita che fa entrare nella vita, sviluppa e forma il carattere, ma soprattutto tende a far essere se stessi, e cioè autocoscienza del mondo. Educare significa formare le capacità umane, ma soprattutto interrogare il discente, contagiare l’esigenza di conoscersi e di capire se stessi. Nel suo studio, la Quarello riporta una frase della Marchesa di Lambert citata dall’Allievo nello Studio Storico critico di pedagogia femminile (1896), in cui la pedagogista sostiene che: «La più grande scienza sta nel sapere essere in sé»208. L’educatore è chiamato a condurre l’educando a questa vetta. L’azione formativa risulta dunque una continua interrogazione ed esortazione. È molto interessante la considerazione di Calò, secondo cui l’Allievo puntava ad un’azione educativa che «correggesse con un movimento centripeto verso il nucleo più profondo dell’io il movimento centrifugo verso l’esterno, che sapesse fare procedere l’educazione dal di dentro, non dal di fuori». 209. In questo «stare in sé» l’uomo scopre una dimensione infinita che lo interroga, lo spiazza. La persona sente in sé il richiamo di un’alterità misteriosa ma a cui si sente inesorabilmente legato: «Dovunque si muova l’educazione trovasi in faccia all’infinito sempre, perché l’educando è persona finita sì, ma che pur si muove e gravita verso l’infinito». Su questi presupposti, Allievo è convinto che non si possa negare l’educazione religiosa ai giovani: «La coltura impertanto dell’intelligenza, e dell’attività volontaria va ordinata a Dio. Così la personalità finita dell’educatore e dell’educando si regge sulla personalità infinita di Dio, e trova in questa la sua ragion di essere, del pari che la sua cagione efficiente. Educazione vera non è, che non sia personale sotto entrambi questi riguardi. Il materialismo, che spegne nel fango la personalità dell’uomo, l’ateismo, che nega a Dio la sua personalità infinita, il panteismo, che nega all’uomo ed a Dio una personalità loro propria per confonderli in una medesima sostanza, conducono ad un’educazione disumana, omicida, perché è negazione della persona. La formazione del carattere, intorno alla quale si travaglia tutta l’arte educativa, torna opera impossibile, ove non si regga sulla personalità dell’essere infinito»210. Strettamente legato alla questione della vocazione umana ed educativa, è il concetto di «carattere», con cui Allievo riprende un tema caro ad altri pedagogisti cattolici e non. Il carattere è definito come «quello stampo, o quell’impronta speciale, che configura 207 Ibid., pp. 84-85. 208 V. Quarello, G. Allievo, Studio critico, cit., p. 106. 209 G. Calò, Dottrine e Opere, cit., p. 25. 210 G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., p. 31.  62  ciascuna natura umana»211. Con questo concetto intende l’universalità dell’essere persona nella particolarità del singolo. «L’alunno accoppia in sé l’umanità comune a tutti i suoi simili, e l’individualità propria di lui solo»212. Un altro passo chiarisce tale relazione: «il genere (umano) vive nell’individuo sotto forma del carattere»213. È compito dell’ufficio educativo riconoscere e far fruttare l’individualità della persona214. Secondo l’Allievo: «l’uomo di carattere è colui, che pensa con verità e colla propria testa, è arbitro del suo operare e conforma le sue azioni esterne coi suoi interiori convincimenti, sempre mirando all’ideale divino della perfezione»215. Ma per condurre al vero carattere bisogna educare, non basta istruire. Allievo definisce l’educazione del carattere come il «punto di gravitazione» e l’ «apogeo»216 dell’educazione. All’educatore spetta il riconoscere il carattere dell’alunno, la sua coltivazione, e l’aiuto verso la vocazione personale di ciascuno. Così «Il fanciullo è persona, cioè sostanza individua, che in sé armonizza la virtù conoscitiva, fonte della vita operativa, congiunta con un organismo corporeo, sede della vita fisica e ministro della vita spirituale. La vita speculativa si sviluppa mercé l’acquisto del sapere, oggetto dell’educazione intellettuale, la vita operativa mercé la formazione del carattere, compito dell’educazione civile, morale, religiosa, la vita fisica mercé il rinvigorimento, la salute e la destrezza del corpo, termine dell’educazione fisica; e tutte e tre queste forme di educazione deggiono armonizzare insieme, come armonizzano dell’unità dell’umano soggetto le tre forme di vita umana»217. Il carattere va educato sin dalla prima infanzia, e in esso l’esempio è il principale fattore218. L’apice della formazione è il carattere morale, vale a dire la libertà dell’uomo di obbedire esclusivamente alla legge morale insita nell’uomo. Allievo considerava il rispetto e obbedienza a questa legge, come il compimento della libertà, che certo non riteneva essere un arbitrio assoluto del 211 G. Allievo, L’uomo e il cosmo, cit., p. 357. 212 G. Allievo, Studi pedagogici, cit., p. 336. 213 G. Allievo, L’uomo e il cosmo, cit., p. 357. 214 «La formazione del carattere è opera nostra, sebbene abbia suo fondamento in natura, e le occorra il sussidio dell’arte educativa» G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 50. 215 G. Allievo, La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti, cit., p. 4. 216 G. Allievo, Studi pedagogici, cit., p. 322. 217 G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., p. 31. 218 «Il carattere morale non forma lì per lì come per incanto nell’età virile; ma, come ogni opera grande e duratura, che sorge da piccoli inizii, esso fa le sue prime prove nella puerizia, e progredisce con lento lavorio sino alla compiuta sua forma mediante l’opera concorde dell’alunno, del maestro, dei genitori, durante tutto quel lungo periodo educativo, che dalla prima puerizia si stende sino al termine della gioventù» G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 91.  63  soggetto219. Il pedagogista vercellese è, infatti, convinto che «Volere liberamente il dovere, ecco, secondo me, la formula di tutto l’ordine morale»220. Per un’educazione efficace è imprescindibile lo sviluppo della capacità di volere e seguire ciò che è bene. «La dignità umana rifulge nel carattere. Plasmare nel fanciullo il carattere dell’uomo, che esprime la santità della vita in sé, nella famiglia, nella patria, questo è dell’arte educativa il supremo, altissimo ufficio»221. Parlando dell’insegnamento in classe dice che «ogni atto educativo dev’essere un’affermazione, un’impronta della sua individualità personale. Così si forma il carattere, così l’alunno impara a diventare uomo maturo di senno, esperto della vita, arbitro delle sue sorti»222. L’ultima opera dell’Allievo, datata 1913, è dedicata allo studio comparato tra Giobbe e Schopenhauer. Contrapposto al nichilismo, al pessimismo, e al disimpegno del secondo, Giobbe rappresenta la vera statura umana, colui che nonostante le circostanza si spende per la verità. Osserva Allievo: «L’operosità della vita, perché si compia con efficacia, con dignità e decoro, richiede in noi la coscienza della nostra libertà personale rivolta ad un ideale supremo, il sentimento della nostra propria vigoria, il voglio imperioso dello spirito pronto a lottare contro le difficoltà, gli ostacoli, con imperturbabile costanza sino al sacrificio, riverente a quanto si presenta di grande, di nobile, di sacro, di divino»223. L’Allievo critica la riduzione dell’intervento educativo all’istruzione, riprendendo una battaglia tipica della pedagogia spiritualista. Sulla base dell’antimetafisica e del relativismo etico di certo positivismo, più di un pedagogista ridusse il compito dell’educazione all’istruzione, estromettendo dai suoi compiti la formazione del carattere, e quindi dell’autocoscienza e della libera volontà. Tale approccio ha come premessa fondamentale la convinzione che non ci sia nulla di vero, e quindi di insegnabile, fuori dalle asserzioni scientificamente dimostrabili. A questo proposito può essere utile richiamare un aneddoto raccontato da Allievo riferito ad una visita di Padre Girard all’Istituto del Pestalozzi: «Nell’atto che il Padre Girard stava visitando l’Istituto di lui, egli uscì fuori con queste parole: “È mio intendimento, che i miei 219 Per queste posizioni fu criticato da Santoni Rugiu: «L’Allievo ha della moderna pedagogia una concezione normativa (come sempre, d’altronde, nella concezione cattolica), la vede cioè non come un’indagine libera e obiettiva sulla natura e sulle condizioni reali in cui si svolge la formazione dei soggetti, ma come l’elaborazione di un insieme di indiscusse norme, appunto, che guidino alla perfezione morale e spirituale. Guai a lasciarsi travolgere dal «gran movimento sociale» e ritenere che esso indichi sempre la via del progresso e della civiltà» A. Santoni Rugiu, Storia sociale dell’educazione, Milano, Principiato, 1987, p. 528. 220 G. Allievo, Del positivismo in sé e nell’ordine pedagogico,cit., p. 89. 221 G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., p. 18. 222 G. Allievo, Principi fondamentali di Scienza Pedagogica, in «Rivista Pedagogica», n. 10, 1930, p. 687. 223 G. Allievo, Giobbe e Schopenhauer, Torino, Tipografia Subalpina, 1912, p. 41.  64  alunni non tengano per vero, tranne ciò solo, che possa essere loro dimostrato come due e due fan quattro”. Al che il Girard rispose: “Se io fossi padre di trenta figli, nemmeno un solo ve ne affiderei ad essere ammaestrato, perché non vi verrà mai fatto di dimostrargli come due e due fan quattro, che io sono suo padre, e che egli è tenuto di amarmi»224. Le parole di Padre Girard erano utili a spiegare quali fossero i rischi dell’ipertrofia della ragione scientifica e matematica. Limitando il veritativo al «misurabile», infatti, si escludevano dall’educazione tutta una serie di apprendimenti e principi morali indispensabili alla vita e alla formazione del carattere. Anche su questo punto Allievo esorta a distinguere ma senza dividere. L’educatore deve far crescere tutte le capacità umane, sia quelle del «cuore» che quelle della «mente». Era convinto che «la natura non si riforma, bensì va riconosciuta e rispettata»225. E la natura della persona non può essere ridotta alla pura istruzione, ma ha bisogno della certezza morale, dei principi, dei criteri per distinguere bene e male. I. 6. Critica all’idealismo e al positivismo Una parte considerevole delle opere di Allievo è destinata alla critica dell’idealismo e del positivismo. A tali correnti, sin dai primi lavori, Allievo addossò le responsabilità della profonda «crisi»226 e confusione che ammorbava la filosofia italiana. Oltre ad una lunga serie di studi dedicati a questi sistemi, anche negli altri saggi di Allievo appaiono frequenti incisi polemici contro queste teorie. Calò ha rilevato come questa ricorrente confutazione e polemica del positivismo e dell’idealismo, rappresentò un tratto specifico del pensiero del pedagogista vercellese «L’atteggiamento critico contro le due correnti suddette forma la preoccupazione costante e costituisce, insieme con il principio della personalità, svolto dall’Allievo in tutti i suoi aspetti, il motivo fondamentale e la sostanza del suo pensiero filosofico»227. Secondo alcuni studiosi Allievo avrebbe avuto nei confronti delle teorie coeve un atteggiamento difensivo ed eccessivamente «polemista»228. Caramella, un gentiliano che certo non concordava con le critiche dell’Allievo all’hegelismo e ai suoi epigoni, fu molto severo con il pedagogista, e ne sminuì il contributo, riducendolo ad una lamentela sterile e arretrata: «Ma venendo ai risultati effettivi della sua vasta opera di più che mezzo secolo, 224 G. Allievo, Delle dottrine pedagogiche di Enrico Pestalozzi, Albertina Necker di Saussure, Francesco Naville e Gregorio Girard, cit., p. 89. 225 G. Allievo, Del positivismo in sé e nell’ordine pedagogico, cit., p. 261. 226 G. Allievo, L’Hegelismo e la scienza, la vita, cit., p. 6. 227 G. Calò, Il pensiero filosofico – pedagogico di Giuseppe Allievo, cit., p. 4. 228 S. Caramella, Lo spiritualismo pedagogico in Italia, «La nostra scuola», n 13-14, 1921, p. 9.  65  qual è il significato storico dell’Allievo? Niente di meno ma niente di più che un’ostinata battaglia cattolica contro lo scientifismo, senza che dal cozzo si generasse mai una scintilla nuova»229. Una critica analoga gli venne mossa da Vidari230. È facile riscontrare nell’opera di Allievo toni duri, se non apocalittici, nei confronti di teorie giudicate dannose non solo alla pedagogia, ma anche alla vita educativa e sociale del paese. In molti saggi mancano aperture concilianti, mentre le posizioni espresse sono spesso risolute e poco inclini ad aperture. Ma, a onor del vero, va riconosciuto che le critiche portate dal pedagogista sono sempre articolate e suffragate da una conoscenza precisa degli autori e delle scuole esaminate. «L’Allievo non fa mai la critica per la critica: il suo scopo è sempre molto preciso, quello di dimostrare e di salvare certi principi e certe verità filosofiche»231. All’interno del lungo itinerario delle opere dell’Allievo possiamo distinguere due momenti. Sino agli anni ’70 dell’Ottocento, si concentrò in particolare sull’idealismo, mentre in seguito si occupò quasi esclusivamente del positivismo, data l’incipiente influenza che iniziava ad avere sulla pedagogia e filosofia italiana. Già alla fine degli anni ’60, Allievo notava come il positivismo si accingesse a dominare il clima nelle Università italiane e negli studi filosofici e pedagogici, mentre l’idealismo era destinato a restare ai margini del dibattito. Nel 1903, ricordando quel tornante storico, commentò: «Il campo filosofico era in allora combattuto da due scuole di tutto punto opposte, l’idealismo hegeliano, che andava declinando dal suo apogeo, ed il positivismo anglo-francese, che si annunziava ristauratore sovrano della scienza e della vita»232. In quegli anni, la scuola idealistica era viva quasi esclusivamente a Napoli grazie a Spaventa e Vera. Allievo, peraltro docente in una sede dove l’idealismo era quasi inesistente, si misurò criticamente soprattutto con i positivisti. Come accennato, i lavori di critica all’idealismo si concentrano in larga parte nelle opere giovanili, in particolare nei Saggi filosofici (1866) ne L’hegelismo, la scienza e la vita, (1868) e nell’ Esame dell’hegelismo (1897), un saggio più breve di quello precedente dove riprende pressappoco le stesse tematiche. 229 Ibid., p. 9-10. 230 «In tutti questi lavori la mente dell’ALLIEVO si presenta sempre nell’atteggiamento di chi, incrollabilmente fermo e sicuro nelle proprie convinzioni maturate in uno studio severo e diuturno, vede nell’avversario e nelle dottrine da lui rappresentate un pericolo esiziale per la società e per la scuola, in cui esse si diffondano. Onde non tanto Egli mira a penetrare ed esporre l’idea dell’avversario nella sua genesi e nelle sue eventuali giustificazioni, quanto a metterne in rilievo le deficienze o le contraddizioni o le inaccettabili conseguenze» G. Vidari, Giuseppe Allievo, cit., p. 8. 231 G. Calò, Il pensiero filosofico – pedagogico di Giuseppe Allievo, cit., p. 447. 232 G. Allievo, Il ritorno al principio della personalità, Prolusione letta all’Università di Torino il 18 novembre 1903, cit., p. 3.  66  Alcuni cenni polemici contro l’idealismo sono presenti anche in altri testi, tra cui L’antropologia e l’umanesimo (1868), Della vecchia e della nuova pedagogia (1873), L’Antropologia ed il movimento filosofico sociale (1869); La pedagogia e lo spirito del tempo (1878), Il problema metafisico studiato nella storia della filosofia (1877) Studi filosofici sul carattere delle nazioni (1878) Sulla personalità (1878). Il testo in cui espone in modo più articolato le sue tesi contro l’idealismo è L’hegelianismo la scienza e la vita, un lavoro giudicato da Eugenio Garin «onestamente espositivo»233. L’opera fu scritta in occasione del concorso Ravizza del 1865-1866, che chiedeva agli scrittori di cimentarsi con questo tema: «Quali pratiche conseguenze derivino dall’idealismo assoluto di G. Hegel nella morale, nel diritto, nella politica e nella religione?». Il testo, che vinse il premio, fu poi rivisto e pubblicato. Nell’opera, l’Allievo delinea l’origine dell’hegelismo, mettendo in luce l’humus kantiano da cui nacque l’idealismo. Il pedagogista enuclea i passaggi che portarono dalle posizioni del filosofo di Königsberg ad Hegel. Allievo ricorda come Kant fosse allora considerato il nuovo «Socrate» per aver salvato la scienza dallo scetticismo, mentre egli pensava che il kantismo fosse stato la «tomba» della scienza e della filosofia234. L’errore di Kant fu quello di disconoscere il primo dato filosofico, vale a dire l’evidenza dell’essere. Egli perpetuò quella torsione prospettiva cartesiana che si piegò sull’affidabilità della ragione, dimenticando lo stupore e l’attestazione del mondo. Allievo osserva che l’uomo neanche penserebbe se non ci fosse quel «fuori». Così Kant aveva «condannato il soggetto ad un perpetuo e violento celibato segregandolo dalla realtà oggettiva»235. Osserva Allievo: «Scienza assoluta intorno il pensiero umano, ignoranza assoluta intorno la realtà universale, ecco i due poli del Criticismo di Kant, la finale risposta che egli diede alla sua prima domanda. Con questo suo sistema originale Kant reputava di avere ricostrutto su salda base il sapere speculativo, e quetati una volta i dissidii che da secoli sconvolgevano il regno della metafisica: Ubi solitudinem faciunt (direbbe qui Tacito), pacem appellant»236. Ma se lo scopo di Kant era quello di salvare la scienza, egli superò lo scetticismo di Hume, in quanto non riuscì a riconoscere il senso e i motivi della scienza metafisica. E ciò fu confermato dagli sviluppi successivi della filosofia. Nei cinquant’anni trascorsi tra la pubblicazione della Critica della Ragion Pura, 1781, e la morte di Hegel, 1831, la Germania visse un radicale cambiamento culturale. Dallo scetticismo di Kant si arrivò attraverso Fichte e Schelling, all’affermazione dell’idealismo 233 E. Garin, Tra due secoli. Socialismo e filosofia in Italia dopo l’Unità, cit., p. 56. 234 G. Allievo, L’Hegelismo e la scienza, la vita, cit., p. 22. 235 Ibid., p. 31. 236 Ibid., p. 29.  67  assoluto di Hegel, che secondo Allievo non fa altro che trarre le nefande conseguenze di quel divorzio tra l’io e il mondo, che se aveva portato Kant allo scetticismo, conduceva Fichte alla tesi dell’Io assoluto, origine e creatore del mondo. Si trattò di una deriva di quelli che chiamò in un altro testo i «trascendetalisti tedeschi», i quali «estendendo fuor di misura il potere dell’io umano, lo posero creatore dell’essere e del sapere, e finirono collo spogliarlo della soggettività ed individualità sua, confondendolo col massimo degli universali»237. Nel saggio Allievo dedica diversi capitoli a questi passaggi, concentrandosi dopo Kant, su Fichte e Schelling. In ultimo affronta in modo analitico la figura e la filosofia di Hegel, introducendo il suo pensiero con un’accurata esposizione della vita, oltre che un’analisi degli apporti e delle influenze che ne condizionarono il pensiero. Successivamente, ne enuclea il sistema filosofico, con un’analisi articolata. Allievo parte dal concetto generale di filosofia, quindi affronta il metodo dialettico, il concetto dell’Idea e il suo sviluppo nel Sistema. Poi tratta della Logica, della filosofia della Natura e infine della filosofia dello Spirito. In conclusione sintetizza i motivi della critica all’idealismo. Il seguente brano compendia la critica di Allievo: «Il nome di Idealismo assoluto con cui viene designata la dottrina di Hegel, ne rivela tutto lo spirito e ne compendia il contenuto. Il suo sistema è tutto in queste due parole: Idea assoluta, od in altri termini Idea e sviluppo, giacché l'essenza dell'Assoluto è un esplicamento universale, un moto continuo e senza fine. Come per Condillac tutto è sensazion trasformata, così per Hegel tutto è Idea trasformante. L'idea essendo assoluta si fa tutte le cose, e con questo suo diventare universale spiega successivamente tutto l'essere, perché riproducendolo rivela le intime essenze delle singole cose, sicché l'Idea assoluta si manifesta ad un tempo siccome il sistema della scienza e l'insieme della realtà, identità universale delle idee e delle cose, del pensiero e dell'essere. Datemi materia e moto, diceva Cartesio, ed io creerò l'universo. Hegel pigliando in senso trascendentale il motto cartesiano avrebbe potuto ripeterlo dicendo: Datemi Idea e sviluppo, ed io vi ridarò rifatta e spiegata la realtà universale»238. L’identificazione dell’essere con l’idea conduceva l’idealismo a numerose antinomie ed epicicli, elencati dall’Allievo. Il pedagogista fa notare come Hegel, mentre tacciava di misticismo i realisti, chiedeva un atto di fede nel riconoscimento dell’Io assoluto. In conclusione, Allievo ripropone la ragionevolezza del realismo. Secondo il pedagogista vercellese, il reale anticipa, sporge e supera il razionale. Una frase dell’Amleto di 237 G. Allievo, Sulla personalità umana, cit., p. 18. 238 G. Allievo, L’Hegelismo e la scienza, la vita, cit., p. 59.  68  Shakespeare è ripresa dall’Allievo come legge della filosofia, «v'hanno cose e in cielo e in terra di cui le nostre filosofie non si sognano neppure»239. La diaspora degli hegeliani e le numerose critiche fattegli dai suoi discepoli evidenziano tanto il fascino della prospettiva hegeliana, quanto la sua fragilità. L’errore cruciale dell’idealismo è la negazione della validità di quella serie di evidenze e strumenti che l’uomo ha nel suo naturale rapporto con il mondo: «il sistema dell’identità assoluta contraddice ai pronunciati della coscienza e si oppone ai dati del senso comune e del sapere naturale; dunque è insussistente»240. Per questa ragione, Allievo definisce Hegel come uno «spietato Torquemada del senso comune»241. Il pedagogista riprende l’analisi rosminiana e considera gli idealisti fondamentalmente degli scettici. Osserva: «La scienza è la spiegazione razionale della realtà sussistente: ora la realtà va anzitutto schiettamente osservata quale si presenta alla nostra percezione, e non già indovinata a priori e ricercata attraverso le pieghe del nostro cervello. Una teoria della realtà, costrutta col puro ragionamento e non fondata sull’osservazione, non è scienza seria e verace, ma un tessuto di astruserie, che potrà tutt’al più dimostrare la potenza immaginativa di chi l’ha costrutta. L’idealismo trascendentale germanico de’ tempi nostri ha sacrificato l’osservazione della realtà al puro ragionamento. Esso ha preso le mosse dal concetto più astratto, a cui si possa giungere ragionando, e colla virtù di quel concetto vuoto ed indeterminato pretese di costruire la realtà universale»242. Prima Gentile243 e poi la Quarello244, criticarono all’Allievo una conoscenza poco approfondita di Hegel. Se non si può considerare il pedagogista vercellese tra i massimi studiosi di Hegel, dai suoi lavori emerge un confronto nel merito con il cuore delle posizioni idealiste. Altri autori, come il Suraci, parlarono dell’opere sull’Hegelismo come «una critica quanto mai acuta e serrata»245. Anche per altre teorie, Allievo non bada ad una erudizione pedante sulle vicende di una corrente, ma al cuore e al significato delle sue principali direttrici filosofiche. Come è già stato accennato, dopo alcuni lavori dedicati all’idealismo, Allievo diede largo spazio alla critica del positivismo, che occupò gran parte della sua attenzione nella sua carriera seguente. Il pedagogista si accorse della rapida diffusione del positivismo nelle Università. Uno degli atenei in cui tali teorie presero piede e si diffusero era proprio quello 239 Ibid., p. 143. 240 G. Allievo, Saggi filosofici, cit., p. 6. 241 Ibid., p. 372. 242 G. Allievo, Antonio Rosmini, cit., p. 33. 243 G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia. I platonici, cit., p. 370. 244 V. Quarello, G. Allievo, Studio critico, cit., pp. 128-129. 245 V. Suraci, Giuseppe Allievo filosofo e pedagogista, cit., p. 84.  69  di Torino, che era stata sino a pochi anni prima una roccaforte del rosminianesimo e dello spiritualismo cristiano. Come ha ricordato Giorgio Chiosso: «Proprio a Torino la cultura positivista stava compiendo il massimo sforzo con Moleschott, Lessona, Lombroso, Mosso per tracciare una antropologia incentrata su esclusivi tratti fisio – psichici e fortemente condizionata dalla cultura evoluzionista»246. Come ebbe a scrivere Norberto Bobbio, Torino rappresentava sul finire dell’Ottocento «la citta più positivista d’Italia»247. Allievo individuava come ragione della diffusione di tale corrente un forte appoggio politico, che era diventato come abbiamo già rilevato, il braccio ideologico dei gruppi anticlericali che spesso sedevano nelle poltrone più importanti del neonato Stato italiano. Il pedagogista aveva una chiara percezione di tale egemonia e non mancò di denunciarla. Scrisse a proposito «Il partito iperdemocratico, che nei lontani sfondi della rivoluzione italiana del 47 appena s’intravvede indistinto e sfumato, prese a poco a poco forme più spiccate e concrete, e fattosi potente tende oggidì a tenere esso solo il campo. Esso novera potenti ingegni fra i suoi numerosi seguaci, che ne bandiscono i principii dalle cattedre universitarie, dalle tribune parlamentari, dalle officine della pubblica stampa. La sua arma è la critica, il suo dogma supremo è l’umanesimo sociale, ossia il naturalismo pagano razionalizzato. E la critica, dacché fu inaugurato il Regno dell’Italia una, si spiegò con forze maggiori che mai. Essa si pose ad abbattere il principio di autorità nell’ordine del pensiero e della vita, a dissolvere le credenze morali e religiose dell’universale, a minare le fondamenta di tutta la dommatica del cristianesimo, a snaturare l’indole nativa e tradizionale della filosofia italiana»248. Nonostante il peso del positivismo fosse riscontrabile già nei citati dibattiti del ’47, fu solo con l’Unità che ai positivisti fu concesso quello spazio privilegiato col quale poterono diffondere le loro teorie e avere una inaspettata diffusione. Come denunciò Allievo: «Ai seguaci e promotori della nuova scuola pedagogica il Governo prodiga la pienezza de’ suoi favori, e sotto la potente sua egida assicura il trionfo»249. Se i capi scuola europei del positivismo meritarono, da parte dell’Allievo, delle analisi approfondite e alcuni, rari, apprezzamenti, la valutazione degli epigoni italiani fu molto severa. Essi vennero ridotti al rango di semplici ripetitori di autori più organici come Spencer, Comte, Bain. Allievo si limitò ad affrontarne in modo sbrigativo la produzione positivistica italiana nel saggio La pedagogia italiana antica e contemporanea (1901). In 246 G. Chiosso, L'interpretazione rosminiana di Giuseppe Allievo, «Pedagogia e vita», n. 6, 1997, p. 152. 247 N. Bobbio, Introduzione, in E. R. Papa (ed.), Il positivismo e la cultura italiana, Milano, Angeli, 1985, p. 13. 248 G. Allievo, La pedagogia italiana antica e contemporanea, cit., pp. 161-162. 249 Ibid., p. 168.  70  esse il pedagogista si lasciò andare a valutazione in parte ingenerose e tranchant. Affrontò le teorie di Angiulli, Siciliani, Gabelli, e di altri pedagogisti minori. Il primo è considerato il «principe» fra i cultori del positivismo in Italia. Viene definito come un «pensatore robusto e profondo, ma non originale»250 che ricalca fondamentalmente le posizioni di Spencer, e dunque tutti i suoi errori. La riduzione spencieriana dell’uomo ad un animale, mina le basi del pensiero di Angiulli: «Lottando contro la realtà dell’io, che egli ha negato e che s’impone inesorabile al suo pensiero, si vede costretto a ricorrere ad una novità di linguaggio, ad una dicitura attortigliata ed involuta, ad un ritornello di espressioni stereotipate, che spargono una nebulosa caligine sul tutt’insieme della sua dottrina»251. Un altro errore a cui lo conduce la negazione del principio della personalità è la statolatria nel campo dell’istruzione pubblica. Pietro Siciliani è invece accusato di eclettismo e di aver mal combinato istanze inconciliabili, producendo un sistema contradditorio e instabile. In una prelazione risalente al 1882, rammentò il cambio di opinione sul positivismo, prima criticato e poi elogiato252. Del sistema del Siciliani l’Allievo denunciò l’incapacità di giustificare sui presupposti positivisti l’esistenza della libertà e i fondamenti della morale. Negli Opuscoli lo accusa di trasformismo e scrive che «muta di dosso i panni a tenor della moda»253. Stando ad Allievo, questa «accozzaglia» di principi spuri condanna alla mediocrità la pedagogia del Siciliani: «Egli non si afferma né spiritualista, né materialista, né idealista, né ontologista, né trasformista, né positivista, e lascia capire che vuol essere qualche cosa di più e di meglio di tutto ciò; ma non ci presenta un principio superiore a tutti questi sistemi, che impronti il suo pensiero e lo determini per quello che è»254. Si occupò anche di altri autori come Emanuele Latino, Aristide Gabelli, Edoardo Fusco in cui rileva sostanzialmente gli stessi errori di Siciliani e dell’Angiulli. Saluta invece con soddisfazione il ritorno allo spiritualismo di Ausonio Franchi, al secolo Cristiano 250 Ibid., p. 169. 251 Ibid., p. 174. 252 Nel saggio cita direttamente le parole di Siciliani e poi le commenta: «“Troppo scettici, noi Italiani abbiamo bisogno di fede: troppo anneghittiti dal positivismo, abbiamo bisogno di sacro entusiasmo nella scienza, nell’onestà, nell’onore, nei principii di giustizia, nell’attività del lavoro, nell’autorità creata da noi stessi, nell’Italia. Possiamo dunque accettare il Positivismo? No. Inteso come sistema, il Positivismo è dottrina assolutamente negattiva, non ha storia, non ha principii; è contrario allo spirito filosofico di nostra età, è dannevole nelle sue applicazioni morali, estetiche, politiche, religiose, storiche. Nol possiamo accettare come sistema, perché contrario alla nostra istoria, alla mente dei nostri padri, all’indole nostra, al nostro genio, alle nostre tendenze, contrario ai nostri bisogni fisici e intellettuali [in nota: P. Siciliani, Critica del positivismo]”. Chi pubblicava or non è molto queste righe contro il sistema positivistico, è quegli stesso, che oggi ha inalberato il vessillo del positivismo dlla sua cattedra di pedagogia in una celebratissima Università italiana, mutando dottrine con quella leggerezza medesima, con cui altri muta di dosso i panni a tenor della moda» G. Allievo, L’educazione e la scienza. Prelezione fatta all’Università di Torino il dì 18 novembre 1881, Torino, Marino, 1882, pp. 14-15. 253 G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., p. 122. 254 G. Allievo, La pedagogia italiana antica e contemporanea, cit., p. 177.  71  Bonavino, di cui esalta le Lezioni di pedagogia che viene indicato come un testo fondamentale per la pedagogia spiritualista. Le considerazioni dell’Allievo restarono severe. Valuto le teorie positiviste «disumane e liberticide»255. Inoltre avversò una certa indifferenza degli epigoni di Comte che sembravano sordi agli appunti delle altre correnti pedagogiche. In più d’una occasione Allievo lamentò la loro indifferenza alle critiche, oltre alla poca onestà intellettuale256 Come già accennato, i suoi studi si concentrarono soprattutto sui fondatori del positivismo europeo: Comte, Spencer, e Bain. Le sue numerose opere dedicate a questa corrente, rappresentano una prima sistematica reazione dello spiritualismo italiano al positivismo europeo. Il lavoro più preciso e sistematico su tale corrente è Del positivismo in sé e nell’ordine pedagogico (1883), definito dalla «Civiltà Cattolica» come una «splendida e serrata critica di questo sistema»257. Nella prelazione tenuta per l’anno accademico 1881-1882, Allievo annunciò che durante il corso sarebbe sceso «nell’arringo a combattere il positivismo riguardandolo siccome una larva ingannevole della scienza, siccome un pericolo esiziale della pedagogica»258. Nel solco di quelle lezioni pubblicò poi il lavoro. L’opera si divide in due parti principali: nella prima tratta delle origini del positivismo e ne mette in discussione i fondamenti filosofici, nella seconda critica le conseguenze pedagogiche ed educative. Allievo identifica come causa prima del positivismo, la stessa dell’idealismo, vale a dire la crisi della metafisica avvenuta con la modernità, che Kant sancì nella Critica della ragion pura, sostenendo la sostanziale inconoscibilità del non sperimentalmente. Il metodo scientifico si dogmatizzò, pretendendo di estromettere dalla conoscenza e dalla vita privata e pubblica tutto ciò che non è misurabile. Il positivismo si configurò come una nuova prospettiva epistemologica, metodologica e antropologica, fondata sulla negazione di tutte le conoscenze non verificabili sperimentalmente. In questo senso, si oppone a qualsiasi 255 G. Allievo, Delle idee pedagogiche presso i greci, cit., p. I. 256 Nel saggio su La scuola educativa, Allievo riporta una critica fattagli da Fornelli che nel testo La pedagogia e l’insegnamento classico, accusò il professore vercellese di aver travisato le posizioni di Comte. Dopo essersi difeso, critica anche una evidente storture delle sue posizioni, avendolo assimilato all’idealismo: «Ma il più grosso abbaglio del mio critico è questo: io non sono punto quell’idealista, che egli s’immagina mostrando di non aver letti i miei lavori filosofici, o di averne frainteso il significato malgrado la loro conveniente chiarezza. Mi additi un solo passo, da cui risulti che io ripongo le origini prime del pensiero in concetti astrattissimi, anteriori e superiori ad ogni realtà concreta e sussistente, ed io mi do’ per vinto» G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 218. 257 Linee di pedagogia moderna, «La Civiltà Cattolica», quaderno 1565, 1915, vol. III, p. 542. 258 G. Allievo, L’educazione e la scienza. Prelezione fatta all’Università di Torino il dì 18 novembre 1881, cit., p. 15.  72  considerazione metafisica, di cui è «la sua negazione assoluta ed esclusiva»259. In questo rifiuto consiste, per il pedagogista vercellese, anche «il carattere direi negativo del positivismo»260. Va tenuto conto, che Allievo riconosce l’apporto positivo delle scienze sperimentali e della metodologia scientifica. Senza alcun timore verso gli esiti della ricerca empirica, il pedagogista attribuisce alla scienza (non al positivismo) il merito di aver accresciuto notevolmente la conoscenza del mondo e il benessere materiale. Tuttavia, Allievo individua proprio nell’euforia per gli esiti della tecnologia la presunzione di certo positivismo. Galvanizzata dalle scoperte scientifiche: «esaltò l’esperienza sensibile siccome l’unica e suprema ed assoluta fonte di tutto lo scibile umano, rigettò tra le illusioni tutto ciò, che trascende i suoi confini, assegnò unico oggetto della scienza i fenomeni disgiunti dalle sostanze e respinse la ragione siccome facoltà trascendente che contempla la sostanzialità delle cose»261. Allievo ricorda come il metodo sperimentale non possa racchiudere tutto il campo dello scibile, pena l’esclusione di ambiti conoscitivi fondamentali per la vita umana. Rivolgendosi ai positivisti Allievo scrive: «No, la mente umana non può fermarsi ai confini dell’esperienza, come alle colonne di Ercole: i grandi problemi dell’esistenza, soffocati dalla vostra dottrina, risorgono davanti alla ragione e le si impongono irremovibili. Voi non riuscirete mai a cancellare dalla coscienza del genere umano questo indestruttibile sentimento, che noi non siamo sfuggevoli fenomeni, quasi ombre erranti alla ventura nel deserto, bensì persone vive, forniti di una ragione che trascende la cerchia dell’esperienza sensibile e si innalza alle supreme idealità della vita. Gli ingegnosi apparecchi meccanici, di cui avete forniti i vostri laboratori di psicologia sperimentale, potranno procacciarsi nuove ed interessanti notizie intorno la vita sensitiva dell’uomo esteriore, ma non ci sapranno dir nulla intorno i misteri dell’anima, il secreto lavorio della sua vita intima, le sue sublimi aspirazioni»262. La scienza esatta e sperimentale non può esaurire tutto il campo della conoscenza dell’uomo. Inoltre, secondo Allievo, l’esautorazione della metafisica dal campo dello scibile danneggia la stessa scienza. Essa, infatti, nasce da domande metafisiche, si nutre di concetti e di una logica che non può essere rinvenuta nella esperienza materiale, ma solo in quella spirituale. L’antimetafisica getta il positivismo in un paradosso: lo scientismo, 259 G. Allievo, Del positivismo in sé e nell’ordine pedagogico, cit., p. 13. 260 Ibid., p. 10. 261 G. Allievo, Il ritorno al principio della personalità, Prolusione letta all’Università di Torino il 18 novembre 1903, cit., p. 14. 262 Ibid., pp. 14-15.  73  infatti, nega le premesse della scienza. Con l’affermazione «non esistono che fatti» si esprime un giudizio generale e veritativo sul mondo, portando avanti un discorso propriamente metafisico. Scrive Allievo: «Dicono infine che, seguendo la dottrina evoluzionistica, le teorie non sono più campate in aria quali sono foggiate dall’apriorismo, ma riescono l’interpretazione oggettiva dei fatti. Sta bene: i fatti vanno adunque interpretati; ma con quale criterio? Certamente con qualche concetto o principio ideale, superiore ai fatti stessi, perché questi per sé sono lettera morta, bisognevole dello spirito, che la vivifichi e la illustri. Eccon quindi chiarita l’insufficienza dell’esperienza alla formazione della psicologia e della pedagogia»263. Il positivismo si autodefinisce teoria delle scienze positive, ma secondo Allievo, la costruzione di un sistema filosofico accede già ad una dimensione della riflessione che travalica i confini dell’esperienza empirica. Si tratta di una «astrazione» che si serve della logica, del giudizio, dell’argomento. In questo senso, se i positivisti volessero essere coerenti con le loro posizioni, dovrebbero «liberarsi da concetti «metafisici» come quelli di causalità, identità, o di non contraddizione. In questo senso, per il pedagogista vercellese, l’assoluta antimetafisica del positivismo, si traduce in un suicidio della scienza stessa: «Dacchè dunque l’antropologia studia l’uomo pensante, il quale sovrasta alla materia e possiede in sé i principi ideali necessarii alla costruzione del sapere, consegue che essa è lo spirito informatore delle discipline positive e naturali, e che il naturalismo, che la impugna, distrugge le stesse scienze della natura e contraddicendo a se medesimo fa della metafisica col proclamare che la materia è l’essenza universale di tutto, che è infinita, eterna, mentre tutto questo trascende i limiti dell’esperienza e dell’osservazione sensibile»264. Allievo giudica la posizione gnoseologica dei positivisti fondamentalmente scettica, in quanto le loro premesse conducono all’inevitabile dissoluzione della conoscenza: «Una critica priva di principii universali ed assoluti, che la rischiarino, è una critica, che pretende di essere fine a se stessa, anziché mezzo potente per giungere al Vero, ossia è criticismo scettico. Il positivismo contemporaneo ha menato un gran guasto nel campo della critica odierna, la quale è insorta a dissolvere e disfare quelle medesime verità universali, che è tenuta a rispettare siccome fondamento della sua esistenza»265. A proposito di tali nefande conseguenze, Allievo ebbe modo di criticare il Romagnosi, che vicino a posizioni simili 263 G. Allievo, Gli evoluzionisti e il metodo in pedagogia, «Rivista Pedagogica Italiana», Asti, 1897, vol. I, pp. 305-306. 264 G. Allievo, L’uomo e la natura, cit., p. 17. 265 G. Allievo, Delle dottrine pedagogiche di Enrico Pestalozzi, Albertina Necker di Saussure, Francesco Naville e Gregorio Girard, cit., p. 9.  74  sosteneva che è sano solo colui che la pensa come la maggior parte dei suoi concittadini, non avendo più un riferimento metafisico su cui fondare la validità delle posizioni266. Inoltre il materialismo non può che portare ad una confusione nella scienza, in quanto se la conoscenza è un prodotto necessario dell’esperienza personale, e nasce da questa in modo spontaneo e incontrollabile, perde di significato la valutazione delle teorie che non sono né vere né false, ma unicamente frutto della determinazione. Scrive a proposito: «Ora se il pensiero è sempre di necessità quale lo forma l’esperienza, ossia quale lo esige la condizione fisiologica, in cui versiamo, allora cessa ogni distinzione tra un vero ed un falso pensiero, e così il pensiero a priori, o sarà vero anch’esso, oppure dovrebbe negarsene l’esistenza, siccome di un fatto impossibile, mentre l’evoluzionista lo piglia ad oggetto della sua critica»267. Invece l’esistenza della scienza conferma la presenza di una natura non materiale nell’uomo, solo la persona ha coscienza del mondo e cerca la verità. Un altro nodo insolubile per il positivismo è l’esistenza della libertà. La scienza esatta, come ha insegnato Kant, non può attestare la sua esistenza, e il materialismo e determinismo di certi positivisti la negano. Se l’uomo non è più libero, si chiede Allievo, come lo potrà essere la scienza? Inoltre ad Allievo pare pretestuoso l’uso della scienza contro la metafisica e la religione. Le scienze naturali «anziché escludere di loro natura la metafisica, rinvengono in questa sola la loro suprema ragione, sì che non lasciano più luogo alla filosofia positiva. Infatti, un fisico, un chimico, un astronomo, può ammettere i pronunciati del teismo e dello spiritualismo, senza punto rinunciare ad un solo dei teoremi della propria scienza (valga l’esempio di Newton, del Galilei, del Padre Secchi, del Pasteur)»268. Un'altra «vittima» del positivismo è l’antropologia, che da tale corrente viene snaturata. La negazione della metafisica ha notevoli ripercussioni sulla scienza dell’uomo, poiché getta nell’indecifrabile la sua essenza personale. Il positivista non può conoscere la vera essenza dell’uomo, in quanto la persona non può essere raggiunta e compresa nell’esprit del finesse. Scrive Allievo «Colla loro antropometria non giungeranno mai a misurare le profondità dell’anima, a scandagliare gli immensi problemi, che si agitano nelle intimità dello spirito umano»269. La persona non è rilevabile nell’esperienza come se fosse un fenomeno fisico, è riscontrabile solo nella riflessione oltre il sensibile. Occorre, stando ad Allievo, sollevarsi dal fatto, per constatare l’Io: «Il positivista vuol fatti, nient’altro che fatti, né vuol saperne di esseri individui, di sostanze permanenti. Ma il factum (e chi nol 266 G. Allievo, Studi psicofisiologici, cit., p. 29. 267 G. Allievo, Gli evoluzionisti e il metodo in pedagogia, cit., pp. 304-305. 268 G. Allievo, Del positivismo in sé e nell’ordine pedagogico, cit., p. 16. 269 G. Allievo, Lo spirito e la materia nell’universo, l’anima e il corpo nell’uomo, cit., p. 6.  75  sa?) è un sostantivo verbale derivante dal verbo facere, è un participio che presuppone l’ego facio, tu facis, ille facit: importa l’essere, che fa, il soggetto operante, e rompe in una contraddizione il positivista separando l’un termine dall’altro»270. Ma tale agnosticismo si trasformò presto in una negazione. Infatti, per i positivisti, «L’uomo non è una sintesi vivente di due sostanze, spirito e corpo essenzialmente distinte, eppur composte ad unità di persona, bensì un complesso di fenomeni fisiologici e psicologici, diversi di grado soltanto, ma non di essenza da quelli animali»271. Osserva nei già citati Opuscoli pedagogici: «Negli intimi recessi dell’anima, dove non penetra coltello di anatomico, dove non giunge lente microscopica di fisiologo e naturalista, si nascondono secreti che accennano all’Infinito, si destano aspirazioni, che vengono dall’alto e nell’alto ritornano. Quei secreti, quelle aspirazioni il positivista riguarda quali vani fantasmi, e lo spirito umano quale un fantasma multiforme errante fuori del mondo della realtà. Duri tempi per questi tempi»272. Così la prospettiva epistemologica dei positivisti mette in discussione la scienza dell’uomo e sfigura la persona. Osserva Allievo: «il sistema antropologico dei materialisti non è la scienza nuova, che cerchiamo, ma la negazione della scienza»273. La loro antropologia risulta dunque un grande «equivoco»274. Per questo chi approccia l’antropologia positivistica è «trascinato entro una selva intricata di osservazioni senza un’idea suprema dominante, che lo sorregga e le dia unità, anima e vita a quel tritume di particolari»275. Il miglior esponente di questa prospettiva è Spencer che enuclea tali concetti nel Primi Prinicipii, così commentati dall’Allievo: «Per quantunque la credenza nella realtà dello spirito individuale sia inevitabile, e benché sia riaffermata non solo dall’unanime consenso del genere umano, ed adottata da tanti filosofi, ma ben anco dal suicidio dell’argomento scettico, pur tuttavia non può venire per nulla giustificata dalla ragione: havvi ancora di più; allorquando la ragione è messa alle strette di pronunciare un giudizio formale, essa condanna tale credenza... di guisa che la personalità di ciascuno ha coscienza, e la cui esistenza è da tutti avuta per un fatto certissimo sopra ogni altro, è tal cosa che non può in veruna guisa essere conosciuta; la conoscenza della personalità è vietata dalla natura medesima del pensiero»276. 270 G. Allievo, Delle idee pedagogiche presso i greci, cit., p. 87. 271 G. Allievo, Del positivismo in sé e nell’ordine pedagogico, cit., p. 243. 272 G. Allievo, Studi pedagogici, cit., p. 13. 273 G. Allievo, Della vecchia e della nuova antropologia di fronte alla società, cit., p. 13. 274 Ibid., p. 12. 275 G. Allievo, La pedagogia italiana antica e contemporanea, cit., p. 58. 276 G. Allievo, Del positivismo in sé e nell’ordine pedagogico, cit., p. 315.  76  Il filosofo britannico non può che giungere ad un riduzionismo antropologico. Scrive ancora Allievo: «Lo Spencer fa sua (né vi ha di che stupirne) l’osservazione di uno scrittore, che cioè a riuscire nella vita occorre primamente essere un buon animale»277. Tale prospettiva è inaccettabile per l’Allievo, secondo cui l’uomo è strutturalmente differente dal resto della natura: «L’umano soggetto, insino dal primissimo istante della sua mortale esistenza, è non solo di grado, ma di specie differente dal bruto, perché la mente, ossia l’anima razionale, che lo costituisce uomo, ei la possiede per natura, e non l’acquista punto col tempo, non la vede allo sviluppo progressivo dell’organismo corporeo. Questo giustissimo concetto pitagorico, che tanto bene risponde al sentimento naturale della dignità umana, sta diametralmente opposto alla moderna dottrina del positivismo evoluzionistico, il quale sentenzia che nel neonato l’animalità si viene a poco a poco trasformando in unità in virtù delle leggi fisiologiche dell’organismo animale, il quale, mentre nella prima infanzia della vita si manifesta mercé le sole funzioni inferiori del senso fisico e del cieco istinto, proseguendo nel suo sviluppamento, acquista la virtù di esercitare esso stesso la facoltà superiore dell’intendere, del ragionare e del volere, sicché la mente, lo spirito, l’anima razionale, che tanto ci sublima e ci differenzia dal bruto, non sarebbe già una sostanza diversa dall’organismo corporeo, bensì rimarrebbe pur sempre in fondo l’animalità stessa che funziona sott’altra forma più elevata»278. L’uomo è ontologicamente differente rispetto al resto della natura. Il positivismo al contrario «afferma che l’io umano non è un’energia vivente, un’attività libera e conscia della sua personalità sostanziale, bensì un mero complesso di fenomeni che non appartengono a nessuno»279. Queste posizioni antropologiche, denuncia Allievo, portano ad inevitabili corollari pedagogici: «ai giorni nostri e nella nostra Italia in fatto di pubblica educazione si trascorre agli estremi, sicché questa gran legge dell’armonia rimane offesa. All’educazione fisica si attribuisce una importanza esorbitante, e assai più di quanto le convenga ed in suo servizio si lavora in tutti i rami ed in tutte le guise, mentre la formazione del carattere che è di tutta l’umana educazione la parte più nobile e più prestante, giace pressoché dimenticata e negletta. Lo Spencer esaltando sopra misura la cultura dell’organismo corporeo ha asserito che l’uomo debb’essere anzi tutto e soprattutto un buon animale, ma ha dimenticato che si può essere un buon animale ed un pessimo soggetto ad un tempo»280. 277 Ibid., p. 322. 278 G. Allievo, Delle idee pedagogiche presso i greci, cit., pp. 28-29. 279 G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., pp. 5-6. 280 G. Allievo, Principi fondamentali di Scienza Pedagogica, cit., p. 680.  77  Invece la persona è quella briciola dell’Universo che appartiene a se stessa, e a ciò deve essere educata. La persona sente, capisce e vuole. La riduzione dell’uomo ad animale compromette la morale, e cioè l’immanenza dei criteri di bene e di male e la responsabilità personale. Allievo individua le conclusioni di queste premesse nell’opera di Spencer, il quale negando la libertà, «nella sua psicologia riguarda la volontà quale una evoluzione dell’istinto fisico ed assoggetta perciò l’opera umana ad un fatale e necessario determinismo, in cui i fenomeni psichici si succedono gli uni agli altri con un intreccio indissolubile. Torna quindi inutile, anzi contrario a ragione, il pronunciare, che siamo moralmente tenuti a compiere le azioni per noi vantaggiose ed astenerci dalle dannose se esse non dipendono dal nostro libero volere, ma sono per insuperabile necessità predeterminate le une alle altre»281. Si tratta di una posizione con nefandi corollari morali e pedagogiche. «Rigettando la libertà – infatti - viene per ciò stesso a mancare ogni ragione di responsabilità morale, in quella guisa che, rovesciato un principio, cadono tutte le conseguenze sue»282. Si tratta di una corollario spesso negato dai positivisti. Allievo ben evidenzia questa contraddizione e osserva «parlano della necessità imperiosa di formare il carattere dell’alunno, di promuovere lo sviluppo spontaneo della sua attività mentale, di educarlo alla libertà di pensiero; ma in tal caso la logica li costringe ad accogliere il concetto filosofico dell’uomo, da cui discendono tutte queste conseguenze pedagogiche, e rigettare il concetto antropologico positivistico da cui fioriscono conseguenze pedagogiche diametralmente opposte»283. Si tratta di un’aporia che emerge con chiarezza nella «retorica» sull’autodidattica284. Privato della libertà e del fine, l’uomo si rifugia nell’accidia: «Vivere adunque alla giornata secondochè porta il caso fino a che venga l’unus interitus hominum et iumentorum, ecco l’unica morale a cui possa logicamente far luogo il positivismo»285. Allievo critica ancora lo Spencer quando nella sua Educazione morale, intellettuale e fisica riduce la morale a «conservazione propria diretta», una considerazione che se è 281 G. Allievo, Del positivismo in sé e nell’ordine pedagogico, cit., p. 309. 282 Ibid., p. 109. 283 G. Allievo, La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti, cit., p. 5. 284 Scrive sull’argomento: «I propugnatori della nuova scuola positivistica vanno proclamando la somma importanza dell’autodidattica e dell’educazione del carattere, e se ne fanno banditori come di una loro scoperta; ma con ciò non si avvedono, che danno una smentita alla loro dottrina, la quale facendo dell’io umano un mero fenomeno senza sostanza, e rigettando fra le illusioni la libertà dello spirito, toglie di mezzo quella personalità, per cui l’alunno colla sua interiore energia conquista le conoscenze e vi attinge la fermezza incrollabile del volere» G. Allievo, Il ritorno al principio della personalità, Prolusione letta all’Università di Torino il 18 novembre 1903, cit., p. 13.  285 G. Allievo, Del positivismo in sé e nell’ordine pedagogico, cit., p. 262. 78  spiegabile col suo darwinismo non è accettabile ai fini di una convivenza e di una prassi educativa. La vita diviene adattamento e sopravvivenza. Senza un fine ultimo non può esistere educazione, ma solo adattamento, e cioè in qualche modo abbruttimento e alienazione. Il positivismo è la negazione della vera educazione e «non ha ragione di usurpare il posto della scienza, così compromette fatalmente le sorti dell’educazione umana»286. In questo senso, non sconsacra solo la fede e la metafisica, ma anche la vita umana, la fiducia, l’amore, la morale, gli ideali. La nuova antropologia dei positivisti ha conseguenze nefaste sull’educazione. Negato il principio della personalità e il valore della libertà, l’educazione è declassata ad adattamento. Il fine della formazione si riduce all’ «allevamento» di un buon animale, il suo unico interesse e scopo dovrà essere quello di collaborare al benessere dell’Umanità. Nella prospettiva positivistica perde di significato quella formazione del carattere, della volontà, e di emancipazione dalle funzioni biologiche, in cui risiede secondo Allievo lo scopo dell’educazione umana. Anche l’istruzione, come contesta Allievo al Bain, è ridotta a comunicazione di nozioni, sempre funzionali alla produzione o alle condizioni sociali, e senza nessun riferimento all’educazione, agli ideali, ai valori. Non si bada più alla formazione del carattere, ma alle capacità cognitive, privandole però del fine e della direzione. L’educazione cessa di essere esortazione per divenire condizionamento. Il suo senso nella pedagogia positivistica viene svilito in quanto «manca il pensare grandioso, elevato, che raccoglie una molteplicità svariatissima di idee particolari in una potente ed organica unità; manca quel soffio di idealità, che innalza lo spirito dell’educatore al sentimento del suo arduo e sublime magistero»287. Oltre all’idea di libertà, di morale, e di educazione sono le stesse scienze umane che vengono ribaltate sulla base dei principi antimetafisici, materialisti e naturalisti. Allievo denuncia che «Le scienze della natura hanno usurpato il posto delle scienze dello spirito: la psicologia, la morale, la filosofia in genere non hanno più una esistenza loro propria e distinta, ma sono trasformate in altrettanti rami delle scienze naturali»288. La pedagogia vede messi in discussioni i suoi principi fondamentali: «Una scienza pedagogica senza verità universali e necessarie, un’educazione senza ideale, ecco le conseguenze, che derivano dal principio, che l’esperienza è la norma unica e suprema della disciplina pedagogica»289. 286 G. Allievo, La pedagogia italiana antica e contemporanea, cit., p. 183. 287 G. Allievo, La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti, cit., p. 27. 288 G. Allievo, Lo spirito e la materia nell’universo, l’anima e il corpo nell’uomo, cit., p. 4. 289 G. Allievo, La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti, cit., p. 8.  79  Il primo dato necessario alla pedagogia che il positivismo confonde è la natura non materiale della persona: «La nuova scuola, mentre proclama di non voler accogliere nella cerchia della scienza altro che fatti, inconseguente a se medesima rinnega alcuni fatti di singolarissima importanza. Giacché è un fatto irrepugnabile, che l’educatore e l’alunno, l’uno di fronte all’altro, sentono di essere non già meri fenomeni insieme implicati, bensì due persone vive e reali, che hanno ciascuna affetti, intendimenti e voleri suoi propri, ed affermano la loro individualità col vocabolo io; sentono di essere attività libere, consapevoli di sé, arbitre del proprio operare. Ora la nuova scuola proclama illusorii questi due solennissimi fatti, che sono il fondamento primo dell’opera educativa». L’antimetafisica mette in discussione un altro elemento necessario per la pedagogia, vale a dire l’evidenza che «L’uomo è un soggetto educabile. Questo concetto semplicissimo ed elementare trascende la sfera dell’esperienza»290, e non può dunque essere incastonato nell’architettura positivista. La persona inoltre ha bisogno di un ideale, di un fine a cui piegare la sua esistenza. «Senza ideale non si vive da uomo, non si vive personalmente; e l’ideale vero non ci viene da una scuola, la quale insegni che la vita umana si risolve tutta quanta in un gabinetto di fisiologia, non ci viene dalla nuda esperienza. Essa mi dirà quello che io sono di fatto, o integro o corrotto che io mi sia; l’ideale invece mi rivela quello che io debbo essere; quello dell’esperienza è l’ideale del momento che passa, del punto che scompare; il vero ideale abbraccia l’universalità del tempo e dello spazio»291. In un altro saggio osserva: «L’esperienza mi dice quello, che è di fatto, non quel che debb’essere; mi apprende cioè che l’uomo viene realmente educato, ma non già che lo debba essere; è dessa la ragione, che muovendo dal concetto della persona umana ne argomenta che l’educazione le è necessaria ed essenziale. Così la sola esperienza non vale a somministrarci la verità universale e necessaria dell’educabilità»292 L’educazione ha bisogno di un ideale. Questo brano sintetizza chiaramente i concetti suaccennati: «Che se il soggetto educando de’ positivisti, conscia ed arbitra di sé e cagione efficiente degli atti suoi, è niente più che una mera successione de’ fenomeni, i quali non appartengono a nessuno, ognun vede, 1° che voi farete del vostro alunno non già una libera individualità, che pensi da sé e si regga per virtù interiore, bensì un meccanismo di fenomeni insieme raccostati dalla forza dell’abitudine; 2° che la santità del dovere è sfatata e l’educazione morale torna impossibile, perché i fenomeni passano senza lasciar traccia di sé, e le nostre risoluzioni 290 Ibid., p. 6. 291 G. Allievo, Il ritorno al principio della personalità, Prolusione letta all’Università di Torino il 18 novembre 1903, cit., p. 15.  292 G. Allievo, La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti, cit., p. 6. 80  volontarie sarebbero una risultante di fenomeni ossia di forze meccaniche cooperanti; 3° che anch’essa l’educazione religiosa non ha più ragione di essere, perché il positivismo è la negazione della metafisica, come scienza dell’Essere assoluto, e la negazione della religione, come amore intelligente ed operoso dell’Essere divino»293. La pedagogia positivista viene inoltre criticata in quanto si fregia di aver portato fondamentali novità per la pratica educativa. Allievo chiarisce che: «I positivisti s’immaginano di avere dato alla scienza dell’uomo e della sua educazione un impulso affatto nuovo e potente, di averle impresso il suo vero indirizzo, di averla ricostruita sulle sue giuste fondamenta come se tutti i grandi pensatori, che meditarono prima di essi intorno a queste due discipline, avessero brancolato alla cieca; e tutta la riforma, della quale vanno altieri, sta nell’aver circoscritto tutto il compito dell’antropologia e della pedagogia allo studio de’ fatti umani ed alla ricerca delle loro leggi, indipendentemente da ogni considerazione relativa alla sostanzialità del me, in cui essi fatti hanno il loro comune principio, il loro punto centrale ed armonizzatore»294. Ne La nuova scuola pedagogica analizza le novità che i positivisti si prendono il merito di aver apportato alla pedagogia: metodo intuitivo, autodidattica e adattamento. Allievo fa notare come siano tutte intuizioni e nozioni assai note prima della nascita del positivismo e prima ancora della comparsa della pedagogia. Per quanto riguarda le scienze umane, Allievo contesta la trasformazione positivistica della psicologia in una branca della fisiologia. Tale critica è legata alla battaglia per la difesa della personalità umana e della sua libertà. Ciò che Allievo intendeva difendere era l’idea che i fatti psicologici non fossero solo fisici, ma fondamentalmente spirituali. Il mentale non può essere trattato come il biologico, per cui l’oggetto della psicologia deve essere l’io sostanziale e non la sua espressione fisiologica o fenomenica. Per tale motivo la psicologia deve seguire, a detta di Allievo, un metodo filosofico e non scientifico, con cui invece si può indagare l’uomo da un punto di vista anatomico o fisiologico. Così per l’Allievo «la psicologia è quella parte di filosofia, che ha per oggetto l’anima umana studiata ne’ suoi fenomeni e nel suo essere sostanziale mediante la coscienza perfezionata dalla riflessione al ragionamento»295. Tale concezione deve essere contestualizzata in un periodo in cui la scienza italiana era parecchio lontana dagli approcci e dai risultati dei laboratori psicologici svizzeri, tedeschi e francesi. Questa difesa del collocamento della psicologia nella filosofia da quanti la volevano ridotta a pura fisiologia, nacque dalla paura 293 G. Allievo, Del positivismo in sé e nell’ordine pedagogico, cit., p. 409. 294 G. Allievo, Delle idee pedagogiche presso i greci, cit., p. 87. 295 G. Allievo, Appunti di Antropologia e Psicologia, cit., p. 24.  81  che tale prospettiva avallasse la riduzione dell’essere umano a un mero meccanismo biologico. Occorre inoltre far notare che Allievo tenne in grande considerazione le scienze sperimentali, anche se denunciò l’alto rischio dello scadimento della scienza in scientismo. Osserva «Non vi è amatore del vero sapere, che non riconosca e non ammiri i grandi progressi fatti dalle scienze naturali, e lo splendido avvenire, a cui sono chiamate, proseguendo per la retta via dell’osservazione sincera e compiuta dei fatti fisici, fecondata da una lenta e prudente induzione verificata mediante la prova e riprova di ben condotto esperimento. Questo successo e sicuro progredire del pensiero nella scoperta delle leggi e delle forze della natura avvantaggia le sorti dell’umanità e conferisce potentemente alla civiltà ed al perfezionamento sociale, essendochè l’uomo la fa sua rivolgendola al compimento del suo ideale. Se non che mentre per una parte il progresso delle scienze naturali conforta l’animo di liete speranze, per l’altra si nota con rincrescimento la tendenza di alcuni illustri ingegneri contemporanei a trascendere i confini proprii di esse scienze e riguardarle siccome la vera e sola scienza, a cui tutte le altre vanno sacrificate, come se in esse sole fosse incarnato lo spirito scientifico»296. Appare dunque poco fondato l’appunto mosso dalla Bertoni Jovine all’Allievo, che criticò al vercellese una presunta ostilità nei confronti della scienza e del suo valore educativo. Secondo la studiosa emiliana, per Allievo: «Tutte le scienze che si valgano di questo metodo e che inducono l’educando all’osservazione spregiudicata dei fatti storici e naturali sono dunque scienze diseducative o quanto meno non-educative, se per “educative” s’intendono soltanto le suggestioni che rafforzano la fede»297. In un lavoro successivo provò a giustificare la supposta contrarietà all’insegnamento della scienza, con l’esigenza di difendere il «dogmatismo» in funzione dell’ostruzionismo al progresso sociale e civile298. 296 G. Allievo, L’uomo e la natura, cit., pp. 12-13. 297 D. Bertoni Jovine, Storia della scuola popolare in Italia, Torino, Einaudi, 1954, p. 387. 298 «Ad ogni modo, pur attraverso una prosa gonfia e nello stesso tempo reticente, è opportuno districare il filo delle argomentazioni del pedagogista torinese. Il punto sostanziale della sua polemica è la critica del valore educativo della scienza. La scuola moderna si fa un feticcio della scienza sottovalutando altri elementi formativi dello spirito umano. Ma di quale scienza parla Allievo? Lo chiarirà in una nota inviata alla Reale Accademia di Scienze di Torino. Si tratta soprattutto si quel complesso di problemi e di studi che si raggruppa sotto il nome di “sociologia” e che interessa tutti i problemi della vita moderna, compresi quelli educativi. Egli non avrebbe probabilmente trovato tanto rivoluzionarie le teorie del positivismo, dello scientificismo, dello storicismo, se tutte insieme queste nuove teorie non avessero giusitificata l’esigenza di dare un nuovo sviluppo e un nuovo orientamento alla scuola; se in altri settori della vita pubblica quell’esigenza non si fosse collegata con necessità fatte sull’analfabetismo non avessero messo l’accento sull’influsso che una struttura economica arretrata aveva sulla scarsa efficienza della scuola. In questo legame l’Allievo trova il punto più pericoloso delle nuove dottrine pedagogiche che segnavano il tramonto di quello spiritualismo al quale egli si richiamava con nostalgia. Ad esse attribuisce il fallimento scolastico italiano, richiamando gli educatori ad una maggiore prudenza nell’accettare quel metodo positivistico che  82  Nel testo Studi Psico fisiologici (1896) riprese diverse scoperte fatte in ambito sperimentale e ne valorizzò i meriti e la valenza pedagogica. In più d’una occasione dovette difenderne l’importanza per la pedagogia da quanti, come gli idealisti, ne contestavano il senso e l’utilità299. Tale avvicinamento alla psicologia sperimentale gli costò la critica dell’idealista Santamaria Formiggini che avversando l’ilemorifismo dell’Allievo vide nell’apertura alla psicologia sperimentale un tradimento della realtà spirituale:300 D’altra parte pare chiaramente inesatto il giudizio di Vidari che fa dell’Allievo un osteggiatore della psicologia, sostenendo che il principio della personalità è «anti-sperimentalista» e «anti – sociologico»301. Invece l’armonia tra il materiale e lo spirituale, il loro “accordo”, era proprio ciò a cui Allievo puntava. Le due discipline, psicologia e fisiologia, non dovevano essere confuse ma ben distinte nel comune studio sull’uomo. Scrive a proposito: «La psicologia si trova in intimo contatto colla fisiologia, ma ciascuna di queste due scienze va distinta dall’altra, perché la prima ha per oggetto suo proprio la mente co’ suoi fenomeni psichici, la seconda l’organismo corporeo colle sue funzioni vitali; e tuttavia sono unite insieme da quel medesimo vincolo, che congiunge nell’uomo l’anima razionale ed il corpo organico, e così unite costituiscono l’antropologia»302. A causa di ciò Allievo non può essere considerato come un nemico della psicologia sperimentale, ma contro quella che esclude la «natura personale» nell’uomo. La critica del positivismo e del materialismo è connessa a quella sull’evoluzionismo. Allievo fa notare come il darwinismo non sia una necessaria conseguenza del positivismo, ciò è confermato dal fatto che non fosse condivisa da autori come Auguste Comte o Stuart Mill. Nella Nuova scuola pedagogica (1905) Allievo osserva: «La nuova scuola pedagogica annovera nel suo seno alcuni seguaci dell’evoluzionismo darviniano, i quali accusano la distruggerà il metodo dogmatico [in nota: G. Allievo, L’indirizzo storico e sociologico della pedagogia contemporanea, Torino, 1908]. Tutte le scienze che si valgono di questo metodo e che inducono il fanciullo all’osservazione spregiudicata dei fatti storici e naturali sono dunque scienze diseducative o quanto meno non-educative, se per “educative” s’intendono soltanto le suggestioni che rafforzano la fede» D. Bertoni Jovine, Storia dell’educazione popolare in Italia, Bari, Laterza, 1965, pp. 221-223. 299 G. Allievo, Il problema metafisico studiato nella storia della filosofia dalla scuola ionica a Giordano Bruno, cit., p. 14. 300 «Forse l’Allievo si lasciò trascinare nella sua vita dal desiderio di porre la sua psicologia in maggiore armonia con le teorie scientifiche sull’emozione che allora si diffondevano in seguito all’indirizzo di studi del Wundt; volle dimostrare la possibilità di coordinare il suo sistema coi risultati della scienza più moderna; ma naturalmente non poté riuscire bene nel suo intento, perché l’eclettismo è il più difficile di tutti i sistemi» E. Santamaria Formiggini, La pedagogia italiana nella seconda metà del secolo XIX, parte I, gli spiritualisti, Roma, A. F. Formiggini, 1920, p. 281. 301 Vidari sostiene che l’Allievo è contrario alla «psicologia fenomenistica, che è per la Pedagogia rovinosa, negando essa il principio fondamentale della sostanzialità e unità della Persona» G. Vidari, Giuseppe Allievo, cit., pp. 8-9.  302 G. Allievo, Appunti di Antropologia e Psicologia, cit., p. 26. 83  vecchia pedagogia di posare sopra una psicologia astratta e dualistica, per cui mancava di salde basi scientifiche, adoprava un metodo puramente soggettivo ed astratto e toglieva di mezzo ogni raffronto tra i fenomeni psichici dell’uomo e quelli degli animali. Tutte queste accuse presuppongono che l’evoluzionismo, a cui si appoggiano, sia una verità scientifica rigorosamente dimostrata, ma cadono l’una dopo l’altra, dacché il Darwinismo è una mera ipotesi sostenuta da pochi pensatori, che lo scambiano per un teorema scientifico dimostrato. Anche riguardato come una pura ipotesi bisognevole di conferma, l’evoluzionismo è ben lontano dallo adempiere i difetti ingiustamente attribuiti alla pedagogia filosofica e rinnovare di sana pianta la scienza educativa nelle sue basi, nel suo metodo, nelle sue attinenze sociali»303. In tale testo conferma una considerazione fatta già nel 1874: «L’alterazione della specie sostenuta da Darwin è una mera ipotesi, che va ogni di più perdendo valore e seguaci»304. Di certo la previsione è risultata sbagliata. Tuttavia, il fatto che Allievo considerasse la teoria dell’evoluzionismo come una probabilità appare giustificabile sulla base delle conoscenze scientifiche e delle prove addotte dal darwinismo alla fine dell’Ottocento. Va peraltro tenuto conto che la critica dell’Allievo fu abbastanza superficiale e incentrata su questioni filosofiche più che scientifiche (non ne aveva gli strumenti). L’idea che il pedagogista vercellese difendeva era comunque la stessa, l’irriducibilità dell’uomo alla natura. Nel testo L’uomo e la natura (1906) si interroga: «possiamo noi ammettere che la specie umana abbia avuto origine dalla materia universale diffusa nello spazio per via di una lenta e progressiva trasformazione degli organismi viventi? Lo asseriscono i seguaci dell’evoluzionismo materialistico, ma non lo hanno mai dimostrato seriamente né punto, né poco; né dimostrare lo possono perché nemo dat, quod non habet, e la materia bruta primitiva non racchiudeva certamente in sé il germe di quella sublime razionalità, che è il carattere costitutivo della specie umana. Carlo Vogt nelle sue Lezioni sull’uomo si sbraccia a dimostrare, che le diverse razze umane originarono dalle differenti famiglie di scimmie, ma ristrinse tutto il suo esame alla morfologia del cranio umano raffrontato con quello scimmiesco, e non disse verbo delle facoltà mentali proprie dell’umanità: che veramente avrebbe avuto un disperato partito per le mani, se avesse preteso che la mentalità dell’uomo è sbocciata dalla brutalità della scimmia»305 Stando all’Allievo il positivismo non è perdente solo sul piano teoretico. È la vita a condannare questo sistema. Nell’introduzione degli Studi Pedagogici, Allievo riprende il 303 G. Allievo, La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti, cit., p. 12. 304 G. Allievo, Della vecchia e della nuova antropologia di fronte alla società, cit., p. 10. 305 G. Allievo, L’uomo e la natura, cit., p. 10.  84  romanzo di Dickens, Duri tempi per questi tempi, e cita diversi brani al fine di mostrare la confusione a cui porta il positivismo nella vita reale, infatti è inevitabile che venga svilito il compito dell’educatore, svalutata l’immaginazione, sminuito il sentimento e l’amore. Il positivismo soffoca l’esistenza. Anche se Allievo ricorda che «il cuore è tal forza che più di ogni altra della natura scoppia irresistibile quanto più lungamente e violentemente repressa»306, il positivismo conduce inevitabilmente alla «ruina e lo sfacelo della vita domestica e sociale»307. Allievo contesta anche le posizioni positivistiche sulla scuola. Critica Comte che impone alle prime classi un quadro orario composto quasi esclusivamente con materie matematico scientifiche, sminuendo quelle umanistiche. Nonostante le critiche Allievo riconosce alla nuova pedagogia anche dei meriti308. Uno degli apporti importanti del positivismo è stato quello di riavvicinare la scienza pedagogica all’analisi e all’osservazione degli aspetti empirici dell’educazione.309 Comunque se Allievo dopo gli anni ’70 risultava preoccupato per l’avanzata del positivismo, alla fine della sua carriera ebbe occasione di esultare per la sua decadenza. Nel 1909 Allievo poteva scrivere che «Il positivismo pedagogico attraversa una grandissima crisi e va via via smarrendosi in mezzo a diversi e contrari indirizzi. La mancanza assoluta di critica, la cieca fidanza si sé, il dogmatismo sostituito al ragionamento ed alla discussione, la noncuranza delle dottrine contrarie, il disprezzo della tradizione, tolgono a questo sistema ogni efficacia scientifica e segnano il suo decadimento»310. 306 G. Allievo, Studi pedagogici, cit., pp. 8-9. 307 Ibid., p. 12. 308 «Nessuno mai, che abbia fior di senno, rigetterà siccome sciupato, fallito e contrario al vero tutto il lavoro della nuova scuola pedagogica. Anch’essa ha le sue parti buone e commendevoli accanto alle malsane e morbose; ha messo in bella luce alcuni punti, che non erano stati sufficientemente lumeggiati; ha posto in rilievo alcuni fatti educativi mediante un’analisi sottile ed accurata; ha dato un nuovo impulso all’educazione fisica ed alla coltura del pensiero; ma il principio fondamentale, su cui essa posa, è radicalmente sbagliato; epperò tutte le verità, che essa contiene nella sua dottrina, non le può logicamente ammettere, se non a condizione di rigettare il suo principio supremo, mentre la pedagogia filosofica le può accogliere tutte quante, perché rientrano nel principio che le è proprio» G. Allievo, La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti, cit., p. 9. 309 «Il positivismo (sarebbe ingiustizia il disconoscerlo) ha recato non poco giovamento agli studi antropologici coll’averli ritirati dalla via dell’incompiuto ed esclusivo metodo trascendentale dell’antica scuola e condotti su quella dell’osservazione e della storia; ma è solenne errore quel suo fermarsi alla nuda osservazione dei fatti e delle loro leggi senza punto assorgere allo studio delle origini, della natura e della destinazione dell’uomo che è causa efficiente e ragione spiegativa di quei medesimi fatti.”309 Osserva ancora: “Certamente dimostrerebbe ingiusto verso la nuova scuola chi le negasse il merito di avere efficacemente contribuito all’incremento della scienza pedagogica; ma dall’altro lato è giuoco – forza riconoscere, che nel corso delle sue indagini ha passato sotto silenzio argomenti e problemi pedagogici di altissimo rilievo» Ibid., p. 27.  310 G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., p. 6. 85  Concludendo, si può rilevare come Allievo abbia scovato nelle critiche al positivismo e all’idealismo un errore comune. Entrambe mancano infatti di realismo, e riducono sia il campo dello scibile che quello dell’esistente311. I. 7. Il contributo alla storia della pedagogia Gli studi di storia della pedagogia costituiscono una parte cospicua nella produzione di Allievo, che nella sua lunga carriera si è occupato di diversi periodi, che vanno dalla pedagogia antica greca e romana, all’itinerario della riflessione europea tra il XVIII e il XIX secolo, alla storia dello spiritualismo italiano. L’importanza data agli studi storici è inoltre confermata dal fatto che i testi in cui Allievo espone il “suo” sistema pedagogico e filosofico sono lavori di storia della pedagogia, vale a dire i Saggi filosofici, gli Opuscoli e Il problema metafisico. Tra le opere più importanti vi è il già citato Del positivismo in sé e nell’ordine pedagogico (1883), che non si limita ad una critica sui contenuti ma riprende con precisione lo sviluppo delle teorie pedagogiche di Comte, Spencer, Bain. Sulla stessa corrente, è particolarmente significativo il testo La psicologia di Herbert Spencer: studio espositivo-critico (1898). Al contributo della pedagogia svizzera dedica il libro: Delle dottrine pedagogiche di E. Pestalozzi, A. Necker de Saussure, F. Naville e G. Girard (1884). Un altro testo importante è Delle idee pedagogiche presso i Greci (1887). Nel 1901 pubblicò La pedagogia italiana antica e contemporanea in cui in un capitolo è riportato un testo pubblicato quaranta anni prima: Della pedagogia in Italia dal 1846 al 1866 (1867). Negli Opuscoli pedagogici (1909) presenta saggi su l’Helvetius, Gerdil, Jacotot, Kant, Herbart, Blackie ed altri. Importante anche lo studio sul fondatore della pedagogia moderna, G. G. Rousseau filosofo e pedagogista (1910) e l’ultima opera che rappresenta il testamento pedagogico dell’Allievo: Giobbe e Schopenhauer (1912). Un altro importante contributo fu la traduzione e l’introduzione della Levana di Richter, e lo studio su Maine de Biran e la sua dottrina antropologica (1895). 311 Sui punti in comune delle due teorie scrive: «Queste due specie di umanismo filosofico hanno due punti comuni in cui convengono, ai quali corrispondono due punti di discrepanza, in cui esse differiscono. Anzi tutto entrambe concordano nel proclamare l'autonomia illimitata del pensiero umano, che nulla più riconosce oltre di sè: da ciò poi che l'attività del pensiero si spiega e come ragione avente per oggetto il mondo soprasensibile, immutabile ed assoluto delle essenze, e come esperienza la quale coglie il mondo sensibile, mutabile e relativo de' fenomeni, ne viene una ragion soggettiva per cui l'umanismo filosofico si specifica in razionalismo assoluto ed in empirismo universale. Ancora, esse convengono nel proclamare il moto indefinito delle cose e delle idee, mercè il quale l’uomo, disertando il posto segnatogli dalla propria natura, o si faccia identico con Dio, che gli sovrasta, trasumanando, o si confonda colla materia che gli soggiace. disumanandosi; e di qui una ragione oggettiva, per cui l'umanismo differenziasi in antropoteismo ed in naturalismo» G. Allievo, L’Hegelismo e la scienza, la vita, cit., pp. 9-10.  86  Uno dei periodi più studiati dall’Allievo fu la pedagogia del XIX secolo. Nel testo Delle dottrine pedagogiche di Enrico Pestalozzi, Albertina Necker di Saussure, Francesco Naville e Gregorio Girard, (1884), innalza la scuola svizzera come un momento importante per l’intera scienza e storia della pedagogia, una scuola che seppe integrare le spinte della modernità con una prospettiva antropologica spiritualista. Un altro testo molto significativo è il già citato Della pedagogia in Italia dal 1846 al 1866 (1867). Questo saggio ripercorre con precisione lo sviluppo della cultura pedagogica e della legislazione scolastica in Piemonte e in Italia, in un decennio decisivo per la costruzione della scuola italiana. Commentando questo saggio Gerini ha scritto: «La monografia, composta per incarico del Ministro della P.I., è il primo saggio di storia pedagogica scritto in Italia, che sarà sempre consultato da quanti vorranno conoscere il nostro risorgimento educativo»312. Dello stesso avviso anche Arcomano, che commenta: «È una rassegna delle situazioni, delle attività e delle opere del ventennio 1846-1866, in fatto di istruzione ed educazione, e si può considerare un capolavoro di chiarezza nella interpretazione degli avvenimenti e nella presentazione delle idee che circolavano»313, anche se poi rileva come il testo è forse troppo concentrato sulla realtà subalpina. Il testo ebbe vasta eco nel dibattito pedagogico, lo troviamo spesso citato in opere di altri autori314, abbastanza rare sono le critiche315. In questo saggio Allievo esalta i protagonisti di quella stagione come Vincenzo Troya, Agostino Fecia, Vincenza Garelli, Carlo Boncompagni. Riprende poi tutte le discussioni sulla riforma della scuola, e trova nell’esperienza pedagogica del Piemonte e della Toscana nella metà dell’Ottocento i due laboratori della nuova scuola e della nuova pedagogia. È molto significativo il peso dato dall’Allievo alla «Società pedagogica» e anche alle riviste del tempo. Questo testo, contribuì a dimostrare come fosse solo un mito l’idea propagandata dai positivisti secondo la quale la pedagogia precedente alla loro non avesse avuto nulla da dire. Allievo fa risaltare la pedagogia spiritualista risorgimentale e quel clima di liberalismo educativo che sarà tradito e defraudato dalla statolatria e dal positivismo. 312 G. B. Gerini, La mente di Giuseppe Allievo, cit., p. 44. 313 A. Arcomano, Pedagogia, istruzione ed educazione in Italia (1860-1873), cit., p. 56. 314 Cfr. C. Uttini, Nuovo compendio di pedagogia e didattica : ad uso delle scuole e delle famiglie, Torino, Libreria scolastica di Grato-Scioldo, 1884, p. XIV. 315 Si vedano per esempio gli appunti negativi di Vidari: «Abbastanza buono per la parte della pedagogia contemporanea è il Saggio dell’Allievo, il quale porta in esso il contributo delle sue proprie memorie e impressioni; ma anche qui il senso della vita storica, cioè della interiore unità onde si collegano nel loro svolgimento le dottrine, è quasi del tutto assente, e invece prevalgono le preoccupazioni personali dell’autore» G. Vidari, Il pensiero pedagogico italiano nel suo sviluppo storico, cit., p. 4.  87  Senza dubbio lo studioso può essere considerato uno tra i primi storici della pedagogia italiana, e non solo per il numero dei lavori pubblicati, ma anche per la teorizzazione dell’ambito disciplinare e delle metodologie di ricerca. Allievo espone il suo pensiero circa il fine e il metodo della Storia della pedagogia nel breve opuscolo Concetto generale della storia e della pedagogia (1901), anche se accenna a tale questione in diversi altri saggi. Nel lavoro citato, parte dalla considerazione dell’educazione come fatto e concetto comune. La pratica e la teorizzazione educativa sono imprescindibili, e la scienza pedagogica si sviluppò sotto la spinta di voler vedere perfezionata l’arte educativa. In questo senso continua: «La necessità di una scienza pedagogica emerge dal difetto inerente all’inconscia educazione naturale, e quindi dall’insufficienza del suo concetto»316. Egli rivendica uno statuto epistemologico propria alla storia della pedagogia, che distingue tanto dalla pedagogia in sé, che dalla storia dell’educazione. In questa direzione critica Paroz che nella Histoire universelle de la Pédagogie non separa le due discipline317. Allievo distingue anche la storia dell’educazione in generale, vale a dire i tratti tipici dell’educazione e la sua storia universale, dalla storia dell’educazione di una particolare tradizione o società318. Nei suoi studi richiama l’importanza della precisione storiografica ed uno studio approfondito delle fonti. In particolare rimarca come la storia dell’educazione debba essere: ordinata, veridica, ragionata, compiuta. Chiede di riferirsi sempre a «fonti accurate e sicure»319. Uno degli aspetti innovativi dei lavori dell’Allievo è il peso dato allo studio del contesto e della personalità dell’autore320. 316 G. Allievo, Concetto generale della storia della pedagogia, cit., p. 1. 317 «La storia dell’educazione ha per ufficio suo proprio di esporre le diverse forme, che prese l’educazione presso i diversi popoli antichi e moderni; per contro la storia della pedagogia espone le origini e lo sviluppo di questa scienza attraverso le dottrine, i sistemi, le teorie de’ pensatori, che la coltivarono. [...] Per certo queste due specie di storie sono fra di loro congiunte da intime attinenze e si lumeggiano a vicenda, ma la loro distinzione va tenuta in conto per non confondere due ordini di cose affatto diversi, quali sono le idee pedagogiche de’ pensatori e le azioni educative degli istitutori» Ibid., p. 3. 318 «La storia dell’educazione, riguardata rispetto alla sua estensione, viene a diversi in universale, particolare e singolare. La storia universale si estende all’educazione di tutti i tempi dai più remoti ai contemporanei, di tutti i popoli e barbari e civili, e antichi e moderni. La particolare comprende un periodo storico generale, quale sarebbe la storia dell’educazione antica, o parte di un periodo storico, come ad esempio la storia dell’educazione dal 1500 a noi. In entrambi i casi abbraccia l’educazione presso tutti i popoli ristretti però ad un tempo determinato. È altresì particolare quella, che espone l’educazione di una nazione considerata o in tutta la durata della sua esistenza (quale l’educazione presso i romani) o in uno de’ suoi periodi storici (quale l’educazione dei romani nel periodo repubblicano). Infine è singolare, se si restringe o ad un dato secolo (come la storia dell’educazione ai tempi della rivoluzione francese), o ad un Istituto educativo, quale l’Istituto pitagorico o l’Istituto educativo di Vittorino da Feltre; ed allora piglia più propriamente nome di monografia storica» Ibid., p. 3-4; 319 Ibid., p. 4. 320 Già in uno dei primi saggi esponeva con chiarezza tale principio: «La critica ha da descrivere la genealogia del genio speculativo; ha da seguirlo in tutto il suo periodo evolutivo ricordando i sentieri e le vie riposte per cui è passato prima di giungere al suo ideale definitivo; ha da studiare il movimento speculativo dell'epoca in mezzo al quale si svolse; ha da sceverare nelle pagine della storia le idee di cui ha elementato il proprio sistema e significare come queste nel proprio sistema s'intrecciarono e vi ricevettero un'impronta peculiare e sistematica. Tale è l'ufficio narrativo della critica. Oltre a tutto questo, apprezzare nel suo giusto  88  Come la storia dell’educazione, anche la storia della pedagogia si può dividere in generale e particolare. Il suo fine non si limita ad una narrazione asettica della riflessione educativa, ma trova il suo senso nella valutazione delle teorie pedagogiche rispetto all’autentica scienza pedagogica. Scrive Allievo: «Da queste generali considerazioni intorno al come si forma e si va svolgendo la pedagogia emerge da sé il concetto della sua storia, la quale apparisce una ordinata e razionale narrazione dello svolgimento progressivo della scienza pedagogica attraverso i tentativi fatti dai pensatori di tutti i tempi e luoghi a fine di determinare l’ideale tipico dell’umana scienza»321. In particolare, sono significativi alcuni brani presenti negli Studi pedagogici (1889)322 e ne La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti (1905)323, in cui mostra come lo scopo dell’approfondimento storico è strettamente connesso al fine della scienza pedagogica. L’Allievo sostiene che l’educazione possa essere studiata o nel suo svolgimento pratico o da un punto di vista speculativo. La pratica educativa può essere di tre tipi: quella che normalmente le persone attuano, quella di una determinata società, e la vera arte di educare. Come l’educazione, anche la teoria pedagogica sembra connaturale alla vita umana. Per tale motivo in ogni epoca l’uomo si è fatto un’idea circa il miglior modo di educare. Così, secondo Allievo, esistono tre tipi di teorie pedagogiche: la pedagogia volgare, quella del singolo pensatore, e la scienza pedagogica. Il compito della storia della pedagogia quello di individuare il differenziale tra quanto pensato in passato e la scienza pedagogica. La storia ha così un valore fondamentale della riflessione pedagogica, poiché propone agli studiosi interlocutori di vaglia, anche sé Allievo ricorda di distinguere la scienza dalla storia324. Il seguente brano ben lumeggia la distanza tra ciò che si è pensato e la scienza: «Fu detto che la storia universale è tutta una congiura contro la verità: nell’ipotesi che stiamo valore il punto iniziale da cui un sistema piglia le mosse, il processo a cui s'informa il suo sviluppamento, il termine finale in cui si è chiuso; pronunziare se nella storia del pensiero speculativo esso segni un periodo di sosta o di progresso; giudicare se il problema filosofico sia stato concepito in tutta la sua integrità e giustezza, e risoluto a dovere; epperò se siano state convenientemente satisfatte le esigenze del pensiero spéculativo senza punto disconoscere i pronunziati universali della sapienza comune, anzi armonizzandoli colle conclusioni della ragion filosofica : ecco l'altro ufficio della critica che discute» G. Allievo, L’Hegelismo e la scienza, la vita, cit., p. 18. 321 G. Allievo, Concetto generale della storia della pedagogia, cit., p. 6. 322 G. Allievo, Studi pedagogici, cit., pp. 28-31. 323 G. Allievo, Delle dottrine pedagogiche di Enrico Pestalozzi, Albertina Necker di Saussure, Francesco Naville e Gregorio Girard, cit., p. 7. 324 «I cultori della pedagogia trovano nella storia una saggia maestra, che additando gli errori dei pensatori che li precedettero, da un lato, e dall’altro le verità da essi scoperte e lumeggiate, li consiglia a procedere ammisurati e guardinghi nei loro tentativi, li anima e li sorregge all’amore ed alla conquista del vero, ed allarga l’orizzonte del loro pensiero. Riconoscendo l’utilità e l’importanza della storia della pedagogia, guardiamoci però dall’ingrandirla oltre il convenevole.» G. Allievo, Concetto generale della storia della pedagogia, cit., p. 8.  89  discutendo, bisognerebbe ripetere, che anch’essa la storia della pedagogia è tutta una congiura contro la scienza pedagogica»325. Nel stesso saggio critica il Siciliani e il suo testo Storia critica delle teorie pedagogiche nel quale sostiene che la scienza pedagogica si fonda sulla esperienza storica dell’educazione326. Se per Siciliani la scienza pedagogica è frutto di evoluzione, per lo spiritualista Allievo la «vera» scienza pedagogica è una, e ad essa ci si può avvicinare o allontanare. Entra poi in merito a come si fa la storia della pedagogia. Spesso si è costretti a raccogliere le «idee slegate e frammentate» in opere non propriamente pedagogiche, scovando le «teorie particolari intorno a qualche punto di educazione, o sia che esse formino un tutto da sé distinto da ogni altro, o sia che giacciano implicata ed involte in opere di altra natura», ma anche «i trattati che abbracciano un compiuto sistema pedagogico, dove l’educazione è contemplata in tutta l’integrità del suo organismo, quali ce ne porge in copia moderna». Bisogna quindi studiare le opere dell’autore, i frammenti della sua opera presente in altri autori, la tradizione su di lui. «Gli scritti originali di un pedagogista sono essi soli le vere fonti, da cui si attinge limpida e netta la sua dottrina, mentre i frammenti registrati nelle opere di altri scrittori, e la tradizione scritta od orale, anziché fonti, sono rivi più o meno puri». Dai suoi scritti occorre innanzitutto cogliere in concetto centrale di un autore, cercandone poi le cause. Occorre comunque valutare la pedagogia degli autori studiati: «Ma il compito più elevato, più grave e ad un tempo più arduo della critica storica risiede nel cernere nelle esposte dottrine la parte vera dalla erronea, la certa dall’incerta ed opinabile, l’elemento soggettivo, particolare, relativo, dall’oggettivo, universale, assoluto, che solo può passare nel dominio della scienza pedagogica»327. Lo storico dovrà stare attento ad ancorarsi sempre alla scienza pedagogica328. In conclusione sintetizza così il compito dello storico della pedagogia: «Ai quattro uffici propri della storia pedagogica ora accennati fanno natural corrispondenza quattro distinte e successive forme speciali, che essa può rivestire nel suo progressivo sviluppo. La storia della pedagogia rintraccia primamente i materiali, che entrano a comporla, ed in questo suo primo studio riveste la forma di memorie e frammenti. Poi si accinge ad esporre e descrivere le raccolte dottrine, e qui assume la forma di cronaca, alla quale succede la forma di storia propriamente detta, 325 Ibid., p. 9. 326 Ibid., p. 10. 327 Ibid., p. 15. 328 «Lo storico deve scansare due estremi; da un lato la troppa fidanza di sé ed il cieco immobilismo nelle proprie idee, dall’altro l’incostanza e la volubilità del pensiero, a cui potrebbe essere trascinato dallo spettacolo di tanti sistemi diversi e contrari» Ibid., p. 16.  90  che corrisponde all’ufficio etiologico od inquisitivo, finché s’innalza alla sua più perfetta forma, quale è la filosofia della storia, che risponde all’ufficio critico e speculativo»329. Il senso della Storia della pedagogia ha appunto lo scopo di rilevare il differenziale presente sia tra i modi che le popolazioni che ci hanno preceduto avevano di educare in confronto con la vera arte di educare, sia il confronto tra le varie teorie pedagogiche e la vera scienza pedagogica. Osserva Allievo: «Quindi ancora ne consegue, che introno al medesimo oggetto conoscibile (ad esempio intorno l’essenza dell’educazione, od al suo fine, od alle sue leggi) possono darsi e si danno di fatto molte teoriche, e quel che è più le une dalle altri discordi ed avverse, mentre una sola è la scienza e sempre a se stessa concorde, perché una sola è la verità, in quella guisa che nell’ordine geometrico tra due punti dati non può correre che una sola linea retta, mentre di linee curve se ne possono condur chi sa quante». Il senso della Storia della pedagogia è analizzare i sistemi pedagogici confrontandoli con la vera scienza pedagogica. Dunque: «La storia de’ sistemi pedagogici è sostanzialmente la storia de’ tentativi felici od infelici, retti o traviati, fatti dai cultori dell’arte educativa per giungere al Vero siccome fondamento di essa; per lo contrario la storia della scienza pedagogica è la storia della Verità educativa riguardata nel suo progressivo esplicamento»330. Sulla base di questa prospettiva, i numerosi studi di storia della pedagogia di Allievo, sono un dialogo rispetto a determinati principi pedagogici con gli autori trattati, più che un’esposizione oggettiva del loro pensiero. Lo studio della storia della pedagogia secondo Allievo può condurre a una migliore comprensione dell’educazione e a quei tratti unici e particolari che la caratterizzano. Per tale ragione nelle sue ricerche spesso trova degli spunti per confermare alcune delle sue tesi o muove critiche agli altri sistemi pedagogici, in primis ai già citati positivisti. I testi sono dunque ripetutamente accompagnati da valutazioni personali, commenti, paragoni, e non pochi giudizi sferzanti. Ha scritto puntualmente Vidari «Si comprende da tutto questo come l’Allievo nei suoi studii di storia delle dottrine antropologiche e pedagogiche fosse guidato e mosso più che dal proposito di comprenderle nel loro processo di formazione, di inquadrarle nel momento storico a cui appartennero, di seguirle nei loro sviluppi, nelle loro irradiazioni e conseguenze, da quello piuttosto di saggiarle e 329 Ibid., p. 16. 330 G. Allievo, Delle dottrine pedagogiche di Enrico Pestalozzi, Albertina Necker di Saussure, Francesco Naville e Gregorio Girard, cit., p. 6.  91  giudicarle in rapporto a quei principi fondamentali di scienza dell’educazione, che egli andò illustrando in tutto il resto della sua produzione filosofica»331. Dalle posizioni prese di fronte al «laboratorio della storia della pedagogia» si precisa ancora meglio il sistema pedagogico di Allievo. Forse anche per questo la lettura di questi testi aiuta a cogliere il cuore e le preoccupazioni pedagogiche dell’Allievo. Il tema principale su cui Allievo si confronta è per la maggior parte legato a prospettive antropologiche e alle loro conseguenze in campo educativo e scolastico. Giustamente Valdarnini osserva: «qual criterio adotta l’Allievo per giudicare della verità o della falsità delle dottrine di cui è intessuta la storia della Pedagogia? Questo: il sentimento e il concetto della dignità propria della specie umana»332. Da Seneca a Rousseau ciò che l’Allievo valuta è quale l’idea di uomo essi comunicano e difendono. Ma tale prospettiva ha secondo alcuni studiosi portato a esiti negativi. La Quarello, ad esempio, critica il fatto che certi giudizi storici siano «troppo soggettivi»333 e fa notare che alcune valutazioni dell’Allievo partono «talora da “presupposti dommatici” più che da dimostrazioni convincenti»334. Tra le altre, critica la scarsa considerazione data al Kant della Critica della ragion pratica. Di un’idea contraria è Vidari quando osserva che «alcune delle osservazioni critiche che l’Allievo muove alla dottrina morale di Kant, per quanto non nuove, sono giuste e fondate»335. Come già accennato, sempre stando alla Quarello, Allievo non avrebbe colto il contenuto della filosofia di Hegel, riducendo la portata dello Spirito e dell’Assoluto hegeliano336. Tra gli altri, il principio della libertà d’insegnamento è uno dei criteri con cui valuta le teorie pedagogiche. Nel testo Delle idee pedagogiche presso i greci la questione della libertà d’insegnamento decide della divisione degli autori. Allievo affronta prima Pitagora e Socrate, che sono considerati i difensori di un’educazione libera, e poi Senofonte, Platone e Aristotele, che considera difensori di una visione spartana e statolatrica dell’educazione. Affrontando tali autori esprime la sua idea di educazione e di libertà. Scrive: «Plutarco non separa la famiglia dallo Stato, né la confonde con esso. Per lui la famiglia non è solo un grado della gerarchia dello Stato, ma un centro, che ha uno sviluppo suo proprio. 331 G. Vidari, Il contributo di G. Allievo alla Storia della Pedagogia, «Rivista Pedagogica», n. 10, 1930, p. 689. 332 A. Valdarnini, Giuseppe Allievo storico della pedagogia, in Vita e mente di Giuseppe Allievo, cit., 1913, p. 56. 333 V. Quarello, G. Allievo, Studio critico, cit., p. 124. 334 Ibid., p. 124. 335 G. Vidari, Il contributo di G. Allievo alla Storia della Pedagogia, cit., p. 692. 336 V. Quarello, G. Allievo, Studio critico, cit., pp. 128-129.  92  L’educazione, senza punto dimenticare di preparare il fanciullo a divenire buon cittadino, ha sovra tutto per compito suo di formare in lui l’uomo mercè il culto della famiglia»337. Sugli «avversari» della libertà scrive invece: «Platone aveva confuso la famiglia collo Stato fino ad introdurre il Governo nei penetrali del santuario domestico, e colla famiglia anch’esso l’individuo veniva assorbito nella comanza politica. Aristotele giunse a distinguere la famiglia dallo Stato, ma il suo pensiero su questo grave argomento mostrasi perplesso ed oscuro, tant’è che l’uomo in sua sentenza non è tale, perché persona individua, perché padre o marito, o figlio, ma perché cittadino»338. Un altro brano su Platone mostra la pertinenza tra il concetto di persona e quello della libertà d’insegnamento, e come la perdita del primo faccia necessariamente scivolare nello statalismo: «Il massimo e capitale errore, che falsa la politica e conseguentemente la pedagogia di Platone e scorre e s’inviscera in tutte le parti della sua teoria, questo è di avere sacrificato l’attività personale dell’individuo all’onnipotenza dello Stato, di avere assorbito l’uomo nel cittadino. La dottrina politica di Platone è un esplicito socialismo governativo: l’individuo esiste e vive in servigio esclusivo dello Stato, è niente più che una molla, un ordigno del gran meccanismo sociale, giacché nell’assoluta ed oppressiva unità della comunanza politica si perde ogni libertà personale. Epperò l’educazione riesce essenzialmente ed onninamente politica, mentre dovrebb’essere primamente e sostanzialmente personale: l’umana persona, spogliata della sua dignità finale, viene educata come semplice mezzo e strumento della civil società»339 . Concludendo la parentesi greca scrive: «Lo Stato adunque non prevale sull’individuo, bensì gli sottostà come effetto della sua cagione; e quando Aristotele a sostenere la supremazia naturale dello Stato sulla famiglia e sui singoli uomini osserva, che il tutto trionfa sulla parte, perché distrutto quello, anche questa vien meno, possiamo ritorcere il suo argomento contro di lui avvertendo che la parte congregandosi con altre parti, forma essa il tutto, e se quella scompare, anche questo ruina. In una parola non l’individuo è fatto per lo Stato, bensì lo Stato è fatto per tutti e per ciascuno, epperò l’educazione debb’essere umana e personale, prima che politica e civile»340 In alcuni punti le valutazioni dell’Allievo sono decisamente esagerate. Nel testo su Giobbe e Schopenauer apre una parentesi molto sommaria contro il popolo ebraico341, rasentando il razzismo. In altre occasioni il suo giudizio è palesemente sproporzionato. 337 G. Allievo, Delle idee pedagogiche presso i greci, cit., p. 163. 338 Ibid., p. 162. 339 Ibid., pp. 131-132. 340 Ibid., p. 148. 341 G. Allievo, Giobbe e Schopenhauer, cit., pp. 36-37.  93  Come quando nell’introduzione al lavoro su Delle idee pedagogiche presso i greci (1887) osserva «Pitagora e Socrate ci appariscono gloriosi campioni di una pedagogica, che si muove libera di sé, franca da ogni ressura governativa, sorretta da un ideale divino, che consacra la persona, santifica il dovere, suggella l’immortalità della vita personale. Platone ed Aristotele ci si mostrano fautori dello Stato educatore, che disconoscendo ne’ singoli uomini la dignità della persona individua, trae con sé a perdimento tutta la Grecia»342. Anche Santamaria Formiggini contesta all’Allievo la scarsa precisione su taluni lavori, in particolare fa riferimento agli studi su Rousseau ed Herbart. Inoltre sostiene che l’Allievo non riuscì a «penetrare oggettivamente nel pensiero degli autori che studia e che critica»343. Però poi ammette che «Come pedagogista egli lascia a grande distanza gli altri per la larga informazione storica, che è uno degli elementi essenziali per la trattazione ponderata ed illuminata delle questioni educative, è condizione per un vero progresso delle teorie. Egli può considerarsi veramente uno dei primi pedagogisti che abbiano indirizzato gli studiosi italiani a mettere in raffronto e in rapporto i loro studi con i risultati del pensiero pedagogico straniero, perché dai confronti scaturisca più viva e più nuova la verità, perché si evitino ripetizioni di teorie discusse e superate»344. Oltre ad imprecisioni, i lavori dell’Allievo risultano approfonditi e curati. Lo studio su Rousseau criticato dalla Formiggini, è ricco di riferimenti bibliografici ma soprattutto offre una chiave di lettura molto interessante del pensatore ginevrino non temendo di evidenziarne i pregi, ma anche le contraddizioni, le ambiguità e i rischi. Non pensiamo di essere lontani dal vero affermando che nonostante la sterminata bibliografia sull’autore dell’Emilio, il libro di Allievo risulta ancora oggi ricco di spunti e di considerazioni. Il merito di Allievo come storico della pedagogia emerge ulteriormente se paragonato ai lavori coevi di storia della pedagogia, dai quali si distanzia per riferimento alle fonti e immedesimazione. Senza dubbio si può affermare che Allievo può essere considerato uno tra i primi storici della pedagogia italiani. I. 8. La scuola educativa 342 G. Allievo, Delle idee pedagogiche presso i greci, cit., p. II. 343 E. Santamaria Formiggini, La pedagogia italiana nella seconda metà del secolo XIX, parte I, gli spiritualisti, cit., p. 12.  344 Ibid., pp. 322-323. 94  Nel corso della sua carriera, Allievo diede ampio spazio alla riflessione sulla scuola, cui attribuiva un ruolo decisivo per il destino delle nazioni345. Se riferimenti e accenni su questioni scolastiche sono disseminati in molti dei suoi libri, in un saggio del 1904, La scuola educativa, è presente una sistematizzazione più articolata e completa delle sue posizioni. Riflettendo sulla funzione di questo istituto, Allievo racchiude le questioni più importanti del problema in quattro semplici domande: «1° in servizio di chi è ordinata la scuola? 2° a chi spetta il diritto di governarla? 3° in quale giusto rapporto deve serbarsi colla famiglia e colla società? 4° come debb’essere organata l’educazione e l’istruzione nella scuola?»346. Allievo è convinto che l’autentico e principale scopo della scuola sia lo sviluppo perfettivo della persona nella sua totalità. Caratterizzata da una appassionata ricerca della verità e del bene dell’alunno347, auspicava fosse animata da un vero «culto della personalità dell’alunno»348. Contro il determinismo di certa didattica, sosteneva l’idea di una scuola in cui il rispetto della vera libertà potesse divenire il fine e lo stile della vita educativa349. Su queste prospettive invocò una convergenza dell’istruzione e dell’educazione, che dovevano coabitare e collaborare in vista di uno sviluppo integrale della personale350. La conoscenza e l’educazione, dovevano potenziarsi a vicenda. In questo senso considerava l’istruzione anche come un aspetto necessario per la formazione solida del carattere351. 345 «La casa dunque, il tempio, la scuola sono i tre grandi centri dell’umana coltura, i tre solenni convegni sacri alla comune educazione. La scuola segnatamente apparisce il santuario del sapere, il tirocinio della vita sociale, il vivaio della civiltà; epperò essa racchiude nelle sue modeste pareti le sorti di un popolo e collo splendore o coll’oscuramento del suo ideale segna i giorni di grandezza o di decadenza di una nazione. Dall’importanza massima della scuola agevolmente si misura la necessità di formarcene un concetto adeguato e verace, che risponda al suo intimo organismo ed al suo ideale» G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 68. 346 Ibid., p. 69. 347 «La scuola è luogo sacro al culto del Vero e del Buono, ciò è dire è il santuario della sapienza, essendochè questa congiunge in sé il lume speculativo della scienza e la pratica onestà della vita. Oggidì il carattere educativo della scuola è misconosciuto. La scienza ha cacciato fuor della scuola la virtù e la divinità. Si è consumato un divorzio tra l’istruzione della mente e l’educazione del cuore. Istruzione in iscuola, educazione in casa. Si aprono ogni dì nuovi edifizi scolastici per piantarvi l’albero della scienza, senza badar più che tanto, se all’ombra dell’albero germogli e si spieghi il fiore delle virtù domestiche, civili e religiose. Quest’eresia pedagogica va ogni di più propagandosi, e minaccia giorni luttuosi alla famiglia ed alla patria. La scuola (ripeto col Tommaseo) se non è tempio, è tana; e quando mai fosse tana, dovrei ripetere col Rousseau: L’uomo che pensa, è animal depravato. Gli è allora che la scuola diventa davvero un semenzaio di socialismo, perché i giovani ne escono poi gonfi di borra enciclopedica, quanto vuoti di ogni principio morale e religioso, e riversandosi nella gran società diffondono la corruzione, che portano in seno, pretensioni, sprezzanti, spostati, scontenti di tutti e di tutto, gittando qua e là il disordine e lo scompiglio» Ibid., p. 78. 348 Ibid., p. 70. 349 «Se l’alunno non è lui il primo educatore di se medesimo, che spiega la personalità sua e la afferma spiegandola, gli altri educatori persona la vera loro ragione di essere, perché non formano più una persona, ma foggiano una macchina» Ibid., p. 67. 350 G. Allievo, Studi pedagogici, cit., pp. 65-67. 351 «Lo studio è un dovere, e dall’idea del dovere sorge appunto il carattere» G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 92.  95  Uno degli errori maggiori individuati da Allievo era quanto chiamava «enciclopedismo», vale a dire la riduzione del ruolo della scuola a veicolo di nozioni da sommare nelle menti degli allievi: «L’enciclopedismo (perché tacerlo?) è il verme roditore delle nostre scuole, il cancro dell’educazione moderna»352. Allievo auspica che l’accumulo di conoscenze si coniughi con lo sviluppo di uno spirito libero e creativo: «L’enciclopedismo violenta, tortura, conquide, le potenze mentali del giovine: la virtù intellettiva, che concepisce l’ideale, il sentimento, che lo accalora, l’immaginazione , che lo colorisce, giacciono spossate»353. Il pedagogista osservò come la scuola somigliasse sempre più «all’aria morta di una biblioteca»354. Mancava quella spinta ideale che è invece propria dell’educazione. A questa stortura del compito educativo, concorse un traviamento del ruolo dell’insegnante: «Pur troppo si è ormai perduta di vista questa gran verità pedagogica, che il maestro, segnatamente delle scuole elementari e secondarie, debb’essere non solo l’insegnante, ma ben anco l’educatore de’ suoi alunni, interessandosi delle loro persone, vegliando sulle loro sorti, vivendo con essi la vita del cuore, come fa un padre, una madre co’ figli suoi»355. Da queste premesse, era convinto che il “cuore” degli educatori fosse il ganglio vitale della pratica educativa e al contempo il discriminante della sua efficacia356. Allievo si sofferma a considerare come l’insegnamento sia un’azione propria della persona, ed espressione della sua specificità. Si impara e si insegna con le parole, suoni che uniscono nel significato le coscienze e le conoscenze dell’educatore e dell’educando. Poter capire costituisce la superiorità dell’uomo sulle cose357. In questo senso, Allievo sottolinea come: «Lo sviluppo dell’intelligenza è intimamente connesso colla parola, la quale è un segno sensibile esteriore, che esprime un’idea»358. La parola si impone così come 352 G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., p. 14. 353 Ibid., p. 425. 354 G. Allievo, Delle dottrine pedagogiche di Enrico Pestalozzi, Albertina Necker di Saussure, Francesco Naville e Gregorio Girard, cit., p. 250. 355 Ibid., p. 249. 356«Pestalozzi, Girard, De la Salle furono grandi istitutori, perché furono grandi cuori, che sentirono la santità del loro apostolato, e fecero di sé nobile sacrificio per loro alunni. Senza cuore non si educa con dignità, non si ammaestra con verità, non si impara con senno; e la scuola diventa essa stessa corpo senz’anima. Ed in quella guisa che le istituzioni politiche anche ottime declinano, si disfanno e finiscono, quando sono guaste dallo spirito settario, dall’ambizione sfrenata dei reggitori, dal dispotismo sotto maschera di libertà, così gli istituti scolastici anche meglio organati languiscono e cadono giù, quando nei governanti che li dirigono e nei maestri che professano, sottentra l’indifferenza e l’apatia, il mestierismo e la cupidigia del guadagno, la vanità pretensiosa e lo scetticismo demolitore» in G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., pp. 182-183. 357 G. Allievo, Studi pedagogici, cit., pp. 102-107. 358 G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 44.  96  «necessità pedagogica», da indirizzare verso l’educazione della persona359. Per tali motivi il fulcro della scuola è la spiegazione360. La sua importanza è attestata, secondo Allievo, anche dalle difficoltà di relazione e di formazione dei sordo - muti361. Considerava un grave errore pensare che la mera istruzione potesse bastare all’educazione: «Che l’istruzione faccia colla educazione un’adequazione perfetta e si converta con essa, è fatale errore, il quale trascina la società a distrette più deplorande, che non quelle medesime dell’ignoranza e della rozzezza. L’uomo non vive di sola conoscenza, ma ben anco di virtù e d’amore, perché alla potenza dell’intendere accoppia la libertà del volere e la facoltà del sentire. Laonde la scienza è sibbene una splendida manifestazione dell’umana essenza, ma non è punto l’umanità tutta quanta: nell’immensa sfera dello svolgimento umano essa tiene un posto luminoso, ma non il solo, né il più elevato, sottostando alla vita morale e religiosa»362. Questa mancanza, era colta da Allievo soprattutto nella scuola secondaria, dove lo sviluppo razionale e il prossimo approccio alla vita, meritavano una relazione educativa e valoriale piena, e non solo limitata all’istruzione: «La nostra scuola secondaria non educa, perché è tutta nell’istruire: le materie di studio sono tenute estranee allo sviluppo del sentimento morale e religioso. La cattedra non è un apostolato di civile e morale insegnamento, ma di puro sapere: rilassati e pressochè spezzati i vincoli tra la scuola e la famiglia, e maestri ed i discepoli». L’assenza di un’educazione morale e religiosa, senza la quale lo sviluppo integrale della persona era reputato da Allievo impossibile, fu variamente ripresa: «Questa idolatria della scienza fa le sue tristissime prove nel campo della pubblica istruzione; l’istruzione è come una gran fiumana che allarga il santuario della scuola e caccia via la coltura morale e religiosa, come se vi fossero soltanto teste da riempire, e non anco anime da ispirare, cuori da educare. Questa specie di fanatismo per il culto del sapere è la piaga precipua, che vizia oggidì l’organismo della pubblica educazione.»363 Due delle sue citazioni preferite erano la celebre frase di Tommaseo: «La scuola se non è tempio, è tana» e il motto socratico Non scholae sed vitae discendum. Oltre che culto 359 «La parola è pur anco una necessità pedagogica, perché vincolo essenziale, che unisce le intelligenze e le volontà del maestro e del discepolo, dell’educatore e dell’alunno, ma a tale riguardo occorre, che la parola del maestro sia luce intellettuale piena d’amore, e che il discente non la riceva passivo, ma la faccia ripensandola. Un insegnamento parolaio sciupa se stesso in un’intrinseca contraddizione, essendochè appartiene all’essenza medesima della parola l’ufficio di significare un’idea» Ibid., p. 45. 360 «Il programma governativo è, per così dire, l’embrione della materia d’insegnamento, il didattico ne mostra le giunture, le articolazioni in forma di compagine, il libro di testo porge l’organismo in carne ed ossa e polpa e sangue, la spiegazione del testo è la vita, che circola per entro l’organismo» Ibid., p. 103. 361 Ibid., p. 98. 362 G. Allievo, L’educazione e la scienza. Prelezione fatta all’Università di Torino il dì 18 novembre 1881, cit., p. 6.  363 G. Allievo, G. G. Rousseau filosofo e pedagogista, cit., p. 59. 97  della verità, la scuola doveva infatti divenire tirocinio alla vita, e non doveva essere staccata da essa364. Ciò implicava anche un assetto didattico in cui era prevista la formazione professionale e la ginnastica. Sotto questo profilo critica la proposta educativa di Platone365, considerata eccessivamente spiritualista. La scuola deve preparare soprattutto alla partecipazione alla società, della quale essa può diventare importante fermento di progresso e umanizzazione. In questo senso, contestò posizioni come quelle di Rousseau, che mettevano in evidenza le ingiustizie perpetuate nella socialità scolastica, invece che i suoi aspetti formativi366. Allievo sottolinea il rapporto virtuoso tra educazione e società. Solo se cresce il singolo, progredisce la comunità. Giustamente Allievo ricorda che «La personalità umana giustamente intesa ed educata a dovere porta la floridezza sociale»367. La scuola non poteva, tuttavia, essere vista come funzione della società, e soprattutto del suo potere politico368. Il controllo sociale esercitato mediante la scuola rischiava di tradire il principio della personalità369. Il legame con la vita e l’unità dell’educazione, doveva essere corroborato da una stretta collaborazione tra gli istituti scolastici e la famiglia. Per questa ragione propone l’abolizione dei convitti, preferendo che gli allievi restassero nella loro famiglia370. In caso di necessaria lontananza dalla propria casa, Allievo indica come modello le pensioni libere inglesi in cui gli alunni seppur lontano dalla propria casa vivono con un’altra famiglia, a 364 «Quest’armonia tra la scuola e la società esige che nell’ordinamento delle discipline scolastiche si abbia speciale riguardo a quelle che sono peculiarmente reclamate dallo spirito del tempo, dai bisogni sociali, dall’indole della nazione. Però anche qui non va dimenticato, che la scuola, pur mentre si attempera alle condizioni della società, non debbe servire alle medesime, come se fossero l’ideale supremo e definitivo di ogni umano consorzio» G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., p. 37. 365 G. Allievo, Delle idee pedagogiche presso i greci, cit., p. 103. 366 «Il mio concetto della persona umana, in servigio della quale dico ordinata la scuola, è ben altro dal concetto della natura umana, in cui Rousseau vuole riposto il fine supremo della educazione. Nell’essenza medesima della persona umana, che è intelligenza ed attività volontaria, io scorgo la fonte medesima della socievolezza, ossia la virtù di stringersi in comunanza di intendimenti e di voleri con altre persone, mentre l’autore dell’Emilio reputa le istituzioni sociali natefatte a snaturar l’uomo, spogliandolo dell’unità sua per assorbirlo come parte nel tutto» G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 71. 367 Ibid., p. 71. 368 «La scuola non può, non debb’essere una funzione della società, perché ne verrebbe essenzialmente snaturata. Infatti, la scuola è un santuario di persone, ossia di creature intelligenti e libere, e non già una agglomerazione di bruti o di cose. Ora la persona non è uno strumento ai voleri altrui, ma è una creatura sacra, fornita di diritti, che vanno rispettati da qualunque potere sociale, da qualunque autorità umana, il diritto all’esistenza, alla verità, alla felicità, alla virtù, sicché se ad esempio la prosperità di un popolo intiero costasse la schiavitù o la distruzione di una sola creatura umana, già per ciò stesso dovrebb’essere detestata come un delitto. Orbene, ponete che la scuola sia una funzione,una proprietà, un’appartenenza della società e soggiaccia al suo assoluto dominio, e allora gli alunni non verranno più educati siccome persone, che appartengono a sé stesse, ed ordinate ad un fine, da cui hanno diritto di non essere deviate, bensì come mancipii del volere sociale, come cose o strumenti in servizio della società» G. Allievo, La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciamenti, cit., p. 23. 369 «L’individualismo egoistico ed il socialismo oppressivo sono due estremi, che contraddicono agli intendimenti della natura, la quale mentre chiama gli uomini alla convivenza sociale, vuole ad un tempo salva la personalità di ciascuno». G. Allievo, G. G. Rousseau filosofo e pedagogista, cit., p. 99.  370 G. Allievo, Studi pedagogici, cit., pp. 333-335. 98  volte la stessa dei propri insegnanti. Ciò aiuta a supplire la funzione dei genitori, che deve rimanere un paradigma. Non è un caso che parlò della scuola come «seconda famiglia»371. In merito all’organizzazione della scuola avanzò una serie di proposte. Sosteneva il primato degli asili italiani rispetto a quelli fröbeliani372, auspicava una scuola elementare unica senza distinzione di censo373, mostrandosi fortemente preoccupato per una divisione della scuola classista374. Propose la fusione del ginnasio con la scuola tecnica per rimandare la scelta della scuola superiore di tre anni, ipotizzando così la nascita di una scuola media unica. Sostenne il valore dell’educazione classica, un insegnamento della filosofia armonico con le altre discipline, un più ampio spazio alla storia italiana. Della scuola superiore critica l’eccessivo numero di materie, e il quadro orario troppo lungo. Inoltre contestò i criteri di valutazione negli esami, nei quali si preferisce la quantità alla qualità degli apprendimenti, inducendo ad una mentalità enciclopedica e non critica. Anche per questo motivo propone di eliminare la Giunta centrale per gli esami di licenza liceale. Per quanto riguarda le scuole normali prospetta un quadro orario in cui si affermi il 371 G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 86. 372 «I nostri asili infantili sono una creazione del genio nazionale e per un trentennio conservarono la loro originale impronta. Verso il 1860 entrarono in lotta coi seguaci della scuola germanica, che insorsero coll’intendimento di atterrarli e sulle loro rovine costrurre i giardini fröbeliani. I novatori lottarono e lottano tutt’ora coll’opera e colla parola, nelle Conferenze pedagogiche e nei privati convegni, con ardore sempre vivo, invocando ben anco in loro aiuto la potenza ministeriale (Vedi l’opuscolo Società dei giardini d’infanzia di Udine, ecc. Udine, 1981, pag. 24). Ed il Ministero non nascose la sua simpatia pel fröebelismo. Già nel regolamento del 188°, all’art. 28, esso sostituiva alla denominazione asili d’infanzia il vocabolo giardini; poi impose ai professori di pedagogia presso le scuole normali l’obbligo di insegnare alle allieve maestre in teoria ed in pratica il metodo di Fröebel, prescrivendo lo stesso metodo alle scuole italiane aperte all’estero, e nella sua Circolare del 27 gennaio 1889 manifestava l’intendimento di «trasformare man mano i numerosi asiloi, secondo vecchi metodi governativi, in istituti educativi informati a una dottrina che prenda il nome dal Pestalozzi o da Fröebel, o meglio da entrambi; tal fine si può ben dire ci abbia segnata la via, nella quale dobbiamo metterci». Nel fervore della lotta non mancarono valenti istitutori, che, come l’Uttini a Piacenza, il Colomiatti a Verona, la Goretti – Veruda a Venezia, si adopravano con saggio accorgimento a riparare gli abusi ingenerati nelle scuole aportiane da sbagliate applicazioni pratiche, ad adempiere i difetti ed introdurvi le ragionevoli migliorìe, pur conservando intatto il principio interiore della loro origine» Ibid., pp. 127-128. 373 Attacca quanti volevano fare una scuola per il popolo e una per la classi agiate e scrive: «Quindi si fa necessaria una scuola, la quale abbia appunto per iscopo di fornire quella coltura, la quale occorre a tutte le classi sociali senza riguardo ed eccezione di sorta. La scuola che risponde a questo fine universale è appunto la scuola elementare, così denominata, perché ha per oggetto gli elementi della coltura umana. Da questo suo concetto si scorge che essa non ammette disparità tra i figli dell’operaio e i figli del facoltoso, perché la coltura primordiale è la stessa per tutti: non deve mirare agli uni piuttosto che agli altri, ma va ordinata in servigio di ambedue: essa è ad un tempo democratica ed aristocratica, rurale ed urbana, popolare e borghese» Ibid., pp. 139-140. 374 «Alle corte, intendete voi che la scuola elementare accolga a comune ammaestramento i figli di tutte le classi sociali, o quelle soltanto della classe operaia? Nel primo caso, la trasformazione, che propugnate, non più ragione di essere: nel secondo caso, create un dualismo irragionevole» Ibid., p. 140.  99  «primato» alla pedagogia , mentre nei licei, legandosi ad una battaglia tipica di quegli anni, fu fautore della centralità della filosofia375. Da un punto di vista metodologico richiama alla necessità di conoscere le facoltà psicologiche dell’allievo e denuncia l’ignoranza della classe magistrale su tali tematiche. Gli insegnanti sembrano essere più preoccupati di offrire agli alunni conoscenze precise e copiose, rispetto a capire quanto i loro alunni possano imparare. Un altro aspetto avversato dall’Allievo è un’idea caporalesca della disciplina, che dimentica l’importanza della libertà e del consenso per un’educazione efficace. Voleva che la scuola educasse al patriottismo. Ciò non deve far pensare ad un Allievo nazionalista e sciovinista, il pedagogista era però convinto che la scuola dovesse difendere la tradizione, la cultura e la filosofia italiana376, di cui i giovani avrebbero dovuto acquisire consapevolezza e orgoglio. Inoltre considerava importante l’assimilazione dell’idea di nazione, intesa come comunità a cui appartenere e da servire. Per questo propose di sostituire all’ «educazione civile», la materia di «educazione italiana». Riguardo al tema dell’obbligo scolastico, che coinvolse il dibattito pedagogico durante la costruzione del sistema scolastico nazionale, Allievo si oppose alla sua applicazione, perché lo considerava illiberale. Il pedagogista non intendeva restringere il diritto all’educazione ad un’élite, ma riteneva che l’obbligo non fosse un mezzo adatto per la diffusione dell’istruzione e dell’educazione377. Egli era altresì convinto che bisognasse convincere alla scuola e non costringere378. Come non si possono obbligare le persone ad essere virtuose o a lavorare, così non le si può costringere ad istruirsi, mentre può moltiplicare le scuole e formare bravi insegnanti che attirino le famiglie ad iscrivere i figli nelle scuole379. Dove c’è costrizione, secondo l’Allievo, non può esserci una vera educazione. I. 9. La libertà d’insegnamento e la riforma della scuola 375 «Nelle scuole normali spetta alla pedagogia il posto supremo ed intorno ad essa vanno coordinate tutte le altre materie. Nei licei la filosofia deve tenere il campo, siccome quella, che in virtù del suo carattere universale è atta a collegare in armonico accordo tutte le altre discipline» Ibid., p. 116. 376 Cfr. G. Allievo, Studi pedagogici, cit., p. 36. 377 G. Allievo, Dell’istruzione obbligatoria, Torino, Tipografia Subalpina, 1893, p. 5. 378 Sull’argomento, in un saggio cita Lambruschini, che in una relazione presentata al Ministro Berti scrisse »L’istruzione e l’educazione son cosa di sì alto ordine, e così degna di essere desiderata e cercata per se medesima, che la violenza nell’imporle ne scema il pregio agli occhi si chi deve riceverle, e ne spegne l’amore. Da un altro canto, comechè si adoperi il Comune acciocchè l’istruzione sia ricevuta da tutte le famiglie, non riuscirà mai nell’intelletto, se nelle famiglie non nasce l’amore dell’istruzione”, dopo di ciò commenta “In Prussia erasi organizzato un sistema di polizia, per cui allorquando un fanciullo si rifiutava di recarsi a scuola, né il padre ve lo mandava egli stesso, un poliziotto lo pigliava a casa e lo trascinava a scuola come un pubblico malfattore» G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 137.  379 G. Allievo, Dell’istruzione obbligatoria, cit., p. 12. 100  Le posizioni di Allievo sulla scuola e sulla libertà d’insegnamento sono state in parte già oggetto di studio380. Si tratta, infatti, di un contributo di rilevante importanza nell’economia delle vicende scolastiche del secondo Ottocento. Le opere più importanti in cui affronta tali questioni sono: L’educazione e la nazionalità (1875)381, La legge Casati e l’insegnamento privato secondario (1879)382, Intorno le scuole normali e gli asili di infanzia fröbeliani (1888)383, Lo Stato educatore ed il Ministro Boselli, (1889)384, Della istruzione obbligatoria (1893)385 e La scuola educativa (1893)386, poi rivisto e pubblicato nel 1904387. A questi vanno aggiunti altri come: La Riforma dell’educazione moderna mediante la riforma dello Stato (1879)388, Il Classicismo nelle scuole (1891)389, Esposizione critica delle opinioni di illustri pedagogisti intorno il rapporto tra l’educazione privata e la pubblica (1898)390 Delle condizioni presenti della pubblica educazione (1886)391, raccolti negli Opuscoli pedagogici (1909). In realtà, l’intera produzione dell’Allievo è disseminata di richiami e rilievi su tali questioni392. 380 I lavori sinora pubblicati lasciano spazio per ulteriori studi e considerazioni. Il testo di R. Bonghi, Idee di G. Allievo circa la libertà d’insegnamento, «Cultura», n. 19-20, 1889, p. 603, è scritto nel vivo delle polemiche scolastiche del tempo e manca di una necessaria distanza critica e storica; il lavoro di R. Berardi, La libertà d’insegnamento in Piemonte 1848-1859 e un saggio storico di G. Allievo, cit., pp. 60-74, prende in esame una sola opera del pedagogista, vale a dire Della pedagogia in Italia dal 1846 al 1866 (1867), e soffre di una conoscenza parziale dell’opera del pedagogista; il saggio di A. Consorte, Scuola e Stato in Giovanni Allievo, «Ricerche Pedagogiche», n. 12, 1969, pp. 52–65, seppur significativo, approfondisce soprattutto le polemiche tra lo studioso piemontese e l’apparato ministeriale, tenendo peraltro conto solo di alcune sue opere. 381 G. Allievo, L’educazione e la nazionalità, Torino, Tip. del giornale Il Conte Cavour, 1875. 382 G. Allievo, La legge Casati e l’insegnamento privato secondario, Torino, Tip. Salesiana, 1879. 383 G. Allievo, Intorno le scuole normali e gli asili di infanzia fröbelliani, Torino, Tip. Subalpina,1888. 384 G. Allievo, Lo Stato educatore ed il Ministro Boselli, Torino, Tip. del Collegio degli artigianelli, 1889. 385 G. Allievo, Della istruzione obbligatoria, Torino, Tip. Subalpina, 1893. 386 G. Allievo, La scuola educativa. Principi di antropologia e didattica: pedagogia elementare, Torino, Tip. Subalpina, 1893. 387 G. Allievo, La scuola educativa. Principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., 1904. 388 G. Allievo, La Riforma dell’educazione moderna mediante la riforma dello Stato, Torino, Tip. Subalpina, 1879. 389 G. Allievo, Il classicismo nelle scuole, Torino, Tip. M. Artale, 1891. 390 G. Allievo, Esposizione critica delle opinioni di illustri pedagogisti intorno il rapporto tra l’educazione privata e la pubblica, «Rivista pedagogica italiana», 1-2, 1898. 391 G. Allievo, Delle condizioni presenti della pubblica educazione. Prolusione letta nella R. Università di Torino il 25 novembre 1886, Torino, Tip. Subalpina, 1886. 392 In tutte le opere dell’Allievo sono ricorrenti degli incisi nei quali lo studioso propone parallelismi con le condizioni scolastiche coeve. Il seguente brano pare particolarmente paradigmatico. Dopo aver esposto i caratteri della pedagogia romana, ad esempio, Allievo riporta un passo di una lettera scritta da Plinio il giovane ed indirizzata a Corellia Ispulla, nel quale le suggerisce di scegliere con oculatezza l’insegnante di retorica per il figlio. Subito dopo, Allievo chiosa: «Qual profondo divario tra i tempi di Plinio ed i nostri in riguardo ai pubblici studi! Allora la scuola si muoveva libera da ogni potere governativo, epperò la scelta dei maestri spettava ai genitori come un sacro e coscienzioso dovere. Ora invece lo Stato impone alle famiglie i maestri da lui solo fabbricati ad immagine e somiglianza sua. Una radicale riforma intorno a questo rilevantissimo punto della vita civile e sociale è una necessità pedagogica. La libera attività dei cittadini, su cui posa in gran parte la civiltà moderna, non consente che essi vengano trattati come fanciulli, i quali hanno nel governo il loro supremo educatore ed assoluto maestro. La libertà non è privilegio esclusivo di nessuno.  101  Il problema della libertà d’insegnamento occupa un posto privilegiato nell’opera di Allievo. Quest’attenzione è indubbiamente legata all’evoluzione del sistema scolastico italiano, di cui il pedagogista vercellese denunciò la deriva monopolistica ed un assetto contrario alla libertà d’insegnamento. Stando allo studioso, tali politiche avevano profonde radici filosofiche e pedagogiche. In particolare, erano la conseguenza da una parte della crisi del concetto di libertà, e dall’altra, del «mito» dello Stato nato con la modernità. Lo sbriciolamento della metafisica, inaugurato nel ‘600, condusse alla confusione circa l’esistenza e il ruolo della libertà personale. Ciò portò ad una certa sfiducia verso l’iniziativa privata, preferendo al rischio educativo la gestione del processo formativo. D’altra parte con la modernità si impose il profilo di uno Stato simile al «Leviatano» prospettato da Hobbes, nel quale il governo di pochi si arrogava il diritto di fagocitare e sacrificare le singole individualità in nome del bene della collettività. Un «mostro», come lo definì Allievo, ingombrante, fatto di meccanismi politici e burocratici. Da ciò la scuola e l’educazione non erano più considerate una responsabilità della famiglia, ma dello Stato393. Il vercellese definiva questo statalismo anche «socialismo governativo». In una sua opera spiega: «socialismo dico ogni istituzione che la santa autonomia della persona e della famiglia disconosca in qualsiasi modo, rimestando ad arbitrio quella convivenza sociale che ha da posare sicura sulle leggi eterne dell’umanità»394. In un altro saggio commenta: «Socialismo governativo è lo Stato moderno; socialismo pedagogico è l’educazione moderna. Lo vuole la logica, lo proclamano i fatti. Onnipotente è lo Stato? Dunque onnisciente. Creazione sua la società? Dunque suo feudo la scuola. Esso, che si reputa l’umanità, ben può dire di sé: l’educatore sono io»395. Secondo Allievo, da tale pretesa nacque il controllo sul sistema scolastico, sui programmi, sul reclutamento degli insegnanti, sull’organizzazione degli esami, sui libri di testo. La monopolizzazione della scuola era sentita dall’Allievo in modo catastrofico: «Là dove l’educazione propria della famiglia viene sacrificata all’educazione dello Stato, vano è lo sperar bene delle sorti di una nazione»396. Scrive: «Non si dà libero cittadino senza il governo di sé, né si da governo Governi lo Stato le sue pubbliche scuole; ma siano libere le famiglie di associarsi insieme per fondare istituti educativi ed imprimere ad essi un indirizzo rispondente alle loro aspirazioni egualmente che allo spirito del tempo. Così sorgerebbe una nobile gara, da cui la pubblica educazione trarrebbe singolare e felice incremento», in G. Allievo, La pedagogia italiana antica e contemporanea, cit., p. 40. 393 Commentando il progetto di legge di Baccelli sul riordinamento degli studi universitari, lo studioso vercellese scrive: «Il Ministro, che l'ha proposto, sente che nella coscienza universale ferve irrefrenabile l'aspirazione alla libertà; ma ad un tempo è imbevuto del dominante pregiudizio, che il Governo è lui il primo e sovrano motore di tutta la vita pubblica e civile, è lui l'unico ed assoluto maestro ed educatore della nazione, che la legge è lui, come Luigi XIV proclamava sé lo Stato» G. Allievo, L’autonomia universitaria proposta dal Ministro Baccelli ed esaminata da Giuseppe Allievo, Torino, Tip. Subalpina, 1899, p. 5. 394 G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., p. 11. 395 Ibid., pp. 11-12. 396 G. Allievo, G. G. Rousseau filosofo e pedagogista, cit., p. 89.  102  di sé quando lo Stato siede arbitro e donno di tutte le attività umane. Tolta di mezzo l’autonomia personale de’ singoli cittadini anche l’indipendenza della nazione diventa ingannevol menzogna; e verrà giorno in cui suprema battaglia per un popolo quella sarà che esso combatterà non per l’indipendenza dalla straniero, ma dalla statolatria»397. Va notato che nella prospettiva di Allievo, il concetto di Stato è ben separato da quello di Nazione, come giustamente ha rilevato polemicamente la Bertoni Jovine398. Per il pedagogista la Nazione è espressione della civiltà, di valori, di tradizioni, di una storia, mentre lo Stato non necessariamente ne rappresenta e asseconda gli interessi. La famiglia rappresenta il punto di congiunzione tra l’individuo e la Nazione, e ad essa lo Stato deve rispondere nell’organizzazione della scuola. Lo stato è nato per servire la famiglia, e suo compito è garantirne la libertà. Secondo Allievo: «È necessario far penetrare nella coscienza sociale questa gran verità, che principio, cardine e ragion d’essere dello Stato è la famiglia, che fondamento e centro unificatore della vita pubblica e civile è la vita domestica, e che perciò i primi educatori per diritto e per natura sono i genitori, che lo Stato non possiede un diritto pedagogico e scolastico assoluto e supremo, ma relativo soltanto e derivato dalla famiglia»399. Per queste ragioni: «Il Governo non può avere altro diritto scolastico, se non quello, che gli venga implicitamente o esplicitamente consentito dalla famiglia, ciò è a dire un diritto relativo, non assoluto, secondario e non supremo, partecipato e non originario»400. Non sembrano dunque fondate le critiche mosse ad Allievo, circa la connessione tra l’antistatalismo e un presunto individualismo scaturigine del principio della personalità, segnalato da Vidari401. Il pedagogista non professava una totale anarchia in campo educativo, ma esautorava lo Stato dal diritto assoluto sull’educazione. 397 G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., p. 18. 398 «Uno dei più forti oppositori della preminenza dello Stato nell’educazione fu Giuseppe Allievo, dell’università di Torino, che svolse il concetto di “nazione” distinguendolo da quello di Stato. Lo Stato non ha alcun diritto ad educare, mentre la nazione che “è lo stesso uomo collettivo”, influisce con tutti i suoi elementi sullo sviluppo dell’individuo; onde nazionalità ed educazione sono due fatti inseparabili. È naturale che fra i più importanti elementi della nazione l’Allievo collochi la religione e la Chiesa pur accettando dagli avversari alcuni elementi più moderni diventati realtà con le vittorie liberali. Con l’esigenza di uscire dal ristretto cerchio della famiglia, si assimila infatti, in questa ideologia, il concetto basilare di patria. Si supera così il punto critico che divideva i liberali dai clericali: “Dio, patria e famiglia” divengono i tre pilastri fondamentali dell’educazione sui quali i cattolici più avanzati e i liberali moderati vi ritrovano la concordia; ma se i clericali assimilavano l’educazione patriottica, esigevano che i liberali accettassero l’educazione religiosa. E questo era possibile perché nonostante la vittoria laicista ottenuta con la legge Coppino, non era mai stata definita la questione dell’insegnamento del catechismo» D. Bertoni Jovine, F. Malatesta, Breve storia della scuola italiana, cit., p. 25. 399 G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., p. 43. 400 G. Allievo, La scuola educativa, principi di antropologia e didattica ad uso delle scuole normali maschili e femminili, cit., p. 73. 401 «In fondo l’impronta fortemente individualistica, un po’ derivata dal principio della persona, ma molto anche da una deficienza del senso della continuità e unità storica nella vita dello spirito , è prevalente in tutta la pedagogia dell’Allievo; e si presenta poi in forma estrema là dove, applicando alla politica e al diritto i  103  Sulla paternità della responsabilità educativa, famiglia o stato, si giocò il dibattito pedagogico sul tema, considerato tale non solo in ambito spiritualista402. Allievo attribuisce alla famiglia la responsabilità educativa. La famiglia è il nucleo che solo può permettere il futuro della Nazione e una vera educazione delle giovani generazioni. Sugli stessi principi, critica aspramente anche Fröbel per non aver riconosciuto il primato della famiglia sulla società.403 Sotto questo profilo sono evidenti i richiami alla tradizione del cattolicesimo liberale, che attribuiva alla famiglia un valore educativo centrale, nelle opere di autori come Berti, Gustavo di Cavour e Rosmini, i quali fondavano la libertà d’insegnamento proprio sul principio della libertà e sul protagonismo educativo della famiglia . Attacca in più di un’occasione gli hegeliani come Spaventa e i positivisti come Siciliani, Angiulli, De Dominicis, considerati fiancheggiatori della statolatria. Il seguente brano lumeggia le sue idee: «Riponendo nella famiglia la suprema autorità scolastica noi ci troviamo collocati nel giusto punto di mezzo tra i due opposti sistemi, dei quali l’uno attribuisce al Governo un assoluto e supremo diritto sopra la scuola, l’altro gli niega ogni e qualunque siasi ingerimento pedagogico. Se lo Stato possiede bensì un’autorità nell’ordine scolastico, ma subordinata a quella della famiglia e de’ privati cittadini, ne consegue che esso deve lasciare luogo alla libertà della scuola, e potersi con questa conciliare. E qui si vede la ragione di ammettere, oltre le scuole pubbliche governative, anche le scuole private, le quali però non devono essere una storpiatura, una copia forzata e stereotipata delle scuole governative, ma hanno diritto di muoversi libere e spontanee dentro un’orbita loro propria. Il libero insegnamento va riconosciuto siccome una delle più splendide forme della libertà politica e civile, che informa la scuola moderna»404. Egli non teorizzava l’anarchia in campo educativo, ma uno Stato meno opprimente e più rispettoso della libertà. Come ha fatto notare Giorgio Chiosso, egli preferiva allo «Stato educatore» uno «Stato regolatore»405. Egli, infatti, non escludeva il controllo dello Stato suoi concetti, arriva a concepire la libertà d’insegnamento in modo essenzialmente antistatale, così da affermare che “lo Stato non possiede un diritto pedagogico e scolastico assoluto e supremo, ma relativo soltanto e derivato dalla famiglia”» G. Vidari, Il pensiero pedagogico italiano nel suo sviluppo storico, cit., pp. 86-87. 402 Non è un caso che la voce “Libertà d’istruzione” curata da Fornari nel Dizionario Illustrato di pedagogia di Credaro e Martinazzoli, che rappresenta uno spaccato della pedagogia italiana di fine Ottocento, introduca il tema con la domanda «A chi appartengono i figlioli?» Cfr. P. Fornari, Libertà d’istruzione, in A. Martinazzoli e L. Credaro (ed.), Dizionario illustrato di Pedagogia, Milano, Vallardi, 1895, vol. II, p. 62. 403 G. Allievo, Delle dottrine pedagogiche di Enrico Pestalozzi, Albertina Necker di Saussure, Francesco Naville e Gregorio Girard, cit., p. 117. 404 G. Allievo, Lo Stato educatore ed il Ministro Boselli, cit., pp. 24-25. 405 G. Chiosso, Alfabeti d’Italia, Torino, Sei, 2011, p. 93.  104  sull’istruzione406. Nonostante la comune rivendicazione della libertà di insegnamento, le tesi dell’Allievo si discostavano da quelle allora prevalenti nel mondo cattolico, in particolare negli ambienti dell’intransigentismo. In questo caso il principio della libertà d’insegnamento era alquanto strumentale e sostenuto più per ragioni pragmatiche che per la sua validità pedagogica. La vera scuola era quella «cristiana» e in nome di questa si avvertì l’esigenza di creare una scuola cristiana parallela a quella statale, in linea con quella logica «separatista» dal “paese legale” che ebbe largo corso dopo Porta Pia. Per questo motivo era chiaro che una rivendicazione simile sarebbe stata immotivata in uno Stato rispettoso dell’educazione religiosa e cristiana407. Per Allievo invece, la libertà rappresentava un valore effettivo per la scuola. In questo senso contestava la contraddizione di molti sedicenti liberali, che in molti paesi europei negavano la «lotta»408, cioè la concorrenza, proprio in campo educativo. Secondo il pedagogista il concorso di soggetti privati all’istruzione del popolo, il confronto e il «gareggiamento» tra le diverse realtà, rappresentava un volano per il miglioramento della scuola. Per mostrare i vantaggi dell’applicazione di tale principio, Allievo approfondì con appositi studi i sistemi di istruzione di Gran Bretagna e degli Stati Uniti, dove i principali liberali avevano forgiato anche le istituzioni scolastiche. Un altro stato indicato come modello da Allievo per quanto riguarda l’autonomia scolastica è il Belgio, di cui cita ed elogia gli articoli della Costituzione concernenti la libertà d’insegnamento409. Alla realtà educativa degli Stati Uniti dedicò un saggio dettagliato intitolato Dell’educazione pubblica negli Stati Uniti D’America410. In esso sostiene come la peculiarità del sistema scolastico americano fosse la libertà dei cittadini di fondare e 406 Sempre criticando il citato progetto di legge Baccelli sull’Università scrive: «Ecco il primo articolo della sua proposta: “Alle regie Università e a tutti gli altri Istituti d'istruzione superiore è concessa personalità giuridica ed autonomia didattica, amministrativa, disciplinare sotto la vigilanza dello Stato”. È cosa manifesta, che autonomia e vigilanza sono i due concetti supremi, a cui s'informa questo disegno di legge; ma è pur evidente, che il giusto significalo dell'autonomia dipende dai limiti, che vengono segnati alla vigilanza. Che lo Stato vegli, bene sta: ma la vigilanza sua va circoscritta entro determinati confini, sicché non trasmodi in un illimitato ingerimento e soppianti la libertà» G. Allievo, L’autonomia universitaria proposta dal Ministro Baccelli ed esaminata da Giuseppe Allievo, cit., p. 5. 407Luciano Pazzaglia ha rilevato come, soprattutto dopo l’Unità, più che la difesa del principio della libertà d’insegnamento in quanto tale, prevalse nella Chiesa la rivendicazione della sua prerogativa educativa. Commentando la significativa allocuzione di Pio IX alla Gioventù italiana del 6 gennaio 1875, lo studioso della Cattolica osserva: «Pur continuando a sostenere la tesi del monopolio educativo della Chiesa e a condannare, parallelamente, la libertà d’insegnamento come principio che mal si conciliava con i diritti della verità di cui solo il magistero sarebbe l’autentico interprete, concedeva che in certe condizioni la libertà d’insegnamento potesse diventare per i cattolici uno strumento essenziale al raggiungimento dei loro obiettivi» in L. Pazzaglia, Educazione e scuola nel programma dell’Opera dei Congressi (1874-1904), in Cultura e società in Italia nell’età umbertina, cit., p. 426. 408 G. Allievo, L’autonomia universitaria proposta dal Ministro Baccelli ed esaminata da Giuseppe Allievo, cit., p. 8. 409 G. Allievo, Lo Stato educatore, in Opuscoli pedagogici, cit., pp. 68-69. 410 Il saggio è inserito negli Opuscoli pedagogici, cit., pp. 380-406.  105  mantenere delle scuole. Secondo Allievo ciò permise di far sorgere tantissime scuole pubbliche non statali che hanno accresciuto la vita scientifica e sociale della giovane nazione, che seppur fondata da poco, aveva di gran lunga superato nella libertà e nella preparazione le scuole del vecchio continente. Sostiene inoltre che l’Università americana fosse molto più democratica di quella italiana. Seppur finanziata dalle tasse di tutti i cittadini le Università italiane erano frequentate quasi solo da persone benestanti, a causa delle alte tasse che venivano chieste alle famiglie di studenti. Negli Stati Uniti invece anche se le Università si mantengono quasi esclusivamente sulle tasse degli studenti gravando relativamente poco sui bilanci statali, esistevano numerose borse di studio che permettevano agli studenti capaci, ma con pochi mezzi, di poter frequentare prestigiose Università. Nel testo valorizza anche le «Scuole di scienza» e cioè le Università scientifiche di medicina e ingegneria che si diffondevano nel paese. Gli Stati Uniti erano un chiaro esempio del fatto che il monopolio dell’istruzione fosse in contraddizione con i principi dello stesso liberalismo. Allievo sostiene che «Il libero insegnamento va riconosciuto siccome una delle più splendide forme della libertà politica e civile, che informa la società moderna»411, i liberali italiani erano incoerenti con i loro stessi principi. Scrive su tale contraddizione: «La libertà delle scuole è la suprema necessità del momento, se già non fosse un principio sacrosanto scritto nel codice della civiltà vera; è l’unica tavola di salvamento nel presente naufragio della nostra istruzione. Ma qual è l’opinione dominante su questo vitale argomento? Anche qui dissidio di menti e lotta di idee. Propugnatori del libero insegnamento non mancano, ma ad esso non sanno fare buon viso i novatori e gli iperdemocratici, i quali lo vogliono angustiato in tale strettoie governative da farne un monopolio per sé e per i loro seguaci. Ingrato spettacolo di gente che vela con una mano la statua della libertà dopo di averla coll’altra levata alla pubblica venerazione»412. Ma le posizioni dell’Allievo erano in controtendenza rispetto agli indirizzi del Ministero. La lobby massonico liberale che tenne le fila della Minerva nei decenni successivi all’Unità contrastava la battaglia per la libertà d’insegnamento dietro la quale vedeva la mano della Chiesa preoccupata di non perdere l’egemonia sull’istruzione e sull’educazione, messa in seria discussione dopo l’Unità. L’istruzione pubblica e l’Università resteranno sotto il totale controllo del Ministero, le scuole libere saranno tollerate, ma discriminate sotto il profilo giuridico ed economico. Niente fu fatto per una vera parità nell’erogazione dei titoli di studio, una delle questioni da 411 G. Allievo, Lo Stato educatore, in Opuscoli pedagogici, cit., p. 68. 412 G. Allievo, La pedagogia italiana antica e contemporanea, cit., pp. 164-165.  106  cui dipende l’effettiva libertà d’insegnamento. Lo statalismo scolastico, infatti, è primariamente un monopolio di «abilitazioni», controllando le quali il governo «obbliga» e i giovani a frequentare le sue scuole. D’altra parte, costringeva le scuole libere ad adeguarsi ai dettami governativi. In un testo osserva: «Bella concorrenza davvero sarebbe quella di Istituti privati ridotti ad una storpiatura o miserevole copia dei governativi! Bella libertà scolastica quella di chi fosse legato mani e piedi ai ceppi dell'Autorità ufficiale»413. Paradossalmente il percorso di statalizzazione della scuola e di riduzione degli spazi di autonomia per le iniziative educative libere iniziò in un periodo in cui la pedagogia sembrava andare in una direzione opposta. La libertà d’insegnamento fu, infatti, un tema largamente sviluppato nella riflessione cattolico liberale che aveva caratterizzato la stagione risorgimentale. Lambruschini, Rosmini, Tommaseo, Gioberti, con le dovute differenze, auspicavano per lo Stato un ruolo da supervisore nell’educazione pubblica, non quello di gestore e macchinatore dell’istruzione e dell’educazione. Il percorso di statalizzazione tradiva quei principi di libertà caratteristici del clima culturale del ’48. Allievo denunciò questa inversione di tendenza, riprendendo i temi della Società pedagogica: «Il primo Congresso generale tenuto dalla Società in Torino nell’ottobre del ‘49 rivelava in modo solenne l’unità di disegno e l’universalità del concetto che la governava: senatori del Regno e deputati del Parlamento, autorità ministeriali e scolastiche, membri di Accademie scientifiche e reggitori di istituti educativi, professori e dottori di Università e maestri elementari, sacerdoti e laici, esuli degli altri Stati della patria comune illustri per sapere, intelligenti promotori della pubblica educazione, là convenivano a pubblica discussione, e nella arena del dibattimento discendevano insieme affratellati i cultori degli studi classici e speculativi coi maestri dell’istruzione tecnica e professionale, i reggitori di pubblici e governativi istituti scolastici ed i favoreggiatori del privato e libero insegnamento. Così il Piemonte, appena sorto a nuova vita, adoperava in servigio di nobilissima causa il diritto di libera associazione allora sancito nel nuovo Statuto Carlalbertino, ma, prima che negli stati politici, scritto a caratteri indelebili nel gran codice della natura; così esso porgeva uno splendido esempio di attività cittadina e di privata entratura, che sole sanno a tenere a modo la podestà del governo così lesta ad invadere diritti non suoi. E si fosse mantenuta costante quell’attività e quell’entratura privata, e propagatasi più rigogliosa e compatta in tutte le regioni d’Italia! Chè ora la pubblica istruzione del nostro paese non gemerebbe soffocata da alcuni anni sotto lo strettoio del potere esecutivo»414. Già nel saggio sull’hegelismo del 1868 attribuì a 413 G. Allievo, La legge Casati e l’insegnamento privato secondario, cit., p. 8. 414 G. Allievo, La pedagogia italiana antica e contemporanea, cit., p. 90.  107  Cavour e al «cavourinismo» la colpa per il profilo illiberale della scuola italiana415. Una simile lettura del pensiero e delle responsabilità dello statista piemontese sembra essere confermata dall’iter della legge Lanza416. Esso quindi vedeva nei principi della legge Casati degli aspetti positivi, poi traditi dalle politiche successive417. I. 10. Le polemiche con la Minerva Il docente dell’ateneo subalpino non si limitò a teorizzare i princìpi intorno a cui si sarebbe dovuta realizzare la libertà scolastica, ma entrò in diretta polemica con gli esponenti politici più o meno «statolatri» che, tra la sua giovinezza e la maturità, governarono il Dicastero dell’Istruzione Pubblica. Qualche anno dopo la laurea, già noto per alcune pubblicazioni, Allievo fu incaricato dal Ministro Berti di scrivere un saggio sulla scuola e la pedagogia italiana in occasione della mostra universale della Arti e delle industrie a Parigi del 1867. Ne uscì il saggio Della pedagogia in Italia dal 1846 al 1866418 (1867), che, tuttavia, non incontrò il parere positivo del ministero, motivo per il quale il libro non fu presentato alla fiera419. Commentando quell’episodio Gerini osservò come mentre il positivismo fosse una dottrina «protetta in alto», «agli avversari della pedagogia spiritualistica furono prodigati tutti i favori del Ministero, a lui l’oblio»420. Le posizioni espresse dall’Allievo, considerando le quali non desta meraviglia la censura ministeriale, sono utili per introdurre le sue critiche alla politica scolastica post unitaria. Già nello scritto del 1867, l’Allievo nel ripercorrere gli anni del riformismo 415 G. Allievo, L’Hegelismo e la scienza, la vita, cit., p. 7. 416 M. C. Morandini, Da Boncompagni a Casati: l’affermazione del modello centralistico nella costruzione del sistema scolastico preunitario (1848 – 1859), in F. Pruneri (ed.), Il cerchio e l’ellisse, centralismo e autonomia nella storia della scuola dal XIX al XXI secolo, cit., p. 50. 417 Tale lettura è confermata in un opera della fine del secolo. Scrive: «Or mezzo secolo fa veniva promulgata la legge pel riordinamento della pubblica istruzione, che ancora oggidì governa il nostro insegnamento universitario. Quella legge porta l'impronta del tempo, che l'ha inspirata, fervido di nobili aspirazioni e di grandi speranze. La libertà non era un nome vano ed illusorio, ma una santa realtà potentemente sentita, lealmente riconosciuta, mirabilmente armonizzata col rispetto dello patrie istituzioni. Gli animi tutti erano assorbiti nella grande idea dell'indipendenza nazionale, e davanti alla coscienza del popolo italiano splendeva l'ideale di un nuovo glorioso avvenire. Ora non ci riconosciamo più. Dal 1859 al 1899 siamo discesi sempre più giù per la china del decadimento. Lo Stato andò sempre più invadendo il campo riservato all'attività dei cittadini comprimendo sotto il suo strettoio le energie individuali» G. Allievo, L’autonomia universitaria proposta dal Ministro Baccelli ed esaminata da Giuseppe Allievo, cit., 1899, p. 3. 418G. Allievo, Della pedagogia in Italia dal 1846 al 1866, cit.; poi in G. Allievo, La pedagogia italiana antica e contemporanea, cit., pp. 84-168. 419 Lo stesso pedagogista racconta la vicenda in G. Allievo, Della pedagogia in Italia dal 1846 al 1866, cit., pp. 99-100.  420 G. B. Gerini, La mente di Giuseppe Allievo, cit., p. 126. 108  pedagogico subalpino all’origine della riforma Boncompagni del 1848421, lamentava che gli ideali originari – ispirati al principio della libertà scolastica – fossero stati in seguito gravemente compromessi dalle iniziative successive che avevano invece rafforzato il ruolo dello Stato422. Secondo Gerini, l’ostilità del ministero ebbe delle conseguenza nella progressione di carriera dell’Allievo: Straordinario nel 1871, ottenne la promozione ad Ordinario solo nel 1878423. In un’altra occasione sembrò al pedagogista vercellese di aver subito un torto dalle autorità politiche, quando cioè, eletto consigliere comunale, fu volutamente escluso dall’assessorato all’istruzione424. La lettura di Allievo sull’evoluzione del sistema scolastico italiano fu ripresa nel già citato La Legge Casati e l'insegnamento privato secondario apparso nel 1879. In questo scritto l’Allievo denunciava la contraddizione tra le norme a tutela della libertà scolastica prevista dal testo del 1859 e la loro attuazione pratica, sulla base del principio politico secondo cui il Governo «sopravveglia il privato a tutela della morale, dell'igiene, delle istituzioni dello Stato e dell'ordine pubblico»425. Per quanto la Casati riconoscesse l’utilità di una proficua «concorrenza degli insegnamenti privati con quelli ufficiali»426, le norme e gli atti successivi andarono contro questo principio. Per Allievo era evidente che politiche simili fossero dettate dal timore del Clero e della sua presenza educativa, ma ciò non poteva minimamente giustificare la soppressione della libertà427. 421Va sottolineato come il principale redattore del testo legislativo, fu il sacerdote Giovanni Antonio Rayneri. Cfr. M.C. Morandini, Da Boncompagni a Casati: l’affermazione del modello centralistico nella costruzione del sistema scolastico preunitario (1848- 1859), cit., p. 42. 422G. Allievo, La pedagogia italiana antica e contemporanea, cit., p. 90. 423Secondo Gerini, genero dell’Allievo (ne aveva sposato la figlia), curatore di numerosi saggi sul pedagogista, il ritardo non fu casuale. Citando una lettera dello stesso Allievo al ministro De Sanctis e alcune considerazioni di Parato, egli sostiene che ci fu una ostruzione ministeriale alla carriera del vercellese, motivata dal suo credo spiritualista e dalle sue posizioni critiche nei confronti delle politiche ministeriali. Cfr. G.B. Gerini, La mente di Giuseppe Allievo, cit., pp. 10-12. 424 Come racconta Gerini: «Dopo le elezioni amministrative del 1895, essendo riuscito con bella votazione consigliere (il 20° su 80), l’Allievo venne chiamato a far parte della Giunta. Costituita la quale “l’opinione generale e più favorevole, specie nel corpo insegnante di tutti i gradi d’istruzione, dalla elementare alla universitaria, era che nella distribuzione dei varii rami di amministrazione fra gli assessori, al prof. Allievo sarebbe toccato il governo dell’istruzione, essendo egli la persona meglio indicata, per attitudini particolari ben note, a tenerlo: invece venne destinato dal sindaco alla direzione della Biblioteca dei Musei”. Naturalmente l’Allievo con sua lettera in data 5 luglio rinunziava all’assessorato. Il sindaco Rignon, cui non menziono in questo luogo a titolo d’onore, non gli affidava l’ufficio dell’istruzione perché non si conoscevano ancora abbastanza le sue idee intorno al governo delle scuole, pur essendo disposto a commetteglielo quanto avesse avuto campo di far conoscere il suo modo di pensare (Osservatore scolastico di Torino, 13 luglio 1895). Il fatto non abbisogna di commenti. Basti il dire, che qualche tempo dopo il Rignon chiamava all’assessorato dell’istruzione un avvocato, il quale non aveva mai dimostrato d’intendersi d’amministrazione scolastica. – Nelle successive elezioni l’Allievo declinò in modo irremovibile la candidatura» Ibid., pp. 11-13. 425 R. D. 13 novembre 1859, n. 3725, art. 3. 426 G. Allievo, La legge Casati e l’insegnamento privato secondario, cit., p. 12. 427 “La potenza che voi paventate nel clero; non la distruggerete colla forza dei divieti, ma la fortificate colla mostra della persecuzione e colla vostra sfiducia nella libertà. Voi la volete la libertà, ma per voi e per 109   Nell'appendice l’Allievo dimostra tale tesi, analizzando nel dettaglio i diversi provvedimenti elaborati dai successori di Casati, tra cui Natoli, Coppino e Correnti, criticandone lo scarto rispetto ai principi della legge fondativa del ’59. E così icasticamente conclude: «Da vent'anni e più anni la legge riconobbe e sancì il principio del libero insegnamento: da quasi venti anni il Governo continua a misconoscerlo, la burocrazia a manometterlo»428. La stessa lettura dell'evoluzione dell'ordinamento scolastico italiano è confermata in un altro testo di vent’anni dopo429. Un caso esemplare del «tradimento della Casati» riguarda la figura dell’istitutore libero. Come spiega Allievo, secondo la legge: «L’istitutore è governativo o libero, secondochè la scuola, in cui esercita il suo magistero educativo, è retta dallo Stato o da privati cittadini. All’uno il governo prescrive la sostanza e la forma del suo insegnamento, la misura, il procedimento, il criterio direttivo. Dall’altro la vigente legge 13 novembre 1859 esige i titoli, che lo autorizzano, ed il rispetto dell’igiene, della morale e delle patrie istituzioni, epperò la sua libertà non è assoluta; ma non concede al Governo di sindacare, se e quanto, e come egli educhi e insegni; chè altramente la libertà dell’istitutore si risolverebbe in una vana parola»430. Ma alla libertà riconosciuta dalla Casati, conclude l’Allievo, corrisposero norme restrittive che di fatto compromisero l’iniziativa dei liberi insegnanti. Non meno severa era la denuncia dei rischi dell’ingerenza statale sull’identità delle scuole private: «Dalle recenti statistiche – così scriveva nel 1879 – si rileva come gli istituti secondari liberi affidati alle provincie, ai comuni alle corporazioni religiose, ai privati, gareggino per numero con quelli del Governo; il che è splendido argomento del grande amore, che nutrono i cittadini, per l’incremento degli studi e lo sviluppo della coltura sociale; ma non si può non provare ad un tempo un sentimento increscevole e doloroso in veggendo come tanti nobili sforzi vengano in gran parte sciupati dallo smodato ingerimento del Governo, il quale introduce la monotona e rigida uniformità de’ suoi gli amici vostri; a siffatta guisa di libertà anche i vostri avversarii potrebbero fare buon viso, anche la Czar delle Russie: di una veneranda matrona ne avete fatto una brutta ed intollerabile Megera.” G. Allievo, La legge Casati e l’insegnamento privato secondario, cit., p. 28. 428 Ibid, p. 26. 429 Un passo di un saggio del 1899 conferma la lettura di Allievo: «Or fa mezzo secolo fa veniva promulgata la legge pel riordinamento della pubblica istruzione, che ancora oggidì governa il nostro insegnamento universitario. Quella legge porta l'impronta del tempo, che l'ha inspirata, fervido di nobili aspirazioni e di grandi speranze. La libertà non era un nome vano ed illusorio, ma una santa realtà potentemente sentita, lealmente riconosciuta, mirabilmente armonizzata col rispetto dello patrie istituzioni. Gli animi tutti erano assorbiti nella grande idea dell'indipendenza nazionale, e davanti alla coscienza del popolo italiano splendeva l'ideale di un nuovo glorioso avvenire. Ora non ci riconosciamo più. Dal 1859 al 1899 siamo discesi sempre più giù per la china del decadimento. Lo Stato andò sempre più invadendo il campo riservato all'attività dei cittadini comprimendo sotto il suo strettoio le energie individuali» G. Allievo, L’autonomia universitaria proposta dal Ministro Baccelli ed esaminata da Giuseppe Allievo, cit., p. 3. 430G. Allievo, La scuola educativa. Principi di antropologia e didattica : pedagogia elementare, cit., p. 86.   110  metodi, de’ suoi programmi, de’ suoi studi là dove dovrebbe lasciare, che si svolga libera, varia e feconda la vita scolastica»431. Ciò dipendeva, a giudizio del pedagogista piemontese, dal monopolio statale dei titoli di studio, mediante il quale il Governo disincentivava l’iscrizione negli istituti liberi. Inoltre il «pareggiamento» delle scuole libere, condizione per erogare titoli equiparati a quelli statali, era regolamentato da norme restrittive e obbligava all’omologazione con il sistema statale. Come denunciò il vercellese: «A chiunque si muova fuori dell’orbita degli studi segnata dal Governo, è chiuso irrevocabilmente l’adito alle professioni liberali; potrà procacciarsi una coltura scientifica e letteraria ampia ed eletta per quanto si voglia, ma prima pur sempre di un carattere pubblico e legale, e ridotta ad un puro ornamento dell’animo e nulla più»432. Allievo leggeva bene la situazione della concorrenza tra scuole statali e non statali. La Talamanca, riprendendo il dibattito parlamentare su tali argomenti, fa notare come le scuole private cattoliche avessero un numero maggiore di studenti rispetto a quelle statali. Cita il senatore Menabrea che nel maggio del 1872 fa notare come sui 4136 studenti che avevano sostenuto la licenza liceale, ben 2670 provenivano da scuole private e seminari433. Ma come dimostrano le vicende successive, il sistema nato dalla Casati avrebbe portato, come denunciato dall’Allievo, all’assottigliamento delle scuole private. Sulla volontà del governo di attuare la libertà d’insegnamento è particolarmente significativo un breve saggio dal titolo: L’autonomia universitaria proposta dal Ministro Baccelli ed esaminata da Giuseppe Allievo434. Il testo non riporta la data di pubblicazione, ma si può desumere da alcuni brani che sia stato dato alle stampe nel 1899. Allievo critica nel testo della legge una profonda ipocrisia. Da una parte si affermava il principio dell’autonomia, ma nei fatti esso rimaneva un flatus vocis, in quanto veniva contraddetto dal resto della legge. Infatti il progetto non segnava i limiti della “vigilanza” governativa; sanciva che i confini dell’autonomia sarebbero stati in seguito definiti dal Consiglio Superiore e dal Consiglio di Stato (senza contrattazione con gli atenei); affermava che la nascita di nuove Università, Istituti o Scuole d'istruzione superiore, o di Facoltà poteva avvenire esclusivamente per decreto; attribuiva al Ministero il potere di respingere le 431 G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., p. 25. 432 Ibid., p. 25. 433 A. Talamanca, La scuola tra Stato e Chiesa dopo l’Unità, in Chiesa e religiosità in Italia dopo l’Unità (1861-1878), cit., vol. I, p. 365. 434G. Allievo, L’autonomia universitaria proposta dal Ministro Baccelli ed esaminata da Giuseppe Allievo, cit., p. 3.  111  proposte di nomina o di conferma dei professi ordinari e straordinari avanzate dalle Università. In questo modo, ironizza Allievo, «il Governo lascia alle Università il governarsi da sé, purché si governino a modo suo»435. Il pedagogista guarda così al modello medioevale, tornando a contestare l’idea secondo cui gli istituti nascano per legge e non dalla libera associazione436. Conclude citando Villari, correlando la mancanza di autonomia con la crisi dell’Università437. Un altro aspetto che Allievo considerava illiberale e nefasto era il controllo dei libri di testo, con cui il Ministero poteva indirizzare politicamente e culturalmente l’insegnamento. Lo stesso pedagogista pubblicò un pamphlet nel quale difese un saggio di un professore siciliano438 che, stando alla sua narrazione, incorse ingiustamente nella censura ministeriale439 a motivo del suo orientamento filo cattolico440. 435 Ibid., p. 7. 436 «Seguendo l'ordine numerico del disegno di legge, passiamo all'art. 3 che suona cosi: “La creazione di nuove Università, Istituti o Scuole d'istruzione superiore, o di loro Facoltà o sezioni, non potrà avvenire se non per legge”. Anche qui abbiamo un segno del tempo. Sentendo proclamare l'autonomia degli Istituti scolastici superiori, il nostro pensiero corre spontaneo alle gloriose Università medioevali, che sorsero e fiorirono non per decreti di Stato, ma per libero valore di insigni maestri, di studiosi discepoli, di privali cittadini, fervidi amatori della scienza, e ci immaginiamo di essere ritornati a quo' felici tempi di scolastica libertà. Illusione! A nessuno si concede di creare nuove Università, o facoltà universitarie, o Scuole d'istruzione superiore senza il placet regio o parlamentare. Non si osa proclamare francamente e incisamente il principio, già sancito dal Belgio coll'articolo 17 della sua Costituzione: “L'insegnamento è libero; ogni misura preventiva è vietata”» Ibid., p. 7. 437 «Io potrei proseguire più oltre la mia critica, ma dalle poche considerazioni, clic sono venuto fin qui esponendo, emerge, per quel che a me ne pare, la conclusione, clic la proposta autonomia è irretita fra tali e tante strettoie da essere ridotta ad una vana parvenza, mentre la vigilanza dello Stato non ha confini, che la circoscrivano, non ha norme, da cui sia vincolata. 11 segnare i giusti limiti della vigilanza governativa, non è qui luogo da ciò: questo solo panni di potere ragionevolmente affermare, che questo disegno di legge conferisce al Governo poteri assolutamente inconciliabili colla autonomia universitaria veramente intera. Qualche anno fa Pasquale Villari scriveva: “Dal 1850 fino ad oggi, colle libertà, eolie nuove leggi, regolamenti e mutamenti, con nuovi professori italiani e stranieri, noi non siamo ancora riusciti a far nascere nelle nostre Università una vera vita scientifica : esse non rispondono all'aspettazione giustissima del paese. E perché, dimando io? Perché il Ministero arrogandosi il diritto supremo ed assoluto della pubblica istruzione ed educazione, ha governato a sua posta le Università invece di mostrarsi ossequente alla legge del 1850 non mai abolita, informata ai più larghi o giusti principii di libertà /in nota cita il libro di Martelli, La decadenza dell’Università italiana”» Ibid., p. 10. 438Si tratta del libro di G.B. Santangelo, La Famiglia e la Scuola, letture proposte alle allieve delle classi femminili, esercizi fondamentali di lettura, scrittura e calcolo per le bambine, Palermo, Tip. M. Amenta, 1887. 439 G. Allievo, Clericalismo e liberalismo, ossia i libri di lettura del prof. G. B. Santangelo censurati dal Ministero della Istruzione pubblica e difesi da Giuseppe Allievo, Palermo, Tip. delle letture domenicali, 1888. 440 Nella relazione del Ministro in cui si valutava negativamente il testo difeso dall’Allievo, si accusava il libro di un certo «odore di sagrestia». A tale accusa, lo studioso piemontese replicò: «Ah finalmente ecco qui la chiave omerica, che apre l’arcano di una critica spigolistra, permalosa, assassina! L’Autore per ragione pedagogica e per debito di programma ha qua e là nei suoi libri (e non dalla prima all’ultima parola, come, bugiardamente asserisce il Relatore) parlato di Dio e delle cose sante: dunque giù botte da orbo sulla sua mal battezzata cervice! In verità addolora il vedere il Ministero suggellare coll’autorità sua il giudizio di chi parla un linguaggio tanto plateale e lacera il primo articolo dello Statuto fondamentale del Regno e l’articolo 315 della vigente legge organica della pubblica istruzione! Ma già il sentimento religioso è puzza di sagrestia, che ammorba e va proscritto in nome della nuova Igiene! L’Ermenegarda morente del Manzoni sclamava: “Parlatemi di Dio, sento ch’ei giunge”: il moderno epicureo grida: Non parlatemi di Dio, sento che mi si guasta la digestione. Se il Santangelo fosse stato un prete spretato, che avesse gettato il tricorno alle ortiche, o  112  L’unico momento in cui sembrò potersi fermare la parabola monopolistica, fu la nomina a Ministro dell’istruzione del senatore palermitano Perez nel luglio 1879. Il neoministro mostrò la volontà di mettere mano ad una riforma della scuola volta a difendere il principio della libertà d’insegnamento. L’Allievo prese subito le difese del Ministro in un articolo pubblicato nella Gazzetta piemontese del 20 agosto e stese il saggio La riforma dell’educazione moderna mediante la Riforma dello Stato, che trovò l’apprezzamento del neoministro441. Gerini documenta come Perez avesse l'intenzione di chiamare Allievo stabilmente al Ministero, con lo scopo di redigere una riforma della scuola e dell’Università incentrata sulla libertà d’insegnamento e contraria alla deriva monopolistica intrapresa dai suoi predecessori442. L’Allievo fu infatti presto coinvolto nella compilazione di un nuovo Regolamento per la licenza liceale in sostituzione di quello precedente definito dal ministero Correnti nell’aprile 1870. Il nuovo regolamento, nel quale Allievo ebbe «non poca e vivissima parte»443, intendeva ricondurre gli esami di licenza liceale alla loro «primiera forma legale, allorquando l'alunno privato si presentava a sostenerli presso qualunque pubblico liceo dello Stato e senz'obbligo dell'attestato di licenza ginnasiale e del percorso triennio»444. Il suo scopo era quello di restituire più ampia libertà agli studenti delle scuole non statali445. Il pedagogista documentò nel saggio sulla legge Casati come il testo trovò il consenso della maggior parte dei provveditori e dei presidi sui quali era stato fatto un sondaggio preliminare446. Ma il progetto suscitò anche numerose polemiche447. Accusato dagli ambienti liberal-democratici di voler favorire la scuola libera (e quella cattolica in specie), a pochi mesi dal suo insediamento, già nel novembre 1879, il Perez dovette abbandonare il un frate sfratato, che avesse bruciato il convento per andare a godersi la vita, i suoi libri avrebbero incontrato ben altro giudice ed altro mecenate» in G. Allievo, Clericalismo e liberalismo, ossia i libri di lettura del prof. G. B. Santangelo, cit., p. 19. 441 In un autografo del 9 agosto 1879 il Ministro scrisse ad Allievo «...m’accorgo come Ella sia fra quei pochi cui non travolge la mente l’idolatria dello Stato onnipotente e onnisciente» in A. Consorte, Scuola e Stato in Giovanni Allievo, cit., p. 53. 442 G. B. Gerini, La mente di Giuseppe Allievo, cit., pp. 11-12. 443 G. Allievo, La legge Casati e l’insegnamento privato secondario, cit, p. 36. 444 Ibid., p. 35. 445 Così il professore piemontese sintetizza i punti salienti del Regolamento: «Gli articoli più sostanziali di esso Regolamento, che avrebbero radicalmente mutato l'attuale sistema degli esami di licenza, sono: il quinto, che restringe l'esame sulle materie nei limiti, in cui esse furono svolte nel terzo anno, quando si siano superati gli esami di promozione dei due primi anni; il settimo, che lascia libero il candidato privato di iscriversi presso qualunque pubblico liceo del Regno; il nono, che lo proscioglie dall'obbligo dell'attestato di licenza ginnasiale e del percorso triennio; il dodicesimo, che incarica i professori liceali della preparazione di temi per le prove scritte, ed inchiude l'abolizione della Giunta centrale» Ibid., p. 36. 446 Ibid., pp. 36-37. 447 «Eppure quel regolamento era un semplice richiamo alla legge Casati: si intendeva di ricondurre gli esami d licenza liceale alla loro primiera forma legale, allorquando l'alunno privato si presentava a sostenerli presso qualunque pubblico liceo dello Stato e senz'obbligo dell'attestato di licenza ginnasiale e del percorso triennio. E se ne fece una questione di clericalismo, mentre era una questione di legalità» Ibid., p. 35.  113  dicastero448. Il caso sembra confermare quanto annotato da Giuliana Limiti: «Il problema della scuola privata sembra essere fatale per la sorte di taluni ministri della Pubblica Istruzione e qualche volta per la sorte degli stessi governi!»449. Sebbene impossibilitato ad incidere effettivamente negli indirizzi della scuola, la sua collaborazione con il Ministero continuò negli anni seguenti. Come ricorda Prellezo: «nel 1884 esprime il suo parere sui programmi delle Scuole normali; nel 1885 viene incaricato dal Ministro Coppino dell’ispezione delle Scuole normali del Piemonte e della Liguria; nel 1887 lo stesso Ministro Coppino lo chiama a far parte della Commissione reale per il riordinamento della scuola popolare»450. Molto più duro fu il rapporto con il Ministro Paolo Boselli, che guidò la Minerva dal 17 febbraio 1888 al 6 febbraio 1891, durante i due primi governi Crispi. Qualche mese dopo il suo insediamento, Allievo criticò il Boselli a motivo della censura di un testo già citato451. Questo iniziale contrasto probabilmente convinse il pedagogista piemontese, chiamato a far parte della commissione presieduta da Pasquale Villari per stendere i nuovi programmi delle scuole elementari, a non partecipare a buona parte delle sedute. Pesò probabilmente la convinzione di rappresentare un’esigua minoranza all’interno della commissione, formata in larga maggioranza da studiosi di area laicista e positivista. Qualche tempo dopo l’Allievo attaccò più severamente il Ministro con il pamphlet dal titolo Lo Stato educatore ed il ministro Boselli452. Si tratta di un saggio con toni molto 448Così commentò l’Allievo: «Il Ministro Perez, rara avis, ritornando al concetto della legge arditamente si accingeva a spastoiare le scuole private ed a redimere gli istituti governativi da quel formalismo artifiziato e da quel enciclopedismo, che insieme congiuravano a sciupare gl’intelletti giovanili e sfibrare i caratteri. Ma il dio Stato colpiva a mezzo del lavoro la mano ribelle del suo Ministro. La genìa burocratica con ignobili e subdole manovre, la stampa liberalesca con una critica sleale ed assassina lo precipitarono ben presto di seggio miterandolo da clericale! Come avevano adoprato alcuni anni prima verso il Ministro Berti, propugnatore sincero di libertà» in G. Allievo, Lo Stato educatore ed il Ministro Boselli, cit., p. 4. 449G. Limiti, Momenti e motivi della legislazione sulla scuola non statale in Italia, in S. Valitutti (ed.), Scuola pubblica e scuola privata, Bari, Laterza, 1965, p. 133. 450 J. M. Prellezo, Giuseppe Allievo negli scritti pedagogici salesiani, cit., p. 396. 451Introducendo il lavoro Allievo denuncia: «Questa turba liberalesca altro non vede e non adora che se medesima, e va gridando: l’Italia siamo noi, noi siamo il patriottismo, la libertà, la Costituzione, lo Stato: chiunque non ci appartiene è nemico della patria, chi non è con noi, è contro di noi. Sì, i clericali sono contro di voi, perché i nemici della patria siete voi, voi i demolitori delle franchigie costituzionali e della indipendenza politica, gli oppressori della libera attività dei privati cittadini. Oh benedette rimembranze del 1848, allorchè si vagheggiava, anelando, un ideale di unità e di floridezza sociale, di dignità e di indipendenza nazionale, di vera e larga libertà politica e civile, sorretta dalla religiosità e dall’integrità del costume! In omaggio a quell’ideale languivano nelle carceri del dispotismo austriaco o cadevano decapitati sul palco i martiri italiani; cimentavano sui campi lombardi la vita contro gli stranieri i prodi. Orta quel santo ideale conquistato con inauditi sacrifici di sangue e di danaro, è buttato nel fango da una turba di affamati, di ambiziosi e di settarii» in G. Allievo, Clericalismo e liberalismo, ossia i libri di lettura del prof. G. B. Santangelo censurati dal Ministero della Istruzione pubblica e difesi da Giuseppe Allievo, cit. 452 Solo la prima parte del saggio, intitolata Lo Stato educatore, è stata ripubblicata in G. Allievo, Opuscoli pedagogici, cit., pp. 50-70.  114  aspri, ma composto da critiche precise e circostanziate come è stato notato da Bonghi453. Nel saggio ribadì le accuse al sistema statolatrico italiano e stigmatizzò una serie di provvedimenti emanati dal Ministro: criticò il decreto 9 maggio 1889 il quale prescriveva che, per le sole scuole statali, la licenza elementare fosse titolo sufficiente per l’ammissione alla prima classe del ginnasio e della scuola tecnica; contestò la circolare dell’8 agosto 1889 con cui, in mancanza di maestri legalmente abilitati, dava la possibilità ai militari congedati che avevano superato l'esame prescritto per gli aspiranti sergenti, di insegnare nelle scuole assicurando la metà della copertura con fondi ministeriale, al contrario di quanto avveniva per gli altri insegnanti; protestò contro una circolare ministeriale nella quale, a dispetto dell’art. 325 della legge Casati, s’impediva ai parroci di presiedere gli esami di istruzione religiosa; recriminò che il corso di pedagogia non risultasse tra i corsi obbligatori per il conseguimento della laurea in Lettere e Filosofia454. Criticò, inoltre, i toni di una circolare del 20 febbraio 1889 finalizzata al riordino degli Orfanotrofi e dei Conservatorii e stigmatizzò la «faziosità» con cui il Ministro gestì i trasferimenti tra le diverse Università per influenzare le vicende concorsuali. Questi elementi condussero Allievo a tacciare Boselli di «cesarismo scolastico». In conclusione avanzò una proposta provocatoria e risoluta: «Delenda Carthago. Il ministero della pubblica istruzione va annullato»455. La proposta dell'abolizione del dicastero, peraltro avanzata già in Parlamento il 18 giugno 1867 dal deputato libertario e socialista Salvatore Morelli, non rappresentava in effetti agli occhi di Allievo la condizione ideale per il governo dell’istruzione pubblica, ma costituiva la fatale soluzione alla «metastasi statalista» che soffocava la scuola italiana456. Confermò le stesse posizioni in un 453 Commentando il saggio, il Bonghi osserva: «L’Allievo è professore di pedagogia come tutti sanno, e tanto ha scritto della scienza che professa, e posto molta cura a’ problemi, che vi si trattano, da meritare, di certo, che un suo studio sulla materia dell’educazione, teorica e pratica, non passi inosservato. Quello che annunciamo, è diviso in due parti. Nella prima tratta la questione se e quale parte spetti allo Stato nell’educazione; e viene alla conclusione media e vera, che la suprema autorità scolastica risiede nella famiglia, e allo Stato spetta un ufficio complementare e di vigilanza. La seconda è una critica minuta – e talvolta, il che non è bene, acre – della condotta dell’attuale ministro di Pubblica Istruzione. Né si può negare che una buona parte dele osservazioni sia giusta, e a ogni modo consigliamo il ministro di darvi peso, e non immaginarsi, che, prima o dopo, non ne avranno. Soprattutto le considerazioni intorno al concetto e alla condizione dell’insegnamento religioso nelle scuole elementari, come appaiono nelle più recenti circolari del ministro, ci paion degne ch’egli vi rivolga la sua attenzione» R. Bonghi, Idee di G. Allievo circa la libertà d’insegnamento, cit., p. 603. 454 Sullo stesso tema il pedagogista aveva già scritto un pamphlet: G. Allievo, Il ministro Coppino e la pedagogia, Torino, Borgarelli, 1878. 455 G. Allievo, Lo Stato educatore ed il Ministro Boselli, cit., p. 44. 456 Concludendo il saggio Allievo ricorda la sua fedeltà alle istituzioni dello Stato Italiano: «Pubblicando questo lavoro io non ho inteso di venir meno ala ragionevole riverenza dovuta all'autorità ministeriale; e ne fa prova manifesta il rispetto, che io professo sincero per le leggi dello Stato, per le patrie istituzioni, per le franchigie costituzionali, per la nazionale indipendenza. Ho censurato gli atti governativi adoperando quella crudezza di forma, che risponde alla gravità del male, esercitando un diritto, che lo Statuto conferisce ad ogni libero cittadino, adempiendo un dovere impostomi dalla carità del loco natio e dalla coscienza del mio mandato. Ho parlato il linguaggio dei fatti; ed i fatti li smentisca chi può, li riconosca chi deve.  115  articolo del 1910, intitolato Salviamo la scuola!, nel quale dopo essersi soffermato sulle storture della scuola statale e sul suo ordinamento illiberale ritornò a prospettare la soppressione del Ministero457. Un attacco così diretto non restò senza conseguenze. All’opuscolo del pedagogista replicò infatti un libretto anonimo intitolato Lo Stato educatore – botte di un educatore – risposte di un educato458 che, stando al Gerini, sarebbe stato redatto negli uffici del ministero. La risposta alle critiche è non solo pungente quanto, del resto, le denunce dell’Allievo, ma scade a livello di attacco personale. Oltre a difendere ogni singolo provvedimento annotato dallo studioso vercellese, l’autore si abbandona alla denigrazione della sua attività didattica e scientifica: «Ha una famiglia pedagogica l’Allievo? No. E la ragione è una sola, ed è naturale e chiara, non si può dar famiglia senza amore. Omnia vincit amor. Ma l’Allievo non ha amore, se non verso sé medesimo»459 [...] «Il sentimento che noi scorgiamo nel prof. Allievo non è, no, mal volere; è piuttosto un affetto immoderato che lo muove a far troppo di sé centro a sé stesso; talmente che egli rende, senza forse accorgersene, l’immagine dantesca di cosa che sé in sé rigiri; e rigirandosi, egli nella sua vaga visione si esalta così, che gli par di poggiare su, ad un punto superiore a quello di chi nella scala sociale e nella realtà dei fatti è più alto di lui»460. L’acida polemica continuò con un ulteriore passaggio in una replica dell’Allievo nel breve saggio: Risposte di un educato: un educato. Fin dalla prima pagina lo scritto era poco conciliativo, sia nel difendere le sue tesi sia nel contestare le accuse, così chiosando ironicamente lo statalismo ministeriale: «Beati i popoli (ripiglio io), retti da un governo così raccolto ne’ suoi giusti confini, così ossequiante alle leggi ed ordinato in ogni atto suo, così alieno dallo esclusivismo e tanto rispettoso della libera attività de’ cittadini All'educazione nazionale peggior ventura che quella del Ministero di Paolo Boselli non è toccata mai» Ibid., p. 45 457 «Il dilemma si affaccia irrevocabile. Delenda Carthago! L’abolizione del Ministero di pubblica istruzione si impone imperioso, urgente, indeclinabile. La salute della nostra grande ammalata, che è la scuola, è a questo prezzo. Per questa via sola si giunge a smantellare la roccia della vastissima setta, che impera sovrana alla Minerva. Dacchè il parlamentarismo rasenta la bancarotta, può ben far senza di un Ministero, liberandoci da quella smania di legiferare, da quel subisso di leggi e regolamenti e decreti e circolari scolastiche , che intralciano il regolare processo della pubblica istruzione e comprimono la libertà degli studi» Salviamo la scuola! in «La libertà d’insegnamento. Bollettino trimestrale della “Unione pro Schola Libera”», Torino, Tip. S.A.I.D, n. 2, 1910, pp. 14-15. 458Lo Stato educatore – botte di un educatore – risposte di un educato, Roma, Stabilimento Giuseppe Civelli, 1890. 459 Ibid., p. 54. 460 Ibid., p. 55.  116  segnatamente nel campo pedagogico, che alla famiglia non venga impedito di comporsi nell’ordine suo ed adempiere la sua missione educatrice»461. L’anno seguente tornò a criticare il Ministro Boselli sulle pagine de Il nuovo Risorgimento462. Alle accuse precedenti ne aggiunse altre come quelle circa l’ingerenza della Minerva sulla scuola dell’infanzia, la nomina di un impiegato di biblioteca ad ispettore scolastico di prima classe, e il fatto che «il ministro Boselli con una sua ordinanza deferiva l’anno scorso alle singole Commissioni esaminatrici la proposta dei temi per le prove scritte della licenza liceale, offendendo l’articolo 38 del R. regolamento 23 ottobre 1884 allora vigente»463. Si trattava secondo l’Allievo della persistenza di una serie di «abusi del potere esecutivo», in cui scorgeva il tradimento dello Stato di diritto e della libertà: «L’Italia è tutta infesta da una turba di pseudo-liberali, che la libertà fanno strumento di servitù, e della patria, delle franchigie costituzionali, delle leggi dello Stato si fanno sgabello per salire in alto sitisbondo di dominio e di oro, corrompendo il pubblico costume e le istituzioni politiche e civili della nazione»464. Un altro episodio che segnò lo scontro con la Minerva, risale al pensionamento di Allievo, quando il dicastero era guidato dall’onorevole Credaro. Nel corso del 1912 il pedagogista, ormai anziano e con poche forze, chiese al Ministero che gli affidasse un sostituto. La Facoltà nominò il pedagogista Romano, «ex» spiritualista e cattolico convertito al positivismo. Lo studioso era già stato bocciato in una serie di concorsi per conseguire la libera docenza a Torino, Milano, Palermo e Bologna. A Catania addirittura tutti e cinque membri della commissione esaminatrice diedero esito negativo. La nomina di un candidato simile come suo supplente, peraltro agli antipodi rispetto alla sua linea pedagogica, portò l’Allievo a prendere dura posizione contro la Facoltà e il preside Vidari, e poi a chiedere di andare definitivamente in pensione, per impedire al Romano di insegnare sulla sua cattedra. Raccogliendo una serie di articoli apparsi su giornali e riviste come Italia Reale, L’Unione di Vercelli, Il Momento, Il Corriere d’Italia, I diritti della scuola Studium, fu pubblicato un pamphlet sulla vicenda465. Furono inserite anche due lettere inviate da Allievo a due di queste riviste come ringraziamento della solidarietà dimostrata, e un piccolo scritto dallo stesso pedagogista in cui chiariva ulteriormente i contorni della vicenda. La posizione di Allievo sulla vicenda è molto significativa: 461G. Allievo, Un educato anonimo, Torino, Tip. Subalpina, 1890, p. 7. 462 G. Allievo, Il Ministro Boselli e la legge, «Il nuovo Risorgimento», 1890-1891, pp. 165-172. 463 Ibid., p. 168. 464 Ibid., p. 171. 465 Giuseppe Allievo e la sua cattedra, Torino, Tip. S, Giuseppe degli artigianelli, 1912.  117  emergono sia un vivo attaccamento all’impegno pedagogico e magistrale466, ma anche forti dissidi con l’ambiente universitario. Nelle sue ricostruzioni Allievo attribuì a Giovanni Vidari, allora preside della Facoltà di Lettere e Filosofia di Torino, la responsabilità dello smacco subito467, collegando l’appoggio da parte del preside del Romano e un generale poco rispetto dimostrato anche con altri episodi, in virtù della sua aderenza ai principi spiritualisti e alla sua fede468. Un altro testo in cui attacca il Ministero è il testo Del realismo in pedagogia469, nel quale contesta le posizioni espresse da De Sanctis in uno scritto del 1878 pubblicato ne la «Gazzetta letteraria di Torino», in cui lo statista napoletano sosteneva come la classe magistrale dovesse ispirarsi ad un realismo di impronta pragmatista. L’Allievo era invece convinto che l’anima della scuola poteva essere un solido ideale umano. Senza valori certi, 466 Si tratta di una lettera inviata a l’Unione di Vercelli, per ringraziare delle parole in sua difesa. Scrisse: «Io non sono più maestro. Non è la morte, che mi abbia rapito alla cattedra, ma è qualche cosa di peggio. In questi ultimi anni la mia vita universitaria fu amareggiata da grandi dolori. Pur tuttavia avrei continuato nel mio insegnamento; ma quando mi si volle imposto per supplente un rifiuto di tutti i concorsi universitari, a cui egli si è presentato, esclamai: Basta così; e mi ritirai nel santuario della vita privata, abbandonando alla dimenticanza ed all’oblio quei tra infelici che malignavano sulla mia persona. [...] Abbandono con certo qual rammarico la cattedra, che per più di cinquant’anni mi fu cara compagna di lotta del pensiero, nella conquista della verità, e vedendo scomparire a me d’intorno quella folla sempre nuova di giovani studiosi che nel volgere degi anni veniva ad ascoltare la mia povera parola, mi pare quasi che la mia vita si spenga nell’isolamento. No, non si spegne, ma semplicemente si trasforma. [...] Veggo che la mia più che attuagenaria esistenza volge al tramonto, ma io mi esalto pensando al Divino Maestro, al Pedagogo eterno, al Verbo vivente, al Redentore dell’umanità» Ibid., pp. 6-7. 467 Dopo aver accennato i concorsi falliti da Romano, Allievo commenta l’ultimo a Catania «quest’ultimo poi gli fu veramente disastroso, non avendo riportato nemmeno un voto favorevole. Tanto è che coloro stessi fra i miei colleghi che per lo passato lo avevano sempre protetto e difeso a spada tratta, in faccia a quel disastro esclamarono: È un uomo liquidato! Ma che? Questi medesimi lo proposero per mio supplente e poi riuscirono ad insediarlo sulla Cattedra di Pedagogia da me lasciata vacante. Viva la libertà del dire e del disdire! Il Romano deve il presente suo splendido successo al Presidente Vidari, il quale rifiutando di interpellarmi intorno la scelta del mio supplente, sostenne in Consiglio di Facoltà insieme con sei altri professori presenti all’adunanza (senza contare tre altri, che diedero voto contrario) che fosse proposto il libero docente, fallito in tutti i concorsi universitari di pedagogia specie in quel disastroso di Catania» Ibid., cit., p.12. 468 Allievo riporta nello scritto un brano di una lettera uffficiale scritta da Vidari in occasione delle sue dimissioni, e così la lo commenta: «Egli mi rivolse un saluto perché abbandoni l’Università, ma non aggiunge sillaba, che esprima il menomo rincrescimento di aver perduto in me un collega, e quando presentai le mie dimissioni non mi ha significato il menomono desiderio che fossero ritirate. L’augurio anche’esso mi sa di forte agrume. Che nel placido riposo io possa lungamente deliziarmi nei prediletti miei studi? – Ma questi cari miei studi prendono forma e vita dalla pedagogia italiana tradizionale fondata sul teismo cristiano. Ora questa pedagogia l’avete cacciata via dalla mia Cattedra per fare luogo alla dottrina razionalistica del mio supplente, sicché l’augurio a me rivolto viene a tradursi in questi termini: Deliziati senza fine negli studi tuoi, ma non qui in queste aule universitarie in mezzo a noi e nella realtà della vita sociale, ma in mezzo alle mi- stiche regioni del soprannaturale, nelle sedi beate dei Campo elisi conversando cogli spiriti magni di Ferrante Aporti e di Giovanni Antonio Rayneri. Sì, io serberà sempre viva la mia ragione filosofica sorretta dalla fede religiosa in Cristo; ma voi vi vantate razionalisti e calpestate la scienza collocando sulla cattedra chi non la possiede; voi esaltate la libertà del pensiero, e v’inchinate a tutte le dottrine, fossero pur dissolventi e scettiche: soltanto il pensiero cristiano non trova grazia presso di voi.» Ibid., p. 21. 469 G. Allievo, Del realismo in pedagogia, Torino, Roux e Favale, 1878 inserito in Id., Opuscoli pedagogici, cit., pp. 422-426.  118  si sarebbero abbandonate le giovani generazioni a progetti e prospettive volgarmente materiali e pragmatiste, condannandole all’alienazione. All’inizio del Novecento la battaglia dell’Allievo in favore della libertà d’insegnamento si tradusse – per quanto egli fosse già avanti negli anni – nel sostegno alla fondazione, nel 1907, dell’associazione «Unione pro schola libera. Società nazionale per la libertà d’insegnamento», fermamente voluta da don Giuseppe Piovano e dal prof. Rodolfo Bettazzi, finalizzata diffondere le ragioni della libertà scolastica, contro lo statalismo e i suoi fautori. Allievo fu scelto come «presidente generale effettivo», carica che ricoprì solo per un anno, dopo il quale si allontanò progressivamente dal nucleo direttivo e organizzativo dell’associazione, a cui continuarono a legarlo comunque lo spirito e le motivazioni di fondo. Nel 1910 iniziò ad essere pubblicato anche il Bollettino dell’associazione, La libertà d’insegnamento470, un trimestrale a diffusione nazionale pubblicato inizialmente in circa tremila copie. La nascita e l’attività del sodalizio ebbero notevole risonanza contribuendo a vivificare il dibattito sulla libertà scolastica che stava registrando in quegli anni una notevole ripresa471. In un convegno svoltosi a Genova tra il 28 e il 30 marzo 1908, dal titolo Istruzione ed educazione cristiana del popolo italiano gli eredi dell’Opera dei Congressi, confluiti nelle Unioni Cattoliche, lodarono l’iniziativa dell’Allievo e nella seconda delle tre risoluzioni fu sancito uno stretto rapporto con l’Unione torinese. «La Civiltà Cattolica» – che a lungo aveva praticamente ignorato le tesi dell’Allievo – dedicò al Convegno un articolo, riportando le conclusioni dell’assise cattolica ed encomiando l’operato dell’Allievo e dell’«Unione pro schola libera»472. Appaiono significative le affermazioni conclusive dell’articolo, nel quale si celebrano affianco agli allievi i più importanti rappresentanti del cattolicesimo liberale francese473. 470 G. Chiosso (ed.), La stampa pedagogica e scolastica in Italia (1820-1943), cit., p. 398. 471 G. Chiosso, Gentile, i cattolici e la libertà di insegnamento nei primi anni del Novecento, in G. Spadafora (ed.), Giovanni Gentile. La pedagogia, la scuola, Roma, Armando, 1997, pp. 309-315. 472 Nella seconda delle tre risoluzioni fu scritto che il Congresso «Plaude all’Unione pro schola libera sorta in Torino sotto gli auspici del venerando prof. Allievo, e a tutte le altre istituzioni aventi lo scopo di tutelare i diritti dell’insegnamento libero; Fa voti che l’azione in favore della scuola libera sia efficacemente coadiuvata dai padri di famiglia, dagli insegnanti degli istituti privati e specialmente dall’azione illuminatrice della stampa quotidiana; Delibera di affidare all’Unione stessa l’incarico di studiare ed attuare quei mezzi pratici, che valgano a salvare quanto resta ancora di libertà d’insegnamento nella vigente legislazione e di ottenere dai pubblici poteri quegli immediati temperamenti, che servano a sopprimere le più odiose disposizioni regolamentari contro l’insegnamento privato» Il congresso cattolico di Genova, «La Civiltà Cattolica», quaderno 1388, 1908, vol. II. pp. 140-150. 473 Scrive l’autore dell’articolo: «Dopo queste semplici osservazioni intorno alla prima risoluzione, lasciamo ai lettori di apprezzare l’importanza della seconda risoluzione del congresso; in cui si traggono con un senno pratico degno di ogni encomio, le conseguenze legittime del principio fissato nella prima. Quale campo fecondo di attività, non meno benefica che urgente nelle singole deliberazioni di questa seconda  119  Fu a partire da questo periodo che il pensiero pedagogico del pedagogista vercellese iniziò a essere apprezzato e diffuso anche al di fuori del circuito del cattolicesimo liberale. Lo confermano una serie di articoli pubblicati sulla «Civiltà Cattolica»474, l’attenzione delle «Rivista di Filosofia neoscolastica»475, i meriti riconosciutigli da Filippo Meda476, e un celebre saggio di Giuseppe Monti, La libertà della scuola (1928) in cui si trovano citati gli scritti di Allievo e si ricordano le sue battaglie scolastiche477. Nel frattempo Giuseppe Allievo aveva lasciato questo mondo, il 24 giugno 1913.  risoluzione! Le ponderino attentamente i cattolici italiani; i giornalisti, i conferenzieri e gli stessi sacerdoti, in Chiesa e fuori di Chiesa, ne facciano il soggetto del loro apostolato, finché il popolo se ne impossessi e ne sappia fare buon uso specialmente in tempo di elezioni: da ciò dipende la salvezza della gioventù e della patria! Noi ne siamo sì profondamente persuasi, che non possiamo fare a meno di mandare da queste pagine un saluto e un augurio solenne all’Unione pro schola libera di Torino e al suo venerando presidente prof. Giuseppe Allievo, il più illustre pedagogista che oggi vanti l’Italia, degno rappresentante delle tradizioni filosofiche ed educative veramente italiane; la cui fama è pur troppo assai inferiore al merito, perché ingiustamente eclissata dal predominio del positivismo anglo – sassone e teutonico negli atenei e nelle scuole normali del regno. Possa il suo nome tramandarsi ai posteri con quelli del Montalembert, del Falloux e del Dupanloup per la Francia, come simbolo della conquistata libertà d’insegnamento per l’Italia!” Il congresso cattolico di Genova, cit.. pp. 147-148. 474In tre articoli pubblicati nel 1915 sulla pedagogia contemporanea sono citate le opere di Allievo e le sue critiche al positivismo. Cfr: Linee di pedagogia moderna, cit., pp. 530-543; Finalità educative, quaderno 1568, 1915, vol. IV, pp. 129-146; L’opera educativa positivista, quaderno 1570, 1915, vol. IV, pp. 397-411. 475 G. Cannella, Opuscoli pedagogici inediti ed editi di Giuseppe Allievo, cit., pp. 208-209. 476 F. Meda, Universitari cattolici italiani, cit., pp. 197-214. 477 G. Monti, La libertà della scuola, principi, storia, legislazione comparata, Milano, Vita e Pensiero, 1928, pp. 4, 7, 206.  Antropologia e di pedagogia nell'Università di Torino Torino,Carlo,Clausen 1896. In un'opera assai importante pubblicata nel 1891 (1) dall'illustre prof. Allievo, della quale ho a suo tempo discorso in questa autorevole Rivista,leggeşi un capitolo inscritto: Prime origini dei problemi psico. fisiologici,checontieneingermelamateria della presente memoria, la quale richiama a sè l'attenzione di tutti coloro che s'interessano dei più gravi problemi della scienza antropologica. Pigliando le mosse dall'origine storica e psicologica dell'Antropo logia,dellaqualedeterminapurei limiti,l’A.poneinsodo ilVero, l'incerto e l'ignoto di questa disciplina, per dichiarare quindi l'ana. logia tra il mondo esteriore della natura ed il mondo interiore del l ' a n i m a . M a s e il m o n d o e s t e r n o e d il m o n d o p s i c o l o g i c o i n t e r i o r e si rispecchiano e si rassomigliano sotto certi riguardi, tra l'anima ed il corpo nell'uomo, intercedono analogie assai più intime, spiccate e na• turali, intorno alle quali si trattiene a lungo l'Allievo. Ora uno dei più cospicui punti di corrispondenza tra l'anima ed il corpo si manifesta nel parallelismo di sviluppo attraverso le successive età della vita umana : parallelismo però, che non è nè assoluto, nè continuato,tanto meno poi un'identità. Un'altra corrispondenza è quella che intercede tra la mente sada edilcorposano,tralemalattiedell'anima oquelledel corpo.L'A. (1)Studiantropologici– L'uomoedilCosmo Unvol.in8gr.dipag.450circa Torino Tipogr.Subalpina editrice.  Psicologia. Studi psico-fisiologici. Memoria di GiusePPE ALLIEVO, professore   BOLLETTINO PEDAGOGICO E FILOSOFico. 89 ripone la sanità della mente nell'armonico e regolare sviluppo della medesima,elasanitàdelcorpo,nell'equilibriooperosodelle funzioni fisiologiche. Conseguentemente distingue una duplice specie d'igiene, di patologia e di terapeutica,corrispondenti alle due sostanze componenti l'essere umano.Anche iduestati dellavegliae delsonno sicorrispon dono fra di loro, essendochè su ciascuno di essi le potenze dell'anima elefunzionidell'organismosimostranosottoforme specialiedana. loghe.Lo spiritopoiedilcorpointuttoilcorsoascensivodelloro perfezionamento si prestano vicendevoli uffici, poichè lo spirito deve ai sensi esterni la prima conoscenza del mondo sensibile corporeo ; alla parola, che è un segno sensibile ordinato ad esprimere un intel ligibile,losvilnppodelsuopensiero;alla mano (nellacuistruttura Elvezio non dubitava di riporre la superiorità dell'uomo sul bruto) lo strumento della sua attività artistica e morale. Lo spirito alla sua volta ricambia dei suoi servigi ilcorpo,inpalzandolo alla dignità prco pria della persona umana,e conferendogli virtù singolari,assai supe jiori alla sua costitutiva essenza. Iofatti il corpo umano, informato dalla mente che lo governa, è reso capace di compiere azioni a cui non arrivano i corpi dei bruti, sia che venga riguardato nell'intiera compagine del suo organismo, sia che lo si consideri nella speciale struttura delle sue parti e nelle funzioni de'suoi sensi particolari.A questo punto l'A. richiama ad un'ordinata rassegna la molteplice varietà dei fenomeni, che si svol gono nell'interiorità del nostro essere, e che forniscono argomento di una specialedisciplina,lapsico-fisiologia,dellaqualetraccialelinee generali,nonsenzaavvertirechediessaainostri tempitrovansicenai nelSaggio sui'principiiedilimitidellascienzadeirapportidelfisico e del morale del Cerice, e più ancora nei Principi generali di psico login fisiologica di Ermannu Lotze. La scienza psico-fisiologica, dice l'A.,suppone come sua condizione la psicologia e la fisiologia e facendo tesoro delle cognizioni che le ammannisce l'unaintorno all'anima umana,l'altra intornoall'organismo corporeo,s'innalza a studiare ilsupremo principio generatore di tutti i fenomeni della vita umana che forma il problema fondamentale di tale disciplina.Ilquale può ricevere due soluzioni principali, secondo che ilprincipio generatore di tutti ifenomeni riponsi in una sostanza o n e i f e n o m e n i s t e s s i : n e l p r i m o c a s o a b b i a m o il d i n a m i s m o , n e l s e condo ilfenomenismo.Iiprimo può essere monodinamismo,se ricon duce tutti i fenomeni umani ad una sola sostanza, la quale potendo essere o l'anima od ilcorpo, bipartisce il monodinamismo in animismo e materialismo : duodinamismo se pone una differenza essenziale tra ifenomeni mentali ed ifisiologici.    Il fenomenismo si bipartisce pure, potendo essere dualistico od e voluzionistico,secondo che riconosce una linea di distinzione traidue ordini di fenomeni, ovvero sostiene che sitrasformano gli uni ne gli altri. L'Allievo esamina con siogolare lucidezza di pensiero e grande chiarezza d'esposizione queste diverse classi di sistemi psico-fisiologici, considerandoli nei loro più noti rappresentanti ; ed è degno di consi derazione l'esame della dottrina di Rosmini su questo punto. Venendo allo scioglimento del problema,vuolsi distinguere il duodinamismo e s c l u s i v o d a l t e m p e r a t o . O r a s e il p r i m o n o n r i s o l v e il p r o b l e m a p e r c h è separa l'uno dall'altro idue principii costitutivi dell'uomo, per guisa chel'animarazionaleècausaunicaessasoladituttiesoliifenomeni mentali e non interviene per nulla nella produzione dei fenomeni fisio logiciedanimali,ilprincipiovitalepoièessosolo ilgeneratore dei fenomeni della vita corporea e mantiensi affatto estraneo ai fenomeni mentali ; il secondo pel contrario siccome quello che mantiene distinti i due principii costuitutivi dell'uomo, e riconosce ad un tempo la loro vicendevoleinfluenza,talchèifenomenimentalisicompenetrano coi fenomeni animali e si condizionano a vicenda, dà un'equa soluzione al problema. a C o s i , c o n c h l u d e l ’ A ., il c o n c e t t o d e l l a p e r s o n a l i t à u m e n a , v a l e a dire di un soggetto sostanziale fornito d'intelligenza e di libera volontà, èilsolo,checonciliila'molteplicitàdei fenomoni coll'unitàdelloro umano soggetto, sicchè questi due termini nello sviluppo della vita umana, si mantengono indiegiungibili, e si rischiarano l'un l'altro. Su questo concetto si fonda appunto la notissima divisione della psi cologia in empirica e razionale.» Tale è nelle sue linee generali lo studio dell'insigne filosofo subal pino che mostra un ingegno vigoroso sempre ed acutissimo:e siamo certi che l'accoglienza fatta alle altre opere di lai, sarà rinnovata per questa memoria,nella quale si scrutano ipiù ardui problemi della scienza dell'uomo.Giuseppe Allievo. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Allievo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689459788/in/photolist-2mLHHHe-2mLGJnr-2mLJQmk-2mLDz3J-2mLCQLJ-2mLF5SC-2mKR9ZM-2mLGjg5-2mKQDnb-2mKLVA3-2mKBGvU-2mKNBXW-2mKwwoA-2mKBEmt-2mKHtgX-2mKQ5j7-2mKGGCy-2mPsh7f-2mKLYZ2-2mKGTYe-2mKF6Rp-2mKNjCv-2mKJPBV-2mKBLhJ-2mKAoGK-2mKN88B-2mKRu2r-2mPNG7N-2mKyErQ-2mKuZ8r-2mKwdUT-2mKAsyK-2mPMdNs-2mKEJsY-2mKEPgR-2mKbpiZ-2mKbok1-2mKj2vX-2mKgT2F-2mKbkhx-2mKbfaU-2mKjVho-2mJLMNt-2mJpFSS-2mJqjKS-2mGnP2f-2mKBZyy-2mKyJgk-E4u3XA-BUPaNy

 

Grice ed Allmayer – colloquenza – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo. Grice: “I like Allmeyer; especially his rambles on Roman philosophy when he taught at Rome – ‘La filosofia romana’ has a very datable beginning: that infamous embassy that terrified the old Romans but charmed the younger ones, such as Scipione!” --  Grice: “Due to Gentile, Allmaayer was forced to focus on Italian philosophy, and Gentile allowed him to call Galileo a ‘filosofo’! – Grice: “Allmayer’s pragmatics is Griceian: there is a colloquium, when a ‘soggeto’ empirico recognises another soggesto empirco (il tu del’io) – and they shape a ‘noi’ – for this he appeals to concepts of objectivity as intersubjectivity – If I imply, it is the UTTERE’s expression and implication that is primary, but I INTEND my implicature to be reccognised by the ‘tu’ – and this does not ‘alienate’ my concrete subjectivity – it does not vanish – it is merely re-invoked by the other – ‘invoke’ being a linguistic term – vox –: this is what the ‘assoluto’ stands for, that terrified Bradley!” --  Grice: “I love the fact that Allmayer taught the history of logic, with a focus on ‘stoic’ logic – and it’s only natural that ‘stoicismo’ was his favourite stage in Roman philosophy!” – Grice: “Oddly, Allmayer has a genial commentary on my favourite of Arisotlte’s treatises and the foundation of my method in philosophical psychology – “De Anima””! Fu insieme a Gentile, e altri filosofi, uno degli esponenti di spicco della corrente filosofica detta attualismo. Nacque a Palermo da Giuseppe Emanuele Fazio, originario di Alcamo (ex garibaldino e in servizio presso il Museo nazionale di Palermo) e da Felicina Allmayer, di origine tedesca, ma residente in Italia. Fin da ragazzo si interessò alla storia dell'arte; a 23 anni si laureò in giurisprudenza ma poiché era appassionato alla filosofia, iniziò subito gli studi filosofici e a frequentare la Biblioteca filosofica di Palermo, dove ebbe modo di conoscere Giovanni Gentile.  Nel 1910 l'Allmayer si laureò in filosofia e iniziò la carriera come professore: nel 1914 passò al liceo "Umberto I" di Palermo, dove cominciò la sua ricca produzione saggistica che lo rese famoso in Italia.  La sua carriera continuò a Roma; subito dopo la caduta del fascismo, nel novembre 1943, il Fazio Allmayer fu sospeso dall'insegnamento; per essere reintegrato dopo la fine della guerra.  Dopo un periodo travagliato della sua vita, negli anni Cinquanta riprese la molteplice attività di saggista e critico, oltre che di docente.  Nel 1915 si era sposato con Concettina Carta, con cui ebbe tre figli. Nel 1953, rimasto vedovo, si sposò in seconde nozze con Bruna Boldrini che, conosciuta col cognome acquisito, è stata tra i maggiori critici del Fazio e ne ha promosso un'edizione completa delle Opere (I-XXII, Firenze 1969-1991).  L'Allmayer, colpito da infarto tre anni prima, morì a Pisa nel 1958.  In memoria di questo insigne filosofo e pedagogista di origine alcamese, il Liceo Statale delle Scienze Umane, Economico Sociale, Linguistico, Musicale (ed autorizzato per le Arti coreutiche) è stato intitolato al suo nome.  Carriera 1910: Professore presso il liceo di Matera 1911: professore al liceo di Agrigento, vinse nello stesso anno una borsa di studio per perfezionamento presso l'Roma 1914 docente presso il liceo "Umberto I" di Palermo 1918: libero docente di storia della filosofia a Roma 1919: trasferito a Palermo, fu condirettore del Giornale critico della filosofia italiana, fondato da Gentile e diretto dallo stesso prima di essere ministro. 1921-1922: docente di filosofia presso l'Palermo 1922-1924: docente di storia della filosofia (con corsi su Bacone e sui sofisti e Platone) presso l'Roma, in sostituzione di Gentile e incaricato di pedagogia al magistero di Roma. 1924: collaboratore di Gentile per la riforma scolastica e, con l'incarico di ispettore centrale degli istituti medi di istruzione, ebbe affidata la redazione dei programmi della scuola media. 1925: professore non stabile di storia della filosofia medievale e moderna 1929: ebbe la cattedra di filosofia teoretica in sostituzione di Pantaleo Carabellese 1939: preside della facoltà di lettere 1925-1931: commissario per l'amministrazione straordinaria della sezione arti decorative, annessa alla Scuola artistica e industriale di Palermo dal 1931 in poi: commissario governativo per l'Accademia di Belle Arti. 1943: sospeso dall'insegnamento e reintegrato dopo la fine della guerra 1951: cattedra di storia della filosofia dell'Pisa 1954: direttore dell'istituto di filosofia. Pensiero filosofico Il tramonto del Positivismo e l'amicizia con Gentile lo portarono a un impegno ideologico a favore dell'attualismo che sembrava poter portare a un rinnovamento culturale e civile; secondo l'attualismo, era l'atto del pensare in quanto percezione, e non il pensiero creativo in quanto immaginazione, a definire la realtà.  Assieme a Gentile e Guido De Ruggiero, fu uno dei sostenitori di quell'attualismo che "aveva tutta la seduzione romantica e tutta la fiducia ottimistica a trarre a sé... i migliori dei giovani scontenti, quelli che non si muovevano verso D'Annunzio o Marinetti", e nel 1914-15 appoggiò apertamente, anche con conferenze, l'intervento dell'Italia nel conflitto mondiale, ma venne riformato alla visita militare.  Nelle parole di Bruna Boldrini, moglie del filosofo, che tendeva a sottolineare la sostanziale autonomia della ricerca del Fazio dalla metafisica di Gentile, il Fazio-Allmayer giunge a giustificare l'esperienza storica come vita concreta, in cui le molteplici e diverse forme confluiscono in un rapporto intersoggettivo, sintesi etico-estetica, nella specificità di ciascuna (p. 35).  D'altronde, anche Benedetto Croce, fin dal 1922, in una recensione del saggio Contributo alla teoria della storia dell'arte (poi in Opere, IV,  103-113), metteva in dubbio che si potesse parlare ancora di idealismo attuale per il Fazio.  Nel secondo dopoguerra, in un momento denigratorio dell'idealismo, e maggiormente dell'attualismo, che era accusato di connivenza col fascismo, la posizione del Fazio fu di aperta difesa dell'attualismo e di un fedele sviluppo del proprio pensiero.  Insegnare è non morire Insegnare vuol dire non morire, ma entrare in un processo di vita che ci precede e ci prosegue nel tempo: su questa certezza di Vito e Bruna Fazio-Allmayer, si basa una spinta pedagogica di tipo socratico, per cui il maestro si sente un uomo tra uomini, lui più esperto, e loro più giovani, ma protesi verso il nuovo.  L'educatore, nel suo farsi persona, diventa storico di se stesso, nel rapporto con i propri alunni li deve riconoscere nella loro singolarità, piuttosto che livellarli. Aprirsi agli altri è il contributo al vivere: allorché viene meno questo senso di solidarietà col tutto, si crea in noi il disagio dell'angoscia.  Quindi il senso della vita è quello della speranza e dell'amore: gli altri individui non sono antitetici al proprio io, ma un indispensabile sbocco del proprio io. Ognuno di noi si fa compossibile agli altri per ciò che dà e per quello che ripiglia dagli altri, così il particolare si risolve nell'universale e quest'ultimo nel particolare.  Per Vito Fazio-Allmayer la speranza è nella certezza che il futuro è nel presente: sono vecchi, quindi, gli insegnanti che, presi dal passato, trovano disprezzabile tutto ciò che si produce nel presente, e sciocchi i giovani, e sbagliato ogni nuovo pensiero. La scuola è vecchia se non riesce a vedere il mondo nuovo e in rinnovamento; l'insegnante che si racchiude nelle memorie del passato, manifesta la malattia mortale che si chiama vecchiaia.  Fondazione La Fondazione Nazionale "Vito Fazio-Allmayer” è sorta a Palermo nel 1975, creata da Fanny Giambalvo e Bruna Fazio-Allmayer, che venne in Sicilia dalla Toscana per insegnare Filosofia morale e Storia della Pedagogia; tale istituzione è stata fondata per onorare il ricordo del marito e per suscitare nelle giovani generazioni l'interesse per la filosofia.  Opere Su: La Sicile illustrée, articoli e saggi (1905-1908) Su: Rassegna d'arte, articoli e saggi (1905-1908) Studi sul pensiero antico; Sansoni, 1974 Galileo Galilei; R. Sandron, 1911 Galileo Galilei, Palermo 1912, poi in Opere, X,  51-209; Galileo Galilei; Sansoni, 1975 Novum organum: Bacon, Francis; Laterza & Figli, Dell'anima Aristoteles; Laterza,  la formazione del problema kantiano, in Annali della Bibl. filosofica di Palermo, fasc. I,  43-89, poi in Opere, IV,  191-235) La scuola popolare e altri discorsi ai maestri: 1912 e 1913; Francesco Battiato, 1914 Introduzione allo studio della storia della filosofia; Zanichelli; 1921 Materia e sensazione (Sandron, Palermo 1913, poi in Opere, II) Materia e sensazione; Sansoni, 1969 Introduzione alla filosofia; Sansoni, 1970 La teoria della libertà nella filosofia di Hegel (Messina 1920, poi in Opere, XIV) Saggio su Francesco Bacone (Palermo 1928, poi in Opere, XI) Saggio su Francesco Bacone; 1979 Il problema morale come problema della costituzione del soggetto, e altri saggi (Firenze, Le Monnier, 1942, poi in Opere, IV,  952) Il problema morale come problema della costituzione del soggetto e altri saggi; Sansoni, 1971 Il significato della vita; Sansoni, 1955 Il significato della vita; 1988 Divagazioni e capricci su Pinocchio; G.C. Sansoni, 1958 Divagazioni e capricci su Pinocchio; Fondazione nazionale Vito Fazio-Allmayer, 1989 Ricerche hegeliane; G. C. Sansoni, 1959 Ricerche hegeliane; Fondazione nazionale Vito Fazio-Allmayer, 1991 Storia della filosofia; G.B. Palumbo, 1942 Storia della filosofia; Sansoni, 1981 I vigenti programmi della scuola elementare: Commento e interpretazione; Firenze, F. Le Monnier, 1954 Morale e diritto; Sansoni, 1955 Discorsi, lezioni; Sansoni, 1983 Saggi e problemi; Sansoni, 1984 Recensioni e varie, 1986 La Pinacoteca del Museo di Palermo e altri saggi; notizie dei pittori palermitani, Palermo 1908 Prolusioni e discorsi inaugurali; Sansoni, 1969 Alcune lezioni edite e inedite; Sansoni, 1982 Alcune lezioni edite e inedite; Sansoni, 1983 Spunti di storia della pedagogia Moralita dell'arte: rievocazione estetica e rievocazione suggestiva (con 53 postille); Sansoni, 1953 Moralita dell'arte e altri saggi; Sansoni. 1972 Logica e metafisica; Sansoni, 1973 La storia; Sansoni, 1973 Lettere a Bruna; Fondazione nazionale Vito Fazio-Allmayer, 1992 Lettere a Gentile; Fondazione nazionale Vito Fazio-Allmayer, 1993 Introduzione allo studio della storia della filosofia e della pedagogia; Sansoni, 1979 La teoria della liberta' nella filosofia di Hegel; Giuseppe Principato, 1920 Opere; Sansoni, 1969 Commento a Pinocchio; G. C. Sansoni, 1945 Il problema Pirandello; Firenze, Belfagor, 1957 Note //treccani/enciclopedia/vito-fazio-allmayer_(Dizionario-Biografico)/  E. Garin, Cronache di filosofia italiana..., I-II, Bari 1966, ad Indicem; //fazio-allmayer/index//  treccani,//treccani/enciclopedia/vito-fazio-allmayer_(Dizionario-Biografico)/. fazio-allmayer,//fazio-allmayer/index//. Vita e pensiero di V. F., Firenze 1960; 2 ediz., Palermo 1975, con  degli scritti del e sul F., alle  205-224; A. Massolo: Fazio e la logica della compossibilità, in Giornale critico della filosofia italiana, XXXVI (1957),  478-487; C. Luporini, Ricordo di V. F., in Belfagor, XIII (1958),  360 s.; Giardina Francesco: Intenzionalità ermeneutica e compossibilità nell'attualismo comunicazionale di Vito Fazio-Allmayer: implicazioni pedagogiche; Edizioni della Fondazione nazionale Vito Fazio-Allmayer1996 A. Guzzo, V. F. e Guido Rossi, in Filosofia, IX (1958),  494-499; Giornale critico della filosofia italiana, (scritti di G. Saitta, A. Massolo, S. Caramella, F. Albeggiani, M. F. Mineo Fazio, B. Fazio-Allmayer Boldrini); A. Santucci: Esistenzialismo e filosofia italiana, Bologna 1959,  169 s.; A. Negri, In ricordo di V. F., in Filosofia, XIII (1962),  527-530; E. Garin, Cronache di filosofia italiana..., I-II, Bari 1966, ad Indicem; B. Fazio-Allmayer: Esistenza e realtà nella fenomenologia di V. F., Bologna 1968; L. Sichirollo, Filosofia e storia nella più recente evoluzione di F., in Per una storiografia filosofica, II, Urbino 1970,  461-484; E. Giambalvo, La metafisica come esigenza in Bergson e l'esigenza della metafisica in V. F., Palermo 1972; Carlo Sini: Studi e prospettive sul pensiero di V.F. Allmayer; estratto da "il Pensiero" ist. editoriale Cisalpino, Milano-Varese Atti del 1º Congresso nazionale di filosofia "V. F., oggi", Palermo 1975. Atti del Convegno nazionale su l'estetica come ricerca e l'impegno dell'artista nel suo mondo, Palermo 1984 (con interventi di L. Lugarini, U. Mirabelli, L. Russo  Attualismo (filosofia) Giovanni Gentile Guido De Ruggiero Alcamo  treccani, http://treccani/enciclopedia/vito-fazio-allmayer_(Dizionario-Biografico)/. Filosofia Filosofo del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloPedagogisti italianiInsegnanti italiani del XX secoloInsegnanti italiani Professore. Vito Fazio Allmayer. Allmayer. Keywords: colloquenza, colloquio, dialettica, dialogo, hegel – fascism – he was forced to retire after the fall of fascism, altmeyer wurd allmeier Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Allmayer” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51792902874/in/dateposted-public/

 

Grice ed Alminusa – i nobili siciliani – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Catania). Filosofo. Grice: “Cutelli is like Hart, a jurisprudent, rather than a philosopher!” Si laurea a Catania. Un saggio e il “Patrocinium pro regia iurisdictione inquisitoribus siculis concessa”. Vuole escludere dal "privilegium fori" numerosi delitti come la resistenza a pubblico ufficiale, ed omicidio anche tentato.  Altro saggio: “Codicis legum sicularum libri quattuor” dove manifesta un'idea di politica amministrativa che mira a creare un centro unificatore e un ministro superiore, cui fosse affidato il compito di amministrare e dirigere la monarchia, ottenendo il rilancio economico, la riduzione delle spese e il riequilibrio del conto fiscale. Si recò a Napoli. Acquista il feudo di Mezza Mandra Nova.  Altro saggio: “Catania restaurata”. Altro saggio: “Supplex libellus.”Acquistò il feudo di Alminusa e il borgo già creato da Giuseppe Bruno, figlio del fondatore Gregorio, per atto del notaro Pietro Cardona di Palermo. Ad Aliminusa dota la chiesa di Santa Anna e stabilisce un legato di maritaggio di dieci onze l'anno in favore di una figlia dei suoi vassalli, come si scorge dal suo testamento redatto innanzi al notaio Giovanni Antonio Chiarella di Palermo. Acquista il feudo di Cifiliana.  Il suo testamento rivela la volontà di destinare una parte dei suoi possedimenti alla fondazione di un collegio d'huomini nobili in cui si dovesse studiare filosofia: il Convitto Cutelli, o Cutelli.A Catania gli sono dedicati una piazza sita sul percorso della centrale via Vittorio Emanuele II e il Liceo Classico "Mario Cutelli".  Dizionario biografico degli italiani.  Una utopia di governo. La formazione dell'élite in Sicilia tra Settecento ed Ottocento. Il "Collegio Cutelliano" di Catania, in "Quaderni di Intercultura". Conte di Villa Rosata. Conte Mario Cutelli di Villa Rosata e signore dell’Alminusa. Alminusa. Keywords: i nobili, i nobili siciliani, homosocialite, boys-only, male-only, Convitto Cutelli, élite filosofica, all-male establishment, Oxford as non-co-educational – the coming of Somerville! – Grice’s play group as an all-male play group, the idea of nobilita, nobility. --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alminusa” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51791557822/in/dateposted-public/

 

Grice ed Altan – soggeto, simbolo, valore – ermeneutica antropologica – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Vito al Tagliamento). Filosofo. Grice: “I like Altan; he is of course an anthropologist and not a philosopher, although his first rambles were on Croce and philosophy as synthesis of history! – but then I lectured on Peirce’s misuse of ‘symbol,’ and Altan, not a philosopher, just like Peirce was not – repeats the mistake – Welby should possibly know better – Grice: “Altan fails to explain why the Romans felt the need to borrow ‘symbolum’ from the Greeks, and never return it!” Grice: “The examples in Short and Lewis for the Roman use of ‘symbol’ are extravagant – Peirceian almost!” – Grice: “Altan’s point is that a ‘soggeto,’ to communicate via ‘logos’ with another ‘soggeto’ in a colloquium, must rely on this or that symbol, which means that he must rely on this or that ‘valore’ – and unless you share those values, you don’t quite grasp the implicatum in the use of the symbol.” Nato da un'antica famiglia friulana di San Vito al Tagliamento, Carlo Tullio-Altan è stato uno dei massimi esperti di antropologia culturale in Italia.  Destinato dalla famiglia alla carriera diplomatica, si laurea nel 1940 in giurisprudenza a La Sapienza di Roma con una tesi in diritto internazionale.  Inviato in Albania durante la seconda guerra mondiale, partecipa successivamente alla Resistenza, militando nel Partito d'Azione.  Dopo le vicende belliche, conosce Benedetto Croce grazie a cui fa il suo ingresso nel panorama culturale italiano.  L'incontro con Croce, avvicina il suo pensiero all'idealismo crociano ed allo spiritualismo etico, come testimoniano le sue prime opere di questo periodo. Trascorre quindi, a partire dai primi anni '50, dei periodi di studio e di ricerca a Vienna, Parigi e Londra, dove si accosta pure all'antropologia e all'etnologia.  Dal 1953, grazie all'influsso di Ernesto De Martino, di Remo Cantoni (di cui sarà anche assistente volontario, a partire dal 1958) e di Tullio Tentori, si dedica all'antropologia, secondo un approccio che non si basi esclusivamente sulla ricerca sul campo e l'etnografia ma che faccia soprattutto ricorso al pensiero filosofico, alla storia delle religioni, all'epistemologia, alla sociologia, alla psicologia. Inoltre, influenzato pure dall'opera di Bronisław Malinowski, si oppone allo strutturalismo, aderendo successivamente al funzionalismo nonché a un marxismo mediato dalla scuola francese degli Annales.  Nel 1961, gli viene assegnato, per la prima volta in Italia, l'incarico di insegnamento di Antropologia culturale alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Pavia, successivamente ricoperto alla Facoltà di Sociologia dell'Trento. Poi, come ordinario della stessa disciplina, ha lavorato alla Facoltà di Scienze Politiche "Cesare Alfieri" dell'Firenze e, dal 1978 fino al collocamento a riposo (nel 1991), nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Trieste, della quale è stato poi nominato professore emerito.  Nel 1987, organizza a Roma, insieme ai maggiori antropologi italiani di allora, il primo "Convegno nazionale di antropologia delle società complesse", che, negli anni, verrà riorganizzato più volte.  Negli ultimi anni, ha vissuto tra Milano e un'antica casa rurale tra Aquileia e Grado, la stessa dove lavora il figlio Francesco Tullio-Altan.  Sulla base della sua iniziale formazione universitaria in discipline storico-giuridiche nonché della sua vasta conoscenza filosofica e culturale, dopo una prima fase di originali ricerche sulla fenomenologia religiosa ed il simbolismo, volge la sua attenzione verso i metodi antropologici applicati all'analisi sociologica, quindi si dedica allo studio dei comportamenti e dei valori della gioventù italiana negli anni '60-'70, che lo hanno poi condotto ad approfondire, da una prospettiva storico-culturale e con una visione alquanto critica, la dimensione identitaria degli italiani.  Altan ha poi cercato di far capire sia all'opinione pubblica che ai politici italiani l'importanza e la necessità di dare al loro paese una "religione civile". In questo progetto, vanno inserite alcune fra le sue opere più recenti come La coscienza civile degli italiani e il manuale di Educazione civica.  L'ultimo periodo della sua attività di ricerca, lo dedicò allo studio delle basilari componenti simboliche dell'identità etnica, concentrandosi, a tale scopo, sulla categoria dell'ethnos, individuandone ed analizzandone le sue cinque principali componenti, ovvero l'"epos" (cioè, la memoria storica collettiva), l'"ethos" (cioè, la sacralizzazione delle norme e delle regole in valori), il "logos" (cioè, il linguaggio interpersonale), il "genos" (cioè, l'idea di una comune discendenza) ed il "topos" (cioè, il simbolo di una identità collettiva comunitaria stanziata su un dato territorio), allo scopo di trovare una possibile soluzione razionale, dal punto di vista dell'antropologia, ai conflitti tra i vari etnocentrismi.  Altre opere: “La filosofia come sintesi esplicativa della storia. Spunti critici sul pensiero di B. Croce e lineamenti di una concezione moderna dell'Umanesimo” (Longo & Zoppelli, Treviso); “Pensiero d'Umanità. Sommario breve d'una moderna concezione speculativa dell'Umanesimo” (D. Del Bianco e Fratelli, Udine); “Parmenide in Eraclito, o della personalità individuale come assoluto nello storicismo moderno, Udine); “Lo spirito religioso del mondo primitivo” (Il Saggiatore, Milano); “Proposte per una ricerca antropologico-culturale sui problemi della gioventù” (Società editrice il Mulino, Bologna); “Antropologia funzionale, Bompiani, Milano); “La sagra degl’ossessi: il patrimonio delle tradizioni popolari italiane nella società settentrionale” (Sansoni, Firenze); “Personalità giovanile e rapporto inter-personale” (ISVET, Roma); “Le origini storiche della scienza delle tradizioni popolari” (Sansoni, Firenze); “Atteggiamenti politici e sociali dei giovani in Italia” (Società editrice il Mulino, Bologna); “I valori difficili. Inchiesta sulle tendenze ideologiche e politiche dei giovani in Italia” (Bompiani, Milano); “Comunismo e società” (Società editrice il Mulino, Bologna); “Valori, classi sociali, scelte politiche. Indagine sulla gioventù” (Bompiani, Milano); Manuale di antropologia culturale. Storia e metodo” (Bompiani, Milano); “Modi di produzione e lotta di classe in Italia” (Arnoldo Mondadori Editore-Isedi, Milano); “Tradizione e modernizzazione: proposte per un programma di ricerca sulla realtà del Friuli, Editrice cooperativa Il Campo, Udine); “Antropologia. Storia e problemi” (Feltrinelli, Milano); “La nostra Italia: arretratezza socioculturale, clientelismo, trasformismo e ribellismo dall'Unità ad oggi” (Feltrinelli, Milano); “Populismo e trasformismo. Saggio sull’ideologie politiche italiane” (Feltrinelli, Milano); “Per una storia dell'Italia arretrata” (Le Monnier, Firenze);  “Una modernizzazione difficile. Aspetti critici della società italiana” Liguori Editore, Napoli); “Soggetto, simbolo e valore. Per un'ermeneutica antropologica, Feltrinelli, Milano); “Un processo di pensiero, Lanfranchi, Milano); “Ethnos e Civiltà. Identità etniche e valori democratici” (Feltrinelli, Milano. Italia: una nazione senza religione civile. Le ragioni di una democrazia incompiuta, IEVF-Istituto editoriale veneto friulano, Udine); “La coscienza civile degli italiani. Valori e disvalori nella storia nazionale, Gaspari Editore, Udine); “Religioni, simboli, società: sul fondamento umano dell'esperienza religiosa” (Feltrinelli, Milano); “Gl’italiani in Europa. Profilo storico comparato delle identità nazionali europee, Il Mulino, Bologna); “Per un dialogo fra la ragione e la fede, Leo S. Olschki, Firenze); “Le grandi religioni a confronto. L'età della globalizzazione, Feltrinelli, Milano); Identità etniche, web.archive.org/ web/20091004210216/http:// emsf.rai/biografie/ anagrafico.asp?d=328  Una religione civile per l'Italia d'oggi, web.archive.org/web/2 0091004210216/http:// emsf.rai/biografie/ anagrafico.asp?d=328 Il crogiolo, web. archive.org/web/20091004210216/http://emsf.rai/biografie/anagrafico.asp?d=328; “L'esperienza dei valori” web.archive. org/web/ 20091004210216/ http://emsf.rai/ biografie/anagrafico.asp?d=328, “Identità etniche e valori universali” web.archive.org/ web/20091004210216/http://emsf.rai/ biografie/anagrafico.asp?d=328 Modelli concettuali antropologici per un discorso interdisciplinare tra psichiatria e scienze sociali, in: Psicoterapia e scienze umane, polser.wordpress.com/2009/02/25/carlo-tullio-%e2%80%93-altan-modelli-concettuali-antropologici-per-un-discorso-interdisciplinare-tra-psichiatria-e-scienze-sociali-in-psicoterapia-e-scienze-umane-n-1-Citazioni «Per la destra l'antropologia è roba per selvaggi; la sinistra pensa solo all'economia; altri sono ancorati a schemi anglosassoni, che vedono le strutture politiche come realtà a sé», da un'intervista rilasciata a Paolo Rumiz e pubblicata in La secessione leggera, Roma, Editori Riuniti, 1997202. Note  Cfr. il saggio autobiografico: C. Tullio-Altan, "Un percorso di pensiero", Belfagor. Rivista di varia umanità,  nonché il testo autobiografico Un processo di pensiero, Lanfranchi Editore, Milano,  Cfr. U. Fabietti, F. Remotti, Dizionario di Antropologia. Etnologia, Antropologia Culturale, Antropologia Sociale, Zanichelli Editore, Bologna, 1997, voce "Tullio-Altan, Carlo"772.  Cfr.//controluce/notizie-old-html/giornali/a14n03/18-culturaecostume-altan.htm  Cfr.//segnalo/TRACCE/NONPIU/tullio-altan.htm  Frutto di questo nuovo programma di ricerca, fu peraltro la monografia Lo spirito religioso nel mondo primitivo (1960).  Cfr. A. Rigoli, Lezioni di etnologia, II edizione, Renzo e Reau Mazzone editori/Ila Palma, Palermo (IT)/San Paolo (BRA), 1988, Parte III, Cap. 1,  65-71.  Cfr. U. Fabietti, F. Remotti, cit.  Fra cui Armando Catemario, Giorgio Raimondo Cardona, Matilde Callari Galli, Vittorio Lanternari, Gavino Musio, Francesco Remotti, Aurelio Rigoli, Luigi Lombardi Satriani, Tullio Tentori.  Cfr. Tullio Tentori , Antropologia delle società complesse, A. Armando Editore, Roma, 1999.  Da un punto di vista storico, è da ricordare come l'antropologia culturale abbia avuto origini giuridiche. Invero, molti dei maggiori antropologi della seconda metà Professoreerano giuristi o, quantomeno, avevano una formazione giuridica. Ciò fondamentalmente è dovuto al fatto basilare per cui nessuna società umana è priva di una qualche forma di diritto, anzi tutte le istituzioni sociali hanno una imprescindibile dimensione giuridica; cfr. U. Fabietti, F. Remotti, cit., voce "Antropologia giuridica".  Cfr. I. Ignazi, "Populismo e trasformismo nell'analisi di Carlo Tullio-Altan", il Mulino. Rivista di cultura e politica fondata nel 1951, 5 (1989)  864-870.  Cfr. Giulio Angioni, "Obituary. Carlo Tullio-Altan: un antropologo "anti-italiano". Familismo amorale e clientelismo tra i mali del Paese", in: Il Sole 24 Ore, 20/02/2005   Cfr. Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche  Archiviato il 4 ottobre 2009 in .  Cfr. C. Tullio-Altan, "La dimensione simbolica dell'identità etnica", in: G. De Finis, R. Scartezzini , Universalità e differenza. Cosmopolitismo e relativismo nelle relazioni tra identità e culture, Franco Angeli Editore, Milano, 1996,  318-339.  Qui, per regola, si intende una norma, in genere non necessariamente codificata, suggerita dall'esperienza o stabilita per convenzione o consuetudine, spesso in riferimento al modo usuale di vivere e di comportarsi, sia individualmente che collettivamente; cfr.   Cfr. C. Tullio-Altan, Ethnos e civiltà. Identità etniche e valori democratici, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1995, nonché i ricordi di Umberto Galimberti e di Marcello Massenzio comparsi su La Repubblica del 16 febbraio 2005 e reperibili all'indirizzo  Archiviato il 1º marzo  in . Cfr. pure A. Rigoli, cit., Parte I, Cap. 1,  11-12.  C. Tullio-Altan, Un processo di pensiero, Lanfranchi Editore, Milano, 1992 (testo autobiografico). C. Tullio-Altan, "Un percorso di pensiero", Belfagor. Rassegna di varia umanità, 51 (3) (1996)  303-319. G. Ferigo, " di Carlo Tullio-Altan", Metodi & Ricerche. Rivista di studi regionali,  24, Fasc. 2, Luglio-Dicembre 2005. Atti del Convegno Storia comparata, antropologia e impegno civile. Una riflessione su Carlo Tullio Altan, Udine-Aquileia, 17-19 maggio 2006, i cui sunti sono stati pubblicati, Liza Candidi, sulla rivista Italia Contemporanea,  243, giugno 2006 (cfr., per esempio, ). Fascicolo speciale dedicato a Tullio-Altan:  16, N. 1, Anno 2005 della rivista Metodi & Ricerche. Rivista di studi regionali.  L'antropologia italiana. Un secolo di storia, Editori Laterza, Roma-Bari, 1985. E.V. Alliegro, Antropologia italiana. Storia e storiografia 1869-1975, SEID Editori, Firenze, . C. Tullio-Altan, C. Signorelli, "A proposito di alcune critiche: dibattito Tullio Altan-Signorelli", in Rivista della Fondazione Italiana dei Centri Sociali, Roma,  A. Forniz, "Il Palazzo Tullio-Altan in S. Vito al Tagliamento: dimore illustri nel Friuli occidentale", in Itinerari, Numero IV, Fascicolo 3, settembre 1970. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Carlo Tullio-Altan  Carlo Tullio-Altan, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Carlo Tullio-Altan, in Dizionario biografico dei friulani. Nuovo Liruti online, Istituto Pio Paschini per la storia della Chiesa in Friuli.  Biografia [collegamento interrotto], su feltrinellieditore. Biografia, su blog.graphe. Convegno in memoriam, su qui.uniud. Ricordo biografico, su controluce. Filosofia Sociologia  Sociologia Categorie: Antropologi italianiSociologi italianiFilosofi italiani Professore1916 2005 30 marzo 15 febbraio San Vito al Tagliamento PalmanovaAccademici italiani del XX secoloStudenti della SapienzaRomaProfessori dell'Università degli Studi di PaviaProfessori dell'Università degli Studi di Trento. Carlo Tullio-Altan. Altan. Keywords: soggeto, simbolo, valore – ermeneutica antropologica, Croce, filosofia come sintesi, Velia, la porta rossa di Velia, fascismo, ideologia politica italiana, ideologie politiche italiane, simbologia, simbolismo, ermeneutica, mercurio, ermete, mercurio, humano, uomo, umanesimo, Altan e Passolini, Palazzo Altan – Altan nobile friulese, il conte Carlo Tullio-Altan – la etnia friulese, ‘friulese, non italiano’ – dizionario biografico dei friulesi – friul – la lingua friulese – la base romana – la occupazione romana 221 a. C. – Aquileia – i friulesi durante il fascismo – contro il friulese, italisazzione – Altan e la resisenza – etnia e italianita, -- romanita ed italianita – friulesita  --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Altan” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691606946/in/photolist-2mMwTke-2mKNZQw-2mKJUkx-2mKDLrD

 

Grice ed Alvarotti – retorica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Nacque nell'antica famiglia padovana Speroni degli Alvarotti nel palazzo di famiglia in contrà Sant'Anna. Il padre Bernardino fu archiatra di Leone X, la madre Lucia era esponente dei Contarini. Bambino prodigio negli studi, divenne professore di semiotica a Padova a soli diciotto anni. Dopo pochi anni di insegnamento però decise di approfondire gli studi a Bologna, da Pomponazzi. Alla morte di Pompoazzi, ritornò a Padova dove insegnò per altri tre anni, fino al decesso del padre; dopo di ciò dovette occuparsi attivamente della sua famiglia.  A questo periodo risale la composizione dei dialoghi che verranno pubblicati dall'amico Barbaro con il titolo di Dialogi: sono il “Dialogo d'amore”, “ Della dignità delle donne”; “Del tempo di partorire delle donne” e “Della cura famigliare”; due dialoghi lucianei “Della usura” e “Della Discordia”, seguiti da quello “Delle lingue” e da “Della retorica” e infine quello “Delle laudi del Catajo, villa della S. Beatrice Pia degli Obici e quello Intitolato Panico e Bichi. Questi dialoghi sono le opere più note di Speroni, nonostante siano stati pubblicati a sua insaputa e non siano mai stati riconosciuti, e hanno avuto decine di ristampe nel corso del Cinquecento.  A questo periodo risale anche la composizione del “Dialogo della vita attiva e contemplativa” che non venne però inserito nei Dialogi per motivi tuttora sconosciuti.  Membro dell'Accademia degli Infiammati e amico di Tasso si occupò della revisione della Gerusalemme liberata. Fu autore della Canace, pubblicata a Venezia,  tragedia che darà seguito a un'accesa polemica tra l'autore e Giambattista Giraldi Cinzio.  In seguito intervenne anche nella polemica tra lo stesso Cinzio e Pigna a proposito dell'”Orlando furioso” e del romanzo come genere letterario. Si trasferì a Roma dove divenne amico di Caro. Tornato a Padova compose i “Discorsi Su Alighier”, “Sull'Eneide”; “Sull'Orlando furioso” e il “Dialogo della istoria.” Fu fautore di un classicismo ancor più estremo di quello del vicentino Trissino, cui rimproverava di aver tratto dalla storia e non dalla mitologia il soggetto della sua Sofonisba. Conformemente all'uso greco e, naturalmente, nel pieno rispetto delle unità aristoteliche, si ispirò alle Heroides ovidiane per la Canace.  Fu sepolto nella Cattedrale di Padova negli avelli degli Alvarotti. Nell'andito della porta settentrionale gli venne in seguito eretto un monumento ad opera di Girolamo Campagna.   Sperone Speroni. OOpere di M. Sperone Speroni-degli-Alvarotti tratte da' mss. originali, Marco Forcellini, Venezia, Occhi, Sperone Speroni, in Trattatisti del Cinquecento, Mario Pozzi, Milano-Napoli, Ricciardi, Francesco Cammarosano, La vita e le opere di Sperone Speroni, Empoli, Tipografia R. Noccioli; Francesco Bruni, Sperone Speroni e l'Accademia degli Infiammati, in « Filologia e letteratura », Francesco Bruni, Sistemi critici e strutture narrative (Ricerche sulla cultura fiorentina del Rinascimento), Napoli, Liguori,  Amelia Fano, Notizie storiche sulla famiglia e particolarmente sul padre e sui fratelli di Sperone Speroni degli Alvarotti, in « Atti e memorie dell'Accademia di Padova », Padova, Tipografica G.B. Randi, Amelia Fano, Sperone Speroni, Saggio sulla vita e sulle opere, I, La vita, Padova, Fratelli Drucker, Piero Floriani, I gentiluomini letterati. Il dialogo culturale nel primo Cinquecento, Napoli, Liguori; Adelin Charles Fiorato, Jean-Louis Fournel, Il “camaleonte” e il “cuoco”. Sperone Speroni e la critica del romanzo, in « Schifanoia », Stefano Jossa, Rappresentazione e scrittura. La crisi delle forme poetiche rinascimentali, Napoli, Vivarium,  Stefano Jossa, Verso il barocco. Sperone Speroni e Borromeo (tra retorica e mistica), in « Aprosiana »,  Mario Pozzi, Le lettere familiari di Sperone Speroni, in « Giornale storico della letteratura italiana » Pozzi, La critica fiorentina fra Bembo e Speroni: Varchi, Lenzoni, Borghini, in M. Pozzi, Ai confini della letteratura. Aspetti e momenti di storia della letteratura italiana, Alessandria, Edizioni dell'Orso, Sperone Speroni, volume monografico di « Filologia veneta », Padova, Editoriale Programma, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Camillo Guerrieri Crocetti, Sperone Speroni, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Sperone Speroni, su sapere, De Agostini.  Luca Piantoni, Sperone Speroni, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Sperone Speroni, su Liber Liber.  Opere di Sperone Speroni, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Sperone Speroni, . Audiolibri di Sperone Speroni, su LibriVox.  Michele Messina, Sperone Speroni, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Keywords: “Dialogo della lingua”--. Speroni degli Alvarotti. Speroni degl’Alvarotti. Alvarotti. Keywords: retorica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alvarotti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691959454/in/photolist-2mUvToR-2mSEtHs-2mRcn9c-2mNzeEc-2mPtp3t-2mKQNCf-2mKbkhx-2mGnP2f

 

Grice ed Amaduzzi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Savignano di Romagna). Filosofo. Grice: “Oddly, I had an occasion to refer to Amaduzzi’s birthplace in my little thing on Caesar crossing the Rubicon!” -- “I love Amaduzzi: he writes about the academy of Paris, and the academy of Berlin, but nothing about the English Acadeemy! He notes that the warrior – against the Trojans, was Echademos – and ‘it is naturally that the first important Accademy was founded in Tuscany, -- since a Tuscan hates a Roman!” –Grice: “Amaduzzi’s hobby was to collect references to ‘accademies,’ – “which are all nonsensical, since only ONE has a ‘rigid’ designation link to EchEdemos!”. Discepolo a Rimini di Giovanni Bianchi (Iano Planco), si trasferì dal 1762 a Roma, dove iniziò la sua attività di ricerca ed erudizione, sia pure tra numerose ristrettezze. Un assestamento nella sua vita si registrerà alla fine degli anni Sessanta del XVIII secolo, come rilevano i diari dei suoi primi "diporti" (gli Odeporici autunnali eruditi), le brevi perlustrazioni compiute nei dintorni della città eterna o comunque entro lo Stato della Chiesa, emblema di un genere letterario di viaggio che mostra chiaramente la sua versatilità di interessi.  Grazie alla protezione del papa Clemente XIV, anch'egli ex allievo di Bianchi, dal 1769 fu professore di lettere greche presso La Sapienza, mentre dal  insegnò al Collegio Urbano. Nel frattempo era anche diventato ispettore della Congregazione di Propaganda Fide, ottenendo da Clemente XIV la carica di soprintendente della relativa stamperia. Con la quale curò la pubblicazione, scrivendone le prefazioni, in particolare di importanti trattati di grammatica di lingue orientali, fra cui l'ebraico, il persiano, l'armeno, il tibetano e perfino il malayalam.  Per i suoi studi ottenne ottima reputazione presso i principali esponenti del panorama culturale settecentesco, entrando in contatto e in corrispondenza, tra gli altri, con Pietro Metastasio, Vincenzo Monti, Carlo Denina, Ippolito Pindemonte, Girolamo Tiraboschi, nonché con Lazzaro Spallanzani.  Fra le sue pubblicazioni spiccano anche dissertazioni di ordine filosofico, che s'innestavano nell'alveo di un illuminismo moderato : infatti, con i «discorsi» su La filosofia alleata della religione e sull'Indole della verità e delle opinioni del 1786 (per i quali fu denunciato all'Inquisizione), i cui temi di fondo erano ispirati al filosofo inglese John Locke, egli cercava di coniugare il sensismo con il cattolicesimo, poiché vedeva nel sensismo un valido approccio alla conoscenza dell'uomo . Vicino alle istanze del giansenismo regalistico, come emerge dalla ultradecennale corrispondenza con Scipione de' Ricci, ebbe parte significativa nella discussione che portò al decreto di soppressione della Compagnia del Gesù.  Si occupa anche di archeologia, curando fra l'altro i “Fragmenta vestigii veteris Romae” -- e la “Raccolta di antichità agrigentine”. In questo ambito s'inscrive l'ampia corrispondenza con l'aquilano Anton Ludovico Antinori. Compose, inoltre, canzoni e rime, e poco prima di morire pubblica anche per la Stamperia del Bodoni a Parma un commentario su Anacreonte.  Fu tra gli accademici dell'Arcadia, con lo pseudonimo di Biante Didimeo.  Opere principali: Dissertazioni – “Dissertazione canonico-filologica sopra il titolo delle instituzioni canoniche De officio archidiaconi, s.e., s.i.l.”; “Donaria duo graece loquentia quorum unum in tabula argentea apud moniales Saxoferratenses S. Clarae, s.e., Roma); “Discorso filosofico sul fine ed utilità dell'Accademie, per i torchi dell'Enciclopedia, Livorno); “La filosofia alleata della religione. Discorso filosofico-politico, per i torchi dell'Enciclopedia, Livorno); “Discorso filosofico dell'indole della verità e delle opinioni, dai torchj Pazzini, Siena); “Carteggi Ad virum clarissimum Janum Plancum archiatrum, et patricium Ariminensem epistola, typis J. Rocchii, Lucae); “De veteri inscriptione Ursi Togati ludi pilae vitreae inventoris epistola, apud B. Francesium, Romae); “Epistola ad Iohannem Baptistam Bodonium qua emendatur et suppletur commentarium de Anacreontis genere eiusque bibliotheca, in aedibus Palatinis typis Bodonianis, Parmae). Il carteggio tra Amaduzzi e Corilla Olimpica, L. Morelli, Leo S. Olschki, Firenze, Lettere familiari, G. Donati, Accademia dei Filopatridi, Savignano sul Rubicone); Carteggio, M. F. Turchetti, Edizioni di storia e letteratura, Roma); “Curatele Leges novellae 5. anecdotae imperatorum Theodosii junioris et Valentiniani, Typ. Zempelianis, Romae); “Alphabetum Brammhanicum seu Indostanum Universitatis Kasi, (a J. Ch. Amadutio editum), Sac. Cong. de Propaganda fide, Romae); “Alphabetum Hebraicum addito Samaritano et Rabbinico, Sac. Cong. de Propag. Fide, Romae); “Alphabetum veterum Etruscorum et nonnulla eorundem monumenta, Sac. Cong. de Propaganda fide, Romae);  Alphabetum Graecum, Sac. Cong. de Propag. Fide, Romae Alphabetum grandonico-malabaricum sive samscrudonicum, Sac. Cong. de Propaganda Fide, Romae); “Alphabetum Tangutanum sive Tibetanum, Sac. Cong. de Propaganda Fide, Romae); Anecdota litteraria ex mss. codicibus eruta, apud G. Settarium, Romae); “Catalogus librorum qui ex tipographio sacrae congreg. de propaganda fide variis linguis prodierunt et in eo adhuc asservantur, Sac. Cong. de Propaganda Fide, Romae); “Alphabetum Barmanum seu Bomanum regni Avae finitimarumque regionum, typis Sacrae Congregationis de Propaganda Fide, Roma); “Alphabetum Persicum, Sac. Cong. de Propag. Fide, Romae); “Alphabetum Armenum], Sac. Cong. De Propaganda Fide, Romae); “Characterum ethicorum Theophrasti Eresii capita duo hactenus anecdota quae ex cod. ms. Vaticano saeculi 11, Typ. Regia, Parmae); “Alphabetum Aethiopicum sive Gheez et Amhharicum, Sac. Cong. de Propaganda Fide, Romae); Intitolazioni L'Accademia dei Filopatridi di Savignano ha creato nel 1999 il Centro di studi amaduzziani, su proposta di Antonio Montanari, autore di vari testi su Amaduzzi. Tra le principali iniziative del centro:  «Giornate amaduzziane»: una giornata di studi annuale su G. Amaduzzi; «Biblioteca amaduzziana»: la pubblicazione di opere (biografiche e non) su Amaduzzi. Il primo volume è Elogio dell'abate Giovanni Cristofano Amaduzzi di Isidoro Bianchi, la prima biografia scritta sull'abate savignanese. Note  T. Scappaticci,Gli Odeporici di Amaduzzi, in Fra Lumi e reazione. Letteratura e società nel secondo Settecento, Cosenza  G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica,  Venezia, Cfr.Metastasio, Opere,  V, Firenze, A. Cappelli, Del carteggio inedito tra Ludovico Antonio Antinori e Giovanni Cristoforo Amaduzzi. Studi archeologici, Tip. Perfilia, Aquila, L. Spallanzani, Diciassette lettere di Lazzaro Spallanzani all'abate Gio. Cristoforo Amaduzzi per la prima volta stampate, Ditta tip. Conti, Faenza, L'espressione è di Antonio Piromalli.  A. Piromalli, La letteratura calabrese,  I, Pellegrini, Cosenza, G.C. Amaduzzi, Raccolta di antichita agrigentine alle quali si uniscono i disegni del tempio di Teseo in Atene e di quello di Pesto il tutto espresso in 53. rami, Zempel, Roma, A. Cappelli, V. Lancetti, Pseudonimia. Ovvero tavole alfabetiche de' nomi finti o supposti degli scrittori con la contrapposizione de' veri, Milano  G. C. Amaduzzi, Odeporici autunnali eruditi, ovvero diario di un viaggiatore curioso ed erudito,  I, Rubiconia Accademia dei Filopatridi, Savignano sul Rubicone, G. C. Amaduzzi, Rime, G. Donati, Rubiconia Accademia dei Filopatridi, Verucchio, A. Fabi, «Amaduzzi, Giovanni Cristofano», in Dizionario Biografico degli Italiani,  II, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, A. Montanari, Giovanni Cristofano Amaduzzi e la scuola di Jano Planco, Accademia dei Filopatridi, Studi Amaduzziani, III, Viserba di Rimini, A. Montanari, Amaduzzi, illuminista cristiano, «Romagna arte e storia», A. Montanari, Appendice storico-critica in G. C. Amaduzzi, La Filosofia alleata della Religione, rist. an. Il Ponte, Rimini, A. Montanari, Amaduzzi editore a Roma delle Notti di Bertòla. Storia inedita dei Canti clementini, Quaderno, Accademia dei Filopatridi, Savignano sul Rubicone, A. Montanari, Amaduzzi, Scipione De' Ricci ed il ‘giansenismo' italiano, «Il carteggio tra Amaduzzi e Corilla Olimpica, Olschki, Firenze, T. Scappaticci, Fra lumi e reazione. Letteratura e società nel secondo Settecento, Pellegrini, Cosenza 2006. M. Trincia Caffiero, Cultura e religione nel '700 italiano: Giovanni Cristofano Amaduzzi e Scipione de' Ricci, in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giovanni Cristofano Amaduzzi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Giovanni Cristofano Amaduzzi / Giovanni Cristofano Amaduzzi (altra versione) /Giovanni Cristofano Amaduzzi (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Giovanni Cristofano Amaduzzi, Documenti sui fratelli Amaduzzi sul web. Filosofi italiani Professore1740 1792 18 agosto 21 gennaio Savignano sul Rubicone RomaScrittori italiani del XVIII secoloLinguisti italianiPoeti italiani del XVIII secoloOrientalisti italianiAccademici dell'Arcadia.  Giraian Cristofano Amaduzzi di Savignano fu una delle țeste più filosofiche e veramente erudite delsecolotraq scorso. Nacque di Michele Amaduzzi, e di Caterina Gasperoni. La sua famiglia traeva origine da Longiano, com'egli stesso nella pre fazione del libro intitolato DEVOLUTIO AD S. R. E. afferma = Grato enim animo me ab hoc solo (Longiani) ad Sabinianense traductum recordor, quinimirum exeagenteprogpatussim,cujussintab ipso saeculi XIV initio certissima inter vos incolatus monumenta etc. = Giovinetto amò tanto,oltre l'età, lostudioelafatica,cheilpadrene vennefind'alloraa buonesperanze; e però fu posto fraglialunnidel Seminario di Rimini, ove prese gli ordini clericali. Furono sì rapidi i progressi ch'egli fece, da destare ammirazione grande disè.Compiutalacarrieradegli studii,ed ap presa assai bene lingụa Jatina!eloquenza, eragion poetica uscì del Seminario, e fu nel 1955, e sidiede tutto alla filosofia, fidato alla scorta del famoso dottor Gio. Bianchi, il quale della propria casa, aveva fatto una scuola per chi volesse usarne, ricca di biblioteca, dimuseo,digiornali;ediquantoerada luiprivato LONCIANI DI 1 ...  procurare a bene del pubblico. Nè solo filosofia, ma lingua greca imparò dal Bianchi, e sì bene da uscirne solenne maestro. Gli piacque anche conoscere le leggi, e però si fece ad udire lezioni dell'avvocato Lelio Pasolini che era pubblico professore di giurisprudenza nella stessa città.Nell'anno 1761 l’abbate Amaduzzi non più discepolo, ma amico e fratello del Bianchi si cessò dalla sua scuola , e poco appresso recossi a Roma; efuappuntonelmaggiodel1762. Appena ebbe preso stanzanella metropoli del m o n do cattolico non è a dire come prestamente desse a conoscere di quale ingegnoera fornito,e come entras se nella grazia dei più distinti personaggi che al lora quivi mostravansi. E a ciò gli valse specialmente la benevolenza e la protezione del magnifico Gaetano Fantuzzi, cui non so se la porpora de cardinali desse o ricevesse più splendore: perocchè egli nella sua vita. fututtoinproteggere gliuominidotti,e,fattanerac colta presso di sè,giovarli d'ogni maniera conforti, e quel che più è,senza pompa di fasto in mezzo ad una vitaillibataemodesta.E perchèiomivogliadimol tialtri tacere,non passerò sotto silenzio i cardinali Boschi, Torrigiani, Borgia, Garampi, Doria, Antonelli,Mare foschi,Zelada,Giovanetti,ilcardinaleduca diYorch, einfineilGanganellichefupoiPapagloriosissimo e de gnodi piùlungo pontificato. Che anziquest'ultimol'eb be fra suoi più cari, e levato alla cattedra di Pietro se ne valse in molte e gravi bisogne. E s'egli avesse più a lungo vivuto, all?abaté Amaduzzi non sarebbeforso mancata eminenzadicaricaparial suo ingegno e dal suo'merito. Ma perrendermial'filodella narrazione dirò che, poichè 14Amaduzzi a più tornate 'ebbe letti discorsi profondamente filosofici e nobilissimi in Arca dia,tuttaRoma fupienadellesuelodi.Egli perassecon dare idesiderii de'suoi genitori, che avrianó voluto far di lui un giureconsulto,poichè non erano giunti adaverlo sacerdote,diemano alla giurisprudenza;ma essendo d'animo sehietto, e nemico di cavilli, e d'in sidieforensi,piùchealfôrositenne,ailibridei gius pubblicisti,esimisea svolgereleoperedel Cujaccio, dell'Alciati,del Gottofredo, del Gravina e di somiglianti, sdegnoso di quell'ammasso informedi leggi,di prati  6   che, di consuetudini sotto cui sovente venivano artata mente sepolte la verità e la giustizia. A prova del profitto che egli fe’in questaragione di studii pub blicò prima d'ogni altra cosa nel 1767 le cinque novelle inedite degli imperatori Teodosio juniore, e Valenti niano terzo, (di cui più appresso avremo a riparlare), nella quale opera non so qualpiùsimostriobuon legista, o critico acuto o profondo archeologo. Nè la sciò aparte gli studii teologici,(perocchè a'suoi pia ceva che ei si guadagnasse alcun impiego ecclesiastico) ecome simanifestaper alcunesueerudite disserta zioni, in breve in questa scienza pure entrò molto i n nanzi. Gli fu maestro il celebre P. Marcelli agosti niano; e tanto s'internò nelle dottrine del gran de dottore s. Agostino, che a difesa delle medesime ebbepiùvoltea combattere.Siconobbepurediquel la parte di diritto, che io dirò sacro perché riguar. da la canonizzazione dei Santi , e si esercitò in più cause, essendo promotori dellaFede monsignor Forti prima, e monsignor Pisani dappoi. M a dove più di forza intese fu nella cognizione de'sacri canoni, indispensabile a chi voglia penetrare nelle ecolesiastiche antichità con sicurezza digiudizio. Belledissertazioni,lequalicomprovanoconoscenza som ma che egli aveva dei canoni,lesse egli nell'accade mia che il sullodato cardinal Fantuzzi aveva formata in Roma de'più chiari personaggi, di cui era protet tore come è detto. Non acquetossi a questi studii la mente dell'Amaduzzi,laquale sentiva d'averforzada stendersi a più largo campo, e però si fece ad ap prendere lalingua ebraica e molte altre orientali,e n’eb be amaestriilTeoli,  l'Eva, ilGiorgi, l'Assemani,cime d'uomini,anzidisapere.Non èmaravigliadopoque sto, seappena scorso un'anno dalla sua venuta in Roma, il cardinal Torrigiani con onorevolissima lette ra dell' 11 novembre 1963 raccomandò l' Amaduzzi al principe di Francavilla, a cui spettava provvedere di custode labiblioteca Imperiali; officioche ben con venivagli,echeavrebbeottenuto,selamorte delmar chese Imperiali non avesse rese vane le premure del V ottimo porporato. In questa occasione ebbe pure una raccomandazionedelducadiParma.Intantol'Amaduzzi  7   In questo mezzo essendo accordatalagiubilazio ne aGio.BattistaGautier,professoreche fudilingua greca nell'Archiginnasioromano,Clemente XIV.di moto proprio glinominòsuccessore1'Amaduzzi,ed egli n'ebbe il diploma il 25. giugno del 1769. Il 10. febbrajo dell'anno seguente poi essendo passato di vi ta l'abbate Barcubaldo Bicci, che aveva la direzione della tipografiadiPropaganda,l'Amaduzziconviglietto, della segreteria di Stato fu nominato a quell?uffizio inluogodel defunto.Equìmipiacenotareunabel lissima lode a,lui doyuta, qual è di aver meritato i primi pensieridelsuoprincipe,edi non averli com perati con viltà di adulazione, o tristo mercimonio di corte. Anche,un altra lode si ebbe l’Amaduzzi, e fu del mostrarsigrato alsuo maestro Jano Planco; peroc che si adoperò onde,avesse grado di Archiatro del Pontefice, e gli siaumentasse l'onorario che aveva in patria, e quel che è più rimarchevole scampasse dal 1'umiliazione di soggiacereallefave annualmente; co sadi rilievoassai,perchè troppo spesso avviene, che nei municipii prevalga il privato risentimento dei yo-  8 non si cessando mai dalle sue erudite occupazioni, ac-. cresceva ad un tempo in sapere, ed in fama. E seb bene avesse a sostenere fin dai primi anni la guer ra degl'invidi, e dei tempi, nimicizie perpetue dei buoni ingegni,pure non ristette perquesto. In una lettera al dottor Giovanni Lami scritta li si luglio 1.768 si legge cosi: = Non godono le nostremuse quella tranquillità, che loro invidia l' infelicità dei tempi che corrono. Pure non ostanteio,che mi pre servo per quei tempi più lieti che spero,non inter metto lemieletterarie occupazioni(Nov. Lett.di Firenze1768).Elettonel15.maggiodel1769.a.Pon teficeMassimo LorenzoGanganelli,tuttaRoma,che benediluisiconosceva,seneallegro,e piùchemail'A maduzzi,ilqualeebbeascriverepocoappresso= sotto questopontificatocomincianoarisorgerelelettere= .E perchèquellagranmentecheeraPapa Ganganellivede va che il ravvivare gli studii,e gli uomini, che per quelli hanno grido,ristorare, è opera disavio e buon prin cipea questo sivolse,e cercavamodo diprovvederel'A maduzzi per cui aveva speziale stima, e benevolenza. 1.  tanti al bene del pubblico. Quanto poi studiasse por gersi r i conoscent e a l l' immortal suo benefattore Pontefice lo danno a vedere le opere che egli pubblico, e che vanno sì onorateper lomondo,chenon è permes 80 ignorarle a chi abbia pure attinto a prime labbra glistudiidiantichitàsacrae profana.Lasacracon gregazione diPropaganda volendo dar segno di aggra dimento alle tante fatiche dell'Amaduzzi, gliconferì la cattedra di lingua greca nel collegio Urbano,la qualeera rimastavacante per la morte del celebre. Raffaele Vernazza.Ciò funel:1780 il 27  9 salito, e la grazia dei grandi, bre.Ilgridoincheera ,loa parola del vero captivavasi cui egli collasevera avesse per poco posto sì in alto, c h e , se egli vevano , avría posto la mano per piegato alle artidi corte che nome; non letterato che non volesse fortuna.Nonviera accademia trooicapeglidella ne ricercasse,il averloa socio,enon non si onorasse commercio di let ;non giornale che non si riputasse tere.coll’Amaduzzi dotti pensieri. Fu ascritto a vanto pubblicare i suoi 6. febbra alla società letteraria de'.Volsci di Velletri Etrusca di Cortona il 5. jo del 1769., all'accademia del 1773, del 1771 , alla Fulginea li 29. gennajo aprile col nome diNestore.1 8. a quella dei Forti in Roma del 1774,e ne scrisse a modo delle dodici ta ottobre col nome di Biante Didimeo voleleleggi;all'Arcadia il 7. febbraro 1775 ; all'accademia dei Placidi di Re del 1775; alla società georgica dei canati1'8. aprile 1779: all'acca Sollevati di Montecchio il 31. ottobre demiarealediScienze,eLetteredi Napoliil5.agosto diVerona il4. giugno del del1779: alla Filarmonica il 7 settem Colombaria diFirenze 1782:alla società degliAffidatidi Pavia il bre del 1785., all'accademia di Dublino li del 1786;alla reale Ibernese 4. giugno anno;alla reale di Scienze 21. novembre dello stesso il30. agostodel 1789. eamolte al eLetteredi Mantova letterarjdi quei giorni. tre.Scriyeva nei migliori giornali Pressocchè tutti gli articoli provegnenti da R o m a senza me d'autore del Lami,le quali furonopoi continuate n o , che leggonsi dal 1760. al 1791. nelle Novel le Letterarie ,sono cosa dell’Åmaduzzi . Ebbe anche mole dal Lastri di Palermo,nell'Ef ta mano nelle notizie de’Letterati di novem e n   femeridi letterarie,enell'Antología di Roma,neglian nali ecclesiastici di Firenze. Carteggiava in Italia con tuttiipiùdistinti uominidiqueltempo,fraiquali siami lecito nominare Lami, Bandini, Lastri, Passeri, Olivieri,Mandelli, Vettori,Ferri,Mingarelli,Giovenaz zi,Bianchi,PietroBorghesi,ePasqualeAmati suoi con cittadini. Fuor d'Italia poi aveva corrispondenza di lettere estesa più che mai, come si può vedere da mol ti volumi che esistono manoscritti nella pubblica li brería di Savignano., Chi potesse, dice ildottissimo Isidoro Bianchi in una nota (36) all'elogio ch'egli scris şe dell'Amaduzzi, raccogliere e regalare al pubblico tutte le lettere famigliari, che il nostro Cristofano ha nel corso della vita iscritte a tanti e così dotti amici d'ognirango,d'ognicondizione,siavrebbecertamen te un'opera di moltissimi volumi, che nel merito su pererebbe forse molte altre, che egli ha vivendo rese pubbliche collestampe;un'opera pienadianeddoti interessantissimi, la quale ci presente rebbela più veridica e genuina storia de'più grandiosi fatti e singola ri avvenimenti, che nel giro di non molti anni si 80 no nel nostro secolorapidamente succeduti.Gli ogget ți di politica, e le grandi notizie del giorno formaro no una parte essenziale del suo erudito carteggio. Egli ben conosceva le corti, e i ministri di gabinetto, e di stato, e in particolar modo i principi, ei loro rispetativi interessi.E certo benchè egli nulla ambisse, pure aveva voce in corte,e ilPapa volentieri l'udiva, eglifidavacosed'importanzaassai.Ma poichèquel grande Pontefice ebbe a cedere a fato immaturo, la fortuna si volse contro l'Amaduzzi , il quale dovette sentirne i colpi più avversi eduri a sostenere.Alcuni glidavano tacciadimalfilosofo,altrialtrimentiil'mor devano.Ilmondo parteggiava avarie fazioni,e tutte erano contro l'Amaduzzi, perchè egli non istudiava ad alcuna, anzi combattevale tutte per seguire la verità, Non mancavano forse le gare degl'invidi, e di quegli che volevano fargli scontare a caro prezzo labenevos lenza che aveva goduta di Papa Ganganelli. Nel 1790. usci un libello famoso contro di lui senza data di luo. go, Aveva per titolo Lettera di un viaggiatore istruito, ad un amico di Rama risguardante principalmente la  ! 10   dottrina dell abbate Cristoforo Amaduzzi. Era quel libro una catena di calunnie e d'infamie; non più che sedicipaginesistendeva,ma insedicipagine chiude vaquantopuòlarabbiastemperareinmoltivolumi.Ven devasi inRoma,ma senza luogo enome di stampato re. L'autore non è a richiedere, che si stette e starà sempreocculto:elomerita.L'Amaduzzi,comecchèsu periore fosse alle male arti dell'invidia e della calun nia, pure tenne dell'onor suo rispondere e scolparsi; e dettò uno scritto intitolato Rimostranza al Trono Pontificio,emanifestoalPubblico= Equestofino dal 1790. era in punto per le stampe. M a consigliato dagliamici a presentarne prima il Papa, alloraPio VI, anzichèmandarlo allaluce, eglicondiscese. L'ebbe (1) infattoilPontefice,lolesse,conobbe lacalunnia,eren dendolo con molta benignità all'autore gli fe'travede re, che egli avrebbe punito i calunniatori col trionfo delcalunniato.Ma lavitanonbastòall'Amaduzzi.Sa rebbe assai desiderevole che questa Rimostranza fosse data a luce, perocchè oltre allo scoprire fino al fondo l' animo dell'autore, mostra la condizione dei suoi tempi, e di molte cose incerte rende pienissima fede. Ivi egli parla di sè con libertà di filosofo, e fa il ca rattere suo qual era in fatto, ed i suoi stessi difetti non nasconde. Si confessa amatore della filosofia, non di quella che in barbaro gerga di voci più barbare non dà che frasche, e sofismi, m a di quella nerboruta e vigorosa che prese spirito dal Galilei, da Bacone, da Cartesio, da Newton e dagli altri di tale schiera, i quali, abbattute le vecchie superstizioni e le matte fre nesie, rimisero al suo seggio la ragione,e in quello stesso che la innalzavano la mostrarono più riverente, ed ossequiosa alla Religione.E apertamente dichiara solo quella filosofia piacergli, che è guida e conforto degli uomini, maestra di costumi, e di civiltà, e che nasce dalla carità cristiana, che è la sola per cui la società ha fermezza, e innanzi cui scompare ogni fel lonia ed ogni pubblica sventura.E non disconfessa il suosentirsidisoverchiotrasportatoadireilveronu do e calzante,e l'essere sdegnoso de tristi, e insofa (1) Vedi rimostravza al Trono Pontifieio] ferente di oltraggi.Insomma io non credo che altri possa ritrarre lụimeglio, di quello che egli stesso in quella scrittura si ritrasse. L'abate Francesco Gusta nella sua Vita di:Co stantino, oltre il pụngere sovente ! Amaduzzi, e tal volta inveire contriesso, lo tratteggia come soverchia menteamicodinovità,elomandadelparicolPe reira,colTamburini,colNatali,ecolZola.Ma cheil Gusta parlasse per invidia, e per bassissima vendetta, sitravede in leggendo quella vita; e l'Amaduzzi ben fe? a punirlo collo sprezzo dell'opera, e dell'autore. Egli il 16. maggio del 1791. ottenne di essere giu bilato dalla cattedra di lingua greca nel collegioUre bano, e il decreto n'è molto onorevole. Nel dicem bre dello stesso anno cadde malato, e giudicarono che egli avesse pericolosa ostruzione alla milza, ed al fe gato.Siposeinletto,e arigorosacura;ma ilmale anzi che cessare rincrudì, e lo mise fuori d'ogni spe ranza di riaversi. Anima nobilissima come era,accettò l'annunzio del pericolo suo con serenità di volto, e tranquillità, e adoperò in quello stremo da quel filo sofo cristiano, che per tutta la vita aveva mostrato. Sia qui debita lode ai cardinali Antonelli, Borgia, G a rampi, che luisoccorsero generosamente in ogni gui sa; perocchè egli non aveva modo da sè di sostenere lunghe spese di malattia; non avendo mai voluto far denaro,anche potendolo.Ne glimancarono buoni ami ci in quell'estremità,che ben n'aveva di tali; sebbe ne egli fuor del mondo col cuore solo fidava in Dio, e però presi i conforti della chiesa, dispose delle poche cose sue,etranquillamentepassòil21.gennaro del1792. in età di soli 51. anni. Morendo lego alla patria la sua ricca biblioteca che era il meglio dell'eredità sua; legato preziosissimo specialmente peisuoi scritti,e pel carteggio. Fu pore țato al sepolcro in abito clericale suo principale o r n a mento edecoro,come,egli primadimoriredichiarò; poichè egli aveya ricevuti, come siè detto, gli ordini minori. Tutti i giornali d'Italia piansero laperdita di tantuomo.L'abbateOssuna ex-gesuitamaestrodirettori: pa in Savignano ne inserì un bell'elogio nella gazzetta di Cesena;unaltronemiseilP.Pujatinegliannali eça clesiastici di Firenze.Anche il Mazzuchelli nella sua grand'opera degliScrittoriitalianinefeceun bell'elogio: ma il più ricco di tuttifu letto nella reale accademia delle scienze e belle lettere di Mantova il 29. novembre del 1793. dall'abate don Isidoro Bianchi,con appresso il catalogo delle opere dell'illustretrapassato; catalogo â cui rimetto i miei lettori, perchè penso che di m e glio non si possa fare. Basti sapere che ilnumero delle opere dell'Amaduzzi tra le edite, e quelle che inedite rimangono nella biblioteca savignanese vanno oltre à cento venti, é ve ne ha alcuni di gran mole. Non possoperò quipassarmidall'accennarneuna per oni 1 Amaduzzi si ebbe grandi amarezze, e fu = Lege'snovellaeV.anecdotaeImperatorum Theodosiiju nioris,etValentiniani111.etc.= Intornolaqualeil dotto Bianchi dice così = Ai colti bibliografi non è ignoto, che in tempo che l'abate Amaduzzi era in R o ma occupato per la pubblicazione di quest'opera in signe,inRavennapure sitravagliava dal dott. Anto nio Žirardini per lo stesso oggetto. Or la morte dello stampatore,cheincominciò l'edizione romana,é ledue malattie di quello che la prosegui (vedi Nov. Lett. del Lami del 1766. a col. 822. ) ritardò la medesima più oltre del tempo assegnato nel manifesto, che usci ai 21. di giugno del 1766; é nel quale si promettevä il libro nel prossimo agosto, quando per le suddette c a gioni realmente non uscì che nel 1767. L'edizione in tanto del Zirardini si rese pubblica nello stesso mese di giugno dell'anno sumentovato, e dal Lami ne fu subitoriportato un lungoestratto,chesiè creduto di mano dello stesso Zirardini, o di qualche altro suo intimo amico dimorante in Roma (Gaetano Marini): Un altro breve annuncio della stessa edizione faentina fadatodaigiornalistid'Yverdon (tom.I.1768)av vilendola forse un po'troppo in confronto della roma na.Questoannunziounpo'vibratomisedimoltomal amore il Zirardini, e stuzzicò un letterato romano (it prelodato Marini)molto amicodel medesimo ad inse rire nel tomo 3. del giornale di Pisa un lungo estrat to dell'edizione delle cinque Novelle fatte in Faeriza dal dott.Zirardini, attaccando l'abbate Amaduzzi d'im postore e di plagiario, come se egli nella sua edizione] La cosa era in sè semplicissima. Due dottiquali eranoilZirardini,el'Amaduzziavevano estratta00 pia delle cinqueNovelle quasi inpari tempo;amendue vi ponevano studio intorno per illustrarle;l' uno in sciente l'altro le pubblicava. Or che male è qui? lo avviso che se i giornalisti d'Yverdon avessero con più lode trattata l'edizione faentina non si sarebbe mossa querela alcuna nè dallo Zirardini, nè da alcun altro. M a il Zirardini punto dalle parole dei giornalisti d ' Y verdon, e rinfocato dal Marini, che vedeva forse di mal'occhiosalitoinfama1'Amaduzzi,chealloraa lui non era amico più che d'apparenza (cosa che si pro va benissimo per molti fatti,ma piùper le lettere del Marini al dottissimo pesarese Olivieri le quali nella p u b blica biblioteca di Pesaro si conservano )cominciò a fare lagnanze, ed avventarsi contro l'Amaduzzi.Sebbene sa rebbe piùveroildire, cheilZirardini,chemodestoepaci fico era di natura, si lasciò reggere in tutto dal Marini stesso; il quale si fe' innanzi al pubblico co'suoi scritti a c cusatore dell'Amaduzzi,più presto che buon difenso redelZirardini.Egliè fuordubbiochemolto inge nuamente l'Amaduzzi, nel S, X. della prefazione dopo aver mostrata nel suo vero essere la cosa, diè le più belle lodi che mai al Zirardini, sino a confessare che ove avessepotuto,sisarebbeegliastenuto dalpubblica re l'opera sua, dopo avere conosciuta quella dell'illu stre ravignano. Eccone le parole = Neque hic nunc silentiopraetereundum dum opus hoc nostrum praelo traderetur, has ipsas Novellas ex eodem Othoboniano Codice depromptas faventinisArchiitypisprodiisselu culentissimo commentario illustratas Antonii Zirar dini ravennatis viri consultissimi, qui eundem codi cem insciis nobis ab ipso Ruggerio jampridem obti , nuerat, qui sane longe effusiori doctiorum adnota tionum segete,ulteriorique rerum doctissimarum ap  999 » 14 romana si fosse approfittato dei lumi, e della erudizio ne sparsa nell'edizione faentina. L'abbate Amaduzzi però,cheebbe sempre a cuoreilproprio onore,esem pre si fece un dovere di vendicare igravitorti, che la malignità congiunta all'invidia avesse saputo recare alladi lui onestà,e buona fama,non tardòapubblica re sotto il finto n o m e di Evisio Erotilo la sua apología. 92 99  jypáratu rem perfecit;quod sane sinobis, antequam hanc spartam curandam susciperemus , innotuisset, w cîtrapublicaefidei,quajamobstringebamurinjuriam; eademfortedimittianobispoterat.= (Ginanni t. 2. Memorie storico-critiche degli scrittori ravennati ): Dopo questo io non posso credere per conto alcuno a ciò che francamente il Marini afferma nella sua im . mortaleoperadeipapiridiplomatici.- L'Amaduzzi volle far credere di non aver lettö il libro del giures consulto ravennate,chepur aveva tutto coraggiosamento te espilato و Parole che bene consuonano alle acers bissime che scriveva all'Olivieri, dalle quali si pare, che per buon viso che mostrasse all'Amaduzzi pure vi avesse mal'animo contro.Tanto possono le passioni nel cuore degliuomini piùsapienti,etale èlasciagura perpetua delle lettere italiane! L'Amaduzzi fu uomo pio, caritatevole,generoso; bocca di verità.Cogli amici affabile,con tutti umano; socievole. Consultato dai primi dotti volentieri lorð sinceramente si prestò. Sappiamo infatto che fu inters pellato dal famoso Pasquale Amati per la sua col lezione dei Poeti latini,come si legge nel tomo I. pax gina 6. della prefazione; dal dottorFantini per le an tichità di Sarsina, che ristampò in Faenza nel 1969: in cui si trovano varie aggiunte dell'Amaduzzi; dal Ferri; dal Bianconi,dalcardinalRiminaldi,aiqualidièmoltis sima mano.Faceva volentiericopiaaltruidelsuo vasto sapere, e spesso scrisse per altri donando la fatica e la gloria che ne verrebbe. Grato oltre ogni credere tramandò ai posteri le lodi di quanti a lui premoriro no amici, e benefattori. Se qualcuno a lui caro o sti mato veniva offeso nell'onor letterario o in altro, e gli si levava a difesa, e acerrimamente ripugnava le accuse. Intraprese viaggi per diversi luoghi d'Italia onde meglio erudirsi, visitando biblioteche e codici, e molti ne trasse dalle tenebre.Usava ogni di notare in un libro le cose vedute, o fatte. Amò lapoesía, e giovine dettòversiitaliani,iquali,comecchèritraggano assai del secolo in che visse, sono degni di essere letti. Si piacque oltremodo delle artibelle, e ne rendono fede i'elogioche egliscrisse di RaffaeleMengs, e l'amici xia che lo lego al Winckelman , al Bianconi, al Bottari;  16 'e ai primi artisti di Roma. Non 'cercò, anzi rifiutò ca riche offertegli. Dalle lettere a lui dirette da varii m i nistri sirileva cheegli fuinvitato dalla real corte di Napoli allacarica di CustodedellaBiblioteca regiae delmuseofarnesiano,'edi coadjutoreperpetuo della reáleaccadèmia il 2. settembre del 1780. con onora rio di 300 a 400 ducati, ed altre buone condizioni. Ed essendosene scusato 'fu di nuovo invitato con più vive istanzel'8. gennajo del 1782 con più largheof ferte.Nè unsecondorifiutobastòacessarel'inchieste: poichè il 24. luglio del 1784. gli furono offerti mille d u cati,equelch'egli volesse,solochesirecasseadac cettare l'invito.Altrecariche purericusò,perchèa tutto anteponeva lo starsi fra 'suoi libri in R o m a. La patria accettando ilgeneroso legato fattoglidi oltre 4000 volumi gli ordinò solenniesequie nella chie sa maggiore a spese pubbliche, a cui intervennero il magistrato, e i principali cittadini di ogni ordine. Fu posta sullaporta della chiesa una 'onorevole iscrizione dettatadall'eruditissimoPietroBorghesi,laquale andò pure'alle'stampe.Appresso nell'atrio dellecasedel municipiofuincisala seguente iscrizione scritta dal chiarissimo suoconcittadinocavaliereBartolomeoBor ghesi figlio di Pietro, la quale dice così. Jano · Christophoro · Mich · F · Amadutio Philologo : Eruditissimo Ordo • Sabinianensium Civi . Bene ·Mer. ·Altro onore vole titolo puresarà in breveposto entrolabiblioteca, ovecongrandesennoe gloriadei trapassati, a stimolo dei viventi 'concittadinisono in marmo descritti gli elogidiquantireseroillustrelapa tria dell'Annaduzzi, che fu pur quella del Barbaro, dei Borghesi, degli Amati, è del Perticari. N.B.Ilritrattoèstatorica- miglia Amaduzziin Savignano. mpato da quello esistente nella fa MONTANARI PROF. G. I.DI BAGNACAVALLO = SCRIS. EA est temporis ed acitas, ut cum ftapaul- latim diflolvat, nullaque res fit vel pre¬ tio,velfoliditate,velquocumquealio nomine praeftans, quae eius imperium detreftare (e poffc confidat. Si Roma¬ norummonumentaadaeternitatemcon- ftru&a perpendamus, quae nunc vel diruta, vel male confi- ftentia oculis nofiris obverfiantur , intimo quodam doloie percellimur , & aegre licet, indubie tamen fluxam rerum hu¬ manarum conditionem agnofeimus. Ceterum is eft de animi noftriimmortalitatenobisindituslenius,atqueitaaltede¬ fixus , ut veluti tacite ab eo profe&um intelligamus tum de- fiderium,quotangimur,veterummonumentorumanxieper¬ quirendorum , tum lolertiam , quam in lifdem vel reipfia con¬ fervandis,velinlongiusduraturamateriaexcipiendisimpen¬ dimus. Haec peragentes videmur quodammodo inanimatis re¬ busnoftramtribuereimmortalitatem,qui&eafdempofteritati commendemus,&earumdempraefidiovelutinosipfosadtranf- acftas remotiffimas aetates, ad quas pertinent, transferamus , atque I   II atque ita exiguam nimis vitae noltrae brevitatem vel produ¬ cendo , vel compenfando nobis libentiffime blandiamur . Quae ergo veterum artes , & profeffiones condiderunt, Signa , Pro- tomas , Hermas , Anaglypha , Sarcophagos , Titulos , cetera- quemonumentacolligeretumprimumfategitFrancifcusPe- trarcha , quem Tuae aetatis perpauci, plures fequiorum tem¬ porumimitati,tumMulca,&Villasiifdemlucupletantesa litu,Iquallore, quin& interituprovidilTime vindicarunt.Sed in irritum cefolTet haec ipfa follicitudo , nili typorum etiam accefliffet luccenturiata fedulitas. Quot enim diffracta Mufoa, quot iam Villae labefactatae, & quot vel avulfa , vel rurfus obruta, atque etiam foede difrupta, quae ibidem exfiftebant, monumentavelutiaboculisnollrisaufugerunt1Quarelae¬ tandum nobis elt, eo pervenille humanae mentis acumen, utiplistemporum,&rerumvicilTitudinibusoblittere,&vim inferre non dubitaverit, & curas curis addendo nova excogita¬ veritpraelidia,quibusdiuturniorihuiufmodimonumentorum confervationi prolpiceret. Hmc ergo elf, ut quae in unum col¬ lecta monumenta perierunt, perenniter vivant in eruditorum Voluminibus vel typis aeneis contignata, vel doctis illultrata adnotationibus, quibus nunc autographorum deliderium nobis reparari quodammodo videatur. Quare non aliam ob cauffam, neque etiam abfimili ratione quae olim laudabili providentia Cyriaci, &: Afdrubalis ex Matthaeia gente Procerum, & lovii Marchionum tum in Hortis Caelimontanis, tum in Aedibus ad Circum Flaminium coafta, & collocata fuerunt omnis generis monumenta , nunc primum aereis formis infoulpta , nollris il¬ ludi ationibus ditata , in unum collecta, rite dilpolita , ac tribus comprehenfa Voluminibus preli beneficio in publicam lucem emittuntur.Licetenim,utfuolocomonuimus,&deinceps etiam monebimus, multa eorum a prioribus hilce domiciliis pro-   III profectainceleberrimumilludMufarumSacrarium,Mufeum nempe Clementinum Vaticanum, conceffierint aevo quam lon- giffimo fruitura , tamen non omnia illuc fe receperunt, multa quinimmoproculiamabiere,acmultaetiamindiesfatifcunt. Videt, credo, porro unufquifque, ereomninofuifle, utquae olimfuerittantamonumentorumcongeries,unooculiiftu perluftretur,tumdomi,&foris,tumpraefenti,acfuturo tempore innotefcat. Deliderandum quidem erat, Hortos , & Aedes Matthaeiorum tantis confpicuas monumentis litterato¬ rum obtutibus exhiberi, ne tot aliis, numquam cum iis com¬ parandis, quae hoc beneficium nactaefuerant, veluti quodam¬ modo inferiores & haberentur, & effient • II.Poftquamlitterarum,&veterumfcriptorum,rnonu- mentorumque ftudium adolevit, tum artes ipfae, quibus ab honeftate nomen efi , barbariem a Gothis , Langobardis , ce- terifque feptentrionalibus populis inaufpicato invectam Italia exfulare iulfierunt, homines conformare fe urbanitati, cultui, & magnificentiae Romanorum veluti quadam concertatione facta coeperunt. Inter cetera Romanae magnificentiae opera, quibus luxus impenfius excreverat, &.ipfe Perfarum faftus, & opulentia obfcurata omnium iudicio cenfebatur, Villae pro¬ fecto fuerunt, quibus nihil pulchrius, nihil amoenius, nihil praeftantius&fpatiiamplitudine,&ftruHuraeexcellentia, & aedificii decore , &: operum copia haberi poterat . Exftant nunc etiam Tibure Hadrianeae Villae veltigia, quae fupra re¬ liquas plane excellebat, & ex qua tam infignia & Graecorum, & Aegyptiorum monumenta prodierunt, ut iis Mufeum Ca¬ pitolinumtamquamcimeliisomninolingularibus,omnium- que praefiantiffimis inclaruerit (0. Scatebat porro Tiburtinus ager (i) Pyrrhi Ligorii Defcriptio Villae Tiburtinae Hadriani Caefaris. Romae 1551. in fol. eum Ji- guris • Vide lofephum Roccum Vulpium Vet.Lat. Tom. X. y Sc omnes Tiburtinos Hifloricos, Ioh. Franc. Martium, & Antoninum Regium, tum_, Idyllium Fabii Crucii, inferius citandum - Omnium   IV ager multis aliis privatorum civium fecedibus longe clegan- tiffimis , inter quos omnium deliciarum genere conferta emi¬ nebat Maecenatis Villa, aderantque aliae, quae ad Manlium Vopifcum(0,MunatiumPlancum,SalludiumCrifpum,C. Caffium , Quintilium Varum , Marcum Lepidum , & Cyn¬ thiam Propertii amicam, aliofque pertinebant. Praetereo Ci¬ ceronis Tufculanum (2) , quod fuerat antea Syllae , tum For¬ mianum , Cumanum , Puteolanum, & quod omnibus celebrius, porticu , & nemore infigne, atque Academicis quaedionibus facrum , Pompeianum. Celebre & Horatii diverforium in Sa¬ binis (?) , Catulli extra Portam Valeriam ad ripam Anienis (4) , Senecae in via Nomentana 5) , Martialis ibidem C6), & longo laniculi ingo (V , aliorumque. III.Horumigiturimitatiexempla(aeculiXVI.magnates opulentia, luxu , & litteris praedantes fuburbana condere coe¬ perunt amoenidima, quorum primum illud cd, quod in oppido Bagnaiae anno coidxi. inchoatum tandem perfecit Ioh. Franci- fcus Gambara Card., & Viterbiends Eccleliae Epifcopus, cuius fata & Francifcus Marianius (s) , & Felicianus Buldus (9) late alienigenarumfrequentiacelebraturhaecVilla,nec caruic praefentia IOSHPFII II. Imp. Pii Felicis Aug. 3 cuius rei memoria marmore infculpta haec Imp. Caef. lofepho . II Petro . Leopoldo . M. Etruriae . Duci Archiducibus . Andriae . Germanis . Fratribus PP. FF. AA Hadrianae . Villae . vedigia In. hoc . fundo, ac. vicinia, confpicua Huius . Villae. Dominus, demondravit Iofephus . Eqiles . de . Fide Aulae. Caefareae . Confiliarius XIII. Kal. Apr. A. MDCCLXIX pro- lianaeVillaeexidimat;tumGregoriumPlacenti- nium de Tafculano Ciceronis 3 nunc Crypta Fer- rata; Romae 1758. (3) Vide Differtazione di Domenico de Sanctis tra oli Arcadi Falcifco Carijliofopra la Villa di Orazio Flacco; Roma pel Salomoni 1761., 8c De- cuoverte de la Maifon de Campagne d'Horaee par PAbbe Bertrand C.ap Martin-Chaupy ; d Rome 1769. vol. III. (4) Hendecafyll. XLII. (5) Epiff 104. , & 110. (6) Lib. I. Epig. 106. (7) Lib. IV. Fpig. 64. (8) In Parergo de Fpifcop. Viterbien. pojl Dif- fertationem de Etruria Metropoli; Romae 1728. (9) Ifloria della Cittd di Viterbo; in fine del- (2) Vid. Ioh.LucamZuzzcrium(D'unaanti- laCronologiade'Vefcovi;Roma1742.Condito¬ ca Villa [coperta fui dojfo dei Tufalo ; Venezia rum nomina hifce Verfibus Petri Magni ibidem (0 Vid. Statium Sifa. Lib. I. 3. 17 47- 9 qui Ruifincllac delicium Jocum fuiffe Tui- exaratis innuuntur: Nec   V profequuntur . Tum prodierunt, ac longe lateque inclaruerunt Horti Tiburtini , quos poft Card. Bartholomaeum Quevam, qui aluliolll. obtinuerat, Card. Hippolytus Eflenfis exftruxit, permagnifico praetorio auxit, & antiquis ftatuis , picturis regiaque prorfus fupelleftile locupletavit . Hi dein in Card. Aloyfium Eflenfem translati funt, quo vita funbto, ex, Hip¬ polytite ftamentaria voluntate, & iudicialifententia, eorumdem usura XII. annorum spatio cedit Sacri Collegii Decano, donec purpura donato Alexandro Eftenfi, eorumdem ius in ipfa familia'inftauratum cft, novafque a legitimis dominis & additiones, & reparationes poftea habuerunt(0 . Tiburtinum hoc delicium carminibus celebravit M. Ant. Muretus, ac praedicarunt infuper Libertus Folietius (2) , Ioh. Francifcus Martius (s), Antoninus Regius(4), Fabius Crucius W , Ferdinandus Ughellius 05) , Francifcus Scottius») , Rodulphinus Ve- Nec placuifle tibi laus ultima3 magne Riari, A quo primus honos 3 nobilitafque loci. Quod fi longa tuae ncvifTct flamina vitae Invida Parca, nihil quod quereremur erat. Saltem magnanimi virtus praeclara Rodulphi Serius ad fuperos hinc abiifTet heros. Nunc j o Dive loci praefes , tibi Gambara poft hos Contigit haud opibus } fed pietate pari. (0TeflesfuntfequentesInfcriptiones’: I. Regios . Eftenfium . Principum Hortos . iinmenfo . Card. Hippolyti Sumptu . praeruptae . rupis Afperrimis. cautibus In . mollilTimi . clivi . penfiles Ambulationes . converfis Ac . terebrati. per . montis . vifcera Duffcis . ex . Anniene . innumeris Fontibus . admirandos . ab . Aloyfio nutius Magnificentiori . forma . conftru&i Et . venuftati . quam . vides Reftituti Anno. Salutis . MDCLXXXV (2) Tyburtinum Hippolyti Card. Ferrarien. ad Flavium Vrfinum Card. ampliff. 3 inter Opera fub- Jiciva Vberti Folieti Genuen. Romae apud Franc. Zanettum 1S’79- j & In 1'om. I. Part. II. Thefaur. antiq. bijtor.ltalic.Ioh.Georg.Graevii.Lugd. Batav. 1704. (2) Hiflor. Tibure. Lib. V. num. 174. Thef. . Graev. Vol. III. pag. 4. (4) Antichitd di Tivoli di Antonino dei Re ; Tom. eod. Thef. Graev. (5) Ville di Tivoli deferitte dall'Arc/prete Fa¬ bio Croce di detta Citta; ldilio divifo in due rac- conti 5 nei quali fedelmente Ji narratio non meno le Ville , che anticaraente v'ebbero , e frequenta- rono gl*Imperatori , Re con altri infigniperfonag- Et.Alexandro.Cardinalibus pi,ecelebrivirtuofi,raalamedefimadellaSere- Magna . fplendidi . cultus Acceflione. nobilitatos II. Serenifiimi.Francifci. II. Mutinae . Regii. &c. Ducis Vel . abfentis . munificentia Fontes . ifli . temporis . iniuria . collabentes nijjima Cafa d*EJle &c. 1» Roma per it Mancini 1664. in 8. (6) In additionibus ad Alpbonfum Ciacconium de Fontiff. Rora. 3 S.R.E. Cardd., ad ann. 1539. ubi de Hippolyto Card. Eftenfi . (7) In Itinerario Italiae Lib. III. pag. 631.   nutius(0,IohannesPetroskiusO),IolephusRoccusVulpius (3) , Ioh. Andreas Barottius (4), aliique. Picturam vero aeneis typis Romae publicavit Corona Pighius. In hos oculos Ilios potiflimum intendit, & horum exemplo incenius eit Cy- riacusMatthaeius,quodeinluosinCaelimontioexcitaret, quoslatedeferibemus,poftquamceteros,quideinRomae, vel in eius vicinia conditi funt, levi calamo attigerimus. IV7. Fere eodem tempore excitari coepit ab Alexandro Farnefio Card. , Paulli III. fatris filio, Caprarolae delicium , infigni praclertim architectura lacobi Barotii a Vignola , St praeclaris Thaddaei, Friderici, St Octaviani fratrum Zucca- riorum, Antoniique Tempeftii picturis celebratiflimum b) . Heicetiam laudandinunc veniuntHorti,quiprimumexiuflu Card.IuliiMedicei, qui fuit poflea Clemens VII. P. M., for¬ mam praebente Raphaele Sanctio , conftructi funt ad Clivum Cinnae (nunc Montem Marium dicunt ), picturilque Iulii Ro¬ mani, StIoh.Utinenfisornatifunt,actandeminFarnefiam gentem , quae cultu fplendidiores, St opere ampliores fecit, devenerunt W Recenlenda infuper eft Villa Philonardia, quam EnniusPhilonardiusS.R.E.Card.Tiburefibicomparavit, quaeque nunc fquallet, St rimarum plena undique fatifeit, atque dilabiturb) . Quid vero memorem Hortos a Iulio III. extra Portam Flaminiam dein mire exftruStos, a Faufto Sa¬ (1) Defcrizione topografica 3 ed iflorica di Ro¬ ma moderna Tom. II. pag. 925. bae- prarola &c. Opera de' pih celebri Arebitetti 3 di- fegnata da diverfi . Libro in 8$. fol. 3 c mezzi fol. Imper. Parte III. Tum Deferizione 3 e rela- zione iflorica dei nobilijftmo real palazzo di Ca- prarola&c.daLeopoldoSebafliani;Romapergli (2) Trigonometrica Dioecefls, & Agri Tiburti- tii Topograpbia 3 ‘veteribus 1viis 3 'villis 3 ceterifque antiquismonumentisexculta&c.RomaetypisGe¬ nercflSalamoni3pag.XIII. eredideiFerri1741.inS.VideEpigrammaAu¬ ($) Vet. Lat. Tom. X. (4) Memorie Ifloriche de’ Letterati Ferrareft; opera pofluma . In Ferrara nella Stamperia Came- rale 1777. Vol. I. pag. 336. CS) Vide Studio d’Arcbitettura civile fopra va¬ rie Cbiefe , Cappelle di Roma 3 e Palazzo da Ca- relii Urfii Romani de Caprarolae deferiptione ad Card. Farnefium Lib. III. Epigr. 21. pag. 75- utriufque editionis Parmen. 1589. 3 & Bonon. 1594* (6) Nunc Villa Madama vulgo audit \ (7) Vid.‘Iofephum Roccum Vulpium Vet. Lat. Tom. X. Lib. XVIII. Cap. X. pag. 379-   baeio(*)&FrancifcoCommendonio.C2)carminibuslaudatos, tum a Scottio Cd , BoifTardio 3 CiacconioW 3Panvinio (6), aliifque fufe defcriptos ? Ii namque a Clemente XIV., & PIO VI. Summis Pontificibus nuper reparati eruditorum o- mnium oculos in fe converterunt, & aeneis formis expreffi, noftnfque illuftrationibus audi in publicam lucem ad Archi- tedonicae artis praefertim adiumentum propediem prodibunt. Laudari vero lure poftulant Horti Medicei in Colle Hortulo- lum exfiflentes , a Card. Ioh. Puccio Politiano inchoati, & dein ab altero, eoque eximio Romanae purpurae ornamen¬ to , tum Magno Etruriae Duce Ferdinando Mediceo multis eruditae vetuftatis praeclaris reliquiis, & exoticarum lingua¬ rum typographia longe celeberrima magnificentiffime ampli¬ ficati . Commemoratio faltem defiderium reparet Hortorum Carpendum, quos in Quirinali olim aedificaverat, atque adeo praeclaris ornamentis infigniverat Rodulphus Pius S. R. E. Card., ut CXXXVI. amplius ftatuae in iis numerarentur, quarumpraeffantioresrecenfetLJlyffesAldrovandiusV)3eas infuper referens, quas & ipfius Palatium in Campo Martio fervabat.Hisiungantur&Hortiilli,quioliminSuburra prope Amphitheatrum Flavium, & Templum Pacis a Card. Lanfranco conditi, Carpenfes dein fadfi funt. Prodierunt & hoc tempore Horti Farnefiani Tranftiberini (8J , aliique Palati- nifV,ubinuncvineae,&;vepres.Necreticendifuntmodo ma¬ to Epigrammatam Lib.I. pag.Sj., fi7., ,33., 138., 144.3 148., i;i., ij6., ij7., 161, (2) Ex Mf. Cod. Epiflolar, Cornelii Muflii Epifc. Bituntini apud CI. Praefulem Stephanum Borgiam a Secretis Sac. Congr. de Propaganda Fide . (3) Itiner. Ital. pag. 483. (4) Topograpbia Vr.bis Romae Tora. I. pag. Jo. & feqq. (3) In vitis Ptmtif., 'ubi de Iulio III. (fi) ln vita Ia/ii III. poli vitas Barth. Platinae . Hortis Carpenfibus legendus Boiflardius loc. cit. pag.46.jScottiusloc.cit.Lib.II.Cap.VII[. pag.476.j Francifcus Swertius Lib. II. Itiner. Italiae 3 Andreas Victorellius, ae Ferdinandus U- ghellius apud Ciacconium in Rodulphi Pii Card. vita3&FloravantesMartinelliusRomaexethni¬ ca facra pag. $y. Vide Portae eCtypum inter o- pera Architectonica Iacobi Barotii a Vignola^ Tab. XXXXV. (8) Vid. Scottium loc. cit. pag. 416., Boif Tardium (7) D elieStatue antiche, cbepertutta Roma, loc.cit.pag.11.,&UrfiumLib.I.epigr.12.pag.52. fiveggono 3 pag. 29J. Vid. fuperius pag. 201. De (9) Vid. Scottium pag. 444.   VIII ma*nificentiffitni Horti Quirinales Card. Guidonis Bentivoh Ferrarienfis, quibus nulli Romae erant arboribus fplendidiores, ut & lilvae lpeciem praeberent, & labyrinthi b) .Succedant dein HortiCaelii,qui,defcribenteloh.BaptiftaFonteio-, ad dexteram laniculum habent, ad laevam Vaticanos montes , ante fe Tiberim , SancTi Spiritus Fanum , & Xenodo¬ chium, pojlfe Prata Neroniana , fornaces lateribus exco¬ quendis infimaas, edito in colle,fecundum aedes Cacfias re- fertiffimas ipfis antiquitatibus. Horum Hortorum Inlcripuones multas refert ipfe Fonteius, lulius Iacobonius, cetenque, ac nonnulla eorumdem vetera monumenta iamdiu inde avufa ad augendam Capitolii maieftatem praecipue emigrarunt b . NonnullisantiquitatisexuviisditatiquoqueerantHortiAven¬ tini Maximorum H) . Nec fua careat laude Blofianae Villae amoenitas, & Hortorum Coloccianorum apud veteres Sallu ftianosO123) tumobveterummonumentorumcopiam,tumob litteratorum conventum celebritas. Infuper memoretui Augu- ftiniChifiiSuburbanumTranftiberinum,inFarnefiamgentem translatum, magniRaphaelis picturis , multifque antiquitatibus IpedlatiffimumV; 5 Marcelli Ccrvinii Card., & dein Pontificis Max. Villula elegantiffimaV), ac Petri Melinii altera V), in qua Poe- (1) Vid. Scottium pag. 479.} & BoifTardiurrL. pag. 47. (2) DeprifeaGaeftorumgenteLib.Il.Cap.XIII. pag. 154. Vid. Urfium Epigr. 19. Lib. III. pag. 72., ubi de fimulacro Veftae in Hortos O&avii Caefii translato. (3) In Capitolio: Clemens.XI.P.M Romae. de . Dacia. Triumphantis Captivorumq. Numidarum . Regum . Statuas Ex . Hortis . Caefiis Addito . Aegyptiorum. Signorum . ornatu Porticuque . a . fundamentis . excitata Ad . augendam . Capitolii . maieftatem Tranftulit Anno. Salut. M. D. CC. XX "4) Vid. lulium Iacobonium appendice ad Fon- umdeprifeaGaeftorumgenteCap.XIX.pag.229. (5) Vid. Fauftum Sabaeium Lib. 111. Epigram. , 525., 524., & 5*5- edic- Romae isj6- (6) Vid. Virum Cl. loh. Francilc. Lancellot- ,m in vita Angeli Coloccii praemilta operi , cui ulus:PoefieItaliane,eLatinediMtuifg.'i»' IoColocci&c.hfi.772-PUires''"rcriP‘ionesCo- rcianae migrarunt in Palatium Caid. Carpine!: Le Smetio in Praef. Infer. (7) Suburbanum Aitgitfini Chifi per Blofum illadium . Romae per lacobum Mazocbium Re- jn. Academiae Bibliopolam 1J12. (8) Vid. Sabaeium loc. cit. pag. 568. (9) Vid. Benedi&i Lampridii Cremon. Odem in eliciis Poetar. halor. Tom. I. pag. 1311«   IX Poetas de more familiae coena excipere ipfe folebat. Accedat Villa Lantia in laniculenfi calle fita, quam Iulii Romani ar- chiteftura, & piHurae celebrem praefertim fecerunt. Acci¬ pe nunc & veteres Hortos Vaticanos (0 , quibus Hortus Bo- tanicus quinetiam Nicolai V. iufiu olim conditus adnecleba- tur(2),quofqueamoenioresfecithoctemporePiusIV.,ex- flxufto 'ibidem delicio fane elegantiffimo, ufus opere Pyrrhi Ligorii, qui formam dedit, & perficiendam curavit. Huc e- tiam revocanda Villa ampliffima, quam ad Tufculanum aedi¬ ficavit Card. Marcus Siticus Altempfius Pii IV. fbroris filius, quaeMondragonisdiflaeft,quaequedeinfaftaeitCard. ScipionisBurghefii,aquomultaetiamhabuitincrementa. Sed iam properemus ad celebres Hortos Viminales , five Ex- quilinos , quos Sixtus V. condidit, infignibufque ornavit ve¬ terummonumentis,quiproinde&Perettii,&Montaltini dicti funt, quos Aurelius Urfius Romanus (d praefertim car¬ minibus celebravit, quofque dein fuos fecit Ioh. Francifcus Nigronius Genuenfis S. R. E. Cardinalis O . Tum his iungan- turproximitate,&eiufdemPontificisbeneficentia,&aufpi- ciis affines Horti Viminales Martii Frangipanii0) , qui nunc adStrotiamgentempertinent;atqueitafinisimponaturprae¬ cipuis , quae tulit ruralia delicia faeculum XVI. IV.Necminoricelebritate,magnificentia,acveterum monumentorum congerie praeftiterunt huiufmodi Suburbana, quae (i) Belvedere vulgo audiunt. Vid. Delie. Poetar, halor. Iani Gruteri Tom. i. pag. 638. (2)Vid.HortiRomanibrevemHiJloriamGeorgu. Bonellii CI. Medicinae Profefloris in Archigymna- fio Romanae Sapientiae ad Tom. I. Horti Botani¬ ci Romani pag. 1. (;) Carminum tib.II. pag. :8. Peretthm , fm Sixti V. Pontif. M. Horti Exquilim, & Lib.IU- Epigr. 24. pag. 73, de Perettina Sixti V. P. M VUlq carmine deferipta, mittit nempe verfus fu- perius indicatos . (4) In inuro Hortor, prope Bafilicam Tiberianam: Sub . praefidio . Deiparae I.F.tit.S.M.in.Ara.Caeli.Card.Nigronus Se . fuos . fuaque . conflituit Die . V. Aug. ann. Domini . MDCCVII (5) In fronte Aedium: Sixto . V. Pont. Max Ob . collata In c‘. fe . beneficia Hortofque . Viminales Au Flos Martius . Frangipanius Grati . animi . ergo b   X quae dein faeculo XVII. exftru&a funt. Tufculum quidem amoe¬ nitate loci multos ad fe rapuit, & ad deliciarum feceffus ibi dem aedificandos invitavit. Talis eft , quem Petrus Aldobran- dinius Clementis VIII. fratris filius regiis prorfus impenfis , & apparatibusexfiruxit0),& cuiabipfograto prospectu nomen inditum est. Eidem etiam accepti referendi funt, qui in Quiri¬ nali colle eius Aedibus iunguntur , & veterum nuptiarum pi¬ cturis , ex Titi thermis addu&is , Horti potiftimum celebrantur. Romae in Ianiculi vertice prope Portam Aureliam delicium fibi comparavit InnocentiusMalvafiaV)AnnonaePraefectus, eumlocum occupans, quemibi Horti Martialis olimobtinuerant (r). Quis vero pro dignitate referat Hortos Pincianos fplendidiftimos , quos condidit Card. Scipio Caffarellius in Burghefiamgentemadfeitus,quoiquetot,actantiselegan- tiorisantiquitatiscimeliis,tum&picturislocupletavit?Manillius, Montelaticus, Leporeus, Brigentius , aliique C) latis fuperque eofdem celebrarunt. Nec iple Paullus V. Burghe- (1) Infcriptlo ibi legitur: Petrus . Aldobrandinius Clem.VIII.Fratris.Filius Redacta . in . poteflatem . Sanftae . Sedis . Ferraria Reipublicae . Cbriftianae . fallite . reflituta Villam. hanc Deducta . ex . Algido . aqua . extruxit Vid. Villa Aldobrandina Ttefculana , & varii il¬ ($) Vid. Epigr. LXIV. Lib. IV : Hinc Jeptem dominos videre montes, Et totam licet aejlimare Romam. litisHortorumi&Fontiumprofpettus;infol.E- pitifingolari.IuRomaperGio.FrancefcoBuagni didit Dominicus Barriere ann. 1647. Tabulis XV. , & dicavit Ludovico XIV. Galliarum Regi. (2) Perfecit anno 1604., ut docet Infcriptio , quae fic fe habet: in S. 3 Aufctorem habet Dominicum Montelaticum. Defcrizione della Villa di Borgbefe di Lodovico Leporeo in 4. Vide Apes Urbanas Leonis Allatii pag. 185. Poetica deferiptio Villae Burghefiae vul¬ go Pineianae Andreae Brigentii . Romae 1716. fius. (4) Villa Borgbefe fuori di Porta Pineiana di Giacomo Manilii Romano,hiRomaperLodovico Grignani 1650. , in S. Villa Borgbefe fuori di PortaPincianaconPornamenti3chefioffervano nel di lei palazzo, e con le figttre delle Statue In . hoc . Colle . lani . Bifrontis . memoria Et.Martialis.Poetae.Hortis.celebri in8.DeorumConciliuminPinciisBurgbeftanis Suburbanum.hunc.fecefium Domo . clauftro . flatuis . picturis Fonte . aviario . pomario . vinea Inftruftum . ornatum Innocentius . Malvafia . Cam. Apo/t. Clericus Annonae . Praefe£tus . fibi. amicis Animi . caufa . comparavit Anno.Sal. MDCCIIII HortisabEr/.Iob.Lanfrancoimaginibus,mono- crornatibus} & ornamentis exprejfum. Delineavit, & infculpfit Petrus Aquila, fol. IX. imper. Fpi- Jlola Francifci Blancbinii de nobilijjimo hofpite Co¬ mitis de Traufnitz nomen profejjo, & in Villa Pinciana Burgbefiorum Principum excepto die 27. Maii 1716. Romae 1716 .   'XI fius, qui Quirinale Mutatorium Pontificum excitavit, Hortos ibidem defiderari, neque eofdem & veterum monumentis-, &. ceteris honeftae voluptatis deliciis carere voluit. Celebres & antiquis monumentis referti funt Horti Ludovifiani, quibus locuscumvetuftisSalluffianisHortiscommunisaliquainparte efi, quique Cardinalem Ludovicum Ludovifium praecipuum auftorem habent. His neftantur Horti alii Ludovifia¬ ni iucundifiimi, quos dein fuos fecit gens nobilillima de Co¬ mitibus , in Tufculo politi. Non elegantia folum, fed etiam Ioh.TomciMarnavitiiBofnenfisEpifcopidefcriptiocelebrem fecit Villam Sacchettiam Oftienfem. Quis omnes recenfeat Barberiniae gentis delicias & in Vaticano ubi olim Horti Neronis, & in Ianiculenli, & in Quirinali colle (ri , & ad Ca- llrum Candulphi etiam magnifice conditas ? En Rufina Villa in veitice Tufculi , ubi Tulculanutn Ciceronis aliqui ftatue- runt, ut & fuperiusinnuimus, quam Alexander Rufinus Roma¬ nusMelphienfiumEpifcopusexftruxit.Prodeat&nunclani- culenlis Nobilia Villa , cui nunc Spadiae a gente, quae eam poftea obtinuit, nomen efi, quamque inter Aureliam Portam, & Hortum publicum Botanicum Vincendus Nobilius excita¬ vit ri) . Sed Ianiculenfem collem nulla magis confpicuum fecit, quam Pamphilia Villa, cuius pi-oPpedum , delineationem, & praeftantiora monumenta typisaeneisper Ioh. Bapt. Faldam inlcuiptisexhibuitIoh.IacobusRubeus,quiopusinfcribens Principi Ioh. Bapt. Pamphilio perperam Alexandri Algardii C0 Villa Sacchetta OJlienfis cofmograpbicis ta¬ bulis , & notis illuftrata > rujlicanis legibus , officinarumque infcriptionibus adnotata &c. Romae apud Ludov. Gngnanum 16jo.i,; 4. vid. Leonem Allatium in Apib. Vrban. pag. 166. (2) Vid.Tetium in Aedib. Barberin. p.37o& feqq. G)Haecibidemlegiturlnfcriptio: Villa . Nobilia Viator Hic. ubi. Aedes., ad. animos archi- Inter . amoena . exhilarandos A. Vincentio. Nobilio. excitatas Adfpicis Aug. Caesarem. aquae. de. fuo. nomine. vocitatae Ex. Lacu. Alfiatino . milliario. XIV Conceptae Et.in.rranfliberinam.Regionem.perduftae Emiffarium .exftruxifle. ne. fis. nefcius Dixi. abi. felix . &. vale An. Sal. MDCXXXIX b2   XII architecturam fecit, cum ad Ioh. Franc. Grimaldium Bono- nienfem pertineat (0. Exquilinum vero collem tenet, atque ornatVillaAlteria,inquaStatuae,Frotomae,Infcriptiones, & sepulcri Nafonum Picturae nonnullae veteres adfervantur. Iuftinianea Villa, quae extra Portam Flaminiam & veterum ci- meliis, & recenti cultu conlpicua olim erat, nunc omnino fquallet, eiufque ornamenta praecipua iam ad alteram iuxta Lateranum fitam amplificandam proceflerunt (2) . Dies me de¬ ficeret, ficeterasminores Villas, Cofiagutiam, Caipineam, Caeferiniam, Urfiniam ad Arcus Neronianos, Gilliam via Portuenfi , Cafaliam in Caelimontio , Gymnafiam in Aventino, Sannefiam via Flaminia, Nariam via Salaria , Cinquiniam viaNomentana,aliaiquefingillatimpercenfere,acdefcribe- re nunc vellem. V. Quare memorentur nunc tandem Villae praeftantiores, quas tulit noltra aetas. Praeftat extra Portam Nomen¬ tanam splendidecx ftructa PatritiaVilla (fi, quamimmortalis memoriae Pontifex Clemens XIV. honeltum oblectamentum capturus quotidie fere adire confueverat. 1 ranitiberinas Aedes Corfiniae gentis, olim Riariae, ubi iam degerat Chrifti- na Succorum Regina, ornatiores facit Viridarium amplum, amoenumque, quod iifdem coniungitur. Fluic proximum elt aliud eiufdem Corfiniae gentis Delicium extra Portam Aure¬ liam,exSimonisSalviiarchitecturaconltructum,lofephiPaf- feriipicturisinfignitum,pomarioauctum,&veterumcolum¬ bariis , quae Petrus Sanctes Bartholius illuftravit W , & quo¬ (0VillaPamphilia3eiufquePalatiumcumfuh Ioannes profpeUibus } Jlatua^ fontes } vivaria , theatra > Card areolae3plantarum3viarumqueordinescumeiuf¬ dem ahfoluta delineatione . Romae formis loh. Ia- cobi de Rubeis in fol. Dicitur haec Villa Re/re- Patritius Anno MDCCXVII fpiro. (4)Vid.Praef.adlibrum,cuititulusde'Sepol- (2) Anno 1715. (5) In fronte Aedium haec leguntur : cri degli antichi; & opus alterum eiufdem poftu- mum editum Parifiis a CU. Viris Caylufio9 & Ma- rietteio 3 quod infcribitur Peintures antiques. rum   XIII rum unum eft libertorum Verginiae gentis, noftra aetate de- te£him(') , refertifiimum; quod licet exafto faeculo ortum, no- ftro tamen maxima ex parte eft amplificatum. Ad Portairu. Nomentanam , contra Coflagutiam Villam, novam excitavit ColbertiiaemulusSilviusValentiusGonzagaMantuanus,S. R. E. Cardinalis, Sc fapientiffimi Pontificis Benedicti XIV. a fecretioribus confiliis , quam doctis omnibus patere iubebat, Sc antiquis infcriptionibus , exoticis plantis, pluribufque ex India , & America adveftis cimeliis abunde ditaverat , quae¬ que dein a Card. Prolpero Columna Sciarra comparata Bar- beriniae genti nunc acceflit. Extra eamdern Portam aliam fibi paravit Villam, nonnullis antiquis monumentis ornatam , Car¬ dinalis Hieronymus Columna Aerarii Pontificii Quaeftor, Ca¬ merarius vulgo nuncupatus . SecefTum quoque via Aurelia libi fecit iucundiflimum Card. Iofephus M. Feronius Florentinus, qui primus docuit hortos topiario opere ex malis medicis instruere, ne voluptas, Semagnificentia folo fiimptu ,Stfterilitate diftingueretur , quin potius ex ipfo luxu , & oblectamento non mediocris gigneretur proventus. Deliciis, & elegantia fpectatif {imam Villam infuper aedificavit extra Portam Salariam non longe ab Aniene, & ponte Narfetis Flavius Chifius Iunior S.R. E.Cardinalis,quemmoxdirafatiforsperemit.Verumceteris fupereminet,&iamomniummaximefamacelebraturfplen- didiffimaVilla,quamextraPortamSalariamaedificavit,St quotidie etiam amplificat Eminentiffimus S. R. E. Cardinalis Alexander Albanius , qui regio plane cultu , Sc exquifita ele¬ gantia ipfam perfecit. Aegyptiaca , Graeca, Sc Romana eiu- ditae antiquitatis monumenta ubique fe produnt, quorumple¬ raque anecdota typis aeneis expreflit, doctifque illuflravit ex¬ pli¬ co Vid. EphemerideslitterariasFlorentinasCl. O) Vid. Elogio dei Card. Silvio Vale,ni Go«- Ioh.Lamiianni1765.n.21.3 &feqq.coi.jai.j zaga (deiCh.Monfig.ClaudioTodefchi). « &peqq. Roma dalle Jlawpe dei Salomoni 177^*PaS-34*   plicationibus Vir Cl., idemquc infeliciflimus Ioliannes Win- ckelmannius Saxo, olim Nethnicii in Agro Drefdenti Buna- vianae Bibliothecae, quae in Electoralcm pottea migravit, Cu¬ ltos alter, tum Romanae Ecclefiae facra profefTus, Romanarum antiquitatum praefe&ura ornatus, Bibliothecae Vaticanae Scriptor Graecus renunciatus, & Albaniae iplius Bibliothecae curandae praepofitus (0 . Cetera , quae ipfe intafta reliquit, eadem plane ratione expofuit Vir alter eruditiffimus Stephanus Raffeius C2); utceterospraeteream,quifparfimipfavelexplanantes , vel laudantes celebratiffimam hanc Villam undique praeftiterunt. Tanto apparatui refpondent & picturae , quae au- btorem habent Antonium Raphaelem Mengfium , cuius prae¬ dantia eo pervenit, ut Urbinatenfis virtuti proxime acceflifie omnium iudicio exiltimetur. Vere quidem dixeris & Gratias, & Mutas heic habere domicilium, ac veterum Confulum, & Au- guftorum tamquam redivivam exfurgere maieftatem. Non igitur mirum , ti fplendiditTimum huius Villae atrium patuerit Ca- moenis Dardani Aluntini, Iotephi II. Caefaris (3) , & Herme- lindae Thalaeae, Mariae Antoniae Walburgae Bavarenfis, Sa- xonicae Electricis viduae (4) laudes concinentibus, ipfum- que Augultitlimum Principem , &: Romanorum Imp. electum, Romae degentem , anno cididcclxix. a. d. XIV., & V. Kal. Aprilis & invifentem, & admirantem tantarum rerum copiam, (0Monumentiautlchiineditifpiegati,ei‘tl- lujtrati da G:o. Winckelmann &c. Torni II. Ro¬ ma 1767. in fol. (2) Ricerche fopra uti Apolline della Villa.j dellEmoSig.Card.AlejjandroAlbani.IuRoma 1772. Saggio di ojfervazioni fopra ttn Bafforilisvo della Villa fuddetta ( efprimente il voto di Bere¬ nice ) In Roma 1773. Ojfervaziom fopra un altro BafforilievodellameiefmaVillaAlbani(elpri- mente Ercole domatore d’Echidna Scitica ) . Dif- fertazione fopra uh fmgolar combattimento efpreffo in Bajforiliem , efflente nelta Villa fuddetta , c cioe Ja monomachia di Mennone con Achille) . & prae- Filottete addolorato 3 altro Bafforilievo tiella Vil¬ la JleJfa ; in fol. (3) Adunanza tenuta dagli Arcadi per Velezio- ne della Sacra Reni Maefla di Giufeppe II. Re de’ Romani. In Roma 1764.3 cui adne&itur Ta¬ bula aenea exprimens frontem Aedium } & Atrii ornatiHimi . (4) Adunanza tenuta dagli Arcadi nella Villa AlbaniadouorediS.A.R.MariaAntoniaWal- burga di Baviera Elettrice Vedova di Saffonia, fra le Pajlorelle acclamate Ermclinda Talea .• In Roma 1772.XV &praeftantiam,ibidemmirecoaddam,&concinnedilpofi- tam confpexerimus (0 . VI. Recenfitis Hortis omnibus, aut faltem celebriori¬ bus,quivelpraeceflerunt,velfubfequutifuntMatthaeianos noftros,reflatmodo,utdeiplispreflius,&latiusdicamus. Locum nunc perpendimus. Iidem fiti funt in ea Pomoerii parte,quamAurelianusintraUrbemcomplexuseft(2),quae¬ que in Regione II. Caelimontana comprehendebatur. Man- flones Albanas antiquitus hunc locum potiflimum tenuifle , cenfueruntBoiflardiusCj),MarlianiusW,&DonatiusD,fed nullam,quaniterentur,rationemattulerunt.Quareincertus, fiNardinio0)credimus,adhuceftharumManfionumlocus, neque nos quidquam etiam hac de re ftatuere aufimus ali¬ bi de iildem loquentes (7) . Proxima huic Caelimontii parti fuifle, immo iplam occupafle aliquando Caftra Peregrinorum ab Augufto inftituta, alii cenfuerunt, atque inter ceteros Pan- vinius W , & Vignolius (?) , innixi potiflimum veterum infcri- ptionibus,inquibuseorummentio,quaequevelinareaAedi¬ culae Sanctae Mariae in Domnica, vel prope Aedem rotundam S. Stephani inventae funt; ut nunc praeteream, quaeetiamin laudata area erutae fuerunt Benedi&i Aegii Spoletini aetate, quasipfeedidit(IO),quibufqueadduddus&eademCaftraibi¬ dem agnovit, & eos , qui ponunt ad Templum SS. IV. Coro¬ (i) Huius rei accipe monumentum ibidem po- fitum : lofepho. II Pio. Felici . Augufto Quod . has . Aedes . praefentia . fua Maximus . hofpes. impleverit Alexander . Card. Albanus M . P nato- ($) Lib. III. cap. XII. (6) Rom. vet. Lib. III. cap. 7. (7) Append. ad Fragmenta 'vejligii 'veteris Ro¬ mae lob. Petri Bellorii Tab. XXVI. pag. 95. (3) Defer. Vrbis Romae } TheJ\ Antiq. Romau. Graevii Tom. III. pag. 286. (9) lnfcript.felecl. pojl Differt, de Columna Imp. Antonini Pii pag. 183. j e feq. (10) In adnotationibus ad Apollodori Atbenien. (2) Vid. Fabrettium de aquis 3 & aquaeducti¬ busn.45.ad53. Bibliotb.,fivedeDeor.origine&c.Romaeinae¬ (3) Topograpb. Vrb. Romae Tom. I. pag. 34. dibus Antonii Bladi 1555. Vid. apud Gruter. pag. (4) Topograpb. Vrb. Romae Lib. IV. cap. 9. 22. n. 3. & pag. $93. n. 2.3 & 3.   XVI natorum(0, impugnavit.Muripars feptentrionalis, quaHorti Matthaeianicinguntur, licetadvetusMonafterium,dequo mox dicemus , potiflimum fpectct, pertinebat olim ad ductum aquae Claudiae , cuius ibidem divortia erant; pars enim in An- toninianasThermas,utteltanturlitteraeadhucconfpicuae ... NTONIANA, magnis laterum tabulis e muro paullulum prominentibus confectae W; pars in Palatium Caefarum tendebat , ut produnt veftigia aquaeductus interdum occurrentia . His adneftitur arcus adhuc exftans ex lapide Tiburtino, fuper c]uo aqua ad Aventinum procedebat, & in quo legitur inlcri- ptio fatis nota (s) : P. CORNEUVS . P. r.DOLABELlA C. 1VN1VS . C. F. SILANVS. FLAMEN. MARTIALIS COS LX.S.C FACIVNDVM . CVRAVERVNT . IDEMQVE . PROBAVERVN.T Via , quae ad Clivum Scauri per Curiam Hoftiliam ante Hor¬ tosnoftrosprocedit,eacenfetur,quaolimperTabernolam, antiquaeUrbisvicum,attendebaturinCaeliumU).Prope etiamaderatrotundumTemplumvelFauni(j),velBacchi) velClaudii,autetiamVefpafianiImpp.,utaliicenfuerunt, quodnuncNicolaiCirciniani,vulgoPomerancii,&Anto¬ nii Tempeltii picturis , veterum Martyrum diros cruciatus ex- Pri- (1) Inter ceteros Boijfard. Topograpb. Vrb. Rora. Tom. I. pag. His nunc accedit Hora¬ tius Orlandius Ragionamento fopra ut?Ara antica (dedicataaVulcano).Roma1772.art.ult.pag.95. Suppiem-adJVuv.T*hef.Muratoriipag.So.n.5., (2) Vid: Epiftolam Flaminii Vaccae latinitate' fed mutilam, aliique. Fornicis typum habes apud donatam a Montfauconro in Diario Italico Cap. X. pag. 14S. Gudius pag. 81. n. 10. refert tabulas in¬ ventas c regione vineae S. Sixti, «Sc Thermarum Antoninianarum ad radicem Montis Aventini ver- fus regionem dictam Pifcinam publicam 3 in quit, bus haec legebantur: A^VA . CLAVDIA . ANTONIANA . NOVA VIRIAE . ALCESTE . ET. L. VIR1I . ANTIQ FORTVNATI (5) Refert Gruterius pag. 176. n. 2.3 Panvi- nius de Civ. Rora. Cap. XXIV. coi. 217. Tom. I. Ioh. Bapt. Piranefium Tom. I. Airtiq. Koman. Tabula XXV. Fig. I. (4) Nardin. Rora, •veter. Lib. IIL cap. V. 3 Bor- richius de antiqua Vrbis facie Cap. IV., Rondi- ninius de SS. Ioh. 3 & Paullo , eoruraq. Bajilica in ‘Drbe Roma vetera monumenta Cap. VI. §. I. pag. 59.3 & 60. (5) In inferiptione hoc loco detefta , quam re¬ fert lulius lacobonius Append. ad Fonteium de prifeaCaejiorumgenteCap.IV.pag.38.3memo¬ ratur AED1CVLA GENIO AGRESTI dicata.primentibus (*), ornatum, duplicique columnarum ordine fu- ftentatumDivoStephanoMartyrifacrumeft(12**).Heicetiam- numconfpicuifuntarcusNeronianiaquaeClaudiae,quibus aquaipfaadPalatinumdeferebatur.ProximaetiameratCu¬ ria Hoftilia, a Tullo Hoflilio III. Romanorum Rege magnifi¬ ce aedificata, cuius adhuc haberi reliquias, hafque cenfendas efle ingentes arcus ex Tiburtino lapide, quibus fuperftat nunc turriscampanaria,longainfuperfubftrudioneinhortumpor- redos , recentiores plures, praeeunte Flavio Blondio 0) , Con- fenferunt; idque eo magis, quod ibidem quatuor Pulvinaria marmoiea eruta fuerint, quae dein ad fcalas Aedium Matthaeiarum in Circo Flaminio translata fuerunt, quaeque nos fuo loco(T adduximus. Ceterum Pompeius Ugonius d) , alii¬ que aedificium aliquod Caefarum aetate excitatum in hilce ruderibusagnofcendumpotiusexiftimant,quodparumcredi¬ bile videatur pofl tot faeculorum lapfum , poft tot Urbis exci¬ dia , atque poft tot imperii viciftitudines hactenus antiquiflimi aedificii reliquias, annorum edacitatis, & direptionum furoris vidrices,fupereflepotuifie.Montfauconius(5)hacdere_» etiam dubitavit, quod aegre in animum libi induceret, im¬ manemillamaedificiimolem,caftrorummoremunitam,unicam fuifle Curiam ; quin potius hinc coniedafie nonnullos refert,exftitiflehoclocoCaftraPeregrinorum.Heicquidem fuifle aedes Sandorum fratrum Iqhannis, & Paulli , in quorum honorem dicata eft proxima Bafilica , ambigi non po- teft; quarum quidem veftigia haberi putat Philippus Rondi- nini- (1) Ecclefiae militantis triumphi) five Deo ama- (3) Romae inflaur. Lib. I. hilium Martyrumg/oriofapro Chrijlifidecerta- (4)Vol.II.horumMonumentor.ClafT.X.Tab. mina ) prout in Ecclefia S. Stephani Rotundi Romae vifuntur depicia , a Vincentio Billy aeneis Tab. expreffa. Romae 1714. (2) Interioris huius Templi profpe&um habes apud Ioh. Bapt. Piranefium Tom. I. Antiq. Ro- man. Tab. XXV. Fig. II. ' LXXII. Fig. I., & II. , Tab. LXXIII. Fig. I., & II., & Tab. LXXIV. Fig. I., & II. pag. 93. , & feqq. Vid. Ficoronium Vejligia di Roma antica Lib. I. ,cap. XIV. pag. 87. (5) Eibro de Stationibus Vrbis. (6) Git. Diar. Ital. Gap. X. pag. 148-   XVIII ninius CO in quibufdam arcubus , & ruderibus prope laudatam Bafilicam exfiftentibus, quorum nemo Scriptorum meminit. Sub Hortis noftris vetus aliquod etiam fuille aedificium , arguere licet ex marmore reperto eo loci, quod refert Fabret- tius (2) , & in quo habetur fimulacrum Veftae, & artis pilto- riae inffrumenta , modium, spicae, & mola verfatilis , cum hac epigraphe: VESTAE. SACRVM C. PVPIVS. FIRMINVS. ET MVDASENA .TROPH IME VII. Veterum aedificiis. Hortos Matthaeianos ambien¬ tibus, ufque dum recenfitis, accedant Chriftiana Templa, quae iifdem ita adhaerent, ut ipforum pars effe videantur . Nihil amplius dicemus de Templo S. Stephani, & de Balilica SS. lob., & Paulli, quae titulus Pammachii dicitur , cum de his,utpotepaulloremotioribus,fatisiamactumvideripoffit. Omnium quidem proximior Matthaeianis Hortis eft Eccleha S.Mariaein Cyriaca, livein Dominica ,quae&in Domni- ca ,&in Navicula h)?anaviculamarmorea,caudavotilo¬ cata, quae ante Templum cernitur, dicta eft. Haec navis m- fignita eft roftro apri caput referente, quam ex voto Marti, vel alio Numini politam aliqui putant a milite in Caftris pe¬ regrinis degente . At Ficoronius (4) Cybeli potius dicatamu» fufpicatur , quod aliud viderit anaglyphum , ab ipfo etiam vul¬ gatum b) 5 in Mufeum Veronenfe profectum , ubi navis cernitur, in qua vehitur Dea Cybele, quamque Matrona velata , funis ope, cui adligata eft , extra aquas ad fe trahere dextera manu nititur , hac fubiecta infcriptione: (0 &e SS. Martyribus lobanne 3dr Paullo, Seft.I. n.3. pag.94. eorumqueRafilicainVrbeRoma‘veterarnonumen- (3) VulgoNavicella. MA- ta &c. Romae 1707. Cap. VII. §. I. pag. 69. (2) Ai Tabulam Iliadis poftColumnam Tra- ian.pag.339.3SiInfer. Cap.VIII.n.277.Pag-632. Attulimus&nosTom.III.Clafs.X.Syllog. Infer. (4) Le ve/ligia, e rarita di Roma antica Lib. I.Cap.XIV.pag.90. (5)Ibid.Cap.XXII.pag.148.   MATRI.DEVM.ET.NAVI.SAI.VIAE SALVIAE . VOTO . SVSCEPTO CLAVDIA.SYNTHYCHE D.D Nomen Cyriacae, vel Dominicae Ecclefiae inditum videtur acelebriMatronaRomana,quaeibidemaedeshabuerit('), ut & praedium habuit in Agro Verano. Forte fandae huius Ma¬ tronae imaginem habes in antiqua pidtura ex ipfius Coemeterio ad S. Laurentii extra muros iam eruta, quam Cl. Ioh. Botta- rius 00 ex Arringhio adduxit. Ceterum Sanctae Domnicae no¬ men , & natale Bollandius affert (2) ex Menaeis Graecorum ad d. VIII. Ianuarii; fed haec Virgo Africana, quae floruit fub TheodofioM.ufque adLeonem,&Zenonem Augg.,anoftra differt.VualafridiStrabonisG)fententiam,aDomino,cuicul¬ tus in illa aede redditur, nomen repetentem, quia omnibus ae¬ dibusfacriscommunem,acceterasetiamhuicquidemnonabfi- milesfententiashaudmorabimur.EcclefiahaecaPafchaleI. a fundamentis ampliata, & renovata fuit, cuius exftat ver¬ miculataabfisaduabusporphyreticiscolumnisfuffentataG); quibusacceduntXVIII.infuperexGraecomarmore,nigro, & viridi, columnae aliae nihilo inferiores. Sanctae Balbinae corpus ibidem reconditur, atque heic Sixtum I. per Levitam Laurentium ecclefiae thefauros pauperibus diffribui mandafle, funt qui tradant. Vetuftiflima quidem haberi debet haec Ec- clefia , cuius mentio eft in veteri Defcriptione Regionum Ur¬ iis,editaaMabillonioG),ubiagensdefeptemviisufque.> porta Ajinaria, ftatim fubditur Sancta Alaria Dominica . AdfaeculumfaltemXI.pertinerevideturArchipresbyterRe- ncdillus Diaconus Sanctae Alariae , quae Domnica dicitur, (1) Roma fotterranea Tom. II. Tav. CXXX. pag. 17S. cu- (5)V id. Floravantem Martinellium Roma ex ethnica facra pag. 214. (6) Vetera Analecta pag. 365. fecund. edit. (2) Aci. Santf. lanuar. pag. 4S3. (3)Viet.Franc.VifloriiDiffert.Philolog.pag.$1. Parif.1725. (4) De rebus ecclejiajlic. Cap. VII. c2 XIX   JiX cuius monumentum in Divi Stephani in Monte fitum , & a Doniod) adductumheicfiltimus: HIC . REQVIESCIT . CORPVS . DEVOTVS . XPI FAMVLVS . ARCH1PBR . BENEDICTAS . DIAC. SCI . MA RIF, . QA . DOMICA. Q. OMS. Q. AD . HANC . BASILICA . IN GREDITIS . DIGNEMINI . ORARE . PRO. ME. PECCATORE. AC. P. XPI . NOMEN. OMS. CONIVRANS. VT NVLLVS. HOC. TVMVLO. VIOLARE. AVDEAT. 3 SI. QVIS <0 AVTEM . VIOLARE : P : SVPSERIT : i A . PATRE . ET . FILIO . E . SPS SCI . ANATHEMATE. IM . P. . P. DANATVS . EXISTAT Certe quidem, ut innumeris exemplis o(tendi pofTet, ab VIII. ufque laeculo ad. XI. ufus obtinuit has malas precationes , a Chriftiana pietate, & manfuetudine alienas , & a fola tempo¬ rumbarbarie,&infcitiaquoquomodoexcubitasadhibere(3>; quidquid contra Reinefium (j) Fabrettius M reponat. Cum Benedictus dicatur Diaconus huius Eccleliae, apparet nondum ad Archidiaconum pertinuifie, ut dcin factum videbimus. Iam in noftra Diflercatione in tit. Canonicum de officio Archi- diaconiWadduximusChartamanecdotamannidcccclxxxii., inquamemoratumcernimuslohannemArchidiaconumfum- viac Santiae Apojlolicac Sedis, & praepojitum venerabili Diaconiae Santlae Dei Genitricis Alariae, quae appellatur No- ha;incuiusnimirumArchivohaecipfaChartafervatur. Quarearguerelicet,pofterioritemporehocfactumeffe; nec fane documenta, quae id adltruant, occurrunt faeculo XII. maiora. Commode in Chronico Ricardi Cluniacenfis, quod abanno Chriltidccc. Usquead annum mclxii. pertingit,quod¬ (0 Jnfcrip. antiq. C!afT. XX. n. 71. pag. 539. ex fchedis Nic. Alemanni . que (5) D iffertazione Canonico-Filologica fopra il ti- tolo delle IJlituzioni Canonicbe de Officio Arcbidia¬ coni, recitata dali’Abate Giovanni Criflofano Arna- dtizzi la fera de’ 17. d'Agoflo deiPanno 1767. in (2) Vid. Hieron. Fabrium Ravenna antiqua pag. 116 ., Mabillonium ile re Diplornat. Lib. II. Cap.VIII.§.XVII.pag.ioi.,ArringhiumRora- RomanelPAccademiadelPEmin.3eRev.Sig.Car¬ fubterran. Lib. IV. Cap. XXVII., aliofque. dinale Gaetano Fantuzzi &c. adnot. $. pag. 57. (3) Syntag. veter. Infcript. Clafl*. XX. n. 440. Tom. XVII. Nova Raccolta d'Qpufcolifcientifici3 (4) Infcript. Cap. II. pag. no. e flologici. In Venezia 1768.   XXi queaMuratoriorelatumeft(0,recenfenturDiaconiaeCardi¬ nalium S.R.E. decem, & odo , quarum princeps Sundae Ala¬ riaeinDomnica,ubiejiArchidiaconus.Huicacceditteftimo- nium Petri Manlii apud Mabillonium (12) , ubi legitur: S.Ala¬ ria in Domnica , ubi debet ejje Archidiaconus; & Leonis Ur- bevetaniapud Cl. loh. Lamium (A , ubi haec habentur: S. Ala¬ ria in Domnica, ipfe eji Archidiaconus altorum; quorum primus ad laeculumXII., alter ad XIV. pertinet. At vero hanc Ecclefiam haud Cardinali Archidiacono adfignatam, nili laben- te ipfo faecula XII., credere licet, cum certum fit, triginta, vel viginti ad fummum annos ante eius exitum ipfam Diaco¬ num , non Archidiaconum obtinuiffe . Docet id Bulla Inno¬ centi!II.annimcxlii.apudHarduinium(4),cuifubfcripfitGe- rardus Diaconus Card. S. Alariae in Dominica. Id etiam ad- firueret D. lacobus tit. X. Alariae in Navicella, qui a Bollan- diftisV) recenleturex Marchefiointereos Cardinales,qui interfuerunt canonizationi S.Brunonis Epifcopi Signini, quam Signiae anno mclxxxi. peregit Lucius III. Summus Pontifex , nili critices regulae obliderent, Bollandiflae ipli hanc Cardi¬ nalium recenfionem affumentum iudicarunt, & iure merito; neque enim fi lincera lubnotatio fuiflet, Ecclefia ipfa titulus dicta efiet, quo vocabulo numquam Diaconias appellatas aut antiquitus, aut recenter inveniemus. Quo tempore vero haec effedefieritiurisArchidiaconiCardinalis,incertum;verofi- mile tamen eft, id accidifte , cum , translata Avenionem Apoftolica Sede, Romanae dignitates mutationem aliquam fubierunt, & Gallicos mores induerunt , & ipfa Archidiaconi iurifdiftio, & munus magna ex parte ad Camerarium delata eft. Honorii III. aetate Ecclefiam hanc pertinuifle ad Ec- (1) Antiq. med. aevi Tom. IV. coi. 1113. (4) Concil. Tom. VI. Par. II. coi. 1170. (2) Ord. Roma». XII. n. II. pag. $6y. (j) In Comment. praevio ad A£ta S. Brunonis ($)Delie,erudii.Toni.II.pag.28. Epifc. SigninidieXVIII.Iuliiqum.24.   XXII EcclefiamalteramS.Thomae,StS.MichaelisArchangelide de Formis ( de qua mox dicemus ) , innuit laudati Pontificis Bullaannimccxvii.,quainterceteraspoffeffiones,quaseidem confirmat,refertabjidam,&inclaujirumEcclefiaeB.vlla- riae in Donnica (0 . Parochialem vero curam eidem adnexam etiam fuilPe , docent Litterae Apoftolicae SixtilV. C), quibus Apollonius de Valentinis & Canonicatibus Lateranenfis Eccle- fiae , St S. Mariae in Via lata , St Parochia S. Mariae Navicellae interdicitur . Honor , quo , Archidiaconali dignitate deleta , Eccleliahaecdecidit,integratusquodammodovifuseft,cum Card.IohannesMcdiceusPontifex Max. Leonis X. nominere- nunciatus eft. Ipfe enim inftaurari illam iullit, atque ut id pro dignitate fieret, Raphaelis Sanclii opera ufus eft quoad Ar¬ chitectonicae artis concinnitatem , lulium vero Romanum, St Perinum Bonacurfium Vagae difcipulum pro pibturae or¬ namento adhibuit. Tum eadem obtigit Card. Iulio -Mediceo, Leonis X. patrueli, Archiepifcopo Florentino, Sc S. R. E. Vi- ce-Cancellario , qui poftea fuit Clemens VII. , licet & Eccle- fiam S. Clementis, & alteram S. Laurentii in Damafo dein fibi adfeiverit. Eadem Diaconia potitus eft poftea Iohannes Mediceus Cofmi I. Magni Florentiae Ducis filius, qui a_. Pio IV. Cardinalis eft renunciatus, & cuius exftant tres epilholae de ipfius Ecclefiae cultu, Sc famulatu (0 , quem appri¬ me (0 Collect. Bullar. Sacrofantlae Bafilicae Va¬ gliare } perche rifeda in la Cbiefa della Navicella ticanae&c.Romae1747.Tom.I.pag.100. aujfiziare,&dipiu3perchefattovederlecofe3 (2) Ex Tom. 96. Regeft. Brev. Sixti IV. pag. 74. in Archivo fecr. Vaticano. CS) LetteredeiCard.G:o.de’Aledicifigitodi Cofano 1. Grati Duca di Tofeana, efiratte da un nifi Roma 1752. Fib. Ili. pag. 505. Lettera ferit- ta dal Poggio 25. Settemb. 1561. al Podefta di Grofleto , a cui dice di voler pariare a M. Porzio Fanuzio Canonico della Navicella 3 che capitava coli j o a Monte Fano. Ivi pag. 506. Lettera ferit- ta dal Poggio 26. Settemb. 1561. al Vefcovo Ce- farino, a cui dice > che manda D. Gio. luo fami- che di prefente occorrono farfi per riparazioni di quelluogo,meloavvifiparticolarmente3acciofi pojfadaropportunoriparo&c.Homandatoper quel medefimo Porzio Fanuzio per aver da lui in- formazione di quel3 che fiara a fiua notizia delle cofe di quella Cbiefa. Ivi pag. 507. Lettera ferit- ta dal Poggio a di detto al Babbi in Roma: Noi mandiamo il prefente D. Gio. nojlro famigliare 3per- cbe rifeda a ujfiziare vella Cbiefa della Navicel¬ la j non volendo noi filia 'fenza un Cappellauo 3 fimo a tanto, cbe fi verranno ritrovando 3 e riordtnan- do   XXIII me curaffie conflat. Huic vita fundo in eamdem fucceffit Cardinalis Ferdinandus Mediceus , marmoribufque ornavit, ac refecit, antequam ampliffima dignitate abdicaret, & Magni Ducis Etruriae , denato Francifco eius fratre , infignia recipe¬ ret.Habuit&Card.CarolusMediceus,cuiusmemoriamar¬ moreaibidemcerniturfuprafacrariiportam.Tandeminitio huius faeculi tenuit etiam ex eadem regia domo Card. Franci- fcus M. , de quo nihil eft aliud, quod moneamus. Presbyte¬ rum Beneficiatum , qui Ecclefiae inferviret, facrumque face¬ retdiebusfeffis,PaullusV.inftituit(0,idquemunerispri¬ mus obivit Vir Cl. Leo Allatius, antequam ad maiora fibi viam faceret in Urbe officia. Ex Diaconia in titulum presbytera- lem convertit Benedidus XIII 0) ;ac tandem Monachis Grae- co-Melchitis Congregationis S. Ioh. Baptiflae in Soairo OrdinisS.BafiliiMagni,poflulanteSacraCongregationedePro¬ paganda Fide, Templum cuftodiendum, & aedes incolendas Benedidus XIV. conceffit. Vili. Huic proxime fuccedit Templum S. Thomae in Caelio, quod& S. Thomae, & S. MichaelisinFormisdi- dumeft,cuiquehofpitaleadnexumerat.DudusaquaeClau¬ diae,quieidemadhaerebant,nomendeFormisinduxe¬ runt G) . Ecclefia haec fuit olim Abbatia in Urbe non igno¬ bilis;cumeiusAntiftes,teftePanvinioG),intervigintiAb¬ bates , qui Romano Pontifici celebranti adeffe confueverant, decimus tertius accenferetur . Eamdem pollea Innocentius III. conceffit Fratribus Ordinis Sandifs. Trinitatis Redemptionis captivorum , quam proinde, dum vixit, incolatu , corporis veroexuviispoflobituminfignivitS.IohannesdeMatha, licet dolealtrecofe.Vedrete3cbeabbiaqualcbepo- toprefente30fiarelazionedellaCortediRoma&c. In Roma 1765. Tom. I. Cap. I. pag. 8. fa 3 cbe ci pare impojjibile , cbe non ve ne Jia. (3) Fabrett. de aquis 3 & aquaedtM* DifTert. IX- (1) Vid. Martinellium loc. cit. pag. 215. (4) Lib. de VU• 'Urbis EccleJ'. pag. 142. (2) Vid. Equitem Hieronymum Lunadorium Staco di Jlanza 3fe ve n’’ealcuna pertinente alia Chie-   XXIV licet dein in Hifpanias translatae fuerint. Interea Honorius III. Bullam emifitd) , qua Ordinem praedictum commendat, Ec- claliameidemconcetfamfubApoltolicaeSedistutelalufcipit, privilegiis ornat, facras aedes, ac bona quamplurima eidem lubditarecenfet,&confirmat.Quareibidemmemoratfor¬ mam , fcilicet aquae Claudiae ductum , fuper ditia Ecclejia S. Tbomag cum aedificiis, cimitcrio, crucibus , & aliis per¬ tinentiisfuis:montemcumformis,fi?aliisaedificiispojitum interclaufiramClodei(CaftellumnempeaquaeClaudiae, quod forma quadratum, & magna ex parte integrum Fabri¬ cius W vidit) , fi? inter duas vias, unam videlicet, qua a praeditia Ecclejia S. Thomae itur ad Colifcum , fi? aliam, qua itur ad SS. lobannem , fi? Vaulum fi?c. Exftat adhuc fupra fores hofpitalis, five coenobii tigillum ex mutivo Or¬ dinis , quem diximus, Redemptionis captivorum , & arcui marmoreo forium haec inferipta leguntur: MAGISTER.1ACOBVS.CVM.FILIO.SVO.COSMATO.FECIT. HOC.OPVS Dein Poncellio EJrfinio Cardinali commendatam Ecclefiam ipfam fuiffe infuper patet, donec Urbano VI. iubente anno mccclxxxvii. menfae capitulari Vaticanae Bafilicae adnexa fuit, ipfaque unio ex Bonifacii IX. Diplomate dat. V. Idus Novem¬ bris confirmata eft. Ceteras Apoltolicas Bullas lohannis XXI., five XXII. 0) , Bonifacii IX. O , & Eugenii IV. W iam editas in Bullario Vaticano, & ad hanc Ecclefiam pertinentes fciens praetereo. IX. Defcripfimus locum , quem tenent nunc Horti Mat- thaeiani,tumediticia&vetera,&fubfequentia,quaeipfisob- iacent.Rcftatmodo,utdeeorumaubtore,forma,&prae- ftantia dicamus. Ii fiquidem auctorem habent nobiliffimum, toAnn- '2'7-vii-ColleU. Bullar. SacrofanU. Baftl.Vatie.&c.Romae1747.Tom.I.pag.iod. (2) D efcript. Vrb. Romae cap. 17. & ma¬ (3) Cit.Collecl. fttillar.Bafil.Vatic.Tovn.l.p.28J. (4) Ibid. Tom. II. pag. 31. (5) Ibid. Tom. II. pag. 3y.   XXV &magnificentiflimumVirumCyriacumMatthaeium,Alexan¬ dri filium, Cyriaci nepotem, qui fane avitam gentis fuae am¬ plitudinemho copere explicandam fiulcepifievifusefi. Non noftrumheicefi;,MatthaeiaegentisoriginemaPaparefchia, quae genuit Gregorium, poftea Innocentium II., deducere , quodvifuminprimisefi:OnuphrioPanvinioCO,AlbertoCaf fio G) , Felici M. Nerino (3) , aliifque; non enim id ipfius vel vetuftati,velnobilitatiacceflionisplurimumfaceret.Monu¬ mentum fiquidem faeculiXIII., quodcontinetSenatuscon- fultumhabituminTemploS.MariaedeCapitolio,quodque ex apographo Perufino edidit Cl. praefui lofephus Garampius nunc apud Aulam Vindobonenfetfi Apofiolicus Nuntius me- ritifiimus G) , gentis huius praefiantiam fatis prodit, cum in¬ ter ceteros nobiles Romanos viros recenfeatur etiam ibidem lohannes Matthaei, quemGarampiusipfenoftrisadferibere non dubitat G). Ceteros ex hac gente illufires viros recenfe- re quinetiam non iuvat, quorum monumenta praefertim con- fulere facile quifque poflit apud Cafimirum Romanum, Fran- cifcanae familiae Alumnum, ubi de Templo Aracaelitano G) . Quare circa annum mdlxxxi. Villae huius confiruftionem ag- grelfus efi: Cyriacus nofier, & ad annum mdlxxxvi. perfecit, utdocentmonumenta,quaeibidemmarmoreinfculpcnda curavit,quaequenemoadhucedidit.Siquidemfuprapor¬ tam Villae parte interiori haec leguntur: CY- (1)Cod.Mf.dcGenteMatthaeiainBibliothe¬ ria alcultodellaR.ChiaradiRhnino&c.In caFrangipania. Roma175:5- Differt.VIII.pag.244.jefegg. (2)MemorieijlorichedellavitadiS.Silvia&c. (5)Vid.Indicemvoc.Matteipag.52J. Cap.XIII.§.I.pag.89. (6)Memorieijlorichedellacbiefajeconvento (3) Detemplo,& coenobioSS.Bonifaciij& Ale- di $. Maria in Araceli di Roma &c. In Roma i73j5. Cap. IV. pag. 29., Cap. V. pag. 43. 3 44., 394. Ad not. 54. 71. ;, & 72. 3 e Cap. XVII. pag. 451. (4) Memorie ecclefiajliche appartenenti all'ijlo- xiihijloricamonumentainAppend.n.VIII.pag.   XXVf Tum inferne: CYRIACVS . MATTHAEIvs . HORTOS GENTILICIOS .CVLTV .AEDIFICIO VETERVM.SIGNORVM .COPIA INLVSTRIORES . ET . AMOENIORES REDDIDIT A. S. M. D. LXXXI CYRIACVS.MATTHAEIVS HORTOS . CAELIMONTANOS A . IACOBO . MATTHAEIO . SOCERO . SVO SIBI . POSTER ISQ__. SVIS . DONO . DATOS . MVLTIS • ORNAMENTIS MAGNIFICENTIVS . EXCVLTOS . SVAE . ET . AMICORVM OBLECTATIONI.DICAVIT M.D.LXXXVI Quae ille praeftiterit, ut ampliffimos undequaque Hortos hof- ce efficeret, prodit etiam epigraphe , quam affixit parieti Aedium ad meridiem , quae ita fe habet: CYRIACVS . MATTHAEIVS ALEX F. CYRIACI.NEP HORTOS.CAELIOS GENTILICIOS . POMARIIS AVIARIIS . NF.MOR1BVS OBELISCO .AEDIFICIIS IAM.INSTRVCTOS AD . MAIOREM . POSTEROR SVORVM.AMICORVMQ_ OBLECTATIONEM VETERIBVS ETIAM .SIGNIS EXORNAVIT Huic etiam infcriptioni confbna eft altera, quam edidit Petrus Leo Cafella (0 , quae forte Hortorum domini, & conditoris fuffragium non tulit, cum nullibi ipfam infculptam viderim. En ipfam: CY- (0 Elogia illufirium Artificum;, Epigrammata, Ionis, de Tufcorum origine, & Republica Florett- &foferiptiones,poliLibrumdeprimisItaliaeco-tina,pag.186.edit.Lugdun.1606.   CYRIACVS.MATTHAEIVS.ALEXANDRI.F CYRIACI.N GENIO . CAELIMONTANAE . SALVBRIORIS . AMOENITATIS HORTOS . GENTILICIOS . SIBI . ET . SVIS . AEDIBVS . ET AQVIS . IRRIGVIS . EXCOLVIT . FONTANIS . EXHILARAVIT QVAE . PRO . GRADVVM . CORONA . EX . EPISTYLIIS . ALTE SVBSILIENTES . FLORVM . IN . CIRCIS . FLORVM LVDVNT.LVDICRA TVM. ET . AREAM . ET. AREOLAS TOPIARIIS .SEPSIT .POMARIIS VALLAVIT AMBITVM.MVRO.CINXIT VETVSTEIS .MONVMEN TEIS .SIGNIS .DISPOSITIS ET .MVNIPICENTISSIM A.S.P.Q R INDVLGENTI.A OBELISCO. EXORNAVIT X. Quare Hortos nortros vel hilce infcriptionibus ita iamamplos,excultos,elegantes,&locupletesdefcriptos habes , ut vix nobis , quae infuper adnotentur, relinquantur. Innuemus tamen. Aedes, quae in medio Hortorum adfur- gunt, ex lacobi Ducae architeilura conditas fuilTe, quarum vertibulum porticu ornatur , columnis, lignis, ac protomis infignita; quemadmodum aula , & cetera , quae fequuntur , cubicula undique & lignis, & protomis , & columnis , & ana¬ glyphis, & cippis, & aliis rarirtimis cimeliis, inter quae men- faexviridiporphyreticomarmore,miruminmodumpraecellunt . Porticum enim in primis ornant Statuae ex alaba- rtro Pomonae, & Midae Phrygiae Regis, aliaeque Bacchi, Faunorum,&Caracallae.Tumauladirtinguebaturpraefer- tim Simulacro colofleo M. Aurelii Antonini, & Statua eque- ftri L.Aurelii Commodi, qui Antoninus alter, vel Hadrianus antea cenfebatur , quae dein in Mufeum Clementinum Vaticanumtranslataeft.Inadiacentibuscubiculisreconde¬ batur d2 XXVII   XXVIII batur inter cetera caput Ciceronis, quod nunc in Aedibus adCircumFlaminium,caputalterumIovisSerapidisexba- falte , tum caput Plotinae Traiani uxoris, & Signa Dianae, &.Herculis,Graecifculptorisopera,aliaque,quaeiamVa¬ ticanoMufeo,utinfradicemus,infuperaccefierunt,Fauni cum utre iacentis , & alterius a Satyri pede fpinam extrahen¬ tis,actandemStatuaAmicitiae,opusPetriPaulliOlivem, quamCyriacoMatthaeiodonodederatVirginiusUrlinius, ut patet ex epigraphe , quam exhibet lamella aenea ibidem appoiita: VIRGINIVS . VRSINIVS CYRIACO . MATTHAEIO AMICITIAE .MONVMENTVM STATVERE ILLVSTRIVS. ME . IPSA AMICITIA NON.POTVIT MDCV Aditus ex foribus Hortorum recda ad Aedes ducit per ambu¬ lacrum , utraque parte ornatum urnulis fepulcralibus elegan- tiffimis, ut nufquam tot ullibi fe vidiffe affirmaverit Montfau- coniusb) . Aedium vero externus paries meridionalis multis etiamdiffinguiturSignis,acpraefertimImpp.IuliiCaelaris, Octaviani Aug. , Cl. Domitii Neronis facrificantis habitu , Liviae Aug. Coniugis, tum etiam Cereris, ac Bacchantum . In medio autem pariete tollitur (lemma Matthaeiae gentis, pileo ornatum , cui haec subscribuntur: HIERONYMO.CARD MATTHAEIO HicenimfuitCard.tituliS.Pancratii,Cyriaci,&Afdruba- lis frater, cui iidem titulum etiam pofuerunt in Templo Ara- caelitano (2^>. Area dein panditur, in qua celebris Urna IX. Mu- (0 Diar. Italie. Cap. X. pag. 148. dal P. F. Cajimiro Romano &c. Cap. V. pag. 72. (2) Vid. Memorie ijloriche della chiefa, e con¬ Vid. aliud monumentum ibid. Cap. XVII. pag. 451. vento di S. Alaria in Araceli di Roma raccolte /•-rr.   XXIX Mufarum proflat, & in cuius medio cernitur Obelifcus Ae¬ gyptius variis infcriptus hieroglyphicis litteris, quas haud mo¬ ramur , cum neque Hermapionis perlonam geramus , qui Obelifcorum inlcriptiones olim interpretatus Auguftum dece¬ pit, neque etiam Kircherium imitari lubeat, qui eamdem_. provinciamornansdecepitfeipfum.CeterumMarchioSci¬ pio MafFeius (0 in ea fuit fententia , ut putaret , fculpturas Obelifcorum nullam fcripturam praefeferre, notafque illas nul¬ liusgeneris efle litteras. Quare id dumtaxat innuemus, Matthaeianum Obelifcumaltumefle XXXVI.palmos,latumvero ad baflm palmos IV. Caret vero litteris, five notis X. a bafi palmis,livequodilledataoperafieftusfuerit,fiveignecafu confumptus. Verumtamen novem primae, quae in cufpide conlpicuaefuntnotaeadquatuorlingulalatera,omninocon¬ veniuntcumiis, quasexhibet Obelifcus, olimIpinaeimpolitus CirciFloraeinvicoPatriciointerViminalemcollem,& Exquilias, nunc in Hortis Mediceis ereftus. Nofter vero ex- ftabatolim ante fores minores Templi Aracaelitani, e quibus in plateam Capitolinam delcendcbatur, five in eius Caeme- terio, ut placet Boiflardio (2) , in cuius bafe , tefte lacobo Ma- zochio G) , haec legebatur inlcriptio, quam Gruterius (+) ipfe adducit: deo.CAVTE FLAVIVS.ANTISTIANVS V.E.DE.DECEM.PRIMIS PATER.PATRVM TandempetentiCyriacoMatthaeioexSenatusconfultoa.d. III.IdusSeptembrisannimdlxxxii.concefluseftObelifcus,quem fuisin Hortiscollocavit,acdeinduplexmonumentumineius (1) Art. erit, lapid. Lib. I. coi. 3. (3) Epigramm. Vrb. pag. 21. a ter. (2) Topograpb. Vrb. Romae Tom. I. pag. 24. (4) lnfcript. pag. 99. n. 4. ba-   XXX bafe infcripfit , quo fuum gratum animum Populo Romano lar¬ gitori tortaretur, Primum , quod meridiem relpicit, hoc eft: CYRIACVS.MATTHAEIVS OBELIS CVM . HVNC . A . POPVLO ROMANO.SIBI.DATVM.A CAPITOLIO. IN . HORTOS SVOS .CAELIMONTANOS TRANSTVLIT.VT. PVBLICAE ERGA. SE. BENEVOLENTIAE MONVMENTVM. EXSTARET ANNO.M.D. LXXXII Alterum vero boream verfus ita fe habet: S. P. Q_. R CYRIACO.MATTHAEIo OBELISCVM . HVNC . SVMMO CONSENSV.DARI.DECREVIT VT. IIORTORVM. EIVS PVLCIIRITVDO. PVBLICO ETIAM . ORNAMENTO AVGERETVR Huius Obelifci typum non dedimus, quod aere incifus olim non fuerit, neque id nunc Librario luberet, neque nos etiam apprime necertarium cenferemus. Si quis velit eumdem con- fulere,facilecomperietapudMontfauconium0),Iohannem Barbaultium (2) , ac Bonaventuram , & Michaelem Overbe- keiosL) . Ipfum etiam defcripferunt, ac laudarunt Scottius (A } (0 Antiq. explic. Tom. II. Par. II. Lib. II. Cap. VII. Tab. CXL1I1. n. 5. pag. 332. (2) Les plus beaux Alonumeuts de Rome ancien- tie3 ou Recueil des plus beaux morceaux de Pan¬ tiquite' Romaine qui exijleut encore, dejjines par Monfieur Barbault Peintre ancien Petijtonaire du Roy a Rome 3 & grave eu 12S. plancbes avec leur explication ; fol. max. a Rome cbez Boucbard de Pimprhnerie de Komareb 1761. Pl. 30. n. i.p. 47. Ca- O)LesreflesdePancienneRomerecherchez&c. & gravez par feu Bonaventure d'Overbeke &c. , imprimesauxdepensdeMicbeld'0-verbeke.Ala Haye cbez Pierre Gojje 1763. Tom. II. Pl. 14. pag. 21. Vide etim Degli avanzi delPantica Ro¬ ma 3 opera pofluma di Bonaventura Overbeke Pit- toreInglefe&e.3accrefciutadaPaoloRolliPa- trizio Todino . Iu Londra 1739. §. JLVIII. pag. 177. (4) Itiner. ltal. Lib. II. Cap. VII. pag. 401.   XXXI Cafimirus Romanus 0), Marangonius , qui fingulos etiam Romanos Obelifcos enumerat 0) , tum Ficoronius, Venutius, Titius , ceteriquc , qui Romanas antiquitates , &c magnificen¬ tias defcribendas fumpferunt. Reflat nunc caput coloflale Alexandii Magni , quod plateam hanc ornat parte meridio¬ nali , quoque nullum in Urbe maius. Siquidem a mento ad ladicem capillorum mensura eflfex pedum pariliorum , totum vero caput odio pedum, ut proinde fexagintaquatuor pedibus conflaret eius Statua , fi integra fuperelTet. Sane ca¬ put marmoreum Domitiani in impluvio Aedium Capitolina¬ rumeflquinquepedum,acproindeintegraStatuaquadra¬ ginta dumtaxat pedum fuiflet; nec aliter fuadent pes, & alia membrorum frufla, quae ibidem exllant. Tum in Villa Lu- dovifiaefl'caputcoloflalequatuorcirciterpedum;&inIu- flinianeaextraPortamFlaminiamhabebaturolimcolofluslu- flinianiImp.,neccle’funtinaliisvillis,acaedibusRomae Statuaealiaeproceritatevulgariduplo,auttriplomaiores. Caput vero noflrum, quod Alexandro M. tribuitur, quodque nos fuoloco (Villuftravimus, ex Aventini ruini serutumfuit, ut prodit infcriptio , quae ibidem legitur: CYRIACVS. MATTHAEIVS ALEXANDRI. MAGNI. CAPVT. EX. AVENTINI RVINIS. EFEOSSVM . INIVRIA . TEMPORVM NONNIHIL .CORRVPTVM .ANTIQ_VAE FORMAE. ET. NITORI. RESTITVIT VETVSTATIS .AMATORIBVS SPECTAN DVM . PROPOSVIT Ipfum vero accurate descripflt MontfauconiusW,aflad quem pertineat, incertum elfe afferuit. Hinc Ficoronius M mul- (0 Cit. Memor, ijloricbe della chiefa, e con¬ fino alia pag. 36$. ventodiS.MariainAraceli&c. Cap.V.§.V. (3)Tom.II. ClafT.II.Tab. VII.pag.9.  pag.71. (4) Diar.Ital.Cap.X.pag.148. (2) Delie cofe gentilefchej eprofane trafportate (5) Offervazioni contro il Diario dei P. Mont• ad ufo, ed ornamento delle Cbiefe 3 dalla pag. 555. faucon pag. 3 1.   XXXII multas eidem gemmas, & numifmata obiecit, quibus ex for¬ mae fimilitudine fidem huic etiam monumento conciliaret. Sed contra repofiuit Romualdus Riccobaldius (0 , qui Plutar- chifi) teftimoniumurgens,incertamAlexandriM.effigiem etiam tunc temporis exlfitifie contendit, ac magis dubiam fa¬ ciam fuifie deinceps , cum Caracallam lubido incefiit adfcri- bendi fibi Alexandri nomen , praecipiendique quinetiam, ut ipfius vultum quifque fibi pararet, fervaretque . XI. Praeftat vero haec leviter attingere , ut ceteras Hortorum Matthaeiorum partes perluftrando defcribamus . Areola hinc occurrit, cui ab amoeno afipeclu fi) quaefitum nomen eft, & ex qua moenia ab Aureliano producta ufque ad Portam Capenam , & Latinam, & Thermarum Antoniniana- rum ingentia rudera intueri praefertim licet. Statuae, & in- fcriptiones heic ordine difpofitae habebantur, quarum prio¬ res referebant Apollinem Citharoedum, Martem , Mercurium, Dianam, Herculem, Poetam cum cycno, Feminam velatam cum puero, Gladiatorem , & Pudicitiam. Ambulacris hinc in¬ de recurrentibus ad oppofitam partem area altera occurrit, inquapraefertimHermaeconfpiciuntur,quibusPlatonem, Heraclitum, Ariftotelem , Ifocratem, Epicurum, Diogenem, Ariftomachum, Pindarum, Anacreontem , Euripidem , Ari- flophanem , Hefiodum , Apollonium Tyanaeum, Pofidonium, Apuleium, L. Iunium Rufiicum, Archimedem, aliofque re¬ ferre vulgo cenfetur. Quid iuvat conclavia, quae fex prae¬ fertimnumerantur, nemora, topiaria, aliaqueloculamenta fingillatim defcribere, eaque fignis , anaglyphis, aliifque monumentis fere undique diffincla Labyrinthum tamen innue¬ mus,licetvixnuncinveftigandum,ecuiusregioneaffingit co Apologia dei Diario Juddetto Cap.LX.pag.48. (3) Belvedere vulgo audit. (2) In vita Alexand. M. pro XXXIII procera columna porphyretica viridis coloris, quae ob minu- tiffimas, ex quibus coalefcit, materiae partes lingularis merito cenfetur. Nec aliae defunt hinc, & illinc difperfae co¬ lumnae , quarum pleraeque multi aedimandae funt, quaeque XXVII. fummatim numerantur. Nodrum vero non ed fon¬ tes, pomaria, viridaria, ceteralqueHortorumpartesvillicis commendatas defcriptione profequi . Innuemus tamen fub Aedibus haberi hortulum malis aureis confitum, ac fupra eius odium hoc didichon legi: HAVRI . OCVLIS . ET . NARE . LICET . TIBI . VIVA . VOLVPTAS SIC . ALITVR . TANTVM . CARPERE . PARCE . MANV Plures funt in Hortos ingrefius; fed duo infigniores, quorum unum, idque princeps, prope Templum S. Mariae in Do- mnica;alterumveroadCuriamHodiliam,quiconditoris nomen gerit, cum longa linea infcriptum habeatur : HIER. MATTHAEIVS . DVX . IOVII . AN. IVBILAEI . MDCL XII. Habes, quae fuerit Hortorum Matthaeiorum amplitudo, amoenitas, & praedantia. Hinc nil mirum , d advena somnes infui admirationem rapuerint, tumcivesad se ipsos sive describendos, live illudrandos invitaverint. Quare Scottius('),Mabillonius(12345),Montfauconiusb),Addifo- nius (d , Richardius b) , aliique inter exteros tum ipfos expen¬ derunt, tum in fuis hodoeporicis praedantioreseorumdem partes defcribere fatagerunt. Inter nodros vero illos potidimum quoquo modo illudrarunt Pinarolius (6), FicoroniusW , Ve- (1) hin. Ital. Lib. II. Cap. VII. pag. 401. (2) Itin. Ital. pag. 88. (3) Dior. Ital. Cap. X. pag. 148. (4) The Works of the right honourable lofeph Addifon EJ'q., Beingh remarks onfeveral parts of Jtaly &c. in the Tears 1701. 3 1702.3 1J03. Du¬ bii» 1735* Vol. III. pag. 16 3. (5) Defcription hiflorique} & critique de Phalle; a Dijon 1766. Tom. VI. Par. II. Cap. 17. pag. 169. (6) Trattato delle cofe piri memorabili di Roma, opera di Gio. P. Piuaroli; Roma 1725. Tom. II. pag. 274. , e fegg. (7) Le •vejligia 3 e rarita di Roma antica ; Roma 1744. Lib. I. Cap. XIV. pag. 90. 3 e Lib. II. Le Jingolarita di Roma moderna Cap.VIII. pag-68.   XXXIV VenutiusCO , Vafius W , & Titius^) ; Celebrarunt vero inter Poetas Aurelius Urfius Romanus (4) , & Ludovicus Lepo- reus C). Tum monumenta ipfa , quae in illis adfervantur, nacta funt qui & typis exprelTerint, & explanaverint, ut luo loco monuimus. Si Signa lpectes, eorum praeflantiora adducta habes a Paullo Alexandro MafFeio, & Bernardo Mont- fauconio.SiAnaglypha,eorumpleraqueeditaviderelicet apud Sponium, Bellorium, & ipfum JVIontfauconium. Si In- fcriptiones , noftris pleni funt celebres thefauri, live colle¬ ctionesiameditaeab Apiano, Mazochio, Smetio, Urlinio, Gruterio, Reineho , Sponio, Malvafia, Gudio, Donio, Fabrettio, Muratorio, Maffeio,Donatio,aliifque.At,quae lane elt rerum humanarum infelix conditio, ita paucis ab heincannisimmutataeltHortorumnoltrorumfacies,utqui cosintueaturpraeltantioribusmonumentisIpoliatos,atque undique collabentes , dicere fimiliter poffit: Iam fcgcs cjt, ubi 'Troiafuit. Sanenon nullas marmoreas Infcriptiones in Caeliis Hortis exltantes conceflcrat iam Alexander Matthaeius Iovii Dux Cl. Praefuli Raphaeli Fabrettio, ut ipfe grati ani¬ mi caufla faepe commemorat, in fua domelticarum Inlcriptio- num fylloge , & nos quinetiam fuis locis advertimus. Tum ex iis profectum eft in Mufeum Capitolinum, poftulante Bene- diftoXIV.PontificeMax.,marmorAebutianum,iamanobis adductum (D , & antiqui Romani pedis, aliorumque Archite¬ cto- (0Accurata,efuccintadefcrizionetopografi¬ nuovofinoalTannoprefente.InRoma1763.pag. ca , e tjlarica di Roma moderna , opera pofiuma di Ridolfino Venuti &c. Roma 1766. prejfio Carlo Bar- biellini Tom. I. pag. 4. (2) Itinerario iflruttivo divifo in otto fiazioni 3 0 giornaie per ritrovare con facilitd tutte le an- tiche 3 e moderne magnificenze di Roma, di Giu- feppeVafiInRoma1765.11.58.pag.62. (3) Defcrizione delle pitture , fcalture, e ar- cbitetture efpojle al pubblico in Roma, opera co- minciata dati'Abate Filippo Titi da C.itta di Ca- fielk,conPaggiuntadiquantoeflatofattodi 208., e 475. (4) Carminum Tib. III. Epigr. 32. pag. 74. edit. Parmen.,&Bonon.3ubihaechabentur: ln Hortos Mattbaeiorum: Komae fepultae hinc intueri imaginem , Arcus,theatra,Scimperiivireslicet. Urbis , & Orbis lumina, & miracula. (5) Poefie; ln Roma 1682. pag. 88. Sonetto. (6) Tom.III.ClalT.X.Sect.VI.n.<;.Tab.LXII. Fig. I. pag. 118.   XXXV flonicac artis inftrumentorum forma infculptum; cuius rei memoria exftat in titulo marmoreo , qui ibidem appofitus ell f ^. Sed noftra aetate maximum palTi lunt detrimentum , cum novi Vaticani Mufei condendi neceflitatem peperit erum¬ pens quotidie veterum monumentorum copia , & eorumdem alportationis impediendae providentia. Poftquam igitur San- dlillimus , ac fapientilTimus Pontifex Clemens XIV., quem utpoteprimumlitterariaemeaefortunaeparentem,&publi¬ caetranquillitatis,quafruimur,fundatoremfempergratoani¬ mi fenfu , & laudum praeconiis profequar, Ambulacrum Va¬ ticani Palatii, quo iter eft ad Bibliothecam, veteribus Infcri- ptionibus in clalfes naviter diftinefis V) ornandum fufeepit; tum Chriftianum Mufeum, quod aeternae memoriae Pontifex Benediftus XIV. iam excitaverat, & gemma affabre Iculpta, (i) Editus eft a CI. Praefule Ioh. Bottario in opufculo , cui titulus: Indice delle antichita 3 cbe fi cujiodiscono nel Palazzo di Campidogltc &c. pag. 8., poft Philippi Titii librum de Pi&uris , Scul¬ pturis j & Architecturis Romanis ab eo amplifica¬ tum3 quoddeinfeorfimbisetiameditumfuit: Mo- ('b) Grut. Tom. II. pag. 167 (c) Fabrett. de Aquis , & aquaedu6tib. Differt.II. pag. 73., & 74. n. 129. j & feqq. (2)HucconfluxeruntpraeterMatthaeianas, veteres Infcriptiones domus Porciorum 3 tum plures Paflioneii Eremi apud Camaldulenfes in Tufculo. Ceterum vide varias antiquas Infcriptiones ex iis 3 quae pro hac ingenti colleftione coa6tae fuerunt 3 vel memoratas , vel addu6tas in Epiftola noltra edita in Ephemeridibus litterariis Florentinis anni 1772. n. 10. coi. 14S. , & n. feq. coi. 170, um in aliis n. 45. j & feqq- coi. 6yy. 3 & feqq., dein n. 48. coi. 7$S.3 ac tandem n. 1. earumdem Anecdotorum noftrorum . De Feriis Latinis huc addu&is vid. quae adnotavimus hoc I. Vol. Clafs. VII. pag. 73. e2 00 (&) (0 Ephemeridumanni1775.coi.4.3tumn.2.coi.10. Confuleetiam Opufculum, cuititulus: Adlnfcri- ptionemM.luniiPudentishocipjoannoRomae deteffam adverfus anonymi convicia curae pojlerio- Dono.Hieronymi.Principis.Alterii res(CaietaniMelioris).Romae177$.Vid.Ephe¬ Aebutianum merides Romanas eiufdem anni 3 ubi de eadem In- Ex.Matthaeiorum.Villa feriptioneEpiftolaCl.viriMatthiaeZarilliin.XXI. pag. 161. Habes etiam aliquas Infcriptiones Va¬ ticanas editas a CI. Viro Caietano Marinio Tom. IX. 3 & feq. Diarii Pifani litteratorum 3 & in Syl- loge veter. Infer. 3 qua claufimus III. Volumina Marmora. omnia . antiqui . pedis Modulo . infculpta Scriptorumq. teftimoniis . commendata Benedictus . XIV. P. O. M In . Mufeum . Capitol. tranftulit Anno . Pontif. III Dono . Hieronymi . Ducis . Matthaei Capponianum Non . ita . pridem . Via . Aurelia . reper Ex . Aedibus . Capponianis Dono . Alexandri . Gregorii Marchion . Capponii Eiufdem . Mufei . Curatores . perpetui Statilianum In . Ianiculo . alias. effofium Ex . Hortis. Vaticanis Colfutianum . feu . Collotianum Ex . Marii . Delphini . Aedibus (a) Aldrovand. pag. 121.   XXXVI Mofaici ferpentis emblema referente (0 , & Carfagnanae fi- gillo(*), testimonio sane luculentissimo antiquae eiufdemfi¬ delitatisergaBeatumPetrum,&RomanamEcclefiam,pro¬ vide ditavit, novique cubiculi elegantifiime picti a temporum noftrorum Apelle, Antonio Raphaele Mengfio, accefiione auxit, ut Papyris omnibus per Bibliothecam , & fecretum Ta¬ bularium olim difperfis, in unum colleblis, aliifque Vibloriae gentiscomparatiscertuslocuseffiet(?);acinfiuperEtrufco- rum Vafculorum, quibus Bibliothecae Vaticanae fcrinia 01- nantur , fupcllecfilem mire amplificavit M ; ipfumque tandem aeneorum monumentorum Mufeum a Clemente XIII. fplen- dide exftrucfum, praeter recentia ad fe dono mifia Vindobo- nenfis , Parifienfis , Taurinenfis , Palatinae, aliarumque lega¬ liumfamiliarumaureanumilmata,argenteisnummisquine- tiarn FerettiaeE) , & Palfioneiae EI gentis, tum & ballarinii Mufei Wfanerariffimis, Herodis AntipaeE)lingulariaeneo (1) Offervazioni di varia erudizione fopra un carneo antico rapprefentante il ferpente di bronzo, efpojle da Orazio Orlandi Romano &c. In Roma 1773. per Arcangelo Cafaletti . Vide cenfuram_, noftram in Ephmerid. Litter. Romanis eiufdem an¬ ni num. XLI., 8c XLIE (2) Vid. Ephemerides litterar. Florentinas anifl' 1771- n. 12*43- c°l* 194- j & feqq. Articulum nos ipfi fuppeditavimus Donum Cl. Praefulis Ste- phani Borgiae. llluftratum pridem fuerat a Cl. alio Praefule Iofepho Garampio edito opere , cui titulus:IlluflrazionediunanticoSigillodellaGar- fagnana. In Roma 1759. per Niccolb , e Marco Pagitarini. Anonymi Lucenfis cenfuris refponfio nunc paratur. (5)^ rid. in cit. Ephem. Flor. ann. 1771. n. 1. num- gubiui de tribus Vasculis Etruscis encaatice piclis a Clemente XIV• P O. M. in Mufeum Vaticanum inlatis Differtatio . Florentiae 1772. in Typogra- pbia Mouckiana - Ex Mufeo Anfideiano Perufino . Alia plura Vafcula in Vaticanam Bibliothecam mi¬ grarunt ex munere Antonii Raphaclis Mengfii eximiiPi&oris, & Raphaelis Simonettii PatritiiAu- ximatis,CanoniciBafilicaeVaticanae3&SS.D. N. a cubiculo. (5) Vid. articulum noftrum in Ephem. litter. Flor, anni 1771. n. 14. coi. 210. (6) Vid. ibid. n. 31. coi. 482. (7) Nempe Simonis Ballarinii Praefe&i Biblio¬ thecae Barberiniae j & a cubiculo Pontificio, qui obiit V. Idus Martii anni 1772. Hic donavit aliquot rariora, & vetuftiora numifinata Pontificia, feu potius nummos ; cetera empta poft eius obitum. coi. 5.3 ubi alter articulus nofter de huiufmodi Papyris . Adde Papyrum alteram dono datam ab Equite Marchione Carlo Mufca Bartio Pifaurenfe, dequaconfuleEpiftolamnoftraminfertamEphe¬ mo3inNummophylacioClementisXIV.P-O.M. meridibus Florent, anni 1775., & praefertim n. 49. coi. 774., & n. 51. coi. 811. Vid. & Praefatio¬ nem noftram ad Fragmentum Papyri faecali V. 3 velVI.&c.inTom.II.Anecdotor.litterar.p.437. (4) Iobannis Bapt. Pajferii Pifaurenfis Nob. Eu- affervato, demonflratur, Cbrijhrm natum ejfe anno VIII- ante aeram vulgarent contra veteres 0- mnes , & recentiores Cbranologos, auBore P Do¬ minico MagnanOrd. Minirn. Presb.&c. Romae 1772. typis Arcbangeli Cafaletti. Vid. 8c Epifsolamnummo, aerae Chriftianae inchoandae documento, Bruti, Sc Numoniae confularis familiae aureis nummis Plancani Mu- fei('),quorumunuspretiofiffimus,alteranecdotus,Titi,Sc Traiani argenteis Graecis nummis rarioribus maximi modulis vigintiduobusinM.Antoniinummislegionibus,&binisine¬ ditis Lucretiae, & Minutiae gentis, a Traiano reftitutis nu- mifmatibus Mufei Zarilliani (2) , veterum Beneventi Ducum ab Arigilio ad Georgium Patricium aureis, argenteifque nummis bene multis 0) , Etrufci pueri in Tarquinienli agro eruti prae- clariffimohmulacroexaereG),TabulisaeneisOftranorum,& SentinatiumveterumUmbriaepopulorumG),tumpaterisG), fiftrisG) , inauribus (s) , vitris vetuftilTimis C9) , ac ceteris hu- iufmodi monumentis munificentiffime locupletavit; id infuper conlilii cepit, ut novum omnino Muleum in ipfis Innocen- tii VIII. cubiculis, infigni porticu, adytifque ornatiffimum ad excipiendumfigna , protomas, anaglypha, ceteraque mar¬ morea monumenta excitaret . Inlatum fuit quapropter in ipfum , ut primum licuit, Iovis Verofpiae gentis marmoreum Signum praeclarissimum (IO), tum aliud omnino integrum, rarum- ]ara noftram in Ephem. litter. Florent, anni 1771. n. 35. coi. 517*) & feqq. Donavit Henricus San- clementius Monachus Camaldulenlis } nunc Gregorianii Coenobiiad Clivum Scauri Abbas. (1) De his vid. Epiftolae noftrae partem 3 quae eft in Ephem. litter. Florent, anni 1773* n* 47* coi. 745.3 & n. 49. coi. 772.3 & feqq. De nummo Bruti vide etiam 3 quae adnotavimus Tom. II. ho¬ rum Monumentor. ClalT.II. Tab.XII. Fig.I. pag.29. (2) Vid. Epiftolam noftram in cit. Ephcmcrid. ann. 1774- n- 43* c0,‘- 67S. & feq. (3) Vid. camdem ibid. coi.68 1. Donum Cl. Praef. Steph. Borgiae . (4) Vid. articulum noftrum in cit. Ephcmer. anni 1771- n. 49. coi. 774. 3 & Praefationem nostram ad Alphabetum veterum Etruscorum pag. 29. Videndaetiamloh.Bapt.PajferiiPifaur.JVob.Eu- gubini de pueri Etrufci aeneo firnulacro a demen¬ te XIV. P- O. M. in Mufeum Vaticanum inlato Dijfertatio . Romae in Aedibus Palladis 1771* Con- fule tandem 3 quae nos adnotavimus hoc I. Vol. Clalf. X. pag. 108. Donum praeclarifiimi Praefu- Jis Francifci Carrarii Bergomatis} qui etiam pate¬ ras j & numifmata aliquot argentea donavit 3 de quibus vide Epiftolae noftrae partem 3 quae eft ad n. 40. coi. 628. Ephem. Flor. ann. 177 1. (5) Vid. articulum noftrum in laud. Ephem. e- iufdem anni n. 1. coi. 4. Retulit Muratorius Thef. Infer, pag. 563. n. 2. 3 & pag. 164. n. 1. (6) Vid. Epiftolae noftrae partem in Ephem. Flor, ann. 177^. n. 47. coi. 745. Adde pateras Carra- rianas , de quibus fuperius adnot. 4. (7) Vid. ibidem . (8) Vid. eiufdem Epiftolae partem, quae eft ibid. n. 49. coi. 772.3 8c feqq. (9) Vid. Ephemerides litter. Romanas anni 1774. n. VI. pag.41. DonumCl.PraefulisMariiGuar- naccii Volaterrani. (10) Vid. articulum noftrum in Ephem. Flor, an¬ ni 1771. n. 49. coi. 777.3 quaeque adnotavimus hoc   XXXVIII rumque Ottaviani Augufti (0 , Meleagri alterum longe cele¬ berrimum Aedium Pighinianarum 0) , lunonis, & Narciffi (s) non deterioris artis, & famae gentis Barberiniae, Sardanapali fuo nomine inferipti (4) , Paridis Aedium Altempliarum (j) , Dianaeftolatae(6),&fervibalneatorisV)HortorumPam- philiorum , Dilcobuli laudatiffimi in agro Romano non ita_» pridem eruti, aliorumque; Tum Borgiae gentis Helvii Perti¬ nacis rariffima Protome (8) , aliaque Antinoum referens, Card. I tidetici Marcelli Lantis munus (9), Antifthenis Athenienfis I hilofophi Herma Tiburtinus 0°), Ara Vulcani Hortorum Ca- falium('05BigacircenfisadDiviMarciBalilicamiacens<12), hoc Tom. I. ad Tab. I. pag. 2. Vid. typum apud £q. Paullum Alexand. MafFeium in ColleEtionc ve¬ terum Signorum Romae Tab. CXXXV. pag. 127. (0 Vid. quae adnotavimus hoc Tom. 1. ClalT. VIII. Tab. LXXVL pag. 77. (2) Vid. EpiRolae noftrae fragmentum in Ephcm. Flor, anni 1770. n. 15. coi. 231. , quaeque ad¬ notavimus Tom. III. horum Monument. ClalT. V. lab. XYX. pag. 59. Vid. apud eumdem MafFeium ibid. Tab. CXLI. pag. 131. C$) Laudantur haec Signa ab omnibus Romana¬ Can- Vid. typum Tab. 36. cit. Villae Pamphiliae . (S) Typum aeneum habes apud lof. Roccum Vulpium Vet. Lat. profati. Tom. IV. Cap. VI. Tab. VII. Vid. Fpiftolae noftrae fragmentum in Ephem. Flor, anni 1773. n. 34. coi. 551., quae¬ que adnotavimus Tom. II. horum Monum. ClalT. III. Tab. XXVI. Fig. II. pag. 42. (9) Meminimus hoc ipfo Vol. ClalT. VIII. Tab. LXXXVIII. pag. SS. (10) Vid. Epiftolam noftram in laud. Ephemer. eiufd. anni num. 45. coi. 715. 3 & n. 47. coi. 742. rumAntiquitatumferiptoribus,alterumveroad¬ OORagiotiamentodiOrazioOrlandiRomam ducitur a Hier. Tetio in Aedib. Barbariniis litt. N. a Cl. Ioh. Winckelmannio Monum. antiq. inedi V°l. F n. 207. , Protomen porphyreticam Philip pi Imp. , & duos Sarcophagos, de quibus omn bus vide Epiftolae noflrae partem in Hphcin. Flo; ann. 1772. n. 45. coi. 711. (4) Vid. eius typum apud Winckeimanniur loc. cit. Vol. I. n. 163. , cuius illuftrationem ha b_s \ ol. II. Par. III. Cap. I. pag. 219. (5) Apud Maffeium cit. Colle#. Tab. CXXIV pag. 116 . (6) De Dianae Signo Winckelmannius loc. cit. X° l U' Par’ L CaP- VII. n. III. pag. 27. Vid. t)pum T„b. 5-3. in y t/la Pamphilia, eiufque pa¬ latiocumfuisprofpeclibus,fatuis,fastibus&c. Romae formis Iacobi de Rubeis . (7) De Servi balneatoris Signo, quod Senecae falfo tribuitur , vide eumdem Winckelmannium Jbid. Par. IV. Cap. IX. n. II. Jitt. C. pag. 256. fopra un’Ara antica pojjeduta da Monfig. Antonio Cajali Governatore di Roma . Iu Roma per Ar- cangelo Cafiletti 1772. Vide, quae nos adnota. vimus Tom. III. horum Monument. ClalT. VII. Tab. XXXVII. Fig. II. pag. 73. Adde vas cine¬ rarium elegantilTimuin , quod fimul dono datum cft,&abOrlandioilluftratum.PraecelTeratan¬ tea donum Capitis aenei Balbini Imp. , de quo nos in iudicio , quod de hoc Opufculo emifimus in Ephemerid. Roman. anni 1772. n. XXXV. pag. 276., & in Epiftolae fragmento, inferto Epheme¬ rid. Florent, anni 1771. coi. S21. (12) Eius fchema exhibuit Tab.III.fub n.XLVIII. ad Cap. XXIII. coi. 2111. Valerius Chimentcllius illuftrans Marmor Pifanum de honoreBijfelli(Tom. VII. Antiq. Rom. Graevii') qui balnearem feliam putat, & rurfus alferit Cap. XXVII. coi. 2130. Vid., quae adnotavimus Tom. III. ClalT. VIII. Tab. XJLVII. Fig. II. pag. 87.   XXXIX Candelabra BarberiniaCO , Zeladianum C2> , aliaque ad Divae Agnetis extra Portam Nomentanam adfervata OJ , Sarcophagus Veliternus quantivis pretii Sex. Varii Marcelli V) , Urna Tudertina (A egregii Etrufci operis, & altera Perufina V) ar¬ canis ethnicorum fculpturis infignita , aliaque permulta , quae fciens praetereo, quaeque iam eruditorum fcriptis lon¬ ge , lateque inclaruerunt. His omnibus accedunt praeftan- tiora Hortorum Matthaeiorum Signa, quorum pleraque fupe- rius etiam pro re nata defignavimus, Cereris nempe Peden¬ tis (7) , & ftantis (8) , Fauni dormientis (9) , & a Satyri pede (pinam extrahentis 0°) , armatae Amazonis (‘0 , velatae.» Pudicitiae 02) , OHaviani facrificands C'3) , Traiani Pe¬ dentis ('4), Commodi equo vecti (**), duo Hiftrionum (igil- (1) Vid. Epiflolae noftrae fragmentum in Ephem. Flor, anni 1770. n. 15. coi. 230. Alterius ex his Candelabris fchema habet Winckelmannius loc. cit. Vol. I. n. 30., agitque de eo Vol. II. Par. I. Cap. XII. n. i» pag. 36. , & alibi. Vid. adnot. feq. (2) Vid. articulum noftrum in Ephem. Florent, eiud. anni n. 45. coi. 71 5. , & feqq. Vid. Opuf- eulum , cui titulus : Difcorfo deW Abate Gaetano MarinifopratreCandelabriacquijlatidalS.P. demente XIV- b> ftfa *77*• PreJF° Aaoftino Piz- zorno. Tab. III. aeneae. Ex Diarii Pifani Tom. III. art. V. pag. 177. (3) Ex V. 3 quae exftabant y IV. in Mufeum Clementinum Vaticanum adfportata , quintum fuo loco reli&um ed:. De his multi Romanarum anti¬ quitatum Scriptores verba faciunt. (4) De hoc Sarcophago s qui a pluribus editus, & illuftratus effc, vide Ephemerides Romanas ann. 1775. n. III. pag. 17. (5) Vid. Epiftolam noftram in Ephem. Flor, an¬ ni 1771- n* 45h coi. 712.3 & feq. De hac Urna verba fecimus etiam in hoc I. Vol. ClalT. X. ad¬ not. ad Tab. CII. pag. 107.3 & Vol. III. ClalT. V.Tab.XXIV.Fig.I.pag.5-7. la corum fculpturis in/ignito 3 in quibus fymbolice fa- cra quaedam revelatae Religionis mvfieria adum¬ brantur 3 & Clementi XIV. P. O. M. , ac fapien- tijfimo ad incrementum Mufei Pontificii Vaticani ab Emerico Bologninio Ferufiae , e?* Vmbriae Praefide humillime oblato Coniecturae loh. Bapt. FaJJerii Pifaur. Regiae Academiae Londinenfis 3 Infii- tuti Bononienfis Socii. Romae 1773. apud Benedi- Bum Francefium. (7) Matthaeiana monumenta ad Mufeum Vatica¬ num ornandum comparata innuimus in EpiHolae no- ftrae articulo, inferto Ephem. Flor, anni 1771.0.1- col. 6. Singula vero in his Voluminibus defignavi. mus. Vide ergo Signum Cereris fedentis Tom. I. ClalT. II. Tab. Tab. XXXVI. pag. 21. (8) Vid. ibid. Tab. XXX. pag. 24. , & feq., & apud Maffeium Tab. CVIII. coi. 100. (9) Ibid. ClalT. III. Tab. XXXIV. pag. 28. (10) Ibid. Tab. XL. pag. 32. (11) Ibid. ClalT. IV. Tab. TX. pag. 53., apud Maffeium Tab. CIX. pag. 202., 8c apud Montfau- conium Antiq. explic. Tom. IV. Par. I. Tab. XIV. n. 2. pag. 2. (12)Ibid.ClalT.V.Tab.LXII.pag.$6.3 & apud Maffeium Tab. CV1I. pag. 99. (6) Vid. eamdem Epiftolam noftram in cit. Ephem. Flor.n.47.coi.741.3&feqq.3tumea,quae (13)Ibid.ClalT.VIII.Tab.LXXVII.pag.77* innuimus Tom. III. horum Monum. ClalT. II. Tab. XII. Fig. II. pag. 22. Exftant etiam De marmoreo fepulcrali Cinerario Ferufiae effoffo3 arcanis ethni¬ (14) Ibid. Tab. LXXXV. pag. 84. (15) Ibid. Tab. XCIII. pag. 92. , & apud Maf¬ feium Tab. CIV. pag. 96. Notae funt Ficoronii ex- po«   XL la (0 , ac truncus militis gladio cincti, galeamque pede dex- tero prementis W ; tum Protomae Iovis Serapidis G) Sile¬ ni (P, Plotinae W , & L. Veri(6) ; infuper aenea capita Ne¬ ronis (7) , & Treboniam Cg) , lymplegma vel Ariae, & Poeti, vel Portiae, & Bruti (9) , St animalium collectioni accenfiti Aries arae impolitus P°), Leo, St Aquila PO; praeterea ba- fes pompam Iliacam referentes ('V, & anaglypha Coniuges IfidifacrilicantesC'S), VeturiamalloquentemCoriolanumP4), natale Romuli, St Remi C‘j), & Nymphas fontium praeli- des (l6) exhibentia; ac tandem Cippi, Urnae , & Infcriptio- nes bene multae , quas fuis locis delignare fategimus C17). Cetera vero aliter diftracta , & praefertim Marci Aur. Anto¬ nini praetextati Protomen a Gavino Hamiltonio Anglo comparatam (,s) haud perfequi vacat , quum iam tantus Vatica¬ narum divitiarum fplendor in fui nos modo rapuerit admira¬ tionem . Quare li tantae rerum antiquarum fupcllectili ibi¬ demcoadtaeaddasceleberrima,iamtumibidemadfervata, marmoreaSignaiacentiaCleopatrae,liveNymphaeadfon¬ tem dormientis ('A, Nili C*°), St Tiberis amnium, tum cete- pofhdationes adverbiis Maffeium 3 & Montfauco- (ii) Leo3& Aquila defiderantur in noltra hac nium,quodhocSignumHadrianotribuerint. collectione. (1)Ibid.Claff.X.Tab.XCIX.pag.100.3& (12)Tom.III.Claff.IV.Tab.XXV.Fig.I. apudSponiumMifcell.erud.antiq.Se6t.IX.n.1. (2) Nunc reftauratur 3 ut in integrum Signum evadat . Quare mirum videri non debet apud nos defiderari. (3) Tom. II. Claff. I. Tab. I. Fig. II. pag. 3. (4) Ibid. Tab. VI. Fig. II. pag. 8. (5) Ibid. ClafT. III. Tab. XV. Fig. II. pag. 34. (6) Ibid. Tab. XXIV. Fig. I. pag. 40. (7) Ibid. Tab. XIII. Fig. II. pag. 32. (8) Ibid. Tab. XXXI. Fig. I. pag. 46. Vid. Epi- ftolae noltrae fragmentum in Ephem. Flor. 1771. n. 52. coi. 822. (9) Ibid. Claff. V. Tab. XXXIV. Fig. I. pag.48. (10) Ibid. ClafT. X. Tab. LXIX. pag. 92. , & apudMontfauconiumAntiq.explic.Tom.II.Lib. III. Cap. I. n. 2. pag. 49. Tab. IX. n. 1. &II.pag.44. (13) Ibid. Tab. XXIV. pag. 41. (14) Ibid. Claff.VII. Tab.XXXVII.Fig.I. pag.7 r (15) Ibid. Tab. ead. Fig. II. pag. 73* f 16} Ibid. Claff.X.SeCt.I. Tab.LIII. Fig.I.pag.95*. (18) Vid. Tom. II. Claff. III. Tab. XXII. Fig. I. pag. 38. (19)Vid.Ioh.WinckelmanniumTraCtatuprac- liminariadMonumentaantiquaanccdotaCap.IV. pag. XC. Vol. I. (20) Vid. Epiftolam noltramin Ephemeridibus Jit- ter.Florent,anni1775".n.2.coi.22.3&feqq., ubi de huius Statuae reltauratione 3 & lingua per¬ peram crocodilo affi£ta.   XLI ra longe praeclariflima Apollinis Pythii, Laocoontis, Anti¬ noi, Herculis cum Aiace (0 , Antinoi, & Veneris, truncus Herculeus, quod opus erat Apollonii Athenienfis, & Michae- lisAngeliBonarotiifpedaculum,actandemvasingenspor¬ phyreticum,larvasfcenicas, arasfacrificiales ab Agrippae Pantheo avedas, aliaque nonnulla , nae tu dixeris, erudite Ledor, praeftantiora quaeque artis miracula heic Graecae, & Roma¬ nae magnificentiae Genio templum parafTe , fibique aeternam afieruifle incolumitatem. Sed quid non infuper Iperandum aPIOVI.Pont.Opt.Max.,cuiusprovidentianuncregimur, & cuius dudu, confilioque, dum Aerario Pontificio praeeflet, tantumopusinchoatum,acperfectumeft?Ipfeenimlibera¬ lium artium amore incenfus iam tantum opus amplificandum regio plane animo , & magnifico fumptu fufcepit, iamque multa plane egregia antiquitatis cimelia , quae in lucem aufpi- cato nunc e terrae finu prodierunt, fedulo conquilivit, atque paravit,quibusauguftumhocMufarumdomiciliumprodigni¬ tate exornet. Huc nimirum confluet Fauni Signum celeberri¬ mum ex rubro Aegyptio marmore , Hermae Bacchandum, & Herculis lane elaboratiflimi, Antifthenis alter haud vulgaris, tumDomitiaeAuguftaenonobviaProtome,olimComitis lofephi Fedii deliciae, ac peritorum omnium admiratio. Huc item migrabit Mularum chorus, &. Graeciae fapientum Her¬ mae , ipforum nominibus*, & lentendis infcripti, aliique ve¬ terum tum Poetarum , tum Philofophorum plane fimiles , quos Tiburtinus ager nuper eduxit!2). Huc etiam procedet Alpafiae Herma alter hoc iplo anno detedus, aliaque e Ca- ftrinoviruderibusfimulerumpentiamonumentaG).Hucle reci- CO quae ex Winckelmannio adnotavimus mus Tom. II. ClafT. VII. Tab. LII.Fig. I. pag. 69. & ad Tom. II. CiaIT. III. Tab. XXV. Fig. I. pag. (3) Vide Epiftolas Caietani Torracae Centum- 41.,&adTom.III.Claff.V.Tab.XXXI.pag.60. cellenfisMediciclariflimirelatasinTom.III.An- (2)VideAnthologiamRomanamTom.I.num. thologiaeRomanaen.XXXIII.p.257.3n.XXXVIIf. XXXIV. pag. 269.3 quaeque nos etiam adnotavi- pag. 297.3 n. XLI. pag. J27., & n. LII. pag. 409. f Vid.   xlii recipient & vas ex bafalte clegantiiTimum in Quirinali effof- fum, & alterum ex alabaftro pretiofiffimum ad Augufti Mau- foleum recens erutum, ceterique ibidem detecti & Livillae Germanici Caefaris filiae (0 , & Tiberii Caefaris Drufi Cae¬ laris filii (*) , & Caii Caefaris., Tiberiique Caefaris, tum & alterius anonymi, Germanici Caelaris filiorum emortuales ti¬ tuli , & Auguftae domus nova indubia monumenta G) . Huc infuper adducentur quatuor lymplegmata, Herculis facinora exprimentia , nempe Geryonem Hilpaniae Regem tricorpo- reum ab ipfo bello fuperatum , Diomedem Thracem quadrigis devictum, tripodem ab Apollinis Sacerdotis manibus vi ere¬ ptum,ScCerberumcanemtricipitemtriplicicatenaadfuperos retractum , quae nimirum inter Oftiae rudera non ita pridem reperta funt. Huc tandem accedet & Protome Perufina Anto¬ nini Caracallae W , & altera Lavinatium Sabinae Hadriani uxo¬ ris, & Anaglyphum bubulum Ocriculanum , & Picena Falarien- fa Monumenta W , & Mufivum Tulculanum Medulae caput referens (*) , & alia fexcenta tum ad Hortos Carpentes, tum in Quirinali, tum ad Curiam Innocentianam , tum alibi de¬ tecta,quibusenarrandisdiemperderem.Necdeeruntaltero aeneorum monumentorum Mufco perrara , atque felecta ci- melia,praefertimqueeffolfaexactoannoadAventinumClu- nienfis Senatus confulti aenea tabula, Graecaque numifinata anecdota Tigianis Armeniae Regis cum Eratonis fororis vul¬ tu V) , Octaviae Augufii fororis cum anadyomenes Veneris ty- Vid. 8c quae nos adnotavimus noftro Tom. III. ClalT. X. Sefl. XIII. n. 66. pag. 171. (0 Vide Epift. anonymatn CI. Viri Ioh. Ludov. Blanconii} Saxonici Ele&oris a confiliis , &. Romae Oratoris laud. Tom. III. Anthol. Rom. n. LI. p. 401. (2)Vid.EpiftolamalteramciufdemTom.IV. Anthol. Rom. n. I. pag. 2. (S) Vid. Epift. tertiam eiufdem Joc. cit. n.II. p.9. (4) Vid. quae nos adnotavimus Tom. II. horum Monum. ClalT. III. Tab. XXX. Fig. II. pag. 46. po (S) Vide Opufculum 3cui titulus :Suile Citta Pi¬ cene Falera 3 e Tignio Dijjertazione epijlolare delP Abute G.ufeppe Colucci ai Signori di Falerone. Fermo 1777. in S. /w*Cap.IV.pag.jS. (7) Vid. Tacitum Annal. Lib. II. initio. Part anter. legitur : BAdAETC . BAC1AE.QN . TITPANHC averfa vero parte: EPATft . BACIAEI2C . T/TPA- NOT .AaEA3>H .   XLIII po CO , Silani Syriae Praefidis poft Quirinum , ubi infcripta an¬ ni nota novum ad coniebtandum aerae Chriftianae principium lumen afferret (2) , Titi ,& Domitiani cum peculiari Laodicen- fium epocha, Philippi lenioris , iuniorifque in Stecloris urbe pcrcufla , cetera huiulmodi Graecis Coloniis accenlenda. Sed quo me abripit tantarum lautitiarum ingens prorfus, ac mira congeries?Quapropteriamediverticuloinviam. XII1. Singula hulquedum expofiuimus, quae ad Hortos Caelimontanos Matthaeiorum pertinent; nec quidem de Hor¬ tis Palatinis, quae ad ipfos olirn fpefitabant, ac pollea Spa- diae,deinMagnaniaegentisiuribuscefferunt,iuvatquid¬ quamattingereG).NuncverodeeorumAedibusurbanis verba nobis facienda funt. Huius gentis maiores avitas aedes habuerunt in regione Tranfliberina ad pontem Caeftium , qui Infulam Lycaoniam Ianiculo iungit, quae adhuc exftant, qui- bulquefidemconciliantgentilitiafiemmatahincin.deappidta, &iplapontiscufiodiaMatthaeiisDucibusetiamnumconcredi¬ ta,PontificiaSedevacante.Multisinlcriptionibusornatas fiuiIIehasaedes,patetpraelertimexGruterio(4) ,RcinefioG), Seldenio G) , & Kirchmannio(?) , qui earum nonnullas, ad¬ dita huius loci defignatione , adducunt. Excitatis aedibus ur¬ banis , Tranftiberinas deferuiffe verofimile eft. Certe quidem tam laxo lolo potiti funt, ut Infulam condiderint, quae ex variis , iifque amplis , & elegantibus domibus coalefcit. De iis fingillatim dicemus, at primum vetera aedificia, quae hunc locumtenuerunt,ceteralqueviciniasperpendemus.Circus Flaminius quidem in regione Urbis nona litus praelertim de¬ (0 Cum epigraphe OkTAOTIA ; & averfa par¬ te KftlnN. (2) Cum epigraphe: ANTIOXEliN.Enr. SIAA- NOY . AM . (3) Venuti Roma moderna Tom. 11. pag. 395. (4) Iufcript. Romati. pag. 22. n. 3. > Sc 6.3 pag. fieri- 31. n. 11., pag. 32. n. 12. , & pag. 86. n.4. , 8c 5. (5) Syntagma Infer, antiquar. Cl. IX. n. 67. pag. SII'j & Claff.XI.n. 105., &feqq.pag.645; (6) De Diis Syris Syntagm. II. Cap. I. pag. 220. (7) De funeribus Romanor. Lib. III. pag. 355'. edit. Lugd. Batav. apud Hackios 1672. f2   XLIV fcribendus venit , quem , fi Feftum, Liviique epitomato- rem (') audiamus , exftruxit Flaminius Cenfor , qui etiam viam Flaminiam Roma Ariminum ufque, five potius ad Rubico¬ nem amnem munivit , vel Flaminius alter antiquior, Plutar- chotefteC),quipopuloRomanocampumlegavitprocer¬ taminibus equeftribus obeundis. Celebratos hoc loco etiam ludos Tauricos Diis inferis facros, vel ludos Apollinares poli: Cannenfem cladem inftitutos vulgo fertur C) , ac nundinas quinetiam habitas teftatur Tullius (4) . Diu huius Circi reli¬ quiae confervatae funt, & multae adhuc exftant. Flabetur Bulla Caeleftini III. Rom. Pont., qua enumerantur, & con¬ firmantur bona Ecclcfiarum Sanctae Mariae Domnae Roiae , &. S. Laurentii in Caltello aureo , quaeque data elt Laterani annocidcxck.a.d.IV.nonasOctobrisindictioneX.,atque ibidem ita deferibuntur Circi Flaminii veftigia tunc exfilten- tia : Idem Cajiellum aureum cum utilitatibus fuis , videlicet parietibus altis, & antiquis in circuitu pojitis, cum domibus, ocaminatis,eifdemqueparietibusdeforisundiquecopulatis-. Hortum, qui ejl mxta idem Cajiellum cum utilibus fuis, & fuperioribus Criptarum ; Populum foras portam iam difti Ca- ficlli a parte Campitelli, & regionis Sanfti Angeli ufque in Burgum61.Cajiellumenimaureummedioaevo,&Pala¬ tium quoque dictus fuit Circus Flaminius, ut cetera etiam vetcia ingentia aedificia a rudioribus infimae latinitatis feri- ptonbus vocata laepe fuerunt. Hinc Ecclefiae Sanfti Lau¬ rentii , quae in eius ambitu comprehendebatur , nomen in ajidlo aureo, tum etiam in Palatinis , corrupte vero Palla- Clm\ ac tandem TM claifura adhaefit, ut inter alios animad¬ vertit Ioh. Vignolius (s) . Hoc etiam adnotavit Iacobus Gri- mal- (0 Lib. X. (2) Froblem. 6j. ad A“k• '4' Lib' ' (S) Liv. XXX. 38. Adnot. 5. ad S. Leonis III. Tom. II. Libri Pontificalis.   XLV maldiusO) , qui agens de Monafterio S. Laurentii in Palati¬ nis , dicebatur, inquit, in Palatinis propter Circum ( Flami¬ nium),quemignarePalatiumvocabant.ItaCircumNero¬ nisPalatiumappellant,&MontemS.Alicbaelishacdecauf- fa Palatiolum . De Ecclelia S. Michaelis in Palatiolo vide FTancifcumM.TurrigiumC)latiusdifferentem.Etiamapud Anaftafium Bibliothecarium in vita S. Petri Palatium Nero- nianum memoratur; quemadmodum in Codice Vaticano <h), ubi quaedam ad Balilicam Sanctorum XII. Apoltolorum fpe- ctantia habentur, Forum Traianum Traiani Palatium dici¬ tur, ac alibi Palatium Antonianum dictae etiam funt Ther¬ mae Caracallae. Quare Templum noftrum S. Lurentii in Pa¬ latinis, ac monafterium noviter reltauravit Hadrianus I., & coniunxitcumaliomonafterioS.Stephaniiuxtaipfumpofi- to, & in Baganda dicto, ibique Monachos ad pfallendum in tituloSanbtiMarciordinavit(4).Necaliudinfuper,quam noftrum putandum forte eft Templum S. Laurentii Palatini, cuius mentio eft in Bulla S. Leonis IX. (V , licet Bullarii Vaticani editores V) ad S. Laurentii in Pifcibus revocaverint, ac de eo dubius haeferit Eques Francifcus Victorius, dum IX. Templa S. Laurentio facra in Urbe recenferetO . Heic etiam fitum erat Templum S. Mariae Domnae Rofae , cuius mentio fupra occurrit, & habetur infuper in Ordine Romano, quod¬ que cum ceteris in conftrubtione Monafterii S. Catharinae de Funariis C) dirutum eft. Andreas Fulvius (?) aetate fua, Clemente fcilicet VII. regnante, exftitiffe etiamnum huius Circi formam , & veterum fedilium figna tradit, atque in (0 In Lib. Mf. de Canonicis Bajtlicae S. Petri Cap. II. (2) Bella Cbiefa di S. Micbele Arcbangelo} e di San Magno Cap. VII. pag. 20. (3) Sub n. 5560. (4) Vid. Florav. Martinellium Roma ex etbnica eius faera pag. 364. (5) Tom. I. Bullar. Baftl. Vatican. pag. 26. (6) Ibid. adnot. (c) . (7) Differt. Pbilolog. pag. 85. (8) Ibid. pag. 371., & 374. ($0 Vrbis antiquit. Vid. infer, p. XLVIII. adn. 2.   XLVI eius cavea erectum laudatum Templum S. Catharinae cogno¬ mento dc Funariis, quod ibi ob loci commoditatem , & a- reae longitudinem funes intorqueri confueverint . Eiufdem Circi formam faeculo XVI. depictam, quam tamen multa ex parteingeniumfupplcverit,affertMontfauconius(0exLau¬ ro. 1orro iuxta Fulvii, aliorumque fententiam Circi latitu¬ do fpatium occupavit, quod inter officinas , five apothecas oblcuras, forumque Iudaeorum eft intcriectum . Huiufmodi quidem apothecae olirn iunctae erant non Circo folum Fla¬ minio , fed aliis etiam Circis. Numularium, nummorum fci- licetpermutatorem,veleorumdemaeffimatorem,dcCirco FlaminiohabesinveteriinferiptioneaVignolioadductaW} VitriofficinaminibietiamfuilfedocetMartialis(?)dicens: Accipe dc Circo pocula Flaminio . Habetur Pomarius dc Circo Alaximo ante pulvinar apud Rei- nefiumO,&Sponium0),quinempeinternegotiantesmi¬ nutos , & faTOTTCAas olera vendebat, non autem viridaria cole¬ bat, ut placuit Sponio. Siquidem faepe occurrit in veterum inferiptionibus delignatus locus, ubi opifices officinas fuas aperiebant, ut in noftra Infcriptionum fylloge obfervaVi- mus V) . Ad eas autem officinas, cum Card. Dominicus Gy- mnafius exacto faeculo Templum S. Luciae a fundamentis una cum adiunctis aedibus, & monafferio renovaret, efFoffae funt ingentes columnarum fpirae, & fcapi e Tiburtino lapide, ac quadratae eximiae magnitudinis . Quare lutnmus Circus in he- micyclumcurvabaturadplateamMarganamvulgodictamnon longe a Capitolio , ac flectebatur ad Aedem S. Angeli in Fo¬ ro Pifcario; eius autem ima pars , ubi Circi carceres habe- (0 exf/ic. Tom. III. Par. II. Lib. III. Cip. III. Tab. CLIX. pag. 27S. (2) Infcript.felecl.pag.141.poftDiflertat.de Columna I/np. Antonini Pii. ($) Epigraru. 75. Lib. XII. ban- (4) Syntagm. Infcript. antiq. CluIT. XI. n. 7^. C5) MifcelL erud. antiq. Se61. VI. pag. 230. (6) Tom. III. ClaflT. X. Secl. VI. n. 11. pag. 119.3 & leq.   XLVII bantur, pertingebat ad Aedem S. Nicolai ad Calcarias didi, & ad palatium Ducum Caefariniorum. Certe quidem Templum ApollinisCO,quodaliiMulis,velHerculiCudodi(aerumdi¬ xerunt , Circo Flaminio adhaerebat; nec aliud fpatium obti- nuifle, quam quod nunc tenet Aedes S. Nicolai, & adiun- 6lum Collegium Clericorum Rcg. de Somafcha , docent ve- fligia fphaericae parietis, cui adneduntur Ionicae columnae incendio corruptae, & ex veteri marmorato concinne refe- dae, quorum lingula adhuc in Cavaedio eiuldem Collegii confpicua lunt. De Aede altera Neptuno dicata, quae erat 'in Circo Flaminio, & cuius Aedituus erat Abafcantius Aug. Lib. (2) , cum nullae fint reliquiae praeter antiquae inlcriptio- nismemoriam,haudpraedatpluribusdilferere.Ceterum condat, in ea fuiffie multa tum Signa, tum Anaglypha, quq- rum nonnulla Neptunum, Thetim , Achillem, Nymphafque marinas delphinis vedas referebant, & tamquam Scopae o- pera praedicabantur (s). Anaglypha quidem nonnulla affixa etiam nunc funt parietibus Aedium Matthaeiarum, Nymphas marinas d) , & Pelei, & Thetidis nuptias (s) exprimentia , quae forte ad hoc Templum pertinuerunt, & in hac vicinia erui potuerunt. In iplo Circo Flaminio exditide etiam Si¬ gnum Achillis , Cephidbdori opus, tradit Plinius (6): verum hoc, ceteraque huiulmodi vel abfumplit temporum iniuria, veladhuccelatinvidatellus.QuidmemoreminfuperCirco FlaminiopropinquasAedesMartis,Vulcani,Bellonae,Ca- doris, Pietatis, ipdufque Iovis Statoris, quas Onuphrius Pan- vinius(7)dudiolerecenfuit?QuapropterdedgnataCirciFla¬ (1) Le antichita Romane 3 opera di Glo. Rati- Jla Piraneft; Roma 1756. Tom. I. n. 94. pag. ig. (2) Infcriptionem} quae exdabat in pratis Quin- £tiisinvineaquadam3refertOnuphriusPanvi- nius de Ludis Circenfibus Cap. XVIII. 3 ubi de Circo Flaminio, pag. igg. edit. Parif. ann. 1601. & ex eo etiam ceteri. * minii (3) Plin. JVatural. Hift. Lib. XXXVI. Cap. V. (4) Vid. Tom. III. Claffi II. Tab. XII. Fig. I. pag. 21., & Tab. ead. Fig. II. pag. 22. (5) Ibid.Claff.VIII.Tab.XXXII.pag.61.3 & Tab. XXXIII. pag. 64. (6) Loc. cit. (7) Loc. cit.   XLVIII minii longitudine, a platea nempe Margana ad Aedes Cac- farinias, ccterifque eidem adiacentibus aedificiis, apparet Ae¬ des Matthaeianas id loci nunc tenere, quod media fere pars Circi olim tenere debuerat. Tertis quidem cft Pyrrhus Ligo- rius (0 , atque etiam laudatus Panvinius (2) , paucos annos an¬ te harum Aedium conrtructionem, multam Circi partem ad¬ huc integram exftitiffe, praefertim eo loci, ubi etiamnum e- rigiturdomusaLudovicoMatthaeioexcitata,dequainfe¬ riuslatiusdicendumerit;cumibidem,utroqueetiamferipto- re afferente , multa marmora effoffa fuerint, ac potiflimum Anaglyphum Circenfibus ludis infignitum, quod non aliud, quam noftrum fuo loco adduclum (s) , exiftimamus . Nec il¬ ludpraetereunduminCavaedioMatthaeianaenortraedomus parietibus affixos cerni quatuor arcus femicirculares, foliis, rolifque diftinctos, quorum duo integri adhuc funt, duo vero dimidia fere parte fccti (fragmentis hinc inde fparfis) quof- que fupra Circi Flaminii carccrum fores olim exftitifie exifti- mat CO Librode’CerchirComtnciavaqueflo musMarganiae,ubiinhemicycliformamdefne¬ ( il Flaminio ) dalla piazza de' Morgani3 e finiva appunto al fonte di Calcaram , abbracciando tut- tclecafede'Mattel3eflendendofifinoalianuo- *i'a •via Capitolina 3 ripigliando in tutto qtiel giro j/joltealtrecafe.Daqueflolatode'MattelilCir¬ copoebiannifonoeraingranparte inpiedi;la parte piu intiera flava nel fto della cafa di Lo- dovicoMattel3ilqualehacavatounaquantita di tr avertini dei Circo in qttel luogo 3 e tr ovatovi tPali i Ce ui fregio in u» ran pt ina- gliato de' putti 3 che fopra de' carri facevano i giuocbi Circenft, e nella cantitia trovaronfi altri travertim 3 e videft alquauto dei canale 3 per do- ve pajfava /'aequa, la quale ora chiamap it fon¬ te di Calcaram , forfe per la calce, che hi fi macerava . (z) Loc. cit. pag. 129: Porta Carmentalis, fe¬ cundo murorum Vrbis ambita , quos T. Tatias eam Romulo regnans exfiruxit , radicibus Capitolii condita fuit, a qua llaud procul Circus Flaminius erat, ad eam partem vergens, ubi nunc efi Vrbs Roma. Cusus longitudo protendebatur ab area do¬ bat 3 uf'que ad novam viam Capitolinam 3 ubi car¬ ceres>& XIII. ojlia erant: latitudo vero fuit ab AedibusLudoviciMatthaeittfqueadCalcariaefon- tern, ubi efl ojfctna tin:loris ambiens eo circuitu apothecasobfcurasMatthaeiorum3&multasdiver- forumprivatasdomus.CuiusfundamentiseTibur¬ tinolapide,quaeMatthaeiorum,&vicinisaedi¬ busfuppofitafunt,antealiquotanniserutis3mar¬ morea tabula pueros currilia ludrica agitantes in- cifos continens reperta fuit . Adhuc vero exflat an¬ tiquus Circi euripus limpidijftmus tincioris ofpci- nam praeterfluens 3 qui fons Calcariae a vicinis ( quae ibidem coquebantur calcis fornacibus ) di¬ citur . Eius Circi arena lateribus minutijpmis tranf- verfe flratis opus tefjellatum fuprapofitum habebat. Vide&Fulvium l.ib.IV. cap.deCircoFlaminio, ubi ait: Longitudo eius Circi ab Aedibus nunc D- PetriMargani3(snS.SalvatoreinPenjiliufque adAedesD.LudoviciMatthaeiiuxtaCalcara- num, ubi caput Circi . (3) Tom. III. CiaIT. VIII. Tab. XLVII. Fig. II pag. 87.   XLIX mat Carolus Blanconius liberalium artium cultor eximius, idemque fcientiffimus , & Ludovici Saxonicae Aulae a confiliis, & komae Oratoris, a quo Circi Caracallae formam , & univerfam illuftrationem praeflolamur, meritiflimus frater; ratus fcilicet hoc loci, vel non longe effodi eofdem iam potuif fe, & dein fedem hanc , atque ufum nactos fuiffe. Quae in- fuper ad hunc Circum flmul pertineat, reflat adhuc decur¬ rens aquae vena, quae habetur in crypta vinaria cuiufdam domus Matthaeianis Aedibus propinquae (0 . Abundare enim aquae copia Circum opus erat , fi XXXVI. crocodilorum lpeftaculum ibidem edidit Auguflus (fi . Nec nifi ad Cir¬ cumfpeffaffeverofimileeflaliquamquoqueaquaepartem, quae etiamnum decurrit iuxta proximam , cui ab ulmo no¬ men efl, cloacam . XIV. Iam monuimus Matthaeiorum Infulam in plures difpefci Aedes, quae tamen ad unam, eamdemque gentem olim pertinebant. Antiquiores eae effe videntur, quae me¬ ridionalem plagam , & plateam tefludinum , quod eae fontis crateri infculptae , refpiciunt; in qua nimirum aquae Salo- niae , Gregorio XIII. Romano Pontifice , in Urbem Mutii Matthaeiicurisdedubtaefonscernitur,quatuorvafibus,con- chilioruminflar,exAfricanomarmore,totidemqueaeneis delphinorum fimulacris a Thadaeo Landinio Florentino an¬ nocioidlxxxv. conflatisinfigniterornatus(fi.Haequidem AedesaubloremhabentIacobumMatthaeium,quiproiifdem condendis architectonica opera ufius efl Nanni Bigii, earutn- que parietes diftingui voluit Thadaei Zuccherii pibturis , qui¬ busFuriiCamillifacinoraexprimebantur,licetquaeinfron¬ te erant, obdubta calce paucis ab hinc annis inepte oblittera¬ tae (1)Vid.VenutiumanticaRomaPar.II.Cap. pograpbiaLib.VII.pag.161.ater.edit.Venet. III. pag. 87. 1588., & Andream Fulvium Anticbita di Roma (2) Dio Lib. LV. Lib. V. pag. g21. a ter. Venezia 1588. ($) Vid. Barthol. Marlianium Vrhis Romae To-   L tae iam fuerint, iis, quae funt ad latus, dumtaxat referva- tis. Duo etiam interiora cubicula eiufdem pennicillo exorna¬ ta infuper fuerunt. Ante Templum SS. Valentino, & Seba- ftiano dicatum furgunt Aedes , quas Iacobi Barotii a Vignola opera condidit LVD.MATTHAEIVS. PETR ANT. F1LIVS. LVD. NEPOS ut supra fores flat epigraphe conditorem ciens, quaeque ad Matthaeios Paganicae Duces iam fpeclabant, multifque ve¬ terum monumentis inftru&ae erant. Nec alia , quam quae heic fervabantur Signa, cenfenda funt, quae fub Caefaris AuguftiO) , & Aurelii Caefaris (2) nomine in Aedibus Ludovi- ciMatthaeiihaberiait,acetiamediditlacobusMarcuccius; quorum alterum habetur etiam inter Icones a Heronymo Fran- zinio editas (A . Hifce Aedibus aliae adhaerent prope ulmi cloa¬ cam, quae Bartholomaeum Brecciolium architectum agnofcunt. Hincfequunturaliaea LudovicoMatthaeio(fi PhilippoTi¬ tio credimus ) aedificatae anno cididlxiv. ante Divae Luciae Templum,fedabAlexandroMatthaeioexftructac,fiearum foribus infcriptum lemma attendamus , ut revera attendi de¬ bet (A , Bartholomaeo Amannatio , ut nonnullis placet, vel Claudio Lippio , ut alii cenfent, formam aedificii praebente. Earum interiora cubicula Francifci Caftcllii picturis diitin- guuntur. Has vero nunc tenent Caietani Duces, qui fibi iplis compararunt, quemadmodum & Nigronios, & Duratios, & Serbellonios dominos pro divertis temporibus eaedem an¬ tea agnoverant W . (0 Antiquar. Statuar. Vrbis Romae Libri IIT. Romae 1623. j edidit lacobus Marchuccius in fol. Lib. III. Tab. 93. (2) Ibid. Tab. 94. (3) Icones Statuar, antiquar. Vrbis Romae Hie- ronymi Franzini Bibliopolae ad* Signum Fontis 0- pera. Romae 15S9. in 12. XV. Ve- (4) Q uare h°c Joco corre&a volumus} quae a Titio decepti temere diximus Tom. III. CIa(T. VIII. Tab. XLVII. Fig. I. pag. 87. (5) Vid. Defcrizione delle pitture , fculture 3 e arcbitetture efpojle al pubblico in Roma, opera co- minciata dalPAbate Filippo Titi &c. pag. 86. fino a 90.5 tum etiam Itinerario ijlruttiuo divifoinot- to   LI XV. Verum non id nos nunc agimus, ut has veluti appendices Aedium Matthaeiarum defcribamus ; Potiori namque iure ad fe nos avocant, quae R magnificentiores, & fplendidiores firnt iuxta dextrum latus Ecclefiae , & Mo- naflerii S. Catharinae de Funariis , quaeque Afdrubalem Mat- thaeium Cyriaci fratrem auCtorem habent. Id docet infcri- ptio in cavaedio exfiftens, quae ita fe habet: ASDRVBAL .MATTHAEIVS.MARCHIO .IOVII VETERVM.SIGNIS .TAMQVAM.SPOLIIS EX. ANTIQVITATE .OMNIVM.VICTRICE .DETRACTIS DOMVM. ORNAVIT. ET. PRISCAE. VIRTVTIS. INCITAM EN TVM POSTERIS .RELIQVIT. ANNO .DOMINI .cioiacxvi Carolus Madernius architectonicum opus rexit, & interiora cubiculafuispennicillisexornarunt Francifcus Albanius, Iohannes Lanfranchius, & Dominicus Zampierius. Pictae vero tabulae etiam exftant hinc inde difpofitae , quae Cafparis Caelii , Chriftophori Roncallii , Iacobi Trigae , Caroli Sara- cenii, Hieronymi Mutianii, Michaelis Angeli Morigii, Gui- donis Renii , Ioh. Francifci Barbierii, Petri Paulli Gobbii, Petri Berettinii , Michaelis Angeli Bonarotii , Valentini Galli, aliorumque opera praedicantur. Alt nulla res & celebriores, &praeftantioresfecithasAedes,quamveterummonumen¬ torum undique difperforum praeclara congeries. In cavae¬ dionamque,fcalis,acperiltylioligna,protomae,anagly¬ pha, cippi, aliaque huiufmodi occurrunt, quae fummatim innuere fat erit. Cavaedium habet praefertim Signa Apolli¬ nis Sagittarii, & Herculis , tum Romanorum Impp. Iulii Cae- faris,Caligulae,Claudii,Neronis,Domitiani,aliaqueGla¬ diatorum. Inter Anaglypha fpectandum praecipue venit fa- crificium Capitolinum, & Militum Praetorianorum feditio. Hinc to Jiazioni, o olornate per ritrovare con facilita tna &c. di Giufeppe Vafi n. 195. pag. 198. tutte le anticbe 3 e moderne magnificenze di Ro- §2   LII Hinc fi exitum quaeras verfus Divae Catharinae Templum, habebis Nymphas marinas a delphinis , ac tritonibus ve- btas, Bacchi , & Ariadnae nuptias, & Mulas defundo Poe¬ tae famulantes , quas marmore infculptas cernas. Si vero me¬ ridiem verfus egredi lubeat, occurrent Amores Deorum vi¬ ctores, Polyphemus, Se Galathea, Sphinx fcopulo iniidens, & Oedipum aenigma folventem aufcultans (0 , tum Bacchi, & Herculis uterque thronus marmoreis tabulis expreffi. Si ad porticumretrocedas,&ibidemconditas,&DeumMithram, & Hylam a Nymphis raptum anaglyptico opere exhiberi in¬ tueberis. Si fcalas albendas, Bacchans occurret, dein Fortu¬ na , tum Iuppiter Signis expreffi ; hinc parietes ornatos con- fpicies Anaglyphis referentibus utramque venationem Com¬ modi , & Philippi Impp. , ac Pelei, & Thetidis nuptias; ac tandem ipfos fcalarum gradus identidem di/tinctos offendes pulvinaribus, quae quaternario numero inventa ad Curiam Hoftiliam & fuperius , & fuo loco monuimus . lam ventum ad periftylium , quod aulam refpicit, atque heic pedem figens fuper aulae poftes cerne viri incogniti Protomem , tum leor- fim Aefculapii Signum ad laevam, quod medium habent co¬ lumnaeduaemarmoreae,quibusCybelisduoSigillafuper- ftant, tum aliae fimiles e regione aditant duo pariter Cybelis Sigillafuftinentes.Hincduaealiaecolumnaeadpoftesdif- pofitae , totidemque contra itantes capitulis caniftriformibus initructae; tum iacens inferne ante Aefculapii Signum Sar¬ cophagus vindemiali opere infignitus, ac muris appicta Ana- glypha, quae referunt tabulam Heliacam, Priami occifionem, & lacrificium taurile lovi, & quatuor anni tempeftates. Ex hoc loco Ipectare licet cavaedii parietibus inhaerentia hinc inde cetera praeclara Anaglypha , quae nimirum rurfus ex- hi- (0 Hoc Anaglyphum ab operis noftris omiflum eft, caruitque aeneo typo j quo ipfum Le&oribus nothis exhiberemus.   LIII hibentPelei,&Thetidisnuptias,&Proferpinaeraptum, tum Venerem concha veftam, pompam Iliacam, aliam Bachicam,Orpheumcantumulcentemanimantia,Meleagri, & Atalantae fabulam, Bacchi, & Ariadnae nuptias, facrifi- cium Iovi, & lunoni, Antilochum Patrocli mortem Achilli nunciantem,tabulamvotivamAefculapio,Hygiae,Fortunae, hx. Baccho, aliaque bene multa , quibus Icientes parcimus. Quare etiam memorare lingillatim negligemus plures praecipue cippos, aliaque marmorea monumenta, quae in ambulacro fubdiali , quo cavaedium veluti bipartitum cernitur , adlervan- tur.Aefculapii,&Hygiae,aliaqueiacentiaSileni,Flumi¬ nis,acSomniSignaheicIparlimdifpolitatantumindicafie litfatis.Sicelebrem, aclingularemprorfus M. Tullii Ciceronis Protomen innuerimus in Aedium pinacotheca exlillen- tem,nileritreliqui,quodexponamus;liquideminteriora cubiculaomnicarentantiquitatisornamento. XVI.Nequeetiamhaecipfatamegregiavetullatismo¬ numenta&illuftratoribus,&laudatoribuscaruerunt.Videas liquidem praeftantiora Anaglypha adducta a Sponio, Mont- fauconio,Bellorio,Aleandrio,Spenceio,Winckelmannio, aliilque; multalque veteres Inlcriptiones fere ab iis omnibus editas, qui eas in unum collegerunt, quolque fuperius cita¬ vimus , cum de Hortorum Caeliorum monumentis fermonem haberemus . Nec tacuerunt exteri Scriptores , noltrique etiam Topographi, praefertimque Ficoronius (0 , Venutius 0> , Va- lius (s) , & Titius (4) coadtam heic tantam & monumentorum, & elegantiarum congeriem.Atdelideranduminfuper erat, has Aedes, utpote quae 1'eorlim ab Hortis Muleum re¬ ferantlocupletiffimum,illuftratore,actantaefupelleftilisedi¬ tore haud carere. Iam porro hanc lortem tulerant & lulti- (0 Lefingolarita diRoma moderna Cap.VILp.65. (3) Loc. cit. n. 193. pag. 198. (2) Roma moderna Tom. II. pag. 358. (4) Loc. cit. pag. 86. , e 461. nia-   LIV nianearum Aedium Tablinum (0 , & Mufeum gentis Odefcal- chiae (*) , & Antiquitates , ac ornamenta alia Aedium Barberi- niarum(s),necqualemcumqueetiamdefideraveratdefcri- ptionem ipfum Strotianae domus Mufeum U) ; quibus nunc baudinferioreseruntAedesMatthaeianae,eilqueadnexa venerandae vetuffatis cimelia. XVII. Aff utinam & Horti , & Aedes Matthaeiorum , eifque adiuncta monumenta eum nacla fuiffent illuftratorem , & editorem , qui eorumdem praedandae, ac dignitati par eflet. Si exiguum quidem ingenium nofixum, cui eadem concredita, perpendatur, dolendum inprimis elt eorumdem exornationem, promulgationemque nobis potiffimum obtigifie, tumineaincidifle tempora, inquibus variisdidrahebamur itudiis, & occupationibus longe quidem inter fe diflitis, ut edita interim per nos opera latis offendunt. His acceffe- runt multarum morarum interiecfa impedimenta, obquaenobis in medio veluti curfu didentis tum mentis alacritas, tum piopofiti noflri unitas, quae ab affdua fyffematis , & metho¬ diiecoidatione,&exfecutionependet,identidemminui, tuibaiiquevidebatur.FluxeruntiamXlf., &ampliusanni, ex quibus hanc provinciam lufcepimus, quam quidem per hoc tempus tot vicibus & affumpfimus, & intermifimus , ut faepeiamexantlatoslaboresinffaurare,&.multosmoxinir¬ ritum ceffuros abfumere cogeremur. Non hoc tamen noffra culpa factum quis credat, quibus operis ardor , & fedulitas (0 Galleria Giufliniaua dei Marcbefe Vincett- z° GiuftMani Par. I. Tavole CL1I. , e Par. II. Taveh CLXV'11. iSji. infol. (2)M armi, Statue, Carnei, ed altro efflenti ”'&n Appartamenti, e Galleria delPEccmo Sig. D. Livio Odefcalcbi Daca di Bracciano , Nipote d’lnmcenzo PP. XI. in fol. ,70z, ( Trafponati gran parte in Aranquez ). Hinc prodiit Mufeum Odefcalcbum,fveThefaurusantiquarumGemma¬ rum 6-c. Accejferunt aerea Deorum, ac Dearum fit idola3 marmorea item anaglypha, mouumentaque alia plura &c. (Illuftratore Henrico BrulaeiOj & Ni- °olao Galeottio) Tom. II. Romae 1751. in fol. (3) Dominici Panaroli Mufeum Rarberinum. Ro¬ mae 1656. in 4. Hieronymi Tetii Aedes Rarberi- nae ad Quirinalem. Romae typis Mafcardi 1642. in fol. A pag. 197. incipit recenfio veterum Pro- tomarum, & Signorum ufqne ad pag. 220. (4) Defcrizionc dei Mufeo Strozzi 3 di Gio. M. Crefcimbeni3fraleProfedegliArcadi.   LV fit maxime ia deliciis , quofque properatio ad finem tam¬ quam ex naturae incitamento urgeat vel in ipfa rerum au- fpicatione.Nonhinctamenexcufationempeterenobismens eft aut ofcitantiae , aut negligentiae noftrae; fied id potifli- mum nunc monitum voluimus , ut diverforum temporum, quibus noftrae per univerfum opus difleminatae aflertiones refpondent,quaeomninoneceflariaeftet,ratiohaberetur• Quare Lebtorum noftrorum humanitate confifi non aliud nunc exponerefatagemus,quamtotiusnoftrioperistexturam,vel profpectum , quem quidem paucis expediemus. XVIII. Illuftrandae ingenti huic veterum monumento¬ rum colledtioni manum iam admoverat Rodulphinus Venu- tius Patritius , &. Academicus Etrufcus Cortonenlis , Nicolai Marcelli Marchionis, & Philippi Praepofiti Liburnenfis Vi¬ rorumCll.frater,BenvenutiIofephiMarchionis,acubiculo Petri Leopoldi Magni Ducis Etruriae, Socii, & Amici noftriobfuamvirtutem,acfuavitatemfpectatiliimipatruus, Romanarum antiquitatum Praefes , ac Vir denique multis e- ruditis,doctitqueeditisVoluminibuslongenotiftimus.At vix opus hoc aggreftus fuerat, cum ecce mors ipfum peremit a.d.III.Kal.Aprilisannicididcclxiii.,necultraprimiVo¬ luminis Tabularum, quae Statuas comprehendunt, illuftrationem procellit. Fadtum interim eft, ut onus in nos conla¬ tum fuerit adornandae quartae Bellorianae editionis Vejiigii veteris Romae, & fex Tabularum anecdotarum elaborandae Appendicis (0 ; quae licet ab imperita, ac iuvenili prorfus manu profectae tunc forent, cum tamen aliquod approba¬ tionis fuffragium a doctis viris obtinuiftent, in caufla fuerunt, cur oculi in nos conficerentur, & digni , qui in Venutiani ope- (i) Haec omnia paraverat etiam ante nos Ioh. Bapt. Piranefius initio Tom. I. Antiq. Roman. uf- que ab anno 1756. , fed ut Opus omne abfolveret, & una ederet univerfum, priorumVoluminum pu- blicationein retardavit , & noftrae editioni tempo- ris principatum reliquit.   LVI operiscomplementumfuccederemus,infuperhaberemur. Qual'e ipiius apographum, quod & emandatum, & aliqua e- tiam fui parte reformatum fuerat a Contuccio, olim Kircheriani Mufei Praefecto, & deletae Loyolitarum Societatis Alumno , mox vita functo , traditum nobis fuit, quod antequam iterum expendei emus, umveilos archetypos monumentorum, quae tum in Hortis Caelimontanis, tum in Aedibus urbanis iVlat- thaeioi um adfervabantur, fingillatim invifendos, ac pene con¬ trectandosanobiseflecenfuimus.Verumutideafedulitate, acfeiefecuiitateabfolveremus,quaenosvelabofcitantia,vel ab ingenii licentia immunes faceret, focios nobis adiunximus Ioh. Baptiflam Vicecomitem Romanarum Antiquitatum Prae- hdem meritiflimum , eumdemque doctiflimum, atque ipflus filium Ennium Quirinum vix ex ephebis egreflum , ob miram vetcus eruditionis peritiam, qua inter cetera difciplinarum ornamenta praecellebat, plurimi aeftimandum, nunc vero in dies & fcientia , & fama magis inclarcfccntcm, & PII Vi. P. O. M. a fecretiori cubiculo, qui mihi fcilicet praefto effent, quaeque forent vel adnotanda, vel conftabilienda , difcuffis fententiis, 6t omnibus naviter expenfis, una mecum decer¬ nerent. Multa fane Venutius ftatuerat, multaque etiam pu¬ blica voce invaluerant, quae typis exprefla iam apud vulgum fidem omnem obtinuerant. At nos veritatis unice folliciti, & fymbola omnia, & vultuum lineamenta iuxta critices re¬ gulas, & ope ceterorum monumentorum expendentes, mul¬ ta immutanda, atque aliter exponenda cenfuimus. Hinc fa¬ cium eft , ut multae Statuarum illuflrationes , quas i. Volu¬ men compleCti debebat, expunctae fuerint, eilque noftras subrogandas curaverimus . Hinc etiam faftum , ut ceteras live infciiptiones,fivenomenclaturas,quasnonnullisTabulis, ex quibus reliqua Volumina compingi debebant , iam ipfe adle-   LVII adleverat, eidem etiam cenfurae, ac reformationi fubiecerimus. Quid hac in re a nobis geftum fuerit, fupervacaneum erit nunc exponere, cum haec quidem illufirationes, & adnotationes no- ftras legentibus patere facile poffint. Ac fane multa etiam ex Venutii explicationibus fuperflua, vel nimis nota amputavi¬ mus , Graecum textum adduftis ex Latina verfione Graecorum Scriptorum locis adiunximus, & omnia in eum ordinem, quem nobis propofuimus, accurate redegimus. Nec etiam minorem infumpfimus diligentiam , ut Scalptorum erratis, quae commode licebat, medicina aliqua per nos fieret .• Mul¬ tae fane fabulae non omnino eleganter caelatae occurrunt, quumnonomnesvelimmutare,velexpolireinnoftraefiet poteftate . Ceterum id faltem curavimus, ut Caesarum, ceterorumque imagines fatis cognitae ad veram vultus , quae in autographo haberetur , formam redigerentur , ceteraque omnia fuis prototypis apprime refponderent. Nec alia fane poftopusaScalptoribusomninoabfolutum,antequamnos hanc provinciam fufciperemus , follicitudo nobis relinque¬ batur . XIX. Sed iam qui ordo a nobis fervatus fuerit, innuamus . Numina quidem praecedere aequum erat, tum ut Divinitati , quae his etiam indiciis a gentilitate petitis adfiruatur, inprimislitaremus,tumutveterumethnicorum,quorum monumenta tractamus , facro inhaereremus fyftemati. Quare Numinaipfa,quaeStatuisexpreffahabebamus,cumaliama¬ iorum gentium , eademque felecta, insignia, & eximia cenferentur, alia vero minorum gentium, eademque adfcriptitia, minufcularia, & putatitiadicerentur,infuasclafiesdi-* ftribuerefiuduimus,utproindefuuscuiquehonorolimetiam redditus fervaretur . Hinc Caeleftes Deos primae Claffi ad- fignavimus , Terreftres fecundae , Silveftres tertiae, Semideos, h five   LVIIl five Indigetes quartae, ac quintae demum Deas Virtutes. Tum DiiseorumMiniftros,&Sacerdotesfubiunximus,quibusin Clafle fexta factus eft locus. Sacerdotibus fuccedunt Magi- ftratus, ac proinde ex temporum ratione Confules feptimam Claflemobtinuerunt.HisfubnectunturImperatoresRoma¬ ni, quibus Claflis obtava occupanda obtigit. Barbari Reges nonnifi pone eorumdem domitores collocandi erant, atque hinc Clafle nona ipfos comprehendi opus fuit. Decima Mi- fcellanea continet; undecima Statuas iacentes. Atque haec eit totius I. Voluminis, quod CVI. Tabulis conflat, difpoll- tio.Nonabfimilirationefecundumdigeftumeft,quodXC. Tabulas continet, quodque in Protomis, Hermis, Clypcis , & nonnullis Anaglyphis fimplicioribus referendis verfatur. Hinc Protomarum Deos exprimentium Claflls prima; tum Protoma- rum Heroas , & Viros illuftres praefeferentium Claflis fecunda ; dein earumdem Imperatores , & Auguftas repraefentantium Claflis tertia ; ac tandem Imperatores Germanicos faeculi XV., Si XVI. exhibentium Claflis quarta . Sequitur Claflis quinta, quae Capita incognita; fexta , quae Hermas , feu Terminos; septima, quae imagines quadratis, & rotundis figuris inclufas; obtava, quae Anaglypha cum variis homi¬ num, & mulierum imaginibus; nona , quae figuras anagly¬ pticaslingulares;decima,quaetrophaea,pulvinaria,capitula, bales, truncos, & candelabra; ac tandem duodecima, quaelarvasfcenicas,&ceteramonumentamifccllacontinet. Sed iam tertium Volumen procedit, quod Anaglypha , Sarco¬ phagos , Cippos , & Infcriptiones compleblitur , ac ex Tabulis aeneis LXXIV. coalefcit. Ordo Claflium etiam in hoc ipfo Volumine lervatus eft, ut proinde prima comprehendat Deo¬ rum imagines; fecunda Fabulas ad Deos pertinentes ; tertia Bacchanalia; quarta Monumenta Aegyptiaca; quinta Mo- numen-   LIX numenta Graeca ante bellum Troianum; fexta eadem poft ipfum bellum; feptima Monumenta Romana hiftorica; odta- va ritus, mores , & artes veterum ; nona Sarcophagos, & Urnas fepulcrales; ac decima tandem veteres Infcriptiones, quaeinfuperordine,quemGruterius,ceteriqueinvexerunt, difpofitae a nobis lunt, ac proinde in XIV. SeHiones di- geftae confpiciuntur . Eaedem GCCXXXII. plus minus numerantur, & earum fere omnes ab aliis editae iam fuerant. Neque nos eas dumtaxat, quas in Hortis, & Aedibus Matthaeiorum deprehendimus, proferre fluduimus, fed infuper eas omnes huc revocavimus, quas olim ibidem exftitilTe vel nosipficognoveramus,velexearumdemcolledoribusconflabat; ne in hac noflra Monumentorum congerie quidquam deeffet,quodolim&celebres, &praellantesHortosnoftros potiffimum effecerat. Indices etiam Infcriptionibus fubieci- mus,quorumprimusScaligerexemplarpropofuitinGrute- riano thefauro. His tandem fubiunximus generalem etiam omniumpotiorum,quaeIII.hifceVoluminibuscontinentur, rerumIndicem,cuiuspraefidio,quodcumqueopuseffet,a LeHoribus nollris inveniri poffet . XX. Haec elt univerfa Operis noffri compages. An ve¬ rofingulaprodignitatepraeftiterimus,nonnoffrumeftiudi- care. Id tantum affirmare poffumus, omnes tum animi, tum fedulitatis nervos nos intendifle, ne vel aliquam muneris noffri partem neglexiffie, vel a ratione, ac luce, quae pecu¬ liares habentur faeculi XVIII. dotes , ac notae, quaeque fin- gulas facultates attingere aequum eft, quidquam abfonum admiffife videremur. Quapropter id nobis propofuimus, ne inreplerumquedubia,&ancipitivelfomnia,velcommen¬ ta in fcenam produceremus. Qui enim vel natura duce, vel cogitandi arte magiftra veritatem confeHari, & rerum eviden-   LX tiae infidere didicit, aegre fane fertur vel ad incerta , vel ad cerebrofa . Saepe igitur contenti fuimus varias Antiquario¬ rum fententias proferre, & intactum fimul argumentum re¬ linquere,nevideremurnovamtantumopinionemincete¬ rarum acervum inducere, vel coniedturas conieduris addere. Quid enim infuper congefia vel vacillans opinio , vel levis coniectura , aut etiam audax paradoxum litterarum incre¬ mentoconducit?Pabulishilcequidemfuaviflimisfruantur, quibus in rc quaque leviffima libi plaudere, etymologiis ab- firufiora quaeque definire , remotiorum aetatum aenigmata folvere,fequiorumtemporumruditatesingerere,nugarum feries oftentare , umbras pro corporibus amplexari, carbones pro unionibus vendere ( qui elt antiquariae facultatis abutus longeeliminandus)volupeelt.Noscerte,quianimicaulla, & ultro delatae occupationis occalione, huiufmodi ftudio va¬ cavimus , haud fane operae noltrae poenituit, qui nimirum folidas hiftoriae , chronologiae , veterum linguarum , ar¬ tium , ac rituum utilitates unice lpeckantes aliquam videmur & noftris notionibus , & famae quinetiam accelfionem fecii- fe,tumampliflimaehuiusUrbis,veterumelegantiarumundi¬ que feracillimae, incolatum gratiorem nobis, & iucundiorem praeftitific. Quare ab omni ingenii licentia, quae vel verita¬ tis criterio adverfaretur, vel quae nullo tum rationis, tum auctoritatis valido fundamento niteretur, femper abhorrere nobis folemne fuit; ac quidquid, vel omnibus tacentibus, vel omni deficiente exemplo, a nobis proferendum fuit, nonnifi modefte , & fere cum trepidatione propofuimus . Rati infu¬ per ex monumentorum inter fe collatione, quae vel rerum affinitate,velquacumquealiarationelibiinvicemrefpon- derent, veram plerumque prodire pofle fignificationem , vel receptis fcriptorum fententiis maius etiam polle robur accedere,   LXI dere, id praefertim curavimus, ut quae fimilia ia ceteris Mu- feis , & in iplis Antiquariorum libris exftant monumenta, tamquam conflantis, & indubiae veritatis vadimonia propo¬ neremus.Nihilenimmagisvaletadiudiciumderealiqua tum ob vetuftatem, tum ob obfcuritatem incerta quoquo modoiufte,re&equeferendum,quamconflansmonumento¬ rum conformatio, & eorumdem accurata comparatio. Haec fuit inftituti noftri ratio, cuius fane ope fi quid dignum hac luce elicimus, iri totum veritatis , & certitudinis, quam gerimus, notioni acceptumeftreferendum;finminus,haud fateri nos pudebit, impares nos huiufmodi Audio fuifie , quod aliorumgratia,nonnoftromarteexcoluifleingenueprofi- tentes aliquam faltem veniam hoc iplo nomine confecuturos confidimus . Qui legis , feliciter vale. INDEX TABULARUM Quae m hoc. Statuarum Volumine continentur . CLASSIS I. Chiae continet deos caelestes. Tab. I. Iuppiter. pag. i. Tab. II. Apollo Citharoedus, pag. 3. Tab.III. Apollo Citharoedus, pag. ead. Tab. IV. Apollo. pag. 4. Tab. V. Apollo Pythius, pag. 5. Tab. VI. Apollo Sagittarius. pag. ead. Tab VII. Apollo, pag. (5. Tab- VIII. Apollo, pag. 7. Tab. IX. Apollo, & Marsyas . pag. 8. Tab. X. Mars . pag. ead. Tab. XI. Mercurius . pag. 9. Tab. XII. Bacchus. pag. 10. Tab. XIII. Bacchus asino insidens, pag.ead. Tab. XIV. Bacchus,pag.u. Tab. XV. Amor. pag. 12. Tab. XVI. Amor cum Herculis symbolis. pag. ead. Tab XVII. Amor canens . pag. 13. Tab. XVIII. Venus, pag. 14. Tab. XIX. Amicitia, pag. 15. Tab. XX. Minerva . pag. ead. CLASSIS II. Quae continet DEOS TERRESTRES. Tab. XXI. Cybele, pag. 17. Tab. XXII. Cybele, pag. 18. Tab. XXIII. Cybele, pag. 19. Tab. XXIV. Cybele, pag. ead. Tab. XXV. Ceres. pag. 20. Tab. XXVI. Ceres, pag. ead. Tab. XXVII. Ceres, pag. 21. Tab. XXVIII. Ceres, pag. 2$. Tab. XXIX. Ceres. pag. 24. Tab.XXX.Ceres.pag.ead. Tab. XXXI. Ceres, pag. 25. Tab. XXXII. Urania, pag. 26. CLASSIS III. Quae continet DEOS SILVESTRES. Tab. XXXIII. Faunus, pag. 27. Tab. XXXIV. Faunus . pag. 28. Tab. XXXV. Faunus, pag. 29. Tab. XXXVI. Faunus, pag. ead. Tab- XXXVII. Faunus, pag. 30. Tab XXXVIII.Faunus,pag.32. Tab. XXXIX. Faunus . pag. ead. Tab. XL. Faunus , & Satyrus, pag. ead. Tab. XLI- Silenus, pag. $3. Tab. XLII. Silenus. pag. $4. Tab. XLIII. Silenus, pag.' ead. Tab. XLIV. Diana, pag. 35. Tab. XLV. Diana, pag. 36. Tab. XLVI. Diana, pag 37. Tab. XLVJI. Flora, pag. ead. Tab. XLVIII. Pomona, pag. 38. Tab.XLIX,Pomona,pag.39. Tab. L. Pomona, pag. ead. Tab. LI. Nais. pag. 40. CLASSIS IV. Quae continet DEOS INDIGETES. Tab. LII. Hercules, pag. 41. Tab. L111. Hercules, pag. 42. Tab-LIV. Hercules, pag. 43. Tab LV. Bellerophon, pag. 44. Tab. LVI. Aefculapius» pag. 47. Tab. LVII. Aefculapius . pagt 49. Tab. LVIH. Hygia, pag. ead. Tab.LIX.Hygia,pag.ji. Tab. LX. Amazon . pag. 53. CLASSIS V. Quae continet VIRTUTES DEAS. Tab. LXI. Pudicitia . pag. 56» Tab. LXII. Pudicitia, pag. ead. Tab. LX III. Fortuna, pag. 58. Tab. LXIV. Fortuna, pag, 59. Tab.LXV.Abundantia.pag.60. CLASSIS VI. Quae continet DEORUM SACERDOTES ET MINISTROS . Tab.LXVI.Camilluspuer.pag.62. Tab. LXVII. Bacchans. pag. 63. Tab.LXVIII.Bacchans.pag.6j. Tab. LXIX. Bacchans. pag. ead, Tab. LXX. Bacchans. pag. 66. Tab.   Tab. LXXI. Sacerdos Cereris facrificans . pag. 67. CLASSIS VII. Quae continet LXIII Tab.XCIII. L. Aurelius Commodus. pag.ead. Tab. XCIV. M. Aur. BaRianus Antoninus Caracalla . pag. 94. Tab.XCV.P.LiciniusGallienus,pag.95. CONSULES. CLASSISIX. Quae continet Tab. LXXII. L. lanius Brutus, pag. 69. Tab. LXX1II. ConfuI . pag. 71. CLASSIS VIII. Quae continet IMPERATORES ETAUGUSTAS. REGES BARBAROS. Tab. XCVI. Mida Rex Phrygiae, pag.96. Tab. XCVII. Ptolemaeus Rex Aegypti.p.97 . Tab. LXXIV. C. Julius Caefar. pag. 74. Tab. LXXV. C. Iulins Caefar. pag. 75. Tab. LXXVI. Octavianus AuguRus. pag.76. Tab LXXVII. Octavianus AuguRus. pag 77. TabLXXVIII.OctavianusAuguRus•pag.78. Tab.C*Gladiator,pag.102. Tab LXXIX. Livia . pag, 79. Tab. LXXX. Caius Caligula, pag. 80. Tab. LXXXI. Tiberius Claudius, pag 81. Tab.LXXXII. Claudius Domitius Nero . p.82. TabLXXXIII.ClaudiusDomitiusNero.p83. Tab. LXXXIV. Flavius Domitianus. pag.Sq. Tab. LXXXV. Nerva Traianus Ulpius. p.ead. Tab. LXXXVI. Marciana AuguRa. pag. 85. Tab. LXXXVII. Sabina AuguRa. pag. 86. Tab. LXXXVIII. Antinous, pag. 87. Tab. LXXXIX. Antoninus Pius. pag. 89. Tab. XC. M. Aurelius Antoninus . pag. 90. Tab. XCI. Annia FauRina* pag. 91. Tab. XCII- L. Aurelius Commodus . pag. 92. Tab. CI. Gladiator, pag. 104. Tab. CII Femina velata cum puero . p. ead. Tab. CIII. Femina Rolata. pag. 109. CLASSIS XI. Qitae continet STATUAS IACENTES. Tab. CIV. Fig. 1. Silenus, pag. 111. Tab. ead. Fig. 11. Flumen . pag. 11 2. Tab. CV. Fig. 1., Sc 11. Amores quiefeen- tes. pag. 11 3. Tab.CVI.Fig.i., 11., & m. Somni, & Mortis Genii, pag. 114. ERRATA CORRIGE. pag.xxxii.referre. pag. 42. TAB. XLIII. pag. 45 Florentia . ibid. SebaRianus Blanchius . pag. 63. Franc. Ant. Gorium. P?g- 79- ibid. not. 2. cap. 102. pag. 88. Tubere. pag. 107. coi. 1. quos Etrufcis in ma¬ nibus funt. ibid. Enomao • ibid. coi. 2. onorabant. pag. 109. PALLIATA. referri. TAB. LIII. Florentiae. Iofephus Blanchius. Ant. Franc. Gorium. ferre . cap. 101. Tibure. qui Etrufcis in manibus funt, Oenomao. honorabant. STOLATA. Curatore: Fragmenta vestigiis veteris Romae --  A D O N E A . Adonidis mmen apud Ouidiutn . AEDIS HERCVLIS MVSARVM AEDIS. lOVIS InporticihusOBauU. Injiaurau ah Hadriano * AEDIS . IVNONIS. In porticihus OBauU* Aedes Palladis inforo T^erua* AEDES-OPIS 62 Aedes Telluris in forel^erud* 'vide Templum* Aedium Paiamatummagnifcentia • Aedes Romanomm nohilium, Aid infacris Aedihus* f Atnhulatio circa celUih^ 6.Aedium • A M P H I T H E A T R V M . AnemoneflosapudGuidium, ' Apollo Sandalarius • AQVEDVCTIVM. AquaduBus Ajud Claudia i AquaduBus Aqua Mania reflimti a Tratano 3 9 ,ah Alexandro Seuero, ArcusfeulanusadPorticumOBauia• Arcus Germanico»& Drufo • AREA .APOLLINIS cumara. a r e a . VALERIANA. *2 \ rCVS.MAXIMVS AREA. MERCVRII cumara« AREA. POLL VCIS |69 Traiani. ■ 40 CauediuminAedihus* 3t Area cumar4in Quirinali« 47 AlexanderSeuerusinfatirauit - 35 AqueduBus AquaMartia* 40 4^ 9.io Armamentaria.Ij. s> AniariumDomitiorum• ihid* Atrium in Aedihus. 61 ATRIVM. LIBERtATIS. s 1SJ AulaAdonidis• ihtd. AulaRegiainTheatro. 47 39 3* 20 57 57 BALINEVM. AMPELIDIS. BALNWM. CAESARIS. 47 BALNEVM. SVRAE* 31 Ba l n e a . coTiNi. B ^9 < 23 57 balneaadJolemexpofta0 J BalneaVirorum,acMulierum• ihid* 77 BASILICA. AEMILI. 27 48 Basilica.LiGiNii. }9 15 tT BASILICA. VVLPIA. 79 IZ c Capitolium. 20 40 CASTRA . MISENATIVM; * H 10 CaftraPeregrina, 1$ *69 CaflellumAquaManiacumtrofh*tii 39 \ Ciceronislocusillufratus• AREA.RADICARIA. 4S\fIRCVS.FLAMINIVS 7t ^7 Cir^   Circi CISTER.NAE. Cijierthe TUiand* CLIVVr.yTcTORIAE Clajfiarij dimijji honejia mijjtone ac ciuitate donati • ihid* 7 i ihid» 19 1 5 j S7 5 HORREA: CANDELARIA. 40 HORREA. LOLLIANA 4 Horrea puhlica > priuata ad uarm vfus• 6 HORTI. CELONIAE. FABIAE 44 Horti Gallieni, HORTI. PALLANTIANI 40 ^• I Columnatio in Uterihmfionte &fo(lico Column<&contraantas i O5 j DOMVS. CORNIFICIA *'— ^ Cornuafcena CVRIA.IVLIA D DELVBRVM. I^INERBA E , Capu 6j INTELLVRE 57 In Tellure locus extra Templutn Dicta Domitiani .* 47 27 51 Liciniana Baflica. Lollianiful Seuero. Lollianustyui, tP*GentianusConful 1 6 6 Dipteros columnatio duplex^ DOMVS. CILONIS Domus (lelU Confulis Domus interior 5 Domus Romanorumnohilium. "T. E 4S 44 l^cclefiafmB<e MarU Ae^yptiaca oUmTemplumfortune njirilis . 5.MarUinPorticuolimlunonis• 9 S* T^icolai olim louis • ibid, MACELLVM; 49 24 .S,StephaniadTiherimolimMatuu &4 Macellum l^leronis • MAVSOLEVM. AVGVSTI MONVMENTA . MARIANA Muri Vrhis inflauratl al Arcadia CST* Honorio . N N A V A L E M Piummus Alexandri Seueri cum Cajiello Aft<e MartU* T^ummus T^eronis, O ilidl 85 39 Euripus in Circo Ealius Clio, eiufijue muniafu l Seuero fapi^ium in porticilus. Eons Lolltanus. Gallieni Ba(tlica,& Horti in Effuilijs GRAECOSTASIS. Gyn<eceum • n HECATONSTYLVM.33. Hecatonftylum in Hojlilium feu \^uriamffojliliam corrupts 8 1 j G 10 6 i r MVTATORIVM. 47 IJ 20' 40 49 77 5 35 Orilejlra in Teatro» ^In Amphitheatro, Palatium Licinianum • Perypteros* 47 5 S7 LAVACRVM.AGRIPPINAE 23 35 Telluris cumBaJfo. LVDVS.MAGNVS M *_ Marci Aprippto magnificentia 6 Per^   ^erijlylia duplicia in JeMus* TiBura amiqua infants • Vimcothem. Pifcim* Pltn^ locus illufiratus. Porta Trigemtm ante Claudiufn i P O M g VS. AEMILIA. 5* t 6 6i ^3 9 fundator Jmperij cognominatus • I c h n o g r a p h i a m V t h i s i n i e mp l o P L c h - muli iocauit ihidi & I, 19 • 5* 19 ibid. i o z j ^orticus Metelli cum duabus Jedtbus» i o PORTICVS * OCTAVIAE . E t HE- 9.10 Porttcus^pBduU i Ionicaeiufque ornamentA • Porticus Pompeii flecatonjlylon i Porticus nohiles atiobilibuspiBurii 16 SVBVRA. 17 SVMI.GHORAGII 35 *9 5 10 S 70 1 1.2.19 6 $ 45 cogmminau • Porticusjimplex. Pronaon Pfeudodijneros. R templvm.c6ncori5ia^ 39 F ortun* wirilis. 24 Matuu. ibid. R E G lA . 53 Romuli templum injtauratum a Stipt* SiUtro i Rom* ^ejligiumfeu knographia ScenaTheatrii Septa Agrippina • 65 ibid. a 5 ibid* $ SEPTAaVLlA. 43.44 SEPTA^ TRIGABJA Septorum reliquU inVialata t Sepulcrurn DOmitiorUm. ^Sepvikrurrt. GNi DOMITII w 45 CALVIN! 61 Sepukfum PhitomeUfeu Lufcini* • 61 SEVERI. ET. ANTONINL AVG. )Sf.N. 19 SeptitHiusSeuerUsKejiitutorVrUs & Rom*. i.2«i9 VlA.jTOVA 70 ibid* S 3 (jillknii 45 61 !Septi:^onium. -v.. StdtUa Apollinis in Vaiicdno. Statu* in nieflibulo*fact adium Staiud celkires in Thottnis. Staiudt tV piBur* tfoffe adArcum SERAPAEVM • 69 Stattia Apollinis Sandalarij » Vide tab. X V U T raiani. Fheatrum Bilbii THEAtRVM.MARCELLI - THEAfRVM/POMPEH Theatri Pompeij reliqitU ad Cdmputn Flord in*dibulV rftiotumi Thernid (iatuis exornatd. T hermd hyemdles i Troph*a Ttdiani iiulgo ^ar^ in in Capitolio i Traianus inflaurauti AqudduBus Aqu* Marti*. Veflibula Regalia . Vefligiumfeu Ichnographia Vrbis J 5 VICVS.$ANDALARIVSIoannis Cristophori Amadutii. Giovanni Cristofano Amaduzzi. Amaduzzi. Keywords: Filopatridi, i filopatridi.  Alfabeto etrusco, alphabetum etruscorum, alphabetum veterum etruscorum, grandonico-malabaricum sive samscrudonicum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Amaduzzi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692077665/in/photolist-2mUuQG8-2mKRpLn/

 

Grice ed Ambrogio – SEBASTIANE – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like the Italian philosopher, Ambrogio – he was born, of course, in Germany! And he never wrote in Italian! But the fact that he got all his inspiration not so much from God but from Cicerone’s Liber II De Officiis, makes him an ineludible step in Lit. Hum. at Oxford!” -- Grice: I prefer the spelling “Ambrogio,” or if not “Aurelio Ambrosius”To call him Ambrosisus is like calling me Gree.” Grice: “Not to be confused with Ambrose and his orchestrasweet!”on altruism. known as Ambrose of Milan. Roman church leader and theologian. While bishop of Milan, he not only led the struggle against the Arian heresy and its political manifestations, but offered new models for preaching, for Scriptural exegesis, and for hymnody. His works also contributed to medieval Latin philosophy. Ambrose’s appropriation of Neoplatonic doctrines was noteworthy in itself, and it worked powerfully on and through Augustine. Ambrose’s commentary on the account of creation in Genesis, his Hexaemeron, preserved for medieval readers many pieces of ancient natural history and even some elements of physical explanation. Perhaps most importantly, Ambrose engaged ancient philosophical ethics in the search for moral lessons that marks his exegesis of Scripture; he also reworked Cicero’s De officiis as a treatise on the virtues and duties of Christian living. ambrogio: Sant'Ambrogio  Nota disambigua.svg DisambiguazioneSe stai cercando altri significati, vedi Sant'Ambrogio (disambigua). Nota disambigua.svg Disambiguazione"Ambrogio da Milano" rimanda qui. Se stai cercando lo scultore e architetto italiano, vedi Ambrogio Barocci. Sant'Ambrogio di Milano AmbroseOfMilanMosaico di Sant'Ambrogio di Milano nel sacello di San Vittore (378 ca.) annesso alla Basilica del Santo, probabile ritratto del vescovo.   Vescovo e Dottore della Chiesa    NascitaAugusta Treverorum (Treviri), forse 339-340 MorteMilano, 397 Venerato daTutte le Chiese che ammettono il culto dei santi Santuario principaleBasilica di Sant'Ambrogio, Milano Ricorrenza4 aprile (vetero-cattolici) 7 dicembre (cattolici) 7 dicembre (ortodossi) Attributiapi, scudscio, bastone pastorale e gabbiano Patrono diMilano, Alassio, prefetti, Lombardia, Rozzano, Monserrato, Buccheri, Cerami, Vigevano, Castel del Rio, Sant'Ambrogio di Torino, vescovi, Omegna, Carate Brianza, Caslino d’Erba Manuale Aurelio Ambrogio vescovo della Chiesa cattolica AmbroseGiuLungaraTemplate-Bishop.svg   Incarichi ricopertiVescovo di Milano   Natoincerto 339-340 a Treviri Ordinato presbitero? Consacrato vescovo7 dicembre 374 Deceduto4 aprile 397 a Milano   Manuale Aurelio Ambrogio (in latino: Aurelius Ambrosius), meglio conosciuto come sant'Ambrogio (Augusta Treverorum, incerto 339-340Milano, 4 aprile 397) funzionario, vescovo, teologo e santo romano, una delle personalità più importanti nella Chiesa del IV secolo. È venerato come santo da tutte le Chiese cristiane che prevedono il culto dei santi; in particolare, la Chiesa cattolica lo annovera tra i quattro massimi dottori della Chiesa d'Occidente, insieme a san Girolamo, sant'Agostino e san Gregorio I papa.  Conosciuto anche come Ambrogio di Treviri, per il luogo di nascita, o più comunemente come Ambrogio di Milano, la città di cui assieme a san Carlo Borromeo e san Galdino è patrono e della quale fu vescovo dal 374 fino alla morte, nella quale è presente la basilica a lui dedicata che ne conserva le spoglie.   Incarichi pubblici e nomina a vescovo di Milano 1.3Episcopato 1.3.1Gli impegni pastorali 1.3.2Politica ecclesiastica 1.3.3Rapporti con la corte imperiale 2Pensiero e opere 2.1Esegesi 2.2Morale e ascetismo 2.3Società e politica 2.4Antigiudaismo 2.4.1L'episodio di Callinicum 2.5Mariologia 3Milano e il rito ambrosiano 4Sant'Ambrogio e il canto liturgico 5Leggende su Sant'Ambrogio 6Opere 6.1Oratorie (esegetiche) 6.2Morali (ascetiche) 6.3Dogmatiche (sistematiche) 6.4Catechetiche 6.5Epistolario 6.6Innografia 6.7Altro 7Curiosità 8Note 9 10 11Altri progetti 12 Biografia Gioventù  Altare di Sant'Ambrogio, 824-859 ca., Ambrogio ordinato vescovo Aurelio Ambrogio nacque ad Augusta Treverorum (l'odierna Treviri, nella Renania-Palatinato, in Germania), nella Gallia Belgica, dove il padre esercitava la carica di prefetto del pretorio delle Gallie, intorno al 339 circa da un'illustre famiglia romana di rango senatoriale, la gens Aurelia, cui la famiglia materna apparteneva inoltre al ramo dei Simmaci (era dunque un cugino dell'oratore Quinto Aurelio Simmaco).  La famiglia di Ambrogio risultava convertita al cristianesimo già da alcune generazioni (egli stesso soleva citare con orgoglio la sua parente Santa Sotere, martire cristiana che «ai consolati e alle prefetture dei parenti preferì la fede») e stesso una sua sorella ed un suo fratello, Marcellina (consacratasi a Dio nelle mani di papa Liberio nel 353) e Satiro di Milano, vennero poi venerati come santi.  Destinato alla carriera amministrativa sulle orme del padre, dopo la sua prematura morte frequentò le migliori scuole di Roma, dove compì i tradizionali studi del trivium e del quadrivium (imparò il greco e studiò diritto, letteratura e retorica), partecipando poi attivamente alla vita pubblica dell'Urbe.  Incarichi pubblici e nomina a vescovo di Milano Dopo cinque anni di avvocatura esercitati presso Sirmio  (l'odierna Sremska Mitrovica, in Serbia), nella Pannonia Inferiore, nel 370 fu incaricato quale governatore dell'Italia Annonaria per la provincia romana Aemilia et Liguria, con sede a Milano, dove divenne una figura di rilievo nella corte dell'imperatore Valentiniano I. La sua abilità di funzionario nel dirimere pacificamente i forti contrasti tra ariani e cattolici gli valse un largo apprezzamento da parte delle due fazioni.  Nel 374, alla morte del vescovo ariano Aussenzio di Milano, il delicato equilibrio tra le due fazioni sembrò precipitare. Il biografo Paolino racconta che Ambrogio, preoccupato di sedare il popolo in rivolta per la designazione del nuovo vescovo, si recò in chiesa, dove all'improvviso si sarebbe sentita la voce di un bambino urlare «Ambrogio vescovo!», a cui si unì quella unanime della folla radunata nella chiesa. I milanesi volevano un cattolico come nuovo vescovo. Ambrogio però rifiutò decisamente l'incarico, sentendosi impreparato: come era in uso presso alcune famiglie cristiane all'epoca, egli non aveva ancora ricevuto il battesimo, né aveva affrontato studi di teologia.  Paolino racconta che, al fine di dissuadere il popolo di Milano dal farlo nominare vescovo, Ambrogio provò anche a macchiare la buona fama che lo circondava, ordinando la tortura di alcuni imputati e invitando in casa sua alcune prostitute; ma, dal momento che il popolo non recedeva nella sua scelta, egli tentò addirittura la fuga. Quando venne ritrovato, il popolo decise di risolvere la questione appellandosi all'autorità dell'imperatore Flavio Valentiniano, cui Ambrogio era alle dipendenze. Fu allora che accettò l'incarico, considerando che fosse questa la volontà di Dio nei suoi confronti, e decise di farsi battezzare: nel giro di sette giorni ricevette il battesimo nel battistero di Santo Stefano alle Fonti a Milano e, il 7 dicembre 374, venne ordinato vescovo. Riferendosi alla sua elezione, egli scriverà poco prima della morte:  «Quale resistenza opposi per non essere ordinato! Alla fine, poiché ero costretto, chiesi almeno che l'ordinazione fosse ritardata. Ma non valse sollevare eccezioni, prevalse la violenza fattami.»  Nonostante, come scrisse più tardi, si sentisse «rapito a forza dai tribunali e dalle insegne dell'amministrazione al sacerdozio», dopo la nomina a vescovo, Ambrogio prese molto sul serio il suo incarico e si dedicò ad approfonditi studi biblici e teologici.  Episcopato  Ambrogio con le insegne episcopali Gli impegni pastorali Quando divenne vescovo (nel 374), adottò uno stile di vita ascetico, elargì i suoi beni ai poveri, donando i suoi possedimenti terrieri (eccetto il necessario per la sorella Marcellina).  Uomo di grande carità, tenne la sua porta sempre aperta, prodigandosi senza tregua per il bene dei cittadini affidati alle sue cure. Ad esempio, Sant'Ambrogio non esitò a spezzare i Vasi Sacri e ad usare il ricavo dalla vendita per il riscatto di prigionieri. Di fronte alle critiche mosse dagli ariani per il suo gesto, egli rispose che «è molto meglio per il Signore salvare delle anime che dell'oro. Egli infatti mandò gli apostoli senza oro e senza oro fondò le Chiese. [...] I sacramenti non richiedono oro, né acquisisce valore per via dell'oro ciò che non si compra con l'oro» (De officiis, II, 28, 136-138)  La sua sapienza nella predicazione e il suo prestigio furono determinanti per la conversione nel 386 al cristianesimo di Sant'Agostino, di fede manichea, che era venuto a Milano per insegnare retorica.  Ambrogio fece costruire varie basiliche, di cui quattro ai lati della città, quasi a formare un quadrato protettivo, probabilmente pensando alla forma di una croce. Esse corrispondono alle attuali basilica di San Nazaro (sul decumano, presso la Porta Romana, allora era la Basilica Apostolorum), alla basilica di San Simpliciano, detta Basilica Virginum, ossia basilica delle vergini (sulla parte opposta), alla basilica di Sant'Ambrogio (collocata a sud-ovest, era chiamata originariamente Basilica Martyrum in quanto ospitava i corpi dei santi martiri Gervasio e Protasio rinvenuti da Ambrogio stesso; accoglie oggi le spoglie del santo) e alla basilica di San Dionigi (Basilica Prophetarum).  Il ritrovamento dei corpi dei santi martiri Gervasio e Protasio è narrato dallo stesso Ambrogio, che ne attribuisce il merito ad un presagio, per il quale egli fece scavare la terra davanti ai cancelli della basilica (oggi distrutta) dei santi Nabore e Felice. Al ritrovamento dei corpi seguì la loro traslazione (secondo un rito importato dalla Chiesa orientale) nella Basilica Martyrum; durante la traslazione, si racconta (è lo stesso Ambrogio a riportarlo) che un cieco di nome Severoriacquistò la vista. Il ritrovamento del corpo dei martiri da parte del vescovo di Milano diede grande contributo alla causa dei cattolici nei confronti degli ariani, che costituivano a Milano un gruppo nutrito e attivo, e negavano la validità dell'operato di Ambrogio, di fede cattolica.  Ambrogio fu autore di diversi inni per la preghiera, compiendo fondamentali riforme nel culto e nel canto sacro, che per primo introdusse nella liturgia cristiana, e ancor oggi a Milano vi è una scuola che tramanda nei millenni questo antico canto.  Politica ecclesiastica L'importanza della sede occupata da Ambrogio, teatro di numerosi contrasti religiosi e politici, e la sua personale attitudine di uomo politico lo portarono a svolgere una forte attività di politica ecclesiastica. Egli scrisse infatti opere di morale e teologia in cui combatté a fondo gli errori dottrinali del suo tempo; fu inoltre sostenitore del primato d'onore del vescovo di Roma, contro altri vescovi (tra i quali Palladio) che lo ritenevano pari a loro.  Si mostrò in prima linea nella lotta all'arianesimo, che aveva trovato numerosi seguaci a Milano e nella corte imperiale. Si scontrò per questo motivo con l'imperatrice Giustina, di fede ariana e probabilmente influì sulla politica religiosa dell'imperatore Graziano che, nel 380, inasprì le sanzioni per gli eretici e, con l'editto di Tessalonica, dichiarò il cristianesimo religione di Stato. Il momento di massima tensione si ebbe nel 385-386 quando, dopo la morte di Graziano, gli ariani chiesero insistentemente con l'appoggio della corte imperiale una basilica per praticare il loro culto. L'opposizione di Ambrogio fu energica tanto che rimase famoso l'episodio in cui, assieme ai fedeli cattolici, "occupò" la basilica destinata agli ariani finché l'altra parte fu costretta a cedere. Fu in questa occasione, si racconta, che Ambrogio introdusse l'usanza del canto antifonale e della preghiera cantata in forma di inno, con lo scopo di non fare addormentare i fedeli che occupavano la basilica. Fu inoltre determinante per la vittoria di Ambrogio nella controversia con gli ariani il ritrovamento dei corpi dei santi Gervasio e Protaso, che avvenne proprio nel 386 sotto la guida del vescovo di Milano, il quale guadagnò in questo modo il consenso di gran parte dei fedeli della città.  Fu infine forte avversario del paganesimo "ufficiale" romano, che dimostrava in quegli anni gli ultimi segni di vitalità; per questo motivo si scontrò con il suo stesso cugino, il senatore Quinto Aurelio Simmaco, che chiedeva il ripristino dell'altare e della statua della dea Vittoria rimossi dalla Curia romana, sede del Senato, in seguito a un editto di Graziano nel 382.  Rapporti con la corte imperiale  Sant'Ambrogio rifiuta l'ingresso in chiesa all'imperatore, nel dipinto di Van Dyck. Molto probabilmente questo episodio non avvenne mai: Ambrogio preferì non arrivare allo scontro pubblico con l'imperatore, ma lo redarguì in privato. Il potere politico e quello religioso al tempo erano strettamente legati: in particolare l'imperatore, a cominciare daCostantino, possedeva una certa autorità all'interno della Chiesa, nella quale il primato petrino non era pienamente assodato e riconosciuto. A questo si aggiunsero la posizione di Ambrogio, vescovo della città di residenza della corte imperiale, e la sua precedente carriera come avvocato, amministratore e politico, che lo portarono più volte a intervenire incisivamente nelle vicende politiche, ad avere stretti rapporti con gli ambienti della corte e dell'aristocrazia romana, e talvolta a ricoprire specifici incarichi diplomatici per conto degli imperatori.  In particolare, nonostante il convinto lealismo verso l'impero Romano e l'influenza nella vita politica dell'impero, i suoi rapporti con le istituzioni non furono sempre pacifici, soprattutto quando si trattò di difendere la causa della Chiesa e dell'ortodossia religiosa. Gli storici bizantini gli accreditarono questo atteggiamento come parrhesia (παρρησία), schiettezza e verità di fronte ai potenti e al potere politico, che traspare a partire dal suo rapporto epistolare con l'imperatore Teodosio.  Essendo Ambrogio precettore dell'imperatore Graziano, lo educò secondo i principi del Cristianesimo. Egli predicava all'imperatore di rendere grazie a Dio per le vittorie dell'esercito e lo appoggiò nella disputa contro il senatore Simmaco, che chiedeva il ripristino dell'altare alla dea Vittoria fatto rimuovere dalla Curia romana  Chiese poi a Graziano di indire il concilio di Aquileia nel settembre del 381 per condannare due vescovi eretici, secondo i dettami dei vari concili ecumenici ed anche secondo l'opinione del Papa e dei vescovi ortodossi. In questo concilio Ambrogio si pronunciò contro l'arianesimo.  Ambrogio influì anche sulla politica religiosa di Teodosio I. Nel 388, dopo che un gruppo di cristiani aveva incendiato la sinagoga della città di Callinico, l'imperatore decise di punire i responsabili e di obbligare il vescovo, accusato di aver istigato i distruttori, a ricostruire il tempio a suo spese. Ambrogio, informato della vicenda, si scagliò contro questo provvedimento, minacciando di sospendere l'attività religiosa, tanto da indurre l'imperatore a revocare le misure.  Nel 390 criticò aspramente l'imperatore, che aveva ordinato un massacro tra la popolazione di Tessalonica, rea di aver linciato il capo del presidio romano della città: in tre ore di carneficina erano state assassinate migliaia di persone, attirate nell'arena con il pretesto di una corsa di cavalli. Ambrogio, venuto a conoscenza dell'accaduto, evitò diplomaticamente una contrapposizione aperta con il potere imperiale (con il pretesto di una malattia evitò l'incontro pubblico con Teodosio) ma, per via epistolare, chiese in modo riservato ma deciso una «penitenza pubblica» all'imperatore, che si era macchiato di un grave delitto pur dichiarandosi cristiano, pena il rifiuto di celebrare i sacri riti in sua presenza («Non oso offrire il sacrificio, se tu vorrai assistervi», Lettera 11). Teodosio ammise pubblicamente l'eccesso e nella notte Natale di quell'anno, venne riammesso ai sacramenti.  Dopo questo episodio la politica religiosa dell'imperatore si irrigidì notevolmente: tra il 391 e il 392 furono emanati una serie di decreti (noti come decreti teodosiani) che attuavano in pieno l'editto di Tessalonica: venne interdetto l'accesso ai templi pagani e ribadita la proibizione di qualsiasi forma di culto, compresa l'adorazione delle statue; furono inoltre inasprite le pene amministrative per i cristiani che si riconvertissero nuovamente al paganesimo e nel decreto emanato nel 392 da Costantinopoli, l'immolazione di vittime nei sacrifici e la consultazione delle viscere erano equiparati al delitto di lesa maestà, punibile con la condanna a morte.  Nel 393 Milano fu coinvolta nella lotta per il potere tra l'imperatore Teodosio I e l'usurpatore Flavio Eugenio. In aprile Eugenio varcò le Alpi e puntò alla conquista della città, in quanto capitale d'Occidente. Ambrogio partì e andò ritirarsi a Bologna. Durante un soggiorno temporaneo a Faenza scrisse una lettera ad Eugenio. Poi accettò l'invito della comunità di Firenze, ove rimase per circa un anno. La guerra per il controllo dell'impero fu vinta da Teodosio. Nell'autunno del 394 Ambrogio fece ritorno a Milano.  Alla sua morte, per sua stessa volontà, fu sepolto all'interno della basilica che tuttora porta il suo nome, fra le spogli dei martiri Gervasio e Protasio. Le sue spoglie, rinvenute sotto l'altare nel 1864, furono trasferite in un'urna di argento e cristallo posta nella cripta della basilica.  Pensiero e opere  Rilievo gotico raffigurante Ambrogio. Tra gli attributi del santo c'è il miele, simbolo della dolcezza delle prediche e degli scritti Fortemente legata all'attività pastorale di Ambrogio fu la sua produzione letteraria, spesso semplice frutto di una raccolta e di una rielaborazione delle sue omelie e che quindi mantengono un tono simile al parlato.  Per il suo stile dolce e misurato del suo parlato e della sua prosa, Ambrogio venne definito «dolce come il miele» e tra i suoi attributi compare perciò un alveare.  Esegesi Oltre la metà dei suoi scritti è dedicata all'esegesi biblica, che egli affronta seguendo un'interpretazione prevalentemente allegorica e morale del testo sacro (in particolare per quanto riguarda l'Antico Testamento): ad esempio, ama ricercare nei patriarchi e nei personaggi biblici in generale figure di Cristo o esempi di virtù morali. Fu proprio questo metodo di lettura della Bibbia ad affascinare Sant'Agostino e a risultare determinante per la sua conversione (come egli scrisse nelle Confessioni V, 14, 24).  Secondo Gérard Nauroy, «per Ambrogio l'esegesi è un modo fondamentale di pensare piuttosto che un metodo o un genere: [...] ormai egli "parla la Bibbia", non più con la giustapposizione di citazioni dagli stili più diversi, ma in un discorso sintetico, eminentemente allusivo, "misterico" come la Parola stessa». Per Ambrogio la lettura e l'approfondimento della conoscenza biblica costituiscono un elemento fondamentale della vita cristiana:  «Bevi dunque tutt'e due i calici, dell'Antico e del Nuovo Testamento, perché in entrambi bevi Cristo. [...] La Scrittura divina si beve, la Scrittura divina si divora, quando il succo della parola eterna discende nelle vene della mente e nelle energie dell'anima»  (Ambrogio, Commento al Salmo I, 33) Tra le opere esegetiche spiccano l'esauriente commento al Vangelo di Luca (Expositio evangelii secundum Lucam) e l'Exameron (dal greco "sei giorni"). Quest'ultima opera, ispirata ampiamente all'omonimo Exameron di Basilio di Cesarea, raccoglie, in sei libri, nove omelie riguardanti i primi capitoli della Genesi dalla creazione del cielo fino alla creazione dell'uomo. Anche in questo caso, il racconto della creazione è occasione di evidenziare insegnamenti morali desunti dalla natura e dal comportamento degli animali e dalle proprietà delle piante; in questo senso l'uomo appare ad Ambrogio necessariamente legato con tutto il creato dal punto di vista non solo biologico e fisico, ma anche morale e spirituale.  Morale e ascetismo Un altro gruppo significativo consiste nelle opere di argomento morale o ascetico, tra le quali risalta il De officiis ministrorum (talvolta abbreviato in De officiis), un trattato sulla vita cristiana rivolto in particolare al clero ma destinato a tutti i fedeli. L'opera ricalca l'omonimo scritto di Cicerone, che si proponeva come manuale di etica pratica indirizzato al figlio (cui è dedicato) rivolto soprattutto a questioni politico-sociali. Ambrogio riprende il titolo (indirizzando l'opera ai suoi "figli" in senso spirituale, cioè il clero e il popolo di Milano), la struttura (il libro è ripartito in tre libri, dedicati all'honestum, all'utile e al loro contrasto risolto nell'identificazione tra i due) e alcuni elementi contenutistici (tra i quali i principi della morale stoica, come il dominio della razionalità, l'indipendenza dai piaceri e dalla vanità delle cose, la virtù come sommo bene). Questi elementi sono rivisti con originalità in chiave cristiana: agli exempla tratti dalla storia e dalla mitologia classica, Ambrogio sostituisce ad esempio storie ed esempi tratti dalla Bibbia. In generale, è lo stesso orientamento del testo a non essere più etico-filosofico ma prevalentemente religioso e spirituale, come egli spiega fin dall'inizio: «Noi valutiamo il dovere secondo un principio diverso da quello dei filosofi. Essi considerano beni quelli di questa vita, noi addirittura danni» (De officiis, I, 9, 29). Allo stesso modo, le virtù tradizionali vengono rilette cristianamente e accettate alla luce del Vangelo: la fides (lealtà) diventa la fede in Cristo, la prudenza include la devozione verso Dio, esempi di fortezza divengono i martiri. Alle virtù classiche si aggiungono le virtù cristiane: la carità (che già esisteva nel mondo latino, ora assume un significato più interiore e spirituale), l'umiltà, l'attenzione verso i poveri, gli schiavi, le donne.  Altre cinque opere sono dedicate alla verginità, specialmente quella femminile (De virginibus, De viduis, De virginitate, De institutione virginis e Exhortatio virginitatis). Ambrogio esalta la verginità come massimo ideale di vita cristiana, sulla scia della tradizione cristiana da San Paolo («colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio», 1 Cor 7,38) fino al contemporaneo Girolamo, senza tuttavia negare la validità della vita matrimoniale. La scelta della verginità è ritenuta l'unica vera scelta di emancipazione per la donna dalla vita coniugale, in cui si trova subordinata. Critica aspramente in questo senso il fatto che il matrimonio costituisca solo un contratto economico e sociale, che non lascia spazio alla scelta degli sposi e in particolare della donna: «Davvero degna di compianto è la condizione che impone alla donna, per sposarsi, di essere messa all'asta come una sorta di schiavo da vendere, perché la compri chi offre il prezzo più alto» (De virginibus, I, 9, 56). Per questo Ambrogio incoraggia i genitori ad accettare la scelta di verginità dei figli e i figli a resistere alle difficoltà imposte dalla famiglia («Se vinci la famiglia, vinci anche il mondo», De virginibus, I, 11, 63).  Società e politica  Ambrogio assolve Teodosio dopo l'episodio di Tessalonica Nel confronto con la società e gli ideali del mondo latino, Ambrogio accolse i valori civili della romanità con l'intento di dare ad essi nuovo significato all'interno della religione cristiana. Nel suo Esamerone esalta l'istituzione repubblicana (di cui l'antica repubblica romana era secondo lui un ammirevole esempio) prendendo spunto dalla spontanea organizzazione delle gru, che si dividono il lavoro avvicendandosi nei turni di guardia:  «Che c'è di più bello del fatto che la fatica e l'onore comuni a tutti e il potere non sia preteso da pochi, ma passi dall'uno all'altro senza eccezioni come per una libera decisione? Questo è l'esercizio di un ufficio proprio di un'antica repubblica, quale conviene in uno stato libero.»  (Esamerone, VIII, 15, 51) Nella visione di Ambrogio inoltre potere e dell'autorità, intesi come servizio («Libertà è anche il servire», Lettera 7), dovevano essere sottomessi alle leggi di Dio. Prendendo ispirazione dal racconto della corona imperiale e del morso di cavallo realizzati, secondo la tradizione, da Costantino con i chiodi della croce di Gesù, nel discorso funebre di Teodosio egli elogiò la sottomissione dell'imperatore a Cristo, dimostrata in primis dall'episodio di Tessalonica:  «Per quale motivo [ebbero] "una cosa santa sul morso" se non perché frenasse l'arroganza degli imperatori, reprimesse la dissolutezza dei tiranni che, come cavalli, nitrivano smaniosi di piaceri, perché potevano impunemente commettere adulteri? Quali turpitudini conosciamo dei Neroni e dei Caligola e di tutti gli altri che non ebbero "una cosa santa sul morso"!»  (In morte di Teodosio, 50) Di fronte al dispotismo e alla dissolutezza che avevano caratterizzato il comportamento di non pochi imperatori romani, Ambrog io vide nel cristianesimo una possibilità per "redimere" il potere imperiale e renderlo giusto e clemente. Nella sua idea, infatti, il cristianesimo avrebbe dovuto sostituire il paganesimo nella società romana senza per questo negare e distruggere le istituzione imperiali («Voi [pagani] chiedete pace per le vostre divinità agli imperatori, noi per gli stessi imperatori chiediamo pace a Cristo», Lettera 73 a Valentiniano II), ma anzi dando ai valori romani la nuova linfa offerta dalla morale cristiana.  Ambrogio richiamò infine la società romana nella quale era sempre più accentuato il divario tra ricchi e poveri; alla sperequazione economica, Ambrogio contrapponeva infatti la morale del Vangelo e della tradizione biblica. Così egli scrive nel Naboth:  «La terra è stata creata come un bene comune per tutti, per i ricchi e per i poveri: perché, o ricchi, vi arrogate un diritto esclusivo sul suolo? [...] Tu [ricco] non dai del tuo al povero [quando fai la carità], ma gli rendi il suo; infatti la proprietà comune, che è stata data in uso a tutti, tu solo la usi.»  (Naboth, 1,2; 12, 53) Antigiudaismo Magnifying glass icon mgx2.svg Antisemitismo § Antigiudaismo teologico. Per Ambrogio era fondamentale la storia di Israele come popolo eletto: da qui la grande presenza dell'Antico Testamento nel rito ambrosiano, le numerosissime sue opere di commento agli episodi della storia ebraica, la conservazione della sacralità del sabato, ecc. Tuttavia, come era comune nel cristianesimo dei primi secoli, forte era anche la volontà di mostrare l'originalità cristiana rispetto alla tradizione giudaica (che non aveva riconosciuto Gesù come Messia) e di affermare l'indipendenza e le prerogative della Chiesa nascente.  Ad esempio, nell'Expositio Evangelii secundum Lucam (4, 34), commentando un passo del vangelo di Luca in cui un uomo invaso dallo spirito di un demonio impuro, grida: «Ah! Che c'è fra noi e te, Gesù Nazareno? Sei venuto per rovinarci? So chi tu sei: il Santo di Dio», Ambrogio critica aspramente l'incredulità della gente circostante:  «Chi è colui che aveva nella sinagoga spirito immondo di demonio, se non la folla dei giudei che, come stretta da spire serpentine e legata dai lacci del diavolo, simulata la purità del corpo, profanava con le immondezze della mente interiore? Ebbene: era nella sinagoga l'uomo che aveva lo spirito immondo; perché lo Spirito Santo lo aveva ammesso. Era entrato infatti il diavolo dal luogo da cui Cristo era uscito. Insieme, si mostra la natura del diavolo non come ostinata, ma come opera ingiusta. Infatti quello che attraverso una natura superiore professa il Signore, con le opere lo nega. E in questo appare la sua malvagità [del demonio] e l'ostinazione dei giudei, poiché così [il demonio] spandé tra la folla la cecità della mente furiosa; affinché la gente neghi, colui che i demoni professano. O eredità dei discepoli peggiore del maestro! Quello tenta il Signore con le parole, essi con l'agire: egli dice "Buttati!" (Luc. IV, 9), questi sono assaliti perché [lo] buttino.»  L'episodio di Callinicum Le cronache storiche riportano un episodio che può essere considerato rivelatore dell'atteggiamento di Ambrogio nei riguardi degli ebrei. Nel 388, a Callinicum (Kallinikon, sul fiume Eufrate, in Asia, l'attuale al-Raqqa), una folla di cristiani diede l'assalto alla sinagoga e la bruciò. Il governatore romano condannò l'accaduto e, per mantenere l'ordine pubblico, dispose affinché la sinagoga venisse ricostruita a spese del vescovo. L'imperatore Teodosio I rese noto di condividere quanto deciso dal suo funzionario.  Ambrogio si oppose alla decisione dell'imperatore e gli scrisse una lettera (Epistulae variae 40) per convincerlo a ritirare l'ingiunzione di ricostruire la sinagoga a spese del vescovo: «Il luogo che ospita l'incredulità giudaica sarà ricostruito con le spoglie della Chiesa? Il patrimonio acquistato dai cristiani con la protezione di Cristo sarà trasmesso ai templi degli increduli?... Questa iscrizione porranno i giudei sul frontone della loro sinagoga:Tempio dell'empietà ricostruito col bottino dei cristiani -... Il popolo giudeo introdurrà questa solennità fra i suoi giorni festivi...»  Citando dalla lettera di Ambrogio a Teodosio (Epistulae variae 40,11):  «Ma ti muove la ragione della disciplina. Che cosa dunque è più importante, l'idea di disciplina [mantenimento dell'ordine pubblico] o il motivo della religione?»  Nell'epistola Ambrogio si attribuì la responsabilità dell'incendio: «Io dichiaro di aver dato alle fiamme la sinagoga, sì, sono stato io che ho dato l'incarico, perché non ci sia più nessun luogo dove Cristo venga negato»  Ambrogio si spinse ad affermare che quell'incendio non era affatto un delitto e che se lui non aveva ancora dato l'ordine di bruciare la sinagoga di Milano era solo per pigrizia e che bruciare le sinagoghe era altresì un atto glorioso.  Ambrogio non volle salire sull'altare finché l'imperatore non abolì il decreto imperiale riguardante la ricostruzione della sinagoga a spese del vescovo. Secondo la visione del vescovo, nella questione della religione l'unico foro competente da consultare doveva essere la Chiesa cattolica la quale, grazie ad Ambrogio, divenne la religione statale e dominante. In questa impresa lo scopo era quello di avvalorare l'indipendenza della Chiesa dallo Stato, affermando anche la superiorità della Chiesa sullo Stato in quanto emanazione di una legge superiore alla quale tutti devono sottostare.  Mariologia Sebbene non si possa parlare di una mariologia vera e propria (intesa come pensiero sistematico), sono numerosi nell'opera di Ambrogio i riferimenti a Maria: spesso, quando si presenta l'occasione, egli si rifà alla sua figura e al suo esempio.  La sua venerazione per Maria nasce soprattutto dal ruolo attribuitole nella storia della salvezza. Maria è infatti madre di Cristo, e dunque modello per tutti i credenti che, come lei, sono chiamati a "generare" Cristo:  «Vedi bene che Maria non aveva dubitato, bensì creduto e perciò aveva conseguito il frutto della sua fede. «Beata tu che hai creduto». Ma beati anche voi che avete udito e avete creduto: infatti, ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio e ne comprende le operazioni. Sia in ciascuno l’anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria ad esultare in Dio: se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo»  (Esposizione del Vangelo secondo Luca, II, 19. 24-26) Ambrogio difende strenuamente la verginità di Maria, soprattutto in relazione al mistero di Cristo: egli infatti, proprio perché nato da vergine, non ha contratto il peccato originale. Maria è anche la prima donna a cogliere i "frutti" della venuta di Cristo:  «Non c’è affatto da stupirsi che il Signore, accingendosi a redimere il mondo, abbia iniziato la sua opera proprio da Maria: se per mezzo di lei Dio preparava la salvezza a tutti gli uomini, ella doveva essere la prima a cogliere dal Figlio il frutto della salvezza»  (Esposizione del vangelo secondo Luca, II, 17) Maria è inoltre modello di virtù morali e cristiane, in primo luogo per le vergini («Nella vita di Maria risplende la bellezza della sua castità e della sua esemplare virtù») ma anche per tutti i fedeli; di lei vengono esaltate la sincerità (la verginità «di mente»), l'umiltà, la prudenza, la laboriosità, l'ascesi.  Milano e il rito ambrosiano  Sant'Ambrogio con in mano il flagello contro i nemici di Milano, in un bassorilievo quattrocentesco Magnifying glass icon mgx2.svg Rito ambrosiano. L'operato di Sant'Ambrogio a Milano ha lasciato segni profondi nella diocesi della città.  Già nel settembre del 600 papa Gregorio Magno parlò del neoeletto vescovo di Milano, Deodato, non tanto come successore, bensì come "vicario" di sant'Ambrogio (equiparandolo quasi ad un secondo "vescovo di Roma"). Nell'anno 881 invece papa Giovanni VIII definì per la prima volta la diocesi "ambrosiana", termine che è rimasto ancora oggi per identificare non solo la Chiesa di Milano, ma talvolta anche la stessa città.  L'eredità di Ambrogio è delineata principalmente a partire dalla sua attività pastorale: la predicazione della Parola di Dio coniugata alla dottrina della Chiesa cattolica, l'attenzione ai problemi della giustizia sociale, l'accoglienza verso le persone provenienti da popoli lontani, la denuncia degli errori nella vita civile e politica.  L'operato di Ambrogio lasciò un segno profondo in particolare sulla liturgia. Egli introdusse nella Chiesa occidentale molti elementi tratti dalle liturgie orientali, in particolare canti e inni. Si attribuisce ad Ambrogio l'inno Te Deum laudamus, ma la questione è controversa e negata anche da Luigi Biraghi. Le riforme liturgiche furono mantenute nella diocesi di Milano anche dai successori e costituirono il nucleo del Rito ambrosiano, sopravvissuto all'uniformazione dei riti e alla costituzione dell'unico rito romano voluta da papa Gregorio I e dal Concilio di Trento.  In dialetto milanese Ambrogio viene chiamato sant Ambroeus (grafia classica) o sant Ambrös (entrambi pronunciati "sant'ambrœs").   Sant'Ambrogio affrescato da Masolino, Battistero Castiglione Olona Alla sua figura è ispirato anche il premio Ambrogino d'oro, che è il nome non ufficiale con cui sono comunemente chiamate le onorificenze conferite dal comune di Milano.  Sant'Ambrogio e il canto liturgico  Michael Pacher, Sant'Ambrogio, Monaco, Alte Pinakothek Con il termine di ambrosiano non si definisce solo il rito della Chiesa Cattolica che fa riferimento al santo, ma anche un preciso modo di cantare durante la liturgia. Esso viene indicato con il nome di canto ambrosiano. Esso è caratterizzato dal canto di inni, cioè di nuove composizioni poetiche in versi, che vengono cantate da tutti i partecipanti al rito.  A differenza di quanto avveniva per i salmi, solitamente cantati da un solista o da un gruppo di coristi, essi vengono invece cantati da tutti i partecipanti, in cori alternati, normalmente tra donne e uomini, ma in altri casi tra giovani e anziani o anche tra fanciulli e adulti. Alcuni di questi inni sono stati sicuramente composti da Ambrogio. La certezza viene dal fatto che a menzionarli è sant'Agostino, che fu discepolo di Sant'Ambrogio.  Essi sono:  Aeterne rerum conditor (cf. Retractionum I,21); Iam surgit hora tertia (cf. De natura et gratia 63,74); Deus creator omnium (ricordato nelle Confessioni e citato complessivamente ben cinque volte dal vescovo di Ippona); Intende qui regis Israel (cf. Sermo 372 4,3). Attraverso la liturgia della Chiesa cattolica in generale e di quella ambrosiana in particolare, sono giunti fino a noi una moltitudine di inni in stile ambrosiano. I ricercatori hanno cercato di trovare dei criteri per indicare quelli che, con più certezza, sono stati composti da Ambrogio. Nel 1862 Luigi Biraghi ne indicava tre: la conformità degli inni con l'indole letteraria di Ambrogio, con il suo vocabolario e con il suo stile. Con questi criteri egli arrivò a selezionare diciotto inni:  Splendor paternae gloriae (nell'aurora) Iam surgit hora tertia (per l'ora di terza domenicale) Nunc sancte nobis Spiritus (per l'ora di terza feriale) Rector potens verax Deus (per l'ora di sesta) Rerum, Deus, tenax vigor (per l'ora di nona) Deus creator omnium (per l'ora dell'accensione) Iesu, corona virginum (inno della verginità) Intende qui regis Israel (per il Natale del Signore) Inluminans Altissimus (per le Epifanie del Signore) Agnes beatae virginis (per sant'Agnese) Hic est dies verus Dei (per la Pasqua) Victor, Nabor, Felix, pii (per i santi Vittore, Nabore e Felice) Grates tibi, Iesu, novas (per i santi Gervasio e Protasio) Apostolorum passio (per i santi Pietro e Paolo) Apostolorum supparem (per san Lorenzo) Amore Christi nobilis (per san Giovanni Evangelista) Aeterna Christi munera (per i santi martiri) Aeterne rerum conditor (al canto del gallo) Gli autori dell'edizione delle opere poetiche di Ambrogio in un volume stampato nel 1994, che ha portato a compimento l'Opera Omnia, in latino e in italiano, del vescovo di Milano, hanno ridotto questo numero certo a tredici canti, escludendo quelli per le ore minori, per i martiri e della verginità. L'esclusione va ascritta alla metrica di questi testi. Ambrogio aveva una predilezione per il numero otto. I suoi inni sono tutti di otto strofe con versi ottosillabici. Egli vedeva in questo numero la risurrezione di Cristo, la novità cristiana e la vita eterna (octava dies, l'ottavo giorno della settimana, cioè il nuovo giorno, in cui inizia l'era del Cristo). Per questi studiosi appare improbabile che egli sia venuto meno a questa preferenza e quindi quelli di due o di quattro strofe non vengono attribuiti al vescovo milanese.  Per questi storici inoltre non vi è motivo di dubitare che l'autore della melodia sia lo stesso Ambrogio dato che per loro natura questi inni nascono consostanziati alla musica. Il Migliavacca nota come Ambrogio possedesse una conoscenza musicale approfondita. Le sue opere rivelano, oltre a una perfetta conoscenza scolastica, anche una particolare propensione musicale. Egli parla dell'arte musicale con cognizione tecnica e non solo con estetica raffinatezza come il suo discepolo Agostino.  Leggende su Sant'Ambrogio  Spoglie mortali di Ambrogio e Gervasio, rivestite dei paramenti liturgici, nella cripta della Basilica di Sant'Ambrogio a Milano. Su Sant'Ambrogio vi sono numerose leggende miracolistiche:  Mentre Ambrogio infante dormiva nella sua culla posta temporaneamente nell'atrio del Pretorio, uno sciame di api si posò improvvisamente sulla sua bocca, dalla quale e nella quale esse entravano ed uscivano liberamente. Dopodiché lo sciame si levò in volo salendo in alto e perdendosi alla vista degli astanti. Il padre, impressionato da tutto ciò, avrebbe esclamato: «Se questo mio figlio vivrà, diverrà sicuramente un grand'uomo!». Ambrogio, camminando per Milano, avrebbe trovato un fabbro che non riusciva a piegare il morso di un cavallo: in quel morso Ambrogio riconobbe uno dei chiodi con cui venne crocifisso Cristo. Dopo vari passaggi, un "chiodo della crocifissione" è tuttora appeso nel Duomo di Milano, a grande altezza, sopra l'altare maggiore. Nella piazza davanti alla basilica di Sant'Ambrogio a Milano è presente una colonna, comunemente detta "la colonna del diavolo". Si tratta di una colonna di epoca romana, qui trasportata da altro luogo, che presenta due fori, oggetto di una leggenda secondo la quale la colonna fu testimone di una lotta tra Sant'Ambrogio ed il demonio. Il maligno, cercando di trafiggere il santo con le corna, finì invece per conficcarle nella colonna. Dopo aver tentato a lungo di divincolarsi, il demonio riuscì a liberarsi e, spaventato, fuggì. La tradizione popolare vuole che i fori odorino di zolfo e che appoggiando l'orecchio alla pietra si possano sentire i suoni dell'inferno. In realtà questa colonna veniva usata per l'incoronazione degli imperatori germanici. A Parabiago, Ambrogio sarebbe apparso il 21 febbraio 1339, durante la celebre battaglia: a dorso di un cavallo e sguainando una spada, mise paura alla Compagnia di San Giorgio capitanata da Lodrisio Visconti, permettendo alle truppe milanesi del fratello Luchino e del nipote Azzone di vincere. A ricordo di tale leggenda fu edificata a Parabiago la Chiesa di Sant'Ambrogio della Vittoria e a Milano, su un portone bronzeo del Duomo, gli è stata dedicata una formella. Opere: “Divi Ambrosii Episcopi Mediolanensis Omnia Opera”; “Oratorie (esegetiche)” “Exameron”; “De paradiso”; “De Cain et Abel”; “De Noe”; “De Abraham”; “De Isaac et anima”; “De bono mortis”; “De Iacob et vita beata”; “De Ioseph”; “De patriarchis”; “De fuga saeculi”; “De interpellatione Iob et David Apologia”; “David”; “De Helia et ieiunio”; “De Tobia”; “De Nabuthae historia; “Explanatio in XII Psalmos Davidicos”; “Expositio in Psalmum CXVIII”; “Expositio in Lucam De excessu fratris; “Satyri libri duo”; “De obitu Valentiniani consolation”; “De obitu Theodosii oratio Morali (ascetiche); “De virginibus” o “Ad Marcellinam sororem libri tres De viduis; “De perpetua virginitate Sanctae Mariae”; “Adhortatio virginitatis o Exhortatio virginitatis”; “De officiis ministrorum Dogmatiche (sistematiche): “De fide ad Gratianum Augustum libri quinque; “De Spiritu Sancto ad Gratianum Augustum; “De incarnationis dominicae sacramento; “De paenitentia Catechetiche; “De sacramentis libri sex; “De mysteriis De sacramento regenerationis sive de philosophia; “Explanatio Symboli ad initiandos Epistolario: “Epistulae Innografia Hymni Altro Sermo contra Auxentium de basilicis tradendis”. Tituli Curiosità S.Ambrogio essendo patrono delle api, rappresenta al meglio l'operosità non solo quella risaputa dei milanesi, di cui è patrono festeggiato il 7 dicembre, ma di tutti coloro che si impegnano nel lavoro, con combattività, spirito di sacrificio e di spirito di abnegazione. Inoltre S.Ambrogio ha come secondo simbolo il gabbiano che è legato alla sensazione di libertà e spazio immenso. Il gabbiano trova l'equilibrio e si alimenta di ciò che trova nel rispetto della sua natura di predatore e onnivoro che non si tira indietro a nulla per la propria sopravvivenza. Per le suddette simbologie, e per tutte le altre che sia le api che i gabbiani rappresentano, S.Ambrogio è ormai considerato da tempo il protettore delle startup innovative che vedono in S.Ambrogio, guida sicura con la sua famosa frase di valore eterno: "Voi pensate che i tempi sono cattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Vivete bene e muterete i tempi" Note  lastampa/vatican-insider/it//10/02/news/milano-studi-confermano-l-identita-di-sant-ambrogio-e-di-due-martiri-1.34049446 Johan Leemans, Peter Van Nuffelen e Shawn W. J. Keough, Episcopal Elections in Late Antiquity, Walter de Gruyter, 28 luglio ,  978-3-11-026860-7.  Ambrogio, Exorthatio virginitatis, 12, 82  Robert Wilken, "The Spirit of Early Christian Thought" (Yale University Press: New Haven, 2003),  218.  Michael Walsh, ed. "Butler's Lives of the Saints" (HarperCollins Publishers: New York, 1991),  407.  Paolino, Vita di Ambrogio, 6  Basilica Vetus e Battistero di Santo Stefano alle fonti, su adottaunaguglia.duomomilano. 18 marzo .  Paolino, Vita di Ambrogio, 7-8  Indro Montanelli, Storia di Roma, Rizzoli, 1957  Ambrogio, Lettera fuori coll. 14 ai Vercellesi, 65  Ambrogio, De officiis, I, 1, 4  Giacomo Biffi, Relazione al Meeting di Rimini, 29-08-1997  C. Pasini, I Padri della Chiesa. Il cristianesimo dalle origini e i primi sviluppi della fede a Milano, op. cit.,  169-170  Graziano avrebbe voluto convocare un concilio numeroso, ma Ambrogio lo esortò a convocare un numero limitato di vescovi, affermando che per appurare la verità ne bastavano pochi e che non era il caso di incomodarne troppi, facendo loro affrontare un viaggio faticoso (Neil B. McLynn, Ambrose of Milan: Church and Court in a Christian Capital, University of California Press, 1994.  124–5.).  Codex Theodosianus, 16.10.10  Codex Theodosianus, 16.7.4  Codex Theodosianus, 16.10.12.1  Guida della Basilica di S. Ambrogio: note storiche sulla Basilica ambrosiana, Ferdinando Reggiori, Ernesto Brivio, Nuove Edizioni Duomo, 198686.  Gérard Nauroy, L'Ecriture dans la pastorale d'Ambroise de Milan, in Le monde latin antique et la Bible. J. Fontaine e C. Pietri, Parigi 1985. Citato in Pasini, I Padri della Chiesa. Il cristianesimo delle origini e i primi sviluppi della fede a Milano, op. cit.  Per un'ampia descrizione dell'episodio: Antonietta Mauro Todini, Aspetti della legislazione religiosa del IV secolo, La Sapienza Editrice, Roma, 1990, pag. 3 e segg.; Thomas J. Craughwell, Santi per ogni occasione, Gribaudi, 2003, pag.49; Lucio De Giovanni, Chiesa e stato nel Codice Teodosiano, Tempi moderni, pag.120; Giovanni De Bonfils, Roma e gli ebrei, Cacucci, 2002, pag. 186; Mariateresa Amabile, Nefaria Secta. La normativa imperiale ‘de Iudaeis’ tra repressione, protezione, controllo, I, Jovene, Napoli, .James Hastings, Encyclopedia of Religion and Ethics , Kessinger Publishing, 2003, pag. 374  Walter Peruzzi, Il cattolicesimo reale, Odradek, Roma, 2008  Ambrogio, De virginibus, 2, 6-18, citato in L. Gambero, Testi mariani del primo millennio, Città Nuova, 1990  Rito Ambrosiano: la centralità dell'opera di Sant'Ambrogio per la Chiesa di Milano  Jacopo da Varazze, Leggenda Aurea, LVII. Un episodio analogo è riferito anche a Santa Rita da Cascia, vedi: Alfredo Cattabiani, Santi d'Italia, Ed. Rizzoli, Milano, 1993,  88-17-84233-8, pag. 816  Per una narrazione della leggenda e della costruzione della chiesa si veda: Don Gerolamo Raffaelli, La vera historia della Vittoria qual ebbe Azio Visconti nell'anno della comune salute 1339 nel dì XXI febbr. in Parabiago contro Lodrisio V Limonti, Milano, anno MDCIX Don Claudio Cavalleri, Racconto istorico della celebre Vittoria ottenuta da Luchino Visconti princ. di Milano per la miracolosa apparizione di Santo Ambrogio, seguita il dì 21 febbr. l'anno 1339 in Parabiago, e dedicata al March. D. Giambattista Morigia G. Richino Malerba, Milano, 1745 Alessandro Giulini, La Chiesa e l'Abbazia Cistercense di S. Ambrogio della Vittoria in Parabiago, Archivio Storico Lombardo, 1923, pagina 144  Ponzio di Cartagine, Vita di Cipriano; vita di Ambrogio; vita di Agostino / Ponzio, Paolino, Possidio, Città Nuova, Milano, 1977 Tutte le opere di sant'Ambrogio, Ed. bilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana, Roma: Città nuova. Angelo Paredi, Ambrogio, FIR MilanoStoriaSec. IV-V Hoepli collana Collezione Hoepli Angelo Ronzi, Sant'Ambrogio e Teodosio: studio storico-filosofico, Visentini editore, Venezia. Enrico Cattaneo, Terra di Sant'Ambrogio: la Chiesa milanese nel primo millennio; Annamaria Ambrosioni, Maria Pia Alberzoni, Alfredo Lucioni, Ed. Vita e pensiero, Milano, 1989. Vita di sant'Ambrogio: La prima biografia del patrono di Milano di Paolino di Milano, Marco Maria Navoni, Edizioni San Paolo, 1996.  978-88-215-3306-8 Cesare Pasini, Ambrogio di Milano. Azione e pensiero di un vescovo, Edizioni San Paolo, Cinisello B. 1996.  88-215-3303-4 Luciano Vaccaro, Giuseppe Chiesi, Fabrizio Panzera, Terre del Ticino. Diocesi di Lugano, Editrice La Scuola, Brescia 2003m, 5, 128, 202, 224, 225, 248, 259nota, 280, 286, 287, 442. Giorgio La Piana, Ambrogio in  Enciclopedia Biografica Universale, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, 2006, 434-442. Dario Fo, Sant'Ambrogio e l'invenzione di Milano Einaudi Torino 2009 978-88-06-19486-4. Raffaele Passarella, Ambrogio e la medicina. Le parole e i concetti, LED Edizioni Universitarie, Milano 2009 978-88-7916-421-4 Cesare Pasini, I Padri della Chiesa. Il cristianesimo dalle origini e i primi sviluppi della fede a Milano. , Busto Arsizio, Nomos Edizioni.  978-88-88145-46-4 Franco Cardini, 7 dicembre 374. Ambrogio vescovo di Milano, in I giorni di Milano, Roma-Bari , 21-40. Sant'Ambrogio, in San Carlo Borromeo, I Santi di Milano, Milano ,  978-88-97618-03-4 Patrick Boucheron e Stéphane Gioanni , La memoria di Ambrogio di Milano. Usi politici di una autorità patristica in Italia (secc. 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Cathechesi, su w2.vatican.va. di papa Benedetto XVI su Sant'Ambrogio in occasione dell'udienza generale del 24 ottobre 2007 PredecessoreVescovo di MilanoSuccessoreBishopCoA PioM.svg Aussenzio374-397San Simpliciano SoresiniV D M Padri e dottori della Chiesa cattolica V D M Ambrogio di Milano Antica Roma  Antica Roma Biografie  Biografie Cattolicesimo  Cattolicesimo Milano  Milano Categorie: Funzionari romaniVescovi romani del IV secoloTeologi romani 397 4 aprile Treviri MilanoAmbrogio di MilanoSanti romani del IV secoloCorrispondenti di Quinto Aurelio SimmacoDottori della Chiesa cattolicaPadri della ChiesaSanti per nomeScrittori cristiani antichiScrittori romaniTeologi cristianiVescovi e arcivescovi di MilanoSanti della Chiesa ortodossa. 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IL DIRITTO ROMANO Fu sopratutto col pacifico apostolato della scienza e della virtù,chequeigrandi uomini,cuilaChiesagiustamentesaluta suoi padri,illuminaronoevinsero ilmondo pagano.Allo scetti cismo , frutto di astruse teorie filosofiche, che distruggevano senza edificare, essi opposero le verità cattoliche, profonde e s u blimi pei sapienti, chiare e popolari per la moltitudine,pratiche per tutti;alla spaventosa depravazione prodotta e mantenuta da una religione tutta materia e sensi,essi risposero coll'introdurre della sfibrata e morente società romana una moltitudine di uomini e di donne , i quali invece delle sterili declamazioni di Cicerone e di Seneca,offrivano sé stessi,ad esempio di Gesù Cristo, ostie viventi di sacrificio per la Chiesa e per l'umanità. I secolo IV segna appunto il massimo furore di quelle in cruente battaglie. S. Atanasio , S. Basilio , i due S. Gregorii , S.Girolamo,S.Agostino,S.Giovanni Grisostomodaunaparte; S. Antonio e le migliaja di monaci e di sante vergini dall'al tra.Nel mezzo del secolo poi e nel mezzo dell'Occidente com pare il grande Arcivescovo di Milano,S. Ambrogio,che rac coglie la penna di S. Atanasio per trasmetterla a S. Agostino, e colla voce, cogli scritti e cogli esempi propri e della santa sua sorella Marcellina popola, non ideserti,ma le corrotte città latine di una legione di angeli terreni. Sublime missione al certo,ma non unica,a cui laDivina Provvidenza destinava il figlio del Prefetto delle Gallie, allora che inconsapevole de'suoi destini,giungeva in Milano nel l'anno 373,per esercitarvi qual Consolare l'autorità del Vicario d'Italia nella Liguria ed Emilia.Infatti nel congedare il suo giovine amico,Petronio Probo Prefetto del pretorio e cristiano, gli aveva detto:ricordatevi,mio figlio, di operarenon da giu dice,ma davescovo(1).L'opulentoesaggiosenatoreromano con quelle parole manifestava , senza comprenderne la forza profetica , il vizio radicale ed il maggior pericolo dell'impero romano,e quale avrebbe dovuto esserne ilrimedio:la cristia nizzazione cioè veraceed intera del governo e delle leggi. 437  (1)Paulin,in vit.Amb.n.5.  A quest'opera tuttavia richiedevasi non un greco od un barbaro,ma un nobile romane discendente dall'antica razza conquistatrice;era conveniente non un uomo di guerra ne un colto letterato,ma un giurisperito,che dalla magistratura dell'impero terreno passasse alla magistratura dell'impero spi rituale.Tal fu Ambrogio ,allorché nel 374 per mezzo di un prodigio fu eletto Vescovo di Milano. SealcunofossestatoalloraammessodaDio leggerenel futuro avrebbe ravvisato nel Consolare romano fuggente l'o noreela responsabilitàdiVescovo,ilsecondo fraiquattro Dottori della Chiesa, che sono rappresentati sostenere la cat tedra di S. Pietro in Vaticano ; ma insieme avrebbe meravi gliato contemplando da lungi la nuova società cristiana succe dere all'impero pagano,e S. Ambrogio,che formata la mente ed il cuore del grande Teodosio, ne congiunge la destra a tra verso isecoli con quella di Carlo Magno. Si ; è evidente che S. Ambrogio ritorna fra noi appunto nel momento del maggior bisogno della Chiesa e della società, quando il paganesimo redivivo ha consumato ormai presso tutte le nazioni cristiane l'apostasia dello Stato dalla Chiesa e va lentamente scristianizzando tutti i codici e tutte le leggi dei popoli civili.Non è pertanto meraviglia se dalla scoperta delle reliquie santambrosiane la setta anti-cristiana intraveda una minaccia misteriosa a quelle che essa chiama le gloriose conquiste dell'umanilà; mentre il popolo veramente e sincera mente cattolico si commove ed esulta, come all'arrivo di uno sperimentato e valente capitano.  Nondimeno chi fu che sospettasse in que'giorni questa importantissima missione religiosa ecivile del nuovo Ve scovo di Milano? Gli uomini invero sono istrumenti e spet tatori quasi sempre inconscii,dellemeraviglie di Dio.Ben po chi giungono a sorprenderne la mano onnipotente e miseri cordiosa, allorchè in mezzo alle angoscie dei secoli più trava gliati, quando lutto sembra avviarsi a rovina,getta silenziosa ed inosservata la semente, che fruttificherà a suo tempo pace e prosperità alle generazioni venture.Furono isecoli cristiani che riconobbero la lontana,ma efficace opera di S. Ambrogio ; ed è perciò con un trasalimento di gioja che noi, dopo quin dici secoli, da quel 74, in cui Dio lo dono alla Chiesa ed alla società, vediamo risvegliarsi l'eroe delle battaglie contro il paganesimo ed affacciarsi dalla sua tomba a riguardare le il lusioni , le convulsioni ed i terrori di questo secolo XIX , per errori e pericoli sociali tanto simile al secolo IV. Alla domanda perciò che ispontanea si presenta alla mente di ognuno,in questi giorni,in cui collo spirito della Chiesa, che è spirito di preghiera, ci prepariamo ad onorare gli avanzi mortali del gran Santo , gran Dottore e grande cittadino del secolo IV,vale a dire: perché ritorna ora fra noi S. Ambrogio ? non si può chiedere una risposta intera ed adeguata che ai secoli avvenire.Essi ci mostreranno e spiegheranno laragione provvidenziale, per cui le reliquie del santo Arcivescovo e dei due martiri milanesi riapparvero in questi anni e non prima. Noi frattanto dal passato cercheremo di pronosticare il futuro ; e dalla influenza tutta santa e civilizzatrice, che il C o n solare romano eletto Vescovo esercitò sul governo, sulle leggi e sulla società del secolo IV,ciconforteremo a sperare che in modo eguale e maggiore vorrà ora farci sentire la potenza di sua intercessione presso Dio in pro della tribolata e perico Jonte società moderna ; speranza e consolazioni ben giuste,poi che nella Chiesa Cattolica anche le ossa dei santi profetano.  I. La divisione scientifica del Diritto in pubblico e privato era conosciuta,se non di nome,certo di fatto,anche nel l'anticoGiureRomano;eilprimo era fontedelsecondo,il quale sisvolgeva e modificava mano mano che si svolgevano e modificavano le istituzioni politiche. Un popolo eminenlemente guerriero e conquistatore,come era quello formato dai primi compagni e discendenti di Romolo, non poteva a meno di dare alla propria legislazione un impronta semplice,ma fiera e di spotica, spesse volte in aperta contraddizione co'diritti di na tura. Per essa la patria era tutto, l'individuo nulla, la famiglia un mezzo perdarguerrierialcampo,uominiprudentialforo lodata perció la madre dei Gracchi, che invece dei giojelli m u liebri fa pompa de'suoi figli, futuri tribuni della plebe; poi chèessaconciòrappresentavaladonnaromana,qualelavo leva il ferreo diritto repubblicano. Quella patria infatti, per cui tutti e tutto si doveva sagrificare, non era che l'interesse e l'ambizione di poche famiglie patrizie discendenti dall'antica razza conquistatrice: all'infuori dei senatori e cavalieri non si conoscevacheplebe,efuoridiRoma tuttoilmondo,secondo il diritto pubblico romano, non era abitato che da vinti o da nemici.Di qui nacque e si perpetuò dai primi tempi di Roma quell'antagonismo fra senato e plebe, che fu causa non ultima della caduta dellarepubblicaedell'intronizzazione del dispotismo cesareo;diqui anche quella lotta continua con tutte le nazioni confinanti coll'impero, lotta che fini colla inondazione dei barbari. L'aspettocaratteristicoperò dell'anticoDirittoRomano come di tutte le primitive legislazioni, è l'unione indissolubile dello Stato colla Religione.Essa presiede a tutti gli atti pubblici e privati; non si intima guerra ne si concede pace senza i feciali egliaruspici;senzaauspicj nonsiradunanoassemblee;nonsi stringono trattati che sotto la protezione degli dei, e la stessa proprietà privata è sotto la salvaguardia degli dei penati, cui i primi romani non si dimenticavano mai di salutare all'ingresso dellecase.La religione latina d'altra parteera essenzialmente nazionale,e si informava a quello spirito di famiglia, che appare l'anima ditutte leistituzioni romane;essa perciò rimaneva in carnatacollarepubblica,poichéRoma derivavadaglideiein taccar la religione era intaccare Roma ,ed essendo Roma il mondo,era un dichiararsi nemici del genere umano.Più tardi, all'avvenimento dell'impero,Augusto uni ilsommo pontificato alla soprema potenza civile e militare e collocò l'altare della Vittoria nel senato,come testimonio e simbolo dell'eterna al leanza fra lo Stato ed il paganesimo. Laonde,quandoaltempo dell'abbrutito Tiberio,alcunipe scatori di Galilea predicarono una nuova religione, che diceva doversi obbedienza prima a Dio che a Cesare - essere glidei nazionaliidoliedemonii nostrapatriailcielo la terra luogo non di piaceri ma di prova - gli uomini senza distin zione di sesso edi città,siailromano che ilgreco,ilbarbaro, "loschiavo,tuttifratelli- figlidiun comun padreIddio- idegradati nipoti diCincinnato siscossero,come all'annuncio di un nemico alle porte,che minacciasse di rovesciare l'antica maestà di Roma.Il cristianesimoinfatti non era un semplice culto religioso , una delle mille superstizioni che dall'oriente si importavano alla capitale colle spoglie delle vinte nazioni e che il fiero politeismo romano riceveva come arra di pace e difusionedeipopoliassoggettati;ilcristianesimoeraun in tero sistema teorico e pratico, che abbracciava tutto l'uomo e siimponeva a tutte le questioni sociali,esigendo un'intera ri voluzione di idee, di costumi e di leggi, un cambiamento ra dicale nel diritto pubblico e privato dell'impero.Appena pro mulgata questa nuova dottrina aveva trovati assecli ferventi ed indomabili in ogni classe e condizione dell'impero ; accolto sopratutto con trasporto fra quegli esseri, quanto spregiati al trettanto numerosi, quali erano nella società romana ledonne e gli schiavi (1).Non ci meravigliamo pertanto che la giuri sprudenza e la politica romana si trovassero bentosto nella nece s s i t à d i r i s o l v e r e u n q u e s i t o , il q u a l e i n v o l g e v a l e s o r t i d e l l ' i m pero e dell'umanità. Se l'impero accoglieva il cristianesimo , questo che trasformava le donne ed i fanciulli in eroi, avrebbe salvato l'impero dallo sfascelo all'interno, all'esterno dai barbari , mansuefattidalvangelo;ma loStatoconciòcessavadiessere ilsupremo Iddio;laChiesa assumeva con esso le parti dim a dre ; lo schiavo, il vinto , la donna dovevano esser rispettati ; s'umiliava l'orgoglio;cadevano Venere e Mercurio;regnava Cristo. Se per contrario volevasi sostenere l'onnipotenza dello Stato, la divinità degli imperatori, l'eternità di Roma , la nuova religione si doveva far sparire dalla faccia della terra.Da Ne rone a Massenzio gli imperanti romani si decisero per questa seconda politica e ne affidarono la cura al carnefice; il quale per tre secoli stancò uomini e belve, e non riesci che a ren dere più splendido il trionfo del cristianesimo. Costantino cambiò sistema e dopo aver bandito tolleranza,dichiarossi per ilnuovo culto;seguitodalfiglioCostaozo,chefattosiperò da protettore giudice e padrone della Chiesa, divenne il triste modellodituttiipersecutorifinoadoggi.Sopragiunse Giu liano,col quale ilpaganesimo, domato ma non spento, tentò fe roce, sebbene effimera, riscossa. Quando Ambrogio entrò Consolare a Milano,regnava Va lentiniano I, successo al buon Gioviano. Scelto dall'esercito l'imperatore era prode guerriero;accorse al Reno e all'onda sanguinosa dei barbari, che scrosciava e trasbordava dalle frontiere, oppose, per allora, un argine di ferro.  Tuttavia se la spada valeva coi nemici non giovava per le questioni interne, nè per arrestare la decomposizione sociale di quell'immane gigante,cui ilcristianesimo tentava invano di risanguare con forti e pratiche dottrine di virtù e sagrificio. La fede operava al certo nel segreto delle coscienze una im portantissimarivoluzionemorale;ma nonostanteglisforzidi Costantino, il mondo amministrativo si era tenuto in disparte dalla influenza e dalle istituzioni cristiane.Infatti sotto Valen tiniano, già confessor della fede avanti all'Apostata, il governo continuava colle massime e coi costumi dell'antica Roma pa gana;l'imperatore proseguiva a chiamarsi divino ed eterno; (1)Lactant.,Instit.lib. V,cap.18.   aveva assunto i titoli e le insegne di pontefice massimo; m a n teneva ai sacerdoti degli idoli privilegi e sovvenzioni a carico dell'erario; mentre l'altare della Vittoria eretto nel mezzo del senato,attestava la politica incerta ed equivoca del regnante cristiano.Idue elementi opposti edinconciliabilierano invero tuttora di fronte e disponevano di forze eguali ; più popo lareediffuso,massimeinoriente,ilcristianesimo;più po tente per ricchezze ed aderenze,in ispecie in occidente e fra le famiglie aristocratiche, il paganesimo , considerato da esse come simbolo e palladio dell'antica gloria romana. Valenti niano I reputò pertanto abilità politica il mettere lo Stato nel mezzo, come neutrale e paciere fra le due nemiche correnti. Enorme fallo politico, che si ripete continuamente ogni volta che nella società scendono in campo ad aperta battaglia i due eterni nemici, la materia e lo spirito, l'errore e la verità, la città degli uomini e la città di Dio ! Dall'errore nasce l'errore:un governo che esita e teme decidersi fra il cristianesimo e le superstizioni gentilesche, per quanto spiritualizzate dal neoplatonismo,fra Cristo e Satana,un tal governo non può reggersi che con una serie di ripieghi, so v e n t e c o n t r a d d i t t o r i i ; p e r e s s o il p r i n c i p e c r i s t i a n o n o n p o r t e r à che colpi troppo prudenti a quelle antiche istituzioni pagane, che rimanevano sempre incarnate nel diritto civile dell'impero. Quante questioni giuridiche, di cui ilprogresso introdotto dal cristianesimoreclamavauna prontaeradicalesoluzione,re stavano perciòsenza una risposta.Eppure necessitàstringeva, se l'impero voleva salvarsi ! La società era tuttora divisa fra una minoranza di opu lenti, che si chiamavano liberi e cittadini,ed una immensa maggioranza di uomini , cui il cristianesimo diceva fratelli dei superbi padroni,ma che la Roma conquistatrice aveva classificati fra gli utensili d'agricoltura ed industria e fra gli oggetti di commercio (1); gli schiavi reclamavano in nome della natura e della religione idiritti dell'uomo e del cristiano. Un'altra schiavitù legale era stata recentemente introdotta dal fisco rapace,che in nome della divinitàdiRoma,padrona del mondo,non solospogliava ma distruggeva;icoloni ed icu riali protestavano,io nome di una assennata economia politica, per un mutamento radicale nei principii che regolavano sia la proprietà,che l'esazione delle imposte. Il padre verso ifigli,  (1)Ulpian.Inst.I,tit.8.   il padrone verso gli schiavi, e perfino il creditore verso il d e bitore,anchedopolesaggiecostituzioni diCostantino,con servavano diritti, che si assomigliavano troppo a quelli che la ferrea mano dei decemviri aveva scolpiti nel bronzo;la carità cristiana, la quale ne andava sbandendo dai costumi l'atroce e s e r c i z i o , e s i g e v a c h e il l e g i s l a t o r e s c i o g l i e s s e i s u d d i t i d a q u e l l e pastoje dell'antico servaggio,con cui ilgiudice per rispetto ad una formulistica e sacrilega legalità conculcava l'equità e la g i u s t i z i a . C h e p i ù ; il m a t r i m o n i o f o n d a m e n t o d e l l a s o c i e t à e la donna che ne è il cuore , erano sempre 'all'arbitrio di una legislazione,che sanzionava,col divorzio e colla tutela perpetua, una incredibile corruzione di costumi , massimo fra i pericoli dell'impero;or bene le vergini e martiri cristiane volevano,che un sesso santificato dalla Vergine madre di Dio, fosse ricollo cato nel posto assegnatogli dal Creatore e che il matrimonio, pei cristiani elevato a Sacramento , fosse anche pei pagani cosa seria e rispettata. Queste ed altre questioni,che travagliavano lasocietà ro mana nelSecoloIV,sisarannoessepresentateallavastae profonda intelligenza ed al cuore nobile e passionato del gio vine Consolare, in quel primo giorno che in Milano prese pos sesso dell'importante sua carica ? Le parole e le gesta del m a gistrato divenuto Vescovo dimostrano, che S. Ambrogio le aveva comprese , e già risolte in quella, che tutte le compen diava:la cristianizzazione del governo e del diritto romano. S. Ambrogio vi si adoperò con quel tatto pratico carat- teristico dellaRoma conquistatrice del mondo,che ora è pas sato nella Roma capitale del cattolicismo.Cauto,prudente e piuttosto lento,l'antico romano taceva, meditava ed operava a colpo sicuro; non guidandosi a vivaci teorie più o meno ulo pistiche esso studiava ed aspettava, non preveniva gli avveni menti ;e perciò mentre le colte e filosofiche repubbliche greche sparivano fra l'olezzo dei fiori ed il canto dei loro inimitabili poeti,il tardo romano si impossessava dell'universo. Questa impronta si ravvisa negli scritti e più nelle opere del grande Metropolita di Milano; perchè se ilcuore ardente di Vescovo cattolico lo moveva a parlare al suo popolo,a scrivere lettere e volumi, a portarsi alla corte e trattar cogli imperatori, la severa prudenza del magistrato romano gli dava quella calma e quella saggezza, onde isuoi detti ricevevansi come oracoli.   Suo primo atto fu volgersi a Valentiniano I, la cui indole buona ma violenta era stata esasperata da malattie e da cor tigiani e satelliti sanguinarii, per cui si riempiva l'occidente di gemiti e di lamenti.Cosa disse Ambrogio all'imperatore dagli storici contemporanei non ci è riferito; ma la risposta del so vrano e più il mutamento totale di sua politica dopo quel col loquio,ci dimostrano la prima vittoria sul dispotismo cesareo, Valentiniano lodò la franca indipendenza del vescovo e ne volle pe'suoi peccati conveniente rimedio (1).Cosa inaudita e fin allora creduta impossibile!La divinità imperiale, cui la legisla zione romana,anche dell'età classica,asseriva sciolta dalle leggi (princeps solulus a legibus),anzi legge vivente, e libero senza ombra di ritegno a dichiarar lecito ciò che jeri era illecitoed ingiusto (2), il dio di R o m a , riconosce d'aver errato ; ed i s u d diti,senza essere costretti,come era d'uso,a sgozzare e poi celebrar l'apoteosi dell'imperatore,possono ormai fargliperve nireleloroquerelepermezzodei Vescovi,rappresentanti la co mune madre, la S. Chiesa. Se ad alcuno però non piace questo progresso,perché introdottodaVescoviepreti,riservipure l'ammirazione per Ulpiano e Paolo, fra i più grandi giurecon sulti al certo dell'epoca degli Antonini,iquali celebravano la clemenzaelasaggezza diquelmostrochesichiamavaComodo! Un altro passo tuttavia rimaneva a fare: non solo la per sona,ma la stessa dignità imperiale doveva ripudiare official m e n t e il c u l t o n a z i o n a l e d i R o m a . U n a c e r i m o n i a r i d i c o l a e r a stata introdotta da Augusto e ripetevasi infallantemente ogni volta era assunto un nuovo principe all'impero;lo stesso Co stantino non aveva osato di rinunciarvi.L'offerta però del ti t o l o e d e l l e i n s e g n e d i p o n t e f i c e m a s s i m o , c h e il s e n a t o f a c e v a all'imperatore,inchiudeva un gravissimo significato, poichè era la conferma di quel vecchio diritto pagano e teocratico, del quale igiureconsulti non ardivano acora distruggere l'autorità tante volte secolare e che isenatori,in parte ancora idolatri, facevano studiosamente rivivere appena se ne presentasse l'oc casione.Rigettare quelle insegne era dunque sconfessare l'as soluta sovranità dello Stato sopra i beni, sulla vita e, ciò che più importa ai despoti,sulle anime e sulle coscienze dei sud diti. Quale fra i moderni vantatori di liberalismo in simile circostanza ascolterebbe la voce della ragione e della fede, par  444 S. AMBROGIO E IL DIRITTO ROMANO (1) Theodor. Hist. Eccl. Lib. IV ,c. VI. (2) Digest. Const. Lib. I, tit. 4.   lante per bocca di Ambrogio ? Lo stato attuale d'Europa ce ne è testimonio.Ben diversamente pensava però quel caro figlio s p i r i t u a l e d i A m b r o g i o , c o m e e s s o c h i a m a v a il g i o v a n e G r a z i a n o , il primo che alla deputazione del senato rispose:sè essere cristiano. Ottenuta questa seconda vittoria,se ne richiedeva una terza, perché il cristianesimo potesse lusingarsi di vedere ilgoverno dei Cesari informatodisue caritatevolidottrine.Ragion logica voleva che l'ara della Vittoria,simbolo delle antiche superstizioni, s g o m b r a s s e il s e n a t o , m o l t o p i ù o r a c h e l ' i m p e r a t o r e , a s s o c i a t o s i Teodosio,avevavintiiGoti,invirtùnondiGiovemadiGesù Cristo.Ilregalealunno d'Ambrogio,che primadipartirper la guerra , gli aveva chiesti consigli ed istruzione a conferma della propria fede, mostrossi coerente. Un mattino adunque i senatori entrando nella Curia,stupirono vedendo scomparsa l'ara e la statua d'oro,tolte quella notte per ordine sovrano (1). Il colpo inaspettato commosse la fazione pagana fino nell'ultime fibre : molti senatori tuttora partitanti per i vieti riti di N u m a edeiFabii,siradunarono inquietieminacciosiperstendere una querela all'imperatore.Ma ai fianchi di Graziano vegliava Ambrogio,chegli parlòinnome deglialtrisenatori,delPonte ficeDamaso,dellasedecristiana.Invanopertanto ladeputazione instò; il giovine principe si dichiarò irremovibile e neppur volle ammetterla all'udienza. Graziano era allora nel fiore dell'età,nell'auge della gloria, gioconda speranza della Chiesa e dell'impero: e invece per uno di que'misteriosi decreti della Divina Provvidenza,che scon certano tutti gli umani ragionamenti e non lasciano luogo che all'umiltà ed alla adorazione, l'imperatore viddesi abbandonato dalle sue truppe e cadde vittima di infame tradimento.Il pa ganesimo erasi vendicato; e risorgevano le speranze degli ido l a t r i, i q u a l i r a p p r e s e n t a t i d a A u r e l i o S i m m a c o P r e f e t t o d i R o m a e ricco sfondato, credettero di approfittarsi delle circostanze e del favore della corte, per fare pressione sull'animo sbigot titodel fanciulloValentinianoIedellasuperba,ma insieme d e b o l e , G i u s t i n a . S t a t i s t a e l e t t e r a t o , f i l o s o f o e s c r i t t o r e , il d i scepolo d'Ausonio esauri tutte le risorse del brillante suo in gegno e stese una supplica,vero capolavoro di rettorica; se natore poi e pootefice, e caro al popolo,cui non lasciava m a n carepanéecircesi,impiegò perilpoliteismo,alquale esso  (1) Baanard, Vita di S. Ambrogio, pag. 128.   stesso non prestava più credenza , tutta l'influenza della per sona e degli impieghi ; e si riteneva sicuro della riuscita. In fattigià stavasi preparando il decreto che ristabiliva l'ara della Vittoria,allorchèS.Ambrogio sopragiunse dalleGallie,ove alla corte dell'usurpatore Massimo aveva, con finezza di diplo matico consumato ed intrepidezza di vescovo cattolico,patro cinata e vinta la causa del pupillo imperiale. Benchè un rigoroso segreto presiedesse alla congiura dei senatori pagani ed ai consigli del Concistoro imperiale,geloso dell'influenza del Vescovo di Milano, tuttavia esso ne penetrò le macchinazioni ; e presa la penna scrisse, non più all'Eterno, I n v i n c i b i l e , G e r m a n i c o , P a r t i c o e c c ., m a a l f e l i c i s s i m o e c r i s t i a nissimo imperatore Valentiniano I I. In quella magnifica lettera, incui isentimenti più elevatideiDottore e Ponteficecattolico si alternano e vestono la forma della più commovente tene rezza paterna , si trova già completamente tracciata la nuova politica cristiana, che fa i principi non padroni dei popoli, sib bene ministri di Dio e suoi luogotenenti sulla terra. Valenti niano perciò ode ricordarsi, che come tutti gli altri suoi sud diti, egli stesso è soggetto al Re dei Re ; che un altro potere è sorto nell'impero a regolare le coscienze,al quale pertanto, c i o è a i V e s c o v i , s p e t t a il g i u d i z i o i n m a t e r i a r e l i g i o s a : i n c a s o contrario,come indegno della professione cristiana,venendo l'imperatore alla chiesa,vi avrebbe trovato Ambrogio alla porta ad impedirgliene l'ingresso. Bisogno cedere:S.Ambrogio ebbe lasupplicadiSimmaco e riprese la penna. In quel giorno il profondo giurista, il de stro avvocato,ilsaggio magistrato rivisse nello scritto del V e s c o v o e d e l s a n t o . Il M e t r o p o l i t a m i l a n e s e n o n b a d a a c o n tendere coll'avversario in lenocinio di eleganze irreprensibil mente classiche: esso mira alla sostanza : perciò non allegorie, non scappatoje, non esitazioni,non dottrine incerte e,dirò, fosforescenti,tutto è massiccio;gli argomenti procedono ser rati, come le legioni romane, e la verità che appare evidente, abbatte, frantuma e disperde perfin la polvere degli annientati sofismi pagani.Simmaco s'appoggiava a tre argomenti:Roma disonorata per l'abbandono degli dei;le vestali reclamanti;la patria sfortunata e pericolante per la nuova politica cristiana degli imperatori.S. Ambrogio prende questi tre sofismi,li spoglia delle vesti affascinanti, li osserva, li analizza e li trova non altroche un accozzo difrasireboanti,vuotedisenso.Che parla Simmaco della dea Vittoria? La vittoria è un nome astratto : esso si realizza nel numero e nel valore delle legioni romane:Scipionevinse sfondandolefittecoortidiAnnibale, non ardendo incenso alla statua di Giove. Chiedono i pagani privilegiedentrateperisacerdotidegliidoli?Dunque con fessano che senza essi non possono reggersi: ma noi, dice S.Ambrogio,crescemmo fra leingiurie,le miserie,lemapnaje; e d e i n o s t r i b e n i f a c c i a m o il t e s o r o d e i p o v e r i . L e v e s t a l i ? O h ! quante immunità,privilegi ed entrate per sette fanciulle pro fessanti continenza temporanea fra il lusso e gli onori ; il cri stianesimo invece ne presenta migliaja e migliaja, che si conse crarono a perpetua verginità nel nascondimento e nelle pri vazioni. Volete privilegi ed entrate alle vostre vergini? Le a b biano in misura eguale anche la moltitudine quasi innumerabile delle cristiane:non è secondo giustizia l'accordar preferenze: otutte,onessuna.Ilcristianesimocagione deidisastri del l'impero e della recente carestia d'Italia ? I cristiani nemici della patria? — Avanti all'antica e sempre calunnia nuova il discendente degli Ambrogii , che aveva testė salvato l'Italia e l'imperatore, credė di imporre silenzio all'indegnazione del suo cuore romano: esso rispose con fina ironia, riscontrando le allegazioni enfatiche ed immaginarie di Simmaco colla reale prosperità di quell'anno, quale presentavasi agli occhi di tutti. Era un seppellire l'elegante declamazione sotto il peso della più terribile delle confutazioni, un meritato ridicolo. Ciò falto, S. Ambrogio non si arresta a riguardare il prostrato nemico e piglia l'offensiva.Allo scetticismo pagano confessatoda Sim maco,e che supplicava per una tolleranza,non solo pratica ma teorica,dituttiiculti,essocontraponelachiaraevidenza della fede e le forti convinzioni dei cristiani,Ritorce poi l'ar gomento; richiama la gloriosa ed ancor recente memoria di quel tempo,in cui ipagani non ammettevano l'indifferenza dello Stato per ogni culto,ma perseguitavano e massacravano; fa osservare che non è giusto imporre ai senatori cristiani i riti pagani e conclude dichiarando,che la natura stessa vuole ilprogresso:essere ormaitempo,che letenebre cedano,al sole,l'errore allaverità.La causa fu vinta:quel soffioche già spirò dal cenacolo nelgiorno di Pentecoste,portò via l'ultimo avanzo del paganesimo officiale, il quale invano una terza volta sipresenterà a Teodosio.L'alleanza secolare fra l'impero romano e l'idolatria è rotta ; non solo, m a sono abbandonate le illusioni di una politica anfibia e contraddittoria, che voleva separato lo S t a t o d a l l a C h i e s a , il c o r p o d a l l ' a n i m a s o n g e t t a t e ; d a q u e l p u n t o    le basi del nuovo Diritto Pubblico della Chiesa e delle genti cristiane. Graziano infatti, continuando l'opera di Costantino, aveva dall'anno 379 al 382 pubblicati varii decreti, sia in favore della Chiesa che contro gli eretici e manichei e contro gli apostati recidivi al paganesimo:ci giunsero nelle raccolte di leggi c o m pilatepiùtardipercomando diTeodosioilgiovine,econo sciuta sotto il nome di Codice Teodosiano.Frattanto Teodosio il Grande promulgava in Costantinopoli (anno 380) quella sua memorabile costituzione, in cui dichiarava la fede cristiana religione dell'impero, e fra le varie sette che ne disputavano il nome, osservava, intender esso quella sola, la quale profes. sata ed insegnatadalPontefice Romano,allora Damaso,aveva con sé le note caratteristiche ed esclusive della verità. Qual rivoluzione nei principii legali e nelle massime di governodelDirittoromano!Ma nonbastavachel'imperatore facesse decreti,esso stesso doveva conformare le proprie azioni alle dottrine, che andavano informando la nuova legislazione. Se pertanto Giustina vuol favorire i suoi ariani e intima sia loro ceduto un tempio dei cattolici, S. Ambrogio si offre pronto a donare all'imperatore le proprie sostanze private, a sacrifi care lavita stessa,non mai ilpatrimonio della Chiesa.Se anche il grande Teodosio , illuso da una fantasmagoria di tolleranza religiosa, patrocinata ardentemente dall'indifferentismo ed i m moralità dei cortigiani, vorrà costringere il vescovo di Callinico a rifabbricare la distrutta sinagoga degli Ebrei, vedrà giun gersi una lettera rispettosissima, ma conquidente del Vescovo di Milano,nella quale l'equità,la giustizia, la fede cristiana ed anche i dettami di una saggia politica impongono a Teodosio direvocareilmalconcepitodecreto.Teodosiosimostra esi tante;ma Ambrogio insisteevince.Evincerà finoal punto di persuaderlo a promulgare una legge, con che il troppo vio lento principe impone agli altri giudici,e prima a sè stesso, di soprasedere ventiquattro ore dall'esecuzione d'ogni sentenza capitale; non solo, ma in abito da penitente lo vedremo con fessare ed espiare in faccia alla Chiesa ed all'impero le fatali conseguenze della impetuosa sua ira contro i Tessalonicesi. Magnanimo principe, degno dell'ammirazione di tutta la posterità! Esso fu grande quando sul campo di battaglia tre volte sgomino le legioni degli usurpatori e due volte ruppe e disperse le immense orde dei barbari; ma fu più grande allor chè nel vestibolo della Basilica milanese riconobbe, esser nessuno,fuorché Dio,padrone della vita degli uomini.Circadue centoquarant'anni prima un altro imperatore romano,sommo unicamente perlibidiniécrudeltà,avevaespressoildesiderio che il senato e Roma stessa avesse una sola testa,onde poterla spiccare d'an colpo.A quell'imperatore,cui Seneca fu maestro, if sénato e l'impero si prostravano e ne placavano la divina cle menza con statue e sacrificii. Ora un altro principe grande per'mente, per cuore e per braccio, è in ginocchio avanti ad un Vescovo Cattolico, domandando penitenza per esser troppo trascorso nell'esercizio della giustizia contro alcunisudditi. Chisceglieremo,Teodosio oNerone?A chidovrà ascriversi il cambiamento totale nei principii che reggevano l'impero? I fattirivelanoilloroautore:seipregiudiziimoderni impedi scono a'molte intelligenze di leggerne il nome,è solo, come osserva uno scrittore francese (1) di principii esso stesso tut. t'altro che cattolici , perchè il cristianesimo è troppo poco stu diato e'meno compreso. S.Ambrogio,come tuttiglialtripadridellaChiesa,si occupava delle questioni sociali e politiche per lo più solo in direttamente : la sua cura cotidiana, il pensiero della sua vita era la santificazione del suo gregge ; e le sue azioni e i suoi scritti tendevano unicamente a questo scopo.Ilsuo stesso libro degli Officii, quell'opera scritta ad imitazione di Cicerone , la quale,come rappresentante dei secoli cristiani,sebbene segni unqualcheregressonelleforme,locompensaconunimmenso progresso,nelle idee non mira che ad offrire al suo clero saggi precetti di santa vita.Ma si può egli sanar l'anima senza gio varealcorpo?Ecco pertantoS.Ambrogio,por professando osservanza dei canoni,che intimavano a pruti e vescovi una operosa residenza fra il popolo (2), togliersi da Milano , c o m parire alla corte, intraprendere disastrosi viaggi,ogni volta lo richiedeva la necessità della cosa pubblica . Teodosio gli affida i suoi due figli; e quando il grande Arcivescovo stava per entrare nell'eternità,Stilicone,ilreggente dell'impero,lo mando a scongiurare, che volesse pregar Dio per un po'd'altri anni, poiché l'Italia, lui morendo, pericolava (3).  III. ( 1) Il signor Cousin citato da Troplong, De l'influence du christianisme sur le Droit civil des Romains, pag. 368. 29 (2)Epist.LXXXV,n.2. (3)Paulin, Vit.Ambros.n.45. Scuola Catt.Anno II.Vol.III.Quad.XVII. Non è perciò meraviglia, se negli scritti e più nelle azioni del Consolare romano divenuto Vescovo cattolico troviamo , sebbene quasi per incidente e per lo più solo in germe, accen nate e risolte le principali questioni di diritto, la cui completa trasformazione doveva esser l'opera dei secoli avvenire. La clemenza di Teodosio verso i vinti, gli sforzi di lui per siste mare l'esazionedelleimposte,cuiibarbari,glierroridell'impero e più l'interna corruzione dei costumi rendevano intollerabili, dimostrano che l'influenza di S. Ambrogio si stendeva dovunque eravi un ministero di carità da esercitare (1).Irrompono iGoti, mettono a ferro ed a fuoco l'Illirico e ne conducono gli abi tanti inservitù?S.Ambrogio spogliatosidituttoperredimerli, spezza e vende ivasi preziosi della Chiesa :essendochè più preziose, dicealsuopopolo,sonoleanimeredentedaCristo,chenon l'oro e l'argento consecrati al culto divino.Era lo scioglimento pratico per mezzo della carità di quella questione della schia vitù,cui Ulpiano e Pomponio dicevano di assoluto diritto delle genti (2) e che la nuova religione professante la fratellanza universale degli uomini, voleva sbandita dalla terra.Il cristia nesimo infatti ogni volta che vedea aperto ilcampo all'azione, viene attuando gradualmente l'affrancamento degli schiavi,con quella prudenza però che prepara prima la libertà delle anime e delle intelligenze , avanti di procedere alla liberazione dei corpi;poichè questa,se troppo repentina ed ispirata solo da passioni politiche,riesce in pratica egualmente fatale agli schiavi stessi ed alle nazioni che la compiono:gli Stati Uniti d'Ame rica ne vanno ora facendo l'esperienza. Era tuttavia principalmente nell'udienza episcopale,che S. Ambrogio rivelava nelle sue sentenze ilmagistrato cristiano e santo . Costantino, approvando ciò che di fatti già trovava nei costumi cristiani, donò alle decisioni dei Vescovi il medesimo valore giuridico,che ilsenso pratico degli antichi romani aveva ottenuto agli editti del pretore. Con ciò lo stretto diritto civile consecratodalleleggidelleXIITavole,ilqualegià ritiravasi davanti al diritto di natura più ampiamente propugnato dai giureconsulti dell'età classica, cessava totalmente, o meglio si trasformava in quel codice,cui S. Agostino chiamava divina ( 1 ) P a r e c c h i e l e t t e r e d e l s a n t o v e r s a n o s u g l i o f f i c i i, c h e e i s o v e n t e a s s o m e vasi di intercedere presso l'imperatore per le vittime delle enormità fiscali.  (2)... quae potestas (servorum)juris gentiumest;(Ulpian,Insl.I, tit.8)e Pomponio conchiudeva che chi cadeva nelle mani del nemico gli re stava per diritto delle genti suo schiavo.(Tit.49. V. ff.De captivis).  mente emanato per bocca dei principi (1); e che fatto pubbli care da Giustiniano, mentre l'impero d’occidente era distrutto e quello d'oriente minacciato,conserva all'antica Roma la gloria di dominare eternamente,se non coll'armi,col migliore primato delle leggi. Di fianco al diritto civile romano nasceva il diritto ca nonico. La proprietà è resa universale : non vi sono più distinzioni di res mancipi o nec mancipi, di dominio quiritario o per pre scrizione ; non si possiede più secondo S. Ambrogio , in forza della cittadinanza romana, la quale comunichi il diritto di proprietà proveniente dalle conquiste;la fonte d'ogni diritto è Dio, di cui tutti gli uomini sono figli; e che unico padrone della terra, ne dà l'uso a chi legittimamente lo acquista (2). Scompajono egualmente le legillimae nuptiae come contra posto alle justae nuptiae ed al concubinato legale :non si parla più né di confarreazione, né di co -emptio, nè di usus per aqui stare alla donna idiritti matronali e la successione,come figlia al m a r i t o : n o n v i è p e i c r i s t i a n i c h e il m a t r i m o n i o S a c r a m e n t o d e l l a NuovaLegge,simbolodell'unionediGesùCristocollaChiesa:la legge ecclesiastica de determina gli impedimenti,ne prescrive i riti; ed il marito e la moglie si trovano eguali nell'obbligo di vicendevole fedeltà ed amore e nella santa emulazione del bene.«Nessuno,predicava S.Ambrogio,silusinghiappoggian dosi alle leggi umane... non è lecito al marito ciò che non è permesso alla donna (3).» Per misurare ilprogresso introdotto dal cristianesimo,bisogna ricordare ciò che scriveva Tertulliano: * al giorno d'oggi chi si sposa ha già concepito il progetto d i r i p u d i a r s i e il d i v o r z i o è c o m e u n f r u t t o d e l m a t r i m o n i o ( 4 ) . ” La lettera(LX)delsantoarcivescovoscrittaadun talPe tronio ci introduce a contemplare ilsegreto lavoro della Chiesa costituente gli impedimenti dirimenti, per la sempre maggior santificazione della società matrimoniale,cui invano avevan tentato di mettere in onore le Leggi Giulie e Pappia Poppea. S. Ambrogio infatti dissuade con parole severe l'amico dal progetto di contrarre colla nipote:cosa contraria,egli dice, alla legge divina (5). Si crede anzi che la costituzione civile (1) Leges Romanorum divinitus per ora principum emanarunt,cit.dell'Oza- ' nam.Ilquinto secolo,vol.1,pag.188. (5) L'impedimento di consanguineità in linea collaterale è di natura eccle siaslica:S. Ambrogio parla dellelogge divina considerata nelle sae dedazioni.  (2)De Nabuthe Jezraelita,cap.I,III,etalibipassim. (3)D:Abraham.Lib.I,n.26. (4) Apolog. $ 6.   pubblicata da Teodosio il grande circa ilmatrimonio fra i con giunti(1),glifosseispiratadalsantosuo amico,consigliere e padre spirituale.Isuccessori del grande imperatore spaven tati dall'opposizione che l'impudicizia pubblica recava all'ese cuzione di simili leggi,si mostrarono incerti e indietreggiarono ; ma l'impulsoeradatoeilcristianesimo,trionfandodell'immo ralità,si impose poi pienamente anche alla legislazione. Il diritto di vita e di morte, che le leggi delle XII Tavole concedevano al padre sul figlio, era già stato abolito durante ilperiodo,in cui la filosofia stoica,piegandoalsoffio spi rato dal Golgota, moderò tutta l'antica giurisprudenza (2). Costantino arrivò a decretare la pena del parricidio contro il genitore che uccidesse il proprio figlio. M a quanto cammino rimaneva tuttora a fare anche in questa materia per giungere a stabilire un pieno accordo colle imprescrittibili leggi di na tura!Nonsoloilpadre conservava,comegiudicedomestico, ildiritto diinfliggere pene,benché moderate alfiglio;ma esse stesso dettava al magistrato lasentenza, che nei casi più gravi era reclamata dalla disciplina paterna (3).Arroge che l'esere dazionedimorava intattafralesuemani,senzachelacrea zione,fattadaCostantino,delpeculio quasi-castrensee laparte concessa nella eredità della madre, bastasse a sottrarre ilfiglio di famiglia ad una autorità, che, sebben giusta, dee avere essa pure i proprii confini. Che più ? Perseverava ancora il barbaro diritto nei padri di vendere i propri figli: S. Girolamo (4) ci ha conservati i lamenti di una misera vedova,cui ilmarito per supplire all'ingordigia del fisco, dovette vendere i tro figliuoli; S. Ambrogio stesso flagellando l'atroce crudeltà de gliusuraj,introduceunpoveropadreche«usandodellaau toritàconferitaglidallalegge,ma negataglidallanatura» per pagare l'usurajo , da cui ebbe il pane, conduce all'asta i proprii figli ; e con sanguinosa ironia esclama : « o miei figli, pagate le spese della mia gola, soddisfate il prezzo della mense paterna. Voi divenite il mio riscallo eil vostro servaggio ricom pėra la libertà mia (5). » Quai diritti, buon Dio, e quali ese crabili cause li facevano esercitare! Ben a ragione S. Ambrogio prosegue,narrando,chein uncaso simile,all'usurajo,ilquale (1)Leg.5,C. Deincestisnuptiis. (2) Troplong, op. cit. pag.264. (3) Lec. 3. C. lust. de patria potest. (4) In vito Paphnutii (5)De Tobia,cap.VIII,n.20.  voleva approfittarsi della legge ed ostava ai funerali di un cre ditoreimpotente,avevaordinato:siprendessein casailca davere in garanzia del proprio debito ; e ve lo fece traspor tare dal popolo. Con simile legislazione però chi avrebbe osato farsi mediatore per riconciliare coll'inflessibile autorità pa terna un figlio , il quale aveva ardito menare in isposa una donzella, non trasceltagli dal padre? Il diritto romano riguar dava taleatto,comeunattentatocontro natura;poichéla nuora, secondo la legge, diveniva figlia del capo di casa. Ma lacaritàcristianasilasciaguidare da istintidivini:fra Je lettere di S. Ambrogio, la 83.a è appunto diretta a un tal Si sinnio,onde persuaderlo non solo a perdonare ma a ricevere incasaun talfiglioeduna talnuora;eviriusci.Sublime cat tolicità della Chiesa ! Dopo undici secoli circa, fu riproposta ai padri del Concilio di Trento la scabrosa questione del matri monio contratto dai figli di famiglia senza il consenso del pa dre : e lo spirito del santo vescovo di Milano ricomparve nella prudentissimarisoluzionedelSinodoEcumenico.Quella lettera a Sisinnio invero rivela in S. Ambrogio un tatto pratico squi sito:ma insieme qual profonda conoscenza del cuore umano, quanta delicatezza e soavità di sentimenti in quel grande av vezzo a moderar l'animo degli imperanti e a stringer le redini dello Stato;il miele,giusta l'enigma di Sansone,gocciava di nuovo dalla bocca del leone. Le leggi che regolavano le successioni richiedevano pari menti importantimodificazioni.L'antica legislazione era il ca polavoro dell'aristocrazia; esaminando quella ferrea catena di eredi suoi, agnatizii, gentilizii, in fine alla quale non manca vano mai le spalancate fauci del fisco, non si può a meno di ammirare con un senso di sacro terrore quel vigore di con cetto, quella intrepida inflessibilità di logica, con cui per con s e r v a r e i b e n i e d i s a c r i f i z i i n e l l e f a m i g l i e , il l e g i s l a t o r e r o m a n o non indietreggiava davanti alle più inique violazioni dei di ritti di natura. L'equità pretoria vi aveva già portato al certo qualche cambiamento coll'editto:unde liberi;ma ohime!di qnanto poco accontentavasi la sapienza di Cajo e degli altri giureconsulti della setta stoica (1)! Prima però cheGiustiniano si preparasse una imperitura e giusta gloria con quelle leggi sulle successioni, che ancora ( !) A a e j u r i s i n i q u i t a t e s e d i c t o p r a e t o r i s e m e n d a t a e s u n t. ( C a p . I I I . C o m . 2 5 ). Troplong,op.cit.pag.323.    C h e p i ù ? s c r i v e n d o al g i u d i c e S t u d i o (X X X ), il q u a l e lo a v e v a consultato sul modo di comportarsi,quando dovesse pronun ciar sentenze capitali, il prudente ed amoroso vescovo gli in culca con ogni maniera di ragioni l'esercizio dalla clemenza, che deve giungere, esso dice, fin dove vi è giusta speranza di emenda del reo. Lungi però dalle moderne utopie, le quali in nalzando a principio l'abolizione della pena capitale per qual siasi grande malfattore, riescono in pratica a disarmare e con danpare gli innocenti,il santo giurista pone per base la giustizia della pena di morte e raccomanda all'amico la custodia delle leggi, « poichè mentre si leme la spada dei giudici, si reprime e non si stimola il furore dei delilli (3). » La stessa procedura criminale è lucidamente delineata nelle duelettere(VeVI)aSiagriovescovo di Verona.S.Ambro gio lo rimprovera d'aver troppo superficialmente ricevuto l'ac cusa contro la vergine Indicia ; gli fa osservare che nel suo processo trascurò quasi tutti gli argomenti che potevano far prova giuridica in favore dell'accusata ; mentre illegalmente aveva avuto ricorso a testimoniaoze ed atti quanto obbrobriosi altrettanto insufficienti; e gli descrive il modo da sè tenuto per riveder quella causa e cassarne l'ingiusta sentenza.Leggendo quelle lettere scritte nel secolo IV,l'animosicompiace riscon trando i medesimi principii tracciati dal nostro santo, seguirsi 11)Ep.LXXXII cit.n.3. (2 ) C o n f. L i b . V I . c a p . I V . (3)Ep.XXX cit.n.9.VediancheBagnard,op.cit.pag.140eseg. al presente sono la base di tutti i codici moderni , S. Ainbro gio l'aveva non solo preceduto, ma superato con un giudizio, la cui equità sembra oltrepassare i confini di una soverchia condiscendenza.Nella letteradifatti (LXXXII)al Vescovo Mar cello, pel cui testamento eransi fratello e sorella a lui appellati, il santo ci descrive collocate di fronte le due opposte influenze, che si disputavano allora ilcampo delle leggi. La procedura ci vile avanti al magistrato ci appare da una parte irta di inter minabili acontroversie,azioni,recriminazionimolteplici,istanze, cavilli da curiale (1); » la procedura canonica del vescovo dal l'altra tien l'occhio alla giustizia e non alle forme legali, e la stessa giustizia tempera e corregge colla carità. Cosi S. A m b r o gio applicava al diritto civile quella sua massima,che come ci attesta S. Agostino (2), soleva ripetere al suo popolo : la let tera uccide, ma lo spirito vivifica. tuttora dalla S. Congregazione del Concilio,quando trattansi certe questioni, le quali come quella giudicata da S. Ambro gio, richiedono la più dilicata prudenza. Di tal modo l'influenza del Consolare romano si stese su tutti irami della scienza e pratica legale,donando loro.la vitael'amore,che provengono dallacroce diGesù Cristo. Non ci sarà perciò lecito di conchiudere,che il sommo Arcive scovo il quale nelle immense occupazioni del suo apostolato quasi mondiale, trovò tempo e mezzi da gettare le basi di un intera ristaurazione del diritto pubblico e privato, deve essere salutato,come la personificazione del genio cristiano nella se conda metà del secolo IV ? S. Ambrogio infatti ben diverso dai grandi uomini volgari dell'epoca moderna , non studiò gli er rori ed ipregiudizii dell'età in cui visse se non per combat terli:gli avvenimenti stessi più fortunosi non lo scossero: non segui ma trascinossi dietro uomini ed istituzioni, informan doli del suo spirito di forza e di carità":esso pertanto è a tutto rigor di storia,l'uomo del suo tempo. Ritorna quest'anno il quindicesimo centenario , da che il Consolare fu eletto e consecrato Vescovo di Milano.L'impero romano,di cui S.Ambrogio avanti di chiuder gli occhi alla vita vidde le prime strette di morte,è sparito;ed ibarbari che lo distrussero,avendo prestato orecchio più docileallelezioni la sciate dal santo,crearono le nazioni cristiane.A qual punto però siamo noialpresente?Lasocietàprogredisceoretrocede? Immense innovazionionoranoalcertolospiritoumano,che in questi ultimi tempi percorse e scrutò tutti i regni della n a tura, sorprendendone preziosi segreti:esso obbligo il fuoco a servire alle sue industrie , lo aggiogó al carro e traverso la terra;diede leggi al fulmine e lo costrinse a trasmettere ad immense distanze il proprio pensiero.Tuttavia nonostante que ste meraviglie, quale è il diritto pubblico e privato d'Europa e del mondo in quest'anno 1874 ? D i a m o u n o s g u a r d o i n g i r o : il D i o - s t a t o b a r i a l z a t o o v u n que i suoi altari e non vi è governo che non gli abbruci in censo e sacrifichi vittime : e quali vittime ! Sono diverse le forme sotto cui si presenta ilredivivo paganesimo;ma è in forza deimedesimi principii,che essoristaural'anticabattaglia, sperando che il maggior progresso delle scienze fisiche e la maggior forza che ne proviene ai governi,gli daranno di po  IV.   ter questa volta abbattere l'indipendenza della Chiesa , ri durla a servaggio e prepararla alla morte.Dietro al diritto pubblico vien necessariamente trasformandosi il diritto privato ; il matrimonio, qual fu consacrato e reso indissolubile dalla fede cristiana, l'istruzione della gioventù, che deve sottrarsi all'er rore,l'inviolabilità della proprietà sia privata che collettiva, e cento altre conquiste dei secoli cristiani vanno ritirandosi in faccia ad altre conquiste, per antifrasi dette moderne.Si grida progresso: ma basta gridarlo? Frattanto le popolazioni moyon lamenti,simili a quelli che si udivano nel secolo IV,reclamando contro isempre crescenti balzelli;una febbre di ricchezzadi vora gli uomini creati pel cielo; e nello sfondo di un non lon tano orizzonte vediamo avanzarsi il Comunismo , ultima fase del paganesimo,ilquale viene a prender possesso del mondo in nome della logica e della Giustizia di Dio. È in questi frangenti che ilvecchio campione del secolo IV si scosse nella tomba de'suoi quindici secoli e volle rivedere lasuaMilano. Non spetta certamente all'umana ignoranza di indovinare i d i s e g n i m i s t e r i o s i d e l l ' a l t i s s i m o : E s s o c e li m a n i f e s t e r à c o m e e quando crederà meglio.Ma è egli possibile che questo gi gante di santità ritorni fra noi senza una missione degna di sua grandezza ? Il consolante dogma dell'intercessione dei santi ci dà diritto alle più soavi speranze ; poiché la S. Chiesa,e que sta nostra in ispecie,è la vigna già lavorata da S. Ambrogio ; e la sua visita perciò non può portare che frutti di benedizione e di pace alla Chiesa ed alla società.Ambrogio. Keywords: Sebastiane; Ambrose and his orchestra, male virgin, virgo, satyr, his brother satyr, san Sebastiano l’eroe romano, l’eroe stoico – cicerone – uffizi – diritto romano – normativa dell’impero, sebastiane, vita di sebastiane, nato a Milano – Derek Jarman, Sebastiane – lingua latina -- --  Refs.: Luigi Speranza, “Ambrogio e Grice” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790040402/in/dateposted-public/

 

Grice ed Ambrosoli – filosofia italiana – Luigi Speranza (Varese). Filosofo. Grice: “I like Ambrosoli: ‘La filosofia è patrimonio dello spirito e non ha patria; l’hanno, invece, le dottrine e le scuole.’ But then he dedicates his life to Cattaneo – whose ‘patria’ informs his philosophy, as it does in Mazzini and in each philosopher Ambrosoli provided an exegesis for! At Oxford we call such a ‘philosophical historian’!” -- Il Prof. Luigi Antonio Ambrosoli (Varese), filosofo. È stato uno dei protagonisti della storiografia italiana del secondo Novecento. Allievo di Federico Chabod negli anni della Seconda guerra mondiale, si dedicò per tutta la vita alla ricerca storica, coniugandola con un costante impegno civile per la sua Varese.  Laureato in Filosofia all'Università degli Studi di Milano, fu dapprima docente di scuola secondaria, poi preside di scuola secondaria; successivamente fu ordinario di Storia contemporanea presso l'Università degli Studi di Ferrara, quindi presso l'Università degli Studi di Padova e infine preside della Facoltà di Magistero presso l'Università degli Studi di Verona, dove fu anche direttore dell'istituto di storia.  I suoi studi si orientarono particolarmente alla storia del Risorgimento e, nell'ambito di questa, all'opera di Carlo Cattaneo, con esiti unanimemente apprezzati sia per il rigore filologico che per l'acume interpretativo e la ricerca storiografica. Parallelamente contribuì alla ricostruzione della storia dei movimenti e dei partiti politici, con saggi dedicati al movimento cattolico e al movimento operaio e socialista.  Grande fu il suo contributo allo studio del sistema educativo e delle istituzioni scolastiche nell'Italia del XIX e XX secolo, con apporti interpretativi che ancor oggi sono il riferimento per gli studiosi del settore.  Collaborò a "Il Ponte" di Piero Calamandrei, "Belfagor" di Luigi Russo, "Nuova Antologia", "Mondo Operaio", "L'Avanti!", "Critica storica", "Storia in Lombardia". Fu anche fervido sostenitore della nascita dell'Università degli Studi dell'Insubria.  Altre Opere: “Varese e il Risorgimento”; “Il primo movimento democratico in Italia” Roma, Edizioni 5 Lune); “La formazione di Carlo Cattaneo, Milano-Napoli, Ricciardi); “Né aderire né sabotare 1915-1918, Milano, Edizioni Avanti!); “La Federazione nazionale scuole medie dalle origini al 1925, Firenze, La Nuova Italia, 1967 (premio Friuli-Venezia Giulia 1969 per un'opera di storia sociale) I periodici operai e socialisti di Varese dal 1860 al 1926.  e storia, Milano, Sugarco); “Libertà e religione nella riforma Gentile, Firenze, Vallecchi); “La scuola in Italia, dal dopoguerra ad oggi, Bologna, Il Mulino, 1982 La scuola alla Costituente, Brescia, Calzari Trebeschi-Paideia); “Educazione e società tra rivoluzione e restaurazione, Verona, Libreria universitaria editrice); “Giuseppe Mazzini, una vita per l'unità d'Italia, Manduria, Piero Lacaita Editore); “Carlo Cattaneo e il federalismo, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1999 Varese. Storia millenaria, Varese, Editore Macchione, 2002 Ha curato per l'editore Mondadori i tre volumi degli scritti dal 1848 al 1853 di Carlo Cattaneo (1967 e 1974) e per l'editore Bollati-Boringhieri i due volumi degli scritti del «Politecnico» dal 1839 al 1844 (1989). Onorificenze Commendatore dell'Ordine al merito della Repubblica italiananastrino per uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine al merito della Repubblica italiana «Su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri» — 2 giugno 1984 Note  Luigi Ambrosoli, ricerca storica e impegno civile , su va.camcom. 16 luglio .  Sito web del Quirinale: dettaglio decorato, su quirinale. Filosofia Storia  Storia Categorie: Insegnanti italiani del XX secoloStorici italiani Professore1919 2002 15 luglio 20 maggio Varese VareseFilosofi italiani del XX secolo. Ambrosoli. Keywords: ambrosoli – cattaneo – Mazzini – insurrezione milanese – filosofia romana – filosofia italiana – filosofia di varese – ‘La filosofia è patrimonio dello spirito e non ha patria; l’hanno invece le dottrine e le scuole.” Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ambrosoli” --. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51715421827/in/photolist-2mT5MZr-2mS3srj-2mMV4aV/

 

Grice ed Amico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cosenza). Filosofo. Grice: “I like Amico; at the time when a philosopher’s duty was to watch the stars, he noticed that instruments are unnecessary given Aristotle’s conception of concentric orbits – His treatise was highly popular in Padova; therefore, he was killed – I cannot imagine the same thing happen to Ayer at Oxford after the success of his “Language, Truth, and Logic””! Insigne studioso di astronomia, brillante nella conoscenza del latino, del greco e dell'ebraico, abbracciò la scuola di pensiero dell'aristotelismo padovano del XVI secolo. Fu autore dell'operetta  “De motibus corporum coelestium iuxta principia peripatetica sine eccentricis set epicyclis” (Venezia, Pattavino e Roffinelli). Frequenta lo studium dei domenicani e Padova sotto Vincenzo Maggi, Passeri e Delfino. Per il resto della sua biografia si conosce ben poco se non quanto trapela dalla sua maggiore opera. Dalla sua opera si traggono le uniche scarne notizie relative alla sua vita, ovvero, come da lui stesso riportato nell'opera, che fosse cosentino di nascita. Del filone del peripatismo padovano. Membro dell'accademia di Cosenza. Amico fu il primo a mettere in discussione il modello peripatetico tolemaico. L’assassinio d’Amico e provocato dall'invidia della sua filosofia – impicato da un anonimo che compose l'epitaffio : «IOAN. BAPTISTÆ AMICO Cosentino, qui cum omnes omnium liberalium artium disciplinas miro ingenio, solerti industria, incredibili studio, Latine Grece atque etiam Hebraice percurrisset feliciter, ipsa adolescentia suorumque laborum & vigilarum cursu pene confecto, a sicario ignoto, literarum, ut putatur, virtutisque, invidia, interfectus est [ammazzatto da sicario ignoto per invidia delle sue lettere e virtù. --Monumentorum Italiae, quae hoc nostro saeculo & a Christianis posita sunt, libri 4, pag.11). Assalito, derubato e ucciso mentre camminava nei vicoli di Padova. Il processo contro ignoti che seguì accerta che e scomparsa una borsa contenente le carte con rivoluzionarie osservazioni. Subito dopo, l’Inquisizione istitusce un processo postumo per eresia contro lui. Dell'Amico fa menzione Telesio nella sua orazione in morte, ed il filosofo cosentino Aquino che lo define "così grande filosofo”. Cosenza gli dedica, inaugurandolo, il Planetario della città che sorge a 224 metri s.l.m. nel quartiere Gergeri del capoluogo bruzio.  Note  Amico, Giovanni Battista, su Consortium of European Research Libraries,//thesaurus.cerl.org/. 16 febbraio .  amico, giovan battista : d', su OPAC  Catalogo del servizio bibliotecario nazionale,//opac. Ioannis Baptistae Amici Cosentini de Motibus corporum coelestiu iuxta principia peripatetica sine eccentricis & epicyclis, su OPAC  Catalogo del servizio bibliotecario nazionale,//opac..Francesco Sacco, Giovan Battista Amico, su Galleria dell'Accademia Cosentina, Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR. Concetta Bianca, DELFINO (Dolfin), Federico, su Dizionario Biografico degli Italiani, Enciclopedia Italiana Treccani. Elda Martellozzo Forin, Padova. Istituto per la Storia , Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini Padova, Antenore. 15 febbraio .  Per il testo originale dell'epitaffio si veda Lorenz Schrader, Monumentorum Italiae, quae hoc nostro saeculo & a Christianis posita sunt, libri 4, Lucius Transylvanus, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie raccolte Luigi Accattatis, Cosenza, Tip. Municipale, Giovan Battista Amico, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Coriolano Martirano, L'arco di Ulisse. Vita ed opera di Giovanni Battista Amici, Bruttium et scientia, Laruffa, Francesco Sacco, Giovan Battista Amico, su Galleria dell'Accademia Cosentina, Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR. 15 febbraio . Luigi Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, A. Forni, 1977,  902. 15 febbraio . Mario Di Bono, Le sfere omocentriche di Giovan Battista Amico nell'astronomia del Cinquecento, Centro di Studio sulla Storia della tecnica . Franco Piperno, Da Eudosso di Cnido a Giovan Battista D'Amico da Cosenza, su Università della Calabria, progetto "Divulgare la Scienza Moderna attraverso l'antichità",//lcs.unical/.Noel Swerdlow, Aristotelian Planetary Theory in the Renaissance: Giovanni Battista Amico's homocentric spheres, su Journal for the History of Astronomy,http://articles.adsabs.harvard.edu/. Astronomi e gli scienziati calabresi del XVI-XVII secoloV CENTENARIO NASCITA DI G. BATTISTA D'AMICO, in Provincia di Cosenza,//provincia.cs, Filosofi italiani Professore Cosenza Padova Accademia cosentina. Ioannes Baptista Amicus Cosentinus. Giovan Battista d’Amico. Giovan Battista Amici. Giovan Battista Amico. d’Amico. Amico. L’incipit del nostro “Amico”. Gli anni ’30 del XVI secolo costituiscono una profonda frattura in fisica tra il “prima” e il “dopo”. Gli studi condotti nei due millenni precedenti vanno in direzione del geocentrismo, da Galileo in poi la fisica procede verso soluzioni differenti e l’individuazione del sistema eliocentrico ne e lo snodo fondamentale. Ma fino a quel momento, tutto ciò che costituisce “il prima” parte da Eudosso, Aristotele e Tolomeo. Purbach tenta la fusione tra Aristotele e Tolomeo. Osservando il cielo, si accorge degli errori contenuti nella Tavola di Toomeo. Decide quindi di recarsi in Italia, per consultare direttamente i manoscritti antichi nell’arduo tentativo di re-digere della nuova tavola e più affidabili di quella di Tolomeo, allora d’uso comune in tutta Italia. Purbach insegna a Padova. Prima affina la capacità di calcolo computando una tavola dei seni per ogni minuto primo, quindi redige “Theoricae novae planetarium”. Dal punto di vista tecnico, il testo contiene l’innovazione di svuotare una sfera omocentrica e di aumentare lo spazio in modo tale da far posto agli eccentrici e agli epicicli di Tolomeo. Mette a punto le sue nuove tavola, completandone il controllo attraverso la discussione con i peripatetici veneti ed il confronto con i manoscritti antichi raccolti nelle biblioteche italiane. Ma qualche settimana prima di lasciare Vienna per Venezia, muore. Purbach tenta la fusione tra il sistema del modo omocentrico e quello matematico dell’epi-ciclo. Dopo di lui, vi e Amico, un cosentino, che rilevera l’impresa.  Pochi anni prima la pubblicazione del capolavoro di Copernico, sia assiste a una fioritura di testi dati alle stampe ove le speculazioni sulla sfera omocentrica sono sempre e ancora in primo piano. Il campo della fisica sono ancora troppo giovani per avere strumentazioni sofisticate e la fisica viene dedotta, assumendo, forse presuntuosamente, il carattere di verità. Ma qualcosa si muove. La fisica e la strumentazione progrediscono e gli filosofi stanno procedendo in un processo senza soluzione di continuità che culminerà nel metodo. Nella diatriba si inserisce Fracastoro. Voi certamente non ignorate che coloro che si professano filosofi hanno sempre trovato grandi difficoltà nel rendere ragione dei moti apparenti che presenta la fisica. Infatti si offrono loro due vie per spiegarli: l’una procede mediante l’aiuto di quell’orbita che e detta omo-centrica, l’altra per mezzo di quella che e chiamata eccentrica. Ciascuna di queste due vie ha i suoi rischi, ciascuna ha i suoi scogli. Chi che fa uso dell’orbita omocentrica non arriva a spiegare il fenomeno. Chi che fa uso dell’eccentrica sembra, per la verità, spiegarlo meglio, ma l’opinione che si formano di questi corpi divini è indegna e, per così dire, empia. Essi attribuiscono loro delle situazioni e delle figure che non convengono alla natura dei cieli. Sappiamo che Eudosso e Callippo, i quali tra gli antichi hanno tentato di spiegare i fenomeni per mezzo dell’orbita omo-centricha, sono stati ingannati più volte in conseguenza di questa difficoltà. Ipparco è  uno dei primi che preferirono ammettere l’orbita eccentrica piuttosto che restare ingannati dai fenomeni. Tolomeo lo ha seguito e, subito dopo, quasi tutti gli astronomi sono stati trascinati da Tolomeo nella stessa direzione. Ma contro questi astronomi o, almeno, contro l’ipotesi degli eccentrici di cui facevano uso, la filosofia tutta intera ha sollevato continue proteste. Ma che dico la filosofia? È piuttosto la natura e le stesse orbite celesti che hanno protestato senza tregua. Finora non è stato possibile rintracciare un solo filosofo che acconsentisse ad affermare l’esistenza di queste sfere mostruose in mezzo a corpi divini e perfetti”114. Ci si accorge, con decisione, l’ambito della scienza entro il quale si muovo scienziati, astronomi, astrologi e medici del tempo. La conoscenza maggiore dei classici ha portato una sorta di involuzione del pensiero, rientrato nell’ottica di quanto già affermato in passato, senza apportare grandi e significative migliorie. Da questo punto, invece, pur rientrando nella materia nota a tutti, sarà proprio il giovane cosentino a dare una ventata di innovazione in senso ovviamente relativo.  114 Girolamo Fracastoro, Homocentricorum, sive de stellis, liber unus, Venetiis 1535, presentazione. Amico è un filosofo cosentino ucciso in Padova. Della sua biografia si conosce veramente poco: agli esigui dati certi si contrappongono notizie fantasiose e di provenienza dubbia. Tra i primi a dare informazioni sulla sua vita c’è Barrio. Vede la luce il suo poderoso lavoro sulla storia delle città della Calabria, rigorosamente scritto in latino, alle stampe del De antiquitate et situ Calabriae. Il risultato non soddisfa lo stesso autore, il quale decide di emendare quella versione, ma la morte impedisce la prosecuzione di revisione dell’opera. Quattromani inserisce nell’opera postille esplicative. Per arrivare alla pubblicazione definitiva bisogna attendere sino a quando Aceti, dopo un lungo e laborioso lavoro completa l’elaborato con aggiunte e note. Di Amico si legge una sorta di epitaffio nel capitolo dedicato a gl’uomini di Cosenza eccelsi per santità, dottrina e dignità. Per una disamina riguardo le informazioni frutto più di fantasia di qualche erudito locale che di sostanza di fonti cfr. Dalena, Firenze. Thomae Aceti, Accademici Consentini, et Vaticanae Basilicae clerici beneficiati in Gabrielis Barrii Francicani De Antiquitate & situ Calabriae Libros Quinque, Nunc primum ex autographo restitutos ac per Capita distributos, Prolegomeni, Additiones, & Notae. Quibus accesserunt animadversiones Sartorii Quattrimani Patricii Consentini, Romae, ex Typographia S. Michaelis ad Ripam Sumtibus Hieronymi Mainardi, come cita il frontespizio di una delle copie in possesso della Biblioteca Civica di Cosenza (Fondo Salfi). “Vi fu anche Amico, che descrisse i moti dei corpi celesti secondo i precetti dei peripatetici, cosa invano tentata per tanti secoli dagli antichissimi filosofi e se non fosse stato colpito da morte immatura avrebbe affrontato fatiche maggiori. Aceti, nelle note, aggiunge l’epigrafe di Padova, addirittura meno lapidaria del conciso inciso di Barrio. A Padova si legge di lui nel monumento delle epigrafi d’Italia: A Amico, cosentino, il quale, avendo percorso felicemente le discipline tutte di tutte le arti liberali con mirabile ingegno, solerte operosità, incredibile passione,  ucciso da sicario ignoto. Ucciso, come si ritiene, dalla invidia delle lettere e della virtù. Le virtù che ad altri portarono premi e vita perenne, per costui solo furono causa di uccisione. Andreotti, nella sua Storia dei Cosentini, cita il nostro nell’elenco dei componenti dell’Accademia telesiana, presieduta dal grande filosofo bruzio. Vi fiore Amico, nato in Cosenza – educato a Padova – conoscitore sveltissimo della filosofia e della fisica.  fScrisse costui seguendo la teorica peripatetica, “De motu corporum coelestium”, descrivendo tutti i movimenti de’ corpi celesti senza ricorrere, secondo che narra l’Aquino nel discorso su Telesio, per spiegarli a quel movimento eccentrico ed all’epi-ciclo inventato da Tolemeo, quando vuole conciliare la sua opinione della solidità de’ cieli co’ moti de’ corpi celesti. Morì egli in Padova, ucciso --  e non appartenne alla citata Accademia, che nell’epoca in cui per affari di famiglia dimora un anno in Cosenza. La sua opera va così intitolata – Ioannis Baptistae Amici – De Motu Corporum coelestium”. La notizia ricalca, con qualche elemento in più, quelle già incontrate nell’opera del Barrio. Pochi dunque i ragguagli che si possono ricavare. Abbastanza poco è noto sulla sua genesi. Nato a Cosenza, morto a Padova, dove ha studiato, esperto nelle lingue colte, specializzato in metafisica e fisica, ucciso da mano ignota, proprio per la sua capacità filosofica. Capacità, questa che lo hanno portato  a essere membro della appena sorta accademia. Barrio, Antichità e luoghi della Calabria, aggiunte e note di Aceti, osservazioni di Sartorio Quattromani, Roma, trad. it. di Erasmo A. Mancuso, Brenner, Cosenza, presieduta dal ben più noto filosofo Telesio, “illustre cosentino”. La sua presenza in Accademia è quasi casuale, essendo rientrato nella città Bruzia solo quell’anno per affari di famiglia. Al rientro nelle Venezie, trova la morte. Quali informazioni possiamo estrapolare e spremere dalle fonti è veramente poca roba. Il gentilizio è di origine incerta. Il cognome è variamente declinator: Amico, Amici o d’Amico, in quanto nel latino medievale, nel titolo di un testo di utilizza il genitivo per quanto concerne il cognome dell’autore. Pertanto si presume che ‘Amici’ sia genitivo di ‘Amico’, mentre ‘Amici’ sia la mera ripetizione, e “d’Amico” la traduzione italiana *del caso genitive* latino. Per questo motivo , in questa sede si utilizza la forma più semplice. La famiglia ha una sua importanza nel contesto della “città libera” di Cosenza,  potendo permettersi, sia pur con enormi sacrifici, il mantenimento di un proprio membro agli studi in una città, di fama e retaggio culturale ottimi, ma così lontana. I sacrifici si posso ben immaginare, mancando, nella crescita di Amico, il padre, essendo prematuramente morto prima della sua nascita. L’assenza del capo famiglia, nel contesto del XVI secolo, società di fatto a carattere patriarcale, non ha sicuramente giovato nell’ambito dell’economia familiare, essendo assente proprio il fulcro stesso dell’istituzione. Ciò nonostante si può supporre un sicuro benessere, in quanto, anche in assenza del padre, un giovane rampollo di famiglia di ottimati puo permettersi gli studi lontani da casa. Nulla si conosce riguardo la sua formazione cosentina. Di certo, grazie a qualche insegnante, nel corso degli studi del trivio, conosce filosofia. L’ambiente, dopotutto, è quello emerso dal retaggio glorioso della Mégale Hellàs, ove gli studi della filosofia, della scienza, della medicina e dell’astronomia erano, per così dire, all’ “avanguardia”. E anche dopo lo iato medievale. L. Piovan, Amico, Telesio, Doria: documenti e postille, in “Quaderni per la storia dell’Università di Padova”. Dreyer, Boquet e Taton utilizzano la forma ‘Amici’, ma è presente anche la forma ‘De’ Amici’. È a tutti noto che la città di Cosenza non sube mai vassallaggi tipici dell’infeudazione.  --  nuovi impulsi e ritorni agli antichi studi erano senza dubbio all’attenzione della koiné culturale cosentina. Ne è esempio lo stesso Barrio. Nella sua monumentale opera, i riferimenti storici sono in primo piano, così anche è per Fiore e Marafioti, nonché per lo stesso Quattromani. Una ricostruzione culturale ‘amiciana’, estremamente verosimile si deve a Piperno. Le arti del trivio, grammatica, retorica e dialettica, portati a termine nella città brettia gli avevano assicurato la conoscenza attiva e passiva delle tre lingue sapienziali, aramaico, greco e latino. Dopo tutto questo, era partito alla volta del Veneto, di Padova in particolare, per completare, in quello prestigioo studio à, gli studi delle arti del quadrivio, geometria, aritmetica, astronomia e musica, in vista di intraprendere poi, presumibilmente, un curriculum filosofico. In quei tempi l’astronomia era insegnata in funzione della astrologia e questa a sua volta svolgeva un ruolo ancillare a fronte della medicina, arte che pratica la diagnostica delle malattie e ritma l’attività di cura secondo il variare delle configurazioni degli astri nel cielo notturno; insomma la medicina era profondamente intrecciata con il sapere astronomico in una sorta di ‘astroiatria’”. Sono conosciuti però i maestri con i quali Amico ebbe modo di formarsi. È egli stesso a dichiararlo, nella dedica a Ridolfi, introduzione alla sua opera. Questi sono tutti nomi che fanno parte del gotha scientifico-culturale dell’ambiente universitario patavino e non solo. Tra i maestri Amico annovera Delfino, Passeri, e Madio. Delfino è il più celebre insegnante di astronomia e matematica. Tra i suoi allievi, divenuti a loro volta famosi, si ricordano, oltre a Telesio e Amico, Contarini, Piccolomini e Fracastoro. Passeri ricopriva, in quel lasso di tempo, la cattedra di filosofia naturale, è stato l’autore di un commento al “De anima”. A lui si deve l’introduzione di Amico agli aspetti più esoterici e raffinati dell’Aristotele autentico. Sull’ambiente culturale cosentino del periodo cfr. L. De Rose, Cosenza “faro splendidissimo di cultura”. L’Atene della Calabria e i Brettii raccontati da Barrio, in G. Masi, Tra Calabria e Mezzogiorno. Studi storici in memoria di Tobia Cornacchioli, ICSAIC, Pellegrini Editore, Cosenza. Piperno, Ioannis Baptistae Amici..., -- greco; mentre il Madio o Maggi, che a sua volta aveva scritto un commento alla “Poetica”, e già divenuto l’interprete più autorevole della tradizine peripatetica, a lui, ritenuto il “massimo rappresentante peripatetico” si rivolge il Telesio per un giudizio sulla propria opera. Quando Amico arriva a Padova, la sua vita si dipana in due diverse settrici: da un lato la vita universitaria, con i suoi lustri, gli studi i professori, dall’altro la realtà quotidiana, fatta di privazioni (di affetti, di soldi), di solitudine. Non avendo fonti documentate che diano certezze a qualunque ipotesi passibile di verosimiglianza, si deve necessariamente concentrare l’attenzione sul percorso di studi dell’Amico, percorso, forse, neanche compiuto sino in fondo, non essendo stata reperita in alcun modo una pergamena a suo nome. La opera di Amico si incastona nell’ambiente padovano, ricco di stimoli e personaggi, dimenticata dopo la prematura scomparsa dell’autore, che tanta parte avrebbe avuto nella genesi della scienza moderna.  L’Università patavina vive, ormai da tempo, la rifioritura della corrente peripatetica sia per quanto concerne l’astronomia che per le altre scienze della natura – in questo, Padova e il Veneto si contrappongono a Firenze e alla Toscana dove è affermata, senza cesura, una adesione esclusiva al platonismo pitagorizzante. Certo, altre città in Europa, coi loro Atenei, hanno già imboccato la strada che riporta ad Aristotele. Si pensi, ad 122 Cfr. M. Di Bono, Le sfere omocentriche..., cit., p. 53. 123 K. M. Pataturk, Opere inedite perché non stampate, né scritte e neppure pensate, Valle Giulia, Roma. Piperno annota tristi particolari di un immaginario quotidiano padovano del giovane cosentino, ricostruito da Pataturk, non credibile e privo di fonti documentarie. L’autore, il più autorevole tra gli storici ponterandoti dell’astronomia [Pataturk n.d.A.], afferma che Amico, durante i lunghi e umidi inverni patavini, usasse lasciar dormire in casa, accanto a sé, sul letto, schiena contro schiena, il suo cane, un massiccio pastore della Sila Grande, che aveva condotto con sé dalle Calabrie – come per proteggersi dalla emarginazione anomica che, ieri come oggi, s’accompagna alla miseria di studente fuori sede squattrinato, in terra veneta. Il particolare può apparire irrilevante, anzi fatuo; e trattandosi di una fonte incerta perché irreperibile conviene lasciarlo cadere. Noi abbiamo scelto di farne uso, perché questa confidenza tra il filosofo ed il cane e considerata una prova per avvalorare una leggenda metropolitana che identifica il cosentino con il castigliano Ruy Faleiro, l’astronomo che, su richiesta del vicentino Pigafetta, aveva sciolto l’enigma del giorno perduto dai marinai della spedizione di Magellano”. Cfr. F. Piperno, Le imprese di Pigafetta, www. UNICAL/ variazioni sul tempo. Il nome di Amico (e in alcuna declinazione) non appare negli Acta Graduum Academicorum Gymnasii Patavicini. Index nominum cum aliis actibus praemissis, a cura di Elda Martellozzo Forin, Antenore, Padova. M. Di Bono, Le sfere omocentriche... -- esempio, a Basilea, Norimberga, Praga, Cracovia e la stessa Parigi. Ma, sebbene questi centri culturali abbiano conseguito risultati ragguardevoli e anche maggiori, nessuno di essi può “stare a confronto, sul piano della varietà di approcci, alla comprensione di Aristotele che si manifesta a Padova e nel Veneto”127. L’Ateneo patavino è campo fertile per l’educazione di astronomi (astrologi), medici e filosofi naturali, nella limitrofa Venezia sorgono, dopo la scoperta della stampa, gli impianti artigianali per l’editoria, che permette a tutti coloro che sono in grado di leggere e ovviamente alle persone istruite “di entrare in contatto diretto tanto con il pensiero dei classici quanto con l’elaborazione teoretica allo stato nascente dei contemporanei – non a caso, sarà nella città lagunare che verranno pubblicate, nel biennio 1536-37, le prime due edizioni dell’Opusculum, malgrado che il suo giovane autore fosse, a tutti gli effetti, un perfetto sconosciuto”128. Il ventiquattrenne cosentino approfitta del particolare contesto storico e, convinto dagli amici Cipriano Pallavicini e Giovan Battista Aurio, quasi certamente a proprie spese, presenta il suo lavoro ai tipografi Giovanni Patavino e Venturino Roffinelli, i quali, appunto, lo propongono in carta stampata. La ristampa del volumetto, con aggiunte e correzioni, è tangibile prova dell’interesse che suscita l’argomento e di come è stato affrontato dal giovane autore. La Repubblica marinara di Venezia interpreta così il ruolo di collegamento tra le grandi civiltà mediterranee, latina, bizantina e araba; divenendo, per dirla con De Bono, il centro di riferimento obbligato tanto per i commerci librari quanto per i saperi astronomici. Schimitt, L’aristotelismo nel Veneto e le origini della scienza moderna, in L. Olivieri, “Aristotelismo veneto e scienza moderna”, Antenore, Padova. Piperno, Ioannis Baptistae Amici... . Piovan, Giovanni Battista Amico. L’autore documenta come il filosofo cosentino Bernardino Telesio, a Padova nel 1538, si assunse l’onere dell’eredità debitoria di Giovan Battista Amico, saldando una pendenza di venti scudi veneti a favore di un certo Giovanni Battista Doria, d’origine genovese e ritenuto per pregiudizio dedito all’usura. L’entità della somma è tale da supporre che Amico abbia impiegato i venti scudi per pagare il tipografo veneziano che aveva stampato il suo Opusculum. Cfr. M. Di Bono, Le sfere omocentriche... . Resta insuperato il citato lavoro di Braudel riguardo l’importanza della Serenissima quale coacervo di culture, orientale, mediterranea e del Nord Europa.  91  Limitandoci qui solo ai testi d’astronomia editi a Venezia o nel Veneto, vi sono molte editiones principes degli autori dell’antichità: Arato, Manilio, Aristarco, Proclo, Macrobio, Igino, Marziano Cappella e così via. L’Almagesto di Tolomeo viene stampato, una prima volta nel 1515, recuperando dall’epoca medievale, una vecchia traduzione dall’arabo in latino a cura di Gerardo da Cremona; una seconda volta nel 1528, sempre nella traduzione latina ma questa volta, ormai in pieno Rinascimento, dall’originale greco, per opera di Luca Gaurico. L’editoria veneta degli inizi del secolo XVI non trascura certo le opere astronomiche più recenti o contemporanee: vedono infatti la luce i testi di Alcabizio, Purbach, Bate di Malines, Sacrobosco, Regiomontano e così via131. L’aristotelismo veneto non è una nicchia per accademici, ma una sorta di ideologia filosofica che impregna di sé tanto la comunità dei colti quanto l’attività produttiva. Si ricordi che a Venezia esisteva allora un artigianato altamente qualificato che costruiva le lenti per i presbiti, usando le leggi dell’ottica geometrica riformulate dai peripatetici arabi. Questa trasversalità rende l’Ateneo patavino una tappa prestigiosa per i curricula dei più grandi filosofi naturali che insegnano astronomia; e di conseguenza a Padova convergeranno molti tra i più dotati studenti di astrologia, matematica e medicina, non solo dall’Italia ma da tutta Europa. Cfr. M. Di Bono, Le sfere omocentriche..., cit.. L’astronomia del De Motibus corporum coelestium iuxta principia peripatetica sine eccentrici et epicicli di Amico Un anno dopo la stampa de Gli omocentrici di Fracastoro132, Giovan Battista Amico pubblica il suo opuscolo su medesimo tema. Che i due astronomi siano debitori alle teorie di Eudosso è lo stesso astronomo cosentino a dichiararlo nei suoi scritti: “Tra gli antichi alcuni si sono sforzati di unire l’astrologia alla filosofia naturale, altri , al contrario, hanno cercato di separare queste due scienze. Infatti, Eudosso, Callippo e Aristotele hanno cercato di ricondurre tutti i movimenti non uniformi, che i corpi celesti ci presentano, a dei collegamenti tra le orbite omocentriche riconoscibili in natura; Tolomeo, all’opposto, e coloro che hanno seguito il suo metodo hanno voluto, andando contro la natura delle cose, ridurle ad eccentrici ed epicicli”. “Gli astronomi attribuiscono i fenomeni che percepiamo, quando osserviamo i corpi superiori, agli eccentrici e a quelle sferette che vengono chiamate epicicli. Ma la loro riduzione di tutti questi effetti a tali cause è pessima. D’altra parte, non ci si deve meravigliare se hanno errato in tale riduzione, poiché, come afferma Aristotele nel primo libro degli Analitici Secondi, ogni soluzione diventa difficile allorché coloro che hanno la pretesa di averla trovata fanno uso di principi falsi. Dunque, se la natura non conosce né eccentrici né epicicli, secondo la giusta espressione di Averroè, sarà bene che anche noi rifiutiamo tali orbite. Noi lo faremo tanto più volentieri in quanto gli astronomi attribuiscono agli epicicli e agli eccentrici certi movimenti che chiamano inclinazioni, riflessioni o deviazioni, che non possono convenire in alcun modo, almeno a mio parere, alla quinta essenza”133. “In quest’opera, forse, non si troverà nulla di completo, ma riterrò di aver fatto abbastanza se riuscirò a eccitare gli spiriti più illustri al desiderio di rendere più chiara questa spiegazione” (Ep. ad card. Nicolaum Rodulphum). 132 Girolamo Fracastoro, Homocentricorum, sive de stellis, liber unus, Venetiis 1535. 133 Giovanni Battista D’Amico, De motibus corporum coelestium iuxta principia peripatetica sine eccentris et epicicli, Venetiis 1536, cap. 1 e cap. Frontespizio dell’esemplare conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Prima edizione del De Motibus corporum coelestium iuxta principia peripatetica sine eccentrici et epicyclis di G.B. D’Amico, Venezia 1536 94  Nella dedica al Cardinale, il cosentino Amico avverte, con umiltà, l’intento dei suoi studi, confessando, in pratica, la gratitudine che deve a chi lo ha preceduto: i classici greci e latini e i trasmettitori arabi. Nei primi sei capitoli dell’opuscolo, secondo la tradizione, egli compone un breve excursus delle dottrine astronomiche di Eudosso, Callippo e Aristotele, concludendo che l’osservazione millenaria della volta celeste non autorizza a pensare che la natura sia costretta a muoversi per epicicli ed eccentrici. Dal settimo capitolo inizia a declinare le proprie teorie riguardo l’assetto cosmico. Amici, per primo, opera un vero e proprio pensiero critico riguardo le teorie antiche, e sebbene rimanga entro lo stretto cerchio di esse, promuove nuove formulazioni. Il cosentino dimostra dapprima che se vi sono due sfere omocentriche contigue i rispettivi assi perpendicolari tra di loro e se i poli della sfera esterna si muovono da una parte e dall’altra rispetto alla posizione media; se accade tutto questo, allora si vede facilmente che la sfera interna ora accelera ora ritarda. Subito dopo osserva che se i poli delle due sfere formano, più in generale, un angolo di n° gradi e l’uno ruota in verso contrario rispetto all’altro con velocità doppia, allora il movimento complessivo sarà una oscillazione su un arco di 4n° (Fig. 33) – in questo calcolo così elegante il nostro giovane Amico rivela quanto il suo talento debba, nella sua formazione accademica,alla geometria alessandrina rielaborata dagli arabi134.  134 F. Piperno, Ioannis Baptistae Amici..., cit. 95   Fig. 33 Introdotta questa innovazione nel sistema eudossiano, il giovane astronomo può concludere che sono sufficienti quattro sfere per ricostruire i movimenti apparenti del Sole; mentre per i sei pianeti – la Luna secondo la tradizione viene considerata tale — ne occorrono di più. 96  Si evidenzia pertanto una aggiunta di sfere che renda possibile la “salvezza dei fenomeni”, a discapito di un complicazione che già è palese ai tempi di Aristotele, che comporta un numero di sfere aumentato a ottantanove, come risulta evidente nella tabella (3) seguente: Tabella 3 EUDOSSO Saturno 4 Giove 4 Marte 4 Venere 4 Mercurio 4 Sole 3 Luna 3 CALLIPPO 4 4 4 +1 =5 4 +1 =5 4 +1 =5 3 +2 =5 3 +2 =5 ARISTOTELE AMICO 4 +3 =7 16 4 +3 =7 16 5 +4 =9 16 5 +4 =9 13 5 +4 =9 13 5 +4 =9 4 5 55 89 11 26 33 Di conseguenza, il subito solleva una obiezione decisiva alla teoria tolemaica: la Luna di certo non si muove su un epiciclo giacché, se così fosse, non potrebbe mostrare, osservata dalla Terra, la stessa faccia, come invece a noi tutti capita di costatare — secondo la fisica aristotelica un corpo che compia una rivoluzione attorno ad un centro deve rivolgere a quest’ultimo sempre il medesimo lato (Fig. 34). cosentino passa ad esaminare nel dettaglio l’orbita lunare; e 97   Fig. 34 Formulata così l’obiezione, il giovane astronomo si affretta a generalizzarne la portata: anche gli altri pianeti non possono muoversi su epicicli dal momento che i pianeti, corpi intrisi di divina perfezione, devono dipanare i loro percorsi in forme perfettamente analoghe e altrettanto pregne della succitata perfezione sublime. Quattro sfere vengono quindi assegnate a ogni pianeta, in grado di svolgere il ruolo previsto, nella teoria tolemaica, per gli epicicli. La sfera più esterna, detta d’accesso, ha i suoi poli nel piano dell’orbita planetaria e si muove da Nord a Sud con la stessa 98  velocità con la quale si muoverebbe il corrispondente epiciclo tolemaico. La sfera successiva, più interna, presenta dei poli che distano da quelli della prima di un quarto del diametro dell’epiciclo. Codesta sfera adiacente si muove in direzione contraria alla prima ma a velocità doppia. La terza sfera, ancora più interna, detta di recesso, i cui poli giacciono sull’orbita planetaria, si muove da Sud a Nord. Infine, la quarta sfera, la più interna, ha il suo asse a perpendicolo rispetto al piano dell’orbita planetaria e ospita, incastonato, il pianeta su un suo cerchio massimo. La composizione dei diversi movimenti delle quattro sfere dà luogo, di solito, al moto progressivo annuale del pianeta, da Ovest verso Est; come, di tanto in tanto a quello retrogrado, da Est verso Ovest. Solo la Luna, per via della alta velocità della sua quarta sfera, presenterà unicamente il moto progressivo,sia pure appesantito, di tempo in tempo, da un certo ritardo (Fig. 35). Fig. 35.  99  Dopo avere così ricostruito qualitativamente, senza l’uso degli epicicli, tanto la regressione dei pianeti quanto il ritardo della Luna, il giovane astronomo affronta il problema ben più intricato di dar conto della variazioni della durata del moto regressivo planetario e del ritardo lunare. Questo insoluto è risolto con l’attribuzione a ogni pianeta di altre tre sfere poste tra la sfera d’accesso e quella di recesso già introdotte, in modo che venga opportunamente variato l’arco percorso durante il moto retrogrado. Inoltre, per prevenire lo spostamento della posizione planetaria verso latitudine più alte di quelle osservate, introduce altre tre sfere – portando così a dieci il numero totale di sfere per pianeta; e come se ancora non bastasse, per la Luna aggiunge una undicesima sfera destinata a spiegare il moto ciclico della linea dei nodi lunari, l’antico Saros dei babilonesi che si ripete ogni diciotto anni circa135. Malgrado l’evidente complessità del sistema del mondo così costruito, il cosentino si rende perfettamente conto che dieci sfere a pianeta non sono ancora sufficienti a dar conto di tutti i movimenti celesti reperiti lungo i millenni dagli astronomi; e aggiunge così altre sfere, portando alla fine a sedici quelle relative a Saturno, Giove e Marte, mentre per Venere e Mercurio ne basteranno, si fa per dire, solo tredici. L’astronomo inoltre ritiene, non certo a torto, che per procedere a d una previsione numerica, attraverso il suo sistema del mondo, delle posizioni e dei movimenti dei corpi celesti occorre fissare con maggiore precisioni le inclinazioni reciproche degli assi delle diverse sfere; e per far questo si richiedono ulteriori minuziose osservazioni dei sei pianeti e del Sole. Quanto alle stelle fisse, quelle incastonate nell’ottava sfera, bisogna che quest’ultima, oltre alla rotazione diurna sia affetta anche da un altro movimento, chiamato trepidazione, che ricostruisca la lenta precessione degli equinozi – il che, secondo la fisica aristotelica, può avvenire solo dall’esterno ovvero deve esistere una nona sfera che trasmette all’ottava il moto che emana dal motore immobile (Fig. 36). Fig. 36. Si noti che Amico non confronta la sua teoria con le osservazioni astronomiche più recenti, bensì ne fa di sue e si tratta di osservazioni del tutto innovative. Il suo programma è quello di ritrovare tutti i risultati dell’astronomia tolemaica usando il sistema omocentrico piuttosto che gli eccentrici e gli epicicli. Non si pone il problema della correttezza sperimentale delle misure ereditate dalla tradizione medievale. Inoltre l’astronomo cosentino non si rende affatto conto che il suo sistema, pur intendendo fare salva la fisica peripatetica, in realtà le va decisamente contro. La capacità che ha il sistema omocentrico di ricostruire, sommando moti circolari, il movimento rettilineo dei pianeti nella fase di retrogradazione, testimonia che tra cerchio 101  e retta non v’è quella differenza cosmologica affermata dalla fisica peripatetica, secondo cui nel senso che il cerchio appartiene alla perfezione del mondo sopralunare mentre la retta è partecipe del mondo sub lunare, della imperfezione terrestre137. Bisogna aggiungere ancora che l’Amico è del tutto consapevole delle obiezioni alle quali va incontro il sistema omocentrico. La prima si riferisce al fenomeno della variazione del diametro e della luminosità apparente dei sette pianeti; per esempio, la Luna si mostra più grande in quadratura che alle sizigie, il Sole ha dimensioni maggiori d’inverno che in estate, Marte presenta una luminosità variabile con la posizione sulla fascia zodiacale. Questi fenomeni, infatti, sembravano indicare che la distanza Terra- Pianeta fosse variabile; e questo era una obiezione fatale al sistema omocentrico, che richiede appunto una simmetria sferica ovvero la conservazione della distanza. Amici si confronta con questa questione e la risolve spiegando come il fenomeno sia dovuto alla contingenza che l’etere frapposto. tra la Terra ed il Pianeta osservato, non ha una densità uniforme. È necessario indagare questa spiegazione in dettaglio, giacché, malgrado si sia rivelata erronea, contiene un tratto essenziale della nuova fisica, quella basata sull’esperimento e non sull’esperienza. Amici, a Padova ha confidenza con gli artigiani degli opifici i veneziani – dove si lavorano le lenti per correggere miopia e presbiopia – e sa che un oggetto guardato attraverso la lente appare più grande in ragione diretta allo spessore della lente stessa. Egli, quindi generalizza la verità di questo esperimento all’universo nella sua interezza, ponendo alla teoria basi di “ottica empirica”. Di conseguenza i pianeti osservati dalla terra, malgrado si tengano sempre alla stessa distanza, ci appaiono più grandi quando, lungo lo zodiaco, si trovano in un punto nel quale l’etere è più denso. Analogamente la Luna si mostrerà più grande alle quadrature piuttosto che alle sizigie perché in queste ultime il suo forte splendore dirada l’etere che la circonda, sicché noi la vediamo come attraverso una lente più sottile che alle quadrature. L’altra obiezione è più di senso comune ma non per questo meno significativa. Il sistema omocentrico, rivisitato da Amici, resta notevolmente macchinoso. Esso, come mostrato nella tabella numero 3, richiede un numero di sfere nettamente superiore tanto di quello aristotelico quanto dei deferenti tanto degli epicicli tolemaici. Il giovane astronomo, però, rigetta l’obiezione affermando che egli cerca di ricostruire il cosmo così come realmente è, riproducendolo per similitudine su scala ridotta; ed è meno interessato ad un modello che rende sì più facile i alcoli ma comporta movimenti fisicamente inammissibili. Altrimenti detto, il cosentino, pur destreggiandosi assai bene con la geometria solida, si riconosce nella schiera degli “astronomi philosophi” intenti a conoscere la realtà del mondo e non in quella degli “astronomi matematici” indaffarati a formulare previsioni astronomiche quando non astrologiche, sulla base del computo. L’Opusculum si presenta come un trattato moderno, nel senso che il criterio di verità è assicurato dalla corrispondenza tra realtà fenomenica e proposizioni della teoria, e non già, come nella teologia medievale, tra fenomeni e parole della Sacra Scrittura o, andando ancora più a ritroso nel tempo, l’interdipendenza tra teorie scientifiche e filosofico/religiose del mondo antico. Nel mondo amiciano e del secolo della Rinascita Dio è una ipotesi di cui si può fare a meno, e non si trova nell’opuscolo una benché minima citazione biblica. La separazione tra scienza e fede, così tipica della modernità, afferma Piperno, è stata già totalmente interiorizzata dall’astronomo cosentino. L’Opusculum di Amici, come già detto, aveva vissuto una stampa e una ristampa a Venezia,  poi, presso lo stesso editore. E ancora una terza, postuma, questa volta a Parigi, a cura di Guillaume Postel, un intellettuale cosmopolita qualche po’ enigmatico, in bilico tra profezie millenaristiche e rigore scientifico – miscela non insolita per l’epoca. Tre edizioni di rilievo europeo nel giro di pochi anni e poi uno stato di latenza, quasi catalettico. Ssi pensi che il suo libro non sarà citato nella letteratura astronomica fino a quando Dreyer, nella sua classica storia della cosmologia, gli render. -- Amico non scompare del tutto dalle fonti letterarie. Il suo nome, assieme a una sintesi dell’Opusculum appare in molti testi di storia locale quando si ricomincia ad occuparsi di lui in quanto astronomo: cfr. M. Di Bono, Le sfere omocentriche..., -- onore, dedicando all’astronomo nato a Cosenza un intero paragrafo, volto alla rivalutazione della figura e dell’opera di Amici. La ragione del lungo silenzio che avvolge per secoli il nome dell’astronomo cosentino è dovuta al trionfo della fisica di Galileo in Italia. Infatti, appena solo cinque anni dopo l’assassinio di Amico, usce dai torchi di una tipografia di Norimberga, il “De Revolutionibus” di Copernico, canonico della cattedrale di Frauenburg, ben più noto con il nome latinizzato. La diffusione del De Revolutionibus e capillare in tutta Italia, e le copie del libro saranno rieditate all’infinito è in atto la pacifica rivoluzione scientifica, meglio nota come rivoluzione copernicana o di galileo. L’elaborazione dela fisica subisce uno spiazzamento; lo scontro per l’egemonia teoretica non avverrà più tra peripatetici e tolemaici, bensì tra questi ultimi ed i copernicani. Prima si confrontavano due sistemi del modo, entrambi geo-centrici e geo-statici, che si riferivano alla stessa fisica. Oa la competizione va svolgendosi tra il sistema geo-centrico argomentato con la fisica aristotelica e quello elio-centrico bisognoso di una nuova fisica. In questo quadro, Amico sembra avere imboccato la giusta strada ma in direzione sbagliata. In effetti, il filosofo cosentino ha posto la domanda decisiva per risolvere la crisi che agli inizi del XVI secolo attanaglia il sapere astronomico: come riunificare l’aritmetica di Euclide con la filosofia naturale o astronomia. La questione è quella giusta. Ma la risposta – massaggiare il cuore ormai esausto d’ Aristotele – s’è rivelata troppo macchinosa; e dunque erronea. Dreyer, A History of astronomy..., cit. Oltre a questo testo che descrive a grandi linee il sistema amiciano, va ricordato l’articolo di Swerdlow, Aristotelian Planetary Theory in the Renaissance: Amico’s Homo-Centric Spheres, in “Journal of Astronomy”,  e ancora l’importante saggio di Di Bono e i lavori di F. Piperno, qui ampiamente citati. Nato a Thorn, sulle rive della Vistola, terra incognita contesa tra l’Ordine dei Cavalieri Teutonici e il Regno di Polonia; anche lui, come Amico, giunto a Padova, per studiare astronomia e medicina. Mi piace ricordare che ben diciotto secoli prima Aristarco di Samo ha messo in atto la teoria elio-centrica. Copernico, anche lui, si è mosso, in qualche modo, guardando indietro: con l’abissale differenza che i tempi sono ormai maturi. Sulle accuse di empietà mosse ad Aristarco cfr. L. De Rose, Le ragioni dell’etica nei confronti della scienza. Tre esempi in epoca antica, in F. Garritano, E. Sergio, Scienza ed etica, «Ou. Riflessioni e provocazioni». Eppure, sarà proprio quella ricomposizione, cercata e non trovata da Amico, a dar luogo alla scienza moderna e quindi alla modernità tout-court – poco più di mezzo secolo dopo, per opera dei Galilei, toscano tutt’altro che aristotelico, piuttosto intriso di neo platonismo. -- Giovan Battista, astronomo talentato, è morto giovanissimo, ucciso forse senza una ragione, prima di poter portare a compimento il suo destino, forse perché “caro agli Dei”, come vuole la sapienza antica. Non è dato sapere quale sarebbe stata l’evoluzione del pensiero di Amico, il suo destino intellettuale, il suo karma scientifico, se fosse vissuto abbastanza, soltanto pochi anni ancora, da imbattersi nel De Revolutionibus di Copernico. Le cose non sono andate così; e un giovane dal destino incompiuto, ma dall’indiscutibile intelligenza ha potuto solo tentare di dare un senso a teorie che valgono solo dal punto di vista dell’osservatore. Questo è un mondo antico, come direbbe Leopardi spazzato via a guisa di una mera illusione dalla rivoluzione astronomica prima e dalla mentalità moderna dopo. F. Piperno, Ioannis Baptistae Amici..., cit. 146 G. Leopardi, Storia dell’Astronomia, in F. Piperno (a cura di), Arcavacata, Centro Editoriale UNICAL, 2001, p. 18. 105. Keywords: planteario di Cosenza, pianeta, de motibus corporis coelestium iuxta principia peripatetica sine eccentricis set epicyclis – motti de’ corpori celesti giusta i principi peripatetici senza eccentrici ma con epicicli”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Amico” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51791085483/in/dateposted-public/

 

Grice ed Amidei – il leviatano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Peccioli). Filosofo. Grice: “I like Amidei; he knew Beccaria well, and thinks, with H. L. A. Hart, that debtors should not necessariliy go to jail, to which Beccaria famously responded: ‘depends on what you mean by necessarily should’” --  Cosimo Amidei (Peccioli), filosofo. Frontespizio del Discorso filosofico-politico sopra la carcere de' debitori di Cosimo Amidei, ed. Harlem (Paris), 1771. Non si sa quasi nulla sulla biografia di Cosimo Amidei. Figlio del dotore in giurisprudenza Domenico Amidei di Peccioli (Pisa), si laureò in Giurisprudenza all'Pisa probabilmente nel 1746. Per le modeste condizioni della famiglia nel 1739 aveva chiesto di essere ammesso al Collegio di Sapienza, e aveva ottenuto un posto gratuito il 1º novembre 1741,. Stando ad una lettera di Alessandro Verri al fratello Pietro, Amidei era un magistrato fiorentino, "notaro criminale".  Fra le poche cose certe vi è quella che conobbe personalmente Cesare Beccaria, di cui era un ammiratore e con cui fu in corrispondenza fin dal 1766. Altre opere: “Discorso filosofico-politico sopra la carcere de debitori”; "La Chiesa, e la Repubblica dentro i loro limiti. Concordia discors” -- dell'origine della potestà ecclesiastica -- degli oggetti sopra de' quali si reggira la postestà ecclesiastica -- dell'origine della potestà politica -- del sovrano -- delle conseguenze -- delle cause della forza della potestà ecclesiastica ne' governi temporali. de' limiti del sovrano o potestà politica -- dell'immunità, privilegj ed esenzioni de' beni ecclesiastici -- de' priviolegij ed esenzione personali degli ecclesiastici -- dell'asilo -- del matrimonio -- del celibato -- delle professioni religiose -- del giuramento -- de' benefizj ecclesiastici -- della scomunica -- della proibizione de' libri -- della religione, e della politica. “De' mezzi per diminuire i mendichi.” L'Amidei è noto soprattutto quale autore del "Discorso filosofico-politico sopra la carcere de' debitori" (1770). Ispirata direttamente dal paragrafo XXXIV del "Dei delitti e delle pene" del Beccaria, l'opera è considerata una delle più importanti espressioni del riformismo e dell'umanitarismo settecentesco. L'opuscolo ebbe immediatamente successo: fu recensito con favore dalle "Novelle letterarie" di Firenze, e dal "Journal encyclopédique"; l'anno seguente ebbe una seconda edizione, con osservazioni di Giambattista Vasco, uscita a Milano presso lo stampatore Galeazzi, e ancora una edizione in testo bilingue italianofrancese. Il testo di Amidei influì certamente sulla riforma leopoldina del 1776, che, per merito del ministro Francesco Maria Gianni, abolì la carcerazione per debiti (ma occorre ricordare come un'analoga riforma venisse promulgata anche in Russia). Nella concezione relativistica delle leggi e nella critica alla legislazione romana dell'illuminismo giuridico-politico toscano di quegli anni, l'opera di Amidei si arricchisce di spunti egualitari rousseauiani (rarissimi ancora nel pensiero illuministico toscano) dai quali Amidei ottiene la giustificazione teorica per l'abolizione della pena detentiva dei debitori. Una nuova edizione dell'opera, apparsa in Firenze nel 1783, è una prova dell'esistenza in vita di Cosimo Amidei nel 1783; dopo di allora, infatti, non si hanno più notizie biografiche certe su di lui.  La Chiesa e la Repubblica dentro i loro limiti All'Amidei è attribuita anche un'opera edita poco prima il Discorso sopra la carcere de' debitori, "La Chiesa e la Repubblica dentro i loro limiti". L'opera, pubblicata anonima nel 1768, è stata attribuita a Cosimo Amidei a partire dal 1770, anno di pubblicazione del Discorso filosofico-politico sopra la carcere de debitori. Finora mancano però elementi sicuri per confermare tale attribuzione, attestata solo da alcuni cataloghi di biblioteche e di cui non v'è notizia neppure nel "Dizionario di opere anonime e pseudonime" di Gaetano Melzi. L'opera uscì anonima e senza indicazione del luogo dell'edizione; dovrebbe trattarsi di Pavia o di Firenze. Molti contemporanei ritennero che fosse Napoli, identificando probabilmente l'edizione originale con una edizione ampliata, con falsa indicazione di luogo Amsterdam, sequestrata presso lo stampatore Campo di Napoli; si tratterebbe in realtà di una ristampa contraffatta dello scritto apparsa nella città partenopea prima che fosse posta in vendita l'edizione proveniente da Firenze, e che venne sequestrata per la "sediziosa proposizione" dell'origine popolare della sovranità. Al suo apparire, infatti, per alcuni spunti contrattualistici rousseauiani, l'opera richiamò l'attenzione dell'autorità laica ed ecclesiastica e le vicissitudini di cui fu oggetto sono ritenute importanti per ricostruire la fortuna di Jean-Jacques Rousseau in Italia. A Roma, autore dell'opera fu ritenuto il Beccaria, e nel clima di irrigidimento contro le correnti giurisdizionalistiche e illuministiche che caratterizzò gli ultimi anni di pontificato di Clemente XIII, essa fu posta all'Indice nel 1769.  De' mezzi per diminuire i mendichi Anche quest'opera, pubblicata anonima nel 1771 senza indicazione di luogo, ma probabilmente a Firenze, è solo attribuita a Cosimo Amidei; ma l'attribuzione risale già ai contemporanei,. L'autore sostiene, in base a una concezione fisiocratica, che il grave problema possa essere risolto solo per mezzo di una riforma fiscale.  Note  Società storica pisana, Bollettino storico pisano 1965300.  Società storica pisana, Bollettino storico pisano 1932517.  Carteggio di Pietro e Alessandro Verri. F. Nevati ed E. Greppi, III (agosto 1769settembre 1770) Milano 1911,  194-195  C. Beccaria, Scritti e lettere inediti, E. Landry, Milano 1910289. Landry segnala quattro lettere dell'Amidei al Beccaria, in Biblioteca Ambrosiana, Milano. Beccaria, B. 231).  Frontespizio di Scritti e lettere inediti del 1910  Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, F. Nevati ed E. Greppi, III (agosto 1769settembre 1770) Milano 1911210  Novelle letterarie, 16 febbr. 1770, n. 7, coll. 103 s.  Journal encyclopédique, 1º giugno 1770314  "Discorso filosofico-politico sopra la carcere de' debitori", Harlem, et se vend a Paris: chez Molini libraire rue de la Harpe, vis-a-vis la rue de la Parcheminerie, 1771.  F. Venturi, Settecento riformatore, 2. , Torino, Einaudi, 1976237-249  Archivo General de Símancas, Estado Legajo 6102, lettera di Bernardo Tanucci al marchese Domenico Grimaldi Portici 13 dicembre 1768, f. 157 v. Savio, "Dottrina ed azione dei giurisdizionalisti del sec. XVIII", in Arch. Veneto, s. 5, LXII (1958),  12 n. 2, 31 ss.  vedi lettera citata del Tanucci al Grimaldi  Marco Lastri, Bibliotheca georgica, ossia Catalogo ragionato degli scrittori di agricoltura, veterinaria, agrimensura, meteorologia, economia pubblica, caccia, pesca ecc. spettanti all'Italia, Firenze, 178745  Carteggio di Pietro e Alessandro Verri. F. Nevati ed E. Greppi, III 17661797, Milano 1911.  M. Rosa, AMIDEI, Cosimo, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Cosimo Amidei Collabora a Wikiquote Citazionio su Cosimo Amidei Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Cosimo Amidei  Opere di Cosimo Amidei, su Liber Liber.  Opere di Cosimo Amidei, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.  V D M Illuministi italiani Filosofia Categorie: Giuristi italiani del XVIII secoloFilosofi italiani ProfessorePeccioli FirenzeIlluministiAmidei. AMUCO: not found.  AMIDEI, Cosimo. - Magistrato fiorentino, "notaro criminale", stando ad una lettera di Alessandro Verri al fratello Pietro; dati biografici di lui sono pressoché inesistenti, allo stato attuale della ricerca, se si esclude la notizia di suoi rapporti con il Beccaria (che l'A. conobbe personalmente e del quale fu ammiratore), desumibile da un gruppo di lettere dell'A., del 1766-68, e qualche rapido cenno nella ricordata corrispondenza dei Veri.  L'A. è noto quale autore del Discorso filosofico-politico sopra la carcere de' debitori, s. l. [ma Modena] 1770, che, ispirato direttamente dal paragrafo XXXIV del Dei delitti e delle pene, fu recensito con favore dalle Novelle letterarie di Firenze, 16 febbr. 1770, n. 7, coll. 103 s., e dal Journal encyclopédique, 1 giugno 1770, p. 314.  L'opuscolo è un'interessante espressione del riformismo e dell'umanitarismo settecentesco: esso nella concezione relativistica delle leggi e nella critica alla legislazione romana (partecipe in questo del diffuso antiromanesimo del tempo) si arricchisce di spunti egualitari rousseauiani, rarissimi ancora nel pensiero giuridico-politico toscano di quegli anni, ed anzi proprio dal pensiero di Rousseau ricava la giustificazione teorica per l'abolizione della pena detentiva dei debitori (pp. 22-23 dell'ediz. del 1783).  Non sfuggi ai contemporanei questo contenuto sociale dello scritto di là dall'aspetto giuridico della questione tanto che "persona illuminata" venne richiesta di note al Discorso dell'Amidei. Apparve cosi, presso lo stampatore Galeazzi di Milano, una seconda edizione dell'opuscolo, con osservazioni di Giambattista Vasco che ripropose le sue già note concezioni economico-sociali: Discorso filosofico-politico sopra la carcere de' debitori accresciuto di note critiche dall'autore de' Contadini, s. n. t. (cfr. recensione in Europa letteraria, I, 1, 1 sett. 1770, p. 101).  L'anno seguente esso fu edito ancora in testo bilingue, italiano e francese, Harlem et Paris 1771; ed influi certamente sulla riforma leopoldina del 1776, che, per merito del ministro Gianni, abolì la carcerazione per debiti (ma sarà da ricordare qui come anche in Russia venisse promulgata un'analoga riforma).  Nel 1783 a Firenze lo stesso A. curò una nuova edizione dell'opuscolo, con aggiunte riguardanti "un nuovo progetto di riforma della Legislazione":l'esigenza di riforma nel campo della procedura penale si articola in un discorso più ampio, di carattere amministrativo ed economico-sociale (sul diritto di proprietà). Nelle critiche rivolte ai già aboliti sistemi dell'Abbondanza e della Grascia, e nella polemica contro le primogeniture e i fidecommessi, già colpiti dalla legge del 1747, dei quali viene reclamata la totale soppressione, è introdotto ancora, a difesa di un libero sistema di economia, il motivo umanitario-egualitario che informa tutto lo scritto (v. partic. p. 58). Il Giornale enciclopedico di Milano, 1783, t IV, parte letter., 24 Ott., n. 17, p. 138, sottolineò il significato dell'opera dell'A., che resta a conferma dell'eco profonda, in Italia e in Europa, di uno degli aspetti del pensiero del Beccaria.  All'A. è attribuita un'opera di poco precedente il Discorso, La Chiesa e la Repubblica dentro i loro limiti, s. l. [ma Firenze] 1768; 2 ediz. ampliata, Amsterdam [Firenze?] 1783. Finora mancano però dementi sicuri per confermare una tale attribuzione, attestata solo da alcuni cataloghi di biblioteche (e di cui non v'è notizia neppure nel Melzi, Diz. di opere anonime e pseudonime).  L'opera, particolarmente importante nell'ambito della pubblicistica giurisdizionalistica del tempo (cfr. Passerin), contiene chiari spunti contrattualistici rousseauiani, che l'autore non sviluppa però in senso antiassolutistico: l'interesse è proiettato invece sui "diritti della Sovranità [che] non si perdono per il non uso, per essere originalmente ne' Popoli", sui diritti dei principi circa sacra e sui limiti che la potestà civile può e deve porre ai privilegi, alle immunità e alle esenzioni della potestà ecclesiastica. Ma gli spunti rousseauiani, pur moderati ed elaborati - e talvolta avversari, come nelle pagine riguardanti il rafforzamento del vincolo sociale operato dal cristianesimo, pp. 135, 151-152 - emergono evidenti, tra l'altro, laddove si discute dei limiti al potere assoluto e si giustifica, in nome dell'uguaglianza fra I sudditi, l'operato del duca di Parma contro Roma (pp. 51-56), e soprattutto laddove si polemizza contro il sistema dei concordati tra autorità statale e S. Sede (pp. 71-80) e contro il diritto di asilo ecclesiastico (pp. 80-86). Un breve cenno, infine, al problema della tolleranza religiosa non ha gran rilievo nell'insieme delle argomentazioni, legate in gran parte, nonostante le suggestioni del nuovo pensiero di cui si èdetto, a orientamenti tradizionali. La seconda edizione accentua, in alcuni nuovi capitoli, la polemica circa il carattere civile, del contratto matrimoniale e quella contro gli ordini monastici.  Al suo apparire l'opera richiamò, per gli spunti rousseauiani, l'attenzione dell'autorità laica ed ecclesiastica e le vicende di cui fu oggetto costituiscono una pagina notevole della fortuna di Rousseau in Italia. A Napoli, per la "sediziosa proposizione" dell'origine popolare della sovranità (cfr. lettera dì B. Tanucci) venne sequestrata presso lo stampatore D. Campo una ristampa clandestina dello scritto (proveniente da Firenze) prima che fosse posta in vendita (11 dic. 1768); a Roma fu ritenuto autore dell'opera il Beccaria e nel clima di massimo irrigidimento contro le correnti giurisdizionalistiche e illuministiche, che caratterizzò gli ultimi anni di pontificato di Clemente XIII, essa fu posta all'Indice nel 1769. preoccupazione e la diffidenza per itemi rousseauiani dello scritto vennero ancora espresse, a proposito dell'edizione del 1783, da Scipione de' Ricci in una lettera indirizzata al granduca Pietro Leopoldo (cfr. Passerin).  Fonti e Bibl.: Archivo Generai de Siniancas, Estado Legajo 6102, lettera di B. Tanucci al marchese Grimaldi, Portici 13 dic. 1768, f. 157 v. (indica Firenze come luogo di stampa dell'opera; ma molti contemporanei, cfr. Savio, considerarono napoletana l'ediz. del 1768, identificandola con la ristampa); C. Beccaria, Scritti e lettere inediti, a cura di E. Landry, Milano 1910, p. 289 (segnala quattro lettere dell'A. al Beccaria, in Biblioteca Ambrosiana, Milano, Beccaria, B. 231); Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, a cura di F. Novati e E. Greppi, III (ag. 1769-sett. 1770), Milano 1911, pp. 194-195, 210; Fr. H. Reusch, Der Index der verbotenen Biicher, II, Bonn 1885, p. 934; E. Passerin, La politica dei giansenisti in Italia nell'ultimo Settecento, in Quaderni di cultura e storia sociale III (1954), pp. 269-270; F. Venturi, G. Vasco in Lombardia, in Atti d. Ace. d. Scienze di Torino, classe di scienze mor. stor. e filol., XCI (1956-57), pp. 41 ss. e nota; Illuministi italiani, Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, III, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1958, pp. 25 (riporta un passo di lettera dell'A. al Beccaria, da Firenze 6 luglio 1767, riguardante la traduzione del Morellet del Dei delitti e delle pene),1044; P. Savio, Dottrina ed azione dei giurisdizionalisti del sec.XVIII, in Arch. Veneto, s. 5, LXII (1958), pp. 12 n. 2, 31 ss. Cosimo Amidei. Amidei. Keywords: il leviatano; amidei — implicatura sovrana — implicatura intersoggetiva — implicatura sovresoggetiva — implicatura sovre-umana — implicatura sovrepersonale — hobbes — primo disegno — leviatano — carteggio con Verri — carteggio con beccaria (paragrafo XXXIV — la strada verso l’utopia giuridizzionalistica — la chiesa — the high church of england — Gianni abolisce la carcerazione per debiti — tacitoRefs.: Luigi Speranza, “Grice ed Amidei” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790009852/in/dateposted-public/

 

Grice ed Anceschi – senso – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like Anceschi; he plays with the idea of dialogue as a mirror (specchio) of ego and alter or ego and tu – I like that. He is the Italian equivalent of John Holloway, I suppose.” Si laurea sotto Banfi, ricopre l'insegnamento di Estetica nella Facoltà di Lettere e filosofia a Bologna. L'interesse per la letteratura e le arti figurative si accompagnò sempre a quello per la filosofia moderna anti-dommatica. Dopo la pubblicazione della sua tesi di laurea  autonomia naturale, heteronomia artistica. “Autonomia ed eteronomia dell'arte” edita da Sansoni, le sue ricerche sulla figura e il modello letterario antidealistici trovarono voce negli interventi pubblicati su “Orfeo”e su “Corrente di vita giovanile” -- riviste da lui stesso promosse.  Sensibile ai nuovi orientamenti culturali, si schierò a favore dell'ermetismo e della neo-avanguardia, affiancando all'attività di teorico quella di critico militante: pubblicò i Saggi di poetica e poesia. Con una scheda sullo Swedenborg e cura le antologie Lirici nuovi, Linea lombarda. Sei poeti e Lirica del Novecento. Della voce “ermetismo” fu autore nell'Enciclopedia del Novecento. Concentratosi sui modelli culturali dimenticati dal Neoidealismo, si dedica ai temi del Barocco, dando alle stampe Del Barocco e altre prove Barocco e Novecento. Con alcune prospettive metodologiche.  Non abbandona mai gli studi filosofici: “I presupposti storici e teorici dell'estetica kantiana”; “Hume e i presupposti empirici dell'estetica kantiana”; “Burke e l'estetica dell'empirismo inglese”; “Da Bacone a Kant. Saggi di estetica”. In particolare in “Progetto di una sistematica dell’estetica e dell'arte” delinea una teoria estetica intesa come fenomenologia della forma naturale e artistica. Sui principi della fenomenologia critica basò tutte le successive ricerche.  Fonda “Il Verri” di cui fu direttore, mentre diresse per Paravia la collana La tradizione del nuovo e Studi di estetica, che raccoglie i risultati delle ricerche filosofiche che egli condusse insieme con i suoi allievi. Per il suo impegno nel tener vivo il fermento culturale di questi anni, gli sarà assegnata a Mestre la prima edizione del prestigioso premio "Amelia" alla "tavola" di Dino Boscarato. Centrali sono i temi della poetica (“Poetiche del Novecento in Italia”; “Le poetiche del Barocco, 1963) e delle istituzioni letterarie (Le istituzioni della poesia”; “Da Ungaretti a D'Annunzio”, Che cosa è la poesia?”. Altre saggi: “Il caos, il metodo. Primi lineamenti di una nuova estetica fenomenologica”; e Gli specchi della poesia. Riflessione, poesia, critica”. Riceve dai Lincei il Feltrinelli per la Critica letteraria.  Presidente dell'Ente bolognese manifestazioni artistiche, dell'Accademia delle Scienze e dell'Accademia Clementina di Bologna, socio corrispondente dell'Accademia nazionale dei Lincei di Roma, donò la sua biblioteca (circa 30.000 stampati) e il suo archivio personale (oltre 18.000 lettere e migliaia di autografi) al Comune di Bologna; sono attualmente conservati presso la Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio.  Premi Amelia 1965-2005, a cura della "Tavola all'Amelia", prefazione di Sergio Perosa, Venezia-Mestre, 2006,  18-21. Lo stesso anno il premio è assegnato anche "per le arti figurative", a Virgilio Guidi.  Premi Feltrinelli 1950-, su lincei. 17 novembre .  Università degli studi di Bologna, Annuario dell'anno accademico 1995-1996 e 1996-1997, Bologna, Compositori, 1998,  863–865.  Il Verri Giuseppe Pontiggia Salvatore Quasimodo Alessandro Montevecchi  Luciano Anceschi, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Luciano Anceschi, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Luciano Anceschi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Luciano Anceschi, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Opere di Luciano Anceschi, .  Fondo Luciano AnceschiBiblioteca dell'Archiginnasio di Bologna Approfondimento, su ibc.regione.emilia-romagna. 22 marzo 2005 5 maggio 2001). Studi di estetica, su unibo. 18 gennaio  15 gennaio ). V D M Vincitori del Premio Feltrinelli Filosofia Filosofo del XX secoloCritici letterari italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1911 1995 20 febbraio 2 maggio Milano BolognaVincitori del Premio FeltrinelliAccademici dei LinceiAutori del Gruppo 63BibliofiliDirettori di periodici italianiFondatori di riviste italianePremiati con l'Archiginnasio d'oroProfessori dell'Università commerciale Luigi BocconiProfessori dell'BolognaStudenti dell'Università degli Studi di Milano. Sembra proprio che studiare una nozione letteraria voglia dire rendersi conto di ciò che essa ha voluto significare; studiare l'ermetismo vorrà dire vedere come l'ermetismo stesso, in quanto movimento letterario e culturale, ha inteso presentarsi per se stesso nell'attenzione ai motivi di coerenza, ma anche alle interne variazioni e differenze. Qualche considerazione va fatta, per altro, in limine intorno al nome. È noto: l'uso della nozione di ermetismo è frequente nel discorso della cultura per indicare quei movimenti, quelle manifestazioni, quelle situazioni del pensiero e della letteratura, in cui maniere oscure, ardue, chiuse e di comunicazione non diretta esigono, per esser partecipate, e anche solo intese, il possesso di una chiave che pochi sono in grado di adoperare. Il termine ha un'origine storica abbastanza ben definita e che istituisce subito il destino dei suoi significati. Dal nome di  Ermes Trismegisto si disse ‛ermetica' una dottrina di tarda età ellenistica in cui motivi oscuramente mistici di sincretismo filosofico-religioso si fusero con ipotesi di fantastica alchimia, in un tessuto linguistico segreto, ricco di allusioni, di difficile partecipazione. Si consideri anche che a Ermes Trismegisto si attribuisce l'aver chiuso (si disse, appunto, ‛ermeticamente') un'ampolla di vetro mediante la fusione dei bordi delle aperture. Oscurità, chiusura, tono di rivelazione sacra, un insieme di difficili connessioni tra mistica e alchimia, una presentazione immaginosa e immediata di oggetti intellettuali e riflessivi: ecco alcuni caratteri degli scrittori che per primi furono detti ‛ermetici'; ed ermetici, poi, vennero chiamati talora quei movimenti di pensiero occulti, misteriosofici, iniziatici, che spesso si posero in antitesi al pensiero dominante nel secolo, che costituiscono una ormai ben definibile tradizione secolare, continua, e che talora affiorano nella cultura essoterica con singolari sollecitazioni e insorgenze. Con intenzioni inizialmente screditanti, ma il nome venne poi accettato da molti scrittori, ermetismo si disse anche una tendenza della letteratura italiana tra le due guerre, che, venuta dopo l'esperienza dei crepuscolari e gli esperimenti dei futuristi, si distinse nettamente dal rondismo, come corrente dell'ultimo gusto neoclassico, e da ogni genere di ritornante realismo; ed è ciò di cui qui dobbiamo parlare. Ci sono opinioni molto diverse su questo movimento. C'è chi, in una ben definita prospettiva letteraria militante, vede in esso il momento più alto della poesia e del pensiero poetico del secolo nel nostro paese; e c'è chi, movendo da un particolare orizzonte sistematico, accusa la ricerca ermetica di ‛perdita della immediatezza' fino a vedervi intellettualismo e, al limite, una distrazione di giochi verbali; c'è anche chi, secondo un'ispirazione fortemente ideologica, vede in essa un pericoloso e condannabile momento di evasione rispetto al dovere della partecipazione e dell'impegno. Solo un'indagine diretta e particolare potrà definire  il diritto e il torto di considerazioni come queste; e, tuttavia, è difficile disconoscere che si trattò di un movimento influente, complesso, articolato in diverse disposizioni dottrinali e di poetica, con varie stratificazioni di momenti interni secondo una tradizione breve e intensa. Il movimento ebbe vita difficile negli anni in cui si manifestò, trovò una sua forza contro molti oppositori e reali resistenze, giunse fino ad operare sul costume e a cadere in un nuovo Kitsch, si dissolse alla fine della  seconda guerra mondiale, ma lasciò un'impronta viva, e anche un impulso nella cultura della poesia e della critica che, da un lato, è continuato per anni nel lavoro degli epigoni, e che, dall'altro, ha condizionato indubbiamente i modi in cui si manifestarono i movimenti che seguirono. Quanto alle strutture della poesia, forse è riduttivo il considerare l'ermetismo solo come una tendenza della letteratura italiana contemporanea, che, riallacciandosi alle correnti simboliste non soltanto francesi, anzi europee, intende la poesia come esercizio assoluto di linguaggio che in tanto vale in quanto riesce a esprimere l'intuizione lirica nella sua originaria purezza, escluso l'intervento di preoccupazioni didattiche, moralistiche, dottrinali e speculative in una volontà attentamente coltivata e resolutamente diretta al risalto di momenti di intensità e di innocenza; ma è anche riduttivo parlare dell'ermetismo solo come dell'espressione di una rivolta in cui si concreta l'appello orfico-cristiano, religioso, metafisico, negatore della storia, di una storia che si appiattisce di fronte all'assoluto, libero dalle strutture rettoriche, e inteso a propositi soprattutto di rinnovazione radicale dell'uomo. Ritorneremo su queste differenze di pronunzia e sul loro significato; ma, a questo punto, occorrerà ormai rendersi conto e giustificare l'uso della nozione di ermetismo nel contesto della situazione letteraria italiana tra le due guerre e nella individuazione del significato interno del movimento. L'ermetismo va considerato come un movimento europeo o italiano, o puramente ‛fiorentino'? Certo, ci furono aspetti, e li considereremo, della poesia e della poetica d' Europa che si potrebbero dire ermetici o che hanno avuto rapporti con ciò che diciamo ermetismo, anche tali che senza di essi l'ermetismo non sarebbe stato possibile. Uno dei connotati dell'ermetismo è certo quello di aver tenuto aperti i rapporti - se pure in modo limitato secondo una lettura pregiudicata - con l'Europa in tempi difficili; ma una situazione, un movimento di cultura che si siano collocati sotto quel nome si ebbero solo in Italia; trovarono caratteri particolari e individuati; determinarono una singolare, e un poco astratta, cultura della poesia per certi aspetti di rara intensità e inquietudine. Il tentativo di ridurre il movimento solo al gruppo dei ‛fiorentini' dà nel sofistico, o nel riduttivo; non è certo facile tagliar con il coltello una situazione tanto compatta quanto varia; molti fatti si diedero contemporaneamente nella convergenza di letture e di interessi comuni; il ‛gruppo fiorentino' fu certo autonomo per suoi caratteri, ma nella misura in cui portò certi motivi di una generazione nuova in un contesto comune. In realtà, nella prima generazione ermetica in Italia la prima voce fu quella di  Giuseppe Ungaretti. Anceschi. Anceschi. Keywords: senso, ermetismo ed implicatura, grado d’ermetismo dell’implicatura, l’impossibilita dell’implicatura ermetica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Anceschi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51711981920/in/photolist-2mUvE1t-2mU8kpn-2mQiU3r-2mMR3uj-2mMBqBb-2mJLMNt-E4u3XA/

 

Grice ed Andrea – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ravello). Filosofo. Grice: “I like Andrea, in more than one way!  Andrea made me realise how naïve Russell is with his ‘logical atomism;’ back in Naples, the Accademia degli Investiganti took thing really seriously. D’Andrea, a lawyer, like Hart, -- his claim to fmae is having written an ‘apologia in difesa,’ which I would abbreviate as just ‘in difesa’ of atomism – but my favourite is his unpublication, “Degl’atomi e degl’atomisti”!” Grice: “In Naples, unlike Oxford – cf. Locke and Boyle – it was understood that if you are an atomist you are, therefore, a libertine!” --  Da una ricca famiglia, studia a Napoli. Funzionario del viceré, il duca d'Arcos, a Chieti nel giustizierato dell'Abruzzo citeriore.  Frequenta villa Colonna, dove si illustrano i fondamenti dell’atomismo. Fondatore del salotto degl’InVESTIGanti alla sua villa Iambrenghi a Candela. Difende strenuamente l’atomismo nella “Apologia in difesa degl’atomisti” e nella “Risposta a favore di Capoa”. Avvocato primario del Regno di Napoli, viaggia e partecipa alla vita intellettuale e agli studi in molti salotti filosofici italiani. Cortese, I ricordi di un filosofo napoletano del Seicento, Napoli, L. Lubrano e C., Dogana della mena delle pecore in Puglia Regno di Napoli. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Accademia della Crusca. Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze (home page), pubblicata sotto licenza il rinnovamento culturale del Seicento a Napoli (in occasione del rinvenimento di un manoscritto sconosciuto degli "Avvertimenti ai nipoti") di Stefano Capone, sito della Biblioteca di Foggia, Salottieri. Nacque a Ravello (presso Amalfi), dove la madre si era ritirata in seguito a difficoltà economiche, il 24 febbr. 1625 da Diego, avvocato in Napoli, di buoni natali ma d'incerta fortuna, e da Lucrezia Coppola, del seggio nobile di Montagna. L'infanzia non fu felice, per le "gravissime ristrettezze" della famiglia (Avvertimenti ai nipoti, p. 60), né soddisfacenti gli studi, cui venne avviato fin troppo precocemente. Compiuti sette anni, infatti, fu condotto a Napoli per apprendere la grammatica; a nove fu collocato presso la scuola oratoriana dei gerolamini, ma già ad undici frequentava lezioni di legge, addottorandosi poi nel marzo 1641, appena entrato nel diciassettesimo anno di età.  Egli stesso doveva sottolineare più tardi, nei suoi celebri Avvertimenti, i gravilimiti di quell'affrettata educazione. Nello scritto - che è insieme una sorta di testamento, una autobiografia e il richiamo a un modello di cultura e di comportamenti valido per tutto il ceto forense - ripercorreva le tappe della sua formazione, descrivendola come un lineare progresso dalla "grossa ignoranza", cui sembrava condannarlo l'arretratezza dell'insegnamento e delle professioni giuridiche alle quali il padre l'aveva avviato, verso l'incontro con le correnti di pensiero europee, la conquista delle nuove scienze e una concezione elevata del ruolo dei giuristi nella società. In questo itinerario intellettuale e civile, ben più dei suoi "direttori", di cui lamentava anzi il "mancamento", avevano inciso altre esperienze, personali o comunque estranee ai percorsi tradizionali. Per primo il rapporto con Giovanni Andrea Di Paolo, il solo in città capace d'illustrare le dottrine giuridiche con gli strumenti filologici e sistematici della scuola culta (ibid., pp.86 s.); poi l'impegno, durato oltre un anno dopo la laurea, per "studiar le materie continue e pei loro principi", abbandonando l'impostazione praticistica dominante, che riduceva la giurisprudenza ad un mero esercizio mnemonico o alla lettura disordinata dei decisionisti (ibid., p. 116).  Completata così autonomamente la propria preparazione, cominciò a seguire il padre nel foro e presentò di lì a poco due allegazioni, l'una per la principessa di Casalmaggiore, l'altra per il principe di Pietraelcina, che gli procurarono una certa notorietà ed alle quali rivendicava il merito di aver introdotto nei tribunali napoletani "il nome di Cujacio e degli altri eruditi", insieme con "l'uso di disputare gli articoli secondo i veri principi della giurisprudenza" (ibid., p. 118).  Frattanto a Napoli, avvicinandosi la metà del secolo, con i profondi sconvolgimenti sociali e politici che la segnarono, si definivano le linee di un'iniziativa culturale, promossa da ambienti diversi, sia umanistici, sia tecnico-scientifici, che non restò senza conseguenze sul pensiero civile, né trovò indifferenti, o soltanto passivi, i giuristi e i forensi. Ministri e scrittori di cose legali se ne fecero anzi protagonisti, cogliendovi con prontezza gli elementi di novità che potevano dare consistenza e respiro a un discorso critico sul Mezzogiorno spagnolo.  Di tali sviluppi il D. fu testimone attento, interprete informatissimo, in breve tempo autorevole sostenitore. Grazie ai consigli di Ottavio Di Felice, "un vecchio assai erudito e molto affezionato della nostra casa" (ibid.,p. 119),colmò le proprie lacune nella conoscenza delle "buone lettere"; ammesso poi a frequentare l'accademia di Camillo Colonna, dove s'illustrava una nuova filosofia "non gran fatto molto dissimile da quella che oggi chiamano atomista", vi apprese a respingere il conformismo della dominante cultura ecclesiastica ed il tenace scolasticismo che la caratterizzava (ibid., pp. 120 s.). Fu l'incontro più fertile della sua giovinezza ed egli stesso ne ribadì spesso il rapporto di continuità con le successive esperienze. Le discussioni di casa Colonna costituirono, infatti, il segnale d'avvio di un rinnovamento intellettuale a Napoli, presto dispiegatosi con l'arrivo da Roma di Tommaso Cornelio e l'azione intrapresa da talune accademie, che spostarono energicamente l'accento dai temi letterari o eruditi a quelli scientifici e sperimentali.  Superato, con la guida di Camillo Colonna, il limite di una scarsa dimestichezza con l'arte retorica, tenne intanto con unanime applauso un solenne discorso nella Congregazione degli avvocati di S. Ivone, istituita dai teatini ai SS. Apostoli, e poco dopo, il 10 giugno 1646,la difese in Collaterale, alla presenza del viceré duca d'Arcos, contro la pretesa dei gesuiti di fondarne una nuova. Con questa arringa (Pro Congregatione Sancti Ivonis, edita dal Comparato) egli guadagnò la causa e il favore del viceré, che lo nominò ad interim fiscale di Chieti, dove si recò alla fine dello stesso anno.  Il periodo trascorso in Abruzzo, mentre a Napoli e in tutto il Regno avevano luogo gravi sommosse, dette luogo a dicerie malevole sul suo conto, che lo tormentarono per tutta la vita. Un tardo episodio del febbraio 1682, quando il principe Antonio di Sangro l'oltraggiò in pieno tribunale con l'epiteto di "Masaniello", provocando persino un duello tra il proprio campione, Cesare Mormile, e un nipote del D., Antonio della Marra, lo indusse a scrivere una lunga Relazione de' servizii fatti... nella provincia di Abbruzzo Citra(s.n. t., ma Napoli 1682), per replicare alle insinuazioni di aver parteggiato allora per i popolari e per rivendicare invece il proprio lealismo alle istituzioni regie, sola garanzia di stabilità e di arbitraggio tra i ceti, e gli atti compiuti a difesa dell'ordine sociale e giuridico esistente, ivi compreso quello feudale, che era parte integrante della realtà politica dello Stato.  Tuttavia le "seconde rivoluzioni", che portarono a Napoli alla proclamazione della repubblica nell'ottobre 1647 ed impressero al moto un carattere indipendentistico in un quadro politico più complesso e convulso, lo posero ai margini del conflitto abruzzese, sicché dopo due mesi trascorsi nel convento degli scolopi di Chieti, dove ebbe modo di leggere Cicerone e Campanella, pervenuta infine l'attesa nomina del nuovo fiscale e concluso l'affitto dell'arrendamento del sale nell'estate 1648,partì nel settembre per Napoli, che raggiunse in novembre, dopo un breve passaggio da Roma.  Qui non solo riprese l'esercizio dell'avvocatura, con crescente successo di prestigio e di entrate, ma si adoperò soprattutto per un rinnovamento scientifico e culturale, di cui non a torto il Giannone lo considerò protagonista e promotore principale (Istoria civile, lib. XXXVII, cap. 5; e lib. XXXVIII, cap. 4).Egli stesso sottolineò in seguito efficacemente, in una pagina giustamente famosa (Avvertimenti, pp. 124 s.), il significato della svolta verificatasi a Napoli allora; l'importanza centrale ch'ebbe la diffusione delle opere di Cartesio; il ruolo essenziale di Tommaso Cornelio nel porre gli studiosi napoletani a contatto con il pensiero europeo; l'ostilità che le nuove dottrine incontravano presso i circoli tradizionalisti e la protezione ad esse accordata da taluni aristocratici; infine il proposito che animava i moderni di modificare l'assetto delle professioni, in particolare giuridiche, attraverso un confronto più intenso con le varie scienze.  Il momento era favorevole ad un'iniziativa dei gruppi intellettuali. L'opera di restaurazione, condotta dal viceré di Oñate secondo un disegno assolutistico volto a consolidare l'autorità delle istituzioni regie, prospettava un rinnovato compromesso tra monarchia e ceti privilegiati, deprimeva le aspirazioni della nobiltà più riottosa, maturate nei trascorsi disordini, offriva spazi nuovi e maggiori di presenza politica e di affermazione sociale ai forensi ed ai magistrati. Il D. affiancò prontamente l'azione del viceré e dalla sua paterna cura per il "ristoramento" degli studi ottenne un avanzamento universitario per Gian Camillo Cacace e l'attribuzione a Tommaso Cornelio, nel 1653, della cattedra ripristinata di matematica. Nel frattempo svolgeva una parte considerevole nella breve rinascita degli Oziosi, tra i quali recitò diverse orazioni, in particolare a favore della "novella maniera di filosofare" e per un rapporto più stretto della giurisprudenza con "tutte le altre scienze" (ibid.,p. 125).  La grande peste del 1656, lacerando drammaticamente la vita della città, pose fine d'un colpo agli esperimenti e alle iniziative che si conducevano a Napoli e che vennero poi ripresi, dopo il flagello, con lentezza e difficoltà. Rientrandovi dopo il periodo del "contagio", trascorso nei feudi del principe di Cassano, il D. dovette rinunciare per qualche tempo agli ambiziosi progetti di politica culturale, cui ritornò solo dopo alcuni anni impiegati nell'esercizio dell'attività forense per una clientela sempre più consistente ed altolocata. Si pose infatti in primo piano nelle vicende intellettuali della capitale a partire dal 1663, quando con numerosi scienziati, medici, filosofi, come Tommaso Cornelio, Lucantonio Porzio, Leonardo Di Capua, Giovanni Caramuel e molti altri, dette vita, al primo nucleo degli Investiganti, che prese a riunirsi in casa di Andrea Concublet, marchese di Arena.  Gli orientamenti dell'Accademia sono noti, così come la molteplicità ed eterogeneità dei motivi che vi si agitavano: dal probabilismo allo sperimentalismo, allo storicismo. Altrettanto celebre è l'episodio che ne riassunse simbolicamente il programma e gli inizi: la visita compiuta nell'ottobre 1664, sotto la guida del D., da oltre cinquanta accademici, tra cui numerosi nobili e prelati di rango, al cratere di Agnano, per controllare la fondatezza degli antichi miti, raccogliere materiali da sottoporre all'indagine chimica, far esperimento diretto delle caratteristiche naturali del sito. Tra gli Investiganti il D. ebbe infatti un ruolo cospicuo. Preziosa cerniera tra i novatori e il mecenatismo di una parte almeno della maggiore aristocrazia, non pose nulla in istampa direttamente legato a quell'esperienza, ma di alcune opere fu consigliere ascoltato, di altre fu promotore o dedicatario, intervenne infine sui temi che si dibattevano non soltanto come suggeritore o patrono di opere e di iniziative, o come veicolo d'idee, d'interessi e di libri. Agli argomenti centrali del nuovo sapere - l'atomismo, le leggi del moto, il rapporto tra elementi fisici ed "incorporei" e, sullo sfondo, tra metafisica ed esperienza - dedicò in vecchiaia alcuni lavori, quando l'Accademia era da tempo ormai spenta, ma non cessate le dispute da essa animate, né l'eco che avevano suscitato negli ambienti napoletani, messi in fermento dalle energiche controffensive dei gruppi conservatori.  Nei manoscritti filosofici del D. - affidati, come altre sue opere, a una tradizione testuale non sempre chiarita - possono riconoscersi oggi tre lavori distinti. Il primo è un'Apologiain difesa degli atomisti (Napoli, Bibl. Oratoriana dei gerolamini, ms. XXVIII.4.1; esemplare mutilo con correz. autografe), databile al 1685 e prodotto perciò in un periodo difficile nella biografia dell'autore e in una fase particolarmente vivace della dialettica politica e culturale napoletana. Il secondo, la Risposta a favore del sig. Lionardo di Capoa contro le lettere apologetiche del p. De Benedictis gesuita, tradizionalmente assegnato al 1697, ma elaborato a partire dal 1695, risale anch'esso a un momento cruciale, coincidente con la disputa sul S. Uffizio e la conclusione del processo contro gli "ateisti" (l'esemplare migliore è quello della Bibl. naz. di Napoli, ms. I D 4, alle cui cc. 286-317 corrisponde il frammento autografo della Bibl. Oratoriana dei gerolamini, ms. XXVIII.4.1; da segnalare anche la copia della Bibl. Angelica di Roma, ms. 1340, fatta eseguire per il card. Passionei dal pronipote del D., Giulio Cesare, nel 1752). Vi è inoltre una seconda stesura della Risposta, preparata tra il 1697 e il 1698 (se ne conoscono due diverse redazioni: Napoli, Bibl. naz., ms. IX A 66; e ms. Brancacc. I C 8).  Scritti di replica o di polemica contro il profilarsi, in momenti di acuto conflitto, anche politico, di una rivincita della cultura "dei chiostri" sulle istanze del sapere moderno, le opere del D. non disegnavano un compiuto sistema, né seguivano fonti univoche d'ispirazione. Adombravano una sorta di filosofia del particolare e del concreto, che si nutriva di salde radici umanistiche e galileiane, proprie della tradizione napoletana, innestandovi gli insegnamenti di Cartesio e Gassendi, talvolta di Spinoza e di altri ancora, secondo un'impostazione che può apparire eclettica o incline al frammento, ma che rispondeva piuttosto al proposito di rivendicare il lascito trasmesso dai novatori al pensiero meridionale, il segno da loro impresso sulla vita morale e civile attraverso lo sforzo d'iscriverla nei circuiti del "secolo della filosofia", di aprirla, nel modo più largo possibile, al movimento intellettuale europeo, d'includere infine nel suo orizzonte i numerosi motivi che lo percorrevano, cogliendone i nodi essenziali e gli aspetti capaci di stimolare più fresche energie. Perciò, guidate dalla consapevolezza dei vasti riflessi della battaglia teorica in corso, esse riaffermavano, contro il dogmatismo ed il verbalismo scolastico imperversante, il metodo sperimentale, l'intuizione della materia e l'ipotesi atomistica, l'indagine storica come criterio di verifica delle autorità.  Comunque l'impresa cui il D. dovette maggiormente la sua fama di studioso e il successo presso le corti di Napoli e di Madrid furono le scritture composte nel 1667 e nel 1676 per respingere le pretese di Luigi XIV alla successione spagnola e contestare le tesi della pubblicistica che lo sosteneva.  Sin dal 1663 il re di Francia aveva reclamato i Paesi Bassi alla moglie Maria Teresa in base al diritto di devoluzione. La contesa si era infiammata via via tanto sul piano politico-diplomatico quanto su quello giuridico e dottrinale. I rapporti tra le corone si avviavano a rottura aperta quando, sul finire del 1666, il vicerè Pietro d'Aragona incaricò il D. di controbattere gli argomenti francesi. Il 28 febbr. 1667 questi sottoscrisse solennemente, alla presenza del viceré una Dissertatio de successione Ducatus Brabantiae (copia a Napoli, Bibl. oratoriana dei gerolamini, ms. XXVIII. 3. 16), che venne subito inviata a Madrid. Tuttavia l'incalzare degli avvenimenti, con l'invasione francese delle Fiandre, seguita nel maggio, e il moltiplicarsi di trattati e libelli per il Re Sole, assieme al ruolo ufficioso rivestito nella polemica, imposero al D. di ritornare sulla materia, sicché nell'estate scrisse febbrilmente una nuova Risposta al Trattato delle ragioni della Regina Christianissima sopra il Ducato di Brabante, con altri Stati della Fiandra (Napoli 1667), che traeva spunto da un Traité anonimo, ma di carattere ufficiale, comparso a Parigi nel maggio dello stesso anno. La medesima Risposta, ritoccata, venne poi ristampata a Napoli con un Discorso e un Discorso aggiunto, di argomento storico-erudito, una appendice contenente la Copia di una lettera... nella quale si dà giudizio della Dichiarazione... del Re Christianissimo, redatta su incarico del viceré de los Velez come replica al manifesto di Luigi XIV per la guerra di Messina e già circolante sotto la data di Roma, 28 genn. 1676, e con altre due lettere di minore interesse (il libro cominciò a stamparsi nell'aprile 1676 e fu diffuso nel marzo 1677, come risulta dalla corrispondenza da Napoli di D. Ronchi; Roma, Arch. Doria Pamphili, fasc. 18.89, 18.90 e 18.91).  Strettamente legati all'occasione politica, gli scritti del D. ne seguirono le circostanze e gli svolgimenti, ma segnarono anche un passaggio di grande rilievo nella cultura napoletana del secondo Seicento. Se i due Discorsi, infatti, si avvicinavano in qualche modo al genere dei "bella diplomatica" che impegnava allora la migliore giurisprudenza europea, la Risposta confutava le rivendicazioni francesi in termini ben più avanzati delle consuete dispute avvocatesche, affrontando il tema della successione nel Brabante alla luce di una ricerca storica e di una meditazione sulle dottrine di Grozio, che la conduceva a individuare nel diritto di natura e delle genti le regole proprie al suo carattere giuspubblicistico. In tal modo rompeva l'isolamento del pensiero giuridico meridionale, lo apriva al confronto con le correnti d'Oltralpe, indicava un metodo storico per l'analisi degli ordinamenti e delle istituzioni che consentiva di determinare la natura privatistica o pubblicistica degli istituti, i loro rispettivi confini ed i fondamenti giuridici delle relazioni internazionali.  Non è dunque un caso se con quest'opera maturò nel D. un orientamento non solo giurisprudenziale, ma più largamente civile, fondato, in politica interna, sulla prospettiva di un accordo di governo tra il ceto intellettuale ed i viceré; sul lealismo spagnolo, in politica estera, giacché quell'impero restava, anche nel suo declino e col suo "genio tardo", atto a conservare più che ad innovare un puntello insostituibile per la pace e la stabilità dell'Europa, condizione per ogni sia pur relativa autonomia del Regno meridionale. Con la polemica sulla successione del Brabante prendeva forza, in sostanza, il difficile tentativo, condotto dal D. con cautele e prudenza, di collegare la battaglia culturale dei novatori alla riflessione e all'azione politica. Da allora infatti, nutrita dalla lezione di Machiavelli e dalle dottrine correnti della ragion di Stato, ma con l'aggiunta di un robusto realismo, che ne costituisce il tratto più caratteristico e originale, la sua attenzione si concentrò per circa un ventennio sulla scena internazionale, dove si decideva lo stesso destino del Regno di Napoli. Il rapporto tra gli Stati, la debolezza e l'immobilismo del sistema spagnolo, e di quello meridionale al suo interno, il dinamismo francese, infine l'emergere, da Napoli poco decifrabile, di altre potenze, divennero così l'argomento principale del suo nutrito carteggio col principe Doria, ed insieme lo sfondo di alcuni interventi forensi e di altri suoi scritti giuridico-politici (le une e gli altri editi ora da Mazzacane).  La familiarità col principe risaliva al 1673, quando dall'ottobre all'aprile 1675 il D. soggiornò presso di lui a Genova, Pegli e Torriglia, a conclusione di un periodo di viaggi guidati da curiosità intellettuali, non meno che da motivi di salute. Afflitto da serie crisi di ansietà e di apprensione, manifestatesi sin dal 1668 ed aggravatesi l'anno dopo con la morte del padre, forte di una solida situazione finanziaria, assicuratagli dalla funzione diavvocato primario del Regno, abbandonò la città poco più tardi, mentre precipitava una crisi nei rapporti politici degli intellettuali napoletani. Infatti se alla sua intesa col viceré d'Aragona si dovette l'avanzamento negli uffici del fratello Gennaro nel 1668 e l'incarico a lui, l'anno successivo, di difendere la "piazza" del popolo contro la nobiltà, tra la fine del 1669 e i primi mesi del 1670 il clima parve profondamente mutare, con la chiusura dell'Accademia degli Investiganti e la partenza da Napoli di alcuni suoi esponenti. Viaggiò per vari anni, con soggiorni più o meno lunghi in diversi centri italiani, raccogliendo consensi e amicizie, approfondendo gli studi scientifici e matematici, partecipando con vivacità alla vita intellettuale deicircoli che frequentava di volta in volta, come dimostrano le importanti lettere a Lucantonio Porzio (Napoli, Soc. napoletana di storia patria, ms. XX.B.24) e a Francesco Redi (Firenze, Bibl. Mediceo-Laurenziana, ms. Laur. Red. 219). Rientrò a Napoli nell'aprile 1675.  Le cronache della capitale, le relazioni degli agenti stranieri, le stesse lettere, spesso settimanali, al principe Doria consentono di seguire minutamente le sue attività professionali e la sua azione civile negli anni successivi. Tuttavia, nell'intreccio contraddittorio di una realtà arretrata, ma vitalissima, nell'accavallarsi di episodi maggiori o anche minimi, nel complicato scomporsi e ricomporsi dei vari "partiti", esse non si prestano a facili interpretazioni e non sono state interpretate uniformemente dalla storiografia. Del resto, qualsiasi lettura degli ultimi anni del D. è collegata con un giudizio sull'intera vita morale del Mezzogiorno durante il declino dell'impero spagnolo e nel profilarsi di una generale "crisi della coscienza europea". Perciò i dettagli di un'aneddotica spesso pettegola, le sfaccettature di un carattere umano incline alla melanconia, altero, ruvido ed anche "bizzarro", non possono esaurire il senso della sua presenza, vigile e critica, nella realtà napoletana di fine Seicento, il suo ruolo di maestro e guida intellettuale, di capostipite anzi di una genealogia spirituale che, attraverso il Biscardi e l'Argento, sarebbe giunta fino a Giannone.  Il governo del Velez segnò il momento di più consistente raccordo con la politica dei viceré e le aspirazioni egemoniche del ceto forense. Ne sono testimonianza eloquente, tra le altre, le scritture già ricordate sulle pretese del re di Francia, cui si aggiunse nel 1682 una Risposta al libro de' Francesi sopra li pretesi diritti del Re Cristianissimo sopra il Regno di Napoli et di Sicilia (Napoli, Bibl. naz., ms. XI.C. 25). A questa rapida "informazione" - una replica al Dupuy cui continuò a lavorare anche senza portarla a compimento - vanno aggiunte le difese in giudizio, sollecitate dal viceré, del marchese de Viso nel 1675, e dei Brancato e del Guaschi a partire dal 1679. Nello stesso anno rifiutò, con Carlo Cito, la designazione per la "piazza" del popolo, e l'episodio dimostra la volontà, e la possibilità tuttora attuale, di mantenere un'autonomia di partito per gli intellettuali e i forensi.  L'ascesa impetuosa di funzionari e ministri, profilatasi da lungo tempo e consolidatasi con l'assolutismo amministrativo del Carpio, spostando definitivamente il peso politico delle due anime del ceto civile, forense e togata, in favore di quest'ultima, divideva i rispettivi interessi e disegni e riduceva le possibilità, per la prima, di porsi con forza propria come centro di mediazione nella dinamica sociale e politica del viceregno. Perciò il D., emarginato e forse anche deluso dagli ambienti di palazzo (già nell'increscioso incidente del 1682 non si registrò né l'appoggio del Velez, né una risoluta solidarietà dei colleghi), si dedicò con rinnovata energia ai propri studi, per rianimare il gruppo disperso dei novatori dinanzi al ritorno in forze dello schieramento cattolico e del più oscuro spirito controriformistico.  Alla fine del 1684 morì il Cornelio e quella scomparsa sembrò segnare la conclusione di un intero ciclo della cultura napoletana, sicché assunse un significato evidente il carico preso dal D. per rivendicare il valore del suo insegnamento e la persistente vitalità della sua lezione. Egli infatti non solo sorvegliò l'edizione delle sue opere inedite, apparsa poi a Napoli sul finire del 1688, ma fece celebrare, nella primavera del 1685, un solenne funerale per il maestro, che ebbe il tono di un appello e di una perentoria riaffermazione di fedeltà ai principi della nuova scienza. Nello stesso anno stese anche la già ricordata Apologia in difesa degli atomisti e ricevette, tra ottobre e novembre, le visite di J. Mabillon e di G. Burnet, che rappresentarono un alto riconoscimento, da parte dell'Europa dotta, del suo prestigio internazionale e del rilievo degli studiosi napoletani nell'ambito del sapere moderno.  Furono tuttavia episodi che non lo scossero da una sorta di doloroso isolamento, in cui si inserirono meditazioni religiose sempre più fitte, d'intonazione etica rigorista, da leggersi comunque in rapporto con alcune scritture, di difficile datazione, dirette a inserirsi nei grandi dibattiti europei di filologia biblica (Napoli, Bibl. Oratoriana dei gerolamini, ms. XXVIII, 4. 1). Di peso più concreto fu invece la nomina, ottenuta dal viceré conte di Santo Stefano, per la carica di giudice di Vicaria, della quale prese possesso il 10 maggio 1688. Egli tornava così sulla scena pubblica, ma attraverso un reclutamento nella burocrazia - sia pur mitigato dalla maggior comprensione del Santo Stefano, rispetto al Carpio, per le ragioni culturali dei novatori - che costituiva di fatto un'ammissione del sopravvento degli uffici sull'avvocatura da parte di chi, come lui, lo aveva sempre avversato, ed ancora sarebbe tornato a negarlo negli Avvertimenti.  Seguì nel luglio 1689 la promozione a consigliere nel Sacro Regio Consiglio, e poi a fiscale della Sommaria, dove s'insediò il 5 apr. 1690: tutti spostamenti che s'intrecciarono con i tortuosi percorsi, e gli intrighi, dei circoli ministeriali di quella vera e propria "Repubblica dei togati", che era ormai diventato il Regno di Napoli per sua profonda struttura.  Le funzioni di governo e le competenze finanziarie dell'organismo di cui entrava a far parte richiesero il suo impegno su questioni economiche di scottante attualità, che egli affrontò con uno spirito di cui è difficile sottovalutare l'originalità e l'importanza. Dalle allegazioni (sono note quella dell'ottobre 1690 sul problema dei pedaggi e dei passi, intitolata Iura pro Regio Fisco…, e l'altra, Ad interpretationem regiarum litterarum quibus fuit declaratum officia quae sunt de regalibus, in sostegno del carattere pubblico degli uffici; entrambe in N. Ageta, Adnotationes pro Regio Aerario, II, Neapoli 1692, pp. 180-96 e 299-328) e dai suoi ripetuti interventi in Collaterale, nel corso del 1691 (Arch. di Stato di Napoli, Collaterale. Notamenti, voll. 75 ss.), emerge infatti un complesso di temi e valutazioni, nei quali prendeva forma una acuta analisi dell'inferiorità meridionale, capace di coglierne la sostanza economica, ed un coerente piano di parziali riforme.  La linea prospettata dal D., spesso ripresa e ampliata nelle lettere al Doria, non può avvicinarsi alla contemporanea cultura mercantilistica. Essa tuttavia conteneva il richiamo, d'ispirazione pragmatica più che teorica, alle esperienze europee più avanzate (olandesi ed inglesi), la denuncia della venalità degli uffici come causa prima delle disfunzioni del sistema spagnolo e della questione beneficiaria come uno dei lacci più pericolosi che soffocassero il Regno, infine l'indicazione di misure concrete sui problemi della moneta, degli uffici, dei passi. Ma la sua perorazione per la libertà dei commerci e le proposte di riforma corrispondenti si arenarono subito, nonostante l'intesa col viceré, per la ferma opposizione del baronaggio. Durante il 1692 si fece perciò più rara la sua presenza nei diversi consessi ministeriali. Nel 1693 fu sostituito in Sommaria e fu giubilato nel 1695, mentre risiedeva a Procida, donde dava vita a un rilancio della sua azione culturale.  Di tale intenzione erano state già segno la collaborazione prestata al Valletta per una scrittura, compiuta in quegli anni, relativa al conflitto accesissimo sulla giurisdizione del S. Uffizio e la stampa della Disputatio an fratres (Napoli 1694), un testo capitale della scienza giuridica di fine Seicento, in cui, con matura sensibilità storica, egli poneva la consuetudine e l'interpretazione giurisprudenziale a fondamento del diritto del Regno e dei suoi svolgimenti. Risalgono inoltre allo stesso periodo alcune scritture e lettere sullo stato politico d'Europa e d'Italia (cfr. l'ediz. Mazzacane).  Le opere dell'ultimo biennio valsero a confermare il suo ruolo eminente tra le avanguardie intellettuali napoletane, sicché non sorprende la visita resagli a Procida dal Santo Stefano a metà dicembre 1695 per concordare un'azione contro l'offensiva curiale e gesuitica in atto, che si esprimeva sul piano e politico e culturale con la controversia del S. Uffizio, il processo agli ateisti, i libelli polemici tra cui spiccavano per ampiezza di argomentazioni le Lettere apologetiche del padre De Benedictis, pubblicate a Napoli nel 1694 sotto lo pseudonimo di Aletino. Ad esse il D. replicò con le Risposte già ricordate, ma nel frattempo nuovi equilibri si profilavano a Napoli.  Altri temi più direttamente incisivi che non gli appelli per la moderna filosofia, si offrivano a costituire il cemento ideologico capace di saldare alleanze diverse tra i ceti e di rimescolarne gli schieramenti. Nella svolta di fine Seicento, dinanzi all'atto di accusa rivolto dagli ambienti cattolici alla nuova cultura e ai suoi progetti di rinnovamento, dinanzi ad un tentativo d'imporre il prepotere ecclesiastico, il ministero togato serrava le fila, si attestava sull'intransigente difesa della giurisdizione regia, assumendola in proprio, senza demandarne la definizione a intellettuali appartati, sia pure di grande prestigio, come il D'Andrea. La sua lezione investigante non poteva più rappresentare la base per un'intesa tra monarchia, viceré e magistrati, stabilitasi invece attorno al giurisdizionalismo, e difatti egli venne del tutto ignorato nelle iniziative del duca di Medina Coeli. Perciò gli Avvertimenti ai nipoti, completati nel 1696 e destinati a una straordinaria fortuna, assunsero spesso il tono di una apologia retrospettiva, pagarono il prezzo della contraddizione tra un modello ancora proposto e il realistico riconoscimento dei cambiamenti avvenuti. Il primato dell'avvocatura come alto magistero per il giurista moderno, argomentato con frequenti tinte neostoiche, e come via regia per acquistare ricchezza e potere, vi si accompagnava all'ambigua ammissione del risalto sociale e politico conseguito dal ministero, ispirando una ricognizione minuta sulle vicende del ceto forense negli ultimi cinquant'anni, che rimane esemplare per profondità ed acutezza di analisi, ma che non può nascondere il fallimento del tentativo di fissare le direttrici ideali per i nuovi gruppi dirigenti.Gli Avvertimenti furono terminati l'anno prima del ritiro a Candela, nei feudi lucani del principe Doria, dove il D. si ridusse per un impulso di solitudine e per curarsi lo stato fisico declinante. Morì a Candela (Foggia) il 10 sett. 1698, di una febbre terzana contratta a Melfi nell'estate. La sua operosità non era venuta meno neppure negli ultimi mesi. Aveva infatti compiuto da poco un Discorso politico intorno alla futura successione della monarchia di Spagna (edito di recente dal Mastellone), che è il suo estremo messaggio agli intellettuali napoletani nella "cupa" finis Hispaniae.  Fonti e Bibl.: Fonte principale sono le notizie autobiogr. sparse negli Avvertimenti ai nipoti, pubbl. a cura di N. Cortese, I ricordi di un avvocato napoletano del Seicento. F. D.,Napoli 1923, con intr., note e append. bibliografica ricche di riferimenti ai documenti ined. e alle testimonianze più antiche. Per le date di nascita e di morte si sono tuttavia preferite quelle indicate da L. Giustiniani, Memorie istor. d. scrittori legali del Regno di Napoli, I,Napoli 1787. pp. 57, 65, confermate rispettivamente dai Registri battesimali della chiesa madre in Ravello e dai documenti dell'Arch. Doria-Pamphili in Roma, fasc. 19.8. Circa l'età in cui iniziarono i primi studi, si è adottato l'uso moderno di considerare l'anno di vita compiuto, anziché quello iniziato. Si è inoltre collocata la laurea nel marzo 1641, seguendo [G. L. Torrese], Diligentissima Neapolitanorum doctorum nunc viventium nomenclatura, Neapoli 1653, p. 99, e G. Corrado, Nomenclatura doctorum Neapolitanorum viventium, Neapoli 1678, p. 21; la documentazione archivistica dell'Arch. di Stato di Napoli, Coll. dei Dottori, lacunosa, ne dà conferma almeno e silentio. L'elenco delle opere edite e inedite e delle lettere finora rinvenute è fornito da A. Mazzacane, I misteri de' Prencipi. Lettere e scritti politici di F. D., Napoli 1986. Tuttavia, manca ancora una soddisfacente ricostituzione dei testi, avviata, per le opere filosofiche, da A. Quondam, Minima Dandreiana. Prima ricognizione sul testo delle"Risposte di F. D. a B. Aletino", in Riv. stor. ital.,LXXXII (1970), pp. 887-916 (ma v. anche A. Borrelli, L'"Apologia in difesa degli atomisti" di F. D.,in Filologia e critica, VI [1981], pp. 259-80). Per il carteggio, due lettere al Redi sono pubblicate e commentate da G. Tellini, Tre corrispondenti di F. Redi, in Filologia e crit.,I (1976), pp. 401-53; numerose altre allo stesso sono studiate da A. Borrelli, F. D. nella corrispondenza ined. con F. Redi, ibid., VII (1982) pp. 161-97; quelle al Doria (ora pubbl. da Mazzacane) sono in buona parte citate ed utilizzate da R. Colapietra, L'amabile fierezza di F. D. Il Seicento napoletano nel carteggio con G. A. Doria, Milano 1981, il quale riassume anche precedenti lavori propri, annota e discute in maniera completa la letteratura disponibile, antica e recente. Di essa perciò ci si limita a ricordare soltanto le monografie e le raccolte di saggi che hanno maggiormente animato, negli ultimi tempi, il dibattito storiografico sull'autore e sul secondo Seicento meridionale, rinviando agli indici per la precisazione delle pagine di diretto interesse: B. De Giovanni, Filosofia e diritto in F. D. Contributo alla storia del previchismo, Milano 1958; Id., La vita intellettuale a Napoli tra la metà del Seicento e la restaurazione del Regno, in Storia di Napoli, VI, 1, Napoli 1970; N. Badaloni, Introduzione a Giambattista Vico, Milano 1961; S. Mastellone, Pensiero politico e vita culturale a Napoli nella seconda metà del Seicento, Messina-Firenze 1965; Id., F. D. politico e giurista (1648-1698). L'ascesa del ceto civile, Firenze 1969 (alle pp. 183-99 il Discorso politico intorno alla futura successione della monarchia di Spagna); L. Marini, Il Mezzogiorno d'Italia di fronte a Vienna ed a Roma, Bologna 1970; V. I. Comparato, G. Valletta. Un intellettuale napoletano della fine del Seicento, Napoli 1970; Id., Uffici e società a Napoli (1600-1647). Aspetti dell'ideologia del magistrato nell'età moderna, Firenze 1974; Id., Retorica forense e ideol. nel giovane D.,in Boll. del Centro di studi vichiani, VI (1976), pp. 41-75 (alle pp. 62 ss. l'allegaz. Pro Congr. S. Ivonis); R. Ajello, Arcana juris. Diritto e politica nel Settecento italiano, Napoli 1976; Id., Cartesianismo e culturaoltremontana al tempo dell'"Istoria civile", in Pietro Giannone e il suo tempo, a cura di R. Aiello, Napoli 1980; P. L. Rovito, Respublica dei togati. Giuristi e società nella Napoli del Seicento, Napoli 1991; G. Galasso, Napoli spagnola dopo Masaniello, Firenze 1982. ANDREA (Francesco ’)nacquenellaCittàdiRavellonellaCoſta d’Amalfi il di 2.4. Febbraio dell’anno '1625. non già‘nel 162.4. o 1_óz7. come altri fi avvisarono. I suoi genitori furono Die go e Lucrezia Coppola della ſtessa Città', e nobile del sedile di Mon    58 -A N Montagna giusta l’avviso del nosiro autore' (r) . Il Padre , che_ se ne stava in Napoli addetto all’ esercizio del foro , appena ch’ ebbe oltrepassata l’infanzia lo se quivi condurre (a), e di~ anni 10..-affidollo alla educazione de’ PP. dell' Oratorio . F in da quesia tenera età incominciò a dar saggio de' suoi vivaci talenti, ritenendo con iſtupore quanto legger segli facea, e quanto anche da’dotti sentiva , onde il nome gli diedero di maeslro di me moria . La sua educazione però, esser dovea tuttaltra da quella , che gliene diede poi il padre ne’ primi anni di 'sua giovanezza. Egli accorgendosì della vivacità del figli0,non volle metterlo sot to la disciplina degli oggigiorno espulsi Gesuiti per applicarlo ben toſto allo ſtudio della giurisprudenza, anche sul sospetto , che quel li conoscendo i talenti del giova‘netto persuaso lo avrebbero a ve flire le loro lane ,e privar con ciò la sua casa degli avanzamenti, ' che avrebbe potuto sperare dalla sua riuscita ,p Dell’etàdianni12.‘adunquemandollo adiſtudiargiurisprudenza,nien— te iſtrutto di quegli altri ſtudi necessari a ben intendere questa scienza. Buon per lui ch’ebbe_a maestro il tanto celebre Giannandrea di Pao lo,ottimo oratore dique’ tempi, e stato già discepolo di Alessandro ...Turamino Sartese (3): giacchè a dir del nostro autore (4) corse ri ‘schio di esser discepolo di Gio. Domenico Coscia Calabrese, sopranno mato Casciana, uomo grosso d’ingegno , e ſtato già maesiro di Diego suopadre. Fe (i) L0 attesia esso Francesco nell’introduzione de’ suoi avvertimenti. (2)-Eglì ſtesso lo dice ne’ suoi avvertimenti, ove parla della casa Rovito. (3) Nicolò Toppi bibliot. napal. pag. 8. Giangiuseppe Origlia [sud. diNapol. r. a. p. '50. e Pietro Giannone jlor. civ. del Reg. di Napo!. [ib. 34. :0.8. Q. r. in fin. scrivono ,'che quiz/Zi ancorchè Senese d’ origine su Napoletana . Ma-si sono ingannati a partito. Non pochi monumenti abbiamo da potergli reflituir la sua patria. Nel 1604. trovandosi in Ferrara scrisse una lettera al Cardinale Cammillo Borghese in cui scrive: e Neapoli per Tbyr-renum in pan-iam adveäiur-c Nel-1592. dimessosi dalla carica .di uditor di Rota nel {oro di Firenze, venne in Napoli, ed occupò la cattedra di diritto civi le,come appare-dalla letteravindirizzäta a D. Gio. Zunica Vicerè diNa 'poli, impressa nel libro de exaequariane legarorum, pubblicato nel i593. e dall’altra scritta dall'autore a Lorenzo Usimbardo., che fece precedere‘al suo opuscolo sulla L. non puro D.dejimfifri. Neap.1595.in4.enel1594. per morte del Colombino‘passò alla primaria, e tutte le opere , che pose qui a luce le dedicò' a’personaggí del suo paese; tal è quella sana a Giro lamo Cerretano, e Francese* Accarisio patrizj Sanesi , che precede al suo ,opuscolo ad L. fruit—im‘ , S. Papiníanur D. quem. dorperat. impresso nel 1600. E* da leggersianche l’accuratissimo Lorenzo Meho in praes. op”. Tura míni,ëdir.&nen/ir1-770. (4) Ne'suoiavvertimenti. 1 ñ    n, o AN 'gç Fece gli intendereildotto GianandreadiPaolo,quantoeglieramal fondato ne’ primi ſtud; ,e qual bisogno avesse ,per ben. coltivare i suoi talenti nello apprendere la scienza del diritto .Siffatti avverti menti però dispiacendo all’ambizioso genitore , bramandojl più preſto di vederlo esercitato nel foro, nell’età di anni 17. con di spensa volle addottorarlo nell’una enell’altra legge per fargli intraprendere bentoſto un. tal esercizro. Egli non però l’accorto giovanetto volle secondare i desider) paterni . N o n interruppe per ciò dopo la laurea dottorale le sue' affiduc applicazioni nella let tura degli autori latini e greci , tanto prosatori,che poeti. S'in vaghi non poco delle opere di Virgilio , e di Omero , ed anche de’più scelti poeti toscani, per cui avendoci acquiſtata una partico lar passione, com’c’ dice, non potè però giammai vedersi da tan- ’ to a comPorre un *ver/b con'qualchc suo dispiacimento. Queſta ' insinuazione gliela diede peraltro anche il dotto Ottavio di Felice, avendogli fatto comprendere similmente quanto fossenecessariol'ac— quiſto della geografia e cronologia ,senza di cui e’tratto non avreb be un maggior profitto dalla ſtoria, e che ſtato sarebbe ancor per lui molto vanta gioso apprendere qualche cosa di moral filosofia. Colla guida de’ su odati valentnomint giunto all’età di anni zo. in cominciò la carriera del foro, *e ad iſtudiare gli articoli', che oc correano-nelle cause del padre. La prima scrittura,ch' e‘ mandò a ſtampa fu-sull’ articolo eccitato in un litigio del, principe di Ca salmaggiore ,se l’interesse ~di più anni pote'a- eccedere il doppio della sorte principale . Lo spirito di novità con cui mane‘ iol-lo, piacque non poco alConsigliere Arias de Mesa stato diggi catte 'dratìco di Salamanca . La seconda in una causa d’ importanza del Principe d’Aquino col Duca dell’Acerenza per la vendita diGiu gliano, e in risposta di quella fatta da Giulio Caracciolo. M a poichè incominciò a veder da lungi. lavaſtità delle scienze, cad iscorgere qualeabilità ancor naturale richiedeasiñameritare ilnome dioratore,‘moſtrossìsul rincipio Corantoritenuto.diarringarc‘ nelle ruote, che su nella risoluzron di volersi di ’nuovo,rinchiudeñ re ,-se animato non lo avessero i dotti, e poſtogli avanti gli occhi lasuaabilitàesapere.Undiqueſtisuil celebre Cammillo Colonna Signore di somme cognizioni, dandogli de’savsi) precetti, e la notizia insieme di scelti scrittori aformarsi un buÒno e diverso ſti— -le degli altri del foro. Ho ammise i-ndi nella sua letteraria accade-l mia-,che radunava in ogni settimana‘, perfarlo esercitare sì nello* scrivere, che nel parlare alla, presenza' di uomini colti. Queſto c sercizio confessa il noſtro autore che gli su di sommo aiuto, e che .perciò .vedeasinon poco obbligafo aqucſto gran protectorde’gtovani. Indi siascrissealla congregazione S.lvonc.,ove ,recitò_una.suaart-?l 2. zio    60 AN zione in lode di quella is’tituzione; ed avendone riportati univerá sali applausi ,incominciò pian piano ad incoragirsi ,e a deporre quel timore,chel’aveafinallorasorpreso.Quindi trattenendosiunamat tina* nel Collaterale ,in cui doveasi trattare la tanto famigerata cau sa tralla succennata congregazione ,ei PP.Gesuiri, iquali pretendeano -fondarne altra, ed’ essendo ſtato chiamato dal Vicerè Duca d’Arcos il difensore di essa congregazione , non vi' si trovò per allora. Niu no de’ tanti avvocati della medesima,che vi s1 erano radunati vol le esporsi al cimento , ed il solo noſtro Francesco di anni ar. non già. zz. secondo vuole il Giannone (1) si addossò eſtemporaneamente l’in carico,e parlando colla più sop‘rafflna elo uenza , e sodezza di ra— gione ,ancorchè avesse dovuto rintuzzare [avversario Francesco Pra to,che parlato avea in favella Spagnuola’,ne riportò a suo favore siuna compiuta decisione. Queſto dir solea il noſtro autore, esser ſtato un de’ più segnalati punti di sua vita, e il primo passo alla gran fama , che andò dipoi sempreppiù acquistando., Volle il Vicerè crearlo fiscale nella Regia Udienza di Chieti, che vi an ‘dòpoiversolafinedel1646.caricach’e liaccettòmalvolentieri,eche dispiacque e ualmente aglialtriperve ersi allontanato dal foro un giovanedi rffattaesettazione.Egliperòdilàadueannivisireſti tui,'e dopo di ave 1 procacciata della gran vfama nel suo eserci zio insieme‘ con D. Michele-Pignatelli Preside -e governador delle -armióinambedue’le‘provinciedegli'Abruzzi intempi sìmemo rabili di popolari rivoluzioni (z). Seguendo quelle provincie l’esem pio della capitale, quel savio Cavaliere’non trovò più abile Sog getto, che ll giovane'd’ Andrea,onde valersi in fiff‘atte circoſtanf ze a sedare ilfurore dell’insano popolaccio. Tanto nell’eseguire le incombenze del Pignatelli, quanto i nuovi ritrovati da lui, a ben riuscir nell’impresa in vari paesi tumultuati, moſtrò maisem pre una gran saviezza,ed una più che invecchiata prudenza-Chi unque volesse soddisfarsene legga la sua scrittura(ch’ io notcrò nel n. 7.) che conservasi tuttavia *dall’amabile odierno Marchese di Pe scopagano Sig. D. Diego d’Andrea Regio Consigliere di S. Chiara, -e del nuovo Tribunale dell’ Udienza dell’Esercito, Marina ,Caſtel lidiquestaCittà,edell’Alcaida‘to,ilqualgentilmenteme lapassò nelle mani, ond’io tratte avessi lesuccennate notizie. Sa (1) Giannone [lor. civil. del Reg”. di Napo!. [ih-38. cap. 54’431. edizd723. (z) E’ norabìle , che tra i rubelli eranvi in Napoli Vincenzo, e Francesco d’Andrea di altra famiglia ignobile,edessendo ſtatocreatodalpopoloCon figlierediS.ChiaraessoFrancesco,mandataindilañnon degliuffiziali s a m dallo flessoinsuriflo popolo, si credette da taluni, ehegil noſtro Fi -scale d' Andrea fosse stato il promosso ,- qual equivoco su smentito da esso --Miehele Pignatelli'. O 4. u 1    "A N .ci Sarebbe ritornato'in Napoli fin da Luglio 1648. se un ordine della Camera non l’avesse dovuto trattenere sino a Settembre dello ſtesso anno. In qual tempo ripigliò l’esercizio del noſtro foro, e sparse ditanto intalminiſtcroilgrido-disuararacapacitàedeloquenza,ch’ ebbero ad appellarlo ilcomun maeſtro ,e il principe degli oratori (r). ,Il Conte di Ognatte avendo, dinuovo mandato il Pignatelli nelle ſtesse Provincie, ed avendogli data la facoltà di eliggersi que’ mi niſtri.perUditori,che iù—abilie dotti gli sembrassero, eglisulle rime fe'scelta del no r0 d’Andrea: ma `per quante fossero~ state e preghiere fattegli da quel Cavaliere , non volle avvedutamente interrompere altra volta il corso dell’avvocheria per non essergli, com’ e’disse,nè di utile, nè di decoro. Nell’anno 1656. accaduta in Napoli quella fiera peſtilenza, sotto il governo del Conte di Caſtrillo, cedescrittaci da parecchi noſtri ſto rici (2.), volle il Principe di.Cassano seco condnrlo ne' suoi stati nella Calabria Citeriore . Indi cessato il contagio fatto rrtorno in N a poli, trovò quasichè tutti morti -i professori del noſtro foro. Per la scarsezza adunque di queſti, e più ,per la sua 'abilità ;'se gli ac crebbe ditanto il numero de’clientoli,che tempo non reſtavaglia riſtora'rsi dalle tante gravi applicazioni,asegno che incomincio ad infaſtidirsidi sua professione, e a contrarre delle varie indisposizio - uelle di,Antonio Gomez,e di Domenico Bracati:il primo inqui q sito di capital delitto, l’altro di menomato. zelo verso del suo So _vrano. L’uomo quanto ‘eradotto, altrettanto ancor fortunato. Egli ebbe a perorarle,laprima aVanti del-Vicerè Cardinal d’Aragona ,l’al tra avanti del VisitatorCasati, uom coſtui rigidissimo pe’diritti del suo Sovrano; e nulladim`eno~ne riporto compiute vittorie, ed alla gran gloria,chevenne adacquiſtarsiconsiffatti patrocini,ne ,otten ne ancor delle buone' somme, che' a larga mano gli diedero i rei. Circa queſti tempi essendosene` morto Diego suo‘genitore,edavanza te più le sue indispofizroni,risolvette' nel 1669.‘di fare 'un viaggio per la noſtra Italia (3), a ffi n di ricuperare la quasi cadente dlhîi sa .-~ t — ` -î- 11-.... (i) Vedi il dotto Caſtelli adjeéiio”. 'ad Cart-aber” part. l. say-'l, n.34. et 35. Francesco Maradei prati:.` universal. proceflur execufi-vi cap. a. n. 64.1). 64. (z) Vedi il.P. D. Carlo Francesco Riaco :Jil giudizio `di Napoli csi/'sussidi‘ \ ni ed acciacchi sulla propria salute. ñ " f- Le prime cause , che difese dopo il ritorno dalla (Calabria, siiron passato conteggio cet.,ln Perugia [658. in 3. e il .Ragguaglio della mirato losa protezione di S. F rancesco Saverio *ver-fit la Città e il Regno di Napoli ì nelcontagiodel1656.d’incertoautore,ma senzafallo_Gesuita,inNapo— - ii, e in Gratz nel 1660. e di nua-vo Napoli .x743. inps. Parrino teatro de' Vic”) di Napoli t.2. Pag. 191. edi-z: [77_0- . _ . `, ›_~. (3) Vedi il noflro, autore negli avvertimenti a’suot mp0” 5. i. l. O ' '6:- AN lute . Egli girò per lo spazio di anni quattro, e luogo non vi .su j ove giugnesse,ch’ esatti non avesse i piu alti applausi esegni di ri spetto e venerazione. lo tralascio a far parola di que’ favolosi rac conti e del m o d o , 0nd’ egli viaggiato avesse per diverse parti dell’ italia; poichè ſtiam pur nella certezza d’ essersi fatto dappertutto conoscere,e dappertutto ancora esige atteſtatì diſtima ediammi razione . ln var} tribunali a preghiere de’ più grandi del. luogo, eb be a sar sentire la sua eloquenza, e donde partiva lasciava negli animi di tutti segni di affezione. Grandi furono gli onori, ch’ egli esigettc in Firenze (i) e in Perugia, che in occasion di sua par tenza composero i Perugini la seghente raccolta intitolatas Affet ti ossequiosì delle Muse di Perugia nella Partenza del Signor Francesco d’ Andrea Napoletano; In Perugia 1672.. in 4. Nell’ anno 1672.. alle cantinue preghiere de’ suoi illuſtri clientoli, e dello ſtes’s’o Vicerè, come si dice , ebbe a ritornare in vqueſta Ca pitale, e ripigliare per la terza volta l’esercizio del foro. Ella è coſtante tradizione,ch’vogni qualvoltadovea perorare,radunavansi i più dotti di queſta noſtra Metropoli, e con essi gli eſteri anco ra (z). Il celebre Giovanni .Mabillon (3) calato in italia nel 1685. col carattere d’ Inviato del Re di Francia per visitare le noſtre bi blioteche ed -antichità,dice di averlo ascoltato non seme! in Mist fn principîs Satriani magna cum eloquentiae flumine et fulmine Perorantem (4), ancorchè perallora- fosse già di anni 60. Dice Pietro Giannone (5).,,ch’ egli fosse stato il primo a sar risonare il nome di Cujacio,~-e di altri eruditi scrittori nelle sue aringhe . Autorità che' venne abbracciata dal Giannelli (á) ,e dal Grimaldi (7) avvisandoqueſt’ultimo,`che‘fosseſtato ilprimainn-adattaredelle operedelfamoso'anacio(8);Ma sÎingannaronosull’autoritàdellostes ... lb‘7 y .- :l_. (i) Vedi le opere di Franc-,eseqRedi rom. 2. pag. rzt. e rom. 4. pag, 63. (z) Vedi Tommaso- Burner lnglese nel *viaggio d’Italia, l'autore dell’epi/iol. de ”He ín/Zímendfl academ., ad Lam. Prism” Venet. 1709.7. 21. e la vita, che ne scrisse Biagio Majoli A'vitabile impressa nelle ”ire degli Arcadí ì] ~~iilvh to 1- p ' (3) E’ troppo noto nella 'repubblica delle lettere queſto erudítislimo scrittore ~nato ‘in S. Pierremont nella Diocesi di Reims nel 163‘2‘. 'ed _entrato nella Cangregazionej di S. Mauro l’afluò- tanta gloria colle sue opere . Vedi . h Cei-f. biblioteque -hi/Ìarique army”: du .Am/mm' de 'la Congregalìon a': S'.Maw., Ruinart ‘vita Mobil!. ‘ (4) Mabillon im' Ita/ir. p. to;.‘~ - (5) Giannone islar. civil. [ib. ;8. cap. 4. ' , › ì -ñ ñ (ó) Giannelli editi-azione 'al figlio cap. 26. p. 230." (7) Ginesio Grimaldi isl_aría del/_e leggi {Magi/Ira” del Reg. di Nflp.t.x.p.106. (8) Vedi le notizie :siam/ae degli A m d : mom' , tom.- a. p. 14. a z-r.  z” ~ f ,-- _.—,__ì ..IN-M,... _._ñ- `_ . j l'-ó—. ñ -‘ ñ ó**Lt-ñ.: ax-   LA N 63 so nostroFrancesco avendo volutodarsi un talvanto negliavverti mentiassuoiscrivendo:Iofuiil rima,chefecisentirene’no/Ìn" tribunaliil”urnediCujacio,e eglialtrierudiri.Ma chiunque rivolgesse inostri scrittori legali,che gli fioriron d’ innanzi ,vi rat troverebbe spesso nelle opere loro i nomi'di tutti quegli autori,che surseroda Andrea Alciati fino algranCuiacio(I).Se questi sivalea— no nc’ loroscrittì delle autorità -di tutti que’ dotti interpreti ,parte Italiani,veparteOltramontani,come puòcredersi,cheperorando ne’ tribunali sentir non facessero anche iloro nomi. Questa gloria, chevolledarsiilnostrod’Andrea,nonsapreicomescrbarcela. .i Che da’ suoi tempi incominciata fosse.un epoca più felice ,per un cet. tomodo introdottodalui.nelloscrivere,eadisputargliarticoli, nongià‘secondoil ocogustode’precedentisecoli,ma iustale regole della ragion civile ,e delle nostre municipali leggi ,e sì quel vanto che merita assolutamente il nostro autore. La storia e la cri tica,mezzi valevoli a ben intender le leggi, per quanto potè l’in trodusse,-siccome'osserviamovnelle prime allega'zioni‘,ch"e’scrisse, e raccolte poi dal Moccia, e dal Staibano . e ì . - Egli s’impe nò,che.la giurisprudenza s’inse nasse anche con miglior metodo e’ erudizionc nella noſtra Univer lfà .'Si adoprò similmen te, che la cattedra di matematica si occupasse da Tommaso Cor ' nelio gran filosofo e medico’ di quel tempo , ch’egli venir fece da Roma nel1649.,quegliſtessoche*introdussepoitranoilevopere del celebre* Renato des Cartes,e volle-annoverarsi trai primi suoi ascoltatori . F e riſtabilire la .cattedra- di lingua greca con darsi al dot to Gregorio Messeri verso il1687.. come anche indusse Gio. Batiſta Cacace ad insegnare la rettorica, nel tempo -ſtesso ch' egli era pro fessore d’ iſtituzioni -civili ,'mancandovi una-tal cattedra nella Uni vcrsità degli ſtud) , ch’ indi fu eretta , e conferita ad Antonio Orlan dino. Fece ancor risorgere ñl’accademia degli Oziosi (a),e fu uno de’ fondatori delle accademie degli Oscuri .(3) de’ Razzi (4.) , ‘de gl'I/zveſtiganri (5), e venne asgritt’o alla generale adunanza ‘d’Ar .: , . .aaca ‘(t) Osserva il mio leggitore le opeíe di Francescantonio d’Adamo, di Vince zo_ Alfani , di Domenico de Rubeis, cet-’per res’tar‘ persuaso- di quel che i è da me afferiro. - ' . . v (z) Nell'anno 1611.‘ Gio. Batìſta Manzo Marchese di Villa' iſtitui‘ una tal a c c a d e m i a .‘ Vedi G i u l i o C e s a r e Capa c c i o m i s u r a / f i e r e p a g . 8 . e 9 . e d g b be il`suo principio addì 3. Maggio ne’chiolii’i di S. Maria delle Grazie... presso S. Agnello . Vedi Tommaso Coílo memoriale de’succejji del Regno p di Napo/ì, in detto anno, 16”. g‘ (3) Nel M79. su eretta l’accademia degli Oscar!. (4) Nell’ anno ſtesso surseì'quell’ altra accademia sotto nome de’ Razzi . (5) Quella celebre adunanza iſtituìta anche nel 1679. venne protetta da D. - Ao    ~› e cadiacolnomedi'Lariscasafl’o. \* -'- ‘Egli adunque ambiva ‘di riformare il guſto del foro. e della cattedra” e fe de’ sforzi a riuscirci .-Per quanto potè moſtrossi protettore de’ letterati, co’ quali piacevagli molto il conversare . Ebbe dell’ a micizia con Lucanconio Porzio , Luca Tozzi, Cammillo Pelle grino, Carlo Buragna , Grana-alfonso Borrelli , Nicolò Amenta , Giambatiſta Capucci , Daniel'lo Spinola, Michele Gentile e, D o menico Scutari , Pietro Lizzaldi Gesuita , Sebastiano Bartoli, Fran cesco Redi, Antonio Magliabechi, Giammario Crescimbeni, Giu seppe del Pa a, Gabriello Fasano, Tommaso` Cornelio , Lionardo deCapua,e altriassaisiìmi;.moltide’quali,chescrìfferodelleope re, non lasciarono di`fargliquelle dovute lodi-nelle medesime, e parte gliele dedicarono ancora , come il Cornelio l’ opdka de eine, cumpulsione Platania:. ll Crescimbeni colmollo di lodi nella‘ifla ria del a 'volgarpmſta, e il Redi Co’ seguenti versi nel suo Bacco 6.1. AN i”Tosì‘ana: ;L- -. ì ñ. ^‘_ E se ben Ciccio d’Andrea l Con amabilefierezza, \ .ñ‘ . Con terribile doleezàay , -. ‘~ Tra gran mani d’eloquenza Nella propria mia[presenza › _ ...i` _. Inalzarundi‘*voeva .~9 ñ y-, -..\ - ' Il Conte di. S. Stefano Vicerè di Napoli lo relesse Giudice di Vicaria vverso, il 1688. e‘quì debbo notare un errore in cui sono incòrsi v , ..,‘h —tutti AndreaConcubletMarchesed’Arena,dcflinandolapropriasuacasa.Ve di Giannone lib. 40. rap, 5. Lionardo di Capua; parer: ragion. 8. Carlo Suv sauna in Buragnae vita. Lucantonio Porzio in opnseus. de mom graùium,et ` deìorig. semi-nn . Giannalfonso Borrelli nell’ api/i. dedie. al, suo libro da , mazionibu: naturalibus a gra-visure pendentióu:. Gl’iſtirutoti furono T o m m a so Cornelio, Lionardo, di Capua, il nostro d’Andrea , e il dilui germano‘ fratello Gennaro, nat-o addì. 4.‘ AgoſtosideL 1637.-e morto nel 1717c~di an ni 80. da Reggente di Collaterale, e Delegato della giurisdizione. (i)Gimmaelogiaccademicipart.1.nell’elogiodi.PietroEmiliaGuaseo.A sti dell’ ush ed autorità della ragion civile lió. l. tap. l. p. 4L‘infin- Gianno neIibÌ38.mp4... [ib.39.up.1,[ib.40.rap.8.Staibanor.2.resolat.185. Celano `delle notizie del bello , dell’ antico e curia/ò della Città di Napoli, x. 3. giornata V. p. 92. Fabroni 'vitae Ita/or. t. 3. p. 332. Ariani comment. , dc chris iuriseonfl Napo!. p. 26. ` Quel (PA-versa acido Asprino, ` ì ,~~“ Che nonfl) s’è tigre/70,0 -vina, ’ j- - -‘ ñ" .' ì. -. r.~ ì ~ .-.' -' .EinaNapolise!-óea- p ‘ Del superi-bo Fasano in; compagnia cet. nèaltrimentiparecchi-altriscrittori(1). , '\ ñ  _..._-ñ-_._.. -ññ . -..r.- *A   'AN 65 tutti coloro che ne han fatta parola avvisandosi, che il Re Car lo II.` innalzollo al grado di avvocato fiscale del Real patrimo— nio; qual carica essendogli troppo odiosa , commutar la volle con quella di Consigliere: ma da’libri delle discendenze del S. C. ri levasi , ch’ egli ebbe la commessa delle cause del Consiglier Ste— fano Padilla nel dì zo. Settembre del 1689. e nel 1691. passò avvocato fiscale, e le sue cause furon commesse al Consigliere D. Pietro Messones con decreto die 6. mensir sulii. 1691. Dopo anni 9. in circa di esercizio miniſteriale,ne reſtò talmente annoiato, che rinunciar volle la toga, e cercar un pò d’ ozio filosofico, avendo menata sua vita da circa anni 50. tralle noiose cure del foro, e in una piucchè assidua applicazione . A tal fine si ritirò nella noſtra Mergellina,eproprionelladiluimasseria,checomprossi erdue. zooo. ove fin dal primo giorno assalito dalle frequenti viiredegli amici e clientoli, si avvide ben toſto, che non avrebbe soddisfat to il suo desiderio; quindi se passaggio nell’ Isola‘di Procida, lusin gandosi ch’ivi trovato avesse quel tanto suo bramato intento: ma non gli riuscì nemmeno tal sua risoluzione, frequentata venendo nel modo iſtesio la dilui abitazione da numerosa folla- di litiganti a chiedergli qualche suo savio regolamento, ed inquietato piuc~ che mai veniva dalle visite de’sav) viaggiatori Europei,che calava no nella noſtra dotta Italia per riverire un uomo, la cui fama erasi diggià sparsa per tutto l’orbe letterario.Fu coſtretto perciò por tarsi in Candela terra in Capitanata, ove venne. a morte addì IQ Settembre verso le ore z:. dell’anno 1698- e di sua età settanta treesimo, e mesi,e non già come altri scrissero di anni .7t. Il Vescovo di .Melfi si adoprò nella miglior maniera, onde rendere gli ultimi uffizi alla sua memoriaznè mancò persona,che fatta gli avesseorazion funebre,laquale è ſtata da me lettamanoscritta,e non s0 se fosse ſtata benanche impressa. Il titolo èqueſto: In obi tuDominiFranci/ZideAndreaRegiiConsiliarii,acinRegiaCa mera Fisci Petroni elegiacum carmen ,et oratio nabita ab UJ.D. s0.Bapti/Za Patetta. Ora altro non resiami,che dare a’leggitori un elenco delle tante 'sue opere,ed i motivi 0nd’ ebbe a scrivere alcune delle medesime. E’ celebre nelle iſtorie la controversia mossa da’ Franzesi nell’ anno 1666. sopra il Ducato di Brabante, ed altri ſtati della Fiandra contro i Spagnuóli . Per affar sì serio vennegl’impoflo dal Vicerè D. Pietro d’Aragona sul principio del 1667. di scrivere in difesa del lor Sovrano Carlo Il. Egli l’Andrea eseguì bentoſto un tal comando, eaddì2.8.FebbraiodelloAſtess’annoglipresentòunasua dotta scrittura, col titolo: ' . 1.DijkrtatiodesucceffioneDucatusBraáantiae.QuaMenditurmul- - Tom!. vI lam 4    66 AN lam Córislianiflîmae Reginae ad ejusdem _Dueatur la ereditata-m spem fieri ;per Consuetua'inem illms pravmciae ,quaefilias primi Îlori *vom: ad parenti-”n berediratem exclnsir liberi: , quam-ui: mn/?ulisorti;exsZ-Cimdo;quodea,tanquani rivarorumci-vinm propria, ni/Îil commune habent, eum sucçe zone_ Publica tori”: Principal”. Volle intanto il Vicerè, che m dllUl presenza sotto scritta l’avesse, affinchè sr'egiata del suo nome, impoſta avesse in Europa una più alta e maggiore autorità,e così manoscritta inviol la in [spagna. Ella non su mandata a ſtampa per non dar nuovo motivo a’ Franzesi di dire, che i noſtri fossero ſtati iprimi a pro vocar li al cimento, non avendo pubblicata alcuna delle scritture, ch’ in i in poi produsse-ro. M a nel mese di Maggio, come siebbe avviso,che il ñRe Criſtianiſtimo era giunto co’ suoi eserciti nelle frontiere della Fiandra, e che n"el medesimo tempo avea fatto pub blicare di suo ordine una scrittura inlingua spa nuolasi), coi tito tolo: Traffado delos Deree/ms de la Reyna C riflianiflimn fi)er *vario: E/Zador dela Monarquia de Españ'a ; toſtochè l’ebbe nelle mani ilVicerè D. Pietrantonio d’Aragona l’inviò alnoſtro autore con ordine di rispondervi,nel mentre ilRedi Francia entratone’ paesi bassi avea incominciato ad usarvi tutti gli atti della ostilità. L’ Andrea vi fece la desiderata ris`poſta,e su una delle più celebri scritture, che vedute si fossero in tal occasione. Eccone il titolo: z. Ri/jdo/Za al trattato delle ragioni della Regina Cbri/liani/Iìma/b pra il Ducato del Brabante, con altri fiati della Fiandra , nella qualesidimoslral'ingin/lizia dellaguerra mossa dalRe diFran cia Per la conquisha di quelle Provincie ; non o/lanti le ragioni, eee _fifim pubblicateinsitonome,PerlaPretesasueeeflioneafavor della Regina Cbri/lianijsima. In Napoli Anno 166'”;- infl Fu ripro dotta con un nuovo discorso, ed alcune lettere' nel 1676. in4. Nel mentre che ilnoser d’Andrea ſtava mandando a ſtampa lasur riserita rispoſta,comparve altra conftttazione alla ſtessa scrittura de’ Franzesi,scritta da un dotto miniſtro in franzese, ed essendone ve nuta una sola c0 ia in queſta Capitale, su da un eruditissimo mi. niſtro volta in lingua Spagnuola , e mandata di nuovo a ſtampa, e finalmente tradotta in italiano. Intanto un certo Aubery avvo— cato della Corte del Parlamento di Parigi diede fuori un libro: Des _ju/les Pretentions du Roi sur l’Empire .Paris 1667. a cui si dice dal Giannone (2.),che l’Andrea data-vi aVesse altrarispoáia, —e (I) Vedi l'informazione al ieggitore di esso d'Andrea 'impressa nella risposla al` trattato delle ragioni cet. Giannone ci!. [ib. 39. cap. i. (a) Vedi Giannone lio. 39. cap. i.    As N 67 e'd impressa nello ſtesso anno 1667. in 4. (I). . x 3- Disputatio a” flames influida no/Zri Regnisucco-dan!, eum frati-i deeedenti non sunt eonjum‘îi ex eo latere, ande ea oàvenerunt . A d intelleéium Con/lirationis Regni m‘ de [iiceeflionibus ,de sue cessionenobilium.Neap.apudParrinum,etMarian-11694.in Ei la è ſtata riſtampata molte volte .Nel 1717. ex typogr. Simoni/ma; e nel 1769. Avendo in queſta dilui opera consutato Andrea d’lfier nia, videli dopo la sua morte un certo Dottor Gio. Bernardino Manieri dar fuori propugnaeulnm Winiense, come nei dicoſtui ar ticolo t'ratterò più a lungo. . 4. In un opera del Cardinal de Luca (z)trovasi una sua scrittura:sii per sèererariorum APO/Zolieorum /uPPreflione. . 5. Consultariones in muffa sanno”. Majoratus s0. BaPti/Zae. Tro— vansi presso Gio.Torre (3). ì ó.RejÌmnsajm‘is’flipersuceeffionesaltata-ia,etquando babe”;la cum, neene. Si hanno presso lo stesso Torre (4). 7. Relazione de’jèr-vizj fatti nel tempo., ea’e/ercitö il Po/Zo di avvocatofi/ealenella rovineiadiAbbruzzeCitra,eParticolar mente di tutto ciò‘, e e da lui si operò in ser-vizio di LM. menz tre din-arena le rivoluzioni Popolari; cominciate in Napoli nel di 7.diLuglio 1647.ete/Zinteneldi‘6.diAprile164.8.in Le altre sue opere rimaſte inedite,sono: Varie lezioni intorno allafilosofia dellescuole, e del moderno gu flo introdotto nell’arte difilosofare.Furonrecitaredaluinell’ac cademia degli Oziosi , e quantunque i suoi. sentimenti sembrassero flrani per allora, furon dipoi abbracciati e 'coltivati, Trattato degli atomi con varie lezioni filosofiche. Voiqarizzamento dell’erica d’Ari/Zotile. ‘ ' Difesa della filo/olio di Leonardo di Capa/t, contro l’Aletino indi— rizza/z al Principe di Feroleto. Queſt’ opera , ch’ avrebbefi dovuta mettere a luce, giacchè in essa l’autore fe pompa dei suo sapere, e varie furono le inchieſte de’letterati, non so perchè trascurato lo avessero i suoi eredi. Infatti il nofiro dotto Nicolò Amenta (5) scrisse:non ba gnam', consomma mio piacere, e con profitiarne ‘ non (1) Alle altre scritture de’ Franzesi , non vi mancarono ‘altri dottíopposirori, che leggersi possono nel Diario Europeo rom.XV. X V L e XVIII. e men tovate vengono dall’erudito Struvio Syntagm. [Ji/Zar.Germ. dafl'ertat.” S.” (7.)De Lucatraéi.deoffieiis.Romae1682. ' ñ . (3) Jo. Torre traff. de susiefliom in Majoraxibmflet. Lugduni Ani/fln 1688.1.:(4)*Idemma‘.deprimogenitìs'Italia:eap.39.5.7.e9.ct”11.40.5.6.Lugdu- l m 1686. › (5) Amenta nella Vita dì Lianarda di Caploa pag-.54. ` * 2 . ñ.    53 AN non poco, ho letto, e riletto: nè jb perchè il dilui fratello ,il Tagguarde'vole per tanti capi, Regçente del Collateral Consiglia, Gennaro d’Andrea ,non l’/7a fatto Pubblicare Per 'via delle [Zam pe, quantunque ne [/rabbia i0fatto pregare. In tretomi in foglio ella conservavasi nella celebre libreria diGiuseppe Valletta (1). ln un de’ Codici Magliabechiani in Firenze (z) evvi una lettera- di esso Francesco de’ 2.3. Agosio 1685. con cui gli chiede notizia di var) libri, che consultar dovea per tal suo lavoro. Disror/b della nobil famiglia della Marra . ,. Discor/n sopra la /uc‘reflirme di ?pagna in morte quando filC-'Có’dsldel ReCarloII.d'Au/lriagia}disperatod'a-verprole.Lo scrissestan— do in Candela colla data’ del di 15. Aprile 1608. Zisa/jime , ojjiano avvertimenti a’suoi nipoti, D. Gia. e D. Andrea , per farlor divvisare,eneasoslenerelacasanellagrandezza,in cuiegli,eilReqqentesuofratellol’a'vean Palla,unicomezzo era l’avvor/;eria . Quelli avvertimenti, ch‘ egli scrisse nell’ età di an ni 71. non sono ſtati impressi per aver incontrato l’oſtacolo di alcuni personaggi, ch’ebbero a scorno il sar vedere la di loro ori gine da qualche professore del noſtro soro. Son tante però le copie a penna siſtentino in queſto nostro Regno, e fuori, ch’ è riuscito vano il loro impegno. Si vuole ch’ egli avesse compilata quella s’toria di alcune famiglie no bili del nosiro Regno, che altri però attribuiscono al Presidente Gaetano Argento.Ma imoderni noslri critici la vogliono a ragion tuttagdi esso d’ Andrea ’scorgendovi in essa un metodo tutto suo proprio , poichè l’Arge’nto quanto dotto, altrettanto un pò scarso nell’ordine delle scritture. Lasciò finalmente più volumi di allegazioni, come dice ne’ suoi avi vertimenti, mapochediqueſte sonoſtate conservatedaalcuniscrit t-ori,ed inseritenellediloroopere,come dalStaibano,Silva,Ma radei, e Sorge (3). ANELLO (Gabriella)mandò'a ſtampa: De judieiornm civiliflm ordineadNeapolisTribunaliumnormam,necnonpro-w'nriarum, [cz-,Fumane,qua e: Curiarum infimarum Regni aélitandi i” aligui Imc minima 'varietas, advertitur,Pro Clerieorum PraHicorum in ÌBÌÌÌQEÌIti”,6tF.P.juvemsisusa, con/*cripta:bre-w,Foggiaeſtu dio/ae ju'UC’ÎIH-ls'l dieatus. Anno 1-780. in 8. ANGELIS (Baldaffarre de) dicesi giureconsulto Napoletano‘, edeb be a nascere nella decadenza del secolo XVI. come rilevafi dal '' . . le (l) Vedi i giornali rie’letterati Venez. t. 24. pag. 89. (z) Sognare Vlsl. Francesco d'Andrea cet. 133. (3) Smge in'sua pale/ira iuris t.z. allega:.7.   Parlando del DiCapua,ilVolubile,aiprincipiidel1683, dice che vent'anni prima a Napoli era fiorita l'Accademia degli Investiganti; un semplice calcolo ci riporta adunque all'anno 1663. Le parole del Volubile sono anche confermate, nello stesso luogo,da Cesare di Capua (73). Io credo,adunque, di non errare affermando che questa Accademia fu fondata nel 1663 e che il Buragna fu tra i fondatori principali, pur non potendo, però, frequentarla a lungo, perchè alla fine di quello stesso anno dovette allontanarsi col padre da Napoli. E , del resto, l'Accademia non fa che dar nome e sede ad una associazione di uomini già uniti da anni in un'intima comunanzadistudi,diintelletti,diaspirazioni.Andrea Con cublet, uomo amante degli studi e delle dotte compagnie, è il fondatore, dirò, materiale dell'Accademia, a cui assicurò (72) Non premessa al Parere dello stesso, come da alcuni fu scritto, per la già notata confusione fra le opere del Di Capua. Cfr. le n.6 e 61 di questo capitolo. (73) Nelle citate Lezioni la lettera del Volubile è preceduta da una prefazione di Cesare di Capua, che ci informa essere state queste Lezioni del padre suo, ancor vivente in quel tempo, recitate appunto nelle riunioni degli Investiganti; e anche il Di Capua, scrivendo nello stesso 1683, parla della Accademia come di cosa anteriore di venti anni. Non vi può esser quindi dubbio.  -76 V   la vita con la sua munificenza é la sede col suo palazzo ; ma,virtualmente,l'Accademia esisteva già(74). Fra gli Investiganti, col Di Capua, col Cornelio, col Buragna , col Borelli, coi fratelli D'Andrea , troviamo G. B. Capucci, Camillo Pellegrino (75), il dotto vescovo Giovanni Caramuele, Sebastiano Bartoli, L. A. Porzio e qualche altro. Dal Volubile sappiamo che l'Accademia aveva per impresa un cane bracco col motto lucreziano : « Vestigia lustrat »; motto e impresa che ben rendono, insieme col titolo, la fi sonomia, gli scopi, gli ideali degli Investiganti. E , invero, gli Investiganti non vanno confusi con gli Addormentati, gli Insensati, con tutte quelle migliaia di in coscienti perditempo che avevano formate le tante Accademie di quel secolo. L'Accademia degli Investiganti si collega direttamente a quella del Cimento, fondata sette anni prima a Firenze, e ne trapianta a Napoli l'opera e le idee ; essa, attraverso il Borelli e il Cornelio, mette capo a Galileo. Il Susanna stesso ci dice che il titolo era stato scelto appunto ad indicare come gli Investiganti si proponessero di percorrere le nuove vie scientifiche e filosofiche, procedendo con la ri cerca e l'esperimento, simboleggiati nel cane bracco e nel motto. In mezzo ai cultori della scolastica e della casistica, (74) Anima degli Investiganti, anche per la sua grande attività, fu Leonardo di Capua ; non è però esatto dire, come il CARINI, (op. luog. cit.), che l'Accademia fu fondata dal Di Capua; i contemporanei riconoscono, concordi, nel Concublet il fondatore, tanto è vero che, scomparso lui, l'Accademia morì. Così erra l'ORIGLIA, nell'op. cit., vol. II, p. 89 affer mando che il Vicerè Oñate favori l'Accademia degli Investiganti, perchè, come abbiamo veduto, il viceregno dell'Oñate durò sino al 1653 e gli Investiganti si costituirono in Accademia dieci anni dopo. Secondo il D'AFFLITTO, op. cit., vol. I, p. 333, uno dei principali fondatori del l'Accademia fu F. D’Andrea.  - 77 (75) Questo illustre storico che nell'Apparato delle antichità di Capua iniziò la via, che poi il Muratori percorse con passo gigantesco, morì nel 1663;percuil'essereilsuonon fraquellidegliInvestiganti,èuna nuova confermadiquantofu,piùsopra,stabilito:checioèl'Accademia era già costituita nel 1663,   - 78 che ancora abbondavano a Napoli, gli Investiganti sorgevano a rappresentare nuove idee, nuove cose e nuovi tempi; ed è perciò che è una gloria pel Nostro l'esserne stato uno dei fondatori, mentre, nello stesso tempo, è documento della sua grande cultura scientifica e della modernità del suo in telletto. (76) Dell'influsso esercitato dagli Investiganti contro il vaneggiare della grande turba dei poetastri seguaci del Marino, abbiamo, fra le altre, una prova nelle parole dell'abate DE ANGELIS, contemporaneo, nella citata Vita di Antonio Caraccio, luog. cit., p. I, p. 145. Scrive il De Angelis : « In poco conto erano in quel tempo per tutto il regno di Napoli .... la vaghezza e la purità dello scrivere italiano.... tenute. Per lo contrario erano intesi i componimenti di coloro che dal proprio sregolato capriccio e r a n d e t t a t i , c o n i m p r o p r i e m e t a f o r e . . . . e c c . » . A g g i u n g e p o i c h e il C a raccio si tolse da questa cattiva schiera di poeti per i consigli e gli esempi degli Accademici Investijanti «uomini per universale consentimento an noverati tra i maggiori e più ce'ebri letterati dell'età presente e della passata»;efraimaggioridi siannoverailNostro.InfattiL’Imperio vendicato del Caraccio non si può dire, in generale, infetto di cattivo gusto secentistico, al contrario di altri scritti anteriori dello stesso poeta.  Senonchè il Cornelio, il Di Capua e il Buragna erano, oltre che scienziati e filosofi, uomini di lettere e gli ultimi due, insieme con qualche altro, anche poeti. E come nelle scienze, così nelle lettere, gli Investiganti rappresentano un profondo distacco da tutto ciò che è comune, anzi volgare ; essi, voltando le spalle al marinismo, proclamano la necessità di una nuova poesia più conforme al buon gusto e alle patrie tradizioni poetiche. Fra gli Investiganti non c'è nessun m a rinista; essi ritornano al Petrarca e lo spogliano degli ele menti secentistici che vi s'eran sovrapposti e intorno eserci tano un influsso salutare, che fu da parecchi, della genera zione che sorgeva, sentito (76). E poichè il Di Capua, in questo tempo,aveva per sempre abbandonate le muse,dob biamo ritenere che il Nostro, il maggior poeta fra gli Inve stiganti, in questa Accademia, in cui portò un contributo notevole di profondi studi scientifici, abbia esercitato un   preponderante influsso letterario, che corrisponde a quello esercitato dallo Schettini nell'Accademia Cosentina (77). Il nome del Nostro si lega, dunque, a tutta una rivo luzione intellettuale, che abbraccia la scienza, la filosofia, la letteratura, e che certo deve essere meglio studiata e valu tata. Se avessimo le opere scientifiche e filosofiche del B u ragna, potremmo considerare tutti e tre i lati del prisma ; ma non abbiamo che alcuni dei suoi versi,iquali però ba stano a dlarci testimonianza delle idealità poetiche di questa Accademia,della quale sono ifrutti migliori. Ma ci riman gono altri scritti scientifici, come quelli del Di Capua, già citati, e, con nuove ricerche, sarà possibile collocare gli I n vestiganti nell'importante posto che loro spetta, fra gli acca demici di questo secolo. Quanto durò l'Accademia ! Per meglio fissare alcune circostanze della vita del Buragna, dobbiamo cercare di ri spondere a questa domanda, almeno approssimativamente. Il Susanna scrive che la vita di questa Accademia fu breve (78) (77) Nell'esaminare le rime del Buragna, meglio vedremo delinearsi questa verità. In fondo gli Investiganti sono precursori dell'Arcadia, tanto è vero, che fra essi colui che più visse, il Di Capua, fu poi Arcade. Ma ognuno sa che vi furono due Arcadie e che la prima aveva in sè ideali poetici nobilissimi. (78) Come al solito, le vaghe espressioni del Susanna sono malfide per stabilire una cronologia con sufficiente esattezza. Egli ci spiega come il Nostro, anche durante la sua dimora a Lecce, e cioè, come fu già detto, dal 1663 al 1667, potesse continuare a prender parto ai lavori degli In vestiganti, tuttochè lontano da Napoli ; infatti ora permesso di inviare per iscritto le proprie idee sciontifiche e filosofiche. Dice il Susanna, (e cito il brano perchè getta un po' di luce sui procedimenti di questa A c cademia ): «Licebat absentibus, ex Academiae institutis, sua mittere de Philosophicis rebus cogitata, quae recitarentur in congressu et per expo rimenta ad veritatis expenderentur trutinam . Moris quippe erat altera hebdomadae die ibi dicere quae quisque sentiret ; altera, voro, insequentis heb d o m a d a e ex p e r i m e n t i s d i c t a e x e r c e r e » . S u s a n n a , o p . l u o g . c i t ., f f. 6 , r . e 7, v. Il metodo rispondeva agli scopi, ma vi era il difetto, comune a tante Accademie, anche gloriose, di voler creare una discussione che era fine a sè stessa e di cui, spesso, non v'era bisogno.  -79   e ciò ripetono coloro che ho citato; anzi il Caravelli (79), in un accenno, scrive : « Disgraziatamente la coraggiosa ed importante Accademia morì quasi sul nascere ». D'altra parte lo stesso Susanna viene a parlare dell'Accademia soltanto a proposito del ritorno del Nostro da Lecce, dicendo che egli fu accolto dai soci festosamente e prese parte alle riunioni degliInvestiganti,cheperò,dopononmolto,cessarono.E così altri contemporanei, pur notando la breve esistenza dell'Acca demia, non ci parlano di una vita addirittura effimera; anche l'opera esplicata dagli Investiganti presuppone una certa d u rata della società. E se il Nostro prese parte ai convegni in casa del Concublet, dopo il 1667, e cioè dopo essersi defini tivamente stabilito a Napoli, e se, d'altra parte, l'Accademia non ebbe lunga vita, la fine degli Investiganti dovrà cadere fra il 1668 e il 1670. Ma io credo che l'Accademia abbia continuato a vivere fino a quest'ultimo anno ; me ne foruisce una prova abbastanza convincente la valutazione delle cause per cui l'Accademia stessa finì. Il Susanna scrive che ciò avvenne per essere Andrea Concublet venuto a mancare (80); e così, su per giù, gli altri (81). Ora, tenendo legittimamente per sicure le notizie dei contemporanei, noi sappiamo che nel 1670 il Concublet era ancora nell'Italia meridionale; in fatti appunto in questo anno G. Alfonso Borelli stampava (79) CARAVELLI, op. luog. cit., p. 178. ( 8 0 ) P e r ò , ( e d a p p a r e a n c h e d a l l e p a r o l e d e l V o l u b i l e ), s i t r a t t a d i partenza e non di morte del Concublet, come credette il CARINI, nell'op. cit., p. 523. Il Volubile non ci dà alcuna notizia sulla durata dell'Ac cademia . (81) Qualcuno accenna ad ostilità dei Vicerè verso gli Investiganti ; e, anzi, il CARAVELLI, al medesimo luogo dell'op. cit., fa terminare l'esi stenza dell'Accademia per soppressione ordinata dal governo. « Fosse, scrive, invidia o sospetto, o innato spirito del male, la dottissima e tran quilla adunanza fu messa in mala voce e, dopo qualche scissura e qualche atto violento, ne fu ordinata la soppressione dall'imbestialito governo vi ceregnale ». Senonchè, per vero dire, e non per tenerezza verso l'infausto governodeiViceré,questanotizianonrisultadaalcundocumento deltempo,  80   IntalmodoilBuragnaaccrescevalasuadottrinaelasua fama, ma s'avvicinava rapidamente per lui anche il momento dirinnovareildolore,giàprovatodiecianniprima;ildo lore di staccarsi ancora da tutta quella operosa vita di pen siero, da tutte le più care abitudini intellettuali e le più n o bili amicizie, per ricominciare il pellegrinaggio nella provincia. L'ora della giustizia era scoccata per Giovan Battista Buragna, dopo lunghi dolori. Per quanto fitta fosse la tela di calunnie, di cui parla il Susanna, per quanto i Vicerè (82)È l'opera: De motionibus naturalibus a gravitate pendentibus. Reggio 1670, non del tutto ignota agli studiosi. (83) L'Accademia ci fornisce ancora una prova della impossibilità che il Buragna sia rimasto a Cosenza sino al 1665. (Cfr. la nota 48 di questo capitolo). L'Accademia verrebbe a protrarre la sua vita oltre i limiti cho le notizie del Volubile e del Di Capua consentono.  - 81 - una sua opera scientifica (82), dedicandola al Concublet, parlando, anzi, nella dedica, degli Investiganti e della impor tante opera loro; ed è troppo noto il significato di queste dediche a mecenati intelligenti e generosi, perchè debba di lungarmi a dimostrare che ciò prova la presenza dello stesso Concublet a Napoli. Non si può, quindi, di molto errare fissando dal 1663 al 1670 la durata di questa Accademia, che racchiuse la più eletta. Francesco D’Andrea. Andrea. Keywords: investiganti, salotto degl’investiganti, villa Iambrenghi, Candela, investigare, vestigio, motto: investigare, sequere, segno – segno, di sequere, non sequitur, sequitur, il cane, che tipo di cane e il meglio investigante – l’atomismo – vestigio, Boezio, vestigio, segno, nota – latinismo, Cicerone su vestigio, nota, segno, notificare, segnare, segnificare, significare, vestigare, investigare, interpretare il segno, seguere il segno, segno non sequitur, segno e consequenza, sequenza logica, segno e sequenza, etimologia di ‘vestigare’ – cfr. tedesco ‘steigen,’ anglo-sassone stagan, greco stechos --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Andrea” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691504428/in/photolist-2mKNtmY-2mKCWuP-2mPHbXQ-2mKbfaU-2mJLMNt-2mJq2uE-2mJ4GHU-2mJ3q6x-2mGT6p1-2mGnP2f-2mEuJp2-E4u3XA-nNAxcL-nNAkjj-GrknGu-FVWdPd-T63iW1-Dw1w1R-DhJMno-BNU6Ba-BNPnbr-Cf6Cmr-Ck5cFS-BVhgDW-BpUfws-Bq2br8-BpPunU-BpZb62-Ck24sU-BnL74H-CayHCW-Ck9fMH-Bm9hW2-Bm2MF1-Cgaeq7-BJXeRz-BvUfSB-BUPaNy-BYzvBt-BRifbP-BwrYXs-B23vYm-Bq4SjB-ABifoD-AyLXky-Am1vDt-Am13jP-A3pPU7-znZhCQ-Am1maP

 

Grice ed Andria – filosofia italiana – Luigi Speranza (Massafra). Filosofo. Grice: “I like Andria; of course he brings more problems than solutions but that’s philosophy even if his philosophical credentials are obscure! “He did write a philosophical chemistry and a philosophical agriculture, but that’s because at Naples there were only two faculties: law and philosophy – he also wrote a ‘medicina filosofica’ – Grice: “Andria’s theory of life – as he calls it – osservazione generalie sulla teoria della vita’ – owes a lot to Aldini and Haller--  Mainly he elaborates and refines Haller, if you believe it – it’s all Italian to me, so it’s eccitbabilita, sensibilita, ed irritabilita. “Andria goes on to define this eccitabilita in terms of the ‘fluido elettrico’ con ‘sende nel cervello e nei nervi’ – which galvanism smacks of Aldini. Grice: “Andria classifies ‘vita vegetale’ o delle piante, and ‘vita animale’ – Note that ‘social life’ is understood by ‘eucarioti’ of higher order, in terms of reproduction (of life – hence re-productum). A fronte de' profondi misteri dell'immensa, ed eterna meccanica, colla quale l’Autor del tutto à voluto che sian le cose disposte ed ordinate, la forza dell'umano intendimen to si trova per l'ordinario talmente oppressa dalla propria picciolezza ed imbecillità, che o totalmente impossibile le riesce di penetrarvi dentro, o appena l'è concesso di conoscerne le più esterne apparenze; o pur finalmente, sembrandole di esser riuscita nel suo disegno, realmente non fa altro, che delirare e perdersi dietro la brevità e l'inezia delle sue idee.»  (N. Andria, Osservazioni generali sulla teoria della vita, 1804).Tre anni dopo la sua morte il suo nome apparve nella Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli il suo primo profilo bio-bibliografico Gennaro Terracina. Studiò nella città partenopea giurisprudenza, pubblicando nel 1769 un Discorso politico sulla servitù. Decise, poi, di proseguire i suoi studi applicandosi alla medicina. Allievo di Domenico Cotugno e Giuseppe Vairo, a soli 23 anni aprì a Napoli una scuola privata; a 27 concorse con il Cirillo per l'ottenimento della cattedra di medicina pratica, poi conferita a quest'ultimo.  La sua attività di cattedratico, svoltasi tra Sette e Ottocento, nel contesto di un particolare periodo storico, fu principalmente di ricerca e didattica presso l'Università Regia degli Studi di Napoli, dove ricoprì vari insegnamenti dalla storia naturale, alla medicina teoretica e pratica, all'agricoltura.  Pubblicò diverse opere ad uso degli studenti di medicina ed apprezzate altresì in varie parti d'Europa.  Nel 1808 Nicola Andria prese a dettare lezioni di medicina teoretica; nel 1811, di patologia e di nosologia. Malato ed ormai cieco, fu congedato agli inizi del 1814, insignito del titolo di cavaliere da Gioacchino Murat (cognato di Napoleone), e il 9 dicembre morì di tifo a Napoli, dove fu seppellito nella chiesa di Santa Sofia, insieme al collega Antonio Sementini.  Nicola Andria ha subìto per più di un secolo una "congiura filosofica" perché medico e perché di Massafra, da cui gli epiteti spesso riferiti, nei pochi profili apparsi, alle sue origini provinciali; tuttavia, egli fu decano a Napoli ed ebbe amicizia e consuetudine epistolare con i nomi più noti ed importanti del panorama scientifico europeo dell'epoca. Non esistono studi sull'autore, eccezion fatta per alcuni contributi arenatisi agli anni ottanta del secolo scorso. Nicola Andria fu socio fondatore e membro del Real Istituto d'Incoraggiamento e del Comitato Centrale di Vaccinazione, oltreché di molte altre Accademie italiane ed estere. A Massafra, città natale del medico filosofo, com'egli stesso si definisce, portano il suo nome ben tre vie (Via Niccolò [sic] Andria, Lungovalle Niccolò [sic] Andria e Vico Casa di Niccolò [sic] Andria) e una Scuola Media.  Il 10 settembre 1997, in occasione del 250esimo anniversario della nascita, a Massafra è stato fatto un annullo filantelico speciale e una cartolina commemorativa.  Pensiero «Non vi è una materia in Natura che abbia per sua qualità intrinseca la vita, e meriti perciò di esser chiamata vivente. Né la vita è un fenomeno semplice, che a una sola materia appartenga, e nasca da una sola forza. Molte son le materie, e queste fra loro diversissime, che concorrono alla formazione di una macchina, in cui la vita risiede, le quali materie intanto, trovandosi separate, niuna vita producono»  (N. Andria, Osservazioni generali sulla teoria della vita, 1804) Il contesto storico in cui Andria vive fa da “cerniera” ai due secoli più importanti della storia della scienza e della civiltà: il Settecento e l'Ottocento hanno “gestato” l'umanità contemporanea, provocato le guerre e portato l'uomo sulla Luna.  Andria vive a Napoli, per certi versi quasi “fulcro” e “convoglio” delle principali idee e scoperte dell'epoca; la sua particolare sensibilità di scienziato di formazione filosofica lo porta ad assorbirne il carattere rivoluzionario e ad “anticipare” i tempi. La sua condizione di provinciale in-urbato, tuttavia, lo “veste” di una semplicità ed umiltà di cuore, la quale si esprime nelle lodi del creato e dell'uomo, «congegni perfettissimi» di straordinaria bellezza.  Oggi, questo significa “ri-orientare” la ricerca scientifica verso un fine che non sia l'“utile” economico (politico, militare), ma ricerca del vero e del bello nella tutela e nella salvaguardia di tutta l'umanità.  Dagli anni cinquanta dell'Ottocento la circolazione delle idee andriane (di “freno vitalistico” al meccanicismo più sterile) si arena sulla sponda di un “nuovo lido”: quel meccanicismo biologico che dell'anima e del pensiero ha fatto solo un aggregato chimico di molecole. L'eco dell'appello di Nicola Andria, così instancabilmente perpetrato, in ricerca come in didattica, si perde; si perde alle soglie di una svolta importante, la stessa che avrebbe prodotto la Grande Guerra, il delirio dei nazionalismi, la credenza che debba sopravvivere il più abominevole degli uomini, dove “fortezza” vale essenzialmente in-umanità, dis-umanità, non-umanità.  «Il filosofo [...] in tutto questo giro di cose, ravvisando le tracce della sapienza infinita di un Dio, è obbligato ad esclamare: quanto ammirabili, o Signore, sono le opere tue!»  (B. Vulpes, in N. Andria, Elementi di Chimica Filosofica). Opere: “Discorso politico sulla servitù” (Napoli, Campo); “Piano di un corso di chimica pratica” (Napoli); “Trattato delle acque minerali” (Napoli: Manfredi); “Lettera sull'aria fissa” (Napoli);  “Elementi di chimica filosofica” (Napoli: Manfredi) -- Delle forze e delle materie di cui si occupa la chimica -- Del fuoco, sti che nederivano --- Delle principali combinazioni dell’ossigeno ede'composti chene risultano -- INTRODUZIONE alla Chimica – Dell’unione delle altre materie fi . nora non iscomposte , e de’ corpi,che quindisene otten -- Della cristallizzazione -- ne,edellasublimazione -- Della fusione . X zir X piùsolidi basamenti del globo terraqueo, che indi ne sorgono -- Dell'ossigenazione , & quindi della combustione e dell'atmosfera terrestre .-- Della congiunzionedelleterre,ede? --  Della soluzione. --- Degl’altri generi di combinazioni – Dell’operazioni chimiche -- Della distillazione, dell'evaporazio -- Della fermentazione, e della putrefazion. “Elementi di Fisiologia, Napoli, V. Manfredi); “Materia Medica” (Napoli, V. Manfredi, “Elementi di Medicina Teoretica” Napoli, V. Manfredi); “Istituzioni di Medicina Pratica, Napoli, V. Mandredi); “Prospetto generale dell'istituzione di agricoltura”; “Osservazioni generali sulla teoria della vita, Napoli, V. Manfredi); “Riflessioni su di un caso singolarissimo di gravidanza fuori dell'utero”; “Elementi di Medicina”. A partire da V. Cuoco, vari studi sono stati editi a proposito della Rivoluzione napoletana del 1799, la quale diede vita alla Repubblica partenopea, preparata dal triennio giacobino sin dal 1796.  Per l'internazionalità del suo pensiero si vedano gli studi di M. A. Duca in Il pensiero scientifico di Nicola Andria, Massafra, A. Dellisanti, ,  95-9  Melania Anna Duca, Il pensiero scientifico di Nicola Andria, Antonio Dellisanti Editore, Massafra  Melania Anna Duca, Nicola Andria: Epistolario (1775-1794). Lettere a Canterzani, Haller e Spallanzani, Antonio Dellisanti Editore, Massafra. Melania Anna Duca, Nicola Andria et les origines de la psychiatrie moderne. Une contribution historiographique, in «Psychofenia», n. 23,  Melania Anna Duca, Troubles de l'alimentation, hypocondrie et mesmérisme en Nicola Andria, in «Psychofenia», n. 24,  Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Niccolò Andria  Sito dedicato al medico e filosofo Nicola Andria, su nicolaandria. 21 ottobre  15 maggio ). Felice Mondella, «ANDRIA (D'Andria), Nicola», in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 3, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1961. iFilosofi italiani del XVIII secoloFilosofi italiani Professore Massafra Napoli. Francesco Nicola Maria Andria. Andria. Uno de' fenomeni piùs orprendenti, che nell'immensa università delle cose continuamente si ammiran, è senza dubbio la vita, o sia quel l'assortimento di circostanze particolari che à luogo negli esseri organizzati, e che decide del la loro individuale esistenza. La qual cosa fa , che riesca un tal fenomeno per noi anche il più importante, non solo per l'interesse che la no stra curiosità ne prende , come di un affare che tanto da vicino ci riguarda , ed è tutto nostro privativô;ma dippiùperl'impegno,incuina turalmente ci dee mettere,di ravvisarne le prin cipali molle , ed i mezzi percið di farlo corre re alla lunga , e con passi meno stentati è più sicuri . Disgraziatamente però è accaduto per conto della vita quello che à soluto sempre avvenire trattandosi de'gran fenoineni della natura,tutte le volte che si è dall'uomo concepito l' ardito disegno di rischiararli , o d'interpetrarli in qua lunque modo . A fronte de profondi misteri del l'immmensa ed eterna meccanica , colla quale  a2 l'Au. / 582663   |Autordeltuto à volutoche sian le cose di sposte ed ordinate , la forza dell'umano intendi mento si trova per l'ordinario talmente oppres sa dalla propria picciolezza ed imbecillità ,che o totaliñente impossibile 'le riesce di penetrarvi dentro tutto si è abbandonato all' osservazione ed all'indagamento de solifatti. Col favore di un metodo cosi servile, che è pur .quello di cui la Natura si compiace , è permesso alle volte di giugnere allo scuoprimento di qualche picciola. edisolataverità,laqualeincanto senzal'aju. to di altre innumerevoli , all' intendimento u m a notuttaviaignoteenascoste sarà . tana dal render piena e perfetta ogni nostra cox poscenza . Nelle cose qui da noi rammentate ; e che da ogni uomo anche di niuna esperienza son fa cilmente ammesse econosciute,sembra esser con tenuta la ragione , perchè nella cognizione del ,  appena fes 4 1% è concesso di conoscerne le più esterne apparenze ; o pur finalmente j sem brandole di esser riuscita nel suo disegno , real. mente non fa altro ,che deliraré e perdersi die tro la brevità e l'inezia delle sue idee.Se qual che volta diversamente è avvenuto ; è stato appunto, quando diffidando l'uomo di sèmedesi sempre lon   dine  Ma pur bisognerà convenire,che fra le dif ficoltà, onde1'umana ragione trovasicontinuar mente inceppata,ed in mezzo delle tenebre,che l' avvolgono e rendono i passi suoi sempre vam cillanti ed inceni ,qualche verità di primo or 5 fenomeno della vitatanto picciolo avvanzamena to si sia finora fatto , quanto ognun sa ; non ostante l'importanza del medesimo , e la forza colla quale , come si è già osservato , à dovuto richiamar sempre a sè l'attenzione e l'indagine umana . Ne fanno testimonianza le tante cose , che in tutte l'epoche della Medicina se ne sono dette ed.i tanti sistemi che se ne sono imma ginati.Iquali,adireilvero altroapparato per lopiùnonanno chediunapesanteerus dizione,quella cioè che ordinariamente pud tro varsi nella storia delle idee e de'pensierialtrui , ricavati non dalla natura,ma dal fondo di un'im maginazione ,spesse fiatę riscaldata,e mal pre venuta . E se ammirazione qualche võlta pare che tai sistemi si abbian conciliato , cid solo va inteso per parte di coloro , che senza conoscer l'arte ben difficile di saper non sapere , e privi perciò di ogni criterio , tutto ammettono ed in gojano ,contenti della sola apparenza , o di qual che picciolo inal concertato artifizio.   dine alle volte si rinviene,che una facile e ge sterale osservazione fa saltare agli occhi della maggior parte,o che gratuitamente si trova dal la Provvidenza accordata per intrinseco ed essen ziale appannaggio dell'umano intendimento .In una tal rubrica dee principalmente quell'assioma registrarsi di logica universale , in cui è stabili to secondolediverseinnumerevoli circostan. ze ,che possono aver luogo nella grande ,e nel laminuta esempreugualmentesorprendente meccanica della Natura . Ne inutile sarà ora di osservare ,che una tal cosa sembra trovarsi prin cipalmente verificata nel gran fenomeno della vi ta , ove gli Uomini fin dal principio an dovuto conoscere ed ammettere una forza,che unicamen te ne decide.Del che ne abbiamo un argomento non equivoco nel privilegio,col quale un tal fe nomeno à solo meritato di esser nel comun lin guaggio annunziatocon una parola,ladi cui eti mologia vien precisamente in quell'altra voce  che in Natura niun fenomeno vi sia senza una forza che lo produce , e che il principio perciò di ogni movimento , o azione , o fenome no che si voglia dire ,in una forza consiste.Se non che questa forza medesima può esser sem plice o composta , intrinseca o altronde ricerca ta con   71 contenuta,che per immemorabile universal con: senso altro che forza non à soluto mai indie care (a). Questa semplicissima osservazione , che è pur vera e grande e da ogni ragion sostenuta , sembra la più atta a somministrare un solo pune to di appoggio , onde alcuno possa spingersi in un'analisi profonda delle cose della vita ; e in tal modo potrà ben procacciarsi di che ragione, volmente contentare la sua curiosità,e,ciò che importa molto di più , soddisfare quella cocente natural sollecitudine ,che ognuno à di render la propria esistenza,per quanto all'Uom permes so,piùdurevoleemenoinfelice,Almenocosi sembrando al nostro corto intendimento ,prendes rem volentieri una tal traccia per ordinare l'ana lisidellavita eportarlaperoratantoinnan zi,quanto dalle nostre deboli forze, e dallo sta to attuale delle nostre cognizioni potrà esser permesso . E mentre questo , e non altro , sarà (a) "Vita" viene da "vis", come anche "virtus", "vir","virilitas", le quali parole tutte fignificano forza : o ciocchè nella forza consiste, o la contiene    Nella..considerazione mo difare,ilprincipalsegno dellenostremife che qui ci proponia ilnostroprincipalfine ciifaremundoveredi non andarci divagando in altre cose aliene dal medesimo, o poco atte a raggiugnerlo.Eviterem soprattutto le citazioni ; ed ogni esame di opi nioni diverse ed il rischio perciò di attribuir ad alcuno ciò che ad altri appartiene e di andar nuovendo picciole ed inutili gelosie . Contenti di prender dal sacro deposito della Scienza ciò che al nostro bisogno potrà esser bastante , la --scerem ad ogni depositario poi la cura di riven dicar il suo , tutte le volte che lo crederà o p portuno al proprio interesse · Per noi, l'avrem certamente a singolar fortuna quando ci venisse accordata la sola scarsa lode ,.che neppur a coa loro sinega,chenon potendo per naturale inet titudine alcun vantaggio recare,se ne dimostra no almeno premurosi ed invogliati . Della qual nostra buona volontà ci lusinghiamo che ottima testimonianza ce ne potrà principalmente venire da Giovani che alle nostre lezioni an sempre assistito , o da chiunque altro che non isdegna di trovar tuttavia buono per il suo uso ciò che per mezzo nostro l'è potuto in qualunque modo pervenire. sarà    sarà l'assioma di sopra stabilito , dal quale si potrà per avventura losviluppo ottenere di con seguenze importanti , che disposte con metodo dalla natura istessa suggerito , ci potran forse a quel termine condurre , che formerà ora l'og geito principale di ogni nostra ricerca. Se la vita dunque in una forza consiste 3 che continuamente si esercita bisognerà neces sariamente supporre attaccataed inerente una tal forza alla macchina che vive, Questa qualunque facoltà che negli esseri organizzati risiede per vivere , si è voluto in questi ultimi tempi ecci tabilità chiamare.In vece di una tal parola,non saressimo ripugnanti, che quella ancor si usasse di vitalità,e d'irritabilità universale,e di for za nervosa,o altra qualunque di simil calibro ; le quali ancorchè si sia preteso che possan cose diverse designare , in ultima analisi perd real mente non sono intese,che adichiarare il prin cipio generale della vita considerato dadiversi lati, o sotto forme diverse . Fra 'l' espressioni o r qui accennate noi intanto riterremo laprima, si perché si trova bastante per esprimer ciò che accade ,si perchè troviam un tal nome già qua si universalmente ammesso .COM  9 b > ? Vi sarà anche per foi un altro motivo , quello cioè di potersi tal Osserv.   lità 1  + 10 cosa in questo modo rappresentare , qual da noi si crederà più opportuna , senza esser obbligati di ammetterne qualunque altra corrispondente al le altrui idee . Una definizione , che venga a tempo , toglierà sempre ogni equivoco ,che nel le diverse maniere di immaginare può aver luo go , ogni volta che con una sola voce sia venu to il talento di annunziarle . E ' un fatto costante che durante la vita si sentano dagli esseri organizzati le impressioni , che molti agenti son capaci di farvi , ed alle quali si risponde sempre con del movimento , o con un particolar senso che si risveglia . L'ec citabilità è quella su di cui cade l'operazione di ogni natural agente . Questi agenti medesimi si an poi voluto chiamare stimoli,e il prodotto della di loro operazione eccitamento . Il quale non dichiarandosi altrimente che per mezzo del moto,edelsenso,possonoben quindiqueste due cose rappresentare le forme principali del medesimo.Sembra dunque che per la vita vi bi sogni l'eccitabilità da una parte onde viene il senso ed il moto ,e dall'altra il concorso de'sti. moli onde l'eccitabilità si mette in azione .Sena za eccitabilità l'operazion de'stimoli è inutile, e niuna vita produce , e senza stimoli l'eccitabi   Tutti gli stimoli poi , per ragion della di loro intrinseca particolar natura  lità non è richiamata'a qualunque azione , ed alle ordinarie forine di eccitamento . si sono divisi in esterni , ed interni . Nella classe de primi l'aria va messa , ed ilcalorico,e laluce,ed il cibo,ed il sangue, ed ogni altra material cosa , quam li da noi si sono considerate sempre come gli stia moli della vita ,econ tal frase le abbiamo an che indicate tutte le volte che ci è toccato d'in terpetrarle . Di questi stimoli intanto mentre che gli esterni molte volte bastano a risvegliare un giro di eccitamento e di vira comune niera di operare , e diversa m a 9 a tutti gli esseri orginizzati , non bastano poi senza il concorso degli interni a costituire una vita per feita , com ' è quella dell'uomo , fra tutti gli al tri esseri che vivono il primo certamente ed il più nobile. gli organ può operare. Per interni al contrario s'intendono i movimenti dell' animo e quindi ogni morale azione , che non lascia pur in una maniera dichiarata di rimbombare sugli organi del corpo , Corrisponde tutto ciò perfettamente a quello , che gli antichi delle sei cose , c o m u nemente dettenon naturali,intendevano,le che fisicamente su Quan b2   Quando l'affare è precisamente considerato me' termioi finora proposti , niuna conseguenza potrà dedursi onde favorir dichiaratamente lo statoattivo,opassivodellavita.Ogni quistio ne diventerà perciò inutile,e sarà dissipato si. milmente lo scandalo , che alcuna delle opinioni accennate potrebbe recare a chi non ama occu parsi delle cose profondamente . Trattandosi di opposti,facilmente possono diuna medesima co sa intendersi , quando questa si consideri sotto i vari suoi aspetti,o in circostanzediverse.La vita a senso nostro può ben rappresentare uno stato passivo guardata per un lato ,e nel tempo stesso uno stato pienamente attivo guardata per 1'altro.L'eccitabilità,o siailgerme immedias to della vita relativamente ai stimoli de' quali nulla può valere, è assolutamente pas siva.Ma addiviene di botto attiva dietro l'azio ne de' stimoli medesimi , ricavando dal suo pro prio fondo quell'energia ed attività,che spiega nell' eccitamento.Si potrebbe da alcuno chiamar: reazione quella dell'eccitabilità.Ma questa reaa. zione medesima non è a buon conto che una lità dunque è passiva relativamente ai stimoli , vera azione qualunque abbia potuto essere il motivo , ed il modo di risvegliarsi. L'eccitabi  senza , atti   attiva relativamente all' eccitamento ed a tutto il resto che ne può venire.Con una tale inter petrazione possono dunque benissimo restar con ciliate le due idee opposte , le quali si trovano ugualmente vere , allogandosi ognuna nella sua propria nicchia . Nè converrà dimenticarsi in questa spezie d'indagine ,che non essendovi azio ne in Natura , che non sia il prodotto di un'al tra , per l'intelligenza della prima basterà cono scere ed ammettere quella , che inimediatainente laprecede,eneformaperciòlacagione imme diata . Perchè altrimente per uscir d'imbarazzo', e finirla presto , Essendo una verità di fatto l' eccitabilità ; ossialafacoltà cheàlamacchinaviventedi e muoversi , non lo sarà meno il doversi quella trovar. sempre inerente alla maça  13 si potrebbe da principio ricor rere alla suprema volontà dell'Autor del tutto , ove senza contrasto alcuno incomincia la serie alternadicagioniedeffetti,chel'immensa ca tena rinchiude delle cose del Mondo . Ma in tal modo bisognerebbe pur convenire ,che invece di sciogliereilnodo nonsifarebbealtrocheru vidamente tagliarlo ,e distruggere così ogni fi lo,nel quale è unicamente raccapezzatol'ordi ne delle cose . poter sentire chig   di ravvisarvi distintamente l'uomo os e l'uomo arterioso , e l'uomo muscolare ed il nervoso ,  14 china suddetta in tutto il corso della vita . a tutti i peza non che può nascere il dubbio , che una tal fa coltà risiegga ugualmente applicata a tutti i zi della macchina vivente,o pure alcuno ve ne sia onde si propaghi , e venga agli altri comu nicata . Vi sono de' Fisiologi che nella costitu zione della macchina animale vi ravvisano tante parti , che con un singolar andamento dimostra no di esser molto fra loro diverse Se , quantunque poi tutte intese alla formazione di quelli uno , che l'intera macchina rappresenta e cosi di tutto il resto . Corri sponde tutto questo apparato di nuove parole, o per Si an voluto insignire col nome particolare di sistemi , ed è quindi insorto il sistema irrigatore , il sistema assorbente , il nervoso , il muscolare , il cellula re , e ogni qualunque altro che il bisogno potrà richiedere . Vi è stato chi segnando con mag gior precisione i contini diversi di cotai siste mi , per rilevare in tal modo l insigne differen za che fra i medesimi sembra passare ,e la gran parte che ciascuno di essi nella costituzione del corpo prende , non à avuto difficoltà nella con siderazione , che à voluto fare della macchina umana seo ,   Noi intanto non sapressimo cosi facilmente intendere quanto la particolar considerazione de' pezzi della macchina animale, principalmente di versi fra loro per la diversità delle forme,o di altre circostanze non essenzialiallaparticolar na tura della di loro pasta originale , possa contri buire a far ravvisare l'eccitabilità nel suo unico e vero e general aspetto . Sembra la medesima esser qualche cosa di cale importanza , alleforme,oadaltreminoricircostanzeappar tenga,ma bensi direttamente alla pasta già ram  15 e per dir meglio di parole usate con nuova regoa la , a ciò che da altri con tuono più semplice ediungustopiùantico manelfondosignifi. cante lo stesso , si è derto sostanza cellulare vasi,enervi,emuscoli',eossa nel farne la particolare storia , e stabilire colla medesima i fondamenti della Fisiologia . Prima di passare ad altri argomentinon sa ràsuperfluo soggiugneranche qualchecosasul flo gisto,affinchèintalmodo iprincipiantis'istruisca no di una dottrina ,la quale ne'tempi precedenti haavutotantoluogo intutteleteoriechimiche. E'anzi a tutti noto di essersi introdotto qua si universalmente l'uso di questa vocabolo an cora nelle altre Scienze . I Chimici , dopo di Sthal, pretendevano generalmente che dovesse  X 68 X in   X 69 X intendersiper flogistoquella talcosa,che ata caccandosi a'corpi producesse in qualunque modo il principio della loro infiammabilità .si altri. buivanoin oltre al medesimo moltissimi altri fenomeni. Siccome nella combustione si raduna una grandissima quantità di fuoco, di cui prima non eravi alcun vestigio,cosi Sthal sorpetto che in questa operazione si sprigionasse quel fuoco , il quale trovavasi nascosto nel corpo infiammabile . Questo fuoco nascosto in modo da non dar segno della sua presenza costituiva il flogisto . E quindi si ravvisaa primo colpo d'occhio, che il fogi sto fosse indentico col calorico aderente . M a la natura de'fenomeni richiedeva che quello com stituisse un ente di suo genere , trasfersisi tutto intero da uno in un altro corpo . Quindi bisognò immaginare una materia ,o sia una base , alla quale il fuoco , o sia il calorico , si at taccasse ed in certo modo addivenisse fisso, cosi composto acquistasse un'adesione colle para ti de' corpi infiammabili . Nella prima edi zionediquestenostreistruzionicisiamo indu striati di esporre questa teoria, sostenendola con tutte le nostre forze; e per lo spazio di quasi cinque lustri ce ne siamo serviti nel ri schiarare tutti gli argomenti chimici. Ed in ve ro colla sua applicazione vedevamo che i feno meni non restavano spiegati con molta infelici tà . Questo è stato ancora conosciuto da ruta ti i Chimici di gran nome , che fiorirono dopo di Sthal, onde la teoria del flogisto si era qua potesse  affinchè E3 si >   X 70 X siresa universale fino a'tempi presenti.Non può negarsiperd,chenonmaiiltlogistocosi inimaginato siabbiapotuto apertamente diinostra re ; e dal fin qui detto si deduce la sua ipotetica composizione.Cid non ostante era una teoria comoda , ed avea il suo luogo per mancanza di una migliore.Il progresso però della Chimica pneumatica , il quale a tempi nostri è addivenu to grandissimo, non solo l'haresa sempre più dubbia , ed inetta alla spiegazione de'fenomeni ; ma ( quello che magiormente importa ) ne le hasostituitaun'altra meno ipotetica,e più corri spondente aifenomeni.Eglièvero,cheifau tori dell'antica teoria abbiano fatto grandissimi sforzi per conciliare tutte le nuove teorie col flogisto ; ma ora senza difficoltà può dimostrarsi che questi sforzisiano stati infelici,come biso gnosi sempre di nuove finzioni, o di false in terpretazioni. Keywords: chimica filosofica, implicatura bio-chimica, biologia filosofica, teoria della vita, vita, virtu, virilita – l’implicatura flogistica – Grice: what science? Palmistry? What deliverance? Phlogiston theory? Rhetorical questions: he means No and No. Or non rhetorical and they are formidable obstacles to his constructive realism about which he could care less!--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Andria” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689457873/in/photolist-2mUz2t3-2mTzWxT-2mPpmMv-2mKGVU3-2mKF6Rp-2mKBYZx-2mPvmTf-2mJd7nN-2mJ4GHU

 

Grice ed Angeli – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Grice: “I like Angeli – I’m glad he dropped the ‘degl’angeli” – but then I would because he is into the infinite (insert infinity symbol here) as so am I – mainly in my elucidation of that Anglo-Saxonism of Indo-European origin (Latin, ‘mentatum,’ ‘mentitum,’ ‘mentitura,’ dicitura) – ‘mean’ – I refer to a self-referential clause to solve the problem, but then I also refer to Plato on geometry and the idea of a ‘de facto’ versus ‘de iure’ instantiation of a ‘regressus ad infinitum’ – So Angeli is bound to charm me!” Frate dell'Ordine dei gesuati, nel 1668, con la soppressione dell'Ordine voluta da papa Clemente IX divenne prete secolare. Delfino e fedele allievo di Bonaventura Cavalieri, insegna a Padova. Fu l'unica voce autorevole di fine Seicento che continuò a difendere la teoria degli infinitesimi, in palese conflitto con i gesuiti.  Si dedica allo studio della geometria, continuando le ricerche di Cavalieri eTorricelli. Passa quindi alla meccanica, su cui spesso si trova in conflitto con Borelli e con Riccioli.  Opere: “Della gravità dell'aria e fluidi, esercitata principalmente nei loro omogenei” (Padova, Cadorin); “Problemata geometrica sexaginta” (Venezia, La Noù); “De infinitorum spiralium spatiorum mensural” (Venezia, La Noù); “Accessionis ad steriometriam, et mecanicam” (Venezia, Noù); “De infinitis parabolis, de infinitisque solidis ex variis rotationibus ipsarum, partiumque earundem genitis” (Venezia, Noù); “Miscellaneum geometricum” (Venezia, Noù). Note  Fonte: M. Gliozzi, Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in .  Mario Gliozzi, «ANGELI, Stefano degli», in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 3, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1961. Àngeli, Stefano degli, in TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Amir Alexander, Infinitamente piccoli. La teoria matematica alla base del mondo moderno, Torino, Codice edizioni, 353.Kirsti Andersen, "Cavalieri's method of indivisibles." Arch. Hist. Exact Sci. 31 (1985), no. 4, 291-367  Stefano degli Angeli, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Stefano degli Angeli, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Stefano degli Angeli, su MacTutor, University of St Andrews, Scotland.  Opere di Stefano degli Angeli / Stefano degli Angeli (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl.  Pietro Magrini, Sulla vita e sulle opere del Padre Stefano degli Angeli matematico Veneziano del sec. XVII memoria di Pietro Magrini, letta all'Ateneo Veneto 10 Luglio 1862: Estratta dal Giornale Arcadico; tomo 45 della nuova serie, Tip. delle belle arti, 1866. Filosofia Matematica  Matematica Categorie: Matematici italiani del XVII secoloFilosofi italiani Professore1623 1697 23 settembreMorti l'11 ottobre Venezia Padova. Stefano d'Angeli, veneziano, lettore nello studio di Padova, provinciale veneto della sua religione de' gesuati, che fu soppressa, e discepolo di Cavalieri, di cui scrisse, 'Herculem geometricum alterum Bonaventuram sc. Cavalerium, cui devotione i habitu sui conjunitillimus eiusque sub disciplinis tyrocinium in geometria ad novem dumtaxatmenses, ipso a vivis mei mortali angore, qui tunc ad eram, o geometrarum omnium luctus, aciactura sublatum, posui auspican tillinum, orc: Siren de celebre Cavalieri colle molte opere, che manda alla luce, e spezialmente per la sua geometria degl'indivisibili, l'origine della utilissima analisi degl'infinitamente piccoli, come Itall'oinne fanno menzione i Chi ariss. Giornalisti. Ma sono opere dell'Angeli: "Problemata", "De infinitis parabolis", "Miscellaneum hyperbolicum, o parabolicum"; "Miscellaneum geometricum", "De infinitorum spiralium spatiorum mensura". Le Considerazioni sopra la forza di alcune ragioni Fisico-matematiche addotte da Riccioli nella sua "Astronomia Riformata" *contro il sistema copernicano*; le seconde *contro il moto diurno della terra piegato da Manfredi nelle risposte alle prime riflessioni di Stefano de Angeli; le terze e le quarte sopra la lettura di Borelli sopra la confermazione di una sentenza dello stesso prodotta da Zerilli , ecc; "Della gravità dell'aria, e de'audi"; "Dialoghi due" ;ed altri tre gli stampo.  The concept of infinitesimal was beset by controversy from its beginnings. The idea makes an early appearance in the mathematics of the Greek atomist philosopher Democritus c. 450 B.C.E., only to be banished c. 350 B.C.E. by Eudoxus in what was to become official “Euclidean” mathematics. We have noted their reappearance as indivisibles in the sixteenth and seventeenth centuries: in this form they were systematically employed by Kepler, Galileo's student Cavalieri, the Bernoulli clan, and a number of other mathematicians. It was Galileo's pupil and colleague Bonaventura Cavalieri (1598–1647) who refined the use of indivisibles into a reliable mathematical tool (see Boyer [1959]); indeed the “method of indivisibles” remains associated with his name to the present day. Cavalieri nowhere explains precisely what he understands by the word “indivisible”, but it is apparent that he conceived of a surface as composed of a multitude of equispaced parallel lines and of a volume as composed of equispaced parallel planes, these being termed the indivisibles of the surface and the volume respectively. While Cavalieri recognized that these “multitudes” of indivisibles must be unboundedly large, indeed was prepared to regard them as being actually infinite, he avoided following Galileo into ensnarement in the coils of infinity by grasping that, for the “method of indivisibles” to work, the precise “number” of indivisibles involved did not matter. Indeed, the essence of Cavalieri's method was the establishing of a correspondence between the indivisibles of two “similar” configurations, and in the cases Cavalieri considers it is evident that the correspondence is suggested on solely geometric grounds, rendering it quite independent of number. The very statement of Cavalieri's principle embodies this idea: if plane figures are included between a pair of parallel lines, and if their intercepts on any line parallel to the including lines are in a fixed ratio, then the areas of the figures are in the same ratio. (An analogous principle holds for solids.) Cavalieri's method is in essence that of reduction of dimension: solids are reduced to planes with comparable areas and planes to lines with comparable lengths. While this method suffices for the computation of areas or volumes, it cannot be applied to rectify curves, since the reduction in this case would be to points, and no meaning can be attached to the “ratio” of two points. For rectification a curve has, it was later realized, to be regarded as the sum, not of indivisibles, that is, points, but rather of infinitesimal straight lines, its microsegments.  La prima opera alquanto diffusa, ch'egli c o m pose e pubblicò in Venezia nel 1658 , ha per titolo: Problemata geometrica sexaginta circa conos, sphae ras, superficies conicas,sphaericasque praecipue ver santia. In questo volume sono svolte con tutto il rigore della scuola dottrine,che in tali materie fan no continuazione a quelle di Archimede e di A p o l lonio Pergeo. Frequentissime occasioni gli si pre sentano di usare la teoria degl'indivisibili,e fra que ste è la tesi,dove dimostra che il conoide parabo lico è la metà del cilindro ad esso circoscritto. Il grande Newton nella sua Arithmetica Univer salis si occupa anch'egli a lungo di questa propor zione, perchè la prende come suo tipo ad insegnare la maniera, con cui l'analisi algebrica debba asse starsi alla risoluzione delle questioni geometriche; ed è in questo luogo ch'egli stabilisce le regole , che poi servirono a tutti gli analisti di norma in così fatti esercizii. L'inglese geometra , dopo tutte le opportune considerazioni, arriva a darci  riphaeria subtendatur ab ipsis. pe per satemi il termine, confermò ed ampliò con più s o lenne espressione nella molto profonda sua opera di recente pubblicazione, che versa sui Porismi di Euclide . E d eccovi esperte tutte le riflessioni che m'indussero e m ' incoraggiarono a passare a rasse gna i lavori dell'uorno che mi proposi oggi di farvi ricordato . In mezzo ai tanti curiosi problemi di questo li bro trovai degno di menzione quello così annunziato: Datis tribus lineis invenire semicirculum cuius risoluzione del problema una equazione del terzo la   Quello che alcun poco potè turbarmi nell'esame di questa opera si fu la qualche importanza , che il nostro degli Angeli sembrava attribuire al così detto paradosso geometrico , perchè abbagliò lo stesso Galileo, ed è che il centro di un cerchio è eguale alla sua circonferenza. Questo giuoco di parole,che come vedesi non presenta alcun senso se non as surdo, era un fatale intoppo nel quale si urtava quasi sempre nell' uso del calcolo degl' indivisibili, ed eccovene l'origine.  ! 20 grado,dicui,come è notissimo,non puòfarsila co struzione se non per mezzo delle coniche sezioni. La sola riga ed il compasso non possono qui essere usate allo scopo, se non nel caso, in cui due delle date rette sieno eguali,poichè in allora l'equazione cubica può comodamente venire abbassata al grado secondo. Il degli Angeli scioglie i due casi , senza la face dell'algebra,che allora non era accesa,l'uno per locum planum, secondo illinguaggio scolastico, e l'altro per locum solidum. Le sue costruzioni sono elegantissime,e mostrano chiaro che istintivamente anche gli antichi avevano un -segreto oracolo di a n a lisi, che domesticamento consultavano,ma non fa cevano vedere al volgo. Vi risovvenga, o Signori, di quei due solidi d e scritti da me poco fa, cioè di un emisfero e di un cilindro incavato da un cono rovescio,cilindro che lo circonda, dei quali così facilmente si appalesa. l'equivalenza. Or bene : questa equivalenza si de duce col provare, che tagliati dovunque idue corpi con un medesimo piano segante parallelo.colla base comune d'entrambi, il circolo nato nell'emisfero   eguaglia a puntino la zona circolare spettante al cilindro incavato. E siccome ciò ha luogo per ogni piano segante immaginabile, dicevasi con molta fretta che ciò doveva effettuarsi anche nel piano tangente alla sommità della superficie sferica ; il che, come si vede, presentava da una parte un centro (cioè il punto di contatto) e dall'altra una circonferenza, cioè lo spigolo nudo del cilindro terminato; dunque per la presa analogia,il centro, cioè quel punto di contatto, doveva essere eguale a quella circonfe renza . Noi lo accorderemo di buona voglia, se sono così teneri di questa inezia , poichè sotto il riguardo di superficie (e qui si tratta di superficie soltanto) così il centro come la circonferenza si possono egua gliare,perchè sono entrambi eguali a zero; ma que sto strano vaniloquio non può insorgere a pretesa, se non in quei casi speciali , ove si richiama ad uno stato anteriore di rapporto , e non può certo aver modo di entrare quando sitrattassediun qua lunque cerchio isolato in un piano. Bastava riflet tere che il ragionamento dimostrativo non era ri volto che a' piani seganti; dunque il piano tangente non v'entrava se non ad indicare il limite dove il rapporto di eguaglianza andava a cessare.La man canza di un linguaggio ben formato, e che ci fu dopo dalla teoria dei limiti perfezionato, impedì forse la spiegazione chiara del sofisma per parte Questa menda del nostro autoreriflessa sopradi lui dallo splendore di un gran nome ,è a dismisura can cellata dai tanti lavori di gran lena ch'ei porse nel seguito. Tale è il suo Miscellaneum hyperbolicum  21 di tri cotanto valenti e degnissimi di rispetto. geome   pubblicato nel 1659 , e dedicato agli Illustrissimi Cinquanta del Senato di Bologna in contrasegno di gratitudine per quella illustre città ; nella quale sua opera tratta profondamente dei centri di gra vità dell'iperbola, delle sue parti e di alcuni so lidi , dei quali nessuno fino allora aveva parlato. Insegna a quadrare la parabola in doppia manie ra ed a guidare le tangenti a tutta la famiglia pa rabolica. Sulla parabola inoltre e sui co noidi di essa risolve curiosi problemi spettanti ai massimi , inscrit tibili ed ai minimi circoscrivibili. In questo suo li bro l'autore ambisce di pretendere alla priorità sul la Faille e sul Guldino medesimo , il quale nella rinomata sua opera Centro -barica , così confessa la sua mancanza in questo proposito : deest hoc loco hyperbolae ejusque partium centri gravitatis investi gatio . L'opera uscita dalla sua penna nel 1660 è m e ritevole di ricordanza,tanto per la persona alla quale viene dedicata, quanto e molto più per la materia che l'autore vi ha svolta. È stato umiliato quel lavoro all'eminentissimo cardinale Gregorio Barbarigo, Patrizio Veneto, ve scovo allora di Bergamo, e che in seguito , come tutti sanno, fu vescovo di Padova e morì nel 1697, cioè l'anno medesimo della morte del nostro degli Angeli, ed il quale vescovo fu poi annoverato fra i beati dal suo concittadino Carlo Rezzonico,Papa sotto il nome di Clemente XIII. La dedica, o Si gnori, era degnissima,poichè sappiamo dalla storia della vita del Barbarigo .ch'egli era dottissimo nelle cose matematiche, e per ciò sembra che a buon di  22   Parlando della materia del trattato,che s'inti tola De infinitorum spiralium spatiorum mensura , ella valse a collocarlo in un gran posto fra i geo metri del suo tempo: e quel soggetto fu poi anche ampliato coll'aggiunta ch'ei vifeced'un altro trat tato, detto De spiralibus inversis, stampato in P a dova nel 1667. Fine a quell'epoca gli antichi a v e vano assai beve conosciuto ed usato le proprietà , gli spazi, le tangenti della Spirale di Conone o di Archimede,ma di poco o nullasieravarcatoque sto termine. Il degli Angeli ci racconta egli stesso di essere stato parecchie volte stimolato a scandagliare più a fondo in questo mare,quando trovavasi in Roma . E quelli che così eccitavanlo erano un Michelangelo Ricci,da lui chiamato il Corifeo degl'italiani geo metri, al che fece eco pienamente anche il Montu cla; poi un Francesco Slusio, riputato geometra fran cese, ed infine un matematico inglese di fama, Ric cardo Albio . Essendo egli allora troppo giovane ri cusò di affrontare cotali gravi ricerche, confessando modestamente il carico non trovarsi adattato agli omeri suoi. Ma più tardi,essendo in Venezia, e ri svegliatosi in lui colle nuove forze acquistate a n che il coraggio , intraprese lo studio delle infinite specie di spirali, e fu allora riverito per la novità dell'argomento e per la profondità della trattazione. Dopo di lui altri valenti coltivarono questo campo e lo trovarono ancora fecondo. Se non che la glo ria di esaurire in tutta la sua estensione un tale argomento era riservata al più moderno chiarissimo  23 ritto e senza lusinghe il degli Angeli lo invocasse col nome di Geometrarum Mecenas peritissimus.   matematico Varignon,inuna bellissimasua memoria, citata spesso e spesso indicata a modello ai giovani studiosi , la quale si trova inserita nelle Memorie dell'Accademia delle Scienze di Parigi per l'anno 1704. Tuttavolta a non iscemare di un punto il meritodelVeneziano,tornaopportuno ilriflettere che quella Memoria straniera comparve 44 anni più tardi, e di quegli anni di abbondanza, nei quali ľ analisi ardita aveva tanta sua ala distesa. Copiusi problemi di tutte le specie riguardanti le aree delle figure piane ed i volumi dei solidi non che i loro centri di gravità , si contengono tanto nella seconda parte di questo libro delle Coclee , quanto nel Miscellaneum Geometricum prodotto nel  24 Alle ora accennate due opere va unita per m e rito d'interessanti investigazioni quella del 1661 De infinitarum Cochlearum mensuris ac centris gra vitatis,dedicata a Leopoldo II dei Medici,granduca di Toscana, quegli sotto i cui validiauspiciisi for m ò e crebbe l'Accademia del Cimento . In questo dotto lavoro descrive la forma delle infinite coclee sìstrette esìallargate,chesigeneranopermezzo di triangoli, di rettangoli, di semicerchi,ed altre fi gure piane scorrenti con duplice moto , l'uno circo lare e l'altro progressivo, con diverso rapporto di velocità; ed assegna col metodo degl'indivisibili i volumi di questi solidi strani ed apparentemente intrattabili. Si propone in tale memoria l'autore di continuare e di estendere la strada tracciata ed i n cominciata assai pregevolmente dal Torricelli , m a ehe questo celebre uomo per cagione di morte la sciava ad altri da percorrere.   1660 , quanto ancora nell'opera pubblicata nel 1662 , cioè nell'anno primo in cui era entrato nella Pa tavina Università e che si intitola: Accessio ad Ste reometriam et Mechanicam in qua traduntur m e n s u rae et centra gravitatis quamplurium solidorum.  25 . Nell'anno 1661 ideò un nuovo genere d'in vestigazioni nell'opera intitolata de Superficie U n gulae, a cui si unisce una seconda parte, che tratta de quartis liliorum parabolicorum et cycloidalium . Ciò che porgesse a lui il destro di mettersi a trat tare questi argomenti lo racconta egli nella sua pre fazione. Già nell'anno 1659 era comparso in R o m a un opuscolo de cycloide et de figura sinuum , che vantava per autore un Onorato Fabri Gesuita , sotto ilpseudonimodiAntimoFabio:ilbuondegli An geli s'invaghì di quest'opera ed indovinò che nella figura dei seni ivi celebrata latitabat non spernen d u m geometricum mysterium . E svelò a quanto pare pel primo ilmistero,dicendo che quella curva che noi chiamiamo sinusoide, altro non era che la sezione obbliqua d'un cilindro tagliato diagonalmente con un piano condotto pel raggio del quadrante base e sviluppata in un piano. Quantunque quell'Onorato Fabri non sia un nome molto onorato nella storia della scienza, poichè fu quest'uomo mai sempre av verso al Galileo e combattè ostinatamente tutte le belle scoperte dei giorni suoi, ilnostro matematico fa di lui qualche caso rispetto al citato libretto. Per altro è facile indovinare ch' ei lo faceva con una piccola dose di spirito di partito, giacchè sco priva nel Fabri un grande settátore del metodo del Cavalieri. E tanto anzi il Fabri lo usava con in 3   26 Quell'opuscolo per tanto del Fabri diede occa sione al degli Angeli di combinare problemi di tutte le specie intorno alle unghie cilindriche,ai loro cen tri di gravità, ai solidi da esse con varia maniera di movimento ingenerati. Raddoppiata la superficie svolta in piano dell'unghia cilindrica in tre modi diversi, egli costruisce una simmetrica figura, ch'ei chiama un giglio ungulare, dal quale poi altri gigli germogliano con altri ideati movimenti, e di tutta questa fantastica famiglia di figure aventi tutte per elemento l'unghia cilindrica , valuta secon do il solido le aree , i punti di equilibrio , i vari conoidi derivanti da quelle: e le stesse combinazioni, e gli stessi oggetti si propone nei suoi studi sulla semicicloide . Queste descritte, ed altre molte di eguale va lore, sono le opere geometriche del professore degli Angeli, opere il dobbiamo pur dire con ricresci m e n t o , le quali al pari di quelle di altri illustri suoi contemporanei non vengono più lette. La ragione di questo abbandono non è a mio credere soltanto il Fu quel secolo uno dei più brillanti e privile giati,sì per la moltitudine degli uomini di genio su periore, e si per la grandezza dei trovati. Sembra che la natura abbia voluto in quei giorni di deca  temperanza,che ilnostro autore a suo riguardo così si esprime: ut ad indivisibilium arenam percurrendam fraeno potius quam calcaribus indigere videatur. progresso della scienza ed il lasso del tempo , che corre da quelli a'nostri anni, poichè le verità m a tematiche non sono soggette aprescrizione di tempo; la causa più vera e profondamente morale.   27 denza delle lettere mostrare quanto ella era capace di produrre per largo compenso alla dignità del l'uomo. L'Italia prima del sapere maestra , dopo la barbarie dell'età di mezzo diede in questo se colo potentissimi e rinomati ingegni,un Luca Vale rio, un Galileo, un Torricelli, un Viviani , un C a valieri,un Pucci e moltissimi altri.Ma l'Europa produceva in quel tempo in altri climi il Nepero inventore del nuovo calcolo logaritmico, il Guldino scopritore di un nuovo cammino nello studio delle curve, il Keplero che tutti sanno, il Roberval; poi il Pascal, il Cartesio , il Newton; poi l'Huygens e la portentosa famiglia dei Bernouilli, e quel mira colo del Leibnizio, di cui tante si onora l'umano intelletto. E come la comunione espansiva di que ste straniere intelligenze fece salire a passi gigan teschi il sapere e lo unificava , è ben da credere che il tributo, che a questo cumulo di ricchezza l'Italia poteva recare, avrebbe certo accresciuto il tesoro della scienza o di molto accelerato ilsuo an damento nella matematica pura, come l'Accademia del Cimento fece già a pro' delle naturali scienze. Ma gl'italiani, rispettate alcune eccezioni,si tene vano in disparte nel purismo sintetico, ed offerivano solitari sagrifizi alla greca sapienza, benchè con at tività e maestria nuove ricchezze portassero a que gli altari ed a quei templi vetusti.E mentre sde gnavano di dare ad altri la mano nella grande in vestigazione della verità, ebbero talvolta a provare qualche umiliante disinganno;come avvenne fra gli altri al Viviani nel suo vantato Ænigma geometri eum, che ben presto fu spiegato in più modi ed    in più luoghi dagli oltramontani analisti. Attenutisi troppo scrupolosamente al linguaggio ed alle forma lità degli antichi, e non avendo voluto adottare quel calcolo algebrico, che tanto facilitava agli altri le dotte ricerche, si vennero a chiudere le porte per arrivare fino ai nepoti, e non rimasero le faticose ed ottime loro opere che come venerabili m o n u manti di storica scienza, che visitati non vengono se non da pochi pazienti eruditi. Mi si perdoni questa digressione, che per in tendimento aveva di mettere le produzioni del mio encomiato Stefano degli Angeli nell'aspetto sotto il quale è lecito oggi di riguardarle, e passiamo a par lare delle polemiche sue scritture.  28 È notissima nella storia della scienza la lunga lotta, che si riscaldò fra lui ed il Padre Giambat tista Riccioli Gesuita, uomo rispettabilissimo per la multiforme sua dottrina letteraria e scientifica, e so prattutto riputatissimo astronomo.Questo dotto pro fessore, che in compagnia del P. Grimaldi suo al lievo, giovò non poco colle sue esperienze a conser mare le leggi dei gravi cadenti scoperte dal fioren tino Filosofo, ebbe poi a macchiare inescusabilmen te il suo nome coll'essere divenuto uno dei più pertinaci combattenti, che mai facesse battaglia al grande Italiano sulla sua tesi del moto diurno della Terra. Ma il sapiente Riccioli non si teneva contento ai soliti plateali sofismi stiracchiati fuori dalle sagre carte dagl'ignoranti; egli invece si sbracciò a con trastare in sul serio quel movimento del globo con argomenti fisico -matematici. Oltre alla tante volte addotta difficoltà di concepire la rotazione della terra   a cagione della forza centrifuga, che dovrebbe ge nerarsi , a detta degli avversarii , in tutti i corpi terrestri nel moto circolare diurno,per cui la massa del globo ben presto verrebbe disfatta , argomento che si abbatte colla dimostrazione consueta che la velocità della terra dovrebbe essere 17 volte m a g giore dell'attuale perchè la forza centrifuga potesse eguagliare soltanto la gravità dei corpi , il Padre Riccioli aveva coniato un argomento fisico -m a t e m a tico tutto di suo gusto,al quale credeva che nes sun uomo di scienza potesse rispondere. Immaginatevi, ei diceva, che un grave siasi la sciato cadere dalla cima di una torreelevata,tanto che il corpo debba impiegare p. es. cinque minuti secondi per battere il suolo nella caduta. Dividendo quest'altezza in cinque parti nel rapporto dei tempi parzialidiquesta caduta con moto uniformemente ac celerato,cioè 1, 3, 5, 7, 9, figuratevi che il grave abbia ricevuto l'impulso da occidente in oriente a principio , c o m e voi pretendete , e troverete naturale ch'esso debba descrivere una curva. Ora il calcolo mi dimostra che le parti od archi di questa traiet toria rispondenti ai varii tempi summentovati sono pressochè eguali. Laonde le velocità del Il professore degli Angeli nell'anno 1663 , quando  29 questi varii tempi , rappresentate da quegli archi , dovranno essere eguali,cioè nell'ultimo tempo come nel primo; dunque il corpo cadente dovrebbe bat tere la terra colla stessa forza come nel primo i stante così anche nell'ultimo , lo che è contrario all'esperienza, e perciò questo vostro sognato moto della terra non può esistere. in corpo   già da sei anni si trovava all'Università di Padova , si propose di abbattere tutti gli argomenti dell'a stronomo Gesuita, e ciò fece trionfalmente in va rie riprese colle sue prime , seconde, terze e quarte considerazioni sopra la forza degli argomenti fisico matematici del P. Riccioli contro il moto diurno della Terra,stampate in Padova. La confutazione sparsa per quei suoi quattro opuscoli riuscì un poco lunga e forse prolissa, poichè la compose alla forma di conversazioni fra un certo Conte Lescysky, un si gnore Offreddi ed il Matematico di Padova , ch'era egli stesso. La lentezza dei ragionamenti e delle d e duzioni dipendeva naturalmente dalla forma in dia logo dell'opera, poichè metteva il personaggio prin cipale nella necessità di togliere le più piccole dif ficoltà ed obiezioni degli altri due interlocutori. Ma la sostanza delle ragioni del Matematico di Padova si ristringeva a mostrare che il Padre Ric cioli, per altri conti commendevole,siera mostrato con sua vergogna in questo affare, atteso lo spirito di partito, assai inesperto nelle leggi più comuni della Meccanica.Mostrò cioè d'ignorare che nell'urto dei corpi contro un ostacolo irremovibile, come il piano sottoposto alla torre , dipendere doveva la forza della percossa non tanto dalla velocità asso Juta, di cui è il corpo animato, ma ancora dalla di rezione con cui la percossa discende. La velocità accordata pure che sia eguale nell'ultimo tempo come nel primo, non è poi egualmente inclinata nel corso della traiettoria nei varii tempi rispetto alla verticale.Decomposta in fatti la velocità assoluta in in una verticale e l' altra orizzontale, soltanto la  30   Ad ogni modo questa lunga controversia fu tutta col vantaggio del nostro concittadino, ed ebbe nella sua schiera tutti i veri scienziati d'allora, e non solo per questo conflitto, m a per la più possente ragione, ch' egli fu per carattere uno dei più caldi sostenitori del progresso in tutti i rami delle scienze fisico-matematiche. Ed invero nell'anno 1671 faceva di pubblica ragione in Padova due lunghi dialoghi fisico-m a t e matici; e tre altri nel successivo anno 1672, che avevano per titolo Della gravità dell'aria e dei flui di esercitata principalmente nei loro omogenei: nei quali con amene conversazioni fra quegli stessi in  31 prima doveva operare nell'urtare; e siccome le in clinazioni della velocità nei varii tempi erano diverse, diverse pure dovevano risultare le componenti v e r ticali; e queste appunto si trovano, con facile di mostrazione, nello stesso rapporto crescente, come se non esistesse l'impulso orizzontale; e per ciò si conchiude che il moto della Terra per nulla si o p pone all'esperienza, e può ben anche con essa sus sistere. Rilevata così l'impotenza del grande Achille del Riccioli si usarono dall'autore tutti gli ar gomenti indiretti, che potevansi per allora mettere innanzi . Là prova diretta del movimento rotatorio della terra , come ben sapete, signori , era riservata ai giorni nostri; chè ce la diede quel preclaro ingegno del sig.Faucault, per mezzo del pendolo da lui idea to, e poi da quel suo giroscopio , che rende sen sibile il fenomeno fra le pareti d' un gabinetto di fisica.   terlocutori di sopra nominati , si svolgono tutte le leggi dell'idrostatica e si sciolgono le minute diffi coltà di certi paradossi , già noti in quella materia , e dei quali in allora ben pochi precettori davano una chiara spiegazione. Non pretende il nostro autore, com'egli asserisce con modestia nella introduzione, che queste súe composizioni contengano cose del tutto nuove e non tocche dagli altri ; m a essergli stato di eccitamento a scrivere il desiderio di gio vare ai nobilissimi scolari di quel sapientissimo s t u dio:i quali, diceva il nostro professore,camminando al dottorato pei ponti delle dottrine peripatetiche e delle formalità, poco o nulla vedevano della filoso fia sperimentale. La quale dichiarazione serve farci conoscere ad un tempo e lo stato delle p u b bliche istituzioni d ' allora, e gl' intendimenti del n o stro degli Angeli sul vero scopo degli studii pegli uomini socievoli. Ma non è a credere ch'egli con tato zelo del sapere calcasse unicamente le sole aride ed ardue vie della severa matesi e delle scienze. Abbiamo invece ogni motivo per ritenere ch'egli nella clas sica letteratura fosse molto perito, egli che per molti anni della sua fresca età n ' era stato precettore fra i suoi: egli che con tanta sveltezza di dicitura usò mai sempre familiarmente la lingua del Lazio. Ed inoltre nelle lunghe dedicatorie epistole, rivolte ai più distinti personaggi dello stato e della chiesa , lo troviamo come uomo familiarissimo degli ameni stu di spargere sali ed argutissime mitologiche allusioni, e questo con frequente uso ed anche abuso a se conda del gusto del secolo. Il Bresciano dottissimo  32   A coronare il monumento ,che oggi m'ingegnai d'innalzare in questo letterario ricinto al nostro c o n cittadino Stefano degli Angeli, non mi rimane che porvi sopra un'ultimaghirlandadifiori,cioèdifare ricordanza delle qualità dell'animo suo. E qui sarò breve poichè l'affare è assai vecchio . Questo sacer dote così esaltato e venerato dai suoi confratelli per più di trenta anni, così accarezzato e tenuto per familiare ed amico da tanti nobili e famosi per sonaggi, la intera vita del quale non respirò che osservanza scrupolosa dei proprii doveri, e fu inces santemente modellata alla ricerca e diffusione del vero, non poteva essere dotato che di bella indole e di soavi costumi. E mi basta ad accertarmene per tutte la testimonianza del più volte citato sto rico contemporaneo della Patavina Università , Carlo Patino, che col degli Angeli viveva domesticamente , ed il quale al suo riguardo si esprime con queste parole : Singularem Stephani comitatem , m o r u m » que suavitatem experiuntur quicumque illam d e » siderant , adeo facilis est omnibus , benignus et » beneficus. In ejus gloriam dictum sit nullum a » m e inventum , qui vel levissime de ejus dictis » factisque conquereretur ».  33 E qui darò termine alle mie illustrazioni sulla vita e sulle opere Mazzuchelli ricorda la corrispondenza che regnava fra il degli Augeli ed ilcelebre antonio Magliabechi, in assai scritti di argomenti scientifico-letterari , e questo legame col fiorentino filologo serve bastan temente a dichiararlo non istraniero al consorzio dei dotti contemporanei di tutte le classi. di questo insigne matematico   e filosofo veneziano. Il desiderio di togliere da ob blio ingiusto e di mettere in piena luce i diritti a fama non peritura di quest'uomo il nome del quale così stretto si lega ad uno de' trovati più belli dell'italiano ingegno, m'infuse costanza, e dolce mi sembrò la fatica nella lettura di opere,che at tualmente pei modi mutati sono poco leggibili. So che potrebbe taluno ricantarmi essere ilnostro pre sente così fervido d'interesse nella scienza e nelle sue applicazioni al materiale benessere della vita da impedirci di guardare addietro nei secoli che f u rono. Ma io penso che sia non ultimo fragl'inte ressi del progresso e di quelli che lo promuovono , il celebrare con sagro zelo la memoria ed il bene fatto dai trapassati. Imperocchè con questo g e n e roso operare tramanderemo un buon esempio ai n e poti, a quei nepoti  34 « che questo tempo chiameranno antico », di non mancare di gratitudine ai primi informatori del bello,dell'utile e del vero.Così impediremo loro di gettare addosso un guardo compassionevole sui nostri prodigiosi lavori, che ora vagheggiamo con giusto orgoglio , m a i quali per fermo, secondo mento delle mondane cose,si contenteranno in al lora di venire conservati e posti in opera come materiali alla costruzione di nuovi e più amati edi fizii . Stefano degli Angeli. Angeli. Keywords: implicatura stereometrica – parabola infinita – Grice’s infinity – regressus ad infinitum, i cinque solidi platonici – la scatologia di Platone – il cerchio infinito – concetto limite, ottimalita – fisica e metafisica, fisica e aritmetica – aritmetica e geomtria – il moto diurno della terra, il sistema di galileo – antropocentrismo, ferita narcissista.   Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Angeli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691533368/in/photolist-2mJPC2N-2mJd7nN-2mKuzCc-2mGnP2f-2mEiqh9-Bq5Mgn-2mKNBXW-CnnqJD-Bq15zv-CcQs8U-BpSpay-CcQyew-BpT4yh-BpLNTC-BNLT9Z-BpTLSD-BNFFPV-BpWgpV-ChVcoh-CcS92Z-CayY13-BLCyMr-Bm5wbr-Bw1gsc-nNAxcL-nNAkjj-nL5dnJ-nL5bPy-nKrDZR-o2Wc12-nZWxB5-o3cjTW-nJxceu-nJx6xb-nSSg3U-nuY6N7-nu7n1k-nu8c83-ncUvcj-nuoZdT-nuoVrV-nu8cDU-ncUAgf-nu85Xh-ncUzyJ-ncUxh9-ncUmCH-nsmsf7-nu4k8E-fZz6s8

 

Grice ed Angiulli – la dialettica della dialettica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Castellana). Filosofo. Grice: “I like Angiulli; especially since he brought some grice to the mill, as he crossed the pond to read “System of Logic,” but his heart is in Berlin --  he loved that monumental ‘aula magna’ where Hegel taught. “Once a Hegelian, always a Hegelian.” He loved Feuerbach because he multiplied dialectic – la dialettica della dialettica – Garin loved this!”  If there is a hashtag here is #metafisicacritica, since Angiulli oddly concludes with a synthesis: metaphysics (which includes the view that ‘la natura delle cose e la fenomenalita’) should be part of what he calls the ‘ricerca’ (and which Lakatos translated as ‘research’) --.” Grice: “I love the fact that Angiulli, seeing that Mill was so erudite yet never attended Oxford, thought that Oxford was perhaps ‘acccidental’” – Grice: “Another thing I love about Angiulli is that he can quote direct from greek, as in his note on nature spawning itself, without (a) the need to translate or (b) provide the boring stuffy academic source!” Importante esponente del positivism.  Inizialmente allievo di Bertrando Spaventa, uno degli interpreti del pensiero hegeliano in Italia, successivamente Angiulli si allontanò dalla scuola hegeliana napoletana dopo un soggiorno biennale di studi in Germania nonché in Francia e in Inghilterra, dove conobbe la sua futura sposa: Mary della nobile famiglia dei Romano di Patù, nipote di Liborio Romano. Aderì al positivismo, ma rifiutò l'agnosticismo di Herbert Spencer, mentre ritenne possibile giustificare la "religione dell'umanità" (di Auguste Comte) in base alle scienze positive.  Iniziò la sua carriera d'insegnante di filosofia nel liceo "Vittorio Emanuele" di Napoli. In seguito divenne professore di antropologia e pedagogia nell'Bologna e dal 1876 ordinario di pedagogia in quella di Napoli, dove fu anche incaricato dell'insegnamento di etica e di filosofia teoretica.  Fu più volte assessore alla pubblica istruzione nel Comune di Napoli dal 1884 e candidato senza successo al parlamento nazionale. Angiulli era ritenuto un progressista vicino al socialismo che egli invece contestava come dimostra la sua corrispondenza epistolare con Marx che aveva avuto modo di conoscere in Germania.  Massone, fu affiliato Maestro nella Loggia Fede italica di Napoli. Il pensiero pedagogico Angiulli riteneva che ci si dovesse adoperare per una riforma dell'istruzione in senso popolare e nazionale inserendo questo progetto nell'ambito di un rinnovamento dell'intera società che solo tramite l'educazione sarebbe riuscita a mantenere nel tempo le proprie caratteristiche. Occorreva dunque una fusione fra cultura, sistemi educativi e la politica sociale realizzando così il programma del pensiero positivista che, secondo Angiulli, ha un valore soprattutto pedagogico, di una pedagogia scientifica, secondo i dettami positivisti, ma anche letteraria e liberale.  La pedagogia quindi non potrà non tener conto dell'antropologia che dimostra l'importanza della famiglia come nucleo fondante della società e della sociologia che stabilisce il collegamento tra educazione e una politica laica e liberale.  È nella famiglia, secondo Angiulli, che avviene la prima forma di pedagogia dove il padre rappresenta l'autorità e la madre il temperamento, tramite l'affetto, dei comportamenti infantili: elementi questi essenziali destilla formazione armonica di un cittadino in grado di esprimere solidarietà sociale e volontà di progredire resistendo a quelle pressioni clericali che caratterizzavano i primi anni della nascita dello stato unitario italiano.   I grandi progressi compiuti in questo secolo in ordine alle scienze p o sitive hanno avuto il loro riverbero nelle industrie e in tutto ciò che si po trebbe dire scienza pratica, la quale ha fatto dei passi giganteschi. È stato questo che ha contribuito a infiltrare nell'animo di tutti , nonchè un senso pratico della vita assai più raffinato , la tendenza al sacrificio di ogni più nobile cosa di fronte all'interesse. Data una tale costituzione psicologica, parecchi problemi son sôrti nel campo teorico. Si èdetto:– A che la Poesia, a che l'Arte ? Il tempo delle finzioni , delle illusioni e dei sogni è passato ; ora si cerca ciò che ha un'utilità più o meno immediata, la realtà ci s'im pone. Il terreno delle emozioni si va sempre più restringendo e l'intelligenza pervade tutto.— Il grido Non piùPoesia si è accompagnato col grido Non più Metafisica (Nicht mehr Metaphysik ), ed abbiamo ancora nelle orecchie gli anatemi lanciati non solo contro la Metafisica,ma anche contro la Filo sofia in genere. Il puro specialista in fatto di scienza si ascriveva ad onore il dispregio per ciò che fosse Metafisica. Questo stato però si può dire che sia durato poco,e da tutte parti re centemente è surta una reazione benefica contro la corrente antifilosofica. Ma se ci è un certo accordo quanto ad ammettere la Filosofia,regnano ipiù grandi dispareri per ciò che concerne i limiti da dover assegnare a tale disciplina. La maggior parte dei scienziati, per esempio , ha compreso che ciascuna delle loro scienze speciali ha per iscopo precipuo la scoverta di leggi sempre più generali, di leggi che raccolgano sotto il loro dominio il maggior numero di fenomeni. Generalizzando sempre,si arriva a certi principii che offrono sinteticamente la genesi di quasi tutti i fatti primitivamente raccolti e descritti dagli scienziati;esponendo e discutendo tali principii, sidiceche si fa la Filosofia di quella data scienza. Per codesti specialisti quindi non ci sarebbe una sola Filosofia, o meglio, la Filosofia come scienza a parte, ma ciascuna scienza avrebbe la sua. E pur volendo ammettere,notarono al cani, la Filosofia quale scienza a sè, ad essa non rimarrebbe altro compito che quello di volgere intorno alla Dottrina della Conoscenza. Ci furono altri che proclamarono un sogno la sintesi cosmica, per modo che tutti i sistemi metafisici passati e futuri non avrebbero per loro che il valore di aspirazioni dell'anima, di espressioni di amore per l'Ideale. Codeste opinioni sono sostenute da filosofi di molto merito, nè si creda che non siano giustificate in nessuna guisa; ciascuna invece contiene una parte di verità; il difetto sta nell'aver esagerato troppo l'importanza di co desta parte e nell'aver escluso gli altri elementi. Quelli, per esempio, che hanno visto nella Metafisica nient'altro che ilromanzo dell'anima,non hanno tutti i torti, giacchè se in ogni lavoro scientifico quasi quasi si trova la nota della sensibilità, molto più si rinviene questa nella Metafisica che è un lavoro d'insieme. Le condizioni della conoscenza non sono sempre in uno stato di semplicità ideale, ma si vanno sempre complicando,e l'oggetto della ricerca non appare con una nettezza definita , nè l'intendimento è comparabile ad uno specchio terso. L'uomo non ha abbastanza facoltà per quest'opera di creazione,perchè scovrire è creare.  L'immaginazione entra in giuoco,muo vendo dal fondo stesso del temperamento, di cui quest'immaginazione è un riassunto. Ogni spirito di scienziato ha dunque un certo fare originale, sub biettivo,anche nell'ordine delle conoscenze più lontane dalla complessità della vita. Che avverrà in ordine alle conoscenze più viventi e più complesse, e fra queste in ordine alla più complessa di tutte, come quella che riflette l'uomo e il mondo, vale a dire alla Metafisica? I sostenitori dell'opinione che la Metafisica debba considerarsi come un romanzo dell'anima,ragionano a questo modo. Costruire un sistema è com piere, per mezzo di un'ipotesi esplicativa, la somma delle conoscenze esatte fornite dall'esperienza. Noi possediamo sull'universo e sull'uomo una certa quantità di nozioni positive, noi le coordiniamo e completiamo per via di una teoria generale,allo stesso modo che un geometra disegna una circonferenza intera secondo il semplice frammento di un cerchio. E queste nozioni posi tive, materia indispensabile della nostra ipotesi,ci sono apportate dall'espe rienza in due modi distinti. Da una parte il filosofo conosce i risultati ge nerali delle scienze sperimentali nel tempo in cui egli lavora, e vi conforma la sua immaginazione d'inventore d'idee; dall'altra parte questo filosofo ha subìto, almeno nella sua infanzia e nella sua giovinezza, le influenze infini tamente multiple e complesse della sua famiglia , dei suoi amici , della sua città,della sua regione. La sua vita sentimentale e morale ha preceduto ed accompagnato la sua vita intellettuale. Questa seconda iniziazione si unisce alla prima in modo che la scoverta d'una dottrina si trova essere insieme un romanzo dello spirito ed un romanzo del cuore. Coloro che limitano l'obbietto della Filosofia solo alla dottrina della co noscenza, neanche sono completamente nel falso. Se l'oggetto della Filosofia come sintesi cosmica è la ricerca della genesi dei principii fondamentali di ciascuna scienza speciale, è chiaro che per gradi si risale, generalizzando sempre, dal dominio di ogni scienza speciale a quello della Filosofia. Le con dizioni della scienza moderna son tali che il puro specialista quasi quasi si potrebbe dire che non è un vero scienziato.I legami fra le varie scienze sono oggi così stretti,che s'impongono alla considerazione di tutti.Ed ipro blemi un tempo di esclusiva pertinenza della Filosofia entrano ora nel d o minio delle scienze speciali. Identificando l'oggetto della Metafisica con la realtà immanente dell'esperienza e identificando il metodo di studiarlo coi procedimenti della scienza positiva, essa o non deve esistere, o si converte nella Fisica , intesa come scienza prima ed universale , in quanto tocca il problema cosmico, il problema dei principii fondamentali ed universali, pro blema che emerge da sè dalle scienze speciali, senza alcun lavorio partico lare. La Filosofia però è la continuazione delle scienze positive,costituendo la loro unità, il loro tutto, ma non è che un lavoro di compilazione. Come còmpito speciale ed originale della Metafisica non rimane alla fin delle fini che la Dottrina della Conoscenza. L'obbietto del saggio dell'Angiulli  è appunto quello di esaminare i titoli che la Filosofia pud presentare per essere riconosciuta come scienza separata che ha un còmpito proprio. È stato per questa ragione che mi è sembrato opportuno dilungarmi prima un pochino nel delineare come stanno le cose attualmente. Prima e contemporaneamente alla pubblicazione del libro dell'Angiulli, parecchi altri hanno mostrato come la Metafisica fosse da considerarsi quale scienza con un obbietto ben definito. E si può dire che tutte le scuole filo sofiche contemporanee siano d'accordo su questi punti, che il vero oggetto del nostro sapere è la sintesi dello scibile, la ricostruzione ragionata del mondo analiticamente conosciuto,che la veduta metafisica deve essere sug gerita principalmente dai risultati delle scienze sperimentali, e di queste essere la migliore spiegazione possibile, e che non ha valore quella tratta zione metafisica, alla quale non sia fatto precedere un accurato esame del potere conoscitivo umano,una critica cioè della conoscenza. Gli Idealisti però non consentono che la Metafisica sia dichiarata una scienza positiva, perchè, a differenza di queste , essa ha un doppio intento : ha per oggetto materiale il pensiero, che differisce dagli obbietti delle altre scienze, e per oggetto formale lo studio delle relazioni supreme onde i singoli fatti si col legano fra loro.Le cognizioni proprie della Metafisica,secondo costoro,si ottengono bensì mercè l'osservazione, purchè questa sia psicologica , razi nale, anzichè solo empirica. Poi il procedimento della Metafisica nell'addurre la ragione delle conoscenze, non è quello delle discipline positive; queste debbono limitarsi all'esperimento ed all'induzione, laddove quella, oltre tali metodi, deve seguire speciali criteri suggeriti dalla critica della conoscenza,  Ora comincio col domandare: A quale delle categorie di pensatori ac cennatepiùsuappartiene l’Angiulli? A nessuna: per lui oltre la Filosofia di ciascuna scienza, c'è la Filosofia il cui obbietto è la sintesi cosmica e del sapere. Egli ritiene che i progressi delle scienze positive non hanno fatto pernientemutarel'obbietto dell'antica Metafisica –Sintesi cosmica (Cosmologia), Sintesi del sapere (Dottrina e Critica della Conoscenza) e Valore dell'esistenza (Etica) -- ma hanno solamente portato una rivoluzione in ciòche riguarda il metodo da seguire nella soluzione del problema metafisico. Angiulli qualifica la sua Metafisica come scientifica e progressiva,dichiaran dola scienza e non meno positiva delle altre. Se tale quesito fosse stato for mulato da un dommatico spiritualista o materialista che fosse, ci sarebbe da meravigliarsi poco, e la cosaavrebbepocoopunto importanza; ma il tenta tivo di una metafisica scientifica fatto da un partigiano così illustre del metodo sperimentale, è cosa degna di ogni considerazione.   per distinguere l'apparenza dalla realtà. Finalmente l'ordinamento delle parti nelle singole scienze è parziale, invece la disposizione di esse nella Meta fisicaètotale:quelleordinanocose,fatti;questa,oltrelecose,devedisporre ancheleidee,eordinarel'essereeilconoscere.Conchi one, la Metafisica e una scienza razionale, non positiva. Lasciando da parte ora le sottigliezze metafisiche che non fanno progredire d'un passo la scienza, dirò che tra i filosofi contemporanei quegli che molto si è occupato del problema metafisico è stato il Fouillée. Mentre la scienza pura e semplice, egli dice, non bada che ad oggetti particolari, fac e n d o astrazione dalla mente che li conosce, come d'altro canto la psicologià non si occupa che dei fatti mentali, facendo del pari astrazione da ciò che si co nosce per via dei poteri mentali, è solamente la metafisica che si occupa della relazione, del nesso esistente tra gli obbietti e la mente ; e la vera realtà sta appunto in tale relazione, in tale corrispondenza. Però, a senso suo, tutte le altrescienze, compresala Psicologia, sarebbero dachiamarsipro priamente scienze astratte, mentre solo la Metafisica sarebbe da dirsi concreta . Insomma, l'oggetto della metafisica volgerebbe intorno alla reazione di tutto il nostro organismo mentale (conoscenza, volizione, sentimento) di fronte al Mondo.IlFouillée delrestoaccennasolamente aivariproblemimetafisici, ma non ne svolge, nè alcuno ne approfondisce, vuoi in fatto di cosmologia, vuoi in fatto di psicologia, non forma, direi ,un trattato dei problemi metafisici, in modo che ti si dia la genesi delle idee filosofiche odierne positive. Tale merito era riservato, si pud dirlo con orgoglio,all'Angiulli ,m e rito tanto maggiore, per le difficoltà che offriva il soggetto. La parte vera mente importante ed originale del suo saggio è di non aver solamente proclamata l'esistenza di una metafisica positiva e progressiva, di non averne solamente ideato il disegno, m a di aver eseguito questo, di aver gettato le basi di una Cosmologia e di una Psicologia quale oggi si può avere dal Positivismo ragionato. I partigiani dell'esperienza o non devono ammettere una Metafisica, o, se devono ammetterla, non possono accettare che quella,di ciamo pure, abbozzata dall'Angiulli. Esporrò ora a grandi tratti i con cetti fondamentali dell'autore. Se gli oggetti della realtà conoscibile sono studiati dalle diverse scienze positive, rimane sempre da studiare l'insieme degli oggetti e le scienze stesse e quindi i rapporti, le connessioni esistenti tra gli oggetti particolarmente studiati dalle scienze, e tra le scienze stesse; campo codesto riservato alla Filosofia. Il dimostrare che è impossibile la formazione di una sintesi cosmica è già una ricerca filosofica. Ma veramente l'analisi degli oggetti cosmici è inseparabile dalla sintesi in cui essi ottengono il loro vero valore. E le scienze stesse si volgono a raggruppare più fatti sotto una nozione o una legge generale,o più nozioni e più leggi sotto una nozione od una legge ancora più alta.Ma in questa opera giungono a toccare un limite che di mostra la loro insufficienza. Gli ultimi sostegni e gli ultimi legami dei loro concetti sorpassano i confini delle loro indagini ; perciò non possono trovare nella propria sfera la soluzione compiuta anche dei problemi speciali. La filosofia comprende quella parte di ogni scienza che s'innalza a principii e ad ideeuniversali, quellapartechericonducequesteideeequestiprincipii ad una unità superiore. È parte di ogni scienza ed è una scienza a sé. Ed il Girard ,dimostrando che la Filosofia non è un'opera aggiunta alle scienze, sibbene una loro parte integrante, distingue itna Filosofia delle scienze particolari, una Filosofia dei diversi gruppi di scienze,ed una Filo sofia centrale che è la loro sintesi ultima e definitiva. L'Angiulli con ra gione insiste molto su questo, appunto perchè rimanga ben chiarito il con cetto che dobbiamo formarci della Filosofia, e del suo compito nella cultura e nella vita. Le scienze, egli dice, per sè sole scoprono verità che diremo astronomiche, fisiche, chimiche ; la Filosofia scopre verità cosmiche. Solo quando le verità attinentisi ai fenomeni meccanici, fisici, chimici, biologici, sociologici si collegano in un principio, in un rapporto comune, si ha una verità cosmica. Quando il Lagrange con la sua splendida applicazione del principio delle velocità virtuali a tutti i fenomeni meccanici, fuse in un tutto orga nico i diversi rami della meccanica che erano stati fino allora studiati sepa ratamente, ottenne una conquista scientifica di un grado superiore. Quando ilGrove el'Helmholtz,mostrandocheivarimodidelmovimento pos sono essere trasformati l'uno nell'altro, apparecchiarono una base comune allo studio del calore, della luce,dell'elettricità e del moto sensibile,conquista rono una verità,la quale,sebbene tocchi già la sfera della filosofia,non esce ancora dai cancelli di una scienza speciale. M a quando il principio delle v e locità virtuali e il principio della correlazione delle forze furono dimostrati entrambi corollari del principio della persistenza della forza, conseguenze necessarie di un medesimo assioma, allora la verità conquistata appartenne all'ordine filosofico. Cosi anche quando Von Baer sostenne che l'evoluzione di un organismo vivente è un progressivo passaggio dall'omogeneità della struttura alla eterogeneità, egli scoprì una verità biologica;ma quando Spencer applicò questa medesima formola all'evoluzione del sistema solare, della terra,della vita,dell'intelligenza,della società,egli conquistò una ve rità filosofica, una verità non semplicemente applicabile ad un ordine di fe nomeni, ma a tutti gli ordini. Dopo averfissatocodestipunti,ilimitidellaFilosofiasembranobencir coscritti, nè vi dovrebbe esser luogo a discutere,se,poniamo,una data teoria sia da considerarsi come teoria filosofica,ovvero tale che non esca dai confini delle scienze speciali. Pure non è così, come si vedrà più giù, quando mi fermerò un po' sulla teoria darwiniana. L'Autore passa subito a fare l'applicazione dei principii su esposti. Svolge dapprima il concetto largo che bisogna formarsi dell'esperienza, ag. giungendovi l'elemento sociale e storico, entrambi tanto importanti; passa poi a delineare la dottrina della conoscenza, mostrando giustamente come sia impossibile trattare un tal soggetto, senza prima far precedere delle note paramente psicologiche. E poichè la Filosofia, se èsintesi del conoscereè anche sintesi dell'essere, Angiulli, nella parte III “ del suo libro si occupa della dottrinadell'evoluzione cosmica. Quivisono raccolti i più recenti risultati scientifici, ed è notevole che l'Angiulli è perfettamente al corrente di ogni novità in ordine alle scienze della natura. Io non scenderò a partico larità; mi fermerd solo un momento su cið che concerne la Biologia, tanto per offrire un esempio della difficoltà che si prova a giudicare se una data teoria scientifica possa aspirare all'onore di essere detta filosofica. Porrò prima il quesito: Qual'è l'importanza che nella sintesi cosmica, qualesipuòformareoggi, ha ladottrina darwiniana? A questoriguardo regna ancora un po' di confusione: c'è chi vorrebbe vedere nell'idea darwi. niana la legge del mondo,e quindi nel darwinismo una dottrina filosofica, e c'è chi pensa proprio il contrario. Giova premettere che non va confuso il Trasformismo col Darwinismo : il primo certamente racchiude un pensiero generale che rasenta almeno il dominio della filosofia; dar ragione di tutto il mondo organico per via di trasformazioni graduali e consecutive è certa mente un'idea che raccoglie il massimo numero di fatti particolari organici e nello stesso tempo tenta di darne la spiegazione ; tanto più se si pensa che un tempo tutto lo studio del mondo organico si riduceva a fare un in ventario più o meno ordinato degli esseri organizzati. Ma il Trasformismo è benaltra cosa del Darwinismo: questo in fin dei conti non è che una forma particolare di quello. Il Darwinismo è nient'altro che una teoria generale,la quale non esce dai cancelli di una scienza speciale. Ed infatti: raccoglie esso il massimo numero di fatti che si osser. vano nel mondo organico? Tenta , dico tenta e non a caso, di risolvere il massimo numero di problemi organici? La sua formola è tanto generale da dare la spiegazione della genesi dei fatti più importanti in Biologia? Pone esso tutti i problemi di origine ? L'idea del trasformismo era già vecchia ; C. Darwin non ha fatto che togliere da tale veduta tutto ciò che poteva sembrare estraneo alla scienza. Ed è stata l'impronta scientifica da lui data a tal genere di studi che ha fatto sì che le scienze ausiliarie concorressero a controllare i risultati già per altra via ottenuti. M a la selezione naturale non spiega tutti i fenomeni organici e molto meno connette questi coi fenomeni fisico-chimici.Di qui il bisogno che si è sentito di fare l'integrazione, come si è detto, della teoria darwiniana:siècompletata,sièperfezionata,aggiungendovi molti altri elementi che l'hanno trasformata tutta. Essa, ridotta ad una teoria pretta mente scientifica, non offre quell'universalità propria di una teoria filosofica. È per questo che l'integrazione non concerne elementi accessori,ma riguarda la sostanzialità di essa. Per il Darwin, invero, dalla carestia dipenderebbe la variazione, mentrechè si è notato che il primo fondamento della varia zione risiede nell'opera della nutrizione, la quale riesce ad un accrescimento della sostanza vivente, per quel processo naturale onde essa, col concorso favorevole dei mezzi dell'ambiente esterno, accoglie in sè nello stadio evo lutivo più di quello che non perda. Dall'abbondanza dei mezzi nutritive -- Cfr. MORSELLI, Lesioni di Antropologia L'Uomo secondo la Teoria dell'Evoluzione, Dispense --  come ha notato il Rolph, dalla prosperità, non dalla miseria, dipende la variazione, l'accrescimento della materia organizzata. Questo accrescimento, segnando in pari tempo una conquista di nuovi caratteri ed una divisione di attività e di attinenze, si porge come svolgimento, come progresso. Giova notare anche qui che la prima storia della vita comincia dal rispecchiare le condizioni dell'ambiente ove essa si svolge. Innanzi alla lotta coi rivali l'essere organizato deve, di contro alla varietà degli agenti esterni, conquistare il suo posto. La legge della concorrenza non può essere il primo sostegno dell'evoluzione biologica:èsolounepisodiodiquesta.La leggemalthusiana deve essere mantenuta in confini più giusti, poichè il rapporto della ripro duzione di fronte ai mezzi dell'esistenza, cangia, si trasforma col perfezio namento degli organismi. Chi voglia persuadersi di primo acchito come siano essenziali gli ele menti introdotti nell'integrazione fatta della teoria darwiniana, non ha che a volgere uno sguardo a ciò che tanto lucidamente ha scritto l'Angiulli nella parte biologica della sua sintesi cosmica. Egli, guardando sempre le cose da un punto di vista generale, cerca sempre di connettere e di scovrire i rapporti esistenti fra le cose, mentre il Darwin, puro scienziato, non vi presenta che serie di osservazioni con le rispettive dichiarazioni, senza mai tentarediunificare.L'Angiulli,peresempio,vidicechebisogna ricon durre i principii e le leggi esplicatrici della derivazione delle specie all'effi cacia delle funzioni stesse della vita nutrizione e riproduzione adat tamento e trasmissione ereditaria. La legge dell'evoluzione biologica sarebbe la stessa della Fisiologia , dilargata nello spazio e nel tempo. A base del l'evoluzione biologica rimane quella virtù della variazione che scaturisce dalla complessità e dall'indefinitezza della composizione della materia orga nizzata. Cosi l'ultimo principio esplicativo delle forme e delle proprietà degli esseri viventi si trova in un cangiamento chimico. La trasmissione ereditaria si risolve in una semplice partecipazione di proprietà chimiche. Si è sentito il bisogno di ricorrere ad altri ausiliari per la dichiarazione del mondo organico, facendo sempre l'applicazione del principio posto, che bisogna spiegare la derivazione delle specie mediante l'efficacia delle fun zioni stesse della vita. Così anche la sensibilità e la motilità, se sono fun zioni integranti della vita, debbono avere un'efficacia trasformatrice degl’organismi. Senza gli stimoli della irritabilità , dice Virchow, non vi ha lavoro organico, nessuna assimilazione di materia formativa, nessuno svolgimento. Inoltre, come le attività e i rapporti della vita si accrescono e si moltiplicano, si accrescono e si moltiplicano del pari i fattori della varia zione.Ed a misura che i singoli fattori si elevano, nello svolgimento della vita, ad una forma più alta, acquistano un'efficacia trasformatrice sempre maggiore. Perd dobbiamo attribuire col Virchow alle forme più elevate della sensibilità e della motilità, al pensiero ed all'azione volitiva una m a g giore efficacia trasformatrice e perfettiva degli organismi concreti. Coi fatti della sensibilità e del movimento è congiunta nella sostanza organica la disposizione a riprodurli, che fu detta memoria, ed è il fonda mento dell'abito, senza di cui sarebbe impossibile la variazione degli esseri viventi. In tale proprietà va implicato quel processo di coordinazione o ag gruppamento degli effetti dell'esperienza che altri ha considerato come nota speciale dell'intelligenza. All'occasione di un sol termine di una relazione di un gruppo, dato da una sperienza presente, si riproducono anche gli altri termini non dati,ma con esso congiunti.Ora,l'anticipazione immaginativa è una condizione essenziale dei progressi della variazione perfettiva. La varia zione non avviene soltanto come effetto di azioni o di stimoli presenti, per manenti,ma avviene anche in anticipazione di azioni non presenti;non vi è un adattamento a relazioni attuali, ma benanche un adattamento a rela zioni future e previste. L'interna attività della rappresentazione anticipativa è sufficiente per sè a produrre una certa modificazione della struttura orga nica in anticipazione della funzione.Così si ristabilisce una specie di finalità negl'intimi svolgimenti della vita, rilevando l'efficacia dell'attività intellet tiva come fattore della trasformazione delle specie. Oltre all'adattazione per opera dell'immaginazione anticipativa, vi ha un'adattazione più specialmente intellettuale, perchè riguarda circostanze nuove e non previste,e non si riconosce in un abito già formato. Questa specie di adattazione selettiva o raziocinativa si appalesa gradatamente nella serie degli organismi, comin ciando dai più bassi, m a senza di essa sarebbe inesplicabile l'acquisto di molti istinti el inesplicabile il progresso della vita animale. La varia zione, per esser progressiva e perfettiva, non può essere accidentale, abban donata alla pura lotta esterna degli organismi, ma deve essere promossa da una funzione coordinatrice ed anticipatrice delle relazioni dell'esistenza. Ora domando : Dopo un'integrazione di tal fatta, la quale si potrebbe chiamare la filosofia della trasformazione delle specie, perchè riunisce sotto un unico principio, giusto o falso che sia, tutti i vari elementi che concor. rono alla derivazione delle specie organiche, che cosa è divenuta la teoria darwiniana vera e propria, quale uscì dalla mente del suo autore? Niente altro, mi pare, che un caso particolare della grande legge della variazione organica. Già Darwin stesso confessa che egli rifugge dall'occuparsi dei problemid'origine,equindi di quellid'ordine generale;eppure,chivuol fare la filosofia della natura organica non può fare a meno di trattare la que. stione della genesi della vita, come di penetrare nella natura intima dei fenomeni implicati in essa,quali la nutrizione,la crescenza,la riproduzione, lasensibilità,lamotilità,lavariabilità.E l'Angiulli,chehaintesodi porgere le linee principali di una sintesi biologica, ha trattato a modo suo tutte codeste questioni. Potrà essere discutibile la soluzione data del problema, ma questo va sempre messo col tentativo della discussione. Alla teoria darwiniana manca per questo ogni individualità propria, e può entrare nei sistemi filosofici più diversi; individualità e precisione che (1)Qui espongo semplicemente l'integrazione della teoria darwiniana offertaci dal l'Angiulli, non ne faccio la critica, perchè ciò non risponderebbe allo scopo che mi son proposto più sopradimostrare come il Darwinismo sia una pura teoria scientifica, non filosofica. Dirò solo che sarebbe oltremodo necessario precisare sia l'immaginazione anticipativa organica che l'adattazione raziocinativa. le vengono impartite dall'integrazione fattane, la quale racchiude un pensiero filosofico. Il concetto della selezione è per se stesso abbastanza elastico,e si presta alle più disparate interpretazioni, ond'è che per vedere un concetto filosofico in essa,la si è più o meno piegata alle proprie idee. La selezione, si è detto, è il fatto stesso della variazione prodotta dal complesso delle attinenze e delle condizioni interne ed esterne dell'essere vivente: è un'espressione a b breviativa di tutte le condizioni interne ed esterne di esistenza: non è la causa della variazione, ma è l'espressione di essa .La selezione, si è anche detto, non deve circoscriversi a significare l'accumulazione di quelle varia zioni che sono utili nella lotta coi competitori, ma deve essere intesa in un senso più generale, cioè come quell'aspetto della variazione che rende l'or ganismo atto a sopravvivere,come espressione metaforica del fatto che ogni equilibrio di forze meglio adatto a sopravvivere, sopravvive. Intesa a questo modo,rispondo io,la selezione naturale diviene un con cetto astratto, una forma vuota,e non più una legge concreta e produttiva, o,meglio,esplicativa dei fenomeni. Se essa non ci si presenta come un con cetto definito e preciso, si può lasciarla impunemente da parte. Ma è poi vero che nella mente del Darwin la selezione naturale significasse ciò che vogliono alcuni filosofi d'oggi? A me non pare: per lui era la legge dell'e voluzione organica. Aggiustarla ora in varie guise prova sempre più l'inde terminatezza delle vedute darwiniane, rileva la poca esattezza da parte di chi sconvolge le idee, ed in ogni caso è reso sempre più certo il fatto che la teoria darwiniana vera e propria è perfettamente estranea alla Filosofia. L'ultima parte dell'opera dell'Angiulli riguarda l'etica ; vi si trova la giustificazione completa del titolo La Filosofia e la Scuola. Dirò solo che codesta parte non è inferiore alle altre da qualunque punto di vista si voglia considerare. Ora non mi è concesso discuterla; spero di farlo in altra occasione,ma non concluderò senza affermare che questo dell'Angiulli è fra i lavori filosofici dell'ultimo decennio, di cui maggiormente possa onorarsi il pensiero italiano.  sono, come l'Ente, altro che umane astrazioni. Noi non conosciamo il pensiero se non come un'attività , una funzione dell'umano organismo. Però lo spirito assoluto, e tutte le altre entità metafisiche sono una produzione di questa umana attività, un fenomeno psicologico. Vale dunque solol'opposito diciò che affermavaHegel:in luogo cioè di essere la natura e la materia una manife stazione del pensiero, egli è il pensiero una m a n i fesiazione della natura e della materia. Oltre alla materia non vi ha altro principio. Il materialismo ed il naturalismo è dunque ad un tempo la conse guenza e la confutazione dell'eghelianismo .Questa specie di dialettica della dialettica egheliana è un fatto storico,ilcui maggiore autore fu il Feuerbach ,  12 M W L'io assoluto dell'Hegel, cioè il pensiero e lo spirito assoluto , affermato c o m e principio e verità di tutte le cose,non è altro che la massima di Pro tagora spogliata del carattere d'individualismo . Se Protagora esprimeva esagerato un fatto reale, H e gel esprime esagerata un'astrazione spiritualistica, che non è meno relativa del relativismo sofistico. Feuerbach tornaall'uomo concreto.L'uomo èan cora per luiilcentro della filosofia,ma nè più co m e l'individuo arbitrario dei sofisti, nè più come l'universale astratto dell'Hegel, si bene come tutto l'uomo,come sensibilità e come società. Di con tro all'idealismo si riafferma il realism. Solo  Però l'astrazione è produzione di nuovi concelli solo in quanto è trasformazione di precedenti.Anche per la psicologia moderna vale ciò che vale per la geologia modern a; le funzioni ed i prodotti psicologici sono spiegabili con le stesse forze fisiche e fisiologi che,con l'aggiuntadelfattoredeltempo.L'eredità. psicologica è un altro fatto accertato dalla scienza moderna e capace di recare molta luce in siffatte quistioni. Noi non facciamo che continuare le atti iudini e le conquiste del passato. Ilprogresso è l'educazione dell'umanità ;la civiltà è un risultato d'esperienza, e non un miracolo di rivelazioni. Ma con tutte queste aggiunte e modificazioni dell'empirismo voi, si dirà,non potrete mai elevarvi sopra la sfera del sensibile;ossia le cause che voi potete ricercare non possono essere che altri fatti primitivi;eleleggichevoipotetescoprirenon pos sonoessere altro ,che le relazioni costanti dei fatti. Precisamente questo : così l'uomo moderno ha in sè stesso il suo punto di appoggio, e la storia ha in sè stessa la sua legge, senza bisogno di entità teologiche o metafisiche che la dirigano, come la natura ha in sè stessa l'energia ed il principio della sua esistenza e della sua spiegazione. La natura fondamento della natura, ecco il grande principio della cultura ccidentale (ουδένάνευφύσιοςγίγνεται,γίγνεται 27.12.çúcevēxo.oto.). Allora ricadetenel positivismo schiell . No, perch è se il positivist a r i l i c n e come. Opere: “La filosofia e la ricerca positiva: quistioni di filosofia contemporanea”; L'idealismo assoluto confutato dal materialismo. L'idealismo ed il materialismo nel corso della storia della filosofia. La filosofia greca. La filosofia naturale dei romani antichi. La fondazione della scienza positiva. Il medio evo. Il risorgimento italiano. La filosofia moderna. Il secolo XVIII. Il criticismo di Kant in Italia. La filosofia speculativa. La ricerca scientifica. La critica filosofica e la scienza positiva. La filosofia positiva -- il positivismo filosofico in Italia. Che cosa manca al positivismo filosofico. Gli altri sistemi contemporanei. Vacherot, Renan, Taine, Comte, Mill, Littré. La filosofia come ricerca positiva.– V.La filosofia e la storia.   “Gl’hegeliani e i positivisti in Italia e altri scritti inediti”(Savorelli); Pubblicazione dell'Accademia toscana di scienze e lettere "La Colombaria". Gli hegeliani e i positivisti in Italia. Positivismo e socialismo. Problemi di etica; Evoluzione, educazione e società. Il prof. Haeckel e la pena di morte. Dal carteggio di Andrea Angiulli". Collezione "Studi".  “La pedagogia lo stato e la famiglia”;  Natura complessa della quistione sociale. Riguardalari or ganizzazione della cultura nei diversi strati della socie tà. Problema dell'educazione. Antinomie dei sistemi pedagogici. Una Pedagogia scientifica è resa impossibile dalle dottrine della teologia e dell'ontologismo. La teoria dell'educazione presuppone la legge dello svolgimento nel campo della biologia e della sociologia. L'attuazione di un sistema scientifico dell'educazione nazionale presuppone la costituzione dello Stato libero, il trionfo libertà e di ordine. Appartiene agli uffici dello Stato. L'istruzione scientifica. La scuola laica. L'eliminazione del catechismo non rende la scuola antireligiosa. Non vi ha conflitti tra la scienza e la religione in generale. La perfezione religiosa deriva dai progressi della scienza. La scienza la religione e la morale. La scienza e l'arte. La scienza e la quistione economica. La scienza e la quistione politica. Difficoltà per l'attuazione del l'istruzione scientifica. La riorganizzazione delle scuole normali. Le condizioni dei maestri elementari. Insufficienza dell'azione diretta dello Stato. La famiglia. L'opera della madre. Il punto culminante del problema. L'istruzione richiesta nella donna per compiere il suo ufficio di sposa, di madre, di educatrice. Insufficienza dell'istruzione per migliorare il carattere e la condotta umana. Una dottrina di H. Spencer. Il Lewes.Verità  della politica scientifica. L'educazione è un dovere nazionale. È un principio di   VIII parziale di questa dottrina. È anche vero che l'istruzione determina gli affetti e conferisce al perfezionamento morale e pratico. Il Luys. Il Littré. Il nostro discorso rimane saldo ad ogni modo. Ammesso come vero che la condotta sia determinata dalle associazioni del sentimento, rimarrà vero che solo dalla conoscenza delle leggi onde si formano coteste associazioni, cio è solo dall'istruzione scientifica dipenderanno in ultima analisi gl'indirizzi dell'operare, il miglioramento morale dell'individuo e della razza. “La filosofia e la scuola” La quistione fondamentale della filosofia. Rapporti tra le scienze e la filosofia rispetto alla conoscenza della realtà. L'unità dell'oggetto e del processo conoscitivo. La filosofia non è una pura somma de' risultamenti delle scienze. Le scienze generano la filosofia. La moltiplicazione delle scienze agevola l'opera della filosofia. Tre modi d'intendere quest'opera della filosofla riguardo alle scienze. La filosofia è una ricerca progressiva, e può scoprire verità di un ordine superiore. Il *fondamento esplicativo* delle scoperte scientifiche è dato dalla filosofia. Influenza reciproca della scienza e della filosofia nel corso della storia. La filosofia come dottrina generale della conoscenza e della scienza. Medesimezza di natura tra la conoscenza comune, la scienza e la filosofia. Relazione storica della logica o dialettica e delle scienza. Classificazione della scienza. Dottrina del Comte. Rapporto delle scienza astratta e della scienza concreta. Un concetto della filosofia più compiuto di quello del Comte. La dottrina dello Spencer. Gli stadi dell'evoluzione cosmica e la clas sificazione della scienza. Il posto della psicologia filosofica nella classificazione della scienza. Bain, Spencer. La ricerca *meta-fisica* come *compimento indispensabile* della scienza e della dottrina della scienze. Lacuna del Comte. Il lato *logico* o dialettico ed il lato *cosmo*-logico della meta-fisica. La ricerca delle origini e degli elementi generativi dei fatti è una nota caratteristica della scienza e della filosofia. Contraddizione del Comte. Il Littré. L'inconoscibile dello Spencer. Il lato metafisico dell'etica. La religione dell'umanità e dell'inconoscibile. Sistema e speculazione. IV. Il problema della critica. Ladottrina del Kant si muove sopra un supposto *non*-critico. Gli elementi della conoscenza. Il molteplice. I problemi della filosofia,   della sensibilità. Le forme dello spazio e del tempo. Le categorie del l'intelletto. L'attività sintetica originaria della mente. La funzione sopra-individuale della conoscenza. Critica della dottrina kantiana. Il neo kantiani e i vetero-kantiani. I neo-criticisti e i vetero-criticisti. La critica e la psicologia filosofica. Il Liebmann, il Riehl, il Goering, il CARNERI. Il positivismo francese. John S.Mill. I Spencer, Lewes. La critica dell'esperienza e la dottrina della conoscenza. Il falso supposto dualistico della vecchia critica. L'unità dell'io è un'illusione metafisica. La genesi della coscienza. L'embriologia mentale. Le facoltà psichiche sono una derivazione dell'esperienza. Gli elementi dell'esperienza debbono ricercarsi col soccorso dell'esperienza stessa. Le esperienze incoscienti. Le leggi della vita e le leggi dell'esperienza. Il senso e l'intelletto. La sensazione e la coscienza. L'attività trasformatrice dell'esperienza. L'esperienza ereditaria e l'esperienza individuale. L'esperienza abbraccia tutt'i lati della mente. La legge dell'esperienza e la legge dell'associazione. L'esperienza individuale e l' ESPERIENZA sociale e COLLETTIVA esperienza collettiva. L'esperienza storica. La psicologia sperimentale e la dottrina della conoscenza. Le leggi della sensazione e del pensiero. L'elemento a priori della conoscenza è un prodotto dell'esperienza stessa. Trasformazione dei gradi più bassi della conoscenza mediante le attività più elevate della mente. La genesi dei concetti e delle categorie. Le note della necessità e dell'universalità della conoscenza. Il principio della regolarità nell'ordine della realtà. Il realismo sperimentale. Le proprietà del reale. Lo spazio ed il tempo. Il fatto, la legge e la causa. La metafisica. La dottrina dell'evoluzione cosmica. Il problema intorno alla concezione del mondo. Sguardo storico della dottrina dell'evoluzione cosmica. I fattori della dottrina scientifica dell'evoluzione. Gli elementi primitivi della materia e della forza. La sostanza e il divenire. Due lati di un unico problema. Interpretazione più esatta del processo di evoluzione. L'evoluzione biologica. L'origine della vita e della mente. Le pro prietà capitali dell'essere vivente. La nutrizione, la riproduzione, la sensibilità, la motilità. L'origine delle specie viventi spiegabile mediante l'azione delle attività fondamentali della vita. La dottrina del Darwin. Estensione del principio della lotta per l'esistenza. La selezione è il *risultato* non la causa della variazione. L'efficacia dell'elemento psichico. L'*evoluzione sociale*. La legge dell'associazione nel seno della biologia. *Formazione della società etnica*. Struttura e funzioni dell'*organismo sociale*. Esagerazione dell'analogia biologica. La dottrina del Comte e dello Spencer. Dallo studio degl'individui non si può ricavare l'esplicazione del fatto sociologico. I fattori che determinano la differenza specifica e qualitativa del fatto sociologico. Il consentimento volontario e la creazione di prodottiche debbono essere appresi. Rapporti tra i prodotti della cultura nello svolgimento progressivo della vita sociale. La dottrina dell'Etica. La sociologia mette capo al problema dell'etica. La dottrina del l'etica compie il concetto della filosofia. Nell'etica si accoglie un problema di un significato cosmico. L'etica e la religione. La dottrina dell'evoluzione è il fondamento più saldo e perfetto dell'etica, ed è il fondamento di una nuova religione. La religione nella sua forma primitiva è una scienza nascente. Gli elementi costitutivi della religione. Il lato pratico, il lato estetico. La legge morale e la legge dell'ordine cosmico. Il fatto morale è il *prodotto* no n il presupposto dell'evoluzione. L'ottimismo e il pessimismo. Il concetto d'evoluzione e la nuova dottrina del migliorismo. La base biologica sociale storica dell'etica. Il fattore dell'ideale nell'etica e la quistione della libertà umana. La libertà è un prodotto sociale e storico. L'educazione rinnovatrice dell'esistenza sociale è una funzione dell'etica. L'educazione nel suo metodo e nel suo contenuto scientifico. Opinione dello Spencer. Le materie dell'istruzione designate dai fini della vita. Il loro ordinamento conforme allaclassificazione delle cognizioni scientifiche. Il fine dell'istruzione non si raggiunge se non si porge una intima connessione tra i diversi rami degli studi. Questa connessione è l'opera della filosofia. La filosofia nei diversi gradi della scuola. Gl’insegnamenti della scuola primaria debbono essere animati da uno spirito filosofico per raggiungere la loro efficacia educativa. Lo studio della filosofia nella scuola media. Trasformazione di questa scuola secondo i bisogni della cultura moderna. Lo studio della psicologia nella scuola media. La teorica della conoscenza. Lo studio della filosofia all'università. Efficacia pratica e sociale di questo studio.  Curiosità Al professore è stata intitolata, nel 1906, la Società Ginnastica Angiulli di Bari. Note  E. Garin, Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in .  Andrea Angiulli, La filosofia e la ricerca positiva, Napoli, tip. Ghio, 1868,  97 e seg. e 150 e seg.  Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, 200515.  Luigi Volpicelli, La Pedagogia: storia e problemi, maestri e metodi, sociologia e psicologia dell'educazione e dell'insegnamento, ed. Piccin, 1982, p.168 A. Espinas, La Philosophie expérimentale en Italie. Origines-Etat actuel,Paris 1880,  82-88. F. Alterocca, Sulla vita e sulle opere di A. A.,Milano 1890. G. A. Colozza, A. A., in Diz. illustrato di Pedagogia, Milano 1891, I,  31-40. G. M. Ferrari, Il Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli, all'esposizione universale di Parigi del 1900, La cattedra di filosofia, Napoli 1900,  CXXXVI-CXLVI. F. Orestano, A. A., Roma 1907, (con ). G. Gentile, La filosofia in Italia dopo il 1850III. I Positivisti. V. A. A., in "La Critica", VII (1909),  97-120 (e in "Le origini della filosofia contemporanea in Italia", II, Messina 1921,  123-53). G. Flores D'Arcais, Studi sul positivismo pedagogico italiano, Padova 1953, passim. U. Spirito e F. Valentini, Il pensiero pedagogico del positivismo, Firenze 1956, passim. R. Tisato , Positivismo pedagogico italiano,  II, Torino 1976,  65-101. A. Savorelli, Positivismo a Napoli. La metafisica critica di A. A., Napoli 1990. G. Oldrini, Idealismo italiano tra Napoli e l'Europa, Milano 1998, cap. VIII. M. Donzelli, Origini e declino del positivismo. Saggio su Auguste Comte in Italia, Napoli 1999,  141-177. G. U. Cavallera, A. A. e la fondazione della pedagogia scientifica, Lecce 2008.  Positivismo Pedagogia Famiglia Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Andrea Angiulli Collabora a Wikiquote Citazionio su Andrea Angiulli Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Andrea Angiulli  Eugenio Garin, Andrea Angiulli, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Andrea Angiulli, .  Andrea Angiulli, in L'Unificazione, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Filosofia Istruzione  Istruzione Filosofo del XIX secoloPedagogisti italiani 1837 1890 12 febbraio 2 gennaio Castellana Grotte NapoliMassoniProfessori dell'BolognaProfessori dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Angiulli. Keywords: la dialettica della dialettica; l’antisignano del positivismo filosofico – metafisica critica – l’organismo sociale, il fatto sociale, la collettivita, il fatto collettivo, il fatto sociale – la societa, la collettivita, la collettivita etnica, la razza. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Angiulli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51711772279/in/photolist-2mTna1x-2mNaxw3-2mMAmhF-2mKE4L3-2mFd1fG/

 

Grice ed Annunzio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pescara). Filosofo. Grice: “I will call him a philosopher.” D’Annunzio e il fascismo è una storia italiana. I Contemporanea. L’Illuminismo oscuro Il rapporto tra il vate e il fascismo è molto più complesso e burrascoso di quanto si pensi: un poeta buono nell'infondere emozioni e a forgiare l’immaginario collettivo, ma che poco ha a che spartire con Mussolini e la dottrina fascista.  Difficile trovare un personaggio più divisivo di Annunzio. O lo si ama o lo si odia. Chi lo ama, solitamente, sa vagamente perché. Chi lo odia, il più delle volte, non ha idea della ragione. Pochi si addentrano nel personaggio, nelle opere, nella biografia, nella sua filosofia, e finiscono per apprezzarlo per le sue magnificenze e contraddizioni, senza amarlo né odiarlo. L’uomo presenta slanci superbi e difetti inemendabili, che si elidono e restituiscono l’immagine di una persona straordinaria.  Propaganda Filippo Tommaso Marinetti. Come si seducono le donne Manuale di seduzione futurista. Coraggio, coraggio, coraggio: ecco l’afrodisiaco supremo della donna! Una celebre contraddizione di Annunzio fu l'adesione al fascismo. La questione viene spesso relegata a una semplicistica organicità del vate al regime e alla sua dottrina politica, cosa che lo rende – come se interventismo, erotomania, morosità, dissolutezza e tossicodipendenza non bastassero – inviso e disprezzato dai più. Dire che Annunzio fosse un antifascista sarebbe un’esagerazione fuori luogo, dire però che fosse un fascista fatto e finito è altrettanto un errore, perché ben poco condivideva di quella dottrina e certo non fu amico di Mussolini. Il personaggio e le sue scelte sono figli di quel tempo complesso, e della lacerante crisi che l’Italia vive. Proiettiamoci allora con l'anima in quegli anni terribili.   Cartolina disegnata da E. Anichini per il centenario dantesco. Si vede l’Italia tra Dante e Annunzio, in una specie di simbolico passaggio di consegne. Il vate, nella mano destra un fascio curiosamente capovolto, è rappresentato come la più illustre personalità d’Italia: colui che, come Dante unifica linguisticamente lo Stivale, lo unifica con la forza della parola e delle mani. È una cartolina pubblicata per conto dei fascisti, in cui di Mussolini non si fa la minima menzione. Per tutti, se un duce ci è non può che essere Annunzio. È finita la Grande Guerra e l’Italia è sull’orlo di un altro conflitto, una guerra civile. I reduci sono delusi e arrabbiati, sia i cosiddetti interventisti democratici – quelli che intendeno portare il popolo in armi alla liberazione dei compatrioti sotto dominio straniero –, sia gli interventisti nazionalisti – coloro che auspicano che l’Italia, sconfiggendo lo storico rivale dispotico e arrogante, potesse sedere al tavolo delle grandi potenze – si trovano a stringere un pugno di mosche: alle trattative per la pace l’Italia ottiene ben poco ed è trattata con sufficienza. Tre anni di combattimenti, 600 mila caduti e la vittoria sul campo non garantiscono quanto era stato promesso nel Patto di Londra -- è la vittoria mutilata. I nazionalisti insorgono. Annunzio ha occupato Fiume e la tiene fino a quando lo stesso governo italiano bombarda la città mettendo fine all’avventura della Reggenza Italiana del Carnaro. Come se non bastasse, in Italia scoppiano scioperi e rivolte. Gl'operai si ribellano, occupano le fabbriche, erigono barricate. Scioperano gli agrari, i sindacati si mobilitano, le piazze sono in tumulto, il Partito Socialista si agguerrisce: si compie il biennio rosso, che culminerà, almeno simbolicamente, nel Congresso di Livorno, quando la corrente massimalista del Partito Socialista secede, dando vita al Partito Comunista. I fascisti seminano violenza in tutta la Val Padana e anche oltre. Si scagliano contro i socialisti e le loro sezioni, contro gl'operai, i contadini, i comuni amministrati dalla sinistra. Sono il primo antidoto repressivo al biennio rosso. Obiettivo prestabilito: i rossi, la canaglia bolscevica, i pacifisti traditori. Uniti nella lotta, socialisti, comunisti e anarchici fronteggiano un nemico comune, le squadre di camicie nere.   La classe dirigente liberale è impotente, il parlamento litigioso e inconcludente, i politici non hanno consenso: le trattative di pace sono state condotte con scarsa convinzione e l’amministrazione pubblica è allo sbando. La gestione dell’ordine pubblico è quasi inesistente, tanto che frange dell’esercito, delle forze dell’ordine e alcuni prefetti iniziano a simpatizzare coi fascisti: almeno loro riescono a garantire un minimo di ordine, seppure in maniera inadeguata a uno stato di diritto.  Qui si incastra una doppia illusione. Da un lato, parte della borghesia industriale e agraria foraggia i fascisti in funzione anti-rivoltosa, contro i propri stessi lavoratori indisciplinati. Dall’altro, la classe politica *liberale* ritiene che queste squadre di *incolti picchiatori* siano utili a mantenere ordine e a prevenire una possibile rivoluzione socialista, e che spariranno a breve come tutti i fenomeni pittoreschi, capeggiate come sono da cinici opportunisti, violenti agitatori e da un parolaio magico. Gl'uni e gl'altri credono di potersi servire di questo movimento finché lo si farà durare, per i propri comodi.   Annunzio legge nella Capponcina -- è noto per le opere letterarie, i saggi filosofici decadentisti, le avventure amorose e per il suo gusto nel bel vivere. La guerra, Fiume e le folle sono di là da venire. A questa età, Mussolini si appresta a diventare capo del governo. In tutto ciò Annunzio *è l’italiano più famoso all’estero* e più influente in patria. La parola del Poeta non è quella di uno scrittore o un politico normale. Annunzio è un *eroe di guerra*, è l’artefice dell’Impresa di Fiume. Occupa le prime pagine dei giornali di tutto il mondo -- è uno scrittore acclamato, il più tradotto, il più amato e il più odiato. Ha un seguito enorme, migliaia di sostenitori appassionati, reduci di guerra e ammiratori comuni, e centinaia di legionari fiumani legati a lui da giuramento -- è un uomo che può raccogliere attorno a sé migliaia di fedeli, persone che tra le altre cose conoscono le armi. È un uomo pericoloso. Quando arringa, unisce; quando dileggia, divide. È bipartisan il Vate, piace a tutti e non appartiene a nessuno -- è inserito fino al collo nell’ALTA SOCIETÀ, piace agl'ARISTOCRATICI -- è un fervente patriota, beniamino di tanti nazionalisti. Ha incassato la stima di Lenin e in alcuni momenti pare davvero un rivoluzionario, per questo lo osservano diversi proletari.  Lo vorrebbero con loro anche molti fascisti. Ma Annunzio non ricambia il favore ai demagoghi che credono di aderire alla realtà e non aderiscono se non alla loro camicia sordida. È un ottimo momento, ma il Vate temporeggia. Stanco, disilluso, disgustato dalla politica e dal governo *liberale* che gli ha tirato addosso le granate, a lui che, *monarchico* e patriota, vanta sette medaglie al valore. Si è ritirato nella villa di Gardone, sul Lago di Garda, e sostiene che  non c’è oggi *in Italia* nessun movimento politico sincero, condotto da un’idea chiara e diretta. Perciò è necessario che noi facciamo parte di *noi stessi*, immuni da ogni mescolanza e contagio. Annunzio osserva il caos in cui l’Italia versa e decide di non gettarsi nella mischia. Lui ha già combattuto, non è questo il suo terreno. Spera in fondo che un giorno non lontano tutta Italia lo richieda a gran voce come paciere, novello *dittatore romano* che scongiura la guerra civile. Ha tutte le carte in tavola ma non le sfrutta. Dice di sé. Mi auguro di essere la persona alla quale un giorno si penserà dicendo: Avanti! Non resta che lui!  I fascisti credono sia arrivata la loro ora, ma manca un vero condottiero. Mussolini è l’ideologo, l’*inventore* del movimento, ben lontano dal diventare il *duce degli italiani*. Colui che in questo momento viene acclamato come *duce dalla gioventù* è Annunzio, il condottiero che deve portare al potere *la giovane Italia* nata nelle trincee, scalzando la pletora di politici vecchi e mercanteggianti che hanno vinto la guerra non per merito loro e hanno svenduto la patria allo straniero. Annunzio ha il carisma, il seguito, la statura culturale per trascinare i giovani e i reduci a Roma, compiendo quella rivoluzione italiana che *nulla ha a che fare con la rivoluzione bolscevica*. Ci sperano i suoi seguaci, meno lo agogna lui. Annunzio è però anche un cialtrone, un oratore capace di trascinare le folle nei momenti bui ma del tutto inadeguato alla politica intesa come mediazione e governo quotidiano. Ciononostante vanno in molti a bussare alla sua porta.  Contemporanea Nicola Maiale In Fiamme Violenza politica in Italia dalla belle époque alla marcia su Roma. Mussolini sigla il patto di pacificazione coi socialisti, che prevede la rinuncia bilaterale alla violenza e la *costituzionalizzazione* del movimento fascista, e all’interno dello stesso movimento le polveri esplodono. "Chi ha tradito, tradirà" si legge sui manifesti affissi dagli stessi fascisti a Bologna. L’ovvia implicatura è al tradimento del Mussolini socialista. La massa fascista, le squadre e i rispettivi ras, ripudiano la guida di Mussolini, che ricambia con le dimissioni (rigettate) e affermando che quello che era un movimento ideale si è trasformato in una banda armata al servizio del capitale. Mussolini è politicamente fuori gioco e i ras invocano il duce che è tornato da Fiume da pochi mesi. Dino Grandi e Italo Balbo si incaricano dell’ambasciata a Gardone per offrirgli la guida del fascismo. Annunzio rifiuta nettamente, senza rispetto, e i due se ne vanno sdegnati. Anche Gramsci compie il pellegrinaggio! Non si sa quale sia la proposta perché Annunzio rifiuta di incontrarlo poiché, dice,  non posso lasciarmi imporre i colloqui.  Forse Gramsci vuole trascinare il poeta nel Partito Comunista, più probabilmente proporgli di unire i suoi legionari alla resistenza antifascista. Perché si sa che Annunzio non ama i fascisti, seppure con una certa ambiguità, e il disprezzo è ancor più motivato dai toni che in quel momento Mussolini assume nei riguardi del Vate, quando smette la riverenza e dice apertamente che le iniziative politiche di Annunzio sono irrilevanti, che egli è inaffidabile e capriccioso, inservibile e intrattabile. Non ha tutti i torti. Annunzio sarà anche stato l’eroe di guerra, il condottiero che prende Fiume in armi e la tiene per un anno e mezzo, ma è pur sempre un poeta, un dandy *narcisista* e *dissoluto*, uomo adatto alle arringhe, a infondere emozioni e volontà, a forgiare l’immaginario collettivo, ma di cosa sia la politica non ne ha idea e non vuole saperne nulla, disgustato com’è da tutto e tutti, desideroso solo di crogiolarsi nella sua solitudine e tornare ad essere quel che era, un operaio della parola, come ama sempre definirsi.   I due personaggi appaiono quanto mai diversi. In questa immagine si ritraggono un Mussolini primo *deputato* fascista, *sguardo severo* e *abbigliamento scuro*, minaccioso nell’espressione, e un Annunzio in uniforme, gli occhi persi nel vuoto, indubbiamente più affascinante, ma *meno granitico*. Nel periodo precedente la marcia su Roma Annunzio mostra particolare ostilità al fascismo. Dopo il fallito tentativo di Gramsci, sono ricevuti i capi della CGIL e persino Čičerin, commissario sovietico agli Affari esteri, tutti per attrarlo nell’orbita antifascista. Ma le parole faticano a trasformarsi in fatti. Di agire stivali sul terreno non se ne parla. Si fa vivo addirittura Nitti, il Cagoja, l’odiato primo ministro dei tempi fiumani, che gli scrive:  bisogna unire tutte le forze per finire questo regime di stupidità e di violenza, per riportare l’Italia ai suoi ideali di democrazia, di libertà e di lavoro. Non m’importa di me. Tu vedi il pericolo e puoi agire sulla *gioventù*, infiammandola e riportandola al buon sentiero.  Francesco Saverio Nitti Il momento di Annunzio è giunto, può mettere finalmente d’accordo le forze in lotta e prendere le redini di un paese nel caos. Viene organizzato un incontro tra Nitti, D’Annunzio e Mussolini. Due giorni prima il poeta cade da una finestra della stanza della musica, dal primo piano del Vittoriale. Sul volo dell’arcangelo, come lo chiama, vede fatta molta *dietrologia* e qui la storia fatta con i “se” potrebbe sbizzarrirsi. Chissà cosa sarebbe successo se si fossero incontrati e Annunzio avesse espresso la sua terzietà e l’opposizione rispetto a un governo fascista. Fatto è che l’incontro viene annullato. Il poeta non lo sa ancora, ma è definitivamente uscito di scena.   La foto ritrae Mussolini come tutti lo conoscono. Non veste ancora l’uniforme ma già fa mostra di tutto il suo stile: attorniato da *camicie nere*, posa con lo sguardo arcigno, la mascella prominente e le mani sui fianchi. Pittoresco e quasi ridicolo all’apparenza, conquista nonostante ciò le folle, armato della retorica altisonante e aggressiva, trionfale e accattivante, che ha in parte imparato da Annunzio. Mussolini va a trovarlo ma non viene ricevuto. Si incontrano ugualmente ma senza risultati tangibili. Ormai i tempi sono maturi, i fascisti vogliono il potere e vanno a prenderselo. Ricorre l’anniversario della vittoria e Annunzio è invitato nella capitale per presenziare le celebrazioni, per questo la marcia su Roma viene anticipata di una settimana. Mussolini teme che il Vate possa effettivamente convogliare alcune correnti in favore del governo e compromettere l’iniziativa fascista. Le squadre imperversano per le strade di Roma. Vittorio Emanuele III rifiuta di firmare lo stato d’assedio e convoca Mussolini.  Annunzio è ormai un relitto della politica. L’uomo che poteva fare non ha fatto, colui che aveva forze vive, uomini, consenso e autorevolezza, non aveva né l’idea né l’ambizione. Obnubilato dalla sua stessa grandezza, si è rimpicciolito fino all’inutilità. Forse l’aveva proprio cercata questa inutilità, non gli interessava praticare la politica quanto ritrovare se stesso e la sua arte, in solitudine, se è vero che confidò a un amico pochi mesi prima. "Ho voluto ri-entrare nel silenzio, ho voluto essere un capo senza partigiani, un *condottiero senza seguaci*, un *maestro senza discepoli*.  Gabriele D’Annunzio Mesi dopo, uno che per vivere la Grande Guerra ha falsificato la carta d’identità e si è qualificato come giornalista, che aiuta l’esercito italiano in Veneto nel servizio ambulanze, uno scrittore di nome Ernest Hemingway, scrive di Mussolini come del più grande bluff d’Europa. Aggiunge che  sorgerà una nuova opposizione, anzi si sta già formando, e sarà guidata da quel rodomonte vecchio e calvo, forse un po’ matto, ma profondamente sincero e divinamente coraggioso che è Annunzio.  Purtroppo per l’Italia, cui nei successivi anni non verranno risparmiate sofferenze e costrizioni, la previsione di Hemingway non si rivela esatta. Un’opposizione è effettivamente incarnata dal Comandante, ma rimane silente, sepolta nelle mura del Vittoriale e dell’incombente vecchiaia.  Comunismo d'annunzio fascismo fiume Gabriele D'Annunzio Italia Mussolini prima guerra mondiale seconda guerra mondiale Socialismo socialisti italiani. La costituzione più bella del mondo. Quella sì, fu davvero “la più bella costituzione del mondo” e non per modo di dire. Per i contenuti, lo stile, la prosa, l’idealità che sprigionava. La Carta del Carnaro non fu scritta da pur insigni costituzionalisti e rivista da politici, come la nostra costituzione. Fu scritta da un grande sindacalista e rivista da un grande poeta-soldato. Parlo di Alceste De Ambris e di Gabriele d’Annunzio. Fu animata dal confluire di tre grandi energie: l’amor patrio, lo slancio poetico e lo spirito sindacalista rivoluzionario. All’articolo 2 della parte generale, scritta da De Ambris sono condensate tutte le parole chiave della carta: democrazia -- diretta, sociale, organica, fondata sulle autonomie, sul lavoro produttivo e sulla sovranità collettiva di tutti i cittadini. È d’Annunzio a parlare nella sua stesura della volontà popolare, del fato latino, e d'evocare il Carnaro di Alighieri, l'estremo confine della civiltà romana, e il culto della lingua. È d'Annunzio a sostituire 'repubblica' con quella più classica 'reggenza' -- intesa come governo del popolo. Fu Annunzio a richiamarsi ai produttori e agl'ottimi. E fu Annunzio a indicare nella bellezza della vita, del lavoro e della virtus, la credenza religiosa collocata sopra tutte le altre, che guida lo Stato.  La forte impronta sociale e popolare della carta non impede il culto aristocratico dell’eccellenza e la tutela delle arti e delle discipline più nobili, del corpo e dell'anima.  Nella carta è garantita ogni libertà dei cittadini, il voto universale -- è poi ribadita la funzione sociale della proprietà privata ed era disegnato l’assetto delle corporazioni di arti e mestieri. Nove corporazioni raccoglievano i lavoratori nelle loro articolazioni (terra; mare, operai, impiegati, liberi professionisti, intellettuali); la decima corporazione era enigmaticamente riservata alla forze misteriosa del popolo in travaglio e in ascendimento, al genio ignoto, all’uomo novissimo, a colui che fatica senza fatica -- è risolto il dilemma tra parlamentarismo e presidenzialismo, riconoscendo centralità al lavoro e sovranità al popolo dei produttori -- è introdotta la figura di un comandante, inteso come il dictator romano, con pieni poteri ma limitati a un breve arco di tempo. Elementi costitutivi della carta sono l’auto-decisione del popolo, la possibilità di indire referendum, la tutela dei sacri confini nazionali e della civiltà italiana-latina-romana, l’istruzione e l’educazione del popolo come il più alto dei doveri della repubblica, la musica riconosciuta nella costituzione come un’istituzione religiosa e sociale. Nel linguaggio d’oggi dovremmo dire che sovranismo, amor patrio e populismo furono i cardini ideali della carta del Carnaro. La fusione tra poesia, trincee e sindacalismo è il suo timbro originale. Veniva poi costituita una Lega di Fiume che une in un solo fascio la forze sparsa di ogni. Cerca l’adesione della Russia Bolscevica ma si rivolge anche ai paesi islamici. Annunzio esalta il risveglio dell’Islam, auspice Italia, dispensatrice di diritto e giustizia. Memorabili i discorsi fiumani d'Annunzio che prepararono il terremo alla reggenza del Carnaro e al suo statuto. Da L’orazion piccola in vista del Carnaro a l’Hic manebimus optime. E a Fiume vi rimane davvero. La carta del Carnaro non è il sogno proibito di una città-utopia separata dalla storia e non è nemmeno il frutto di un’avventura velleitaria d'un eroe disoccupato a caccia di emozioni, come l’ha sbrigativamente liquidata Emilio Gentile -- èinvece la visione più lucida e ardita della politica e della società di combattenti che la guerra la fano sul serio. Così De Ambris sintetizzò la carta ad Annunzio. Diamo al mondo l’esempio di una costituzione aristotelico-vichiana-nietzscheiana che in sé accolge ogni libertà e ogni audacia di Platone, facendo rivivere la più nobile e gloriosa tradizione della nostra stirpe italica. Esempio perfetto di rivoluzione conservatrice.Annunzio. Keywords: Alighieri, quarnaro, reggenza, non repubblica, musica, dictator romano, commandante, il fiume, il fiumenismo, sindacalismo, utopia, dystopia, revoluzione conservatrice, implicatura fiumenista, la filosofia in d’annunzio, la carta di carnaro, aristotele, vico, Nietzsche. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Annunzio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51749241873/in/photolist-2mQUoGa-2mQWsyF-2mQT8Uz-2mQT8Ly-2mQXDcP-2mQUoRU-2mQXD1m-2mQUoQ1-2mQUoRJ-2mQNTJ4-2mQNTxs-2mQWsqj-2mQNTK1-2mQWssy-2mQWszh-2mQUoR3-2mQWsDk-2mQT8R8-2mQXD2i-2mQWsxJ-2mQXD78-2mQT8Qb-2mQNTy9-2mQUoNh-2mQXDdq-2mQUoR8-2mQWsqu-2mQWstA-2mQXD6g-2mQWsE7-2mQNTyz-2mQUoGk-2mQNTBL-2mQUoUK-2mQXDeC-2mQT8Hh-2mQWsoR-2mQUoLD-2mQWswX-2mQNTyK-2mQXD2t-2mQT8Lo-2mQUoPz-2mQaKxF-2mPUHFB-2mN8ym7-2mN9XHg-2mN5fBh-2mMR2RR-2mMXAfJ

 

Grice ed Antiseri – solidali – filosofia italiana – Luigi Speranza Foligno). Grice: “Antiseri makes a distinction between what you CAN say and what you MUST ‘tacere’ (i. e. left implicit). Not exactly what I was thinking when I made the explicit/implicit distinction, but similarly! His point is that for Vitters, questions of the mystic – which Antiseri compares to Bonaventura! -- -- ‘la logica di un mistico y la mistica di un logico’! genial – I was thinking more along the lines that ‘You’ve just committed a social gaffe’ is best left implicit (“She is a windbag’) – our of manners, etiquette, and what I call the principle of conversational gentility!” – “So I find the ‘must’ too strong, and change it for a ‘may’ – but in Antiseri’s case, the point is conceptual: you just CANNOT make the mysitic explicit, and there is a need (his word) to keep whatever the mystic is Unexpressed.” Grice: “I like Antiseri, and he indeed quotes me, not only because he MUST, as in his history of contemporary philosophy, but because he LIKES it ( cf. Italian piacere) – as surprised I was when I see that when discussing the future of metaphysics within analytic philosophy he relies on my Third-Programme for the BBC!” Grice: “Antiseri reminds me of myself, when he discusses ‘senso commone’ and ‘filosofia anallitica’ and ‘linguaggio ordinario’ – that’s why I used to joke, when lecturing in the New World – and at Welleseley, no less! – about the “Oxford School of Ordinary Language Philosophy”! Grice: “While Antiseri invests a lot to make logic of Austin, he has to because he has posited himself as giving ‘lezione di filosofia del linguaggio’!” Grice: “Most importantly, his key words, such as solidarity, are very much along the lines that base my ‘ethics of conversation’ which is Kantian in spirit --.” Grice: “Antiseri has to fight how to deal with this Kantianism along utilitarian lines, as when he confronts ‘horizontal’ to ‘vertifical’ (i. e. bad) subsidiarity – where a principle of subsidiarity – or respect for ‘il bene commone – gets balanced with the principle of solidarity. A Calvinist approach, to some!” – Antiseri: “It is amusing that Antiseri is forced to defend the relevance of the Romans, where that is taken for granted at Lit. Hum. Oxford!” -- Dario Antiseri (Foligno), filosofo. Originario della città umbra di Spello, si laurea in filosofia nel 1963 presso l'Perugia; ha poi proseguito i suoi studi presso varie università europee sui temi legati alla logica matematica, all'epistemologia ed alla filosofia del linguaggio.  Divenuto libero docente nel 1968 ha iniziato l'insegnamento presso l'Università "La Sapienza" di Roma e l'Siena. È inoltre membro dell'Advisory Board del Centro Studi Tocqueville-Acton.  Dal 1975 al 1986 è stato ordinario di filosofia del linguaggio presso l'Padova mentre, dal 1986 al 2009, ha assunto la cattedra di "Metodologia delle scienze sociali" alla LUISS di Roma per poi ricoprire l'incarico di preside della Facoltà di Scienze politiche della stessa Università tra il 1994 ed il 1998. Nel febbraio del 2002 è stato insignito, assieme a Giovanni Reale, di una laurea honoris causa presso l'Università Statale di Mosca. Collabora stabilmente con il quotidiano Avvenire.  Dario Antiseri ha pubblicato testi didattici di filosofia oltre a testi di divulgazione filosofica e di autori stranieri, in particolare ha contribuito a far conoscere in Italia il pensiero di Karl Popper.  Critiche Il pensiero del professor Antiseri è da tempo sottoposto a critiche sia all'interno della Chiesa sia all'interno del mondo intellettuale liberale. A tal proposito sono interessanti le critiche recentemente mosse al pensiero dell'intellettuale da Assuntina Morresi sul giornale on-line L'occidentale e l'articolo del 2005 su "espressonline" di Sandro Magister in cui l'opera di Antiseri viene definita "apologia del relativismo".  Altrettanto interessante è il commento al relativismo di Antiseri apparso sul web nel blog di Fabrizio Falconi, e quello di Litta Modignani pubblicato sul sito Critica liberale.  Opere:  “Perché la metafisica è necessaria per la scienza e dannosa per la fede” (Brescia, Queriniana);  Epistemologia e metodica della ricerca in psicologia, Padova, Liviana Editrice); C'è ancora spazio per la fede?, Milano, Rusconi); “Il filo della ragione, Roma, Donzelli); “Liberi perché fallibili, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Trattato di metodologia delle scienze sociali, UTET Università); “Come lavora uno storico, Roma, Armando); “Liberali. Quelli veri e quelli falsi, Soveria Mannelli, Rubbettino); “L'università italiana. Com'è e come potrebbe essere, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Tre idee per un'Italia civile, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Credere dopo la filosofia del secolo XX, Roma, Armando); “Didattica della storia: epistemologia contemporanea, Roma, Armando, Karl Popper, Soveria Mannelli, Rubbettino); “L'agonia dei partiti politici, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Epistemologia e didattica delle scienze, Roma, Armando); “La medicina basata sulle evidenze, Edizioni Memoria); “La Vienna di Popper, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Quale ragione?, Milano, Cortina); “Teoria unificata del metodo, UTET); “Cattolicesimo, Liberalismo, Globalizzazione, Soveria Mannelli, Rubbettino,  Karl Popper. Protagonista del secolo XX, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Cristiano perché relativista, relativista perché cristiano. Per un razionalismo della contingenza, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Epistemologia, clinica medica e la "questione" delle medicine "eretiche", Soveria Mannelli, Rubbettino); “Principi liberali, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Idee fuori dal coro, Roma, Di Renzo); “Ragioni della razionalità [ 1], Soveria Mannelli, Rubbettino); “Cattolici a difesa del mercato, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Come leggere Kierkegaard, Milano, Bompiani); “Come leggere Pascal, Milano, Bompiani, Credere. Perché la fede non può essere messa all'asta, Roma, Armando); “Epistemologia, ermeneutica e scienze sociali, Roma, Luiss University Press, Introduzione alla metodologia della ricerca, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Prefazione a Joseph Agassi, La filosofia e l'individuo, Roma, Di Renzo); “Ragioni della razionalità [2], Soveria Mannelli, Rubbettino); Relativismo, nichilismo, individualismo. Fisiologia o patologia dell'Europa?, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Teorie della razionalità e scienze sociali, Roma, Luiss University Press); “L'ermeneutica è scienza?, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Liberali e solidali. La tradizione del liberalismo cattolico, Soveria Mannelli, Rubbettino); “La «via aurea» del cattolicesimo liberale, Soveria Mannelli, Rubbettino); “La società aperta» di Karl Popper, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Von Hayek visto da Dario Antiseri, Roma, Luiss University Press); “Dario Antiseri e Gianni Vattimo. Ragione filosofica e fede religiosa nell'era postmoderna, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Libertà. Un manifesto per credenti e non credenti, Milano, Bompiani); “Dialogo sulla diagnosi. Un filosofo e un medico a confronto, Roma, Armando); “L'attualità del pensiero francescano. Risposte dal passato a domande del presente, Soveria Mannelli, Rubbettino); “In cammino attraverso le parole, Roma, Luiss University Press); “Contro Rothbard. Elogio dell'ermeneutica, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Liberali d'Italia, Soveria Mannelli, Rubbettino,  Note  Questioni disputate, su chiesa.espresso.repubblica.  Marx, un falso profeta sconfitto dalla storia, su lanuovabq.   Contro Popper, Bruno Lai, Armando Editore, Vedi L'impegno dei cattolici in politica si misura sui valori non negoziabili Archiviato il 21 gennaio  in . di Assuntina Morresi, l'Occidentale, 12 giugno .  Vedi Questioni disputate. Un filosofo cattolico fa l'apologia del relativismo di Sandro Magister, chiesa.espressoonline, 3 novembre 2005.  Vedi Il relativismo inevitabile? Risposta a Dario Antiseri, Il blog di Fabrizio Falconi, 1º gennaio .  Vedi La falsa "laicità" che piace al Corriere Archiviato il 30 aprile  in . di Alessandro Litta Modignani, Fondazione critica liberale, 29 maggio .  Giuseppe Franco, Per una biografia intellettuale. In dialogo con Dario Antiseri, in Giuseppe Franco , Sentieri aperti della ragione. Verità, metodo, scienza. Scritti in onore di Dario Antiseri nel suo 70º compleanno, Pensa Editore, Lecce ,  23–43.  Relativismo. Citazionio su Dario Antiseri  Sito ufficiale, su docenti.luiss.  Dario Antiseri, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dario Antiseri, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Opere di Dario Antiseri, .  Registrazioni di Dario Antiseri, su RadioRadicale, Radio Radicale.  Tocqueville-Acton Centro Studi e Ricerche, su tocqueville-acton.org. Filosofia Filosofo del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloInsegnanti italiani del XX secoloInsegnanti italiani Professore1940 9 gennaio FolignoProfessori della SapienzaRoma. In un saggio in "Roma", Antiseri studia e spiega 'Se e perché studiare ancora il mondo romano.' Non posso qui ripetere tutte le argomentazioni, cui rimando volentieri, ma il succo del discorso sta in questi due punti. Primo. Niente avviene al di fuori di una tradizione culturale. Le stesse rivoluzioni sono tali rispetto a una determinata linea di svolgimento, che ne costituisce il presupposto; perciò i grandi rivoluzionari sono stati tutti buoni conoscitori del passato. Secondo. La nostra tradizione culturale italiana è quella latina. Non c’è possibilità di auto-identificazione e di innovazione se la si ignora. Quindi lo studio di quell’ antico è una condizione di fatto della nostra civiltà italiana. Se ci fermassimo al primo punto, dovremmo considerare di buon auspicio per le nostre sorti la ripresa, che si sta verificando, di interesse per il passato, da quello immediato e locale al più lontano nel tempo e nello spazio. Visto più da vicino, questo interesse non collima col secondo punto. Non solo questo passato italiano è romano, ma è selettivo. Accomuna l’archeologia industriale ai graffiti preistorici, la cultura materiale e i valori. La selettività di per sé contraddice al *momento*  romano *antico* correttamente inteso. Anzi gli toglie la staticità del *classico*, cioè del modello unico, esemplare perfetto e irripetibile (quindi fuori della storia) e lo ricolloca nella dinamica dell’evoluzione umana, lega la unica Roma all'Italia d'oggi. Questa elettività diventa filosofica, quando considera il romano *antico* -- in sue fasi monarchica, repubblicana ed imperiale -- un momento come un altro, senza speciali incidenze sulla storia. Peggio, quando si configura in qualche modo come una ri-edizione della tesi della priorità vetero-italica, palaeo-italica, o archaeo-italica, sulla civiltà classica. Peggio ancora, se pre-dilige il *passato* eroico dell'Omero romano, Virgilio, quale che sia come tale, come un tutto indifferenziato, solo perché diverso. Si rischia di tornare così alla cultura dei sassi, che Leopardi rimprovera ai romani del suo tempo (lettera al de Sinner, cioè all’antiquaria di settecentesca memoria (cioè senza storia e senza lingua). Se nell’interesse verso *il romano antico* non ha per noi un posto preminente i tre *momenti* del romano antico -- regno, repubblica, principato -- questo è segno di perdita di storicità vichiana, gentiliana, o croceana, di oscuramento di valori, di restringimento di orizzonti. Quel momento del romano antinco non è importante solo perché ha aperto vie, costruito ponti, tracciato città, su cui ancora insistiamo, ma perché ha dato un impulso decisivo a un complesso filosofico, di idee, mentalità, istituzioni, che costituiscono ancora i nostri parametri abituali e la nostra cultura di italiani. Gli altri momenti forti, da cui si può volta a volta, non senza ragione, far partire la nostra riflessione storica, il rinascimento toscano, l’Unità d’Italia mazziniana, si sono misurati con questa tradizione romana antica, l’hanno arricchita o combattuta, mai ignorata. Se riteniamo naturale ancor oggi rifarci alla nostra genesi civile romana, dobbiamo subito porci il problema se si debbano studiare Roma e se non sia riduttivo assumere come punto di partenza *solo Roma*, cioè studiare la civiltà *latina*, del Lazio. Non si tratta di rinnovare la vecchia questione dell’originalità romana, che una volta costituiva un passaggio obbligato per ogni storia della letteratura latina. Quel problema rispondeva a diverse contingenze storiche e teoriche. Il suo ambiente culturale era Roma, dove il nazionalismo rispecchiava se stesso nella superiorità di Roma rispetto ai barbari. Il sostegno teorico era offerto dal mito del classicismo romano, cioè del modello a-storico e perfetto, attingibile solo dagli eletti. Nelle ultime fasi della sua storia, la tesi trova forti resistenze in Italia per la convergenza di due motivazioni diverse. Da una parte il nostro nazionalismo, culminato nella grande guerra, dall’altro la nuova estetica simbolista di d'Annunzio, che insegna a fare filosofia in se stessa. Oggi quei condizionamenti storici e quei presupposti teorici sembrano molto lontani. Del resto, a parte le punte polemiche, già la ricerca aveva portato a una revisione di fatto di questi atteggiamenti. La contrapposizione poi di una *romanolatria* è più pensabile come ideologia politica. Il mondo romani costituisce una unità, ma non tanto in senso sincronico, quanto in senso diacronico. Roma si dispone in successione, in una unità dinamica. Roma è fatto antico e non solo a livello dotto. Non è un fenomeno solo neoterico, ma anche delle origini e della fine. Roma accentua la tradizione per raccoglierne l’eredità e stabilire così il suo diritto successorio alla leadership mondiale. E’ corretto che i moderni pongano il problema in modo non diverso dagli antichi romani. Di qui discende anche la legittimazione a fare di Roma un possibile punto di partenza della riflessione storica. Se la civiltà romana è  tradizionale, nell’atto stesso di arricchire, trasformar, e diffonder una tradizione, studiare Roma è universale. Rimane ai romani antichi il merito di molte creazioni, e di averle trasmesse al futuro. Il concetto dell’uomo e della comunità, la storiografia, la scuola, la retorica rimangono quelle ereditate da Roma. L’asse culturale si conserva intatto. Si può senza difficoltà riconoscere che l’eredità romana, dal diritto alla lingua, non ha finito di operare. Si pensi per esempio alla lingua italiana, che, pur diversa com’è ormai dalla latina, conserva di quella i caratteri costitutivi e le energie generative. La stessa evoluzione del 'volgare' si è svolta e si sta svolgendo secondo modalità sempre latine. Un fatto significativo rimane il latino medioevale, che non è più il latino classico ed è una lingua di dottrina, però è una lingua viva, perché usata nella comunicazione reale. La sua peculiarità consiste nel non dipendere da matrice italica nazionalista. Usano il latino medioevale le genti che si riconoscono in un’unica cultura. Così quella lingua diventa propria anche dei non-neolatini e coopera alla formazione di una nuova unità, l’Europa, ben diversa, anche geograficamente, dall’Impero. L’Europa è una formazione post-romana, con materiali latini. Questa è un’importante ragione oggi per lo studio anche del solo latino. Quasi come uno slogan si potrebbe dire che Roma ha generato l’Occidente (una civiltà), l'Italia, e l’Europa (una storia). Entrambe le prospettive sono sprovincializzanti. Non c’è niente di più istruttivo che consultare i volumi dell’Année Philologique, che non solo si fanno di anno in anno più grossi, ma vedono allargare la partecipazione agli studi classici a paesi sempre più lontani e che sembrerebbero estranei a questa tradizione: dagli stati dell’Est alle nazioni in via di sviluppo. Segno che questa cultura non è neanche solo nazionale o europea o occidentale, ma ci appartiene come uomini senza esaurirci. Questi concetti sono generalmente ammessi e non hanno perciò bisogno di particolare documentazione. Ne discendono però alcune conseguenze sui modi corretti dell’atteggiamento odierno verso il mondo romano. Anzitutto si rifiuta l’ideologizzazione, specie politica. È invece oggetto di studio questo atteggiamento nel passato, specie recente (Fascismo, Nazismo: cfr. specialmente la rivista Quaderni di storia). Fa ancora ideologia (postuma e alla rovescia) chi osserva da una parte sola quest’uso politico del classico in passato (in genere considerandolo al servizio del potere o della classe dominante). In realtà l’ideologia del classicismo è sempre reversibile, fornisce insieme Bruto e Cesare, come è avvenuto a cavallo fra Sette e Ottocento. Ma in genere le ricerche hanno un respiro più ampio, volte come sono a indagare la presenza degli studi classici filosofici nella cultura moderna, quindi la partecipazione degli antichisti latinista e la loro relazione con gli orientamenti e movimenti coevi: è molto di più non solo della ideologia, ma anche della diretta influenza dei classici sui moderni . Rifiuto dell’ideologia e studio della presenza dei classici e del classicismo nel mondo moderno presuppongono senso vivo della storicità, ossia della continuità antico-moderna, che vuol dire due cose insieme: un legame che ci unisce agli antichi e l’alterità che, senza contraddirlo, ci distanzia. Di qui il rifiuto anche dell’esemplarità e del presentismo. L’esemplarità fa del romano un modello perfetto, imitabile ma irraggiungibile; questa concezione, oggi improponibile, in altri tempi ha avuto una sua funzione attivizzante (come nell’Umanesimo). Le conseguenze del mutato atteggiamento sono evidenti. Non si definisce più un’età aurea, non si parla più di declino, ma di trapasso. Decadenza romana o tarda antichità? intitolava H. Marrou un suo piccolo libro (ed. it. Jaca Book, Milano). Il tardo antico richiama molta attenzione. I convegni comensi, indetti in occasione del XIX centenario della morte di Plinio il Vecchio (e oggi disponibili negli Atti in tre volumi), si sono spinti molto oltre l’età dello scrittore celebrato, studiando la tecnica, la città, l’economia (vedi i titoli: Plinio il Vecchio sotto il profilo storico e letterario: Tecnologia, economia e società nel mondo romano; La Città antica come fatto di cultura). Rinunciando infatti all’ideale della esemplarità, il concetto di «classico» (nel senso di romano) esce dalla sola categoria del bello e del perfetto una volta per tutte e si arricchisce di valori e di problemi esistenziali. Si supera anche l’antinomia classico = forza contro debolezza, anacronisticamente riproposto dalla edizione italiana di un libro composto da W. Otto mezzo secolo prima (Spirito classico, La Nuova Italia, Firenze). Si esplorano province nuove (i papiri di Ercolano e l’epicureismo campano). Qualche volta si registrano scoperte notevoli (dopo Menandro, Callimaco, Cornelio Gallo, Rutilio Namaziano, la Seconda Centuria del Poliziano ecc.). Si ricuperano, nella loro umanità e nel loro valore documentario, autori e movimenti minori: il Favorino di Arelate di A. Barigazzi (Le Monnier, Firenze), le Questioni neoteriche (che comprendono i novelli) di E. Castorina (La Nuova Italia, Firenze). Anche nella filologia nostrana nasce l’interesse verso i rapporti fra Roma e la cultura d'Etruria (G. Scarpat, Il pensiero religioso di Seneca e l’ambiente d'Etruria, Paideia, Brescia nuova ed. F. Arnaldi, La crisi morale dell’età argentea, « Vichiana ». Estesa e polidisciplinare è la bibliografia sui rapporti tra Roma ed Etruria. Sono meno frequenti le monografie, ma non mancano le sintesi come quella celebre di P. Grimal, Le siècle des Scipions. Rome au temps des guerres puniques, Aubier, Paris -- Paideia, Brescia). Intensa è l’attività traduttoria dell’editoria italiana: va da A. D. Leeman, Orationis ratio. Teoria e pratica stilistica degli oratori storici e filosofi latini. Il Mulino, Bologna a R. Syme, Tacito (che è un grande affresco dell’età tacitiana), Paideia, Brescia di P Boyancé, Lucrezio e l’epicureismo, Paideia, Brescia, ancora a R. Syme, La rivoluzione romana, Einaudi Torino, da M. Pohlenz, La stoa, La Nuova Italia, Firenze, a W. Jaeger. Paideia, La Nuova ltalia, Firenze, a H.I. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, Studium Roma. Ho citato un po’ a caso fra i titoli più famosi. La stessa ampiezza di questa produzione, con la eterogeneità dei suoi titoli, testimonia la lontananza attuale da un ideale ristretto di esemplarità. Di recente si è verificato, invece, un breve successo dell’ atteggiamento antitetico, cioè del presentismo, più rilevabile a livello di letteratura scolastica che scientifica, forse nel tentativo di rendere accettabile l’antico a un determinato pubblico, facendone vedere l’analogia col moderno. Il procedimento però è rischioso. Proiettando sull’antico la luce del moderno, tende a ritrovare in quello un doppio del presente, quindi ne rende inutile lo studio e impedisce di vedere i legami storici, cioè le fondamenta lontane del moderno, che legano e insieme differenziano, distinguendo nella continuità. Già il Rostagni avvertiva questo pericolo, riflettendo sul suo stesso lavoro (Aristotele e l’aristotelismo nella storia dell’estetica antica, « Studi ital. di filologia classica » ora in Scritti minori I, Aesthetica, Bottega d’Erasmo, Torino, spec. p. 235): eppure è noto quanto egli fosse guidato da un certo crocianesimo, andando alla ricerca di un’estetica dell’intuizione presso i classici. Il pericolo oggi si ripresenta leggendo i classici alla luce di altre ideologie attualizzanti. Legittimo è invece studiare nell’antico temi e problemi, che sentiamo vivi, ma sempre con coscienza storica, ossia proprio per scoprirne la formazione lontana: pace- . libertà, progresso, lavoro, scienza . L’atteggiamento corretto sarà dunque di porsi davanti all’antico senza cessare di essere moderni e (poiché quell’antico è greco-romano, cioè la nostra origine culturale) senza negare il debito e senza cancellare l’intervallo : dunque alterità più legame storico. Questo comporta anche l’uso di strumenti ermeneutici nuovi e la modernizzazione dei tradizionali. Di alcuni impieghi di tecniche recenti danno qui sotto saggio i contributi di V. Cremona e di G. Proverbio: sono appena esempi, cui altro sarebbe da aggiungere. Così, molto vivace è oggi la narratologia; e è il Convegno internazionale «Letterature classiche e narratologia» a cura dell’Istituto di Filologia Latina dell’Università di Perugia.. Gli strumenti tradizionali a loro volta hanno compiuto i progressi di tutte le tecniche; per la filologia in senso stretto danno informazioni il saggio e il materiale approntati da L. Castagna. Mezzi vecchi e nuovi si intrecciano per conseguire risultati più fini: A. Grillo ha messo la narratologia a servizio della critica testuale per risolvere alcuni problemi di lezione dell’Ilias Latina in Critica del testo. Imitazione e narratologia. Ricerche sull’Ilias latina e la tradizione epica classica, Bibliot. del Saggiatore, Le Monnier, Firenze. E’ facile constatare la differenza da una meccanica applicazione di criteri lachmanniani (almeno come vengono volgarmente intesi). E si veda quale cammino si è percorso dalla ricerca grezza e materiale delle fonti (la famigerata critica dei «fontanieri») alla più sofisticata tecnica allusiva e alla memoria poetica. A loro volta quelle che un tempo venivano chiamate discipline ausiliarie (archeologia, topografia, epigrafia ecc.) non solo si sono giovate dei progressi delle tecniche applicate, ma hanno esteso il loro campo ben al di là del mondo greco-romano, abbisognando quindi per competenza di un discorso riservato (come del resto la storia generale, intrecciata al diritto e all’economia, oltre che a queste stesse discipline e alla cultura materiale, nella prospettiva di una storiografia totale). Non si possono infine dimenticare alcuni graditi incontri o addirittura ritorni. La linguistica, sorta fuori e in opposizione alle lingue classiche, è salita man mano dalla frase al testo e ha ricuperato concetti della grammatica nata dal greco e dal latino. La logica e la critica letteraria hanno riscoperto la retorica classica senza la mediazione della filologia greco-latina, incontrandosi e quasi confondendosi con questo genere di studi. Della retorica, affermatasi a Roma come tecnica politica e poi diventata cultura, paideia e letteratura, si ripete oggi mutato nomine la dicotomia, da una parte nei mass media e nella pubblicità, dall’altra nella critica letteraria. Gli antichisti cooperano da parte loro a questo riavvicinamento: gli Elementi di retorica di H. Lausberg, ed. it. Il Mulino. Bologna, si presentano come un moderno manuale di linguistica; quella di E. Cizek, Structures et idéologie dans «Les Vies des Douze Césars» de Suétone, Editura Academiei e Les Belles Lettres, Bucuresti Paris è insieme un’analisi strutturalistica e retorica (studia la sovrasignificazione fornita, al di là dei concetti, dalla loro distribuzione). In questa prospettiva molte analisi letterarie su testi moderni rivelano una straordinaria possibilità di impiego di strumenti antichi. Dario Antiseri. Antiseri. Keywords: solidali -- antiseri — implicatura solidale — il concetto di solidale -- liberali d’italia – il principio del liberalismo – la mistica di Gentile e il liberalismo di Croce — Grice — metaphysics in Pears 3rd programme — Grice p.331 — ‘violazione consapevole della massima’ — flouting the maxim — la scuola di Oxford di filosofia analitica del linguaggio ordinario — Austin, Grice, … gruppo di giocco – Grice sa benissimo che la massima e violabile intenzionalmente e comunicativamente — Fidanza — il mistico — la logica di un mistico -- Roma – la relevanza della filosofia del mondo romano antico -- — La mistica fascisdta di Gentile —Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Antiseri” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Antonini – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Viterbo). Grice: “I like Antonini, or Cinesio – you see, one problem of these Italians – but cf. Occam – by sticking to the first-name is that a researcher in the longitudinal history of philosophy has to check references to Aegeius viterbensis and Aegidius Cinesio! It was only recently that he was found to be one of the Antoninis! His place in the longitudinal history of philosophy is that famous pendulum between Plato and Aristotle – so after Aquinas’s Aristotle, Egidio – an almost Tuscan man! – finds Plato more pleasing – especially his philosophy of love in the symposium, the references to Ganymede as representing ‘amore,’ and he has the cheek to display all this hardly scholastic erudition (more of a renaissance thing) in his commentary of Lombardo’s sentences! Delightful – my favourite is his reference to Ganymede, for here we have the treatment of a subject (Zeus) of another subject as an object – and that’s just only one reading of Zeus’s intention --.”  Grice: “In any case, the sacrificial status of Ganymede is recognised in the Platonic tradition – as the manipulative use of a subject by another subject who is subjected as an object, rather --.” Antonini: Essential Italian philosopher. Antonini (n. Viterbo), filosofo. Egidio da Viterbo  «Sono gli uomini che devono essere trasformati dalla religione, non la religione dagli uomini»  (Egidio da Viterbo, prolusione al Quinto Concilio Lateranense) Egidio Antonini da Viterbo, O.E.S.A. cardinale di Santa Romana Chiesa Egidio 2Egidio da Viterbo, affresco XVII secolo (part.), Sala Regia, Palazzo dei Priori, Viterbo Stemma egidio  Incarichi ricopertiPriore generale dell'Ordine di Sant'Agostino, Cardinale presbitero di San Bartolomeo all'Isola (1517) Cardinale presbitero di San Matteo in Merulana (1517-1530) Vescovo di Viterbo e Tuscania (1523-1532) Patriarca titolare di Costantinopoli (1524-1530) Cardinale presbitero di San Marcello (1530-1532) Amministratore apostolico di Zara (1530-1532) Amministratore apostolico di Lanciano (1532)   Nato1469 a Viterbo Ordinato presbiteroin data sconosciuta Nominato vescovo2 dicembre 1523 da papa Clemente VII Consacrato vescovo10 gennaio 1524 dall'arcivescovo Gabriele Mascioli Foschi, O.E.S.A. Elevato patriarca8 agosto 1524 da papa Clemente VII Creato cardinale1º luglio 1517 da papa Leone X Deceduto12 novembre 1532 a Roma   Manuale Egidio Antonini da Viterbo, o semplicemente Egidio da Viterbo (Viterbo), filosofo. Apparteneva all'Ordine degli Agostiniani. Nacque a Viterbo, da Lorenzo Antonini e Maria del Testa, in un giorno imprecisato tra l'estate e l'autunno del 1469Pur essendo i genitori di origini modeste, fecero compiere ad Egidio studi approfonditi presso il convento agostiniano viterbese della Santissima Trinità. Forse influenzato dalla predicazione di Mariano da Genazzano, presente a Viterbo nel 1485, tre anni dopo, nel 1488, all'éta di diciotto anni, entrò nell'Ordine degli Agostiniani, presso il medesimo convento per esservi ordinato sacerdote. Sotto il priorato di Giovanni Parentezza, studiò filosofia, teologia e lingue antiche (greco, ebraico, arabo, aramaico, persiano) e si perfezionò, cominciando anche ad insegnare, presso le case del suo ordine ad Amelia, Padova, Firenze, Roma, Viterbo ed in Istria. A Padova (1490-1493) incontrò più volte Pico della Mirandola, con il quale discusse di astrologia e cabalismo, ma, soprattutto, in quella città curò nel 1493 l'editio princeps di tre commenti aristotelici di Egidio Romano, con notazioni contrarie ai peripatetici e ad Averroè. Alcuni anni più tardi conobbe a Firenze l'umanista Marsilio Ficino, di cui fu allievo e successivamente amico, e con il quale si perfezionò notevolmente nello studio delle dottrine neoplatoniche, specialmente in rapporto alla loro assoluta compatibilità con i principi del Cristianesimo. Nella primavera del 1497 il cardinale Riario, protettore degli Agostiniani, che aveva per lui grande stima, lo richiamò a Roma dove, dopo una duplice e complessa prova, conseguì il magisterium in teologia.  Oratore di straordinaria efficacia, particolarmente apprezzato in quegli anni da papa Alessandro VI, quindi dai suoi successori, paragonato da taluni a Demostene, fu in contatto con i maggiori intellettuali del tempo; oltre alla fitta corrispondenza con Marsilio Ficino, va ricordata la frequentazione che ebbe a Napoli con Giovanni Pontano (che gli dedicò il dialogo Ægidius) e con gli intellettuali della sua Accademia.  Nel giugno 1506 papa Giulio II gli affidò la guida dell'Ordine agostiniano come Vicario apostolico; l'anno successivo (1507) il capitolo generale dell'Ordine lo confermò alla sua guida come Priore Generale, incarico che mantenne per molti anni, durante i quali riformò profondamente l'Ordine stesso, riportandolo agli antichi fasti con il pieno recupero della regola di S.Agostino. Durante quegli anni fu uno dei più stretti collaboratori di Giulio II, che accompagnò nella sua missione contro Bologna e dal quale fu inviato come nunzio apostolico a Venezia e Napoli per ottenere l'adesione di quegli stati alla crociata progettata dal pontefice: venne anche inviato nella città ribelle di Perugia e ad Urbino. Il 3 maggio 1512 il papa gli conferì il prestigioso incarico di tenere l'orazione inaugurale del Quinto Concilio Lateranense: Egidio pronunciò così una celebre, accorata allocuzione in cui parlò con determinata onestà dei mali della Chiesa, suscitando viva emozione nei presenti, molti dei quali lodarono lo stampo ciceroniano dell'orazione.  Morto Giulio II, anche il suo successore Leone Xappartenente alla potente famiglia fiorentina dei Medicicontinuò la stretta collaborazione con Egidio, che impiegò in importanti missioni diplomatiche, come quella del 1516 in Germania, quando ottenne una difficile pacificazione tra Massimiliano I e la Repubblica di Venezia. Il papa innalzò Egidio alla dignità cardinalizia nel concistoro del 1º luglio 1517 creandolo cardinale prete con titolo di San Bartolomeo all'Isola; quasi subito il porporato viterbese optò per il titolo di San Matteo in Merulana, antica chiesa agostiniana; molti anni più tardi, poco prima di morire, avrebbe infine optato per il titolo di San Marcello. Nel 1518 Leone X lo nominò cardinale protettore dell'Ordine degli Eremitani di Sant'Agostino e, nello stesso anno, lo inviò come legato pontificio in Spagna per una complessa missione nella quale avrebbe dovuto impegnare Carlo V alla crociata contro i turchi. In quel periodo fu anche governatore di diverse città dello Stato Pontificio. Occorre altresì ricordare come a meno di quattro mesi dalla sua nomina a cardinale e quando Egidio era ancora Priore Generale degli Agostiniani, un monaco agostiniano tedesco, Martin Lutero, affisse sulle porte della Schlosskirche di Wittenberg le notissime 95 tesi che avrebbero dato inizio alla riforma protestante.  Dopo la scomparsa di Leone X ed il breve pontificato di Adriano VI, il 18 novembre 1523 fu eletto papa, con l'appoggio di Egidio, un altro Medici, Clemente VII, che, pochi giorni dopo l'elezione, il 2 dicembre, conferì al cardinale viterbese la nomina a vescovo proprio della diocesi di Viterbo: l'anno successivo Egidio venne nominato patriarca latino di Costantinopoli e amministratore apostolico dell'arcidiocesi di Zara. Purtroppo in quegli anni le indecisioni e gli errori politici di Clemente VII crearono problemi gravissimi al governo della Chiesa: il papa finì per schierarsi con i francesi, ma prima la sconfitta di Francesco I a Pavia, poi le incertezze della lega di Cognac aprirono le porte alla discesa in Italia di Carlo V con i suoi lanzichenecchi, culminata nel terribile Sacco di Roma (1527), durante il quale venne distrutta -tra l'altro- tutta la ricchissima biblioteca di Egidio nel Convento di Sant'Agostino. Il porporato si trovava allora nelle Marche e, per soccorrere il papa, assediato in Castel Sant'Angelo, organizzò -impiegando anche il proprio denaro- una spedizione armata, che non ebbe però fortuna per i molti ostacoli frapposti dai signori locali. Dopo quei dolorosi momenti la salute di Egidio andò peggiorando: questo fatto non gli impedì, peraltro, di tenere, durante il concistoro pubblico una famosa ed appassionata orazione sulla necessità di riformare la Chiesa dopo lo scisma luterano. Clemente VII dichiarò la sua disponibilità, ma sarà solo il suo successore, Paolo III, conterraneo di Egidio, a convocare l'importante Concilio di Trento, che segnerà, con la controriforma, la prima importante reazione della Chiesa al protestantesimo. Poco prima di morire il cardinale fu nominato arcivescovo di Lanciano; amministrò la diocesi lancianese a titolo di commenda per sette mesi, fino alla morte.  Morì a Roma il 12 novembre 1532 e venne sepolto nella chiesa di Sant'Agostino, dove lo ricorda una semplicissima lapide sul pavimento della navata centrale, a cornu evangelii rispetto all'altar maggiore.  Filosofia, Ebraismo, Cabala  Egidio da Viterbopartic. di affresco XVIII secolo, Sala del Cenacolo, Convento Santissima Trinità, Viterbo Egidio deve certamente essere considerato uno dei maggiori filosofi di quei secoli. Il suo primo impegno importante fu quando, studente a Padova, curò nel 1493 la pubblicazione con commento di tre opere del filosofo e vescovo agostiniano Egidio Romano, vissuto tra il XIII ed il XIV secolo: elaborò così un'autentica avversione nei confronti della filosofia di Aristotele e dell'averroismo, contro i quali ritenne che l'unico possibile antidoto fosse, specie dopo l'incontro con Marsilio Ficino ed in perfetta armonia con Sant'Agostino, il neoplatonismo, inteso come «pia philosophia», cioè nella sua piena compatibilità con i valori cristiani. Uomo dottissimo, volle leggere tutte le opere che studiava nelle lingue originali in cui erano state scritte, per meglio comprenderne il vero significato: acquisì in tal modo una straordinaria conoscenza, oltre che del latino e del greco antico di cui aveva padronanza assoluta, dell'aramaico, per il Talmud e varie parti della Bibbia, dell'arabo, per il Corano e le opere di Averroè, e dell'ebraico, per la Torah. Ebbe una fitta corrispondenza con l'umanista tedesco Johannes Reuchlin, finissimo conoscitore dell'ebraismo, con il quale si intrattenne a lungo sia su temi relativi all'Antico Testamento sia sulla cabala (in ebraico Qaballáh), argomento da lui già affrontato con Pico della Mirandola, che trattava dei misteriosi simbolismi, parte dei quali nascosti nei numeri e nelle lettere stesse dell'alfabeto ebraico, che potevano avvicinare l'uomo a Dio. Le problematiche della letteratura ebraica e della cabala occuparono gran parte dei suoi ultimi anni di vita, quando tentò ripetutamente di ricondurre in ambito cristiano tutte le altre culture, dedicandosi in particolare ad approfonditi studi e ricerche sullo Zohar.  Lo scrittore e l'oratore  Raffaello:La disputa del Sacramento (affresco, Roma, Stanze Vaticane)  Egidio da Viterbo in preghiera, particolare di pala d'altare, chiesa Santissima Trinità, Viterbo Rimane ben poco della cospicua produzione letteraria di Egidio, sia a causa della perdita della sua biblioteca durante il Sacco di Roma, sia perché lui stesso, per modestia, non volle dare alle stampe molte delle sue opere. Tratta quasi tutti i campi della filosofia alla letteratura, dall'astrologia alla storia, dalla poesia alla geografia, dalla teologia all'arte: a quest'ultimo proposito si ritiene che il programma iconografico per gli affreschi di Raffaello della Disputa del Sacramento e della Scuola di Atene nella Stanza della Segnatura sia stato largamente ispirato dalla sua opera, con la probabile mediazione di Tommaso Fedra Inghirami. Da notare come Antonini preferisce di solito ritirarsi in luoghi tranquilli, come l'Eremo di Lecceto, presso Siena, o la sua città natale, Viterbo, o, ancora più spesso, due rifugi nei dintorni di quest'ultima: un Convento nell'Isola Martana, sul Lago di Bolsena, ed un Eremo nella selva del Monte Cimino. Meritano comunque menzione tre ecloghe latine di stampo virgiliano (Paramellus et Aegon, -- Paramello e Egone -- in Resurrectione Domini – la risurrezione del Signore -- e De Ortu Domini – L’orto di Dio --, sei madrigali dedicati alla famiglia Colonna  ed una favola silvestre dello stesso periodo (“Cyminia”, in volgare italiano viterbese. La a sua maggiore opera filosofica è costituita dai “Commentaria sententiarum ad mentem et animum Platonis” (I comentari dei sentenze sull’anima di Platone”, brevemente detta Sententiae ad mentem Platonis, che presenta l’ostilità all'aristotelismo e la necessità di sostituirlo, l'anima e la dignità umana; “Historia XX saeculorum” racconta le vicende di Alessandro VI a Leone X, attinsero a piene mani vari storici, da Gregorovius a Pastor, anche se il loro giudizio complessivo sulla Historia è perplesso, se non addirittura negativo. Tra altre opere meritano anche menzione il “Libellus de litteris sanctis”, sul significato recondito delle lettere dell'alfabeto romano, e la Scechina che guarda in la cabala.  Il campo nel quale Egidio riuscì comunque a dare il meglio è quello della retorica o dialettica colloquenza filosofica, divenendo uno dei migliori oratori di quei decenni, forse il migliore in assoluto, con giudizi sempre entusiastici da parte di tutti quelli che ebbero modo di ascoltarlo. In realtà egli era veramente dotato di un'eloquenza drammaticamente coinvolgente, capace di suscitare grandi emozioni negli uditori, sia che fossero ricchi principi, sia che si trattasse di poveri popolani; lo aiutava probabilmente lo stesso aspetto fisico, ascetico, con il viso pallido e scavato e la barba fluente. Tra le orazioni conservate vanno ricordate: quella nel certamen che lo vide trionfare su tre filosofi peripatetici e conseguire il magisterium. Altre opere: “De aurea aetate” (o De Ecclesiae incremento), tenuta in San Pietro su incarico di Giulio II per onorare re Manuele I del Portogallo che aveva scoperto nuove terre e riportato una grande vittoria navale, lavoro dottissimo e ricco di riferimenti cabalistici; l'orazione delConcilio Lateranensegrande onore concessogli dal papache provocò indicibile emozione negli astanti e fece definire l'agostiniano viterbese il nuovo Cicerone; è in quest'ultima orazione la celebre sentenza di Egidio. “Sono gli uomini che devono essere trasformati dalla religione, non la religione dagli uomini”. Va infine ricordata l'orazione tenuta in occasione di un concistoro, sulla necessità di riformare la Chiesa, che viene da molti considerata come il vero preludio al celebre Concilio di Trento, convocato da Paolo III.  Genealogia episcopale Arcivescovo Gabriele Mascioli Foschi, O.E.S.A. Cardinale Egidio Antonini da Viterbo, O.E.S.A. Note  Notizie molto precise sul suo luogo di nascita e sul suo esatto cognome sono reperibili nel lavoro di Giuseppe Signorelli, Il cardinale Egidio da Viterbo etc.,Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1929. L'opera dello storico viterbese, con una ricchissima documentazione bibliografica, costituisce un indispensabile fondamento monografico per lo studio di questo porporato; in particolare Signorelli precisa, con riferimento a numerosi manoscritti, perché debba essere ritenuta Viterbo la città natale di Egidio ed in base a quali errori diversi storici abbiano, sbagliando, ritenuto Canisio il suo cognome:il cognome esatto è Antonini.  Quanto sostenuto dal Signorelli è pienamente confermato da G.Ernst,Egidio da Viterbo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, 1993, in quella che è probabilmente la più completa monografia su Egidio reperibile on-line, con notevole .  Pur essendo acclarato il cognome Antonini, appare peraltro corretto chiamarlo semplicemente EGIDIO da VITERBO: Ægidius Viterbiensis o Viterbii è il nome con cui viene indicato nella bolla papale di nomina cardinalizia relativa al concistoro è il nome che compare nelle bolle da lui sottoscritte ed è, infine, il semplice nome che compare sulla sua lapide sepolcrale nella Chiesa di S. Agostino in Roma; sempre Egidio da Viterbo sono intitolate le principali monografie a lui dedicate da Signorelli, Ernst, Massa, O'Malley ecc.. Va infine ricordato come lo stesso Comune di Viterbo abbia chiamato Via Egidio da Viterbo la strada a lui dedicata parecchi anni fa nel centro storico cittadino e con la medesima intitolazione Egidio da Viterbo vi siano altre istituzioni viterbesi.  L'epoca della nascita è indicata ancora dal Signorelli (op.cit.), che cita vari documenti del periodo.  Si veda in proposito Lettera a Mannio Capenati, agosto 1504 citata in: Francis X. Martin, Friar..., cit., Appendice III, pag. 346  De materia coeli; De intellectu possibili; Egidii Romani commentaria in VIII libros Physicorum Aristotelis  Egidio non ricambiò mai la simpatia di papa Borgia, anzi il suo giudizio sul pontificato di Alessandro VI fu terribile, con parole di inusitata durezza; si veda Cesare Pinzi, Storia della Città di Viterbo, IV,lib.XVI,pag.394,Viterbo, Agnesotti, 1913.  Lo dice espressamente il Signorelli, op. cit., capo II, pag 5.  Per la precisione fino al 25 febbraio 1518, giorno in cui depose l'incarico davanti al Capitolo generale dell'Ordine, consegnandolo nelle mani dell'amico Gabriele Di Volta, nominato due giorni prima con breve di Leone X proprio su proposta di Egidio; v. G. Signorelli, op. cit., Capo VI, pag. 68.  Lo sottolinea bene Ernst (op.cit.).  L'episodio che vide Egidio alla testa di un esercito è ricordato in un intero capitolo (Da Vescovo a Duce) nella monografia del Signorelli, op.cit., capo VIII.  Papa Paolo III, era nato come Alessandro Farnese nella cittadina di Canino, situata ad una trentina di chilometri da Viterbo.  La lapide, fatta collocare dal Priore Generale Gabriele Veneto, reca la seguente iscrizione: D.O.M.AEGIDIO VITERBIENSI CARDINALIGABRIEL VENETUS GENERALISMDXXXVI (v.S.Vismara,Una grande figura religiosa del Rinascimento:Egidio da Viterbo su Biblioteca e società in//bibliotecaviterbo/biblioteca-e-societa/index.php?fasc=12 ; il volumetto contiene gli Atti di un interessante Convegno di studi su Egidio da Viterbo , nel anniversario della morte). Occorre notare come la lapide originale, praticamente distrutta dal tempo, sia stata sostituita nel 1982 , a cura dell'Ist. Stor. Agostiniano con una nuova lapide che riporta, integralmente, l'iscrizione. Il background intellettuale e la relativa fonte egidiana dei due affreschi della Stanza della Segnatura sono stati promossi dallo storico gesuita Pfeiffer (Heinrich Pfeiffer, Die Predig des Egidio da Viterbo über das goldene Zeitalter und die Stanza della Segnatura, in: J. A. Schmoll gen. Eisenwerth, Marcell Restle, Herbert Weiermann , Festschrift Luitpold Dussler, Monaco-Berlino, Deutscher Kunstverlag, Id., La Stanza della Segnatura sullo sfondo delle idee di Egidio da Viterbo, Colloqui del Sodalizio, serie II, n°3, 1970-1972, pagg. 31-43; Id., Zur Ikonographie von Raffaels Disputa : Egidio da Viterbo und die christlich-platonische Konzeption der Stanza della Segnatura, Roma, Università Gregoriana Editrice) ripreso da Ernst, op.cit., e da G.Polo, Egidio da Viterbo e Raffaello, in Biblioteca e Società, cit., pagg. 21-22. Il ruolo di Fedra Inghirami quale mediatore tra Egidio e Raffaello è stato inizialmente ipotizzato da Paul Künzle, Raffaels Denkmal für Fedra Inghirami auf dem letzen Arazzo, in: Mélanges Eugène Tisserant,  VI, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, e si ritrova in: Christiane L. Joost-Gaugier, Raphael's Stanza della Segnatura: Meaning and Invention, Cambridge, Cambridge University Press, 2002. Per una sintesi si veda: Ingrid D. Rowland, The Intellectual Background of the School of Athens: Tracking Divine Wisdom in the Rome of Julius II, in: Marcia HallRaphael's School of Athens, Cambridge, Cambridge University Press,  Biblioteca apostolica vaticana, Ms Vat.lat. 6525  Il più autorevole di questi manoscritti è certamente quello autografo esistente presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (Mss.lat.,IX,B,14).  Tutti i giudizi degli storici sono ben riportati dal Signorelli, Riprendendo il Signorelli, descrive bene le sue grandi doti oratorie Sandro Vismara, Biblioteca e società, ATTI del Convegno...,op.cit.,pag.11.  Proprio a questa orazione si sarebbe ispirato Raffaello per due affreschi della Stanza della Segnatura, cioè la Disputa del Sacramento e la Scuola di Atene (v.Pfeiffer e Polo, ocitt..)  S.Vismara,op.cit..  Il testo latino recita letteralmente: Homines per sacra immutari fas est, non sacra per homines.  Egidio da Viterbo, "Ecloghe", Jacopo Rubini , Sette Città, . Rafael Lazcano, Episcopologio agustiniano. Agustiniana. Guadarrama (Madrid), Hubert Jedin, Riforma Cattolica o Controriforma, Morcelliana, Brescia, Francis X. Martin, The problem of Giles of Viterbo: a Historiographical Survey, "Augustiniana",  Francis X. Martin, Friar, Reformer, and Renaissance Scholar: Life and Work of Giles of Viterbo Villanova, Augustinian Press, John W. O'Malley, Giles of Viterbo on Church and Reform: a Study on Renaissance Thought, Leiden, Brill, 1968 Heinrich Pfeiffer, Le Sententiae ad mentem Platonis e due prediche di Egidio da Viterbo, in: Marcello Fagiolo , Roma e l'antico nell'arte e nella cultura del Cinquecento, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, Cesare Pinzi, Storia della Città di Viterbo,  IV, Agnesotti, Viterbo, François Secret, Notes sur Egidio da Viterbo, "Augustiniana",  Giuseppe Signorelli, Il cardinale Egidio da Viterbo agostiniano, umanista e riformatore, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, Viterbo Ordine di Sant'Agostino Umanesimo Cabala ebraica Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Egidio da Viterbo Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Egidio da Viterbo  Egidio da Viterbo, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Egidio da Viterbo, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Egidio da Viterbo, su sapere, De Agostini. Egidio da Viterbo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Egidio da Viterbo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Egidio da Viterbo, su ALCUIN, Ratisbona. Egidio da Viterbo, su Find a Grave. Opere di Egidio da Viterbo, . Egidio da Viterbo, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. David M. Cheney, Egidio da Viterbo, in Catholic Hierarchy.  Biblioteca e società, ATTI del Convegno di Studi su Egidio da Viterbo nel 450º anniversario della morte, su bibliotecaviterbo. Rassegna bibliografica   [collegamento interrotto], su bibliotecaviterbo.ÆGIDIUS OF VITERBO, Jewish Encyclopedia (la voce contiene, peraltro, alcune inesattezze) Salvador Miranda, VITERBO, O.E.S.A., Egidio da, su fiu.eduThe Cardinals of the Holy Roman Church, Florida International University. Articolo della rivista Theological Studies (O'Malley) dedicato al pensiero riformistico di Egidio da Viterbo , su bc.edu. PredecessorePriore generale dell'Ordine di Sant'AgostinoSuccessore13.escudo.oar.png Agostino da Terni, O.E.S.A Gabriele da Venezia, O.E.S.APredecessoreCardinale presbitero di San Bartolomeo all'Isola Successore CardinalCoA PioM. Domenico GiacobazziPredecessoreCardinale presbitero di San Matteo in MerulanaSuccessoreCardinalCoA PioM.svg Cristoforo Numai, O.F.M.Obs. Charles de Hémard de DenonvillePredecessoreVescovo di Viterbo e TuscaniaSuccessoreBishopCoA PioM.svg Ottaviano Riario2 dicembre 152312 novembre 1532Niccolò Ridolfi (amministratore apostolico)PredecessorePatriarca titolare di Costantinopoli Successore PrimateNonCardinal PioM.svg Marco Corner Francesco de PisauroPredecessoreCardinale presbitero di San MarcelloSuccessoreCardinalCoA PioM.svg Enrique Cardona y Enríquez9 maggio 153012 novembre 1532Marino GrimaniPredecessoreAmministratore apostolico di ZaraSuccessoreArchbishopPallium PioM.svg Francesco Pesaro (arcivescovo metropolita) Cornelio Pesaro (arcivescovo metropolita)PredecessoreAmministratore apostolico di LancianoSuccessoreBishopCoA PioM.svg Angelo Maccafani (vescovo)10 aprile12 novembre 1532Michele Fortini, O.P. (vescovo) Filosofi italiani del XVI secoloCardinali italiani Professore Viterbo RomaAgostiniani italiani Cabalisti italianiCardinali nominati da Leone XPatriarchi latini di CostantinopoliEbraisti italiani. Raptus GANYMEDIS. Ubi ea de AMORE tractavimus, quae aeterna sunt, nunc ad ea accedimus, quae ad mortales usque proveniunt. Utrumque enim in symposio disputatum est a Platone, et quod magnus deus AMOR est, quod ad aeternitatem pertinet, et quod medicus est curatorque mortalium, quod vergit adtempus. Quam quidem sententiam plerique eorum contempserunt, quisibi sapientes videntur, quique rationem sensilibus, non sensilia ratione dimetiuntur.Rati ex aeterna causa res novas absque medio provenire non posse, ne aeterna, stabilis, immotaque res, de ea enim causa praecipue loquuntur, quae firma immota semper est, quasi quae novam rem pariat. Iam a priore statu mota videatur, eademque et immota et mota esset, quod veri nulla potest ratione. Sane divinus ille Amor ex aliquo semper eertur inaliquid,quod si quamanatex aliocogitetur Amor,aeternaprogressione fluit a Parente ac Filio. Sin vero ut vergit in aliquid prospi-ciatur, aut qua in id vergit, quod amatur, velut a patre proles, atque eaprogressio perpetua est, aut qua in id rapitur, quod ex Amore ut, velut inmunera, quae hominibus divinitus tribuuntur. Qui quidem divini AMORIS adventus, tam aeternus non est, quam homines, quibus illa donantur.Mortales sunt, aeterni non sunt; neque accessus ille, illaque curatio quic-quam in Deo collocat novi nisi ex nostra quadam cogitatione. Sed id innobis oritur, quod ad aliquid est, in nobisque non eo in amore mutation ut, quemadmodum orientem solem spectantibus, dexter est antarcticus polus, articus sinister, quibus rursus occidentem spectantibus contrariaratio ut, eciturque et dexter arcticus et sinister antarcticus, ac quam-quam immoti semper poli sint, qui tamen dexter erat sinister ecitur,non caeli parte, sed spectatoris corpore commutato. Ita sane ut, cumad bonas hominum mentes, cum ad morbos animorum curandos, ille loquntur V; locuntur N pariat] percipiat V sint] sunt  ac. V Utrumque … est] Symp.  NV  ; Symp. N medicus … mortalium] Symp. N V accedit amor. Ita ad aegrum se conert, ut agitationem ac motum, nonamor ille divinus, sed solus aegri animus patiatur. Nam cum gemini AMORES, geminaeque sint Veneres, sicut Platoni placet, uterquesi processerit, urorenoscorripit.Sedalterperturbationum,morborum,malorum  omnium causa est; alter sedationes, salutem, bonaque plane omnia elar-gitur.HincMenonillePlatonicusait, mortals non nisi divino gurore correptos bonos eri. Quae quidem sententia oraculo consentit, quo praedicatum est, caeli regnum vim pati atque a violentis mortalibus rapi. Utenim malus furor in era humanam sortem rapit mentem, ita divinus spiritu vehementi, supra hominum vires in caelum usque correptam men-tem vehit.  HIC ILLE RAPTVS DIVINVS EST QVEM SVPERIOR FABVLA IN PHYRGIO PVERO COGITARI VOLEVAT QVEM IN CÆLVM AD DIVINAS DAPES NON SVO CONSILIO PROTECTVM SED DIVINO POTIVS RAPTV ADVECTUM PRODEBAT – RAPTVMQVE AMAVIT NON NISI AB AMATORE – VT HOMINVM AD DIVINA RAPIENDORUM POTESTAS NON NISI IN DIVINVM ET AMOREM REFERATVR. Nam Plato cum tres furors ostendisset: Musarum, Bacchi, Apollinis, quartum etiam Veneris adiecitomnium maximum, sacratissimum, divinissimum. Aeterna vero de causa novi aliquid procisciquid prohibet, a libera praecipue atque immota omnino. Quippe quae idcirco non mutata usque iudicatur, quod quae aeterna voluntate in tempore se acturam statuit, eastatuto tempore fecit. Quare tantum abest ut mutata dicenda sit, quod in tempore quicquamegerit, ut mutatautique dicenda esset, si quod constituit, in tempore non egisset. Adde quod non ponimus spiritum illic esse, ubi prius non uerit, sed alia ratione esse quam uerit. Atque ita ad nos in tempore dicimus procisciillum cum divino aliquot coniungitur munere, quo prius nobis non coniungebatur. Callistoetenim, et amanti deo miscetur prius, et deinde ab eodem in caelum rapta est. Quibus quidem in rebus, non divinum AMOREM sed illam mutatam esse voluerunt, cumprius divina AMICITIA ac deinceps etiam caeli sede a divino AMORE donata est nactaque. Spiritus munus est quippe quem non aquis mergi sed superaquas erri scriptum est. Aquae etenim multae, Solomone teste, extinguere non possunt charitatem, quae una more olei virginum prudentum obrui in undas non potest, sublime tutumque supernatat. Ita quos sanctus [amor  in marg. V  animus] animis  ac. V  Quare] quarum  ac. V esse] etiam  V esse] esset  V etenim  om.  V  Salamone  N V cum … placet] Symp. N N V Menon … eri] Men. N N V puero]  asteriscus N Nam … divinissimum] Ion  N V  ; Phaedr. Ion  N caeli … rapi] Mt. Aquae … charitatem] Cant.] ille AMOR inhabitat, nihil mali metuunt, nullos adversos re ormidant ventos, nulla malorum tempestate iactantur. Quam quidem rem et prius Homerus et postea Maro posteris prodiderunt. Arctos Oceani metuentes aequore tingi, quod hii, quos divinus AMOR corripit, agitari ortasse quandoque nonnihil possint, mergi ullis tempestatibus non possint. Iam verode AMORIS processibus quaesitum saepe est, duonesint, anunus. Alii duos aciunt, quod aeterna res eadem rei non aeternae esse non debeat. Aliiunum dumtaxatessecontendunt,quia duo sunt ad aliquid in spiritu:alterum re, alterum ratione. Quod vero ratione, non re ponimus, nihil erum constituat oportet. Res ex re oritur, non ex solius principio rationis. Nos medium malentes, modo quodam unum, modo alio duos processus esse volumus, omnis enim progressio inter duos iaceat terminosnecesse est, ut Daedali volatus e Cretensi coepit carcere, Calcidicaque levis tandem super adstitit arce. Aquam etiam, quam in horto voluptatis esse docet Moses, vel ex onte unde manat, uel ex alveis in quos manat,spectare possumus. Si ex onte, unam, si ex alveis, plures esse dicendumest. Ita erme et AMORIS divini processus. Si ontem unde fluit adspicias, unus dumtaxat erit immortalis aeternusque, sicut unum esse principiumostendimus unde manat. Sin vero ea spectes, in quae tendit, quia alterum est aeternum, alterum temporarium, ut spiritus divinus et HUMANUM genus, id circo duosesse progressus asseverandum est. In onte enim si quid est quod sit ad aliquid in processu spiritus, unum dum taxatest. In unibus vero non unum, sed duo reperiuntur, quorum alterum in spirituaeternum, alterum in hominibus temporarium residet. De aeterno quidem Hesiodus disseruit, qui etiam Aristotele teste, erram et ante eam Chaos, hoc est vacuum,  ut idem interpretatur quod ii concedant oportet, qui mundum volunt conditum fuisse, ut etiam consensit interpresAverroes ante haec vero, utpote rebus antiquiorem AMOREM constituit,cuius postea partes uere, super aquas erri, et ut alii melius, rudi mundi et silvae et materiae incubare. AMOREM itaqueis vates aeternum essececinit, quem temporarium quoque universa ecit antiquitas,cum Iovem tra-xisse nxerunt ad Danaes, ad Laedae, ad Alcmenae consuetudinem. Nec aliud plane per divinos amores, per amatas Deo puellas, et (si ss esset ii  N re ponimus] reponimus  V  onte  V spiritum  V concedunt  V  Almenae  N V Arctos … tingi] Virg.  N V omnis … est] Phy.;. Phy; .Phy. N N V Aristotele … Chaos] . Phy.  N N V Arctos … tingi] Geo. .Calcidicaque … arce] Aen. .dicere) per Iovis adulteria intellexere, nisi AMORIS divini adventum in homines, cum ex innumerabili pene mortalium turba ad interitum, adineros, ad miseriam properante, quidam seliguntur Deo cari, quibus et verum agnoscere, pedem retrahere, caelum contempta terra conscendere datum est. Dat siquidem Plato in Euthyphrone Divino AMORI, quicquidin mortalibus vel studiosi, vel sancti reperitur. Omne enim Diis AMICVM sanctum, diis vero NON AMICVM PROPHANVM arbitrabatur. Quicquid itaque spei, quicquid salutis, quicquid recti in hominibus esse potest, exmunere deorum esse voluit, cum ALCIBIADES ad bene, recteque agendum censuit non sucere mortales. Id quoque vestigatione dignum putavere, ancum AMORIS Divini muneribus, quae donantur hominibus, ipse etiam Divinus AMOR Deus, ac ipse a nobis spiritus una cum muneribus possideatur. Plato in “Symposio” illud Hesiodi, quod prius adduximus, commemoravit, antiquissimum deorum esse AMOREM ut spiritum ostenderet Deum esse maximum, turbas novorum Deorum ipsa aeternitate antecedentem. Antiquissimum vero et primum intelligimus non modo qua deos alios anteit, verum etiam qua divina in nobis antecedit dona. Primum namque donorum omnium AMORE facit Aristoteles in Rhetoricis, quare nisi prius mortalibus AMOR detur, nunquam divina munera tribuuntur de iis, inquam, muneribus, quae AMICITIAM nobis conciliant divinam. Deum praeterea Aristoteles in maximo caeli circulo esse vult, ea dumtaxat nisus ratione, quod simplices incorporeaeque substantiae eo in loco sunt, sicuti in loco esse possunt, ubi actiones exercent. Quodsi id agit AMOR ille divinus in nobis, ut ex impiis pii, ex iniustis iusti, ex hostibus AMICI eciamur, non potest idem ipse AMOR non esse innobis. Iungimur quoque non modo muneribus cum illa suscipimus, sedipsi etiam Deo, quem probetum nosse tum AMARE incipimus. Notitia enim AMORque Dei, quae praecipua a Deo munera generi humano tribuuntur, ut Deo et propius iungamur et iunctissime haereamus eciunt. Atqui sicut Apostolo placet, quicunque haeret deo, ut unus cum Deo spiritus evadat, oportet. Fit denique in nobis dato munere ad aliquid, quo non modo dona suscepta, verum etiam dantem AMOREM aspicimus. Quamobrem ecitur, ut AMOR ille, qui deus est, alia quam prius ratione possideatur a nobis. Possidetur autem cum sese nobis insinuat, cum in udit se animo, cum sinui penetralibusque amatae mentis illabi- ut] et V nixus V ille  sl. N suscepimus V ut] et  V prius  in marg.V  autem] etiam  V  .– Dat … reperitur] Eut. N V  ; Eutyphrone N Plato … Amorem] Symp. N N V] tur.Quod si parum id persuaserimus, non potest Apostoli oraculum non persuadere, qui Dei AMOREM in discipulorum cordibus praedicat diusum per spiritum, inquit, sanctum, qui datus est nobis. Quo quidem loco incredibile immortalium munus ostenditur, quo non modo divina dona, verum etiam Deus ipse donorum dator sese et dat et exhibet animae humanae. Ex iis vero, quae dicta sunt, dubitatio exoriri potest, sienim AMOR est donorum primum, nullo nos donari munere sequitur, nisi prius AMOREM spiritumque suscipiamus. Cum tamen non nullos constet improbos Spiritus divini dona suscepisse, spiritum tamen minime suscepisse. ria nomina intelligenda sunt nobis, quae saepe a rismegisto et a Platone in medium aerri consuevere. Deum namque apellitare soliti sunt patrem, verum, bonum. Patrem quidem nominant illamut causam, a qua pro ecti sumus. Verum, ut id quod summum intelligimus. Bonum, ut id quod ut beatisimus adamamus. aria itaque divina nominasunt, tres etiam rationes quibus in nobis est Deus. Quaenim Pater ac causa rerum est, omnibus inest rebus. Ea namque, quae sunt, similitudinem servant eorum, unde sunt, atque hoc pacto in rebus est Deus. Esentia, potestate, praesentia, quemadmodum publica senatus decretal censuerunt. Ego omnia impleo, dicebat oraculum. Quam quidem rem divinarum rerum consultissimus Maro in rusticis carminibus scriptamreliquit. Ab Iove, inquit, principium musae. Iovis omnia plena. Ubi et sententiam et sententiae causam elegantissime posuit scribens, Iovis esse plena omnia, atque ideo ab eo principium musae facere. Qui locus longe altius agit, quam prima carminis ronte videatur, voluit enim Iovis plena esse omnia, quoniam Musae principium, atque ortus a Iove ipso est. Filias enim Iovis Homerus Musas ecit. Musas etiam caelestesque deos una cum rebus omnibus a principio conditos a Deo fuisse constat. Quare id circo docet omnia esse plena Deo, quod Musae rerumque omnium pater est et causa ac principium Deus. Primamque rationem describit, qua Deus rebus inest, eiusque rei causam ostendit, quod Musae rerum quesit et pateret principium. Didicitex imaeo Deum esse non modo Musae, sed et rerum patrem, ubi insignis illa Platonis sententia est, actarum rerum patrem invenire dicile est, eari autem nulliunquam as est. Quod enim sit Deus, magno tandem negotio coniicimus, quid autem sit nullo studio, nullo labore in terris animadvertimus. rimegisto  illam] illi  N intelligmus  beatissimus] beatissimus V inquit  sl. N ac] et V advertimus V Ab plena] Virg. NV Didicit … est] im.NNV    At esse ubique Deum Academia semper voluit, utpostea, non semel Plotinus testatus est, cuius quidem doctrinam ad Maronis interpretamenta necessariam esse, vel Servius atetur. Altera ratio, qua inest nobis Deus,est cognitionis et mentis, quod quidem divinum munus ii soli possident, qui sunt mentis rationisque participes. Iungitur namque Deo mens dum contemplatur Deum, utque divinas quasdam speculatur imagines, quibus aciem dirigit in divinam lucem; atque hoc pacto in contemplante estDeus per similitudines atque imagines quasdam, quibus modo quodam coniungimur Deo. Tertia ratio est cum inest nobis deus non modo tamquam verum cognoscentibus, sed tanquam bonum summum adamantibus. Illud cognitionis, hoc amoris est opus. Id menti convenit, hoc daturaectui. Quarum quidem rerum illud est interstitium, quod rei speciemaltera, altera non speciem, sed rem ipsam assequitur. Species enim lapidis, teste Aristotele, in animo est, non lapis, cumcontra bonumipsum ac malum, non in rerum imaginibus, sed in ipsissintrebus. Quaretertius hic nodus quoiungimurdeo, tanto est superiorepraestantior,quantoaurum, atque homo auri hominisque imagines antecellit. Licet intelligentia qua-dam nos ratione iungat Deo, ita tamen iungit, ut scientiae et mathematicae solent, quae aciunt necessaria quadam consecutione, ut cognitas res et coelum cognoscamus, non tamen praestant, ut etiam intellecta possi-deamus. At amor, qui similitudinibus imaginibusque contentus esse nonsolet, ad res ipsas, quas optat, se recipit, nec unquam nisi pulchro poti-tus conquiescit. Cognitio quidem rerum similitudines ad cognoscentem vehit, amor vero amantem ipsum ad rem pulchram rapit. Iarbam quem novit Dido, non admisit, quem amavit Aeneam virum cepit, non enimilli colloquia, non convivia, non munera, non consuetudo sat uit, quinpotius nunquam destitit, donec “speluncam Dido, dux et troianus eandem devenirent, ubiarctissimo connubiivinculoiungerentur. Atquehocest quod in Republica Plato monet, AMORIS nexum multo esse mathematicis artiorem, cum disciplinarum necessitas similitudini mentem iungat, AMORIS vincula pulchro ipsi devinciant. Adde quod velut Maro AMORIS retinacula ut arctissima esse demonstraret, matrimonii illa et nuptia- vel sed V ii ipsi ac. V atque  N altera  om. NV sint sl. V nodus] modus  ac. V  potitur  V Iarbam] Hyarbam  N V  mathamaticis V denunciant V esse est] Enn. VI lib. cap. et   lib. cap. N N V  hoc artiorem]. Reip.  N NV  speluncam … devenirent] Aen. Rumiugosigni cavit. Idem quoque hicidem quo de agimus Spiritus eecit in AMATORIIS canticis, commercia namque humanarum animarum et inmortalis Dei, quae caritate amoreque conciliantur, non aptiori nomine appellate sunt, quamc onnubii atque nuptiarum. Quam obrem liberis, qui mores canit et castos et divinos, ab Ieronimo, Origene, aliisque senatus principibus VIRIS Epitalamii titulo inscriptus est, haud alio plane consilio, quam ut cum amoris nodum cogitemus, ecacissimum arbitremur. Est itaque in rebus Deus maximus primo quidem modo sicut causa iniis, quae vel proveniunt vel oriuntur ex causa. Est rursus in eo animante, quirationisest particeps, quadam et specierum similitudine et intelligentiae luce. Et denique in hoc ipso per sanctos caritatis amorisque complexus. Primum quidem naturae opus est, alterum studii, tertium AMICITIAE. Primum dat nobis essentiam, sequens cognitionem, postremum gratiam atque benevolentiam. Deus siquidem in primo et intellectum et mentem praebet homini, in secundo dei species et enigmata, in postremo AMORIS bene ciodatseipsum. Iam itaque constarepalam potest, quaemunera AMORIS ea sint, quae cum exhibentur hominibus, eciunt ut auctor quo-que ipse exhibeatur. Licet enim, qua pater et causa rebus insit omnibus,praecipuum tamen inhabitandi munus, quod ad amorem pertinet, nullis cum muneribus praestatur hominibus, nisi ea AMORIS, gratiae, amicitiaesint. Extat oraculum clarissimum, quo AMORIS hoc divinissimum significatum est munus: “ad eum,” inquit, “veniemus, in quo, et nobis domicilium faciemus. Hoc idem in Platonico Symposio indicat, quod in AMORIS ortu enia Poro miscetur, ut aperte AMORIS vis intelligatur, cuius inaestimabili et bonitate et beneficio et, ut non speciei, non similitudini, sedipsi Deo anima copuletur. O beatum munus! O felices AMORIS VIRES, O Fortunatos HOMINES, ubi divinus ille flagrat AMOR, ubi suas Deus exercet nuptias, ubi amatae sponsae commiscetur, ubi tanquam in thalamo cubat suo. Quidfasces, quid imperia, quid utiles hominibus voluptates prosunt? Qui si unum hunc AMOREM non possident, male omnia atqueexilio possident. Qui ut parentem et causam colunt deum, parum sese aellureevehunt, caelum que lunae dum taxat aspiciunt, quam terrae naturam sapere volunt et Aristoteles et Averroes, proindeque torpentes acgelidi AMORIS munera acesque non sentiunt. Qui vero contemplantur atque] ac  V costare  V  quoque quo V  inestimabili  V ; inextimabili  N N ac a V Hoc copuletur Symp.  N V ad aciemus Io. ut verum in Mercurii orbem oculos attollunt, unde artium et discipli-narum munera tribui generi humano abulantur. Qui etsi amoris flam-mas nondum concipiunt, quoniam tamen orbis ille venereo iunctus est, nec sua stella a Veneris stella procul unquam migrat, atque utraque semper circum flammeum ardentemque micat solem, idcirco ab intelligen-tia, modo recta piaque sit, ad amoris ignes acilis patet aditus. Qui autemetiam Mercurii somnia virgamque apertis oculis transiliunt, quasi vene-reae columbae pennis, nisi ad Veneris se flammas caelumque recipiunt,quo qui tandem convolant, non in concertatione similitudinum dimicant vel laborant, sed in pace in id ipsum dormiunt laeti atque requie-scunt. Has pennas optabat olim vates: “quis,” inquit, “dabit mihi pennasut columbae, quibus simul volabo, et requiescam!” Huc se venturum isetiam ut poterat sperabat, geminas qui forte columbas aspiciens, quaetum caelo venere volantes, maternas agnovit aves. In hoc denique AMORIS caelumtertiumraptusilleest,quiamoremabsquerebusaliissatisesse,res alias absque amore nihil esse arbitrabatur. Non itaque cum vatici-niis, non cum prophetia, non cum miraculis semper datur deus. Quaeomnia, ut idem testatur, si habeam, unum AMOREM non habeam, nihilomninosum. Quod vero sit donorum primum acitutaliquasempercum donis AMOR detur; si -- prior testo con note – apparato critico – Antonini. Ubi ea de AMORE tractavimus, quae aeterna sunt, nunc ad ea accedimus, quaead mortals usque proveniunt. Utrum queenim in Symposio disputatum est a Platone, et quod magnus deus amor est, quod ad aeternitatem pertinet, et quod medicus est curatorque mortalium, quod vergit adtempus. Quam quidem sententiam plerique eorum contempserunt, quisibi sapientes videntur, quique rationem sensilibus, non sensilia ratione dimetiuntur. Rati ex aeterna causa res novas absque medio provenire non posse, ne aeterna, stabilis, immotaque res, de ea enim causa praecipueloquuntur, quae rma immota semper est, quasi quae novam rem pariat.Iam a priore statu mota videatur, eademque et immota et mota esset,quod eri nulla potest ratione. Sane divinus ille AMOR ex aliquo semper eertur inaliquid, quod si qua manatex aliocogitetur AMOR, aeternaprogressione fluit a Parente ac Filio. Sin vero ut vergit in aliquid prospi-ciatur, aut qua in id vergit, quod amatur, velut a patre proles, atque eaprogressio perpetua est, aut qua in id rapitur, quod ex Amore ut, velut inmunera, quae hominibus divinitus tribuuntur. Qui quidem divini AMORIS adventus, tam aeternus non est, quam homines, quibus illa donantur. Mortales sunt, aeterni non sunt; neque accessus ille, illaque curatio quic-quam in Deo collocat novi nisi ex nostra quadam cogitatione. Sed id innobis oritur, quod ad aliquid est, in nobisque non eo in amore mutation ut, quem ad modum orientem solem spectantibus, dexter est antarcticus polus, articus sinister, quibus rursus occidentem spectantibus contrariaratio et, eciturque et dexter arcticus et sinister antarcticus, ac quamquam immoti semper poli sint, qui tamen dexter erat sinister ecitur,non caeli parte, sed spectatoris corpore commutato. Ita sane ut, cumad bonas hominum mentes, cum ad morbos animorum curandos, ille accedit amor. Ita ad aegrum se confert, ut agitationem ac motum, nonamor ille divinus, sed solus aegri animus patiatur. Nam cum geminiAmores,geminaequesintVeneres,sicutPlatoniplacet, uterquesiprocesserit, urorenoscorripit.Sedalterperturbationum, morborum, malorum omnium causa est; alter sedationes, salutem, bonaque plane omnia elargitur. Hinc Menon ille Platonicus ait, mortales non nisi divino urore correptos bonos feri. Quae quidem sententia oraculo consentit, quo prae-dicatum est, caeli regnum vim pati atque a violentis mortalibus rapi. Utenim malus uror in ra humanam sortem rapit mentem, ita divinus spiritu vehementi, supra hominum vires in caelum usque correptam mentem vehit. HIC ILLE RAPTVS DIVINVS EST QVEM SVPERIOR FABVLA IN PHYRGIO PVUERO COGITARI VOLEBAT QVEM IN CÆLVM AD DIVINAS DAPES NON SVO CONSILIO PROTECTVM SED DIVINO POTIVS RAPTV ADVECTVM PRODEBAT – RAPTVMQVE AMAVIT NON NISI AB AMATORE VT HOMINVM AD DIVINA RAPIENDORVM POTESTAS NON NISI IN DIVINVM AMOREM REFERATVR. Nam Plato cum tres furoresostendisset: Musarum, Bacchi, Apollinis,quartumetiam Venerisadiecitomnium maximum, sacratissimum, divinissimum. Aeterna vero de causa novi aliquid procisci quid prohibet, alibera praecipue atque immota omnino. Quippe quae idcirco non mutata usque iudicatur, quod quae aeterna voluntate in tempore se facturam statuit, eastatuto tempore fecit. Quare tantum abest ut mutata dicenda sit, quod intempore quicquamegerit, ut mutat autique dicenda esset, siquod constituit, in tempore non egisset. Adde quod non ponimus spiritum illic esse,ubi prius non uerit, sed alia ratione esse quam uerit. Atque ita ad nos in temporedicimus procisciillumcumdivinoaliquoconiungiturmunere, quopriusnobisnonconiungebatur.Callistoetenim,etamantideomisce-tur prius, et deinde ab eodem in caelum rapta est. Quibus quidem inrebus, non divinum amorem, sed illam mutatam esse voluerunt, cumprius divina amicitia ac deinceps etiam caeli sede a divino amore donata est nactaque. Spiritusmunus est quippe quem nonaquis mergi sed superaquas erri scriptum est. Aquae etenim multae, Solomone teste, extin-guere non possunt charitatem, quae una more olei virginum prudentumobrui in undas non potest, sublime tutumque supernatat. Ita quos sanc-tus ille Amor inhabitat, nihil mali metuunt, nullos adversos reformidant ventos, nulla malorum tempestate iactantur. Quam quidem rem et priusHomerus et postea Maro posteris prodiderunt: “Arctos Oceani metuen-tes aequore tingi, quod hii, quos divinus amor corripit, agitari ortasse quandoque nonnihil possint, mergi ullis tempestatibus non possint. Iam vero de AMORIS processibus quaesitumsaepe est, duonesint,anunus.Aliiduos aciunt, quod aeterna res eadem rei non aeternae esse non debeat. Aliiunum dumtaxatesse contendunt, qui aduosuntad aliquid in spiritu: alterum re, alterum ratione. Quod vero ratione, non re ponimus, nihil rerum constituat oportet. Res ex re oritur, non ex solius principio ratio-nis. Nos medium malentes, modo quodam unum, modo alio duos pro-cessus esse volumus, omnis enim progressio inter duos iaceat terminosnecesse est, ut Daedali volatus e Cretensi coepit carcere, Calcidica que levis tandem super adstitit arce. Aquam etiam, quam in horto voluptatis esse docet Moses, vel ex onte unde manat, uel ex alveis in quos manat,spectare possumus. Si ex onte, unam, si ex alveis, plures esse dicendumest. Ita erme et amoris divini processus. Si ontem unde fluit adspicias,unus dumtaxat erit immortalis aeternusque, sicut unum esse principium ostendimus unde manat. Sin vero ea spectes, in quae tendit, quia alterum est aeternum, alterum temporarium, ut spiritus divinus, et huma-numgenus, id circoduosesse progressusasseverandumest. In onteenimsi quid est quodsitad aliquidin processu spiritus, unum dumtaxatest. In nibus vero non unum, sed duo reperiuntur, quorum alterum in spirituaeternum, alterum in hominibus temporarium residet. De aeterno quidem Hesiodus disseruit, qui etiam Aristotele teste, erram et ante eam Chaos, hoc est vacuum, ut idem interpretatur, quod ii concedant oportet, qui mundum volunt conditum fuisse, ut etiam consensit interpres Averroes ante haec vero, utpote rebus antiquiorem Amorem constituit,cuius postea partes uere, super aquas erri, et ut alii melius, rudi mundi et silvae et materiae incubare. AMOREM ita queis vates aeternum essececinit,quemtemporariumquoque universa ecit antiquitas,cum Iovem traxis senxerunt ad Danaes, ad Laedae, ad Alcmenae consuetudinem. Nec aliud plane per divinos amores, per amatas Deo puellas, et si as essetdicere per Iovis adulteria intellexere, nisi AMORIS  divini adventum inhomines, cum ex innumerabili pene mortalium turba ad interitum, adineros, ad miseriam properante, quidam seliguntur Deo cari, quibus et verumagnoscere, pedemretrahere, caelum contemptaterraconscendere datum est. Dat siquidem Plato in Euthyphrone Divino Amori, quicquidin mortalibus vel studiosi, vel sancti reperitur. Omne enim Diis AMICUM sanctum, diis vero NON AMICUM PROPHANUM arbitrabatur. Quicquid itaque spei, quicquid salutis, quicquid recti in hominibus esse potest, exmunere deorum esse voluit, cum ALCIBIADES ad bene, recteque agendum censuit non sucere mortales. Id quoque vestigatione dignum putavere, ancum AMORIS Divini muneribus, quaedonantur hominibus, ipseetiam Divinus AMOR Deus, ac ipse a nobis Spiritus una cum muneribus possideatur. Plato in “Symposio” illud Hesiodi, quod prius adduximus, commemoravit, antiquissimum Deorum esse AMOREM, ut Spiritum ostenderet Deum esse maximum, turbas novorum Deorum ipsa aeternitate antecedentem. Antiquissimum vero et primum intelligimus non modoqua deos alios anteit, verum etiam qua divina in nobis antecedit dona.Primum namque donorum omnium AMOREM facit Aristoteles in “Rhetoricis”, quare nisi prius mortalibus amor detur, nunquam divina munera tribuuntur de iis, inquam, muneribus, quae amicitiam nobis conciliantdivinam. Deum praeterea Aristoteles in maximo caeli circulo esse vult,ea dumtaxat nisus ratione, quod simplices incorporeaeque substantiaeeo in loco sunt, sicuti in loco esse possunt, ubi actiones exercent. Quodsi id agit Amor ille divinus in nobis, ut ex impiis pii, ex iniustis iusti, ex hostibus amici eciamur, non potest idem ipse Amor non esse innobis. Iungimur quoque non modo muneribus cum illa suscipimus, sedipsi etiam Deo, quem probe tum nosse tum amare incipimus; notitiaenim AMORque Dei, quae praecipua a Deo munera generi humano tri-buuntur, ut Deo et propius iungamur et iunctissime haereamus eciunt. Atqui sicut Apostolo placet, quicunque haeret deo, ut unus cum Deospiritus evadat, oportet. Fit denique in nobis dato munere ad aliquid,quo non modo dona suscepta, verum etiam dantem AMOREM aspicimus. Quam obrem ecitur, ut AMOR ille, qui Deus est, alia quam priusratione possideatur a nobis. Possidetur autem cum sese nobis insinuat, cum inudit se animo, cum sinui penetralibusque amatae mentis illabitur. Quod si parum id persuaserimus, non potest Apostoli oraculum non persuadere, qui Dei amorem in discipulorum cordibus praedicat diu-sum “per Spiritum,” inquit, Sanctum, qui datus est nobis. Quo quidem loco incredibile immortalium munus ostenditur, quo non modo divina dona, verum etiam Deus ipse donorum dator sese et dat et exhibet animae humanae. Ex iis vero, quae dicta sunt, dubitatio exoriri potest, sienimA AMORES tdonorumprimum, nullonos donarimunere sequitur, nisiprius AMOREM Spiritumque suscipiamus. Cum tamen nonnullos con-stet improbos Spiritus divini dona suscepisse, Spiritum tamen minime suscepisse. ria nomina intelligenda sunt nobis, quae saepe a risme-gisto et a Platone in medium aerri consuevere. Deum namque apelli-tare soliti sunt Patrem, Verum, Bonum. Patrem quidem nominant illamut causam, a qua protecti sumus; Verum, ut id quod summum intelli-gimus; Bonum, ut id quod ut beati simus adamamus. ria itaque divina nominasunt, tres etiam rationes quibus in nobis est Deus; quaenimPaterac causa rerum est, omnibus inest rebus. Ea namque, quae sunt, simili-tudinem servant eorum, unde unt, atque hoc pacto in rebus est Deus:essentia, potestate, praesentia, quemadmodum publica senatus decretacensuerunt. Ego omnia impleo,” dicebat oraculum. Quam quidem rem divinarum rerum consultissimus Maro in rusticis carminibus scriptamreliquit: “Ab Iove,” inquit, “principium Musae; Iovis omnia plena”; ubiet sententiam et sententiae causam elegantissime posuit scribens, Iovisesse plena omnia, atque ideo ab eo principium Musae acere. Qui locuslonge altius agit, quam prima carminis fronte videatur, voluit enim Iovis plena esse omnia, quoniam Musae principium, atque ortus a Iove ipsoest. Filias enim Iovis Homerus Musas fecit. Musas etiam caelestesquedeos una cum rebus omnibus a principio conditos a Deo fuisse constat. Quare idcirco docet omnia esse plena Deo, quod Musae rerum-que omnium pater est et causa ac principium Deus. Primamque rationem describit, qua Deus rebus inest, eiusque rei causam ostendit, quod Musae rerum quesitet pateret principium. Didicitex imaeo Deum essenon modo Musae, sed et rerum patrem, ubi insignis illa Platonis sententia est, actarum rerum patrem invenire dicile est, eari autem nulliunquam as est.” Quod enim sit Deus, magno tandem negotio coniicimus, quid autem sit nullo studio, nullo labore in terris animadvertimus. At esse ubiqueDeum Academia semper voluit, utpostea, non semel Plotinus testatus est, cuius quidem doctrinam ad Maronis interpretamenta necessariam esse, vel Servius atetur. Altera ratio, qua inest nobis Deus, est cognitionis et mentis, quod quidem divinum munus ii soli possident, qui sunt mentis rationisque participes. Iungitur namque Deo mens dumcontemplatur Deum, utque divinas quasdam speculatur imagines, quibus aciem dirigit in divinam lucem; atque hoc pacto in contemplante est Deus per similitudines atque imagines quasdam, quibus modo quodam coniungimur Deo. Tertia ratio est cum inest nobis deus non modo tamquam verum cognoscentibus, sed tanquam bonum summum adamanti-bus. Illud cognitionis, hoc amoris est opus. Id menti convenit, hoc daturaectui. Quarum quidem rerum illud est interstitium, quod rei speciem altera, altera non speciem, sed rem ipsam assequitur. Species enim lapidis, teste Aristotele, in animo est, non lapis, cumcontra bonumipsum ac malum, noninrerumimaginibus, sedinipsissintrebus. Quaretertius hic nodus quoiungimur deo, tanto es tsuperiorep raestantior, quantoaurum, atque homo auri hominisque imagines antecellit. Licet intelligentia quadam nos ratione iungat Deo, ita tamen iungit, ut scientiae et mathemati-cae solent, quae aciunt necessaria quadam consecutione, ut cognitas res et coelum cognoscamus, non tamen praestant, ut etiam intellecta possi-deamus. At amor, qui similitudinibus imaginibusque contentus esse nonsolet, ad res ipsas, quas optat, se recipit, nec unquam nisi pulchro poti-tus conquiescit. Cognitio quidem rerum similitudines ad cognoscentem vehit, amor vero amantem ipsum ad rem pulchram rapit. Iarbam quem novit Dido, non admisit, quem amavit Aeneam virum cepit, non enimilli colloquia, non convivia, non munera, non consuetudo sat uit, quinpotius nunquam destitit, donec “speluncam Dido, dux et Troianus ean-dem devenirent, ubi arctissimo connubiivinculoiungerentur. Atque hoc est quod in Republica Plato monet, AMORIS nexum multo esse mathematicis artiorem, cum disciplinarum necessitas similitudini mentem iun-gat, amoris vincula pulchro ipsi devinciant. Adde quod velut Maro amo-ris retinacula ut arctissima esse demonstraret, matrimonii illa et nuptiarum iugo signi cavit. Idem quoque hicidemquodeagimus Spiritus eecit in AMATORIIS canticis, commercia namque humanarum animarum etinmortalis Dei, quae caritate amoreque conciliantur, non aptiori nomineappellatasunt,quamconnubiiatquenuptiarum.Quamobremliberis,qui  AMORES canit et castos et divinos, ab Ieronimo, Origene, aliisque senatus principibus VIRIS Epitalamii titulo inscriptus est, haud alio plane consilio, quam ut cum amoris nodum cogitemus, ecacissimum arbitremur.Est itaque in rebus Deus maximus primo quidem modo sicut causa iniis, quae vel proveniunt vel oriuntur ex causa. Est rursus in eo animante, qui rationis est particeps,quadamet specierum similitudine et intelligentiae luce. Et denique in hoc ipso per sanctos caritatis amorisque complexus. Primum quidem naturae opus est, alterum studii, tertium AMICITIAE. Primum dat nobis essentiam, sequens cognitionem, postremum gratiamatque benevolentiam. Deus siquidem in primo et intellectum et mentem praebet homini, in secundo dei species et enigmata, in postremo amo-risbeneficiodatse ipsum. Iamitaqueconstarepalampotest, quaemunera AMORES ea sint, quae cum exhibentur hominibus, eciunt ut auctor quo-que ipse exhibeatur. Licet enim, qua pater et causa rebus insit omnibus,praecipuum tamen inhabitandi munus, quod ad amorem pertinet, nullis cum muneribus praestatur hominibus, nisi ea amoris, gratiae, amicitiaesint. Extat oraculum clarissimum, quo amoris hoc divinissimum signi󿬁-catum est munus: “ad eum,” inquit, “veniemus, in quo, et nobis domicilium aciemus.”HocideminPlatonicoSymposioindicat,quodinAmorisortu Penia Poro miscetur, ut aperte Amoris vis intelligatur, cuius inaestimabili et bonitate et benficio et, ut non speciei, non similitudini, sedipsi Deo anima copuletur. O beatum munus! O felices AMORIS VIRES, O fortunatos HOMINES, ubi divinus ille flagrat Amor, ubi suas Deus exer-cet nuptias, ubi amatae sponsae commiscetur, ubi tanquam in thalamocubat suo! Quid asces, quid imperia, quid utiles hominibus voluptates prosunt? Qui si unum hunc Amorem non possident, male omnia atqueexilio possident. Qui ut parentem et causam colunt deum, parum sese aellureevehunt,caelumquelunaedumtaxataspiciunt,quamerraenatu-ram sapere volunt et Aristoteles et Averroes, proindeque torpentes acgelidi Amoris munera acesque non sentiunt. Qui vero contemplantur  ut verum in Mercurii orbem oculos attollunt, unde artium et discipli-narum munera tribui generi humano fabulantur. Qui etsi amoris flam-mas nondum concipiunt, quoniam tamen orbis ille venereo iunctus est,nec sua stella a Veneris stella procul unquam migrat, atque utraque semper circum flammeum ardentemque micat solem, idcirco ab intelligen-tia, modo recta piaque sit, ad AMORIS ignes facilis patet aditus. Qui autemetiam Mercurii somnia virgamque apertis oculis transiliunt, quasi vene-reae columbae pennis, nisi ad Veneris se flammas caelumque recipiunt,quo qui tandem convolant, non in concertatione similitudinum dimi-  cant vel laborant, sed in pace in id ipsum dormiunt laeti atque requie-scunt. Has pennas optabat olim vates: “quis,” inquit, “dabit mihi pennasut columbae, quibus simul volabo, et requiescam!” Huc se venturum isetiam (ut poterat) sperabat, “geminas qui orte columbas aspiciens, quaetum caelo venere volantes, maternas agnovit aves.” In hoc denique AMORIS caelumtertiumraptusilleest, qui AMOREM absquerebusaliissatisesse,res alias absque amore nihil esse arbitrabatur. Non itaque cum vatici-niis, non cum prophetia, non cum miraculis semper datur Deus. Quaeomnia, ut idem testatur, si habeam, unum Amorem non habeam, nihilomninosum.Quodverositdonorumprimum acitutaliqua semper cum donisAMOR detur. Simplicitertamenexactequedari non dicitur, nisi dum munera tertii sunt generis et divina cum AMICITIA tribuuntur. Egidio Antonini. Antonini. Keywords: Ganimede, amore, amare, amatore, amante, amatum, significatum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Antonini” – The Swimming-Pool Library.

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