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Monday, January 3, 2022

GRICE ITALICVS XIII/XXII

Grice e Capua – filosofia romana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bagnoli Irpino). Filosofo. Grice: “I like Capua – from the middle of nowhere – Lago Laceno – he founds an “Accademia degl’Investiganti” in Capri! To philosophise!” Vestigia lustrat, i.e. even in dreams the hound follows the trace of the hare!” -- Impegnato nella ricerca e nella sperimentazione, in antitesi ai vecchi capiscuola come Aristotele, Ippocrate, Galeno ed altri, fu a capo di un'accademia dal nome gli "Investiganti".  Pubblicò il "Parere", sostenendo le idee di chi opponeva la ricerca medica e scientifica al sapere della tradizione. Nacque a Villa Capua, in Via Carpine, da Cesare e Giovanna Bruno. Nonostante la famiglia fosse facoltosa, non gli venne assegnato un precettore che lo seguisse negli studi oltre le basi grammaticali. Ad ogni modo, si dedica con passione, sin da giovanissimo, all'approfondimento del latino, del greco e della retorica. Persi entrambi i genitori e dovette cominciare a provvedere da sé alla sua educazione. Trasferitosi a Napoli per seguire la sorella, frequenta la scuola dei padri della Compagnia di Gesù. Impara le Istituzioni di Giustiniano, leggendo al tempo stesso anche le osservazioni di Giacomo Cuiacio, testi che segnarono profondamente la sua formazione, come è evidente in vari passaggi del suo "Parere" e nelle sue "Lezioni intorno alla natura delle mofete". Si laurea  e fa ritorno a Bagnoli, con l’intenzione di approfondire le sue conoscenze naturali ed anatomiche, effettuando osservazioni dirette su animali vivi sezionati e con il supporto di testi reperiti a Napoli. Proprio in quegli anni prese forma il suo pensiero critico circa l'inadeguatezza del metodo della filosofia. Degli anni di ritiro a Bagnoli non abbiamo ulteriori notizie biografiche. Amenta, autore di una sua biografia, ci riferisce anche di una certa attività letteraria, collocabile in questo periodo, di cui, tuttavia, non ci è giunta testimonianza. I suoi testi furono rubati mentre era in viaggio verso Napoli.  Si trasferì definitivamente in Napoli. Probabilmente il suo trasferimento fu favorito dalla presenza a Napoli di Cornelio, suo amico, il quale vantava una lunga preparazione alla scuola galileiana e indirizza Di Capua alla ricerca scientifica nella linea segnata da Galilei e da Cartesio, protagonisti della rivoluzione che la filosofia sperimentale portava all'interno di una cultura legata al passato e in cui vigeva la legge dell'"ipse dixit". Sulla scia di questo fervore intellettuale, fonda insieme a Cornelio, e Borelli Gl’Investiganti, gruppo di gioco filosofica di neta ispirazione anti0aristotelica.  La sua casa fu spesso luogo, ad ogni modo, di incontri tra gli intellettuali napoletani che facevano capo agl’Investiganti. Ottenne il riconoscimento dal Principe Francesco Carafa, di essere iscritto all'Arcadia di Roma, con il nome di Alessi Cillenio. Tale riconoscimento scaturisce dalla fama e dall'operosità scientifica che ottenne non solo a Napoli, ma in tutta Italia. A causa del suo ruolo di spicco all'interno dell'Accademia e della pubblicazione della sua opera più celebre, il "Parere", e coinvolto nel processo agl’ateisti che fu da molti visto come un processo indetto dal tribunale dell'Inquisizione per contrastare il diffondersi delle nuove idee in ambito scientifico e filosofico. Il processo era ancora aperto quando morì. Fu un professionista scrupoloso e un illustre innovatore scientifico nello scenario culturale napoletano della seconda metà del Seicento. Egli dimostrò notevole interesse per le dispute galileiane e i processi contro lo scienziato pisano, che in quegli anni erano al centro delle cronache del mondo politico, religioso e scientifico. In quel periodo Di Capua era anche interessato al pensiero di Bruno, Campanella e Porta, ma soprattutto era affascinato dalle novità scientifiche a cui lo introdusse il suo amico Cornelio, riguardanti i libri e le pubblicazioni dei principali scienziati e filosofi italiani ed europei come Francesco Bacone, Cartesio, William Harvey, Thomas Hobbes, Pierre Gassendi, Daniel Samert, Hooke, Willis, Boyle.  Tra Cornelio e Di Capua sorse una solida amicizia basata su ideali comuni: entrambi non condividevano né l'autoritarismo aristotelico né le vecchie teorie di Ippocrate e di Galeno. Dello stesso pensiero era Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679), medico fisico e matematico, ammiratore, anche lui, del metodo di Galileo. Infatti lo sperimentalismo galileiano, basilare nell'attività dell'Accademia del Cimento, influenzò e si congiunse con l'attivismo speculativo degli Investiganti napoletani.  L'ambiente culturale napoletano era dunque vivo e attivo e le librerie di via San Biagio dei Librai divennero centri di raduno intellettuale, in cui si discuteva sulle novità di fisica, astronomia, filosofia e medicina. Di Capua, ancora prima della fondazione dell'Accademia degli Investiganti, aveva già incominciato a contribuire al risorgere della cultura napoletana, partecipando attivamente alle riunioni e ai circoli culturali sorti a Napoli nella seconda metà del Seicento, tra cui quello fondato da Camillo Colonna. In un’ottica del tutto contrastante alla Controriforma della Chiesa cattolica che da circa cinquanta anni aveva preso piede, Napoli diventa il centro della vita letteraria e delle attività scientifico filosofiche, spostando l'attenzione da Firenze a Napoli: si passa dal Cimento e dai Lincei agli Investiganti, dalle Accademie fiorentine e romane a quella napoletana.  Si forma quindi in questa “nuova” Napoli, sotto lo stimolo, l'esempio e l'amicizia di Cornelio e Borelli, i quali, durante i loro viaggi, erano stati illuminati dall’ “Accademie des Sciences” di Parigi e la “Royal Society” di Londra. È in questo contesto culturale che ‘Il Parere” richiama l’attenzione di Redi. Lui e Redi erano entrambi scienziati, intellettuali, accaniti osservatori della natura; tutti e due seguivano il metodo sperimentale secondo lo spirito galileiano. Redi scrisse a Di Capua una lettera dopo aver letto le sue "Lezioni sulla natura delle mofete", in cui gli manifesta tutta la sua stima e ammirazione. Redi fu il primo ad effettuare ricerche sul cancro e sulla parassitologia.  L’ammirazione che provava nei confronti del Di Capua era la dimostrazione che quest’ultimo era inserito nell'élite culturale italiana del tempo, anche al di fuori del circuito napoletano, fino al punto che la Regina Maria Cristina di Svezia si interessò vivamente a lui e alle sue idee, comunicandogli il desiderio di conoscere con maggiore chiarezza ed approfondimenti il suo parere sullo stato dell’incertezza della medicina. Scrisse allora i “Tre Ragionamenti sull'Incertezza dei Medicamenti”.  Nelle sue pubblicazioni non fa menzione di Vico, suo devoto alunno, probabilmente in quanto al momento della sua morte il Vico aveva soltanto 25 anni. Quindi non aveva avuto modo di intuire le capacità intellettuali di Vico, il suo genio raziocinante di storico e di filosofo. Certamente Vico fu influenzato dalle idee e dalle teorie di Di Capua, che affiorano in alcune orazioni giovanili vichiane (il concetto della divinità presente in tutta la natura). Vico, di natura solitaria, fu molto sensibile alle novità scientifiche e filosofiche del tempo, partecipa al movimento culturale napoletano e frequenta la casa Di Capua, che considerava il suo ideale maestro. Capua, Cornelio, Andrea, e Borelli fondano a Napoli “Gli’Investiganti”insieme ad altre illustri personalità del mondo scientifico filosofico napoletano. Gl’Investiganti sorgeno in uno scenario di fervore intellettuale nuovo, dall'esigenza, quindi, di allontanarsi dalla filosofia aristotelica e dalle teorie di Ippocrate e di Galeno, per abbracciare le nuove teorie rivoluzionarie. Il motto degl’Investiganti e una citazione di Lucrezio: "vestigia lustrat" seguito dall'immagine di un cane che segue le tracce e fiuta le impronte, rappresentando a pieno lo sforzo degl’nvestiganti nella ricerca delle cause alla base dei fenomeni naturali.  L'Accademia fu chiusa per la peste nel 1656. Venne riaperta dal marchese Andrea Conclubet, spinta da una nuova energia vitale: superare l'arretratezza culturale del paese per mettersi al passo con gli altri Stati europei. Gli investiganti si riunivano ogni 20 giorni e non si limitavano alla discussione dei vari argomenti, ma anche alla sperimentazione proprio come gli accademici della Royal Society di Londra e del Cimento. Alla riapertura dell'Accademia, quindi, le prime lezioni furono tenute dal Di Capua su argomenti di natura scientifica. Altre lezioni ebbero come argomento l'anima, la fisiologia e l'embriologia. Si eseguirono anche esperimenti di fisica, meccanica e idromeccanica in situ, cioè nei luoghi dove certi fenomeni si verificavano (per esempio nella grotta del cane di Pozzuoli, nota per i fenomeni mefitici). Le nuove teorie degli Investiganti determinarono una reazione nel mondo del conservatorismo gesuitico, che sfociò nella fondazione di un'Accademia antagonista: l'"Accademia dei Discordanti", guidata dai famosi medici Carlo Pignatari e Tozzi. Quest'ultimo fu primo medico del Regno di Napoli, professore alla Sapienza e in seguito alla morte di Malpighi gli venne affidata la carica di archiatra pontificio. Da allora i contrasti tra le due Accademie si moltiplicarono a tal punto che il viceré Pedro Antonio de Aragón dispose di chiudere entrambe le Accademie. In seguito riapre una sua scuola, dando prova della sua convinzione sulla fondatezza delle sue teorie e sul desiderio di trasmettere queste verità agli alunni. Questo periodo rappresenta un momento di massima notorietà del pensiero culturale a capo di Di Capua, tanto che, il viceré spagnolo Ferdinando Gioacchino Faiardo indisse un congresso, in cui diversi medici dovettero esprimere il proprio parere per ciò che concerne lo stato delle teorie medico scientifiche oggetto di disputa. Fu così che, in occasione del convegno, Dcompose il suo "Parere Divisato in otto ragionamenti..", che ottenne notevoli riconoscimenti oscurando il conservatorismo cattolico dei suoi detrattori. Nonostante il Seicento, secolo del barocco, avesse come personaggio di spicco a Napoli Giambattista Marino, ritenuto dai suoi contemporanei un genio poetico di grandezza insuperabile, si dichiara nettamente anti-marinista, in quanto la sua mentalità era di natura critica, analitica e scientifica. Si forma nel pieno delle dispute letterarie tra marinisti e tradizionalisti di stampo petrarchista. In quell'epoca predomina il trecentismo linguistico, perorato da Bembo e codificato dalla Crusca, che Salviati detta e di cui nel solo Seicento esistevano ben 3 edizioni. La notorietà, l'autorità, il peso culturale di questo nuovo dogma della lingua italiana ebbe una notevole presa su Capua grazie anche alla sua predilezione per la poesia di Petrarca. Poiché i petrarchisti sono considerati “antiquari” dai marinisti, lui stesso venne etichettato come un antiquario, in quanto purista linguistico e seguace della tradizione dei dettami della Crusca. Di fatto, tuttavia, egli sosteneva principi rivoluzionari di scienza, seppur mediati da un linguaggio ormai arcaico. Tuttavia a Napoli, nella seconda metà del Seicento, si afferma intorno a lui un movimento puristico, a tendenza arcaicizzante che esercitò il suo influsso anche su Vico. Questo sottolinea il suo aspetto conservatore, riferito esclusivamente al linguaggio da lui usato, tipico del purismo letterario petrarchesco. In contrasto con questo atteggiamento letterario antiquario, fu senza dubbio un rivoluzionario in ambito scientifico nello scenario culturale napoletano. La sua produzione filosofica è, dunque, caratterizzata nel complesso da una forte contraddizione tra il nuovo del suo pensiero scientifico ed il vecchio o antico della lingua da lui scelta.  La sua oè costituita da duemila sonetti, due tragedie ("Il martirio di Santa Tecla" e "Il martirio di Santa Caterina"), alcune commedie, una favola a sfondo idilliaco e altri scritti filosofici vari.  Di questa produzione non abbiamo testimonianza a causa del furto subito da lui in viaggio verso Napoli. I sonetti, tanto nella forma quanto nel contenuto, sono di imitazione petrarchesca. La stesura di questi ultimi, inoltre, è collocabile al periodo dell'adolescenza e, pur non potendolo affermare con certezza, è lecito intuire che la sua cosiddetta produzione non abbia potuto assurgere ad alte cime, considerata anche la sua indole disposta più allo studio dei fenomeni e al razionalismo che all'aspetto psicologico o ai fattori emotivi. Le opere drammatiche sono, al contrario, ispirate al modello di Porta. Il Parere divisato in otto ragionamenti è indubbiamente la sua opera più importante, pubblicata a Napoli, ristampata con le Lezioni intorno alle mofete. In questo testo parte dalla pretesa di dimostrare quanto vana, quanto priva di ogni salda dottrina fosse la filosofia di Aristotele, rivendicando un rinnovamento culturale , un bisogno di liberarsi dagli eccessi del potere politico ed ideologico di alcune posizioni. Proprio a causa di questo spirito di rivolta rintracciabile nel testo fu intentato un processo contro lui da parte dei Gesuiti, capitanati da Benedictis, che si svolse a Napoli. Nel Parere, tuttavia, più che negare il pensiero di Aristotele nel campo della conoscenza, intende contestare l'atteggiamento di coloro che ne avevano adottato in maniera eccessivamente pedissequa il metodo. La posizione da lui presa è tutta in favore della rivalutazione delle scienze e di un approccio nei confronti di queste che non sia statico, bensì critico anche nei confronti della tradizione. La medicina in particolare è una scienza che non può fondarsi, a suo parere, su nozioni incontestabili, ma deve piuttosto essere costantemente messa in discussione, pur mantenendosi nei limiti dell'esperienza e della debole ragione. Nell'opera, comprensiva di otto ragionamenti, viene anche delineata la figura ideale del "buon filosofo", il quale deve essere allo stesso tempo anche amante della filosofia e buon conoscitore della geometria. Agli otto ragionamenti aggiunse un'appendice al "Parere": "L’incertezza". In entrambe le opere Di Capua finisce con il constatare lo stato dubbioso tanto della conoscenza e come proprio il loro caratteristico elemento di imprevedibilità, anche in quanto soggette agli elementi umani, rendano impossibile una conoscenza del tutto obiettiva. Le Lezioni sulla natura delle mofete riprendeno i concetti già esposti nel "Parere" sull'aria, concepita come anima dell'universo. Anche nella descrizione e nello studio delle mofete, fenomeni naturali caratterizzati dall'uscita di anidride carbonica, vapore acqueo e altri gas da terreni di origine vulcanica, rivela le sue attitudini alla razionalità, alla dimostrazione obiettiva di ogni evento fisico, sostenendo come la conoscenza di un fenomeno debba essere fondata sul metodo sperimentale. Altra opera pubblicata a Napoli e una biografia del condottiero Andrea Cantelmo, il quale milita nell'esercito di Ferdinando II D'Austria e a cui veniva attribuita l'invenzione delle mine volanti e di un tipo di pistola a ripetizione con 25 colpi. La biografia diventa il pretesto per l'autore per far affiorare la sua concezione sull'individuo, sull'uomo, sui giochi della fortuna, sulla dialettica tra gli avvenimenti storici riguardanti l'uomo come personalità unica ed individuale e l'intreccio dello svolgimento degli eventi. Generoso De Rogatis, Cenni biografici degli uomini illustri di Bagnoli Irpina. Carmine Jannaco Martino Capucci, Storia letteraria d'Italia (F. Vallardi, Milano, Piccin nuova libraria, Padova); .  Mario Puppo, Discussioni linguistiche del Seicento, UTET, Torino). “Parere del signor Lionardo di Capoa divisato in otto ragionamenti, ne' quali partitamente narrandosi l'origine, e'l progresso della medicina, chiaramente l'incertezza della medesima si fa manifesta” (Antonio Bulifon, Napoli); Niccolò Amenta, Vita di Lionardo Di Capua, Venezia). Niccolò Amenta, Vita di Lionardo di Capoa detto fra gli Arcadi Alcesto Cilleneo” (Venezia). Nicola Badaloni, Introduzione a Giambattista Vico , Laterza, Roma; Bari); Cotugno, La sorte di Giambattista Vico e le polemiche scientifiche e letter. dalla fine del XVII alla metà del XVIII secolo, Tip. del R. Ospizio V. E., Giovinazzo. Salvo Mastellone, Pensiero politico e vita culturale a Napoli nella seconda metà del Seicento, D'Anna editore, Messina-Firenze); Walter Maturi, Fausto Nicolini, La giovinezza di Gian Battista Vico; saggio biografico, Napoli); Camillo Minieri Riccio, Cenno storico delle Accademie fiorite nella città di Napoli, Bologna); Luciano Osbat, L'Inquisizione a Napoli. Il processo agli ateisti, Edizioni di storia e letteratura, Roma); Amedeo Quondam, "Minima dandreiana: prima ricognizione sul testo delle "risposte" di F. d'Andrea a Benedetto Aletino" in Rivista storica italiana, Napoli); Gabriele Reppucci, Saggio monografico su Capua, scienziato-medico-filosofo bagnolese (Circolo Sociale "Leonardo di Capua", Bagnoli Irpino). Dizionario Biografico degli italiani. Vico, Autobiografia, a cura di B. Croce Bari (Edizioni Pauline, Milano). Lionardo Di Capoa's Parere is just that: an opinion in response to a specific request by the Viceroy and the Consiglio Collaterale in 1678 put to a group of prominent Neapolitans for counsel on a legal regulatory policy. Di Capoa's attack on Aristotelian discursive modes seems simple, ordinary Aristotle-bashing. Di Capoa maintains a theoretical investment in the anima: this is not a recuperation, or a conscious continuation, of Aristotle on Di Capoa's part. Di Capoa wishes then, to protect medicine not only from mechanical applications of logical techniques, but also from premature, reductionist applications of beast/machine metaphors. Di Capoa wishes then, to protect medicine not only from mechanical applications of logical techniques, but also from premature, reductionist applications of beast/machine metaphors. Aristotle offers a 'biological concept of the soul' as the 'first actuality of life', the principle of life.  IL PARERE DEL SIGNOR LIONARDO DI CAPOA divisato in otto ragionamenti, ne’ quali partitamente narrando l’origine, e'l progrello della filosofia, chiaramente l'incertezza della medefima ſi fa manifefta . SOMA I N N POLI Å Per Antonio Bulifon MDCLXXXI. Columa de Superiori. 1” All'Illuſtriſſimo, ed Eccellentiſſimo Sig. LCTEA IL SIGNOR D. FRANCESCO CARRAFA Principe di Belvedere, Marcheſe d'Anzi , &c. On avendo io coſa , Eccellentiſsimo Signor mio , che m'abbia in più pre gio di quel che fo la padronanza voſtra , cerco per quanto poſso , di farla paleſe a ciaſcuno : ficome altri fa il poſſedimento delle coſe più care, e prezioſe, ch' egli s’abbia , o per ſua induſtria , o per fortuna ac quiſtate . Ho penſato dunque , che a ciò fare io non potrei avere migliore opportunità di queſta , che mi porge il preſente libro , che per mia gran vençura eſſendomi capitato alle mani, ho preſo a far iſtampa re, s'io il mettesli fuori ſotto ilnomevoſtro, La ſcrit tura veramente a giudicio di Voi medeſimo, e d'ogn altr'huomo intendente è tale , che agevolmente poſ ſo da lei promettertii il fine , che m'ho propoſto ;im perciocchè ben toſto n'andrà ella per le mani delle perſone di miglior giudicio nelle buone letiere , sì per per ta cognizione , che s'ha dell'autore dilei , doa vunque ha di quelli , che ſe ne dilectano , sì perch' ella il vale , per l'eloquenza , e doctrina, di che ſi ve de ripiena : oltre all'autorità , e fama, che le ſi accre fcerà dall'iſteſso nome voſtro ch'ella porta ſeco . Poichè posſiam dire, che poche ſono quelle parti d' Europa, ove non s'abbia conrezza diVoi, e delle voſtre egregie qualità , o per la fama, o per la pre ſenza di Voi; ma che quaſi tuttele havete cerche colle lunghe , e laudevoli peregrinazioni, le quali in quella guiſa , che da Voi ſono ſtate fatte,ſidebbono riporre fra quegli ſtudj , con che vi ſiete ſempre in gegnato , e v'è venuto fatto d'aprirvi la ſtrada allº intera cognizione delle umane cofe , e d'accreſcere con le doti dell'animo , e dell'ingegno lo fplendore ch'avete ereditato da'voſtri maggiori . Oltre a ciò non doveva queſta ſcrittura venirne fuori ſotto al. tro nome , che'l voſtro : mentre , e la ſtima, che Voi fate dell'autore di eſsa , e l'affezione , che gli porta te , ficome fare ancora a ogn'altro huomo lettera to , e l'antica dimeſtichezza, ch'egli ha con eſſo Voi il richiedeano . Ricevete dunque ilpreſente dono , ch'io vifo di queſto libro , o per più vero dire , della picciola parte , ch'io ho in quello , per l'opera da me polta in farlo ſtampare , con l'uſata voſtra uma nità in ſegno dell'oſſervanza,ch'io viporto . E pre go Iddio , ch'avanzi in bene ogni voſtro deſiderio; e alla buona Voſtra mercè umilmente mi raccomando. Di V. E , Vmiliſs. Servidore. Giacomo Raillar D. Carlo Buragna ; a'Lettori. E Gli sono già alcuni meſi paſati,che d'ordine del Signor Vicerè fu tenuto conſiglio da alcuni Medici di metter qualche compenſo agli abuſi , ed errori , che tutta via ſi commettono nel medicare . Edopo qualche ragio namenti intorno a cotal biſogna avuti , diviſarono eglino , che per potere con piis loro acconcio eſaminar le ragioni , eipareri propoſti , e da proporſi , ciaſcuno doveſſe mettere in iſcritto il fuo. Perchèconvenne al Sig. Lionardo di Capocs, che fu uno de’chiamati a queſta adunanza ſcrivere il parer ſuo intorno a cotal materia ; e parendo a lui, che ciò non fi poteffe fare acconciamente, senza conſiderare innanzi tratto , e riandar con diligenza la natura della coſa , che s'aveva a trattare , cioè della medicinz : sì il fece egli con tanta dottrina , elo quenza , ed erudizione, che , ejfendo il ſuoſcritto venuto al le mani d'alcuni huomini letterati , e altri amici di lui, par ve loro dettato più toſto per l'univerfalità di coloro , che fi dilettano delle bettere piie eſquiſite , che per haverfi egli awe rimanere fra i termini d'una picciola , e privata compagnia: comechè l'autore di quello non s'aveffe nello ſcrivere propoſto altro fine , che di ſoddisfare al carico da quella impoſtogli.Sti marono dunque coſtoro , che foſſe una tale ſcrittura dameia ter in luce per mezzo delle ſtampe : e tanto fecero ,che alla per fine perſuaſero il Signor Lionardo a farne loro copia , e a con tentarſi, che ſi stampaſealmen queſta delle molte, e diverſe opere fue, ch' egli tieneappreffo di fe. E in ciò non pure eb bero eglino riguardo al piacere, che ſarannoper prender i doe tine i curioſi della lettura di queſto fcritto , ma all'utile an che ne può riſultare a ogni forte di perſone , e Spezial mente agli avveduti, e giudiciofi ragguardatori delle cofe . Poichè , vedendo eglino la varietà delle opinioni, edelle Seite, e le diverſe , eSpelle volte contrarie guiſe di medicare , che fra i medici ditempo in tempofonvenute sì , anche ſenza entrar coʻfiloſofanti in più ſottili Speculazioni , potranno age volmente accorgerſi, con quanta ragione altri Àfaccia a cre Bere D 1 grand 4 derë , o voglia dare a vedere, che una profeffione perfefef ſa cosè dubbiofa , e incerta , habbia in ſe dottrina , o principi, ſu i quali altri pola porre alcuno ſtabile fondamento;e quan to fa pericoloſa coſa il vederſi nelle mani di coloro , che così fi dannoad intendere, espezialmente dove ne va la ſanità , e la vita . Oltre a queſto , chi non vede di quanto frutto può rium Scire queſto ſcritto a'giovani, che danno opera alla medicina ? mentre dalla fola lettura di lui potranno efi per avventura apparar più di ciò , che alla cognizione della natura di lei s'appartiene, che non farebbono col rivolgere tutt'ora i volumi de'più riputati, e folennimaeſtri di quella : e accorger fi a un'ora qual via nell'impreſa del medicare ſi vuol tener da colui , che laſciate andarele giunterie, e le ciance , intende Secondochè la condizined'untal meſtiere comporta , faronore a fe , e giovamento agli infermialla ſua cura commeſſi . Ne meno faranno efli, e ciaſcun'altro, che attende a’migliori ljudj, per vedere apertamente quanti , e nella medicina, e nell'altre Scienze ci sono ſtati, e fono di quelli , che fi vanno ſtillando il cervello pur dietro a quello, che o norciès o pure non ſi ritro va ; e, come dile il noſtro Dante, Trattando l'ombre , come coſa falda . Maſenza, che Io mi diſtenda più oltre in voler dimoſtrares chente, e quale , e quanto profittevole , e dotta fi fia queſta ſcrittura , a ſufficienza il lettore ſol potrà egli vedere di ſe: e come anche non eſſendo ella fata dettata a fine d'averſe a divolgare , non per queſto rimane, ch'ella non corriſponda al la fama dell'ciutore di efsa , e all'opinione , che portanodi lui gli huomini più intendenti, e giudiciof . Sta ſano . EMINENTISSIMO SIGNORE A I Ntonio Bulifon eſpone a V. Em. come deſidera darë alle ſtampe un libro intitolato Parere del Signor Lionardo di Capoa , intorno alle coſe della medicina , per ciò ſupplica V. Em .commetterne la reviſione a chi me glio parerà all’Enı.V.ut Deus, & c. N Congregatione habita coram Eminentiſſimo Domino Cardinali Caracciolo Archiepiſcopo Neapolitano ſub die 3. O &tobris 1679. fuit dictum , quod R.P.Franciſcus Verciulli Soc. Ieſu revideat , & in ſcriptis referat eidem Congregationis. MENATTVS VIC. GEN. Iofeph Imp. Soc. Iefu Theol.Eminentiſs. EMINENTISSIMO SIGNORE O letto per comandamento di V. Emin. il libro del Si gnor Lionardo di Capoa : intitolato Parere intor noalla medicina , ne vi ho ritrovato coſa alcuna con traria alla dottrina della Fede , overo a' buoni coſtumi . Per queſto lo giudico degno di ſtapa, per pubblica utilità , e per ammaeſtramento degl' ingegni curioſi di recondita , e fruttuoſa filoſofia . 13. di Aprile 1680. HE Dell'Em. V. Antico, umilifs. Servo Franceſco Verciulli della Comp.di Giesi . N Eminentiſs. Dom . Cardinali Caracciolo Archiepiſcopo Neapolitano fuit dictum , quod ſtante relatione (upra ſcripti Reviſoris , imprimatur MEN ATTVS VI C. GEN. 1 Iofeph Imp. Soc. Ieſu Theol. Eminentifs. 1 ECCELLENTISSIMO SIGNORE A Ntonio Bulifon eſponea V. E. come deſidera dare alle ſtampe uno ſcritto intitolato Parere del sig. Lionardo diCapoa , intorno alle coſe della medicina, perciò ſupplica V.E.commetterne la reviſione a chi meglio parerà a V.E. ut Deus, & c . Magnificus Michael Biancardi videat , &inferiptis referai. CARRILLO REG. CALA REG. SORIA REG. Proviſum per Suam Excell. Neap. dic 4. Aprilis 1680. Maſtellonus. ECCELLENTISSIMO SIGNORE PA Er obedire a'comandidi V. E. ho letto il libro intitola to Parere del sig. Lionardo di Capoa,intorno alle cose della inedicina , e perchè in eſſo non ho ritrovato coſa contraddicciite alle Regie giuriſdizioni, giudico poterli dare alle ſtampe,fe cosi reſterà V.E. ſervita . In Nap. 16. Maggio 1680 DiV.E. Devotifs. Servidore ! Michele Biancardi Viſa ſupraſcripta relatione , iinprimatur, & in publicatione fervetur Regia Pragmatica CARRILLO REG. CALA REG. SORIA REG. Maſtellonus RA: RAGIONAMENTO PRI M O, 8CMA 220 GLI non hàveramente impreſa , o Signo ri, che più ragguardevole comparir faccia la maeſtà d'un prudente, e valoroſo Prin cipe , quanto l'adoperar sì col ſenno , e colla mano , che i Popoli alla ſua cura commeſſi non vengano da ſtraniero ferro aſſaliti, o ſenza vendetta miſeramente oltraggiati. Ma non è opera per mio avviſo men laudevole , e generoſa il render loro poi ſicuri da gl'inganni de’dimeſtici nimici;i quali al lora più gravemente nuocer ſogliono ,quando ſotto il vela mo della benivolenza,edella carità aftutiffimamente ſi cuo prono; e ch’infingendoſi tutti umani, e compaſſionevoli al l'altrui fciagure, tendon poi loro sì inſidioſilacciuoli, che rade volte ,o non mai ſenza mortale offeſa ſchifar ſi poſſo no . E nel vero, che monterebbe eglimai l'uſcir talvo , e ſicuro da' manifeſti riſchi della guerra ad huom , che poi nella tranquillità della pace,in tanto più acerbi,quanto più naſcoſi pericoli inavvedutamente cader doveſſe ? Anzi queſti di tanta maggior compalfione degno ſarebbe, quáto più gravi , e più dure , e lagrimevoli da giudicar ſono le А ſven Ragionameñto Primo ſventure di quella nave, che ſcampata da più alti mari , giunta poi in bocca del porto miſerabilmente virompe . Perchè non mai a baſtanza potrà commendarſi il pietoſo , e faggio avvedimento - del noſtro Eccellentiſſimo Signor Vicerè ; il quale auendo con maraviglioſa , e incredibile felicità il primo ottimamente compiuto ; e reſi vani gl'in tendimenti , e gli sforzi di quelle armate, che ſuperbe, e crudeli infeſtando i mari , e le terre , ad ogn'or di ſangue , e di fuoco ne minacciavano ; e ſgombrate ſimigliantemen te le fchiere de gli sbanditi, e de gliſcherani, che le ſtrade tutte, ei contadi ſcorrendo il noftro Regno malmenavano; ora con ogni ſtudio , e diligenza và riparando, che non ſia mo aman ſalva nell'avere,e nella perſona miſerabilmente oltraggiati per lomal'uſo della Medicina. La quale per ciocchè a ciaſcun forſe abbiſogna, ſicome ove ſia infra’li miti mantenuta della ſperienza , e della noſtra comeche debil ragione, eſſer puote per avventura di qualche giova mcnto al comune : così allo incontro s'egli mai avvien, che fi torca à ſiniſtro cammino , affai più delle malattie mede fime dannofa fi ſperimenta, e nocevole al genere umano . Nè prima alla notizia di lui gl’infelici avvenimenti d'alcu ni infermi fon pervenuti, per li quali le Chimiche medici ne forte s’accagionavano, ch'eglitantoſto ne impone, che per noi con minuta diligenza li cerchi ogni modo più op portuno da potervi dar riparo : e inſieme di preſcrivere a Medici, ove faccia meſtiere , certe , ſicure , e falde regole nel loro operare. Ma io quantunque voltemeco penſando riguardo quan te , e quali ſian le malagevolezze d’un tale affare , tante fra me mcdeſimo confuſo oltre modo, e fofpeſo rimango;per ciocchè, o che ficome in tutt'altre biſogne di gran conſide razione interviene, o che natura di tal'arte nol patiſca, du ro molto , e malagevol ſembra il dar legge alle coſe a quel la appartenenti . Perchè amerci più toſto ſenz'altro fare , tacendo di non darmene briga , ſe non fapelli, ch’in sì fat ta maniera contravvcrrei a ' comandamenti di colui , icui senni ,non che le richicke debbo di preſente , ſenza replica alcu Del Sig.Lionardodi Capoa. 3 alcuna , e con ſomma venerazione ſeguire ; da' quali ſol moſſo , ed anche dal giovamento, ch'alla mia patria ne po trebbe forſe avvenire, volentieri, e di grado mi vilaſcierò entrare . Ed acciocchè ogni diliberazione , o partito, ch'intorno a ciò ſia da prendere, a vano , ed inutil fine affatto non rie ſca , tutte le forze del mio deboliflimo intendimento im piegherovvi ; diviſando in prima le malagevolezze , in cui di leggier s'avvengono non che Principi, o Maeſtrati ; ma Medici ancora , comechè faggi , e intendentiſſimi in dare ſtabili , e certe leggi alla Medicina ; eſſendo fommamente una tal'arte di ſua natura incerta , e dubbitoſa, ed incoſtan te . Indi poi pian piano , e con diſcreto avviſo più adden tro facendoci,ilmodo proporremo , col quale quanto law natura della coſa comporti, un buon Medico , ed un mi glior Chimico far ſi poſſa. Ne altro provvediméto intorno a ciò al preſente mi ſovviene, che valevole , ed a propoſito ſia per riparare alle perpetue , e quaſi fatali calamità della Medicina. E per cominciare dalle memorie più antiche , laſciando da parte ftare quanto poco duraſſe in India, in Babilonia , edin Afiria quel lor diviſo di dover allogure gl'infermi nelle più uſate contrade e della Terra, perche fuffer cura ti da’ viandanti; nell'Egitto là , dove l'arti tutte, e i più no bili ſtudj nacquero in prima , e fiorirono , ſolamente a’Rè , ed a' Sacerdoti , ed a pochi Baroni d'alto affare ilmedicar gl'infermi era conceduto ; onde da Manetone fra' Medici d'altiffimo fapere annoverati furono Antotide ſecondo Rè della prima dinaſtia de'Tiniti, il quale laſciò ſcritti alquan ti libri di notomia : e Tofortro Rè della terza dinaſtia , la qual’era de'Menfitani . Ma poi tratto tratto cotal meſtiere con tutti s'accomunò , eziandio colla minuta plebe; e tan to il numero de' Medici s'accrebbe , che ben per ciaſcun male era il particolar Medico ſtabilito , che ad altro malo re non dovea por mano , come ne dà teftimonianza Erodo. to della Greca Iſtoria padre , con queſte parole : ; dè intpoxaj A κατα : 1 2 I Strab. lib . 3.8 . 16. Ragionamento Primo κατι δέ σφι δέδασε μιής νούσου έκασG- ιησος, και ου πλεόνων» παντού δ ' ιητών επί σλέα.οι μενεγαρ οφθαλμών Ιητοί κατεσέασι, οι δε κεφαλής , οι δε όδόντων, οι δε τών και νηδήν , οι δε των αφανέων νούσων, cioc fala Medicina appo loro divifaeflendo per ogni malore, e nongià per più il ſuo Medico : Ondetuttoilpaeſe vien da Medicin gombro ,perocchè altri curano gli occhi, altri il capo , altri i denti , altri le parti del ventre , e altri i mali interni , e na Scofi . Rimaſa poi in man ſolamente delle private perſones non ſi può creder di leggieri , quanto cadendo dal ſuo pri mo ſplendore l'Egiziaca medicina cangiolli per l'infingar dia, ed ignoranza de' novelli Medici, iquali eran di così poco talento , che come dice ilteſtè mentovato Erodoto, i primi della Corte del gran Rè della Perſia , allorche a co ſtui gli ſi era dislogato ilpiè, non pur no’l ſepper guarire , ma coʻloro argomenti a peſſimo ſtato il riduſlero . Perchè ſicome ſenza fallo è da credere , fù a’Medici , come narra Diodoro, nell'Egitto per legge vietato il traviar da’coman damenti degli antichi Maeſtri , a' quali ſe alcun contrave gnendo interveniva , che piggiorato ne foſſe lo infermo , n'era perciò acerbamente punito ,xq'v Teis ex tās iegãs 616nou νόμοις αναγινοσκουμένοις ακολουθήσαντες αδυνατήσωσι σώσαι τον κά. μνοντα ,αθώοι παντός εγκλήματG- απολυόνται.εαν δε παρά το γεραμ μένα ποιήσωσι, θανάτου κρίσιν υπομένεσιν. Εnel vero fu non po ca fortuna di Galieno (per tacere al preſente d'Ippocrate, e d'altri) il non eſſer egli nato à que'tempi,ed in quc'paeſi; perocchè non così agevolmente n'avrebbe ſchivata la pe na, ſe quaſi ad onta della reverenda autorità di tal legge oso pur dire quette parole: ου γαρΙπποκράτης μόνον , αλακαν τοϊς άλλους παλαιούς, ουχ απλώς οίς αν είσαι τίς αυτών πυρεύω βασανίζω δε και αυτός τη τεπείρα , και ταλόγω. ciοε , πότερον αληθές εςιν , ή fèuda ö yayçá Daci , Io ciò offervo non ſolamente negli ſcritti d'Ippocrate, ma in tutt'aliri libri de gli antichi; che non così di leggieri foglio commendare ciò che ciaſcun di loro ne aveſſe laſciato ſcritto ;maprima il vò ben’io ejjaminando colla Sperienza, e colla ragione,ſe vero, o falfo fifia ;ſe pure egli, che valente maeſtro di loica era , per iſchermirfi non aveſſe tali chioſe fatte in su gli ſcritti de gli antichi, e tanto i lor Del Sig.Lionardo di Capoa. 3 . i lor ſentimenti ſtravolti, ed avviluppati , finche paruti fof ſer conformi a ciò che più gli era a grado. Coſtuina , che più di ogni altra han poi ſeguita, e ſeguono tuttavia i Me dici, che gli vanno appreffo , i quali in tal guiſa i ſuoi detti sformano , ed anche que’d'Ippocrate, che ſovente fan ve duta di dir tutt'altro di ciò che da prima ſi propoſero . E forſe gli Egizziaci medeſimi con iſchernire la lor legge anch'eſſi vezzatamente cotal arte operavano ſecondo il proverbio : fatta la legge , penſata lamalizia . E a tanto giunſe per avventura la lor traſcutata arditezza , che ſo vente vegnendo toſto alle purgagioni , e per lo più con in felice avveniméto per ripararvi traſandata la prima legge una nuova ne publicarono, ſecondochè ne narri Ariſtotele con quette parole: Εν Αιγύπτω μετα την πταήμερον κινείν έξεσι τοις Ιατζούς, έαν δε πρότερον επί τω αυτε" κινδύνω , eler lecito a' Medici muovere ſolamente dopo il quarto giorno , che fe'l voglion far. prima, lo ſi facciano a lor pericolo .La qual mellonaggines non ritrovò gran fatto , ch'io mi creda , ricevitori , ſe mai avviſarono quanto di leggier poſſano avvenir que’mali, a ? quali fa meſtieri d'eſtremi medicamenti anche nel primie ro giorno, e toſto che ſi fan manifeſti. Ma o quanto da nul la ſtato ſarebbe quel Medico , che procurato aveſſe l'altrui ſalute a coſto della propria vita, Eda tali ſconvenevolezze avendo per avventura riguar doi Greci, i quali come nell'arti , c nelle ſcienze, così nel la prudenza civile ogni altra nazione ſi laſciarono ſenza contraſto addietro : non mai dar vollono determinate leggi alla Medicina, ed a que', che la eſercitavano; amando me glio , che ne'liniſtri avvenimenti de gli infermiper colpa ' de’Medici n'aveſſercoſtoro in condegna pena la ſola infa mia portata : και πιο σιμον γαρ ιητικής μούνης έν τήσι πόλεσιν ουδέν 60315042 Tinio a'došíns , la quale a coloro, cui preme l'animo cu ra di vero onore, più ch'ogni altro fupplicio grave riuſcir fuole, e nojofa. La qual coſtuma ſi vede manifeſta da File, mone, ovc dice : Μόνω. 2 Ippocrate , 6 Ragionamento Primo 1 111 Μόνω διατάω τούτο και συνηγόρω Εξεσιν αποκτείναν μεν , αποθνήσκαν δε μη . Cioè a dire , al Medico ſolamente, ed al giudice fi permet te uccidere a man ſalva le genti . Piacque ciò anche all'al to ingegno del divino Platone , laſciando egli così nella ſua Republica ordinato : Aniuna pena fia ,che foggiaccia il Medicó, s'alcun infermo da lui curato contro ſua voglia fia che ne muojaιατρών δε περιπτάντων αν ο θεραπευόμενων υπ'αυτών τε arvoſi xabago's tsw na odvopov . Dal cui divilo non punto ſi di lungo Luciano , ove diſſe : L'arte della Medicina quanto di maggior pregio è degna , e più dell'altre alla vita giovevole, tanto i ſuoimaeſtri debbono più godere di libertà' ; e convene volcoſa è , che goda di qualcheprivilegio, nè fia giamai liga ta , o foggiogata da potenza veruna una dottrina confecrata agl'Iddij,e diporto degli uominipiù ſcienziati,nè vegna alla dura ſervitù delle leggiſottomeffa , e al timore , e alle pene acTribunali . π δε της ιατζικής όσω σεμνότερόν έσι και τώ βίω Χρησι μώτερον τοσέτω και ελευθεριώτερον είναι προσήκει τοϊς χρωμένοις , και πνα πονομείων έχειν την τέχνην δίκαιον τηεξεσία της χρήσεως , αναγκάζεσθαι δε μηδεν , μήδε ποσάττεσθαι , πράγμα ιερον και θεών παίδευμα και ανθρώ πων.σοφών επιτήδευμα.μήδ ' υπο δελείαν γενέσθαι νόμου μήδ' υπο φόβος και auweiar dixæsnetw . E cõciofoſſecoſa , che frà Greci gli Ate nieli ſolamente vietaſſero alle donne , e a'ſervi lo ſtudio del la medicina ; non è però gran fatto da lodare , per non dir che molto da biaſimar ſia un cotale ſtatuto ; perciocchè,co me più avanti diraſli , lo intendimento di valoroſe donne contro al loro avviſo s'è moſtro più fiate valevole a viril mente imprendere i più alti ſtudj; ed a ' ſervi ancora conce dette la natura più volte animo , e ingegno alla libertà fi loſofica acconcio : perchè a ragione non guariappreſſo fù rivocato : rapportando Igino : Obſtetricibus neceffitatis , honeſtatis gratia ufus medicina tandem ab Athenienſibus con ceffus fuit . E molto meno dovrem noi credere , che rima neſſe in piè la beſſagine di Seleuco , che tal potremoſenza fallo quella ſua legge chiamare , colla quale non altrimen te , che ſe veleno ſtato foſſe proibì il ber vino ſotto capi tal pena a tutti gli ammalati Locreſi, ſalvo ſe prima non ne ayer 1 DelSig. Lionardo di Capoa. aveffero da loro Medici la licenza ottenuta. 3 Ens Aoxgüv των Επιζεφυρίων νοσών έπεν οίνον α'κρατον μη προσάξαν7G- ταθεραπεύ αντG ,εί και περιεσώθη θάνατG- ή ζημία ήν άντώ, οπ μη προσαχθέν από o'Se triev. La Romana Republica , che non pur nel governo militare , ma nel politico ancora avanzò di gran lunga le greche tutte, e lebarbare nazioni, giudicò convenevol com fa il non commetter ſenza freno alla balia deMedici la cu sa della vita de gli uomini ; e perciò preſe per partito, che Aquilio Tribuno della plebe, non so ſe Gallo , o altro e' ſi fofíe,con un plebiſcito , il qual fu poi annoverato infra le leggi di Roma,qualche penaa'loro fallimenti iinponeffe , per la qual’accorti divenuti foſſero , e cauti nell'operare . Non per tanto dimcno è da credere che legge tale, o ple biſcito , che ſi foſſe , non mai ſi metteſſe in ufo , ch'altrimen te avrebbe avuto il torto Plinio di ſclamare in sì fatta gui. fa contra’Medici. + Nulla præterea lex punit inſcitiam capitalem , nullum exemplum vindiétæ : indi ſoggiugnere : difcunt periculis noſtris, experimenta per murtes agunt: ed in fin conchiudere : Medicoque tantum hominem occidiſe fumma impunitas eft. Ma vi ha di vantaggio ſecondo il me delimo Autore tranfit convitium , &intemperantia culpa tur , ultroque qui periere argauntur . E perciò immagino , ch'in compilando i Digeſti per commandamento di Giuſti niano a bello ſtudio traſandaffero que celebri Legiſtila fentenza troppo dura nelvero, e crudele di Paolo ſopra la legge Cornelia de Sicariis . S Si ex eo medicamine, quodad falutem homini , vel ad remedium datum erat homoperierit, is qui dederit ahoneftior fuerit, in inſulam deportatur, humi lior autem capite punitur . La quale a giudicio di quella grand'animadella civil ragione GiacomoCujacio, alla già detta legge Cornelia non può propiamente ridurſi; peroc chè dice egli il Medico ſanandi,non nocendi animodedit. Ed avvegnacchè i medeſimi Legiſti nelle Hituta , e ne’Di gefti vi rigiſtraffero non ſolamente il già detto capo della legge Aquilia , ma ancora le ſeguenti parole d'V Ipiano , SicutiMedico imputari eventusmortalitatis non debet , itad quod * Elannt. lib 2.9.cap.z. lib.recept.lent. 6 Cuias.in Ang Corn de Sioar. 8' Ragionamento Primo tores quodper imperitiam commifitimputari ei debet, ebo pretextu fragilitatis humanadeliétum decipientis in periculo homines innoxium eſſe non debet. Nientedimeno o di rado, o non mai certamente fur meſſi in uſo cotali ſtatuti, avvegnachè non ſolamente Plinio, ma molti, e molti anche dopo lui le que. rele medeſime replicando con più vive doglianze l'acca gionaſſero ; infra’quali il dottiſſimo Agnolo Poliziano in una ſua piſtola al Leoniceno così ſcrive, indolui rurſus ge neris humani vicem , quod in fegraſari tamdiu impune tri ſtem hanc inſcitiam patiatur, atque ab ijs interdum vitæ fpem pretio emat, unde mors certifima proficifcatur ,e'l Vives co sì grida : Errata illius (del Medico ei favellando) impung funt:immomercede compenſantur, e Battiſta da Mantova: His etfi tenebraspalpant eſt facta poteſtas Excruciandi ægros, homineſqueimpune necandi. E un Satirico Italiano ſcherzando col titolo del Dottor dice a queſto propoſito medeſimo del Medico: Mapoichè un tal ci può donar la morte Senza punizione, e ſenzapena Forzaè, che sì gentil titol riporte E'l noſtro Accademico in quel ſuo vaghiſſimo dialogo , hoc tamen ipfo -ſecuri , dice parimente deMedici, quod nulla fit lex,quæ puniat infcitiam capitalem : immo vero cum mercede gratia referatur, ed altrove: Carnifici medicus par eſt: nam cædit vterque Impune: &merces cædis utrique datur . E un'altro Autore: Si quæcamque ſuaplectuntur crimina lege Quas Medici maneant modo veſira piacula pænas ? Quiplerumque ipſo facitis medicamine morbum, Etdiro ante diem ægrotos demittitis orco . ? Scilicet hoc vobis indulſit opinio rerum Vna potens. Clades inferre impune per Orbem Mercedemque alieno obitu , laudemque parare. Edavvegnachè Maſlimino condennaſſe nella perſona tutti ſuoi Medici , perche non gli aveſſero o ſaldate affatto le piaghe, o alleggiato il dolore , nondimeno l'eſfemplo d'un tal DelSig.Lionardo di Capoa. 9 tal tiranno non può dar vigore a leggeniuna ; e fu queſta non men, che tutt'altre ſue crudeltà biaſimata da gli ſcrit tori del ſuo ſecolo , ſicome anche Aleſsádromeritevolme te riportò titolo di crudele, per haver fatto ingiuſtamente ammazzar Glaucia Medico , per ſoſpetto, ch'egli aveache colui poco faggiamente aveſſe curato il ſuo cariſlino Éfc ſtione. Comeallo incontro grandemente vien commenda ta la clemenza, e umanità di Dario Iſtaſpe Redella Perſia, il quale i Medici già alla morte dannati , perchèlui aveſſer malamente cnrato , volentier permiſe , che liberaci foſſero da Democide illuſtre Medico da Cotrone . Ma non però creda alcuno , aver iMedici per traſcutaggine de’reggi menti una tal libertà guadagnata ; anzi egli è ſomma nc ceſſità del comune, e quaſi arte di buon governo; perocchè ſarebbeli quaſi affatto ſpenta , e com’Io avviſo annullata fin la memoria del meſtier della Medicina, ſe contro aʼme dicanti con rigor di giuſtizia ſi procedefle. Ed in vero qnal huomo mai, ſe non ſe ſommainente ſciocco, e ſcimunito, o temerario aſſai avrebbe vanamente logorato il tempo , e le fatiche dietro ad un'arte ( ſe pur arte poſſiamo chiamar la Medicina , non avendo quella niuna certa , e filla regola nelle ſue operazioni ) quanto a ſe ſpiacevolc,e malagevo liſſima a conſeguire , e ne gli avvenimenti dubitoſa aſſai? E dicola ſpiacevole, perocchè qualmaggior noja, e ſpiaci mento , che quel di colui , che continuo ha da bazzicar co? malati, e veder ſempre , & udire l'altrui miſerie ſenza aver talora opportuno argomento da riſanarli ? Ed è anche malagevole ad imprendere , e incerta ſempre negli avve. nimenti : imperocchè nella cura delle malattie non meil dell'avvedutezza del Medico il caſo ancora, e la fortuna vi fan la lor parte '; perchè ſurſe quel volgar detto: Fa meſtieri il Medico ejjer forto benigna coſtellazion nato . Ed o quanto aſſai ſoyente avviene , che contro ad ogni avviſo umano , ficome ſcriſſe Celſo , etiam Spes fruſtratur : & moritur aliquis , de quo Medicus fecurus primòfuit. Ed : Ippocrato medeſimo avvegnacchè altiſſimoMedico , & avvedutiſſimo B giu 7 Plutarcom: 11 / a ? ! . 10 Ragionamento Primo giudicato , purconfeffa se da tal meſtiere ancor più di bia limo, che di lode aver’acquiſtato. r fywye doréw pasiove uspelo Morgíny topov xexangãoBan Thin Tégun.E quinci è, che duracoſa, o malagevoliſſima, o impoſſibile ſempre mai è'l ravviſare ſe le cattive uſcite de' mali da dapocaggine de' Medici più toſto avvengano , o da natura delmale , o da altra interna cagione , in cuiſenno alcuno , ne umano provvedimento giammai non vaglia. Incertiſſimi ſempremai, ed oſcuri gli uſcimenti delle malattie ſi ſono ,maſſimamente delle acute, ſecondo il ſentimento d'Ippocrate ; perchèdiceva anche Celſo: Neque ignorare oportet in acutis morbis fallacesma gis effe notas falutis ,& mortis. Senza che ſoglionſi ne'cor pi degli animali ingenerare, e talvolta anche di preſente , iveleni per ſubitana, o precipitazione , o coagulazione ; e può anche huomo, che non altri, ma Apollo, ed Eſculapio medeſimogiudicherebber faniſſimo,aver dentro enfiature, o altri nafcofi malori , che quando egli men ſi crede ſian , valevoli ad irreparabil morte condurlo ; e ciò anche nel tempo ſteſſo , che li s'appreſtano i medicamenti; perchè a torto poi i rimedjmedeſimi, e non il malore accagionatine vengono. Ed oltre a ciò poſſono alcuni medicamenti, che buoni, e giovevoli alla ſalute degli huomini ſi giudicano , tal curbamento dentro cagionare , che l'ammalato le new muoja avanti , che noi col noſtro corto intendimento pof fiamo ne pur badarvi : 8 Quæque medendi caufa repertow ſunt ( comene fà teſtimonianza Celſo ) nonnunquam in pejus aliquod convertuntur , neque id evitare humana imbe. cillitas in tanta varietate corporum poteft . Perchè non ſarà egli colpa de'Medici l'avertalvolta piggiorato co’ſuoi me dicaméti lo infermo; ne in ciò le leggi potranno giámai coſa del mondo determinare . Ma su concedaſi , pure , che per legge ſia a' Medici l'uſo del medicar preſcritto : come mai potrebber coloro eſſer caſtigati ſe la travalicaſſero ? o co me mai potrebbe porſi in chiaro il delitto , acciocchè poi ſecondo il diritto delle leggi vi ſi procedefle ? E chi baſte volmente non sa quanto i Medici tutti ſian contrarj di ſet te, s lib.z.cap.6. DelSig. Lionardo di Capoa. IT ) te, e diſcordanti ſempre ne’loro ſentimenti ? Perche oda paleſe nimiſtà , o dacoperta invidia, il che è peggio, ſempre ſtuzzicati, o tratti dall'amore e dalla benivoglienza de’lo ro parziali, traſandata la verità delle coſe rappreſentano al Giudice tutt'altro , che di giuſtizia dovrebbero ,e dannoli a divedere, come ſuol dirlila Luna nel pozzo, ſecondo il lor diſiderio ; ſenza che il timor della pena , in cui potrebbe di leggieri incorrer il Medico, ſempre ſoſpeſo, e inviluppa to il terrebbe in prender partito anche quando faceſſe me ſtiere dipiù efficacemente operare ; ed egli timido , econ fuſo per non porre a riſchio la ſua perſona nelle piu gravi malattie ſcioperato, e colle mani penzoloni ſe ne ſtarebbe; o pure per non partirſi dal comun ſentimento del vulgo , comechè falſo , e almal contrario, talvolta vani, e perico lofi rimedi uſerebbe . Coſa , chepiù ch'altrui a'Medici de Principi , come avvisò il Cardano , avvenir ſuole ; i quali per tema non pur dell'infamia , ma di mal maggiore ſi ten gono di adoperar grandi, e non uſati medicamenti. Ne ſam rà quì fuor di propoſito l'apportare un'eſemplo del meſtier della guerra,da quel della Medicina non guari in verità per l'incertezza de'ſucceſſi lontano . Compativano anzi che nò i Romani Maeſtrati gli erroride' Capitani de’loro eſer citi;e ben ſi vede a quale altezza ne montafſe perciò lo im perio di Roma, come all'incontro sa ciaſcuno a qual miſe rabil fine ſi conduceſſero i Cartagineſi per operar ſempre mai ilcontrario . E più vicin deʼnoſtri tempi ben lo mani feſtarono i Viniziani con loro gravoſiſsimo danno, e quaſi con la caduta univerſale del lor comune, quando ingiuſta mente per la ſua tracotanza decapitarono il Carmagnuo la; perchè poi ſmagato il Liviano, e ſecondando il fenti mento de’malcauti provveditori,ne perdette la giornata di Vicenza , e miſerabilmente con tutto l'eſercito ne reſtò tagliato, e ſconfitto . E forſe la morte data al Vitelli fu an che una delle principali cagioni , onde i Fiorentini traditi dal Baglione,la libertà poi miſeramente ne perderono. E ben potrebbe qui alcuno non ſenza qualche ragione andare ſpiando,che la legge Aquilia, cometutt'altre leggi B 2 de' 12 Ragionamento Primo 1 ! de’Romani da noi teſtè rapportate, nõ già per li valétiMea dici oMetodici , o Empirici, o Razionali ſtare foſſer fatte, ma ſolamente pe’ſoli popoleſchi Empirici,e volgari; eſſen do comunal ufo appo coloro di non ſolamente con nome di Medico i volgari Empiricichiamare , ma quegli ancora, che di caſtrare i fanciullieran uſi ;come agevolmente ſi può ne'Digeſti, e nel Codice così di Teodofio, come diGiuſti niano comprendere . E certamente in coſtoro ſolamente da credere , ch'aveſſe luogo l'ignoranza dell'arte ; per ca gion della quale furono in Romacontro a' Medici ordina te le leggi. Ma sì fatta razza di medicanti ben ne do vrebbe eſſere acerbamente punita: intramettendoſi teme rariamente in meſtier di tanta conſiderazione , quanto è il mcdicare; e ordinando alla cieca rimedi di riſchio sù la vi ta de gli ammalati. Perchè ſtimo ben fatto aſſai, ch'in mol te parti dell'Europa , venga loro ſotto graviſſime pene if medicare interdetto ; avvegnacchè poi cotali divieti poco, o nulla fian melli in uſo . E ben d'eſſo loro a gran ragione dice Anneo deRoberticiocchè degliStrolaghi diſſe in pri maTacito : Genus hominumpotentibus infidum , Sperantibus fallax : quod in Civitate noſtra vetabitur femper ; & retine bitur: Se non ſe troppo fcarſo èil paragon del Roberti ; che i cattivelli degli Strolaghi altro no fanno,che con lor cian cie tenere a bada le brigate de' curioſi con paſcer loro di vaniſſime ſperanze; e gli Empirici volgari co'lor vani ſegre ti , e con lor ciarle , o rattengono gli ammalati , che non prédano rimedj da'buoni Medici,ondepoi ſe ne muojano: o pure con lor nocevolifumi medicamenti eglino medeſimi gli uccidono. E giuſtamente per avventura furon prima digradati , c poi nella perſona condenvati que' viliſimi paltonieri nel reame di Francia , ch’in vece diguarireil Rè Carlo Seſto , preſſo a morte coʻlor medicamenti , e quaſi a perduta ſpe ranza ilcondufſero . Ma egli fu per mio avviſo poco ſag. gio, cavveduto quel valoroſo Re arriſchiando in mano di giuntatori , e pancaccieri la propia vita; e ben come da pri ma li s’offerſero di voler riparare a'ſuoi malori , così do 1 veali Del Sig.Lionardo di Capod. 13 veali toſto e ſenza niuna pruova fare , o aſpettar di lor pro meſſe :del temerario, e folle ardimento punire. Se pure non fu malavoglienza , edaſtio de’maligni Medici di que’tem pi,che fe si malcapitare que'cattivelli, Ma come potevan giammaicon ſalde, e durevoli leggi ſtabilir la Medicina, oi Popoli , o i Maeſtrati , i quali po co , o nulla per la più parte di quella s'intendevano ; le a tanto non poteronmaii più ſaggi, e avveduti Medici per venire, li quali per lungo ſtudio, ed eſercizio molto adden tro in quella ſentivano ? Inventore per quel che fi creda , o almeno antichiſſiino ſcrittore fu della medicina Eſcula pio , e come ne da teſtimonianza Ippocrate , o chiunque altro fi foſſe l'autor della piſtola a Democrito, molte re gole all'eſercizio del medicare egli preſcriffe : ma ben to fto non buone conoſcendole parecchj ſaviſſimamente diſ fenne; quròs , dice e' parlando d’Eſculapio , è moois deepcóunge καθάπες ημίν αι των ξυγκαφέων βίβλοι Perchè può dirſi col toſcano lirico , che Solchi onde, in rena fondi, e ſcriva in vento colui , che dietro lo ſtabilimento di sì fatte regole s'affati ca, e a cuic.iglia di chiarirfene cercherò per quanto io pof ſa di inoſtrargliene con ordinato diviſamento le cagioni. La medicina tanto , e tanto oggimai creſciuta, e avanza ta, che ben di maggioranza co’più illuſtri , e più nobili ſtu dj gareggiar ſi vede, e colla ſua giuridizione fin détro i più rimoſſi,ed vltimiconfinidella natura s'innoltra : pure fra gli anguſti limiti di pochiſſime piante ſi vide in prima riſtret ta, come avviſa per tacer d'altri l'antico chioſatore d'Ome ro vidpxxia inteixen év GOTÁVOLS ñ ; e'l nostro Seneca : Medicina quondam paucarum fuit fcientia herbarum ; anzi in quel dolce, e ſovr'ogn'altro avventuroſo tempo Quando era cibo il latte Del pargoletto Mondo, e culla il boſco. col ſolo digiuno gli huomini ſi medicavano, 9 E pur viuean que'primi huomini allora, Elefebbriſcacciar, quando l'aiuto Non 9 Ercol.Bentiv.Satir, 3 . 14 Ragionamento Primo Non davan l'erbe, ne'lfapere ancora, o perchèpoco loro abbiſognaſſe la medicina, come avviſa altresì Seneca : Firmis adhuc, folidiſquecorporibus, & facili cibo,nec per artem , voluptatemq; corrupto: o perchèficome à tutt'altre coſe di quaggiù è dato , eziandio alle più grandi, da deboliſſimi principj dovea la medicina trarre l'origine; que’medicamenti uſando gli huomini allora, che loro, o dal caſo , o da bruti animali , o dalla propia induſtria venian manifeſti . 10 Perchè ragionevolmente credeſi, che Age nore , e Chirone tenuti per alcuni ipiù antichi di tutti i Medici,coll'uſo delle ſole piāte medicaſſero. Túcsospeli Aynuo είδη,Μάγνητες δέ Χείρωνα τοϊς πρώτους ματςεύσαι λεγομένοις απαρχας κα μίζουσι.ρίζαι γάρ εισι και βόταναι δι' ών ιώντι τες κάμνον ζεις.Ε di Chi rone ritrovatore del Panace Chironio : πρώτην μεν χείρων G- επαλθέα ρίζαν ελέσθαι κενταύρου χρονίδαο φερώνυμον, ήν ποτε χώρων πολίω εν νιφόεντι κικών εφράσσατο δείρη narra 11 Euſtazio , ch'eſſendo egli nella mano ferito , oco me vuole Plinio, nel piede ritrovaſſe la medicina dell'erbe, χείρωνα γάρ φασι σώθενζ ποπτην χώρακαι την δια βοτανών επινοήσασθαι ixreixn\v: e per tacer di Mercurio ,ilquale inſegnò come can ta Omero l'uſo ad Vliſſe dell'erba Moli Ως α'eg φωνήσας πάρε φάρμακον Α'ργαφόντης Εκ γαίης έρύσαςκαι μιν φύσιν αυτού έδειξεν e ſi pare, che medicaſſero altresì non con altro , che colle fole piante Ercole, onde traſſe il nome il Panace Erculeo; e Ilide e Oſiride, e Apollo, e Arabo , e Cadmo, e Bacco per opera del quale come dice Plutarco, si ritrova primieramente, e monta in pregio il vino , medicamen to poderoſo , e ſoave, e venne anchepaleſata al mondo la gran virtù dell'edera , la quale maraviglioſamente riparar ſuole i danni , che provenir poſſono dal vino ſtrabocche γolmète ufato , ο ΔιόνυσG- και μόνον τώ τον οίνον ευρώνιχυρόα τον φάρ μακον και η διεν,ίατρος ένομίσθη μέτσι, αλα και το τον κιτζόν ανπταπό μενον μάλισα τη δυνάμει πεος τον οίνον ας πμην προαγαγών και τεφανά . σθαι διδάξαι τα βακχένοντας , ως ήταν υπότα οϊνα ανιόντο , τα κιλά κα ποσβεννύνθG- την μέθην τη ψυχρότητ: δηλοί δε και των ονοματώ, ένια την Σ 10 Trif.appo Plur. u lib.i'lliad Del Sig . Lionardo di Capoa. Is 2 την πιο ταύ πολυπραγμοσύνην. Le fole erbe dovettero pari méte adoperarc Eſculapio inventore del Panace Aſclepio , col quale egli,comecāta Nicádro guarì lola figlio d'Ificle: a's" χει και πίνακες φλεγυήϊον όρρατε πρώτο παιήων μέλανG- ποταμε " παρg χάλG- αμερσεν αμφιτζυωνιάδαο θέρων, ΙφλίκλεG- έργG έντε συν ηρακλή κακήν έπυράκτεν ύδρην e che come avviſa il ſuo chioſatore ſolea nclle cure de gli altri fuoi inferimi anche adoperare . δ Ασκληπιον τέτω λέγεται Ιατεύσαι όσις ήν της κορωνίδα της θυγατςός τ8 φλεγύο παιήων só coxnýma. ed Amitaone, e Melampo , il quale come ſi legge in Dioſcoride dell'elleboro ſerviſſi nel curar le fi gliuole di Preto Rè de gli Argivi. Mercun Qutisaitór @ toe's Afolty Osya tegas Hayelous év ained, cioè coll'ellebero xa Jogou weó tos ĉ beeg Tolcay , e Podalirio, e Macaone non d'altro , che d'erbe fi valfer pe' feriti dell'oſte greca , e prima della guerra Trojana Medea , come narra Diodoro coller be guarì le ferite di Giaſone,di Laerte,d’Atalanta, e di Te fpiade. Ιάσονα και Λαέρτην, έπ δε Αταλάντης, και τους Θεσπιάδας προσα γορευομένους· τούτοις μεν ουν φασίν υπο της Μηδείας εν ολίγαις ημέραις Tori písars Borzívass DeexWeu Iñvou . E Trifone appo Plutarco in nalza , e loda ſommamente gli antichi nneisy xexenuefuésmo' Qurwv ixrçıxß. Quindi provati più volte , e riprovati poi i lor medicamenti , dieder la prima bozza all'arte del medicare, como cantù Manilio : Per varios caſus artem experientia fecit Exemplo monftrante viam . Macome pochi , e ſemplici erano in prima i medicamenti, poche, e ſemplici altresì eſſer dovettero allora le regole della medicina: quindi per gli errori, ne'quali puotè age volmente incorrere la ſperiêza,abbiſognò ,che cotali rego le,comechè pochiſſime,pure talvolta mutafler faccia ,cam biandoſi tuttavia , è migliorandofi i primi medicamenti. Così cominciò la medicina ſu'l bel principio a far manifeſta la ſua incoſtanza . Ma non guari così ella in man delle ſemplici perſone riſtette , che tratto tratto non vi poneſſer mano anche i filoſofanti; i quali è da credere, che da prima da 16 Ragionamento Primo da ſola curioſità, e diſiderio d'inveſtigar la cagione de'me ? dicamenti tratti vi cifoſſero ; ma pian piano vie piu avan zandoviſi,ericoncentrandoviſi,giunſero poi a tale,che bia ſimando , comeincoſtante, e pericoloſa l'antica ſemplicità del medicare, le prime fondamenta gittarono della razio nal medicina ; comeche Euſtazio ne faccia Podalirio il primiero inventore , ed egli ſembri per quelche ne narri Eriſimaco appo Platone, ch’un tanto onore al ſuo padre Eſculapio ſi debba attribuire : onuéte? Quiséger G Astana's ( ως φασιν διδε οι ποιητα, και εγω πείθομαι )συνέςησε την ημετέραν τέχνην . ή τεν ιατζική (ώσπερ λέγω ) πάσα δια το θεε τε του κυβερνάται.Ε pri ma aveaegli detto:έπισήμη των τε' σώματG-ερωτικών προς πλησμο νην και κένωσιν , και ο διαγιγνώσκων εν τα' τους τον καλόν τε και αίρον έρω το , 8'τός εςιν ο ιατρικώτιτς- και ο μεταβάλειν ποιών ώστε αντί το ' ετέρα έρωτG- τον έτερον κτησάσθαι : και οίς μη ένεστιν έρως δει δ'εγγενέσθαι,έπισα μενG- εμποιήσαι , και εν όντα εξελεϊν , αγαθός αν είη δημιουργός : δεί γαρ δη τα έχθισα όντα εν τωσώματι , φίλα οΐόντ είναι ποιείν , και έραν αλήλων , έξι δε έχθισα , τα εναντιώτατα ψυχρoνθερμώ,πικρον γλυκεί , ξηρονυγρό πάνω τα τοιαύα τούτοις έπιςηθείς έρωτα εμποιήσω και ομόνοιαν . Ma non per tanto non ceſſarono,mavie più moltiplicarono le ſue muitazioni e le ſue incertezze : e come varj erano , e diſcordanti quei , chela cſercitayano, così varia ella ne divenne, equaſi in inille parti diviſa. Ma pur ſi manteneva intanto con iſtrettiſſimo legam alla filoſofia la razionalıncdicina congiunta ; intanto che da'più ſaggi, e prudenti ſtimatori delle coſe , come Celſo avviſa, parte di quella veniva concordevolmente giudic.ee ta: eral parve che ſe ne ſteſs’ella fino all'età di Erodico, detto da alcunimalamente Prodico . Or coſtui come rio traceiar ſi puote da quel che ne narr. Platone nel Ginna fio , di cui egli era Mactro, cpriino miniſtro , cagionevole divenuto della perſona, per lo biſogno, che gliene faceva , a coltivarla medicina con tutto l'aniino , e conogni ſtudio maggiore ſi volſe; e quella alla Ginnaſtica congiugnendo, e preſcrivendole alquante regole da lui per via della ra gione, e della ſperienza daprima ritrovate, li parve,ch'an zi d'ogni altro qualche forma d’arte a darle incominciaſſe. E illo DelSig.Lionardo di Capoa . 17 E allora venne ella pian piano a perderdella filoſofia l'an tica uſata dimeſtichezza : comechè Celſo, ed altri portino opinione eſſer ciò per opera d'Ippocrate primieramente avvenuto . E da Erodico ſembra eglipoi, ch'il reſtì da noi mentovato Ippocrate ſuo ícolare , ed Eurifonte , e altri il coſtume di trattar ſeparatamente dallafiloſofia le coſe alla medicina appartenenti apprelo aveſſero . Ed avvegnachè ad alcuniciò ſembraſſe ben fatto affaire digran giovamen to alla medicina ; non però di menomolto manifeſto egli ſi potrà comprendere per colui , ch'alla verità delle core voglia ben profondamente guardare, cſſergliene anziche no graviſſimo nocimento ſeguito. Imperciocchè quindi i filoſofanri niuna curanon dandoſi di por mano alla media cina , e quinci i Medici delle biſogne di quella groſamen te diviſando , per poco di razional non le rimare , altro che'l nome. E giunſe a tale sì biaſımevol coſtume, ch’in di fenderlo tuttavia i lor poſteri pertinacemente s'affaticava no : e oſtinati in su la credenzi coglievan pruova da farlo a credere alle genti . E Galieno pure osò dir d'Ippocrate , aver lui certamente gran ſenno fatto in non inframetterſi giammai di volere ſicome ſi fè poi da Platone , inveſtigar la natura , e la generazione delle qualità di que'loro quat tro primi corpi, ondegiudicano ciaſcuna coſa , ela malli ... turta del mondo cſſer compoſta, e ordinata; dicendo, un cotalbriga a'filoſofanti ſpezialmente , e non già a'Medici appartenerſi; i quali ogniloro uficio han baſtantemente , compiuto,toſto che a ſapere aggiungono la ſanità de'corpi dal temperamento , o dalla meſcolanza del caldo , e del freddo , e dell'umido , e del ſecco ingenerarſi,ſenza più ol tre curioſamente ſpiarne. Ma qual di queſta giammai po trebbe alla medicina coſa più offendevole , c più dannoſa immaginarſi? Così per lungo uſo ne' Medici , che razionali appellar ſi facevano l'amor della fapienza tratto tratto mancando , più fiere aflaise più crudeli le conteſe della malandata mc dicina rappiccaronſi; perciocchè ove in prima i ſentimenti gli uni de gli altri per vaghezza ſolaméte della verità con C trila 18 Ragionamento Primo traſtar ſolevano , allora affondati tutti nelle fazioni, e oſti nati ne gli appoſtamenti, non rifinarono di piatire , e riot tare, e carminarſi l'un l'altro, e proverbiare; intanto che ne meno i primi maeſtri, e ritrovatori dell'arte ne fur ſalvi, Apollo giudicato Iddio della medicina , era allora poco a capital dalla fciocca gétese volgare torma de Medici tenu to , rimproverandoli apertamente eſſer luiciarlone , e mil lantatore; e ſovra tutto d'ingratitudine anche il cacciarono; perciocchè avendo egli dall'altrui urmanità , e corteſia law medicina apprefa,tutto ſuperbo poise gonfio ſe n'andavas come s'egli, e no altri dapprima per propria induftria ritra vata l'aveffe. Anzi perchè egli in maggior pregio ,e gloria formontar ne doveſſe incominciò lo ſcaltcrito ,e fagace pá cacciere,avédone appreſa l'arte da Glauco, ch'era un volpā vecchio, a cicciar carore,e far l'indovinello ,aprēdo la ſtra da alle frodi, e aſtuzie da trccellar le genti. Proverbiò altri Eſculapio anch'egli Dio della medicina,perchè egli bergol foſſe , è di poca fermezza in mcdicando ;e non poche be ſtemmic ancora li furono ſcagliate per la ſua ingordilimizu avarizia: imperciocchè egli in priina d'ogni altro , ficome narrano, 12 l'arte ragguardevole, e ſacrosāta della medicina in profan’uſo rivolgendo, tratto da vil guadagnos2 prezzo medicando a un'infermoPrincipe vendèinfinito teſoro al quante poche erbe, e radici, perchè giuſtamente eglimeri tóne poi cffer fulmimato ,ed arſo daGiove;e laſcionne a'pe fteri un così ſeoncio , e così abbominevole eſemplo . E ol tre a ciò dicono ,ch'egli in far l'indovino, el malioſo , ci tutt'altre giunterie, e frafche il ſuo padre Apollo digran lunga avanzaſſe, perchè poi funne ſovraſtante a gli augurj, e all'arte divinatoria per ciaſcun creduto. E côtro di lui di vantaggio aggiungono aver lui con mille modi , e artifici fconvenevoli dato a divedere altrui, ficome fè ſuo pa dre , che anche i cadaveri ſapeſſe egli in bella vita riporre; e che in sì fatta gaiſa il titolo di divino fecleratamento d'accattar fi proccuraffe . Ma per recarvi le molte parole in una , e'conchiudono alla perfine, ch'Apollo poco,onul la Pindaro, Del Sig.Lionardodi Capoa : 19 la di medicina s'intendeſſe : e molto meno ne ſapeſſe il ſuo figliuolo Eſculapio ; perciocchè sfidandoſi colui di poter nell'arte propia il figliuot compiutamente ammaeſtrares, fotto la diſciplina di Chirone fegliele lungamente impren dere. 13 E coſtui dopo cotanto ludio , e tempo, che logo rovvi, tanto ne venne in ſuſo , che per guarire un menomo dolor di denti fu a riſchio di perdervi il ſuo buon nome; e le ftanco alla perfine con una preſta diliberazione per torli d'addoſſo una cotal ſeccaggine a viva forza no'l cavava , fuora al malato chi sà che gliene farebbe ſeguito ? E'l ſuo gran Maeſtro Chirone non che altri , ma ſe medeſimo cu far non valſe , allor che a caſo da Ercole ferito preſe per partito di far larga rinuncia della vita , e dell'immortalità 2 Prometeo , e così uſcir valoroſamente fuor d'ogni impac cio . 13 E ben da ciò fi può apertamente comprendere , re vere foſſero quelle tanto maraviglioſo , e tanto impareg giabili pruove , che di lor falfamente la menzoniera anti chità và millantando . Così per avventura gli aftioſi con tradittori di que'primi maeſtri favellano : c Io ancora a vo lerne dire al preſente ciò, che me ne paia , non mi ſembra gran fatto da porre in dubbio eſfer que’ primi ritrovatori della medicina appo'Greci poco in quella cercamente pro firtati; ſe nc'ſecoli appreſſo ancora , quando colletà in cia lcuno ſtudio , carte avanzavaſi ilmondo, meno ſaviamente coloro diviſandone, moſtraron'altresì d'aſſai poco ſaperne. E quantunque eglino in tanto buon nome , e pregio per tutto ne montaſſero; non però di meno non dobbiamo noi dalla noſtra credenza rimanerci ; giudicando nelle prime bozze dell'arti al ſemplice, e creſcente mondo eſſer ſem brati maraviglioſi, e divini ritrovati le prime opere della medicina. E fu ciò più che a tutt'altri inventori, agevol molto a’Medici ; perciocchè ogni lor grave fallimento , ed errore in medicando, eſſendo, come diſle colui, naſcoſto in fieme coʻgli ucciſi da loro forterra ; e allo incontro appa rendo folaméte di quà le loro comechè menomiſſime pruo ve ne'vivi da loro riſanati, ſenza troppa invidia poteronfi C 2 age 13 Apollodoro . RagionamentoPrimo agevolmente acquiſtar loda , e pregio immortale . Senzaa chè nelle più ribalde, e cattive perſone certamente ciò avviene ; le quali ſicome aſute , e malizioſe ſi van procac ciando per tutto favorevoli , e parteggianti ; e dalla vera fapienzalontane non laſciano qualunque froda , 0 giunte ria , onde preſſo la minuta bruzzaglia delpopolo diventi no ragguardevoli. Perchè è certamente da giudicare eſſere ftati coſtoro , di cui cotanto buccinavaſi, aſtutiſſimi giunta tori , e ramanzieri. Nè Io ho in animo di recarvene qui molti eſempli,chea gran dovizia potrei ritrarre dalle anti che , e dalle moderne memorie ; ſolamente non laſcerò di rapportarc ,effer'antica fama,che Acrone d’Agrigéto aveſ ſe una volta damortifera peſtilenza liberata la Città d'A . tene colle grandi luminarie , e fuochi , cheper entro vi fè accendere. Ma ſe ciò da fuoco avvenir poſſa , non che da altro ,da gli occhi noſtri propjcertamente ce ne habbiamo potuto ricredere.Narrali il medeſimo aver fatto a’ſuoi tépi İppocrate . E Toſſare ancora dopo morte acquiſtonne e Itatue, e ſacrifici, ed altri onori divini; perciocchè, come narra Luciano, in tempo che Atene era più che mai dalla fogadella peſtilenza malmenatas e tutto che dipopolata , e ſgombra , diceſi eſſer apparſo colui ad Architele moglie d'un cotal huomo dell'Areopago ,e averle ſicuramente det to , che ſe gli Atenicli fpargeſſero le ſtrade tutte divino, di preſente farebbcſi attutata la peltilenza ; e ciò facendo co loro , dilubito , conforme colui loro promeſſo aveva,ne fur del tutto rimofti , δπι της ελάδα κατά τον λοιμον την μέγαν έδοξεν και Αρχιτέλος γυνή Αρεοπαγίτε ανδρος επιφάνια τώ λοιμώ έχόμενοι, ή τας σενωπες δίνω παλά ράνωσι τέτε συχνάκις γενόμενον ( 8 ' γαρ ημίλη σαν Αθηναίοι οι ακούσαντες ) έπαυσε μηκέτι λοιμώξειν αυτούς. Or qui io amereil'uſato ſuo avvedimento in Luciano , il quale ſcioccamente ſe'l crede, e va fantaſticando , ciò eſſer potu to avvenire da vapori del vino , i quali trameſtati all'aria Paveſſero purgata , e dilibera da gli aliti peſtilenzioſi, che l'infcrtavano .Madominc ſe coteſte peſtilenze non manca rono, fe no ſe dopo lungo ſterminio ,c mortalità delle genti, allorchc ſtanco rimafeli il male ; perchè dovrem noi dire eller BIBLIOTICA NA effer ciò avvenuto per opera de’vani, e poco giovevoli ar gomenti , e non più toſto per isfogamento , c periſtracce del malore? Cosi certamento è da giudicare, che gliaſtuti, e molto ſcalteriti giuntatori conofcendo il male effer già nel calo, e nel menomamento,per procacciarſi loda, e pre gio immmortale vezzatamente v'aveſſero poſto conſiglio; acciocchè poi l'opera delſalvamento foſſe più coſto a loro , che alla natura del male attribuita . Artificio ,che tutto dì ſi ſperimenta ne'Medici ancora de’noſtri tempi. Ma in qual to ad Eſculapio ben può egli rimanerſene có quella gloria, che per eſſer egliſtato il primo Maeſtro del mondo in civar déti,glivien ragionevolméteattribuita dal romano Orato re, quádo che diceÆfculapius : primus dentis evulfionem in venit:concioffiecoſachè le cure per lui fatte sì rare,e si ma raviglioſe elle ci vengano in tante , e si diverſe guiſe nar rate , ch'elle come avvisò ſaggiamente Seſto Empirico ſon per ciò da dire del tutto favoloſe , wwóJeon gas éautois yolañ λαμβάνοντες οι ιπεικοί ή ορχηγών ημών και επιςήμης Ασκληπιον κεκε » egυνώ.θα λέγεσιν εκ νεκέμνοι τω ψύσματι, ενώ και ποικίλως αυτό μεG anárixa. Narra Steficoro effer Eſculapio alla ſua maggior gloria formontato per aver riſuſcitati co'fuoj inedicamenti alquanti di coloro ch'in Tebe crano trapaſſati; ma Polian to dice ellerli Eſculapio refo ragguardevole per eſsere ſta ti di ſua mano riſanati alquanti per iſdegno di Giunone impazzati . E Parraſio racconta eſser fui ſopra tutto ſtato commendato peraver da morte ricolto Tindaro. E Maſta filo vuole, chcil ſuo maggior pregio foſſe ſtato ľaver ri congiunto , e riſuſcitato Ippolito ſquarciato in cento brini da fpaurati corſieri .Ma Filarco rapporta tutto il ſuo buon nome, e onore dalla viſta ritornata a figliaoli di Fineo aver avuto dirivo. E Teleffarco finalmentcrafferma efser lui ag giunto infra ' Dij,perciocchè tentato aveva di riſuſcitar da morte Driσne. ΣτησίχορG» μεν εν Εριφύλη ειπων , όπ πινας των επι Θήβαις πεσόντων και ανισά . ΠολύανθG-δε ο Κυρηναίς , εν τω πρί των Ασκληπιαδών γενέσεως. ότι τάς Προύσε θυγατέρας κατα χόλον Ηράς εμ μανάς γενομένας ιάσατο .Παρράσιο- δε , δια το νεκρόν Τυνδάρεω ανα · τηςαι.Σλάφυλφ δε εν τω περί Αρκάδων , όπ Ιππόλνιου έτράπευσε φέ EMANUEL BLI UBIO EMANUE BOMA govca 22 Ragionamento Primo 1 γονία εκ Τροιζήνα- και καλα τις παραδεδομένας κατ' αυ78 ° έν τοϊς τραγωδε μένος φήμες . ΦύλαρχG- δε , εν τη εννάτη για το της Φινέως υους των φλωθένας απκαςήσαι χαριζόμενον αυτών τη μηρή Κλεοπάτρα τη Ερεχθέως . Τελέσαρχος δε και εν τω Αργολικώ, και ότι Ωρίωνα επεβαλέτο avasãows, Ma quali artificj e' non tcntò per eſser tenuto di ligente, e ſcorto nel medicare ancora che ſchifi, e abbomi nevoli fuſſero ? Egli volle ( liçome narra Cclio Rodigino , c venne in ciò Eſculapio da Ippocrate imitato sallaggiar fin le feccie degl'inferni, coinc ſe ciò necellario ancor foſse a rintraciar le cagioni delle malattie, perchè poi da Ariſtos fane nel Pluto proverbioſamente oxaloDeéy @ ne fu chiama to , e Noipiù acconciamente potremmo à lui dire col no ftro Azzio Sincero . Efe idem poteris Merdicus, &Medicus; Ma ſopra tutto giovaron lommámente ad E/culapio gl’in dovinelli, le malie,gli oracoli, i ſacrificj, gli agurj, e altre,e altre molte ſorti di ſuperſtizioni, e d'altre fraſche ,e giunte rie , ch'egliuſava ; ficcando carote alla ſciocca gentane , c tenendo in sù la gruccia con ſuoi cicalamenti gl'infermi. Cola la quale ſi coſtumava allora da chiunque voleva con qualche lode eſſercitar la medicina. E per tacer di Medea, c d'altri molti, Melampo con sì fatti artificj, e fanfaluche , oltre alla fama grande , che gliene ſeguì, di povero conta dino , ch'egli era , inſieme con ſuo fratello divennero ric chiſſimi Principi , e ſovrani Signori delle due parti delRe gnodiPreto , e mariti delle figliuole di lui da sè riſanaten, le quali chiamavanſi per quel che ne dica Apollodoro, Li ſippe, e lfianaſſa; ma ſecondo Eliano Elea, e Celene; e che o per lo troppo uſo del vino , o per opera della Reina di Cipri impazzare andavan paſcendo brancoloni, e muge ghiando coinc vacche per le valli della Morea , e d'altri paeſi intieme con lor ſorella Ifinoc , la qual prima di eſser medicata ſe ne morì : delle quali narra Virgilio nella Bu. colica: Pretides impleruntfalfis mugitibus agros; At non tamturpes pecudum tamen ulla fecuta eft Concubitus ; quamvis collo timuiffe: aratrum , Et 1 Del Sig. Lionardo di Capoa. 23 Et fæpè in levi quæfiffet cornuafronte. E che per opera di Melampo poi poſeſi conſiglio al lor fu rore,e furono ricoverate a ſanità coll'elleboro nero, come vuol Dioſcoride ; avvegnachè Galien giudichi , e con più falda ragione ,eſsere ſtatolelleboro bianco,che ciò opera to aveſse . Il qualmedicamento apparò in prima Melampo dalle pecore,come vuol Teofraſto , o più toſto dalle capre, ch'e'guardava ,come ſcrive Plinio; le qualicon paſcer l'el leboro ſi purgavano . Comechè alcuni portinoopinione eſser da Melampo l'impazzate donzelle guarite non già coll’elleboro , ma con latte di capre paſciute in prima di quello ; e altripur vogliano eſser non già quel Melampo caprajo , che loro il ſenno ricoverato aveſse ; ma un'altro Melampo detto l'indovino : E Polianto ciò ad Eſculapio attribuiſce , ſicome narra Seſto Empirico , ed Eudoilo appo Stefano antichiſſimo Geografo : Ma che che ſia di ciò, non è da dubitare, che Melampo dopo lunghe cerimo nie, e facrifici ,e ſuperſtizioni volle, che imprima le impaz zate Donzelle fi lavaſſero in quella famoſa fonte d'Arca dia chiamata Clitorio ; perciocchè in memoria di ciò vi ſi leggevano in un marmo que' belliſſimiverfi rapportati da Iſogono antichiſſimo Scrittore dell'acque. Αγρότα συν ποίμνεις το μεσημβρινόν ήν σε βαρύνη Δύψος αν εσχατιας κλείτορG- ερχόμενον , Της μέν από κρήνης αρύσαι πόμα , και παρα νύμφαις Υδριάσι σήσον παν το σόν αιπόλιον . Αλα συ μήτ' επί λετρα Gάλης κρόα μη σε και αύρη Πημένη θερμής εντός εάνια μέθης . Φεύγε δ' εμην πηγήν μισάμπελον ενθου μελάμπες ΛεσαμενΘ- λύασης ποιτίδας αργαλίης Távla xabaqueor fxoļev daóx gupov súr’ ár át' deyes συρεα τρηχείης ήλυθεν αρχαδίης.. Perchè poi ſurfe conteſa infra gli Scrittori di giudicar di verſamente quella cura : e altri dicono eſſere ftato il ſacri ficio ſolamente, e'l bagno: altri l'elleboro; ma certamenre per quel che per noiavviſar fi poffa, egli ſi pare , ch'amena due i medicamenti vi fuffer da Melampo adoperati; perchè Pittagora così dice appreffo Ovidio: . Clito 24 Ragionamento Primo Clitorio quicumquefitim de fontelevarit ; Vina fugit: gaudetquemerisabſtemius undis , Seavis eft in aqua calido contraria vine : Sive, quod indigena memorant, Amithaone natus, Prætidas attonitas poftquam per carmen , &herbas Eripuit furijs ;purgamina mentis in illas Mifit aquas; odiumquemeri permanfitin undis. Al qual coſtuine avendo per avventura riguardo l'Omero Ferrareſe volleche Aſtolfo faceſſe lavar più volte in mare il ſuo forſennato Orlando pria che gli da se bere il licores avuto in Ciclo per guarirlo: 1.0 fà lavare Aſtolfo ſette volte , E ſette volte ſott'acqua l'attuffa Si che dal viſo , e da le membra folte Lava la brutta ruggine , e la muffa. Ma non ſi contentava già disì fatti artificj ſoli Melampo, ma a render più ragguardevoli,e famoſe le ſue cure ſi van tava anche come ſcorgerſi puote in Sinelio 14 di ſapere in terpetrare i ſogni , e ſi valca oltre a ciò degli augurj, e da va ad intendere a tutti che gli aveſſe Apollo inſegnata l'ar te dell'indovinare , e che avendoſi egli allevate in caſa al quáte bilce, quelle poi dormendoſi egli nel più alto filézio della notte gli haveſſero leccare l'orecchie, ond'egli ſubita mére p paura deſtatoſi havelle inteſo preſlo all'alba chiara mente i linguaggi tutti degli uccelli, os, parlando di Melāpo dice Apollodoro, επί των χωρίων διατελών ,ε'σης πτό τε οικήσεως αυτού δρυός,έν και φωλεος όφεων υπήρχεν αποκλεινανίων των θεραπόντων τους όφας,τα μη ερπετα ξύλα συμφορήσαςέκαυσε τους και τ όφεων νερατους έθρε . ψενοι δε γενόμμoι τέλιου σειράντες αυτώ κοιμωμδύω τώμων εξ εκατέρω : ma's exca's Txis gaca sesi exclougor . o de avasara moi gerópfu were δεης των υπερπτπρίων ορνέων τις φωνας συνία . και παρ' εκείνων μανθεί vwv, niuna arte dunque gianmaiebbe , per quanto lo mi creda, tanto commercio colle menzogne , e colle frodi , e colle ſuperſtizioni, quanto il meſtier della medicina. La qual cola così manifeſta ſi pare a chiunque ſia di quella mezzanamente inteſo, che non abbiſogna al preſente, ch'io 14 lib.3 . di van Del Sig.Lionardo di Capod. 25 di vantaggio mi v'affacichi. Non però di meno non laſce ? rò d'accennare le ſtrane, e ridevoli cerimonie, ch'adopera vano gli antichi in raccorre le piáte, acciocchè poi più ma raviglioſi, eragguardevoli dalla ſcimunita gente giudicati foſſero i lor medicamenti. Non poteaſi la Peonia coglier di giorno ; perciocchè dubitavano non v'aveſſero a perder di preſente la viſta,ſe da qualche ghiandaja vi foſsero in colti. Colui, che cavar voleva la Mandragola, conveniva, che ben ſi guardaſse dal verto contrario : e prima dicavar la formavale con un coltello incorno tre cerchi: e in divel lendola poi tener ſi voleva la faccia volta verſo Occiden te : e mentre divellcvaſi faceva di meitieri, ch’un'altro le andaſse intorno faltando, e ſghignazzando, e dicendo non foquali parole ſconce, e laſcive , come racconta Teofraſto con quette parole . Περιγράφειν δε και τον μανδραγόρgν εις τάς ξίφα: τέμνειν δε πεός εσπέραν βλέπονται τον δε έτερον κύκλω περιορ - χεΐσθαι , και λέγειν ώς πλείσα πτρια φροδισίων τέτο δεόμοιον έoικε των περί τξ κυμίνε λεγομλύω κατι την βλασφημίαν όταν σπείρεσ . Le Quali poida Plinio nel ſuo volgar cavate non fur così intiera mente rapportate . Cavent, dice egli, effofuri contrariun ventum , & tribus circulis ante gladio circumfcribunt:poftea fodiunt ad Occaſum ſpectantes. Mach afsai maggiori cerimonie cavavaſi preſso gli anti chi la Baara, la qual vogliono aicuni, che altro certamente non foſse, che la Mandragola medeſima. Eglino in prima le gittavan ſopra del ſangue metruo , o dell'urina delles donne , quindi cavandole intorno alla barba la terra liga vanla cautamente dietro un cane ; il qual poi chiamato dal padrone in correndo la ſtrappava di terra , e di preſente ne moriya. Cosìda Giuſeppe Ebreo vien narrato a dágay γος δε και κατά την άρκτου περιεχέσης την πόλιν βαάρας ονομάζεται τόπος φία σε ρίζαν ομωνύμως λεγομένην αυτώ αύτη φλογί μεν την χροιαν έoικε , περί δε τοις εσπέρας σέλας απασρέπτεσα τους δε επιεσε και βε λομένοις λαβείν αυτήν εκ έσιν ευχείρώτος αλ' υποφεύγει και επόπρον ί' Edi quell'altro delmedeſimo Ariſtotile , che il tralaſciar da parte i ſenfi per laſciarne cie camente alla ragione guidare, d'aſſai debolezza d'ingegno ar gomento ſia ? O forſe non fu egli del medelimo ſentimento anche Galieno ? ecco le ſue parole : coloro tutti da giudicar fono , anzi forſennati, che ſavj, i qaali potendo le coſe pie namente comprendere , ed apparar da' ſenſi, voglion pures che da apprender fieno dalle ſoledimoſtrazioni . Ealtrove il medeſimo autore: è dottrina da tiranno , e piena di confu fioni , e di contefe quella di coloro , che ſolamente agli altrui detti s'appoggiano. E di grazia leggan pure una volta il me deſimo fentiinento nel loro Avicenna ; e ſe non altro , va dano, e sì l'apparino dal Principe de' Teologi , Giovanni Scoto 54 Ragionamento Primo Scoto , ove dice , che tutti coloro, che'a' ſenſinon voglio no dar fede , degni giuſtamente ſieno delle fiamme. E ſap piano di vantaggio, che chiunque abbia qualche ſcintilluz za di ragione , diqualunquc Serta egli ſi ſia , debba pure con quel gran lume della Galienica, e dell'Ippocritica medicina Niccolò Leoniceno dire : non debemus profecto de Situere ita nosmet ipfos, ut aliorumfemper veſtigia fequentes, nihil ita per nosmet ipfos decernamus. Hoc enim verè effet alienis oculis videre , alienis auribus audire , alienis naribus odorare , aliena ſapere intelligentia : ac nibil nos aliud quam lapides effe ftatuere, fi omnia alienisaffertionibus committe remus , nihilque à nobis ipfis diſcutiendum putaremus . E queſta pertinacia medeſima un'altro parzial di Galic no ( 1) oltremodo tacciādo,prende a narrare un piacevoliſ fimo avvenimento; cioè, che un pubblico lettore uſato lun , go tempo , ed invecchiato in ſu'libri d'Ariſtotile , abbatté. doſi per avventura un giorno in una notomia , e veggendo manifeſtamente la vena cava dalle innumerabili fila , ora dici , chę ſon nel fegato la ſua originç trarre , tutto ingom, bro , e pien di maraviglia , Come chi mai avf4 incredibil vide, confeſsò , che nel vero per quel, che gliene moſtraffero i fenfi la vena cava diramar dovelle dal fegato ; ma non per ciò egli credédo a' fenfi contraddir doveffe al ſuo maeſtro Ariſtotile , il quale tutte le vene nell'huomo aver principio dal cuore, coitantemente afferma; perocchè,diceva egli, più agevole allai eſſere , i noſtri ſenſi talvolta ingannarſi, che il grande , e fourano Ariſtotile in errore alcuno giammai eſſere caduto . E più avanti cbbe di male la ſua oſtinazio ne,chę vegnendo per alcun diinoftro in brigata d'huomi ni letterari,eſſere intorno al cuore alquanta lugna , la qua le a ficvol lumicino di candela liquefacevali, con tutto ciò per difender oſtinatamente il ſuo Ariſtotile, negante law medeſima coſa , osù pur dire , che quel dalui veduto non era miga graſcio . Maaſai per certo piacevole egli ſi è ciò , che a tal pro poſito anche narra il chiariſlimo Redi, che un ' profondo 1 1??30 , ( 1 ) Santoro. DelSig. Lionardo di Capoa mac ro in iſcriteura peripatetica , perchè non veniſſe egli coſtretto a confeſſar per vere le ſtelle , ed altre nuove core dal gran Galilei in Cielo ravviſato , ricusò l'ajuto dell'oc chiale ; e ch’un altro più teſtereccio non volle mai degnar di vedere aprir da lui una di quelle picciole rane , che per le polveroſe ſtrade in tempo diſtato ſpicciano , per non eller altresì coſtretto a confeſſare , ch'elleno non s'ingene rino nello ſtante dell'incorporamento della gocciola con 1.2 polvere. Maove Io ferbero di narrare i piati, e le conteſe, che nella medicina del nobiliſſimo medico Proſpero Mar ziano in Roma s'accrebbero ? il quale di non volgare dot trina , e di faggio avvedimento fornito , quanto avea dita lento, ed'induſtria, tutto glorioſamente in iſpicgare la doc trina d'Ippocrate impiegando, diè manifeſtamente a vede re , che allai ſovente Galieno,o non aveſſe compreſo,o non avelle comprender voluto il vero ſentimento di quelgran vecchio . E ciò anche Pier Caſtelli narrando dice, che Ga lieno così parimente foſseſi adoperato in iſpicgar del divi no Platone i dottilimi ſentimenti : Galenus , vel non intel . kexit, vel intelligere noluit Hippocratem , & Platonem , ut ſua extarent. Quindida'rimproveri , e da’mordimenti dilui difende il laviffimo vecchio , ſpezialmente intorno alle c.2 gioni delle febbri, coſtantemente affermando , non ſola mente Ippocrate non avere a ' febbricitanti giammai pre ſcritto il lalaro , ſe non ſe ove caſo di grande infiammagio ne d'entro richieſto l'avelse : il che già prima di lui piena mente Girolamo Cardano avviſato avea; anzi per ſentimé to d'Ippocrate vudl , che la febbre una di quelle cagioni ſia, che il ſegrare affatto abborriſcono . E queſte , ed altre buone dottrine il valent:huomo del Marziano faggiamente manifcftando , ravvivò con eſle la caduta , c quali eftinta ferta del ſuo caro Ippocrate . Ma non ſolo come fin ora abbia dimenticato una dona na , la qual comechè tale , pur merita d'eſsere in iſchiera de' più nobili letterati annoverata . Io dico la Signoras D. Oliva Sabuco: Co Ragionamento Primo 1 Coſtei gl'ingegnifemminili , egli uſi Tutti Sprezzo fin da l'etade acerba : A’ lavori d'Aracne , a l'ago , a' fufi Inchinar non degnò la manſuperba: Ed eſsendo ella di valore, c d'ingegno più che maſchile abbondevolmente fornita , animoſamente fi iniſe col cere vello , e con l'animo ad inveſtigar le coſe naturali; e più ol tre avanzandoſi, ed in biſogne di maggior utile , e prò la mente rivolgendo , acciocchè le Spagne, e'l mondo tutto qualche concio ne traeſsero, ad un nuovo , ed ingegnoſif fimo diviſo dimedicina diè maraviglioſamente principio . Ella così all’Auguſtiſſimo Monarca Filippo Secondo d'e terna ,e glorioſa memoria in una lettera ſcrivédo,iſuoi pre gi manifeſta. Reſulta muy clara y evidenteměte, como reſul ta la luz del Sol, eſtar errada la medicina antigua que ſe lee yeſtudia en ſus fundamentos principales, por no aver enten dido ni alcançado los Filofofos antiguos y Medicos, ſu natu raleza propria, dondeſe funday tiene ſu origen la Medicina. Delo qual no ſolamente losſabios y ChriſtianosMedicospue den ſer juezes, pero aun tambien los de alto juyzio de otras facultades , y qualquier hombre abil yde buen juyzio. E quin di poco appreffo : y el que no la entendiere ni cumprehendie re , dexela para los orros y para los venideros , o crea a law eſperiencia, y no a ella , pues mi pericion es juſta, queſeprue ve efta miſecta un año,pueshan provadola medicina de Hip pocrates y Galeno dos mil años , y enella han hallado tan poco effecto y fines tan inciertos , comoſe vee claro cada dia , y so vido enelgran catarrotavardete , viruelas, y en peftes paf Sadas , y otras muchas enfermedades dondeno tieneeffetto al guno , pues de mil no viven tres todoel curſo de la vidabaſta la muerte natural : y todos los de mas mueren muerte violen ta de enfermedad , fin aprovechar nadaſu medicina anti gua . E nel dialogo della vera medicina : Nomepodreys negar (Señor Doctor ) que la medicina eſcrita que ufays eſta incier. ta , varia y falta y que ju fin , y efeto fale incierto , falfu y dudoſo,como vemos claramente ellasde m34s artes iener füis 1 1 fines Del Sig.Lionardo di Capo a. 57 20$ fines y efetosciertos , y verdaderos fin variacion , ni engažo, comola Aritmetica, Geometria, Musica, Astrologia, y las de mas , que a quel fin , y bien que prometen , lo cumplen, y fale cierto ſiempre y verdadero. Todo lo qualbien vers que falta en la medicina ,pues eſta tanengañoſa , incierta; yva ria :luego claro eſta que eſta arte tiene algunafalta en las raga zes , y fundamentos ,pues no echa el fruto, conforme a lo quc promete, que muchas vezes esperamos lindas māçanas echa eſcaramujos agallas y niſpolas :lo qual al buen juyzio pondra en duda, y dira por ventura, Eſte aunquepaſtor trae , razon , que los antiguos tambien fucron ombres como eſte. E più ſotto ſeguendoil medeſimo ſentimento ſoggiunge: No nze podeys negar ,Señor Doctor , la incoſtancia, y quantas ve zes fuemudada la medicina , y que eſtuvo vedadamucho tič po en Roma , y que muchos ſabios mo le han dado credito , ni ſe han querido curar con medico por las cauſas que tengo dichas, que ſon degran eficacia . Ylos Sarracenos, y los del Reyno de la China, no admiten inedicos , j' ay mas gente que en Eſpaña . Y eſosmiſmos autores antiguos , graves le ponen gran dificultad , diziendo , que la vida esbreve, y el arte es largo , el juyzio difficultoſo , la eſperiencia engañoſa , & c. I dixo Hippocrates : que perfecta yacabada certinidad de la medicina no ſe alcanca , y no me podeys negar , Señor Do Etor que fueron hombres, cimo noſotros: y que ſus dichos , no forçaron a la naturaleza del hombre, a que ella fueffe lo quc ellos dezian , que ella ſe quedo en lo queera , y ſu dicho no la mudo , y pudieron errar como hombres,pues tantas vezes fue frrada y mudada , como lo podeys veren Plinio , donde dize que ninguna de las artes fuemasincuſtante ,y mudable, que la medicina : y que cada dia ſe mude. Più oltre crapaffala signora D. Oliva , i cui fourani pre gi nou è mio diviſo al preſente raccorre , ed annoverare , che troppo a lungo ne verrei . E baſterammi accennar ſo lamente molte coſe averſi alcuni de'più rinomati autori in veſtite , inillantando falſamente, ſe eſſere ſtati i primi a mani feſtarle , come intorno all'ordimento , che tien la natura in compartire alle parti de'corpi animati il nutriinento, che H cla 58 Ragionamento Primo ellämolto avanti ravvitate appieno , e glorioſamente già paleſate ne'luoi libri l'avea . Surſe dopo coſtei nella noſtra Italia un novello Siſtema di razional medicina, e fu gentil trovato diquel celebre filoſofante , e maeſtro in divinità Tomaſſo Campanella . Non miſe egli già le mani all' opere della medicina : ma pure ſpiar volle di quella i più ripoſti arcani ; e comeage vol fu al ſuo pellegrino intendimento lo ſceverar la ſua fi loſofia dalla volgare , che nelle ſcuole comunemente inſe gnavafi , così potè ancheordinar con belle dottrine un'al tro trovato dirazional medicina , e quindi ancor ne ſegui rono molti, e varj rimeſcolamenti, e conteſe nell'arte. Ma i ſegni, e le coſtoro mete , o quanto trapaſsò gene roſo a’giorni noſtri il grand'Ermete della balla Germania , Giovan Battiſta Elmonte , che con più alti apparecchi , e colla mente di più nobili arredi fornitas tentò Ia grand'im preſa , onde vie più s'accrebboro i contraſti , e le miſchie . Coſtui a ſingolar acutezza d'ingegno, cãdidezza accoppia do di non volgari coſtumi, rivolto curioſamente alla Spa girica , intorno allo ſcioglimento de’naturali corpi tutto dieſſi, e ne a fatica,ne a ſpeſe giammai perdonando, tant'ol. tre avanzoſi, che laſciandoli dietro l'orme glorioſe dal Pa racelſo ſegnate s nórimai ſi riſtette', fino a tanto, che ull maraviglioſo , e non più udito liſtema di razional medicina egli giunſe felicemente a formare . E a qucſta medeſima guiſa veduto abbiamo a ' di noſtri per lo ſentiero dell'immortalità, e della gloria avviarſi a gran paſſi co'l ſuo novello ſiſtema di razional medicina il celebre Tomaſſo Vilfis ; ne di leggieripuò crederſi, qua to egli con ogni ſtudio maggiore proccuraffe d'ammannar tutto ciò , ch'avvisò dovergli farluogo a sì nobil lavoro : e con qnale sforzo, con qnai ſudori, con quali vigilie egli s'adoperaſe per condurlo allo intero ſuo compimento. Ma non vi durarono minor fatica", ne minore induſtria adope rarono per fomigliante impreſa , e’l Silvio , celebre per lo innumerabile drappellode Fuoi ſeguacije'l Gliffonio ,e l'El vezio , e'l Meſfonieri; e'l Travaginis , ed altri illuſtri l'ette rati Del Sig.Lionardodi Capoa . 59 rati dell'età noftra , a molti de'quali, che che ſtata ne forte la cagione, non è venuto fatto di poter mettere fuorii loro concetti. Taccio al preſente di que'valent' huomini, che tuttavia ſudano all'opera , e colla ſcorta de’moderni trova ti della notomia , e della moderna filoſofia naturale, ſpera no, quando che ſia divenire a capo de’lor generoſi diſegna menti dietro a yarj ſiſtemi di razional medicina. E taccio altresì di coloro, che ſottilmente van tutto di diviſando (i ſtemi di ſperimentale, e di metodica medicina , ma dall'an tica gran fatto varia , ediſcordante , Ma o quantoperciò più le têzoni de Medicine ſiano acceſe con porre ſottoſo pra , ed avviluppar la medicina tutta , non fa meſtierial preſente narrare , ſe tutto dì co’propj occhj apertamente il veggiamo. Perchè ſe a'dì noftri l'eloquentiſſimo Plinio vi vo fosse, griderebbe dicerto più che mai con quelle ſue adirate parole: mutatur ars quotidie toties intarpollis, & in geniorum flatu impellimur , non già di que’della Grecia ora Icioperata , e incodardita ſotto'l giogo della barbarie ; ma di que'celebratiſſimi dell'Inghilterra, e d'altre Provincie , da lui ne’tempi ſuoi barbare giudicate , Malo ormai giunto mi veggioal più copioſo ſtormo de medici,in tante ſchiere , e tazioni partita , e quaſi ſtraccia ta veggendo la medicina, che ormai per ingegno umanono fi può più avanti partire. F ſon coſtoro que'cutti,che nondi Greco , o di Latino, o di Barbaro, o d'altro ſtrano ſcrittone , modernoso anticoch’e'ſiaſi,ſeguirvogliono la peſta ,ed a gli altrui ſentimenti ſempre ligarſi; ma liberi affatto , e ſciolti gir con iſpedito voloi valtiſſimi Regni della natura fcorré do ; quindi cozzando contro i più duri, cd oftinati malori con quell'armi , ch'a coſto delle propie fatiche s'acquiſta rono ,nonpreſe , o tolte da gli arſenali altrui , ed alla cic ca adoperate , fanno con glorioſe impreſe render eterni , e illuſtri i lor nomi. Così nulla altrui credendo , ſalvo ſelor non venga da propj ſenſi, o da certiſſima ſperienza appro vato , tutcoyogliono ſpiare , a tutto penetrare, e tutto ſot tilmente con occhio curioſo eſaminare ;ne per iſmaltire hā no altre ragioni, che quelle ſolamente,ch'all'avvedutezza H 2 del 80 Ragionamento Primo delloro intendimento confannoſi . Ed eſſendo a tutte ſet te contrari, e a niun de'ſertegiantiaffatto nimici, giurano che in queſta guiſa,più che altri oftinataméte fi faccia, l'or me d'Ippocrate , e di Galieno vengano ſopratutto a ſegui tare . E perciocchèlo giudico , che aſſai monti al noſtro intendimento il vedere, ſe una tal libertà , debba loro eſa fere permeſfa: priegovi o Signori, poichè a baſtanza par mi d'aver ragionato, nella vegnenteaſsemblea ad udir loro ragioni. RA 81 RAGIONAMENTO SECONDO, 322 ) EBBO per ſoddisfare all'obbligazion del la mia promeſsa diviſarvi oggi,o Signori, le ragioni di quei filoſofanti , che alla li bertà de'loro ingegni alcun freno di fer vitù generoſamente ſdegnando , voglion gir liberi a lor talento fpaziando pe' vaſti, e ſiniſurati campi della Natura . Ma conciosſiecofachè el le fien molte , e molte , e tutte di gran lieva ,io non ſo qual prima mi debba dire , quafdopo ; ſenzachè a me non fu conceſſa in ſorte larga vena diben parfare , perchè con purgato ſtile ſpianandole ( e quale alla lor dignità per av ventura ſi converrebbe ) la for ſaldezza , e valore veniffer per voi più chiaramente compreſi. Ma forſe hanno elle an cora ciòdi vantaggio , che rôzzamente accennatc poffano, e pregio , e commendazione non ordinaria da voi merite volmente ricevere . E per venirne omaia capo, parmi che alcuno autor di quelle a queſta guiſa d'eſſo loro parlamen , tando potrebbe imprenderne il filo . Egli non alzò certamente natura con ſingolar vantaggio fovra tutt'altri animali all'huomo inverlo il Ciclo la fronte ; di sì 68 Ragionamento Secondo di sì generoſi , e ſublimi, e liberi ſpiriti abbondantemente fregiandolo , perchè egli poi qual paluſtre mergo , raden do lempre maiil ſuolo , non avelle ardimento di battere generoſamente in alto le penne, per potere da ſe medeſi mo ſpiare, e inveſtigare quelle si varie, e sì ſtrane apparen ze , onde bello ſi rende , ed ammirabile l’Vniverlo ; ma acciocchè largamente per tutto ſpaziandoli , il tutto e'cer chi, il tutto e'ravviſi,il tutto e' pienamente comprenda , non già nelle copie incerte , e ragionevolmente d'error ſo ſpette , manel primo , c vero loro originale . Così quell' Aquila deGreci filoſofanti glorioſamente adoperando, con felice., e ſpeditiffimo volo Proceſſit longè flammantia mænia mundi, Atque omneimmenfum peragravit mente ,animoque. E pure ad onta d'una sì provveduta madre, v'hà chi a dáni, ed a rovina diſe , e de gli altri Segnò le mete , e'n troppo brevi chioſtri L'ardir riſtrinfe de l'ingegno umano , facendo sì , che i troppo creduli, e ſciocchi poſteri ad altro non badaffero , ch'a leggere, c rileggere, e tutto dì di chio ſe , e di coinenti gli arzigogolise le fanfaiuche d'un mondo tutto fantaſtico caricare . Quicfto non volle già,che faceſſe in modo alcuno il giovinetto Lidia , quel gran maeſtro della greca filoſofia Antiltene : quando di nuovo libro , di nuoyo ſtile , ditavolette nuove a doverſi fornir gl’impoſe ', fe filoſofar con ello lui voleſſe ; e ciò , perchè egli compré deſfe , che le coſe ,che per lui , da regiſtrar foſfero , eſfer quelle non doveano , che già da altrui ſcritte in prima , diviſate ſi erano .. Eciò anche molto innanzi ad Antiſtene inſegnò quell'antichiſſimo Savio , che primadi tutt'altri, Filoſofia chiamò con nome degno, quando a ' luoiſcolari diceva , non doverſi da loro nella , popolare ſtradaconfuſamente co'l volgo ignorante cammi nare . Equeſta libertà nelle ſcienze ciaſcun'altro de più ce lebri , e rinominaci filoſofi comunemente ancor richieſe : c da più illufri medici, e per valor d'ingegno , e per opera di mano eccel'éti faclia Grecia futta oltre modo abbrac ciata. Del Sig. Lionardo di Capoa. 69 ciata . La cui altezza d'animo ſaggiamente imitar volle il famoſiſſimo medico , e filoſofo Claudio Galieno , ficome in più luoghi ne da pienamente teſtimoniāza nelle ſue ope re, o quand'egli oltremodo uccella , e berteggia i tenacif ſimi ſeguaci d'Eraſiſtrato ,i quali a' detti di lui , come agli oracoli d'Iddio riverenti s'acchetano,faldiſſime, ed infalli bili verità , ſempre mai giudicandole, o quando coſtante mente afferma eſſer egli d'ingegno rintuzzato affatto , ed abbattuto lo farſene ſcioccamente a’derti, ed alle ſenten ze , cd a'giudicj altrui , non volendo coſa alcuna bilancia re , ne punto a lor paſſare innanzi: o quando altrove iſtan cemente priega , e ſcongiura i parteggianti tutti a por giù la ſcabbia , e'l furore , e la ſtolta follia delle ſette : 0 quin do adiratamente grida effer dura , e malagevole impreſa a ridur coloro alla ſtradadella verità , i quali già ſotto il ſera vilgingo di qualche ſchiera ſottomeſſi fi fieno . Quindi la ra gion recandone ſaggiamente ſoggiugne, che le falſe opinio niingombrando gli animidegli buomini, non folamente fordi, ma ciechi ancora renderglifogliano, intanto che ſcorger affat to non posſano ciò , che altri di neceſſità rimira . O quando altrove proteſta , eſſer egli un male da non potere in verű modo guarire,la folle , e ſciocchiffima caponeria di cotali parreggianti; e di qualunque ſcabbia più dura affai, e ma ſagevole a trarre : e che cotali uccellacci non che fappian , giammai nulla di buono , anzi ne men d'appararlo ſi ſtudj no : o quando ſtizzoſamente ſclama, amarpiù toſto, coloro, cfer della patria , che della propriafetta traditori , e rubelli. Et o piaceſſe pure al Cielo , che coralidetti non ſi vedeſ fero a giornate dall’oſtinatiffima pertinacia di coſtoro av verativolendo : più toſto manifeſtamente uccidere i miſeri infermi , che ſpiccarſi punto daʼnocevoliſentimenti de’loro amati Maeſtri . Ma perchè dobbiam mai ſempre noi con follc oſtinazio ne laſciarci trarre afreverendiſlimo parer degli antichi? for ſe non ſono ſtate lor molte coſe a grado , ch'a noi ſpiace voli ora ſono , ed affatto nojofes Cosi 64 Ragionamento Secondo 1 Cosi la gente prima,chegià viſe Nel mundo ancoraſemplice, ed infante Stimò dolce bevanda , e dolce cibo L'acqua , e le ghiande, ed orl'acqua, ele ghiande Sono cibo , e bevanda d'animali , Or che s'è poſto in ufoilgrano, e l'uva , O forſe alcuna coſa , ch'al lor cortiſlino intendimento vera parve, ora falliſiima manifeftaméte p opera degli ingegnoſi moderninon ſi è ſcorta ? Così ſon veriſſiine prove de’mo derni notomiſti il ritrovato dell'aggiramento dei ſangue, delle vene lattec, edel códotto del Virſungo ,e del ſaccolat to, e de'vali acquoſi, e degli uſi delle glādole, e d'altre par ti, e altri infinici nuovitrovati ,che crollano, c ſcovolgono,e da’fondamenti abbattono , cd atterrano ogni razional ſi Atema d'antica medicina . O forſe farà egli colpa degli in nocenti moderni l'effer' eglino nați dopo gli antichi auto rir ma ſe ciò è fallo , e colpa , certamente commiſerla in prima coloro , i quali da' ſentimenti de' loro più antichi maeſtri tralignando , e nuove ſchiere di filoſofia , c di me, dicina anmutinando , ofarono in prima novelli ſcolari ri bellarc a'loro antichi maeſtri, e darne nocevole cſemplo di si follo , e temerario ardiinento . Imperciocchè ognianți co a'tempi ſuoi fu moderno ; perchè figgiamente il Princi pe Claudio Ceſare apppreſſo Tacito ebbe a dire : quæ nunc vetuftifſima creduntur nova fuere : inveterafcet feculum no firum, & quod hodie exemplis tuemur , inter exempla erit, (1 ) cd a queita medeſima cagione avendo riguardo un mo derno Poeta contro que' , che per eller egli moderno biafi mavano il Paracelſo , in ſomigliante guiſa conchiude , Qui nova damnatis , veteres damnetis oportet ; Aut iſta nihil eft in novitate novi Saran dunque acerbamente da vituperar Platone , Antiſte nc , Eſchine, ed altrifamoſiſſimiingegni, i quali poſto in non cale le vecchic ſcuole , che allora nella Grecia fioriva . no , a quella di Socrate , che nuova era , per imprender fi loſofia coraggioſamente ſe'n girono ? anzi ne furon perciò foin ( 1 ) Etienne Paſquier . 1 1 Del Sig. Lionardo di Capoa 05 sómamente da cómnendare. E nuove altresi furono le ſcuole di Platone:e pure Ariſtotile,e Senocrate,e Speuſippo,ed al tri molti cotăto tépo v’uſarono; 11e alcuno ebbe perciò giá mai ardiméto alcuno di biaſimargli . E dalla novella ſcuola d'Ariſtotile in tanta gloria mótò Teofraſto per l'uſarvicon tinuo , che uguale , e forſe al inaeſtro ſuperior ne divenne; perchè dal padredegli ſtoici filoſofanti Zenone , funne poi grandemente lodato. E nuova anche fu la ſcuola di Zenga ne , e nuova quella d'Ariſtippo , e quella di Fedcne, equel. la di Euclide daMogara . Così anche fur nuove le ſcuole d'Eubolide , d'Epicuro , di Menedemo , d’Arcuila , e d'al tri molti maeſtri di filoſofia , e pure per huoinini illuftri,ed egregj, alle vecchie , e famoſe ſcuole degli antichi filoſofan ti furono antipoſte , riportandone ſempre mai buon nome, e fama non ordinaria dicandidi, e veritieri ſcrittori di que tempi . E perchè nó ſarà lecito anche a noi tralaſciando le vecchie ſcuole ad una novella indirizzarci, e maſſimamen te in quelle coſe , ove già i manifeftiffimi errori degli anti chi maeſtri abbiam compreſi ? E forſe ſarebbe a tanta altezza pervenuta la nobiliffima arte della pittura , ſe gli antichi maeſtri paghi ſolamente della rozžillima imitazione del vecchio Filocle,nö ſi foſſero ſtudiati di vantaggio con la loro induſtria di limarla : e col tirar ſolamente le linee dell'ombre de'corpi aveſſero così alla groffa ſchizzate ſempre le lor confuſe, e diſtinate figu re ? O forſe fu egli troppo ardimentoſa tracotanza dell'in gegnoſo Cleofante , odi Parrafio , o di Polignoto , o di Zeuſi, o d'Ag laufone , o del vaghiſfimo Apelle il dar loro più vivi i colori,e più regolati i diſegni,e più ſquiſite le om bre , onde poi vive , e perfettiſlime riſaltando,n'aveffero ,e gli augelli , e i deſtrieri, ei cani , ei maeſtri medeſimidell arte glorioſamente ad ingannare ? così anche i noſtri avan zandoſi di mano in mano l'un l'altro a'tempi di Dante Ali ghicri, Credette Cimabue ne la pittura Tener lo campo, ed or ha Giotto il grido; Si cbe la fama di colui ofcurawi I Quin 86 Ragionamento Secondo Quindi fu il famolo dipintor di Madonna Laura Mae Itro Simone cotanto commendato dal Divino Petrarca, ed altri famoſiſſimi dipintori. Ma ſopratutti ſi tolſero il van to , ed al preſente s'ammirano comemiracoli dell'arte l'o pere maraviglioſe di Rafaello , e di Tiziano , e di quel grande Michel più che mortale Angel divino. Necertamente potrebbe la Grecia gir ſuperba, e altiera della ſonora tromba del grand'Omero,del grave coturno di Sofocle della ſublime lira di Pindaro, e de' ſouviſlimi verſi d'Anacreonte , di Teocrito , e di tant'altri illuſtri , c nobili Poeti ; o Roma de' ſuoiLucrezj , de’ Virgilj , de’ Catulli , de' Properzj, de' Tibulli , degli Orazj . Ne la Spagna ammirerebbe l'altiſſiino canto del Camoes, e le colte rime del Garzilaflo . Ne goderebbe la Francia l'ornato ſtile del dottiſſimo Ronzardo , e del Bert: ſſo. Ne il noſtro più ,che tutt'altri, dolce,vago,e bello Idioma, vātar potrebbe il divi no cato dell'incóparabile Torquato Taſſo ,di Giovani della Caſa , o la maraviglioſa evidenza dell'Arioſto , e dell'Ali ghicri,o la dolciſſima muſa del Petrarca,del Bébo,dell’Ala māni, del Triſlino, delMolza,del Guidiccione ,del Taffo Pa dre,del Guarini,di Galeazzo di Tarſia ,edi altri,ed altri no bili ſpiriti,che di valor colla ſuperba grecia gioſtrano ,o pur la vincono , ſe coſtoro tuttida'veſtigj de'rozzi antichi non aveſſero oſato d'allontanarſi; il perchè faggiamente ebbe a dire Iſocrate:yeggiamo noi l'arti,e tute'altre coſe eſſer van taggiate , e creſciute non già per coloro , che le comunali, e uſitate ritennero , ma per coloro , che d'ammendarle , e torne via glierrori , e migliorarle preſero ardimento: ta's επιδόσεις δρώμεν γινομένας, και των τεχνών , και των άλλων απάντων , και δια της εμμένονάς τοϊς καθεξώσιν , αλα δια τηςεπανορθένας, και τολμώνας «ί τι κινείν των μη καλώς εχόντων . Ε fe cio fi vedea giornates anche in quelle arti avvenire, nelle quali pare , che omai poco, o nulla fi poffa più oltre andare , e pure non vi ha altra ſtrada d'avanzarli a maggior perfezione, che del mai ſempre nuove coſe inveſtigare: perchè non ſi dourà an che ciò alla filoſofia , ed alla medicina permettere ? malli mamcn DelSig.Lionardo di Capoa . 67 mamente , che il campo di eſſe è queſto si vafto , e grandif ſimo teatro dell'univerſo, nel quale ad ore , ed a moinenti apparir tutto dinuove , e nuove coſe fi veggiono , da te nervi i più ſublimi, e pellegrini ingegni mai ſempre img piegati . Multa dies , variufque labor mutabilis ævi Rettulit in melius; ſenzachè certiſlima coſa è , che'l mondo più ſempre mai col tempo invecchiando ,dinuovi , ed utili ritrovati per la noſtra ſperienza di mano in mano i ſecoli arricchiſce . Co sì noi veramente ſiam da dirci vecchi , e gli antichi, i quali nel vecchio mondo ſiam nati , e non que’tali , che nelmo do infante, e giovane,men di noi ſperimentando conobbe ro . Anzi coloro , che per innanzi naſceranno , più di noi ſaran vecchj , ed antichi, e conſeguentemente d'eſſer più di noi dotti, e ſperimentati , e diquant'altri per l'addietro mai furono , auran cagione . Ed a propoſito di ciò ſovven gonmi quelle belliſſime parole del gran Baccone da Vero lánio: de antiquitate autě(dice egliopinio ,quam homines de ipfa fovent,negligens omnino eft, ex vix verbo ipfi congrua : Níundi enımſenium, & grandavitas pro antiquitate vere habendafunt;quæ temporibus noftris tribui debent,non junio ri ætati mundi, qualis apud antiquos fuit. Illa enim ætas re Spectu noftri antiqua, &major ; reſpectu mundi ipfius,nova , minor fuit.Atque revera quemadmodum majorem rerum humanarum notitiam , á maturius judicium , ab homine fene expectamus , quam à juvene-propter experientiam , & rerü , quas vidit , & audivit, & cogitavit, varietatem , copia eodem modo, do à noftra etate (fi vires ſuas nuffet , & expe riri , &intendere vellet)majora multo , quam à prifcis tem puribus expectari par eft ; utpote ætate mundi grundiore, infinitis experimentis, & obſervationibus aucta, & cumulata . E in verità , chi ha mai tante , e si diverſe maraviglie in Cielo , e in terra , e nell'acqua, e negli augelli, e ne’peſci, e ne' bruci animali, e nelle piante ſcovrir potuto , dove turto di attenti , ed intricati gli ingegni tutti de' più ſottili I 2 filo 88 Ragionamento Seconda filoſofanti viſi aminirano, ſe non ſe la noſtra età , cioè a dire il mondo vecchin, il quale ne va nuove maraviglie di giornata in giornata rappreſentado; intanto , che ora d'ogni tempo quafi n'è lecito a dire. quod optanti divum promittere nomo Auderet , folvenda dies en attulit ultro . Oltre a ciò gli antichi ſavj, ſicome i confini delle loro co trade appena s'argomentarono di paſſare , così altii ani mali,altre piante,ed altri minerali fuori di quelle non iſpiar mai, ne conobbero , e ſe ne rimaſero alla ſemplice relazio ne de'marinari , c d'altre perſone idiote , e volgari , dalle quali ingannati,ne ſcriſſero poi tante incredibili bugie . E chi potrebbe mai tener le rila in leggendo ciò , che Erodo to favoleggiò dell'incenſo, dicendo, che gli Arabiil colga no profumando in prima l'arbore con iſtorace : iinperocchè fra irami di quello s'appiattano folti (tuoli di ſerpentelli coll'ali di variati colori : τον μέν γε λιβανωτον συλλέγεστ , την σύeακα θυμιών της . E non guari apprefio,τα γαρ δένδρεα Gύτα του λιβανωτοφόρ , όφιες υπόθεροι και μικροί τα μεγάθεα, ποικίλοι τα είδεα , Qurárrs01 , Trnýber mondo, me ei sér d por exasov . E del Laudano ,affer: mò eſſer quello odorifero , e dilettevole a fiutare , e pur na ſcere in luoghi puzzolenti , e ſpiacevoli; e che ritrovaſi ſu le barbe de'becchi a guiſa di muffi, che naſce da' legni pu tridi: έν γαρ δυσοδμοταίω γινόμενον,ευωδέ αλόν εσ • των γας αιγών των τζάγων εν τοίπ πώγωσε ευρίσκεται έγινόμενον , οιται γλοιός από και o'rins . Ma Rufo da Efeſo dice , alle barbe delle capre ap piccarſi il L.audano allor che le frodi del Ciſto van ghiot tamente paſcendo Αλο δε πε κατι γαίαν έρέμβων λήθανον εύροις Αιγών αμφί γένια • το γας καθύμιον αιξε Κισσε ανθήενθG- επέδμεναι άκρα πίτηλα Τον δ' από λαχνήεν7G- ανεπλήσθησαν αλοιφής Λίγες υπαί λασίασε γενίασε πλευρά τε πάνω . E forſe il medeſimo volle dire Erodoto. E ſimilniente fi pare , che credeſſe Dioſcoride colà, ove ſcriſle parlando del Ciſto : Imperocchè pafcédo le ſue frõde i becchi, e le capre lor fu la barba, e ſu'l vello dell’anche s'appiaitriccia quella tena DelSig.Lionardo di Capoa. 69 tenace graffezza , onde poi pettinandola la raccolgono i Paſtori, e colata non altrimenti, che ſi faccia del miele, e ne forman paſtelli, e la ripongono . Sonyi alcri, che tirando, e sbattendo certe corde ſopra queſti arboſcelli raſchiano poi la graſſezza , chevi s’appicca, c fannone paſtelli, e a quefta guifa la riferbano:τα φύλα γας αυτού νεμόμεναι αι αίγες και οι τεάγοι ή λιπαρίαν αναλαμβάνει το πώγωνα γνωρίμως • και τους μερούς πτοσπλαήoμένην δια το τυγχάνειν ιξώδη• ην αφαιρώντες ύλίζει, και απο τίθενζι αναπλάοσοντες μαγίδας · ένιοι δε και χοινία επισύρεσι τοις θάμνοις , και το πζοσπλασθεν αυτοίς λίπG- αποξύσαν τις αναπλάσει: Il medeſimo dir vollc Plinio , ma in traslatido le parole di Dioſcoride poco bene peravventura intendendo la parola Jauvois, e l'altra unigovor ſcriſſe : Sunt qui herbam in Cypro , ex qua id fiat,ledam appellent : etenim illi ledanum vocant : hu jus pingueinfidere:itaque attractis funiculis herbam eam con volvi, atqueita offas fieri.Vidiede ancora inciera credenza Galieno , quando dice gevers auto del laudano, favellan do ) κατά τα γένεια των τάγων έν πτ χωeίοις επιγίγνεώι: e Paulo da Egina λάδανον από τον κίσε τού λάδανος λεγόμενον γίνεθαινεμόμεναι γαρ αυ τον αι αίγες , εν τοίς πώγωσι , και τοϊς μηρούς αυτών και λιπαρώτε ρον , και οπώδες πόας αφαιρούνι . Éd Eichio λάδανον το με απο των πωγώνων των αιγών , και τάγων Ma à chi cgli non ſembrerà incredibile ciò ches del Malabatro narrano Diofcoride, e Plinio , pur troppo groſſi nell'informarſi , e nelcreder leggieri. Eftima il pri mo naſcer quello nelle lacune a guila di lente paluſtre ; e'l ſecondo no’l fa punto diverſo dalle foglie del Nar do Indiano; e pur ſappiamoeſſer foglia di ben grande , co ſpazioſo albore , non già paludoſo , ma ſalvatico , emon tano . Io non farò menzione delle tante , e tante inyeriſi. mili bugie, ch'cglino medefimi, e Teofraſto della cotanto celebrata ( piganardi inventarono . Ne mi fermcrò a ſpia nare i fallimenti di Dioſcoride colà ove diffe , che le radici del gégiovo fié così picciole,come quelle del Cipero; è co me ciò,che buccinavaſi appo gli antichi dell’ambra gialla moſtri anch'e' di credere , cioè,che il liquor d'amendue i pioppi preſſo le rive del Po in diſtillando da tali alberi fi rap 7ο RagionamentoSecondo rapprenda in ambra, ſeguendo in ciò la volgar fama de'ma fonieri Poeti, i quali fan che l'ambra ſia il doloroſo umore, che per gli occhj fuor verſarono le pie , e addolorate ſorel le, che dell'acerbo caſo del lor Fetonte dogliendoſi furono in quegli alberi ſtranamente converſe , onde poi Fluunt lacryme : ſtellataque fole rigefcunt De Ramis electra novis : qua lucidus amnis Excipit , du nurubus mitiit geſianda larinis. Ma non men piacevoli a udir ſono i falli del ſovraca cennato Erodoto dietro al raccoglimento della caſſia, e del cinnamomo. Credette egli con altri antichi, e la lor creden za gli Arabi, c molti de'noſtri follemente ſeguirono , que Ite effer due piante fra eſſe lordifferenti; e vuol egli , che la callia naſca in una palude non guari profonda ,per entro , e d'intorno alla quale ſoggiornano alcune fierucole alate fimili a' vipiſtrelli, che mandan fuori orribili ſtrida, e ſono di gran forza , e vigore ; ma gli Arabi per iſchermirli da' yelenoſi lor morſi, in cogliendola ſi cuoprono il volto , e'l corpo tutto ,da gli occhi in fuora ,di cuoja ,e d'altre pelligec colefue parole : επταν καζδήσωνοι Βύρσησι δέρμασι άλoισι πάν το σώμα, και το πόσωπον , πλην αυτών των οφθαλμών έρχονται επί την καασίην • η δε έν λίμνη φύεται ου βαθέη , σιρι δε αυτήν, και εν αυτή αυ . λίζεται κού θηeία ερωτι , της νυκτίρια ποστίκελα μάλιστα και και τί . SUYE δεινον και ες αλκήν άλκιμα • τα δη απαμυνομένες από των ópfamutów . E quale aggiraméto di ſtrano cervello ſi pare ciò , che leggeli rapportato da Teofraſto, che i rami della caſſia P cſfer nervoſi non poffano ſcortecciarſi , ma tagliinſi in pic cioli pezzetti , i quali ſicuciono dentro a’pclli di bovi pur mo ſcorticati , perchè i vermicelli , che nel corromperſi del legno s'ingenerano ,roſicchiádone la midolla, inutile laſcia no la corteccia intera , mercè l'amarezza , e l'acrimonia del fuo odore , την δε κασταν φασι τας μέν ραβδες παχυτέρας έχαν, ινώδης δε σφόδρα , και ουκ είναι τριφλοίσα , χρήσιμον δε ταύτην τον φλοι δν· αν ουν τέμνωσε πως ραδες και κατακόπαν ως διδακτυλα το μήκG-, ή μικρά μάζω ταύταδ' άς νεόδωρον βρείνον καταρραΠεαν · ατ ' εκ ταύτης, και των ξύλον σκυμένων, σκουλήκια γίνεσθαι , από μια ξύλον κατεσθίει • τα φλοιού δε ουχ απεπειι , δια την πικρότητας και δριμύτητα 7ης οσμής , 1e O 1 1 quali parole cosìtraslatò Plinio con l'uláta eleganza:Con fecant furculos longitudinebinum cubitorum , mox præſuunt recentibus coriis quadrupedum ob id interemptarum ,ut ijs pu trefcentibus vermiculi lignum erodunt, & excavent corticem tutum amaritudine . Ma che direm noi delle lunghe dice rie del Cinnamomo appo Erodoto più incredibili delle ciance del verace Turpino preſſo del Bojardo, e del l'Arioſto . Il Cinnamomo , dice Erodoto che non ci fia manifeſto ove , e'n qual modo naſca , ſe non che pro babilmente ſi crede ingenerarſi in que'paeli, ove Bacco fu nutricato , e le feſtuchedi eſſo eſſer quindi da certi grandi uccellacci traſportate in alcune ſcoſceſc, einacceſſibili mo. tagne per fabbricarvi inidi,contro a’quali han gli Arabi ritrovato un ſottil modo : cglino tagliano in pezzi, e con quidono le membra di boyi, d'aſini, e d'altri giumenti, e quelli appreſan quanto è poſſibile a’nidi, e quindi ſi dipar tono ; gli uccelli intanto calan giù , e preſo della carne la ripongon entro a’lor nidi , i quali non valevoli a ſoſtener tanto peſo caggiono a terra , e gli Arabi allora ne fan race colta :όκα με γας γίνει αι , και ήτις μιν γή ή τσέφεσα έστ , έκ έχεσι - πών, πλην όπλόγω άκόπ χρεώμενοι , εν πίστ δε χωeίοισι φασί πνες αυ η φύεσθαι εν τοϊσι ο Διόνυσος εξάφη • όρνιθας δε λέγεσαι μεγάλες φορέ eaν ταύται το κάρφεα, τα ήμεϊς , απο Φοινίκων μαθόνης , κινναμωμον καλέομεν · φορέειν δε τους όρνιθας ές νεοσιας πεπλασμίνας πηλό πέος αποκρήμνοισι ούρεσι , ένθα πόσβασην ανθρώπω ουδεμίην άνοι : πεος ών δή ταύα τους Αραβίους σοφίζεσθαι τάδε · βοών π και όνων των απαγινο . μένων, και των άλλων υποζυγίων τα μέλια διαμόνας ως μέγια και κομί ζειν ες Gύτα τα χωρία και σφεα θένας άγχου των νεο Αστέων απαλάασε . « θαι έκας αυτέων• τας δε όρνιθαςκατο πετυμένος και αυτών τα μέλεια των υποζυγίων αναφορέαν επι τας νεοσπαστας δε ου δυναμίνας ίσχειν,καταρρής γνυσθαι γαρεπί γήν, τους δε επόντους συλλέγαν ούτω με πκινναμωμον. Ma fe quefto fembra fogno d'infermi, ben fola di Ro manzi ſarà, ſenza fallo , quel convenente d’Ariſtotile in torno al medeſimo fatto ,dove e' narra, ch’un uccello detto in Arabia Cinnamomo (comechè appreſlo Plinio chiami fi Cinnamologo) vada cogliendo i fuſcelli della canella, e fe · ue fabbrichi il nido ſu le cimede gli alberi , onde pofcia gli Secondo Regionamento ܐܶܡ gli Arabi con faette di piombo lo ſcroſtano , e caduto giù in terra l'adunano φαστ δε ο κινναμωμον όρνεον είναι οι εκ των το . πων εκείνων , ¢ το καλούμενον κινναμωμον φέρων πεθέν τούτο το ορειον, και την νεολίαν εξ αυτού ποιείσθαινεολεύα δεφ' υψηλού δένδρετε εν τοις θαλ. λοϊς των δένδρων, αλλά τους εγχωρίες μόλιόδον προς τοις οισοίς πέοσαρ των τας , τοξεύοντας καζβάλειν τε ού7ω συνάγειν , έκ του φουτου το κινναμωμον : elmedefimo vien confermato da Antigono, ov ” codices λέγαν δέ τινας τε το κιννάμωμον όρνεον είναι , και αρώμα & φί. ραν , και τους νεοφίας εκ τούτου ποιείσθαινεοτεύειν δ' εφ ' υψήλων δένδρων τ' α Gάτων , 7ους δε εγχωρίες μόλιόδον τοϊς δίπϊς προτιθών ας τοξεύαν , και κα - αρρηγνύειν τας νεολίας . E non molto diffimile e cio , che ne vien creduto da molti altri antichi appo Teofraſto: néger aus δέ πς και μύθος υπέρ αυτού · φύεσθαι μεν γάρ φασιν εν φάραγξιν , εν ταύζις δ ' όφης αναι πολλές δήγμα θανάσιμον έχοντας : πεος ούς φραξάμενοι τας χώρας,και τες πόδας , καταβαίνεσι, και συλλέγεσιν,είθ' ό'ταν εξενέγκωσιδιε λόντες βίαμέρη διακληράν τει πεος τον ήλιον Ma ſe mai mi foffe in animod'annoverare gli errori tut ti , ne'quali caddero gli antichi per eſſer eglino maldelle ftraniere faccende informati:Io direi come Plinio follemé. te dica, che'l Cinnamomo naſca nell'Etiopia , ed indi aſſai più vaneggiãdo ſoggiúga,che gli Eriopi il coprano da que de'proſſimani paeli;e che giungendo poiegli al colmo del le vanezze, apertamëte contraddicendoſi, non ſi vergogni d'affermare , ch'eglino ſe'l portino per alti mari con lun ghe , e pericoloſe navigazioni, ove non giova governo de nocchieri , ne vela , o remi,inafol l'umano ardire, e la for tuna gli regga . Direi come in alcuni antichi Greci comentarj leggaſi , che'l Cinnamomo col ſolo toccaméto ,l'acque bogliéti rin freſchi , e meſſo ne'bagni, i ferventi loro vapori in un bel freſco tramuti ;e che tutti gli animali di putredine nati,am 2nazzi:ότι ζέοντος φασή του εν λέβητα ύδατος είπες θίγοι μόνον η κιννα. μωμον ευθυς καταψύχειν το ύδως και και λετάω έπεισενεχθέν διαπύρω μετα ποιεϊν τον εν τώ αίρι φλεγμον εις ψυχρότειν , και αφανισικήν των εκ φθο ράς πνος ζωογονουμένων την φύσινέχαν.Direi di vantaggio , co medel pepe favoleggiado Dioſcoride ne narri , naſcer quel lo in India da un coral arbuſcello , che produce un frutto 1Ο Del Sig.Lionardo di Capoa. 73" lungo , ſicome baccello , il qual chiam ali pepelungo : den tro del quale dice ritrovarſi alcune granella non guari dau quelle del migliodiſſomiglianti; e che queſto ſia il perfer to pepe;imperocchè aprédoſi col tépo n'eſcon fuora i raci moli carichi di granella , ficome gli veggiamo; e queſti anzi d'effer venutia maturezza colti, fāno il pepe biaco , e'l nero poi dice egli conciosſiecofachè ſia maturo, eſſer odorifero ,e dilettevole al guſto più che'l bianco ; il quale perciocchè a debita maturezza non è pervenuto , non è cotanto perfetto . Πέπερ , δέρδρον 15ηρείται φύομεναι εν ενδία βραχύ καρπον δε ανίησι , κα . &ρχας με πξομήκηκα θάπερ λοβούς όπες επί μακρόν πέπερι: έχον τα ένο (λεις ) κέγχρω παραπλήσιον και το μέλι έσεσθαι και τέλειον πέ. περι . όπερκαλα τους οικείας καιρούς αναπλoύμνον βότρυς ανίησε κόκκινο φέροντας οί'ες ίσ μου και τους δε, και ομφακώδες και οι τινες εισι το λευκόν πε . περι , epoco appreffo:το δε μέλαν ήδιον και δριμύτερον του λευλου , φύσιμώτερον· και μάλλον δια 10' ναι ώριμον αρωματίζον• εύχρησότερόν τη εις τας αρτύσπις· το δε λευκών και ομφακίζον ασθενέτρον των πτοειρημέ . ng IWY , Ma troppo lūga materia da ſtancarne nell'impreſo arin farebbe il volere ad uno ad uno tutt'altri lor fallimenti annoverare . Perdoniam pure a gli antichi ogni lor negli genza , ſenulla ſeppero , over nulla curarono del muſchio , dell'ambra grigia ,del zibetto, della noce moſcada,de'ga rofani e d'altri, ed altri aromati. Non fia lor colpa, ma del la fola fortuna , il non aver eſſi avuto contezza niuna della Mecciocana , della Contrerba, del Saſſafras, del Cafè , del Legno Guajacosdel Balſamo del Perù, dell'Erba Te,dellas Salſa , della China , e d'altri quaſi innumerabili ſtranieri ſemplici, che al preſente ſon così manifeſti, e conti , che van per le bocche, e per le mani d'ogn’uno . Mache più: laſciam pur, che gli antichi ordiſcan degli animali le più incredibili fole , che peravventura cader potrebbono in penſamento umano : 0 pure avendole da altrui udito , co me ſe da propj occhj ſtate foſſer vedute , sì le abbinn per vere , e le rapportino . Laſciam , che creda Anafſagora appo Ariſtotile , che i Corvi uſin per bocca colle lor fem . K 74 Ragionamento Secondo 1 minc , e dea cagione dicantare a colui :. CorueSalutator, quare fellator baberis. E trapaſſiam fotto ſilenzio ciò che infinſero agli antichi della Catapleba , di cui Plinio, e Solino fan parole, e Sor gona appellafi appo Ateneo , la qual vogliono,che talma lìa dal ſolo ſguardo diffonda, che immantinente l'animal rimirato , ſtupido,ed inſenſato divega,e poco ftante fi muo ja ; il che vagamente deſcriſſe in quc'verli il Petrarca. Ne l'eſtremo occidente V na fera è ſoave , e queta tanto , Che nulla più . Mapianto E doglia , e morte dentro a gli occhi porta Neprendiam briga d'annoverar ciò che favoleggiarono Megaſtene , Daimaco , Nearco , Ariſtea , Onoficrito, Te fia , ed altri appo Erodoto , Strabone , Diodoro , Plinio , e Gellio degli huomini, che in Oriente preſſo il Gange naſcono ſenza bocca, e ſol Gi paſcon d'odore : degli huo mini , che in India appo i Nomadi vivono ſenza naſo : de gli altri, ch’appo i Troglodici ſon ſenza capo , e collo, ed han gli occhj ſu la ſpalla :d'altri , che han faccia di cane, e latrano , e di tant'altri di fimil figura , a quei , che la ma ga Alcina in guardia al ſuo palaggio teneva . Non fu veduta mai piùſtrana torma , Più moſtruoſi volti , e peggio fatti . Alcun dal collo in giù d'huomini ban forma , Col viſo altri diſcimie , altri di gatti . Stampa no alcun co’piè caprigni l'orma: E traſandiam Platone , che verace credette quella bugiar da fama de'Poeti , che i Cigoi preſſo l'eſtreno for giorno mandin fuori più bello, e più ſoave il canto; e non ci fer miamo a ſtacciar la cagione, che di tal fatto ne arreca táto ſottile, che da per ſe la ſcavezza, cioè, che eſſi cantano pe'l gran contento , che prendono del preſto ritorno , cli’al lo ro Apollo a far hanno . E con queſto diPlatone,laſciamo impunito anche il fallo d'Ariſtotile, qualor prende licenza di dir , che nell'Africa molti ne furveduti da’marinari, che buſamente , e doloroſamente cantavano ; eſſendo in veri tà Del Sig.Lionardodi Capoa. 75 tà il lor căto un'imporcuno gridare ,comedioche ſalvati che,anzi che no.Ne prendiam niuna cura diripigliar Teo fraſto ſeguito da Celſo , da Solino , e da altri, perchè po co , o nulla ſagace ſcriveſſe del Cainelconte', ch'egli il 'a ria ſi viva:così d'affermarlo niuno ſcrupolo non avendone, come ſe ſtati foſſero un di quei Poeti , che coll ulata lor licenza cantarono, ſicome Ovidio , Id quoquequod ventis Animal nutritur , & aura El'Alciato Semper hiat,ſemper tenuem qua vefcitur auram Reciprocat Cameleon . O di caffar quegli, che vollero ,eſſere it Camelconto della grandezzadelCoccodrillo , ſe pure non fu queſto , crrore di Plinio ;imperocchè tutto ciò che narra delCameleonte , dice d'averlo tolto di peſo a Democrito , che un libro in tiero ne fcrife , ρve dicendo και το μέγεθος ομοιον είναι τώ κροκο dergoe, ' non badò punto , che nel Ionico linguaggio , nel qual Democrito favellava ,la parola xpowodeina , val quel la Lucertola , che appo gli Atenieſi , e gli altri Greci dice fi sæūgos, ficome fanno gli ſtudioſi di tal linguaggio . Elaſciamo ſtare ciò , che gli antichi, a'quali ſi parve , che deffer credenza Varrone , Plinio , Solino , Columel la , Marziano Capella , e Servio follemente vaneggiaro che alcune cavalle ſu'l Tago ſieno ingravidate dal vento , e moran fuori polledrivelociſſimi al corſo . Co per vero dir non men fantaſtica del Pegaſeo di Bellero fonte , o dell'Ippogrifo d'Aſtolfo , e ben degna , che ne freggino i lor Poemicoloro, cui a par de'pittori è cócedu to di poter tutro ardicainente attentare . E sì cantar puo. tè Omero de'Cavalli del fuo Achille , Εάνθαν και Βαλίον ,τωάμα ποιηση πελέσθην , Tες έτεκε Ζεφύρω άνεμω άρπια Ποδάργη . E ſimilmente Virgilio Ore omnes verſa in Zephyrūſtant rupibus altis Exceptante; leves auras, á fæpefine ullis Conjugiis , ventogravide, mirabile dicru ! E Silio Italico delo lociſfimo Peloro no , fa K 2 Nu 76 Ragionamento Secondo Nullus erat pater ad Zephyri nova flamina campis Vectonum eductum genitrix effuderai Harpe E dell'Aquilino il noſtro ammirabil Torquato , Queſti ſu'lTago nacque , ove talora L'avida madre del guerrero armento Quando l'almaſtagion , che n'innamora , Nel cor le inftiga il naturaltalento , Volta l'aperta bocca incontra l'ora , Raccoglie i ſemidel fecondo vento , E de'tepidi fiati( o maraviglia! ) Cupidamente ella concepe , e figlia . E finalmente perdoniamo agli antichi ciò che ſognarono de'Pigmei , della Fenice , del Centauro , dell'Aquila, del I.eone , del Coccodrillo , della Salamandra , della Pirau ſta , della Remola , del Cavallo marino , del Baſiliſco ,del l'Elefante , de'Satiri, degli Ipogrifi , de'Ciclopi , delle Si rene ; e tant'altri errori , ne' quali non pur degli animali , ma de’minerali altresì in trattando incorſero, i quali di bé groffi volumi, non che di brevi dicerie ſarebber lunga ma teria , ſol che a noi ſi conceda picciola ,e ben dovuta rin chieſta , il poter da’lor falli ritrarci , uſcir da’lor rei inſe gnamenti, non coſto iinboccarne loro ſtrane ſentenze , e per ſeguir la verità tutti lor falſi rapporti porre in no cale ; a noi, cui tutto il mondo, è già quaſi omai ſcorto , e mercè la diligenzza delle lunghe pellegrinazioni, non pur ſap piamo i luoghi , i portamenti, i coſtumi degli abitatori : ma di che animali qualche ſi ſia paeſe venga fornito , quali piante germogli , quai minerali produca . E non v'ha ge te nel vero sì barbara , e feroce , la quale , o per avventu ra , o da neceſſità coſtretta non abbia a pro del comune qualche commendevol rimedio ritrovato , il quale ad al tre più umane , e ben coſtumare nazioninon è occorſo . E ben ciò a pruova ſappiamo ; imperocchè ne per lunghe vi gilie , ne per iſparti ſudori di'ſavj greci , o daʼnoſtri fi po tè ritrovar mai rimedio tanto valevole a domar la ferocia delle febbri , quanto è quella maravigliofa corteccia ,inſe gnatane da' barbari abitatori del Perù e Eto quanto se quan . DelSig. Lionardo di Capoa 77 quanto egli ora ammirerebbe per Dio queſta fortunata , e prodigioſa fecondità , e con qual leggiadria , ed altezza di ſtile egli anche per celebrarla ſarebbe,il ſublime poeta filoſofante Lucrezio , ſe dique' pochiſſimi trovati del ſuo ſecolo così maraviglioſamente preſe a cantare : quædam nunc artes expoliuntur : Nunc etiam augeſcunt : nunc addita navigiis funt Multa : modoorganici melicos peperere fonores. Denique natura hac rerum ratioque reperta eft Nuper , & hanc primus cumprimis ipſe repertus Nunc ego fum in patrias, qui poſſim vertere voces. Deh ſi paragonino p Dio le ſtorie della natura di quc fto noſtro ſecolo non ancor finito , con tutte l'antiche , e veggaſi ſe più fecondo di maraviglioſi trovati fia queſto poco di tempo, che itati non ſiano per addietro tanti , tanti altri ſecoli paſſati. Si paragonino pur le perſone, ci medici, e i filoſofinti antichi, emodernifi bilancino . Ma che dico Io deMedici, e filoſofanti moderni ? baſta ſolo un ſol filoſofo , l'ingegnoſiſſimo Galileo , per tacer di Re nato , del Gaſſendo , dell’Obbes , del lungio , e di tant’al tri , ad oſcurare , cſommerger affatto la gloria di tutta quanta l'antichità . Orche direbbe Plinio il giovine in rimirar tanti belliſſi mi , e nuovi trovati dell'età noſtra ? ſe de’tempi ſuoi, che pur ne furono affatto ſterili , ed infecondi, così ebbe a di re : Sum ex illis fateor , qui mirer antiquos ; non tamen , ut quidam temporum noftrorum ingenia deſpicio. Neque enim quafilaxa , & effeta natura elt , ut nihil jam laudabile riat . Ma ſu concedaſı pure ciò , che a niun modo conce der mai certamente ſi dee , cioè a dire , che alla antichità ſolamente abbiamo a ſtarcene ; come mai potrà egli ſenza guida di boſſolo il corſo della ſua nave reggere il nocchie. ro?come ravviſar l'aſtronomo le nuove ftelle ſenza il nuo vo occhialone? come abbatter le ſchiere nimiche, o rintuz zarne gli affalti il Capitano ſenza gli archibugj, e l'arti glierie, e ſenz'altri moderni ritrovati da guerra ? Che farà il filoſofo , e'l medico ſenza il microſcopio ? Quanto ri pa mar 78 Ragionamento Secondo 1 2 2 ! 1 1 . 1 1 marrà a ſuper della Terra al Geografo , ſenza le novelle ; tavole dell'America ? in quaiviluppi , cgarbugli, e con fuſioni troverrebberſi mai gli Stronomisi quali a far prova aveſſero del Siſtema di Tolomeo infino a’di noſtri, quafi comunemente per tutti ricevuto ? Non s'addofferebbero le ſghignazzate , e le riſa anche del popolo minuto , e de più ſemplicifanciulli , s'eglino mai a negare ardiſſero lo innumerabili ſtelle della via lattea ? o faceſſer veduta di non iſcorger in faccia al Sole le macchie? oi compagni di Saturno ,ch'alcuniorecchj, altri anella , ed altri manichi chiamano, o le nuove ſtelle Medicee , o lo ſcambiar della faccia di Venere , o'l dimorar più in là delle lunari regio nile Comece , o le montuoſità della Luna ; o l'aggirarſi di Venere , di Mercurio , di Giove, e di Marte intorno al So le ? E con qual fronte ofercbbero i filoſofi ora difender l'incorruttibilità de'corpi celeſtiali, la faldezza de' Cieli , la sfera del fuoco , e tanti , e tant'altri ſogni d'ozioſi cer velli ? E come ardirebbero i medici ſenza i novelli trovati della notomia morta , e della notomia vitale ad impren der eure ſenza manifeſtiſſimo riſchio de'mileri ammalati ? Ed o quanto,e quanto mal conſigliati ſarebber quegli in fermi, chenelle lormani li porrebbono; edo quanto in názi tratto ſarebbe il migliore ad arriſchiar la vita più to ſto in man d'avveduto, e ſaggio Empirico , il cui meſtiere, comechè manchevole , tuttavia a pericolo d'errare aſſai men ſoggiacer ſi vede , che la falſa razional medicina daw Galieno in guiſa tale abborrira , e biaſimata , che ezian dio contro le regole dialettiche egligiudica eſfer coſa iin poſſibile poterfi mai da’ falli principjdi quella altre con cluſioni, cheſempre falſe , cavarc . Ma laſciando ciò al preſente , che troppo larga materia da diſcorrer ſarebbe, dico, che un talmio diviſo di dover ſi ſemprcmai al miglior di ciaſcuno , o antico , o moderno autorch'egli diafi , appigliare, ne a ' ſentimenti d'alcuno tenacemente ligarli , ſenzachèè egli ragionevole aſſai, e conveniéte, fù di vataggio da tutti gli ſcrittori di maggior lieva abbracciato , e da' più ſavj filoſofancije da ſacriTeo . 1 logi Del Sig. Lionardo di Capoa. 79 logi comunemente leguito , e fommamente da ciaſcun commendato. Odafi di grazia fra’primi quel Principe de Lirici, e de'Satirici Poeti Latini,checol ſuaviſſimo ſuo me. tro i rigidiprecetti dell'Epicurea , c della Stoica filoſofia addolcendo , così ne canta Quod verü ,atque decens,curo, di rogo &omnis in hoc să . Condo , &compono,quod mox deprumere poffim . Ac ne forte roges quo me duce , quo lare tuter : Nullius addictus jurare in verba magiftri, Quo me cunque rapit tempeſtas , deferor hofpes ; Nunc agilis fio , & verfor civilibusundis ; Virtutis vere cuſtos , rigiduſque ſatelles : Nunc in Ariſtippi furtim præcepta relabor's Et mihi res , non me rebus ſubmittcre conur. Equel , ch'altrove eglimedeſimamente va diviſando. .., Quodfitam Gracisnovitas inviſa fuiſſet Quameſt nobis , quid nunc effet vetus ? aut quid habcret. Quod legeretztereretque viciſim publicusuſus ? Odafi Quintiliano : neque id ftatim legenti perſuaſum fit, omnia , quæmagni autoresdixerunt , utique efleperfecta ; e recando « gli di ciò la ragione, ſoggiunge: nam , & labun tur aliquando , & oneri cedunt , & indulgent ingeniorum , fuorum voluptati : nec intendunt animum : Odali il Roma no Oratore : non tam autores in diſputando, quam rationis momenta quærenda funt ,quin etiam abeft iis qui dicere van lunt , plerumque eorum autoritas , quife docere profitentur : definunt enim fuum judicium adhibere , atque id habent ra tum quod ab eo , quem probant judicatum vident. Indi tra paſſando a condennare il vituperevole coſtume de' Pitta gorici , a'quali per certa, ed infallibil ragione l'autorità fo Jamente del Reverendo lor maeſtro baſtava : conchiude : tantum opinio præjudicata poterat , ut etiam fine ratione va leret authoritas . Odali oltre a' già rapportati autori più fiace il medeſimo avviſo dalla ſaggia mente di Platone, ac comandatone ſpecialmente nel Critone , ove diffe : 10 ſon di sì fatta natura , che a niun'altro mai mi ſon condot to a preſtar fede, ſalvo, che a quella ragione , che più vol te da go Ragionamento Primo te da me diligentemente ſtacciata , e diflaminarā alla fine ho ritrovato eſſer l'ottima : as iywa õ jóvov vũ , anc ' wy de Tolos 1G- , οΐG τωνεμών μηδενί άλω πάθεσθαι, ή τώ λόγω , δς αν μοι λογιζα Hér w Gea Tigos Paívntou , Odaſi il famoſo Ariſtotile, ilquale , avendo a trattar certa quiſtione, ove le faceva uopo per la verità d'impugnar le determinazioni de'ſuoi amici,veg gendoſi quaſi allo ſtrettojo, pur ſaggiamente diliberando, cbbe a dire,più umana coſa eſſere il preporre la verità agli amici αμφοίν γαρ όνπιν φίλων , όστον πτοπμαν την αλήθειαν , e pri ma auea egli detro a pro della verità , far meſtiere , maffi mamente al filoſofo , diſtrugger le ſue proprie credenze ; ma odaſi quella maraviglioſa , e divina ſentenza ch'egli medeſimodal Fedone del ſuo maeſtro apprefe, e pur da tut ti coloro , che Ariſtotelici, o Ippocratici , o Galieniſti in torto chiamar ſi fanno , vien comunemente traſandata,an zi affitto ſpregiata : Amico Socrate, Amico Platone, ma più amnica la verità ; la qual diviſando, esfigurando queſti Iciocconi indegniſſimi del nome di vero filoſofante , foven temente dir ſogliono : eſſi amar meglio di ſcioccheggiar con Ariſtotile , Ippocrate , e Galieno che con altri laggia mente diſcorrere . E ben di quella più amico ſoventemo ftroſli il medeſimo lor Ariſtotile, ſe migliaja di yolte ripre ſe,e biaſimòTalete , Pittagora , Parmenide , Anafſiman dro , Anaſlimene , Meliſſo , Democrito , Anaffagora , cd altri molti , che prima di luieran lodevolmente feduti fra filoſofica famiglia ; e ne meno per riverenza talor ſi ritena ne , chea'medeſimi ſuoi maeſtri Socrate , e Platone il fi inigliante non faceſſe, i quali manifeſtamente alle volte bialima , e riprende ; e forſe ſe ſua malavoglienza , ed ill vidia non foſſe, potrebbeſi ancor credere , che egli per ſo lo zelo della verità così loro villaneggiaſſe, e carminaſſe , chiamandogli talora, e ſcempiati, ed ebbri , e farnetici , e ſciocconi, e ſtolti , e ſcimuniti , e non farebbe per avven tura gran ſenno , che ſon pur coloro gran maeſtri in filoſo fia , e danon così gravemente mordere . Ma queſta cotai ſentenza ebbero in bocca poi tutti i ſuoi più celebri diſcepoli, e ſeguaci, Licome ſcorger.age. 2 vol DelSig. Lionardo di Capoa 80 volmente e'ſi puote , in Teofraſto , in Ermia, in Iſtracone, iu Ariſtoſſeno , in Ipparco , ed in altri molti, i quali ſi vide ro mai ſempre antiporre la verità , ſe mai lor ſi parve d'a verla rinvenuta , almedeſimolor maeſtro , e duce Ariſtote le , non che ad altri filoſofanti; e'l ripigliano liberamente e ſenza ritegno,qualora in qualche fàllo il tolgono; e queſta medeſima ſentenza, dipoi han comunemente avvuta fiffa inmente tuttii moderni riformatori della filoſofia , a’quali tanto , e sì fattamente piacque ad ogn'orapreporre la veri tà ad Ariſtotele , che allora con ſignoria da tiranno in tutte le ſcuole del mondo regnava, ed a guiſa di celeſtial nume per ciaſcun riverivali, checon eroica fortezza, e con in vincibile , e veramente filoſofica coſtanza , nulla curanda che perciò ne foſſero eglino mai ſempre , e proverbiati , e deriſi,il ripreſero ſoventemente , e lo dimentirono di non , pochi ſuoi falli. Ma odaſi omaiquell'altra non men famoſa ſentenza, la ) quale à Socrate ſuo maeſtro è da Platone attribuita rávws γαρ και 1ειο σκεπτέον ός τις αυτο είπεν, αλα πότερον αληθές λέγεται η ου , Non già chi abbia detta la coſa , ma s’eidica , o non dica il vero ,doverſi conſiderare . Ne in ciò punto è da tralaſciare il celebre latino Stoico; il quale al ſuo Lucilio in una piſtola, così favella: Epicurus, inquis , dixit : quid tibi cum alieno? quod verum eſt, meum eft: indi egli foggiugne con quelle veramente memorabili parole: Perfeverabo Epicurum tibi ingerere, utifti qui in e verba jurant , nec quid dicatur æftimant, fed à quo fciant, quæ optima ſunt eſſe communia . Ne meno è da notare as noſtro propoſito ciò che altrove parimenteegli dice contro i miſerevoli parteggianti: qui alium fequitur , nihil inve nit , immonequequerit; e ciò , che altrove ancora : Non ergo fequor priores ? faciofed ; permitto mihi, bu invenire ali quid , mutare, nec fervio illis fed , aſſentior, e ciò, che un' altra fiata egli così proteſta : Qui ante nos ifta noverunt,non domini noftri , fed duces funt. Ne è da paſſar ſotto filézio quel belliſſimo detto di Por frio το αληθεύειν και μόνον δύναταιτους ανθρώσες ποιάν Θεό Παραλεσίες, L. caya 82 Ragionamento Secondo 1 cavato nel ſuo volgare dal beato Girolaino con queſte vo ci . Poft Deum ,veritatem colendam , quæ fola bomines Deo proximos facit . E ſe tanto può far la verità , dove più riporrem noi l'a nimo , a qual'altro fine indirizzerem noi i noſtri ſtudj,dure rem noſtre fatiche , ſpargerem noftri ſudori, vegghierem le gelide, e ſerene notti, ſe non perla verità ? Eccovi, ecco vi o Signori il vero ſentiero dell'immortalità , e della glo ria. Ecco quel ſentiero, che ſegnarono i barbari daprima, indi i Greci, ed ultimamente i moderni noſtri filoſófanti , che in tanto pregio ,e tanta fama glorioſamente falirono ; e perchè crederem noi, che l'antica età aveſſe , e Talete , e Anaffimenc, e Senofane , e Anafſimandro , e Pittagora , ed Empedocle, e Leucippo , e Democrito , ed Eraclito, ed Anaſlagora, e Socrate , e Platone, ed Ariſtotele , ed Epi curo , e Zenone , e tanti , e tant'altri filoſofi d'immortal fa ma degni: e ſi pregin parimente , e lidian yanto i noſtri ſex coli d'aver recati almondo il Cardinal Cuſano , e' Co pernico , el Patrici , e'l Teleſio , el Ramo , e'l Do nio , e Ticone, e'l Cheplero, e'l Bruni, e'l Gilberti, e'l Montagna , e'l Merſenni, e'l Baſſoni, e'l Galilei , e lo Sti gliola , e'lCampanella , e'l Verulamio, e Renato , e'l Gaf fendi , e'l lungio , e'lConte Digbi , e'l Oggelandio , e'l Boile , e’l Borrelli , e'l Maignano, e'l Robervallio , e'l Mal pighi, e'l Redi , e lo Stenone , e'l Ricci ,e l'Vliva , e'l Por zio , e ' Bellini, e'l Marchetti , e'l Montanari, e queſti,che ſommamente fregian la noſtra patria Tomaſſo Cornelio Gio: Battiſta Capucci , e D. Carlo Buragna, dicui ben to ſto s'ammireranno gl'ingegnoſi filoſofici trovamenti, ed al tri incomparabili eroi, che con gloriofiffima gara lundcl l'altro fe'n vanno per le vaſtiſſime regioni della natura, fu perbi ,e alti voli lpiegando: fe non perchè tutti coltoro va ghilimioltremodo di ſpiar la ſola verità,non vollero giá mai ſtarſene a niuno , ne a' derti di niuno traportar cieca mente ſi laſciarono . E viuran ſeipremai pe'l contrario ſenza fama , e ſenza lode appo i faggi, e prudenti ſtimato ri delle coſc tutticoloro , che toglier non vogliono una sì 1 com .-s 1 Del Sig. Lionardodi Capoa. 83 commendevole, e neceflaria libertà ; anzi ſovente in tai fal. limenti dalla lor cieca oſtinazione ſon tratti, che ne ſenza riſa rimembrare, ne ſenza nota d'obbrobrio , e di vitupero nominar unque ſi poſſono. E io comechè ſopra ciò diviſar lungamente potrei , e di sì fatti errori quaſi infinito numero rapportarvene,purnon dimeno rimarrommene per modeſtia ; c fie baſtante il ri duryi amemoria , ſol ciò, che d'un ' oſtinato , e duriſſimo Peripatetico narra il Sagredi appreſſo quell'altiſſimo filo ſofante,ch'oggi l'Italia tutta onora più che altri già non fe la ſua Grecia . Mi troyai, dic'egliga caſa un Medico molto „ ſtimato in Vinegia , dove alcuni p loro ſtudio ,e altri per » curioſità convenivano talvolta a vederqualche taglio di „ notomia per mano d'uno , non men dotto , che diligen te , e pratico notomiſta; ed accadde quel giorno , chę ſi andava ritrovando l'origine , e naſcimento de'ner » vi , ſopra di che è famoſa controverſia infra' medici „ Galienifti, e Peripatetici ; c moſtrando il notomiſta , co » me partendoſi dal cervello , e paſſando per la nuca il gra » diſſimo ceppo de' nervi , s'andava poi diftendendo per es la ſpinalc , diramandoſi per tutto il corpo : eche ſolo un fil ſottiliflimo , come di refe n'arrivava alcuore : voltofi 5 ad un gentil'huomo , ch'egli conoſceva per filoſofo Pee ripatetico , e per la preſenza del quale egli avea cons iftraordinaria diligenza ſcoverto, e moſtrato il tutto,gli „ addomandò , s'egli reſtava ben pago , e ſicuro, l'origine de'nervi venir dalcervello , e non dal cuore : al quale il „, filoſofo dopo eſſere ſtato alquanto ſopra diſc , riſpoſe : voi m'avete fatto veder queſta coſa talmente aperta , e ſenſata , the quando il teſto d'Ariſtotele non foſſe in chiaro , ch'apertamente dice i nervi naſcere dal cuore, biſognerebbe per forza confeſſarla per vera . Ragione. volmente adunque potè cantando eſclamar colui. Sæpe graves, magnoſque viros , famaqueverendos , Errare , & labi contingit , plurima fecum Ingenia in tenebras cunfuerunt nominis alti Autores , uticonnivent , deducere eajdım , 1. Ta . 2 84 Ragionamento Secondo Tantum exemplavalent , adeo eſt imitabilis error. Fin quìha potuto trarmi con convenevol diſdegno dive dere in tanti errori i miſerelli parteggianti vitupcrofamen ce cadere . Ma vegnamo a moſtrar ora, ſicome già propo nevam di fare,quanto i Sacri Teologi la libertà , che noi commendiamo, eglino altresì , ed approvino , e lodino . E chi baſtantemente mai rapportarpotrebbe,con quan co fervore s'attraverſi a coloro che la libertà degli Scritto ri intendonodi riſtrignere, quel ſottiliſſimo fra gli Scolaſti ci Teologi Durando ? Egli con chiare , ed efficaci ragioni manifeftaméte il ci va dimoſtrado con dire che ſe mai noi dovremo agli altrui detti acchetare ( il che non ſi deca niú modo concedere ) chi così temerario , e così folle farà ,the più toſto a’Pagani , e perfidi gentili fede preftar vorrà , che a’ facri , e piiſcrittori , e Padri di Chieſa Santa da divin lu me illuftratis e pure Agoſtino proteſta di non voler'egli già , ch'a'ſuoi detti dar s'abbia ferma credenza : ma che ciaſcuno in prima ben bene gli diſamini , & abburatti, e ſe veri non gli pajano ſenz'altro alcun riguardo gli rifiuti to Ito , e rigetti ;indi le parole medeſime di Agoſtino recate avendo così fieramento ſcagliandoſi contro alcuni barbaf fori , che vogliono impor meta alla libertà degli altrui in gegni, e ridurli al durofervaggio di qualche fi fia ſcrittore, e che altro , eſclama egli , è ciò per Dio, ſe non che un vo lere quel tale ſcrittore antipurre a'Dottori di Santa Chieſa ? fe non che un chiudere il varco a color ,che vanno in traccia della verità ?Se non che un far argine a quei , che s'inviano pe'lſentiero della ſapienza : ſe non cheun'ammorzar violen temente , non che oſcurare il chiariſſimolume della ragione . Così quel gran Dottor della Chieſa , non men d'ammira bil ſantità , che di profonda ſcienza dotato, ſcrivendo al Gran Girolamo, lume maggiore della Criſtiana Religio ne , dopo avergli detto , ch'egli dava intera , e ferma credenza a'libri ſolamente della ſacra Scrittura , ed agli autori di quella , degli altri in sì fatta guiſa egli favella : Alios autem omnes ita lego , ut quantalibet San &titate do Etrinaqueprecellant , non ideo verum putem , quia ipfi itas Jenſe is DelSig:Lionardo di Capoa . 85 fenferint,fed quia mibi, vel per illos authenticos autores ,vel probabili ratione , quod à vero non devient perſuadcre po tuerunt . Ma prima di S. Agoſtino quel criſtiano Tullio, Lattan zio Firiniano,avendo iſentimenti medeſimi con eloquenza; ed efficacia non ordinaria manifeſtati,ſiegue a dir poi, ch' ogni ſapienza da ſe caccian via coloro ,che ſenza diſcreto giudicio ,i trovati degliantichiapprovano , e a guiſa di pe corelle dietro a quelli ſi laſciano ciecamente trarre ; per ciocchè : ficome egli ſoggiugne : Hoc eos fallit , quod maa jorum nomine pofito non putant fieripulje , utaut ipſi plus fa piant , quia minores vocantur , aut illi deſipuerint , quia majores nominantur: cd alla fine così gridando ei conchiu de : Quid ergo impedit , quin ab ipfis fumamus exemplum , at quomodo illi , quifalſa inveneruntpofteris tradiderunt, fic nos , qui verum invenimus poſteris meliora tradamus . Or dunque , fe tanta libertà ſi tolgono i Sacri Teologi , che talor dove ragion ripugna contraſtano ferventemente a'lo ro maeſtri , ed a’Dottorimedelimidi Chieſa Santa , ere tāta libertà richiedeſi a'filoſofanti a poter ſaggiamente in veſtigar la natura delle coſe ; quanta crederem noi ch’ab. biſognardebbaaʼmedici . Anzi coſtoro di tutt'altri certa mente maggior la debbon godere ſenza alcun paragone ; imperocchè ſei filoſofi volendo pur ſtrettamente appiccar ſi ad alcuno , altro per avventura non fanno, che con in gannar ſe medeſimitrarli alcun'altro dietro ſenza nocimé to alcuno , che all'altrui vita ſeguir ne poſſa: i Medici per lo contrario , con laſciarſi a'lormaeſtri ingannare , non di naſconder ſolamente altrui le verità naturali ,non di ficcar carote al baſſo vulgo ſolamente ſi ſtudiano , ma oltre a ciò da'vani,e ſtoltiloro aggiramenti,offeles c per lo più mor talijanzi ſterminje rovinc cagionarſitutto di crudeliſſima mente veggiamo . E pure i mediciduri , e oſtinati dietro al lor Galieno le veſtigie di lui , nõ già la verità ,vā ricercă do ; e come ſaggiamente notò l'avveduciſſimo Signor di Montagna: On ne demande pas fiGalien a rien diet qui vail le:mais s'il a diet ainſin,ou autrement. Esì gli antichi am, . 1 mae 86 Ragionamento Secondo maeſtramenti, anzi gli antichierrori ſempremai ſeguir vom gliono ; e mi ricorda a tal propoſito , che ritrovandomi in brigata di curioſi, e dotti amici a caſa il noſtro Severino quivi da un diligente notomiſta Daueſe ne fur moſtre le vene acquoſe in un cane da lui aperto ; ma immantinente levolli ſuſo un teſtereccio Galieniſta (il qualeſimili trova ti prendendo a gabbo poc'anzi avea detto effer eglino ar zigogoli di moderni ingegni per far contraſto al for ſaggio Galieno ) e contro al buon notomiſta in ceffo rabbuffato , c adattandoſi gli occhiali al naſo ſtizzoſamente ſcaglioſli con un preſto argumenter contra : ne era inai egli per rifi pare , ſe oltre alle riſa de'circo tantichetamente , e in vo ce piena di carità , e di modeſtia, non gli aveſſe il prudente Notomiſta replicato , ſe non valere ſtar su le difeſe , mu eſſer pienamente pagodi ciò , che gliocchi, e le man pro pie le facevan chiaramente vedere . O ſtrana , o incredi bil pertinacia de parteggianiMedici, voler eſſere anzi cic chi , e ſordi, e tradir ſe medeſimi, ei malati, che ponen do giù la dura , e pertinace loro oſtinazione ricrederſi de' manifeſti errori de’loro macſori: anzi porre in oblio l'uma nità , e'lnatural conoſcimento , e lume, per gire così loro inconſideratamente appreſſo , Come le pecurelleeſcon del chiuso Ad una , a due, a tre : e l'altrefanno Timidetteatterrandol'occhio , e'l muſo ; E ciò che fa la prima , e l'altre fanno , Addo andoſi a lei s’ella s'arreſta, Semplici, e quete , e lo perchè non ſanno Ma chczben ſo lo , che per la più parte ciò fanno coſto ro , non peraltro , ſe non ſe ſolamente per torſi da doſo la troppo nel vero gravoſa , e malagevolc briga d'inveſtigar con iſtenti, e ſudori la naſcoſa , ed a’lor m.cítri non cono ſciuta verità ; e perciò fan veduta d'eſſer ſaggia elczione di ragionevole genio, quella , che certamentealtro non è , che dapocaggined'intelletto groſſo , e tondo ; e sì la loro ignoranza, e la loro pecoraggine cercan di ricoprire, onde poi d'aſtio , c d'invidia fremēdo, per dar quanto (torpo per lo DelSig.Lionardo diCapoa. 87 loro ſi poſſa alla gloria de moderni ſcrittori, quella degli antichi mai sëpre d'innalzar fi argomentano; del quale ma ligno, e biafimevole artificio , forte lagnádoſi Marziale col ſuo Regolo così canta : Eifequid hoc dicam vivis, quod fama negatur Et ſua quod rarus tempora leltor amet. Hifuntinvidia nimirum Regule mores Præferat antiquos ſemper,utilla nuvis. Nono Signori, che non ſon già queſti i veri ſentieri,per cuine’tempiantichi s'avvivono , ed Ippocrate , e Diocle, e Pliſtonico , e Praſlagora , ed Erofilo , e Filotimo , e Cri fippo , ed Eraſiſtrato , ed Aſclepiade, per tacer d'altri , es d'altri famoſi razionali medici antichi. Così anche a'tem pi noſtri ſi ſon vedutimontar feliceméte al titolo de'ſaggi, e'l Valentino , c'l Paracelſo, e'l Quercetano ,e l'Elmonte, e'l Villis , e'l Silvio, e tant'altri avvedutiffimi medici moderni . Non è giàtale crederemio Galienifti, non è già tale il ſentiero del voſtro Galieno ; (gannatevi pure una volta , e ſe non altrui , credetelo a lui medeſimo, che oltre a quel , che n’abbiam di ſopra rapportato , egli più ch'altrove af faichiaramente quivi l'afferma, ove diſe medeſimo narra , che egliavea per coſtumedi chiamar ſervi tutti coloro , i qualidaIppocrate, e da Praffagora , o da chiunque altro fi foſſe predevano il nome, e che da tutti egli uſava di mai fempre fcegliere il migliore : ήρετο πνα των εμών φίλων από ποί και έην αιρέσεως • ακούσας δ'όπ δούλες ονομάζω τους εαυτός αναγο ρεύσανας ιπποκρατείας, και πραξαγορίες , η όλως από πνος άνδρας , εκ λίγοιμι δε τα παρ' εκάσες καλά, δεύτερον ήρετο , ίνα μάλιση των πα hasūv in aivoso: ma che ? un'altra fiata lo ſteſſo voftro Galie no non dice, che a manifestiſſimo riſchio d'incorrer in nons pochi erroricoluis'eſpone, che fermamente ſecondar ſem premai vuole i ſentimenti , che il maeſtro della ſua fettan come falde, ed infallibili verità gli diviſa ? conciosſiecofa chèſecconc una certiMima ragione di ini medeſimo colle ſue propie parole ) Χαλεπόν γαρ ανθρωπιν όν % μη διαμαρτάνειν εν πολ . λοίς: τα μεν όλως αγνοήσαν τα , τα δε κακώς κρίναντα , τα δε αμελί segov ypay ar to ,cioè : egli è malagevol molto , o pure impoſſi bile, 88 Ragionamento Secondo bile cheunoseſſendo buomo,in tante, e si diverſe coſe ialor non s'aggiri, alcune affatto non ſappiendo,enon conoſcendo,e d'al tre malgiudicando , e d' altre alla fine con poca cura, ed avo vedutezza favellando. Fin quì Galieno , il cui faggio av viſo non ſolocome mai pofla per Galieniſta alcun traſan darſi , o manifeſtamente diſpregiarli; e pure egliè tale, che più , che a tutt'altri, dovrebbe eſſer a cuore a'Galieniſti , i quali lodovrebbon prontamente ſeguire , ſe non mai per altro , almeno per darne a divedere, ch'elli veramente há bo in quel pregio , ed in quella ſtima , che tutto dì millan tano , il lormaeſtro , il lor principe Galieno ; altrimente vero dirà Paganino Gaudenzio, il quale queſto graviſſimo fallo loro rimproverando, prorompe in queſte parole , Ga Lenum voce tenus extollunt, re ipſa autem deferunt , atque contemnunt . Tanto dice o Signoriilſaggio , e ben conſigliato rino vatore della vera filoſofia , e medicina , e con ragioni, e con teſtimonianze forſe di maggior lieva più oltre proce derebbe , s'egli non avviſaffe , che il rimanente ben pote te voi, come ſavj,per voi medeſimi pienamente compren dere; onde con quelle divine parole, le quali già lo inge gnoſiſlimo Teleſio ſotto l'effigie della Verità giuſtamente ( culſe Móva pod pina , cioè a dire Sola coſtei a me amica ; e con quelle parole , che replicar così ſovente il Paracelſo folea : Alterius non fis, qui ſuuseffe poteft, ê ſe ne rimane Ma io aggiugnerò di vantaggio , coſa , che per avven tura a primafaccia ella creduta nó mifie, e pur ella è vera, e pur ella è certa : ne loolerei dirla, ſe non ilperaſli farve la toccar con mani , cioè , che poco men , che tutti i più celebri , e più ſtimati parteggianti di Galieno da chiarore di verità talvolta illuminatihan fatto come propj i medeſi miſentimenti , e quaſi tutti tanto nel filoſofare , quanto al fatto del medicare foglion ſovente dall'orme di Galieno, e d'Ippocrate medeſimo partirſi, alcuni liberamente ciò có deſfando, altri poidiſimulando la coſa , e'l contrario tutto con Del Sig. Lionardo di Capoa. 89 con fatti adoperando, di ciò ,che ſempremai con parole proteſtar ſogliono . E percominciar dalle Spagne , acciocchè per noi in si lungo narramento con qualche ordine ſi proceda , Tomaſo Rodrigo Viega,infra gli altri Spagnuoli nobiliſſimo inter petre di Galieno, ſcuſandoſi una volta di aver contra a’sé. timenti del ſuo maeſtro diviſato, di cui allora appunto egli ſtava il libro delle differenze delle febbri comentando,co si ebbe a dire : Eſſer egli da credere , che noi non pur fiam nati ad interpetrare gli altrui detti, ma altresì a diſami nargli ben bene, più pregiandola forza della ragione, che l'autorità de'maeſtri ; ed ove ſiam da neceſſità coſtretti, li beramente da lor ci dipartiamo , perchè dalla verità non venghiamo a dilungarne ; e quindi a poco paſſando a di ſaminar le ſue dottrine , il toglie in non pochi falli,de'qua li ſuoi avviſi ſommamente egli pregiandoſi, alla fine con chiude : quæ animadverſiones liberum animum oftendunt,com uni veritati vacantem . Nequi rapporterò lo altre ſue parole intorno al mede fimno ſentimento , che troppo lungo ne verrebbe il mio di. ſcorſo ; ma non laſcerò lo già di dire , come forte per lui ſi ripigli , l'haver Galieno la reſpirazione al cervello aterie buita,ſognandoviſi per ſoſtener sì folle opinione , unamé brana non mai per niun Notomiſta ravviſata. Ne men ta cerò , come chioſando egli quel luogo, ove Galien con feſla apertamenteeſſerſi eglimededelimo ingannato in giudicandod'un ſuo propio male , contro luiprorompa in queſte parole: Galenus qui in propriis malis cæcutivit, quid in alienis faceret ? Ma chi potrebbe mai il famofiffiino Galieniſta Frances ſco Vallelio séza taccia di traſcuraggine intorno a ciò tra laſciare ? cgli avvedutiffimo ne'luoilentimenti , non pure il ſuo maeſtro Galieno , e'l ſuo divino Ippocrate nelle co ſe di maggior confiderazione arditamente abbandona , fi come nelpurgare , e nel cavar ſangue , quantunque quafi con argani, e con lieve, co tutte ſue forze a ſentimentiluoi di traſcinargli ſi affatichi ; ma in un particolar luo libbri M cino 90 RagionamentoSecondo 1 cino alcuni detti del ſuo Galieno rapportar volle, coranto fra ſe contrarj , e diſcordi , ch’in niun modo , ſecondo lui , difender mai , o riconciar baſtantemente fi poſſono ; la qual coſa prima di luiaveaſiancor tolta a fare quell'altro dotto compilator di Galieno Andrea Laguna. Così anco ra dal giogo degli antichi due Greci maeſtri ſi ſon talvolta ſcolli,, e ſtrappati , e per altre ſtrade liberamente avviati il Lemoſio, il Mercato , ilMena , il Segarra , il Peramati , il Pereira , e'l Mattamoros. Ma ciò far ſi vide più di tutt'al tri Spagnuoli, e con maggior nerbo, l'avvedutiſſimo Pier Garlia nobiliſſimo profeſſor di medicina nell'Accademic Compluteſe ; la qualcoſa così egli faggiamente proteſtā do , dice , che altri non prenda maraviglia, ſe di quelle co ſe , ch'e' rapporta , alcune n’abbia colte altrui variamen te diſaminandole, e ſe inolte ſien nuove, e nonmaidaglian tichi pria dette, ne pubblicate in alcun modo: quàm( ſog giugnendo ) in rebus ad examen revocandis non authorita tes ,sed rationum momenta conſtet preponderare , indeque , vetus verbum : Amicus Plato , fed magis amica veritas,oy tum babuiſe . E per far motto intorno a sì fatta maniera , ancor de Medici di Valenza , i quali sì con Ippocrate, e con Galicno ſtar ſogliono ſtrettamente confederati , che anzi a ſommo fallo li recherebbon , che no, il dilungarſi in un ſol minuto punto dalle loro dottrine . Pure il Pereda fuo chioſatore forte fi briga diſcuſar Michel Paſcali cele bre ſcrittor di pratica Valenziano, perchè queſto poco ti? lor ſiaſi curato delparere di quegli antichi maeſtri, così dicendo ; cum bic vir doctus ſcripſerit tempore quo multæ falf & barbarorum ſententiæ vigebant, veritates Galeni,quas modo multorum auctorum lectione habemuserantocculte. Ma che forſe il Pereda in quelle ſteſſe ſue chioſc , ove a fuo potcre egli crede di rimettere il Paſcali nella diritta ſtra da , non ne torce ancor'egli , e non una , o due , ma più, e più fiate ? certo , che sì ; imperocchè in trattando delle febbri ardenti, così ne ragiona: Cum vero in hac febre non apparent figna fanguinis, non eft neceſſaria ſanguinis miſſio , fed purgatio bilis, neque inomni putrida febri ſecandaeſt ve 14 , ut 1 DelSig.Lionardo di Capoa . 91 na , ut multi recentiores medici cum Galeno X1. Meth . vo. lunt . Or ecco , come da Galieno ribellando il ſuo giura to campione , e lotto le bandiere del barbaro , e miſcredé te Avicenna fuggendoſi,arditamente gli fà teſta , e cerca , di mandare a terra una dellebaſtie più celebridella Galie nica medicina, fondata in ſu quella univerſal ſentenza,che veruna eccezione non patiſce , cotanto replicata da Ga lieno, e celebrata da’ſeguaci di lui: xala ,soy eli cw , ws dignton, φλέβα τέμνειν ου μόνον εν τοίς συνόχοις πυρετούς , αλα και τοις άλλοις απαστ τοϊς επί σήψ « χυμούς , όταν γε ήτοι τα τ ηλικίας , ή τα τ δυνά pescos pead montées : Egli è coſa falutevoliſſima , ficome io hogià detto , ilcavarſangue , non folo nelle finoche , ma eziandio in tutt'altre febbri, che daputridi umori fon cagionate , fol, che l'età , o be forzeno'l vietino . E comechè li forzi egli di ceſſare la fellonia , con dir , che Galieno non faccia men zion del falaſſo altrimenti nella terzana ſemplice, ed altri moltiſſimi eſempli vada ei rapportando : queſto però è un volere ſaldar la piaga con pannicelli caldi, direbbe lo’nfa rinato della Cruſca, ed un'aggiugner colpa a colpa, fallo 2 fallo , in modotale , Che non l'avria Demoſtene difeſo ; imperocchè vien'egliin sì fatta guiſa ad accufare il maeſtro di contradizione, o di poca fermezza almeno , il che affai monta in faccende di così gran rilievo.Ne men moſtra ,che molto fedel ſia di Galieno il Pereda, colà ove dice: Mul ti fequutiGalenum lib.VI.derat. vict. in morb. acut. in by dropeanafarca ex fuppreſiunemenfium , d hemorrhoidibus, autalia plethoricaaffectione orto ,quando incipit fecant ve nam, quod difficillimum nobis videtur,immo falfum , quia in hydrope jecur maxime refrigeratū eſt, do funguinis misfio ex accidéti refrigerat.E finalmétericordevole d'eſſer filoſofo, d'esſer medico, d'eſſer libero, a viſo aperto dice altra volta il Pereda , favellando d'un luogo d'Ippocrate malamente, ſecondo lui da Galieno ſpiegato ; quem locūzignofcant mihi ejus manes , Galenusnon recte explicuit . Stefano Roderi go da Caſtello , Portogheſe,celebre lettor nella famoſilli M 2 ma ſcuo 92 Ragionamento Secondo ma ſcuola di Piſa , nei libro de Meteoris microcoſmi, ove ſommaméte proneggia d'effer medico , e filoſofante libe ro , dapoi ch'egli ha commendaro Ariſtotile , che ne ha laſciaci credi del ſuo libero filoſofare , forte ſgridando co loro , che voglion ſempremai gir carpone collo inge gno , e farti ſervi d'altrui , così favella : fed quotus quiſ que eft, qui hanclibertatem velit ? Proh dolor , ingewa phi lofophia ſervos parit: ed altrove : ego vero quid antiquiores fenferint parü ſollicitus , &nulli ſedia addictus.E poco ap preſſo:Neotericorú inventa, fi qua mihi arrident, amplector, quæ difplicēt relinquo.Chiama egli più d'una fiata Galieno negligente , duro , oſtinato , caparbio , protcryo , e catti vo filoſofante; e cotanto allontanoſſi dalla dottrina di Ga lieno il Roderico nel menzionato volume , che vennnea formare un novello ſiſtema di razional medicina . Il celebre fra'GalieniſtiSpagnuoli Andrea Santacroce , quante volte, e quante all'opinion di Galieno, e d'altri an tichi , o non bada , o non cura , o talora lc fpregia ? Noil dic'egli una volta : mihi fufpe &ta eft Galeni doctrina ; ed al tra volta motteggia il medeſimo, perch'e'malaméte ſpiega un teſto d'Ippocrate có dire:frigida explicativ; ed altra fia ta ripigliádo có viſo d'armi Galieno,nó dice, ch'egli a tor to ofa cacciare Ippocrate , come colui , che non intera mente aveſſe aflegnate le cagioni della debolezza delles forze nelle malactie : eccone le ſue parole : Hippocrates elio modo , & forfan clariori caufas debilitatis nobis propo fuit , quamvis Galenus illumfine ullo fundamento repreben dere aggrediatur . Ma quale oggidiaperto campo, e libe ro nello Spagne tutte a' medici lia dato da potere agiata mente perciafcuna fetta ſcorrerc, affai fie manifesto a chi pon mente alle parole framezzate nell'opera del medico della Regal caſa Gaſpar Bravo , valoroſo , e forte cam pione della doctrina diGalieno : e fono le ſeguenti : liens Non eft conformatum à natura , ut fit receptaculum bumoris melancholici redeuntis è jecore , quod Galenus , & reliqui dugmarici antiqui illi ſubſcribentesfinem pracipuum quare fuerit lien à natura conformatum ignorarunt; quod Galenus in ina Del Sig.Lionardodi Capoa. 93 in infantis anatomes non potuit circulationem fanguinis , cu motum percipere. E in priina , di Galieno medeſimo avea già detto :fiabſolute velit interdicerefanguinis miſionem in pueris, non ftandum ejus doctrine . Senzachè volen tier coſtui ad alcuni novelli trovati dà piena credenza , fi come all'aggirarli del ſangue , ed alle vene latree, e ad al tri molci diviſi moderni ; perchè ragionando d'Arveo, così manifeſtanente dice : quod Haruei doctrina, ſi vera,non ob ftat , quod nova , ab illo noviter dicta , quia in naturali busnon tam quis dixit , quam quid dixit examinandun. O faggia veramente, e prudentiſſima ſentenza, e degna d'un vero filoſofo , degna d'un vero medico , degna d'uns vero , ed avveduto diſcepolo d'Ippocrate, e di Galieno ! E che direm noi o Signori dell'Accademie tutte delle Spagne, da quella di Valenza in fuori, la qual ſola , eco ſtantemente di non dipartirſi giammai in coſa niuna dal ſuo Ippocrate, e Galieno ſi da vanto ? Coſtoro certamen te han ſeguito ſempre , cſeguon tuttavia per ſolo titolo i medeſimi Greci maeſtri ; ma in verità quanto poi da loro nell'adoperare dilunghinſi , non ſi può egli bastantemente narrare . Eben'avviſollo una volta il teſte mentovato Ga lieniſta Andrea Santacroce , il qual dopo aver due luoghi delluo Galieno recati, ove coluidice, che ne’troppo fred di , o nc'troppo caldi tépi non ſi debba a niun partito cavar ſangue , avvegnachè grave , e di riſchio ſia la malattia ,e l'infermo freſco , e giovine , c ben’atante della perſonas foggiugne inanifeſtamente poi : certe qui hæc legit,quomo dotempore Eſtivo, &in ifta tam calida Matriti regione,pre cipue hoc anno, tam audacter mittit fanguinem ? quid mira quod multi interierint , ut dicitGalenus? fed quid mirum fi tantum aberrent multi , ut mittantſanguinem folius refri, gerationis gratia ? Malaſciādoci omai addietro le Spagne,valichiamo pu ., rca ragionar della Frácia, nella quale avvegnachè la oſti natiſfiina ſcuola di Parigi aveſſe col Quercetano tutt'altri Chimiciperſeguitati , e banditi , non fù ella poi così fal dase coſtante , che non abbandonate talvolta , ed aper tamen 94 Ragionamento Secondo tamente non rintuzzaſſe la ſcuola d'Ippocrate , e di Galie no ; imperciocchè da’ſentimenti di coſtoro , quanto al fat to delle purgagioni, e del ſegnare , e d'alcune altre core di lieva alla medicina appartenenti, tanto , e si fattamen te fi dipartono , e s'allontanano , che più non farebbero p avventura i medeſimi liberi , o vaghi mcdicanti ; il che pienamente ſi può per ciaſcun comprenderedall'opere de più famoſi medici di coral nazione. Ne permio avviſo è da logorar punto di tempo in far parole del famoſiſſimo Rondelezj; eſlendo purtroppo manifeſta la libertà , con cui egli imprende a vagliare, ed a riprovar l'antiche opinioni, e produrre in mezzo, e ſtabilir le novelle, dal propio inge gnioritrovate. No meno è gran fatto da prender cura di porre in chiaro quanto il dottiflimo Valerioia îi moftraſſe ſempremai fido amatore , e difenſor della verità ,le cuilo di di celebrare , ed innalzar fino alle ſtelle non è mai ſtan ca la ſua eloquentiffima penna ; oltremodo commendan do altresì Galieno , perciocchè ancor'egli per amor della verità avelle più fiate fronteggiato il venerando macſtro Ippocrate ; eſſendo egliciò ben conoſciuto a chiunque l'o pere diluiabbia rivolte . E oltre a ciò quanto il medeſi mo Valeriola ſenza alcun ritegno ove gli ſia in concio ad Ippocrate , Ariſtotile , e Galieno faccia contraſto ; palesí do ſenza riſpetto , quanto ſoventemente,l'un detto diGiz lieno l'altro annulli , ſpezialmente colà , ove ſi briga di vo lere ſpianar la facoltà dell'orzo, o dove ragiona filoſofan , do dell'amaro ſapore , e tutt'altri fallimenti di lui, qualo ra gli vengan conoſciuti, non laſcia con generoſa libertà di ſvelargli, e ripigliargli. Ma non potrei tacer'io dell'elegantiſſimo Fernelio , il quale , comeche foſſe motteggiato dall'Italico Galieno Aleflandro Maſſaria con quelle pungenti parole : fummus cum ratione hic vir ſuo libro titulum inferipfit , Ferneliime dicina ; namque fi totam illius inftitutionem , omniaque dig mata diligenter animadvertas,ea majoriex parte juntite ejus propria, epeculiaria , ut prope fint nullius alierius:pur decegli, non ſolo gran lume della riſtorata cloqueaza Ro mila , 1 DelSig.Lionardo di Capoa. 98 mana, ma ſovrano pregio dell'arte della medicina eſtimar fi ; perchè credendolo proverbiare il Maſſaria , il vennes anzi a commendare , che nò ; imperciocchè , fe ad altro , ch’a ricercar nuove coſe , e per alcun'altro non mai prima tocche ebbe il Fernelio l'animo tutto , e'l penſier rivolto , per certo , che egli fi fe in tal guiſa conoſcere per degno imitatore , anzi einolo d'Ippocrate, e di Galieno. Ma forſe il Maſſaria non riguardò punto a quelle parole , le qualiil Fernelio ,antiveggendo ,che delle ſue novità ſareb be per alcun da eſſer tacciato ,nelprincipio del ſuo vaghiſ ſimo volume laſciò ſcritte ; la dove egli con sì efficaci , e convincenti ragioni, econ sì maraviglioſa facondia , la fua cauſa difende , che più non farebber per avventura , o'l fottiliſſimo Demoſtene, o l'eloquentiſimo Tullio; le qua li per eſſere ſoverchiamente lunghe qui io non rapporto; ma non gia tacerò lo quell'ultime ſue parole , colle quali maravigliando egli de famoſi trovati dell'età fua , così al tamente favella :nihilvere docto illifeculo debet hæc invi dere . Dicendi ratio , fummaqueeloquentia nunc paffim flo refcit, philofophiæ genus omne excolitur :m :ufici , geometra, fabri, pictores , architecti ,fculptores,aliiquc artifices innu merificmentis aciem extulerunt , ut artes quique ſuas pre claris, magnificiſque operibus exornarint, quevetuſtioribus illis uno omnium ore celebratis nihilcedant. Neque inven tis folum ornamenta, e incrementa adjunxit temporum ex curfio , fed &artes novasprotulit,ad quas priorum nunquã, velingenium , vel induſtria penetraverat . Quindi ſieguo egli a raccontar delle bombarde, delle ſtampe , delle bof fole da navigare , e d'altri maraviglioſi ritrovati de'tempi addietro ; e intorno al navigare ſi vanta ſommamente d'a vervi anch'egli fatta la ſua parte. Mao quanto più il benz parlante Fernelio com menderebbe la noſtra età , fe vedeſſe a' dì noftri di nuove , e più maraviglioſe pro ve la fperienza accreſciuta, e ſempremai ritrovarſi da gli ingegnoſi moderni , o le carrette a vela , o le trombe parlanti , o le lanterne magiche , o i teleſcopj, oimicro ſcopi , o le tante , e tante , e sì maraviglioſeforti d'oriuo J ligo 96 Ragionamento Secondo li, o i varj, e varj, e non mai poſti più in opera ſpecchi co cavi,che repentemente liquefanno anchei metalli più du. ri: o le Pitture, che apparir fíno a’riguardáti, Protei di mil le forme le colorite telc : o con qual arte da guerra infra brieve ſpazio di tempo in terra ſi gettino le Cittadelle , ultimo rifugio de’vinti , & ultimo ſtento de’vincitori : e co me dall'acceſe bombarde li mandi ſoccorſo alle caden ti fortezze , traendo argomento di ſalute da’medelimi ſtrumenti d'offcfe: 0 come a diſpetto quaſi della natura ſi poſla forc'acqua francamente navigare . E come egli au rebbe aggrottate per iſtupor le ciglia in avviſando altreer ranti , ed altre fille non mai più vedute Itelle , ed altri , ed aleri movimenti, oltre a quegli già per l'addietro conoſciu ti nel Ciclo dagli antichi. E che aurebbe egli detto dell' Elatere dell'Aria, de' Barometri, delle Termometre , e degli ſtrumenti del vuoto , in cui non rimane ne men pic cio iſlimoacomo d'aria ? Eche de’nuovi, e maraviglioſi uſi della calamita ? e che del trasfonderli del ſangue e di cotant'altre prlove , che commendevol tanto rendono, e amipirabile l'età noftra . Certainente con maggior mara viglia egli ſclimato aurebbe , e con onta pur degli inutili e pecoroni parreggianti : fi omnem laborem pofteri collocaf-, fent , ut eas folum artes, diſciplinas exædificarent , qua rum fundamenta priores jecerant , nunquam tam multa di fciplinarum copia creviſet. Si qua in veterum mentem non venerant, juniores non aperuiſſent, neque illorum induftriam fuis vigiliis excitafent: nova ingeniorum lumina minime lucefcerent . Ma e'l Fernclio , e tutt'altri autori Franceſchi prima di lui , quanto al filoſofar liberamente poſſon ceder tutti la maggioranza a Lorenzo Giuberti nobilillimo lettore nell’Academia di Mompelieri ; il quale dopo ellerli oltre modo lagnato de gravioltraggj , che per opera d'Ariſtote le han villanamente molti degli antichi ſavi patiti , haven do colui si fittamente i lor ſentimenti inviluppati , e {tra yolri , che s'eglino pur ci ritornaſſero , non più , comopro pi lor parti ravviſur certamente gli potrebbero: indico 4 1 1 4 silog. Del Sig.Lionardo di Capoa 97 sì loggiugne. Hinc res eò miferia tandem reducta fuit , ut quum maximophilofophurum damno aliorum commentaria periiſſent ,in iis nullo refragante poſteritas tenaciffime inhee Jerit, ea tantum vera eſe ſibi perſuadens , quæ fine contro verſia proponerentur. Quindi egli con animo libero , e fin loſofico, dinon dover ſenza minuta conſiderazione laſciar fi trarre a gli altrui pareri,manifeſtamente proteſta : avve . gnachè ſian quelli pure diGalieno medeſimo, dicuiegli così dice . Hec dum animadverto,non poffum non illius quo que dicta exactiusperpendere , de pleriſque dubitare : ut diligentiore facta inquifitione veritastandem ( abfit invidia dicto ) eluceſcat. La qual faggia libertà , dice egli, da cia ſcun doverſi ſommamente ſeguire,tra per l'utilità , che ol tremodo ſe ne ritragge , e per l'autorità de'letterati più prodi , ed in iſcienze più valoroſi , che ſempre glorioſamé te l'han ſeguita ; de'quali egli fa un brieve, ma ſcelto ca talogo,arrollandovi anche in fine l'avvedutiſſimo Gugliel mo Rondelezj , e ſommamente commendandolo. Ma non ſolamente Lorenzo Giuberti nel ſoftener la fin loſofica libertà moſtrar volle la ſua maraviglioſa coſtan ża , anzi non pago di ſe medeſimo d'imprimere, e propag ginar sì nobili ſentiméti anchenegli animi de' ſuoi ſcolari ſommamente ſtudiosſi . Perchè un diloro ebbe già quell'e legantiſſima orazione , che oggidi ancora vien da'curioſi con maraviglia guardata; e nella quale dopo aver colui có forti, e valevoli prove ſaggiamente la ſua ragion difeſa , la gran forza ſpiegando della verità , dice , quella ſola la greca filoſofia a cotant'altezza aver potuta condurre,e por l'ultima mano alla latina eloquenza : e da quella ſola ani cora eſſer la Criſtiana Religione introdotta , e ſeminata in Europa: e cô la verità medeſima aver fatto capo a Socrate ache Platone; e côtro Platone poi eſſerſi armato Ariſtotele; e nell'Italia gran tratto dagli Aſiatici aver ſeparato Cice rone . E fu opera anche della verità il replicare appreffoi Criſtiani Paolo a Pietro , e opporſi Agoſtino a Cipriano ; e altri molti eſſerſi per ſola vaghezza di quella l'un l'altro perſeguitati. Quindi rivolgendo il ſuo ragionamento a’ri N gidi, 1 1 98 Ragionamento Secondo gidi, e ſuperſtizioli barbafforidi quella ſcuola rancida , che più le viete anticaglie degli ſtolidi maeſtri, chela nuova , e pur mo nata verità ſcioccamente pregiano così ſoggiugne . Et paganorum quorundam ( cioè a dire d'Ippocrate , e di Galieno ) memoriam ſuperſtitiosè coletis ? eorum nomina tam aniliterperhorrefcetis , ut à falfifſimis quorundam decretisnon poffe quemquamfine nefario ſcelere deficere judicetis ? Ma non comporta il tempo , che più avanti lo ne rapporti , comeche per tutto quel libbricino vaghiſſime, ed ingegnofiffime coſe ſparſe vi lieno : ed a cui caglia di leggerlo forſe non rincreſcerà . Di tanta, e sì valevol forza fur le perſuaſioni, e l'au corità de'due valentiffimi maeſtri , cioè del Rondelezine del Giuberti , che traendoſi dietro già tutta la ſtudioſa gioventù di Mompelieri , da indi in poi in quella famofiffi ma Accademia fempre la libertà del ben filoſofare è cam. peggiata . Ne con più ardente , e con più vigoroſo ſtile altra ſcuola di Francia armolli mai a far teſta a quella di Parigi a pro della Chimica, e del Quercetano , quanto la famofiflima ſcuola di Mompelieri : da cui ſon ſempre uſci ti , ed eſcon tuttavia valorofi germogli . Che più ? egli è táto non chebiaſimevole,ma impoſſibi le a fofferire la fervitù delle Sette agli ſtudioſi ingegni Franceſchi, che non che altri , macoloro , i quali la liber tà in altrui ſommamente riprendono , come il Silvio , l'Ol Jerio , il Doreto , eiduo Riolani , lor fa meſtieri , ch'a ' giurati maeſtri , o di naſcoſto ſi ſottraggano , o manifeſta mente ribellino . Anzi (chi il crederebbe !) anche colui , ch’a difeſa di Galieno contro il Vefalio sì fieramente ar moſſi , voi m’intendete o Signori , io dico il rabbioſo An drea di Lorenzo , udite come pur ebbe a dire : Ego enim hactenus is fui ,qui nullius jurare in verba magiſtri aſſuevi, multa prioribus ſeculisincognita , & diligenti noftra ubfer vatione animadverſa in apertam lucem profero . Mala Lamagna , quantunque foſſe ſtata il Teatro ,ovej con Paracelſo da prima , e poſcia con gli ſcolari di lui ten zonaſſero i più oſtinati difenſori degli antichi maeſtri : es quan Del Sig .Lionardodi Capoa. 99 quantunque ſurti vi foſſero , ed in quel meſcolamentoal ſchermo del lor Galieno.v'aveſſer fatta puntaglia il Fuſio , il Platero , il Cratone , ed altri acerbiffimi,e valorofi Gas lieniſti : nonpertanto ſono ſtati i Tedeſchi, de France fchi medeſini nel filoſofar ſemprese nel medicare aſſai più liberi,licome ne dan piena teſtimonianza Giorgio Agrico la , come colui , che in trattando delle coſe minerali tante, e tante fiare va ripigliando gli antichi maeſtri , e Taddeo Duni , il quale , tutto cheGalienifta, pur contro.il mede fimo ſuo maeſtro Galieno , un libro partitamente compo ſe , ove nel procmio così apertamente dice: Galenusquis dem amicus eft, & fcriptor antiquus, & illuftris., vene randus : veritas tamen , & antiquior , & illuftrior , dve. neranda magis.. E che direm noi di Geremia Triverio ,di Felice Plateri, di Corrado Geſncro , di Martin Rollando , e d'altri aſſai, ma più di tutt'altri di Mattia Vnſeri.il qua le al ſuo Galieno apertamente ribellandoſi infra l'altre una volta dice con efficaciſſime ragioni aver lui dimoſtro ,andar Galieno follemente errato nel filoſofare delle cagioni del. l'Epilellia : e che de' ſuoi falli eredierano rinaſi gli oſti nati ſuoi ſeguaci, negli animi de'qualila falla dottrina del lormaeſtro così tenacemente ſi trovava radicata , ut ( per dirla colle ſue propie parole ) Scirrum quamvis durum cia tius digeras , quain inveteratam hanc opinionem àpuero con ceptam , ipfis è mente eripias . Ma quel che maggiormente recar dee eglimaraviglia fiè, che imedeſiminimici,e per fecutori del Paracelſo , eziandio i più fieri, ed acerbi anch'eglino talvolta dalla loro annodata congiura mani feſtamente fi partono, come Felice Plateri , Tomaſo Era fto ,Giovan Cratone,GaſparreOfmanno ,nimico il più im placabile, che mai Chimici aveſſero ilqual tutt'altri medi ci, anche di ſua ſchiera, intinto biaſimò, e ſquarciò , che afpriſfimamente da due diſcepoli di Galieno anche funne ripreſo : l'un de'quali , che fù Daniello Orſtio , così pro verbiando il motteggia : ad Hoffmanni modum , qui inftar anys rixoſe heroes medicos paſſim fcurrilitertraducit; e l'al tro , che è Riollano il figlio , ſdegnato oltremodo, di lui N 2 ſcri Tôo Ragionamento Secondo ferive : Hoffmannusnimis liberè, & licentiosè caftigat omnes Medicos , utfolusſibiſapere videatur. Mainfra gli altri partiſſene ancora Rinieri Solenandri filoſofo , e medico digran pregio, il quale coll' armi , dal medeſimo Galieno un tempo adoperate , coraggioſaméte diféde la ſua ragione ; e dopo d'aver acculato Galieno de' falli p lui comeſſi nel libro de’séplici medicaméti,così con tro di lui , e degli altri antichi maeſtri ſaggiamente ragio na . Si in his medicina partibus , in quibus plus externi ſon Jus , experientia valet , quam judicium , & ratio , tantū deliquerunt majores noftri, quid credere debemusfactum ef feincæteris omnibus , quæ fola ratio, & ingenii ac umen af Sequi, eperſuadere poteft ? E che direbbe ora il Solenan dri , ſe vedeſſe di già fatto palele al mondo , quanto G2 lieno, e altri Antichi,della verità andaſſero lungamente er rati, in filoſofando dietro le parti tutte della medicina? Ma non v'ha infra tutti i Tedeſchi Galieniſti, che de’detti del lor maeſtro Galieno sì poco conto faccia, quanto , ſecon do , ch'io mi creda , quel tanto celebrato ſeguace di lui Daniel Sennerto ;del quale perciocchè e' fa moſtra in ogni luogo d'eſſer libero, no fà meſtieri al preséte ch'io sétéza alcuna ne rechi. Tanto ſolamente apporterovvene ciò, che egli in difeſa di ſe ad Antonio Guntero ragiona . Semper novum ( dice egli) Suſpectum fuit , antiquum vero lauda tum ; fed an jure ſemper , dubito; nam , quod nobis antiqui, olim novum fuit : ideoque non tempore , fed rationibus opi niones affirmandæ funt , eæque veriſimehabende , quæ cum natura , qua antiquiſſima eft', confentiunt . E poco avă ti : multa adhuc in natura reſtant explicanda; & plurimas in ea ita obſcura ſunt , ut magni etiam viripleraque vix de finire aufi fint . Ma non hà egliper mio avviſo animo me no nobile , e generoſo del Sennerti , il famoſo Galienilta Ollandeſe Giovan Antonio Lindeni intorno al giudicar li beramente , e fecondo ragione,la verità delle coſe , ſenza eſfer di vaſallaggio alcuno. Coſtui infra gli altri ſuoi li beri , e memorabili conſigli, una fiata ragionando di Ga lieno , e avviſando in quante beſtemmie , cd empiezze foffe DelSig.Lionardo di Capoa. ΤΟΥ foſſe coluinelle ſue dottrine ſtrabocchevolmente caduto così eſclama : Quid eft abnegare Deum , fi hoc non eft ? fi enim iſta non poteſt , ne quidem Deus eſt ? alla fine contro i parteggianti di lui ſtizzoſamente prorompe: &hic eſt illes homo ,cui non aſſurrexiſe grandenefas eft ? cuique contra dixiſſe mortale peccatum eft ? E altra volta così del ſuo mae ftro Galieno ragionando : Galenus ( diſſe ) magnus eſt, & fuit , &erit ; non tantus tamen , quem patiar libertati med fibulam imponere in iis , qua meliori ratione, atqueexperiêm tia certiore habeo comprobata. Ne men del Lindeni maa gnanimo , e libero fu quell'altro Galieniſta parimente Ol landeſe Zaccaria Silvio ; intanto che non laſciandoſi tra ſcinare ,ma ſolamente condurre a reverendi ſentimenti del maeſtro , ritroſo , e reſtio, ſovente a quelli ricalcitra ;e tra viando dagli antichi ſentieri , per nuove, e non uſate vie s'argomenta talvolta , comechè poco felicemente , d'ag giugnere alla verità . Priorum veſtigia (dice egli) omnia premere, & eaděſemper inculcare ridiculū eft.E no guari ap preſſo : Pigri eft ingenii contentum effeiis, quæfunt ab aliis inventa , fiquidem mentis acrimoni: nihilnon humanarum rerum ſubjicitur . Perciocchè ficome egli medeſimo ra giona , non è la medicina , o la filoſofia così ſtretta , così anguſta , e di sì poca ſpazioſità , che di preſente dagli an tichi primi macſtri ſi foſſe potuta ingoinbrar tutta, ſenza laſciarne ſpanna altrui ; ne così manifeſta , e ſviluppata, iz ciaſcuno è la verità delle coſe chei primicri inveſtigatori di quella aveſſero avuto ventura di prenderla liberamen te ſenza gli argomenti di cotante ſperienze; e giugnendo primieri alla gloria vincerla ſolamente della mano ; veri tas , fù ſentenza di lui , in multo altiorem demerfa puteum eft, quam utpaucis inde extrahi poſſit feculis . Énel mede fimo ſentimento fu certamente ciaſcun'altro medico , fi loſofante di Ollanda ; c Io ne potreiquì rapportare infini te teſtimonianze , ſe non che io temo per avventura di ſo verchiamente ſtuccarvi colla mia lunghezza. Ma non poſſo perciò tralaſciare a dire dell'ingegnoſo filoſofante, e medico de'ſuoitempi Giacomo Bacchio ; il qual veggens е doſi 102 Ragionamento Secondo doſi da' ſentimenti, e dalla ragione perſuaſo ,anzicoſtret to , e vinto a confeſſar l'aggiramento del ſangue, niente curando,ch'una tal dottrina non l'aveſſc egli apparata da' volumi degli antichi maeſtri, sì volentieri la ricevette , e intanto l'abbracciò , che conchiuſe alla fine doverſi quella in diſpetto degli oſtinati Galieniſti tutti ſeguire,ſe ben l'or dine tutto dell'antica medicina aveffe foſſopra a ſconvol gerſi , e andarne a fondo; perciocchè ſecondo un sì nuovo diviſo in aſſai coſe fi riformerebbe la medicina , e in mi glior filo certamente ſi metterebbe . Sic contingit , oſſer vò egli , concefo , ftatutoque ſanguinis circulatorio motu ,in numera veteris doctrina fiatuta inverti ; unde totus docendi ordo turbatus præpoſtere , & fine certa methodo, & doétrina omnino confuſe inſtituitur , addiſcitur; quam pofitioni bus cashenatim cohærentibus , &certo ordine inſtructis ſia biliri decer . Ma che direm poi del medicar della Lamagna, il quale , da queldella Francia poco certamente s'allontana ? ſe non fe i Tedeſchi aſſai più de Franceſchidi ſegnar ſi ritengo no ; e intanto l'abborriſcono , e ne ſon ritrofi , che deter minatamente giudicano, i Salaſli mai ſempre eſer danne voli , e ſconcj, e ſe non altro alla per fine menomandone gli ſpiriti , raccorciarne miſerabilmente la vita . No lo mi prenderò quì punto briga in provarvi quanto i Tedeſchi ſien filoſofi , emedicidabbene , e amatori della verità , no appiccandoſi oſtinati, e provani a Setta niuna ; ed egli ſiè ben manifeſto a ciaſcuno , non più fortemente altronde che dalla Lamagna eſſere ſtato dimentito , e ricreduto più fiate de'ſuoi errori Galieno . Ma non men libera dell'altre nazioni fu la gran Bretta gna in non yolermai tenacemente appiccarſi a' ſentiinenti d'Ippocrate, e di Galieno , o d'altri antichi medici, ſenza in prima lungamente abburattargli, e porgli allo ſquitti no delle ſperienze , e delle ragioni. E ciò agevolmente potrà comprendere chiunque prenderaſli briga tanto qua to di rivoltarci tarlati, e polveroſi volumi dell'antico Ric cardo , o di Giubetto , o di quelGiovanni, che ſopra tutti 1 inani DelSig.Lionardo di Capoa 103 ز manifeſtò i ſuoi laudevoli, e generoſiſentimenti in quel li bro mandato fuora da lui , ſotto nome di Roſa Anglicana ; e da cotant'altri antichi Inghileſi, a' quali , comeduchi,e maeſtri del filoſofare , e dell'opere di medicina , piacque anzi gli Arabi dottori, che i Greci maeſtri nelle loro ſcuo le ſeguitare . E più allor crebbe , e avanzoſſi nell'Inghil terra la libertà del medicare, quando pofta giù la ruggine di que'rozzi ſecoli, più preſſo a'tempi noſtri,per opera de gļItaliani maeſtri, rinacquero quivi le lungamente ſepolte greche , elatine lettere ; perciocchè allorcertamente con maggior ſenno , e avvedimento ſi puotè per valenti lette rati gareggiar vicendevolmente per la verità; e crebbe tă to poi nella famoſa penna del Primeroſio , dell'Igmoro , e d'altri valenti Galieniſti Inghilefi la libertà delloſcrivere nella medicina , che ſoverchio ſarebbe il raccontarlo. Pu re non mi terrò di ſommamente commendar quelle famo ſe ſcuole ,onde ſi moſſe da prima l'incontraſtabile difeſa a pro dellaggiramento del ſangue , la qual sì forte , e valo . roſamente Fiaccò le corna del ſoverchio orgoglio al gonfio , e folle Pariſano , che vergognato , e ontoſool tremodo divenutone, non osò il cattivello per innanzi far ne più motto . Ma chi mai pareggiar potrebbe il valore del grãde Ar veo ? ilqual ſgombrate da ſe tutte paffioni di Sette , e di nimiſtà , intanto avvantaggioſſi colla ſua laudevole liber tà ne'ſentimentipiù veri delle coſe , che nelle ſue glorioſe . opere così par , che ſaggiamente ragioni : Io miſon forte fovente meco medeſimo maravigliato di coloro , anzi tal volta hogli preſo a gabbo , i quali follemente s'avviſano aver l'operc d'Ariſtotile , o di Galieno , o d'altro più cele bre maeſtro cotanta perfezione , e compimento, che nulla certamente lor poffa aggiugnerſi più di vantaggio . Non è la natura delle coſe cotanto aprima faccia manifeſta che compiutamente per huom’poſſa prenderſi, ſenza ben cutca in prima diſtintamente ſpiarla . Ella ha i fuoi ſegreti na ſcondigli, a'quali non può certamente aggiugnerſi, ſenza la 104 Ragionamento Secondo la guida di lei medeſima: e ciò , che in alcune coſe confu ſamente, e inviluppatamente n'accenna , altrove poi reſa . ne fedeliſſima interpetre , più diſtintamente , e manifeſta mente n’eſpone. Perchè ſenza dubbio mal potrà giugnes re a diterminar coſa del mondo intorno all'uſo , o alme ftier delle parti del corpo umano , chiunque in prima non n'abbia ben preſo argomento da ciaſcun ' altro bruto ani male , e'l ſito diligentemente , e la fabbrica , eicongiunti vaſi , e altri accidenti di quelli , e delle lor parti conoſciu to , e l'uſo loro per pruova ſaputo . Et putabimus, dirolla pure colle ſue propie parole , nihil prorſus commodi ab his auxiliisfcientiarum nobis accedere ; verum omnem plane fa pientiam à primis ftatimfeculis abforptam fuiſe ? Ignavia profeéto hæc noftre, haud naturæ culpa eſt . Ma che non di ce egli, e quali ſaldiſſiine ragioni non apporta in concio a' ſuoi liberi ſentimenti , o nella famoſiſfima lettera dirizza ta al Collegio di Londra , o nel proemio del libro della generazion deglianimali ? Pudeat, udite , come all'alta impreſa del liberamente filoſofare ne ſtuzzichi , e ne ſpro ni il magnanimo amator della verità : pudeat itaque in hoc nature campo tam ſpacioſo, tam .admirabili, promifique majora femper perſolvente,aliorum fcriptis credere ; incerta indè problemata videre ; &ſpinofas, captioſaſque diſputa tiunculas nectere . Natura ipſa adeunda eft; & ſemita quă nobis monſtrat infiftendum . Ma dalle nazioni ſtraniere , paſſiamo omai a narrar del. la noſtra vaghiſſima Italia , pregio delle più belle lettere, e ricovero ditutte ſcienze ; la qual certamente , intorno alla medicina, oltre a gli Abbanije i Niccoli, c i Gentili , e i Dini, ei Tomalli, e i Taddei, e i Ferrari, e gli Vghi, e i Girardi , e i Platearj, e i Turiſani,e i Salvatichije i Giacomi da Forli, e i Mattei da Grado , e gli Arduini , e i Montagnani, gli Arcolani, c i Zerbi, ei Savanaroli , e cento , c millal tri avvedutiſſimi ſeguaci dell'Arabeſchedottrine : hebbe anche Aleſſandro de Benedetti, e Matteo Curzio , eGio van Manardi , e Giovan Battiſta Montani, e Antonio Mu fa Brafavolo , c Nicolò I.coniccni, per tacer d'altri molti, a’quali DelSig. Lionardo di Capoa: 105 a' quali più di ciaſcun'altro per avventura piacque le doe trine d'Ippocrate, e di Galieno fominamente ſeguire . E pur veggiam talvolta effer coſtoro manifeitamente , trali gnati dalle reverede dottrine de’lor carimaeſtri , e in mol te , emolte coſe , che a grado lor non furono , avvegna chè di non poca conſiderazione,loro apertamente contra-. ſtare . Ne reco Io già al preſente per teſtimonio del mio ragionaméto Gabriel Fallopio, ne il Trincavelli, ne il Mer curiale,ne Ercole di Saſſonia ,ne Girolamo Capodivaccas ne Orazio degli Eugenj,ne Ceſare Magati,ne altri , e altri avvedutiſlimi medici, e filoſofi commendati ne’loro tempi, c pregiati allai . Solamente ricorderò le glorie del famo fiflimo Giovanni Argenterio , e cotant'altri loro valoroſi ſeguaci , e imitatori; i quali traſandate le leggi, e le ſtret tiifime mere degli antichi maeſtri, ſcorſero liberamente perlo gran campo della medicina , ſenza appiccarſi molto tenacemente, ad Ippocrate , o a Galicno ,comechè Ippo cratici , e Galieniſti eglino li foſſero . Ma cometutt'altri , e in dottrina , cin chiarezza di fama avanza di gran lun ga queltanto valoroſo , ed eccellente ſcrittore Girolamo Cardano , così a niuno certamente egli cedede Galieniſti medici Italiani nella gloria del liberainente filoſofare.Egli a niun pregio tenendo maeſtro alcuno , ſolamente s'affa . tica , e ſi ſtudia per la verità, e non ha quaſi facciuola nel le ſue opere , ove egli non ſi vegga oftinatamente conten dere col ſuo Galieno , prendendo cagione tratto tratto d ' accoccargliela , e manifeſtamente biaſimarlo, intorno alla maniera del ſuo filoſofare , e del ſuo ſcrivere , e del porre in opera il ſuo furbeſco meſtiere ; infra le quali non mi par da dover tralaſciare quel che in un de'ſuoi libri , di lui narra , dicendo eſſere ſtato colui prima Cerulico: e che in ciò pure non molto tempo , e ſtudio logorato v’aveffe,ac ciocchè al colino di tal meſtiere ne foſſe dovuto formota re . E delinedeſimoGalieno altra volta forte biaſimando ſi, dice ſoiainente eſſere ſtata cagion di cotanti ſuoi errori, e fallil'effer egli riſtato in sù gli arzigogoli dello ſpecula re , ſcnza diſcender giammai all'operare , e ſenza far prìo O va del 106 Ragionamentosecondo 1 va delle ſue mal credute dottrine : Caufa errorum in medi cina eft , quod quicontemplantur, non medentur, ut Galenus, Paulus , & c Princeps , & hodie omnes medicine profeſores; ideo ( avvertimento ben degno da dover far faldiffima im preſſione ne’noſtri medici) loco regularum , &dogmatum fcribuntfomnia. Mayperchèa far parole del Cardano ci ſiam condotti , e'nó mipare di dover tacere, quáto nella ſchicttezza,e bo tà dell'animo, e nell'amor della verità egli lungamenteve Galieno medeſimo,non che altri ſi laſciaſſe addietro ; per ciocchè biaſimando oltremodo la malvagità , e la caſtro naggine de' teſtereccj , émalandati parteggianti de' ſuci tempi ,infra l'altre , cosi una volta ſtizzoſamente gli pun ge , egli beffeggia . Demiror , dice egli , credulitatem , de mentiam , & impietatem medicorum noftræ ætatis , quorum aliqui eo deveniunt , ut cbliti omnis humanitatis , maline perdere homines , utferviant pertinaciæ , quam revocari, a eosſervare. E oltre a ciò vaegli conſiderādo intanto giu gner l'oſtinazione, e l'affetto degli accieciti parteggianti, che riguardando alle dottrine de’loro cari maeſtri, non che a capital niuno la verità teneſſero , anzi l'anime loro medeſimc non curando , foventi fiate il diritto delle divi ne leggi, e delle naturali traſandano: cdeo ſectis , grida egli pictoſamente piagnendo , addicti ſunt , at nec immor talitatis aninorum ,nec præceptorum philofophiæ reſpectus ul lus eos teneat . Machirccherammi amcinoria tutti gl'infelici, e com paſionevoli avvenimenti, i quali dalla mellonaggine,dalla pertinacia , dall'ambizione,dall'avarizia, e dalla malvagi tà de'cattivi parteggianti tratto tratto ſeguir ſogliono, che egli lungamente va diviſando : Eglino ſempre oſtinati ncl le loro fanciullaggini, non che foſſer giammai da tanto , che guarir ſapefiero alcuna malattia diconſiderazione;an zi fovenci volte si , e tanto operano colle loro trappole , che ne tolgono la voita aʼmedici più valoroſi. E ſon pur così ribaldi, e ſcellerati , che sfregiando colle loro opere il digniffimo nome di Criſtiano , e laſciata affatto la pietà, cla ! Del Sig.Lionardodi Capod. 101 e la carità unico patrimonio de'ſeguaci di Criſto ,tuttiaya: ri , e ambizioſi,ſi veggono,ſolamenteiricchi, ei nobili am. malati viſitare , e i poveri, e miſerabili, dalla fortuna ab. bandonati,dopoaverglilungaméte ſpolpati, o affatto non curare , o ſe pur vi vanno frettoloſi, e ſuperbi, come vili giumenti, o come altri bruti animali crudelmente trattar gli . Del quale graviſſimo misfatto certamente la cagioa ne ſi è il lor Maeſtro Galieno , da cui eglino tutto apparā doprendono ancora ad eſſer oltremodo ambizioſi, e avari. Hujus tanti mali, ſono le parole propie del Cardano , au tor fuitnofter Galenus, qui nil ubique jactat, niſi proceres , atque Imperatores ; quum tam juveniseffet, ut ambitione, inani nomine potius, quamartis peritia eis innotuerit. Nc oltre a ciò tace il Cardano l'aſture frodi di que'Vol poni maeſtri , i quali a perpetuar la lor tirannia,agl’ingan ni , alle millanterie , alle beffe , all'aſtuzie , aile giglioffe rie gl’innocenti ſcolari tratto tratto avvezzavano . E di tanti misfatti , e ſcelleratezze'non laſcia d'accagionarne ſopratutto le perſone nobili , e d'alto affare , i quali per ciocche delle coſe del mondo , e della natura poco, o nulla ſi conoſcono , non laſciano a ciò porre acconcio compen ſo, ficome certamente dovrebbono ; anzi intanto giugne la lor biaſimevole dappocaggine, chc in luogo di ricercar ne'medici profonda dottrina , buoni coſtumi, intendimen to di linguaggi, avvedimento grande , ſcienze alla medi cina appartenenti, pierà de gl'inferini, antivedimento del Je future cole, ſperienza delle cure malagevoli , conoſci mento delle matematiche, ripoſo di mente , amor di glo ria , che naſca dal ben operare , diſpregio d'altre coſe ſol lazzevoli , e ardente diſiderio d'apparare ; vi richiedeva no orrevoli veſtimenta , aſpetto grazioſo , viſo piacevole, adulazion di parole , abbondanza d'ammalati illuſtri , e grandi,magnificenza di ricchezze, e cento, e mille altre ſo miglianti vanità. E ben gli parve , che meritevolment , coſtoro ne portaffer poi la debita penitenza , omorendo ne loro i più cari parenti, o ſtandone eglino medelimi ſem premai ſparuti, c triſtınzuoli , e cagionevoli aſſai dell i per 0 2 108 Ragionamento Secondo perſona : diuturno cruciatu protractorum per longumtempus morborum : per rapportarvi omai alcune altre delle ſue pa role medesime,che mi ſovvengono: preterea fiderationum , debilitatum ,quæ poft fanationem illis relinquuntur ; avs vegnachè affatto non ſi vedeſſe Gir del pari la pena colpeccato, mal capitandone non pur eſli,magl’innocentiloro figliuo li , e amici . Ma troppo piacevol coſa è a ſentire ciò , che finalmente egli contro i medici de'ſuoi tempi narra , i quali baldanzoſi , e tronfi liberamente ſcorrendo a lor talento per tutto , e abborrando, e malmenando la medicina, co ( trignevano alla fine i cattivelli infermi, che male a lor uopo nelle lormanicapitavano , a pagare a ingordiſino prezzo i rimedj, e talora anche la morte ; facendo eglino ancora forſe la lor mano negli ſtrabbocchevoli guadagni degli ſpeziali.. Ma, che direm noi di Giulio Ceſare della Scala digniſ fimo medico de'ſuoitempi . Egli comechè fieriſlimo ne mico foſſe del Cardano , e s'argomentaſſe a ſpada tratta dirimbeccarlo quaſi in ogni parola; intanto , che ne pur la loro oſtinatiſſima nimiſtà Ha diſciolto colei , ch'il tutto ſolve . Atque ut etiam nunc poſt cineres , dice coll' uſata elegan za il noſtro Severino.ſtridēt in ævum ab ipfis exaratæ chara te ; non però di meno , ove ſol ſi tratta della libertà della filoſofia , e di non laſciarſi dictro gli antichi ciecamente traſcorrere , allorcertamente poſto giù lo ſdegno , e’lli vidore ſon tutti di convegna a ritrarſi di parteggiare , e far capo oſtinatamente alle ſette . Errata majorum , diſſe generoſamente una volta Giulio Ceſare della Scala , diſi mulanda non funt , ne eo ipfo pofteritati imponamus .E benſi valſe egli del ſuo avviſo , quádo cruccioſamente diile d'Ip pocrate al Cardano : Tueris , atque profiteris nefandum illud Hippocratis deliramentum , à quo non abfunt Galeni trepidationes, animam nihil aliud eſſe, quam cæleſte calidum: avvegnachè ſenza ragione alcuna aveſſe egli rimprovera to una volta a Galieno una sìfitta libertà , e ſtizzoſamé 1 te bia . Del Sig. Lionardo di Capoa. 109 te biaſimatolo d'aver egli ſovente contraſtato il reverendo Ariſtotele;come ſe graviſſimo fallo , c ſcelleratczza ciò ſi foſſe: Galenus avidiſſimus ,dice egli , carpendi longe de meliorem ; in quella guiſa appunto , che quel nobile Ga lieniſta Giulio Aleſſandrinovoleva , che ſolamente all'Ar genterio foſle vietato il por mano all'opere degli Antichi per ammendarne gli errori ; della qual coſa , non ſenza gran ragione per avventura forte fi biaſimail Solenandri , così rimproverandogli: Verum fateris,antiquiores fcripto res erraſſe, concedifque aliis omnibus , qui funt ingenio , em judicio aliquo prediti, ut poffint ea reprehendere , quæ ma lè funtdieta , &meliora tradere : foli Argenteriohanc li centiam adimis . Ma prima delCardano , e di Giulio Ceſare della Scala, per ripigliare ilfil del noſtro ragionamento, grandiſſimali bertà ufar ſi vide , e nelfiloſofare , e nello ſcrivere un'ala tro valent'huomo nelle inatematiche , e nella filoſofia , e nella medicina aſlai bene fcorto , ed cſercitato ; perchè meritonne d'eſſer'altamente pregiato , e onorato da quel generoſo favoreggiatore , e intendente delle buone lette re Lione il Decimo , Sommo Pontefice . E fu coſtuiGio vanni da Bagnuolo, il qual non mica pago nelle ſcuole d' averdato ſaggio del ſuomagnanimo, e nobile ſpirito , no curante l'altrui autorità in non poche concluſioni: e aven do fuor dell'uſo comune mandata avanti la Chimica: coſa a que’tempirariſima, maſlimamente in Italia : volle in cc minciando un capo diquel libro, ch'egli fa dell'ecliſſe del la Luna , più manifcftamente proteſarlo , portando ſenti menti veramente da filoſofo ragguardevole , e di gran lie va . Quoniam noſtri antiqui progenitores , dice egli ,fcien tiarum inventores , rationibus , experimentis, comperie runt ſcientias ; veriphilofophantes ipfos imitando conari de berent no perfiftere inventis,fed nova nature ſecreta venari. Maquel famofiffimo medico, e filoſofo , e pocta de Verona Girolamo Fracaſtoro , avvegnachè da' ſervili fen timenti delle ſcuole ingombro troppo commendaſſe il fuo maeſtro Galieno , e molto a capitale il teneſſe ; non però dime 110 Ragionamento Secondo di meno , reſo talvolta avveduto dalla verità, non ſi tiene, ove gli venga in concio, d'aſpramente riinbeccarlo, e qua. to al fatto de’giorni critici rinfacciargli ch'egli pur troppo ſcioccamente ponendo in non cale gl'inſegnamenti de’alo ſofi, a'vani preſtigj degli ſtrolaghi ſia ricorſo . E oltre a ciò nelmedicare ,e nel filoſofare da'diviſamentidi lui ſi di lunga; come agevolmente ſi può veder ne'ſuoi libri della fimpatia, e antipatia delle coſe, e della contagione , eins altri luoghi ; ma ſopratutti nel ſuo divin poema della Sifi lide , per cui huom certamente crede , lui all'altezza del gran Marone eſſer’aggiunto , e che tutt'altri poeti felice mente G laſci addietro . Nel qual poemacontro l'opinion del ſuo Galieno va egli cantando , l'aria ſola di tutte coſe eller principio , così manifeſtamente raffermando: Aër quippe pater rerum eft, &originisauctor. E prima egli così del naſcimento delle coſe avea diviſato : Principio quæque in terris, quæque æthere in alto : Atque mari in magno natura educit in auras , Cuncta quidem nec forte una , nec legibus iiſdem Proveniunt, sed enim, quorumprimordia constant Epaucis,crebro ac paſſim pars magna creantur : Rarius aſt alia apparent, non niſi certis Temporibufve , locifve , quibus violentior ortus, Et longefita principia: ac nonnulla prius, quam Erumpant tenebris , &opaco carcere noctis , Milletrahuntannos ,fpatiofaque ſecula poſcunt Tanta vicoëuntgenitaliaſemina in unum . Quindi con l'uſata ſua eloquenza della cagion de'mali di viſando, cosiegli canta Ergo &morborum quoniam non omnibus una Nafcendi eft ratio , facilispars maxima viſu eft, Et faciles ortus babet , &primordia praſto. Rarius emergunt alii , poft tempore longo Difficiles cauſas , & inextricabile fatum , Et feropotuere altas ſuperare tenebras. Ne men del Fracaſtoro al ſottiliſſimo Andrea Cefalpi. ni piacque ſommamente levarſi ſuſo contro il ſuo maeſtro Galie DelSig.Lionardo di Capod. ilt * Galieno, e iſeguaci di lui , prendendola oſtinatamente a favor d'Ariſtotele , e de'Peripateticiin ciò , che da coloro dipartonſ i Galieniſti ; ſenzachè egli è pur troppo mani feſto a ciaſcuno eſſere ſtato primiero il Cefalpinia ſcoprir glorioſamente al mondo l'aggiramento del ſangue:tutto , che parer poſla ciò, che moltoprima di lui aveſſe fatto Pla tone con quelle parole: Μέγιστν δε όταν α'μαι καθαρά συγκερασθείσα , το τών ινών γένος , εκ της εαυτών διαφορή τάξεως . αι διεσπάρησαν εις αίμα , να συμμέ Πρως λειότητος ίχοι και πάχους , και μήτε δια θερμότη ως υγρών εκ μανού του σώματG- εκρέσι , μήτ' αυ πυκνοτέρον δυσκίνητον ον, μόλις axaspécouto iv Cais Preti,che ſuonano in noſtra lingua : E maf. fimamente quando ( la bile )col puro ſanguemeſcolata,difor dina quella ſpezie di fibre ,le quali ſono ſparſe per lo ſangue, acciò ſia in eſlo una mezzanitate tra'l groſo, e'lſottile:per chè mediante ilcalore non iſcorra per lo corpo ,ficome ogni li quida cofa fcurre perun corporaro, neſia troppo groſo , e difficile a ſcorrere , sì, che appena poipoteſſe andare , eritor nare per le vene . Ma non poco certamente e' ſiparc, che Santorio Santori, famoſo, e raggaardevol medico de'ſuoi tempi profittafleſi in liberamente ſcrivere , non avendo ri guardo a ſetta niuna , per aver eglicol Sarpi , e col Gali Jei un tempo ufato ; i cui ſentiméti vollc cgli in molti luo ghide'ſuoi ſcritti, come ſuoi propj diviſamenti manifeſta re , e ſpezialmente in quel libro cotanto per ciaſcun com mendato, della Staticamedicina , comcchè il più delle vol te male egli apprendendo le commendevoli dottrine di que’valent'huomini, e alle ſue volgari ſconciamente me ſcolandole , fe ne faceſſero le ſcherne gli accorti lettori. Maciò da parte al preſente laſciando , non ſi può egli di leggier narrare, quanto da lui carminati, e proverbiati du ramente foſſero i parteggianti tutti medici , e filoſofi ; e quantunque volte gli vien fatto loro l'accocca , rapportão do in ſuo pro varie, e molte autorità d'Ariſtotele, e di Ga lieno ; di cui ſeguendo la traccia arditamente ofa afferma re,alquanti Aforiſmi d'Ippocrate ritrovarſi talora dalla verità non poco lontani : e molti, e molti errori ne'moder ni, e 112 Ragionamento Secondo - { ni , e negli antichi ſcrittori dimedicinaegli ravviſa: e non pochi anche ne ritrova in Galieno. Così eglibiaſimando, e maladicendo oltremodo la follia, ſicome e'dice , di pa recchj ſcuole dell'Europa , dice , che in quelle ſcioccamé te maggior credenza preſtar ſogliaſi all’orrevole autorità d'Ariſtotele, d'Ippocrate, o di Galieno , che a' ſentimenti noſtri medefimi; e pur dice cgli Ariſtotele medeſimo, Galieno di comun conſentimento più volte affermare, ef ſer anzi alla ſperienza , e a' ſentimenti, che all'altrui auto rità da dar fede. E poichè in concio al ſuo ragionamento più luoghi di Galieno egli rapporta , così alla per fine con chiude: Quare quum Galenus,neque meus fueritaffinis, confanguineus , aut majorum meorum avunculus , quod ſciã , neque in Sanctorum catalogo fit collocatus, quiafflatusdi vinitate fuerit loquutus , non video cur omnes non poffint honorificè , fi fenfibusudverſetur, eum relinquere. Neè da tralaſciare al preſente di narrare ancora del fa moſiſſimo Andrea Mattioli , il qual comeche parzialiſſimo del ſuo Galieno , purc in più luoghi, della verità reſo ay veduto , dice manifeſtamente , eſſerſi colui in leggendo Dioſcoride aggirato ,e ſovente non averne parola inteſo ; e una volta infra l'altre non puotè ritenerſi di non iſtizzo ſamente gridare : videtur Galenus non folum plurimum à Diofcoridis fententia ,ac hiſtoria aberraſſe , fedetiam à ra tione ipfa , acveritatelongè fane abeffe . E oltre a ciò dice eſſere ſtato Galieno di poco ſenno ,ein molti luoghima nifeſtamente contradirli; ed eſſer egli ſtato nato a’ Poeti , c troppo di leggieri alle loro vanillime fa vole aver preſtato fede, non altrimente , che ſe ſtate foſſe ro incontraſtabili verità da raffermar con tutti i ſacramen ti del mondo . Ma il dottiſſimo Proſpero Alpini in tutti que'ſuoi libri della metodica medicina , avvegnachè ancor egli di parte Galieniſta pur altro certamente non fa, ſe non ſe difendere i metodicida’mordimenti del ſuo Galieno , e d'altri R.2 zionali medici ; e ſpezialmente ove Galieno così ſconcia mente carica di bialimi, e di maladicenze Attalo famoſif troppo affezio fimo DelSig.Lionardo di Capoa 113 Timomedico metodico , dicendo , che per opera di lui for fe ftato ucciſo Teagene filoſofo cinico . Ma quanto poco capital faceſſe di Galieno, e d'altri razionali medici il nar rato Attalo , ſi può agevolmente comprendere dall'acerba riſpoſta da lui data a Galieno ;la qual coſtuipoſcia,come ſua sóma lode foſse , volle nell'opere ſue laſciare ſciocca mente regiſtrate . E forſe fuella più ancor pugnereccia, e di piggior talento , che egli ne racconta . Eche direm noi del valoroſo Girolamo dall'Acquape dente digniſſimomaeſtro del grand’Arveo ? Quante fiate ) egli, comechè Galieniſta, pur da’ſentimentidiGalieno ra gionevolmente ſi diparte ? Quante ,e quante fiate grave mente il proverbia , e riprende di ſciocchezza, ed'igno ranza ? Pure infra cotanti biaſimi, e rimprocci , ch'Io per brevità tralaſcio , recheronne al preſente uno , che val per cutti , lagnandoſi egli forte del tempo , ch'avendone tolte tutte le bell'opere degli antichi filoſofánti, ne abbia ſola mente laſciate quelle d'Ariſtotele , e diGalieno , como ſchiuma de libri , e viliſfimo fondaccio di tutte le buone dottrine ; eſſendo coloro in molte , e molte coſe ſempre mai fallati ; e ſpezialmente taccia Galieno diquella folle ſua opinione intorno alla formazion della viſta . E intanto è vero ciò , che noi raccontiamo , eſſerſi i va lenti Galieniſti pur talvolta per vaghezza della verità al lor maeſtro Galieno ribellati , che maraviglia è a narrar come Aleſſandro Maſſaria,cotanto oſtinato, e leal parteg. giante di Galieno , pur’una fiata ponendolo in non cale, aveſſe oſato cavar ſangue nella diſſenteria , comechè cer caſſe poi a ſua poſta didarne a vedere con fievoliſſime ra gioni, eſſer ciò anche ſecondo il ſentimento del ſuo G2 lieno ; e'l celebre Settala ancor' cglicotanto fedel ſegua ce del medeſimo , pure l'aveſſe fronteggiato , e ripigliato , 12, ove egli ragiona delle cagioni del color glauco degli occhj ; ed ove dice , che l'acque de'pozzi non fiano ,me appajano fredde l'eſtate più , che in altri tempi; percioc. che ſi toccano colle mani calde; e che l'inverno al contra rio ne pajano calde , perocchè ſi toccano colle mani food P dc. . 114 Ragionamento Secondo 1 1 1 de. Ma quel , ch'è più da conſiderare ſi è ,ch'egli in un'in ? tero libro riprova l'antico , e praticato uſo di medicar le ferite , appigliandoſi ad un nuovo modo da Ippocrate, e da Galieno non mai conoſciuto , non che adoperato . Ma troppa gran briga fermamente lo mi prenderei , ſe recar qui ora voleſsi ciò, che ad uno ad uno tutti gli ec cellenti, e famofi ſcrittori Italiani lungamente ne diviſino . Chiudaſi adunque sì nobil corona colle parole del ſotti liffimo Pier Caſtelli, il quale una fiata infra l'altre contro cotali pecoroni da greggia maggiormente ſdegnato , così proruppe : An omnia novit folus Galenus ? an nihilreliquit pofteris inveſtigandum ? Quo merito infudit illi uni Deus (quod alteri nulli) totam , perfectam , &integram medici nafcientiam ,nihil nobis reliquens ? e dopò molte graviſſime parole , che egli apporta a queſto propoſito , così alla fine conclude : Patet boc , quia poft Galenum tanta medicinefa Eta eſt additio , ut triplo auctam dicere poflimus. E si nobil costume di liberamente filoſofare in medi cina,ben da molte , e molte fcritture publicate in iftampa , apertamente ſi ſcorge, ch’abbian ſeguito a gara l'Accade mie , ond'è sì abbondevole , ctanto fi pregia tutto il bel paeſe, Ch’Appennin parte , e'l mar circonda, e l'Alpe. Ma io tralaſciando a bello fludio tutt'altre parti , ragio nerò ſolamente della nobili : lima noftra Città , delle Sirene , e delle Muſe amenillima ſtanza , che non pur nella gloria delle lettere , ma in ogni altra a niuna delle più celebri , cd illuſtridell'Vniverſo riman certamente feconda . E laſciā do di favellar del Belli , del Bozzayotra , del Tucca , e d' altri , e d'altri lettori diminor grido oſtinatiſſimi ſeguaci, e parziali d'Avicenna : come potrò mai lo pienamente nar rare co quanta maraviglia udiſfer già legger le noſtre ſcuo le il teſte da noi mentovato Argenterio ; al cui ſottile in gegno , ed avveduto giudicio ,non miga, come altri per av vétura coftumano ,baltādo il copiare , e l'appropiarſi l'al trui viete dottrine ; ma volendo egli diſaminare , e far pro va delle coſe della medicina ne’libri già ſcritte, il diſcreto, e av Del Sig. Lionardo di Capoa 115 e avveduto , e giuſto Giudiceſtudiavaſi d’aſſomigliare ; il qual non a tutti pienamente dà fede,maaltri approva, al tri traſanda , altri manifeſtamente rifiuta, ficome appunto ragion chiede; ficome avviſa quel ſuo difenditore . Su mus omnes in arte noſtra tanquam in fenatu conſtituti, in quo non ut pedariiftatim pedibus in aliorum fententiam ire debe mus , fed ut prudentes Senatores viderequid conveniat ; at que ita ingenue proferrede rebus , quod rationi confonum ar bitramur. E ben per ciaſcuno il finiſſimo , ed eccellente giudicio dell'Argenterio intorno al noſtro propoſito potrà agevolmente da queſte parole di lui ravviſarſi . Non tam Servili, dice eglifimus , animo , ut omnia veterumplacita , oraculorum inftar indiſcriminatim veneremur , vel tam ab jecto , ut pofteris omnem , meliora excogitandi occafionem prareptam , ac præciſam effe arbitremur ; quafi vero non idő nuncſit , quod olim Cælum, eadem terra , idēgenerandimo dus : eadem denique, & facilior etiam , quam aliis fueritdin cendi , inveniendique ratio . Ma certamente non men dell’Argenterio ſdegnarono con filoſofica libertà altri Na poletani lettori aſſai, di lcgarſı-a' ſentimenti d'Ippocrate , o di Galieno: avvegnachè per ceſſar forſe l'invidia della ribaldaglia del volgo , con parole alcuni di eſſi il diſfimu laſſero , facendo ſempremai veduta di abbracciar , e di ri tener tenacemente tutto ciò , che inſegnato viene per Ip pocrate , c per Galieno . Infra'quali Filippo Ingrafiagavi do oltremodo , e curioſo di conoſcer la vera fabbrica del corpo umano, ebbe ventura d'abbatterſi il primonelle veſi chette ſeminali,non più per addietro da alcun degli antichi medici ravviſate ; ed infra l'altre coſe ebbe ardimento, nc d'Ippocrate , ne di Galieno punto curando , di purgare cziandio nelvigor delle malattie . Così anche gencrofa mente ſi ſottrailero alle ſchiere de parteggianti Bernardi no Longo , Paolo Monaco , e Giovanni Antonio Piſani : un diſcepolo de'quali ( 1) in una apologia in difeſa diſe , e de'ſuoi maeſtri compoſta,volle, che per ciaſcun ſi leggeſſe: femper licuit omnibus literarum profefforibus non folum con P 2 ( 1 ) Ferdinando Caſſani, t tra 116 Ragionamento Seconda tra recentiores medicos , & Philofophos ,ſed etiam contra Gao lenum ipfum , &Platonem , alioſque illuſtresfcriptores dice re , fi quando ratio dictaverit . Seguiron poi con la mede fima libertà ſempre Girolamo Polverini, Quinzio Buon giovanni , e Latino Tancredi,huomo, come dice Sertorio Quattromani, di molte lettere , e di molto giudicio , e gran difenſore della dottrina del Telefio . S'allontanò altresìda gli antichi talora ſalvo Sclani , e Mario Zuccari, il qual co sì forte , e vigoroſamente riprende Galieno nel giudicio che colui diè intorno alla malattia d'Erofonte : ed altrove sì ardicamente , che nulla più , e come ſuol dirſi, a ſpada tratta prende a difender il coſtume de’Napoletani , intor no al cibar gl'infermi, contro i più valoroſi Campioni, ch' aveſſer mai le dottrine d'Ippocrate, e di Galieno ritenute. Ed a' di noſtri abbiamo pur veduto Giovan Battiſta Ma fulli , Antonio Santorelli , e Girolamo Fortunato , il qual tutto ciò , che nell'opere d'Ippocrate , e di Galien fi riſer ba , sì fattamente per le maniavci , che non v'era forſe parola , di cui improviſo domandarone non gli veniſſe to ito a memoria ; e nondimeno tanto , e sì fovente ove gli pareva , cheragione il richiedeſſe , coſtumava egli a rim beccar l'antiche , e comuni opinioni , che per tanto a' Ga lieniſti tutti n'era in uggia , e crepacuiore: e ſofina , e cavil Joſo ſempre chiamavanlo . Ma ben comprendelí l'animo fuo libero , dal libro , ch'e' compoſe de’principi delle coſc naturali , ed in quello ancora de ſenſi ,il quale egli ſotto nomc d'un ſuo ſcolare mandò fuora . E dietro alle ſue ver ftigie poi non guari lontano andar mirammo Onofrio del Riccio , huomo veramente per vivezza d'ingegno , e per dabbenagginc d'animo , tenuto fommamente caro dalla Città tutta . Ma perchè addietro laſcio ora Io Paolo Emilio Ferrilli della nuova , e della vecchia medicina parimente inteſo , e di ciaſcuna di effe egualmente libero profefforc ?il qual da' fuoi lunghi viaggi , e pellegrinazioni tante, e sì fatte forti di nobili, e cari medicamenti alla patria riportò , che ben volentieri a pro di ciaſcuno le botteghe tutte degli ſpeziali 1 1 * cor Del Sig. Lionardo di Capoa. 117 corteſeméte arricchiune. E dove lo trapaſſo ſotto ſilenzio ingratamente aſcoſo il piùſovrano pregio , che aveſſer mai le noſtre ſcuole , il dottiſſimo Marco Aurelio Severino , il qual non ſolo , ſe miglior Chimico , o medico, e ſe più va lorofo in fiſica , o in cirugia, e ' li foſſe . Egli animoſamen te ſeguédo l'orme del famoſo Giulio Azzolini ſuo maeſtro : anzi oltre affai più gittandoſi , in favellando , ed in iſcrivé docon filoſofica libertà ripigliò Galieno , e gli altri anti chi , e nelle noſtre ſcuole tante fiare , e tante fè conmae ftra mano chiaramente vedere paleſi, e manifcfti agli oc chj di tutti i ſolennillimi falli, che iGreci , egli Arabi , ei Latini lor ſeguaci nel notomizare i corpi aveano in prima commeſli. A bello ſtudio poi non fò lo aleuna menzione quì di Baſtian Bartoli , non avendo huom , che non ſappia , che tra'vantaggi fuoi maggiori ei ripoſe il goder mai ſem pre , e valerſi d'una sóma libertà nel filofofare , colla quale egli conſumò l'impreſa d'un novello filtema di medicina. Ma che tanto infra i lettori Napoletani andarmipiù rav . volgendo , ſe tutti i maeſtri delle noſtre ſcuole da Diego Raguſi in fuora , che ſaldi , & interi i ſensimenti d'Ippo crate mai ſempre ſeguir volte, il qual pure, così in queſto, come in altro non ſi vide ſecondar nella ſteſſa maniera poi Popinion di Galieno , in ciaſcun tempo conformaronſi se pre con l'uſo del noſtro comun medicare il quale quanto dalla dottrina se da' ſentimenti d'Ippocrate , cdiGalieno s'allontani , avvegnachè il contrario comunemente fi giu dichi , agevolmente può da ciaſcun ravviſarſi . Ed Io ,per chè di più non mipermette il tempo , daronne al preſente qualche breviſſimo ſaggio . E percominciar con qualche ordinato diviſamento , manifeſta coſa è , che gli argome ti maggiori , de'quali fornir ſi vuole la medicina , s'ella mai di giugner intende al ſuo laudevot fine d'approdare il genere umano, per comun ſentimento di tutti più ſaggiIp pocratici , e Galieniſti ,a tre capi quali tutti, principalmen te fi riſtringano , nella Dieta , nella Cirugia, e in quel,ch' appreffo iGreci chiamaf; Φαρμακευσης . Intorno alla Dieta quanto da' due Greci Mae ſtri 118 Ragionamento Secondo 1 ſtri i Napoletani medici fian diſcordanti , dicalo ir mia vece quel famoſo Galieniſta Melaneſe Lodovico Set tala , (1 ) fuerunt , dice egli,quiprimis tribusfaltem diebus, aut inedia , aut tenuiffimo vietu laborantes exficcabant , pro grelu autem temporis cibos tum in forma, tum in quantita te adaugebant ,quos Galenus in lib. method. med. pluribus in locis exagitabat. Hanc cibandi rationem fervare intelli go Hiſpanos medicos, Neapolitanos. Narra egli minuta mente il modo daʼnoſtri Napoletani tenuto nel cibare gľ infermi; indi poichiaramente dimoſtra eſſer ciò affatto con trario agli inſegnamenti d'Ippocrate, e di Galieno ; la qual coſa aſſai già prima del Settala avea un de'famoſi maeſtri del paſſato ſecolo , Paolo Tucca avviſato ,così nel la ſua pratica del medicar Napoletano dicendo,fciendum , quod longediftat modus dietandi Hippocratis, Galeni, & Avicenna , ab eo quem obſervamusdiebusnoftris. Illi enim principes voluerunt in febrium principio craſſiusfore reficien dum : in ftatu vero , aut nihil offerendum , aut tenuiſine dietandum . Nos vero quaſi oppoſitum obfervantes in ftatu reſumptive , in principio autem alternative cibamus. Ma da Paolo Tucca in poi non può di leggier crederſi quanto vie più da Ippocrate , e Galicno in cibar gl'infermi ſianli i noftri medici dilungati, e ciò fu cagione di quella famo fiffima difeſa , che ancora va per le mani de’letterati , fatta a pro di Giacomo Bonaventura medico di Cleméte VIII. contro Mario Zuccaro, già in queſto noſtro ſtudio lettore per Maſſenzo Piccini da Lecce. Ma non che nella quantità , e nel tempo co'due Greci maeſtri i Napoletanimedicimanifeftamente conſentano , anzi nel modo ancora , e nella qualità de'cibi ſopratutto da color fi partono , di tutt'altrevivande nutrendo gli in fermi , che diquelle , che da’lor venerandi maeſtri ne fuz rono in prima ne’loro libri diviſate.E dove di grazia ſono ora l'acque melate , e l'orzate, e altri ſomiglianti beverag gj, cotanto da'Greci commendati, certamente in lor luogo i brodi di polli , e le peſte carnidelle galline nella noſtra Cit 1 (1) In comment.in problemat. Ariftot. Del Sig.Lionardodi Capoa. 119 ye Città ſi coſtumano.L'orzata , dice una volta Ippocrate ( 1) di ragion mi pare, ch’alle vivāde di fermēto ſia da antiporre, e lodo coloro , i quali l'antipongono. Iltocáva refü šv douée oefãs ποκεκείσθαι των σιτηρών γευμάτων εν τετέοισι τοϊσι νοσήμασι και εποι vÉo To's asforgivavtas . Ed altra volta dice , eſſer l'orzata oltremodo valevole ad umettare , e perciò a' febbricitanti recar grandiſſimo giovamento;a’quali ſecondo i fentimen ti di lui medeſimo, l'umettativo cibo è sépremai convene vole ed allo incótro le carni tutte nocevoli.E l'altro Greco maeſtro Galieno ( 2) oltremodo berteggia, c proverbia Pe trona,aſpraméte rimproverādogli, che agliammalati ſuoi có lor no poco nociimento concedeſſe le carni. Perchè ma nifeſtamente ſi comprende, i Napoletani medici irrorno al nutricar gl'infermi , anzigli ammaeſtramenti di Petronas , che que' d'Ippocrate (3) o di Galieno (4) feguire . Così è da dir, che le brodadelle galline non ſian da dare agl'in fermi di febbre, conciosſiecoſachè quelle al parer d'Ippocrate , e di Galienio abbian certamento vigor di ritenere, e di ſtrignere , dove l'orzata, ſecondo i ſentimenti di coloro, è mollificativa , e mezzanamente umoroſa ,ne punto riſtri gnente , perchèqueſta , c non quelle a ' febbricitanti ra gionevolmente dar ſi vuole . Ma che direi noi del vino , che da’Napoletanimedici , non altrimente , che ſe toſſico foffe ,a ' febbricitanti ſi victa ? e di Galieno fir pur dato ad un'ammalato di febbre acuta , e come egli ne narra, di cal do , e ſecco temperamento ; anziegli manifeſtamentene conſiglia , e ne conforta , che inzuppandovi il pane ſi dia , mangiare a'febbricitanti , anche talvolta nel comincia mento delribrezzo . Ne è già mio intendimento al preſente di dar giudicio fopra si futre quiſtioni, o ſopra tutt'altre , ch'io qui rap porti ; ma ben ſolamente dico, ſembrarmi agevol molen , e piano il coſtumedel cibar Napoletano ; e che null'altro , che dappoc.iggine, e vaghezza di riſparmiar fatica l'abbia in pri (1) lppocr . nel lib.i.della dieta (2) nel com . 1. fop. il 2.11b.della diesa ne'male Atw8. (3 ) nel s . della dieta. (4) nel 1.lib . della facoltà de'med.Jemplo I20 Ragionamento Secondo in prima a'neghittoti Cittadiniportato , traſandandoſi co sì pian piano, ed abbandonandoſi quel d'Ippocrate , e di Galieno, che malagevole affai, ed intralciato a’beſci uc celloni medici delbarbaro ſecolo ſembrava. Iinpercioc chè , licome il primo de'Greci maeſtri dice , ( 1 ) e l'altro il conferma ( 2 ) eragione il richiede , dee il ſaggio ,ed avve duto medico in prima ben avviſare quanto egli per durare il mal Gia ,ed in ciò gli argomēti tutti del ſuo ſottiliſſimo in tendimento adoperare. Il che quanto ſia malagevole a certamente comprendere , ſenza reſtarne talvolta da' ſuoi avviſi ingannato , ciaſcun da per se baſtantemente , ſenza ch'io divantaggio gliele inſegni potrà ravviſare . E ciò ri chieſero ne'medicique’due maeſtri, acciocchè nelle brevi malattie debba ſempre con iſtrettiſſimo cibo nutricarſi l'a malato , e nelle men brevi non così coſto da prima gli fi menomi a ſpiluzzico , onde poi nel maggior avanzo del male ne venga debole , e ſpoſato , e ſenza poterſi con ar gomenti ajutare; ma pian piano riſtrignendogliele, poffin poi il medico nel colmo della malattia maggiormen te ſcarſeggiando , poco , o nulla concedergliene . Intorno poi alla Cirugia cgli è duro molto a credere , quanto da ſentimenti d'Ippocrite , e di Galieno , il medicar di Na poli ſia lontano. E laſciando da parte ſtare come quì ſu bitamente, e ſenza conſiderazion niuna in ciaſcuna febbre fi coſtumi cavar ſangue,contro il proponimento d'Ippocra te , anzidi tutt'altri medici del ſuo tempo , o più antichi , i quali , ficome narra il Cardano:in febribusnon folebant mit tere fanguinem ,etiam ardentifimis; ora cavaſi a giorna te il ſanguenella noſtra Città, non ſolamente a’vecchi, e deboli , ma eziandio a'bambini di latte , e talora anche a' ſoſpettidileggeriſſimi mali; quando tutto il contrario di ce Ippocrate : Τα δ' οξέα πάθεα , φλεβοτομήσεις, ήν εαυρον φαί γηται το νούσημα, και οι έχοντες ακμάζωπ τη ηλικία, και ρωμη πανή aúrtorw . Ma negli acuti malori cavarſangue fi dee ove fire grande il male , e l'infermo giovane fia ,e ben gagliardı, e vi goroſo. Il che richiede anco in molti , e molti luoghi Ga ( 1 ) ippocrate nit lib . 1.degli Aforij.nell' A or.7.8.9.10 . ( 2 ) Gal.nel Com . * lieno DelSig.Lionardo di Capoa. IZI lieno ( 1) in un fra glialtri dicendo : si péya zo voonud reordea κoίημεν ειναι και η παρον ήδη θεoρoίημεν , ή αρχόμενον επισκεψάμενοι την ρώμην της δυνάμεως έξελούντος του λόγε μόνατα παιδια .. Dunque ſe noi temiamo non avvegna qualche gran malattia, oſe pre Jente quella già ,o pure in ſu'l cominciar fia ,avědo ben prima le forzedell'infermoconſiderate,aprirem poſcia la vena :So lamente da queſto divifamento i fanciulli riſerbădone. E po ſcia egli medeſimo l'età preſcrive., ove da prima i fanciul li ſegnare fi poſſano , dicendo (2 ) , che non ſi debba no aprir le vene a' fanciulli , intin , che giungano all anno quattordiceſimo . E altrove ( 3 ) anche dice , che ſe le forze di colui , che ammalerà di febbre per putrefa zion d'umore,nel lor vigor dureranno , toito come coinin cierà ella a farſi vedere gli ſi converrà cavar ſangue : ſolo , che non abbia crudità nello ſtomaco , e l'età 'l conſentiſca, e le forze ſien robuſte ; perciocchè altrimenti aon gli fi dee in modo alcuno aprir la vena. E quindi poco appreſſo ma nifeſtamente ſoggiugno : che ſe l'infermo farà bambino , o non giunto ancora all'anno quattordiceſimo,non gli fica coſa delmondo ſangue. Ne ſon da tralaſciare quel l'altre parole del medeſimo Galieno ; le quali molto al no ſtro propoſito ſi confanno:ove ſpiegando tutto ciò , ch’al falaffo richiedefi cosi dice : ( 4 ) δεύτερG- σκοπός της φλεβότα μίας εςιν , ει ακμάζει καλά την ηλικίαν οκάμνων» ούτε γαρ παίς , ούτε γέ έων , φέρει την φλεβοτομίαν , ουδ ' αν μέγα νόσημα νοσώσιν. La fecd da cofaze che ſi richiedenel dover trar ſangue fiè,cheguardar fi deeſelámalato ſia giovane perciocchène i făciutli,ne i vec chiSoſtēgono ilfalaſſo,avvegnachèpur gravefase di riſchio la malattia , che loro dea noja : E tralaſciando di rapportare al triluoghi , ove ſempre il medeſimo, e'grida , e ripete, di rem ſolamente de'tempi , ch'egli giudica al ſalaiſo oppor tuni: mentre che in Napoli , ſenza alcun riguardo alle troppo freddo, o troppo calde ſtagioni avere , cavaſi co munemente in ogni tempo ſangue da Galieniſti, a' troppo .crcduli , e mal conſigliati infermi; i quali iinınaginano,an Q zi fer ( 1 ) Gal.della maniera del curare col falafo. ( 2 ) aelmed.luogo ( 3 ) nel mes. ( 4) nel.com.ſop.illib d'ippocr.della Dieta. vi per . 122 RagionamentoSecondo zi fermamente credono venir medicati ſecondo le regole di Galieno , e d'Ippocrate. E pure i noſtri medici nulla ba dano a’rigoroſi divieti di coloro , e maſſimamente di Gaa lieno (1) il qual vuole , che oltremodo ſi debba dal medi. co aver riguardo al temperamento dell'aria ,ch'ella non ſia eſtremaméte calda , e ſecca, ſicome è infra'l tépo del naſci méto del cance dell'Arturo ;e ravviſa egli , che tutti colo rosa'quali i medici nulla alle ſtagioni badado, traſfer fuora del ſangue , irreparabilmente morirono . Così vuol Ga lieno ancora che nelrigor del verno,ſia molto da temere il falaſſo, e dice effer manifeſta coſa , che da ciò molti, e gra vi pericoli ſeguir ne poffano . E perciocchè egli ſtima va eſſer ciò coſa di grandiſſima conſiderazione , dopo tan to , e tanto manifeſtarlaci , di nuovo con queſte parole la ci perfuade:( 2 ) πτoσθήσω δε ένεκα του μηδεν λείπειν , τον από του περιέχον ημάς αέρG- σκοπών , όταν η θερμος ικανώς και ξηρος , ως διαφορεΐσθαι ταχέως υπο του που το σώμα τηνικαύζ γαρ αφισάμεθα της φλεβοτομίας 4 και μέγα το νόσημα , και ακμάζων ο άνθρωπG- άη - Ma acciochè nulla vi manchi , aggiugnerò quell'altra coſa , alla quale è di meſtieri averminutoriguardo,cioèa dire l'a ria , che ne circonda : e guardare s’ella fia sformatamente calda, e fecca , intanto , che molto ne venga a ſvaporare , ed sfalare il corpo ; imperciocchè allora di ſegnar ci rimarremo: comechè graviſſima ſia la malattia , e l'huom per tofa , e robuſto . Ma no meno i Napoletani medici nel trar fangue avvifan punto ſe la compleſſion del corpo ſia fie vole , o vizzi , graffa , o ſcialba, nelle qualiſecondo il lor Galieno , avvegnachè grave infermità il richicgga,o nien te certamente , o molto poco fangue è da trarre ; ma nien te in verità poi ne ſecchereccidella ſtate . Ma egli è omailuogo da tralaſciar per iſtrettezza di té po altre condizioniper Ippocrate, e per Galieno , al ſalaſ ſo richieſte , alle quali o poco , o nulla mai i Napoletani medici riguardar fogliono.Finalmente trapaſſando al ter zo ftruméto della medicina chiamato da Greci Maguáxeu ois dimoſtrerem brevemente, come ne precedenti abbiam ( 1 ) nel 1.lib.dell'arte curat. A Glaucone. ( 2 ) nel com. 4. fop. il lib. della Dieta. altro vigo mani DelSig.Lionardo di Capoa. 123 manifeſtato, quanto i Napoletani medici in adoperarlo ſom gliano da Ippocrate , cda Galieno allontanarſi . Eglino in priina molti , e molti medicamenti coſtumano , che da Ippocrate , e da Galieno ne inen per nome conoſciuti già mai furono ; ficome ſenza dubbio veruno son la Callia , i Tamarindi, il Riobarbaro , la Siena , la Scialappa,ilMec ciocano la Gottagomma , la China , la Salſa,ed altri aſſai , che per eſſer ben conoſciuti, e per non recarvi noja al pre fence tralaſcio . Le compoſizioni poi deʼmedicamenti nelle noſtre bot teghe introdotte, ſono il più ,o dagli Arabi tratte , o da gli Ermetici filoſofanti; ina quel, ch'è di maggior conſdera zione nell'uſo de medicamenti puganti ſi è , che i noſtri medici Napoletani,laſciati da parte , ed abbandonati af fatto i due Greci maeſtri,van per diverſe tracce cammina do , ſenza ritegno, o ſcrupolo niuno di purgar audaciſfima mente in ognitempo , in ogni diſpoſizione di ſtagione , in ogni età dell'infermo, e in ogni ſtato di malattia:e purga do eziandio i corpi ſani, con far credere alla ſemplice , e credula gente , che cosìvoglia Ippocrate , e che così co mandi Galieno ; imperocchè ingeneranſi continuamen re in noi vizioſi eſcrementi, da dover con gli argomenti delle purgagion continuo anche vuotare . La qual nuova coſtuma, quanto da Ippocrate , quanto da Galieno ſia ri provata ben ſi comprende da ciò , che Ippocrate una vol ta dice: φυλάσσεσθαι δε χρή μάλιστα τας μεσολας των ωρέων τας μεγίτας και μήτε φάμακον διδόναι εκόντος.Βifogna minutamire ri guardare alle grandi mutazioni de'tēpijacciocchè in quello no s'appreftino di leggieremedicamenti agl'infermi. E'l medeſi moIppocrate nó guari appreſſo , cosi parimétedice : jiti κινδυνόλαι ηλίκ τζοπαί αμφότεροι, και μάλλον θεριναί • και ισημερινα νομιζόμεναι είναι αμφόπραικαι μάλλον δε αι μετοπωριναί • δά δε και των άτρων στις επιταλας φυλάσσεσθαι , και μάλιστα τα κυνός· έπειά αρκλέρη, και επί πληϊάδων δύσει • τε γαρ νοστύμα μάλιστα εν ταύτησα τησαν ημίρηση κρίνεται και τα μου απο φθίνει , τα δε λήγα , τα δε άλα πάνω jebésalom és ÉTELOV GÒ Qu, weg,étépnu xatásamov • Pericolofifuno amē, Q.2 due i ' 124 Ragionamento Secondo 1 1 due iSolſtizi ; eſpezialmente quel della ſtate; pericoloſo ale tresì l'uno, e l'altro equinozio ; ma quel maggiormente dell' Autunno . E biſogna ancora aver riguardo al naſcimento delle ſtelle,mafimamentedella Canicola ; quindi altramon . sar dell'Artaro, e delle Pleiadi; imperciocchè le malattie in queſtigiorni più, che in altriſi giudicano: altre morte recan do , ed altreſvanendo, o d'uno in altroftato facendo paſſag gio . E Galieno in altro luogovuole , che anche a ' tempi troppo caldi , o troppo freddipormente ſi debb.2 ; che lè'l temperamento della ſtagione, o del luogo ſarà qual'eſſer dee’del tutto ce ne terremo; ma ſe talnon è , purgheremo sì bene , ma molto meno di quel che faremmo, qualora ne l'un , ne l'altro il ci vietaffe . E del tempo della ſtate egli dice (1) confermando il detto d'Ippocrate , che ne'gior ni caniculari, cd avanti di quelli, malagevole , e danno ſo ſie l'uſo de'medicamenti purganti . E parimente in un' altro luogo ( 2 ) egli dice , che coloro , i quali, o per crudi tà, o per altra qualunque cagione accolgono abbondanzas di non cotto umore , oche più dell'uſato averanno gonfio, il ventre , e'l corpo tutto ingroſſato , non ſofferiſcono pur gagioni. Egli vuole altresì Galieno , che que'febbricicá ti, i quali abbondano d'umori crudi , che moleſtan loro lo ſtomaco , non ſi debban ne ſegnare ne purgare : A niun di coſtoro , ſono le ſue propie parole , e' fi fuole trar ſangue giammai , chenon gliene provengagraviſſimo danno,e come chè a lor faccia meſtieri la vacuazione, nonpoſſono nientedi meno eglino tollerare, ne le purgagioni, ne i Sala, fe fenza queſto ſincopizzanti pur fono : (3) éx' Sevd's twv Toroutwv cipecto της αφαίρεσης άνευ μεγίσης έωθε γίγνεσθε βλάβης· και τσι δέονται γε κενώσεως • αλ ' έτη φλεβοτομίαν , έτε κάθαρσιν φίρεσιν εύγε , και καρλς Tobrwv étaipuns ougróMorlar. Ed un'altra fiata egli medefimo dice, la ſoſtanza de' fanciulli infra l'altre tutte agevoliſſi mainente digerirſi , e diſliparſi; eſſendo ella ſopra tutte maggiorméte abbõdevole d'umore,comechè meno fredda ella fia : ma però men di purgagione aver biſogno, perchè da ſe medeſima ella vuotar li ſuole . Ed altrove ancora ma 1 (1) nel 14.lib . del metod. (2 )nelmetod,allib.9 .(3) nel met, al lib.12. 1 nife Del Sig.Lionardodi Capod. 125 nifeſtamente inſegna,che'l vuotare i ſoperchj umori, che nel corpo continuo ne s'ingenerano , non è di giovamento alcuno alla gente ; anzi le alcuno per temna, che l'abbon danza degli cſcrementinon gli noccia , voleſſeſi avvezza. re a purgarſi una , o due volte il meſe , oltre al manifeſto nocimento , che gliene fiegue, prenderanne il corpo una dannevole , e peſſima uſanza . Ma ſopratutto , quanto al purgar gli umori nelle malattie , i quali abbian dicocimi to biſogno , da’ſentimenti d'Ippocrate , e di Galieno ina nifeſtamente ſi partono i noſtri medici ; quantunque a tut ta lor poſſa con belle parole di dare a divedere altrui il contrario ſempre s'argomentino . Ne lo prenderom mi troppa briga di dimoſtrar ciò con lunghe , e ben’ordi nate ragioni;ma baſtcrammi ſolamente le parole d'Ippo crate , edi Galicno rapportare , acciocchè da quelle per ciaſcun comprender baſtevolmente ſi poffa , quanto nella crudità degli umori, onde cagionaſı il male,da coſtoro sé pre i medicamenti purgativi vietar fi fogliano, ſalvo,che radiſſime volte , e nel principio di quellemalattie , che có enfiamento cominciano . Ilmaeſtro di Galieno , e de' Ga lienifti, per quel ch'eglino tutto dì dicano,fipare , che ne ſuoi Aforiſmi , ne’qualibrievemente , quanto mai di buo no, o ſcritto, o oſſervato negli anni tutti della ſua vita egli mai aveſſe riſtringa , una cotal co ? a con una general pro poſizionenediffiniſce ; colla quale quanto altrove ne dice tutto conformaſi , anzi quindicome conſeguenza ſi cava ; la qual coſa è sì chiara , e manifefta , che di vantaggio più manifeſtar non ſi può; perchè a confeſſarla per verail me deſimo Vittorio Trincavelli,non che altri funne coſtretto , oftinatiſſimo diféditore della cótraria fentéza.Egli aduque ( 1) così dice ; ab hoc aphoriſmo cæteri omnes , qui huc fpe ctant , tanquam corollaria deducti ſunt : ed oltre a ciò ſog giugne : ita ut nullam aliam exceptionem admittat, niß eam quam ipfe expreffit : quum morbusturget. Ed è l'Afo riſmo, il qual da Galieno,oracolo fù chiamato una volta, cosi ( 2) Le materie cotte purgare , e muover fi debbono; mas, non ( 1 ) del confer.la fan.nellib. 4. (2) nell'afor. 22. dellib . 1. - 126 Ragionamento Secondo 1 . non già le crude ; nemica nel cominciamento; ſe nonſe allor , che turgidefono,malepiù volte turgide non ſono : Témava Pago μακεύειν, και κινέαν , μη ωμα, μηδε εν αρκήσιν , ήν μη οργά • τα δε πλά sve oux ogy : Intorno alla qual voce opgør mi par doverſi cô . fiderare , che in queſto luogo appreiſo Ippocrate altro non dinoti , che diſiderar ferventisſimamente , e con impazien za ; ed avvegnachè non men dell'animate, che delle inani mate coſe dir ſi ſoglia , tuttavia più acconciamente agli animali ella conviene , ſecondo il ſentimento di Galieno,il qual forſe da Ariſtorile ( 1 ) appreſo l'avea . E diceſi di quegli animali ,che tratti da iinpetuoſa foga di libidine ſtā no in ſucchio , e come diſſe Virgilio In furias , ignemque ruunt: quindi preſeli la metafora degli umori nel corpo uma no , i quali avidi di fcappar fuora,ſtrabocchevolmente , e con impeto , diparte in parte ſi muovono , non laſciando aver punto di ſoſta al povero ammalato . Ma noi , avve. gnachè diſcorrimento , o foga più ſaggiamente da dir ſia , o enfiamento , o pure con nuova voce alla noſtra lingua Turgenza , o Turgidezza: dal gonfiare , o ſia enfiare,e dal turgere diciamo ad imitazione dique'valent’huomini, che nel latino linguaggio‘l'opere d'Ippocrate , e di Galieno traportando,preſero la voce turgere : onde poi novellame re ne diramaron quell'altra Turgentia , ad orecchio latino de'buonitempinon mai più per quel,che mi paja per l'ad dietro udita : gonfie , e turgide parimente chiamiamo, quelle materic , che a si fatto movimento ſoggiacciono ;ed in verità gli umori , che’n tal guiſa ſi muovono, ſi formen tano , ſi rarefanno, egonfiano. Ma alla coſa ritornádo: queſto Aforiſmo appunto cófer mafi per quell'altro ( 2 ) Nel cominciamento delle acute ma lattie di rado lepurgative medicine da uſar ſono : e ciò con diſcreta avvedutezza ſide'fare : iv Toirov ožico maderav énezaéxus εν αρκήσι τησι φαρμακείοσι χρέεσθαι , και τούτο πξοεξευκρινήσαν τις sterkev. Per la qualcoſa avendo egli in priina avviſato , che folamente quegli ammalati da purgar fieno , ne' quali liu mate ( 1 ) nel lib.o dell'iſtoria degli animali : ( 2 ) nel 1.degl' Aforiſmi. ( Del Sig . Lionardodi Capoa. 127 materia , onde il mal s'ingenera , ben cotta , e digerita ſia , fe pur quella non turge , è che rade volte ciò avviene; e ritrovandoli nel cominciamento di tutte le malattie mai ſempre cruda,e non digerita la materia: fiegue di neceſſità, che rade volte in ſu'l cominciar delle malattie, fieno gl’in fermi da purgare. Ed è pur piacciuto ad Ippocrate , ſcar ſo altrove di parole , enegli aforiſmi ſenza fallo ſcarſiſsi mo , e riſtretto , oltre ad ogni ſuo coſtume quivi la mede fima coſa avvedutamente ridire,acciocchè per tutti i me dici l'importanza di sì grave precetto avviſar ſi debba , ed apprender quanto quello lor faccia di meſtieri, e di riſchio fia a travalicare . Etali Aforiſmi con avvedutezza non or dinaria chioſando poi Galieno ,oltremodo ciò ne impone , e ne accomanda: e sempre, che egli di tal biſogna impren de a dire , toſto a quelli ne rimanda,comea faviſſīme nor me , che il tutto intorno a tal materia perfettamente con tengano . Ed avendo in un'altro Aforiſmo Ippocrate parimente detto ; ne'mali oltremodo acutifon da purgare il medeſimo giornogli ammalati, ſe vi è gonfiamento ; concioſiecofachè allora l'indugiare è dannoſo affai( 1) Papuaxetes , év toñosning οξέσιν , ήν οργα, αυθημερον• χρονίζαν γαρ εν τοϊσι τοιούτοισιν , κακον Galieno però vuole , ed eſpreſſamente n'impone , che an che in queſto caſo dell'enfiamento , il che molto di rado 'avvenir fuole , vi s’abbia in prima ben bene a riguardarc, e penſare , cioè con tal riguardo,e ritegno adoperare , che nulla più : ne meno ove fia enfiamento purgando, ſe il cor po valcvol non fià a ſoſtenere il purgamento ; perchè aj tal propofito Galieno dife ( 1 ) ώς τ' ευλόγως ολιγάκις εν τοις οξίσιν νοσήμασι κατ' αρχάς γενήσεξι ημϊν χρώα φαρμάκων , τω μήτε πολάκις οργάν εν αρχή τους λυπούνας ,μήτε , ά και του υπάρχει και του κοσουνίG- αν επιληδεία προς την κάθαρσιν όντG- , αλα μηδέ καιρών ημίν παρέχοντG- επιτήδειον παρασκευάσαι. Per la qual cofa nelle acute malattie ragionevolmente operando, di rado , nel prin cipio impiegheremo noi purgative medicine ; concioffiecoſachè gli afflittivi umori , nel principio le più volte, ſtuzzicati non fieno , (1 ) nel lib.di que'che convien purgare . 128 Ragionamento Secondo fieno , e potrebbe intervenire altresì , che ove eglino fienosi fattamente ſtuzzicati , allor non foſelo infering a fojtener la purgagione adatto . E più addietro , de' medelimi umo. ri favellando avendetto: τους ούν τοιούτος εκκενούν πξοσήκες , τε τέσι τους εν κινήσει , και φορά, και ρύσι • τους δε καθ' έν πμόριονεσηεγμέ νς,ούτ' άλω πνι βοηθήματα χρή κινείν, ούτε φαρμακεύειν , πζίν εφθή . ναι : τηνικαύτα γας και την φύσιν έξομεν βοηθούσαν . Αdunque con venevol coſa è , che cotali umuri ſtando in continuo moto, e diſcorrimento , e fluffo, fi vuotino ; ma que' , che in qual che luogo del corpo giä ſi ſon fermati, ne con argomento alcu no , ne con purgativa medicina damuoverfono, anzi che fieno ben digeriti ; imperocchè allora anche la natura dello infermoalla purgagione fauorevole auremo. Ma il principio delmale , ficome ne inſegna Galieno , prendeſitalora per lo primo aſfalimento , o quando da prima comincia a chiocciar l'ammalato ; altre volte anche inſino a’tre primi giorni ; e aſſai ſovente per tutto quello ſpazio di tempo ,nel quale niuno affatto , o troppo debi le , e oſcuro ſegnal di cocimento ſi pare . E'l gravamento , o accreſcimento del male liè , quando manifeſtamente il cociinento , o pur ſegnia ciù contrarj ſi ſcorgono ; e dura finattanto , che alla dovuta perfezione il cocimento ridu caſi ; per la qual cofa allora maggiormente le moleſtie , e le noje degli ammalatiad accreſcer ſi vengono . Ma il gó fiamento avviene, o toſto, che alcuno ad ammalar comin cia , o non molto indiappreſſo , cioè nel primo, o nel ſeco do giorno , ſicomc par , che in più d'un luogo avviſi Ga licno . Ma ritornando al tempo delle purgagioni : ſo ben’In , non eſſer paruto ſaggio a Galieno il diviſo di colui, che volle,non doverſi porger giammai le purgagioni, anzi de' primi tre giorni : ma ſi ben dopo il quarto , a coloro , che patiſcono ſcorrimento di ventre ; il qual parere egli ri provando, conchiude così dicendo : Egli adunque è di meſtiere, che non già dopo il terzo giorno fi pergano imedica menti , ma ficomediceapertamente l'aforiſmo( 1) Negli acu. 11 111.1 (7) L’Aforij.24.ditlib.i. ' DelSig.Lionardo di Capoa. 129 - ti malori di rado,e nelprincipio dobbiam delle purgagioni va lerci. E perciò ci biſogna diffinir la coſa giuſta la mente de gii aforiſmi, ed inveſtigar ove abbiamo a purgare in fulprin cipio, ed ove abbiamo ad attendere il cocimento del males. Imperocchè fe alcun determinerà ſolamente nel principio , o non iſtabilirà alcuna delle parti , rimarràſenza fallo ingan κato . πτοσήκεν ουν ούχ ως πανώ μεία τας ταϊς, αλ' ώσπερ ο αφορισ μός εςι τοϊος • έν τοϊς οξέσι πτέθεσιν ολιγάκις , και εν αρχίσει τησι φαρμα κίησι χρέεσθε , και χρή καλα τους αφορισμους διορίζεσθαί τε και σκέλεσθε, πότε κατ' αρχάς έξι χρησέον τη φαρμακείη , και πότετην πέψιν αναμείναν . τιτε νοσήματος. έαν δε πς ήτοι κατ' αρχάς είπoι απλώς , και μη διορισάμε . ν ©· , εκάτερον σφάλετε: Adunque per Imanifefto fentimento d'Ippocrate , c di Galieno , di rado nel cominciamento delle acute malattie da inuover ſono gli umori, e nell'avā zo non mai , ma ſolamente,facendo di meſtiere, nello ſce mo del male . E ben ſaggiamente troppo , ſecondo che ad huom paja , in tal biſogno ſpeſe più lunghe parole l'av vedutiſſimo Ippocrate più , e più volte i medeſimi ſen timenti divilaudonc ; imperocchè egli avviſava graviſ ſimno danno dal muover gli umori crudi dover certamente ſeguire . Perchè altrove favellando egli di que' , che pur gano nel principio dell'infiammagioni: il che Galieno nel comento vuol , ciic s'intenda anche , di que' tutt'altri mali , chedagli umori procedono :dice , che per coſtoro nulla dal luogo offeſo certamente ſi vuota , non mai cedé do alla forza del medicamento , ciò che ancora è crudo ma per lo medicamento debilitanſi, e ſciolgonſi più coſto quelle coſe , che ſane eſſendo , al inal contraſtano , per chè infievolitone il corpo , agevolmente farà dal mal ſo verchiato, ed abbattuto : ne potràricoverarſi più mai per argomento alcuno » ο κόστ δε τα φλεγμαίνον εν αρχή νόσωνευ θέως επιχορέασι λύειν φαρμακη και του με ξυνεταμένου , και φλεγ μαίνοντG- έδεν αφαιρέσον • γαρ ενδιδοί ώμον εον το παθG- , τα δε αντί . χον% τω νεσήματα και υγιεινα ξυντήκασιν ασθενές- δε του σώματG- κνο μένα το νούσημα επικρα ]έι · οκόταν δε ονούσημα επικρατήση του σώ μας το τοιόνδε ανιάτως έχα. Ma ſe ciò per buona ventura dell' ammalato pur non R gliene 139 Ragionamento Secondo 3 gliene liegue , non per tanto certiſſimi danni, ed irrepara bili avvenir gliene debbono; e ſe non altro , certamente gliene andrà alla lunga il male , e ſconvolgeraſli il giudi cio , che ſopra quello da dar era ; ſicome non una, ma più fiate Ippocrate ,e Galieno ( 1) pienamente ne dimoſtrarono. Ora quì , chi non iſcorge allai chiaro , che minorar ſecon do Ippocrate , e Galieno non mai li puote la cruda mate ria , come beſtialmente ſi perfuadono i noſtri mcdici; i qua li tentan ciò fare colle ininoranti , che lor dicono,medici. ne . Ma comechè in ciò grandiſſima arte , emalizia ado perar ſogliano coloro , che ſon di contrario ſentimento , p coprire , e naſcondere al Mondo, la manifeſta lor ribellio nca’maeſtri ; pur non fanno sì fare , che da ciaſcun non li conoſca , e non ſi ſcopra la ragia , onde ne reſtin poi vergognoſamente dinnentiti , e convinti; così ſciocche ſon le chioſe , eicomenti , co' quali ſi ſtudiano a tutta lor poſſa d'inviluppare , e travolgere gli apportati Aforiſ mi , e con lor ciance far calandrini , non ſolo la volgare , e cieca gente , Cheficrede ogni coſa, che l'è detto : ma col volgo ancora que'letterati , che poco , o nulla a sì filtre coſe ,avvegnachè digrandiſſima conliderazione , ſo glion badare . E certamente non poſſo non maravigliarmi forte della lor tracotanza : ſe così poco, o nulla eli riguar dando alla ſtima di sìvenerandi maeſtri , ad ogn'ora così vituperevolmente gli beffano . Perciocchè volendo coſto ro, che nella copia grande , nella malizia , e nella ſorti gliezza degli uniori, e ſomigliantemente ne'caſi di confi derazione, o per riguardo della dignità della parte offeſa, o della gravezza del male , o della grandezza delle cagio ni , o del pericolo imminente , o per altre ragioni ſia das purgar l'ammalato , tutto che la materia cruda lia , e non pur nel principio , ma nell'aumento , e nel vigore delma le : o ciechi affatto , e diflennati ; e pure ſcioccamente ma lizioſi, e maligni apertamente a tutti ſi fan vedere, non ſolo, perchè vengono ad accagionar di ſoppiatto , ſe non (1) nel lib.4. della dies. p.44 . di mal Del Sig.Lionardodi Capoa 131 di malvagità, di traſcuraggine almeno , i lor maeſtri ; poi chè in materia di tanta conſiderazione , ne Ippocrate , nes Galieno di cotalicaſi han fatto menzione alcuna , comes certamente doveano; ma anco , perchè, o non avviſano , o fingono dinon avvederſi , che poco men , che ſempre ; o una , o più delle coſe per lor dette, ne'mali acuti ſi trova no . Laonde , ſe tale veramente , qual per loro fi finge, li foſſe ſtata veramente opinione d'Ippocrate , e diGalicno, aurebbon elli in verità tutto il contrario dovuto dire: cioè, che no miga già di rado,come dicono, ma ſovétiſſimamen te , o poco men , che ſempre nel principio degli acuti ma li ſi debba purgare , e che nell'aumento , e nel vigore di ef fi ciò anche ſi debba eſeguire . Ma pure per iſchermirli da cotal colpo s'argomentan coſtoro di traſcinare a'lor ſentimentiqualche ſentenza de'loro maeſtri: da cui tutt'altro certamente ſi compren de , che qucl, ch'elli intendono . Ne dovea in buona veri tà Ippocrate , ſe pure frenetico, e mentecatto egli del tut to non era , in que'luoghi , ove del gonfiaincnto ſolamente fe menzione , non annoverarvi ancora quell' altre condi zioni , per le qualis’aveſſe parimente a purgar la materia, non anche al debito cocimento pervenuta . Che ſe non è da dire , lui quivi averle per balordaggine dimenticate , masſimamente negli aforiſmi, ove tutto il ſuo ſtudio,e tut ta l'avvedutezza maggiore egli logorò , perchè per ogni parte perfetta l'opera riuſcir doveſſe , biſogna di neceſlicà conchiudere,talenon eſſer mai ſtato il ſentimento di lui , cioè a dire, che gli umori non cotti, anche ove gonfiamé to non foſſe , a purgar s’aveſſero • E Galieno, che così abbondatisſimo di parole egli ſi fu, che anche in coſe di niun momento vanamente alla lunga ſcialacquolle, come poi vogliam dire , che in materia di tanto affare, oltre al ſuo natural coſtumeaveſſe affatto ri ſparmiate. E certamente non ſi dee in niun modo crede re , ch'egli così traſcurato ſi foſſe , che quivi ancor nons v'aveſſe fatta la ſua diceria , fe ftato foſſe meſtieri , diviſan done a ſuo modo quáto n’abbiſognaffe in que'caſi'la pur R 2 gage 4 132 Ragionamento Secondo ga , e quanto ſtrabocchevoldanno , e nocimento, traſan dandola,per ſeguir ne foſſe al malato . Ma certamente no fu tale il ſuo ſentimento , ficome cotefti diffeonati ſquali modei vogliono follemente darne a divederc. E ben avvi faronlo anche molti valentisſimi Galicniſti , cosìdel paſſa to , come del preſente ſecolo; masſimaméte Giulio Ceſare Claudino,avvegnachè del purgare ainicisſimo, pur nõ po cédolo ricoprire apertisſimainete cõfeffollo ,dicédo : Equia dem fic exiſtimo valdè efe probabile, mentem efe Galeni, a Hippocratis, cruda materia nunquam efſeexhibendum phare macum excepto uno turgentia caſu . E di lui molto innanzi Giovan Manardi, che per conoſcerſi bene della greca fa vella , e perciò più leal interpetre de’veri ſentimenti d'Ip pocrate eſſendo ,così delle purgagioni nel principio delle malattie , ebbe a dire . Et licet Hippocrates dicat buc raro faciendum , nos rationibus adductismoti, crebrius id face re poſſumus , debemus. E de’noſtrimedici replicar po trebbe Aleſſandro Maſſaria ciò , che del Manardi e di tute' altri del ſentimento di lui già diſſe . Hippocrates ducet,ra roin morbisacutis effe medicamenta adminiſtranda: contra non defunt Manardus, &alii ,ſidiis placet , Heroes , qui audent affeverare, illa effe crebrius, immo Semper admini ſtrandas. Ma omai s'è táto oltre in diſpetto di Galieno, e d'Ippo crate l'uſanza di purgar la materia cruda pian piano avan zata , che ove in prima non altri medicamenti ſi metteva no in opera , che piacevoli, e deboli , ne più , che una , o pur due volte : ora a gran dovizia grandi ,ed efficaciſſime purgagioni cosìcompoſte ,come ſeinplici, da'noſtri Galie niſti largamente diviſanſı; e ſe pur talvolta , o per tema , che n'abbiano gl'infermi, o per altra cagione , alquan to più lievi , e deboli loro le impongono , nondimeno , o con accreſcerne la quantità , o con meſcolarvi per entro alero in ggior medicamento , o collo ſpeſſo reiterar delle medicine coſtringono maggiormente a vuotarſi il corpo con dannograviffimo, e irreparabil riſchio degli ammala ti ; fe puread Ippocrate preſtar fede noi vogliamo ; il qual fico Del Sig.Lionardo di Capoa 133 ficome di ſopra è detto , tante , e tante fiate manifeſtol loci : e Galicno medeſimamente , il quale oltre a ciò av vifa , che 3Gν αρχηταί η νόσημα των εκκρινομένων αδέν έκκρίνε. αι τίωικανά τα λόγω της φύσεως , αλ' έσιν άπαντα συμπτώμα των εν τω σώματι παρά φύσιν , διαθέσεων • ν ώ γας χρόνω βαρύνεται με υπό των νοσωδών αιτίων η φύσις , απεψία δ ' ες των χυμών , εν τέλω κενέσθαι τη χρησώς αδύνατον • πτοηγάσθαι μεν Κρή πέψιν, ακολα θησαι δε διάκρισιν , 49' εξής κένωσαν την αγαθή γένηται κρίσης. Cioc. quando alcun male comincia , ſe cofa maiavvien, cheppura ghi, allor certamentenon purgheraftſecondonatura , ma ciò Farafficontro le diſpoſizioni diquella; imperocchè ,'quando la natura vien aggravata dalle cagioni delle malattie , ma fon crudi gli umori , allora impoſſibil coſaè, che alcuna eva cuazionefelicemente rieſca ,concioffiecofachèfadi meſtieriche in prima il cucimento , quindi lo fceveramento , e finalmente l'evacuazion ſi faccia , perche ſia buono il giudicio. E fomi gliantemente in quel luogo ove dice.Per la qual coſa effen. dovi nelcominciamento delle malattie sēpremaiſegni dicru . dità , ſemprealtresi nocevol ſarà , e darnofa l'evacnazione di si fatti umori : ώς τ' εα ειδη κατα την αρχήν τα νοσήματος απε . ψίας εσιν αι σημάα , μοχθηρα δια παντός έσαι των τοιέτων χυμών ή xívwos : E quindi, per tacer altri luoghi, ſi ſcorge quan to vadano errati , così coloro , che follemente immagina no non aver vietate altrimenti quelle purgative medicine , cheminorantieſſi chiamano, no Ippocrate , ne Galieno nella crudezza degli umori : comequegli altri ancora , che ofano affermare , che Ippocrate, e Galieno, non per al tro vietafler le purgagioni , che per non eſſer note loro, ſe non che quelle purgative medicine , che violenti ſono nell'operare ; il che però eſſer molto , e molto dal veroló tano chiaramente ogn’huom vede ; imperocchè per tacer del latte rappreſo , dicuicosì ſovente Ippocrate ſi valles certiſſima coſa è , che gli antichi ebbero contezza della Mercorella ( la quale per poco val quanto la Siena) dell'E pittiino , della Fumaria , dello Goico , del Polipodio , dell'Agarico, il quale per Galicno malamente venne ſti mato radice , comeche fungo egli veramente ſia , e d'al tre , e 134 Ragionamento Secondo 1 tre,e d'altrebenigne purgative medicine. Ne è daracer qui, cheGalieno dice a Glaucone, che dar egli debba l’Aſsézio, leggeriſſimo, ſenza fallo, medicamento, nelle terzane, allo ra quando apparir ſi veggano i ſegni del cocimento . Ga lien parimente viera, cheſi deanell'infiammagioni interne la Iera di Temiſone, leggeriſſima medicina , ſe non che quando la materia ſarà al cuocimento pervenuta; ed avve gnachè alcuna delle accennate medicine lenitiva ſolamen te fia, nondimeno , come la ſperienza , ne inſegna data in quantità grande divien purgativa. In quanto all'Epit timo , ed alPolipodio , Galien dice chiaramente eſserel Jeno benigne medicine,e che moderatamente purgano ( 1) E quanto è a me , Io porto fermiſſima opinione, che lo pocrate , e Galieno aveſsero dalle continue, e diligenti of fervazionide'Sacerdotidell'Egitto un tal parere appreſo ; e perciò eſſer'avvenuto , che così ſtabilmente poſcia l'avel fer ſempremai conſervato ; eche dall'Egitto le sì fatte of ſervazioni quel gran padre della filoſofia , e medicina Ita liana,Pittagora,in prima aveſse nella Grecia recate ; quel Pittagora lo dico, di cui altri ella non vide, da Democrito in fuori , che il pareggiaſse, non che con lui poteſse entra re in gaggio, o'l ſuperaſse giammai . Ma che Pittagora , foſse di tal ſentimento , egli li par manifeſto per quel che nc fia ſcritto in quel celebre Dialogo , che della natura dell'univerſo compoſe il divino Platone, la ove Timco no biliſſimo Pittagorico introduce delle purgagioni in ſimil guiſa a favellare. La terza ſpecie del commovimento ſuol riuſcir , ma non però ſempre giovevole ad huom , che da grave neceſſità vi ſia tratto ; ne altrimenti da chi ſia di ſana mente è da uſare, cioè quella forte di medicina purgativa; * imperciocchè que’mali,che no ſono guari pericololi , non ſono da ſtuzzicar con purgagioni ; concioffiecoſachè la di ſpoſizione di ciaſcun male fie ſomigliante alla natura degli animali : c certamente la coſtituzion dicoſtoro è talmente ordinata , che generalmente ha i termini della vita già ſta biliti , e qualunque animale ci naſce , con fatale , e deter mina ( 1 ) nelmerodal.lib.13.6.15. DelSig.Lionardo di Capoa 135 minato ſpazio ncmena egli i ſuoi giorni: trattone fuora quelle paffioni , che di neceſſità avvengono; imperocchè i triangoli dal naſcimento di ciaſcú d'eſso loro tal virtù ſor tiſcono , che ſol yale a mantenere il loro ordinamento per infino ad un certo tempo , oltre al quale a niuno è conce duto dipoter più avanti allungar la ſua vita . Lamede ſima diſpoſizione adunque è data alle malattie , e ſe altri colle purgagioni contro al fatal tempo ſconccralla , al lora di piccioli,grandi , e di pochi , molti diverranno ; il perchè col regolamento del vitto le sì fatte malattie ſon da correggere , e rintuzzare , per quanto a ciaſcun veriì , ad huopo ; ne il durevol male con medicamenti irritar fi dee : Πίτον δε αδG- κινήσεως και σφόδρα ποπ αναγκαζο μένω χρήσιμον , άλως δε ουδαμώς τα νούν έχοντι προσδεκτέον , το της φαρμακευτικής καθάρσεως γιγνόμενον ιατρικών • τα γαρ νοσήμα όσα μη μεγάλος έχει κινδύνες , ουκ ερεθισέον φαρμακείαις · πα σα γαρ ξύτα στις νόσων , όσον πνα τη των ζώων φύσει ποσέρικε και γαρ η τούλων ξύ. νοδG- έχασα πάγμένες του βίον γίγνει χρόνος , του ο γένες ξύμ . παν G καθ ' αυτό το ζώον ειμαρμένον έχον έκαςον, τον βίον , φύει χωρίς των εξ ανάγκης παθημάτων • το γαρ τσίγωνα ευθυς καρχας εκάσων δύναμιν έχον & ξυνίσταται μέχρι πνος χρόνε δυνατού εξαρκών , ου βίον ούκ αν ποτέ τις ας το περgν έπ βιώη» τόπος ουν αυτης και της πε και τα νοσήμα ξυάσεως ήν • όταν τις παρα την ειμαρμένην του κράνε φθείρη φαρμακίαις , άμα εκ μικρών μεγάλα , και πολλα εξ ολίγων νοσήμα τα φιλί έγνεσθαι· διο παιδαγωγών δεά διαίταις πάντα τα τοιαύται καθ , όσον αν και τα αλή » αλ ' ου φαρμακεύοντας κακον δύσκολον ερεθιστον , Ma diſcédédo a qualche particolarmalattia ,egliè da ſapere che fu ſentimento diGalieno, che in quelle febbri, che portan ſeco i flulli da purgar giāmai,ne da ſegnar fia l'am malato, quantunque ben fi pareſſe , che la materia per la ſoccorrenza uſcita , non foſſe ella alla debita purgabaſtá te , o altro vi foffe da dover cacciar fuora nell'ammalato ; ſoggiugnendo manifeſtamente Galieno al ſuo Glaucone , eſſervi ſtatialcuni , che ſcioccamente in sì fatto caſo ab bian condotti, preſſo che a gli ultimi sfinimenti, gl'infer mi . Mai noſtri mediciavvegnachè d'eſſer di Galien fede liſſimi ſeguaci ſommamente di pregino, pure i ſaldiſſimi ann 0ae 136 'Ragionamento Secondo maeſtramenti di lui affatto traſcurando , a lor talento , e purgano , e ſegnano in ſomiglianti caſi, nulla guardando a’riſchj, che , ſecondo egli avviſa , ſeguir ſovente ne pof ſono . Così ſomigliantemete Galieno nelle febbriſincopa li (p tacer della diffenteria)vieta in tutto il falaſſo , e le pur gagioni'; e pur coſtoro arditamente contro i ſentimenti * del lor maeſtro tutto dì ve l'adoperano . Così anche nel la puntura quando appajano gli ſputi del ſangue,e nel do lor delle coſtole , vieta apertamente Ippocrate l'aprir la vena, ſe pure nel dolor delle coſtole qualche manifefto ſe gno d'infiammagionenell'interiora non appaja . Ma cote iti diſcreti diviſamenti del loro Ippocrate non altrimente , che vaniſſime fuperftizioni fi foſſero diſpregiando i noſtri Ippocratici medici, baſta ſolamente loro in tali avvenime ti , che col dolor vi ravviſin la febbre, che come in prima poffono, cosìin diſpetto d'Ippocratc ,e di chiunque ad Ip pocrate crede, per iſvenare i miſeri cattivelli arruotano barbaramente le lanciuole , direbbe Proſpero Marziano per avventura . Ma dove laſciato avea lo il purgar le dó ne levate appena del parto , e non paſſati ancora i termi ni fatali aſſegnati apertamente da Ippocrate a ciò conve nevolmente operare ? E dove nelle lunghe malattie , nelle quali la materia ha maggiormente di cocimento biſogno , ne fegnal d'enfiamento eſſer mai vi puote, il purgar de’no Itri medici contro i manifefti divieti d'Ippocrate , e di Ga lieno:E dove il cibare a roveſcio gli ammalatise non guar dar punto all'età de'fanciulli, e de’vecchi , o alle ſtagioni dell'anno , e cento e mille altre coſe di grandiſſima confi derazione , ovemanifeſtamente da’lormaeſtri ſi partono ? Troppo largo campo o Signori da valicare aurei , s’lole voleſti fil filo tutte narrare: ne per poco di venirne a capo Io ſpererei, Ma come ciò avvenuto ſia , che in tante coſe , e malli mamente nel purgare , c nel trar ſangue dal loro Ippocra te , e Galieno i noſtri Galieniſti partiti fi fiano : e che ezian dio que' che han riſtorata la lor medicina, e ſottrattala al l'arabeſca rozzezza , pure travalicando i lor diviſi abbia no in Del Sig.Lionardodi Capoa . 137 no in ciò manifeſtamente fallato ; lo ciò giudico avvenirc, perchè gli ammalati , e i lor parenti, efamigliari ſian ſem pre deſideroſi oltremodo di rimedj, e ſpezialmente di quei, che per manifeſta vacuazione adoperar fi veggono ; come fe da quelli il lor ſalvamento , e non più toſto la lor morte dependa . Perchè nelle malattie , e maſſimamente nelle più gravi, e nel vigore , e accreſcimento di quelle , ove l'intermo maggiormente languiſca, per non moſtrarſi i me dici ſcioperati ſenza ajutarli con argomento niuno , fi va gliono di cotali medicine , e talor vi ſono dagli ammalati medeſimi, o da congiuntidi coloro contro lorvoglia i me dici menati ; perchè altrimenti a color non ſarebbon a grado. E quinci anche è , che alcuno de’moderni intro duttori di nuovi ſiſtemidi medicina ,abbian ritenuti in par te sì fatti modi di inedicare : non perchè egli veramente crcda , che ſien valevoli conſigli, da riſtorare ammalati ; ma perchè egli avviſa in tal errore eſſer già foinmerſa , ed incallita la gente, che ſe altriméti adoperaſe,niuno certa o pochiſſimi ammalati da medicar gli giugne rebbono. Adunque manifeftamente da ciò , che detto è compré der ſi puote , che purtroppo grandemente nel medicare , da Ippocrate, e daGalieno i Napoletanimedici ſi diparto no , e s'allontanano ; emolto più aſſai di quel, che'l Paracelſo , e l'Elmonte ſteſſo , e altri moderni ſpargirici, o altri , ch'elli fieno, per avventura ſi facciano . Mafi laſci ad altri la briga di ciò conſiderare: baſti a noi il ſapere,co . me ancora da ciaſcun Galieniſta Napoletano ſi viene con fatti a commendar ciò , che con parole da alcuni di loro manifeſtamente ſi biaſima ; e come ancor' eglino laſcia no il loro Ippocrate, ed il loro Galieno , ove lor venga in talento : e che tutti igualmente abbandonando l'an tiche ſtrade più ch'alle cieche autorità de' creduti maeſtri , alla ragion ne laſcianio guidare. E perciò per Dio ceſſino coſtoro d'abbajare addoſſo a’moderni medi canti , e di mordere , e di lacerar tutto dìla loro lode vole libertà , ne mai più per innanzicon uggia , e crepa mente > S CUO 138 •Ragionamento Secondo cuore ſi ſtudjno di contradiarla , e di metterla in fondo ; poichè, come per addietro ſi è fatto per noi manifeſto, da' più ſublimi ingegni,che ſtati fieno in ciaſcun tempo s'è ab bracciata , e mantenuta da' più nobili ſcrittori, edalle più illuſtri Accademic , e Scuole dell'Italia , della Lamagna , della Francia , dell'Inghilterra , della Svezia , della D2 nia , della Polonia, e da tutt'altre parti del mondo glorio famentc ſeguita. Ma riſerb.andomi di ciò favellare a miglior huopo, ri tornerò pure a'piati ,ed alle conteſe deimedici; onde già mi partii. E quantunque fin'ora per me molte narrate ne ſieno , pur molte ancora , e quaſi infinite a raccontar ne rimangono; le quali poichè mi pare d'aver oggi ragionato a baſtanza , e già il ſole comincia a gir ſotto , riſerberolle. alla ſeguente aſſemblea . RA 139 j: Milli RAGIONAMENTO T E R Z O Beda Vantunque volte meco ſteſſo penſando rammento quel tranquillo , e feliciſſimo ſecolo , che meritevolmente dell'oro per ciaſcuno vien detto : tante a biaſi mar la preſente , e miſerevol noſtra età; quaſi di forza ſon tratto . Non pure , perchè a quella la terra dall'aratro non ancor tocca , tutto ciò , che al mantenimento di noſtra vita abbiſogna abbondantemente produceva ; ed ora a romper zolle col Vomere , e col Raſtro , a ſveller pru ni c ſtecchi anza , e ſuda , e talora anche in darno il Bi folco ; ne perchè allora , e nuvoli , e nebbie ,e tempefte ', c turbini non intorbidavano , ficome or fanno , i lucidi ſereni dell'aria ; ne perchè l'eſecrabil fama dell'oro, non ancor ſignoreggiava il mondo : reſo ora ſcellerato, e crude le, poichè fol vince l'oro , e regna l'oro ; ne per tant'al tri privilegj , che diquella s'annoverano , de'quali altro che un'intenſo deliderio , ch'il cuore acerbamente ne pun ga a noi non n'è rimaſo ; ma ſi bene perciocchè , e liti , e S 2 pia 2 1:40 Ragionamento Terzo piati , econtefe , ed armi,eguerre non allignarono . No arruotava le zanne a mordere il cinghiale ; non digrigna va i denti il maſtino ;non rabbuffava il doſlo il Lionefra ; l'erbe , e fiori s’appiattava ſenza veleno l'angue . Ma che è ciò ? l'huomo , l'huomo di tutt'altri animali duca , e ſigno re non fabbricò nave , ch'apportaſſe guerra agli altrui li di , non forbì , non arruotòferro periſvenar l'altrui petto : non aſſordò l'orecchie con iſtrepito ditrombe , di corni, o di bellicofi tamburi ; vivea ciaſcun ficuro ſenza il riparo di murate Città . Ed a'dinoftri , che più fi tenta , che più fi machina , ove più fi bada , fe non ſe a' nuovi ordigni da guerra , perchèl'un Principe, l'altro abatta; l'una Repub blica , l'altra eſpugni; l'una Signoria, l'altra atterri; l'una Città , l'altra ſtermini; l'un nimico, l'altro affondi; ſi com batte nelle campagne , ſi combatte nelle Città , s'armas contro l'un l'altro amico,'e fin dentro il nario albergo con l'un, l'altro fratello, anzi il padre co'l figlio calora conten de; va in ſomma il mondotutto in conteſe , e benchè tar dis pure è gionto agli antipodi il furore dell'armi. M2 egliè pur vero , chele diſcordie abbian per qualche tempo auuto fine , ne in ogni tempo le porte di Giano ſieno ſtate sbarrate . Ma quel, che pür troppo è da maravigliare , è ciò , che lo ne’paſſati ragionamenti v'ho detto , e debbo nel preſente ſeguire ; egli cono le tante , e tanto invilup patecontefe de’medici. Queſte non han mai ſofta , quefte non han inai line ; e comeche moltisſime ve n’abbia fin or diviſate , pur altre aflai a narrar ne rimangono ; le qua li lo fon ora perdiviſarvibrievemente , e darvia diveder , che tutte quante dall'incertezza dell'arte abbiano origine; la quale perchè più chiaramente per voi ſi comprenda,dirò brievemente altresì,chente mi paja delle ſette de'medici. E perchè fi comprenda , quanto queſt'arte fia ſempre mai nemica naturalmente di pace: ne baſterà per avventi ra il riguardar ſolamente al cófuſiſſimo drappello de'Ga lieniſti, che co’lor diverſi, confuſi, e ritorti ſentimenti ban turbati i mari Con menti avverſe, ed intelletti vaghi, Non 1 Del Sig.Lionardodi Capoa. 141 Non per ſaper , ma per contender chiari . Eper la verità delle loro ſtrane , e ſtravolte opinioni da . to brigando romoreggiano , che poco men fanno per av ventura l'onde torbide, e fonanti del noſtro Tirreno qual ora nelle più atroci tempeſte giungono furioſe a riverfar G ſu i lidi. Magna mentis admiratione diftrahor , dper surbor ( dicea di loro appunto favellando Giovanni da Sa lisberia ) quod a fe ipfo tanto verborum conflictu, &collifio ne rationum defiliunt, &difcordant. Neancor paghi del le lor lunghe e, oſtinate conteſe aggiugnendo ſempre pia tiapiati, quiſtioni a quiſtioni , ne preſero anche in preſto dalla brigante filoſofia , altri più inviluppati , e nodofi , da fare ſtancar inutilmente per un'intero ſecolo i più riottoſi dicitori del mondo . Perchè riſtucco , ecrannojato l'avve durisſimo Lodovico Vives , così (clamando proruppe. Ex fcholaftica illa phyfice exercitatione ingentem , ácopiofifſimă difputandi materiam in hanc quoque artem, tanquam plar ftris invexerunt, de intentione, & remilline formarum, de raritate, & denfitate departibus proportionalibus, de inſtáribus: ea que nec funt, nec unquam evenient ventilantes fua fomnia ; defertapugna cum morbis interea loci premen tibus , atque occidentibus . Ea res fecunda , e infinita non aliterquam bydra quædam diutiſſimèremurata eft ingenia, cum fructu aliis vacatura. Videre eft cavillariones a, trj. cas Iacobi Forlivienſis, nec minus fpinofas, nec minus inu tiles , quam Suiceticas: nec prolixitate, cu moleftia cedentes. E Gregorio Giraldi huom di rara , e di ſquiſita letteratu ra , così de’diſcordanti pareri,che a danno altruiportano , e mettono in campo i medici , fe vagamente parole . Nec minus quoquo medici noſtro periculo de medēdi ratione ejuſq; partibus difenſere, aliis alia fubindeapprobantibus , ut no ftra etiam hac ætate tanta fit inter medicos diſſimilitudo , ut corumaliqui vena inciſiunem omnino prohibeant, alii ad eam aperiendam potius exclamext. E per recarne brievemente un faggio , eglino intorno aº principj delle coſe naturali contender fieramente ſogliono: ne ſi può di leggier credere quante diverſe , e confuſisſime opi 142 Ragionamento Terzo opinioni ciaſcun di loro ne porti . Dicono alcuni ritrovar fi veramente , e formalmente gli clementi ne'miſti: altri in contria opinion tratti ,ſolamente in virtù, ed in potenza. Vogliono coſtoro , ſecondo ilſentimento del lor maeſtro , effer le qualità formevere degli elementi, e de'milti : co loro tutte le forme eſſerveriſſime ſoſtanze giudicano. S'ay vilan molti collor Galieno , amendue le qualità nel lor fommo grado eſler igualmente negli elementi ; altri una in più alto , e altra in più baſſo grado ne allogano ; quin di infra coſtoro altra nuova quiſtion forge, ſe colle più fie voli qualità degli elementi le côtrarie accoppiar ſi ſoglia no . Ma ſe le dette qualità ſien tutte , come dicon poſiti ve , e vere : 0 pure alcune di loro ſolamente privazioni di quelle , lungamente affai ſi contraſta ora eziandio in fra’ Galienifti medici. Ed oltre a ciò giudicano alcuni,in qua lunque,comechè picciolisſima particella deʼmiſti , formal mente avervi parti corriſpondenti a ciaſcuno degli elemé. ti ; altri ſono dicontrario parere . Ma chi potrebbe mai intorno a ciò rapportar tutte le antiche, e le moderneopi nioni ? ſenzachè non ſon minorile conteſe , s'egli ſia pur vero , che vi ſia temperamento ; ſe quello veramente ſia l'anima medeſima dell'huomo, come cmpiamente avviſoſ ſi Galieno , o pure altro , che quella ; ſe ſia da porre il ſo ſtanzial temperamento ; e ſe quel poſto , del qualitativo in nulla differente egli ſia . Oltre a ciò quante le differen ze deil'uno , e dell'altro teinperamento ſi ſieno ; ſe il qua litativo ſolamente nella proporzicn delle quattro prime qualità riſieda , o pure in altra qualità da quelle riſurtu . Ma troppo a lungo ne verrei, ſe tutte diſtintamente nar rar volesſi intorno a sì fatta materia , le zuffe , e le conte ſe de’alieniſti filoſofanti. O forſe almen , ſe in tutt'al tro ſi rodon l'un l'altro il baſto, faranno a buon concio ra nodati , e concordi in render ragione dell'eſiſtenza de’lor quattro elementi nella natura ? Anzi in ciò più che altrove gareggiano in rintuzzarſi , rifiutando altri ciò, che altri ne dice , e tutti l'un l'altro oſtinatamente carminandofi ; an zi fra cllo loro Vopiſco Fortunata Pemplio dopo averne molte I DelSig.Lionardo di Capou . 143 . molte , e molte ragioni recate ,e tutte rifiutate,ultimame. te con tali parole i ſuoi propj ſentimenti ne paleſa. Sed hæc omnia quăfint imbecillia quilibet videt.Quapropter aliorum etiam qui hactenus id ipfum conati ſunt argumentis penficum latis ,puto non poffe vera, & efficaci rationeprobari, ejetan tum , veleffe debuifle quatuor elementa , ſed id ita effe, nos accredere Ariſtoteli toti omnium fcientiarum fapientia lumi ni . Concluſione indegniſſima nel vero non pur di lui : ma di qualunque più cattivello ſcolaretto , che per filoſofante ſi voglia fare acredere; c ne verrebbe ſicuramente cgli dal ſuo Ariſtotele , c dal ſuo Galicno ſchernito , e forſe da lor nc torrebbe in capo del ſer Meſtola, e delgocciolone , le il ſecodo ne meno ad Ippocrate vuol dar fede ſenza il pc gno in mano delle ragioni , el primo allega l'autorità nel l'ultimo luogo dopo tutt'altre pruove , con ciò manifeſta mente inſegnando , che non miga delle autorità , ma delle ragioni lo intelletto ſolamente debba eſſer pago. Ma pu re Iddio voleſſe ,che aſſai non vi foſſero a’dì uoſtri, di quel li , i quali ſecondo il ſentimento del Pemplio , non alla migliore, ma alla maggior parte degli ſcrittori voglion gir dietro ,pecorum ritu ,perdirlo colle parole di Seneca , non qua eundum eft , fed qua itur . Cattivelli di loro, che tratti dalla bordaglia de letterati,immaginano , che allora ſien da lor meſſi in ſu’l filo del vero ſapere, qualora da lo ro forſe più, che da ogn'altra coſa del mondo, ne fon di ſtornati, e danneggiati così , come cantò il Bembo nello ſuc diviniſſime ſtanze : Sicome nuoce al gregge ſemplicetto La ſcorta fua quandell'eſce diſtrada , Che tutto errandopoi convien,che vada . Ed’o ſe mai eglino fi riducellero alla memoria la ſentenza del teſte da noi citato filoſofo , Argumentum peſſimi turba eft. E quell'altre parole del medeſimo,non eadem hic,cioè nel filoſofare, quam in reliquis peregrinationibus condicio eft in illis comprehenfus aliquis limes , interrogati incola non patiuntur errare : at hæc tritiſima quaquevia, &celeberri ma maxime decipis : certamente infomiglianti falli ſcimu. niti , 14 Ragionamento Terzo niti , ch'elli ſono , non fi laſcerebbono traſcinare. Ma egli però giova credere, che il Pemplio non già da fenno, ma per irrifion parlaffe , ed ironia , ' fe poi ſenza al cun rimordimento , e fenza ſcrupolo averne di temerità, in trattando delle qualità,paleſemente delle dottrine d'Ari ftotele , e di Galieno famoſtra di non curare . Malaſcian do da parte ſtare tutt'altre quiſtioni, nelle quali inveſchia ti, e impaſtojati i Galieniſti tutti ſtralciar mainon ſi poſe fono , ficome ſon quelle intorno a' principj dello ingene. rarſi dell'huomo , al caldo natio, all'umido , che dicon ra dicale, all'eſiſtenza , alla natura , e al numero degli ſpiriti ; e ſomigliantemente intorno all'inviluppatiſime, e tutto che innumerabili quiſtioni della natura , del numero, del luogo , della diſtinzione delle potenze, e ſpezialmente in torno a quelle coſe , onde il chilo , e'l ſangue, e gli altri umori s'ingenerano ; o pure in trattar del polſo , dell'arte rie , e del movimento del cuore : ed onde i ſentimenti nc végano, e formiſi il moto.Chimai baftevol ſarebbea por gli d'accordo intorno a quella cotanto celebre , e faniores conteſa , e di tanta conſiderazione in medicina , ſe la bi le , la flemma , ela malinconia ftian di fatto , o pure in po tenza nella maſſa , come dicono,del ſangue ? Il che in buo ſentimento viene a dire , fe veramente vi lieno , o no; im perciocchè certamente nulla monta il potervi eſſere , ac ciocchè ſi dica,che vi ficno ;ficome direbbeſi altresì , che nel ſangue vi ſieno in potenza , e carne , e vermini , e cene to , e mille altre coſe , chequivi ingenerar ſi poſſono . Ma a cui caglia di vedere un confuſiſſimo rimeſcolamento di diverſe , e ſtrane opinioni , riguardi digrazia a' Galienilti medici intorno al diviſar della natura , delle differenze, e delle cagioni delle materie delle febbri, e de'luoghi, ove s'ingenerano ; riguardi all'opere de’loro antichi, e moder ni maeſtri : e poi, ſe potrà, ridicamiquando mai potreb be alcuno ſcalappiar dall'intralciato , e confufiffimo labi rinto di tanti , e sì fatti riboboli, e indovinelli; e guari pu re a quali debolillime fila aſſai ſovente la medicina di Galicno s'attenga , Tralaſcio pure le lunghe , ed inviluf pate 1 1 DelSig. Lionardo di Capoa 145 pate quiſtioni intorno all'apopleſſia, al catarro, al letargo, alla mattezza ,alla malinconia, a' capogirli, al mal caduco, alla peſtiléza,almalfrāceſco, eda täi'altre dubbioſe cotro verlie , che non ſarebbe per avventura minore impreſa il raccorle quì tutte, che l'arene del mare, e le ſtelle del Cie to minutamente annoverare . E comechè per queſto capo incerta , e confuſa , e inviluppata la medicina de' Galieni fti oltremodo ſi ſcorga , e perciò inucile , e nocevole ad adoperare:non peròdi meno non è ella intorno alle mag giori biſognedell'huomo incerta maggiormente, ed in tralciata, cioè a dire intorno alla dieta : i fini, e le condi zioni del trar fangue : la natura , la facoltà , gli effettia e'l modo dell'adoperar de’medicamcnti : quando , ed in qua’rempi del male ſien da dar le purgagioni: ed altre , ed altre infinite quiſtioni,delle quali queſte,ch'io ho quì bric vemente raccolte , una menomiſſima particella ſi fono , e certamente lo m'avviſo , ch’in leggendolei curioſi da non poca inaraviglia ſien ſoprapreſi; anzi forte ſoſpirerano , s ſdegneranſi , veggendo a quante controverſie,a quanti ſo fiſini, a quanti pericoli per lor ſi faccia foggiacere il bene ftare , e la vita deglihuomini. E chicon occhio aſciutto può rimirar il crudeliffimo ſterminio , che fan tutt'ora de gli ammalati di febbre maligna, per non ſaper di quella , cofa del mondo? Eglino piatiſcono in prima delle cagioni di fuora , chenti , e quali elle fiano , e d'onde naſcano , come operino , e muovano il male ; quindi intorno a quel. le d'entro combattono , ſe fien verainente qualità : efe tali, naſcoſc più toſto , o manifeſte , o pur ſe da loverchio di putrefazione avvengano , o da tutta la ſoſtanza più to ſto gualta ; e corrotta ; e oltre a ciò in quali luoghi elle fi covino , diverſamente contraſtano . Così mordendoſi l'un l'altro , e piatcndo , niun l'imbrocca , e tutti a malpartito menano gli ammalati ; volendo altri i falaſſi , ed altri vie tandogli, ed altri una fol volta permettendogli , chi ſcar ſamente , cchi fino a trar loro tutto il ſangue , chi dalle venc delle braccia , e chi da quello de piedi , e chi anches da quelle parti , delle quali è bello il cacere , con appic T carvi 140 · Ragionamento Terzo carvi le mignatte; altri a tutti coſtoro cótraſtando voglió , che dalla buccia ſolamente per coppette fi tragga . Alcu ni vengon toſto alle purgagioni, altri aſpettan qualche de boliſſimo ſegnal di cocimento ;ed altri, o nel principio pur gar logliono , ove turgide lien le materie , il che di rado . avvenir ſuole, o pure inſino allo ſcemo del male s'indugia no . Molti poi nel purgare , de’violenti medicamenti fer vir ſi fogliono ,molti de'mezzani, ç moltide’deboli , e be nigni n'adoperano : e parecchi ancora con lenitivi rimedi folamente medicar s'argomentano. V'ha chi purga una ſol volta , e chi più volte in ogni tempo , e ſtato del mal lo coſtuma . V'ha alcuni , che come il mal comincia , cosi toſto con le purgagioni v'accorrono ; ma dopo i trè dì af fatto le victano ; e dicoſtoro altri di vomitive, alori di sé plici purgative medicine ſervir ſi fogliono. Alcuni ne'pri migiornidel male a' rimedj , che chiaman veſcicanti , gli infermi condannano ; altri vuol, che in prima purgati , e ſegnati color fieno ; echi in un luogo, e chi in un'altro cô -sì fatti rimedj marchiar gli vogliono , togliendo loro così manifeſtamente le forze , e crucciandogli , e dando loro vigilie , e dolori, e forſe con riſchio di gangrene,di piaghe nelle reni , e nella veſcica, di malagevolezze d'orina ,e d'altri malori , che ne foguono . Ne mancano eziandio infra'Galieniſti medici alcuni più rinominati , che per be nevoglienza al lor maeſtro Galicno , cd Ippocrate , o per chè così veramente lor paja,cotal ritrovato come peſtilen zioſo ; e ficriſlino, e di barbara gente, e crudele , oleremo do vituperino, e danninozil quale non a confortar vaglia, ed ajutare il cocimento , ma ſolamente a fraſtornarlo , ed indugiarlo , con accreſcer le cagioni ad un'ora , e gli effet tidel male , e con piagar , ed infiammar malamente ſpeſſo ſpeſſo le reni , e la veſcica, e far talora gli addolorati lan guenti di puro fpafimo miſerabilmente morire . E v'ha , eziandio di coloro , che non d'altri rimedi, che de ſolian sidoti nelle maligne febbri ſervir fi fogliono; ed intorno a queſti ancora diverſamente piariſcono . E forſe faran mai per riconciarſi, e porſi d'accordo infra qualche ſpazio di + tein DelSig.Lionardo di Capoa 147 tempo le lor conteie ? e le loro incertezze appianate , fari per porſi fuora, quando che ſia un più ſtabile , e veriſimile fifteina di medicina? anzi per quanto ne poſſiam conghier turare eglivie piů a giornate s'accreſcerannoi piati , e le conteſe , e ſempre più confuſo , e incerto , e pericoloſo il lor meſtier diverráne. E nel vero,chi mai potrebbe deci derle ? non le autorità , non le ragioni , non l'eſperienze ; imperciocchè , così gli uni , come gli altri, di loro eſperi menci egualmente fan moſtra , e pompa ; morendo vera mcnte , e guarendo così degli uni , come degli altri , i malati . Per amendue le parti poi lor ragioni ſi produco no in mezo; equinci , e quindi ogni conteſa ha ancora i fuoi parziali . Ne v'ha cagionealcuna , per la qual mag giormente attenerci dobbiamo a Giovan Manardi,ad Er cole Saſſonia , ad Orazio degli Eugenj , che d'altra parte più coſto ad Aleſſandro Maſſaria ,ed a Fabio Paccio , eze Pietro Salio, o a Girolamo Cardano preſtar fede, conciofa fiecoſachè tutti egualmente ficn di pregio, e lieva nella Gia lienica medicina , ed egualmente di maggioranza gareg giar îi veggino . Perchènon ebbero certamente il torto , per quelch’lo ini creda ', a dir quc' valene' huomini:non . polje comprehendi patere ex eorum qui de his diſputarunt di fcordia ; ciim de ifta re , neque inter ſapientia profeſſores , neque inter ipfos medicos conveniat. Ma poiche Io in par te vi ho diviſato a’quali tempeſtoſe procelle di litigj ediconteſe la medicina tutta ſoggiaccia , diſconveneyol coſa non farà ', ch'Io mi ſtudi per avventura , e mi argome ti di recarvene brievemente la cagione . Alcuni ſciocca . mente fi perſuadono ciò ſolamente per colpa deʼmedici avvenire , i quali oltremodo d'onor deſideroſi,ed avariſfi mi del denajo , e naturalmente ancora riottofi , e ſuperbi, ſi graffjno ſeipremai , e ſimalmenino ; cercando a ſpada tratta ciaſcuno , ove a lui venga in concio, altrui travaglia re , e neinichevolmente affitto atterrare . Così vengono a partirſi in fazioni, e ſempremai a premerſi,e tenzonare , non altrimenti , che tutt'altri macftri di cialcun'altro me ſtier fi facciano; perchè faggiamente diffe Eriodo وا T 2 Ka? 148 RagionamentoTerzo 1 Και κεραμεύς κεραμά κοτέα , και τέκτονι τέκτων Και ωχός πτωχώ φθανέα , και αοιδος αοιδώ . Che in lingua noſtra riſuona Al fabbro , è'l fabbro in odia : e'l vafellajo Non puòſoffrir compagno : arde diſdegno Contro un mendico l'altro : el’un cantore Contro l'altro cantor di rabbia freme. Malo per me fermamente credo , che alcra di ciò ne ſia la cagione : e che non tanto per uggia , e mal talento deʼme dici, quanto per mancamento dell'arte medeſima così in certa,e intralciata ,e dubbioſa no poſſan goder mai, ne pa ce ' , ne ripoſo que', che l'eſercitano.Negià in tante, e tan te diverſità di ſentiméti ciafcun'altro meſtiere partir fi fuo le , in quante la medicina ſi parte , ſe già non foſſe , che la filoſofia , e tutte quelle ſcienze , c'han colla filoſofia qual che attacco , o dependenza , alle inedeſime tempeſte del la medeſima ſoggiacer ſi veggono ; nelle quali malagevol molto , e difficile è lo inveſtigar la verità , licome confeſſa no que'filoſofi , e medici medeſimi, che d'haver preſte loa lor pruove , e dimoſtrazioni falſamente ſi pregiano , Nemailetto di ſelva allor , che priva L'arbor difoglie il venta,ha tante fronde quante , e quante diverſe , e diſcordevoli fette ha l'anti ca , e la moderna filoſofia ; o in ciaſcuna ſetta di quelle's quante, e quanto diverſe infra loro fian de parteggiatilo pinioni. Così de'Peripatetici ſolamente , chi non sa quam to li premano , e li rintuzzino iGreci ,egli Arabi , eiLa tini Maeſtri ? quorum fudium , dice un di loro, perpetuum ,ut contradicant, ab aliis femperdiffentiant . Ed a cui non ſon manifeſte le continue , ed oftinate contefe delle dire Peripatetiche ſchiere ancora,che nominali chiamano, creali ? E a tanto giunſe la lor riottoſa oſtinazione , che poco fallò , ch'un dì in Parigi venendo alle mani , nó iſve gliaſſero nella Francia una nuova , e fanguinofa guerra ci yile . Ed infra i Reali medefimi chi potrebbemai, co’TO miſti gli Scottiſti rappartumare? e chi co’Tomiſti i Tomi fti medelimi:econ gli Scottiſti gli Scottiſti ? ma per noi 3 di DelSig.Lionardo di Capoa 149 dipartirci della noſtra medicina, in queſta altro non è egli per certo di tante , e tante diſcordie cagione , ſe non ſe la medeſima malagevolezza del rinvenir la verità delle coſe naturali . E ciò ben’avvisò Galieno medeſimo, ove quel, le parole di Ippocrate va in prima chiosãdo xehosganemi il giudicio difficile : ο λόγG- δ'αν ηκρίσης άη , το κρίνεσθαι παρ' αυτό τα ποιητία .χαλεπος και δυσθήρατός εσιν όγε αληθής , ως δηλόι και το πλήθG- των κατα την ιατρικής τέχνης αιρέσεων •ου γαρ αν άπερ οίον τ' ήν ραδίως ευρεθήναι το αληθές , ας τοσούτον ήκον αντιλογίας αλήλοις οι ζητήσαντες αυτό τοιούτοι τε και τοσούτοι γενόμενοι . 11 giudicio , dice egli , fi è la ragion medeſima : poichèper quella le coſe , che da far fono , fon giudicate. E certamente egli è difficil molto , e malagevole , a rinvenire, Io dico il giudicio vero , il qual manifeſtamente ravvifarfo fà dalla diverfità delle fetre della medicina. Concioffiecofachè le agevol foſſe il xin venir la verità , non ſi ſarebber tanti , e tanti valent'huomi ni , che per imprenderla con ogniſudio ſi ſono affaticati, in colante ſette partiti . Fin qui l'avveduto Greco.Manoi più avanti procedendo ci avviſizmo , il rinvenir la verità effer certamente molto più malagevole , o piùardua imprefa aſſai di quel', che s'immagini , e dica Galieno . Ad inve Aigar di ciò la ragione convien ridurci amemoria , che noi non men , che gli altri animali , poveri , e mudi affatto di qualunque , comechèmenoma contezza delle coſe,naſcii mo ; verità così chiara , e conoſciuta per ognuno, che non le fa d'alcuna pruova meſtiere , e molto ben ad ogniora Iz ravviſiano, e Platone ſteſſo venne coſtretto a confeſſar fa , avvegnachè altra volta faccia ſembiante di tener con truia opinione , dicendo , che'l noſtro apparare altro in vero egli non ſia , ſe non , che un rammentarci quelle co ſe appunto nredelune , che già noi prima di naſcere ſape vaino ; ed imperciò tutte le notizie ſenza fallo conviene , che da noi ſteſſi l'appariamo; ma come, e da cui,non èma lagevol troppo per avventura ad inveſtigare. L'animanoſtra , alla quale , come a parte più nobile , e più principale dell'umana compoſizione, ſolamente con. viene l'apprender le coſe ; ondefolea ſaggiamente Epicar modi 150 Ragionamento Terzo mo dire: la mente vede, la mente ode, l'altre coſe tutte fon forde , e cieche ; l'anima noſtra lo dico , comechè in corporca forma , ed inviſibile ella fia , in sì fatta guiſa no dimeno unita , ed avviticchiata , per così dire, ella al cor po ſi ritrova,che ſe queſto dalle ſenſibili coſe di fuora toc co , emoflo ad eſſer mai viene , varj , e varj penſamenti in effa egli è valevole a ingenerare ; c ciò avvicne qualunque ora elleno toccano ,e muovono le fibre de’ncryi , le quali a guiſa di fila ſottiliflime di ſeta trapunte in ricamato pan 10, {parce per tutto ilcorpo ravviſanſi, e che queſte poi avvalorate da un diſcorrente , e ſottil licore , gli avvti mo viinenti alla prima loro origine riportano nel cerebro principal ſedia dell'anima , ove quella il comprende, o per me dire ſente . E le fibre poi col venir variamen te premute da quelle parti del corpo , che ſi chiamano organide'ſenſi, ecoltorcerſi, e col piegarſi in varie, ed in varie maniere sì , e tal mutamento ricevono ne pori, enel ſito delle lor particelle , che da loro , e dalla diverſità de li ſenſibili oggetti di fuora la diverſità del comprendera , o fia de'ſenſi,ncll'animna procede . Quinci ſcorger ſi puore , chei ſenſi ſono quelli , per li quali non altrimenti , che per le fineſtre liz luce , entrano nell'anima le prime contezze delle coſe, e da queſte ella poi altre , ed altre contezze col mezo del diſcorſo tracndo , tratto tratto ſe ne viene ad arricchire ; ma come, e dove ſi riſerbino l'acquiſtato notizie , e come l'anima l'abbia più , o meno pronte, quae do valer ſe ne vuole , e come per ſe ſteſſe talora all'anima firappreſentino , è malagevoliſſimo ad inveſtigare ; ne queſto propoſito più che tanto appartiene forſe a noi il fa perlo . Ed al ſentir dell'anima ritornando, lo dico libera mente , e confeſſo , che i ſenſi nc ſe medelimi , ne l'anima mentir non poſſono gianmai; inperocchè i ſenſi le im preſſioni degli eſterni ſenſibili oggetti mai ſempre tali all' anima rappreſentano , quali eſſi appunto le ricevono, fen za curare, o prenderſi d'altro brigi. Verità , la quale non ſo lo come de'peripatetici le ſcuole col maeſtro Ariſtotile abbiano ofato negare;cocioffiecofachè ſe nella maniera , la qui Del Sig.Lionardodi Capoa. 151 quale effi fingono andaſſe la faccenda, ogni fabbrica di no Itro diſcorſo certamente a terra ne verrebbe, come faggia mente avviſa quellaltilimo filoſofante , e poeta latino: .. Vt in fabrica ſipravaſt regula prima:“ Normaque fi fallax rectis regionibus exit: Et libella aliqua fi exparte claudicat hilum : Omniamendose fieri :atque obſtipa neceſ umft: Prava : cubantia : prona : Supina: atq; obfona tecta Iam ruere ut quædam videantur velle: ruantq; Prodita judiciis fallacibusomniaprimis. E ſe i ſenſi mai poteſſero una ſol volta , o ſe , o altri ingão Nare , ſi toglierebbe via certamente dal mondo ogni con tezza , ogni giudicio , ogni fede ; e non per altro in vero gli antichi Padri della Chieſa così acerbamente ripigliaro no i filoſofanti d'una sì erronica , e ſciocca dottrina : Re cita Ioannis teftimonium , dice Tertulliano , quod audivi. mus ; quod vidimus oculis noſtris , quod perfpeximus, ma nus noftræ contrectaverunt de verbo vitè falfa utique teſta -tio fi oculorum , aurium , & manuum fenfusnatura mer titur . Ma a chi mai ricorrer ſi dovrebbe per conoſcer, ed ammendare i fallimenti di ciaſcun ſenſo ? ad altro forſe ? certamente no; imperocchè dell'uno non meno l'altro ſen ſo farà ſoſpetto difalſità , e d'errore; ſi chiederà forſe aju to agli altri ſenſi tutti : manon ſono queſt'altri ancora ſom ſpetti di falſità ? o ſia una , o ſieno più le perſone , che ne deano teſtimonianza , nulla importa,fe di eſſe tutte è dub biofa , ed incerta la fede . O forſe, come Ariſtotele ſi per Snade , gli errori de'ſenſiconoſcerà la ragione ? ma come potrà cio mai eſſa fare , fe per avvederti dell'error d'un ſenſo , ad ammendarlo , dineceſſità le fa meſtieri fervirſi dell'opera d'un'altro ſenſo , e di notizie , e di regole col me. zo de'ſenfi parimente avvte . A queſte, e ſimili malagevo lezze ponendo mente peravventura Ariſtotele , ne aven do altro rifugio dice, che ben può la fagione giudicare del l'error d'un ſenſo colla ſcorta d'un'altro ſenſo , il quale abbia però più ben fatto , e ſquiſito l'organo ; e fi ſerve egli per ciò dimoſtrare dell'eſemplo dell'anello , il quale mello و IS2 RagionamentoTero meſlo ſenza frámettervi ſpazio notabile ditempo, or nel l'uno , or nell'altro dito della inano appare al ſenſo del tatto non uno , ma due eſſer gli anelli ; il quale per error del tatto vien ſecondo lui avvertito , ed ainmendato dalla ragione col cõſeglio del ſenſo della viſta: l'organo del qua le è più eccellente di quello del tatto . Ma a chi per Dio un sì fatto riparo vano non ſembra; poichè quancunque l'eccellenza dell'organo perfetta aſſai , e compiuta ſia , nó ſarà mai valevole ad operare, che quel ſenſo non men degli alori non vada ingannato . E per valermi del medeſimo p · lui rapportato eſemplo del ſenſo della viſta, non s'inganna queſti , ſecondo cheporta opinione il medeſimo Ariſtote. le , ne'colori dell'Iride , e delcollo della colomba; anzi ſe poteſſero mai i ſenſi ad alcuna forte d'errore ſoggiacere , fi ritroverebbe per tale , che ben ſottilmente vi badaſſe, affii più agevolmente ad errare il ſenſo della viſta , che tutt'al tri ſentimentiincorrere . Ma lo forte mi maraviglio poi , come non avviſaffe Ariſtotele , che ſoventemente l'errore del ſenſo , che ha più eccellente l'organo , da un'altro fen fo , di cui l'organo è aſſaimeno ſquiſito conoſcaſi , e cor reggafi; comeincontrarſuole nelremo dentro dell'acqua, ove l'organo della viſta dal toccamento vien ricreduto, e ciò lo dico favellando fecondo i ſuoi medelimi ſentimenti. E alla fine domáderei ad Ariſtotele, ſe i ſenſi de'quali egli intende doverſi la ragione ſervire per riprovar altri ſenti menti , ſieno anch'eglino tali , e ſe tali pur ſono , perchè cglino ancora non potranno eſſer fall? adunque mai potrà giudicar la ragione appiccata allc lor pruove , c certamen te mal può convincer perſona di falſità quel Giudice , al quale convenga dineceſſità valerſi di teſtimoni ſoſpetti. E a ciò riguardando forſe Ariſtotele con la ſua uſata poca fermezza in alcun luogo dice , i ſenli non potere in modo alcuno errare, cche ſia debolezza d'intelletto i ſenſi per la ragione laſciare. Ma quantunque non poſſano iſenſi , ne ſe , ne altri in gannare , non però di meno poſſono molto bene allo in telletto , cui propianente il giudicar s'appartiene , effer 1 cagio Del Sig.LionardodiCapod. 153 cagione d'errore , e d'abbagliamento ; ecomechè poffafig avventura l'inganno , o l'errore ſchivare col non precipi tar coſto ,e inconſiderataméte il giudicio, ma ſoſpedédolo, e ritenédolo finattanto che fiarrivi a quell'evidéza de’sē timenti , tanto , e tanto celebrata per Epicuro : tutta fia ta ,perciocchè ne in tutticorpi,ne in ciaſcuna particella di quelli, tra per la lor picciolezza , e per altro impedimento egli non è a'ſenſid'internarſi , e di profondarſi conceduto, e quando ben loro ciò venga permeſſo , ne men altro egli no certamente comprender ne potráno ſe non ſecotali im preſſioni ſolaméte,che da quelliricevono , pchè no già mi ga i corpi, ma qualche operazione ſolamēte de'corpi vien loro ad eſſer manifefta ; ma la ragion poiè quella chedal le varie , e varie operazioni de'corpi , varie , e varie core alla natura lor pertinenti imprende ad inveſtigare. Ma pera ciocchè dell'operazioni medeſime, che per li ſentiinenti s'avviſano , varie , e diverſe eſſer poſſono le cagioni , e nel trarne argomento vezzoſa talora , e ingannevole loro ſi fa davanti Falfa di verità ſembianza , e larvä, agevolmente la ragion vi s'inganna, giudicando fallaces mente ,da tale cagione un'effetto naſcere,che da altra cer tamente avviene ; e come già cantò l'Ennio noftro Ita liano : Veramentepiù volte appajon coſe, Che danno a dubitar falſa matera Per le vere cagion , che ſono afcoſe, così s’alcun dicelle, che l'oriuolo collo ſtelo , e colmare tello tratti da contrapeſi,e da ruote,n'additi l'ore del giore no , vero per avventura egli direbbe ; ma non mai potreb be certaméte affermarlo,potendo altri ed altri ſtrumentila medeſimacoſa operare . Perchè ciaſcun fillogiſmo, che intorno alle coſe naturali formaſi,probabile ſolamente ef ſer può , non già dimoſtrativo , ſe pur toglier non nevo gliamo alquanti ben pochi, che da quegli effetti ſi dedu cono , i quali d'una ſola , e certa cagione poſſono avveni re ; ſicome per avventura farebbe il dire, dover eſſer ne V ceſke 154 Ragionamento Terzo ceſſariamente corpo ciò , che gli organi de'ſentimenti ne muove ; concioſliecoſachè la coſa, che muove, a ciò fare è ben di meſtier , che tocchi; e'l toccamento , ſalvo che da corpo ,non ſi può incontrare: perchè ſaggiaméte Lucrezio: Tangere , vel tangi , niſi corpus, nullapoteſt res. Così ancora , che'l corpo mentre egli è dimenſionato poſſa in parti parimente dimenſionate eſſer diviſo . Che tra uno, &altro corpo eſſer nó pofta altro di divario,ſalvo , che nella grandezza , nella figura , nel moviinento, nel l'eſſer diviſo in parti, o non divifo, e nell'aver le parti ol tre alle già dette vario il ſito, e l'ordine tra di eflo loro ;co ciofliecoſachè altro di queſto non poffa, ne al corpo, ne al le parti , nelle qualiil corpo ſia diviſo , avvenire . E però è da dire , la diverſità , che così grande eſſer noi veggia mone'corpi dell'univerſo , altronde certamente non pro cedere , che dalle coſe già dette , che'l calore , la freddez za , la ſaldezza , il diſcorrimento , icolori, ei ſapori tutti , cd altre ſomigliantiqualità , le quali a noi parc , che nc corpi dell'univerſo ſieno jaltro verainente non ſieno , ſe non ſe ,o l'accennate coſe : ſe veramente elleno ne'corpi ſono : e ſe ſono in noi, cffetti di quelle , o per me' dire de' corpi per quellemodificati . Maqueiti ,e ſomiglianti argomenti ſon così pochi , e generali, che per lor non ſi può al vero conoſcimento di quelle particolari cagioni pervenire , ove ſenza fallo, del 12 natural filoſofia il pregio tutto è ripoſto . E ciò sì bene fu conoſciuto al principe di tutti greci filoſofanti Demo crito , ed a molti ancorde’ſavjantichi, che perciò in ap portando le cagioni delle naturali apparenze, delle fole probabili ragioni s'appagavano; e ſaggiamente il Padre de Criſtianifiloſofi Agoſtino il Santo ebbe a dire:latet ve rit atis quærenda modus; e'l gran Galileo de Galilei , che tanto abbiun veduto a’dì noſtri gir dentro alle ſecrete coſe delle ſcienze, che al parer del dottiſſimo Obbes : Primus aperuitvobis Phyfica univerſaportamprimam : pur dir ſo leva eſſer pochiuimicoloro , che qualche particella di filo fofia ſi ſappiano , e Iddio ſolamente ſaperla tutta , eche quan Del Sig.Lionardo di Capod. 155. * quanto più in perfezione monterà la filoſofia , tantomeno merà il novero di quelle concluſioni, che da quella dimo ſtrar ſi fogliono. E'l celebratiffino fondator della peripa tetica ſcuola , avvegnachè talvolta d'altro ſentir faccia veduta , pur tanta forza ha la verità , che gli potè purc al la fine una volta trar di bocca , e far apertamente confer fare , eſſer la noſtra mente alle coſe più manifeſte della na tura , qual'occhio di notturno augello a'rai delSole ; e 'altrove , che diquelle coſe , che ſono a’noftri ſentimenti naſcoſe allor baſtevolmente d'aver ragionato penſar dob biamo , quandoſecondo il diritto della ragione provevol mente , come eller poffino ne ragioniamo. E quel Fio rentin filoſofo , c poeta fa , che ſecondo il ſentimento del la ſua peripatetica ſcuola la ſua Bice gli dica , e facciagli a ſapere . dietro a’ſenle Vedi, che la ragion ha corte l'ali . E innanzi parimente avcagli colei detto : Erra l'opinione de'mortali Ove chiave di ſenſo non differra . Ma non penſaron mai, licome far certamente doveano , o pure il naſcoſero , e Dante , ed Ariſtotele, le naturalico ſe eller a' ſentimenti, non perla lontananza ſolamente de gli oggetti, ma per altro ancora vietate , e che noicolsé ſo non già le coſe , ma ciò , che in noi le coſe operino ſo lamente comprendiamo. Verità aſſai ben penctrata da quegli antichi ſavj , che diſſero appo Aulo Gellio : (1)om xes omnino res, que fenfushominum movent são osis , cioè a dire , come egli ſpiega : nibil eje quicquam quod ex fefe conſtet , ncc quod habeat vim propriam naturam ; fed om nia prorſum ad aliquid referri:taliaque videri effe,qualis fit. eorum ſpecies, dum videntur: qualiaque apud fenfusnoftros, quopervenerunt creantur,non apud fefe, unde profeeta sunt. Ma a che più da filoſofi ,eda’Poeti mendicar teſtimonian zein coſa cotanto manifeſta , la qual dalla verità medeſi ma ne fu ſpiegata per bocca del ſapientiſſimo Re Salamo V 2 ( 1 ) lib.iLcap.i . ne : 0 m I56 Ragionamento Terzo ! ne : Omnibus, quæ fiunt fubfole hanc occupationem pesſimam dedit Deus filiis hominum , ut occuparentur in ea . Intellexi quod omnium operumDei nullam poffit homo invenire ration nem eorum quæ fiunt ſubfole , & quanto plus laboraverit ad quærendum tantò minus inveniet . Etiam fi dixeritſapiens ſe ea noſſe ,non poterit reperire. Or qual contezza dunque aver mai potrà la incdicina intorno alle coſe a ſe appartenenti,ſe quelle medeſime fo no , ove s'intralcia , e s'inviluppa maggiormente la filoſo fia ? Ne in ciò la medicina , dalla filoſofia è differente , re non fe quella in più largo campo forſe va ſpaziando, e nel la contemplazion ſolamente , o ſemplice diſcorſo s'acche ta : e queſta ha per ſuo fine, e berſaglio il porre in opera• Perchè ſicome la filoſofia , la medicina ancora di pochili me coſe naturali conoſcer douraſi , e quelle forſe poco, o nulla al medicar ſaranno acconce : intanto , che non ſap piendole non è gran fatto per huom da curarlene. Ma per diſcendere in qualche particolarità,e far quãto più ſi pof fa una tal verità manifeſta : non vi par’egli , o Signori , che alla medicina ſovra tutt'altre cofe farebbe di meſtierc,che gutte le parti liquidc, e ſalde del corpo umano, e l'aficio le facoltà, e la natura ne foſſero interamente manifcfte? or dove mai ne fa ſcorta la coſtruttura dello ſtomaco , degli inteſtini , del fegato , della milza, delle reni, della veſcica, del pulmone , del cuore , delle glandule , le quali ſparte per tutto il corpo poco men che innumerabili fono , ele più di effe di canta picciolezza,che fenza l'ajuto del micro fcopio non ſi poſſon raffigurare , per tacer d'altre , e d'al tre parti ; e quantunque a tal ſegno di perfezione eller giunta a'dì noſtri veggiamo la notomia , che nulla più : nientedimeno non ſi è egli potuto , ne men ſi potrà giam mai camminar ſicuro , ne determinare , ſe non ſe pochiſſi me coſe intorno all'ammirabile magiſtero de' corpi degli animalized agli uficj,ed alle operazioni delle parti di quel li.Ed a dir liberaméte il vero , licome avvenir noi parimen te veggiamo , in tutt'altre partidella filoſofia , e della me dicina dopo tante induſtrie, e fatiche durate, e dopo tan . ti ſparti ! Del Sig.Lionardodi Capoa. 157 ti ſparti ſudori per cotanti valent’huomini,altro alla firms non ſi è arrivato a ſapere,ſe non fe altrimente in verità an dar le coſe di quel , che s'avviſavano , e davano a noia divedere gli antichi; e comechè gliocchi de’modernino tomiſti dal microcoſpio avvalorati poco men che lincei fie divenuti , eche eziandio colla ſcorta dell'avveduto Bilſio apparato abbiano a fchivare alcuni intoppi aʼnotoiniſti de' vivi animali , per l'addietro inſuperabili ; impertanto non poſsono in modoalcuno nelle menomiſfime particelle pe netrare , le quali ſe non vengono ben ſottilmente avviſa te , e ad unaad una diligentemente conſiderate , Io non ſo in qual modo ſaper fi pofsa la fabbricazione,e la coſtruttu ra delle parti maggiori, che ſenza fallo di quelle compo fte, e formate ſono . Perchè egli avvien ſovente ,dover noi in sì fatte bifogne camminare al bujo , attenendone ſola mente a troppo deboli , e incerte conghietture , e per cal. laje inviluppate andando . La inalagevolezza inedeſimi, anzi maggiore vienſi ad incontrar poi negli uficj e nell'o perazioni dieſſe parti ; e quel configlio, che porger ne puote in sì fatte traverſie il vital notomiſta , fia pur detto con pacedel Valentino , del Paracelſo , c dell'Elmonte , quantunque grande , ofere ognicredere egli ſi paja , e che torno d'ogni briga magnificamente ne prometta , fovente ſuole, per la malagevolezza eſtremadella coſt, ſcarſo , e debole molto riuſcire , e talvolta anche in tutto inutile ; il che da non altro certamente naſce , ſe non ſe dalla troppo fquiſita, e dilicata finezza del lavorio de ' corpi degli ani mali . Ma della fabbrica del cervello cotanto intralciata,e ma ravigliofa , Dio buono, che han potuto giammai, o gli an richi, oimoderni Notomiſti di certo raccorre ? non è ſta ta egli ogni lor fatica inutil ſempre,e vana , facendovi ma la pruova la loro induſtria , e’l loro ſtudio ? Egli ſono le fi bre , che'lcervello compongono , così minute, e ſpeſſe , e ſottili , e sì la for teſſitura , e reticulazione è dilicata , e la lor ſoſtanza molle , che a volerle ben partire fenza riſchio di romperle , o di perderle , inalagevole anzi impoſſibile : ogni 158 Ragionamento Terzo ) ogni impreſa rieſce . E sì, e tanto egli è ſpinoſa , ed intri cata, che'l gran Renato delle Carte reſtādovici anche egli tutto inviluppato , e preſo, ragionevolméte quell' huom, ch'egli compoſe per molti valenc'huomini vēne propiamé te idcale, e ſuo luomo appellato . Ma ſe tanto avvien del. le parti grandi del corpo perciaſcun vedute , che farà cgli da dir poi delle picciole , inolte , e inolte delle quali ha forſe la natura a nobiliffmi uficj, ed operazioni deputate ? eci ha alcune di eſſe parti cotanto menome , e ſottili , che non ha mano cosìſcaltra , ed avveduta , che poſſa ſperar di venire a capo di dividerle co'l ferro giammai. E altre vi fono più ſottili aſſaile quali appena per la lor sóma piccio lezza ſi poſſono col più fino , eſottile microſcopio ravvi fare ; E di queſte ancora vi ſono altreminori , e quaſime nomillime linee , nelle quali inutile ſi prova ogni arte , vano ogni ſtrumento per ravviſarle . Ma chi mai potrà le particelle del ſangue darne piena mente ad intendere , le quali ogni chimico ritrovamento per farne notomia vincono ? Chiquelle del ſugo nutritivo , della linfa , del licor pancreatico , dell'orina,del fiele ,del la mucilaggine, che veſte le membrane, detta dal Paracel . ſo finovia , e d'altre , e d'altre diſcorrenti ſoſtáze del cor po delle qualiinfin’ad ora nulla ſe ne fa , ne ſe ne potrà giammai per avventura per huom ſapere, comechè ſcorto, e diligente nel meſtier del far notomie egli fia . E chi finalmente aggiugnerà a capire , ſe non ſe per in certe , e fallabili conghietture , o la grandezza, o la figu ra , o'l lito, o'l movimento di quegli inviſibili corpicciuoli, che ogni inenoma particella delle falde , e delle liquide parti del corpo dell'animale compongovo ? E ſe ciò all'u mano ingegno è naſcoſo , come potrà egli mai paſſar oltre a-ſpiarne le facoltà, gli uficj, e l'operazioni , e tute'altre biſogne , che di neceſſità all'economia degli animali s'ap. partengono . E come ravviſar mai potrafli , da chi , ed in qual manie ra s'ingencri il Chilo , e comc, e per chi a cambiar ſi ven ga in ſangue , e coine il ſangue ad ogni ora in tante, e tan te mae DelSig.Lionardo di Capoa 159 te maniere ſi muova, e mai ſempre caldo ſe ne ſtea, e ten ga in vita i membri tutti dell'animale , e come ſi faccia il ſenſo, e'l moto: e cante, e tante altre operazioni,le quali non ſappiêdoſi, ne men certamente conoſcer fi potrebbono gli ſtravolgimēti di eſſe,cioè a dire le malattie e queſte igno rādoſi,come poi ſi potranritrovar certieſicuri argomenti da riſanarle ? Ma per darvi anco qualche ſaggio dell'incer rezza degli antivedimenti de'medici , ſe non ſi fa , ne può ſaperſi giammai coſa , che certa , e ſicura ſia dell'orina , e de polli ,chi può indovinarmai, per Dio , non che ſalda mente ſapere, tutte quelle cagioni , per le quali eglino , malimamente ipolli, anche in un momento ſpeſſo ſpeſſo variando, così ſtranamente ſi cambjno ? che direm poi de gli altri ſegnali della medicina , onde argomentar parimé. te ſogliono imedici le malattie , e le cagioni di eſſe non meno de’polſi, e dell'orina , anzi aſſai più di queſti talora incerti , e fallaci ? Certamente non mai potrà compren derſi perloro la qualità del inalore , e la cagione argomé tare. Ed ebbero ſenz'altro il torto di sì fatti ſegnali cotá to millantare i greci maeſtri, ſpezialmente Galieno, come ſi può ſcorgere , per tacer d'altre ſue opere , in quellibro, ch'egli a Poftumo intorno a tal materia ne ſcriſſe; che lo per me credo , che quelle , che a forec loro ne riuſcirono , certamēte colcarbon bianco ſi ſarebbon potute ſegnare . De'cibi , e de’medicainenti, e delle loro facoltà , e valore nulla certamentenemen potrà ſaperſi, nonſolo per defimi, ma per quel, che poſſano nel corpo umano opera re . E comechè i Chimici più che tutt'altri d'aver delle già dette coſe più pieno conoſcimento giuſtamente vantar potrebbono ; pure quel che ne fanno riſpetto a quel che rimarrebbea fapere è poco , anzi nulla . E ſon di vantag gio tutte le pruove non altro , che probabili , e poco ſalde conghietture ; perciocchè , non ſolamente imcitrui(liami pur lecito al preſente uſar termini dell'arte ) ma l'aria an cora , e'l fuoco , e ivaſi, e tutt'altri ſtrumenti , che vi s'a doperano, ragionevolmente d'errore , e d'inganno pofſon render ſoſpetta ognilor più diligente , e accorta notomia, ſe me 1 con 160 RagionamentoTerzo ne ſeco conmeſcola per entro a'corpi, che ſi dividono qualche lor particella , che magagni , emuti la lor compleſſione i E mallimamente l'aria, in cui tanti,e sì diverſi corpicciuo li diſcorrono ; i quali dalla terra , e anche altronde melli fuora , e infra quelle monome particelle del corpo diviſo per avventura meſcolandoſi , agevolmente le potranno in altre cambiare. E'l fuoco d'altra parte introducendovial cune di quelle particelle , licvi , e ſottili , che rubate ad altri corpi ſuol con leco ſempreportare ; o pur portando per li pori del vaſo le medelime particelle delcor po del quale ſi fa notomia , e maſsimamente le più nobili, ele più operative , che in eſſo dimorano : comechè la boca ca del vaſo ſia bene, e come dicono, ermeticainente turata ; o purcolla ſua forza nel digeſtire , e nel formentare , e nel lo ſceverare,ch'egli fà le particelle del corpo , del qual li fa notomia , diſponendo altramente quelle , e altramente meſcolandole , e dando lor movimento , per nulla dirdel. la grandezza , e della figura loro per eſſo diverſamente cambiate . Perchè fe tante , e tante cagioni poſſono alla fotomia delle coſe intervenire,come potrà egli mai ilChi mico notomiſta co'ſuoi argomenti vantuti dipienamente , conoſcerle : Anzi tanto egli ne ſaprà meno, quanto mag giormente faticandovil'havrà guaſte, e ſconce. Adunque ſe vaniancora , e infruttuoſigli avviſi , e gli argomēti de'più intimifamigliaridella natura ci rieſcono; e ſe nulla approda la più diligente , e ſottil notomia delle coſe a ſpogliar dalle dubbietà , e dalle incertezze la noſtra Medicina : Io per mè non ſaprei qual conſiglio prender mi doveſſi a dichiarirla dalle ſue nubi . Ne è da tralaſciare a queſto propoſito quanto agio s’a veſler preſo i Medici filoſofantidall'incertezze della me, dicina a ragionar ſovente , e piatir nelle ſcuole or d'una , or d'altra parte, più per vaghezza d'ingegno, che per amor della verità , difendendo tutte opinioni, ed ove lor con cio vi ene , giudicando non altrimenti che quel ſottiliſſimo filoſofante Pittagora faceaveder della filoſofia de omni re pervalermi delle parole di Seneca ) in utramque partem diſpu 1 1 Del Sig.Lionardodi Capoa . 101 difputaripoleexaquo.Perchè nõ è da maravigliare, ſe Dica nilio Egeo prendendo a difender cento contrarie opinioni in altrettanti capi partite , diede a diveder manifeſtamente l'incertezza di cotal arte . Il primo capo delle ſue conte ſe ſiè,che egualméte dal padre,e dalla madre fiinādi fuo ra il ſeme a ingenerar gli animali. Il ſecondo , che non d'ambedue ſi mandi. Il terzo, che ſi mandi da tutto'l cor po . Il quarto , che iteſticoli ſolamente v’abbian parte . Il quinto , che'l cibo nello ſtomaco per opera del calor ſi (maltiſca. Il ſeſto , cheno . Il ſettimo, che ciò ſia per lo ſuo sfacimento , e ſtritolamento . L'ottavo , che no . Il nono ,che ſia dalnativo fpirital calore . Il decimo , che no . L'undecimo , che per lo corrompiincnto del cibo fia . Il duodecimo , che no. Il tredecimo , che avvegna per propietà de' ſughi. Il quartodecino, che no . Il quinde cimo , che il calor natio a qualità s'appartegna. Il ſede cimo , che no . Il diciaſettefiino, che per lo calore avve gna la digeſtion de'cibi. Il diciaotteſimo, che no . Il di ciannoveſimo , che la diſtribuzion de'cibi lia per attraimé. to di calore . Il venteſimo , che no . Il ventuneſimo , che dagli ſpiriti la digeſtion ſi faccia . Ilventidueſimo, che no . Il ventitreeſimo cheper opera dell'arterie ſi digeſtiſca Il ventiquattreſimo, che no . Il venticinqueſimo, che ciò ſia permancamento a vuoto accompagnato . Il venteſimo feſto , che non per ogni mancamento eglilia . Il venzette. fimo, cheil glauco degli occhi per mancanza d'alimento al condotto viſivo s’ingeneri. Il ventotteſimo, che no. Il ventinoveſimo , che quel naſca per diſcorrimento di fan , gue nelcondotto vilivo . Il trenteſimo , che no . Il tren tuneſimo , che dalla graſſezza degli umori , e dalla eſala zione ſi faccian gli occhi glauchi. Il trentadueſimo, che no , Il trentatreeſimo , che la freneſia dal diſtendimento delle membrane del cerebro , e dal corrompimento del ſangue fi cagioni . Il trentaquattreſimo,cheno . Il trentacinque fimo , che per ſoverchianza di calore ella non avvegna . Il trentelimo fcfto, che no . Il trenzetteſimo, che per infiam magione ella ſia . Il trentottelimo , cheno . Il trentano X volimo, : 162 Ragionamento Tero 1 1 velimo, che da infiammagione ſi cagioniillecargo. Il qua ranteſimo, che no . Il quarantuncfimo, che per diſtendi mento , e per corruzione egli ſia . Il quarantadueſimo che non già per ſoverchianza , ma per la qualità dell'eſa lazione avvegna. Il quarantatreeſimo che la fames e la fere ſia di tutto il corpo . Il quarantaquattreſimo, che, dallo ſtonxaco folamente provenga. Il quarantacinqueſia mo , che ſia ſol nel penſiero , e nell'immaginazione . !! quarantefimo feſto , che la ſete per diſſeccamento s'accen da . Il quaranzetteſimo,cheno . Il quarantotteſino, che nello ſtomaco due diverſe operazioni ſi facciano . Il qua rantanoveſimo , che no . Il cinquanteſimo , chedalla pelli cella dentro dal cerebro traggano il lor principio i nervi . Il cinquantunelino , che'l traggan da quella di fuora . Il cinquantadueſimo, che le parganti medicine operino per lo corpo fpargendoſi. Il cinquantatreeſimo, che colloro fcorriincnto folamente , ſenza fpargerſi vuotino . Il cin quantaquattreſimo , che da uſar fieno purganti medica nienti. Ilcinquantaciirquelimo, che no.Il cinquantefimo fefto ,cheda ſegnar fia . Il cinquāzettefimo , cheno . Ilcin quattrotteſimo,che ſia da dare a febbricoli il vino. Il cinquá sanoveſimo,che no . Il ſeſsãtefimo,che adoperar debbano il bagno. Il ſeſsātnneſimo che no.Il feſtancaduelimo,che nell' accreſcimento de’nrali fia da far if crifteo agl'infermi. Il fola sātatreclimo che no.Il feſsátaquattrefimo, che in ſu’l prin cipio delle malattie fan da uſar leunzioni. Il ſeſsátacinque fimo,che no.I)fefsātefimo fefto ,che nella teſta poſſanoado perarſi i cataplaſini. Il fellazettelimo , che no ; ma ſola mente vi li debbano porre coſe odorifere . Il feflantotteli mo,effer giovevoli quelle coſe , che muovono a vomito . Il fefsancanoveſimo , che no . IHfettantcfimo , che dal cuor fi dirami al corpo ilſangue . Il fettantunelimo , che no . Il ſettantadueliino,che gli fpiriti dal cuorfi mandiitos ne dall'arterie ſien tratti . Il fettantatreeſimo , che no . Il fettátaquattreſimo,che da per ſe il cuor ſi muova.Il ſettan tacinquefimo , che no . Il ſettantelimo ſeſto , che l'arterie per lor natura ſieno ſtanza del ſangue . Il ſettanzetteſimo , che 1 Del Sig. Lionardo di Capoa 163 che no. Il ſettantotteſimo, che tuttii vali che ſopraſtano, e gonfiano , fieno ſemplici. Il ſettancanoveſinio , che i ricettacoli ſieno invoglie inteſſure. L'ottantelimo, che per mezzo de'nervifacciali il ſentimiento , el moto . Lottan tuneſimo , che no . L'ottantadueſimo, che'lcuor fia prin cipio delle vene. L'ottantatreeſimo,che no. L'ottantaquat trelimo, che ſia il fegato . L'ottatacinqueſimo , che no . L'ottanteſimo ſeſto che ſia il ventricolo . L'ottázetteſimo, che no . L'ottantottelimo, che tutti i ricettacoli ſi dirani no dalle pellicelle, che veſtono il cerebro. L'ottantanoveli mo , cheno . Il nonanteſimo , che'l pulmore ſia priucipio dell'arterie . Il nonantunefiino , che no . Il nonantaduefi ſimo , che quell'arteria , la quale ſta preſſo alla ſpina , ſia di tutt'altre arteric capo. Il nonantatreeſimo , che no . I nonantaquattreſimo , chedal cuor naſcano tutte larteric . Il nonantacinqueſimo, cheno . 11 nonanteſimo feſto , che dalla membrana del cerebro traggano i nervi origine, non già dal cuore . Il nonanzcttcrimo , che no . Il nonantot tcfimo , che non nel cuore , ma nella teſta la potenza it tellettuale dimori . Il novantanoveſimo , che nelcuore . Il centeſimo , che nel ventricino del cerebro ella ſia . Ma di cotante rivolture , e mutamenti d'opinioni, e di ſentimenti certamente egli non è da maravigliare, ſe tanto forſe avrebbe ancor fatto Galienomedeſimo , ove in con cio gli foſſe venuto . E di ciò egli ſteſſo ne' ſuoi libri ſi vā millantando ſommamente di poter improvviſo cial cuna ſerta dc'medici de' ſuoi tempi a buona ragion difen dere . Perchè ſe dir non vogliamo , eſser egliſtato Galie no un riottofo giuntatore , o berlingatore ſofiſta , che co' ſuoi fiſicoſi aggiramenti per diritto , e a torto il tutto a di fender togliendo , uccellar n'aveſſe voluto, convien di ne ceflità affermare , ciaſcuna ſetta de'ſuoitempi anche ſeco do il ſentimento di lui eſsere Itata igualmente ragionevo le ; e conſeguentemente a niuna certezza eſſer la medi cina appoggiata . EccmechèGalieno ciò dimenticando vanti fovente di poter far pruova de'luoi detti, avendo sé pre in lor concio nuove diinoſtrazioni ; non però di meno X 2 (il ci ta , 7 164 Ragionamento Terzo il dirò pur con buonapace di lui) le ſue millanterie row vente ſogliono in vaniſimo vento riuſcire. Anzi egli me deſimo dimentendoſi talvolta , e in più luoghi contaſtan doſi, ne fà della fua beſsaggine , e della fua poca fermez za avvedere . Quid enim , dice di lui ſtizzoſamente gridan do il Giuberti , quid enim in Galeni fcriptis frequentiusoc currit , quàm ipſumplerumque videre, quod alibimultis ra tionibus fueraidemolitus,id conſtantiſime afferere ? ERi nieri de'Solenandriznon men delGiubcrti della dottrina di Galieno intendentiſſimo, così parimente avviſollo . Gale nus , quiuberrimo ingenio fuit , ca oratione liberali ferè prodigus , innumeros propè confcripfit libros: in quibus rerü, &dogmatum multitudine plurima ſuntdiſcrepantia , nec fo bi ipfis conſentientia ; quafi quis attentè cum judicio legit ,fi quis diligenter in unum colligit , ingens chaos agnoſcit. Ma lo dirò di vantaggio ( il che non mi ſarebbe per av ventura peralcun creduto, ſe con l'autorità del medeſimo Galicno Io non gliene facelli certa , e ben falda pruova ) che ſe ancor la medicina foffe dattanto , che a ſaper dicer to molte , e molte di quelle coſc aggiugneſſe , le quali per addietro dicemmo eſſer di quelle ,chein quiſtion cadono tutto'l giorno , e più altre affai: ne meno alla ſicura nell’o perar ſarebbe ; abbiſognado a tale effetto, ſecondo Galie no , che molto bene in prima la propria natura , e com plexió di colui ſi conoſceſse, il quale ſarebbe da medicare. il che ſecondo, che cgli medeſimo apertamente confeſſa , non ſi può per partito alcuno baſtevolmente giammairav viſare , Ma ſe sì poco da noi in medicina per la ſua dubbiezza è da avere a capitale la ragione, non però dimeno e'non creda alcuno , che ſicura nc fia la ſperienza ;anzi per mag giormente incerta, e dubbioſa più avanti per noi ſarà mo Itrata . Perchè ſeguiranne poi ſicuramente , che non purla sagione dalla ſperienza accompagnata,valevol ſia a render certa , elicura la medicina ; concioffiecofachè verifimile a veriſimile accozzádo ; e no certo a non certo, e per lunghi argométise pruove che vi ſi aggiugono, non potrà mai, che I cer DelSig. Lionardo di Capoa 105 .1 } certa , e incontratabil fia , ſicuramente riſorgerne. Magià ſi è per queſte , e per altre coſe addietro diviſa te veduto a baſtanza , e con quanta diligenza per noi li è potuto la varietà delle ſette della medicina, e le diverſe ; e ſoventi fiate contrarie inaniere del medicare , e la varieră dell'opinioni , che fra’mnedicanti di tempo in tempo ſono venute in sù , non da altro, che dalla grandiſſima incertez za dell'arte pervenire ; egli forza fit, ch'al preſente fati gi per noi ſi duri in eſatninar le letto della medicina come già proponemmo , ed intorno a quelle i noſtri fenti menti ſpiegare ; quantunque a chi attentamente voleſse alle parole, che fino adora di tutta la medicina breveme te abbiam fitto , riguardare, non farebbe forſe meſtieri più diſtintamente diviſargliene , potendoſi ognuno a ſuffi cienza accorgere , ſe giammai un'arte così dubbiola , in coſtante , ed incerta poſſa avere in ſe dottrina , o principi tali , che su vi poſſa huom porrealcuno ſtabile fondamen to , e ſicuro . Ma per dar cominciainento dalla volgare Empirica , chiamata imperfetta , è ella certamente la più copioſa, c abbondevol di ſeguaci, che tutt'altre ſchieredi medicina unite inſieme, e rannodate fi vantino giamnsai d'arrollare ; infanto , che dir potrei, come ad altro pro polito il noſtro lirico, Non ba tanti animili il far fra l'onde, Ne lafsio fupra'lcerchio de la lung Vide mai tante ſtelle alcuna notte , Ne tanti augeili albergan per ti boſchi, Ne tant’erbe ebbe maicampo,nepiaggia . Onde ebbe ragionevol cagion di dubitare colui , ſe più coſtoro ſi foſſero , o l'infinita ſchiera degli ſciocchi; ne ba fa tutti interamente a comprendere quel volgar diſtico, Fingitfemedicumquiſquis idiota profanus, Iudæus .... hiſtrio , rafor , anns. E ben diſſe il Carlectone : Medicos ſe fingunt quoque Rizo tomi , Seplaſarii , fordidi Balneatores,triobolares Phleboto matores,fpurcidici Lenones,indo&tiparochiaram Sacrificuli, favella egli de’miniſtri della falla ſciſmatica Chieſa In 1 3 ghi 166 Ragionamento Terzo ghileſe , de'quali fa parole altresì , e forte ſi duole il Pri meroſio ) Chymiſte carboniperdes , audaculi Edentato res, impudentiſſimi V romantes , veteratores Fatidici , lj bidinoja obſtetrices 231Sádes, a pre cæteris omnibus perfi da illa , ingratifimaque impoſtorum gens , Pharmacopo le ; qui ſuntin Rep. agrorum pernicies,reimedicècalamitas, & Libitin & præſides . Che più , fe toccar quaſi co’mani l'innuincrabil torina di sì farti medici al Duca Nicolò da Ferrara il motteggevol Gonnella , allor , che nel novero di coloro , oltre allamaggiorparte della Città, il medeſimo Duca arrollando ripole ; ed egli era così celebre , e ftima to tanto in quella Città la volgare Empirica, che molti , e molti de'Razionali inedici oltreinodo godeano di militar ſotto le ſue inſegne . Maper Ferrara medicando quanti Veggo andar io , che barbagianni funo Ridicoli , ineſperti , ed ignoranti : Che non ftudiar d10 anni , fur a ſuono Digran campana alzati al dottorato Per amicizia o per promeſſo dono : Che ne Ariſtotel mailejer,ne Plato, Ne Avicenna , o Galien , ma due ricette, E le regole appena del Donato. Ma ciò permio avviſo , non altronde certamentewviene, che da una tal naturale inchinazione, che ſempremai inver la medicina par che tuttiegualmente abbiamo , e del co prender quanto quella ne abbia ad ogn’or luogo tra per noi medeſimi, e per gli amici , e per tutt'altre perſone del mondo . E perciocchè ad interamente apprenderla, e ado perarla , qual veramente fi conviene , di grandiflima fiti ca , e di ſudore non ordinarione fa meſtiere , ciaſcuno, co me il meglio puote malmenandola , ed abborrandola , in pochi giorni l'appara , e ſenza troppo diſagio la mette iz opera . E in vero cotalforte di medicina è molto agevole a imprendere , e ſovente dinon poco pregio , eguadagno Suol eller cagione ; perchè parecchj diigraziati,cuile robe o per nanfragj, o per fallimenti mancarono, o a giuochi, 4 o dic DelSig.Lionardo di Capoa 167 o dietro a feminine diinondo , o nelle follie dell'Alchimia vanainente fcialacquaronle , ſtenchi alla fine ,eigannati ri courar ſoyére al ſicuro porto d'una tal medicina ſi veggo no . Ed ora mi ſovviene di quel gran miniſtro di ſtato , il quale avédo perduti có la grazia del ſuo Principe ache tut ti gli avanzi delle ſue miſere fortune, diedeli ultimamente lo Igraziato a compor ballotte da medicina , e ſpacciarles a prezzo,qual vilisſimo pancacciere, ſoſtentando così l'in felice ſua vecchiaja. Ma non fa meſtier , che intorno a coſtoro lo troppa brin ga mi prenda in manifeſtar le lor beſsaggini, e i loro erro ri ; che purtroppo chiaramente per ciaicun ti conoſce quanto eglino ſempremai ciecamente medichino , ed ari fchio , ed a ventura ; non ſappiendo talora ne men groſsa mente , econfuſamente i ſegnali delle inalacrie , non che la natura di quelle ; perchè convien poi loro nel diviſare, e adoperarc i medicamenti andar ſempre atatone , con af pettarne , timoroli, gli avvenimenti. Maggior fatica fen za fallo rimane in dar giudicio della perfetta Einpirica ; la qual per le ſue regolate maniere di adoperare , nelle qualianifeftamente ſi ſcorge aver qualche ſcintilluzza di ragione ,puofſi in certo inodło covenevolméteRazionale Empirica chiamare ; conciolliecoſachè la perfetta Empi rica inedicina ſopra uma falrima baſe aver ſembri le ſue fondamenta, che è la fperienza , non folamente per la baſ. fa gente, ma per gl’ifteli medici raziunali cotanto ſtimata , e a capital tenuta : che apertamente talora, e in ifcritto , e in voce una delle due colonne della medicina chiamarla fogliono ; eſſendo l'altra , fecondo lor ſentimenti la ragio ne . Anzi huomini chiarillimi diqueſta medeſima ſembra glia de'Razionali cotáto agli Empirici nemica (tra’quali fur Eraclide da Taranto medico , e filoſofo di sì gran fapere, ecosì nell'arte eſercitato , che agevolmente e' li puotè ad ogni più eccellére medico greco paragonare) abbadonādo la lor fetta Razionale e laſciate affatto le ragioni alla fola ſperiéza degliEmpirici ricoverati alla fine ſi rifuggirono ;ed altri comechè perſeverino nella ſetta de'Razionali,pur ma nifc 168 Ragionamento Terzo niſeſtanente confeilano eſſer ſoventi volte da antiporre la ſperienza alla ragione ; e dicono , che ove d'una parte la ragione , e d'altra la ſperienza il contrario ne perſuadono , che allora il medico laſciar debba affatto la ragione , e la ſperienza ſolamente ſeguire. Ed infra filoſofi di grido Ari ftotele apertamenteconfeffa , all'arti tutte aſſai più di con cio , e d’utile la fperienza recare , che la ragione , e che'l medico maggiorinente in pregio ſormonti nel far pruova continuo degli ammalati, checon beccarſi tutto giorno il cervello ne’libri . E quel ſcrittore , che col ſuo acu tilimo intendimento ſi ſeppe così addentro innoltrare ne gli affari del mondo , avvisò , la medicina non eller altro , che ſperienza fatta dagli antichi medici ,fopra la quale fosi dano i medici preſenti i loro giudicj; ma prima dilui avea detto Quintiliano,medicina ex obfervasione falubrium ,atq ; his contrariorum reperta eft , & ut quibufdam placet,tota co hat experimentis ; nondimeno l'Empirica medicina , non che abbia giammai nulla di certo , anzi ſoventi volte in graviffimi errori traſcorrer ſuole , laſciandoſi oltre al dove. re alla ſola ſperienza ciecanente guidare ; la qual come Ippocrate grandiffimo ſperimentatore avviſa , ſovente è fallace,e vana . E in vero ſe la ſperienza è ricordo di quel le coſe,le quali più d'una volta ſtate ſono oſſervate , chi oſerà mai certamente affermare , che ciò che più volte av venne , debba poi altre , cd altre volte ſomigliantemente avvenire ? Certamente niuno , ſe non colui ſolamente , che inveſtigatane la cagione , onde quelle volte già que gli effetti avvennero,delle ſeguenti riuſcite ragionevoli ar gométi potrà cavarc; delle quali cagioni , ſe le medeſime ſaranno , certamente nc ſeguiranno i medeſimi effetti , ma ſe peravventura non ſaran deffe,o quanto diverſi,e varjef. ferti uſcir ne potranno; ſenzachè la medeſima cagione per la diverſità delle molte circoſtanze , che l'accompagnano , non ſempre ſuole i inedeſimi effetti produrre , ina diver ſi , ſecondo la diverſità delle perſone , de'luoghi, c d'altre coſe , che vi concorrono , Alche ficome in tutte ſcienze è ſommainente da riguardare , così non è da traſcurar punto DelSig.Lionardo diCapoa. 169 1 I punto in medicina: nella quale avviſaſi a giornate , noul ſempre i medeſimi mali dallemedeſime cagioni avvenire : non ſempre congiurar le medeſime circoſtanze in mante ner le medeſimemalattie : e finalmente non ſempre que, mali , che i medefimi eſſer ſembrano , effer veramente ta li, quali ſi pajano ; concioſliecoſachè i ſegni tutti e gli in dizj, pe'qualicomprender ſi poſſono,ingannevoliſovente, e fallaci fieno , facendo veduta d'eſſer manifeſtamented un male , il qual poi tutt'altro ſarà di quel , che noi alla prima faccia argomentiamo. Ma ne meno giudicar puoſ, fi con piena certezza , ſe ſia ſtata opera del medicamento il migliorare,e'l guarirc dello infermo ; imperciocchè tal volta dalla ſola natura del malato , o del male ſuole ava venire ; ed altri pur follemente immaginerà , eſſere dal ſuo medicamento ſolamente ſeguito . E allora più mala gevol ciò, e intralciato ſi rende, quando all'ammalato più d'un rimedio ſi porge ; perciocchè allora non può age. volmente imbroccarſi, qual di que’tanti medicamenti ab bia per avventura all'inferno approdato. Ma tacciaſi al preſente di ciò , che di leggier forſe po trebbeſi ſchivare , comealtresì è da tacer della credenza , la qual ſenza manifeſto riſchio d'errore non ſi può piena mente alle ſtorie degli ſcrittori preſtare : coſa la qual già tanto contra gli Empirici rimproverarſuole Galieno . Ne meno faticheremo in dir cola alcuna intorno al paſſag gio , che da parte a parte far fogliono gli Empirici , e dal la ben compoſta analogia di male in male ; che ben ciaſ cuno a prim'occhio potrà agevolmente comprendere,quã. to ftrabocchevole, e inviluppata ſia la lor dottrina , e d'e videntiſſimi riſchj tutta ripiena . Manon fia forſe fuor di propoſito il rapportare al preſente ciò che della ſperienza un graviſſimo autore , e più , che altri per avventura in quella eſercitato ne manifeſta dicendo ,eſſer la ſperienza in man del medico , non altrimenti , che il cuor di bella donna in mano di fido amante; il quale, quádo più immagi na di tenerlo ſtretto allora quello in altrui inani ſe n'è vo lato . Verità anchemolto ben conoſciuta all'avvedutiſſi. Y moje 170 Ragionamento Terzo mo , e faviſſimo ſperimentator de’noftri tempi Franceſco Redi; il quale ſcrive trovargiornalmente, che le ſperien ze più malagevoli, e più fallaci lien quelle, le quali intor no alle coſe medicinali fi fanno . Ma volete voi , ch'lo brievemente vidia a diyedere quanto vana , e fallace ſia nella medicina la ſperienza ? Ella non ha mai potuto ne pur una delle famoſe quiſtioni appianare, che mai ſempre le penne de'medici tengono affaticate . Ma riguardando i maeſtri, e fondacori della Metodica medicina all'incertezza dell'Empirica : e d'altra parte av viſando quanto la Razionale in ſu le fanfaluche degli ar gomenti, e delle ſofiſticherie vanamente s'aggiri : vollero ſolamente a certe poche coſe veriffime, e manifeſte del tutto appiccarfi, e quivi l'arte tutta della lor medicina piantare. Eglino a due foli generi i mali tutti del mondo riſtringono : uno de'quali diſcorrente , e l'altro ſtretto chiamano . Naſce il diſcorrente allora, quando i pori del corpo fon ſoverchiamente allargati , e fatti maggiori aſſai di quelli, che in prima erano ; o quando altri nuovamen te accreſciuti glie ne ſono; e lo ſtretto allo incontro è quż do le parti oleremodo ſtrette infra loro , e congiunte lì ſo no , perchètalora , o più abbondevolmente , o più di ra do li vuota il corpo . Quinci eglino due forme di manife fti indizj di ciò , che far li dee argomentar fogliono : una di ſtrignere , ed una di allargare : e queſte chiaman comu nità curative , e quelle paſſive; aggiugnendovi di vantag gio le comunità temporali, cioè a dire il principio , l'avā zamento, il vigore, e lo ſcemo della malattia . E percioc chè il male talvolta d'amendue le prime comunità con polto effer ſoglia , cioè diſcorrente inſieme, e ſtretto : vo gliono allora i metodici , doverſi la cura alla maggiore , e più ragguardevol parte ſolamente indirizzare . E tanto baſtial preſente aver de’loro principj accennato ; chi più addentro ne vuol ſpiare,leggane più diſtintamente in Ga lieno , e Proſpero Alpini , il qualcon lunga fatica accolſe inſieme, e ragunò tutti gli avanzi dell'antica Metodica medicina , e di difender quella con cutta forza oſtinata medite i DelSig. Lionardodi Capoa 171 ſenza troppa mente ſi ſtudia ; ma non puote però per fatica, che v'ado: peri far sì,che non rieſca malagevoltroppo,ed intralcia to a' curioſi l'apprenderne intera la dottrina ; concioſie coſachè alcune coſe , poco forſe bene, e fedelmente egli rapporti; ed in altre faccia meſtiere andar pur tentone , ed alla cieca . Ma lo quanto è a me , voglio al preſente più di Galie no medeſimo eſſer liberale a'Signori Metodici , e conce der loro di vantaggio molte, emolte di quelle coſe , che fatica durare , agevolmente negar loro po trei . Sien pure , com'eglino s'avviſano , le comunità cut te manifeſte , e piane , e a quelle nulla mai oppor ſi poſſa: or come, e in qual modo baſterà ciò ſapere per prender aº mali conſiglio , ſenza più oltre ricercare argomenti a ciò opportuniz ma eglino nel medicare ſi laſcian pure allora ciecamente trarre alla ſperienza ; adunque eglino anco ra in ſembraglia de’Razionali, e degli Empirici andando alla ventura , e facendo argomento dall' incertezza degli avvenimenti , manifeſtamente talora inceſpando traripa no . Ma ciò traſandando,ſia pur da curar malattia di ſtret tezza , come di poftema , o d'altro ſomigliante malore , che di allargamento abbia biſogno : manifeſta coſa è,che la materia ingozzata , e rattenuta in qualche luogo della perſona;cotal ſtrettezza cagioni ; ed acciocchè poſſa li beramente far punta , ed uſcir fuora, conviene in primas, che la durezza liſciolga , ed ammolliſca: ed altro s'impré da con argomenti a ciò fare valevoli, & opportuni . Or come potrà mai ciò ſeguirc, ſe non ſi ravvili in prima , di qual natura ſia la materia indurata, acciocchè poi libera mente il ſuo vero , ed acconcio rimedio trovare , ed adato tar viſi poſſa : O forſe ciò , che ſcioglie una ſoſtanza,co sì ſomigliantemente tutt'altre ſcioglier puote? anzi talora in contrario da quello indurar le veggiamo, Limus, ut hic durefcit, bæc ut cera liquefcit V no, eodemque igne: Ed ecco brievemente abbattuta a terra l'evidenza de Metodici ; ecco , che pur convien loro entro i confini de? 1 1 Y 2 Ra 172 Ragionamento Terzo Razionali medici alla fine ricoverare . Ne più intorno alla lor dottrina impiegherovvial preſente parola . Ma delle ſchiere Razionali degli antichi Greci così ſcarſe rimaſe ſono appreflo noile memorie , che non v'ha luogo alcuno di diviſarne, non che d'abburattarle , o per avventura riprovarle; anzi ne men ſaper certamente por ſiamo , chi mai ſtato fi foſle il primiero tra'Greci , cui foſ ſe venuto fatto di dar principio alla Razional medicina , e ciò chealtrove andato ſe n'è per noi ricercando , non li è potuto ancora così rinvenire , che foſſe valevole a to gliere ogni dubbietà . Ma non è egli però da porre in for ſe , ove ſottilmente la coſa ſia riguardata, che la Razional medicina da tempi aſſai più lõtani di quel, che per avven tura comunemente s'eſtima, tragga la ſua origine ; e forſe forſe ella è sì antica , che non pur ne convien dire , ch'af fai prima della volgare Empirica ella naſceffe , ma chel Empirica volgare ſia della Razionale , anzi, che no giove nil parto , e creatura ;la qual coſa in sì fatta guiſa leggier mente noitoccheremo . Quelle coſe onde diſcacciar ſi ſogliono talora da' corpi le malattie , e che rimedj comunemente ſi chiamano, con vien dineceſſità , che tutte da ſe ſteſſo l'huomo le im prenda ( non avendo altri ch'inſegnar gliele poſſa ) natu ralmente , da alquante poche in fuora ſi alla medicina non fanno , le quali gli vengono da' bruti animali dimoſtre ; ma può tali medicamenti l'huomo ap prendere , o a caſo in effi abbattendoſi ; o col diſcorſo in veſtigandogli. E concioffiecoſachèrariſien quei rimedi, che a caſo ritrovar ſi poſſano ; nc ſembri veriſimil punto , che le tante erbe , e radici, onde negli antichiſſimi tempi, non pur le ferite , ma gl'interni malori altresì medicavan ſi , veniſſero a ſorte lor conoſciute ; rimane adunque, che per la più parte dalla ragione i medicamêti ftati fieno ſco verti . Ma come que'primi rozzi huomini per queſta via aveſſero potuto rinvenir le sì varie virtù de'medicamen ti , non è coſa molto malagevole per avventura ad inveſti gare,ſopratutto cui voglia pormente a'bruti , e andar mi > che nulla qua nutamen DelSig.Lionardo di Capoa. 173 nutamente ſpiando come tutto di s'adoperino in ritrovar le medicine perloro malattie . I brutistutto che d'anima ragionevole privi, pur nondimeno oltre a' ſenſi , ſi trova no di tutto ciò , che a lor fa meſtiere a comprendere le ; coſe neceſſarie al proprio mantenimento, baſtantemente provveduti ,anziabbondevolmente dalla larga , e prodi ga mano della natura arricchiti . Vengono talora agli animali le medicine dal caſo di moſtre , comedel Dittamo , erba crinita , e di purpureo fiore , avvenir ſuole , eſca oltremnodo gradita , e foave al palato delle capre ; onde ſoventi fiate ſavoroſamente la paſcono ; e ravviſando elleno , che ſe mai ferite vengano da' cacciatori dopo haverla poc'anzi paſciuta ,dalla fe . rita , allora Volontario per fe loftralſe'n eſce, ſi riſtagna di preſente il ſangue , e ractamente ſe ne fugge il dolore : ad ogni ora poi,che ferite ſi ſentono, a paſcerlo frettoloſe ſe ne corrono ; e per queſta da noi menzionata ſtrada , e non già per quella del ſognato , e favoloſo iſtin > to , . maſtra natura alle montane Capre ne inſegna la virtù celata Qualor vengon percole , e lor rimane Nel fianco affilala faetta alata ; e a queſto medeſimo modo fors'anche addottrinati De la Scimmia il Leon languente, ed egro Avidamente cerca il feropaſto; E beve il Pardo de la Capra il ſangue, Epafcei ramofcei d'oliva il Cervo; perocchè eſſendone cibati a caſo , allora , che infermi fi ritrovavano , giovevoli aſsai ſperimentarongli : E ſomi gliantemente altresì La teſtuggine allor , che'l fero tofco De la ſerpe l'ancide , e dentro ſerpė Il paſciuto velen falute , , e vita Dall'Origano cerca , e non indarno. Opera ſomigliantemente del caſo , e' certamente ſema bra, i 174 Ragionamento Terzo bra ,ſe per qualche male infaſtiditi,dalcibo aftenendoſi gli animali avviſan riuſcir cotale aſtinenza loro giovevole, c perciò per innanzi per ſimili cagioni ſi rimangono di ci barſi . Ma con più ſottil modo, e più fagacemente ven gono gli opportuni medicamenti di vantaggio lor cono ſciuti ; comene'lupi ,ne'gatti , e ne' cani, per tacer d'al tri , manifeſtamenie ſcorger ne lece, allora , che ſenten doſi eſſi aggravare , e moleſtar lo ſtomaco pe'l guaſto , e corrotto cibo , ed avviſando , che alcune erbe , le quali talora forſe loro punſero il muſo , poſſano , ſtuzzicando le parti interne,provocar di leggieri il vomito; di quelle op portunamente ſi vagliono . Chiunque andaſle poi con qualche minuta diligenza , e ſollecitudinc ricercando , ravviſerebbe per avventura,che ove il gran fattore della natura ha della ragionevole ani ma privi i bruti animali, abbia nondimeno lor dato forſe alcun ſentimento de’noſtri più dilicato , e perſpicace , valevole più agevolmente a comprendere ogni menoma impreſſione, che lor da ſenſibilioggetti ſi venga a fare, on de poſſano la lor vita acconciamente regolare ; ma ſe tal ſentimento poi, cone ſovente avvenir egli ſuole , diritta mente non gliſcorge , elli ne argomento alcuno hanno di riparare a'lor mali, ne fanno, ne poſſono dalle mortali di ſavventure in modoniuno ſchermirſi;perchè veggiam tut to dì le capre , le pecore, le vacche, i cavalli , ed altri ani mali infermar gravemente ; e ſpeſſe volte per aver palaiu to erbe nocevoli, e velenoſe ; il che quando mai altra ra gion no'l dimoſtraſse, nc dà chiaramente a divedere , non ritrovarſi veramente negli animali quel maraviglioſo , ed inverifimilc iſtinto, che cosi inagnificamente lor s’attribui ſce percoloro , che non ſi avanzan più oltre nel filoſofare , che nella prima ſola corteccia delle coſe . Or ſe tanto a’ bruti animaliè conceduto , che poſſan talora con qualche dilicato ſentimento, e con rozzo, ed imperfetto modo in veſtigare , o pure rinvenir qualche ombra di Razional medicina ; come non aurà potuto l'huomo , ſoura loro d'anima fpirituale, e ragionevole, e immortal dotato come 1 dico Del Sig. Lionardo di Capoa 175 : dico non avrà potuto ſino a’ primi tempi , e col naſcente mondo, col diſcorſo i medicamenti ricercare , e ritrovare ? ſenzachè fa meſtier certamente all'huomo, ſe ſcovrir pure egli vuole la naſcoſa virtù medicinale o di pianta , o d'ani male , o di vegetabile alcuno , prender in duce , e in iſcor ta la ragione; imperocchè l'huomo non gode di quella feli cità in guatando le coſe , che grande a maraviglia aver- , fi ſcorge ne'bruti; ne'quali, coine di ſopra dicevamo , o liau per le ſvariate diſpoſizioni degli organi, o ſia pure, che'l di Icorſo rechi qualche impedimento alſentire, Dove manca ragione ilfenfu abbonda. E in confermazione di quanto lo dico, s'egli ſi riandaſſero, comechè leggiermente l'antiche memoric, ſi ravviſerebbe apertamente , che a'primi maeſtri della medicina convenne valerſi della ragione per inveſtigare, e rinvenire i medica menti. E percominciar da’ Cineſi : Popoli ſenza fallo di tutt'altri più antichi:leggeſi ne' loro annali, che'l grans, monarcaCinnungo ,il quale ſuccedette a Fojo che no guari dopo il diluvio refle l'imperio della Cina, c che quivi prin cipe de' medici , e inventore della medicina vien comune mentetenuto, ritrovaſſe perpruova fatta in ſe medeſimo la virtù di molte , emolte radici , e piante, abili non ineno produrre, che a diſcacciare lemalattie; ech'egli ne compo neſſe varj, e varj libri, de'quali infino ad ora li ſon valuti , e fi vagliono anche oggidi i Cineſi medici con felicità non or dinaria nel medicare. Or non sebra mica egli credibile che a caſola prima fiata e' poteſſe Cinnungo pormano a quel la tal pianta , o radice per farne la pruova? Ma è veriſimil molto, che foſpinto e'veniſſe a ciò fare da qualche ragione; altrimenti non ne ſarebbe egli giammai potuto venir a ca po; tanto più, che Cinnúgo, ſicomeivi è furna, nell'anguſto { pazio d'un anno ſolo inveſtigò ,e rinvenne ben ſeſſanta ve lenoſi ſemplici, caltrettanti falutevoli,e abili a rintuzzare, e a vincere illoro veleno;e contale , e tanto avvedimento econ ſucceſſi così fortunati egli vi ſi adoperava, che comu neinente buccinavaſi eſſere i luoi occhj vie più aſſai di que' del lupo ccrviero acuti , c penetranti. E più chiaro molto rio 170 Ragionamento Terzo ciò che lo ora dico ſi ſcorgerebbe per avventura , ſe colui che ſi diè cura, e impiegò il ſuo ingegno a traslatare in la. tino idioma le croniche de'Cineſi,il medeſimo fatto aveſſe de'volumi della lormedicina . Ma più certo ſi rende , che que'primi Cineſi medici , da ragione ſcorti, aveſſer rivolto l'animo ad inveſtigare i medicamenti ,daciò ch'eglino a queſt'opera fare, ancor della Chimica valuti commodamé te fi foffero. Per la qual ragione creder pariméte ſi dee, che que', che nell'Egitto la medicina trovarono , i quali altresì della chimica ſcorti furono, e inteſi:parimente ſi foſſero del diſcorſo valuri : non riſtandoſi in ciò, che dal ſolo caſo lor ſi parava davanti.E per dir qualche coſa anche della Scitia, la quale non ſoggetta allo imperio d'altra nazione, conten de d'antichità (comeper Trogo Pompeo narraſi) coll’Egit to medeſimo ; tutto che da Erodoto un tal vanto alla Fri gia s'attribuiſca ;della Scitia lo dico, chi mai recar potrebbe in dubbio, che i primi medici per via della ragione rinve niſſero i medicamenti: ſe in Prometeo , dal quale, ebbe il ſuo primo cominciamento la medicina degli Sciti, accom pagnata mai ſempre ſi vide la medicina, colla filoſofia; e fe non aveſſero alla ragion poſto mente, come mai que’primi medici dell'Arabia ravviſar potevano la puzza del bitume, e delle barbe de'becchi dar cõpéſo alle infermità cagiona te a que'popoli dalla ſoverchiaza degli odori ſoavi . Ne meno in verità nella Fenicia i nepoti diScdoc, i quali, co me narraſi per Sáconiato ,o lia Filalete, appo Euſebio ritro varono primieraméte, qual ſorte d'erbe, oqual maniera di cã to valevol.fi foſſe adomar queſta,o quella malattia, ſenza l'ajuto d'una profodiſfına natural filoſofia ciò inveſtigar mai poterono.I Druidi poi dellaGallia , nõ meno in filoſofia , che in medicina ſcarti,che infra l'altre medicine adoperavano, quel ,che dica Plinio , il fūmo della ſelaginc al mal degli oc chj.no avrebbon fenza fallo mai a caſo ardendo la ſelagine Sperimétar potuto agli occhi giovevole ilſuo fumo:ma pri ma di ciò fare cóvié dire ,ch'eglino aveſſero in prima alla na tura dalla ſelagine,e del ſuo voláte ſale poſto mente. E p fa vellar della Grecia , da qualche ragione moſli furono Chi rone Del Sig.Lionardodi Capoa. 177 rone , Eſculapio , Ercole , Melampo , ed Achille a valerli primieramente della Centaurea , dell'Aſclepio , dell'Era clio , dell’Achillea , piante che non poteva certamente il caſo loro porle davanti, per effere elle amariſſime, e non mai per huom veruno , in cibo uſate . E ſe mai eglino vo lendole ferite turare,di qualch'erba ſi yalſero, la qual ven . ne sì factamente la ſua virtù a ſcoprire: comepotea mai ciò avvenire delle radici, malimamente , che alcune di loro convien che con zappe , o marre dalla terra a viva forza li ſuellano ; e parea vana affatto una tal fatica, quando coll erbe più agevolmente, ed aflaimeglio all'aperte piaghe approdar ſi potea . Fu dunque l'eſperienza dalla ragion ; preceduta ; ed ebbe il corto Quintiliano affermando il contrario colà ove difle :Vulnusdeligavitaliquis , ante quam hèc ars effet , & febrem quiete , eo abftinentia , non quia rationem videbat :fed quia id valetudo coëgerat,mis tigavit. E come mai fu egli poſſibile , che Melampo , il quale parve , che nella greca medicina introduceſte l'uſo de'mi nerali ,rinveniſſe a caſo effer la ruggine del ferro giovevo le alla ſterilità . Ma ſe razionali furono avvegnachè roz zi , ed imperfetti quegli antichisſimimaeſtri , ed invento . ri della medicina,convenevole certamente egli ſembra .' che qualche coſa anche di loro da dir ſia . E daremoa tal diviſamento da'Cineſi principio . Coa me, e quanto oltre nelle coſe della natura filoſofando s'a vanzaſſero i Cinefi, il grande teſtè di noi mentovata lin peradorc Cinnungo , e gli altri primi medici della Cina , Io porto per me ferma opinione , che penetrar non ſi pof ſa per huom giammai; concioſsiecorachè i libri poco mé, che tutti furono al niente dalle voraci fiamme condotti, gia ſon due mila anni traſcorſi, per ordine dell'Imperado re Cino , il quale rizzò incontro a’ Tartari quelle ma. raviglioſe mura , e delle lettere implacabil nimico maisé pre moſtrosſi; avviſando faggiamente, che'l troppo ſtudio di quelle , rendea gli animi ſnervati, ed imbelli, ediſadar tia difender la patria dagli allalti nimici; e ſe alcuni pure Z de 178 Ragionamento Terzo 1 de’più antichi tuttavia per avventura ſalvınerimaſero.no vi avendo ora chi intender poſſa que’miſterioſi caratteri, ne’quali ſcritti furono , è tanto , comeſe ſmarriti anch'e glino , ed abbruciati fi foſſero . Ma da qualche veſtigio , che tuttavia ne rimane , ſi ſcorge apertamente , che i Ci neſi nella geometria , nella filoſofia , e nell'altre ſcienze molto furono addottrinati , e ſi valſero della Chimica , e conobbero ,un ſolo eſſere il principio delle coſe naturali; e fer ſecondi principj le cinque ſoſtanze dette da loro me tallo , legno , acqua , fuoco , e terra ; ma diverſi da que' corpi, che comunemente con tal nome ſi chiamano, e non disſimili per avventura da' principj de' noftri Chi mici . Ma ſi par certamente , che Cinnungo non molto nella filoſofia , e nella medicina avanzaffeli ; mal potendo per opera d'un ſol huomo sì grand'impreſa , c di tanta lievas in un tratto naſcere , e ricevere l'ultimo ſuo compimen to ; masſimamente alla medicina richiedendofi molto re po, e che molti, e niolti huomini a tal lavoro s'adoperino, acciocchè a qualche ſtato di perfezione , e di eccellenza pervenga . Ma chi no ſarà periſcorgere anco a prima viſta poi qua to fien favoloſe , ed inverilimili quelle pruove,chedi Cin nungo ſi narrano , che egli faceſſe in ſe ſteſſo lo eſperimen so delle piante nocevoli , e rift orative , e che nello ſpazio sì breved'una ſola giornata , tante ne provaſse, e ne ripro vaffc ; il che fa chiaramente conoſcere , quanto la medici na , ſe acquiſtar vuole eſtimazione , in tutti i tempi , cd in ructii luoghi abbia in coſtume di porre in opera le men zogne , ele millanterie . Quáto poi valeſſero gli antichi medici Cineſi nella Chi mica , chi potrà mai indovinare fi la ſolo , che eglino s' ingegnarono di trovar medicine , non ſolo acconce agua rir le malattie : ma anche valevoli negli huomioi ad eter nar la vita ; e comediRaimondo, d'Arnaldo da Villanova millantano i frati della Roſea Croce , che vivi anche oggi ſien o , che vadano ſempremaiper lo mondo vagando; co sì fin 1 ! Del Sig.Lionardodi Capox . 179 . sì fingono ,e danno ora ad intenderei moderni Cineli Chi mici , eſser molti , e molti di quegli antichiſapienti, che , fattafi colla gran medicina immortali , dimorino nelle cia me degli altisſiini monti , e quindi vadano , anzi volino dove lor più ſia a grado , ed anche in Cielo, Sciolti da tutte qualitati umane, Ma più , che tutt'altri ſi laſciarono nella Cina da' Chia mici ingannare i troppo ſemplici Imperadori;e narraſi,che da lor perſuaſo l'Inperadore luoo a comporla medicinas da poter divenire immortale, faceſse fabbricar un pala gio di cedro , di cipreſso,di canfora, e d'altri legni odori feri, che'l loro odore lūgia inolte miglia facea ſentirſi.Al zò nel palagio una torre dibronzo altisſima nella cui vce ta eravi una conca parimente di bronzo , formara a guiſe d'unamano , nella quale ogni mattina avcaſi a raccorres. purisſima la celeſte rugiada: ove macerar pofcia fi dovea no le perle , ed altre peregrine, e rare coſe , delle quali compor li doveva quel prezioſo , e divino medicamento , che facea l'immortalità conſeguirea qualunque adoper2= valo . Ed anche a’giorni noftri ſi veggon per tutti i reami diquel vaſtisų moimperia , andar ad ogn'ora vagabon deggiando , in grandisſimonumero i Chimici; i quali in fingendoſi dicſer nati più e più ſecoli addietro , vendon altrui la medicina , che fà gli huomini immortali, e tra per le loro trappole , e per lo deſiderio , che è in ciaſcheduno di conſeguir l'immortalità , ritrovano , e più tra’letterati che tra gli altri , chilorpreſta credenza . Ma laſciando sì fatte memorie da parte ſare , ſi ſcorge quáto ben forniti foſſero de'rimedi efficaci gli antichi Ci ucfi , dalle maraviglioſe cure , che con eſli tuttavia fanno i moderni medici . Solamente potrebbeſilevare incontro taluno,dicendo che non ſiano giunti a ſaper quanto dilet. tevol ſia ilber freddo, ne mai habbia meſſo in uſo i ſalalli; ma tali appoſizioni recar potrebbonſi eglino a ſomma lo da ; imperocchè col ber caldo ſi ſono i Cineſi ſottratti al nale della pietra , alle podagre , e ad altre atrociffime malattie , che così frequenti , ed abbondevoli ſono fra z 2 noi 180 Ragionamento Terzo . 1 1 3 noi . E quanto al non trar ſangue, oltre al novero de’gre ei , e de’noftri medicanti, che ſeguono il medeſimo iſtitu to: la ben lunga preſcrizione di quaranta, e più ſecoli , ne? quali han potuto guarir feliciffimamente, ed in iſpazio al ſai brieve le malattie , non gli rende degni , non dico di ſcuſa , ma d'altiſſima loda ? eda ciò vorrei, che poneſſer mente tutti coloro, che così di leggieri ſi laſciano a' medi ci trar ſangue. I moderni Cineſi medici non altrimenti , che gli antichi già fi faceſſero, de’ſemi , delle frondi , delle corteccie d'alcune piante ſi vagliono, e d'alcune pictre al tresì , e ſerban libri, ove ſon figurate l'immagini di tali piante , e pietre , e le loro virtù narrate ne’precetti, e nelle regolemedicinali,non guarida noi eglino ne van lontani . Preſcrivono a’loro infermi sì rigoroſe diete , che alle volte laſcian paſſar fino a venti dà fenza dar loro altro cibo , che certo ſugo dipere , tre , o quattro fiate il giorno , e ber quãto acqua richieggiono; e sì molte graviilime malattie a buonoje perfetto ſtato riducono. Immagina alcuno , che tal dieta non potrebbe fofferirſi da'noſtri huomini; ma quanto egli vada errato,ilpuò far vedere l'eſſere ſtata in uſo appo gli antichiſſimi greci , e l'eſſere i Cineſi di noi più teneri, e dilicati aſſai.Ma che che ſia di queſte,van tutto dì i Cineſi compilando libride'ſegni,delle cagioni, e degli effetti de' mali,da’quali,non avendo nella Cina ſcuole di medicina, e da' proprj lor padri i Cineſi la ſogliono apparare • Di. cono tutti , che i Cineſi medici ſono séza alcun paragone aſſai più de’noftri,valenti in guarire i mali; ma nondimeno ancora ivi colla medicina s'accompagna l'inganno, e l'ar tificio ; ed eſſendo eglino intendenti molto de'polli, tutta via per parere in ciò da più affai , s'interrégono fin’a mez ' ora , fingendo d'oſſervar minutamente le lor mutazioni in toccandogli , e danno a diveder dapoi , che con una tal diligenza eſſi aggiungano a ſapere d'ogni varia , e più oc culta interna diſpoſizione , e diqualunque più ſtrana mas, lattia la natura , e la vera cagione . Ma è per mio avviſo il pregio maggiore della lor medi cina l'aver certi argomenti da poter talora porre utile cos pen . DelSiy.Lionardo di Capoa ISI penſo alle più gravi malattie . Vlano frequentemente la prezioſa radice, detta da loro Ginſen , dalla quale ſové te ſi veggon guarir gl'infermi , eziandio morienti, e però una libra di eſa , non val meno di tre libre d'argento . Nil la io dico dell'erba Te , percioccliè ella ſi adopera tutto dì anche ora appo noi : comcchè non ſi veggian quì d'cila que’maraviglici effetti , che narraſi ſoler nella Cina mo ſtrare, o ch'ella colla navigazion così lunga perda per lo maggior parte quel, che chiamar fogliono i Chimici vola tile Alcali , e con eſſo inſieme poco men , che tutta la ſui virtù , o qualunque altra ſiane la c.igione. Eavvegnachè alcuni de’noftri ſcrittori ſi ſieno ſtudiati di tor via altrui ogni buona opinione , che di tal erba portavano ,dicendo, ch'ella ſoglia talor cagionare Apoplesſia a cui ſovente l'u fi ; non però dimeno noi ben ſappiamo per pruova , cſſer ciò falſo; e ſe egli è incontrato , che alcuno avendola ado perata fia caduto in Apopleſſia , certamente non vi ha avu to ella parte niuna . Egli è vero però , che talerba ſoglia apportar qualche moleſtia, ſe ſi prenda allor, che nello ſto maco non ben digeſto il cibo ſia , e di ſoverchio acetofo : il che adoperar ſuole altresì il Cafè , ela Cicolata ; alla , qual coſa riparare ottimo rimedio è il digiuno . Ma io no voglio laſciar di dire con queſta opportunità, che in luogo dell'erba Te lo ſoglio ſověte imporre a'malati qualch'er ba noftrale , cos lor giovamento non ordinario :e che gli Ollandeſi portano nella Cina le frondi della Salvia involte a guiſa della Te, e per una libra di frondi di Salvia tre tan te ne riportano di Te; cotanto le ſtraniere coſe più in pre gio delle propie dagli huomini tengonſi . Ma avvegnachènella Cina i medici, quanto alfatto del medicare fien così fortunati, comediviſato abbiamo: non dimeno avuti vi ſono in pochisſimo pregio ,c ſtima. E quinci avvien poi , che tutti coloro , i quali ſien d'alto in gegno , e di ſaggio avvedimento dalla natura forniti,nul. la badandoviaila , moral filoſofia ſtudioſamente ſi volga no , onde a'primi onori del regno agevolmente poi pervé gono.E ciò permio avviſo è Itata una delle principalica, 1 { gioni 182 Ragionamento Terzo 1 1 ! doti , gioni , per la quale de'buoni libri dell'antica medicina , e della natural filoſofia pochi rottami ſi trovino , e che a? di noſtri ogni ſtudio di natural filoſofia tralandiſi. Ma per trapaſſare all’Egiziaca medicina; quanto chia ri,erinominati al inondo , ſe'n viſſero già lungamente per fama , quegli avveduti , e ſapientisſimifiloſofi, i quali la medicina ritrovarono primieramente , e ſtabilirono il Egitto : altrettanto certamente ſono oggi in lunga dimé cicáza ſepolti, e ſol ſervono all'umana cupidigia per pruos va della leggerezza , e della fragiltà della gloria monda na ; perciocchè eziandio di coloro , iquali ebbero già vé tura d'eſſer collocati infra’Dei immortali, non è a noine meno il vero nome pervenir potuto . Caſtigo ben douuto all'invidia ,cd alla tracotanza di quei Principi , e Sacer , i quali ſotto pene gravisſime a tutti l'apparare , e l'eſercitar la medicina victarono; e per maggiormente na ſconderla , e invilupparla con cnimmi,econ caratteri da lor ſolamente compreſi,ſempremai di ricoprirne i miſteri ſommamente ſi ſtudiarono . Perchè io giudico , che po co , o nulla della medicina Egiziaca apprender certamen te poteſsero que'curioſisſimi valent'huomini Greci, i qua li tratti dal deſiderio d'appararla inſieme colla inacemati ca , e colla filoſofia naturale , e altre buone arti nell'Egit to pellegrinarono ; ed in quel tempo appunto per lor di ( grazia vi giunſero, che caduta ivi affatto dal ſuo ſplendo re la medicina, ed empirica volgar tutta divenuta , comun nemcnte da' medici ſcimuniti , e balordi ſi malmenava ; ed i ſacerdoti l'antiche note più non intendeano , o ſe pu re qualche coſa ne penetravano,ſommamente avari delle loro dottrine , tenevanſi d'inſegnarle altrui , e masſima mente a' foreſtieri ; del che manifeſtisfima tcftimonianza è il leggere ciò che della ſtrologia avvisò Luciano , quan do e' diſſe , che i Greci niente di eſsa affatto dagli Egizi n'aveano mai apparato . Eλήνες δε ούτε παρ' Αιθίοπων,ούτε παρ' Aiguntów césporogins ma ei ou fèy óxx gav . Senzachè, ſe a Greci al trôde venuta foſse la medicina ,certamente ella non ſareb be tanto indugiaca ad allignarvi , e di veniryi a tanto ſtato 1 1 1 di glo Del Sig.Lionardo di Capoa. 183 di gloria , a quanto ella poi in proceſſo di tempo creſcen do aggiunſe. E comechè per oltraggio de'ſecoli niunas certezza a noi dell’Egiziaca medicina ſia pervenuta ;pur potrebbeſi ragionevolmente argomentare , eſſere ſtata quella a grandiflima altezza da' Re , e da' Sacerdoti del l'Egitto condotta , da ciò, che ne ragiona Omero colà ove narra , che la moglie di Tono Re dell'Egitto diede la can to celebrata Nepente ad Elena . Ενθ' αύτ ' αλ' ενόησ’ Ελένη Διος εκγεγαλα , Αυίκ' άρ' ας οίνον βάλε φάρμακον ένθεν έπιναν Νηπενθέςτ'αχολόν τε, κακών επίληθον απάντων . ος το καταβρόξειεν επην κρητήρι μιγείη , Ούκ άν εφημέριος γε βάλοι και δάκρυ παρειών , ουδ ' ά οι κατατεθναίη μήτης τε , πα ής τε , Ουδ' ή οι πιοπάροιθεν αδελφεόν, και φίλον τον Χαλκώ δηγόων , όδ' οφθαλμοίσιν δρώτα . Τοϊα Διός θυγάτης έχε φάρμακα μηπόενα Β'θλα ταοι Πολύδαμνα πόρην Θώνος παρξί κοιτς . Onde a la bella , e vaga Elena, figlia Del ſommo Giove,allbor nuovopenſiero Venne ne l'alma , che nel vino infuſe Ch'efibevean 'un prezioſo , alme Liquur , che toſto ogni dolor diſcaccia Da l'almaoppreſſa , e l'iraſpegne, ed indi Induce dolce , e graziojo oblio Di tutti i mali ; onde ſe alcun guſtoffe Di tal bevanda nella tazza miſta Non potria mai per tutto un giorno intero Sparger dagli occhi per le guance l'onde Del pianto ; o d'attriftarſi ;ancorchè morti Davanti aveſſe i cari madre , e padre ; Nefe con gli occhi propri anco vedele, Troncar col ferro l'infelici membra , Del frate amato , o del fuo dolce figlio . Cosifatti i liquori erano , e i ſughi De l'alma figlia del gran Giove eterno ; Cb'erano utili, e buoni, a lei dati Polia 184 Ragionamento Terzo Polidanna gli avea di ToneSpoſa . Il qual medicamento , qualcertamente fi foſſe in que' te pi malagevol molto è ora ad inveſtigare ; ne comporta il mio ſcarſo ragionamento , che lungamente lo ne favelli, ne che fra sì varie , e cotante opinioni inutilmente lo mº aggiri , mentre altri vogliono , non altro eſſere la Nepēte, che una ſemplice, e cruda erba infuſa nel vino ; altri allo incontro medicina artificioſamente preparata , chi dice d'uno , echi di più ſemplici compoſtage lavorata . Io giu dico , ne forſe da' limiti della ragione gran tratto queſto mio ſentimento s'allontana , chela Nepente opera foffe della Chimica; imperocchè sì piacevole ed efficace,e pre zioſo medicaméro, qual ne vien dagli antichi narrato , al tro cercaméte non ſembra chedi que', che tutto dà i noſtri Chimici metton fuora nelle loro botteghe . E fu nel vero la Chimica nell'Egitto antichiſſima ; pcrciocchè Vulcano figliuol di Nilo guardiano dell'Egitto,Opi, e Fia da' ter razzani anche chianato,daprima il fuoco, e l'uſo di quel lo ritrovò , e diè principio egli altresì all'arti tutte , che del fuoco ſi ſervono ; il cheoltre a Zezze moderno , e ſti mato da alcuni poco veritiere ſcrittore , il qual dice . Πύρ , και τέχνας δε ύκ πυρος οπό σας tutti i Tcologi,ei Filoſofi antichi di comun ſentimento af fermano ; 'e Vulcano altresì , ſecondo Ariſtotele , e So zione appreffo DiogeneLaerzio , inveſtigò da prima i prin cipj della natural filoſofia;perchè potrebbeſi danoi a buo na ragione affermare , aver lui per dover più acconciamé te farc , e rinvenir ne'corpi diſciolti , eminuzzati, i primi lor componenti , adoperato da prima il fuoco , e sì fatta niente dato alla Chimica rozzamente principio . E quin ci nacque per avventura la favola dell'adulterio di Marte, e di Venere da Vulcano a gli altri Dii paleſato ; con la qualc ne vollono per mio avviſo dare a divedere quegli antichi filoſofanti, qualche gran miſtero della Chimic'arte eſſere ſtato da Vulcano primieramenre trovato , e dalui poſcia a’Re,ea Sacerdotidimoſtro.Ma laſciando a'Chimi ci tut Del Sig.LionardodiCapod. 185 ci tutto ciò, che dietro a tal fatto potrebbeſi più profon damente eſaminare . lo dico , che non ha dubbio veruno avere gli Egizi Sacerdoti per la lor medicina tratto gran , pro dalla Chimica ; imperocchè ella venne a tale , cheti to altamente ne puotè favellare il dolciſſimo Iſocrate con queſte parole : gli Egizi Sacerdoti per guarire il corpo dalle malattie ritrovarono la medicina; non già quella , che ſi valede’ınedicamenti pericoloſi, ma ſi bene quell'al tra , che potendoſi colla medeſima ſicurtà adoperare , che gli ordinarj cibi d'ogni giorno ; recar ſuole poi tanti, e ta li giovamenti, che gli fa vivere ſani lunghisſimo tempo : Ιατρικήν εξεύρον επικερίαν , και διακεκινδυνευμένοις φαρμάκοις χρω - μένην : αλα τοιέτοις , α τίω μεασφάλμαν έχ ομοίαν τη τροφή τη καθ' ημέραν : τας δε ωφελείας τηλικαύτας , ωπ εκείνες ομολογεμένως ogcevozallos ng Harga61w télys civos. Magran pezza avanti Iſo crate , e nel tempo appunto , che in Egitto fioriva la ve ra medicina , avea detto Omero , dell'Egitto favellando, Ιητςος δε έκασΘ-έπιαμενΘ-. περί πάντων Αν θρώπων . cioè, ficome volgarizza il Baccelli: Ivi ciaſcuno è melico perfetto, F più ,ch'gn 'altro ajui perito, e fuggio. Poichè in verità ciò che ſconciamente dell'Egiziaca me dicina vien narraco per Diodoro , quand'e'dice : gli Egi zj non aver meſſo maialtra forte di rimedio in uſo , fe non fe criſtci folamente , purgative medicine , c digiuni, e vo mitivi : τας δε νόσους περκαταλαμβανόμενα και θεραπεύει το σώμα . τα κλυσμοϊς , και ποτίμοις τε καθαρτηρίοις και νησείαις και εμέ. τους και ενίοτε μου καθ' εκάτην ημέραν, ενίοτε δε τάς ή παρgς ημέρας dia menortes .e'debbeſi ſolaincnte di quc'tempi prendere,nc' quali la medicina da'Re , c da' Sacerdoti, in mano della più minuta bordaglia del popolo eraſi vergognoſamente invilita , eſſendo già caduta dal ſuo primo ſplendore, ed in iſtato di miſerevole ignoranza ridotta ; ſicome avviſaſi da quelle leggi, da noi nel primo ragionamento recate , che il mediconon aveſſeſi giammaia dipartir dagli ammae ſtramenti degli antichi, ne foſſe lecito porger a’malati al; A a cun -186 Ragionamento Terzo cun medicamentoprima del quarto giorno , ſe non ſe a ri ſchio della propia perſona del medico . Al che forſe po nendo mente il Corringio, e non diſtinguendo i tempi, af ſolutamente ebbe a dire , la medicina degli Egizi eſſere ſtaca rozza aſſaige materiale . Ma ſe perciò dal Borric chio egli meritevolmente ne venne biafimato , egli fareb be certamente aſſai più da biaſimar Galieno , il qual ne gar non potendo, che gli Egizi prima de Greci avefler contezza de'medicamenti , pure osò dire eſſere ſtato il lo ro conoſcimento affai groſſo , e rozzo , e che con l'agio di aprire i cadaveri p imbalſamargli ritrovato aveſſero mol te coſe alla notomia dell'huomo pertinéti. Ed era tanto in: Egitto la medicina caduta,e avvallata allor;che quel pae ſe da’Perſianiſoggiogato venne , e domato in guerra , che i ſuoimedicipiù celebri , e più valorofi , quali effer do veano ſenza fallo que" , che medicavano il Re,furono vin ti agevoliſſimamente da Greci, i quali ancora erano roz zi , enovizi nell'arte . Caduto poil'Egitto ſotto l'Imperio d'Aleſſandro , l'Egi ziaca medicina , ruinà anch'ella , e tracollò sì facramente, che i medeſimi Egizi da’Grecimaeſtri poi l'apparavano.. E infino alla cadura del Romano Imperio in Aleſſandria le ſcuole di varie ſette de' medicanti Greci in grande ſtato , edorrevole durarono ; e tratto tratto poi crebbero in tanta fama di dottrina , che a Galieno , come egli me delimo ne da teſtimonianza ,non increbbe d'andarvi per udir Nemeſiano, famofiflimo infra’diſcepoli di Quinto ,che di Galien medeſimo era ſtaro maeſtro ; e ſi mantennero le ſcuole d'Aleſſandria in ranta grandezza , e ſplendore lun go ſpazio di tempo intanto , che, come narra Ammiano Marcellino,baſtava in que'tempi, chehuomo aveſſe ftu diato in medicina in Aleſſandria per eſſer in pregio poi di valentiſſimo medico tcnuto . Narrali per Damaſcio nella vita d'Iſidoro , i fatti egregi di Giacomo medico Aleſſandrino, per li quali meritò egli, che gli ſi ergeſſero ſtatue in parecchi luoghi, e ſpezial mente in Atene . Coſtui quarant'anni continui logorò fa cendo DelSig. Lionardo di Capok 187 cendo eſperienze , e dopo aver tutto il mondo traverſato cſercendo ſempre la medicina , ed inſegnandola al figlio , che ſeco conduceva: pervenuto poi in Coſtantinopoli,tro vò quivi medici, che poco , o nulla di medicina ſappien . do , non con la ſperienza , come doveano , ma congli al trui detti medicavano a ritroſo , anzi ( conciamente mal megavano i caccivelli infermi; maGiacomoin medican do, cosi egli, come il figlio ſervivaſi delle purgagioni, e debagni,non traendo a niuno mai ſaugue. E quanto al fatto della Cirugia , oglino ſolean molto di rado porre in opera il ferro, e'l fuoco ; ma le maligne piaghe con la fola dieta curavano. Eben coſtoro amendue farebbero da ri putar degni di molta loda , ſe non foſſero ſtati ſuperſtizio fi , e idolatri , come par,che dica Fozio , comechè un an rico autore appo Suida affermi , Giacomo eſſere ſtato Criſtiano ; maavviſa il dottiflimo Iſacco Cauſaboni, che Fozio ciò aveſſe derto di Giaccmo , moſſo ſolamente da coloro , che'l credeano mago ,per le maraviglioſe cure , ch'ei facea . Dice di più Damaſcio , che diſcepolo di Giacomo fù Aſclepiodoto , il qual di muſico , ch'egli era in prima,li fè medico , e infra breve tempo cotanto in ſapere vantag gioſli , che in molte coſc , emolte , ſi laſciò dietro il me delimo ſuo maeſtro . Fu coſtui gran matematico , c'l più eccellente infra tutti i filoſofanti de' ſuoi tempi , comeche di coranto intendimento non foſſe , che poteſse i miſteri d'Orfco, e de’lavj Caldej penetrare. Egli de' medici de ſuoi tempi avea ſolamente in pregio Giacomo ſuo Mae ftro , e degli antichi, Ippocrate , Sorano , Cilice , e Mal leoco . Perchè ſembra , ch'egli, e Giacomo ſuo maeſtro foſſero ſtati metodici ; e quinci ſi ſcorge,ch'a'que'tempi vi cran de'valenr'huomini , che in niun pregio avcano Ga lieno . Rinovò Aſclepiodoro felicemente l'uſo dell'Elleboro bianco , già lungo tempo traſandato , e ne vinſe incura bili malori. Entrò egli nella famoſa mofeta di lerapoli,e ſe ne uſcì ſalvo , ponendoſi al naſo , e alla bocca la veltes Аа 2 ripie 188 Ragionamento Terzo ripiegata sì fattamente , che racchiuder vi poteſse qual che particella d'aria , onde egli agevolmente reſpirar do veſse ; quindi accoppiando inſieme varj minerali,con ma. raviglioſo artificio una ſomigliante mofeta ne compoſe. Ciò , che di vantaggio di lui narra Damaſcio per non recarvi tedio al preſente tralaſcio . Tanto vo dire,che de' medici d'Aleſsandria altro non raccontandoſi, ſi vede,che poco alla fama riſponder dovea il loro valore . Ne pur nell'Egitto la greca medicina nel ſuo buon nome lungo tempo durò ; perciocchè di mano in mano piggiorando magagnoli, finche tolto al Romano Imperio per opera de' capitani d'Omare l’Egitto, e venuto in mano de Saracenia poco a poco vi fi ſpenſe la greca medicina, ed in ſuo luogo un'imperfetta volgare Empirica vi rimaſe;alla quale ſucce dette poi , e fin’ora vi regna un'ombra di Razionale, o per ine’dire , di Metodica mcdicina aſsai rozza, e ſciocca, iil una, o in duc cotali coſe appiccata , e ſtabilita , le quali ſembrano a que’maeſtri ſcimmioni , cvidenti principi, fondamenta di quella , c non altrimenti che ſe foſscro già al tempo d'Erodoto . Egli ha ora in Egitto un'infinita fchiera di medicanti barattieri , i quali per pochi bajocchi ottenuta licenza di medicare dall'Alimbali , over princi pe de'medici, deſtinato , ed eletto a quell'uficio per denaro dal Barsa del Cairo , o che ſappia egli , o non ſappia di me dicina,medicano , una o più fortidi malattie , comc più lo ro in concio viene ; c giudicano eglino , due ſole eſser lo cagioni di cutti mali yil caldo , e'l freddo; ed eſsendo l’E gitto grandemente al callo ſottopoſto , immaginano qui vi follemnente , che tutte le malattie , o procedan dal cal do , o fian da ftrabocchevole caldo almeno accompa gnate ; perchè giudicando, che l’un contrario ſi ſpegna per Taltro , ſeryonli mai ſempre di rimedj acconci , ſecondo la loro opinione , e valevoli a rinfreſcare . Perchè traggon · largamente ſangue in tutte le empleſſioni , in tutte l'età , in tutte le ſtagioni dell'anno , ed a tutti infermi , e dan be re acqua agghiacciata ; il che «i ! anto fuor d'ogni ragione la fascia , non ha cercamente huomo di sì mezzano inten dimen DelSig. Lionardo di Capoa 189 dimento , che di leggieri avviſar no'l poſsa ; ſenzachè i cauterj , e le ſcarificazioni, che crudelisſimamente, e fen za riguardo alcuno anche nelle più menome malattie ſo gliono adoperare , tolgono affitto loro ogni buon nome ; intanto , che affatto contrarj a quegli antichi mediciſein brano , i quali avean piacevoli argomenti folamente il uſo . Ma ritornando alla medicina degli antichisſimi Egizzi, certamente lo non ſo , come iſcuſar ſi poſsa quel graviſſi mo fallo , nel quale que'Re, e Sacerdoti incorſero in te nendo cotanto a riguardo l'eſercizio della medicina; il că po della quale è così vaſto , e così malagevole, cheappe na , che più , e più persone colle lunghe eſperienze , e col le ragioui una menoma parte oggi coltivar ne poſsano . Ma no meno da biaſimar íono gli Egizi medici, per aver oglino primieramente colla vanità della divinatoria fero logia , corrotta , e magagnata la medicina, ſe pure è de preſtar credenza alle parole di Giulio Firmico : Nekepfo egli dice , Ægypri jufiifimus Imperator, a Aſtrologus val de bonus , per ipfos Decanos omnia vitia , valetudineſques collegit , oftendens quam valetudinem Decanus efficeret, quia natura alia vincitur , quia Deum frequenter alius Deus vincit , ex contrariis ideonaturis , contrariiſque pote ftatibusgumnium ægritudinum medelas divinæ rationisma gifteriis invenit . Triginta ſex itaque Decani omnem Zo diaci poffident circulum , ac per duodecim fignorum numeri ifte Deorum numerus , ideft decanurum dividitur . Se poi dagli antichi medici cra ſtato introdotta nell’E gitto quell'uſanza , che nel tempo d'Erodoto , nel quale fenza fallo la buona medicina iyi affatto era mancata, fer bavali , clic per tre giorni di ciaſcun meſe dell'anno gli huomini per conſervarli fani ſi purgavano col vomito , e ſi Ιανοvg!'inteftini τόπω δε ζόης τοιώδε διαχρέωνται : συρμαΐζεσαι σάς ημέρας επεξής μηνός εκάσg , εμέτοισι θηρώμενοι την υγίειην , και κλύσμασι, νομίζονες απο τών τξεφόνων στίων πάσας τας νούσος τοϊσι ανθρώποισι γίνεσθαι . loper me non credo,come si poſſa generalmere favel lan 190 RagionamentoTerzo 1 lando , comeche rieſca calor peravventura giovevole , tal coſtume in tutto lodare ; conciolliecoſachè coll'uſare il yomito , ei medicamenti, lo ſtomaco, e gl'inteftini a poco a poco s'indebiliſcono , e fi ſconvolgono notabilmente , e alconciano oltremodo le lor commeſſure, c li vuotano in ſieme con i cattivi umori le mucilagini , che veſtono , e difendono le loro membrane , ed altre , ed altre ſoſtanze non ſolo utili , ma ſommamente ancora all'economia , all' operazioni , ed alla vita degli animali neceſsarie, non che gioveyoli. Altro non rimane a dire dell'Egiziaca medi cina , ſe non chenon coſtumò ella ne meno allora quando era caduta dal ſuo primiero ſtato , per quel, che ſe ne ſap pia , di trarre mai ſangue : comechè comunemente credam ſi, che dall'Ippopotamo , o ſia cavallo di fiume, in Egitto da prima i medici l'apprendeſsero; perciocchè egli,come Diodoro racconta,nel fondo del Nilo quivi dimora , oco. me Ammian Marcellino , fra'canneci delle rive di quel 1o . Ma Prometeo , o pure Magog , onde ebbero la prima origine gli Sciti arricchìpreſso quelli la medicina, per ſua opera primieramente ritrovata , dinoli, e molti nobili , cgiovevoli medicaméri, co’quali ebbe egli fortuna dico si felicemente eſercitarla,ch'egli ragionevolmente ſi vanta appreſso il ſublime poera Eſchilo , ch'egli medicava me [ colando inſieme medicine acconce, ed atce a domar le malattie , con guarir tutti coloro , che così malamente ſi ritrovavano ridotti , che non ſi cran pocuti per niun riine dio in prima riſanare , e che prima , che a lui veniſse fatto di ritrovarle, e di porle in opera , non vi avea rimedio al cuno per le malattie To pelice régason , & nis vóm glori, Ουκ ήν αλεξημ’ δεν έδε Βρωμον, ρύ χρυσόν , και δε πιςον , αλα φαρμάκων Χρία κατέσκέλoντo πείν έγω σφίσιν Εδάξα κegίσεις ηπίων ακεσμάτων Αις τας απάσας εξαμάζονται νόσος , Ma di lui ancor ragionevolmente dottar ſi potrebbe,nó egli 1 Del Sig.LionardodiCapoa. 191 egli aveffe dato alla ſua medicina principio con iſcioglie re i corpi più duri , quali ſono i mecalli, per opera dei fuo co : mentre è coſtante fama appo l'ancichità , ch'egli pri ma di tutti da varie, e varie minicre ritraele i metallico me ſi può da que'verli vedere, Χαλκόν , σίδηρον , άργυρον, χρυσύνη της Φησεν αν πάροιθω εξεύρειν έμού . E conciofoffe coſa , che atanta impreſa gli faceſſe cer tamente meſtieri riguardar ſottilmente ancora al fuoco , e in diverſi gradi partirlo , e perciocchèegli peravventura , del calor del Sole ſervisſi : finſero , ch'egli affole il fuoco imbofaco aveſle . Ma tafciam di ciò , a' Chimici il penſie ro , come anche di fpiegar l'allegoria dell'effer Prometeo al raffo legato per comandamento diGiove; il che cicga remente vien nel fuo idioma da Eſchilo medeſimo narra to , ed è nel noſtro tale il ſenſo , Gia fiam giunti,o Vulcan , ne'vaflicamping E nelle folitadini deferte Per dove a Scitia valle; a te s'aſpetta i decreti adempir delGenitore ; Equeſto audace all'alte eccelſe rupi Con lacci indiſolubil didiamante Legar fra i duri faffi . Eito fplendore Del foco onnipotente , onde tu altero N'andavigià , furotti, damortali Dono nefeo : dritroi , che d'un sal fallo Pagbiagli Dei la meritata pent's ondiegti a venerar l'alto potere Di Giove, e l'huomo almeno amare apprenda. lo perme immagino , che Promeceo , o che'l caſo il por: taile , o da qualche ragione ſoſpinto accendeffè il fuoco con i raggi del ſole , e che da queſto traerſe origine la fa voka accennata . Mache che fia di ciò , li diede Prome teo ad intcrpetrarc i ſogni, e diceſi, ch'ei trovaſſe gli au gurj: Teórus di nous isoleradio il che fa vedere , che in fin al ſuo primo cominciamento la f media 192 Ragionamento Terzo 1 medicina ſempremaiaccompagnoli coll’arti ſuperſtizio : ſe , e vane . Ma come poi gli Scici della medicina di Pro meteo ſi valeſſero , Io non ne ſaprei dir altro , ſalvo , cho eglino ſi ſervivano delle purgagioni , e della dieta nel cu rare le malattie , come appo Plutarco riferiſce Talete την δίαιταν αυτή & τον καθαρμον ο χρώνται Σκύθαι περί τους κάμ νοντας και αφθόνως , και προθύμως παραδέδωκε Ma trapaſſando ora alla Fenicia :ebbe ella ne'primi tem pi huomini d'acutiſſimo, e maraviglioſo intendimento , e ſopratütro aſſai vaghi d'inveſtigar le biſogne del mondo , si fattamente , che prima di ciaſcun'altra nazione ebbero ardimento di condurfi per nuovi mari ( fabbricando ad ogni ora nuove Città , e popolandole di gente douunque capitavano ) a lontani, e per addietro non conoſciuti paeſi d'Africa , e d’Aſia , e d'Europa , perchè creduto venne, che i Fenici foſſero i primi, che ſolcaſſero co’legni il mare: onde diſſe Tibullo . * Prima ratem ventis credere docta Tyros. Perchègiudicar dobbiamo, eſſere ſtati i Fenici, abi. li ſoprammodo a imprender colle ſpeculazioni, e colles ſperienze la medicina , e che però ella nella Fenicii , fe condochè la natura d'un talc affare comporta , alcolmo della perfezioneaggiugneſſe . E di vero convennc , cho gni ſua parte arricchita , ed illuſtrata veniſſe dal profondo fapere di Cadino , come colui , che dopo diverſe,c glorio ſe vittorie dell'Africa avute , come canta Nonno nel poema dc'fatti dfBacco , edificò cento Città . • ... Λιβυσίδι ΚαδμG- αρούρη Δομήσας πολέων εκατονταδα , δωκε δεκάτη Δύσβαζα λαϊνέοις υφούμενα τύχεα πύργοις e ſpezialmente la famoſa di Tebe, ove egli regnar poi do veva . Quindi egli ſpogliando dell'antica rozzezza , c pe coraggine la grecia , le diedeinſieme con tante , e tante doctrine molti vocaboli , e le lettere ancora , e l'umanità. Il chei medeſimi Greci apertainente confeſſano , dicendo Erodoto >, per tacer di Filoſtrato , d'Ateneo , e di Diogene Laerzio , chei Fenici, che vennero con Cadmo, conmol te al . . DelSig.Lionardo di Capoa 193 te altre dottrine , le lettere , che prima non vi erano , in Grecia introduffero: ως δε Φοίνικες ούτοι ως συν Κάδμω απικό. μενοι , εσήγαγαν διδασκάλια είς τους Ελληνας, και δη , και γράμματα ουκ toy a aliv eranos . Conoſceſi anche manifeftamenre in ciò , che nella Fenicia la vera natural filoſofia allora regnavas la quale, come Strabone ,e Poſſidonio appo Seſto Empiri co raccontano, da Moſco Fenice , Leucippo da prima apparò . Ma più che altro , l'eccellenza della medicina de Fenicj ne da manifeſtamente a divedere, l'aver ella pe netrar ſaputo , come ſi poſſa col canto domar la ferocia delle malattic ; al che certamente imprendere ben ſalda, e ſottil filoſofia loro abbiſognava , eun'avvedimento non . miga ordinario , e volgare; eſſendo loro neceſſario dilige temente inveſtigare la materia del ſuono , qual veramen te ella lia , ſe l'aria , o ſe pure qualche ſpezial ſoſtanza,che nell'aria fi crovi , e le figure , e la grandezza delle parti celle , che la compongono ; e come la lingua , che forma il canto per via di miſure , e di convenenza , or fortemen te , or pianamente , or velocemente , or tardamente la muova ; e coine sì fatto movimento or s’uniſca , or fi di funiſca , or creſca , or manchi , or fi rifletta , or s’attuti ; come intorno intorno egli così velocemete liſpáda;e co. me all'orecchio finalmente pervenuta la ſonora ſoſtanza , o penetri i poridel timpano, e per li tortuoſi ſentieri del laberinto , e della chiocciola aggitandoſi, a percooter rat ta ſe'n vada ne'nervi dell’udico , o pure le ſue particelle dieno il lor movinento al timpano , e'l timpano le com munichialle particelle dell'aria , qual falfamente inn.itu chiamaſi , e queſte poi alla membrana, che veſte la chioc ciola il compartano . Ma ſopratutto inveſtigar loro cer tamente ancora conveniva , come le fibre de nervi dell'u dito , rappreſentando fedelmente all'anima lc vare, e va rie maniere, colle quali elleno tocche , e percofie furo no , facciano sì , ch'ella la sì varia , e táta diverſità deluo ni ne venga ad imprendere ; e come l'anima poi da una ſorte di ſuono noja , e da un'altra diletto tragga ; e come da ciò s'ingenerino in eſſa amore , odio , ira , timore , ed Bb altre, 194 Ragionamento Terza 1 altre , ed altre paſſioni ; e come queſte finalinente , o cre ſcendo, o ceſando il movimentodel ſangue , e dell'altre diſcorrenti ſoſtanze del corpo , o allargando , o riſtrignen do , o chiudendo i pori delle parti ſalde, fi rendan valevo li , come d'ingenerare , così anco di menomare , c di eſtin guere parecchie malattie . Mache che ſia del filoſofar, ch'eglino ſi faceſſero intor no a tal facenda, quáto giugner poſta la forza del căto tut to dì ne' bambini a noſtre caſe oggi'l veggiamo ; a ' qu ali per lo ſolo canto, avvegnachè non ancora i ſentimenti del le voci pienamente comprendano , s’alleggiano i dolori,e talvolta affatto ancor fi tolgono , e ſi ſeccan ſu le pupille le lagrime,luſingādogli pianaméte alla quiere il sono;e vede ſi talora huomo pe'lcāto aſsõnare, in cui vana ache la virtù dell'oppio ſperimétata ſi era.Il che ne può far fede vero efa fer potuto ciò,che d'Aſclepiade ſi legge cioè ch'egli la rab bioſa furia del ribellante vulgo colla muſica , ecol ſuono eſtingucſse . Mapoimaggiore senza filo ſi prova la virtù del căto,ove ſia chiintéda la ſignificāza delle parole ,come quelle , che ancora per ſe ſtelle fole, gli affettinell'animo, valevolia deſtar ſono . Onde non ſenza maraviglia lo lege go in Diodoro , che la muſica dagli Egiziachi, non ſolo inutile , ma nocevole anzi che no venille ſtiinata , Tu'vuge σακην νομίζεσιν , ου μόνον άχρηστν υπάρχειν, αλα, και βλαβεραν, ecio che Eforo appreſſo Polibio dice : la muſica eſſere ſtata ri trovata per ingannare gli huomini : ettes , ¿ ' atémy, aggona πία παρεισήχθαι τους ανθρώποις . Perché non eeglia mio cre dere affatto inveriſimile, che Damone co'l căto aveſſe té perar potuto , e raffrenar le menti offuſcate , ed alterate dall'ebbrezza . E ciò , che narrafi di Terpandro , e d'A rione , ch'aveſſer col canto riſanati gli abitatori di I.esbo; chc di graviſſiine malattie moleſtati, ed oppreffi langui vano ; e di Pittagora ciò , che ne narra Eutimio,che a ſuon di cornamuſa aveſſe ad un giovine tutto infiammato d'a moroſo foco , l'ardentiſſime fiamme amoroſe ſmorzate , ad un'altro, che infuriato correva col ferro ignudo, lo sfre nato orgoglio arreſtato ; e di Timoteo , che con furioſo canto Del Sig.Lionardodi Capoa. 195 canto iſtigaſſe Aleſſandro Macedone a prender l'ar : me ; ma addolciando le note sì adoperaffe, che le poneſſe giù di bel nuovo ; e di Aſclepiade , che le impazzate men ti, e da furor turbate , aveſſe con ſoave melodia in iſtato di ſanità ridotte ; e del medeſimo, che a ſuon di tromba a’ fordi renduto aveſſe l'udito . Ma non così di leggieri pe I ) ſembra ,che preſtar ſi poſſa fede a Marziano Capella , il quale afferma,eſſere ſtate guarite le piaghe perla muſi ca ; ed à ciò , che diceli d'Itinenia Tebano, che col canto guariſſe la ſciatica, comechè li fien fovente vedute per im provviſo timore , e le podagre, e le quartane febbri dipre ſente fanate . Ma che Talere poi colla ſoavità della Ce tera la peſtilenza aveſſe fugar potutz , coſa ſembra affatto lontana dalla verità . · Ma il valor della muſica ben venne conoſciuto a tutte quelle nazioni, che in mezo alle battaglie vollono i ſuo ni , e l'armonie framettere ; come quelle , che troppo va levoli lor lembravano a trarre gli animi de'combattenti, e colle varie note ſvolgergli, ove più l'era a grado ; e talora incoraggiargli a più pericoloſe impreſe . E sìi Geti uſa rono le Cetere , e le Siringhe : i Creteſi ', le Lire : i Lidi ed i Lacedemonj gli Auli,a ſuon de'quali pria di comin ciare la miſchia , di cantare un melos qucſti eran uſi, che Embetterio appellarono. E gli Arcadi p incoraggiare la lor giovētù ad altiſſime impreſe, e per addolciar la rozzezza de’ioro animi,cagionata dall'aſprezza dell'aria ,, con ogni ſtudio ferventemente alla mulica s'impiegavano ; e l'eſſer ne ignoranti aurebbonſi a fommo ſcorno recato ; onde diffe Polibio, che fin dalla tenera fanciullezza s’avvezavan gli Arcadi a cantar Inni, e Perni , i quali ſecondo il patrio coſtume erano indirizzati a lodare gli Eroi, e gli Dei della Patria ; e altri ufici della lor inuſica va il medelimo Polibio lungamente diviſando ; e ne fa anco parola Atenco .. Vennero, ma non guari feliceméte i Fenici da’mcdicanti dell'altre nazioni imitati , i quali le maraviglioſe pruove, che per coſtoro col canto facevanſi ſcorgendo , e non ſap piendone la cagione, ne per iſtudio c'huom vi mertelle Bb giam 2 196 Ragionamento Terzo 1 7 1 giammai penetrar potendola, li fecero a credere , che l'ar monia tucti mali diſcacciar poteſse ; anzi vi ebbe di van taggio chi ſconciamente filoſofando immaginò , non ſo lamente ſopra gli animali, maaltresì ſopra l'infenſate co ſe quella ſignoreggiare , e fin ſopra i Cieli , e nel baſso in ferno diſtenderſi. E perciò vollono , che colà giuſo nell abiſso calando Orfeo, co'l ſuon della ſua Cetera ſtrozzal ſe ſu le fauci di Cerbero i latrati , che uſo era contro a ' paſsaggieri con crudel rabbia di mandar fuori: raffermal ſe l'orgoglio delle furie ſmanianti: e l'anime tutte perdue te , aveſler dall'acerbe lor pene alcuna triegua: ne lacera te p allor foſsero dagli Avoltoj a brano a brano le viſce re a Tizio , ne le membra a Siſifo dal grayoſo ſaſso sfra cellare ; ne per ſete delle vicine acque, e per fame delle vedute poma arrabbiaſse Tantalo . E tutti quanti in ső ma l'inceſsabili torméti col ſuon della ſua lira in quel paſ ſaggio ſgombraſse; anzi colla dolce armonia sì poteſse fa re , e tanto , che dagli infernali Dei a'regni della luce law ſua cara Euridice otteneſse di riportare ; il che vagamen . te deſcriſse l'ingegnoſo latino poeta. T alia dicentem , nervofque ad verba moventem , Exangues flebant animæ,nec Tantalus undam Capravit refugam : ſtupuitq; Ixionis orbis. Nec carpere jecur volucres urniſque vacarunt Belides: inque tuofedifti Siſyphe ſaxo. Tum primum lacrymis vibarum carmine, fama ef Eumenidum maduiſſe genas : nec regia conjux Suſtinet oranti , nec qui regit ima , negare : E per tal cagione altresì,ad imitazione di Teocrito , Virgi lio introduce Alfefibeo a dire Carmina , vel Calo poſuntdeducere lunam . Carminibus Circe focius mutavit V lalei Frigidus in pratis cantando rumpitur anguis : Eplamedeſima cagione pariméte quel noſtro Poeta puo tè far dire alla Ninfa , dicui narrò Ricciardetto aRu. giero: Dal Giella Luna al mio cantar difcende , S'ago DelSig.Lionardo di Capoa. 197, . S'agghiaccia il foco , e l'aria fifa dura , Ed bo talor con ſemplici parole Moffa la terra , ed ho fermato il ſole . Ma cotanto oltre portofſi la ſomma ſmcmoraggine di quegli ſciocchi imitatori de'Fenici, che non ſolamente nel canto , manelle parole ſole ancora una tanta virtù, ed ef ficacia conſiſter crederono , e di quelle in medicando fer vivanſi : onde fi legge in Omero ,che colle parole ſtagnals ſero il ſangue delle ferite d’Vliſse i figli d'Autolico, Τονμάρ Αυτολύκου παίδες φίλοι αμφεπένοντο, Ω'πιλήν δ ' ο'δυσπG- αμύμονG- αναθέριο Δήσανέπιαμόνως • επαοιδη δ' αίμα κελαινόν Εχεθος: cioè , Mad' Aurolico i figli eſtrema cura si preſer del divino Vliſſe , e prima Congrand'arte legaron la ferita Tenendo ilſangue , che già fuor n'uſcia Conparole d'incanto entro le vene . Ma non ſolo i greci, maanche i noſtri poeti, per cacer de’latini , ſecondando i ſentimenti del vulgo ciò ſcriſſero , infra' quali il Taſso padre finge , che la donzella della fa ta Silvana medicaſse colle parole quell'Inghileſe Cava liere gravemente per man d'Alidoro ferito , cosìdicendo: E con la forçade'magici incanti Fe in lui tornar la virtù già ſmarrita, Se ricourati i vaghiSpirti erranti , Gli fanò in breve tempo ogni ferita . E dicono altri ſcrittori aſsai, che operino ciò anche le parole in tutt'altre malattie : infra’quali Vindiciano: Namque eft res certa Carmen ab occultis tribuens miracula verbis : e priina di lui Quinto Sereno: Multaquepræterea verborum monftrafilebo; Nam febrem vario depelli carmine polle Vana fuperftitio credit , tremuleque parentes. La qual beſſaggine è durata fempremai, edura tuttavia nel 198 Ragionamento Termo nel mondo , attenendoſi a cotali fraiche , e novelle'; non ſolo la ſcempiata plebe , maancora quei , che tra’letterati tengono qualche luogo; e nel paſſato ſecolo il Perrino,fa mofiflimo Peripatetico , per tacer d'altri di minor liéva , con vaniſſimi ſofiſmi, diſoſtener sì fatte pecoraggini fol lemente argomentoſſi, cercando di dare a divedere,che le parole naturalmente ciò poſſano operare; anzi di vantag gioancor giudicano , che le parole eziandio ſcritte , e ad doffo portate , non ſolo a guarire i mali , e le febbri, ma anche a render yani i colpi delle ſpade, e delle palle degli archibuſi ſommamenteapprodino. Onde poi prendono i noſtri Poeti a favoleggiar de’loro Cavalieri crranti , co me di Ferraù narra l'Arioſto: Ch'habbiate ſignor mio già intefo eftimo, Che Ferraùper tutto era fatato , Fuorche là dovel'alimentoprimo Piglia’lbambin nel ventre ancor ferrato. E del ſuo valorofifſimo Orlando : Era egualmente il Principe d'Anglante Tuttofatato , furrche in una parte : Ferito eller pote a fotto le piante: Ma le guardòcon ogni ſtudio sed arte . Duro era il reſto lor ,come diamante ( Sela famadal ver nonſi diparte ) E l'uno , e l'altro andòpiùper ornato , Che per biſogno a le battaglie armato . Ma più ridevole in vero, e ſtrana allai, èpreſſo il Bojardo , e l'Arioſto , la novella d'Orillo , il quale ingaggiato a bàttagiia con Grifone , ed Aquilante ſu le ſponde del Ni lo , non mai da que’prodi campioni potea trarſi di vita : imperocchè per virtù diparole ,e d'incanto , egli era sì fattamente ciurmato , che dopo eſſere ſminuzzato , e tri tato, di nuovo, que'minuzzoli da per ſe acozzandoſi , -ri tornava , ſicomeprima a vivere , e a combattere ; onde cantò il Bojardo Segli tagliafſi il collo , il petto ,e l'anca Piùminuto il tritaſi, che'l panico, 6 Mai DelSig.Lionardo di Capoa. 199 Mainonſarà dello Spiritoprivo, Spezzato in mille parti torna vivo. Famoſa ſenza fallo , e chiara al mondo fe la medicina de Traci il valencillimo medico , e filoſofante Orfeo , come colui , che per teltimonianza di Clemente Aleſſandrino nelle ſecrete coſe della natura fi fè addétro aſſai ; e fu il pri mo, checurioſamente, per quel che ſi ſappia , dell'erbé ſcriſfe : primus, dice Plinio , omnium , quos memoria novit Orpheus de herbis aliqua prodidit . Compoſe egli ancora alcuni libri della natural filoſofia, delle gemme, del ſito delle fibre , e un libro ſe'l ver dice Galieno della compoſia zione degli antidoti, e molti , e molte altri libri di coſe naturali ; ſenzachè non ſi può egli di leggier credere, in quanto pregio avuto egli foſſe tra per la dolciſſimaarmo nia del ſuo canto , e per altre ſue rare dottrine , maſlima mente della politica , di cui ſecondamente che ne raccon ta Pauſania , fù egli un gran maeſtro , molte , e molte di di quelle coſe inſegnando , le quali alla vita, e al regime to degli huomini abbiſognano. E anche fu egli pregiato molto , e tenuto a capitale per le molte , e valevoli medi cine a corali malattic non men del corpo , che dell'animo dalui ne'ſuoi infermi felicemente adoperato. E comechè favoloſo affatto , e vano fia ciò , che vien narraro di ſua moglie Euridice,da luicol canto riſuſcitata : non però di meno vogliono molti antichi ſcrittori , che Orfeo la riſa naſſe , preſſo a morte ridotta dal morſo d'una ſerpc, e che poſcia ella ſe ne moriſſe per colpadel medeſimo Orfeo .Ma ſe foſſe veramente d’Orfeo quel poema dell’Argonautica, che la bugiarda Grecia ſotto il ſuo nome divulgò , dottar non ſi potrebbe , che egli non foſſe ſtato della Chimica molto , e molto avviſato , mentre ſi deſcrive in quel libro minutisſimainente ciò, che ſi richiede per lo gran magiſte ro , che deſcritto era , come ſi finge nel libro , che Orfeo con gli altri argonauti a Colco conquiſtarono. E quinci certamente ſi pare poi, che i poeti prendelſer l'occaſione di finger quel celebre favoloſo racconto del Vello dell'o ro:, il quale , come dicono lo ſcoliaſte d'Apollonio ,e Sui da, e 200 Ragionamento Terzo da , e Varino Favorino , altro veramente ei non era , che una pelle , nella quale l'artificiofa maniera da cambiar in oro qualunque altro demetallideſcritta leggevaſi. Ma le tante arti , e ſpezialmente la muſica,e la poeſia ; nelle quali dilettavali aſſai Orteo , e l'eſſer egli ſtato , CO me Simplicio riferiſce,autore, ed inventore deltaco , e no per altro, che per iſcuſarſi, e riveſciar ſopra la di lui inevi. tabile neceſſità quelle morti, che per ſua colpa a'poveri in fermi avvenivano , mi dan per avventura giuſta cagione di dubitare, non egli foſſe ſtato nella filoſofia,e nellamedi cina da mé, che altri credevalo ;ne tāta loda meritar dovel ſe , quanta in prima guadagnoli nel creſcere dell'arti ap preſſo i troppo ſemplici , enon eſperti antichi, iquali pa ghi ſolainente delle primeapparenze delle coſe , nonnes venivano troppo addétro a penetrare le cagioni;comeche Pittagora ſtudiato oltreinodo ſi foſſe delle doctrine di lui apparare , e diſcerner ſuoi librilegittimi da non veri,ſico me non pochiſcrittori teſtimoniano, e ſpezialmente Siria no , il quale di moſtrare a' fentiinenti d'Orfco que'diPi tagora , e di Platone concordevoli argomentolli. E più avanti è da dottar della ſua dottrina , e valoria ; percioc chè non è egli vero ciò , che il ſemplice vulgo parimento di lui credeva , efſer le ſue azioni , ed andamenti tutti con una coral gravità di coſtumi, e lantità di vita ſempremai ſtati accompagnati ; conciofoſſe coſa , che egli dimoltes malvage uſanze , c cattive vezze la Grecia cutra gualta, e corrotta aveſſe : Sacra Liberi Patris , dice Lattanzio , pri mus Orpheusinduxit in Greciam , primufque celebravit in monte Bootie Thebis , ubi Liber natus eft. E di vantaggio ſcrive di lui Ovidio : Ille etiam Tbracum populis fuitauthor amores In teneros vertiſe mares : Ma la medicina de Traciin fama,edonor maggiorinen te poi crebbe per opera di Zamolſide, non meno ſaggio , che valoroſo lor Principe, da alcuni fallamente appo Ero doto creduto ſervo , e diſcepolo di Pittagora . Ma della medicina di Zamollide altro noi non abbiano, ſe non quel poco DelSig. LionardodiCapoa 201 poco che appo Platone ſe nelegge,cioè,nó poterſi medicar gli occhj ſenza la teſta ,ne la teſta ſenza tuttoilcorpo, ne il corpo ſenza l'anima. E queſta dicca Zamolſide eſser la ra gione, perchè molte malattie de'corpi fieno naſcoſe a'me dici Greci , a’quali non è manifeſto dove primjeramente faccia meſtieri applicar la medicina, cioè al tutto , il qua le non iſtando bene , è imposſibile , che qualunque ſuas parte ſe ne ſtea bene;cócioſliecoſachè,ficomc egli dicevil ', ciaſcun noftro bene , o male dall'anima noftra ne diſcenda al corpo , e da quello conſeguentemente a ciaſcuna parte di ſe, e perciò agli occhj ſi partiſca ; e però giudicava in prima eſſer l'anima ſopratutto da medicarc ; acciocchè bé poi ne ſteſſc la teſta , e tutto il corpo .Mal'anima egli volc va , appo Platone,che da medicar foſsc có incanci; e queſti diceva eſserci buoni ſermoni , e indirizzamenti, i quali certamente fan pro a render l'huomo temperaro , e ſigno reggiante l'impeto de'ſenſi alla ragione rubelli ; e quindi 1.2 ſanità al capo , e a tutto il rimanente del corpo agevol mente poicompartirſi: ecco le ſue parole sa's dº itu'sa's Guo ας , τες λόγες είναι τις καλές • εκ δε των τοιέτων λόγων εν αις ψυχαίς σοφροσύνην εγγίγνεσθαι ,ής εγγενομένης , και παρέσης ράδιον ήδη είναι την υγίειαν , και τη κεφαλή, και το άλω σώμαπ πορίζων , Ma non facea meſtieri certamente di molto ftudio , e di molta acutezza d'intendimento a porre in aja sì fatti di viſamenti , che poſsono di leggieri cadere in mente anche alle più idiote perlone . Nevero egli ſi ritrova , che le malattie tutte del corpo , dall'anima dependano , o ſem - prc , chepatiſce una parte , debba neceſsariamente patir il tutto , o'lmal delia parte da tutto il corpo, o da qualche parte principale di quelle dependere; perciocchè ben può eſser tutto il rimanente del corpo, ſano , & una , o altra parte ſolamente magagnata . È ciò avvenir tutto dì live de ,maſſimamente nelle ferite, ed epfiamenti, che colme dicar la parte offeſa ſola, ſenza badar ad altro , quella feli cemente ſi riſana ; e ciò conferma l'eſemplo del fatto a'no ſtri tempi avvenuto , dicolui , che portar non potendo il troppo acerbo dolore , che per la podagra pativa in un de Сс diti 1 2 202 RagionamentoTerzo diti del ſuo piè , venne a tanta diſperazione, che preſo un coltello, troncoſselo , ne più mai in altro luogo poi venne gli la podagra . Macon gran prontezza venne abbracciata , e con gra disſima ſuperſtizione oſservata sìfatta guiſa di medicare da'Greci medici razionali ; e di quella tuttavia ſivaglio no i noſtri medici ancora , tra per far pompa di quel ſape. re , ch'effi non hanno , ed ancora per menar la cura alla lunga ; ma ſopratutto per non aver rimedio opportuno al male ; e di cotali ſorti di medicine ſi ſervono , le quali al la malattia punto non s'appartengono ; e nondimeno egli no millantando dicono uſarle opportunamente: acciocchè prima il tutto , e le parti principali medicate ſieno ; e quin di all'offeſa parte fi venga a dar riparo ; e immaginando follemente ancora , che ciò far conaltro argomento non ſi poffa , i lor ſalalli , e le ſtomachevoli purgagioni, che fono i maggiori ricoveri della loro ignoranza , mettono di preſente in opera,co imporgli largamente ovunque più loro aggrada , fino a far infralir gli ſpiriti , e preffo , che amorte giugner i malati; ma ben ſovente incontrar ſuole, che da qualche femminella , o altro menomo Empirico ' , cui il vero rimedio ſia conoſciuto , di sì fatte lor cianceri mangan beffati , e ricreduti . Ma per altro poi molto manifeſto fiſcorge, che in Za mollide aſſai più che'l ſapere,parte v’ebbero l'aſtuzic,ele frodi, delle quali niun forſe di lui meglio ſi ſeppe a'luoi tempi valere . Fabbricò egli un belliſſimo palagio ( co me narra Erodoto , comeche Strabone altrimentijl fatto deſcriv2 ) nel quale convitava a mangiare la gente più principale , e lor perfuadeva , che ne eſſo , ne alcun di co loro , che gli tenean compagnia giammai morirebbe; ma inſieme con eſo lui dopo il trapallamento della preſentes vita , eterna beatitudine goderebbono. Edificò egli un ' altro palagio ſotto terra, la dove egli infingendoſi mor to ſtette celatamente tre anni ; nel qual tempo con pieto fi ſoſpiri, ed amare lagrimc doloroſamente fu pianto da que'popoli; ed uſciione poſcia diè a diyedere, ch'egliera in vi DelSig. Lionardo diCapoa 203 ciò , in vita ritornato ; e queſto , ed altro egli ebbe agio di fa . re , perch'era in grandiſſima gloria ſalito , tra per la medi cina , e tra per eller qnci popoli groſſi , e materiali ſoprá modo ; intanto , chenon ſolo diedero intera credenza a che detto aveya : ma ancora dopo mortc in cotanta , maraviglia fu tenuto , che venne da loro per Dio adora to ; ed a’teinpi di Erodoto eglino ancora avevano in co ſtume di madargli uno ambaſciadore con una nave di cin que hucmini: aʼquali era impoſto , che giunti ad un ſoli tario , ed ermo luogo,prendeſſero per lo piede il detto am baſciadore, e lo ſoſpingelſer ſu in modo tal , ch'eglive niſo a cader giù loura tre lance a tal effetto acconce ; il quale fe immantenente ſe ne moriva , eran ſicuri , che Za molde favorevol farebbe ſtato alle lor dimande ; ma ſe per avventura morto non foſſe , n'era accagionato , coine indegno dell'ambaſceria , e reo , e perfido huomo era ap pellato; ed un'altro ambaſciadore a queſt'opera fare eleg gevano , al quale le medeſime ambaſciate imponevano Quefta fortuna medeſima appretſo lui participarono i ſuoi fcaltriti diſcepoli, come quei, che poteron dare agevol mente a divedere a quc'ſemplici popoli , che valevoli foſ ſero coʻloro argomenti a dare altrui quella immortalitá che per ſe medeſimi conſeguir non potevano. Ma Bacco, ſapientiſſimo, e valoroſiſſimo Principe de' popoli Affirj, della medicina de' quali ora lo intendo di ragionare , avendo in pochiſſimo tempo a forza d'ar me vinta l’Iberia , e la Libia , e l'Oriente tutto , e più, e più volte calcate colle vittorioſe piante l'arene dell’O ceano , e fin l'ultime regioni della terra penetrate , e po ſtevi per eternamemoria de'ſuoi trionfi quelle due famo ſe colonne: così ragguardevole, e glorioſo in tutto'lmon do divenuto,pur ebbe in cotanto pregio la medicina , che non già monarca , e conquiſtator delmondo, ma medico ſolamente volle elles chiamato . E nel vero così magnifi che, c gloriofe furle fue impreſe , che per tacer de Fenicja ftudiaronli i Greci millantatori colle loro uſate menzogne di Cadmo al nipote , huom di loro nazione propiamente Сс 2 inve 204 Ragionamento Terzo 1 1 inveſtirle ; ma ſi ben non ſeppero con loro novelle la coſa comporre , che non ſene doveſſe manifeſtamente avvede. re ciaſcun , che de'tempi di coloro faceſſe ragione ; per ciocchè egli è coſa manifeſta , che molto tempo addietro a Cadmomedeſimo, non che a ſuo nipote, ci foſse Bacco vivuto , ſecondamente che s'avviſa in Euripide , introdu cente nella Bacchide Cadmo a comındare il culto di Bac co , fol perchè egli antico fi foſse : Πατος παραδοχας, άσθ' ομήλικα , χρόνων Κεκτήμεθ' , έδεις αντο καβάλει λόγG-. Ed Ateneo ,graviſſimo ſcrittore, ſomiglianteméte dice,far fi menzione di Bacco nella lapida del ſepolcro di Nino , il qual viſſe certamente ſeicento anni prima de'tépi di Cad mo ; ſenzachè appo Filoſtrato affermano in verità gl'In diani , eſſer Bacco , non dalla Grecia , comealtri crede , ma dall’Affiria nelle loro contrade capitato. La maggior opera, che Bacco in medicina faceſse, ſem bra ſenzafallo il ritrovamento del vino . E ciò fù per av ventura , che adoperando cgli il ſugo dell'uva per cotal fua biſogna a caſoqualche parte nelvaſo avanzata ne for ſe,la qual poi bollendo,e formétandoſi in vino fi cambial fe: e diciò avvedutofi egli , a bello ſtudio poi la colaj provaſse , eriprovaſse, finchè avviſandolo alla fine così ſpiritofo , e giovevole al genere umano l'adoperaſſe in prima nelle malattie, quindi ancora agli huomini ſani lar gamente il concedeſse . Ma forſe egli , ſecondochè lo immagino , per via della Chimica ritrovollo ; la qual , ficome in Egitto , così anche doveva allora in quelle con trade ſommamente adoperarſi. E veramente ſolo a'Chi miciconviene col digeſtimento , e formentazione neʼlu ghi vegetabili ſuegliar gli ſpiriti, i quali pigri in prima, e quaſi addormentari in quelli dimoravano . E potrebbe eſser’anche , che Bacco apparato l'aveſse in ciò , che lo frutte , da ſe medeſimeforinentar fi ſogliono , el ſapore e l'altre qualità convencvoli al vino acquiſtare; avvenen . do ciò per opera de'movevoli ſommamente , & acuti cor picciuoli , i quali dall'aria intorno lor communicandoſi, e ajuta Del Sig .Lionardodi Capoa. 205 ajutati da cotali atometti di quelli , onde il fuoco s’ingco nera,che continuo portan ſeco ,e che in que'corpi trovano, fuiluppano tratto tratto, e ſciolgono quella nobiliſsima foſtanza , ch'anima del vino può dirſi , e da' Chimici , che colla diſtillazione ſoglion dal vino ſepararla,acquarzente, e ſpirito di vino ſi chiama. Ma comechè del ritrovamento del vino ſe ne debba veramente l'onore al noſtro comun padre Noè ; impertá to è da credere, eſſer' il modo di fare il vino da lui già ri trovato ,per travalicamento di tempo , ſmarrito : cche Bacco poi da capo il rinveniſſe . lo fo , che alcuni favo leggiando voglion con lor novelle darnc a divedere ,eſſere ſtata una medeſima perſona Noè , e Bacco ; ma ciò trala fcio , per non effer egli in modo alcuno da credere ; per ciocchè per quel , che comprender ſi poſſa dalle ſagre car te , non guerreggiò giammai Noè , ne altra impreſa fece , che ſpezialmente a Bacco s'attribuiſca . E molto meno è da preſtar credenza al Voſſio padre , il quale a deboliſſime fondamenta appoggiato , giudica , non altri eſſere ſtato Bacco , che'l ſanto Moisè ; perciocchè Moisè non fu mai in India a guerreggiare , non chepunto ta foggiogaſſe. Ma ciò non appartenendo punto al noſtro propoſito dico, che ciò , che ſifacefle in inedicando Bacco , e quali altrimedi camienti egli adoperaſle , e come co'l vino guariſse i mala ti , e coll'edera poi a'nocimenti del vino e' riparaffe , non ; ne abbiamo al preſente,per quel ch’lo ſappia, contezza alcuna . E avvegnachè valentisſimomedicante e' li foſſe, c imperciò dall'oracolo il dator della vita chiamato , non però di meno eſſendo egli avido di loda , e vanaglorioſo aflai, pur comegli altri per maggiormente cfſer tenuto a capitale , vollemueſtrevolmente render più maraviglioſe le ſue cure , con far veduta , che qualche coſa ſopranatu rale anchev'aveſse ; perchè ſerviſſi delle divinazioni e de facrifici, i quali tra per queſto , e per la ſperanza di veni re anch'egli dopo mortequal Dio dagli huomini celebra . to , nell'Alliria , e ne'paeſi dalui ſoggiogati , in primaj introduſſe. 200 Ragionamento Terzo 1 Ante tuos ortus ar& fine honore fuerunt Liber , & in gelidis berba reperta focis . Te memorant Gange, totoque Oriente ſubalty Primitias magnofepofuiße lovi . Cinnama tu primus, captivaque thura dediſti , Deque triumphato viſceratoſta bove. Ma trapaſſando dalla medicina degli Affirj a quella de gli Arabi , ſe rozza veramente , e ſciocca oltremodo ne gli antichi tempiquella fi foſſe ,o ſe talpur ſi pareſc,ben G ravviſa in ciò , che da Agatorchide per teſtimonianza di Strabone, e di Diodoro , che da lui tolfer di peſo ciò , chc ſcriſſer delle coſe degli Arabi, narrato ne viene . Do po aver detto Agatoichide, che nell'Arabia per la trop pa fragranzia,e acutezza, che ivi fentivaſi degli odori del le loro piante , diffolvendoſi , e dilatandoſi tratto tratto la teſſitura delle membra di quegli abitatori, divenivano i cattivelli in fierisſime cagioni , e malattie . Soggiugne egli poi , che a quelle co'l fumo, ccolla puzza delle bar bc de'becchi , e del bitume davan riparo : da#reouév8 rõrúa ματG- υπ ' ακράτε , και μη τικής δυνάμεως , και την συμμετρον πύκνω. σαν επιπλεονεξίσης, ωπάγαν ας έκλυσαν ισχύ την .Ρcrche fembra ad alcuni , che a ciò fare ſoſpinti foſſer gli Arabi medican ti da quel volgar ſentimento , che l’un contrario , per l'al tro curarſi debba . Ma che che ſia della verità di ciò ,tan to , e tanto oggi meſſa in dubbio da’moderni medici : di co , che ſe rimedio pur quellera , certamente era cgli più acconcio a conſervare , e difendere da quelle malattie i pericolanti paeſani , che le già appiccate ceffare. Ne è pū. to vero ciò, che il dottiſlimo Salmafio giudica , esſere ſta ta queſta in Arabia una cotal ſorte di metodica medicina ; perciocchè i Razionalimedici ancora ſi prendon guardia di non laſciar di ſoverchio turati , o ſpalancati i pori degli animali , e oltre al convencvole ſtemperati. Maccrtamē te è da dire , che eſſendo ora cosi odorifera di ſpezierie l'Arabia , quale in quegli antichissimi tempi ſi era:ne per ciò cagionandoſi quivisì fatte malattie , fieno affatto fa volore, e vane cotali no c!le di que'tcmpi; o alti vode,che dagli Del Sig.Lionardodi Capod. 207 dagli odori foſſe ciò avvenuto. Ne poſto in ciò della tram { curaggine di Strabonc , e di Diodoro forte non maravi gliarmi,i quali non ſi dieron mai cura di ravviſare un cotal farfallonenegli antichi, e pure nc'loro tépi affai ben cono ſciuta ſi era l'Arabia.Ma nella Grecia da chi , e in qual té po da prima ritrovata ſi foſſe la medicina , Io quanto a me confeſſo affatto non ſapere ; nondimeno farei d'opiniones molto tempo avanti di quel , che comunemente ſi giudi ca , quivi eſſere ſtata quella ritrovata : e ben priina aſſai , che Cadmo le priine lettere vi recaffe ; perciocchè per le gravi , e crudeli malattie , che continuo quella infeltava no , ſommaméte allora faceva la medicina alla Grecia me ſtieri . Il che fu anche cagione , perchè con tanto ſtudio, e in tanto novero i Greci tutti allora alla medicina s'impie gaſſero; e non fu egli al mondo ,per quanto ſi poſſa in iſto ric avviſare , nazione alcuna , che cotanto vis'inviluppal ſe , quanto la Greca . Perchè ſembrami egli certamente imposſibile , che nelle tenebre di tanti , e tanti paſsati ſe coli , e da poche, e non ordinate memorie , che appena ai noſtra notizia fien pervenute, ſi poſſa in alcun modo inve ſtigar la verità di cotali coſe ; ſenzachè fon le loro ſtories tutte ſofperte di falſità , e millantatrici, ccon l'uſate lor favole , e novelle ſempremai meſcolate;imperciocchè, co me avviſa Giuſeppe Ebreo: non avēdo avuto i Greci ſcrit ture pubbliche , nelle quali fedelmente ficonfervaſsero fe . memorie delle coſe avvenute , oguiſcrittore poteva ,come più gliera a grado narrar le coſe,ſenza aver timore di po ter mai eſser colso in fallo ', e convinto di bugia . Arro ge , che i Greci , come afferma Dione , erano così avvez zi al piacere , che ſtimavan vere tutte le coſe , che narrate foffero con eleganza di ſtile ; il che poi cagionava, che gli ſcrittori d'altro cura non ſi deſsero , chedivagamente, ed ornatamente ſcrivere , fenza durar fatica nell'inveſtigar la verità de' fatti ; anzialcuni ſovente ſi ſtudiavano , meſco . lando a bello ſtudio menzogne coll’iſtorie , di fare altrui delle loro ſtrabocchevoli impreſe maravigliare ; e altri fi adoperavano in ben comporre , e inviluppar le coſe per coglier 1 1 208 Ragionamento Ter 70 6 1 coglier poicagione di trarre a ſua patria ciò , che di ma. gnifico , e di pregiato andaſſe attorno . Così il comun der Greci le glorioſe geſte in medicina d'Oſiri Egizio , perta cer d'altre ſue impreſe , che non fanno al preſente a noſtro propoſito , al ſuo Apollo figliuol di Latona mentendo at tribuì; e'l figliuol di Semele reſe chiaro , e illuſtre co' fat ri di Bacco Afirio . Così ancora quanto di grande , e di glorioſo in medicina operaſle Tofortride, inſieme coʻl ſuo medeſimo ſoprannome al ſuo Eſculapio falſamente attri buì; laſciando così in tanti volumi , e confuſioni il pren . derſi cura gli ſcrittori di rapportare il tempo , in cui par citamente quegli antichi medici Greci viſſero , de'quali ancora a' noftri tempi ne ſon giunte qualche contezze,che malagevole , anzi impoſſibile egli ſembra ad huom lo ſvi lupparſene . Ma io in quanto potrò per fornire il mio di viſo , faronne una breve , comechè confuſa accolta , eſc condochè alla memoria a mano a mano mi ſovverrà , ter rò ragionamento di ciaſcuno . E prima di tutt'altri mi convien narrar di Peone tenuto in sì gran maraviglia appreſſo gli antichi per la ſua impareggiabil’arte del medicare , che ragionevolmente giudicarono , aver lui meritato d'eſſer medico diGiove, e cotanto lafsù pregiato , e tenuto a capitale, che più dicia fcun'altro Dio preſſo a quello orrevolmente ſi ſedeſſe;nar, rando di lui Omero . Παρ δε διά κρονίωνι καθέζείο κύδει γαίων , e'l medeſimo poeta nell'Odiſſea avea detto , i medici del l'Egitto eſſere eccellenti per eſſer della ſchiatta di Peone : Tlainavos dirigevédans . Il che ci può far credere , che Peone foſſe Egizio , e non Greco di nazione , ma inſieme con gli altri , che teſtè dicemmo agli Egizi da'Greci rubbato ; e intanto crebbe nella Grecia la fama di Peone , che ciaſcun medico dopo di lui giudicava , ſe eſser ſommamentelti mato , e commendato, ſe col ſuo nome chiamar ſi faceſse; anzile mani inedeſime de'valenti medici da Galjeno, c da altri ſcrittori vennerdette pconie ; e peonie parimente fi diſsero l'erbe più giovevoli,ed efficaci ad uſo di medicina; perchè cantò il Poeta Et ful 4 - Del Sig.Lionardo di Capoa 209 fuperas Cali veniſe sub auras Peoniisrevocatum herbis , cioè a dire , come avviſa Servio , à Peone Dcorum medico Vsò Peone in medicando le ferice, piacevoli, e dolci mc dicamenti, co’quali curò egli Plutone, per le mani d'Er cole grayemente ferito : Τα δ ' επι Παιήων οδυνηφα φάρμακα πέσων, Η'κέσατ' Dalla qual cura ſi può agevolmente avviſare, eſsere ſta to Peone appreſso gli antichi in maggior pregio aſs :ri del medeſimo Apollo : comechè alcuni vanamente giudichi no , la modelima perſona eſſer Peonc , ed Apollo . Ma ciò quanto ſia lontano dal vero manifeſtamente in ciò ſi conoſce , che Omero nel ſuo maggior poema , di Peone, e d'Apollo , come di due diverſe perſone ſeinpremai farvel 1.1. Ne è punto da dar credenza al chioſator di Nicandro, che vuole,Peoneeſſere ſtato il medeſimo , ch'Eſculapio ; nel quale crrore cadde poſcia Artemidoro ,quando diſse : Slautwv gas ó Arxassatoo's heyeces: imperciocchè nc' tempi d' Omicro , Eſculapio non era ancora deificato ; trattando Omero comc huono Eſculapio allora quando e' dice , in favellando di Macaone, che egli era figlio d'Eſculapio ec cellentiſſimo medico : Φώτ' Α ' σκληπιά υον αμύμον G- ιητήρG- , Maciò laſciando al preséte, e ritornando al noſtro pro poſito della medicina , dico , che di Peone non s'hà ine moria , ch'Iomiſappia , niuna , fuor ſolamente della Peo nia : Vetuftifima ,narra Plinio , inventio paoniæ eft , no menque authoris retinet. MaIo quanto a me giudico, non cffer lui ſtato cotanto valoroſo medico, qual per avventu ra lo ci danno a credere i troppo rozzi antichi; percioc chè altro delle ſue pruqve non abbiaino, che l'aver lui una fola ferita ſaldaca . Perchèè cgli a buona ragion da crede re , che Peone per dovere a cotanta gloria , quanta egli acquiſtonne , condurſi, tutti i buoni, c malvagj contigli adoperati y’aveſe,facendoſembiante alla ſciocca , e fem , D d plice 210 Ragionamento Terzo plice gente,con ſuefruſche,di tar lemaraviglic . E per av ventura egli ſi fu il primo, che ne fe credere cotáte ſcioc chezze della ſua peonia: dicendo,dover'huom quella in lis la notte cogliere, per non eſſer dalle ghiandaje veduto ,le quali ſtandole continuo a guardia, crocchiando , e volan do accorron coſto a bezzicar gli occhi di chi la ſvelle ; ſen zachè dicono correr colui manifeſto pericolo di cicpargli gl'inteſtini , ſe digiorno la coglie . Novella ſecondochè giudica Plinio , a bello ſtudio ordinata, e compoſta per dar maggiormente ammirazione alla coſa . Ma non che ciò ſia vero , anzi le virtù tante della Peonia cotanto dagli ſcrittoricommendate , e da Peone forſe da prima a quella attribuite , ora in verità tutto vane , e falſe ſperimentate fi ſono : ne ad alcun lieto finc giammai riuſcir ſi veggono . Perchè colſer cagionc alcunidi dubitare , non forſe que Ita noftra Peonia altra fi foſſe , che quella cotanto tenuta in pregio dagli antichi , e adoperata in diverſe lor malat tie. È altri giudicano effer veramente quella ; ma per conſervarli nelle ſue virtù vogliono , che ſia in certi tem pi ſolamente , e ſotto cotal coſtellazione da raccoglicre . Ne è da tacere in queſto propoſito , quanto arditamente uccellar ne voglia Galieno , il quale afferma aver lui me delimo ſperimentato , che la radice della Peonia appicca ta al collo de fanciulli, c quivi da lor tenuta , non ſolaine se glidifenda dal mal caduco , ma anche quando già pre ſi ne ſono, facciagli di preſente rinvenire. Malaſciando al preſente Pconc , e trapaſſando a dir d' Apollo , creduto comunemente Dio della medicina : egli è da ſapere , che molti Apelli già furono in Grecia , e cctante, e sì diverſe , e dal vero lótane ſono quelle coſe , che per gli ſcrittoridilor ſi narrano , che ſarebbe certa mente un logorar fuor di propoſito il tempo , il venirle qui ad una ad una a raccontare. Solaméte dirò del figliuol di Latona quelle poche , e confuſe memorie alla ſua me dicina pertinenti , che per quanto lo ſappia a' noſtri tem pi pervenute ſono . E in prima , quantunque Apollo al cuna erba ritrovaſſe ad uſo di medicina , quale è quella per 1 Del Sig.Lionardo di Capoa. 211 percid detta Apollinare, che è una cotal ſpezie di Solatro; Apollo hanc berbam ,dice diquella Apuleo, fertur inveniffe, da Aſclepio dediffe,&apollinaris nomen impofuiſſe ; inper tanto non è perciò egli da eſſerne cotantoonorato col rag guardevol titolo di Dio della medicina , ficome dal vula go , or follemente ſi giudica ; perciocchè in quel medeſi mo tempo , ch'e'fioriva , molto d'altra parte in medicina vantaggiavaſi Chirone ; il qual certamente in ciò cotanto di lui fu maggiore , ch'egli inedefino conoſcendolo tale , volle, ch’Eſculapio ſuo figlio per maggiormére profittar vi, da Chircne la medicinaapparaſſe , come da maeſtro di ſe più valoroſo aflai . Senzachè narra Igino,cſſere ſtato Apollo il primicro ſolamente a ritrovar la inedicina degli occhj , non di tutt'altre malattie del corpo umano. Ele disse d’Apollo, Callımaco, che da lui primieramente gli huomini apparato avevano a cellare i pericoli della morte: Κάνε δε θυμαι και μάντιες : έκ δε νυ Φοίβε , Iyisod dedeany , ardermoor Java Toio : ſeguì in ciò certainentc egli la comun credenza della gente volgare , non badando punto alla verità del fatto. Ma ſia pur ciò , comeſi voglia : lo quanto a me immagi gino , che Apollo , o avendo egli col ſuo ſtudio , e colla ſua diligenza rinvenuta cotal medicina a’malori degli oc chi giovevole , o pur da qualche vegliarda appreſa aven dola , a quella adoperare con ogni ſuo ſtudio continua mente intendeſſe; e comechè in quella parte reſo fi foſ ſe ragguardevol molto alla gente di que'tempi, non pe rò di meno egli è da dire , nel rimanéte eſſer lui ſtato mol to rozzo , e dappoco in medicina , e'l ſaper ſuo manche vole affai; ajutandoci a ciò giudicare la comun mellonag gine di que’tempi, e maſſimamente nella Grecia nell'arti più ragguardevoli. E che cotal foſſe ſtato anch'egli Apol lo , in ciò certamente ravviſar fi potrebbe , ch'egli poco alla ſua ſcienza fidando per dovere aggiugnere a gloria di valoroſo , quella parte della medicina a imprender ſi dic de , la quale intorno agli antivedimenti s'adopera;quindi D d 2 росо 2 IZ Ragionamento Terzo poco in quella ancor profittando,peraltre ſtrade ſconce, e ſuperſtizioſe argomentofli di venire a capo de' ſuoi avviſi, apparando dal vecchio Pane l'arte ſcaltrita , cingannevo le del vaticinare . Quindi andato in Delfo , la dove Te. mide dava le riſpoſte, e avendo quivi la ſerpe ingannevol mento ucciſi , la quale gli vietava l'entrata nell'aperturu dell'oracolo , ingombrollo di preſente , e cominciovvi in un tratto maeſtrevolinente a profetizzare; ſcrivendo di ciò Apollodoro quette perole: Απόλλων δε την μαντικήν μαθών παρα του Πανός , του Διός Θυμάρεως ήκεν ας Δελφούς χρησμωδούσης το σε Θέμιδα • ως δε ο φρερών το μαντίον Πύθων ώρις εκώλυεν αυτόν παρελθείν εις το χάσμα και του τον ανελών , το μανλείον παραλαμβάνει . E queſto vien altresì conferinato di Strabonc, il quale meglio ſembra per mio avviſo , che abbia ſaputo la coſi . Dice egli ch'effedo ſtato Apollo ammaeſtrato nell'arte de' vaticinj da Pane , che diede le leggi agli Arcadi , ſe n'an daffela dove la Notte,e la Dea Temide davan le riſpoſte, ed ammazzato il tiranno di quel luogo chiamato Pitone, ribaldo , e terribile huomo,che per la ſua grandearroganza dicevali se zw ,cioè Dragone,preſidéte allora della menſa de’ vaticinj, ſe ne impadroniſſe , e celebrar vi faceſſe gli ſpettacoli . Coſtuma poi ſeguita per tanti ſecoli da que gliempi , c fugaciſuoi facerdoti, e miniſtri , i quali imi tando in ciò il loro aſtuto maeſtro , vezzatamente davanj le riſpoſte inviluppate d’enimmi, e diriboboli, intanto , chequalunque caſo poi n'incontraſſe, ſipotea ben dire , eller quello verainente ſecondo il lor divino predicimen to ſeguito . Nc in ciò punto meno ſcaltriti, c maliziofi fi rono dopo Apollo gli altri medici, col tener macítrevol mente mai ſempre i cattivelli malati a bada, e ragionando ſemprea riguardo , c con duplicità , delle lor malattie,per dover ſempre poi indovinare, a qualunque fine il mal ne siulciffe . E quelle fi fur larti, onde in tanta fama, e pregio 2p preſo il vulgo montò Apollo , che guadagnoſsene il titolo k ! maggior medicante del mondo,anzidi Dio della me sna. Misi, e tanto non potè egli con fue afuzicado 1 Del Sig.Lionardo di Capoa. 213 perare , che di più intendenti, ed avveduti huomini non foſſe ignorante , e poco del meſtier della medicina confa pevole reputato . Ne per pruova altro che talcertamen te potevano giudicarlo , riguardando tutto giorno per mā, di lui, e di Diuna ſua ſorell.2 ( la qual medica ancor ella , ritrovò , e diede ilnomeall'Artemiſia) morirſi a centina. ja i miſeri malati , ſenza mai guarirfene niuno . Infra’qua li furono i figli della ſventurata Niobe ; di chic eila cotan to dolor preſe, che mancandole ad un tratto i ſentimenti, e riſtretti in ſe gli ſpiriti , ſenza alcun motto fare, chiuſei le pugna, pirò ; perchè poi preſer cagione i Poetidi favo leggiare , ch'in fafso ella cambiata ſi foſſe . E quinci nac que poi , ch'eziandio dopo che furono Apollo , e Diana nel numero degli Dei allogati ,credevaſi comuneméte, che tutti quegli infermi , che capitavan niale delle lor malat tie , ſe femmine follero , perman di Diana , e ſe huomini, per man d’Apollo moriſscro ; perchè Omero, Ε'λθων αργυρότοξ - Απόλλων Αρτέμιδι ξυν και οίς άγανούς βελέσουτ κατέκτεινε . E’l medeſimo poeta finge , ch’Apollo mandaſſe la pe ſtilenza nel campo greco ; ne per altro , al creder di Por firio furono poſtele ſaette nelle mani d'Apollo , é ne ven ne giudicato Dio infernale . Qual ſi foſſe egli poi ne'co ftumi , il taccio ; eſsendo pur troppo manifeſte a ciaſcuno le ſue infamie , e ciò che avveniffe alcattivel di Giacinto , per fua mano , e a Lino . Tanto mipar , chedebba lo ac cennare ciò , che alnoſtro propofito ſi conviene , cioè, ch ' cgli avvili da prima , e profanò il ſanto meſtier della me dicina , inſegnandola ad Enone in pagamento d'averle tolta a viva forza la verginità , e l'onore ; perchè ella co sì preſso Ovidio fi vanta , Me fide conſpicuus Troje muwitor amavit Ille med fpolium virginitatis habet ; Id quoqueiaétando : rupi tamen ante capillos, Öraque ſuntdigitis afpera facta meis. Nec pretium ſtuprigemmas , aurumque popofcit; Turpiter ingenuum munera corpus emunt . IR . L : 214 Ragionamento Terzo ! Ipfe ratas dignam medicas mihi tradidit artes, Admiſisque meis ad fua dona manus . Quècunque herba potens ad opem ,radixque medendi Veilis in toto nafcitur orbe ,mea ef . Ma trapaſsando a Melampo : grande nel vero , e non ordinario fu il pregio , che guadagnoſli oglicolla me dicina , mentre oltre alle figlie di Preto , egli guarà an cora della ſterilità , per quel , che nc narri Euſtazio , Ifi cle , colla ruggine del ferro ; comechè ſecondo l'ufan za comune de'medici , maſſimamente di que' tempi, per più ragguardevole render l'opera , facefle egli veduta ,do po aver ſacrificato un bue agli uccelli , con diſtribuire a ciaſcuno di eſſi la ſua parte , ch'un avoltojo alla fine croc chiando gli rivclaſſe , che la ſpada , colla quale Iflaco té tò d'uccider lficle , e da quello affiſſa ad un pero ſelvaggio, l'aveſſe reſo infecondo. Ma ben fi pare, che Melampo foſſe di non mezzano intendimento fornito , e che egli for ſe il primo , che cominciato aveſſe a medicar nella Grecia co’minerali . Perchè agevolmente porraſſi argomentare ', l'uſo di quelli eſſere ſtato antichiſſimo nel mondo : comc che per loro poca uſanza, maffimamente eſſendo ſtati ado perati ſempre da medici ſolamente diprima lieva , detto fia , che l'antica medicina nell'erbe ſolamente confiftelſe . Ma come ciò avvenir poſla , che la ruggine del ferro ab bia virtù ditor via la ſterilità dall' huomo , e di diſporlo a potere acconciamente ingenerare , egli non è certamen ce troppo malagevole, ad avviſare a chiunque ben fappia, onde provenir ſoglia cocal vizio nel corpo umano; per. ciocchè ſuol'egli naſcere talvolta dalla ſoperchievole ace toſità de'lughi : alla quale ammendare fa certamente gra diſſimo proil ferro , e maſſimamente la ſua ruggine ; la quale oltre che non ſuole alle viſcere quella gran moleſtia cagionare , che la limatura diquello talvolta apporta , el la preparata dagli aliti acetoli del nitro , e del fal ma rino , che continuo per l'aria diſcorrono , i qual eſsendo più ſottili affai di quelli fpiriti, che per arte li fanno , più cfficace , e profitcevole ſi rende di quella ruggine , che per ! man Del Sig.Lionardodi Capoa. 215 man de'Chimici maeſtri li lavoraziinperciocchè è più accô . ia a meſcolarſi colle ſottiliflime , e acute particelle , che travagliano le viſcere . E di ciò fenne più volte pruova quel celebre Franceſco medicante Riverio il vecchio . Ma ſoſpettar p avvétura alcú potrebbe,che o nell'Egit to , o nella Fenicia in ſicmecoll'uſo delle purgagioni una tal medicina Melampo da, priina appreſa avelle ; percioc chè, focondamente chenarra Erodoto , egli dell'Egitto alla Grecia , inlieincco'ſacrifici di Bacco , molte , e molte novelle ufanze reco: Εγώ με νύν φημί Μελάμποδα γενόμενον άν δes oφoν , μαντικήντα έωυτή συσή σαι , και πυθόμμoν απ’ ΑΙ' γύπτου άλα και πολλά απηγήσασθαι Ε΄ληση , και τα περί τον Διόνυσον ολίγα αυ των πειραλάξανά . Tanto , e tanto oltre portoſli nell'arte col ſuo altiſſimo intendimento Chirone , che non ſolo all'indebolite parti del corpo , come Maſſimo Tirio racconta , con efficaci ar gomenti la ſm.rrrita ſanità egli ſi vedea tutto di rivocare's m.i agli animi ancora utiliſime medicine appreſtava . Ne ſolo fu cgli ( per quel , che n'avviſi Stafilo ) eccellente in filoſofia , e in aſtronomia ; ma valſe ancora affai nella mu fica , e in modo , che ſeppe, come il medeſimo Stafilo , e Boezio narrano , parecchjinfcrinità coll’arinonia della ſua cetera guarire;e fu cotanto vago di ſpiare i ſegreti del la medicina , che in volontario eſilio lungi dalle Cittàan doffene aid abitar nelle ſelve , per poter ivi a più bell'agio la natura , e le complellioni dell'erbe inveſtigare ; nel che s'adoperò egli si bene , che inventor della inedicina dell' erbe ne venne comunemente tenuto: e da altri inventor di tutta quanta la micdicina fu detto ; e in cotanta fama , e grido crebbe , che non iſdegnarono ( come narran Filo ftrato , e Zezze) per appararnela medicina, d'abitar con e To lui entro la grotta del moute Pelio ,oye egli ſtanziava, Telamone , Peleo , ed Achille , e Giaſone , ed Ariſteo , ed Ercole , c Teleo , ed altri : huomini di gran pro , eva lore ; i quali , coine laſciò ſcritto Maffino Tirio , egli in continue fatiche d'ogni ſorte eſercitando , e nelle cacce , e nel corſo , facendo loro giacer nella nuda terra , e per 216 Ragionamento Terzo e per burrari , e per aſpre vic affaticandogli, e dando lor fcrini cibi mangiare, e ber ſemplici acque di fiume, ad un perfettisſimo ſtato di ſanità riduccvagli ; e doppia utiliti da tali ſuoi diviſamenti traevan quei grand'huomini ; per. ciocchè non pure il modo di ſe medelimi regolare, ma di curar áltri ad un ora apparavano . Neè da tacere, che pcr più profittar egli con maggior copie di ſperienze , media car ſoleva anche i bruti animali ; anzi cgli li fu il primo a ciò fare ; e imperò venne Itimato figliuol d'un cavallo.Ne per mio avviſo è vero, che alla Cirugia , comealtri ſi dan no a c.edere, e ' ſolamente daſic opera; avendo egli , coine narra Apollodoro , relicuita la viſta a Fenice , il qual fu poi un de ' compagni d'Achille nella guerra Trojana : cù . το υπ του πατρός έτυφλώθη καίGψευσαμένης φθο, Κλυτίας και του πα τζος παλακίδος . Πηλεύς δε αυτον προς χείρωνα κομίσας υπ' εκείνα θε egπευβέντα τας όψεις , βασιλέα κατέςησ: Δολόπων. ΕPindaro an cora par , che voglia dire, che Chirone ogni forte d'inter mità aveſſe mcdicato ;poichèdeſiderava ,ch'egli tornaiſe in vita , acciocchè aveſſe potuto render la ſanità all'infermo Ierone , perciocchè egli pativa del mal della pietra , co me dice un'antico Scoliaſte di Pindaro , o di fcbbre, com' altri vogliono. Ηθελον χώρωνα κε φιλυρίδας , et Κρεαν του3 αμετέρας από γλάς - σας κοινον εύξαθαι έπες , ζώειν τον απικόμδυον , Io vorrei ch'il Filliride. Chirone, ( Se tanto defiar lice a chiſpera ) Tornaſea reſpirar l'aure del giorno: cpoco appreffo ,, « δε σώφρων αντιξον έναιεν έπ Χείρων , και 1ι οι φίλον εν θυμώ μελιγαρυες ύμνοι αμέτεροι τίθεν , ατήρα του κέν μιν πίθον , και νυν έσλοίππα αέάν ανδράσι θερμάν νουσών , Or Del Sig.Lionardo diCapoa 217 Or ſe ne l'antro fuo foſe Chirone E che queſt'Inno mio gli foſe grato , Saria mia voglia inteſa A dirle fol tua medica arte adopragi: Onde i mali , ch'induce Eſtremo caldo, bai didomar valore. Diceſi che Chirone tanto valeſſe nella Cirugia , che'l antiche ulcerazioni, e malagevoli a guarire, da luipoichia mate foſſero chironic , o perchè lorluogo aveſſe il valor di Chirone , come vogliono Euſtazio , e Paulo da Egina, o ch'egli foſſe ſtato il primo , che sì fatte piaghe aveſſe riſa-. nate, com'eſtima Galieno . Ma io , ch'alla fama comun degli ſcrittori non così di leggierimilaſcio trarre , a cona feſſar il vero , aſſai dappoco , e rozzo parmi, chefoſſe ſta to Chirone anche in Cirugia ; perciocchè egli l'uſo del ta ſto , e le maniere da faſciar le ferite affatto non ſapeva . Perchè ragionevolmente immagina alcuno, che chironic fi dican le piaghemalagevoli a guarire , perchè Chironie prima di tutti foſſe ſtato ad averle ; e sì fattamente , che vano riuſcì tutto il ſuo ſtudio , e ſapere , nó che a guarirle, ma ad alleggiare almeno il dolore acerbiſsimo , che quel le gli cagionavano ; intanto che a morte poi ne divenne ; comeche alcuni dicano , ch'egli da ſaetta folgore ucciſo morille . Ma vengaſi ora alla medicina d'Eſculapio cotanto fa moſa , enegli antichiſecoli celebrata . Tiene Eſculapio , per comun conſentimento degli ſcrittori, il più orrevol grado in medicina , che inedico giammai aveſſe ; intanto che meritonne quel famoſo Inno del maggior poeta de' Greci. Di lui varie coſe , e di gran lieva ſi narrano, le quali traſandando lo , alcune diquelle, che alla medicina s'ap partengono ſol brievemente dironne .Già dicevam di lui, eſſer fama, che primad'ogn'altro metteſſe fuora alquante regole di medicina; manon ſembrandole poi all'eſperien za , e alla ragion conformi, alcune correſlene., altre di sfenne affatto , el contrario ne preſcriſſe'; e forſe quelle ch'e'laſciò dopo morte , cancellate in tutto , ed annullate Еe avreb 218 RagionamentoTerzio avrebbe , ſe di ciò tare gli foſse avanzato tempo . Credeſi dalla più parte degli ſcrittori, ch'egli a veſse folamente inteſo alla Cirugia , ne d'altre parti di medicina fi foſse giammai intramelso .Ma ſe vogliam prcfar credenza ad Erodoto, o qual che ſiaſi colui cheſcriſsc il libro detto in troduzione, overo , il medico: egli è da dir, che di cia ſcuna parte della medicina egli pienamente ſi conoſceſse ; perciocchè quivi leggeſi, ch’Eſculapio fu quello il qualow ritrovò la perfetta, e in tutte ſueparti compiuta medicina; e Pindaro parimente dice, ch'a lui accorrevano per curar (i non ſolasiente i feriti , ma i febbricitanti ancora , c que ch'entro d'altre malattie erano magagnati: τους με ών όσοι μόλον αυτοφύτων έλκέων ξυνάονες , και πολιώ χαλκώ μίλη πτωμένοι , ή χερμάδι τηλεβόλω , À Deenvã Avei nego tórefwoodśuas , και Xepewo , aurons amor , áa λοίων αχίων εξαγεν • τους με μαλακαίς επαοιδαίς αμφίπων , τους δε προσανία πί νοντας , ή γύoις περιάπων πάντοθεν * φάρμακα και τους δε τοματς έπασιν ορθούς . Quindi veniano a lui le ſchierea volo De’languenti infeliciegri mortali , O traejjero in fen fiftola ,o piaga , O dapietre , odaferro aſpra ferita , O pur nafceffeil duolo , Da'diſcordi fra lor femivitali , Ogni dolor , ogni tormento appaga : Porge con molli incanti a queſti aita , Ed a quei con bevande il malor toglie Per un farmacod'erbe inſieme aduna, Per altro acque raccoglie. A chi con tagli induſtri, e Cirugia , Drie 1 1 1 Del Sig.Lionardodi Capoa. 219 Drizza le membra , e fero duol travia , E prima l'aveva chiamato difcacciatordi tutti mali Ασκλαπιών άρω παντοδαπών αλεκ' ήετανούσων. Ffculapio s'appella , Sourano Eroe diſanità perfetta, Có'ogni morbo da lbson caccia , e ſaettai Egli non ſembra veriſimile adunque ciò , che dice P12 tone, ch’Eſculapio traſcurato aveſſe quella parte della me dicina , la quale ſuole il cibo agl'infermi diviſare. Ma fo pra qualifondamenta egli appoggiato aveſe il ſiſtema del la ſua medicina, egli è malagevol molto ad inveſtigare ; perciocchè nc libro alcuno dilui c'è pervenuto, ne ſenten zaveruna ſua appo altri ſcrittori ſi ritrova. Tanto ne vie ve accennato appreffo Platone,ch'egli inſegnato n'aveſse esſer.nel corponoftro molte, e molte coſe infra lor nimi. chevoli , e tenzonanti; e di loro abbiſognar,che'lmedico diſcreto ne rintuzzi, e raccheti le contele , e vadale pian piano co’ſuoiargomentirappaciando ; e queſte diſcordá ti coſe vuol egli , che ficno il freddo, e'l caldo : l’amaro , e'l dolce : il fecco , e l'umido , e altre sì fatte. Ma ſe altro di ciò non ritrovò in medicina Eſculapio , certamente è da dir , che troppo ftrabocchevoli le lodi immeritevolmé te gli addoffaſſe il buon Erodoto ; -e ben ne potrebbe egli a buon concio eſſercontento di meno ; imperocchè, non che egli l'intero compimento aveſſe giammai dato alla medicina , come Erodoto immagina, anzine men la pri mabozza , per que , che fi ſappia , certamente le dicde.' E che mai potrà il medico ritrarre dal ſapere, che s'abbia no le diſcordanti parti ad accordare , o che queſte nel cor po umano ſi trovino , ſe poi più avanti non ſappia minuta mente , ove elle fiano allogate, ove ſia il dolce, ove lama ro ', ondeil freddo , onde il caldo -s'ingeneri, onde la lor nimiſtà provenga , in che la lor natura conſiſta , con quali argomenti poſſan porſi d'accordo , come vuotarli , qualo ra lien di foverchio rigoglioſe , e ſtrabocchevoli, o am mendarſi qualora piggiorino ,o porger loro ſoccorſo qua Ee 2 lora 220 Ragionamento Terzo lora infievoliſcano ; che per altro quel , che ſappiamo averne diviſaro il grandiſſimo Eſculapio , ad ogni huom di contado agevolmente potrebbe occorrere,ed eſſer ma nifeſto . Affai rozza dunque, e imperfetta oltremodo fu ſenza fallo d'Eſculapio la medicina , ne sì grandi , e rag . guardevoli furono i ſuoi trovati,come huomdice ; e ſc cgli oltre all'accennate coſeritrovò qualch'erba, anche i ruſti ci , ei bruti molte, e molte n’han ſapute ritrovare;nę grād' acutezza d'ingegno per ritrovar il taſto , oʻl modo di fa ſciar le ferite abbiſognava , o per trar fuora i denti dalla bocca , che lo perme non vo torgli queſt'altra gloria , co mechè Cicerone ad un'altro Eſculapio l'attribuiſca colà ove dice . Aeſculapiorum primus Apollinis , quem Arcades volunt,qui ſpecilluminveniſe, primuſque vulnus obligaviſ fe dicitur . SecundusſecundiMercurii frater : is fulmin percujus dicitur humatus effe Cynoſuris. Tertius Arſippine Arſinoe :qui primus purgationem alui , dentiſque evulfio nem , ut ferunt , invenit . Ne ſembra punto vero quel ,che Diodoro dice d'Eſculapio ,ch'egliparecchjinfermi co'ſuoi argomenti guariſse; onde fe poifavoleggiare altrui,ch'e gli aveſſe richiamati anche in vita i morti; imperocchè Strabone , graviſſimo autore , e degno ſenza fallo , che gli ficreda aſſai più che a Diodoro, chiaramente dice, che lo gni furono d'huominiozioſi, e ſcioperati, quali certame te i Greci ſi furono , le cure tutte ad Eſculapio attribuite. E Celſo in lode d'Eſculapio altro non ſeppe dire, ſe non fe , cſſer lui ſtato ricevuto nel numero degli Dei , perchè l'arte della medicina aſſai rozza,e materiale in que'tempi, aveſſe alquato dalla ſua groſſezza forbita : quoniam adhuc rudem , a vulgarem , dic'egli, parlando d’Eſculapio , banc fcientiam paulòfubtilius excoluit , in Deorum numero rece ptuseſt. Convenne adunque certamente , ch’Eſculapio có l'uſate frodide’medici la ſua grandiſſima debolezza ap piattata tenelse ; imperciocchè cgli,come Pindaro dice, li valle dell'incantagioni; ma più nc ſi fa manifeſto in ciò che San Cirillo ne ſcrive, ch'egli intento oltremodo alle guadagnerie, continuó con giunterie , ed altri rei artifici an . DelSig. Lionardo di Capoa 22 1 > andato ſe ne foſseper io inondo diſcorrendo ( il che mol to ajutar ſuole i medici , ad acquiſtar fama, e pregio ) offerendo liberamente a ciaſcun , che biſogno n'avel ſe il ſuo meſtiere e dove che giugneva prometten do le maraviglie . Così egli vanagloriando per tutto, ſe non huono mortale , ma celeſtiale Dio eſser diceva , e millantaya temerariainente il ſuo valor diſtenderſi fino a riſucitare i morti . Le quali arti , e giunterie , acciocchè poteſse a fine più acconciamente condurre, ſi pensò egli , che l'iſpida , e folta barba nudrendo , e laſciandola a gui ſa dicaprone lunga ſcédergiuſo dal méto al petto avreb be più di leggieri alle ſue trappole trovato crcdito . E sì il fece egli, e con tanto vantaggio adoperovvili , che ſervì d'eſemplo a tutti i medici appreſso . Il che diede forſe cagione a Luciano di far dire da Momo ad Apollo , ch'egli non operaſse come fanciullo , ma favellaſse ani moſamente, é diceſse luo parere, ne fi vergognaſse ad ar ringare per non aver barba; perchè era ſuo figliuolo Eſcu lapio , il qual così grande , e lunga , e folta l'aveva üst menn μaegκιεύε πεος ήμας , αλα λέγε θαρρών ήδη τα δοκάνα , μη αιδε . σθεις , αγένειο» ών δημηγορήτις , και αυ% βαθυπώγωνα , και ευγέ ναον έτως τον έχων τον Ασκληπιόν Vì ha chi vuole , ch’Eſculapio a quella guiſa appunto , che a'noſtriciurm.dori veggiam fare , portaſse ſecole ſerpi : e che per riſparmio camminaſse a piedi : e che que ſta ſia la vera cagione perchè alle ſue ſtatue, o ritratti ſipo neſse in mano la ſerpe , e'l baſtone ; ſopra le quali coſe poi ſognate ſi ſono tante , e tante fraſche di allegorie per gli ſcrittori , chemolto lunghe, c nojoſe farebbono a rac contare . Ma vie più dopo inorte crebbe in fama , edono re Eſculapio , tanto era folle , e cieca allor la gentilità : perchè glivénero alzati in diverſe parti delmodo,e parte, e per materia ricchiffimi tépj, co maraviglioſe ,e belle ſtatue dimarino , d'avorio, d'argento , e d'oro, e medaglie infini te furon ſtampate colla ſua effigie ; e sì , e tanta era la fede, che aveyano gli huomini in lui,che i ſuoi tempj ſempremai ſi vedevan pieni d'infermi, trattivi d'ogni parte ; i quali # di 222 Ragionamento Terzo 2 di notte, edi giorno quiviil ſuo ajuto aſpettando ſe ne gia cevano;e per tacer d'altri, abbiam di ciòmeinoria nel Cure culione di Plauto , dove del ruffiano dice Fedromo a Pa linuro : Id eo fit,quia hic leno ægrotus incubat In Aeſculapii fano ; e così ſtandoimalati,venivan loro i facerdoti malizioſi , fcaltriti , facendo veduta dinulla ſaper dimedicina , o del male , che coloro avevano ; quindi appreffati all'oracolo fingevan ch’Eſculapio rivelato loro aveſe il medicamento all'orecchio. Talorapareva,ch’Eſculapio medeſimo all'infer mo in ſogno additaſse il rimedio ;c ciò per avventura avve niva tra per lo aver lui guatato ffaméte il giorno la ſtatua d'Eſculapio , c per li lunghi ragionamenti , che dietro a tal materia coʻminiſtri dei tempio avevan forſe tenuti , i quali avevangli per avventura le maraviglioſe cure d'E fculapio narrate vero per aver inteſo quel rimedio fterfo da'incdici ,o da’altri . Ma pur v'aveva fra' Gentili huomini di ſcalcrito intendimento , chea ciò niuna credé za preſtavano , come Filoſtrato narra di Filemone;al qua le avêdo in ſogno detto Eſculapio ,che s'egli voleva guari re dalla podagra, conveniva, che ſi afteneiſe dal bere fred do , egli deſto poi la vegnente inattina diſle ad Eſculapio proverbiandolo , c che altro rimedio o valent' huomo a nreſti tu dato , le medicar avelli voluto un bue ? E ſe mai interveniva , che alcuno ( o che'l rimedio , o ch'altro ca gioné ne foſſe ) guariſſe , oltra’doni , che coluiagli altari offeriva , toſto alle mura un'effigiata tavoletta , a perpetua memoria della ricevuta ſanità appendevaſi a gloria d'E ſculapio ; perchè poi ſe ne traſcriſfero nc'libri de' medici parecchj rimedj ; c delle dette già tavolette , anche a' di noſtri ſe ne vede alcuni ; delle quali per eſemplo vi ridur rò a memoria quella pietra , in cui fu regiſtrato , che di ſperato da tutti Giuliano per unvomito di ſangue,eſſendo ricorſo all'oracolo, n'ebbe riſpoſta , che veniffe , e da tro altari piglialle pinocchie di quelli per tre giorni con inic le mangiaſſe; ed in tal modo liberato colui, lefe le grazie al Del Sig.Lionardo di Capoa. 223 alla prefenza di tutto il popolo , αίμα αναφέροντα Ιαλιανώ , απηλπισμλύω υπο παντός ανθρώπε εχρημάτσεν ο θεός ελθών, καιεκ τα Βιβώνκαι άραι κόκκος προβύλες και φαγών μετα μέλιτG- επι της ημέ . φας , και εσώθη , και ελθών δημοσία ηυχαρίσησεν έμπροσθεν τε δήμε. Ma trapallando alla medicina d'Ercole;ſe Ercole come fu in medicina , foſſe così ſtato valoroſo Ne l'ardue impreſe del ſanguigno Marte , non avrebbe certamente ripieno il mondo delle ſue mara viglioſe prodezze , ne ſtancate di tanti , e tanti ſcrittori le penne per celebrarle . Ma ciò non ſi dee punto a neglige za attribuire , o a poco intendimento , ch'egli avuto avef ſe ; perciocchè logorò egli gran tempo , egran fatica ad imprender la medicina ; e fu sì profondo , ed acuto il ſuo intendiinento , ch'ei ſi fu il primiero a comprendere , che per ta fimilitudine , la quale i Chimici chiaman ſegiratu , ra , ravviſar ſi poteſſe la complesſion delle piante'; e per uſo propio ſe nevalſe allor,che preſso a morte ferito dal l'Idra , ricorſe per guarire alla Dragontea , la quale coll? Idra ha alquanta ſomiglianza; quantunque egli poiso per tener ciò altrui naſcofo , o per più ragguardevol renderli appreſso la gente , o per altra cagion , che ſi fofse , infin . geffe ciò dalla riſpoſta dell'oracolo aver apparato : il qua le l'aveſse impoſto , ch'egli ſi inetreſse in camino verſo la dove naſce il ſole ; perciocchè quivi al valicar d'una rivie ra aurebbe ritrovata un'erba ſomigliante all'Idra ,colla quale lc ferite da’morfi dell'Idra fatregli poi egli aurebbe ſicuramente potuto medicare , eguarire . Io non ſo , ſe collo intendimento G foſse Ercole tanto avanti portato , che foſse giunto a penetrar , che la Dragontea col ſuo fab volatile acuciſſiino , del quale eila oltremodo è abbon devole, forza aveſse di ammendare l'acetoſità , in che co filte il guarir delle piaghe ; ma la medicina non era allora tanto oltre paſsata , che aveſse potuto sì fatte ſottigliez ze ſcoprire . E queſta, e non altra dovette eſsere la cagio NC , per la quale Ercole non potè nella medicina sì eccel lente divenire , e che guarir non poteſse egli le piaghe al fuo maeſtro Chirone , comechè gli veniſse fatto di guarir lamo 1 224 Ragionamento Terző la moglied'Achille preſso a morte ridotta ; onde poi Eu ripide finſe nell'Alceſte , averla lui da morte riſucitata : E queſto è quanto Io ho potuto raccogliere della medici na d'Ercole Tebano fra le tante,e tante varietà degli ſcrit ti , iquali così di lui confuſamente ſcrivono , che nulla più ; dicendo Varrone , eſsere ſtati quarantadue famoſi huomini di tal nomé; altri dodici , altri tre , altri due, e Ci cerone ſei ;ed evvi ancora , chi porta opinione , non eſser mai ſtato sì fatto huomo al mondo . Ma della medicina d'Ariſteo figliuol d'Apollo , o pur di Giove , come altri giudica , non ne vengono ſcritte , per quanto lo ſappia , ſe non certe poche , e confuſe memorie ; ſolamente ſap piamo da Cicerone , e dallo Scoliaſte d’Ariſtofane, che Ariſteo aveſse ritrovato il modo di far l'olio , il miele , e'l Gifo.ΆρσαίG- δε ο Απόλλων G και Κυρήνης πτώτην την εργασίαν τα σπλ . φίον εξεύρεν , ώσπερ , και το μέλλG- . Infegno parirnente Ariteo meſcolare il vino col miele, per quel che dica Plinio : Ari Seusprimus omnium in eademgente,melmiſcuiſe vino fua vitate præcipua utriuſque natura ſponte provenientis: e non fi dee tacere ciò , che d'Ariſteo dice Giuſtino : Arifteum in Arcadia lase regnaffe, eamque primum , apum , á mellis ufum , &lactis , &coagulihominibus tradidiffe , folftitia . leſque ortus, do federum primum inveniſe. Ma quantun que il filfio , e'l miele, e l'olio, i quali Ariſteo non fola mente ritrovò, ma prima di tutti inſegnonne agli altri me dici la virtù , e la maniera, colla quale adoperar fi doveſ ſero , abbiano recato gran giovamento al mondo;non pe rò di meno s'altro di ciò non fece Ariſteo , non sò locome ei ſi poſsa infra gli altri eccellenti medici annoveraré; m2 pure fu egli di tanto avvedimento fornito , che ſeppe con l'uſate giunterie ,e menzogne riparare alle diffalte del ſuo poco ſapere ; e raccontaſi di lui da Teofraſto , da Apollo nio , da Cicerone , da Germanico, e da Igino, che eſſendo l'iſola di Ceo dal rabbioſo furor della canicola gravemés te percoffa , sì che feccavan le biade , e gli huomini mi ſeramenre morivano , eche avendo Ariſtco al ſuo padru Apollo domandato , come ſi poteſſe a tanta calamità ri para 1 Del Sig.Lionardo di Capoa 225. parare, n'aveſſe rilpoita,che proccuraffè egli prima di pure garcon vittime , e ſacrificj l’Ilola , la qual era così atro ceméte punica o aver dato ella ricovero agli ucciditori d ' Icario ; e quindi pregaffe Nettuno,ſicome Germanico Cé fare riferiſce, coinechè Teofraſto , ed Apollonio Rodio cd Igino dicano aver riſpoſto Apollo, che pregar egli doveſse Giove,ch’allo ſpuntar della Canicola faceſſe per quaranta giorni,ſoavi venti ſpirare, che queſti agli ardori di cotale Hella aurebber dato agevolmente compenſo ; cd avendo ciò egli puntalmente cſeguito ,ſpiraſſero i promeſli venti, e. ceſſalsero di preſente i danni tutti dal ſoverchiante caldo w ?quell'Iſola cagionati ; perchè ne venne egli poi Giove Ariſtço , ed Apollo Agreo chiamato , e frale ſtelle in Cie: { o collocato . Or chiper Dio non ravviſa, che una cotat folenne giuntcria imboccaffe Ariſtco a quel rozziſſimo po polazzo , ſappiendo di certo , che il naſcimento delle cas nicola gli ulti venti preceder fogliono , cd accomp2 guare? Venue fomimamente commendato Achille dalla ſonora cróba del greco pocta per le maraviglioſe prodezze da lui nella guerra Trojana operate;ne altro quaſi in tutta l'Ilia de raccontaſi , che l'invincibil fortezza d'un tanto Eroe ; ne in quel divino pocma ſenza lunga maraviglia legger fi pofiono le ſanguinoſe battaglie , ele ragguardevoli im preſe d'Achillc.Ma doveva egliper mio avviſo da non mi nor pocta d'Omero eſſer altrettanto commendato per la contezza, e perl'eſercizio cli'egli ebbedella medicina e con tanta maggior ragione , quanto più generoſo , e più magnifico ſenza fallo è il dare , che'l torre altrui la vita . E ben'egli conobbe di quanta loda meritevole e ſe ne rés deſſe , che però appo Stazio egli vantoſfi eſſergli ſtata in fra l'altre coſe la medicina ancora da Chirone fuo Avolo inſegnata . Quin etiam ſuccos ,atque auxiliantia morbis Gramina, quo nimius ftaretmedicamineſanguis: Quid faciat fomxos , quid hiantia vulnera claudat, Queferrocohibenda lues , que caderes herbis Edocuit. Ff Fu 1 226 Ragionamento Terzio Fu cgli tanto ſtimato nel greco campo, in medicina,ch' Euripilo gravemente ferito , volle effer ſolamente da Pa troclo medicato , perchè eglifoſse compagno d'Achille , c'l vero modo di medicar le ferite n'aveſse apparato ; Νίζ υδαπ λιαρώ , επί δήπια φαρμακα πασσε Ε'εθλα , τα σπ ποπ φασίν Αχιλήφ»δεδιδάχθαι . Ma ſopratutto vien commendato Achille per aver co noſciute le cagionidella peſtilenza , che allor travagliava ſommamente il campo greco ; e per aver anco ritrovato il Millefoglio,per lui detto Achilleasil quale anche a' dì no ftri molto giovevole alle ferite , e ad altri parecchj malili ſperimenta ; e ſomigliantemente per aver riſanato Telefo, nella cura del quale adoperò egli la ruggine della mede fima lancia, colla quale ferito cgli prima l'aveva : Eft , rubigo ipfa , ſcrivePlinio , in remediis, cific Telephum pro diturfanaſeAchilles , five id area , fiveferrea cufpide feo cit ; ed in un'altro luogo il medeſimo Plinio dice : arugi nem inveniſe , utiliſimam emplaftris , ideoque pingitur ex cuſpide decutiens eam gladio in vulnus Telephi ; avvegna chè altri vogliano averlo egli con l'Achillea guarito ,ed al tri, con l'Achillea , ccon la ruggine del ferro . Perchè moſtra, ch'egli fu il ſecondo , cheſi fappia infra'greci me dici, che i minerali adoperati aveſſe in medicina. Ma po trebbe per avventura alcun ſoſpettare , e con qualchera gione, non egli applicua aveſſe la ruggine del ferro alla Jancia imbagnata in fangue d'Euripilo , non già alla feri ta di lui ; e che gli ſcrittori, i quali la biſogna pienamente non coinprendevano,contentati ſi foſſero ſolamente di di re , che l'atta d'Achille modelima faceva, e riſanava le feri te . Il che ſe vero foſſe , non moderno ritrovato , ma ben molto antico da dir ſarebbe la cura , che chiaman ſimpa tica nclle ferite . Dice Plutarco , che Achille intendente foſſe del modo di guarir colla dieta , e ch'egli trovaſſe con ragione, che i corpi, i quali avvezzi in prima alle fatichc, in proceſſo di tempo poi le laſciano , e li ripoſano , toſto triſtanzuoli, e cagionevoli, e languidi di compleſſione divengono ; e pe 1 rò di Del Sig.Lionardo di Capoa. 227 1 rò dice che egli ſoleva far paſcere a cavalli che avevā ma gagnati i piedi per l'intermeſſo eſercizio , l'appio rimedio grāde a tal male.Macon pace pur di Plutarco, Io non ſo , che gran coſa queſta fi ſia ; ne per eſſa , ne per l'altre di lui narrate coſe ſi può dire in verità , che Achille gran medi co ſtato e’ſi foſſe. In quáto poi alla cura ſimpatica delle ferite: lo p me la ſtimo favoloſa invētione del Valentini; e forte mi maravi glio, che tanti , e tanti valent'huomini vi fi lieno oltremodo affaticati, in contendendo alcuni cheper ſopranatural po tenza doveſſe quella intervenire; e altri ciò coſtantemente negando ; e cercando d'inveſtigarne altronde la vera ca gione ; ma , ne queſti, ne quelli avviſano , chele ferite tal volta ,eziandio più gravicpericoloſe ſenza rimedio alcuno guariſcono; perchè non ſi può trarre argomento niuno dal. la lor guarigione a pro della ſimpatica medicina . Io non ſaprei ridire ſe Palamede inventore di cotante ; coſe , ch'abbiſognano alla vita degli huomini aveſſe anco ra in medicina qualche bella curioſità rinvenuta; avvegna diochè ſia molto veriſimile, ch'egli ciò facerſe, come colui, che di natura era molto acconcio a filoſofare; in tanto , che ne venne appellato noivoo PG , cioè a dire il ſavio di tutto, come leggeli in molti verſi fatti in ſua loda ; quantunque Omero non faccia di Palamede menzione alcuna , o per invidia , che gli aveſſe, perchèegli era miglior poeta di ſe, o pure per renderſi grato a ſucceſſori d'Agamennone, ili tra'l quale, e Palamede fu mortal nimiſtà ; impertanto li ſcorge manifeſtamente in altri ſcrittori più degni di fede aſſaidi Omero , eſſere veramente ſtato Palamede il più fa vio di guerra di tutti greci,e in prodezza non puntominor d'Achille . Madi ciò ch'operaffe in medicina Palamede', altro non ne abbiamo,ſe non ſe ciò che ne racconta Filo { trato ; il quale l'introduce una volta a dire, che a chiunque voglia preſervarſi dalla pefte , faccia meſtierimangiar po co , e affaticarſi molto , e che così egli avvezzati aveſſe a viv ere i ſuoi ſoldati; perchè poi la crudel peſtilenza da Po to nella Città dell’Elleſponto , ed in Troja appiccata , aw ni un de’greci noja mai diede ; comechè eglino fi foſſero in Ef 2 perti 228 Ragionamento Terzo peſtilenzioſi luoghiaccampati. Ma quanto cotali avver . timenti lontani dal vero ſieno, non ha tra noi,chi non l'ab bia non ha guari pienamente ſperimentato ; e però di più dirne al preſente mirimarrò . La medicina di Patroclo compagno d'Achillo , e di Po dalirio , e Macaone figliuoli d'Eſculapio , che ſerbaraſſi eterna , ed immortale nella memoria degli huomini mercè del ſovrano poeta greco , che ſi diè cura di cele brarla : ſembra ad alcuno , che ſolamente nelle ferite s'a doperaſſe ; e veramente a riparar i dannidellapeſtilenza , che nel greco campo faceva fieramente ſentirti,non ſi leg. ge in Omero , che in coſa alcuna, o Podalirio, o Macaone, o Patrocło mai s'adoperaſſero : avvegnachè la cura de’ga voccioli , e d'altre enfiature, che ſuolo cotal morbo cagio nare , alla Cirugia dirittamente s'appartenga; la qual coſa vien raffermata ancheda Celſo , allor che facendo men zione di Podalirio , e di Macaone, dice : Homerus non in peftilentia , neque in variis generibusmorborum aliquid at tuliſe auxilii , fed vulneribus tantummodo ferro , & medi camentis mederi ſolitos elle propoſuit. Ma con pace pur di Celſo, dall'aver ciò taciuto Omero non ſi può certamente argomentare eller loro ſolamente ſtati cerufici; e fe noi medicaron la peſte,forſe ciò fecer eglino per non tracollar dal loro buon nome in medicar quel morbo , cui non v'ha rimedio alcuno , e che l'antichità credeva,che ſolamente gli Dii poteſſero riſanare; ne ha ſembianza alcuna divero, ch’Eſculapio lor padre,emaeſtro la Cirugia ſola loro infc gnaffe ; ſenzachè(comeavviſa Eulazio ) Podalirio , non ſolamente curò diverſe infermità : ma prima di tutti, come egli dice, gittò le fondamenta della razional medicina. Ma a quale ſtato di perfezione la medicina per Podalirio Macaone , e per Patroclo uſata montafle, dal poema mag giore d'Omero ſi può agevolmente comprendere . Primie. ramente ſolevano in medicando ſucciartalora eglino colle labbra il ſangue delle ferite ; e'a tal modo Macaone medi car ſi vide a Menelao la piaga fattagli da Pandaro, Aύ πιο επα δεν έλκG- ' έμπιστ πικρος οιτς Αίμ' εκμυζήσας επ' άρ' ήπια φάρμακα είδως Πασσα . Sem . ,per DelSig.Lionardo di Capoa. 229 Sembrare egli potrebbe per avventura ad alcımno il ciò fa re vano , ed inutile , anzi per l'umidità della ſaliva alles ferite anche nocevole ciò li pare , ſenzachè è ſtomachevol coſa , e pur troppo alla dignità de'medici ſconvenevole Nero io , comeil primo Baron dell'oſte greca , e nipote diGiovediſavanzando dal ſuo pregio, inchinar ſi poteſse ad una sì vile , e vituperevole opera . Non ſolo permet teyan poi coſtoroa'feriti mollidi fudore , edi ſangue, pu re allora uſciti dalla battaglia, lo ſtarſene giacédo all'om bra , ed al frelco ventilar de’zefiri per riſtorar dolcemente la ſtanchezza ; ma lo ſteſso medicante Macaone dopo ch ? egli fu ferito ciò fece : οίδε έδρώαπεψύχοντο χιτώνων Irávte ne Ti Tvorni zaregi og ános. Ma quanto polfa nuocere il vento ad huomini anchei faniqualor eglino molli di ſudore fiano ,non che a’feritija ? quali feoza fallo per lo minor danno inacerbir puore les piaghe, non è chi noʻl fappia . Ponevano altresi medica do alla groffa, entro le ferite,radici d'erbe crude , e ſem plici fenza eller punto confattese preparate ad uſo de’me: dicamenti: επί δε ρίζαν βαλε πικρών χερσι διατρέψας. Ma inolto più ſciocchi, e più rozzi furono i loro divi famenti intorno al regolainento del vitto degl'infermi ; eglino cibavangli di groſse cipolle , e di miele κρόμμυρν ποτώ όψον, Η δε μέλι χλωρον παρ' δ' άλφιτα ιερά ακτήν. edavan loro berc il loro ufato contadineſco Ciceone ; bem veraggio il qual di farina, e di cacio di capra, e di più grá di , e poderoſi vini delle Smirre componeyaſi Πινέμαι δ' εκέλευσεν επαρ' όπλισε κυκεώ . E queſte fono le care , e falucevoli vivande, e beverage gj , che la belliſſima Ecamede concubina dell'antico Nem ftore dava loro ; i quali non iſcherni, ne rifiutò il medefi mo Macaone,ſenza conſiderare , ne pure un menomori ſchio d’infiammagione, che agevolméte ſeguir ne poteva Ma 1 230 Ragionamento Terzo Ma ben ſo lo , che di fomiglianticoſe , ed in pro, ed in contro diſputando, veriſimilmente dir ſi potrebbe, che no già eglino ſomigliantiguiſe di sì reo , eſconcio medicar praticafsero ; ma che Omero a ſuo talento le finga , poco eſsendo della verità informato ; che ſe ciò vero foſse , lo non ſo come infra gli altri cotanti pregj inveſtir ſi potreb be ad Omero l'eſser lui ſtato di tutte ſcienze, più di qua lunquc altro maeſtro ,affai ben conoſciuto; nihil unquam . ceciniſe , dice Pier Laſena , quod nun prudenter excogita tum ,ex induſtria diſpoſitum , &in alicujus rei utile dixeris documentnm . Potrebbe anche dirſi, eſsere il Ciceone di que' tempi valevole , a ſtagnar il ſangue delle ferite , o pure a ſciorlo , ove egli fia rappreſo , e corrotto ; avve gnachè Platone dica eſser molto nocevole cotal beverag . gio a’malacije oltre all'infimagione,che apporta, ingene rare anche non poca flemma;e per avventura con più falda ragione potrebbeſi delle cipolle dire , che per lo lorotale aguto , oltre allo ſcioglimento del ſangue potrebber'an che difender le ferite dall'accroſità , da cui certamente la febbre , e'l dolore , e lamarcia ,e l'infiammagione,e tutt' altro male a'feriti avviene . E ſe pure coloro uſava no con ſemplici radici , e crude, medicar le ferite , ciò era, perciocchè eglino ben’avviſavano eſserl'erbe cotanto più giovevoli , e vigoroſe , quanto più ſemplicemente ne ſon dalla natura ſomminiſtrate, e che col tanto confarle, e ma cerarle , e logorarle ad ufo delle noſtre medicine, manchi alla fine, e ſvaniſca ognilorvigore; fe pure nonvogliamo dire , eſsere ſtate di tanta virtù , e di si ſaldo giovamento da’ medici ſperimentate, che ſenza confettarſi punto,o sé. za contiglio dimeſcolamento niuno le più gravi ferite ma raviglioſamente ſaldavano ; ne a ciò foſse itato anco me. ſtieriregolamento alcuno di mangiare , o di bere: per ciocchè egli narrafi per coſa certa ,che a' tempi più a noi vicini, il Paracelſo,per lo gran valore de'ſuoi medicaméti, poco , o nulla a ciò badando laſciaſse che a lor talento fi nutricaſser gliufermi, facendogli talora ſeco a deſco lie tamente federe , mangiando in brigata ; ſenzachè Platon dice, DelSig. Lionardo di Capoa 231 dice, che per eſſer quegliantichi aſſai regolati nel mangia re , e pel bere , non avevan poi gl'infermi biſogno , che regola alcuna intorno a ciò la preſcrivelſe ; e finalmente l'uſo di ſucciar le ferite, non eſsere fuor di ragione ; impe rocchè cotal medicamento molto fa pro a riparare al gua ftamento del ſangue , traendol fuora delle ferite, e difen dendolo col fuo ſale dall'acetofità , per cui elleno marci ſcono ; perchè cotal medicamento a'di noſtri ancora co munemente l'uſiano e, per pruova tutto di ſperimentia mo eſser giovevole a'feriti , e utile aſsai ; ficome anche ſi può ſcorger ne'cani : da’quali per avventura Podalirio , e Macaone , oi loro più antichimacſtri ildovettero da prie ma appararc ; perchè ſe veggiamo, che cotanto approda a'feriti, perchè ſarà egli da biaſimare ?Maper me non cre do, che si facce difeſe loro facciā luogo; imperocchè Ome ro tutto che la incdicina ignoraſse , deſcriſse nientedime no le coſe, o coine di altri ſcrittori venivan narrate, o dal la famaerano rapportate , maſlinamente dove cgli non aveva cagione alcuna d'allòtanarſi dalla verità, o per ren der più vago , c più inır.zviglioſo il ſuo poem 1,0 per altra cagione ; ne punto vale l'eſemplo del Paracelſo , imperoc che , ſe pur è vera la ſtoria , il Paracelſo fi ſerviva di bala ſamisì prezioſi, e valevoli a guarir le ferite , che non fa ceva loro d'alero meſtieri. Ma in quanto al Ciceone ; egli è una bevanda in verità sì ſconcia , e mal fatta , che ſenza fallo non può ella altro inai , che nocuinentu agli huomini ſani , non che agl'infer mi apportare , che che ſi credan Plutarco , ed Ateneo , i qualinon avviſarono la ſtrana, e nocevole formentazio ne , che'l cacio , il vino , e la farina inſieme meſcolati far poſsono nelle vifcere . Vltimamente , le radici , e l'erbe non preparate , maffimamente l'Achillea , e l’Ariſtologia , colle quali molti antichi ſcrittori ſi credono , che Podali rio , Macaone, e Patroclo medicaſsero , abbondevoli ſo no d'umore acquoſo , e non ben digeſto , il quale oltre che infievoliſce il ſolfo , e l'alcaliloro volatile , in cui law vir 232 Ragionamento Terza virtù conſiſte , per ſc iteſso altresì egli è ſommamente alle ferite nocevole . ... In quanto poi al lavar , come è già detto con l'acqua ſemplice le ferite , non è vero'ciò , che alcunidicono, che ciò eglino-faceffero per iſtagnar di preſente il ſangue;men cre ciò non ſolamente non licſprime da Omero , appo il quale ſi ſuol fermare il ſanguecon l'incantagioni ; ina di ce eglichiaramente , che l'acqua , colla quale le ferite li lavavano era calda, e perù più acconcia aſſai ad aprire, che a riſtrignere; al che avendo per avventura riguardo il lati no poeta,con l'acqua allora allora tratta dal Tevere fin ge , che'l ſuo Mezenzio ſi lavaſſe le piaghe . Interea Genitor Tyberini ad fluminis undam Vulnera ficcabat lymphis , corpuſque levabat . Nove , aphyſice , dice ſu queſto il chioſatore Servio, nan cum aqua omnia infundătur,hic aitficcari vulnus ab aqua , Oratio vera eft ,quia fluxussăguinis aquarü frigorecôtines Yur.Ma Servio freddamente troppo,per mio avviſo ſcuſa il ſuo Virgilio d'una sì ſtravolta maniera di favellare : ma un tal modo di mcdicar le ferite , con l'acqua lavandole , tut to che ricevuto ,ed uſato anche dopo grăde ſpazio di tem po da’Latini, e da'Greci , onde dice Silio purgat vulnera lympha: anzi ſin’al paſſato ſecolo da molti Ceruſici anche coſtuma to, quáto lia nocevole ravviſar puollo facilmente ciaſche duno,che punto abbia d'incendimento ;laonde con più lag gio avviſo da’moderni medicanti leferite col vino , o col l'acquarzente , ovc,lor huopo ciò lor faccia , vengon lä vate . Maquantunquc sì malamente medicaſſero Podalia rio , e Macaone , venncro non ſolo vivi, ma anco dopo morte in sì gran pregio tenuti , che furonodi ſtatuc, di té pj , e facrificionorati . Quelle coſe poi , che di Podalirio narra aver letto in al cuni antichilibri Celio Rodigino , elle fon tutte, per quel ch'io micrcda novellette da Romanzi ; ciò Zono ,degli avendo rotto in invar preilo la Caria, fu ſottratto al perico lo da 0 ! Del Sig.LionardodiCapoa. 233 lo da un'avvenente paftore,e lu’l lido corteſemente accol to ; e che poi; il Re di quel paeſe avendone coutezza avu ta , per luimandato aveſſe perchè medicaſſe una ſua fis gliuola, che dalla vetta d'una torre era giuſo caduta ; cui egli facendo crar ſangue da amendue le braccia , e con al tri rimedi aveſſe in buona ſanità rimeſſa ; di che il padre oltremodo contento magnificamente della Provincia del Cherſoneſo dotatala , data gliele aveſſe per moglie; e che Podalirio nel Cherſoneſo födate aveſſedue belle, ed egre gic Città , una col nome della moglie Cirene , e l'altra col nome di quel Paſtore chiamandone. Convenevol coſa ſtata ſarebbe, che noi ſecondo lo in cominciato aringo ordinatamente procedendo , avellimo molto addietro fatto parole di Teſco , di Giaſone , di Pe. lco , di Telamone , e del ſuo figliuolo Teucro , e d'Erobo te : ora concioſliecoſachè ſcarliflime memorie di loro fien no a noi pervenute, n'è convenuto tacergli ; e perciò pal farem ſomigliantcméte ſotto filenzio,'e Nicomaco , c Gor gaſo figlidiMacaone, e d'Anticlea , i quali ſuccedettero al regno di Diocle loro Avolo materno , e come nar ra Paufania , lolevano gl'infermi corteſemente curare , e maſſimamente le dislogate oſla , o membra in buon concio rimettere ; onde per grado, gran tratto ne furono come Dij da’poſteri venerati . Ne meno terrò lo ragiona mcnto diSoſtrato ,di Dardano , di Cleomitide , di Teo doro , di Criſime , dc'quali oltre aʼnomni, nulla affatto noi non poſſiamo fpere. Ma prima ch'a' più baſſi , e più vicini tempi facciamo paſsaggio,n’è paruto bene il doverci alquanto intertenere a ragionare di quel ſiſtema , del quale Ippocrate fa parole nel libro della vecchia medicina;ritrovato ,comepar ch'ca. gli porti opinione, da’primi inventori dell'arte. Or dice Ip pocrate,che quegli átichisſimi e ſagaci inveſtigatori della medicina,faggiamere avviſaſſero ,che ne il caldo,ne il fred do , ne l'umido , nc'l fecco , ne altra ſomigliante coſa all' huomo foſſe d'alcun nocumento gianımai; ma di sì fatte coſe il fomino , o l'ecceſso , che vogliam dire , il qual per Gg ſover 234 Ragionamento Terzo ſoverchio di vigore , non poſſa eſſer dalla natura ſoprava zato , ſia agli animali d'offeſa, e didannaggio cagione; U queſto proccuravano có ogni ſtudio di reprimere,o tor via ; il quale ecceſſo dicevan' eſſi avvenire , qualora l'amaro , amariſſimo : il dolce , dolciſſimo : l'acetofo , acetofilimo divenga ;mentre portavano opinione, l'Amaro , il Dolce; il Salſo , l'Acetoſo , il Diſcorrente , l’Acerbo , e altre infi nite coſe di varie, e molte virtù fornite, dovere eſſere di ne ceflità nell'huomo, sì veramente , che fteano frá eſlo lor meſcolate , e confuſe, e l'una temperata dall'altra ; che foj mai avvien ch'alcuna di eſſe da tutt'altre appartandoſi , così ſceveratamente ſe ne ſtca , allor fallendo al diritto or dinamento del corpo umano cominci a farſi con mole ftia ſentire , e grave offeſa recare. De' cibi buoni, ed offendevoli, eglino ſomigliantemé te diſcorrevano :dicendo cheil Pane, o altri cibi, onde 1 huom niun male non pruova,ſia dall'accennate coſe , e ſa pori acconciamente temperato, e che quegli , onde alcun danno riceve , abbiſogni ch'una delle già dette coſe ab bia ſoverchiamente d'aſſai. Più avanti volevan'effi , che il caldo , e'l freddo men di tutte le già dette coſe fieno operativi ; cd ove rimeſcolici inſiemeneſteano niun danno giammai non facciano ; ma quantunque volte ſi leparino ,e che o riprezzo , o furiofa febbre perciò hucm ne patiſca l'altro contrario imman tinente accorrendovi , e la furia del tiranneggiante nimico affrenando, toſto venga l'infermo d'ogni affanno a liberar fi . Il che ſe pur non li vede nelle ardēti febbri,nelle infiá magion de'polmoni, ed in altre gravi malattie avvenire , dicevan'eglino , che in sì fatti cali non già dal folo caldo , ma inſieme colcaldo dall'amaro, e dall'acetoſo, o da altra fimil coſa la febbre veniffe generata . Finalmente tutto ciò , ch'Ippocrate dietro a tal materia fiegne a narrare , e come egli prenda a ripigliar coloro che dipartendoſi da queſti diviſamenti,le cagioni di tutti i ma li all'umido , al ſecco , al freddo , al caldo fi ftudiavano d ' attribuire,per eſſer molto lungo , e forſe di poco momen to, lo Del Sig.Lionardo diCapoa 235 to , lo tralaſcio diriferire . Ma quanto al fatto del teſte da noi rapportato ſiſtema, egli ne ſembra per le parole del medeſimo Ippocrate, che Apollo , o Chirone , o Eſculapio , i quali è fama d'aver primieramente la medicina inventata, ſtati ne ſiano gli au tori. E quanto ad Eſculapio , comechè contuſamente ne faccia parole Platone , e a guiſa d'huom , che di dubbia , coſa favelli, par che dir voglia , ch'egli in tal modo fi loſofaſſe , ed è veriſimil molto , che dal ſuo maeſtro Chi, rone , o dialcun'altro egli appreſo l'aveſſe : e Chirone da alcun'altro fimilméte di lui più antico : eche poi avendolo Eſculapio altrui inſegnato tratto tratto infino a' tempi d ' Ippocrate per altri andatoſi foſſe avanzando ,e a quelter mine condotto , ſicome egli il riferiſce ; ma egli è nondi meno per mio avviſo , aſſai manchevole , e ſcempiato , ne Ippocrate interamente , e qualli converrebbe il rapporta; si che ne laſcia cagion di dabitare, che ne men'egli il con tenuto di tal fiſtemi capiſſe . Ne ſembra impertanto, che non già di ſoli medici; madi filoſofanti , e medici inſie me , o di ſoli filoſofanti ſia tal lavoro; e per una tal breve, e confuſa notizia , che può averſene, pur manifeſtamente ſi ſcorge , che non mai dovette cader in penſiero a que gli antichi medici, e filoſofi , che di quattro corpi, che ſon comunemente Elementi chiamati , tutto l'Vniverſo com pongali, i quali diquelle , che prime qualità le ſcuole , appellano forinati, con altre , che ſeconde nominano ac cozzati, i tanto varj corpi miſti vengano a ingenerare; m2 che quaſi infinite particelle di figura diverſe ,in varie gui le ora accoppiandoſi, or ſeparandoſi,tuttele coſe faceſſe ro ; o per me'dire , e più ſecondo la loro opinione , da tale accozzamento , o ſceveramento tutte le coſe ſi faceffcro in varie guiſe ſenſibili ; e che , ne generazione, ne corrompi mento v'abbia in Natura giammai, ficome dice chiaramé. te nel libro della Dieta il medeſimo Ippocrate ; ma che ogni coſa , che dinuovo ſimanifeſta , pureravi innázi . Il qual modo di filoſofare , ſe non è appunto il medeſimo có quel di Anaſlagora , certamente da quello non è guari di verſo . G g 2 La 236 Ragionamento Terzo La maniera del medicare di quegli antichiſſimi medici autori di sì fatto ſiſtema , viene apertamente accennata da Ippocrate quando dice , ch'eglino davano .opera a tor via dall'huomo tutto ciò , ch'eſſendo della ſua natura via più valevole , e no'l potendoella vincere , offefa ne rim.z. ne ; come l'amariſfimo , il dolciſſimo , e altre ſomiglianti teſtè mentovatecoſe; le medicine poi a vuotarle voleva no eglino, che ſi daſſero nel tempo opportuno a ciò fare , cioè allor,che per eſſer elleno al dovuto cocimento perve nute , era ceffato il lor impeto , e mitigato il furore; d'on de fi cava , che quegli avvedutiffimihuomini non adope ravan le purgagioni, ſalvo che nella declinazione del nia le ; e chiaramente dice ſecondando i lor ſentimenti Ippo crate , che allor , che nell'huomo ſomınamente creſce la collera , in tutto quel tempo , ch'ella ſi trova ſtemperara ; cruday e ſincera per arte niuna ſi poſsono , ne il dolore, ne la febbre , che da leicagionanſi mitigare , non che eſtin guere. Macon quali argomenti eglino cercato aveſsero di cuocere , e diridurre al lor primicro ftato le nocevoli materie,Ippocrate non ne tien ragionamento; folamente fi pare , per quanto raccoglier fi pofsa dagli altri ſuoi libri, e dalle parole , che reftè abbiam noi recate,che eglino in ciò non ſi valeſsero de'falasſi . Ritrovò a'noftri vicini tempi un sì facro fiftema , oltre al Paralcelſo , al Severino , ed al Quercetano altri , eal. tri doctisſimi ricevitori ; i quali colle tante , e rante cu rioſe , e ſottili dottrine , che viaggiunſero ſommamente il nobilitarono , e lo fecero altro in verità parere da quel lo , che così rozzamente defcritto nel libro della vecchia medicina ſcorgeſi ; ma non poterono nientedimeno que' valentisſimi huomini , per quanto mai s'affaticaſſero, e che poneſsero ancora in opera per ciò più acconciainente fare la vital notomia , ritrovar argomento giammai , che effi cacemente provar poteſſe , che nell'huomo , ed in altri corpitante, e tante varietà innumerabili ſi trovino di coſe ; laonde degni certamente diſcufa mi pajono que'primi au tori del ſiſtensa ,fe ne meno eglino non le vennero in quel il a Del Sig.Lionardo di Capoa. 237 li a dimoſtrare ; ed in verità lo per me crcdo , che ne me no eglino non aveſſer potuto ciò fare giammai ; imperoc chè ſe ſono , come esſi vogliono , in minutisſime particel le diviſe , e l'une coll'altre meſcolate , e confuſe , necon i ſentimenti ſi arrivano a comprendere , ne effetti poſſono produrre , da’quali argomentar ſi poſlá lor ritrovarſi at tualmente nell'huomo , ed in altri corpi , e ſe mai pure in eſso loro talvolta feorganfialcune delle dette ſoftanze di quando in quando venir ſuſo, non ſi può ſapere certa mente ſe vi erano in primanaſcoſe , o le pure elleno da' primi lor femi di nuovo fiſiono ingenerate. Orper diffalta di queſte certezze,non farà egli manche vole, e ſcépiata quella medicina, che preſupponendole, ſu vi s'appoggia ? Ed oltre a ciò fe prima diligentemente non inveſtigheraſſi, e giugneraſſi a faper qualſia la natura dell' acerbo, delPacecoſo , e d'altre ſimili coſe , qual contezza de’loro effettipotrà averli, o del loro operare, e delle ma lattic , e della virtù deʼmedicamenti , e del modo d'ufar gli . E forte aggiroffi Ippocrate , ſofifti tutti que' fapien tìſliini filoſofi , emedici nominando,i quali volevan,che il medico foſſe pienamente di tutti gli affari della natura in formato , e intefo minutamente di tutto ciò, onde l'huomo compongali , e quanto al ſuo mirabiłmagiſtero concorra . E parvc al buon huono , che il conoſcimento di ciò antaa più alla pittura , che alla medicina s'apparteneſſe ; e ba it are al medico ſol tanto , ch'egli conoſca l'huomo in ri guardo al mangiare , e al bere, che gli convicne . Ma quefto medelimo chi non vede , che non mai poſſa fa perfi, fe la natura dell'huomo in prima , e poi di tutti i cia bi, e beveraggi, e d'altre, e d'altre coſe e non iſcorgaſi. Io nóho preſo a vagliar ciòsche dicefi pariméte,che qua Jora popera del ſolo caldo ſeparato dal freddo fi cagionano le malattie, il freddo v'accorra a dar riparo; che ſomigliati fraſchenõ maiimmagino ,che foſſero ufcite di bocca dique' valoroſi átichi;ne fo Io,comeIppocrate fe l'abbia maiim maginar potute. Aurebbono bēdovuto dire eglino , o eſſer mol 238 Ragionamento Terzo altra opera , greca , molto, e molto agevolea ritrovare il rimedio, ſe le malac tie dalcaldo , o dal freddo ſolo avveniſſero , avendo noi pronti ſempre tra le mani quegli argomenti, iquali, o ſcal dare , o raffreddarne poſſono; o pure, che il loverchievol caldo , in perdendo le particelle , che fanno il moto , les quali sfumano velocemente , ove non v'abbia coſa , che vaglia a intertenerle,coſto s'ammorti,e venga meno.E ſo migliáteméte eglino ácora dir potevano delfreddo fover chievole ,che tor ſi poſſa agevolméte via incótanéte ſenza che della ſola continua formentazione del ſangue. E tanto baſti del più antico ſiſtema della medicina , ficome a noi ne giova credere, al preſente aver detto ; onde come d'abbondevole , e larga fonte tanti, e vari ruſcelletri poi d'altri ſiſtemi di razional medicina tratto tratto li diram irono : chenon pur la grecia tuttav , ma alere barbareſche, e più rimöte nazioni allagarono. E primieramente quel ſe ne vide uſcir fuori, di cui ſicome noi teſtè dicevamo fa Ippocrate mézione ; il quale dell'u mido , del ſecco , del caldo , del freddo nel filoſofare ſi valſe ; e quell'altro purdalmedeſimo Ippocrate accenna to , di coloro , i quali più ſottilmente le coſe fin da’loro primiprincipj fil filo d'inveſtigare li ſtudiavano ; ed altri , ed altri Siſtemi ancor covenne,che a que'répi ſi adaffer tut tavia mettendo fuora per que' filoſofi, che in molte , e varie ſchiere eran partiti; alcuni de’quali, come addietro accennammo, ciò fecero per avventura ſol per render pa ga la lor curioſità , e per vaghezza di ſpiarei ſegretidella natura ; ed altri per intendere oltre al filoſofare , anches all'opera della medicina , fino a’tempi d'Erodico , oveda prima ad alcun ſembra che dalla filoſofia indegnamente divorzio faceſſe la medicina ; le pure alai molto prima, e per opera d'altri ciò non avvenne , e ben’ Ippocrate nel libro della natura dell'huomo, oltre a'già narrati,di quegli altri Siſtemi ta menzione, formati da que'medici ,che volevano , o dal ſangue , o dalla collera, o dalla flemma elfer formato l'huomo , Ma 1 DelSig. Lionardo di Capoa 239 Ma tempo ſarebbe omai di patrare ad altro ; más poichè non è queſt'opera da dover fornire in brieve ſpa zio di tempo : ed lo tanto oltre mi ritrovo col mio fa-. vellar traſcorſo , che già omai è l'umid'ombra della not te ſopravenuta , egli fie convenevole, che ad un'altra ada nanza l'eſaminamento degli altri ſiſtemi di medicina lo ri ſerbi. KK KE UP) RA: 240 All RAGIONAMENTO QV A RT 0. 22 S E quelle gravi , ed acerbe quercle , che veggiam tutto di metterſi fuora dalle pé ne di tanti, e tanti ſcrittori contro le bar bareſche armate , perchè coile più bello meinorie della famoſaGrecia abbia quel le i più prezioſi libri della medicina cru delinente malmenatic diſtrutti: vorrem noi dirittamente guardare, ritroverein per mio avviſo eſſer quelle in veri tà poco ragionevoli , cmenche giuſte doglianze ; iinpe l'occhè ſe gli ſmarriti libri della greca medicina eran fimi glianti a queſti, che a noſtre mani ſon pervenuti , fideu certamente ſtimare alſai ben lieve la lor perdita , ne da do Ierſene gran fatto , anzi da non mettere in conto ; mare pure quelli di maggior lieva ſi erano , e più vera , e fotril doctrina contenenti , bcn'a torto , s'io pur non vado erra to , oiGoti, o gli Alani, o gli Vnni , o iBulgari, o i Sa raceni di sì grā misfatto accagionanſi; imperchè di coſtoro certaméte niuno giunſe giamai a depre.larc,ed a ſignoreg giare la Grecia tutta ; c quãdo ultimaméte il Turcheſco fu rore ſurſe ſtruggédola , ed ingiuſtaméte uſurpádola , cd oc cuparl Del Sig .Lionardo di Capoa. 241 cupandola inleme colla Città , ſede, e capo dell'Orientale , Imperio , allora preſſo che tuttii libri , che vi avevano della greca nazione,mercè all'induſtria degli Italiani huo mini nelle noſtre contrade vennero traſportati; ſenzachè v'han pure molte Iſole greche, ch'all'Ottomano giogono ſottomeſse dell'antica libertà anche a' di noſtri ſi godo no . La vera cagion dunque della perdita de' più beilibri non purdella medicina , ma delle più nobili arti , e delle più ſovrane ſcienze,non già alla furia dell'armi , o delle fiamme nemiche : non già alla rabbia del tempo di tutte l'umane coſe fiera divoratrice ; ma recheſi ad altrettanto più cruda, quanto men furioſa , e mentemuta cagione.Diec tracollo , chi'l crederebbe ! dier tracollo dal lor primo ſplendore le lettere , non per altro , ſe non ſe per manca mento, e per colpa de'letterati medeſimi; c donde atten devan ſoftegno , e riſtoro , quindi ſterminio elleno ebbe ro , c ſtruggimento ; conciofoſse coſa ,che , ficome talora in bello , e ſpazioſo campo di grano ſoglion naſcer avene , logli , ed erbe ſterili , e dannoſo , e ſoffocarlo , cosìſur ſero tratto tratto nella Grecia fra quell'anime grandi , es valenti , che del vero ſapere eran ſolamente paghe, alqua ti huomini di ſtolido , ed ottuſo intendimento , i quali da vaghezza tratti divano onore , e di popoleſca fama, ogni loro ftudio ponendo in farſi tener alla minuta plebe ſapie ti ſol dieder opera ; e tutti intelero a certe vane ombre di dortrine ; e perciò laſciando in abbandonamento i buoni libri a conſumar dalla polvere, e a roſicchiar dalle tarme, ſol cura ſi diedero di riſerbare , e di tramandare a' po fteri que’libri , che con pompa , cd arringo di belle parole facevan veduta d'inſegnar tutto quando poco , o niente in lor v'era di pregio ; e delle lodi di sì fatti volumi,aven do eſſi riempiute le carte , la troppo credula , anzi cieca , pofterità , come prezioſi teſori gli ha ricevuti , e ſempre mai venerati. Mai voſtri ingegni, o Signori,per cui veggio omai ſcorgerci da miglior lume la verità : mi danno ani mo ch’lo proſeguendo la incominciata tela de’varj ſiſtemi de'Greci medici, vi faccia ſcorgere ad un'ora per la più Hh par 242 Ragionamento Quarto parte falſe eſſere quelle eccelléti prerogative, che di mol ti ſcrittori va buccinando da per tutto immeritevolmente la fama. La medicina di Erodico ,la quale quatūque in vitupere vol guiſa per Platoneſtata foſſe trattata: no però di meno dal gétilillimo ſuo ftilc ella vene sõmaméte nobilitata ,ere ſa immortale, per fatica , che vi ſi duri , Io non ſo vede re , come ſi poſſa giammai ad eſaminazione acconciamen te ridurre,poichè d'efla sì poche, e cófuſe memorie avázate ne fono,che appena ne ſi aprirà capo da potere alcun degli argomentiond'ogli fabbricolla indovinare ; impertanto a volerne dir ciò che per noi fi può , rammentomi, che Platon riferiſce, Erodico eſſere ſtato miglior maeſtro d'in ſegnare, come gl'infermi eſercitar doveſſero le membra, e ſtropicciarle , ed ugnerle , e regolatamente prendere il ci bo , chedi giovevoli , ed efficaci medicamenti a coloro preſcrivere;perchè e'ne viene dal medeſimo Platone affai Íconciamente vituperato ; dicendo , ch'egliin sì fatta gui fa non diſtruggeva altrimenti le malattie , ma le complcf fioni ſolo a poter quelle lungamente foſtenere ajutava ; ond' egli paſsò ad affermare la medicina d'Erodico eſſer arte da Pedagogo ;imperocchè ficome da coftoro i fanciul lini, così da quella i mali reggevāli; mache di ciò Erodico la dovuru pena aveſſe meritevolmente pagata ; imperoc chè della ſua inutil medicina , penofa , e cagionevolvita traſſe continuo , e ad una lunga , e ftentata morte ſempre diſpofta,perocchè da una nojofiffima, e mortal malattia preſo , egli per trovarqualche argomento da ſoftenerla , tutto nello fludio della medicina s’involſe , traſandando tutt'altre biſogne , e ſolo a ciò di forza intendendo , altro non gliene avvenne , ſe non ch'egliebbe a viver si parca mente , e regolato, che ſe mai dall'uſato cibo ſi dipartiva, toſto ritornava ad ammalare , e più che prima cagionevo le diveniva ; e a queſta guiſa reſo a ſe medeſimo inutile, e grave peſo , viſſe infino all'ultima vecchiczza ; ove di que favita rinereſcédogliil morirc, ſdegnofaméte fi dipartio.E alla finc Platone motteggiandolo conchiude , che una ec cellen Del Sig.Lionardo di Capoa 243 cellente , e ragguardevol palma e' riportaſſe dall'arte ſua, e talc , qual veramente gliſi conveniva , come a colui , il qual non ſapeva , ch'Eſculapio una cotal guiſa di medica re a' pofteri non aveſſe inſegnata, non già perchè non gli foſſe aliai bé conoſciuta : ma ſi bene perocchè egli ſcorge va,che in una bé ordinata Città a ciaſcun debba eſſere l'o . pera ſua convcncvole aſſegnata , alla qual fornire doven do intendere , mal potevagli ozio lungo avanzare , du potere a ſtéto da una tal medicina attender prò , o riſtoro ; coſa , la quale certamente ridevole ella ſembra ſe vien el la mai negli arteficiconfiderata . Reca Platon l'eſemplo d'un legnajuolo , il quale ſe mai, come porta la ſua diſ grazia ritrovali preſo da grave malattia , egli toſto inan dando per lo medico, da lui richiede , che diviſandoglial cuna purgativa , o pur vomichevole medicina , o col fer ro proccuri toſto di torgli ogni inale , e ogni ſeccagin da doſſo ;ma ſe allora il medico ſolpreſcrivcſſoglilungadieta, e altri così fatti riguardi , certamente , che colui gli re plicherebbe, non eſſer miga ſuo intendimento di menar il can per l'aja , e foggiacere a una sì nojoſa, e miſerevol vi ta ; e così datogli dipreſente il congedo coll'uſata libertà ſe ne rimarrebbe ; e ſemai avveniſſe per forte , ch'egli guariffe , ſi viverebbe per innanzi felice ; ma ſe il corpo no potendo al mal far contratto ſe ne moriſſe, almen verrebb’ egli ad eſſere da tante noje ſviluppato . E dopo queſti ra gionamenti Platone apertamente una tal medicina caccia via dalla ſua repubblica , come dannoſa , e tale , che i ſuoi cittadini non meno alle lor private biſogne , ch'a quelle del comune verrebbe a fraſtornare, e ritorre. D'una tal materia ſi legge una lettera dello Speroni , con la quale egli va dimoſtrado con vani ſofiſmi,la vita ſobria eſfer no cevole uzi che no; infra l'altre coſe dicendo , la vita ſo bria non poterſi appellar ſana, eſſendo la ſanità un'acci dente , che coll’inferinità , ch'è il ſuo contrario via ſi cac cia del ſuo ſoggetto ; perchè ſe nella vita ſobria non può effer inferinità , non può eſſer (anità vera; c ſe tinto , e non più fi mangia , quanto baſta al vivere noi ne coin H h 2 bar 1 244 RagionamentoQuarto batteremo, ne cămineremo,ne falteremo giámai, ne potre mo ciò fare , perchè non averemo le forze,mangiando fo lamente per vivere , il che ſarebbe un gran difetto nell huomo . Oltre a ciò e' dice, che come la mano ſtorpiata , non è mano , perchè no può come mano operare,così la ſo bria vita no è vita,ma meza morte, perchè no opera quan to , e come dee l'huomo operare.Dice parimente egli che il morir per riſoluzione ſia la peggior guiſa di morte, che poſſa fare l'huomo :perchè queſto è inorir di fame ; della qualmorte parlando Omero in perſona de'compagni d'V Jiffe l'abborriſce infinitamente : ed elegge più coſto lo an negarſi , che'lmorir di fame į ne peraltro Dante biafi matanto i Piſani, che per aver fatto morir di fame il Con te Vgolino ,benchè foſſe traditore della Patria . Con chiude egli alla fine , che chi è ſobrio nel cibo faria huopo cffer ſobrio in molt'altre coſe : peſare il vino, e'l pane, nu merare l'ore: farebbe luogo ancora pefare i peſieri, lo ſcri vere , il leggere', e ſimili cofe , che impediſcono la dige ſtione : numerare i palli, e le parole , che ajutano la dige ſtione : non dormir ſe non tante ore il dì , e tante la notte . Ma il chiariſſimo Signor Luigi Cornaro , a cui era in dirizzata la lettera ; col ſuo proprio cſemplo fe veder ma nifcſtamente quanto ciò vano , e fuor di ragion fia : impe socchè egli colla rigorofa dieta lano , c vigorofo , e bene atante della perſona anche nella cadente età ſi mantenne , e viſſe oltr'a cent'annipronto ſempremai , e col ſenno , e colla mano alle biſogne tutte della ſua patria ;comechè ca gionevole aſſai di compleſſione e'li foſse in prima ſtato ncl Ja ſua giovanezza , ca molti, e graviſſimimali ſoggetto ; intanto , che comunemente da'medici dopo varj , e diverſi argomenti indarno adoperativi , diſperato ſovente di ſuas ſalure ſtato ne foſſe . Ma quanto vane ,quanto deboli , e fanciullefche fien le ragioni, con che Platone s'argomenta d'abbatter Erodi co ,e come ſcioccamente la dappocaggine d'Eſculapio , e de figliuoli di lui egli di ſcuſare s'ingegni : Io non pren derommi al preſente briga di dimoſtrarlo , potendo ciaſcũ 1 da per Del Sig.Lionardo di Capoa. 245 da per fe a prima veduta baſtantemente comprenderlo . Macome non ſi può in modo niuno negare, che quel me dico , il quale aveſse per le mani ſicura ,ed efficacemedici na , che ſenza indugio poteſse un grave male di prefence guarire , non dovrebbe certamentead altri medicamenti aſpettarſi; nondimeno non ſo lo fe Eſculapio , cotanto da Platone commendato, aveſse pronta ſempremai unas cotal medicina non che a tutti mali acconcia , ma ſola mente alle ferire ; eſsendo rade molto cotali forti di me dicamenti , e radiſsimi coloro , che alcun certamente ne ſappiano ; perchè lopratutto fa meſtieri, che'l medico per ogni via ſappia all'infermo ſoccorrere, eſe non può riſa, narlo,poſsa almeno tantoſto indugiar la fua morte , tem poreggiando , e ſcherinendolo a ſuo potere . Perchè fom mamente egli è da lodare il ſaggio avviſamento d'Erodi co , il quale molto bene a pruova ſcorgendo quanto poco a capitale da tener foſse l'operazion de’medicamenti, diede opera più che altro a quelle coſe , che ſe non ſono ditroppo vaglia , s'annoverano fenza fallo infra le meno incerte dellamedicina . Ecertamente per quelle uſare no fi corre pericolo niuno da’malati , e poca , e niuna fatica . s'imprende a porle in opera . MadalPaverle Erodico dalla ginnaſtica portatealla me dicina,quanta lode egli per ciò ne meriti , Galieno mede. fimo il confeſsa ; il qual nondimeno una tanta lode ad Ip pocrate attribuiſce . Io per me ſtupiſco della fcimunita tricotanza di tal’huomo che avendo letto più volte i dia loghi della repubblica di Platone , e recatone nel fuo li bro pur qualche luogo, ardiſca pure d'affermare , che Platone in ciò ſolamente la cattiva ginnaſtica biaſimaſſers la quale ſi predeva cura di difpor gli Atleti ad eſser valo roſi , ed abili a loro eſercizj . E certamente ſe quellibro di Platone ſinarrito per ayventura ſi fofse , ciafcun farga mente le ſciocchezze di Galieno crederebbefi . E come voleva Platone biaſimar la ginnaſtica, che per Galien cat tiva dicefi , s'egli nella ſua Città ordina , che s'edifichiil ginnaſio , e diſegna con molte parole la contrada acconcia per i 246 Ragionamento Quarto per quello , e vi ricerca in iſpezialità copia d'acquc cor renti , così per derivarla in uſo de' caldi bagni , coine per irrigare il terreno , e render vago , eadorno il luogo ; ſen zachè no mai ſtanco ſi moſtra Platone in tutte le ſue ope re di celebrare il ginnaſio , e quegli eſercizi , che ivi fico ftumavano di fare : come ſommamente utilia conſervar la ſanità ; e fra l'altre egli ebbe a dire una volta, eſsere ma lagevol molto il ritrovare diſciplina miglior di quella, la quale fin’alla ſua età in lunghiſſimo ſpazio di tempo s'era ritrovata ; cioè della muſica , che all'animo , e della gin naſtica , che al corpo appartiene. Ma laſciando ciò da par te ſtare , egli va grandemente per mio avviſo errato Pla tone nell'affermare, che que'buoni antichi medici non cu raſsero il regolaricibi a'malati , e che ciò eglino faceſse ro , non peraltro , ſe non perchè non avevali a que’tempi di ciò punto biſogno, perchè agli antichi , i qualimaisé. pre regolaramente vivevano, non faceva poſcia inferman doſi huopo diregola alcuna di medico ; concioffiecofachè le tante , e tante förti di malattie , che fra gli antichi ſové teniente ſi vedevano , faccian’aperta , e fedele teſtimonia za del contrario . Ma quantunque vero foſſe ciò ,che Pla tone immagina della ſobrietà grande degli antichi huo mini , pure altri cibi a'lani,ed altri a'malati convengono; e quelmedico , il quale cibaſse l'infermo come fano , e'l ſano come infermo ugualmente nel certo all'uno , ed all l'altro nocerebbe . Egli poi non ha dubbio alcuno , che'l regolar i cibi foſse la prima coſa certamente , che s'ado peraſse in medicina ; anzi da ciò venne ſuſo primieramé ce la medicina ; e prima , che foſsero i medici , i medelimi infermi da per ſe il ritrovarono ; e illuſtri.fimo in queſto affare è il luogo di Celſo; il quale ci giova quì tutto rec.le re , comemolto al noſtro propoſito faccente: Ægrorums, dice egli, qui fine medicis erant , alios propter aviditatem primisdiebusprotinuscibum affumpfiffe , alius propter faſti dium ahſtinuile, levatumque magis eorum morbum effe , qui abſtinuerant : itemquealios inipfa febre aliquid ediſ Te , alios paulò ante eam , alios poft remiffionem ejus , optime dein Del Sig. Lionardo di Capoa 247 ! deinde his ceflife , quipoft finem febris id fecerint . Eadeque ratione alios inter principia protinus ufos effe cibo ple viore , alios exiguo , graviureſque eos factos qui fe imple rent. Hæc, ſimiliaque quum quotidie inciderent , diligentes homines notaje: quæ plerumquemelius refponderent ,dein deægrotantibusea præcipere cæpiſſe :fic medicinam ortam-, ſubinde aliorumſalute ,aliorum interitu pernicioſa diſcer nentem à ſalutaribus, Ma intorno al cibari malati, certiſſima coſa egli ſi è, che gli antichi medici gră pezza affai prima d'Ippocratemol . te coſe , e molte diviſarono, come ſi può agevolmente ve dere nel libro della vecchia medicina , ed in altre opere d ' Ippocrate medeſimo , onde parimente ravviſar fi puote quanto errato vada Galieno, il quale di ciò far yolle il buo Ippocrate autore. Ma , che che ſia di tali faccende, terri bile allai ſembrami nel vero la cenſura , con la quale Ip pocrate, non avendo veruno riguardo alla venerazion do vuta al maeſtro Erodico , fconciamente il riprende,e vitu pera ; dicendo, ch'egli togliere la vita a tutti que'cattivel li febbricitanti , ch'e' medicava colle fatiche , e co' fummi. caldi , che loro imponeva; e ne reca egli di ciò la ragione, dicendo cfler a' febbricitanti il pareggiare, il correre,e gli ftrofinamenti , eifomenti oltreinodo contrari .Aggiugne Galieno a ciò che dice lppocrate , che Erodico in ciò fa re, ne anche alla ſperiéza guidar certaméte e'li faceſſe ,non volendo niuna ragion delmondo , che'l male col male, la fatica colla fatica , il ſimile col liinile da medicar ſia ; an zi e'dice , che gli argomenti tutti adoperati per Erodico nelle febbri , valevoli più toſto ſiano ad accreſcere sfor matamente il calore , che a toglierlo . Ma certamente no molta fatica aurebber egli durata i ſeguaci d'Erodico in rimboccare Ippocrate , e Galieno ,dicendo ,che Erodico, come buon medico razionale non già alle febbri, ma alla cagione di quelle riguardar doveva,alla qual togliere cer tamente quemedeſimiargomenti fi convengono, i quali egli adoperava , avvegnachè in prima ſe ne creſca talottas la febbre per qualche poco ſpazio di tempo ; ma poi ſen za fala 248 Ragionamento Quarto za fallo rimoſſane la cagione del tutto ſi ſpegne ; ſenza chè ben potrebbono di vantaggio aggiugnere , il medeſi mo appunto farſi da Ippocrate , e da Galieno : i quali con fregamenti , e con dare a {piluzzico , e a riguardo il cibo medicar parimente ſogliono i febbricitanti . Ne qui deb befi tacere , ſcorgerſi da ciò chiaramente eſſere antichiſ ſimo coſtume de'medici biaſimare in altri , come manche voli , e malfatte anchequelle coſe , che eglino medeſimi in ſomiglianti caſi operar tuttavia ſogliono. Ne poffo sé. za maraviglia riguardare alla gran tracotanza di Galieno, il quale così aſprainenre riprende il diviſamento d'Erodico ſenza punto penſare , che ello ancora alcune febbri linco pali co'fregamenti, e col digiuno curar foglia ; perchè egli vien forte ripigliato dal Tralliano , il quale rintuzza lo , c percuotelo , e con maggior ragione per avventura , con quell'arme medeſime, che Galieno aveva contro Ero dico adoperace. Vltimamente ſe un ſomigliante coll'alcro da curar ſia , coloro ſe'l veggano , i quali comeche con parole il biaſimino , purcon fatti talvolta il ſogliono ado. perare : ſolamente lo avviſo , che Ippocrate medeſimoma nifeftaméte afferma, che'l yomito col vomito ſi cefla ,e che col limile il ſimile ſi cura . Quinci ſcorger ſi puote , chcgli huomini tutti,e più che altriimedici, Togliono di leggieri nell'arti, chedi nuovo imprendono ad eſercitare , valerſi di quelle coſe, alle qua li per qualche ſpazio di tempo diedero in prima opera ; e percið Erodico per mio avviſo ſi ſerviva così ſpeſſo degli Itropicciamentiin medicando gl'infermi, e d'altre opere , ch'erano in uſo nel ginnaſio , di cui egli aveva avuto la cu ra ; così veggiam que' ,che, o d'Aſtrologi, o d'Alchimi ſti divengono medici , non preſcriver rimedio alcuno , che non ſe ne fian colle ſtelle , eco'fornelli conſigliati; ma no penſi però alcuno , che'l maeſtro , o preferto del Gimnaſio aveſſe cura di far ſtropicciare , o d’ugnere que' ch'eran deſtinati alle lutte , al corſo , e agli altri gilochi , che ſi fa cevano nel Gimnaſio ; ma il ſuo uficio ſi era il comandar nel Ginnaio , e conliſteva nella ſupreina autorità di quello p li vile Del Sig.Lionardo di Capoa. 249 li varjufici a quella ſottopoſti, e per le ipeſe , che per l'e ſercitazioni facevan meſtieri ; edun taluficio era in sì grá pregio,edonore tenuto,che nó foleva darſi,ſe non ſe a'più nobili , o ben’agiati huomini del paeſe; c durò lungamen te tal uſanza sì fattamente ,che i medeſimi Romani Im peradori talvolta non iſdegnarono in volendo favoreggiar qualche Città amica, e qualche popolo a loro affeziona to , infra i titoli , egli onori degli altri maeſtrati, d'accet tar anche quello di prefetto , o maeſtro del Ginnaſio . Ma non men della medicina montò in grandiſſimo pre gio , e venerazion l’arte ginnaſtica , la qual fu cotanto ce lebrata a que'rempi dalle dotte penne de ſagaciflimiſcrit tori , che nulla più ; d'alcun de'quali con ſomma lode fa menzion Galieno, appo il quale leggefi di vantaggio ,che non ſolamente eglino contendevano co’più chiari , ed il luftri medici razionali, ma che quegli fteffi , chenel Gin naſio bazzicavano proverbiar ſolevano Ippocrate ,che egli temerariamente inipreſo aveſſe ad inſegnar un'arte , dicui cgli era affatto ignorante , e digiuno . Ma ritornando ad Erodico , chc che ſi dica di lui Platone , non ſi fermò egli nelle coſe ſole della ginnaſtica ncll'eſercitar la medicina , ma ſi valſe d'altri , e d'altri rimedj, de' quali altri medici dopo lui parimente fi valſero : come ſi può vedere in Ce lio Aureliano , il quale in facendo parole della ſciatica , delle medicine d'Erodico così dicc : Herodicus igitur, ut Aſclepiades memorat , ventrisadhibet purgationem , atque pofl cenam vomitus , quifunt implebiles potius quam ficcabi les: tum vaporationibus tepidis aceti decocti exhalatione con fectis utitur , vel aqua marina , admifta thalsa herba,atq ; biljopo, & his fimilibus, veficis bubulis repletis corpus va purandum probat, vel aliis quibufque majoribus inflatis tu mentia loca pulſari jubet , e tanto baſti della medicina d’E rodico avere accennato. Eurifonte celebre medicante dell'antichiſſima ſcuola di Gnido , il quale ,come riferiſce Sorano inſieme con Ippo crate medicò Perdicca Rè della Macedonia , dalle poche memorie , che n'abbiamo, non ſi può ſcorgere in qual ma I i niera 250 Ragionamento Quarto 1 niera egli medicaffe , ene meno come egli in medicina fi loſofato aveſſe ; e delle ſentenze Gnidie, dicui voglion ch ' egli li foſſe l'autore, ne reca tanto poco Ippocrate , il qua le fi diè cura di eſaminarle , ch' Io per me non ho che di viſarne . Egli vien rapportato da Ippocrate , che i compi latori di quel libro aſſai minutamente, ed a ſpiluzzico avel ſer raccolto , e diviſato tutte quelle coſe , che avvenir ſo gliono agl'infermi in ogni lor malattia ; ma non è per ſuo avviſo da far gran fatto ſtiina della coſtoro induſtria , come quella, ch'aſſai leggiera , ed agevole impreſa è a chiunque neprenda cura , quantúque niente informato di medicina egli ſia : baſtado ſol,che dallo infermo della nojoſa iſtoria della propia malattia pienamente véga avviſato.Ma lo ,có buona pace d'Ippocrate , ſono in contrario parere; e lem brami, che gran ſenno faccian que’medici , e fieno ſom mamente da commendare , qualora ſi danno ſomiglianti brighe; imperocchè,non di ſole ciance,madicoſe in qual chemodo rilevāti ſi vedrebbon ripiene le ſcritture de’me dici . Ma che è ciò , che ſoggiugne poſcia Ippocrate, che egli fia queſto un peſo da tutte braccia , ne v'abbiſogni in tendimento di medicina ? E chi non vede quanto dalvero manifeſtamente il ſuo parer li diparta? da che a ſimili rac conti fa luogo comprender le variazioni de' polli, e altre biſogne ſola medici conoſciute; edo che vaghe novelluz ze da riftuccar la pazienza di ciaſcuno ſarebbon le imper tinenti ciuffole , ed anfanie , che talor foglion narrare a ' medici gl'inferini, fe quelle appunto aveſſero a deſcriver ſi poi ! e ſe per alcun, ſicome affai ſovente avvenir veggia mo , foffe offeſo il cervello , che domine potrà unqua ridir dirittamente giammai de'ſuoi travagli l'infermo ? nondi. meno, quantunque una tal impreſa lia aſſai propia del me dico , lo giudico , che ſe altri vi ponetle mano , chemedi co non foffe,peraltro riguardo maggior utile ſe ne ritrar. rebbe ; iinpcroccliè nurrerebbe egli ſemplicemente come và la biſogna ſenza giugnervi nulla di ſuo , ove da ' medici mercè dell'ufire loro aliuzie , tra per ridur'la cagion d'o gni avvenimento de'ma i alle lor concepute opinioni,o per altrid 1 DelSig. Lionardo di Capoa 291 alera cagione,cofa ,che ſoſpetta di falſicà,cd'errore non ſia non pongono in iſcrittura giámai . Soggiugne Ippocrate, che di quelle coſe , delle quali dee aver contezza ilmedi co per propia fua induſtria , oltr'a quelle , che poſſon ſa perſi dalla bocca dello infermo , molte ne tacquero que gli ſcrittori; e ch'egli di quelle notizie , che s'acquiſtano per opera della conghicttura, e che pertinenti ſono al mo do , col quale curar fi dee ciaſcuna malattia , non s'app.2 ga affatto di ciò , che color ne dicono ; e quinci ſi pare, ch ' Eurifonte medico razionalc ſtato ſi foſſe , e che , ſecondo i ſentimenti d'Ippocrate medeſimo ſuo emulo, aveſſe ſcrit to affai bene in medicina : nientedimeno, per quel che Ip pocrate parimenteriferiſca , chiaramente ſi ſcorge,che co sì Eurifonte , come que' della ſua ſcuola di Gnido ben molto poco valfero nella medicina ; imperocchè nel medi car le malattie, toltene l’acute, fi valevano ſolaméte dell'e Jarerio,del latte, e del fiero; e veramente intorno a ciò IP pocrate a gran ragione ne ripiglia l'autore di quel libro ſoggiugnendo, che ſarebbe degno di gran lode l'adoperar pochi medicamenti,ſe quelli buoni li foffero e conveniffe ro veramente a que’mali , a'qualieglino gli preſcrivono; ma che altrimenti vada la biſogna . Vengono in ciò i medicanti da Gnido imitati da parec chj de'moderni medici , i quali ſi tengon le mani a cintola ne'mali lunghi, ed allo incontro poi nellacute malattica non dan mai foſta a' poveri infermi , travagliandogli ad ogn'ora con importuniffimi rimedj , la dove dovrebbono ſenza fallo il contrario operare ; concioſliecofachè il ma de , il quale qualche ſpazio di tempo dur.2 ,renda aſſai age vole al medico il potere inveſtigarne, e rinvenirne il rime dio ; il che nc'mali acuti malagevolmente riuſcir puote , i quali per ſe ſteſſi , o bene , o male finiſcono in brieve. Ma nondimeno egli è ſommo artificio di medico il medi car sì fatti mali con molti rimedj: imperocchè ſe l'infermo guariſce, il vulgo ignorante agevolméte crede eſſer ciò per opera avvenuto di alcuno di que'tanci rimedi , che gli furono dal medico preſcritti : non avviſando , che celeres, ! I i 2 & acu 252 Ragionamento Quarto 1 cu acutæ pafſiones, etiam fponte folvuntur , &nunc fortuna, nuncnatura favente, come laggiamente Celio Aureliano avvila ; e ſe purl'infermomai vienea capitar male, tutta via della ſua induſtria ognuno contento , ed appagato li tiene , inmaginando , che egli non abbia laſciata coſa p riſanarlo. Ma che che ſia di ciù ne'mali lunghi,ove nel vero l'imprendimento, e l'opera del buon medico maggiorme te ſi richiede , perciocchè, ficome avviſa il medeſimo Ce lio , neque natura , neque fortuna folvuntur , ſi portò pelli maméte, per avviſo d'Ippocrate,Eurifóte;maſe crediamo a Celio Aureliano, nelmedeſimo fallo incorſero parimen te con Ippocrate ſteſſo tutt'altri greci medici , che furono prima di Temilone. Ma ricornando ad Eurifonte , Io non ſo, s'egli, o pure alcri compilando la ſeconda volta il libro delle ſentenze Gnidie,maggiormente , come porta opinione Ippocrates, il perfezionaffe: parte delle coſe, che in prima vi li legge vano , come chioſa Galieno , affatto togliendo , e parte in altro cambiando ; effetti, come altrove abbiamo pa rimente avviſato ,che provenir ſogliono dall'incertezza della medicina ; e queſto è quanto laſciò ſcritto Ippocra te della medicina d’Eurifonte . Si valſe cgli , come Ce Jio Aureliano dice , di qualche medicamento d'Erodico , e ſcriſſe per quel che narri Galieno, di notonia,e di quel le inedicine ,che ſi poſſono in luogo d'altre , che mancal ſero porre in opera . Ma trapaſſando ora alla medicina d'Ippocrate, egli cer tamente oltrealcrcder di ciaſcuno malagevole mi ſembra a diviſarne ora i miei ſentimenti ; perciocchè di que’libri, che ſotto il ſuo nome ſi leggono, ne pure a teinpo dell'an tico ſcrittore , che ne racconta la vita , dar fermo , e ſicu ro giudicio ſe ne poteva . Ma che unque diciò ſia ,manife ſta coſa è , che parecchi dell'opere dilui per travalicamé to di tempo ſmarrironſi , ed altre manchcvoli in parte , tronche li riinaſero ; ed in altre ancora molto, e molto co ſe , o da ſuoi ſcolari, o da altri aggiunte furono ; noiz però di meno c'fi pare ad alcuno che , coll'efler perdute l l'ope 1 Del Sig.Lionardo di Capoa. 253 -- Popere d'Eraliſtrato, di Diocle d'Aſclepiade,e d'altri buoni medici antichi, in queſte ſolaméte, che ſotto nome d'Ippo crate ne rimaſero, oggi ſia quaſi tuttoquáto di buono v'ab bia infra'Greci di medicina,cópreſo; impertanto moſtrano manifeftaméte, che non riſpondono a quel gran nome,che da alcun medico greco in prima , e poi da altri anchenon medici ſenza troppo ben'eſaminar la coſa ,egli n'ha ripor tato ; ne lo ſo permevedere , come ſi poteſſer mai, nu Platone , ne Ariſtotcle approfittarli per efle tanto quanto nella filoſofia naturale , come Galieno , e altri medici ſo gliono ad ogn'ora millancare . Ma chi per Dio paſſerà sé . za riſa la beſtaggine di Macrobio , il qual poco di sì fatte coſe conoſciuto , e nõ avédo forſe mai letti i librid'Ippocra te, follemére cómendandolo , gli attribuiſce ciò che a Dio ſolamente conviene, dicendo: Hippocrates qui eam fallere, quam falli neſcius. Nulla poi dico diGalieno ,il quales tutto che non ſi vegga mai pago di lodare Ippocrate , con dire una fiata infra l'altre ,che le ſentenze dilui tutte ve riffime fieno , Ta' ti Ittasaxegéros dogueala mutu le árugega tab iar e che la parola d'Ippocrate fi: come la voce d'Iddio: Notip Des our nj In Toregros réžis:impertātono approva egli poi co* fatti ciò, che dicecolle parole: imperocchèmolte,emolte fiate apertamente dalla ſua dottrina s'allontana ; anzi tal volta dimenticando quanto aveva detto in ſua lode , for te il proverbia, e'l biaſima, come altrove dimoſtrato ab biamo . Mai più ſapienti,cd ayveduti tra gli antichi ſcrit tori , quali furono ſenza fallo i Setteggianti, e queich'eb ber più valore, e più nome tra ’ loro ſeguaci, in pochillimo pregio tennero Ippocrate : come ſi può agevolmente ve dere in Celio Aureliano; ed Aſclepiade chiamar ſolevala medicina d'Ippocrate Meditazione della morte . Ma noi non badando a'cicalecci di niuno , diciamo primicramente , ch'egli ſi pare certamente , che Ippocra te aveſſe in qualche grado avuto quel natural talento, che alla medicina richiedeli; e che ſi foſse altresì cgli ſtato un' huomo infin da’primi anninello ſtudio , e nell'eſercizio di ella continuamente involto ; e comechè non ben intelo ſcor 254 Ragionamento Quarto I ſcorgeli ſovente delle coſe , ſembra pure , ch'egli ciò che ſi conoſceva in medicina in que'rozzi tempi, ne’libri degli antichi letto , & veduto egli aveſſe; e chi ben vi affiserà la mente ravviſerà nelle ſue opere affai più manifeſte le fondamenta delle varie , e diverſe ſette della medicina, di quel , che già follemente millantando Plutarco ne ſcriſſe , d'avere i principj tutti delle ſchiere de'filoſofi ne' Poemi d'Omero pienamente rinvenuti ; perchè fi dee ‘ certamente credere,o cheIppocrate impiegato tutto nell'uſo delme dicare non aveſſe avutomaitempo d'inveſtigare , e deter minare ciò chepiù vero gli foſſe paruto in medicina:o che pure avendo egli coſa per coſa minutamente ſtacciata , ed abburattata, ftanco alla finc,manifeftaméte avviſato aver ſe non eſſer più da appiccarſi ad uno , che ad un'altro fi ſtema di medicina,per la loro egual dubbietà ;e quinci egli poi di varj , e tra effo loro contrarj ſentimenti da' capi di diverſe ſette appreſi i ſuoi ſcritti riempic ; e per tacer d'al tro per ciaſcun ſi ravviſa aver Ippocrate nel libro della natura umana impreſo a parlare d'uno ſpezial fiſtema di medicina , ed'un altro nel libro della vecchia medicina , e d'un'altro nel libro degli fpiriti, e d'un'altro ultimamen te nel libro della dieta , comechè qucftie'confonda con gli altri ſiſtemi da lui poco ben'inteſi , e ſpezialmente con quello della vecchia medicina ; il quale ultimo ad alcuno ſembra , che intorno a tal materia .e ' compoſto aveſſe ; e viene ſcioccamente da molti creduto non già ď Ippocrate , ma di Democrito ; ma certamente fuor d'ogni ragione ; perciocchè in altra più nobile , e più ſottil ma niera quel ſublime filoſofante compoſto l'avrebbe . Ma che che di ciò ſia,per tornare a quelchereſtè dicevamo, pié d'incertezze , e tcmpellante : Ippocrate , par che talvolta alla ſperienza , ed alla ragione il tutto raſſegni; ed altre yolte ſembra, ch'egli alla ſperienza ſolamente s'attenga ; e da ciò moſſi negli antichitempi alcuni , come narra Ga ļieno , ed alcuni altri della noſtra età, infra'quali è il Mon tano , preſero cagionedi piatire, fe Ippocrate in medicina da parte empirica , o da parte razionalc veramente tenuto ha Del Sig. Lionardo di Capoa 25.5 ! + haveſſe ; ma non poteva certamente egli,comechènon foſe ſe di molto grande intendimento fornito, nel maneggiar tutto dila medicina non avvederſi della poca fermezza e della molta dubbierà di quella . Ma per altro poi, quan to Ippocratemancaffe di quell'intendimento , che a gran filoſofante , emedico , qual vien' egli comunemente te nuto appartienfi:ſcorger fi può chiaramente in tutte le ſue opere, e particolarmente nel libro della vecchia medicina; nel quale avendo egli avviſato eſſer da filoſofare in medi cina in quella guiſa appunto , che cgli quivi ſecondo i fen timenti de'più antichimaeſtri diviſa, da chiunque al vero, e perfetto conoſciinento di quella aggiugnere intenda:ed oltre a ciò , che la medicina non foſſe ella ancor tutta a ' ſuoi tempi ritrovata , ma unamenoma ſola parte di quel la, e che molto ancor ne reſtaffe per innanzi a ſcoprire; egli nondimeno, ne molto , ne poco vi s'affutico ; anzi andò dietro ad altri, ed altri ſiſtemi di medicina a guiſa di cieco , che séza guida alcuna vada caſtoni, ed attenědoſi a ciò che , incontra , or per una , or per altra ſtradì errando , ſenza mai venire a capo del ſuo cammino;la qual verità ben vé ne dului me.Iclimo conoſciuta , e finceramente paleſata nella piſtola ( ſe alori ſecondo i ſuoi ſentimenti in nom :) fuo , pur non la finale ) che egli ſcrive a Deinocrito ; over apertimente dice ſeno eſſere ancora pervenuto a quel le gno nell'arte , che diviſato ſi aveva , avvegnachè negli an ni molto , e molto avanzato, e nell'uſo del inedicare con tinuanente logorato fi foſſe . Map far pienamérc vedere,e toccar co muni quáto po co in filoſofia avázato fi foſſe Ippocrate, egli ſi convégono ad uno ad uno elaininarle fondamenta de'varj ſuoi, e co tanto infra loro diſcordanci ſiſtemi di medicina ; coinechè ciò per avventura ſoverchio giudicar ſi potrebbe; percioc chè tali , e tante ſono le dippocaggini di lui , e le ſcioco chezze de'ſuoi ſentimenti , che tolto per qualunque mez zano intendimento ſenza troppa firtica avviſar li potreb bono ; il che egli ancor conoſcendo , e reſtandovi alla fine inviluppato , e contuſo , in njun di quelli riſtr fermame te ſi > 256 Ragionamento Quarto te fi volle , dottando, e tempellando ſempremai di ciaſcu no. E conciofoſſe coſa, che del Giſtema della vecchia me dicina altrove baſtevolmente detto ſia', cominceremo al preſenteda quello , che nel libro della dieta con lungo , e magnifico apparecchiamento di parole egli neporge. Pri mieramente in quel libro e'nedice ſecondo il ſentimento , ch'egli altrove rifiutato avea dique'valent'huomini da lui contro ogni ragionechiamati ſofiſti, che chiunque a ſcri ver imprenda della dieta all'huom pertinente , egli con venga in primain prima aver piena ,e perfetta contezza della natura dell'huomo, e di qualiprincipj egli da prima compoſto foſſe : e oltre a ciò ſpiar minutamente , e com prendere quali di que'principj in lui maggiormente s'avã taggino . Sentimento quanto ſaldo , evero , e che non ha di pruova alcunabiſogno , altrettanto volgare , e agevole a penſare; perchè eglimoſtra ,che Ippocrate non abbia per quello , ſe pure è ſuo , cotanto merito appo i medici dovuto acquiſtare ; non peròdi meno lo ſcaltrito temen do negato non gli foſſe sì bel diviſaméto ,ne vuol far pruo va , ſo giugnendo , che ciò non fi ſappiendo , mal ſi po trebbe cibo ,che profittevole abbia ad eſſere , ad huom ’ ragionevolmente diviſare. Indi foggiugne convenire an cora aʼmedici la compleſſion di tutti cibi , e vivande, che noi uſiano eſſer conoſciuta ;e ſopra ciò con lunga,ed inutil diceria grā pezza cgli di provar s’affatica,comcchè di pruo va niuna ciò abbia punto biſogno.E quindi il ſuo ragiona mento cominciando intorno a principj delle coſe della natura , in sì fatta gniſa ne parla. Così l'huomo, come tutt'altri animali di due principj so compoſti, i quali comechè diverſi ficno quanto alle lor facultà , all'uſo nondimeno ſon concordevoli , e acconci; ciò ſono l'acqua , e'l fuoco ; i quali amendue non meno a tutt'altre coſe , che l'uno all'altro ſcambicvolmente ba fano ; ina ciaſcuno per fe a ſe inedefimo , ne ad altra coſa del mondo non baſta ; e la virtù , e la forza di ciaſcun di effi è tale cheper lo fuocoli muove ciaſcuna coſa qualun qne clia lia , c in qualunque luogo dimori : e per l'acqua Con DelSig.Lionardo di Capoa 257 convenevolmente ella ſi nutrica , e creſce . Ma in conti nui piati, e battaglie elliftando ſempremai fi contraſta no , e ſi vincono ; non però sì fattamente , ch'alcun d'eſli cotanto abbattuto , eſpoſſato ne rimanga , che niente più di vigore,o di forza non gli avanzi; perciocchè ove il fuo co preſſo all'eſtremo dell'acqua ſtrabocchevolmēte è per venuto , toſto il debito nutrimento gli manca; perchè egli volgeli colà , ove nutricar ſi poſſa ; e l'acqua d'altra parte quando all'eſtremità del fuoco è aggiunta riman priva di inovimento , e nulla vale ; perchè vien toſto dallo ſcorre te fuoco in nutrimento cambiata . E imperciò nel conti nuo lor tempellaméto niun di loro sì pienamente può ſo verchiar l'altro , che affatto l'uccida ; ma amendue vengo no in sì fatta guiſa ſcambievolmente a ſoſtenerſi, che egli no ſolamente baſtevoli ad ogni coſa rieſcono per doverla in qualunque modo comporre. Orchi domine cotáto ſarà di cieca paſſionc ingombro , che non iſcorga pienamente quanto vani , e ridevoli ſieno i diviſamenti d'Ippocrate intorno a ' ſuoi principj . Vn ſol principio , dice egli ,non baſta ; ma baſterà egli , che sì il dica ? anzi vi ſarà chi vi replichi , uno eſſer ſufficientiſfi mo , ove le parti, che il compongono di diverfa figura fie no, e diverſamente fieno allogato , e infra loro compoſte, e ſi muovano : perchè poidi yarie facce le coſe tutte del mondo compor debbano ; ſenzachè ſe principj delle coſe vuole egli , che ſieno il fuoco , e l'acqua, perchè egli non ne ſpiega lor natura ? ne baſta in ciò ſolamente dire eller il fuoco valevole a dare il movimento ; perciocchè ben do veva egli più avanti ragionando ſpiar la cagione del movi mento delfuoco , e ricercarminutamente diche egliſia compoſto , e chedifferente il faccia dall'acqua : e queſte coſe ritrovate riporle poi per principj delle coſe , come quelle , onde tuce'altre vengono ingenerate: e non già il fuoco , e l'acqua , che non ſon primieri nell'ingenerare . Ma mentre egli con l'uſata ſua traſcuraggine di ciò niuna briga ſi prende , certamente dall'acqua , e dal fuoco in quella guiſa , ch'e' ne favella , nc huomo, ne altro animal K k niu i 258 Ragionamento Quarto 1 niuno coinpiuto , ne coſa altra delinondo non ſe ne potrå comporre giammai ; econtraſtino pure , e ſi meſcolino quanto ſi vogliano l'acqua , e'l fuoco tra cſſo loro , che poche coſe infra lor diverſe riuſcir ne dovranno : licorne di due lole lettere dell’Abici non poſſono per rimeſcola mento comporſi , fuor ſolamente , che due fillabe : conie da A , ed L : di cui altro , che LA , ed AL non può for marfi. Macome potran mai riſtrignerſi cotanto , eammaſlarla le particelle dell'acqua , che formar ſe ne poſſano , ecar ne , e oſſa , e nervi, e cotant'altre fulde , e dure parti d'a nimali , e d'altre coſe del inondo ? Ne ciò può adoperarli punto dal fuoco ; perciocchè egli nell'acqua altro far non può, che le particelle diquella col ſuo movimento , che chiaman dilatante , ſempre partire , e ſceverare , licome noicontinuo incontrar veggiamo : perchè l'acqua vie più liquida , c diſcorrente , e rada ne diviene , non che s'am maſſi, e fi riſtrigna in coſe falde , e dure . E alla fine ell2 dal fuoco cotanto menoma , e faccil diventa , che ſe non , d'aria , d'un corpo all'aria ſomigliante , certamente ella prende forma ; ſenzachè l'acquanon può per troppo ſpa zio di tempo ritencre il fuoco , e convien ſe calda ſi vuol mantenere, che continuo altronde quello le venga ſom miniſtrato . Ma che'l fuoco ,come s'avviſa Ippocrate , dall' acqua nutrito fia , e perchè l'un l'altro vincer non poſla , ſciocco troppo lo mi terrei , ſe perder tempo lo voleli in rifiutarlo . Vuole oltre a ciò Ippocrate , che l'acqua fia fredda, ed umida,e'l fuoco caldo, c ſecco : e che'l fuoco riceva dall'ac qua l'umidità , e l'acqua vicendevolmente dal fuocolas ſecchezzaze che così eglino l'un nell'altro adoperando,le tante , e tanto varie forme, e generazioni di ſemi, eda nimali vengano a produrre : e cotanto diverſe infra loro , che ne quanto all'apparenza , ne quanto alla lor virtù hā nulla di ſomigliante ; perciocchè non iſtando giámai l'ac qua , e'l fuoco nello ſtato medeſimo : e ſempreinai cam biandoli , e diſcorrendo , forza è , che le coſe , che da lor 1 : fife Del Sig.Lionardodi Capoa. 259 fi ſeparano , eli producono ,diſſimiglianti oltremodo rie ? fciano . E certamente , com'e' diviſa, niuna coſa del mon do non muore , nc ſi fa quel che in prima non erazma me ſcolate inſieme, e partite ſi cambiano le coſe : come chè giudichi alcuno , che da Pluto per accreſcimento tratto venga alla luce, e ſi crii : e altro incontrario ,che dal la luce per iſcemamento a Pluto giunto ſi diſtruggage dice poi,che nó ha dubbio veruno , che fia più toſto da preſtar fede agli occhi , ch’alle opinioni , o pareri degli huomini. Reca eglipoi di ciò la pruova , dicendo animali ef ſer queſtie, quelli , e non eſſer miga poſſibile, ch'uno ani mal ſi conſumi , non con tutti : conciolliecoſachè chi po tri mai diſtruggerlo ? ne può ingenerarli giammai quel che non è , non avendovicofa alcuna ,che non ſia , onde poſſa ingenerarſi;mabé s'accreſcono tutte coſe,e li meno mano a soma grādezza,e picciolezza in quanto egli ſi può: e quinci s'ingenera, e muore alcuna coſa. Indi egli ſpiega in grazia del Vulgo , che lo ingenerarſi, e'l corróperli del le coſe altro non ſia , che'l meſcolamento , e lo ſcevera mento . Ma più avanti facendoſi dice , che lo ingenerarſi, e'lcorromperli la medeſima coſa ſieno : e'l medeſimo pa rimente il meſcolamento , e lo ſceveramento : e che lo i13 generarſi altro che il mefcolamento non fia : el corrom perſi , e'l menomare altro non fit , che lo fceveramento : e che ciaſcınıa coſa ſia la medeſima , che l'altra : e tutte lien uno ; e in queſte sì fatte coſedice egli l'uſanza eſſer con traria alla natura ; ma ſpartamente ciaſcuna cofa , o ſia di vina , o umana ,ſufo , e giuſo vicendevolmente, giorno, e notte , più , o meno traſcorrere. Indi fiegue egli a di se il fuoco, e l'acqua hanno avvicinamento ; il Sole l'hà lunghiſſimo , e breviſſimo ; di nuovo queſti , e noi qucfti ; la luce a Giove , le tenebre a Pluto : la lu ce a Pluto , e le tenebre a Giove avvicinanſi, ecam ' bianſi quelle quà, e quelte là;d'ogni tempo paffano quello coſe di queſte,e queſte di quelle ; ne fi lanno quel che el leno medeſime fi facciano , comeche faccian veduta di fa . perlo :ne ciò , che veggono,conoſcono , ma in tutto ciò Kk 2 ogni 260 Ragionamento Quarto 1 . ogni coſa loro per divina neceſſità avviene, così in quel le coſe , che vogliono , comein quelle , che non voglio no , perciocchè accozzandoſi , e partendofi quelle quà,e queſte là , fra eſſo loro avviluppate , e confuſe , ciaſcuna il preſcritto fato adempie. Or chi ſarà così da paſſione accięcato , e imbard.ato , che manifeftamente non ravviſi in ciò , che rapportato nº abbiamo , effer egli una ſtrania cervelliera , e poco men , che ſpiritata colui, che ſognandolo lo ſcriſſe Ė non fico prende chiaro in cotanti aggiramenti, ed arzigogoli, che Ippocrate parla aſſai di ciò ,che meno intende ? e che nő ſolo coll'oſcurità delle parole vuol naſcădere la ſua dap pocaggine , e ignoranza ; ma anche farne cotanti Calan drini :e tenendo lo ſciocco vulgo in parole , il qual fem premai coſtuma di pregiare aſſai più ciò che non gli èma nifeſto , darne conmaraviglia a divedere ch'egli delle co ſe della natura oltremodo conoſciuto ſia . Egli è ben ve ro, che molti anche di coloro, i quali letterati ſtimanſi,há creduto , o moſtrato di credere , che in queſti riboboli , cd enimmi d'Ippocrate , e in altri ancora, che largamen te ſon ſeminati entro i libri tutti della dicta, e in quel del la vecchia medicina , edell'alimento , ch'egli tutti i più naſcoſi , e pregiati miſteri della medicina , e della filoſo fia abbia deſcritti; e non ha guari che'l Tacchenio nel ſuo Ippocrate chimico ſi è ſtudiato con queſto libro di darne a divedere eſſere ſtato Ippocrate un valentiſſimo chimi co . Ma ritornando a ciò , che diciavamo, lo m'avviſo , che Ippocrate ciò trovaſſe ſcritto in qualche libro d'alcú di quelli antichi filoſofi, i quali ſolevano cosi vezzatamé te favellare :e che poco cgli incédédoiſentiméti di coloro, così ſconcj, e guaſti l'abbia portati , in quella guiſa,che fileggono ; e tanto più , chemoſtra ,ch'egli confonda in ſieme, e meſcoli due ſiſtemi di medicina, e di filoſofia fra ello loro contrarj ; da che egli dopo aver portati que? due primieri principj delle coſe, avvedutofi forſe, che non baſtavano , parla poi non altrimenti , che ſtabilito aveſſe in prima , che ciaſcuna coſa in ciafcuna coſa ſia , nel . Del Sig.Lionardodi Capoa. 201 nella maniera appunto, che ſi accennò nella cenſura del libro della vecchia medicina; perciocchè e' dice, che nul la ci s'ingenera di nuovo , ma sì ſi meſcolano inſieme le parti, e compongono le coſe,e lefan grandi,ne alcuna co fa li muore al poſtutto , mà ſparpagliandoſi, e dividendo ſi vien meno . Coſa, la quale non può intenderſi in verű modo di ciò , ch'aveva egli in prima detto ; perciocchè ſe l'acqua , e'l fuoco i principj ſono dell'huomo , meſcolan doſi queſti , e accozzandoli a formar l'huomo, non ſe ne potrà certamente altro naſcondere , che l'acqua , e'l fuo co medeſimo,prendendo ſembianza delle parti dell’huo mo , com'e' dice ; ma non già le parti dell'huomo, ciò ſo no carne , offa , nervi, e altri membri di quello, eſſendo ci in prima , comechè appiattate , e naſcoſe , nel meſcola mento dell'acqua , e del fuoco ci ſi laſcino poi di preſen te vedere ; ne partendoſi poi l'acqua dal fuoco, e guaſtā doſi il lavorio dell'huomo non diverrà ne la carne ,ne l'ol fo così menoma , e tritolata , che non ſi parrà ; ma tutta la carne , e tutto l'oſſo diverrà acqua , e fuoco : e queſti che in prima non apparivano , manifeitamente nelloro .ſcioglimento poi ſi vedranno . Si pare adunque,ch'e ' vo glia dire eſſer nell'acqua le particelle , chc chiaman ſimi lari, ma così menome, e ſottili, che non ſi poſſan per huom ravviſare : le quali poi rannodate, o ſciolte dal fuo co , compongano, e guaſtino le coſe . Ma ſe pur queſto cgli volle intendere , comepotrà mai il fuoco le particel le dell'acqua colla ſua forza annodare, ſe il movimento è dilatativo, come dicono , e ſempremai ſcioglie, e parte ? Convenivaadunque , che Ippocrate altre, ed altre ragio ni ne recaſſe , le quali ciò poteſſer operare . Ma concedaſi ciò pure a lui : non perciò l'acqua,c’lfuoco , ma le par ticelle ſimilari ſarebbon da dir principi delle coſe. Ma cadendogli dalla memoria ciò ,che poco anzi egli detto aveva, ricorre di nuovo all'acqua , eal fuoco : e in favellando dell'anima dell'huomo,non mçno ſciocco ,che empio , e miſcredentc,dice quella ancora, come tutt'altre coſe , eſfer d'acqua , e difuoco compoſta . E tante, e tali ſono 262 Ragionamento Quarto 1 4 ſono le ſue ſcempiezze, e mellonaggini neʼlibri della die ta , che lungo ſarebbe ad una ad una narrarle . Ma trapaſſando all'altre ſueopere , contende il Vale riola , e con luianche ſi conforma il Cardano , non eſſer d'Ippocrate illibro intitolato mei quoär , overo degli ſpia riti groiſi, o vizioſi : peralcuneſciocche , e falſe dottri ne , che in quello s'avviſano , e altre ancora contrarie a quelle , che in altri ſuoi volumi egli divisò , Ma fe tale oppofizione aveſſe luogo , converrebbe certamente con dannar come non ſue l'opere tutte , che ſotto il fuo nome fi leggono ; perchè è da dire , che poco ragionevolmente aveſſe perciò cotal libro ilValeriola colto a lppocrate;ma Galieno , comeche in quel libro vi ſien diviſamenti poco a' ſuoi pareri conformi, non però di meno riconoſcendo lo egli d'Ippocrate , il reca ſovente in concio di qualche ſuo ſentimento . Sembra certamente il libro miglior per avventura di tutt'altri,chc intorno a ſomigliante materia aveſſe mai compoſto l'autore ; imperciocchè ha egli ordi ne , e qualche forte di chiarezza : e moſtra fovente , che l'autore intenda bene ciò, che ſi dica . Vuole egli in eſſo darne a divedere , che tutti mali , che n'avvenge:10 , da una ſola cagione ſi dirivino ; comeche per li diverſi luo ghidelcorpo , ove n'aggravano, diſſomiglianti affai ne ſembrino . Tutti corpi , eglidice , così dell'Iruomo,come d'altri animali,del cibo ,dello fpirito , edel bere ſi loſten tano . Gli ſpiriti, che ſono entro il corpo , vengono da Ippocrate chiamati quoca: e quello, che è fuora del cor po aveõua cioè : a dire , aria . L'aria fecondo Ippocrate ha grandiſſima parte fra le coſe , che accaſcano alcorpo : ed è donna , e lignora del tutto . Indi egli lungamente fopra quella ragionando , dice delle fue gran virtù , ed opere , Itabilendo in prima qualche ſentenza ; la quale preſe 2 gabbo dal Valeriola n'è moſtra a' di noſtri per ve re dalle maravigliore , c fommamente comincndevoli of fervazioni de’noftri moderni . Dice egli , che tutto ciò she fra’l Cielo , ela terra s'interponeſia , da ſpirito ingôn bro : e che lo ſpirito cagioni il verno , e la ſtate : e che'l cor DelSig. Lionardo di Capoa 263 1 corſo della Luna , e delle Stelle per lo īpirito facciali : e che lo ſpirito alimenti ilfuoco , intanto che ſenza quello non poſſa il fuoco più vivere : c che l'aria ſottil perpe tua purimente perpetuo mantenga il corſo del Sole . E oltre a ciò avviſa Ippocrate ritrovarſi achcin mare lo ſpio rico ; perciocchè ſe quelnon vi foſſe , dice egli , che i pe ſci non potrebbono in niun modo vivere ; concioſliecola chè non participerebbono dello ſpirito dell'acqua traen dolo . Aggiugne di vantaggio effer la terra fondamento dell'aria,c queſta veicolo della terra: ne aver coſa niuna al mondo vuota di quella : e quella ſolamente eſſer cagione a noi della vita , e diciaſcuna malattia , che n'avviene ; intanto che avendone meno infra bricve ſpazio di tempo ciaſcun ſi muore ; perciocchè ben può ciaſcuno ſenza ci bo , o beveraggio alcuno viver qualche giorno: ma non già ſenza ſpirito ; e ben poſſiamo poſando ceſar di tutte noſtre operazioni , comechè menome, e brievi elle ſieno; ma non già del reſpirarc . E quinci egli vuol trar conſe guenza , eſſer molto ragionevole, che ficome la morte , così anche le malattie tutte dallo ſpirito n'avvengano , e che quello calor compreſo , e putrefatto da altre cagioni diſcorrendone per lo corpo n'offenda . Quindi egli co minciando dalle febbri và diviſando , ficome ciaſcun ma le dallo ſpirito ſi formi : e tutti minutamente gli anno vera . Ma un sì fatto liſteina , perchè ingegnoſo fia , e conte gna in se qualche coſa di ragionevole, non però di meno , generalmente ragionando , falſo affatto , e inveriſimiles eſſer fi ſcorge; concioſliecoſachè quantunque grande fia il biſogno , chedell'aria abbiamo, non è perciò quel a ſo la , che ne mantiene , e ne nutrica : ma l'acqua ancora al noſtro vivere è neceſſaria , e altre molte coſe , così den tro , come fuora del corpo ; le quali , o mancando , oſo verchiando , o alterandoſi, non men dell'aria medeſima cſfer poſſono a noi cagion di malattie . Nemeno al preſente è da tacere , come cotal ſiſtema di medicina s'appoggi a'divilainenti , i quali non cheda Ippo 264 Ragionamento Quarto Ippocrate foſſer provati , anzi dalvero talora manifeſta mente appajon lontani . E comechèalcuni di loro ne sém brino aver qualche ſembianza divero ; non però di meno fon da lui con parole non propie , e ambigue a bello ſtu dio inviluppati , e adombrati ; acciocchè aggiugnendo noi con malagevolezza, e fatica a ritrovarne il coltrutto , da quelli poi prendeſimo argomento di giudicar talijan zi maggiori gli altri ſuoi ſentimenti ſciocchi, e vani , com poſtida lui per uccellarne maggiormente . Ma ſe lo ſpirito,ſecondochèIppocrate così liberamen te afferma , è colui , che ſignoreggia , e governa ciaſcuna coſa del mondo , e che la vita , e la morte ne porge : per chènon iſpiega egli poi , ficome certamente fargli con veniva , come, e con quali artificj tante maraviglie quel lo adoperi ? e perchènon ragiona della natura di quello , e diquell'altre ſoſtanze , che , come e' dice , imbrattan dolo, e inſuccidandolo cotanto a noinocevole , e peſti lenzioſo il rendono ? E per avventura gran ſenno egli fe a non addoſſarſi cotanta briga; perchè è da dire , che ciò egli non ſappiendo, non potrà certamente mai la natura , e la generazion delle malattie per sì fatta ſtrada incoglie re ; e ſeguentemente gli argomenti ancora , come a quel le da proveder ſia non ſaprà. E quinci avvien poi , che ne men di que’mali, cheper compreſſion dell'aria vera mente n'avvengono, no mai egli coſa alcuna di ſaldo rap porta; perciocchè non ſappiendo egli la natura dique'cor picciuoli,da cui compreſso lo ſpirito quella generazion di febbre cagiona , la quale , com'eglidice, è tutta comune, e appellati peſte : ſenza dubbio non giugnerà egli giam mai a penetrare gli effetti tutti , che da quelle diverſame te provengono, e le varie maniere , colle quali ciaſcuno animale offendono. E ſe egli non cura d'inveſtigare altre si quali ſoſtanze ſieno quelle, che s'accompagnano collo ſpirito allor che racchiuſo entro noi ne muove la colica ,o altri ſomiglianti mali , come ne potrà egli mai compiuta mente ragionare : o donde trarrà egli gli argomenti da porvi ragionevol conſiglio ? Ma 1 Del Sig. Lionardo diCapoa 205 Ma ſe le ſoſtanze , che collo ſpirito -meſcolanſi , ſon ca gion di cotante malattie , come potralli eglia buona ragić dire , che lo ſpirito medeſimo, enon più toſto quelle ciò adoperino ? perchè è da dire , che ſtabilendo Ippocrate it ſuo ſiſtemà, alla prima v'abbia dato di becco , e vi ſia infe liceinente fdrucciolato , dicendo eſſer l'aria cagion del. le noſtre malattie , e non più toſto le varie , e diverſe for ſtanze , che per quella diſcorrono , e collaria inſieme en trano ne'noſtri corpi: quali ſono molti ſemi, e animaletti, chę ſovente fi ravviſano , così nelſangue , come nell'altre parti liquidedi noie, le rendono mal'acconcc ad adem piere i loro uficj: e fermandoſi talora o nel cuore , o nell? altre parti ſalde del noſtro corpo in molte, e molte manie re le moleſtano ; ſenzachè ſon nell'aria varie , e varieme nomiſſime altre ſuſtáze da'vegetali, e da’ıninerali corpia quella mandate : alcune delle quali, quando di ſoverchio vi diſcorrono , fannofi anoi per opera dell'odorato ſentirez e l'avvedutiſſimo Elmonte intorno a ciò narra chente , es quali ritrovate egli n'aveſſe una volta in una tela ſtata al quanto appiccata al merlo d'un'alta torre ; perchè egli for: te fi maraviglia,come noi che continuo le beviamo, lunga mente viver poſſiamo ſenza nocimento alcuno; ma non aya visò egli eſſer ancora nell'aria molte , e molt'altre ſoſtanze a noi giovevoli,le quali certamentepoſſona'dannidi quel le riparare . Ora in queſte,e in ſomigliati oſſervazioni cõveniva, che il buono Ippocrare tutto il ſuo ſtudio impiegafle,ricercan do diligentemente le vere cagioni della peſtilenza, accioc che prender vi dovelle convenevol riparo : e non fare il pancacciere con lunghe dicerie , e vane , e inutili fraſche tenendone a bada in quel ſuo fainoſiſſimo libretto,ove egli lungamente ragiona degli ſpiriti. Ma lalciãdo alpreséte ciò da parte ſtare,quáto Ippocra te manchevole, e difettoſo ſia ſtato in queſto ſuo nuovo ſi ſtema di medicina, ſi può agevolmente conoſcerc in ciò , che cgli della febbre và diviſando . Dice egli, che allor che diſoverchio empieli il corpo di cibi, ingencranfi in 1. 1 130i 266 :: Ragionamento Quarto noi grandi ventolit , le quali non potendoper lo ventre di ſotto uſcire per ritrovarlo chiuſo , ruggiando per ic bu della diſcorrono all'altre parti del corpo , maſlimamente a quelle, ove ſerbaſi il langue , e sì l'infreddano , e'l fanno intriſire . Or come domine potrà mai dentro de' ſuoi vaſi infreddare il săgue plo ſpirito che è nelle viſcere ? ma egli ingannofi forſe Ippocrate avviſando il ſanguc tratto dalle . vene, il qual per l'aria di fuora divicn freddo . Ma che che ſia di ciò, davcva ben egliconſiderare non potcrne in mo do alcuno raffreddare il ſangue dentro alle vene l'aria , in che di verno crudo , e rabbruzzata dalle nevi , comeche continuo ne circondi, e continuo da noi fi reſpiri. Erra ancora grandemente Ippocrate in dicendo , che'l ſangue dall'orrore , e dal treinore fopravegnenté intimo rito ſi rifugga alle parti più calde del corpo : ove poi ſi ri ſcaldi, e ſiraccenda per maniera tale, che anche l'aria me delima, che prima infreddato l'aveva,nc divenga calda; e sì amendue ftraboccheyolmente affocati riſcaldino cutto il corpo, e'l faccia febbricoſo . E certaméte in ciò egli ragio nando, molto ſconciamente s'ingāna;perciocchè,le, come egli confeffa , il caldo tutto al corpo dal fangue fi cagio. na,come potrà mai infreddato il ſangue niuna parte del corpo rimaner calda ; anzi treinerà egli per tutto, e diver rà ghiaccio , come cantò l'antichiſſimo fiorentin Poeta. Qual'è colui, c'ha sì preſſo il riprezzo De la quartana , c'ba già l'unghiaſmarte, E triema tutto purguardando il rezzo . Ma, ſicome egli s'avviſa , rimangano pur calde l'altre parti del corpo , nedall'infreddardel ſangue fi mortifichi no ; non mai tanto però faran vive , e affocate , che vale voli ſiano a raccender l'agghiacciato ſangue, e ſvegliare in quello un sì rabbioſocalore,qual ſenza fallo è quel del la febbre . Ma troppo nojolo lo nc verrei , ſe tutti minutamente raccontar voleſſi gli errori d'Ippocrate intorno a sì fatto ſia ſtema ; perchè rimanendomi al preſente di più ragionarne trapaſſerò a quell'altro ſuo ſiſtema di medicina cotanto ICITU 1 1 1 Del Sig. Lionardodi Capo a. 287 eenuto in pregio , e commendaco dal luo chiòfator Galie no , che nulla più : di cui cotanti filoſofi, e medici in ragioz nando , e in iſcrivendo ſi ſon valuti , e tuttavia li vaglionoj che ſembra omai ſconvenevoliſſimo , e indicibil fallo il mu* farvi contro , non che manifeſtamente abburattarlo . E queſto ſi è il diviſamento , ch'e'fa nel libro della natura umana ; il qual libro non può recarſi ir dubbio,che-d'Ip pocrate verainente non ſia , in ciò che , come faggiamente avviſa , e argomenta Gilieno della teſtinonianza di quel lo ſerviſſi più volte Platonc ; e ben può per quello chiun que n’abbia talento agevolmentecomprendere ,fin’a quá to d'Ippocrate ſi ſtendeſſe l'intendimenco , ela valoria, co sì nell'inveſtigar le coſe della natura, come in altre, ed ala tre coſe alla medicina pertinenti ; e coincchè per Galien ſi contenda eſſere ſtato verannénre Ippocrate il pri:11 ) ittle tore , e inventore d'un sì fatto ſiſtemi; noa però dimeno per teſtimonianza delmedeſimo Ippocratc apertimento ciò eſſer fa ſo s'avviſa ; concioſliecoſachè rapportandolo egli nel libro della vecchia medicina manifeſtamente na ragiona , come di dottrina da altri già prima di lui ricrova ta , einſegnata;anzi nel medeſimo libro della natura un la 112 agevolmente per ciaſcun ſi può comprendere , che Ip pocratc,non come di ſuo propio diviſamento ne ragionin . Miche che fadi ciò tralaſciandolo digiudicar noi al pre ſente , darem cominciamento dal titolo dellibro così an pio , e inagnifico , che nulla più ; e certamente cilcuno abbattédoſi nella prima faccia nel libro deci puoi cvJpurs, ſcaglierebbeſi tolto a leggerlo, e a volerne imprender con ingordigia tutto ciò , ch'e defidera : giudicando , ch'un si valentemedico , e filosofantc, qual Ippocrate comuneiné te ſtimaſi , verainente trattata l'aveſic , licomealla propo fta materia ſi conveniva : cche,comegià Marco Tullio del divino Democrito , il quale nel cominciuniento d’un ſuo libro ſcritto aveir , b.ec loquarde univerſis , ebbe a dire nit excipit de quo non profiteatur , così d'aſpettar foile d'Ippo crate, chenulla già quivi tralaſciato aveſſe di quanto alla natura umana s'appartiene. Ma tolto egli del.no avviſo LI 2 folier 268 Ragionamento Quarto [ chernixo , e beffato rimarrebbeli,vedendo in quante brico vi parole fuggendo Ippocrate traſcorra tolto una così ma lagevole , e così vaſta matcria ; e ciò , che è affatto impor tevole in lui, che cotanto nella brevità dilettoſli , egli è il libro più ricco aſſai di parole , che dicoſe ; anzi di poco falla , che tutto parole egli non ſia : e quelle pochiſſime coſe , che vi ſono , così ſconce, e ſenza ragione ſi portanto , opure con cosi vani,e fanciulleſchi ſofiſmiintralciate, che nulla di ſaldo vi ſi può per huom giammai apprendere. Egli dice primieramente Ippocrate con lungo aggira mento di ciarlc , che alcuni giudicavano eſſer l'huomo ſo lamente una coſa ; ma , che coſtoro tuttimal certainente comprendevan quello , di cui favelſavano, e che perciò di verfâmente l'andavano ſpiegando ; concioſlīccofachè quá tunque ciaſcun di loro concordevolmente diceffe, tutte co ſe , che ci ſono eſſer una , e queſta medeſima effer una a tutte; non però di meno diſcordavā poi oltremodo inſieme in dando a quella nome ; perciocchè altri dicevano eſſer aria , altri fuoco , altri acqua , e altri terra . Soggiugne egli poi , che ciafcun di coſtoro recava teſtimonianze , e ſe gni , ma di niuna lieva, in concio del fuo ſentimento; e che tenendo tutti la medeſima opinione , e contradiandoſi nel le parole , davan manifeſtamente a divedere, che niun di Loro ſapea veramente la coſa ; e che ciò parimente ſi ſcor geva ili vedendo tutti coſtoro nel lor continuo piacire, che tratto tratto facevano , non mai per tre fiare continové riu fcir dalla battaglia i medelimi: maoruno, or altro eſfer il vincitore , ſecondamente che ben parlante egliera , edat popolo tenuto in pregio . Conchiude alla fine Ippocrate , chuom , che di coſe vere, e da ſe ben conoſciute faceſſe pa role , ſempremai dalle conteſe con vittoria uſcirebbe ; o che ſembra a lui , che coſtoro piatiſfer con parole più per iſocmypiczzi , che per altro ; perciocchè tutti alla per fine convenivano infra loro nel ſentimento di Mcliffo . Ma Galicno chiofando queſto luogo d'Ippocrate, con ' gran pompa di parole forte fi maraviglia , una sì fciocca credenza eller caduta nell'aniino di que'filoſofanti, i qua live Del Sig .Lionardodi Capoa: 269 Si venivano in sì fatta guiſa a coglier via la contemplazioni delle coſc naturali, mindando a fondo la vera filoſofia. Ma ftiaſene pur con pace Galieno : non ſembra per Dio , che con sì fatto cominciamento prometter ne voglia Ippocra te un trattato beir lungo della materias ch'egli imprender a ragionare , e quale appunto quella richiede ? mapoinon trapaſſando oltre a divifarne, par che ne vogliamanifeſta mente uccellare , laſciandone affatto digiu ni della mate ria , ne inſegnandone coſa alcuna di lieva . Ma ſi per doni queſto pure a Ippocrate : qual ſi foſſe veramente las ſentenza di que’valent’huoinini, Io nonmidarò al prelen te curz niuna d'inveſtigare ; tanto accennerò , che eglino tutti una medeſima coſa dicevano : e cheniun di loro giu dicava , che o l'acqua , o la terra , o l'arir , o'l fuoco foſſe principio delle coſe dell'Vniverſo :ne di ciò mai fu conteſa infra loro , comeſcioccamente giudicano Ippocrate, e Ga licno ; ma ſolainente eglito piativano, e andavan confide rando di qual faccia veſtiſſe l'univerſo da prima , allor,che fu fatto ilmondo ,ſe d’acqua , o di fuoco , o d'aria , o di terra . Ne laſcerò d'accennare quanto vana', e ridevole fia la ragioneper Ippocrate recata ; concioſſiccofachè chiſa rà colui, che manifeſtamente non ſappia,che nel piatir de? letterati huomini , maſſimamente appreſſo il vulgo , non mai vincer foglia colui ' , che ſa ben la coſa, e che dice vero : ma colui, che meglio con vaghe' , e ben ordinate dicerie Ja fa colorare : eche il più delle volte nelle conreſe ne ha ſempre la miglior parte l'ignorante , e'l ſofiſta ,come ilme deſimo Ippocrate ancor rafferma ? Macome que’valent" huomini porevan mai eſſer d'accordo colla ſentēza di Me liffo , il qualnon diterminò mai il principio delle coſe nx turali , fe eglino , comc Ippocrate racconta , il ditermina vino Ma che che ſia di ciò , Io per me immagino, che te neſſer veramente eglino la ſentenza di Meliſſo , come Ip pocrate dice' ; ma ſe ciò era , a torto certamente da lui fur biaſimati : dicendo egli, che coloro determinato aveſſero il principio delle coſc qualli foſſe , con chiamarlo o arias , o acqua ,o fuoco , o terra ; ſe pure non vogliam dire , che -- Ip 270 Ragionamento Quarta Ippocrate veramente non intendeſſe ciò che que’valent huomini fi diceſfero , it che fe ben li conſidera , il fue vellare , che in tutto il ſuo libro ne fa Ippocrate, ſembra nel vero più ragionevole . Fin qui e' fi pare , cheIppocra te abbia de'filoſofanci ſoli favellato : ora ſe'n viene egli a’ medici , e dice , che alcuni diloro affermavano non alira cola , che ſangue eſſer l'huomo; altri eller quello ſolamen tecollera : ed altri ſolamente flemına ; perchè dice egli che coſtoro imitavaro que’hiloſofi dalui in prima raccon tati , tenendo uno eſſere il principio dell'huomo, e chia mandolo col nome, che più lor veniva a grado, o di colle ra , o diflemma, o di ſangue , e che quello dalcaldo,e dal freddo a cambiar fi venga in ſembiante , ed in virtù , e di venga, e amaro , e dolce , e bianco e nera , cd ogn'altra.com fa . Soggiugne indiappreſſo Ippocrate , che molti, emol ti così dicevano , e che altri , ed altri dicevan parimente coſe da queſto non guari lontane. Or quinci ſi vede chia ramente chenei ,cqualiſi foſféro anche ne tempi d'Ippa crate infraʼmedici le conteſe ; perchèmoſtra veramente , che da ſe ſteffa la medicina altro non ſia , ch'un fertiliffi mo campo , che litigj,piati, e diſcordio ad ogn'ora pro duca . Ma riprova Ippocrate si fatte opinioni con quell'argo mcnto cotanto per Galienu ammirato , e celebrato , che nulla più : ſe una coſa fola , dice egli , l'huomo ſi foſſe non verrebbe certaméte eglimzi a dolerſi:imperchè nó aureb be egli donde venir gli potefíe il dolore , per eſſer ogni coſa una ſola coſa ; e fe pure l'huom mai li doleffe , convera rebbe ſenza fallo , che uno ſi forre il rimedio , coʻl quale egli guarir doveſſe ; ma in farti va altrimenti la biſogna. Micomechè nella prima vista ogn’un ch’abbia punto d' intendimento avveder ſi poſa della vanità di sì fatto argn mento , pure ne farem noi qualche parola'; ma veggiani prima ſe contro coloro , a'quali par propiamente indiriz zato , coſa alcuna egli conchiuda. lo permeavviſo , che que'buoni medici nulla curar fi dovettero mai di sì tutte ciuffole , ed anfanie , imperciocchè eglino tenevano , che 1 1 1 o '! 10 Del Sig.Lionardo di Capoa. 271 o'l fangue, o la collera , o la flemma ſia quelprincipio prof fimo, cioè donde iminediatamente s’ingeneri l'huomo:ma che ciaſcun di eſli venga poicompoſto da quell'altro pri mo principio , del quale l'altre coſe del mondo tutto fatte ſono; e che queſto foſſe ſtato lor ſentimento ſcorger fi puo te chiaramente dalle parole , chc Ippocrate medeſimo di lor riferiſce allor ch'e'dice , che eſi volevano , che o dal ſangue , o dalla collera , o dalla flemma ſi-cagioni l'amaro, e'l dolce , e tutte altre coſe , che nell'huomo li ravviſano ; or comenon può agevolmente l'huomo,tutto che di ſana gue ſolo formato e' li foffe , ayer cagione di dolore dall'a . maro , dal falſo , dall'acetoſo je da altre , e altre coſe, co mechè eſſe dal ſoloſangue ſi foſſero ingenerate ?ora a que. fte tante cagioni de’dolori non fa egli meſtieri, che con più d'uno rimedio li ripari : e ſe in ſentenza di que'valent'huo mini nelle vene altro non è , ſalvo che o ſolo ſangue , o ſo la flemma, o ſola collera : potrannocertamente rondime no nelle vene ſteſſe , o dal fangue ſolo , o pur dalla flem ma ; o dalla collera . , ed oltre a ciò nello ſtomaco da'cibi molte, e molte coſe parimente di diverſa natura ,contrarie ; e moleſte all'huomoingenerarfi , che potranno ſenza fallo elfer cagioni di dolori , e di varie ; e varie generazioni di malattie, le quali certamente con altrettante medicine di fcacciar ſi convengono . Egli doveva adunque provar Ippocrate primicramentes che dal ſolo ſangue , o dalla ſola flemma, o dalla collera , fola,nientealtro ,che o ſangue, o flemma , o collera inge: nerar fi poffa; il chein niun modo fa egli , e ne men fare veramente il potea : concioffiecofachè favellando ſecondo i medeſimi ſentimenti d'Ippocrate aurebbon potuto dire que'medici , il ſangue, la flemma,e la collerà eſſer non ſemplici, ma compoſte coſe di que'quattro corpi , che Ip pocrate vuole , che ſiano i primi principj; e come tali ben poter eglino in varie , e varie forme cambiarſi; ed in vero fe le varie , e varie ſoſtanze onde l'huom ſi nutrica , come dovetter fenza fallo conoſcer que'valent'huomini, non ſo : no di ſangue formate , e d'eſſe nondimeno s'ingenera il să gue r . 272 RagionamentoQuarto gue, convien neceffariamente dire , che varie , e varic coſe che ne meno han ſomiglianza niuna col ſangue , fi pof fan dal ſangue parimente ingenerare ; e cosi ſomigliante mente della collcra , e dellaflemma aurebbon potuto co loro filoſofare , Ma aurebbe poi per avventura riſpoſto un di que'filo ſofi, che Ippocrate s'avviſa parimente colla ſua ragione di riprovare , chel'aria ſola col riſtrignerſi , e coll'allargarſi , e con altri , e altri movimenti delle ſue particelle valevole fi renda a ingenerare , e ſangue , e carne, e oſſa , e nervi, c altre , e altre parti cosìſalde , come diſcorrenti dell'huo mo, e che ſimiglianteméte coʻmedefimi ſuoi vari moviine ti cagionar poſſa mole’altre generazioni di varie altre lo ftanze, onde ricever poi debba l'huomo non una, ma più, e più cagioni di dolori , e di malattie , alle quali faccian , meſtiericotantialtri medicamenti per ſuperarle. Ma cer tamente Meliſso , e gli altri buoni filofofanti, i quali fole lemente ſi fa a credereGalieno ch'abbia Ippocrate vinti, direbbono , che non ſolo veramente uno ſia il principio.di tutte coſe , cioè il corpo : ma che ſe uno il principio non foſſe, non ci ſarebbe ne dolore , ne malattia , ne rimedio alcuno giammai , e che a fare diverſità di inali, e di rime dj altro non vi ſirichiegga, che l'eſſer quell'uno corpo di verſamente ſtritolato , e partito : lecui ſottiliflime particel le di tante, e sì varie figure compoſte, ſolamente in ciò dif feriſcano . Mimaraviglio poi oltremodo di Galieno , il qualnon s'avvede,ciò che impugna Ippocrate eſſer crede za d'Ippocrate medeſimo ; ma ciò che nedee recar vcra mente più maraviglia , ſi è ch ' una tal opinione dallo ſteſ ſo Galieno vien tenuta in tutte le ſue opere, e particolar méte nelle chioſe di queſto medeſimo libro.Ma Ippocrate dopo aver recata la ſúdetta ragione folleméte dice,checo lui ilquale porta opinione , che l'buomo ſia ſolo ſangue , debba mo& rar , che'l ſangue non muti ſpezie, ne ſi cábj in varie , e varie maniere,c allegnare almeno un'ora ſola dell' anno , o qualche età dell' huomo , nella quale non altro che ſangue in eſſo lui fi ravviſi, e ſimilmente dice egli degli altri . Del Sig.Lionardo di Capoa 273 aleri . Ma perdonifi ad Ippocrate il non oſſervar lui l'ordi nato diviſamento nel favellare , avendolo egli ſempremai per coſtume : Io l'addimando in prima , perchè ſecondo lui la collera , il ſangue, e la flemma, e la malinconia nel comporre varie , e varie parti dell'huomo, poterono sì be no cambiar natura : e cambiar non potralla ciaſcuna di lo ro ſeparatamente ? e s'egli riſpondeſſe , che non già col cambiar natura , macol ſolo meſcolamento quelle parti formarono , lo gli ritorno a dire, che non mai col ſolo meſcolamento quattro corpi a far mai valevoli ſaranno tá ta , c tanta varietà dicoſe ; e addurrei per eſemplo , che quattro lettere dell'alfabeto col ſolo meſcolarſi pochiſſi me ſillabe arrivano a formare . Ma ſe que’mcdici diceſſe ro eſser un di que'loro umori compoſto de quattro corpi d'Ippocrate , come potrebbe mai Ippocrate quelli impu gnare ? ciò, che promette poi Ippocrate di fiar vedere, che quelle coſe , delle quali egli compone l'huomo ſi trovino mai ſempre nell'huomo medeſimo : Io per me non ſo , co me ſarà egli ciò mai per moſtrare ? Contende parimento Ippocrate non poterſi farla generazione da un ſolo princi pio; recando perragione , che un ſolo principio non poſsa meſcolarſi . Ma chiaramente ſi dimoſtra ciò che in pri ma lo avviſai, Ippocrate non miga comprenderei veri se timenti di que'filoſofi; concioffiecoſachè un principio , il quale abbia particelle diverſe tra di loro per figura , per grandezza , e per movimento , con meſcolarſi clieno infra loro in varie, e varic guiſe,valevole egli è certaméte ad in gencrar tutte coſe . Per far pruova poi maggiormente della ſua ragione ſog giugne Ippocrate : ſe ne meno il caldo , il freddo ,e l'umi do , e'l ſecco ,fe temperati eglino non ſono ,non baſtano a far la generazione , come aurà mai vigor di farla un ſol principio : Io per me non ſo , che ſorte d'argomentar ſi ſia queſta d'Ippocrate ; doveva certamente egli , il che mai no adempie , provare in prima con efficaci ragioni, che di quclle quattro coſe il tutto s’ingencri ; e poi addurle per elemplo. E nel certo egli non ha dubbio, che a lui avreb M m bon 274 Ragionamento Quarto 1 · bon riſpoſto quei filoſofi , che clleno , comeche ten perate ſi fingano , non poſsano in niun modo ciò fare, un principio ſolo a tanto bene valevol' eſsere : ficomenes terra ,ne acqua,ne pietra, ne aria, ne altre, e altre coſe mol te poſsono formare una ſpada, un'elmo,una corazza , e tanti , e tanti iſtrumenti da guerra, che'l ſolo ferro può fa re : imperocchè il ferro ſolo è quello, il quale ricever puo te le diſpoſizioni neceſsarie a formargli, non altrimenti il corpo , il quale in particelle , o ſia già diviſo , o divider ſi poſsa , le quali ricever poſsano parimente varie , e varie grandezze , fito ,figure , eordine, può ogni coſa produrre , ne que quattro corpi d'Ippocratenel modo, che egli va filoſofando , potranno mai ne anco un menomiſlimo gra nello di ſenape giammai ingcnerare . Ma non altrimenti , che s'egliavuta già aveſse la vitto ria , faccendo gran gallorìa trionfa il buono Ippocrate di quegli antichi maeſtri, e dando a lor la ſentenzia finale co tro , determina temerariamente la quiſtione con dire , che eſſendo la natura dell'huomo , e dell'altre coſe chente , e quale egli ha diviſato , non uno ſia l'huomo: ma che ogn' una delle coſe , che lo ingenerano abbia una cal virtù, che al corpo ella ha dato . Magodaſi pure Ippocrate della ſua vittoria , e ne riceva l'applauſo da Galieno , il quale non per altro certamente fa ſembiante di farne cotanta ſtima , ſe non ſe per acquiſtar fede alle ſue opinioni ; qual coſtu maegli parimente negli altri autori tener ſempremai ſcor geſi , delle teſtimonianze de'quali ſe mai egli a ſuo pro fi vale commendagli , che nulla più ; ma ove poi cofa inſe gnino alle ſue opinioni contraria , non ha villania , che ſi diceſſe mai a triſto huomo , che lornon dica . Ma ripi gliando il noſtro diſcorſo , vuol egli intendere certamente per le teſtè menzionate parole, che que' quattro ſuoi corpi ritengano il calore , la fredezza , la ſiccità , e l'umidità nel corpo per loro ingenerato . Ma cotante altre , che nell’ huomo ravviſanſı donde cglino naſcono ? Dirà egli dall' accénate quattro qualità;ma ſe altri ciò negaſſe,come glie le neghiamo noi , come il proverebbe mai? Ma così ſcon ciaméte diſcorre Ippocrate p no aver voluto mai volger 1 . ſiad Del Sig.Lionardo di Capoa. 275 fi ad inveſtigar la natura di quelle ſue quattro qualità ; il che certamente al filoſofo, e al medico far ſi conviene,mal. Gimamente ove imprenda a trattare della natura dell'huo mo : e dall'aver ciò traſandato Ippocrate , avvien , ch'egli forte aggirandoſi immagini potere il leggiero , e diſcorré te caldo quelle coſe operare ,che a ſpiritual ſoſtanza ſola mente convengono. Ma laſciam noi a miglior huopo il diviſar di ſomigliante biſogna: ſoggiugne appreſſo Ippo cratc con lungo giro d'ozioſe ciance , che in diſtruggendo fi l'umancompoſto , tutti e quattro i già detti corpi ſce verandoſi, alla lor primiera natura ritornino ; e ciò vuoľ anch'egli,chenel disfacimento di qualunque altra coſawa avvegna . Ma le egli ficomea caſo , in fretta , e ſenza niu no avviſo ſomiglianti coſe afferma, così foſſe andato a poco a poco con ſagace diſcernimento diſaminandole , lo porto opinione, che in cotanti errori non ſi ſarebbe lalciaa to così agevolmente traſcorrere; perciocchè oltre alla Chi mica arte,altro ancora ne rende ſicuri , che quelle ſoſtanze in cui nel lor disfacimento ſi riſolvono i corpi,ſiano non , miga ſemplici, ficomee'vuole , ma compoſte. Paffa più oltre Ippocrate coll'impreſo ordine a dir, che nel corpo umano viſia il Sangue , la Flemma, la Collera gialla, enera,iquali umori ove ſiano con quell'ordinamen to , che ſi convenga, l’huom viva in ſanità :mafe'l contrario avvenga e' toſto ammali . S'affatica egli con lunghe dice ric di moſtrar , come poffan que' quattro umori tutte le malattie ingenerare :maciò fa egli troppo groſſamente , e generalmente ne'dubbj maggiori tacitamente paſſandoſe ne ; e dopo queſto torna di bel nuovo alla canzone dell' uccellino, che ſian quattro gl'umori de'corpi degli anima li , di natura , e di nome fra effo lor differenti ; la qual di verſità immagina egli di ſtabilire, e poter ſaggiainente ar. gomentare dalla diverſità de'colori, e dalla diffomiglian za del tatto , che ſecondo lui vi s'avviſa . Ma s'aveſſc egli mai poſto mente a cotante coſe ; ch'avendo un medeſimo colore fon di natura poi diverſiſſime, e al contrario ad al tre , ch'avendo una medeſima natura han colori aſſai di M m - 2 ver 276 Ragionamento Quarto 1 verſi , ſicome le Fraghe , le Ciriegie , le Azzaruole , le Corniuole , eľVve , e i Fichi , certamente , del ſuo ab baglio ſi ſarebbe avveduto . E più avanti dovea fomiglia temente avviſare , che v’abbian parecchi, e parecchj altre coſe, che per poco artificio variando grandeméte nel colo rela medelima natura pur ſerbano;licome della Cera, dell' Ambra gialla,dell'Inceſo,delCorallo,del corno delCervio avvenire a giornate ſperimentiamo;evidétiſlimo argomen to , che i vari colori non ſian buoni, e fedeli teſtimonjdel la varietà della natura delle coſe . Ne la ragione il con trario ne addita ; imperocchè la varietà de'colori, non al tronde avviene falvo che dal variamento del ſito , o della diſpoſizione della ſuperficie de'corpi, la qual diverſamen te i luminoſi raggi riflette. Ma che domine cadde cgli in mente ad Ippocrate allor che diſſe , che dalla varietà del toccamento , poſſano iva rjumori diſcernergli E quale è mai quel divario, che mer cè della mano poſſa avviſarfi , ſe tutti egualmente caldi fi ſperimentano , tutti egualmente nelle vene , e nell'artcrie so diſcorréti. E da cotali lor vaſi uſciti eglino p la più par te e'li rapprendono , e in una maſſa s’uniſcono , nella quale, poco , oniun divario per lo toccamento può ſcorgerſi E ſe più avanti facendociconſidereremo l'altra ragion pre ſa dalla varictà del calore , dell'umidità , della ſiccità , no aurem di forza a confeffar , ch'ella più frivola aſsai, eri devol fia delle prime , e che moſtri ben’appieno quanto egli sbalcſtrato in filoſofando Ippocrate vanamente s'ag giri? concioſiecofachè, ſe negli umori non v'ha ficcità , come potrebbeſi dalla ficcità la lor differenza conoſcerſi ? e ſe l'umidor del corpo altro non è , ſe non che la ſua di ſcorréza, c'l poterſi agevoliéte ad altro corpo appiccare, ficome conſentir ſi dee da chiunque voglia Tanamente fi loſofure , egli dourà concederſi , che tutti gli umori del corpo umano egualmente fian umidi , dache tutti s'ap piccano parimente alcorpo tangente , e tutti parimente ſon diſcorréti,e quanto al calore détro al corpo, tutti ſono egualmente caldi , e fuor di quello tutti fimilmente dalla circon Del Sig. Lionardo di Capoa 277 circonſtante aria raffreddati vengono, o riſcaldati . Ma più avanti: ſe gli umori nel corpo umano ſognati da Ippocrate , ſicome e vuole veramente ſi foſſero , e alcun di elli , o calorc,o freddo eccitaffe , impertanto no potrebbe dirſi effer cotale umore,o freddo , o caldo : imperocchè ſe o ſpina , o chiodo , o altra pugnente , o doloroſa materia in alcuna parte del noſtro corpo violentemente ſi ficcarella ſuol poco ſtante , e freddi riprezzi , e ardenti febbri ecci tare ; e pur la ſpina , il chiodonon per tanto , o freddi, o caldi potrà dirſi,chefiano . Finalmente ſi sforza Ippocrate queſta varietà d'umori di Atabilire con conghietture tratte dalle purgative medicine. Se medicina purgante la flemma , dice egli , ad huom da raſli giammai , certamente fi vuoterà la flemma, e così pa rimente ſiegue a dire dell’una,e dell'altra collera; e ſoggiu gne appreſſo : veggiam noi per ogni ſcalfittura uſcir fuora il ſangue, e ciò in qualunque tempo , o d'eſtate , o d'inver no, o digiorno , o di notte ; ma ſe alcun primieramente riſpondeffe ad Ippocrate , come per tacer de’noſtri, già fe rono i più valenti , e più celebri fra gli antichi medici,non avervi medicina , che vaglia a vuotar determinato umore , che mai incontro gli ſi potrebbbc per lui replicare? E a yo ler dire il vero, lo ſtimo da non dover mettere in forſe, che Ippocrate niuna notizia aveſſe delmodo, comeoperano le purganti medicine ; che ſe mai di quello ſi foſſe alquan to inteſo , forſe non gli ſarebbono dalla penna uſcite cotante fraſche , e novelluzze ; ne ftillato s'aurebbe il cervello per dimoſtrar gli errori in cui credette eſſere tutti coloro chediſſero uno eſſer l'huomo,e non già dal guazza buglio di sì diverfi umori compoſto : c pur egli non giunſe mai la mente di que'valent’huomini ſanamente a compren dere , come chiaro dal medeſimo ſuo diviſamento ſi fior ge . Credettero , dice Ippocrate , coloro uno effer l'huo mo; perciocchè vedevano per le purganti medicine morir ſene alcuni con vuotarſi un ſolo umore ; perchè ſtimavano altro non eſſer l'huomo , che quel folo umore; ed altresì dallo ſcorgere ſolamente ſangue nfcir a' decapitati,non ef fer al 278 Ragionamento Quarto 4 fer altro l'huomo,che ſangue; e per la medeſima cagione non mancò chi diceſſe eſſere il ſangue l'anima umana . Or contro ad eſſi la vuole Ippocrate , e immagina di gettare a terra tutti i loro argomenti, e opinioni , dicendo non mai alcuno eſſer morto colla vacuazione d'un ſolo umore, ſenza tutt'altri eſsere inſiemcmente ſcappati fuora ; e vuol che quantunque volte huom prendendo medicina purgante la collera ſe ne muoja , vomiti primicramente la collera , ap preſſo la flemma, indi la malinconia , e finalmente il ſan gue di forza ancordalla purgazione ſia tratto fuori , e ſo migliante avvenga nell'altre purganti medicine . Ma chi quinci non iſcorgerebbe, che Ippocrate, o voleſſe altrui uccellare , o ſcriver ciò che prima gli cadeſſe in penſiero , fenza prenderſi briga di narrar gli avvenimenti diquegl'in fermi, cheper virtù delle purganti medicine forſe a gior nate gli morivano nelle mani;e perciò anche aveſſe a sì gra zioſa favoletta aggiunta una più vana ragione , cioè , che il medicamento entrato in corpo vada da prima movendo , e cacciando fuora quell'umor, che ha porianza di trar fuo ra . Aggiugne per iſpianar la materia,l'eſemplo delle pian te, le quali dic'egli ; dalla terra per lor nutriméto traggono varj ſughi dolci,acetoſi, e falli ; c ſomigliantemente po tranno le purganti medicine trarre da tutto il corpo uma no i varj uinori, ma coll'ordinamento , che teſtè accenna vamo : cioè , che la medicina purgante la flemma debba vuotar prima la flemma, e poi gli altri umori , e finalmen te il ſangue , e cosìſimilmente tutt'altre ; ma dagli ſcan naci prima il ſangue , poi la flemma , e appreſſo la collera eſca fuori. Ma con tale eſemplo delle piante, non che non agevoli egli l'intelligenza de'ſuoi trovati, ma vie più l'in garbuglia , e ravviluppa ; concioffiecoſachè non mai può ſembrar vero, cui voglia la coſa pe'l ſuo verſo guardare che le piante ſenza uncini avere , o mani , e ſenza poter dar di grappo poſſano trar ſugo dalla terra , o altro , che lor bi fogni; elleno ſi nutriſcono della terra , macon altro ma giſtero di quel che troppo groſſamente immaginò il buon Ippocrate . Evvi nelle piante una fotcililina , e volantes ſoltan DelSig. Lionardo di Capoa 279 ſoſtanza ſomigliante molto allo ſpirito del ſangue degli animali , la quale ſtando in continuo movimento diforme cazione, la picciola pianticella sbucciando ſcappa fuori, e framiſchiaſi colla terra proffimana alle radici ; or tra per lo movimento d'eſſa , e per quello , checontinuo dal Sol ri ceve la terra , e damolt'altri minuti corpi , che perla lor focofa, e attiva natura , a guiſa di tanti ſpiritelli l'agitano ,e la commuovono , molte parti d'eſſa in ſu vengon fofpinte in licve alito aſſottigliate, le quali di leggier poſſono i pic cioli pori delle radici, in cui s'abbattono penetrare , e fic candofi elleno in così farti buchi vengonoa cambiar figu ra , e da'formenti digeſtivi delle medeſime piante altro va riamento ricevono si, che pian piano vengono la pianti cella ad accreſcere , in lei traſmutandofi ;ne queſta trasfor mazione è maligevol molto a comprendere, anziin molte frutta può agevolmente oſſervarſi ; pongaſi mente alle me lagrane , che a volerle aſſaggiare ritroveralli , che le ſue fibre portano a' granelli un amarisſimoſugo , il quale , o dolce , o alquanto agro divien nella carne d'eſlo granello, ma nell'oſſo inſipido , e ſcipito ; e ſimilmente avviſeremo altresì in quelle frutta , che colte da propj alberi , e ripo ſte ſoglion venire a inaturezza : alcunide’quali eſſendoin prima amari divengon poi dolci , e ſaporofi, ficome ſono le ſorba , le neſpole , e le melegrane medeſime. Non fa dunque luogo di traimento veruno alle piante , acciocchè fi nutrichino ; il qual traimento da filoſofi è ſtato meſſo nella natura , comechè di ciò alcuna pruova giammai non aveſſero:ne ſo lo pchè vogliano farci a credere,ch'un ſimile abbia a trar l'altro fimile séza adoperarvi altro , cheſimpa tia, la quale altro noè, che un bel vocabolo. Nóv'ha adun que medicina al modo, che vuoti il tale,o'l tal determinato umore ; ne mai vero diſſe chiunque affermò aver ciò offer vato : ma le purganti medicine ciò che nelle viſcere ritro vano, formentano, e rendon mordace, e fangli cambiar na túra ; e quinci avvien,che ciò che ſi vuota appaja di diver fi colori , e prenda una puzza ſimile a'cadaveri sper , eſſer le purgativemedicine si ſtimolofe , che aprono ledelicate boc 280 Ragionamento Quarto boccuzze de'vaſi facendo , da eſſe uicir fuori il ſugo in ef ſo lor contenuto , e corrompendolo ; e conſiſtendo la virtù delle purganti medicine ne'lali , chein eſſe ſono, in quelle foſtāze elle più operano, e la efficacia lor dimoſtrano mag giormente ove i ſali più preſtamente diſſolvonſi ; e quinci avvien , che le fecce, che per eſſe ſi vuotano liquide diven gono , e diſcorrenti. Finalmente lo immagino , che non mai veduto avelle Ippocrate ſcanar Porco njuno ,e che ſe pur cgli guatato mai aveſſe immolar vittime negli altari , aveſse avuti gli occhi di glauco,o di nero colore tu le pupille ripieni,õde la gialla, e nera collera nel lor ſangue diveder raffembrogli. Scorſe egli per avventura alcuna fiata, Io bé glicle cóſento ,ad huo dopo aver preſo vomitiva,o altra ſimigliante medicina,get tar perla bocca fuori inſipido,amaro, acetoſo, biáco,o gial lo uinore, ma non giunſe a conſiderar tanto che baſti,cioè che i sì fatti umori s'ingenerano nello ſtomaco de'corpi c.2 gionevoli , e infermicci, e chenon ſi ravviſano nelle venc , ne pur quand'huomo inferma. Ne deve egli così toſto ob bliar ciò , che altrove più d'una fiata racconta , altri ſughi aver egli oſſervato recere , c per ſotto altrui cacciar fuori certi altri umori , i quali eglinondimeno vuol , che nelle vene non abbian luogo ; sì cheanche ſecondo lui , non è fano diſcorſo , ne concludente argométo a provar gli umo ri eſſervinelle vene , perchè ſi vuotano colle purgagioni. Ma a che domine dovrà egli tanta fatica logorar tanto tempo indarno , ſtillarli sì fattamente il cervello , e porger cagione a' poſteri di ricercar ſempremai Duovi ſofiſmi per iſtabilir la ſua ſentenza in materia, che con un foi fifo gua tuento potea ben coſto determinare ? Ecco come una ri cevuta opinione ne fa velo alla mente,si ch'ella obblia ſo vente i più piani ſentieri della verità . Orlo , direi ad Ip pocrate , e a tutti quanti i ſeguaci di lui, traggaſi ad huom fano il ſangue , cd aſsaggiſi , chee' non ritroveralli ne af ſai ne poco amaro ; oue è dunque la collera? e non ſarà l'a cctoſo , oveè la malinconia ? Replicheran per avventura, che'l miſchiaméto, ela cõfuſione di sì fatti umori fraſtorni DelSig.Lionardo di Capoa . 281 tal diſcerniméto al palato ; ma ſe a giuſta porzion di ſangue poche gocciole d'acetoſo liquore,o picciola quãtità di fiele ſi meſcoli, e ſi dibaſti in modo, che daper tutto ſi ſparga ,e fi confonda,noi proverem nel ſangue,e l'acetoſo, e l'amaro ſapore:adunque ſe nõ vi ſi aſſaggiavano in prima , novi do vevan eſſere . Più avanti veggiam ſe ſceverandoſi i diverſi liquori, che nel raffreddato ságue ſi ſcorgono ſi poſſano av viſare i quattro umori d'Ippocrate;egli è ver,che nel ſangue ſia un liquore acquoſo ,in su'l quale vogliono i ſeguaci d'Ip pocrate, che nuoti la collera,ingannati da un certo giallor, che vi ravviſano, e'l rimanente ſia tutto ſiero ; ma s'egli ciò vero foffe , abbiſognerebbe , che la ſuperficie del detto li quore amareggiaffc ;il che no mai veggiamo avvenire.Se poi tutto il ſiero ſitragga via dal ſangue, rimarrà una materias rappreſa , la qualroffa nel ſommo,e nera apparirà nel fon do ; ma non miga egli è vero , ficome per coloro ſi eſtima che quella , ch'è in fondo del vaſo ſia la malinconia , 1013 efſendo ella di niun modo aceroſa , ma del ſapor medeſimo della roſſa; ſenzachè fe tal fanguigna maſſa foſfopra ſia ro veſciata , la roffa parte in nera , e la nera ſcambieraſli in rof. fa ; il che avvien dall'aria , la qual movendo le particello ; della fuperficie del ſangue , le fa così roffe, e di più allegro color dell'altre apparire. Ma oltre alle già dette coſe , due altre ſoſtanze nel rapa preſo ſangue ſi ſcorgono; una dellequalicſſendo diſcorre te , e bianca , ne fa chiaro veder , ch'ella fia chilo , in fan gue non ancor traſınutato : l'altra gaglioſa,e tenace , di cui ne fa purmenzione Ippocrate ; e perciocch'ella è deſtinata a nutrir le parti tutte del corpo, da' moderni ſugo nutriti vo acconciamente vien detto; e queſto ſugo va col ſieroſo migliantemente miſchiato ; e agevolmente la coinprenderà chiunque ponendo il vaſo del detto fiero ſu le lente bragie nie farà tutto l'acquoſo unore agiatamente eſalare . Nefi nalmente voglio laſciar d'avviſare , che in quelle febbri, le quali per parere d'Ippocrate ſon dalla bile prodotte, non , mai ritroveralli il ſangue d'alcun'amaro ſapore , nepur quella parte , che vi va a nuoto ; ne in quell'altre , che per Nn avvi 282 Ragionamento Quarto avviſo di lui dalla malinconia provengono , il ſangue ſenti rà miga dell'acetoſo ; ne men quella parte d'ello che , nera appariſce; ſicome ſenza durarvi molta fatica potea chiarir fene Ippocrate , ſe pur ſicome non ebbe a ſchifo le ſtoma chevoli fecce degl'infermi aſſaggiare,così la pūta della fin gua in cotai parti del ságuedegnato aveſſe d'intignere, qua lora veniva tratto agli ammalati di terzan2,0 quartana;e ſe a coſtoro egli non ne traeva , in altre opportunità potea farne eſperimento . E più di lui era debito di Galieno tal fatto , nie dovea a chiuſi occhj in biſogna di cotanto rilievo preſtar fede ad Ippocrate . Ma Io non poflo non ammirar quì quelle anime grandi, le quali a torto accagiona Ippocrate , perchè elle dicano , effer flemma l'huomo ; perchè avendo nel ſangueſcorta quella bianca ſoſtanza ch’appella flemma Ippocrate, giun ſero a comprendere , di quella effer formato l'huomoje ve ramente di quella vié la parte materiale del ſeine formata , di quella il latte , diquella tutt'altre parti del corpo uma no nutricanſi. Ma ad Ippocrate ritornando : tralafciò egli in queſto luogo di far parole della più nobil parte del ſan gue , dico della parte ſpiritofa ; quantunque altrove oſeu ramente ne faccia motto , e ſenza penetrare , o diſaminar tanto che bafti la ſua natura ; e moftra , che la riponeſe fra le ſoſtanze diſcorrenti non umide , licome è l'aere,e non già fra le umide , com'è l'aqua : il cui ſembiante più coſto par, che ritiga lo ſpirito del fangue ;il che no dovea trapal farſi tacitamēte da Ippocrate;e doveaegli por mēte altresì a cotāte altre umide ſoſtanze dell'huomo, e diſaminar così di effe , come delle parti ſolide , la natura , gli uficj,e le ope razioni ; le quali ignorand'egli nulla viene a ſaper della na tura di quello , la quale altrui pretende d'inſegnare, ne può ſiſtem.2 alcuno ne meno manchevole , e ſcempio ftabi fire di razional medicina . Ma il buono Ippocratc , come ſe taſe uficio aveſſe inte ramente compiuto , e come ſe quanto avea diviſato foffes incontraſtabile , e fermo , paſſa più avanti nel fuo libro a nar DelSig.Lionardodi Capoa. 283 narrare, che l'inverno s'avanza nell'huom la flemma,come quella, che più d'altri umori a cotale ſtagion confaffi,eſſen do più di tutt'altri fredda; la qual coſa egli vuol ritrarre non altronde , che dal toccamento ; ed afferma coſtante mente , cha la fiemma,del ſangue , e della collera ſempre ha'l tocco più freddo ; la qual coſa però quanto ſia falſa è teſte per noi detto. Fa egli , che l'inverno abbondi più ch ' altro tempo la flemma; perocchè in più larga copia ne veg giam per le bocche , per le narici degli animali uſcir fuori; e per l'enfiature , e altri mali dalla flemma cagionati , che ſovente in quella ſtagione afcir ſogliono agli huomini . Ma ſe l'inverno, ficomealtroveafferına Ippocrate più che mai le viſcere , ele interiora ſon riſcaldate , non ſo lo come poſs'egli argomentar ch'abbiano allora a ingenerare abbó dante copia di flemma, poſto che la flemma foſſe da an noverare infra gli umori; e flemma foſſe ciò, che per la boce ca ſi ſpurga, e per le narici , e ch'ella produceſſe que'mali, che freddi s'appellano . Ma più avāti al diviſamento d'Ippocrate fa la continua cſperienza contraſto , e ſcorgeſi, che l'eſtate , ſe avviene ad huom qualche catarro , qualunque ne ſia la cagione, e' ſcaricherà per le narici , e per la bocca le flemme, ch'e'di ce, in tanta copia, cheſtimeraſli colui non aver altro inca po , ne in corpo , ſalvo che flemma. Ora Ippocrate a voler faggiamente diſcorrere , dovea bé avviſar, che l'inverno per lo freddo riſtrigonfi i pori della' noſtra pelle : il perchè non potendo per eſli uſcirne cosi ah bondantemente quella ſoſtanza , che in ſottile alito ,altro tempo ſvaporar ne ſuole , vienaa rapprenderli in flemma, edella natura per più larghe ſtrade ſivuota. La Primavera vuol , che ancor ſian copioſe le flemme ; ma collo ſcemamento del freddo comincino pian piano w ſcemarli, e'n loro veceil ſanguigno umor vada creſcendo . Ma feper opinion di lui anche la primavera le vilcere lon cal:liffim , chefanno in corpo le fléme , e chi loro da luo go ? Ma la ragio , che ne reca per l'avanzaméro del ſangue, cui no fem ! rerebbe dimoſtrazion di ſcrupoloſo Geometras Nn 2 ܐܐ 284 Ragionamento Quarto : la Primavera dic'egliè calda, ed umida,e caldo , ed umido è altresì il ságue:adúquc alla primavera cofaſſi. Ma pur noi veggiamo,che a quel tempo ilſiero alquáto più copioſo di venga , anziche no , ſe a quel tempo ſon più abbondanti le urine, e oltremodo patiſcono gli Idropici , in lor ſover chiando sformatamente le acque. E che abbiam noi a dir degli altri argométi, ond'egli ſi sforza Ippocrate di confer mare tal ſoperchiamento di ſanguenella già detta ſtagione: in cui , dic'egli , fogliono avvenir diffenterie , e vacuazion di ſangue per le narici , ed è il ſangue più caldo , e roſſo , che mai ? Certamente come altre fiate abbiam detto ; im perocchè la diſſenteria non puòdal ſangue avvenire,il qual giuſta i ſentimenti d'Ippocrate è umor piacevole , e dolce anzi che no ; e più toſto la malinconia, e la collera dovreb bon eſserne accagionate , le quali eſsendo aſpre , e ſtimo Joſe avrebbon a rodere le inteſtina , e farne uſcir fuori il fangue. Rimarrebbono altre leggiere coſe a diſaminare in que fto libro d'Ippocrate dietro tal materia de'quattro umori, le quali da lui coll'uſato ſcioperìo , e groſſezza fi trattano, e altre coſe degne da avvertire occorrerebbono per avven tura a chiunque con minuta diligenza l'andaſse rivolgen do, ch'Io per fretta non ho curato d'oſservare . E baſtami d'averne fol tanto confuſamente rapportato, perchèfi ſcor ga qual foſse la traccia da Ippocrate temtita nel filoſofare dietro le biſogne della medicina ; e ch'egli andato foſse nolto lungi dal vero , ne mai imbroccato aveſse al legno . Ma ſe pure a lui non venne fatto di poter con pruove fta bilire i quattro primi corpi,no è da prenderne maraviglia : imperocchène iné v'aggiuſe Ariſtotele ;il quale,e pl'altez za dell'intédiméco, e per le notizie di varie coſe,digrā lūga gli ſi dee antiporre,che che ſe ne dica in contrarioGalieno ; e veramente le ragioni per colui rapportate eſſer frivole , e di niun valore, non che da altri,mada'medefimi Peripatetici vien conſentito ; ma che chc ſia di ciò , non avendo Ippo crate potirto giámai provar ne l'eſiſtenza de'primi quattro corpi ſemplici, ne de'quattro umori , tutto il ſiſtema deila ſun Del Sig.Lionardo di Capoa. 285 - ſuamedicina,chelu vi fő:la,cõvié,che crolli ad ogni leggier foffio , e cada giù in terra. Maben s'avvide Ippocrate della debolezza de' ſuoi ſiſtemi; onde o di rado, o non mai in al tri ſuoi libri volle valerſene , e particolarmente in quei de gli Aforiſmi;i quali non voglio lo traſandar ſotto lilenzio, poichè da molti ſono avuti in sì gran pregio appo Suida , che loro non già inortal coſa , ma opera di ſouraumano in gegno raſſembra, non altrimenti, che dell'Alcorano ſi fac ciano i melenli ſeguaci di Macometto . E per lo meno cre de altri , che non maisì grand'impreſa fu da un’huomo ſo lo compiuta ; c anche coſtor ſon partiti, alcuni credendo , ch'egli da varj ſcrittori gli aveſſe raccolti ; c altri , ch'e' la veſſe copiatidalle tavolette affilfe nel tempio d'Eſculapio . E certamente ſe mai vero foſſe , che Ippocrate , come An drea antichillimo autor riferifce , miſe a fiamme, ed a fuo co quella cotanto celebre libreria di Gnido , egli ſarebbe da fufpicare, che nõ pur gli Aforiſmi,maquát’opere van del fuo nome intitolate,ſtate folero altrui fatiche, ed ei per ac cattarne reputazione, come propie le aveſſe divolgate. Ma avend' egli per avventura poco ſanamente le opinioni di quegli autori compreſe,sì malamente compilare le aveſſe ; e quinci ſia altresì avvenuto , che tante varie , e diſcordan ti dottrine , e opinioni per entro vi ſi ritrovino ; e perciò ſia indarno gettata la fatica di coloro , che di accordarle tanto lungamente ſi ſtudiano ; a ciaſcun de'quali potrebbe ram mentarſi l'avviſo di Franceſco Ottomanno : Vercor ne ple rumque in iis , qui confultò inter fe diffentiunt conciliandis nimium ingenioſi eſe velimus. Ma che che ſia di ciò , lo per me ſon ſicuro, che agevolmente accorgerafli , cui caglia di chiarirſene , non effer degni di cotante lodi gli Aforiſmi d'Ippocrate , quante d’uma cieca, e comun fama ne han ri cevuti ; e perciò nella ſchiera de poco accorti foſſe il noſtro Petrarca ,ovein favellando di biſogna a lui poco conoſciu ta ebbe a dire: E quel di Coo , che fe vie miglior l'opra , Seben intefi foller gli Aforiſmi. Sicome del poco lor valore s'avvider tutti que’medici,che infra 286 Ragionamento Quarto 1 nfra i Greci ebbero inaggiore ſtıma,e rinomea ;i quali non men , che di tutte altre opere d'Ippocrate , tenner pochiſſi mo , o niun conto degli Aforilmi; la qualcoſa ſi ſcorge rebbe manifeſtamente da noi,ſe ſpente non foſſero ,e ſmar rite tutte loro ſcritture ; ma nondimeno può argomentar ſi ſenza rimanerne in forſc , dalle reliquie , chene' libri di Galieno , e di Celio Aureliano , a ' dinoſtriſe ne riſerba no ; e per quelle poche memorie , ch'abbiam di Giuliano eccellentiſſimo filoſofo , e medico , quantunque il con trario ſis forzi dimoſtrarGalieno . Ma ſe ancor foſsero in piè que’libri, che ilmedeſimoGiuliano compilò contro gli Aforiſmi, o ſe foſſero almen rimaſe le chioſe , che ſu d'er ſi fe Lico , il quale ſi diede cura d'andargli un per uno mi nutamente , e ſenzariguardo alcuno diłaminando, chente, e quali eſſi ſiano apparirebbe chiaro , comechè io non mi dalli briga di favellarne ; ma poichè così va la biſogna: di co, che molti degli Aforiſmi liano così generali, che per la medicina poco , o niun pro trar ſe ne poſla ; e di leggier ſi potrebbono ad ogn'altra materia acconciamēte adattare; il che ha porto occaſione di occupar certi sfaccédati cervelli a travorgergli con pochisſimo ſtorciméto alla politica , alla milizia , e ad altre arti , e diſcipline ; altri ve ne hanno co tenenti sì groſſo, e materialinotizie , che ad ogn ' huom di 'contado aſsai meglio ſon conoſciute ; altri , come avviſa il Santoro , non li poſson mai recare ad effetto ſenza molto ritegno , e ſenza l'indirizzamento delle regole dell'arte ;di fetto , ſenza fallo ,gravisſimo ad autor, che imprenda a pre. ſcriver certe regole , e leggi in qualunque arte , emaſlima mente in medicina ; e altri v'han cui facendo biſogno di pruove , fur da lui tralaſciati ſenza alcuna ragione ; e ſe pu re alcuna fiata vi rapporta qualche argomento , ritroveral fi eſſer poco ſaldo , o inefficace ; anzi loventi fiate ridevo le, e frivolo ; altri ſe ne ritrovano ,la cui dottrina, o aper tamente, o per poco che ſi vada diſaminando , falſa , e fal lace ſi ſcorge. Altri finalmente per entro a quel libro ve n'han sì confuſi , e oſcuri ,e impigliati, ch'a volervi per in tendergli qualunque più grave farica durare, non ſe ne ri trar Del Sig.Lionardodi Capod . 287 trarrà coſa , che monti un frullo . Ma l'oſcurità è vizio si ordinario d'Ippocrate , che ne men Galieno cotanto di co lui parziale potè contenerſi sì, che non ne faceſſe motto , a non ne lo proverbiaſſe , e ſcherniffe più fiate. Ma fe è vizio , ed error grave l'oſcurità in qualunque materia , egli è ſenza fallo graviſſimo , ove ſi tratti dimc. dicina ; arte malagevoliſſima per ſe ſteſſa , e in cui l'crrare potrebb’eſſer di graviſſimi danni , e nocumenti cagione ; if perchè non ſon da intendere quelle ſcuſe , che dell'oſcurità d'Ippocrate voglion farſi per alcuni , dicendo ch'egli a ſtu dio voleſſe sì fattamente ſcrivere le ſue opere , e maſſima mente gli Aforiſmi, acciocchè sì prezioſiteſorinon iſtaffe ro ſenza riſerbo ; ma quafi ſotto bel velo ricoverti , e aſco ſi; imperocchè lo primieramente non ſo intendere qualſia mai quell'altezza di dottrine, che nella medicina d'Ippo. crate ſia ripoſta , ne fin'ora v'è ſtato chi abbia potuto fco vrirla ; anzi è avvenuto a coloro, che troppo v'han durato fatica a interpretrarla , quel che accader ſuole ſoventeagli Alchimiſti, che in vece di divenir dovizioſi d'oro , e d'arie tutto il for picciolo capitale ſcialacquano . Ma fe Ip pocrate voleva aſconder la ſua dottrina,sì che da altri non mai fi riſapeſſe, potea con un più bello , e fottil modo ben farlo , cioè rimanendoſene in pace , ſenza ſehiccherarle carte , o por tanticervelli a partito per intender la ſua mé te , con si grave riſchio de' poveri ammalati . Or veggafi di vantaggio quanto egli foffe dabbene , equanto oſſerva tor dell'impromeſſe,e facraméti ,co’quali dichiarò di voler a'ſuoi ſcolari tutta quanta la medicina perfettamente inſe gnare ; e certamente ſe non altro lor comunicò di ciò che ne'ſuoi libri , e particolarmente in que' degli Aforiſmi la fciò regiſtrato , e in quella sì confuſa maniera , que' catti velli l'olio , e la fpeſa indarno vi dovettero logorare. Ma il bujo di quella favella, ſe mal puofli fofferire altrove,cer tamente nell'opere degli Aforiſmi, ove principalmente egli vuol dar leggi , e regole di ciò , che fi dce nell'arte eſe guire , è tanto biafimevole , e ſconcia , che nulla più ; e ſe Principe mai , o Repubblica in dettando leggi , e ftatuti ſi valeſ. to , 288 Ragionamento Quarto valeſſe dello ſtile degli Aforiſmi d'Ippocrate, in quali tea nebre , in quai garbugli, in quali intrighi, in quantipiati , o conteſe ſe ne viverebbe quella malnata Città , quellas infelice provincia? S'attēta altri di ſcuſare Ippocrate col precetto d'Orazio Quicquid precipies eſto brevis,utcito dicta Recipiant animidociles , teneantquefideles. Ma per coſtui non badoſli , a quel,che poco avanti dal medeſimo Poeta fu ſcritto : Decipimurſpecie recti : brevis effe laboro Obfcurusfio : Ne potè ciòdiſſimulare, comeche parzialisſimo d'Ippoa crate , per tacer d'altri chioſatori, il Signor della Sciam bre , sì chenon aveſſe arditamente a dire d'Ariſtotele , ed' Ippocrate , e de'loro eſpoſitori favellando : ita perplexe, & obfcurè uterque locutus eſt, ut ad ſingula verbaceſpitandum illis fuerit,antequam tantis tenebris lucem aliquam afferro potuerint . E quantunque egli appreſſo imprenda a farne ſcuſa, indi a poco ſoggiugnendo: Atque id ſaneHippocrates quadam neceffitate impulſus præftitit in Aphoriſmis : cùm enim ad pauca quædam capita vaſtam , & immenfam artem contrahereftatuiffet, ne trunca, manca redderetur, necef fe illi fuit ſuh unoquoque plura præcepta recondere , quàm quæ verbis deſignarentur: &fingulos Aphoriſmos prêter id , quod exprefsè docent, proponere , ut figna , du notas , quibus aliarum rerumeadem ſpectantium recordatio excitaretur: no però dimeno lo perme non ſo ſe venga sì fattamente ad iſcuſarſipiù tolto , o ad accagionarli Ippocrate ; imperoc chè qualbiſogna , o diſtretta lo sforzò mai a favellar di tut to , e'l tutto avviluppare, ed entrar nell'aringo ditanti , e sì diſgiunti ragionamenti per diviſar pochiſſimecoſe , c di niun rilievo ? E qual lode è mai d'uno ſcrittore l'accennar ſotto velame d'oſcurillime parole una cofa , e laſciarnu cento , e mille , cuiabbiſognerebbe , che dall'intendiinen to del diſcreto lerrore fi ſuppliſſero; il che ſe mai il letto re far poteſſe da ſe medeſimo , a che affaticarſi in sicer carle fu le altrui ſcritture con ſuo diſtento . Ma ſe pur po telle Del Sig.Lionardo di Capoa 289 teſse Ippocrate ritrovar qualche perdono persì fatte ſcule in alcunadelle ſue opere, chi mai potrebbe ſofferir quelli oſcurità , che per tacer d'altri ſi ravviſa nc' libri della Die ta , degli umori, degli alimenti , in cui ebbe a dire quel celebre galieniſta Antonio Fracanziano ſuo chioſatore , Hippocrates anigmaticè , dw obfcurè adeo loquitur , ut divi nandum magis quandoque , quam afferendumquid voluerit: orin quegli certamente le ſottili difeſe del Signor dellau Sciambre non poſſono a niun modo aver luogo . Egli adú que nc fa meſtieri di dire a voler ſchiettamente la verità có. feffare , che l'oſcurità d'Ippocrate avvenga dal rozzo , e oſcuro conoſcinicnto , ch'ebbe di quelle coſe , che a ſpia nare egli impreſe; e perciò con oſcure , c affai brevi parole cerchi toſto sbrigarſene , come fan coloro, che di future, e loro ignote coſe ragionano.Ma pur troppo bene è riuſci ta ad Ippocrate, e d'onde biaſimo e' meritava, e vitupero, quindi gli avvenne lode , e commendazione dalla voigare ſchiera de'letterati; i quali ciò che meno intendono , comes cofa maggior de’loro ingegni vie più commendano ; e per ciò è avvenuto , che sì folta turba de'chioſatori abbia in darno tanta fatica durata,per volerdimoſtrare,ch'altiſlima dottrina ſotto l'ombra di quel favellar ſi naſconda; e dico indarno : imperocchè a gente di ſano intendimento quelle cotante lor novelluzze malagevoliſſimamente iinboccar poſſono ; eſſendomanifeſto , che ove Ippocrate favella di coſe, ch'egli intenda ,e ſappia, ſicome quando narra avve nimenti , e iſtorie di malattie, o fa parole di qualche parte di notomia , ch'egli avea oſſervata, non torbido , e confuſo ſtile;ma cõchiaro ,e intelligibil ragionaje ſe ben ſempremai ſparge per entro a tai ragionamenti qualche antica , e vieta, e poco inteſa parola : impertanto non può renderli tutto il favellar sì avviluppato, che in fine la ſua mente non fi com- ' prenda . Egli è adunque oſcuro , ove di ciò che non inten de , imprende a favellare. Ma per non iltar quaſi ſempre in ſu l'ali , c diſcender omaia qualche particolarità : lo dico , che il primo, ove procura di ſcorgerne la medicina , come poſta lu la vet Oo t2 290 Ragionamento Quarto 1 1 ta d'un erta , e lunga , e ſtraripevol roccia ,' oue mat puofli, tra per la brevità della vita ,ei molti , e gravi peri coli , che vi s’incontrano per huom pervenire ; e tale,e tan to , che vale a torre il pregio a quanti e'ne ſoggiugne;im perocchè ſe cotante malagevolezze ha la medicina per fe medelima , ei, che dovea far altro , fe non ſe a tutto sforzo . agevolarne il ſentiero ? e pur coʻſuoi Aforiſmi il varco sì fattamente impruna , che ove huom dietro a lui mettaſi in cammino,a diftento fenza offefa potrà ritrarne il piede.Do vea ben avviſar Ippocrate , chela brevità, ove l'oſcurità non iſchifi, quanto ſcema allo ſcrittor di fatica , al lettore altrettanto ne aggiugne . E nel vero chi potrebbe confide rar quanto ftento dovettero durar tutti coloro , che prima di Galieno ſi dieder briga d'interpetrar l'opere d'Ippocra te ; e pur nientedimeno non uſciron dal laberinto , come vuol Galieno; il qual ſoggiugne lui aver primieramente porto il filo da poterlo ſpiar tutto , e ritornare in ſalvamé to ; quantunque v'há chi non gliele vuol credere , e affer ma coſtantemente ch'egli vi ſia rimalo avvolpacchiato,co me tutt'aleri ; e ne ci reca la ragion dicendo , che ſe vera mente per Galieno foſſero ſtati compreſi i ſentimenti d'Ip pocrate , cotante quiſtioni , e piati dopo lui non ſarebboe no inſurti , per indovinar , che diavol d'inſegnamenti ſian que' d'Ippocrate ,maſſimamente negli Aforiſmi. Orail té. po , che in ván fi logora in sì fatti litigj,nó ſarebbe meglio, e con maggior pro nell'inveſtigar tante coſe, che fann'huo po allame licina , opportunamente impiegato ? Ma nella feconda parte di queſto primoAforiſmo, poi chè tanto gli è a cuore la brevità , a che perder parole per dire,che , acciocchè il medico adempier poffa felicemente il ſuo uficio , abbiſogni che vi concorrano l'opere dello in fermo , de’famigliari, e tutt'altre eſteriori coſe al biſogno fian preſte ? O utiliſſimo , o raro , e non mai caduto in mé. te umana conſiglio del diviniflimo Ippocrate ! e Monna Berta , e Monna Nonna ſomigliantemente non l'averebbe ſaputo ? Ma il ſecondo Aforiſmo, per la cui eſpoſizione veggiam venire fino a villane parole i Chioſatori, e alqua 1 le più Del Sig.Lionardo di Capoa 2.91 1 le più coſto con aringo d'ornate ciance , che con faldezze di dottrina , cerca difar riparo Galieno a petto degli argo menti , che incontro gli avventa Giuliano : non contien al tro certamente , ſalvo che unadottrina molto volgare, tanto baſſa , ch’un Maeſtro Simone, non che altri G verge gnerebbe d'averla meſſa in dozzina , maſſimamente ſules prima fronte d'un libro di tanta eſpettazione ; ella è tales : le vacuazioni , che per vomito , o di ſotto ſpotaneamente avvengono , ſe fian tali, quali eſſer denno , giovano , e age volmente ſi collerano ; e ſe ilvuotamento de’vaſi tal lia,qual çiler dee , giova , e ſi tollera . Orlaſciando da parte ftare, che con chiarezza , e brevità maggiore potea cotal diviſa mento ſpiegarſi, per avventura dicendo , cheſe l'arte , o la natura vuoterà ciò che pecca nel corpo , fie di giovamento l'evacuazione: lo quì chiederci, chemifoſſe moftro , ove ſia l'altiſſima ſapienza, ove il ſottile intendimento del Prin cipe , e dell'inventore , come Galien lo dice , della razio nal medicina Ippocrate ; adunque in faccenda di cotanta lieva haſſi a giudicar degli eventi : A che dunque vagliol tanti ſiſtemi di razional medicina , sì lungamente, eintan ti libri da lui regiſtrati? A che giova l'aver eglicotanto ra gionato degli uinori, e dell'altre cagioni delle malattie , e delle altre coſe confacenti alla medicina,ſe al miglior huo po non gli vagliono un frullo ,egli abbiſogna , ch'a ſuomal grado ,alla fallace empirica abbia ricorſo . Ma più oltre: onde fe meſtieri ad Ippocrate dirigiſtrar tale avvertimento nel divin volume degli Aforiſmi, ſe non v'ha perſona così ſcicmpiata tra'l vulgo , che molto bene non ſappia , che al lor , chenon reca moleſtia allo infermo, e ch'egli ſe n’ap profitta , che tale qual eller deeſiaſi la vacuatione; ma do vea certamente , &aurebbe fatto il meglio,avviſare Ippo crate , che quantunque non ne tragga alcun diſagio l'infer mo , e che imınantinente dopo la vacuazioncegli guariſca, avvenir può talora , che l'umor vuotato non ſia tale , quale vacuar ſi dec ;imperciocchè ben potrebbe egli di leggieri avvenire , che dopo la vacuazione di qualche materia , la quale niente aveſſe che fare colmale , riſtoraſleli l'infermo Oo 2 per -- 292 Ragionamento Quarto per qualche vacuazione inſenſibile di ciò , che cagiona il male,fattanel medeſimo tempo. Nedee ciò recar maravi glia , ſe talora ne’più gravi , e pericolofi malori , quanto più rigoglioſi,cotanto menome, e fottili ſono la cagioni, che l'adoperano ; e ben ſovente avviene fenfibilc vacuazione per opera di quelmovimento ,cheſi fa nel corpo nello ſcio glierli , e nell'ufcir fuora , e nel mutar faccia , fito, o movi mento que corpicciuoli , onde il mal ſi cagiona : a pruova conoſcendoſi , che huom ſuda , vomita , e manda fuori per altre parti quantità d'umori , e ſi ſgrava immantinente dal male ; che ſe non uſciſſe allora o pietra , o altro , che'l ca gionaſſe , ogn’un di certo giudicherebbe, che per la vacua zion di quelle materie foffe l'infermo riſanato. In confer mazion di ciò che lo dico, in quci , che ſon morſi dalle vi pere noi veggiamotutto di dopo preſi gli antidoti vacuarſi per vomito , e per ſudore gran copia dimaterie nel tempo medeſiino , che guariſcono ; e pure quelle non han coſa del mondo che fare col veleno della vipera , il quale in altro non conſiſte , che in una piccioliſſima, e poco men ch'insé fibile ſoſtanza , la quale rappigliandone il ſangue nelle ve ne toſto n’uccide . Ma che non veggiamotutto di nelle poſteme; e nelle ferite , ed in altre ſorti di malattie vuotar fi copia d'umori ad eſſe non pertinenti,c guarire , ma per al tra cagione,gl'infermid e quinci poiinginn.icii medici con falaſli , e purgagioni , ed Jorinojoſi , cimportuni rimedj i loro infermi crudelmente ſogliono malmenare ; giudican do così imitar l'opere della natura ; e per aver talvolta av viſto , che qualche febbre , o altro male ſi ſia diminuito dopo un grand'uſcimento di ſangue : comandan poi , che nelle febbri ſi tragga langue. Ne per altro parimente,nulla curando l'avviſo d'Ippocrate, e di Galieno,ſi vagliono del le purgigioni nel principio , nell'accreſcimento ,e nel vigo re delle malattic , ſe non ſe dall'aver eglino veduto , come chè radillime volte , che dopo eſſerſi vacuata qualche ma teria in que’rempi lia migliorato , e riſanato qualche infer mo ; e queſto è quello , s'io non vado errato , che dovca norar Ippocrate negli aforiſmi. Ma ne meno ſempre che quel DelSig. Lionardo di Capoa 293 qnelle materie ſi vuotano , quali appunto da vuotar ſono, ciò vien lievemente comportato dall'infermo ; concioffie coſachè molte volte elleno tra per la loro mordacità, e per la delicatezza della parte , per la quale ſi vuotano , e per altre cagioni ancora recar ſogliono noja grande agl'infer mi ; come Ippocrate medeſimo ſe ſteſſo dimenticando al trove avviſa ; ma non ſenza ragione Giuliano prover bia , e ripiglia Ippocrate dicendo , ch'egli incominciando queſto aforiſmo afferma come vera una propoſizione non miga per lui provata , ne dimoſtrata in prima, cioè , che naſcan le malattie dalla foprabbondanza ſolamente , o dal cambiamento degli umori in altra qualità di quella , che in prima aveano , la qualvien da'medici, corrottela , chiama ta ; ch'egli però giudica ,che ove non ſi ſcorga legno di cor rottela d'umori,che la ſoperchianza ſia de’inali cagione . Coſa , la quale foggiugne Giuliano , in modo veruno in tender noir fi puote , ne è vera : imperocchè fe ciò foſſe , eglinon ha dubbio , che tutte in fermità agevolmente gua rir potrebbonſi : ne fi vedrebbe giammai lunghezza di ina lattia : e una ſola la maniera di tutte curarle certamente fac rebbe ; imperocchè ciaſcun potrebbe agevolmente qualo ra a grado gli foſse , effendo ciò in ſua mano , comeilmal l'affale , così toſto ripararvignon gli biſognando a ciò altro , falvo che fa ſola vacuazione , la quale in qualunque tein po porre ſi può in opera col ſegnare , ſe'l male ſarà cagio . nato dal ſangue , e fe dalla flemma , e dalla collera ,condar loro acconce medicine. Riſponde Galieno all'argomento di Giuliano con dire , che allora oltragli umori, abbia an cora nelle parti falde del corpo qualche vizio ; perchè va cuito l'umore dura ancora il male; ma ſe nel inale ,ficome Ippocrate ſuppone, tengono gráī parte gli umori, dovrebbe almeno tanto quanto fcemarlo il vuotamento di quelli ; il che certamente non avviene ; anzi Galieno medeſimo ri portando in ciò molte fperienze , coſtantemeure altrove il niega . Ma come allor, che fon crudele materienel princi pio de’mali ,quando le parti ſalde non ſon potute ancora contaminar da eſſe , le vacuazioni riefcono nocevoli , non che 1 294 Ragionamento Quarto che infruttuoſe : e allo incontro poi, licomecon Ippocrao te afferma Galieno , elle giovano affai,e colgono via il ma lenel loro ſcemo, quando non può eſſere , che non ſiano rimaſte offeſe gravemente, e contaminate le partiſalde , le quali in tutto il tempo delmale in varieguiſe moleſtate , e ſconce ne vennero ? adunque direbbe Giuliano, non avran nulla che fare con quelle malattie le diſcorrenti ſoſtāze del corpo ; e allor , che li veggono dopo la vacuazion di qual che umoré ceſſar le malattie, ciò non avvien certamente per la vacuazione,comeIppocrate afferma. Ma par egli certa mente , che Ippocratemedefimo non troppo fitidi in ciò della ſua dottrina ; imperocchè avviſa egli poi nell'ultima parte dell'aforiſmo, che convengafi aver riguardo al paeſe, alla ſtagione , e alle mulattie, e all'età, ove da far Giala va cuazione . Ma per tacer della ſtagione , dell'età , e del paeſe , onde niuna certezza trar ſi puote , con qual argo mento in tata incertezza delle coſe dell'arte potrà mai rin venire il inedico fe fia , e qualſia quella parte diſcorrente , che cagioni l'infermità ? Credeſi la collera cagionar la ter zana : la malinconia , la quartana : e pure queſte alla va cuazione , che penſan fare i medici di tali umori , non ce dono :'maſivincono ſenza vacuazion’alcuna colla ſcorza del Perù , e con altre molte sì fatte medicine. Il terzo Aforiſmo per mio avviſo parve al Paracelſo co tener dottrina di sì poca conſiderazione , che egli lo tra sformò sì , che in tutto è diverſo da quello d'Ippocrate;ma ſe cosi debbonſi chiofare, e interpetrare i detti degli auto ri , egli ſe'l veda · Dice Ippocrate, lo ſtato degli Atleti, i quali ſian pervenuti al ſommo della bontà eſſer pericoloſo; imperocchè non potendo poſare,ne vantaggiarli in meglio, convien , che vada al peggio; e che però dipreſente huopo faccia vuotargli . Primicramente la ragion d'Ippocrate, la quale ha dato cagione di quiſtionar canto , e d'aggirarſi fra vani argomenti al Forli alSermoneta , e ad altri ozioſi cervelli, è troppo rozza nel vero ., e materiale , e più li ſten de aſſai di ciò , che Ippocrate s'avviſa ; imperocchè perpe tuamente ſe la detta ragione aveſſe luogo , sìfatte perſone dovreb Del Sig.LionardodiCapoa. 295 dovrebbono andaralpeggio ; il che falſo ſi ſperimenta ; e ben ſi conoſcerebbe apertamétc per ciaſcuno la falſità del la menzionataragione d'Ippocrate , s'egli come far dovea, l'aveſſe con più parole ſpiegata , comepofcia fecero i ſuoi chioſatori , dicendo , che non poffan mantenerſi nello ſta-, to preſente , nepofare : perchè continuamente cibandoſi sì fatti huomini, e ingenerandoſi in loro il chilo , e'l fangue , c queſto ad ogni ora diſtribuendoli per le parci del corpo , ne potendoſi a quello unire per non eſſervi luogose peròſo verchiandos debba di neceſſità cambiar in peſſimo il lorot timo ſtato . Ma non poſer mente coſtoro alla copia grande. del ſangue, e delPaltre tuţte diſcorrenti parti , e ſalde del. le loro foſtanze , checontinuamente G dileguano, e per sé.. fibili,e p cieche ſtrade efco fuora da'corpi degli huomini p . la continua formentazione di quello , che in aliti lotciliſi- . mi mai ſempre gli va ſciogliendo ; e quanto più abbonde vole , e di buona condizione è il ſangue, tanto più egli è vigoroſo , e valevole ne'ſuoimovimenti, e nell'altre ſue operazioni ; e quindi ſcorgonſimolcijemolti dicotali huo mini ftar bene lungo tempo : e comechènondimeno qual-, che volta coſtoro pur ne pericolino, ciò non èmiga già per la ragione per Ippocrate apportata; maperchè venendo ta lora oltre al dovere per qualche cagione di fuora a muo- , verfi , e a rarificarſi ſoverchiamente il ſangue, ſi rompono ivaſi, che'l contengono : 0 pure quello diſcorrendo in co pia grande nelle parti falde delcorpo , cdivi fermatofi, or una , or un'altra ſorte di mali , e talvolta con impedir affar to la circolazione del ſangue repétina morte alcresì cagio na ; e ciò è quanto dovea il noſtro buon Ippocrate avvi fare . Appreffo fålla egli gravemente , ſenza dubbio , in tacendo come, e in qual maniera s'abbia negli Atleti a tor. via la pienezza; ſe colle vacuazioni , o pur colla dicta ; s'egli quì intende di quella vacuazione, che ſi fa colla die. ta , comedicono i chioſatori di queſto aforiſmo,dovea pur certamente egli avviſare quando ciò far convenga colla ſc. la dieta , e quando altrimenti e in sì fatta maniera non in fruttuoſi affacco ,e vani farebbono ſta i per avventura i ſu : i avvertimenti . Im 296 Ragionamento Quarto Imprende poi ne ſeguenti aforiſmiinfino al venteſimo a far paroleIppocrate dietro al cibar degl'infermi ; e come chè in lor ſi contenga qualche utile avvertimento, pur col Puſato ſuo modo intrigato del favellare , confonde quelle materie , che meſtier fenza fallo gli facea illuſtrare ; eſſen do nel vero la maniera del cibar gl'infermi una delle coſe più neceſſarie a ſapere in medicina ; eavendo in quegli aforiſmi alcune regole , alle quali fa meſtieri d ' eccezione , le dovea egli almeno accennare ; ed era aſſai più neceſſario l'inſegnar ciò , che le tant' altre bazzicatu re , in cui inutilmente di certo ſpende egli tante parole das vegghia , come quello, che agevolmente lapute ſono,e co noſciute per ogn’uno. E in verità, chi è , che non ſappia eziandio fra quelli, che non mai ſtudiarono in medicina , che ne'mali lunghi s'abbian’a mantener le forze dello in fermo, e conſeguentemente, che dar non gli ſi debba a ſpi luzzico il cibo , ma un poco più largamente x Chiè , che non conoſca , che nell'acceſſioni della febbre , non ſi debba a niun modo cibare il malato ? ma sì general legge dover cgli riſtrigaendo avviſar , ch'alcuna fata anche ciò far colz venga . Nel duodecimo aforiſmo fi da briga , e ragionevolme te nel vero Ippocrate, di narrac i ſegnali delle durate delle malattie ; ma in materia di sì gran lieva, e onde , com'e gli medeſimo avviſa, depende il diritto regolaméto del nu tricar gl'infermi,ſecondo il ſuo coſtume, ofcuro , e intral Lito favella , e con poche parole ſi toglie dal doffo ogni ſeccaggine ; tralaſciando non per ſuo mal talento , ma per ſuo poco ſapere di far motto de'polſi. E quanto al fat to deglieſempli , egli è molto ſcarſo : recandone un ſolo della pleureſi, e nemeno in quella fi trova ſempre eſſer ve che apparendo nel cominciamento di quella lo ſputo , il male abbia poco a durare . Va errato parimente Ippo crate in dar intera credenza a ſudori , alle fecce , e ſpezial mente all'orina ; la quale per tralaſciar altre ragioninon tutta li ſepara dal ſangue ;maparte di eſſa trapelando dal ſacco latteo per una breviſſima ſtrada tragittaſi alle reni ; e ro , come Del Sig. Lionardo di Capoa. 297 comechè una sì fatta ſtrada ignoraffe Ippocrate, dovca pur cgli por mente ad alcuni beveraggi , che appena tranghiot titi , di preſente ſi orinano : e agli ſparagi , al Terebinto, e ad altre coſe , che ſenza toccar punto il ſangue alterano sé, fibilmente l'orina . Nel tredecimo aforiſmo dice Ippocrate , cheivecchi portano agevolmenteil digiuno ; e quindi paſſa a far paro le dell'altre età . Ma queſto è un'errormaſchio ; imperoc chè dal continuo ſperimento ne fi fa chiaro , ch'a’vecchi tra per la lor debolczza ,e perchè poco nutrimento traggo no da'cibi, aſſai ſpeſſo faccia meſtier riſtorarſi . E verilimo troviain noi l'avviſo di Celſo : inediam facillimè fuftinet media etates , minus juvenes , minimè pueri, & fenectutes confećti. Vien poil'Aforiſmodecimoquarto, il qual tanto ammi rar ſi ſuoledaʼnoſtri medici , cioè , che coloro , i quali cre ſcono , abbiano in copia grandeil caldo innato, e che per ciò faccia lor meſtiere abbondevol cibo , alorimenti il cor po ſi conſumi . Ma non avviſano coſtoro , che alcuni peſci creſcono oltremodo , e non che eglino caldi fieno , anzi só freddi si fattamente , che lc loro interiora agghiacciate,no altrimenti che neve li ſentono : come avviſa de’luccj del la nuova Francia il Padre Giuſeppe Breſſani : ho aperto (dic' egli) il luccio ancor vivo , e trovato il freddo del ſuo ſtomaco, quafi inſopportabile alla mia maro. Altra coſa adunque co vien certamente dire, che ſia quella , per la cui opera ben ,' digeſtendoſiicibi , e altra cagion concorrendovi creſcano glianimali; e a quella in prima dovea por mente Ippocra te , e poi diterminare ; ma eglia ciò non badando , indias poco ſiegue a dire nell'altro aforiſino , che di verno , o di primavera fiano le viſcere per natura caldiſſime , ei louni lunghiſſini ; e perciò in quelle ſtagioni più largo cibo dar ſi debba ;concioliecofachè l'innato calore allor creſca , cui maggior cibo certamente abbiſogna , e che di tal coſa nes fan pruova l'età , egli Atleti. Ma che fan qui tantc parole a ſpiegar una sì breve ſen tenza : ecco l'uſata felicità del ſuo breviffimo ſtile ; ma ab biz Рp 298 Ragionamento Quarto I biaſi pur ciò per niente , egli non è tuttoda trafandar fotro ſilenzio , che quantunquevero in tutti huomini , per tacer d'altri animali, ciò che diceIppocrate ſi ſperimentaſſe, che diverno , e di primavera affai meglio fmaltiſcanſi i cibi : la ragione nondimeno , che di ciò e' ne reca è falſa ; concior fiecofachè falfo apertamente ſia , che nelle menzionatcſta gioni caldiſſime fiano leviſcere degli animali; e perchè ciò vero fofle , nemen nulla montcrebbe : non facendoſi altri méte dal calore la digeſtione de'cibi: ficome ne ſiamo omai tanto accertati , chenon fa luogo, che lo vi ſpenda parola. Perchè in van brigafi Galieno di recare in concio d'Ippo crate le ragioni fanciulleſched'Ariſtotele , che le viſcere di verno caldiffime fiano, perchè il caldo, come ſenſo egliavel fe , e del circoſtante freddo ſentiſſe l'offeſe , alle più naſco fe interiora ſi rifugga ; e certamentecotal ſciocca filoſofia , che i luoghi ſotterra caldi ſiano di verno , e freddi di ſtate , per lo Termofcopio falſa apertamente ravvifaſi , comeché tali pajano a noi , che di ſtate caldi, e di verno freddi v’en triamo dentro . Ma avvegnachè a pro d'Ippocrate dir potrebbeſi , che di verno per eſſer chiuli i poridegli animali ſi venga aritener quella ſoſtanza , che di ſtate eſce fuori , la quale da al ſan gue col movimento il calore : non però di meno , come fiè accennato , manifcſtamente in noi ſtesſi ravviliamo le parti dentro del noſtro corpo tutte , non altrimenti, che quelle di fuora , effer più affai calde di ſtato , che diverno; ne per altro nella detta ſtagione così volentieri acque freſche, e altri raffreddari liquori beviamo ; ne Ippocrate medefimo oferebbe ciò negare ; il quale dice altrove , che di verno s' ingenera la flemma, ſecondo luifreddiflimo umore , eche avvengano lunghe , e cagionate da tardi , lenti , e freddi umori le malattie . Ma Galieno volendo le parti del ſuo maeſtro difendere , immagina sì fatta malagevolezzaceſare, con dire , che di ftate ſian calde , maggiormentc che diverno le viſcere , di quel caldo , ch'egli avveniticcio , e foreſtiere chiama ,ma non già miga deicaldo innato . Chiama egli caldo innato una i 1 1 DelSig.Lionardo di Capoa . 299 remo . una aerea acquoſa ſoſtanza d'un calor mite, e ſoave inſieme con gli animali nata , e avveniticcio allo incontro poi chia ma un caldo terreo mordace affocato ; e di queſto egli di ce nell'infelice difeſa del precedente aforiſmo d'Ippocrate contra Lico, che abbondevoli fiano maggiormente i giova ni , e di quello i fanciulli. Ma quanto ciò poco , anzi nulla approdi a difefa d'Ippocrate, noi or brievemenre dimoſtre Primieramente convien ſapere, che'l calore negli anima li naſce tutto dal ſangue ; perclié folea dire l'Arveo , altro non eſſere il caldo innato , che'l ſanguemedeſimo: folusnē pefanguis eft calidum innatum , ſeu primo natus calor ani. malis, uti ex obſervationibus noſtris circa generationem ani. malium , præfertim pulli in ovo luculenter conftat : utentia , multiplicare fit fupervacuum . Argomento manifeſtiſimo è di ciò , ch'io dico lo ſcorgere , ch'abbandonata dal ſangue qualunque parte dell'animale , immantenente ogni calor viene ella a perdere : e ſe mai eſce dall'animale tutto fuori il ſangue , ben toſto dal cuore , dalle vene , dall'arterie , da altre parti falde tutto il calor fi diparte. Vano , e falſo adunque è ciò, che con Ariſtotelecomunemente dir ſi ſuo le , il cuore effer fonte del calore : ne ſo lo vedere , come in sì fatta opinione compiaceſſeſi quel grandiſſimo filoſo fante Renato delle Carte ; imperocchè agevolmente egli avviſar potea il cuore noneſſer più caldo , che l'altre vilce re deglianimali. Ma fe'l ſangue ( e ciò avviſa infra gli al tri il noſtro Ippocrate ) per ſe ſteſſo non è caldo , convien! inveſtigare , onde il calore in prima gli avvenga,e la cagio ne per la quale caldo mai ſempre nell'arterie , e nelle vene quello mantieneſi . Credettero alcuni degli antichi, che'l fangue ſi riſcaldi , e caldo continuamente ſi mantenga , perlo movimento , che dal cuore , o dall'arterie egli conti nuo riceve ; ma non baſta certamente un si debile movie, mento a ingenerar nel ſangue sì gran calore ; anzi prima che'l cuore , e che l'arterie ſi faccian vedere nell'huomo , caldo vi ſi ſperimenta il ſangue ; ne meno a ciò baſtevole è certamente il ſuo perpetuo muoverſiin giro ; ma chiunque P p 2 pon 300 Ragionamento Quarto pon mente alla materia , onde ingeneraſi il ſangue, più age? volmente peravventura inveſtigar ne potrà la cagione. E gli faſſi séza dubbio il sāgue del Chilo, e'l Chilo s'inge nera d'erbe , e di frutta , e di carni, che altresì dell'erbe, e del le frutta vennero fatte , e ingenerate ; or sì fatte vegetabili ſostanze, come ancora le minerali,per la formentazione ſo la divengon calde sì factamente , che ſenza aver d'altro bi ſogno., mentre dura la forinentazione, dura parimente in loro più , o meno il calore ; cofa,la quale nel mofto, c in al tri ſomiglianti fughi da chiunque mente vi pone ad ogni ora ravviſar eglifi puote ; ma d'altra affai più nobile , e più maraviglioſa maniera certamente e' ſi pare quella formen tazione,che faffi nel fangue , la quale in parte è ſomiglian te a quella , che avvenir ſcorgeſi alle diſcorrenti ſoſtanze minerali ; onde avviene che lo ſpirito ,che per chimica ma no dal ſangue li trae, ſia gran fatto diffimile da quello che ſi tragge dal vino e da altri ſughi formientati vegetabili trar fi ſuole . Ma come veramente una tanta opera nel ſangue fi faccia , e qual ne ſia la cagione, non mi par tempo oppor tuno a conghietturare ; e baſti per ora ſolamente ſapere, la formentazioneeſſer quella , la quale diliberando nel fan , gue i ſemi del fuoco da que'ritegni , per li quali non pote vano eglino muoverſi di quel moto mai ſempre dilatante propio delfuoco , v'ingenera, e vi mantiene continuo il ca lore;ma nel ſangue poi(o in altro ſugo al fangue equivale te )de’peſci, o d'altri ſomigliáti animali, no mai calor fi rav vila; cõcioffiecofachè i femi del fuoco in lor fieno , o molto pochi, o in sì fatta guiſa con altri, & altri ſemi di varie altre coſe avviluppati,che mal ſi poſſono eglino per lo movime to della formétazione,conechè grāde e’lia agevolınéte ſvi luppare . Ma che che fja di ciò, uno ſolo è certamente per manevole negli animali il calore , il quale , or naturale , or non naturale porrà dirſi, fecondochè convenevole , o non convencvole e farà alla natura di quelli . Ma fe'l ſangue concinuo va cõſumandoſi cô ingenerarſene ſempre mainuo vo, intanto ,che dopo qualche giorno non ne riman più goc cia alcuna del vecchio, certamente convien dire ch'appena ne'fan DelSig.Lionardo di Capoa. 301 ne fanciullinon inolto guari dopo i loro naſciinenti il caldo innato ritrovar puoſſi; ed ecco, s'io pur non m'inganno, ca duti, e ſparti a terra fin dalle fondamenta i maggiori argo menti in difeſa della doctrina d'Ippocrate , portati per Ga licno . Ma per ritornare al noſtro propoſito : di ſtate pllo calore dell'aria circonſtante , la qual continuamente dagli huomi niper la reſpirazione li bee , e per le ſoſtanze del volante . ſalc , che'n quella , più , che in altra ſtagione nell'aria ſi ri trovano , sformatamente la formentazione del ſangue , e in eſſo in prima , e poi nelle viſcere divien più grande,e pa riinente ilcalore ; allo incontro poi il verno, mancando all' aria que'ſali, e tra per queſto , e per la ſua freddezza ſi di minuiſce colla formentazione, così nel ſangue,come nelle viſcere neceſſariamente il calore ; ne per altra cagione nel le parti di Settentrione il ſangue , e le viſcere , maſſimame te di verno non molto calde ſcorgonſi ncgli animali, e in alcuni di eſli mancar affatto ſi ravviſa ogni fcintilluzza di calore,sì fattamente , che per ogn’uno trapaſſati ſi ſtimereb bono ; ne pare dalla verità lontano ciò che de' Lucumori narra Sigiſmondo Libero : Dicono che agli kuominidi Lucu morie : coſa mirabile , e incredibile , e che ha più della favo la , che del verifimile : fuole intervenire , chequelli per ciaſ cun'anno , cioè a' ventiſette del meſedi Novembre , nel qual giorno appreffo de', Ruteni è la feſta di S. Giorgio , muojano,6 chepoi nella ſeguenteprimavera a'ventiquattro d'Aprile al la fimilitudine delle ranocchie di nuovo riſuſcitino . Ma che che faſi di quelli : lo dico , che ſe Ippocrate , e Galieno aveſſer voluto veramente filoſofare , avrebber per avven tura ritrovato la vera ragione , per la quale di verno , e di primavera i cibi meglio aſſai fi digeſtiſcano, eſſere ſolo per chè a que’tempi quella nobiliſima ſoſtanza, la quale fico municâ dal ſangue allo ſtomaco , e fa la digeſtione,affai più vigoroſa, e forte fia, che di ſtate non è, in cui per lo calore oltremodo in quello accreſciuto ſi diſlipa , e fi dilegua ; cf fendo ella , comechè accender non fi poffa , vie più dello {pirito delvino volante , e ſottile ; e per mancamento d'u pa co 302 Ragionamento Quarto na cotal ſoſtanza ſenza fallo avviene , che gli huomini, co mechèpiù caldi , men gagliardi ſi ſentano , e atanti della perſona . Ma nc .men ſe ſi concedeſſe a Galieno , che v'abbian ve ramente due ſorti di caldo negli animali , ſarebbe ciò pun-, to per giovare ad Ippocrate ; concioſliecoſachè , o innato , o avveniticcio che'l caldo fi concepiſca, purchè e' s'avanzi .nell'animale , conſumerà ſenza fallo il corpo diquello ; la onde ſe fi ammette la ragion da Ippocrate nel precedente aforiſmo recata , converrà certamente dire , ch'a' giovani più ch'a' fanciulli , e che di ſtate più che di verno abbon devol cibo faccia meſtiere ; ma ciò Ippocrate , e Galieno fe'l vedano , che per altro poiifanciulli più largamente eſ ſer denno cibati ; sì perchè abbiſogna lor copia di materia per creſcere , sì perchè la lor ſoſtanza più agevolmente fi dillipa; e quantunque di ſtate abbian più biſogno di riſtoro , e dicibo gli animali , nondimeno non molto bene, e per fettamente in quel tempo facendofi la digeſtione , convien che parchi ſiano alquanto eglino nel cibarſi. Ma lo laſcia to aveva di rammentarvi , che Ippocrate medeſimo rifiuta incautamente ciò, che Galien delle due ſorti di caldo, a pro di lui dice; imperocchè Ippocrate reca l'eſemplo degli atle ti, in cui certamente il caldo avveniticcio , è quel che ſovrabbonda ; tralaſcio ciò che dice parimente Ippocrates, cheivecchj per avere ſcarſità di calore , non ainmalino co sì , come i giovani difebbri acute; co che pare, che ne me no il calor de'febbricoſi , ſecondo Ippocrate, differiſca dal l'innato , ſalvo che per gradi . Maper mio avviſo la colpa tutta non è miga già diGalieno, ma d'Ippocratc ; imperoc chè egli,comechè no'l dica apertamente , ſuppone le due ſorti di caldo ; perchè nel medegmo aforiſmo a ſe medeli mo e'viene a contraddire . Nell'aforiſmo ſedecimo fi dice, chci cibi umidiconven gono a 'febbricitanti tutti. Ma a color , che patiſcon coti diane febbri, o terzane, diquelle chechiamāli( purie , i qua per tutto il corſo del male tengono lo ſtomaco , e l'altres viſcere ripiened'acquoſe , ed unnidiſſime ſoſtanze , lo per me li Del Sig. Lionardodi Capoa 303 me non sò , comegli umidi cibi poſſan unqueinai approda re. Lafciando egli poi di favellar più de'cibi , fa ſtrano pal faggio Ippocrate alle medicine purgative ; foggiugnendo nell'aforiſmo venteſimo, che quelle coſe , le quali o figiu dicano , o giudicate interamente già ſono , non ſi debbano muovere, e ne con medicine , ne con altro irritare , ma lila fcin così ſtare ; ſentenza, la quale con altre de' libri degli aforiſmi volle Ippocrate , che ſi leggeſſe nel libro degli umori , ed in altre ſue opere , e contiene ſenza fallo uil, atiliffimo avvertimento ;mapotea certamente Ippocrate far di meno ditorſi una sì tatta briga , cotanto ella è chia ra, e manifeſta coſa ; e nel vero chi ignorar mai potrebbe , avvegnachè non inai ſtudiato abbia in medicina , che ad huom perfettamente guarito della malattia , non che lava cuazione, che potrebbe di nuovo ſcopigliare il ſano ordi namento del corpo , ma niuna altra forte di rimedio non faccia meſtiere ? Ma forſe ſcorger dovette Ippocrate, che i medici de'ſuoi tempi, non altrimenti che li facciano og. gidì que' de’noftri , o poco , o nalla vi badavano ; e ciò per mioavviſo avviene , perchè di lor natura i medici avidi ſon mai ſempre di far coli, chepaja al vulgo grande ; come è il vuotar con ſalafli , e con purgative medicine ; e van cer cando ogniora qualche apparente cagione di poter ciò egli no fare ;eforſe che'l medeſimo Ippocrate non gliele porge allor ch'e ' dice in un'altro aforiſmo, che ciò che rimane dopole malattie foglia dinuovo ingenerarle ? ma chi ben riguarda la coſa , apertainente ſcorge, che non ſolamente in ciò ,che accénato abbiamo,maquaſi in tutte altre materie ritrovano i medici ciò, che lor fa inefticre, nell'opere d'Ip pocrate ; e queſta certamente è la cagione , per cuida'no Atri Setteggianti ſia Ippocrate in qualche pregio tenuto. Ma che che lia di ciò , dovea annoverar Ippocrate minutamen te i ſegni , per li quali ravviſar poſſa il medico , che'l male interamente lia andato via ; c que'ch'egli altrove , e Galić nelle chioſe brievemére produce in mezzo ,quáto ſianofal laci ognun per ſe ſteſſo conoſcer puote . Doveva pariméte Ippocrate ſpiegar diligenteméte,che ſia ciò che rimane do po le A 304 Ragionamento Quarto po lemalattic ; es aitro e' non dice, niente certamenteegli inſegna , chenon ſia a tutti ben noto . Dice indi nell'aforiſmo venteſimo primo Ippocrate, che ciò che vuotar fi dee ,per le ſtrade, onde ha egli cominciato ad uſcir fuori, e per li convenevoli luoghi convenga vuo tarlo . Qui il gran macſtro delle più aſcoſe materie dell'ar te , non fi dipartendo dall'uſato ſuo coſtume , imprende ad inſegnare faccenda, eziádio alle madrine manifefta; e non fa menzione di niuno di quegli avvertimenti, i quali dovca egli negli aforiſmicertamente regiſtrare ; cioè quali vera mente li licno que'luoghi, ch'egliappella convenevoli, come talora tra per la delicatezza d'alcune parti , e per le mordacità de’lughi , o per altra cagione convenga al me dico altrimenti operare di quel ,che li faccia la natura. Vien poſcia quell’Aforiſmo altrove da noi recaro , che contiene nel vero un'ammaeſtramento molto , e molto ne ceffario a ſaperſi dal medico intorno al tempo delle purgam gioni nelle malattie ; ma da’ſeguaci d'Ippocrate , e diGa licno , come abbiam dimoſtrato,in niunconto tenuto . Mów la colpa , s'Io pur non vado errato , in gran parte ſi dec ad Ippocrate attribuire, ilquale dovea certamente ſcriver co ſa di sì gran momento d'altra miglior forma,e produrre in mezzo le ragioni, e le ſperienze, che fanno al propoſito , e poſſono la verità dalui inſegnata appieno aʼmedici perſua dere. Ma il buono Ippocrate ciò traſandando logora il té po in narrar altre inutili novelluzze ; anzi con recar egli quell'altro Aforiſmo :nel cominciamento de’mali , ſe pu re ti pare, che s'abbia a muovere, tu muoverai: séza giugner altro, comecertamente dovea eglifare,da cagione di por re in dubbietà ciò che prima avea egli inſegnato . Nell’Aforiſmo ventitreeſimo ripete Ippocrate vanamé te ciò ch'egli altre fiate avea detto;ma ciò ch'e'poſcia v'ag giugne , egli è certamente un'avviſo così fuor di ragione , che giuſtamente da più avveduri medicanti , comechè per altro ſuoi parziali,vien traſandato ; cioè che vuotar fi deb ba fin’allo sfinimento , ſe mai ne ficcia inelticri, purchè pof ſa comportarlo l'infermo. Maquinon ha dubbio nuno , che Del Sig.Lionardodi Capoa. 305 che Ippocrate dato c'non abbia il cervello a rimpedulare; imperciocchè non ſi rammenta , che poco addietro corali vuotamenti avea egli oltremodo biafiinati, ſaggiamente ſti mádogli di grādilimo riſchio; quantunque egli in ſe ritor nato altrove poidi nuovo gli rifiuti.Ma più v'è di male , che Ippocrate no fa parola niuna diqual vuotaméto intēder vo glia ; ſe di quel , che per li ſalaſli , come ſpiega Filoteo , o pure diquel, che per le purgagioni s'adopera; come rac coglier fi può da ciò , che in prima egli ha detto ; o diquel che fafli , e per gli uni , e per l'altre ,comevuol Galieno , il quale ſcioccamente approva nelle chioſe la menzionata , dottrina dell'Aforiſmo, Ma ſe mai d'un sì grave fallo ſcu ſazion ritrovar poteſſe Ippocrate , e vero foſſe ancora in qualche malattia haver luogo sì fatte eſtreme,e mortali va cuazioni, Io ſaper vorrei da lui,comemai cotali purgagioni s'abbiano a porre in opera sì , che o giúgano appunto allo sfinimento,o no’ltrapaffino anche di molto; perciocchè con graviſſimo riſchio del povero infermo sì fattamente ancora operar potrebbono, che colle liquide ſoſtanze curte ſi vuo caſſero päriméte le falde,anzil'anima ácora, e 12 vita ;séza chè p cercana (periéza abbiamo, che debile, e ſpoſfata puc gativa medicina ralormolto vuoti , e groſſo calice d'ama riſſimo , e violentiſſimo beveraggio nulla non operi, ſecon dochè 'l corpo, più, o menvi & ritrova adatto ;perchè trop po pericoloſo nel vero riuſcirebbe a porre in opera l'avviſo d'Ippocrate , ponendoci a troppo ſtretto riſchio d'ammaz zar l'infermo, o di nulla giovarlo . Ma poſto , che ciò che inſegna Ippocrate ſi poreifc dal medico ſicuramente legui re, qual pro per Dio a’milerellilanguéti mai ne avverrebbe, ſe di neceſſità le più nobili, e utili foſtāze del corpo s'avreb bono ad un'ora a vuotare? e quì ci accade d'avviſar la ſcioc ca pecoraggine d'alcuni medicāti de'noſtri tempi, i quali no avendo ardimento d'imnitar Ippocrate , e Galieno nel ſe gnare fino allo sfinimento , l'imitano poi nell'uſare violen tillime, e nocevoliſſimepurgagioni: follemente immagi nando ,nel far grandemente vuotare , tutto il ſapere, e'l va lore del medico , e l'eccellenza dellamedicina confiftere ; e RI pure 306 Ragionamento Quarto - pure il medeſimo lormaeſtro Ippocrate apertamente avvi ſa,che non miga per la quantità s'abbiano a ſtimare le pur gagioni , ma per la qualità degli umori,che ſi vuotano.Ma trapaſſando al ſeguente Aforiſmo:ciò che ſi dice in quello , giàvenne detto in prima nell'Aforiſmo ventidueſimo; per chè chiaramente ſi vede , che Ippocrate follemente riſpar miando le parole nel biſogno maggiore , le conſuma poi , ove non fa meſtieri ; ma non una , o due fiate egli in ciò ſi vede fallare ; e ſimigliantemente ciò , che ſi dice nell'ulti mo aforiſmo, fù detto già nel ſecondo ;perchè egli vien giu dicato ragionevolmente vano , e ſoverchio da Galieno ,che che fi dicano in contrario gli altri chioſacori :onde non è da farne più motto . Egli era sì agevole impreſa ad Ippocrate il dettar aforif mi , che lo immagino , che egli dormendo ancora ne com poneſle; imperocchè non ſolamente in queſta , ma in cuce ' altre ſue opere gliva egli ſeminando; e quelche più dej recar maraviglia ſiè , che ne reca alcuniegli ſovente , che colla materia , la qual ſi tratta non han punto che fare; ma quando di ciò lo vado ricercando la cagione, ritrovo da al tro una sì fatta agevolezza non procedere, ſe non fe dal ſuo poco intendimento , e dal non diſaminar lui bene le coſe ; perchè fi verifica in Ippocrate quel faggio avviſo d'Ariſto tele , che coloro, che a poche coſe riguardano agevolmea te diterminano ; e quindi avviene , ch'egli tratto tratto diſguiſato , econfuſo non ſerba ordine, o maniera alcuna , a guiſa de’noſtri Romanzatori , i quali di palo in fraſca ſem pre faltando, quando men s'aſpetra, rompendo il fil del ra gionamento ci laſciano , e d'alcro imprendono a ragionare. Malafciam Bradamante , e non v'increfca V dir , che così reſti in quell'incanto, Che quandoſarà il tempo , ch'ella n'eſca La farò ufcire, c Ruggier' altrettanto, Come raccende il guſto il mutare efca , Così mipar , che la mia iſtoria quanto Or quà ; or là più variata ſia , Mero a chi l'udirà nojoſafia. Così Del Sig.Lionardo di Capoa 307 2 L Così il noſtro Ippocrate ora laſciando di favellar delle purgagioni,nelſecodo libro a far parole del ſonno trapaſſa, dieědo : il ſonno ove in alcuna malattia fia tormentoſo ne addita quella eſſer mortifera ; ma ſe ſarà egli giovevole,ne fa avviſati non eſſer mortale . Egli l'ha indovinato certamente alla prima ; e non veg giam noi tutto di trap.affar molti, emolti, che tempo del male piacevol ſonno agiatamente ſopiva : e allo incontro rimaner in vita altri , che nelle loro malattie da funcſtif limiſogni,o da altro aſpramente fur dormendo travagliatis Or non avvien quaſi ſempre nell'avanzamento dell’avute malattie , che gli infermi più moleſtia in ſonno , ch'in veg . ghiando patiſcono ? e purnondimeno eſli per la più parte riſanano ; oltr’a ciò le terzane , e tutt'altre febbri intermit centi fogliono il più delle volte con faſtidioſi ſonni gli am , malati sformatamente annojare : e pur le sì fatte,ſecondol' avviſo del medeſimo Ippocrate,non fon di riſchio veruno; e quantunque ,per parere diGalieno, Ippocrate non intenda , di favellar de fonnida tali febbri avvegnenti, pur nondi meno era il diritto ch'egli l'aveffe apertamente ſpiegato, ne miga alla diſcrezion de'chioſatori , o de' lettori laſciato. Nel ſecondo Aforiſmo afferma Ippocrate , che ſe'l ſon no la farnetichezza raccheta , vada ben la biſogna . Ma che è ciò per Dio , ch'egli dice ; Io vo conceder , che talor vaglia , ne vi ha chi il nieghi , ch'un placido, e ſoave ſonno valevole ſia una ſinaniante farnetichezza ad attutare : eche aver fano l'intelletto ſia coſa non che buona, maottima ; ma ſe un sì fatto giovamento s'aveſſe altronde, che dal sô no , domine ſe ſarebbe male ? e ſe ſarebbe ancor bene,ab biſognava certamente Ippocrate dir nell' Aforiſmo : buona coſa è , che i farnetici dal lor farneticare riſanino ; e five drebbe ſenza fallo regiſtrata una dottrina nel divino volu medegli Aforiſmi da fare ſcorno alla concluſione di quel ſovrano collegio de’medicanti, la ove tutti conchiuſcro, che Mecenase non aveva ſonno , E queſt'era cagion,che non dormiva ”. Ma quanto meglio avrebbe fatto Ippocrate , e quanto Q92 con 308 Ragionamento Quarto 2 $ con avanzaméto della medicina ſpeto avrebbe egli il tem po, ſe in vece delle sì fatte novelluzze aveſſe impreſo a rac corre , e a dimoſtrarne di quanto riſtoramento ne fia il ſon none come allettar fi poffa a recarne quelle tante utilità ,on de ragionevolmente ilParacelſo ebbe a gridare : fomnus Jant um arcanum eft in medicina ut libenter ab aliquo fcire velim , abfit difto error , an , & qua medicina fit, quæ in omnibus morbis, tampræfens, & repentinumfit auxilium , adeoque corpori , acfanitati condueat æquè ac fomnus. Co sì col grave fafcio di penſieri ſogliono i malati laſciar an che i più oſtinati dolori della perſona, allorche luſingando loro le pupille il ſonno dolcemente gli abbandona in fule piume; laonde non ſenza qualche ragione l'autore dell'in no ad Orfeo attribuito,chiama il ſonno Re degli huomini, c degli dei Somnequies rerum ,placidifſime fomne Deorum , Paxanimi , quem cura fugit,tu pectora duris, Feſa minifteriis mulces , reparaſque labori . Canta Ovidio ; e Seneca Tuque à domitor Somne malorum , requiesanimi, Pars humanamelior vitae E'I Caſa O ſonno, o dela queta umida ombrofa Noite placido figlio , o de’mortali Egri conforto, oblio dolce de'mali Si gravi , ond'è la vita aſpra , e nojosa E'lTallo Padre Orche m'arde l'a febbre gorche'l vigore Vital m'invola il duolo acerbo , e rio , Col ramo: molle dell'onde d'obblio Torrai laluce agli occhi, ame l'ardore ; ne altro rimedio ritrovò Erminia ( appo il maggiore deno Itri Poeti ) .a? ſuoi dolori,che'l ſonno Cibo non prendegià , che de'ſuoi mali Solo fi paſce, e för di pianto ha fete ; Ma'l funno, che de'miſeri mortali E' coiſko dolce obblio poſa, e quiet thing Son . DelSig. Lionardodi Capoa 309 Sopš coʻfenfi i ſuoidolori , e l'ali Diffefe fuura lerplacide , e chete . Ma comechè ciò fia vero , pocomontava a noi certame te il faperlo , fe non fappiamo inſieme chenti , e quali ſiano irimedj daciò operare;perchèdovea certamente Ippocra te diviſare inſieme degli argomenti , onde a’malati ſi può chiamare il ſonno ; e comechèoſtinato ingannarlo : e non folamente dire cheil ſonno approdi a corali infermi. Ma forſe lo vado errato ; perciocchè non fo com'egli il pur rivelò af fuo Signor de la Sciambre , e fe , che colui n'in fegnaffe i ſentimenti di lui, o per fua dappocaggine, o per la ſua natural mutolezza in prima naſcoſi : conciofoffe co fa , che chioſandocolui queſto ſecondolibro, ſcritto aveffe: nel titolo : nova ratioexplanandi aphoriſmos Hippocratis , per quam uſusaphoriſmorum ab Hippocrate intenti, nec ta. mea conſcriptireperiuntur . Econ queſte magnifiche pro. meſſe venendo egli poi al poſtro Aforiſmo , dice per fenté za d'Ippocrate : ad praxim revocabitur hæc prognofis, ſiis ejufmodi effe&tibus appoſitis remediis fomnus concilietur . Ma prima,chc a lui ne diè la curaIppocrate alParacelſo d'avvi ſarlo , il quale nelle chioſe del derro Aforiſmo diſſe : Som nifera quomodocunqueea vocentur àquolibetmedico fummo perè conſideranda Junt ; fomnusenim medicina ef ſuperans omnia arcana gemmarum ', cu lapillorum pretioforum . Qui Natura Arcantfomniferumexconvenienti effentia desīte ptum ,rectè applicare novit,is magni apud ægrotosfaciendus eff . Non igitur folum defomnisnaturalibusHippocrates bic loquitur ,fed oportet ut euminrelligatis , fcut medicum ex pertum , qui ex fpiritu medicina locutus eft , non ut Humori Ba, qui ignorat quid fit fomniferum ,fed ut artifex . Mache mivo Io più nel farnerico degli Aforiſmi d'Ippocrate lun gamente avvolgendo , i quali di sì picciola levatura ſono , quára per noifin'ora s'è accénata. Vegga pur chiunquecó animo tranquillo , e ripofato , e veramente da filoſofo daw niuna paſſione imbardaro , e'sì gli giudichi cutti , e ſottil mente gliſtacci, cheſenza troppa fatica logorarviagevol mente ritroverà eſſer i rimanenti tutti della medeſima va glia 310 Ragionamento Quarto 1 9 1 glia diquelli, che fin quì diviſati abbiamo :eche malamē: te allogata abbian l'opera in affibbiarvi tante chioſe , eco mentiſopra,i noſtri medici, mallimamente il narrato Signor della Sciambre , il quale lo non sò con qual arte s’indovis ni , e a noivoglia comunicar corteſemente ciò che Ippo crate avea intenzione di dire , e'l racque ſolamente per ri ſerbare al ſuo valoroſo ſegretario la gloria d'una sì magui. fica impreſa . Ma ſe bene Ippocrate detto veramente aveſ ſe ciò che il Signor della Sciábre diviſa , e pretende aver il maeſtro a bello ſtudio tacciuto , gran coſa pur cgli non fa rebbe , come ſi può ſcorgere nelle ſue chiole . Ma incom portabile certamente, e' mi pareil Signor de la Sciambre, Aon ſolamente, perchè in ogniaforíſino coſtantemente egli afferma queſto , o quell'altro aver Ippocrate avuto in men te di dire,ma eziandio, perchè talora in materie chiariffime ci vuol'egli far vedere per roſſo il giallo , ficome quando p ſoftenerche'l , ſuo modo di medicare non travii dagl'inſe gnamenti d'Ippocrate , vuol farne a credere colui aver avu to in animo , che ancora fuori del gonfiamento le crude materie vuotar fi debbano ; error,che in verità non mai gli porè cadere a niun modo in penſiero . Or ſe la potente faſcinazione dellepaſſioni non aveſſe magagnate le menti de'chiofatori , eglino ſiſarebbono , fe lo diritto eſtimo, da per ſe del poco , 0 niun valore del volume degli Aforiſmi agevolmente avveduti, almen per quelli che perentro ma nifeſtamente falfi vi s'avviſano ; intanto , che ne meno il tanto parzial d'Ippocrate Galieno , e altri ſeguaci di quel lo gli han voluti torre a difendere . Ma comechè cotanto imbardato fi moftri Galieno delle dottrine d'Ippoctate pur egli falſo a cento , c mille pruove confeſſa apertamente ayer lui ritrovato quell’Aforiſmo, il qual dice , che ſe mai la rete efca del ventre fuori, abbia di neceſſità a infracidire. Machi falſo parimente non ravviſa quell'altro , ove inten de Ippocrate didarne certi ſegnali da conoſcer le donne in cinte , dicendo ; ſe conoſcer tu vorrai quando la femmina gravida ſia , innanzich'ella vada a coricarſi, dalle bere la mulla, e s'ella ſarà moleftata da’dolori del ventre, di certo, che DelSig.Lionardo di Capoa 311 che ſarà gravida: ſe nulla ſentirà ella nonaverà concetto.E fe l'aforiſmo è falſo , abbiſogna anche dir , che in vano ſi becchiil cervello Galieno per recare la cagione, perchè abbia a farſi dopo il definare cotal operazione ; è falſo diſ fe Avicenna,chedell'error dell’Aforiſmo in parte s'avvide , che tal fatto avvenga a quelle donne, che non hanno in co ftumetal beveraggio ; imperocchè a quelle donne, le qua li per addietro non mai l'aſſaggiarono , o gravide , o non , gravide , che ſiano elleno , foglia talora la mulla dolori di ventre cagionare : il che avviene ancora dalla mulla com, poſta coll'acqua piovana , della quale alcuni immaginano aver Ippocrate favellato. Falſo pariméte ſcorgeſi l’Aforiſ mo , che mortale ſia a donna gravida ogni acuta malattia . L'Aforiſmo , di cui meritevolmente dice il Santoro : ne , mofana mentis defenderet hunc aphoriſmum : cioè, che co loro , de'quali l'orina è fabbionoſa abbian la pietra nella veſcica, che che a difeſa d'Ippocrate il Zecchi ſi dica , egli è così apertamente falfo , che Ippocrate medeſimo altrove lo rifiuta , e ripiglia fortemente alcuni antichi medici , che ciò dicevano · Galieno ancora avvifa la ſua falſità , e dice eſſer errore d'Ippocrate , o dc'copiſti, e che l'Aforiſmo do vea dire , o nella veſcica , o nelle reni ; ma con cutta que fta aggiunta di Galieno , falſo altresì tutto di egli ſi ſperi menta.e Girolamo Cardano nelle chiofe,dice lui ſteſſo per lo ſpazio di trenta anni aver avuto l'orina ſabbionoſa , ſen za aver avuta mai menoma pietra , o nelle reni , o nella ve fcica . Soggiugne oltre a ciò , che di dieci perſone appena che una additar ſe ne poſſa , che non abbia l'orine ſabbjo noſe : e pure rari fon coloro , che han pietre nelle reni , e radiſſimi coloro, che l'han nella veſcica . E oltre a ciò egli racconta , che gli Spagnuoli poco men che tutti fan l'orina ſabbionofa , e nondimeno pochiſſimi vi ſono infra loro, che patifcano il mal della pietra . Ma non menofalſo è quello altro aforiſmo ,che'n bocca de’medici tutto di eſſer veggia mo,cioè,che que'febbricofi,i quali fan corbida l'orina , qua le è quella de giumenti, o hanno attualmente , o auranno di preſente dolor nel capo . E quell'altro , che a coloro , a ’ qua 312 RagionamentoQuarto quali nelle febbri ogoigiorno viene il rigore , ogni giorno le febbri ſi tolgano. E quell'altro , di cui Giulio Ceſare della Scala , così a Girolamo Cardano ragiona : nequemés ægrotat , ut falfo voluit Hippocrates , cum dolorem , quo cru ciamur non ſentimus: comechè non vera ſi trovi la ragione , checolui poi ne recà ſoggiugnendo :fed quoniam dolentem ad locum fubfidii ergo diſtracti ſpiritus non repreſentantur, imaginationi. E quegl’aicri, ch' alle femmine, alle quali corrono imeſtrui,e agli Eunuchi,non mai vegna loro la po dagra . Maquale ſciocca femminella nõ riderà ſtrabocche volmcntc in udendo quell'aforiſmo , che i malchi per lo più s'ingenerino nella parte deſtra della donna , e le fem mine nella ſiniſtra ? E di quell'altro , che ſe la donna aura conceputo maſchio , ſi vedrà ben colorita in volto ; mares avrà conceputa femmina , farà pallida ; e di quell'altro : ſe una donna non ſarà gravida, e vuoi ſapere ſe concepirà ,co prila bene con panni, e di ſotto adopera ſuffumigji e feľo dore per entro il corpo vedrai, che vada alla bocca , e alle nari , ſappi, che per ſe ella non è ſterile . Taccio altri , altri aforiſini intorno alla medicinal materia, che fan vede re , che Ippocrate poco avea che fare certamente quando fcriveva un tal libro , ſe vi pone sì fatte fraſche , che ſe ben vere elle foſſero, non però di meno non ſono tali, che debu ban regiſtrarſi in un'opera nella quale intende Ippocrate inſegnare le più ſegrete coſe dell'arte. Ma ad altro facendo paſſaggio: già noi veduto abbiamo quanto poco Ippocrate intelo foffe della natura delle co fe pertinenti alla medicina ; ma ſpezialmente anche ſi pa che niente fi fu egli certamente ſcorto della ſto ria delle parti del corpo umano , e degli ufici di quel lc , e del modo , col quale adoperano , come ogn'un può ſcorgere in tutti i ſuoi libri , che non fa meſtieri, ch’lo ne faccia parola . Solamente narrerò, come per ſaggio dell' altre coſe , ſicome intorno a ciò filoſofi egli una fiata , di cendo , che quelle parti , che ſono ampie nel ventre, e ftret te nella bocca , com'è la veſcica , il capo , e lå matrice, ſon fatte per attrarre, eche apcrtamente queſte sformatamen re , 1 1 1 . te tras 1 i DelSig.Lionardo di Capoa. 31 ; te traggono , e ſon pieni degli attratti umori ; ene reca per ragione il vederſische colla bocca aperta nulla ſi trae , e che fporgendoſi in fuori poi, e ſtrignendoſi le labbra , e adata tandovi una fiſtola ,ſi trae agevolmente ciò che ſi vuole , e che le ventoſe , le quali ſogliono appiccarſi per attrar re dalla carne , ſiano ampie nel ventre, e ſtrette verſo la bocca; ccco le fue parole : Το μειο ελκύσει εφ' εαυτό, και έπεσα σας υγρότη εκ τέ άλε σώματG- , πότερον τα κοίλα π , και εκπτ . παμύα, ή του στρεά της και τρο/γύλα, και του κοίλα τε, και ές στνον εξ ευρές . συνη μία , δύναιτ' αν μάλιστα , οίμαι μύτσι τα τοιαύτα εις ενόςσυγγ μένα εκ κοίλε ε , και ευρίG-' καζ μανθάνειν δε δεί αυτα έξωθεν εκ τω. φανερών • τέτο με γαρ,τησόματι κεχίωώς , υγρόν δεν αναστάσεις προσμελήναςδε , και συσείλας και πιέσεις τε τα χίλεα · έτι τε αύλον ποθέ. μυς , ρηιδίως αναστάσεις αν ό , τι θέλας • τούτο δε, αί στκύαι ποζαλό μίμαι εξ ευρές ως πνώτερον ενενωμέναι πες τούτη τεχνέαται , προς το έλκαν από της σαρκος , και επιστά αλλά και πολ α τοιούτοςοπα · των δ ' έσω του ανθρώπς φύσης, χήμα τοιούτον• κυρίς τε , και κεφαλή , και υπέ es γυναιξί - και φανερώς αύτο μάλιαάλκει και πλήρεςέπν επαρκτα υγρό Tuloi aici . Non occorre , che Io mi dia briga in diſaminar si fatte fanfáluche , potendo ogn'ın per ſe medeſimo ravvi fare, ſolamente in udirle ſoluna fiata, che contengono più errori , che parole . Egli vuole , che la veſcica tragga l’o . rina ; il che tanto è , quanto s’un diceffe,che'l letto del ma re tragga l'acqua da'fiumi;e'l medeſimo dir ſi puote del ca po , e della matrice . Ben ſi pare poi , ch'egli ignorimolte di quelle ſtrade, per le quali le diſcorrentiſoſtanze ſi por tano in diverſe parti del corpo. Ma egli è diſadatto l'eséplo della bocca, e delle ventoſe, comechè egli pur ſi cõcedeſſe , ch’elleno adoperaffero per traimento , ficome fin ' a' dìno ſtri han follemente creduto , e inſegnato le ſcuole ; ma qual maraviglia , che ciò Ippocrate aveſſe affermato , s'cgli ſcriſ ſe ancora nel libro della natura del fanciullo, che lo ſpirito caldo tragga a ſe lo ſpirito freddo , e ſe ne nutrichi : Távce δε , σκόσα θερμαίνεταικαι πνεύμαέχει το δε πνεύμα ρήγνυσι , ποιέει οι οδον αυτ έωυτώ , και χωρέσα έξω · αυτό δε το θερμαινόμενον έλκα ες έωυτο αύθις έτερον πνεύμα,ψυχρόν δια της βαγής , αφ' και τρέφεται. Νce vero cioche diccAndrea diLorézc, cheIppocrate ſapeſſe títo dinotomia Rr quan Ι 314 Ragionamento Quarto 1 quanto gli faceva luogo per la medicina; concioſliecolache dubitar non ſi poſſa ,che molte, e molte coſe di notomia , che neceſſarie séza fallo ſono alla medicina razionale ,igno te affatto gli foſſero ; imperocchè, per tacer d'altro,cgli è certamente neceſſario a quella il conofeer chenti, e quali fieno i movimenti dell'arterie , le itrade del chilo, l'aggira mento del ſangue , la fabbrica , e gli ufici delle giandole, e altre , e altre molte coſe , delle qnaliniuna conrezza ebbe egli giammai ; nondimeno avvegnachè queſte, e altre co Scaffai, pertinenti alla medicina ignoraffe Ippocrate , non ſi può negare , cheegli molto nous'avanzaffe ſopra tutti gli altri medici de'ſuoitempi, per quel , che noi fappiamo , il che da altro certamente non nacque , che dal talento natu Tale , che egli ebbe adatto aſſai al ineſtier della medicina, il quale ajutò egli , e accrebbe ſommamente in coltivan do oltremodo quella parte alla medicina , molto neceſ faria , qual è ſenza fallo l'offervazione ; e nel vero Ippocra te fu un curioſo oſſervatore ; perchè ebbe a dire di lui Ga lieno , ch'egli affai più coſe colla ſperienza , che colla ra gione conoſceſſe; e il meglio certamére avrebbe fatto egli, le trafandate tutte altre biſogne, a queſta ſola inteſo ſem pre aveſſe ; e ſenza ad altro inframmetterſi aveſſe folamen te narrata la nuda, e femplice ſtoria intorno agl'infermi da lui medicati ; ma nondimeno non ſi ſcorge aver egli tanti felicità nell’ofſervazioni Ippocrate , che, o per poca dili genza , o per alcro , che ſi fia egli ſovente non inciampizma quel , ch'è peggio, anche talora in coſe agevoli molto ad offervare e fallare ſcioccamente ſi vedese ciò ch ' e'nenar ra , ne men per avventura il direbbe un rozzo, ed ineſperto huomo dicontado . Ma in quella parte poi della medicina , ch'alla dieta ap partiene egli li portò nel vero così bene Ippocrate, che niu na cofa par che glimanchi; e di certo e' ne meriterebbe una grandiſſima loda , ſe queſto medeſimo non faceſſe aperta mente conoſcere , ch'egli ſtato foſſe molto manchevole , e difettoſo in quel, che più propio , e neceſario egli è in me dicina, e in cui conſiſte , ed è riporta l'eccellenza, anzi l'cf fere Del Sig.Lionardo di Capoa. 315 1 ſere tutto del medico ; cioè nella concezza de'inedicamen ti : maſſimamente di quelli , che tali veramente ſono , e che da’moderni , ſpecifici chiamanſi ; i quali ſenza cagionar ne vacuazione , ne movimento altro niuno han virtù d'eſtin guere il male , e riſtorar l'infermo ; ina comechè in ciò affai mancaffe Ippocrate, purebbe egli tanto intendimento,che ne'mali acuti della ſola dieta per lo più ſi valſe , rade volte adoperando i vuotamenti, come colui, che ben conoſceva, ch'eziandio con yuotare gran quantità d'umori , le malat tie per lo più ſi mantengano nel loro vigore. Ma che poco foſte inteſo de medicamentiſpecifici Ippocrate, ſipareaper, tamente da chiunque ſi da cura di legger i libri degli Epi demj , ne'quali ſi veggon le malattie ne'terminiloro fatali , o in bene,o in male eſſere oftinatamente terminate; c alcu . na fin’al centeſimo giorno eſſer durata . Si ſcorge ancora ciò nelle medicine , le quali egli adopera , come quelle che pericoloſe ſono , e poco efficaci, come ſono infra l'altre ch' Io taccio , comea tutti conoſciute, le cantarelle , di cui egli ſi vale temerariamente in verità nell'Idropiſia ,e in altri ma li dando cinque di effe , e togliendone ſcioccamente il ca po , i piedi, e l'ali, che potrebbono in parte rintuzzare il lor veleno ; e racconta Galicno, ch’un medico per ciò aver yo luto fare aveffe ucciſo miſerevolmente un'infermo; ma tã. to e' ſi compiacque di sì beſtial medicamento Ippocrate , che con peffimo conſiglio e' vuol , che le cantarelle ſi met tano entro la matrice per vuotarla de’malvagi umori ; ove pone egli in opera ancora l'Aglio, il Pepe, e la Sandaraca, la quale,comemoſtra il Mattioli , è una ſpezie d'orpimen to velenoſo corroſivo , cd altre, ed altre cauterizzāti medi cine ; il che volendo ſcioccamente un medico de’noſtri tem pi parzial molto d'Ippocrate una fiata iinitare , riduſſea , pèſſimo ſtato una povera inferma.Neper altro,che p máca méto ď' efficaci medicine nell'interne infiamagioni ſegnar ſuole Ippocrate fin allo sfinimento ; c quel che ſi è il peg gio , e Galieno malagevolmente il comporta contro le ſue medeſime regole,nella pleureſi,ſe nelle parti interiori ſi ſtea da il dolore , ſolve egli il ventre coll’elleboro, e col peplio, Rr 2 Ma و 310 Ragionamento Onarto Ma chi voleſſe annoverar le mal preparate , violcntise veler noſe oltremodo , c ſtrabbocchevoli medicinc,che ſuol por re in opera Ippocrate , elle ſon tali, chei medeſimi ſuoi fee guaci meritevolmente l'han poſte in miſuſo . Ne per al tro parimente egliconfiglia, che la febbre non s’abbia a mi tigare nella punta, per fette giorni, e ſi debba dar largamé, te bere,o aceto co mniele , o aceto con acqua: Ineueſten we xex άσθαι ή πυρετόν μη παύεινέστα ημερέων ποτέ δε χρήσθω,ή οξυμε aixpýtw ,vi šče xzi üfatı:oltre a ciò ſoggiugne egli poco ap preſſo,che nel quinto , e nel ſettimo giorno ſi debbano por re in opera gagliardiflimemedicine da ſpurgare ben bene il petto ,acciocchèil ſettimo giorno menmoleſto all'infermo poi fi faccia fentire : και έτι τή αίματη , και την έκτη ισχυροτύτοιστ χρέεσθαι τσιστν επαναχρεμπτηeίοισι φαρμάκοισι , ως την εβδόμην δια jnásoe spegno dydyn . Ma da queſto ,e dal non eſſer ben lui ſcor to dell'altre coſe della medicina naſce il peſſimo conſiglio , ch'egli da al medico :che non avédo egli contezza del male adoperar debbamedicine,manon molto gagliarde ; e ſe co un tal argométo ſcemerà il male,gli addicerà,che curar e'l debba coll'aſciugare ; ma ſe'l male non ne ſcemerà , e ne di verri piti graveil citrario fardovrafi: Τών νουσημάτων ,ών μη επί 5ηταί τις , φάρμακον είσαι μη ισχυρό ,. ήν δε ράων γένηται , δίδεικται «δος , εύπεπιέον έσιν ισχνάναντα • ήν δε μη ραων ή , άλλα χαλεπώτερον Xu tavavila . Dalle quali parole, e da quel che indi appreſſo edice apertamente ſi ravviſa aver Ippocrate voluto in tendere , che il medico ,non ſappiendo qual male l'infermo paciſca,fi vaglia delle purgative medicine ; e che altro per Dio avrebbe mai potuto Maeſtro Simone nello ſtudio di -Bologna a'ſuoi ſcolari infegnare Magli ſcherzi laſciádo , intorno a ciò certaměte parmi più faggio aſſai il coſiglio d ' Avicenna, il quale vuole,che il medico no conoſcêdo ilma Ic , altro farnon debba , ſalvo che preſcrivere all'infermo una rigoroſa dieta , e intáto ſtar cauto , cariguardo per po, ter quello per qualche ſegnal fotcilmente avviſare . Ma della fuadebolezza ben avvedutofi Ippocrate , per guadagnarſi il buon nome, ſeguendo egli il coſtume degli alori medici, cheabbiamonarraci , coll'arti, e colle giun, 1 terie Del Sig.Lionardodi Capoa. 317 terie ricoprir cercolla , perchè diede opera grande agli arr tivedimenti , e ne ſcriſſe molti libri; ne per altro cgli com pole ancora illibro degli inſogni; opera ridevole allai nel vero, la qual ſembraverainente fatta per huon , che lo gnando færnetichi ; perchè mi maraviglio forte della follia di Giulio Ceſare della Scala , che ſi diè briga d ' appiccar gli sù un comento . Divulgò altresì Ippocrate per la me deſima cagione quel celebre ſuo ridevole giuramento , in cui no lo lo fe più ammirar ſi debba la ſua ſciépiezza , o law fua malizia . Quelle cofe , ch'e' giura Io non le reco ; ma ben può ſcorger ciaſcuno ,che elle vi ſono poſte tutte per farlo credere huomopio , e divoro , non altrimenti , che Ser Ciappelletto per la ſua falſa confeſſione. Ma nientedi meno non furono baſtevolitanti se sivarj artificj , ch'egli non cadeſſe dalſuo buon nome , e che , come egli mede fimo confefſiz , più biaſimo affai,che gloria dal mcdicare e ’ no riportaſſe;ilche non ſolamente gli avvenne,permio av viſo , dal non aver lui avuto niuna contezza di nobili , e va loroſe medicine, per le quali egli in pregio montaffe,e l'ac quiſtata gloria e' non perdeffe , qualora in qualche finiſtro accidéte in medicãdo incorreſſe; ma ancora dal coprendere aſſai bene Ippocratc , ammacſtrato dalle ſue continue of ſervazioni , i viluppi , e l'incertezze della ſua arte , e qua to poco ſia il frutto , o'l giovamento , che poſſa da'ſuoi ar gomenti huom ritrarre ; perchè egli ſcarſo anzi che no mai ſempre fu d'imporre ne'mali acuti que'rimedi chegrā di chiamanſi da'Greci; temendo oltremodo di ciò, che age volmente ſeguirne poteſſe ; ne coſtumava egli , come ab biam veduto , trar ſangue nelle febbri, ſe non fe quando ſcorgevale da grandi, e interne infiammagioni accompa gnate : ne purgar coſtumava, ſe non ſe molto di rado, e nel cominciamento ſolo de'mali acuti; perchè n'era talora ol tremodo biaſimato dalle genti minute , le quali giudica vano , comechè grave foffe , e di riſchio il male , eſſerne nondimeno piggiorato l'infermo , ſolamente per la tra . ſcuraggine, e manchevolezza del medico che non ci avel ſe al tempo con valevoli purgagioni, e con replicati falafi fat 318 Ragionamento Quarto 2 fatto riparo ; ſıcome la ſciocca rubaldaglia deʼmedici allor forſe avea per coſtume; i quali in ſomiglianti malattie mol ti , e varj medicamenti ,ficome egli narra , adoperavano , non altrimenti, ch'or ſi facciano poco men , che tutti i Ga lieniſtide’noftritempi. Cosìnella paſſata ctà videroi no. ftriantichi con biaſimi di traſcuragginc indegnamente ol traggiato , o proverbiato maiſempre Proſpero Marziano, e prima di lui anche GirolamoCardano;i quali ſaggi,e avve duriſſimieſsédo in gir dietro ad Ippocrate le medeſinc tac cc del lor maeſtro agevolmére ſi guadagnarono.E a' tempi noftri abbiamo pure uditi i brôtolaméti, erimproccjcutto di ſcagliati a Paulo Emilio Ferrillo , per eſſer lui nelle febbri dal preſcrivere le purgagioni ritroſo ; e indi a poco acerba mente cffer proverbiato Diego Raguſi , perciocchè nel ſegnare, e nell'uſare le purgative medicine fedelisſimo ſe guace d'Ippocrate, e del Marziano ſi dimoſtrava , ne mo riva giammai infermo, chenon ne veniffe loro rimprove rata la dappocaggine , e traſcuratezza d'aver colui ſenza gli acconcj medicamenti miſeramente laſciato morire. Com tanto il non operare ſecondo la folle opinione del cieco vulgo , grave crrore , e biaſımevole ſempremai fi giudi ca e; maggiormente allor, che no li ficgue ciò, che comu mente dalla traccia de' menovili maeſtri coſtumar ſi ſuole , 1 1 RA 319 1 1 RAGIONAMENTO QVINTO, des S É ſtanco, c anſante pellegrino , cui lunga, e faticoſa ſtrada ancor rimane, acciocchè pofla gli ſmarriti ſpiriti rivocando, al fine diterminato agiatamente pervenire,or in ombroſa felva al canto di piacevole uſi gnuolo s’arreſta ,or indilettevol poggiore fpirãdo fi ſiede,or lūgo la riva d'un qualche fuggére, e chia risſimo fiumicello ſi slaccia or in un pratello di freſchiſ fima, e minatiffimaerba ripieno , e di vaghi fiori,dolceme te ripoſa; e ſe Natura rizzare, e ſparger volles come huom crede, in mezzo agli fpaziofi campidel inare tante , e tante Iſole , acciocchè quando a'Soli più tiepidi s'accolgono ,ri trovaſſero agios e poſa ne'loro lunghiſſimi voli le varies tormedegli uccelli; ragionevolmente dobbiam noi, o Sig. poichè sì dura, e malagevole imprefa di dover ragionādo traſcorrere le ſcuole de più famoſi medici abbia già comin ciata ragionevolméte dico dobbiam noi talora interrāpédo i noſtri lúghi ragionaméti préder nuova lena; e táto più , che vie più ſghembo , e inviluppato ſentiero di quello, chedie tro n'abbiam laſciato , orci ſi fa innanzi ; imperocchè ab } bia 320 Ragionamento Quinto biano , ficome avere potutofin'ora comprendere, piena mentediinoſtro ,ſe'l mio avviſo non m'inganna , a quanto mal riuſciſſe a coranti valene'huomini il volere alcun fifte ma di razional medicina ſtabilire; e fornigliante di molt’al. tri appreſſo andrein diviſando ;avvegnachèa trattar dico ſtoro aſſai più grandemalagevolezza s'incontri ; imperoc chè di loro opere nulla a' noſtri tempi non ſe ne ſerba , e quelle poche, e intralciate memorie , che di eſſe abbia mo, maffimamente appo Galieno, o poco, o nulla n’appro dado a farne diviſar di loro dottrine ; imperciocchè quel buon huomo , tra perchè non l'intendeva , e anche , perchè vezzatamente ſtudiavali d'oſcurare , e porre a fondo ogni lor fama, e gride , cosìſconce,o travolte le ci narra talora, che a gran pena illor intendimento ſe ne può ritrarre , Ma comunque ſia la biſogna, Iomiargomenterò ſecondo mia poffa d'illuſtrar quanto poſſibil fia i loro ſentimenti e la lor dottrina ſtacciando , ſeguitar la coſtuma del noſtro im preſo diviſamento . E tralaſciando quì in primadi far parole d'Apollonio ,di Diſippo , e d'alcun' altri ſcolari d'Ippocrate:i quali per va rj , e diverſi ſentieri avviandoſi , a varie, e diverſe altre ſet te di medicina dicder principio: come di quelli,de qualial tro non ho che dire , ſe non che alcuni di loro vennero ini vituperevolguiſa crattatida Eraſiſtrato : darem comincia mento dal famoſo Diocle . Dico adunque , ch'e' fi puòbé ammirare , e commendare la ſua grandiflima corteſia , o umanità veramente ſingulare, colla quale , come teſtimo nia Galieno,uſar ſolea con gl'infermi ; ma tion già la ſua dottrina , eſſendo molto rare quelle notizie , che a noiper venute ne ſono ; ſi legge nientedimeno ancor oggi una ſua cpiftola del inodo del conſervar la ſanità , dove permio av viſo non ha coſa per cui meriti egli quelle ſomme lodiche dagli ſcrittori, e particolarmente da Galicno sfoggiataméte inveſtire gli vengono; nesébra punto chesì fatta piſtola Gia degna di quel ſapientiffimo Principe , al quale ella è fcrit ta ; vi ſi ſcorge tuttavia , che Diocleera aſſai vago dell'A ſtronomia , e che ben poco egli gradiva le compoſte medi cine Del Sig. Lionardo di Capoa 321 را cine , e che non moito gli erano a cuore le purgagioni. Per quel poi, che di lui vada dicendo Galieno , egli ha Dio cle per fondamenta del ſuo ſiſtema il caldo , e'l freddo , e'l fecco , e l'umido ; de'quali i due primi,agenti, e gli altri pa zienti e' vuol , che fieno . Dottrine , che quanto dal vero modo di filufofare vadan lontane, altra fiata avendone lo fatto ſermone , non fa lungo, ch'al prefente più il dimoſtri; ma comechè Diocle d'altiſimo intendimento , e ben acco cio al filoſofare ſi foſſe , non però di meno , o per manca mento di maeſtro , o di guida , ch'al diritto fentiero l'avel fe fcorto , o per altro , che ciò operato aveſfe ;ſconciamente laſciandoſi trarre a’hiſicofi impigli della dialettica , sì , e tal mente bambo , e ſcempiato ne divenne , ch'oltre a' già detti crrori, impreſe a foftenere , non eſſer altrimenti il ſu dore, vuotamento naturale;e quantunque a Galieno ſem braſſer molto probabili fue ragioni , nondimeno da colui, come troppo durauna talopinione, e come ripugnante , e contraria all'evidenza de'ſenſi vien forte bialimata , e rifill tata . Ma quanto molto poco in filoſofando in medicina egli s'avanzaffe Diocle , chiaramente il ci da egli medefi mo a conoſcere, quando favella della malattia ipocondria ca , di cui un libro ben'intero e compofe , il quale ſcëpia to , emancheyolc ftimnafi per Galieno ; ma che che nedica colui , degno certamenteini pare di grandiflima foda quel libro ; imperocchè ci fa vedere il fuo componitore eſſerfi molto ben avveduto della incertezza della medicina , da che tutto ſoſpettofos e rentonc e' ſempre ſe'n va in con ghietturando le cagioni delle maraviglioſe , e ſtrane appa senze di quel male. Dice infra l'altre coſe in quel ſuo libro Diocle,doverſi fo ſpettare in coloro, che ſon travagliati da’mali ipocondria ci , non quelle venc , che ricevono l'alimento dal ventrico lo , abbian aſſai più calore del convenevole , e'l ſangue in effo loro ſia più groſſo aſſai divenuto ; concioliecoſachè cerca coſa ſia le menzionate vene eſſere in quelli oppilate i edice ciò argomentarſi dall'alimento , ch'al corpo accon ciamente non ſi diſtribuiſce , e nel ventricolo, indigeſto ri Sf inane ; 322 RagionamentoQuinto mane ; quando davanti per li meati ſi ricevea ,e per la mag gior parte con agevolezza s'avvallava al ventre , come dal vomito poi manifeſtamente s'avviſa , quandoil giorno ap preſſo così guaſto ſi rece , per non eſſerſi diſtribuito al cor po il cibo ; mache'l calore in sì fatti infermi fiz più del na turale ſoverchievole , agevolmente fi ravviſi , così dall'in focamento , che a loro avviene , come da quelle coſe ,che anche lor li danno ; imperocchè giovevoli eglino ſperimé tano i cibi freddi, i quali ſogliono certamente rintuzzare , e fpegner in parte il calore: τες δε φυσώδεις καλεμόες , υπολαμ . βάνειν δεί πλέον έχειν το θερμόν του ποσήκοντG- εν ταις Φλεψί Gίς εκ της γασρος την κοφίω δεχομλύαις · και το αίμα πεπαχιώθαι τούτων δηλοί γαρ ότι μου έσι έμφeαξις περί ανώς τις φλέβες τω μηκαταδέ χεθα το σώμα την τοπίω · αλ' εν τη γασρί διαμένειν ακατέργασον» πρό τερον των πόρων τοίχων αναλαμβανόντων , τα δε πελα αποκρινάντων ας τω κάτω κοιλίαν και το τη δευτεραία εμών αυτες έχ υπαγόνων ας το σώ. μα των στίων · ότι δε το θερμόν πλέον εα του καιτου φύσιν» μόλις αν της κατανοήσσεν, έκ τε των καυμάτων των γινομένων αυτούς , και της ποσ φοράς • φαίνονlαι γαρ υπό των ψυχρών όφελούμενοι σιτίων•ταδε πιανα το θερμόν καταψύχων , και μαραίνουν σωθεν . Soggiugnc indi appreſſo Diocle , che affermino al cuni eſfer infiammata in sì fatto male la bocca dello ſto . maco , la qual s'uniſce con gl'inteſtini, e per la infiamma gione quella parimente oppilarſi, e vietar , che i cibi non calino giù agl’inteſtininel tempo opportuno , e ſtabilito ; perchè dimorando i cibi poi,oltre alconvenevole nello ſto maco,cagionino igonfiamenti, e'l calore, e l'altre coſe tur te , che menzionate per lui in prismafi fono : Λέγεσι δε πνες επι των τοιούλων παθών ή σόμα της γασρος το συνεχές των εντέρω φλεγμαί ΥΑν , δια δε την φλεγμονίω έμπε πξάχθαι , και κωλύειν καταβαίνουν τα σιτία ας το έντερον τοϊς τεταγμένοι χρόνοις· τούτα δε γιγνομένα , πλείονα χρόνο του δέον- έντή γατε μένονά , τους πάγκες παρασκευάζει,και τα καύμαζ, και τ' άλατα πποειρημένα , Egli vien Diocle ripigliato da Galieno , perchè infra le tante coſe , ch'egli in mezzo produce , del timore , c della triſtezza , che propie ſono delmale ipocondriico , e'punto non favelli , ma Galien medeſimo diciò poi lo ſcuſa , fog giugnendo dallo ſteſso nome del male farli ciò manifeſto , imper DelSig.Lionardodi Capok 323 impertanto Diocle non averne fatto menzione; ma nondi meno a Galieno non diſpiace la maniera del filoſofa te di Diocle intorno a ciò ;maſolamente forte fi maravi glia , dicendo eſſer una quiſtione degna da fare , perchè non abbia Diocle recata la cagione, per la quale in sì fat to male venga la mente offeſa:masì fatta quiſtione, s'egli vi aveſſe poſto bé méte, nó gli era molto agevole a folvere; imperocchè ragionevolmente nel vero non volle darſi bri ga niuna Diocle di produrre in mezzo coſa ,qualegli non avea avuta fortuna d'inveſtigare: nel che avrebbe certame, te il meglio fatto ad imitarlo Galieno , il quale così ſcon ciaméte ebbediciò a filoſofare, che meritòd'efferne acerba mére proverbiato,e deriſo da’luoi medeſimi parziali. Ma noi laſciādo da parte ſtare Galieno,diciamono molto bene nel vero aver de'maliipocondriaci filoſofato Diocle; cõciof ficcofachè in priina , per tacer d'altro ,non continuo ſi avviſi ſmoderato calore nello ſtomaco , o nelle parti vicine , ma talora fredde ſenſibilmente ſi ſcorgano in coloro , che pa ciſcono sì fatto male ; perchè convicn certamente giudica re , che'l calore quandunquc in lor ſi trovijalcro non ſia, ſal vo che un effetto del male medeſimo; la qual certezza fal fa apertamente ne fa conoſcere l'opinion teſtè rapportatas da Diocle, di coloro iquali ſtimavano cóſiſter sì fatto ma le in una infiammagione, o altro ſimile della bocca del Pi loro . Gli argomenti poi , che reca Diocle per far pruova della ſua opinione quanto deboli fieno , e fallaci, non fa meſtieri, ch'lo dica ; concioltecofachè ogn’un per ſe ſteſ ſoconoſcerpuò , che da cibi, chefreddi egli appella ,ſovés te ſaccrefca oltremodo ilmale, comechè talora ſembrich ' cglino lo mitighino in qualche parte, col rintuzzar la mor dacità de'ſughi secol reprimere la ſtrabocchevol lor fora mentazione . Chi poi ben riguarda alla fabbrica, call'ufi cio delle vene , le quali picciole nelle loro boccucce ſi van tratto tratto allargando , perchè acconce, e valevoli firé dono a ricevere più agevolmenteil ſangue , s'avvede inco tanente quanto dal ver ſi diparta la ſentenza di Diocle,co tanto cómendara , e tenuta in pregio dal vulgo de medici , SI 2 che 324 Ragionamento Quinto le che le vene meſeraiche ſi poſſano oppilare . Ma fievolej molto certamente ſi pare l'argomento, onde provar imma gina Diocle eſſer negli ipocondriaci le vene meſeraiches: oppilate , perchè l'alimento al corpo in lor non fi diſtribui ſca: imperocchè dovea Diocle conſiderare , che non diſtria buendofi l'alimento al corpo dell'animale,non guari dité. po egli in vita durar potrebbe , e chemolti,e molti ipocó driaci, anche forti talora, e vigoroſi fin’all'ultima vecchiz ja veggionſi tutto dì pervenire ; falſo adunque ſi è ciò chè di loro va filoſofando Diocle ; ſenzachè ben chiaro ognun vede la parte più ſottile dell'alimento,qual è quella la qua. P le vene meſeraiche,com'egli ſtima al corpo li diſtribui fce, continuo trapelare, e diſcorrere agl'inteſtini, avvegna chè la parte di luipiù groſſa nello ſtomaco rimanga . Mavi dovea altresì por mente , e inveſtigar Diocle , onde avve gna , che'l cibo nello ſtomaco degli ipocondriaci,indigeſto rimanendo ,non n’eſca fuori nel tempo uſato ; ma certamé te s'egli innoltrato ſi foſſe nella ſpeculazione delle coſe 112 turali,ne avrebbe di leggieri ritrovata per avventura la ca gione ; e tanto più , che pur egli avviſa nello ſtomaco degli ipocondriaci la pontica , e ſtitica acetoſità , la quale non permettendo , che'l cibo ben ſi digeſtilca,increſpa ,e ſtrigne la bocca del Piloro, per inodo, che dallo ſtomaco non pof ſano nel tempodovuto calari cibi agl'intcftini . Ma laſcia do di ciò più favellare : non ineno e' ſi ſcorge il modo del filoſofare in conghietturando di Diocle, da ciò,ch'egli dice : appo Plutarca: επι δε τοϊς φαινομένοις δοαται ο πυρετόςεπιγενόμG" nečuvala , noi Prey Movad,sy 6x6õves , cioè : le cose , le quali a noi manifeſtamēte fi fă vedere,additano le nafcofe : poichè ſi vede la febbre,colleferite,colle infiammagioni, e cõ i gavoccioli ac compagnarſi ; dal che certamente egli vuol cavare Diocle , che in quelle febbri, nelle quali nulla appare di fuori del le menzionate coſe , ficno entro al corpo elleno, o altro fimile , che colla febbre parimente s'accompagni. E rav viſaſi eziandio la maniera del filoſofare di Diocle allor che appo il medeſimo Plutarco va inveſtigando le cagioni, per le quali i maſchij ſtendi ſono.4.0 disocyóvoustousaideges ,na es' Del Sig.Lionardo diCapoa. 325 Θα το μήθ' όλως εύνες σπέρμα πιοΐεσθαι,ή παeg το έλαήoν του δέοντG . και παρά το άγονον είναι το σπέρμα , ή καλα παράλυσιν των μορίον , κατα λοξότη του καυλού μη δυναμένε τον γόνον ευθυβολεϊν,ή περί το ασύμ Mergov tæv porów.alo's Tajvané saory oñs peýrsas. Ma oltraciò ſappia di Diocle aver lui, contro quel , che avca inſegnato Ippo crate negli aforiſmi avviſato, l'itterizia , d'ognitempo,ch' ella ſopravegna alla febbre eſſer giovcvole ; al che cgli poi aggiugner volle, che ſopravegnendo all'itterizia la febbre, mortifera coſa quella ſia: arquatum morbum , ſono parole di Celſo , Hippocrates ait, fi poft feptimum diem febricitante agrofupervenit, tutum effe, mollibus tantummodoprecordiis fübftantibus ; Diocles ex toto , fi poft febrem oritur,etiam pro defe , fi pofthanc febris, occidere. Ma non meno dell'afo riſmo d'Ippocrate la ſentenza di Diocle falſa cutto di fi ſperimenta . Coltivò egli poigrandemente la notomia , ma come qucl rozzo ſuo ſecolo comportava , poco felicemente nel vero ; non però di meno cgli in ciò è da commendare ;m2 séza fallo poi a ſommo onore attribuir gli ſi dee, l'eſſer lui ſtato il primo, ch'aveſſe ofrto pubblicar con un libro partia colare al mondo le coſe , ch'egli avviſate avea nel far no tomia degli animali. Ma procedendo più oltre ci ſi fa davanti l'altro famoſo Principe deʼRazionali inedici Pralfagora, cotanto celebras to , c in pregio tenuto da Galieno , il quale diſſe eller lui ſtato in tutte le parti della medicina eccellentiſſimo , e in tendentiſfimo di tutte le più ſottili (peculazioni delle coſe naturali . Ma di queſt'huomo non è per mio avviſo da far giudicio diverſo da quel , che di Diocle noi teltè fas ; cemmo ; poichè iinitando in ciò Diocle, portò Praffagora, altresì opinione dalle quattro primieramente comuni qui lità appellate dirivar tutte l'operazioni della natura ; e con queſta credenza camminando avanti , di neceilità dovette , da uno in altro crror tratto inceſpicare. Oltra ciò viens forte Praſlagora biaſimato da Galieno, perchè egli ſcrivel fe con tanta oſcuritàche ſembrano fc fue ſentenze enigmi da tener mai ſempre in biltento il lettore . Ma con pace. pur ! 326 Ragionamento Quinto pur di Galieno,Io non giudico queſt'errore cotanto propio di Praſſagora, che non ne ſia ſopratutto da cacciar lamedia cina medeſima , per la grandifinna incertezza di quel la ; onde imaeſtri più accorti , e malizioſi , per non farſi torre in fallo foglion sì facramente ſcrivere chenon ſi pof fa per niuno ne’lor veri ſentimenti penetrare. Ma impertáto fallò grádeméte Praſſagora,e lervi di pel fimo eſemplo agli altri Razionali medici , che dopo lui furono , e particolarmente a Galieno, in voler con ſue ciar le farne calandrini, ecercare di render poſſibile l'impoſſi bile , cioè certa , l'incertezza della razional medicina . Vien biaſimato anche Prafſagora da Galieno , ch'aven do egli in prima detto , che gli umori non ſi contengano al trimenti dentro l'arterie , cerchi nondimeno egli poi d'in ſegnare , e minutamente additando vada , come per opera del toccamento avviſar, eglinon ſi poſſa quali umori fia-. no quelli , che nell' arterie ſi naſcondono ; ma lo immi gino, che in ciò non ſi contraddiceſſe altrimenti Pralſago 11 , come dice Galieno , ma ch'aveſse egliportato opinio che allor , che l'huomo è rano non abbia alcro nell'ar terie , che ſangue, ma che infermando egli poi altri umari ancor vi diſcorrano ; ne potea egli in verità altrimenti di rc , s'egli pur non era affatto di ſenno fuori . Che ſia vero quanto lo dico ,apertamente ſi ſcorge in ciò , che il mede fimo Galieno di lui riferiſce , cioè ch'egli ne men nelle ve ne credea che vi ſieno gli umori. Ma errò certamente , e in iſconcia guiſa Praſsagora , in portando opinione l'arterie cambiarli finalmente in nervi ; avvegnadiochè difender s'ingegnino giuſta ogni lor pof ſa si ſtrana, e dal vero apertamente lontana opinioncscome favorevole al lor Ariſtotele , il Cefalpino , il Reuſnero , e'l Marziano ; ma di non poco biaſimo degno ſi rende appo molti antichi ſcrittori Praſsagora per lo ſtrano , e crudel modo, col quale egli intende, che s'abbia a medicar l’lleo, volendo egli infra gli altri rimcdi,che all'infermo fi faccia vomitare , e dopo il vomito gli li tragga il ſangue , emol to forte gli ſi premano collc mani , il ventre , e gliinteſtini, cal nes Del Sig. Lionardo di Capoa 327 e alla per fine poi col ferro ſi taglino ; ond'ebbe a dire ra gionevolmente Celio Aureliano : quo probatur magnificam mortem Praxagoram magis quam curationem voluife fcri bere; ſenzachè vié egli tacciato dal medeſimo Celio, ch'e'li yaleſse anche nel curarlo degli ſconcj rimedi d'Ippocrate : Aliquos etiã poft vomitum phlebotomat,&vento perpodicem replet , ut Hippocrates . Item libris de caufis , atquepaſſio nibus ,& curationibus vinum dulce dari jubet , d rurſum Hippocratis ordinem ſequitur congerens omnia peccata . Macon qual eccellenza di dottrina , e con qual artificio pervenir aveffe potuto al principato della razional medici na il celebratiſſimo diſcepolo di Praſſagora, Pliſtonico , chi farà mai che poſſa ſpiegarlo fra le sì ſcarſe memo rie , che di lui ne ſon rimaſe ? Io permeſolamente, e ap pena ne lo quanto per Galicno all'avviluppata, eſcarfamé te ſe ne racconta: e gli ſi afcrive ciò a ſomma losa,cioè che raffermaſſe egli quanto in prima diviſato avea Ippocrate de’quattro umori; la qual coſa ſe tale è veramente, qual ſi jarra egli , ne fa apertamente vedere , quíto troppo grofa ſolanaméte foffe căminato Pliſtonico in filoſofando; ina no dimeno pur ſembra , che qualche ſcintilluzza di lume in quelle folte tenebre, e oſcure egliſcorgeſſe allor , chej porta opinione , che le digeriſca il cibo nello ſtomaco putrefacendoſi ; il che nel vero fu aſſai ad inveſtigar ma lagevole a lui , che non avea contezza niuna di Chi mica, e veramente il cibo nello ſtomaco non maiſi ſcioglie, e muta natura , fe non vi concorre l'opera d'una pronta , c velociffima filoſofica putrefazione. Scriffe Pliftonico della materia de'medicamenti , macom'egliin ciò li portafle al cri.per meve'ldica . Ma trapaſſando ad altri, Io non potrei dire,ne'l mio det to ritroverebbe agevolmente crcdéza, in qual pregio ſovra tutt'altri Principi della Razional medicina il grand'Erofilo s'avázaſſe.E certamente degli ſtudi della notomia egli mol to ſi conobbe , e gli poſſon ceder ſenza contraſto la maggio ranza non pur Galicno, ficome giudica dirittamente il Vera ma quant'altri notomiſti prima, e dopo lui nella Grc 1 fatio , cii 328 Ragionamento Quinto cia tutta fiorirono . E quanto alla dialettica, egli cotanto lungamente divifonnes e tanto minutamente , che il vulgo ſciocco dalle tante fraſche delle quiſtioni , delle diftinzio ni ,e diffinizioni, e argomentioffuſcato,comeſe da ſovrano nume ftate fofſer dettate, le dottrine di lui celebraya oltre modo , e riveriya . Ma il tanto ſtudio della dialettica do vert'eſſere alla ſetta d'Erofilo dinon picciol damnaggio ; e quinci forſe avvenne , che molti , o sfidando d'intender pienamente le tante ſottigliezze di lui, e altri a niun pre gio , comevani, e inutili arzigogoli avendole , ad altre ſcuole ſi rivolgeſſero. Ma impertanto la ſua dottrina ritro vò inolti , e gravi ſeguaci , e fù aflai commendara ; anzi narra Strabone,che infin nella Frigia v'era a'ſuoi tempi una famola ſcuola della dottrina d'Erofilo . Or Io, quantunque a voler dire il vero eſtimi, che gran pro alla notomia abbia apportato Erofilo , nondimeno fembramifarfallon da Ro . manzo quel del Falloppio : Contradicere Herophilo in Ana tomicis,eſt contradicere Evangelio .Ma ebbe Erofilo per co ſtume di paleſar séza riguardo niuno ciò che a fui veraméte parea delle coſese cotraddiſſe quando egli ſtimava, che ine ſtier ve ne foffe , a tutti gli antichi , non la perdonando ne meno al ſuo divin Maeſtro Praſagora . Fuegli molto prati co nella materia demedicamenti,e fcrille parecchi volumi del modo , come ſe nc debbano imedici valere ; il che fu gli agevole affai, avendo egli logorato tutti i giorni della ſua vita in far prove, e fperienze;per le quali non ſi può ne gare , ch'e'non merti grandiſſima loda; comechè non cſen do a noi pervenute , niuna utilità del mondo abbian potu to recarci . Ebbe vétura Erofilo d'abbatterſi nelle vene fartee ;ma egli traſcurato , sì bella opportunità laſciofſi uſcir delle mani, non dandoſi cura d'ilveſtigarne il lor proceſſo , e l'uſo ; ma di cotal negligenza è fomigliantemente da accagionar Ga lieno , e tutti quegli altri notomiſti , chedopolui anche ſe ne rimarono . Non molto diffimile dal fallo d'Erofilo fi fu quello del noſtro Bartolomeo di Euſtachio, il quale avendo sitrovato il canal pettorale , non ſi diè briga d'altro, e la 1 fcion Del Sig. Lionardo di Capoa. +329 fcionne il penſiero al Pecchetti, a cui meritevolmente la gloria tutta di così gran fatto ſi dee. Ma ritornando ad Erofilo: non fu egli nel vero molto fe lice in ritrovar coſe grandi , e maraviglioſe, o molto com mendevoli in ſagaceNotomilta ; avvegnachè tutto dì ta gliar ſoleſſe non ſolamente i cadaveri, ma eziandio vivi gli huomini. Scelleratezza tanto crudele, tanto infame, e vi tuperevole, e degna d'eterno biaſimo,che val ſolo ad oſcu rar ogni ſuo pregio , e a far conoſcere al niondo ad un'ora, quanto la fierezza de'medici, il diritto delle naturali, del le divine , e delle umane leggitraſandando , oltre palli law crudeltà d'ogni più fiero tiranno ; perchè a gran ragione certamente ebbe a gridare il gran Padre Tertulliano : He rophilus ille medicus , aut lanius , quifeptingentos exſecuit , ut naturam ſcrutaretur , qui homines odit , ut noſlet. Man prima di lui Cornelio Cello, dopo aver detto ,ch'Erofilo, ed Eraſiſtrato aveano alle lor notomie vivi gli huominide ſtinati, cosi ách'egli un cosìabbominevol misfatto deteſta: crudele vivorum hominum alvum , atque præcordia incidi , & falutishumanæ præfidem artem , nonfolumpeftem alicui , fed hanc etiam atrociffimam inferre . Sopra tutto s'affaticò Erofilo nella materia de polſi, la quale,valendoſi egli della muſica, cercò d'illuſtrare, e di ti durre a perfezione, per modo, che nulla vi ſi aveſſe di vātag gio a diſiderare ; ma tanto , e tanto egli vi ebbe a ſofiſtica re , che meritevolmente forſe perGalieno ,e per altri ne venne più d'una volta ripreſo , e proverbiato ;mad'altra parte per altriſommamente commendato , come ſi può ve. dere in Plinio . Arteriarü pulfus in cacumine maxime merebro rū evidens in modulos certos,legeſq; metricas, per atates , fta bilis , aut citatus , aut tardus defcriptus ab Herophilo medici na vate miranda arte . E queſto accrebbe in modo la ſua fama , e buon nome , che nulla più ; promettendoſi cgli , e dando altrui ad intendere, che col mezo de'polli , com' ab biamo con Galieno accennato , poſſanſi avviſare ancor les coſc impoſſibili a conoſcere; come ne’barbari ſecoli comu liemere li vider poſcia farei medici coll'orinc , colle quali fa Tt cean 330 Ragionamento Quinto 1 cean veduta diconoscere pienamente lo ſtato de'malati , e de’lani; di che ancor qualche veſtigio tuttavia nella noſtra Italia , e altrove ne rimane . Mache / a'tempi noſtri in va rie .guiſe noipur veggiamo da qualche medico ſcaltrito porre in uſo si fatte frodi, e riportarne ſempremai premj, e laudi non ordinarie. Ne è da maravigliare ; perciocchè il mondo gode in tal guila d'effer ſemprcmai uccellato ; il che apertamente ſi fa vedere dalla grande ſtima , chevien fatta della Srologia , e della Gabbala , e d'altre arti vane , e ſu perſtizioſe ; e tanto prevalſe, e montò in pregio con fomi glianti artificila gloria d'Erofilo , che di baſſo, e rintuzza to intendimento' , e come della ſua dottrina incapaci venis van giudicati coloro , che ſi dipartivano dalla ſua ſcuola ; perchè diſſe Plinio di lui favellando : nimiam propter ſubti bitatem defertus: e della ſua ſetta facendo parole : deſerta hac Secta eft , quoniam neceffe erat in ea literas ſcire. S'af faticò parimente Erofilo , come Galien riferiſce, in inve itigar la natura dell'erbe ; e dir ſolea , non haver così gra ve, e pericoloſa malattia ,che non ſi poteſſe coll’erbe curare ; ma non però di meno il valor di molte di quellenou effer conoſciuto , e alcune di loro gran virtù avere ' , le qua li tutto dìda noi fi calpeſtano : inde plerofque, fono parole. di Plinio, ita video exiſtimare , nihil non herbarum vi effici poffe , fed plurimarum vires effeincognitas , quorum innume 70 fuitHerophilus claras medicina , à quoferunt dictü quaf dam fortaſſis,etiam calcatas prodeffe. Solea far altresi grá diffima ſtima Erofilo dell'Elleboro ; il quale, come altrove vien ſcritto dal medeſimo Plinio, veniva pareggiato da lui ad un fortiſſimo Capitano ; perchèturbate egli avendo en tro il corpo tutte le coſe ,foffe poi il primoa uſcirne: elleború fortiſſimi Ducis fimilitudini aquabat ; concitatis enim intus omnibus,ipfum in primis exire.Mada ciò apertamente ſcor geſi, che poca , o niuna contezza aveſſe Erofilo di quelle nobiliſſime medicine , le quali ſenza recar moleftia , e dan no niuno ſon valevoli a domar le più gravoſe , e feroci ma lattie: e ch'egli altresì ignoraſſe ilmodo , per lo quale la fciandogli intera la parte giovevolemedicinale,ſi toglie all '. Elle Del Sig.Lionardo diCapoa. 331 Elleboro la velenofa ; ſenzachè non è miga vero ciò ch'e . gli trancaméteafferma , che l'Elleboro fia il primo ad uſci re ; imperocchè talora non li diparte dallo ſtomaco , e dall altre viſcere allo ſtomaco proſſimane,ſe nõfe ha fatto vuo far egli all'infermo in prima quanto di cattivo , e di buono nel ſuo corpo ſi ritrovava. Non è ſtato adűque in medicina il valor d'Erofilo così grande , quale il ci narra millantan do la fama , Ma doveva Io certamente aſſai prima far parole di Me necrate da Siracuſa; il quale col fuo ſtrano modo di filoſo fare, e di medicare rinnovar volle l'antico uſo di Apollo, e d'Eſculapio , facendoſi venerar come un Dio. Ma a bello ſtudio venne da me tralaſciato , per non haver Io potuto p quanto lo mi vi fia affaticato , niuna contezza aver mai dėl ſuo liſtema; ritrovo ſolamente di lui , ch'egli ſcriſſe , per quel,che ne narri Galieno , un libro de'medicamenti , de quali egli molti da ſe ſteſſo trovò , Fu egli Meneçrate così ſuperbo , ambizioſo , e vano, che non volle egli giammai denajo , o altro premio dagſinfer mi di mal caduco , che guarivano per le ſue mani ; folo ri. chicdea , che eglino ſuoi ſervi fi doveſſero confeſſare, e che col nome di Giove l'aveſſero a chiamare , e come Gio ve il doveſſero onorarc.Solea egli ſpeſſo in mezzo a coloro , traveſtiti, chi da Ercole , chi da Apollo , chi da Eſcula pio , chi da altro Dio minore , a guiſa di Giove con coro na d'oro in teſta , colla veſte di porpora , e collo ſcettro in mano farſi in pubblico vedere , 1.a qual si ſciocca traco tanza imitar volle Ottaviano Ceſare , quando, come rac conra Suetonio , con gli abiti d'Apollo fra huomini, e fra donne rappreſentanti Dij , e Dec, e'feder yolle in un ſono tuofo convito ; Cum primum iftorum conduxit menfa choragum , $exque Deus vidit Mallia , exque deas; Impia dum Phabi Cafar mendacialudit, Dum nova divorum cænat adultera : Omnia fe à terris, tunc Numina declinarunt, Fugit auratos luppiter ipfe thronos , Tt 2 1 Ma 332 Ragionamento Quinto . ! Mapiacevole egli è a udire ciò che avvennea Menecran te con Filippo Rè diMacedonia , comechè Plutarco dicas con Ageſilao Rè di Sparta; ſcriſſe a Filippo egli in sì fatta guifa Φιλίπσω Μενεκράτης ο Ζεύς εν πτά θαν: maFilippo trattado lo da pazzo, qual egli veraméte era, così gli riſpoſe : dínia πος Μενεκμάτα υγιαίνειν συμβελεύω σοι ποσάγαν σεαυτόν επί τοϊςκα στο Ανήκυραν τόποις · ηνίδετο δε άeg δια τούτωνόππαραφρονώο ανήρ . Vna volta anche il medeſimoRè invitò Menecrate a deſinar ſeco,egli fe porre un deſco da parte, facédoglidar cótinua méte incenſo, in tépo,che gli altri convitati in altra tavolas allegramente ciurmavanſi , e facevan gozzoviglia. Mene crate nel principio fommamente godeva dell'onore fattogli dal Rè , come å un Dio; ma poichè gli ſopravenne la fame, e gli fè vedere , ch'egli era huono, comegli altri , fi parcì dolendofi , e lagnandofi fortemente della beffa fattagli dal Rè . Mi ſi fan davanti ora Neſiteo, Filotimo, Eudemo, e M2 rino , i quali comechè ſommamente cominendati, e in pre gio avuti foſſero da Galieno , è da dir nondimeno , che no troppo bene filoſofaſſero cglino in medicina , c che molto poco altresì valeſſero in notomia ; ficome da qualche lor ſentimento rapportato dalmedeſimo Galicno, apertamen tc per ognun ravviſar ſi puotc . Maintra le ſette più chiare , e più famoſe , che nell'air tiche ſcuole già s'inſegnavano della razional medicina ( ſe cgli s'ha riguardo alcorſo non mai interrotto Per volger d'anni , oper girar di luftri) che nelle Città , e nelle Provincie più nobili s ove la greca fapienza era in pregio , glorioſamente fiorirono : o le pur fi mira all'onore , alla fama, e al numero ragguardevole de lor maeſtri, niuna certamente , s'Io pur non vado errato egliſembra , che agguagliar fi poffa , non che antiporre a quella , che da Crilippo in prima ritrovata , indi per opera di Medio, e d'Ariſtogene celebri tra' ſuoi ſcolari,maſopra tutto per Eraſiſtrato ſommamente accreſciuta ne vennc , e ftabilit2. Quinci ſi può agevolmente conghietturare ché te , e quale egli ſtato ſi foſſe il fapcre, l'avvedimento, law fpe . d 0 0 1 1 1 DelSig. Lionardo di Capoa. 333 i 1 ſperienza , e l'induſtria d'Erafiltrato , che di Criſippo,d'A riſtogene, e di Medio nulla v’abbiam che dire ; ma ciò più aſſai in verità argomentarlece da quelle pochiſſiine coſes comechè tronche , e ſmozzicate, Che fan col duro tempo afpro conflitto, che di lui nell'altrui opere , e più che in altre , in quelle de ſuoi einuli tuttavia ſi leggono ; nelle quali pariinente egli moſtrò quanto , e quanto oltre condotto fi foffe per le più dure , c ſpinoſe malagevolezze dell'arte ; intanto che ad acquiſtar meritamente e' ne venne la Signoria curta della medicina ; e non ſenza ragione certamente venncgià da al cuni valent'huominicreduto , ch'egli laſciato di gran lun ga s'aveſse addietro nonch’altri, Apollo, Eſculapio ,e Peo ne medeſimo. Così egli da Appiano Aleſsandrino ,venne appellato meetóvuje @u ,c Galieno parimé : e con orreuoli, e riverēti maniere trattandolo, 11011 iſdegnò di ragguagliarlo ad Ippocrate ; chiamando egli l'uno , e l'altro : iv dožoTátis iørção. E avvegnadiochè pure alcuna fiara moſſo , o dal zelo della verità , o dall'invidia , o dall'emulazione, o daw troppo altieris e ſuperbi portamenti de'parreggiatiei ſegua ci di lui, ſconciamenre egli lo biaſimise prendaa gabbole ſue opinioni ; nientedimeno in tanto pregio , e in sì gran , yenerazione ebbe Galieno la dottrina d'Eraliftraro , ches prender volle fatica di commentarmolte delle ſue opere : e di lui favella più d'una fiara con molto riguardo, e onor di parole ; e mi ricorda , ch'una volta infra l'altre togliendo egli ad impugnar una ſua opinione, ſcuſando quali il ſuo troppo ardimento con eſo luicosì ne favella : Si compiac cia di grazia Eraſiſtrato , che in quella guiſa appunto,e col la medeſimalibertà lo tratri lui , e le ſue quam le egli trattar mai ſempre ebbe in coſtume Ippocrate , ela doctrina di quello . Ne fi dee anche aſcrivere a poca lodo d'Eraſiſtraco , ch'egli, comenarra Galieno , ſi foſſe ſtato il primo autore , e introduttore della vera arte ginnaſtica , e che per opera del ſuo ſenno, e della ſuamano in piede ſi ri metteſſe ; anzi ſi ritornaſſe in vita la notomia, la quale per infingardia degli antichi medici già affacco caduta, e ſpen ta fe ne giacea . Ma 1 opere , colla ! 334 Ragionamento Quarto < + 1 Ma qual maniera egli tenelle Eraliitrato nell'inveſtigare le cagioni in ſeno della natura appiattate, e naſcoſe , e quai foſſero i ſuoi ſentimentiintorno a ' principi delle coſe ſenfi bili , malagevole molto egli è ad avviſare ; impertanto ſi ſcorge apertiſſimamente , ch’Eraſiſtraço era affai libero nel filoſofare , e oltremodo ſchiyo , anzi nimico di far pompa appo il vulgo di mentito , e apparente ſapere ; onde mai non ſi vide ricovrar egli alla franchigia tanto da’ſofiſti uſi ta , e praticata , delle facoltà , e d'altre fimili vanillime novelle , e ciance , le quali non altro in verità , che Nomije fenza ſoggetto Įdolifono, nelle malagevoli , e inviluppate tenzoni della filoſofia , e della medicina ; nella qualcoſa ,comechè ne doveſſe Era fiftrato con ogni ragione , s'Io pur diritto eſtimo , ſomma lode ritrarre , malignamente troppo in verità , e a gran for to funne ripreſo , e vituperato da Galieno ; il quale oltre a ciò ardiſce anchetemerariamente a vituperarlo , e a biafi marlo, perchè ſempremai moſtrato ſi foſſe ſul filoſofeggia re , duro, e implacabile avverſario dell'opinioni d'Ariſtote le , nulla curando , che ſuo avolo ſtato e' fi foſse ; col qua le , e coʻPeripatetici in una ſola coſa convenne, ciò fu nell' affermar coſtantemente, che per la natura niéte a caſo mai vegna fatto , e poſto in opera.. Ma non rammentò Galieno , che Ariſtotele , ed Erafi Atrato convengono bene inſieme anche nel dire , che le re ni, e la milza non fervano a coſa niuna ; ma della milza . prima di tutti ſcriſſe colui ad Ippocrațe, parlando della na tura dell'huomo, παλίων απέναντι £'δα , πάγμα μηδέν αιτίμο». Furicevuta una tal opinione da Rufo da Efeſo , il quale dif ſe,che la milza foſse anánt , ni avevéeyn ,mano già da’ſco Jari d'Eraſiſtrato , come que’ , che diſsero , che la milza preparaſse al fegato il ſugo da generare buon ſangue , tör το σπλάγχνον περπαρασκευάζειν το ήπατπ τ έκ ή σιτίων χυμόν ής α' Mateu xensă girsar , Ma benchè Erafiltrato sì grande , e sì valent'huomo ſi foſſe , e che tanto dalla natura foſſe favo. reggiato , e di rari doni , ç maraviglioſi arricchito, c per ső mo sforzo di ſtudio molto avanti fontille nelle coſe dellam! natu 1 DelSig.Lionardo di Capoa 335 matura , e che colla altezza del fuo anino ſtudiato fi folle di aggiugnere anche talora fin la dove forſe non potè per addietro pervenire altro intendimento mortale : e coll'e ftremo diſua poſſa di formareſi foſſe argomentato il fiſte ma della ſua razional medicina ſommamente perfecto , e compiuto ; nientedimeno più d'una fiata dal diritto ſentier della verità inolto , e molto lungi ſi trova; e ſi leggon di lui alcune ſtrane, e ſconce opinioni, comeche in alcune a cor to accagionato talora e' ne vegna da Galieno' , e in alcun con aſſai fievoli , evane ragioni riprovato ; il che ravviſa no talvolta , e ſono coſtretti a confeſſare i medeſimiGalie niſti ancora Ma nientedimeno a grandiſſima ragion certamente vien da Galieno aſpramente ripigliato Erafiftrato per aver dct to egli, che nell'arcerie nello ſtato naturale dell'huomo no v'abbia ſangue , ma ſolo ſpirito vitale, ſecondo lui :e fpiri to' animale ſecondo Criſippo ſuo maeſtro ; coſa', della qua le , così evidentemente ne appare il contrario , che forte mimaraviglio , comeGalieno quantunque abbondevole d'ozio , e di ciance aveſse potuto darſi briga di compilare un libro intero per impugnarlo . Ma, o Quanto è'l poter d'una preſcritta ufaniza ! equanto dileggieri un’huompaſſionato in gravi falli quaſi inavveduramente traſcorre . I ſeguaci d'Eraſiſtrato per niu na ragionedel mondo , neper evidenza de'ſenſi , che loro apertamente additaffe il contrario, abbandonar mainon vollero i ſentimenti del lormaeſtro"; il quale non altrime ti , che ſe Dio ſtato foſse', ſe preſtar lece in ciò fede a Ga lieno ſolevan eglino ammirare', e venerare ; avendo per vero , e ſaldo, e indubitato ogni ſuo qualunque detto. Ma ritornando a noſtra materia ; egli è da creder , che dall'o pinion , che reſtè abbiā noi rapportata , prendeſse cagione d'inſegnar poi Eraſiſtrato , altro non eſser la febbre , che un movimento inuſitato del ſangue , che dalle vene, dove naturalmente riſiede , all'arterie tragittiſi: e cheſicome al lor , che non ſoffiano i venti , pofa abbonacciato , E nelſuo letto il marfenz'onda giace ; ma 330 Ragionamento Quinto ma ſoffiando poi fortemente Oſtro o, Aquilone enfia , ed eſce fuori impetuoſo , e rapido dall'uſate ſue ſpon de, e inonda , ed allaga le piagge tuttc , c le campagne vici ne ; così anche , fe non v'ha coſa , che l'agiti, o'lcommuo va, dimori placido il ſangue nelle vene:maſe per ſoverchia abbondanza gonfio , o per altra cagione ſoſpinto , e agita to mai venga , sboccando ſubito dalle vene , ratto all'arte rie diſcorra, e ſe quindi dallo ſpirito , che in eſso dimora ſia altrove riſpinto , vada a fermarſi , e ſtagni in quelle cic che ſtrade , dove terminano l'arterie ; e quivi riſtrignen doſi, crappigliandoſi, formerà l'infiainmagione; e la feb . bre ; ecco le ſue parole rapportate da Plutarco:Nuperds isi zí. νημα αίματG- παρεπιπλωκός ας του τα πνεύματG- αγγείο απιοαιρέτως γινόμενον • καθάπερ γαρ επί της θαλάττης , αν μηδέν αυτήν κινη ήρες μί , ανέμε δε έμπνέοντG- βιαία παρά φύσιν , τότε εξ όλης κυκλεται. ούτω και εν τω σώματι , όταν κινηθήτο αίμα και τότε εμπίπτει μες στο αγγα των πνευμάτων , πυρέμενον δε θερμαίνει το όλον σώμα . Αrtifciofotis trovato nel vero , ma che appoggiato in aſsai poco falde fó damenta non può far , cheda ſe ſteſso non crolli, e rovini. Manon laſcerò già lo quì di narrare ciò che immagina . alcuno , ch'altri ſi foſsero intorno a ciò iyeri ſentimenti d ' Eraſiſtrato , e chemal'inteſi , e peggio ſpiegati a noiſien pervenuti; e tanto più , che come Galienoavviſa,Eraſiſtra to a ſtudio oſcuro alle volte Con giri diparole obblique incerte recar ſuole le ſue opinioni ; e che perlo ſpirito egli abbia ? intender voluto un ſangue ſottiliſſiino ,e di quelle particel le , onde ſi forman l'etere , e l'aere per la più parte ripicno. Macheche ſia di queſto , certamente ſi deecgli credere, ch ? a niuna guiſa mai avrebbe Erafiltrato dato fuori così inve riſimili, e vane fanfaluche, ſea lui foſse pervenuta qualche menoma contezza del vero movimento del ſangue; e pure egli vi fu molto da preſso : imperocchè ravviso , e conob be , che dalle vene all'arterie, comechè vi lien le ſtrade, na turalmente non ſi tragitti il ſangue ; il che diede poſcia ca gione a Galieno d'affermare, che l'arterie traggano il ſan gue dalle vene . Qui riſtette, ne paſsò più avanti Eraſiſtra to, con Del Sig. Lionardo di Capod. 337 -- to ; comechè la ſua gran virtù molto bene il valeſſe , merce che non già alla Grecia , ina alla noſtra Italia era la glo ria riſerbata dello ſcoprire l'aggiramento del ſangue . Oltre a ciò ſi pare ,che ſommaméte lodar ſi debba Eraliftra 10 , perchè al ſuo grande avvedimento , e induſtria aſcon der no li potè il ſugo nutritivo ma: pur fallò egli in immagi nando , che quel ſolamente ſerviſſe a nutricare i nervi , ſe è vero ciò che ne narra Galieno . Conobbe ancora Erafiftrato le vene lattee; niétedimeno rinvenir non ne ſeppe l'uſo ; s'accorſe egli anche , ed è egli non picciolo ſuo vanto , che'l reſpirare non diedes già a noi natura , comeimmaginò con Ippocrate , Diocle, e Ariſtotele , Perchè'l caldo delcor temprato fia . Ma non potè penetrar egli nientedimenoil vero ,'e propio uſo della reſpirazione: e perchè alcuni animali fieno ſtati formati sì , che debbano reſpirare ; imperocchè contendes Erafiltraco , che la reſpirazione ad altro non vaglia , fe non fe a poterempier d'aere Parterie ; coſa, che da per fe appar dal vero così apertamente lontana ,cheimutilmente colle fue ciance Galieno impréde a dimoſtrarla alțresì tale.Mafe Eraſiſtrato aveſſe avviſato, che il sague,tutto che no appaja di coſe diffimiglievoli eſſer cópofto, pur contenga molte , e molte parti dinatura diverſisſime avrebbe potuto agevol mente ſpiegare, qual ſia la neceſſità dell'aere , e della refpi razione neglianimali; imperocchè avviene , che nel ſepa rarli dalſangue la parte più ſottile , e per così dire , ſpirito ſa , ſi faccia anche neceſſariamente ſeparazione di varie al tre parti groſſe ;come nella formentazione del moſto , e d'al tre liquide foſtanze chiaranxente ravviſaſi ; queſte groffe porzioni, forza è , che s'abbattano, ſeparate cheelleno ſo no , o nell'acre , o in altro corpo ſimile , il quale contenga pori acconci a riceverle , e che ricevutele , ſia valevole a tragittarle fuori de'vafi:a quella guiſa appunto , che al ráno s'appaltano le lordure, le quali imbrattano il panno, e che col ráno ſe ne van via; e ſe perdiſgrazia dell'animale qual che tratto di tempo , quancunque aſſai menomo , non fao V u cel 338 Ragionamento Quinto ceſſe nel ſangue una cal purificazione, intoppando agevol mente negli anguſti vaſi dieſſo colle craffe porzioni ſepa rate i ſottiliſſimi formentāti corpicciuoli,ſarebbono queſti incontanente coſtretti ad abbandonare il movimento loro dılacante; e ſeoltre a'formentanti corpicciuoli aurà nel são gue abbondanza di ſoſtanze d'altro genere, ma altresì vo lanti , tra le quali viliano in copia grande i ſemi del fuoco, così queſti , come quelle non incontreranno molta diffi coltà a liberarſi da' ritegni ; e ſe vi ſi aggiugnerà qualche altra circonſtanza , onde , e l'uno , e l'altro movimento , e di formentazione, e dicalore rieſca grande , e notabilmée te impetuoſo , allora cgli grande oltremodo converrà ch ' avvegna la ſeparazione : per lo che non baſtando . dilatare , il ſangue dalle groſſe, c importune porzioni quell'aere,che inceſſantemente negli animali per li pori trapela , abbiſo gna , che altra aria mediante la reſpirazione fi beva ; e di quì ravviſato ſenza fallo avrebbe Eraſiſtrato , che parecchi animali no poſſano vivere colla ſola traſpirazione, maloro faccia huopo pariméte della reſpirazione; e ſe'l moviméto formentante non ſarà molto grande , ne verrà da notabile, calore accompagnato , allor l'animale avrà di pochiſſimo aere biſogno , e baſteragliquello , che, o colla ſola traſpi sazione , o con qualche forte ancora di imperfetta reſpira zione ſuccerà ;e p cal cagione poſſono détro alle acque vie vere i peſci; imperocchè nell'acque, benchè aere non vi ſia almeno che ſenſibile appaja , vi ſono impertanto parecchi, e parecchj aliti , i quali cosìdalla terra , come altronde gli vengono ad ogn'ora ſomminiſtrati; e trapelando queſtinel corpo de'peſci, adempiono il medeſimo uficio dell'aere col riportarvi quelle ſoſtanze, che , o nel fangue, o ne'liquori al ſangue equivalenti impedir potrebbono la formentazio ne, col mettergli giù nell'acqua , acciocchè l'acqua ſe n’ abbia a ſcaricare, comunicandola all'aere più vicino; il che ſe mai lor viene impedito , rimangono i peſci poco ftanto privi di vita . Nell'uovo poi , e nell'utero eſſendo i mo vimenti dell'animale non molto grandi , e maſſimamente fra queſti il formentante, ed eſſendo anche oltremodo mol lise DelSig. Lionardo di Capoa 339 li ; e pieghevoli , e poroſi i ſuoi vali , può baſtar ſolamente quell'aere,che per li pori vi trapela; e ſe mai dal freddo , o da altra cagione vegan chiuſi i pori,nõ entrādovi più l'aria, ceſſa nell'uovo , e nell'utero la formentazione del ſangue, e ſe ne muore l'animale ; ſenzachè non è di picciolo mo mento a mantener il debile moto formentativo nell'anima le racchiuſonell’vuovo ,ilpicciolo ,e rimeſso eſteriore caldo, che o dalla chioccia,o dalla fornace , o dal fime gli vié comum nicato ; e come tutto dì veggiamo,nc'vaſi ermeticaméte fi gillati, il calore del bagno,o del fime è valevole a far sì, che non ſi attuti , anzi duri , e fi accreſca nc'liquori la formen tazione . Aggiugneſi , che mal ſi può render volante quel la nobiliſſima ſoſtanza , la quale continuamente a vivificar le parti dell'animale dal ſangue lor ſi communica,ſenza l'ac re, in cui mai ſempre troyanſi quc'volanti corpicciuoli, che ajutano la formentazione . Ma laſciando queſto ſtare al preſente , forſe noi cammi namo dietro la guida d'un cieco ; e altra peravventura ſa rà la vera opinione d'Eraſiſtrato , la quale a dir il vero vien portata in sì fatta maniera da Galieno , che ſembra ch'egli, o non l'aveſſe inteſa , o non l'aveſſe voluta intendere, come fa anch'egli nel rapportare quellaltre opinioni d'Eraſiſtra to intorno alla cagione ,per la quale ſe ne muojan gli ani mali nelle mofete . Vuole Eraſiſtrato , per quel che ne nar ri Galieno , che ſe ne muojan gli animali nelle mofete , e nelle ſtanze chiuſe , einfette o dagli alitidella calce, o dal fummo de carboni , per ritrovarli in sì fatti luoghi l'aere ad un tal grado ſommo di tenuità ridotto , chene fi riceva dall'arterie , ne ricevuto per eſſe ſi poſſa ritenere; ma con grandiflima facilità fe n'eſca fuori; laonde per mancamen to di ſpirito egli ſe ne muoja neceſſariamente l'animales . Prende a gabbo una tal ſentenza Galieno , e dice , che do vea dire più toſto Eraſiſtrato ,che ficome nel pane , ne’logu mi , e in altre ſomiglianti vivande fi ritrova una qualità as noi contraria , così ancora una sì fatta diſpoſizione d'ae re ſia bcnigna , e amica agli ſpiriti , e un'altra maligna , es nimica . Vu 2 M2 340 RagionamentoQuinto 1 ! . Ma nondimeno conobbe chiaramente Galieno la vani rà del ſuo ragionamento ; onde vien coſtretto a confeſſare d'eſſergli di ciò naſcoſa la vera cagione; come ſi può vedere nel libro dell'utilità della reſpirazione ; ma che che ſia di Galieno , lo ammiro grandemente l'acutezza dell'ingegno d'Eraſiſtrato , e'l ſuo modo non guari lontano dal vero filo fofare intorno a tal faccenda;e forſe la fua opinione ſe ſi va fottilmente vagliando non ſi ritroverà tale , quale la s'im magina, o la fi dipigne Galieno ; il quale a dir il vero ſem brami troppo groſſo in ciòse materiale,anzi che no , facen dofi egliacredere, che Eraſiſtrato da lui medeſimo in sigra pregio avuto aveſſe ſognar mai potuto che Paer pregno del fummo de carbonizfia del puro aere piu tenue, e più ſottile. Ma lo per me porto fermiſlina opinione ,chc Eraſiſtrato aveſſe fatto differéza tra fúmo e acre, come da ognun falfi fra l'aere, e l'acqua;e che non altro per tenue aveſſe egliin tendervoluto , che picciolo , o poco : imperocchè la p.2 rola asfilos, della quale e' li valſe , ſecondochè dice Galie no ſteſſo , non ſolamente ſuol eſfer preſa da'Greci antichi a fignificare quel che noi Italiani diciamo foteile , e che da' Jatini ſi dice tenuis ;ma ancora per dinotare,come ſi può ve derein Ariſtotele , e in qualch'altro autore di que' tempi , quel, che i latini chiamano , cxiguus , e noi picciolo , o po co diciamo . Or chidomine non fa , che la dove è aſſai de ſo il fummosivi ſi ritrovi in meno quãtità l'aere? Conferma fi ciò che lo dico dalle ſteſſe ragioni d'Eraliſtratos per Ga lieno recate; imperocchè ſe l'aere delle mofetc, e di sì fat si luoghi egli foffe tal veramente , qual Galien dice ch’af fermiErafiltrato , ch'egli ſia , cioè troppo ſottile :con gran di ſlīmaagevolezza ſenza fallo penetrar egli potrebbe alles art erie ; concioſliecoſachè le ſoltanze diſcorrenti tutte , qu anto più ſottili ſono , tanto più convenga , che compo he , e formate licno di minutiffime penetrevoli particelle ; lao nde ſcimunito affatto ſarebbe Eraſiſtrato in dicédo,che per eſſer l'aere delle mofete troppo ſottile, tragittar egli no lip offa volentieri alle arterie ; ma entrarvi poi allo incon tro . DelSig. Lionardo di Capoa 341 tro malagevolmente vi potrà l'aere qualora eſſendo egli pochiſfimo venga con copia grande di denfe , e groſſe fo ſtanze accompagnato . Ma non ſi ſarebbe vanamente nel vero aggirato infra tante ciuffole , e anfanie Erafiltrato , ro con diligenza degna d'un sì grande filoſofante aveſſe poſta ben mente alla natura delle mofete ; perchè agevolmente aurebbe per avventura rinvenuta la vera cagione , per liza quale in quellamuojono glianimalisin iſcorgédo la mofe ta eſſer una diſcorréte ſoftāza più groſſa, e grieve affai dell? aria; e comechè nõ umida, in altro poi non guari dall'acqux disſomigliāte;e gli aliti della mofeta unirſi nella guiſa me deſima appunto ,che veggiam infieme unirki i zampillidel le acque, e mátenerf nelle cocavità nõ meno ſtrettamente uniti infieme , e congiunti , che que' dell'acqua nelle fon tane fi facciano ; e non altrimenti che l'acqua incontrando declivo il terreno, correr alla in giù la mofeta . Errò pari mente Eraſı trato la dove c'credette eller la carne non al. tro, ch'un accozzaméto di ſangue rappigliatose raſſodato , da che la carne è veramente un compoſto di picciole, c mi nute fibre ; e di fibre parimenté vengon formate le piccio liffime glandolette , che ſparſe perentro , e ſeminate vifo no ; c quantunque la carne del fegato , e della milza paja , nella prima viſta una mafſa di ſangue , pur nondimeno tal non ritroveralla chiunque mettédola in acqua a macerare, faccia , che ſe ne ſepari quel ſangue , che vi ftà meſcolato ; che allora manifeſtamente delle già dettc fibre tutta appa rirà ella refuta. Ma paſſando ad altro , che in Erafiſtrato lo ho ritro vato ; egli mi ſembra , che ſi foſſe in qualche ſembian za di verità incontrato in diviſando delle febbri , in quella guiſa , che s'è da noiaccennata ; non conſiſtendo verame te in altro la natura della febbre , ſe non ſe in un tal certo movimento non ordinario , e non naturale del ſangue ; ma non prende egli a ſpiegar mai poſcia , anzine men cura, per quelche fappiamo per bocca di Galieno, d'andar inveſti gando , come a razionalmedico fa meſtieri, le cagioni,on de ciò poſſa avvenire ; il che avrebbe potuto fareegli age vol 342 Ragionamento Quinta 1 volmenteper avventura,ſe li foſſe innoltrato maggiormen te nella filoſofia ; ne gli mancò , al mio credere , ingegno , ne animo ad una tanc'impreſa acconcio ; ma gli vennero meno gli ſtrumenti, i quali la ſola Chimica da lui nonco noſciuta ſomminiſtrar gli potea Ma che cheſia di questo , non potè celarſi all'acutezza del ſuo intendimento, che la digeſtion del cibo non ſi fà al trimenti dal calore ; ma inveſtigar nondimeno , e rinvenis non ſeppe egli mai que' ſottiliſſimi vapori nel ſangue, onde il cibo ſidivide , e li rompe in minutiſſime parti nello ſto maco ; e comeche conoſceſſe ben egli ancora il ſangue non eſſer da ſecaldo , non potè egli nondimeno però penetrar mai, onde , e come il ſangue caldo diveniffe , e fi conſer vaſſe negli animali . Maper far qualche parola dietro all' eſercizio del ſuo meſtiere : egli maneggiò l'arte Eraſiſtrato così magnificamente , che niun'altro tanto mai più ,ne pri ma , ne poi, per quello , che noi ſappiamo sì ragguardevol mente la ritenne. Ma egli non ha però dubbio niuno,che col profondo ſapere , colla gran fua diligenza , e induſtria gli s'accompagnaſſe proſperevole anche la fortuna: la qua le al maggior huopo nonmancò di favoreggiarlo , avendo egli dalla vicina morte ſottratto , e penetratane la cagione a tutti naſcoſa della graviſſima malatcia del regal giovanet to Antioco figliuolodi Seleuco,il quale in ſua lode così fa , vella appo il noſtro loyrano lirico E ſe non foſe la diſcreta aita Del fiſico gentil , che ben s'accorſe, L'età fua ſul fiorire era finita, Or chi è per Dio , che apertamente non conoſca aver avu to in ciò grandiſſima parte la fortuna . E non potea egli agevolmente ingannarviſi Eraſiſtrato , e in vece dell'oro, delle dignità ſupreme, degli onori, e della gloria immor tale , ch'e'guadagnonne , obbrobrio , e vituperio eterno riportarne ? Ma in ciò imitar lo volle anzi emularlo Galie no, le pur è vero il ſuo magnifico racconto allorche e' ſco verſe quella Romana femmina eſſer preſa forte dell'amor di Pilade ballerino ; c comechè egli vanti aver in ciò ſupe lato Del Sig.Lionardodi Capoa. 343 . rato il medeſimo Erafiftrato , ſe pur tale appunto andò law biſogna , qual egli la narra, non però di meno per eſſere fata colei viliſſimadonnicciuola , non ne riportò Galieno , ſe non quella gloria, ch'egli a ſe medeſimo attribuiſce , in iſcrivendo a Poſtumo talconvenente . Ma per toccar qualche coſa intorno alla maniera del medicare tenuta da Erafiltrato,fi pare ,ch'egli nonmolto ſi Je i Salopsi ſoddisfece , ne troppo ſi valſe delle purgagioni : delle quali affatto ſi tenne egli nelle febbri ; e dar ſolamente le ſolea in altre malattie , che'lrichiedeario ; ſi portava egli sì fattamente con gli infermi,che ſenza lor molta moleſtia, e riſchio alcuno recare , e ſenza porgerne loro cagione , fol con iſtrettamente cibargli , felicemente conſeguire ſperava ciò che altri dalle purgagioni, e da’ ſalaſli attendeano. Ma nonmeno Eraſiſtrato, di quel che Criſippo ſuo maes ftro s'aveſſe già adoperato , ftudioſſi egli ancora di ridurre alla ſua antica ſemplicità innocentee, inerme la greca me dicina ; vietando ſeveramente i ſalafi, i quali s'erano a po co a poco in tutte le ſette della medicina introdotti ; per chè ſi vede chente , e quale e' fi foſſe il valore , e quanto grande l'animo di Criſippo , e d'Eraliſtrato , i quali ebbero ardimento primieramente di far fronte all'oſtinata bruzza glia del vulgo, e rincuzzare una già quaſi preſcritta uſanza nella medicina . Ma le ragioni delle quali eglino fi valſe ro a ciò perſuadere,vengon deliderate da Galieno; ne accé na egli una ſola d'Eraſiſtrato : la quale ſiè , che nel ribut tamento del ſangue non ſi dee ſegnare, acciocchè per lo mancamento di eſſo non vegna poi coſtretto il medico a cibare fuor di tempo l'infermo ; e in ciò loda grandemente egli Criſippo ſuo maeſtro , il qual dice , che in ciò ebbe ri guardo,non ſolo alpreſente , ma all'imminente male anco ra ; concioſſiecoſachè al ributcamento del ſangue agevol mente ſeguir ne ſoglia l'infiammagione, in cuiilcibare ric fce ſenza fallo molto, e molto pericoloſo a' poveri infermi; ed egli è forteda temere, che chiunque dopo l'etſer legna zo dee portar la famc gran tempo , non vegna a mancare; indi poſcia ſoggiugne , che per sì fatta maniera adoperan doni 344 · Ragionamento Quarto doſi nel medicare Crilippo , n'acquiitaſſe lode , e gloria immortale . Mas'altra ragione di ciò ne recalle Erafiſtrato , Io no'l ſaprei diterminare ; non potendoſi preſtar fede in si fatta materia a Galieno ; cercando egli , come avviſa eziandio alcun de'ſuoi più parziali ſeguaci , a diritto , e a roveſcio il meglio ch'e'potea d’avvallar la gloria , e la famad'Erafi ſtrato ; c anche talora tentando a forza di ſofiſmi, e dica lunnia (trappargli di mano la ſignoria della medicina. Recar ſi veggiono in mezzo da Galieno alcune frivolei ragioni de'parteggianti d'Eraſiftrato ; ma da Galieno me. delino per avventura fognate . Maegli ſi dee fermamen te credere , che non poteano mai, ne Criſippo , ne Erafi . ſtrato , ne Medio , ne Ariftogene bandire , introdurre , mantenere in piede poi una maniera sì da quella diverſa ch'era comunemente in uſo , ſenza farne ben prima pruos va con qualcheprobabili ragioni, colle quali moſtraffera eſſere ſtati a ciò fare tratti di peceſſità , e non da vaghezza alcuna ; ne poteano altrimenti facendo difenderſi ne'lini ftri avvenimenti delle malattie ; e forſe Criſippo , o pure Erafiltrato qualche libro particolare ne compofe non per venuto alle mani di Galieno; il quale dice chiaramente una volta , che l'opere di Criſippo crano molto vicine a ſmar richi , e ad eſſer ſommerſe in perpetuadimenticanza . Ma quando primieramente cominciato foſle nella Gre cia un sì crudel coſtume d'aprir col ferro , o col morſo di velenoſi vermini le vene , e colla luſinghevole ſperanza di fottrarla a' preſenti, o a'ſopravegnenti mali,impoverir dell? unico ſuo ſoſtentamento la vita , egli è coſa malagevolen aſſai nel certo ,anzi per avventura impoſſibile a diſtinguere; folamente,che non ſi poſſa porre in dubbio e' mi pare ,che'l crar ſaugue,nemolto nepoco , ne'primni antichillimi tempi della medicina appoi Greci in uſo niuno noirera ; ne Ome ro , il qual non iſdegna con abbaſſarſi alle più menome par ticolarità delle coſe porre in non cale la dignità, e la gran dezza , e magnificenza convenevole all'eroico poeta , livi de giammai far mézione alcuna del ſegnare nella cura del le fe . DelSig. Lionardodi Capoa 345 : le ferite di Marte , diMenelao , d'Euripilo , e di Macaone; perchè , per tacer d'Achille , e di Patroclo , ne Podalirio ne Macaone, eſſendo favoloſo ciò che di lai narrali intorno a tal convenente per Celio Rodigino , ne Chironę lor maeſtro , ne Eſculapio lor padre , ne Apollo lor avolo , ne Peone medico di Giove conobbero , e.miſero mai in uſo i ſalafli, e ne meno fi fa fe'l fegnare,da loro mcdelimi i Gre ci trovaſſero , o pur da altri popoli l'apprendeſſero;macer tamente ciò non poterono iGrecidagli Egizaj antichi ap parare , i quali per teſtimonianza di Socrate ,da noi altro ve apportata,non ſi valfero mai di rimedi pericoloſi; ne ore no da’moderni: imperciocchè coſtoro , come avviſa Dio doro , altra ſorte dirinedj non ebber mai in uſo , fuoriſo Jamente , che criſtei , digiuni, purgative medicinc,e vomi tive . E ſi pare , che dagli Egizzj nell'altenerſi oglino mai ſempre da’lalaſli veniſſero imitati i fapiéciflimi popoli Chi neli, nel cui paeſe, che poco cede in grandezza all'Europa, ma l'avanza di gran lunga nel numero degli abitatori,non di vide mai , comedicemmonoi già , trar ſangue in infer mità vcruna; il cui eſemplo han ſeguito quei della Coccin cina, del Giappone,e tutti quegli altri popoli porti in quell' eſtremo tratto della terra , che bagnata viene dall'Oceano orientale ; e in modo tale abborriſcono i Cineſi medici i falali , che ne i Saraceni , allora quando i Tartari occupa rono quell' imperio , neinoſtrive l'han mai potuti intro durre . ? Ma che che ſia di queſto , chi poſe in uſo primiero il trar ſangue , Io immagino , che fi movcffe , e ſpinto vi . foffe , non già come immaginò Plinio ( ſeguito in ciò fol lemente dalMontano, e dal Vonio) dall'eſemplo del caval lo del fiume ; non eſſendo miga vero ciò , che ſe neraccon ta, come. Avempalace Arabomedico avvisò; ma dallo ſcor gere forſe , che dopo qualche ſpontaneo uſcimento di fan gue,o dalle narici , o da altra parte ſi vedea cedere in qual che parte il malc e sì crebbe l'uſo del ſegnare nella Grc cia , checonvenne , che Ippocrate, c.prima gli altri più ani tichi landaſſero a poco a poco riſtrignendo , sfidando per It' ! 346 RagionamentoQuinto d ſe per avventura di torlo via affatto Ma non ſarà forſe fuor del noſtro propofito a rap portare ora alcuna delle tante ragioni , colle quali po trebbeſijs’Io pur non vado errato , sì fatta opinione difen dere . La vita degli animali ( dico ora vita , largamente parlando x quello , ſenza cui al corpo, comechè compiuto, e ſufficientemente organizzato; non può l'anima accoppiar ſi , o ſtar tantoquantoin lui ) egli ſembra , che in altro ve ramente non confifta , che nel ſangue, o in qualche altro- li quore alſangue equivalente , che in alcuni animali in vece di quello (i mira . Coſa , la quale non può punto dottarſi da chiunque avviſa, che collo ſcemo del ſangue fcemaſi agli aniinali anche manifeſtamente la vita ; perchè ſe non per forte diſtretta , e neceſſità quello non li convience vuotar negli animali . Ma delle due maniere , colle quali il ſangue menomac puoſli , ciòſono , ocom trarlo fuora a viva forza da'vafi , che'l contengono , o con dar ſtrettamé te', e a riguardo il cibo ; il trarlo certamente è quello , il qual reca nocimento , e danno maggiore , e più gli animam li affraliſce ; concioſliecoſachèfgorgando il ſangue , con quello inſiemene ſvaporano quelleſottiliſſime volanti ſo ſtanze: per le quali , e del chilo s'ingenera il ſangue, cin , priina de'cibi s'ingenera il chilo ; ne può il ſangue mantc werſi nel ſuo ſtato, nevivificare le parci dell'animale, ſenza loro ; il che apertamente da chiunque mente vi ponga; po tendoſi di leggieri avvilare, non fa luogo, ch'Io ne faccia parole . Quinci chiaramente ſi vede, c'l confeffa il medeſimo Ga lieno , che potendofi, qualor ne faccia meſtieri, acconcia mente coldigiuno menomare il ſangue , non fia ciò da fare in modo alcuno coltrarlo fuor delie vene,maſſimaméteove ègrade malattia ;imperocchè quelle nobiliflime foſtāze ,che detro abbiamo effer nelſangue , ajutano oltreinodo gl’in fermia ſtar vigoroſi della perſona ſenza eſſere diſvenuti, affranti dal male, e giovano affai al mantenimento di quel li , cafar laro ricoverar la ſalute ; perchè quanto più gra voſe , e di riſchio ſono le malattie, più nocevole certamen te è Del Sig.Lionardo di Capoa. 347 O te è il erar fangue, e men fi eonviene . Malaſciandoda parte ſtare ciò che berlingando diceſi Galieno intorno al dovere fcemareil fangue , onde preſeg cagione i ſuoi ſeguaci di continuo aggirarli infra vane , e inutili contefe : certa coſa è, che'l ſangue può eſſer nocevo le agli animali , o per ſoverchio di rigoglio , e d'abbondan za, per cui o di preſente cagionar puofli in quelligrave ma latcia , o perchè egli è sì , e talmente piggiorato in tutto, in parte , che traligni dalla ſua natura, e non ſi conformica quella dell'animale:0 pure perchèegli inſieme e malvagio , e ſoprabbondevole s'avviſa. Ora in tutti , etre queſti caſi certiſſima coſa è , che'l ſegnare è fommamente nocevole E per cominciar dal ſoverchio del sāgue, chi negherà quel lo non eller mica vizio nella perſona: ficome anche vizio egli non è nella vita civile l'effer riccamöte fornito a denari, o d'altro,che meſtier faccia ad huomo per bene, e agiatame te vivere . E apertamente avviſafi, che coloro , che fom mamente in ſangue abbondano , ſon più d'aleri forci , e be atanti della perſona. Ma ficome la copia delle ricchezze , comechè buona coſa quanto a ſe , pure ad uſo cattivo da gli huomini adoperandori, ſuol di gravidanni talora eſſer cagione: così anche l'abbondanza del ſangue , avvegna chè buona , e laudevole fia ,può talora nuocere , ſeconda mente che per noi ſopra il fecondo aforiſmo del primo li bro d'Ippocrate già fu accennató . Orrel foverchio del ſangue può táto nella perſona adou perare , che ragionevolmente ne debba temere il medico , poco ſenno ſenza fallo farà di lui a volervi riparar col fa Jaffo : potendo ben eglicon imporre ſtretto digiuno ciò ac conciamente fornire . E ſe'l male è già fufficientemente appiccato , ne di quello il ſangue punto più s'inframerre ; che monterà egli attutar la canapa , acciocchè la girandola già preſa di foco non ſi conſumi? o pur che monterà egli ſpuntar la ſpada , perchè la ferita fattane fi ſaldi? E ſe pur dura oſtinato il ſangue a tener mano al male , oglirecas qualche impedimento alla cura di quello , può bene il me dico avveduto ſenza ricorrere al pericoloſo partito della X X 2 1 : { so 348 Ragionamento Quinto laſſo , con imporre all'infermo , che più o meno fi riman ga da' cibi : o più , o'meno , ſicomcli conviene , menomar lo . Nein ciò è da riguardare a ciò che in contrario ſi dice Galieno , cioè , ch'alcuni corpi v’abbia , i quali non così agevolmente potľano il digiuno comportare, per eſſer egli no caldi, e ſecchi in compleſſione,e come e' dice, collerici ; '. concioſliecofachè, per tacere, che ritrovar non ſi poſſa mai ficcità ove ſia gran ſangue, maſſimamente laudevole,e buo no , qual G ſuppone : e che la collcra non s'inframetta pun . to nelle vene , nelle quali, come altrove diviſato abbiamo, ne meno in que'mali, che ſecondo effo Galieno dalla col lera avvengono , nelle vene ſi trova : e che in sì fatti corpi non poſſa eſſer troppo abbondevole il ſangue per lo ſmalti mento , che continuo di quello falli : può bene il medico co medicine , che attutino la collera , e con beveraggi , che non facciano ſe non ſe pochiſſimo ſangue, acconciamente a ciò dar riparo ; ſenzachè in cotali corpi, i quali oltremo do abbondan di collera ,ſicome faggiamente avviſano Ip pocrate , e Avicenna ,ſon pericoloſi iſalasſi ; e ſe ciò fonte, c'huom collera aveſse nelle vene , impoſibil certamente egli ſarebbe , che non n'aveſſe ancor nello ſtomaco : nel qual caſo ne men Galieno medeſimo ardirebbe a trar ſan . guc agli infermi , per qualunque gran male cglino aver ſero , Ma ſe'lſangue è malvagio , o cgli è per ſe ſteſſo tale , o pur altronde la reezza gli vien comunicata. Se altronde gli vien comunicata , non che giovi mai il falaſſo , anzi egli è ſommamente nocevole ; imperciocchè , non che per lo trar del ſangue ſi ſcemi mai il mále,anzi ne monterà egli maggiormente , c più fiero , e rigoglioſo diverranne , ufcé do inſieme col ſangue quelle nobilisſime ſoſtanze , che di cemmo : le quali poſſono , e nel ſangue , e in quella parte, ond’al ſangue diſcorre il male, rintuzzarne l'impero :e ſcio gliendo , e aminendandocacciar via dal corpo per cieche , o per ſenſibili ſtrade quel caccivo ſugo, onde cotanto attri ſtivali il ſangue . Echi voleſse ammendare il ſangue coil cavarne dalle vene , farebbe come colui che con trarre ac, qua * DelSig.Lionardo di Capoa. 349 qua da un lago , in cuicontinuo acqua ſalmaſtra, o dall'int. teriora della terra ,o altronde trapeli, voleſſe quelle addol cire . Ma ſe'l ſangue per ſe ſteſſo è cattivo , con trarne parte , non mé cal rimane, qualſe vin ravvolto, o aguzzo emend.:re ſperaſſe mai ſcimunito contadino, con trarne dalla botte al quáti maſtelli ; ſenzachè l'infermo , perdendo anchequel le menzionate fpiritualı ſoſtanze , le quali ſole poſſono i difetti del ſangue ainmcndare , il nuovo ſangue , cheper quelle s'ingenera , e'l chilo diverranno mai ſempre pig giori . E quinci apertamente avviſar puofli, che ne merz faccia luogo il ſegnare , quando il ſangue nella perſona ab bondevole inſieme , e viziofo ritrovali . Ma per farci più addentro nella preſente quiſtione : l'al terazione , o'l cambiamento del ſangue , o egli è in tut to effo , o pure in qualche una , o più delle ſue parti, ość. fibili , o inſenſibili ch'elle ſiano ſi trova ; oveche ſi covi il difetto ,certaméte inutile affatto, e dáncvole ſarebbe il crar lo ; concioffiecoſachè il l'angue in guiſa meſcolato per lo continuo movimento della tormentazione , e confuſo ne vali ſi ritrova , , che non men della parte vizioſa di quello, la buona ancora col ſalaſſo fuori ne ſcorga; perchè queſta, debile , e infiebolita rimaſa , meno certamente potrà rin tuzzare , e ammendare l'avanzo della cattiva . Ma potrebbe per avventura alcun dire , incontrar tal volta ne'malati, che il ſangue loro ſia tutto buono: ma che ſol qualche ſoſtanza di qualità cattiva , o dentro a’ vaſi in generata, o altronde in quelli venuta,come vermini, e altre fomiglianti ſtrane coſe, chenel ſangue talora anche d'huo mini ſani ſi ſcorgono , renda quello vizioſo; e allora col fa laſlo ſi poſſon molto bene quelle vuotare ; ne per altra ra gione alcune malattie ſcemanſi talora , o affatto li ſpegno no per uſcimento di ſangue dalle nari, o da altra parte del la perſona . Io certamente , ſe ciò foſſe vero , a sì fatto argomento non ſaprei lo che riſpondermi : e non che a ſegnare diſtor nerei i noſtri medici , anzi a ciò ſommamente confortar gli deurei 350 Ragionamento Quinto devrei ; ma in verità altrimenti va la biſogna; perciocchè, o che nel ságue la vizioſa foſtáza s'ingeneri , o che altróde a quello avvegna,no guaridopo il ſuomagagnaméto tra plo moviméto in giro del ſangue ,e per quel della formentazio ne , convien , che quella sì, eralmente ſi meſcoli, e li ri volga inſieme con quello , che è buono , che ſe di tutti , e due non ſi ſgoccino interamente i vaſi , certamente non ſe ne potrà egli giammai tutto il malvagio ſpiccare. Anzico me in tutt'altri vuotamenti avviene , anche in quelli, chej per più larga bocca ſi fanno , certana coſa è , che allora il fangue piùpuro, e più ſottile più agevolmente ne ſpiccia fuora, rimanendo ſempre quaſi inorchia in fondo ilmalv.2 gio ; ſenzachè può talvolta ne pori de'vaſi sì facramente fare inframeſfa la cattiva ſoſtanza , che per trarne tutto il ſangue ne mencertamente quindi ſpiccar ſi potrebbe . Ma ſerbiſi pure ella ſolamente nel ſangue , e per lo cotinuo ri volgimento di quello ella ancora ſimuova : certamente il caſo ſolo operar potrebbe, che in paſſando per lo ſpiraglio della vena , trattadalla foga del ſangue ancor ella per la medeſima ſtrada fuora ne ſgorgaſſe . Ma certamente il co trario tutto di avvenir veggiamo , maſſimamente nel velen della vipera: il qual penetrato una volta entro il ſangue,no ſi può quindi per ſalaſſi ritrarre giammai , ſe non ſe quando di preſente ſi taglia l'offeſa parte ; perciocchè allora non penetrato ancor molto addentro il veleno , inſieme col fan gue fe n'elce fuora . Ne dee ſempre il medico avveduto prender guardia d' imitar co' ſuoi argomenti in ogni coſa la natura ; concioſ fiecorachè non può egli ſapere comc , quando , e perchè quella opcri. Avvien talora , che s’alleggj, o affatto ſpe gnaſi qualche malattia dopo uſcimento di ſangue;percioc chè nel tempo medeſimo incontra per avventura, che la ca gion vera del male, la qual nó avea coſa che fare col sāgue, come altrove è detto , ſi è tolta via . Talora la cagion del malce nel ſangue : ma dalle partiſalde nel tépo medefimo dell'ufciméto , o poco avanti, e prima,che mclcolată fi fof ſe con tutto il ſangue, a quello mandata ; e talora, perchè nel 4 1 1 3 1 DelSig.Lionardo di Capou. 351 Ael medeſimo tempo ella del ſangue ſi è partita : e giunta... alle boccucce de'vali colla ſua mordacità le ſtimola,leapre , e inſieme col fangue n'eſce fuora . Or fe poteſſe il medico mai per ſenno avviſar sì fatte coſe; forfe ſarebbegli permel ſo talvolta il ſegnare; ma perciocchè egli èmalagevole al fai, anzi impoßībile a comprenderle , impoſſibile altresì ſi rendea lui la pericoloſa impreſa di poter col ſalaſſo vin cer le malattie . Perchè quando egli follemente s'arriſchia ad adoperarlo , ſi pone inmano della fortuna:e'l nocimen to , e'l danno è ſicuro , e'l giovamento molto incerto , che ne poffa all'infermo ſeguire ; e maggiormente che rariſſi me fiate ciò che lo hodetto incontrar fi vede.Perchè ſcioc chi ſon da ripurar ſenza fallo coloro, che da quelle pochiſ. fiine volte , che felicemente per opera della natura ciò av. vcnire ſcorgono gvoglion , che parimente dall'arte ſempre mai ſeguir debbawo Mafe nel fangue farà per avventura in parte ſcema to il movimento in giro , o quel della formentazione , allora ccrcamente, non che rieſca giovevole , ma dannoſo olcremodo ſi ſperimenta il Talaſſo ; imperciocchè per quello fcemandoli quelle parti, onde al ſangue cagionanſi eſimo vimenti , diverranno eglino ſenza fallo minori;ma le i movimenti faran creſciuti , comechè fembri , che per ſegnare debban ceflare , fcemandoſiquelle ſoſtanze nel la perſona , onde effi' movimenti procedono : non però di meno rimanendo in piede la cagione non naturale , per cui il' moviméto in giro, e quel della formentazione nelſangue accreſciuto ſi era , nonſolamentevano ſarà il falaſſo , ma altresì ſommamente nocevole; perciocchè con quello fi vé gono a tor via dal fangue le ſoſtanze ſpirituali , le quali ſo le poſlon vincere, e ſgombrare la cagione non naturale,per cui que’movimenti oltre al dovere , sformatamente accre fciuti ſi erano ; ſenzachè in que'movimenti sì factamente avanzati , ſi fà grandiſſima perdita di Sangue : e poco , o nulla fi dee cibar l'infermo; perchèfe vorreio a quello col ſalaſſo ancora torre il ſangue, egli correrà certamente grá diſſimo pericolo della vita. Ma 352 Ragionamento Quinto Ma ſe'l ſangue li ferma in qualche parte falda del corpo, come veggiamonelle infiammagioni avvenire , allora non è da ſcemare il ſangue co'ſalaſli : ma sì ſi dee prender guar dia , che ſi toglian via le cagioni, onde quello a fermarſi quivi fu coſtretto se ciò non ſolamente , perchè il ſangue allor dalla febbre , che s'accompagna coll'infiammagione, grandemente ſcemaſi , e perchè poco, o nulla ſidee l'infer mo cibare : ma ancora , perchè quantunque ſe ne traggu daʼvafi,quel,che rimane,ſi fermerà pure Oſtinato quivi,e tā to più ,quáto ſarà facto men vigoroſo il ſangue a più oltre pasſare;come veggiamo ne'mali della gola , e della pleureli avvenire ; ę fcorto manifeſtamente ſi è allor che ſpina , o al tra fomigliante coſa ſi ficca nella carne , che con quantun que ſangue trarre , non ſi può far sì, che non vi accorra in fiammagione : evi ſi ripara ſolamente con trarne la ſpinews ſenzachè col ſalaſſo dipartédoſi dal corpo ciò che ſcioglier puote il ſangue rattenuto nella parte offefa , ne viene av montaremaggiormente il male . Neha luogo niuno certa mente quì , o la derivazione , o la rivulſione , che chia mano i medici , percui eglino tutto dì ſono a zuffc , eacă teſe in volendo riconciliare alcuni luoghi d'Ippocrate , e di Galieno : i quali variamente ne favellano; imperciocchè movendo di continuo il ſangue in giro, da qualunque par te egli ſi tragga , ſempre ne liegue il medeſiino : c niente ri lieva quantunque l'arterie ſi ſegnaſſero; imperciocchè vuo. tandoſi l'una parte del ſangue da'vaſi colla lanciuola, inco tanente nuovo ſangue dall'altra vi diſcorre : ficome in fiue micello avviene, le cuiacque per varj ravvolgimenti ricor rando a guiſa diconfuſo labirinto s'incontrano : E mentr’ei vien ,se , che ritorna , affronta , E comechè i moderni per no li dipartire in medicando da gli uſi comuni, ſi ſtudjno, e s'affarichino dicoglier pruove ; no però di meno apertaméte ſi vede cheindarno li beccano i geti; per maniera,che un di loro ebbe manifeftaméte a co feffare, che in ciò deſli ſtare alla ſola ſperienza; comcchè al cuni più ſaggi,e avveduti affermino le ſperiēze tutte recate dagli Del Sig. LionardodiCapoa 353 dagli antichi a queſto propofito eſſer fallaci, e vane.Perchè ragionevolmére temevano i più famoſi Galienifti, che fiori vano a que'tempi che da prima ſparſeſi la circolazion del ſangue ,no ſe n'aveſse a travolger tutto, e andar a foqqua dro l'uſo del medicare comunemente ricevuto ; e queſta fi fu una delle cagioni, perchè un sì lodevol ritrovato tanto lor rincreſceſse .; el principal.degli argomenti, che contro a ciò giammai fi ftudiaffero di fare il Riolano , il Primero fio , il Pariſano ,e altri ſi fu, che come narra l'Arveo: ftão se circuitu phlebotomia nonrevelli; quit ſanguisnibilominus parti affetteimpellatur . Ma comechènó ſapeſſe l'avvedu tisſimoGio:Battiſta Elmonte dell'aggirainento del ſangue, pure ebbe egli tanto d'intendimento ,chegiunſea conoſcer ja vanità della revulſionc ,, .e della dirivizionc ,allor che iit facendo paroic della punta c'diſle: Quam circumfpečte ſunt Scholæ in fermocinalibus , &artificialibus : que in natura nil nifi ludicra ſunt! Quoniam etiamfi vena cubiti ufque in cavam totum depleat cruorem : do hecconſequutive èvena azygos cruorem extrahat ; fcire tamen deberent ſcholæftatim poft, totumiterum cruorem æqualiter in venas reftitui : adeò licet.vena cubiti tatapoffetevacuari ( quodnunquam ) tamé mox iterum totus cruor equareturper totum venarum cótex tum . Vnde manifeſtum fit vanas efle revulfionis , deri vationis nanias : quippe quibus conceſſis adhuc non nifi pro paucula mora inſervirent intenţiopi , Perchè ad alcuna delle dette ragioni, per tacer della ſperienza , riguardando per avventura quegli antichiſſimi medici della Grecia , i quali prima d'Ippocrate fiorirono , ma in quel tempo , che'l ſegnare era già nella Grecia in trodotto , furono così ritroſi , e guardinghi in crar ſangue: ne mai oſarono ſegnar nelle febbri, anche ardentiflime.Ne Ippocrate medeſimo, come ſi vede nc’libride'luoghi dell' huomo , e in altre ſue opere , fegnò giammai nelle febbri , ſe non folamente in quelle , che da grande infiammagione dentro cagionanſi; e in alcuni mali vuole egli di ſtrettamen te , che da ſegnar ſia con tal convegna , che non vi ſia feb bre ; e avviſa egli oltre a ciò una fiata , che dopo lungo uſci Y y nicht 354 Ragionamento Quinto 1 1 1 1 1 mento di ſangue dalla matrice d'una donna , le ſopraven ne la febbre : coſa ,la qual veggiamoanchenoi più d'una volta avvenire . Ne è punto vero ciò che dice Galicno , che Ippocrate porti opinione , che in tutte acute , egrandi malattie ſia datrar ſangue;concioſliece ſachè in quel luogo per noigià recato , in cui ſi conrende da Galieno', che ciò egli affermi , egli nel vero non di tutti mali acuti vuol che s'intenda , ma di que'ſolamente , de'quali egli quivi ragio na , sì veramente , che ſien grandi; e imperò vípoſe la par ticella deg che i Latini dicono fed , o pure verùm , e noi diciamo ma: della qual particella Galieno in ſu quel luogo non fa menzione alcuna , e artaramente la tace per poter quello recare a ſuo concio ; perchè i ſeguaci d'Ippocrate forte ne'l tacciano, dicendo , ch'egli falſato aveſſe il teſto d'Ippocrate . Ne è da tacere quanto Galien ſi maravigli , perchè una cal ſentenza non ſia ſtata poſta da Ippocrate negli aforiſmi; e perchè egli altresì non abbia detto , che ne'mali grandi anche non acutiſi debba trar fangue. Ma ne men da’Galieniſti medeſimi viene ricevuto e ap provato il lor macſtro Galieno in quel ſuo famoſo decco : che in tutte febbri ottima coſa ſia a trar ſangue , non fola mente in quelle , ch'egli chiama finoche , ma in quelle an. cora,che da putrefcenza d'umori fon cagionate . E nel ve o eglino in ciò gran ſenno fanno a laſciar da parte la reve renda autorità del lor maeſtro , e ſtar guardinghi , e ritroſi di cavar ſangue in tutte ſorte di febbri; anzi licome eglino nella quartana , e nella terzana ſemplice di ſegnar ſi guar dano ,così nelle altre ancora ſe sbandeggiaſſero affatto i ſa laſli , o quanto miglioriſarebbon da eſler giudicati, e più aſſennati aſſai del lor medeſimo maeſtro ; concioliecolachè nelle febbri maſſimamente acute , e più in quelle , che ſino che chiama Galieno, per la ſtrabocchevole formentazione, e per lo troppo riſcaldamento del langue, cotato egli liſce ma, e s'affraliſce , e s'infieboliſce la perſona, che pericolo ſo alfai, e nocevole riuſcirebbegli ilfalaſſo ;ſenzachè dal la ſcarſezza del cibo ancora , e per lo poco ſmaltimento di quello s’aſſottigliano sì fattitebbricoli, e quali a buccia eſtreina dimagrano. Ma . Del Sig.Lionardo di Capoa. 355 Ma avvegnapure , che con ſegnare rinfreſcaſſeli veram mente il fangue, ilche in cotalifebbri non ſi ſcorge, ſe non fe di rado , eperpochiſſimo ſpazio di tempo avvenire, ri furgendo teſteſo vie più che mai impetuoſo, e fervente il calore ; non però,dimeno aſſai ſciocchezza certamente fa rebbe a volerper poco rinfreſcamento pericolar graveme te la perſona , e manifeſtamente porla a riſchio dimorte ; perciocchèſovepti volteincontra , che dopo il falaſſo vol gendofi a maligna la febbre., più coſto n'uccida. E fe pur vogliam rinfreſcare il ſoverchio calor ne'malati: che non cercar di ſcemarlo con argomenci acconcj, ſenza metterci al pericoloſo partico de ſalaſſis che non cercar rimedj da to glier la cagione ,onde nel ſangue colla formentazione il ca lore ſtrabocchevolmente ècreſciuto , laſciando in lui quel la vital ſoſtanza, che ſola puòl'infermo ne' ſuoi mali aju tare ? Ma ſopratutto certamente vorrei Io domādare ad Ippo. crate , e Galieno , perchè eglino diſideravan , che ſi traef fe ſangue fin’allo sfinimento dello infermo nelle febbri ca gionate da grandi infiammagioni dentro, maſſimamente.ne' mali della gola , e della punta? perciocchè in quelli , fico me il inedeſimo Galieno inſegna , ogni ſperanza di riſto ramento nelvigor.dello infermo allagaſi; ilqual ceſſando molti ſe ne veggion miſeramente morire , eziandio nel di .chino del male , non avendo in lor virtù, perla fiebolezza , da poter il puzzo già cotto , e digeſtito ſpurgare. Ma ſe Galieno non vuole,che ſi tragga ſangue a'fanciul li prima del quatroidecimo anno per qualunque graviſſimo male elli abbiano , non per altro certamente , ſe non ſe per la grandiſſima inſenſibil vacuazione , che continuo coloro fanno : perchè farà eglida trar ſangue nelle febbri , malli anamente sipoche, e in quelle dell'interne infiamagioni,per cui l'inſenſibil vacuazione , che fasſi negli infermi è ſenzaw paragone affai maggior di quella de'fanciulli ? Ma per avventura egli non fu Galieno così amico di ſe gnare., comeſi fanno a credere i ſuoi Galieriſti ; e forſe più per oggia , e diſpecto , ch'egli aveva nella nimica ſerta di Y y a d'Era 356 RagionamentoQuinto 1 Eraliftrato , cotanto egli commendò i ſalali, che per ra . gion , che veramente ve'l traeſſe ; perchè con tante leggi, ' e convegne , e riguardi egli ne riſtrigne l'uſo , che certa mente delle diecivolte , che i noſtri Galieniſti ſegnano , ſe bé li mir231on ne ſaran due per avventura ſecondo il vero ſentimento del lor maeſtro Galieno adoperate ; e rariſſiine volte certamente quelle ſarebbono , che ſegnar ſi dovreb be ſecondo il lor Galicno ; ma eglino credendo d'adoperar bene nelle malattie , con porre ayanti un sì gran rincdio,e sì giovevole, qual e' dicono; non curano di trarre a' mini feltisſimo riſchio i malati, ordinando largamente i falasſi in ogni malattia ſenza riſpetco alcuno, anche contro i divi lamenti del lor medeſimo maeſtro . E comechè Galieno , come teſtè diciavano , n'aveſſe una volta inſegnato , che ottimo ſia a ſegnare in tutte ſorte di febbri,pur quando poi più minutamente nevuol divifare raccontando ad una ad una al ſuo Glaucone le maniere di toglier via le febbri , quaſi dimentico del falaſſo no nefà motto niuno nella cu ra della ſemplice terzana la qual ſecondo lui muove dapll treſcenza d'umori ; e nella cura della terzana baltarda egli dubitoſo, e in nube ne favella , tempellando nel ſuo ani mo tra'l ſoſpetto , e la paura di non offender con sì fatto medicamento gl'infermi. Perchè ragionevolmente il Ro rario di ciò avveduto, forte proverbiandolo diinunifeſta contraddizione nc'ſuoi ſentimenti l'accagiona: quum aliud videatur proponere in univerſali methodo , ficome e' dicu , quàmin particulari exequatur . Ma non che Galieno die fcendendo al particolare, a ciò che prima accennato ave va in univerſale, minutamente fi conformi; anzi cotanto fciocco , ebalordo egli è nelle ſue regole , come già diviſa to abbiamo , che in preſcrivendole in univerfale , fache ſo vente l'una all'altra contraſti, e vicendevolmente fi com battano . Così nel libro del modo di medicar per via di fa lasſi,contro il rapportato duo diviſamento dice : lo dimos ftrerò in queſto libro , che non che a ciaſcuno convenevol fia il falaſſo , anziche ne men coloro , ch'abbondan oltre fiodo ia langue , fian da ſegnare , ſe prima manifeſtamente non DelSig. Lionardo di Capoa 357 fa non ſappiafi. di qual natura fia l'abbondanza del lor fan gue : e quale lo ſtato dello infermo, e gli anni, e'l luogo , e la ſtagione , e la complesſion dell'aria ſia : e chenti, e quali fegniabbia egli patito' o patiſca nelcorſo della fua ma lattia; per ciaſcuna delle quali convenienze dice egli di do verne inaniteſtamente dimoſtrare , che molti ſenza graviſ fimo for dáno ſegnar non ſi poffano . Ecco le ſue parole : Εγω επιδείξω κατατον εξής λόγον , και μόνον άπαντας και δεομένες φλεβοτομίας , αλ' εδέ τες πληθωρικές αυτούς , εαν μη πεότερον αυτό το πλή θG- , οποίον πτην φύσιν εα διορίστι μετα τούτα την έξιν του κάμνονlG Xoxíarte , xai megy, noi xwegen wij , satíscos , @osc te thonyera , sche όσα περεστ τω κάμνονασυμπώμας καθ' έκασον γαρ τούτωνεπιδείξω πολ . λους μη φέρον ως αβλαβώς την φλεβοτομίαν . Ωltre acio avendo Galieno nel libro cótro di Eraſiftrato , e altrove inſegnato , che del ſoverchio ſangue trar G debba copioſamente infino allo sfinimento ; nel quarto libro poi del inetodo eglicer tamcnre in miglior ſenno rinvenuto affermanon cffer il ſo verchio ſangue indizio del ſalaffo ; perciocchè ſe huom ſa no sformatamente in ſangue abbonda , non è egli si toſto da ſegrare : ma sì fi dee con purgagioni, e con menomargli il cibo , c con iftropicciamenti e, altri rimedj ajirtare. Co sì anche egli inſegna nell'undecimo del ſuo metodo , che nella febbre ſinoca no debba il medico troppa copia di sã gre allo infermo trarre : acciocchè il debito alimento alles parti rimanga , ne fia ſtretto l'infermo per ricoverar le ſinarrite forze a doverſi troppo ghiottamente nutricare ; non però di meno egli medeſimo altrove dice ſe aver nella febbre finoca fino allo sfinimento ſegnato . Ma più che in ogn'altronel nono libro del metodo moſtra affai ma nifeftaméte Galieno quáto egli ondeggiáre, e dubbioſo in torno al ſegnar fia ; conciosſiecofachè egli quivi dica do verſi trar ſangue di preſente a'malati di febbre finoca ſenza punto por cura che fia ilfeſto , o'l decimo giorno , o altro giorno critico : e ciò diſtrettamente egli comanda ſenza ri fpecto alcuno . Matoſto poi rivolgendoſi,indi a poco ſog. giugne , che ſe peravventura da altri medici , o dagli asli ſtenti , o dal malato medeſimo ti verrà ciò vietato , allor tu : debbi - 358 Ragionamento Quinta debbj imporgli beveraggi d'acquafredda ,e agghiacciata potendoli ciò ſicuramente adempiere ſenza nocimento al. cuno dello infermo; e ſe ciò pure ſicuramente adoperarnon ſi puote , allor comanda,che il medico ſi debba ad altri ri. medj rivolgere forſe più accoci di queſti. Dal quale diviſa méto manifeftaméte s'avviſa quáto poco fperava Galieno nel falaſſo a dover guarir la febbre ſinocajāzi qnāto egli no men del ſalaſſo temeva anche dell'acqua fredda: la qual ſe .condo lui ſmaga la perſona , affieboliſce le membra, e ren de crudi gli umori, e ſveglia tremori , e dibattimenti nel corpo , e cagiona nonpocamalagevolezza nel reſpirare . E ſe con molta ragione egli ebbe nel libro primo del metodo a coinmendare oltremodo gli antichi medici ; i qualicosì ritroſi, e guardinghi erano in permettere agli in . fermi vino,o acqua, o altro rinfreſcamento della loro ſete ; che non altrimenti, che i rigorofi Capitani a’ſoldati comā dino , o i Principia i lor popoli, cosi eglino in ciò ſtretta mente ubbidir ſi facevano da' loro infermi: certamente Galieno , ſc avelle creduto eſſer neceſario il falaſſo a cota li febbri, avrebbe egli il ſuo medico conligliato ,che ripu gnando altri medici, o gli aſſiſtenti, o l'infermo medeſimo, di quello ſi rimaneſſe ; maſe più a capital ſenza fallo auuto l'aveſſe, egli ſaldo, e oſtinato nelſuo proponimento avrebe be pur confortato ilſuo medico a doverlo metter avanti, o pure d’abbádonardi preſente la cura dello infermo; ficome altrove in ciò che conoſce neceſſario al ſalvamento de'ma lati, più volte il ſuo medico diſtrettamente egli ammo niſce Mache direm noi quanto egli generalmente poca ftima faccia de Calaſſic poco in lor lifidi? maſſimamétein quelli bro , quando contro ad Eraſiſtrato maggiormente aiz zato , e riſcaldato vuol provar quanto ſia convenevole , neceſſario a'malari il ſegnare ;allora nel maggior caldo del la pugna , quali ſchivando la propoſta , che cotanto in pri ma avea preſa per la punta , li rivolge contro coloro ,i qua li giovani, e mal pratici in medicare, temerariamente ove non ſi conviene adoperano il Calaſſo ; e sì cutta la colpa ri yerla 1 Del Sig .Lionardo di Capoa. 359 1 verſa ſopra coloro, i quali quantunque nel cominciamento del male traggan ſangue', dice nondimeno,cheper lor dap pocaggine ſpeſſo gravemente pericolano gl'infermi; per chè conchiude egli diſiderar più toſto , che cotali nuovi uc celloni non s'infrámettano dibiſogna così pericoloſa ,e più toſto per ſalvamento demalatiſe ne rimangano . Mamol to aftuto , e malizioſo ch'egli è , ſe per prender riparo di cotanti mal capitati infermi per lo ſalaito , n'accagiona la tracotanza , e la befraggine de'giovani e mal praticime dici : come ciò colpa foſſe dell'età di coforo , e non più to fto del medeſimo medicamento ; perciocchè egli dice' , e manifeſtamente confeffa, maggiore aſſai eſſere il numero di que’malati, che per malamence ſegnarſi ſi morirono , che , di coloro , a'quali tratta non fu mai goccia di ſangue. Eal la per fine egli conchiude, che gran danno , e nocimento agl'infermi apportano que'medici, che giudicano nel co minciamento di tutte tebbri doverſi crar ſangue. Ma che che ſia dell'opinione diGalieno,la continua ſpe rienza di ciò baſtantemente ammaeſtrar ne puote : e ſe li beri d'ogni neo di paſſione negli uſcimenti delle malattie riguardiamo, ben coinprender pofliamo quelle per ſalaſli non eſſer mai ſcemare, le per avventura giunte non ſienoa' termini loro facali se da ſe ſono ſenza argomento alcunori ſtate ; ma non così negli altri rimedi, i qualivantar poſſo no di riparar veramente alle malattie , e cacciarle fuora dalla perſona per lor virtù , e giovamento ; ficome nelle terzana , e nella quartana avviſar puoſli: le quali non cede do a’ſalalli ; o alle purgagioni, pur dalla ſcorza del Perù só vinte , e fignoreggiate ; perciocchè quella ſolamente è ri medio acconcio loro ,e non già il falaſſo, o la purgagione,le quali coſe più coſto offédono ,che giovano in corali malat tie.Nein ciò voglio lo diftédermi al preſente,co farne lun ghe pruove: ſolamente rapporterò l'avvenimento del Sere niſlimo Cardinal Infante;al quale comechè per li tanti ſa laffi non foſſe rimaſta gocciola difangue nella perſona,pur. dura , e oſtinata la ſua febbre non ceſsò mai , ne rifinò, fin chè cacciollo diqueſta mortal vita . Anno 1641 Noven bris 300 Ragionamento Quinto bris diſſectum fuit curpus Principis FerdinandiHiſpaniarum Regis fratrisCard . Toletani, qui 89.diebus tertiana febri agitatus obiit ætatis 32.annorum . Etenim fublatis cordes bepate, cu pulmone , adeoque difettis venis ,arteriis, vix cochlear cruoris in cavuum thoracis confiuxit ; planè nimiru hepar oftendit exangue: cor verò inſtar crumena flaccidum : biduo enim ante mortem plus ediffet ,fi ipfi conceffum fuiffet , Fuit enim per venæ feitiones , purgationes, hirudineſque ità exhauftus , ut dixi; non definebat tamen tertiana fuum sypă Servare. Ne muove punto ciò , che ſi porta per Galieno , ſe pur cgliè vero , di quelmalato difebbre ſinoca, che ſegnato da lui fino allo sfinimento ſi guarì ; concioffiecoſachè veg. giam noi molti, e molti guarir turto dì da și facte febbri ſenza verſargoccia di ſangue ; ed'altra parte infiniti anche ſono coloro ,come teſtimonia il medeſimo Galieno , i qua li fino allo sfinimento ſegnati G morirono; e coloro ancora, i quali a peſſimo ſtato della lor ſalute ne giunſero : e coloro , i quali anche per teſtimonianza del medeſimo Galieno ,co loro grandiſſimo riſchio ,dopo ſegnati fino allo sfinimento , affieboliti , e raffreddati di tutta lor perſona n'ebbero ſudo ri grandiffimi, e ſoccorrenze, comechè poi loro ne folie ccffata la febbre. Ne di ciò è punto da maravigliare; con cioſliceofachè tra per lo perdimento del ſangue,e degli ſpi riti s'agitino , e ſi perturbino sì fattamente le parti (alde, e diſcorrenti della perſona , che per lo ftrabocchevol rime ſcolamento ſe ne viene a fommuovere,e disſipare la cagione della lor malattia : e sì rimangono liberi , e lani di preſente co non poca maraviglia de’inedeſimi medicanti. Così veg giamo per ira , o per timore, o per altra grave , e ſubitana paffione le gotte , e le quartane , e altre dure , e pertinaci malattie eſſer di preſente riſtate. Quinci manifeſtamente ſi comprende , ſciocchi oltremo do , e ſcimuniti eſſer coloro , i quali per picciol ſalaffo per fuadonſi aggiugnere a ciò , chè Galieno con largamen te trar ſangue fino allo sfinimento aggiugner fi crede va ; perciocchè coſtoro per non porſi a riſchio d'ammaz zare Del Sig.Lionardodi Capoa : 361 1 zare i malati nonolano loro con iftrabocchevolmente rea gnargli torre affatto le forze,e sì porli in bilico della lor vie ta ; ma si mezzanamente ſegnandogli certamente non po tranno mai muover a rimeſcolamento le parti falde', e di fcorrenti del corpo , onde taloramaraviglioſamente,come chê con non poco riſchio della perſona , ſi riftanno le ma. lartie ; perchè da’loro falaffi altro certamente ſperar non ſi può , che certisſimo danno, e nocimento ſenza ſperanza di riſtoramento alcuno ne'malati . E fenza fallo gran ſenno fanno coloro , che ne più , ne meno ſegnano , pereſſer i ſa lasfi ne'malati, o gravemente dannofi , e di riſchio , o affat to inutili . E a ciò riguardando i più pratici , e vecchi nel meſtier deilamedicina,ritrofi oltremodo , e guardinghi ſo 110 nel fegnare : ficome Raſi, e altri valeuti medici nell'ulti- , ma lor vecchiaja dalle continue pruove addottrinati, nois mai ; ſe non molto di rado , e con grandisſimo riguardo ſi videro adoperare i ſalasſi. Mainoitri medici , comechè di ciò pure fien ſufficientemente ſgannati , e ricreduti , pure per non metter affatto in miſaſo l'antichisſima coſtuma de ſalasſi , e si laſciare anche in ciò la medicina del lor mac. ſtro Galicno , così ſcarſamente, e a biſtento ſegnano , ch'o ve gli antichi medici largaméte traevano il fangue a libbre , coſtoro ſolamente il traggono a pochisſime once; ritenen do così ſolamente in nome , e per veduta l'eſler Galieniſti in trar ſangue , quando in verità non ſono. Ma per ritornare allamedicina d' Eraſiſtrato , egli fem bra, per quel che nemoftriGalieno , che della materia de medicamenti egli ſi foſse allai ben conoſciuto ; e viencegli oltrcmodo da Galien celebrato : perciocchè pellegrinando egli, e non avendo una fiata in acconcio una ſua medicina per lo ſtomaco , ponetie ſaggiamente in opera alcuni ſughi d'erbe,le quali quivi abbondanteméte erano;eGalien pari mente di luiracconta , che trovandoſi cgli medeſimo un giorno infermo in contado, e abbiſognandogli al ſuoma lc il paſtello d'Androne, ne potendolo quivi avere, in luq go di quello aſſai felicemente adoperò il ſugo del Rovo ; c ſoggiugne Galieno , chee'non venne Eraliſirato a ciò fa Z Z 1 1010 362 Ragionamento Quinto re ſoſpinto altrimenti, o perſuaſo', come millantavano Sea rapione , e Menodoto, dal paſſaggio, o argomento dal fi mile al fimile , non avendolomiglianza niuna tra'l paſtello d'Androne, e'l ſugo del Rovo,madalla general contezza , la qual egli avea della facoltà de'ſemplici ; per la cui' mea deſima ſcorta,ad emulazioned'Eraſiſtrato ritrovò poiGa lieno parimente quel medicamento , che'l fa tanto ſtraboce chevolmére pavoneggiare,cioè il ſugo delle noci.Or penſa te voi che ſchiamazzio avrebbe farto egli, e qual loda avrebbea ſe ', e ad Erafiltrato attribuita Galieno , ſe qual che menoma delle chimiche medicine aveſſer potuto mai eglino rinvenire . Ma ne Eraſiſtrato , ne Galieno ſeppero mai' , che nel ſugo del Rovo , e delle noci viabbia un ſale adatto a ſciogliere molte, e molte di quelle materie , onde ingenerar fi loglion le poſteme; e che non ſolo i fughi già detti ſono riſtrignitivi,mavalevoli anche a fare cambiar na tura a quelle acetoſe ſoſtanze', oude s'ingenerano l'infiam magioni . E quinci ſi ſcorge apertamente , chevada errata in ciò la medicina razionale antica , la qual ſi crede , uſana do medicamenti sì fatti nel primo cominciamento dell'in fiammagioni, porre in opera coſe , che di ripercuotere, o di riſtrignere ſolamente abbian valore. Maritornando a noſtro propoſito : bé potea anche effer agevolmente vero ciò che diceano que’gran lumi dell'em pirica medicina , Serapione , e Menodoto , che da qualche ſomiglianza no penetrata da Galieno tra'l Rovo,c'l paſtel lo d'Androne indotto ſtato foſſe Erafiſtrato a ciò fare ; e in verità tra'l Rovo , e la Galla ,per tacer del vitriolo , onde vien formato il paſtello d'Androne, potea non che Eraſi ſtrato , ma huom di mezzano intendimento di leggieri av viſare eſſer non poca lomniglianza . Maquanto sì fatta ſo miglianza poſſa ingannare , non ſi richiede gran forza di loica a farlo vedere ; e ſe , come pare a Galicno , Eraſiſtra to avea una general contezza de’medicamenti per quella acquiſtata , certamente egli l'avea per iſperienza , o da fe , o da altri fatra , la quale agevolmente può eſſer fallace : 0 pure per via di ragioni non meno della ſperienza ſoſpettes d'er 1 1 1 Del Sig.Lionardo diCapoa . 363 d'errori, e d'inganno.; perchè in un punto cosi principale manchevole , difettoſo , e incerto il fiftemadella razional medicina d'Eraſſtratoanche ritro.yafi. Ma trapaſſando ad altri : Io non ſaprei dire s'empirico e ſi foſſe , opur razionale quel famoſo medicante Petronas, il quale dopo Ippocrate , maprima d'Erafiftrato ebbe ad introdurre un iſtrano , e non più veduto , o intero modo di medicar le febbri . Solea coprir egli i febbricoſi di tanti pannilani,che loro ſi yeniffe a creſcere olcremodo il caldo, e la ſece; matantoſto, che incominciava il febbril caldo as ſcemare, ei facea loro pienetazze trangugiare di freſc'.ac qua , il ſudore aſpettandone; il quale ſe non compariva, di nuovo tacealorbere nuovaacqua, e proccurava ch'eglino vomitaſſero ; riſtata poi la febbre , gli cibava di carne di porco arroſta , econcedea loro liberamente il vino ; maſe la febbre non ſi partiva , facea bere agli ammalati acquad calda, e fale per render lubrico il corpo; e in queſto tutti igrantrovati della ſua medicina eran ripoſti. Mamipare da non dover logorare indarno il temponella cenſura d'un sì fatto modo di medicare ; e comechè in alcune fortidi febbri , e in qualche huomo gagliardo , e ben atante della perſona non foſſe per avventura fuor di ragione il farlo tuttavia in tutte ſorti di febbri, in tutte perſone, egli fem bra certamére una ſciocchezza non punto diverſa da quel la d'alcuni medici de'noftri tempi: i quali non con altro che .colle purgagioni , e co'ſalali immaginano ciaſcuna gene razion dimalattic rilanare . E più ragionevole certamente egli ſembra la manicra del medicare alcune febbri, dagli Albaneſi uſara ; i quali nel cominciamento di quelle foglion dare all'infermo vin generoſomeſcolato.con iſpezierie, fimile al vino ippocra tico , e al vin brugiato degli Inghileſi. Ma quino ſi può certaméte lodare il cófiglio diCornelio Celſo, che nelle febbri lente tratto tratto fidebbail corpo imbagnar con acqua fredda meſcolata con olio ; che in tal guiſa egli credette , che ſi verrebbe a riſvegliar il riprezzo, e conſeguentemente anche il calore, ondeagevolmente ne Z 2 2 po 364 Ragionamento Quinto potrebbel'ammalato guarire : fæpe igitur, egli ſcrive , et aquafrigida , cui oleam foc adječium, corpus ejus pertractan-, dumeft ; quoniam interdum fic evenit , ut horror oriatur, ds . fiat initium quoddam novi motus , exque eo , quum magis corpus incaluit ,fequatur etiam remiffio. Ma quantunque alcuna fiata a ciſo poſſa il fatto nella guiſa da lui deſcritta accadere , ed agli ammalati alcun pro avvenire ; pur non dimeno ſenza manifeſto riſchio non va la biſogna ; impe rocchè ſe altrimenti riuſcirà , n'andrà ſenza fallo da male in peggio l'infermo. E quinci fi ſcorge con quanta ragio ne abbian laſciato i Galieniſti il pericoloſo modo, col qual guarito aver fi gloriava la febbre finoca Galieno , confar uſcire il ſangue dalle vene per via del falaſſo , fino allo sfi nimento dello infermo ; da chefacendoſi gran movimento nel corpo fogliono i ſudori copioſiſſimi,e l'uſcite del corpo , e'l vomito anche talora , come avviſa il medeſimo Galicno, avvenire ; per li quali , e per le quali o ſperano , che debba mancare affatto ,oin parte la febbre . Ma in vano certa mente eglino poi attendono tal opera da’lor piccioli ſalallı; al che non dovette aver riguardo Avicenna,la ove diſſe el fer meglio affai accreſcere il numero, che la quantità de’la laffi ; cioè più cofto in più volte il ſangue , che tutto inſie metrarlo fuori , Ma per più d'una pruova avviſando il grand'Atenco , fra quante traverſe , fra quanti viluppi , fra quante incertezze vacillanti s'andaſſer ad ogn'ora aggirando le varie , e tra effo loro diſcordanti dottrine, che per le fcuole più cele bri della razional medicina nellaGrecia s'inſegnavano,im preſe anch'egli una fabbrica di novello fiſtema di medici na ; perchè tutte le forze del fuo acutiffimo intendimento egli vi poſe in opera ; c tanto in ciò fare ebbe ſeconda las fortuna, che da molti valent’huomini vennero a gara le ſue opinioni ricevute , e approvate ; e per tutto quel tempo , che le lettere fiorirono nella Grecia , e nel Romano impe. rio , celebre fi manterne la ſua Setta , e in buon nome, las qua le ſpirituale venne chiamata ; imperocchè una fortiliſ ſin a fpiritual ſoſtanza clla immaginava ; la qual per tutti i 1 corpi Del Sig.Lionardo di Capoa 365 corpidell'Vniverſo diſcorrendo mai ſempre, e penetrando, non meno il grande , che'l picciol mondo regger doveſſe ; é dove ella non foſſe primjeramente offeſa ,non poteaſi, fe condo il ſuo ſentimento , male alcuno ingenerarſi; il qual diviſaméto ſi parve egli, che’n parte adombrar voleße Vir gilio in prima dicendo . Principio cælum , duterram ,campofque liquentes, Lucentemque globum Luna, Titaniaque aſtra Spiritus intusalit :totamque infufa per artus Mens agitat molem , & magno fecorpore mifcet. E poi Torquato Taſſo Ele menzogue antiche Di chifiloſofando , e menie , e Spirto Dieda queſta mondana , ed ampia mole ? Il qualper entr'a lei trapaſa, e ſpira ; Com'a lor parve , e'l Cielo , e l'ima terra , E laſpera delſollucente, e vaga , E’l globo de la Luna , e l'auree ſtelle , E de l'aria , e del mare i larghi campi Nutre , e miſto al gran corpo in varj modi, Move agitando le diverſemembra ? Ebbe la ſetta fpirituale oltre ad Ateneo, e a Criſippo fuoi principi , e alMagno , ad Agatino, ad Erodoto , altri , e al tri valentiffimi huomini, che colle loro opere univerſalmé te avute a grado ,ſommamente la nobilitarono , e l'illuſtra rono ; e fra gli altri Archigene:il quale , tra per lo medica che felicemente mai ſempre fece , e per li tanti doctiſ ſimilibri , ch'e' diede fuora, ne'quali non laſciò cofa , ne grande , ne piccola, che trattata diligentemente per luino foſſe nella medicina , non ha che cedere a niuno , ch'abbia o prima , o dopo lui ſcritto , e medicato infra'Greci ; im pertanto per la ſoverchia applicazione alla loica , onde a gran ragione talora vien Archigene accagionato da Galie no : e per valerſieglino della filoſofia degli ſtoici, i manca mentidella quale altrove da Noi fien conti , difettoſo , e fallace moltoegli riuſcì il loro fiſtema di medicina razio nale . Oltre re , 366 Ragionamento Quinto Oltre a queſto e'miſembra , che riprovino eglino me deſimi il loro ſiſtema ; imperocchè in medicando le malat tie , poco , anzinulla a sì fatto Spirito badar fogliono ; con che danno a divedere non altro eſſer queſto loro ſpirito , ſalvo che un gentil trovato per fare parer maraviglioſa al vulgo la lor medicina. Doveano adunque eglino provar in prima con ſaldiđimi argométi eſſervi un cotale ſpirito; indi diligentemente inveſtigare , chente ,equal li fia la ſua nas tura , cioè qual figura qual , grandezza, equal movimento abbiano le particelle , che'l compongono, e come egli fac cia le ſue operazioni nelcorpo umano , e come nell'inge nerarſi le malattie egli offeſo vegna ; e in qual guiſa dar li pofla a'ſuoi diſordinamenti compenſo .. Poco men che crucciato ſi maraviglia Plinio , in pone do egli mente alle ſtravaganti pur troppo, e maraviglioſes felicità nelvero d'Aſclepiade ;huomo com'e'dice , quan to al naſcimento , di condizionemolto vile , e di maſtro di ritorica ch'egli era in prima , perciocchè aſſai poco gli fruttava , in un tratto medico divenuto . E sì , e tanto egli adoperò , che nuova ſembianza in breviſſimo tempo ve ſtir facendo alla medicina , a rimaner ne veonero l'antiche regnanti ſette ſconvolte tutte , e poco men, che affatto op preſe, e abbattute ; ed egli folo vincitore,e trionfante de gli altri medici , a guiſa di perpetuo dittatore nella Città donna,e capo del mondo , ne ordinò a ſuo talento , e ne diſpoſe le leggi: ſupremo, e aſſoluto arbitro , della vi ta , e della morte diquelpopolo , nelle cui mani ſtava la morte , cla vita d'ogn’uno ripoſta . Ma fermamente egli fi dee credere , che a tanta grandezza perveniſſe Aſclepia de , non tanto com’alcuno immagina, ch'egli ottimo e pro to parlatore ſi foſſe , quanto che colſenno, e col valor no punto ordinario viſi portaffe , comechè la fortuna anch'el la vi concorreſſe con qualche gran fatto ; quale appunto di fu quello , che vien narrato dallo ſteſſo Plinio ; ch'eſſendo ſi un giorno egli a caſo incontrato in un miſerello , che per morto era portato alla ſepoltura , facendolo egli a caſa rie tornare , con valevoli argomenti in perfetta ſanità il rimiſe . Eben 1 DelSig.Lionardo di Capoa. 367 . túrós , E ben palesò egli al mondo la grandezza del ſuo animo' , e la ſingolar fua prudenza: allor , che prevedendo la fa tal rovina del gran Re di Ponco Mitridate , generoſamente diſprezzando la gran ſomma dell'oro da colui per amba fciadori offertagli, ricusò d'andare alla ſua corte . Malale tezza del ſuo acutifſimo intendimento appieno benmoſtra no quelle, che delle tante , e tante ſue opereſcarſiſſimes particelle a noi ſono rimaſe ; nelle quali ſi vede apertainéa te , che non iſchivando egli mafagevolezza niuna, ne ſi fermardo nella prima buccia delle coſe , s'ingegnava ſeco do ogni ſua poſſa d'internarſi nc più ripoſti ſecreti della na Primieramente vuol egli Aſclepiade , che non già per caſo, ma di neceſſità , e per l'indirizzamento della natura ognicoſa avvegna nell'Vniverſo : e che fa natura altro ve ramente non ſia , che'l corpo medeſino , o'l ſuo moto : per la cui perpetua, e iron mai ſtanca opera i corpicciuoli, i qua li cosìpiccinli ſono, ch'alla menteſola permeſſo viene co prendergli , veloci , e ratti , e con volante foga fra' effo lo ro incontrandoſi , e con vicendevoli percoffe , l'un coll'al tro cozzando , e forte battendoſi , fi vengano a ſminuzza rc , e a dividere in minutilíme, e innumerabili ſchegge ; le quali con diverſi movimenti andando l'una verſo l'altra , e inſiemeaccoppiandoſi, e congiugnendoſi , prive d'ogni qualità , col moro , col numero , colla grandezza , collow figura , e coll'ordine le coſe , e l'apparenze tutte ſenſibili producano;ne eſſere fuor di ragione,egli poiſoggiugne ,che ſien privi diqualità i corpicciuoli ; concioſliecoſachè altro dal tutto , altro dalle parti ne ſegua; l'argento è bianco, ma nera è la ſua radicura ; il corno ènegro , mala ſua polvere è bianca ; ma dovetre dir egli ancora , che le qualità altro non fieno , o per me'dire altro non le faccia apparire , che'l concorrimento , la figura , e’l fito , e la grandezza , e l'or dine , e'l moto di que'corpicelli; perchè allor che concor rono inſieme piccioliſſimi corpicelli , o ſperali, o piramida li , e con dilatante moto velociſſimamente ver noi fi lancia no , a formar ne vengono quel ſentimento , che dicalore ſi chiaina. Di 368 Ragionamento Quinto Dice oltre a ciò Aſclepiade,chenell'accozzarſi inſieme, appigliandoſi le particelle , o ſchegge ſuddette nel formar le membra degli animali , vi laſciano molti , e molti ſpazj vuoti, per opera delſolo intendimento compreſi , varj di grandezza , e di figura ; i qualiſe aperti fi mantengono al tragitto de ſughi, ſi mantiene l'animale ſano , callo incon tro , ſe impediti fono per la dimora de'corpicelli ,a far li vê gono ſecondo la varietà delle parti , e degli ſpazj, varie, e diverſe le malattie ; ma non però già tutte malattie, ſecon do Aſclepiade , avvengono per la dimora de'corpicciuoli, fe non ſe alquante ſolamente , come la freneſia , il lecargo , le puinte , e lefebbri grandi ; ma altre poi avvengono per ſoverchio aprimento : e s'ingenerano per la curbazione de ſughi , e degli ſpiriti, per la quale ſtrabocchevolmente s’al. largano gliſpazj, come nella fame canina , e nella fover , chia magrezza ſi vede : 0 nuovi ſpazj a viva forza in non , convenevoli luoghi ſi aprono , come nell'Idropiſia acca de , Vuole oltre a ciò Aſclepiade, che non iftiano le cagioni operatrici de’mali ne'liquidi corpi ripofte ; ma nel vero al tro quelle non eſſerç , ſe non ſe le cagioni antecedenti . Si ride egli di quel grande ſchiamazzio , che fanno i medici in. torno a'giorni critici ; portando opinione , che d'ogni tem po , com'egli avea avviſato , poſſano creſcere , e ſcemare, o ſpegnerſi affatto le malattie . Ma per accénar qualche coſa intorno all'altre parti del la medicina d'Aſclepiade: egliamo di condurre iſuoi infer mial deſiderato fine della ſalute, con moleſtargli il men , ch'c'potea; avendo ſempre in bocca quelle celebri ſue pa role , che vengon per Cornelio Cello rapportate: tutè,citò, jucundè ;perchè cra egli nimiciſſimo di que'medicamenti, che così ſovente , e per lo più fuor di teinpo venivan da al tri medici adoperaticon incerțillima ſperanza d'avere a re , care qualche giovamento agl'infermi ; e allo incontro con ſeguirne loro licuriſſimo , e pronto il danno , ela nojx;per chè chiamar egli folea la medicina degli antichi , medita zion della morte; e molto ben’ayyisādo l'accortiſſimo huo . 110 , e DelSig.Lionardo di Capoa. 309 mo , e di sì fatte coſe aſſai intendente , quanto poco atten der fi poteſſe dal'incertezza della medicina , e dalla fiebo lezza de'ſemplici , o compoſti medicamenti, che in que' tempi erano in uſo , nel ſapere ben regolar la vita col ci bo , coll'eſercitar le mébra,e altresì fatte piacevoli cole , poco men che tutto il sómo del ben medicar ripofc. E nel vero ciò non fe già egli , come huom crede , da neceſſità alcuno ſtretto ,per no aver contezza, ne men mezzanamite de’rimedj; anzi egli ſi fu della materia de’medicamenti co sì ſemplici, come compoſti sì ben conoſciuto , che ſicoine Galien dice , egregiamente cgli ne ſcriſſe : e molti, e molti medicamenti di ſuo ingegno egli ritrovò , e poſe primiera mente in uſo , e ne compoſe un particolarlibro; i qualime dicamenti, non che da altri foffer mai tacciati , anzida’ine deſimi ſuoi emuli , e avverſarj commendatioltremodo , e fovente adoperatifurono ; infra’quali ſi ammira per Galic no quel celebre impiaſtro per le piaghe, che non ſi dee ri muovere, ſe non ſe dopo tre giornizonde fi pare,che Aſcle piade apriſſe la ſtrada alnuovo modo in queſto ſecolo in trodotto di medicar le ferite . Oltre a ciò abborrì egli ſoprammodo le purgagioni; ma fivalſe de criſtei . Danrò ancora, come racconta Plutarco, ivomiti, che troppo frequentemente allora erano in ufo, e che a' tempi noſtri ancora fi uſano da alcuni i quali per dir la colle parole di Cornelio Celſo : quotidiè ejiciendo, vo randi facultatem moliuntur: ma non già egli il tolſe affatto dalla medicina,anzivuol'egli, che nelle terzane ſi proccu ri il vomito ; del quale , com'c'medeſimo narrazli ſervìnel curar quella nobile femmina di Samotracia . Ne ſi dee qui tacere , che ſi pare,ch'Aſclepiade vicino ftato foſſe ad aver contezza dell'elatere dell'aria , come ravviſar ſi puote dal le ſeguenti parole di Plutarco , avvegnachè coſtuimoſtrino aver ogni particolarità compreſa de ſentimétid'Aſclepiade: υπομιμνήσκα δε αυπ επι της κλεψύδρας Ασκληπιάδης και τον με πνεύμα να χώνης δίκην συνίσησεν , αιτίαν δε της αναπνοής την εν τω θώρακι λεία μέρειαν υπο τίθεται • πεος ήν τον έξωθεν αερα ράν , τε και φέρεσθαι παχυμε . ρη άνε πάλιν δε αποθεϊσθαι ,μηκέπτε θώρακG- οί'ε πόντος μήτ' έπεισ A23 370 Ragionamento Quinto 1 re δέχεσθαι , μήθ' υπρεϊν • υπολειπομένα δέ τιν G- εν τω θώρακι λελομερές dei begyiQ ( šgaię o nav ixreiveron ) neos Tšto nánar có trw umojéves βαρύτης του εκτός αντεπεισφέρεται αυτοι δε ταϊς σκύις ασικάζα: την δε και προαίρεσιν αναπνοήν γίνεσθαί φησι συναγομένων των εν τω πνεύ μονι λελοτάτων πόρων,και των βρογχίων πνεμένων » τη γας ημετέρα G. &υπακούει πιοαιρέσει . · Machi potrebbe mainarrar tutt'altri diviſamenti, e opi nioni, le quali fallo Iddio , come riferite vengono ; e per la più parte da chi punto non l'intendea ; e talor anche da al cuni per vggia , e mal talento a ſtudio guaſte , e travolte . Il che oltremodo malagevole rende la cenſura del ſiſtema della ſua medicina ; pur lo brievemente ne dirò in qualche coſa il mio ſentimento . E primjeramente parmi, ch'aveſſe errato aſſai ſconcia mente Aſclepiade nella notomia; portando egli opinione con Ariſtotele , ed Eraſiſtrato , che le reni non abbiano al cuna operazione: echeciò , che ſi bee , ſciolto in vapori ſe'n vada nella veſcica,dove poſcia li ftipi in orina ; delche meritevolmente vien egli ripigliato da Galieno ; comechè a gran torto dal medeſimo venga poi biaſimato , perchè c' non fi vaglia della facoltà ſeparatrice, che vuol dire in buo ſenſo , perchè egli non ſi metta a filoſofare con ciance, e anfanie . Ma fuor d'ogni ragione,e a corto non meno sfac ciatamente fi accagiona per Galieno Aſclepiade , dicendo, che contro l'evidenza de'ſenſi egli aveſſe negato, che quel le coſe ,le qualiognun vede , che vanno verſo quelle,dalle quali ſi crcde eſſer elleno tratte ,veramente vi vadano;che certamente non potea egli sì milenſo , e ſciocco eſſere un tanto huomo , Negò ben'egli la facoltà attrattiva , e co'buoni filoſofan ti ſtimò eſſere per lo lume della ragione manifeftiffimo,che ne ſomiglianza mai , ne facoltà , ne altra coſa del mondo potrebbe far sì, che un corpo moveſſe altro corpo ſenza toccarlo , o per ſe ſteſſo , o per altro corpo da ſe parimente tocco , e moſſo ; poichè a trarre a ſe un corpo lontano fa certamente meſtiere uncino , o fune , o altro ſomigliante appiccatojo, che'l prenda. Ma * I 1 DelSig.Lionardo di Capoa. 371 Ma non poſſo lo laſciar di forte non ridire , quantunque volte rammento quella ragione , colla quale Galieno con tro Aſclepiade ,ed Eraſiſtrato , e altri buoni filoſofantiſen za vederne altro ,fermanente credette , ſe averela virtù at trattiva già faldamente provata ; dic'egli,che per induſtria d'alcuniladroncelli, i quali poneano vaſi di creta pieni d' acqua nelle carrette del grano, quello ne creſceva manife ftaméte dipeſo ;coſa la quale avvenir nó potea,fecondochè cgli ſtima , ſe'l grano non aveſſe la virtù attrattiva; concio foſſecoſa che eſſendo egli diſcorſo per tutte fette di medi cina rinvenir non aveſſe mai potuto ragione alcuna , che in ciò punto l'appagaſſe . Quinci ſi pare ,che meritevolinen te il Veſſalio avendo anch'egli avvifata un'altra cotal ra gione a queſta poco, o nulla diſſimile , prorompeſſe in sì fatte parole motteggiã do i libri della dimoſtrazione di Ga licno :profeito ſiGaleni libri de demöftratione , cjufmodi crebris Scatent demonſtrationibus,que ipfi & fimodo aufim proloqui) non infrequens , ac poriſfimum in quamplurimumGalenusex celluit anatome ſunt , non eſt ut eos libros tantopere expecte mus . Ma laſciando ad altri più di noi ozioſi ſopra ciò fa vellare, certamente venner conoſciute molte , e molte coſe di notomia per Aſclepiade , che avrebbono fenza fallo po tuto render chiaro , e ragguardevole oltremodo il ſuo ſite ma : comechè paruto fo fe , ch'egli aveſſe portata opinio ne , che'l nutrimento alle parti non diſcorreſſe per quel cá mino , che co'nunemente per ciaſcun ſi credea ; impertanto immaginò egli , di ſottiliſſimo vapore in guiſa portarſi per tutte parti dei corpo il cibo crudo ; ma non diſse perchè, e comeſi ſmaltiſca nello ſtomaco per renderſi valevole a pe netrare in quegli anguſtiſſimi ſpazj da lui immaginati. Ad imitazione poid'Aſclepiadevolle l'Ofmanno, che in forma di vapore il chilo dalle vene , e dalle arterie miſeraiche tratto veniſse . Ma prima d’Aſclepiade pare che Eraclito , Ariſtotele, ed Eralitrato aveſser detto , che in guiſa della ruggiada il chilo , e l'alimento per lo corpo ſi ſpargeſse. Ma laſciando di favcllar di queſte coſe , nelle quali, non ſolo Aſclepiade, ma tutt'altri Greci andarono errati; egli Aaa 2 è ben 372 Ragionamento Quinto èben 1 cerco , che dovea minutamente Aſclepiade per dar l'ultimo compimento alla ſua dotcrina più avanti diſami nando riconoſcere , chenti , equali, e dove veramente fof ſero nelle membradeglianimali gli ſpazi, e la grandezza, e la figurą , e'l fito , e l'ordine , e'lmovimento di quei cor picelli, i quali o affatto , o in parte turandogli , o più del convenevole dilatandogli , o altri nuovi ſpazj formando ſien poi cagione, ſecondochè egli vuole d'ingenerare i mali negli huomini ; perchè fa meſtieri aver piena contezza di tutti corpicelli, onde le parti diſcorrenti, e falde vengan compoſte ; e ciò non ſappiendoſi,malagevolmente potralli, come a razional medico fi convienc , alcun ſicuro , e certo rimedio per ragion ritrovare . Dove poicgli dice farſi la freneſia , il letargo , la punta, ele febbri da'corpicelli , chenegli ſpazj inframelli dimora no , perchè egli non ſoggiugne ( o forſe no'l ſappiam noi s'egli il Gfacefle ) quale quegli abbian grandezza, e figu ra e, come ſeano compoſti, e accozzati infra loro que'pic cioli buchi ? e avvegna pure ,ch'egli accennalle avvenir la contina dal rattenimento de corpicelligrandi, la terzanz de'piccioli , e la quartana de’menomi: non è però queſto ſuo parere ſaldamente raſſodato dalle ragioni, ch'egli rap porta ; anzi pajon'elle molto leggieri : e ſono queſte , che i corpicelli grādi più agevolmére gli ſpazj riemoiano ; e più agevolméte gli ſgõbrino ,e i piccioli meno;ma ſe la biſogna pur così andaſſe.com'e'diviſando ne ragiona,queſta contez za fola al medico razionale non baſterebbe al ſuo intendi. mento fornire ; ma di ſaper anche il movimento , la figura, el ſito di quelli farebbe a lui meſtieri , ficome poco 'addie tro noi dicevamo ; e ſe impoſſibile per avventura una sì fąt ta impreſa pare che ſia da poterſi per intelletto umano co durre a capo , yana ſenza dubbio ricſce ogni induſtria, ogni argomento d'Aſclepiade, o di qualunque altro ingegno , che di ſtabilir ſetta veruna di razional medicina preſuma ), E avvegnachè Aſclepiade , come detto abbiamo aſſai ben inteſo fi foſſe della materia de'medicamenti, a modo che , comeperGalieno ſi narra , egli ſolo , e Dioſcoride d'ogni ſorta 1 DelSig. Lionardodi Capor 373 Torta dimedicamenti,cosìdell'erbe,come degli arbori,deld le frutta ,de' ſughi , de' liquori , e d'altre , e altre coſc fof ſero pienamente informati : nientedimeno , ſe le pruover che intorno alla loro natura , e al loro operare egli nellas ſua opera recò , ancora di leggeſſero , ſi troverebbono, per quel che ſi è accennato , ſolamente probabili, o forſe po co falde ragioni ;e meſtier certamente farebbe ad Aſcle piade , alla fola ſperienza , non men che altro più vile Em. pirico ricorrere . Ma ben ciò conobbe egli , ne'l diffimulò punto , e confeſsò apertamente , altro la medicina non ef fere , ch'una cotal ſemplice conghiettura ; onde ebbe a dire Plinio , ch'egli : medicinam ad caufas reuocando conjectur.i fecit : o come legge Giacopo Dalecampj : conjecturalem fecit. Nel curar le febbri terzane,e quartane egli ſembra ,che non molco bene ( comechè'l contrario dica Cornelio Cel ſo)faceſſe in laſciando la coſtuma di Cleofanto antichillimo medico , ilquale alquanto ſpazio avanti al cominciar della febbre uſava dare aglinfermi il vino , e bagnar loro con acqua calda la teſta ; ove in inolte altre coſe i coſtui avviſi era uſo di ſeguitare . Vuolanche Aſclepiade, chenon ſi tragga mai ſangue , fuor ſolamente ne'dolori ; e ciò perchè facendof queſti da’ grandi corpicelli nelle parti ſalde fermati, c rattenuti , ſe condo il ſuo ſentimento, gli pare , che ſi poſſan trar fuora dagli ſpazj per opera del ſalaiſo. Maegli ſenz'altro fallò; sì perchè i piccioliflimi, e velo ciſſimicorpicelli ,che formano il fuoco , cagionar ſoglio no il dolore : come anche perchè converrebbe per la me deſima ſua ragione trar ſangue nella contina ; il che da lui inceſſantemente ſi nicga;ſenzachè,ſe com'egli immagina , i corpicelli fermati negli ſpazj ſono cagione de'mali,e queſti tutti nelle parti ſalde conſiſtono : e le liquide , benchè fuor di modo abbondino ne'vaſi , non ne ſono cagioni vere , e preſenti , ma ſolo antecedenti: che monterà egli il trar fuo ra mai le parti liquide de’vaſi per la cura de dolori Mache che ſia di ciò , egli non mi par, che ſi poſſa punto dubitare, chc 374 RagionamentoQuinto 1 } che profondiffimi fi foſſero i ſentimenti d'Aſclepiade,e che cgli, il quale tra'greci medicimaggiore, e più alta contez za ebbe delle cole della natura e ſolo ardì a ſpiar tutto , e a ſcriver tutto , ciaſcun maeſtro più valoroſo ", e più rino mato in medicina a molto ſpazio dietro ſi laſcj; perchè fai meſtieri dire , che grandiflimo danno per la perdita dello ſue opere fia alla medicina, calla filoſofia ſeguito , Quinci ſi vede , che ſcarſemolto, per non dir altro, ſem bran le lodi ,colle quali Plinio volle onorare Aſclepiadeo Afclepiadi Prufienfi, condita nova feéta ,fpretis legatis, doo pollicitationibus Mithridatis Regis reperta ratione,qua vinü agris medetur,relato è funere homine , ofervato ,ſed ma xime/ponfione falta cum fortuna , ne medicus crederetur fi unquam invalidus ullo modofuiſſet ipfe , & victor fuprema in ſenecta lapſu ſcalară exanimatus eſ. Ma laſciando Aſclepiade,che pur troppo n’abbiam dete to , e trapaſſando ad altri ſetteggianti medici; qual e ſi foſſe veramente il ſiſtema della medicina del famofiffimo Antonio Muſa, lo non poſſo ne meno immaginare, non che diviſare; e fe'l favore , e l'autorità d'Ottavio Ceſare potè farlo prevalere a tutt'alori di que'tempi: non per tanto fù cgli da tátoge baſtevole a mantenerne vive le memorie ap po i pofteri. Potrebbe di leggieri eſſere , ch'egli per mag giormentepareggiar Temiſone ſuo maeſtro , fifoffe fatto di qualche nuova forte di metodica medicina inventore . Veggiam di lui ſolamente alcune forme , o ricette di co pofizion di medicamenti aſſai volgari , e di molta poca co ſiderazione , dalle quali nulla comprender puoſſi dalla maniera per lui tenuta nel medicare Ottavio ,tutta travolta da quella di Cimolio ; perciocchè Ottavio , licome narra Suetonio, quia calida curari non poterat, frigidis curari coa &tus authore Antonio Muſa. Perchè potrebbe ragionevol mente dubitare alcuno, non egli empirico foſſe ſtato di ſet ta ; ma per avventura a ciò fare da qualche apparente ra gione egli fu moſſo . Neciò è nuovo, che i razionali ſiva gliano di tal regola ; poichè il fece Ippocrate ancora ; co mechè egli poi moſtri , ch'aveſſe altro in animo, con inſe gna 3 Del Sig.Lionardo di Capoa. 375 gnare una fiata il contrario, la ove diſſe,che chiunque ope ra con ragione , avvegnachè ſenza profitto , e infelicemen te fi faccia , dee coſtantemente camminare per la ſteſſa ſtra da : návraisatakóyov meséori ,xai pen'govojévwv * xara'dégor ,designer swßaives , i inapoy, pérovt QuTð dóžavo iš devās, il che da cao gione a molti medici di pericolar ſovente i loro infermi; i quali veggendoapertamente , che a mal fine rieſcon pure le lor cure, non per tanto ſe ne riniangono, o ad altro divi ſo volgono i loro intendimenti , con graviffimo dan no de' cattivelli . E mi ricorda in acconcio di ciò aver letto in un coral autore ', che avendogli ſcritto un ſuo ſcolare , che avea egli per più d'una pruova cono ſciuto , che'l ſegnare in alcune febbri ', che allora la Città di Vinegia fieramente malmenavano , conduceva a ficura morte gl'infermi : impertanto ſe n'era egli rimaſo cô nolto giovamento di quelli : egli replicogli una gran vit lania , chiainandolo ſciocco empirico, biaſimando il ſuo fa lutevol diviſo , non altrimenti , che ſe colui aveſſe una gra ve ſcelleratezza comeſſo; e diſſegli ſpacciatamente, che tor naſſe al falaſſo di prima , nulla curando, che gl'intermi per ciò fare certamente fe ne moriſfero ; e in ciò rammentogli la teftè apportata dottrina d'Ippocrate; non avviſando ,che comechè verilimo ſia il detto d'Ippocrate , nientedimeno è ragionevolmente da ſoſpettare non ſia manchevole, e fal lace la ragione , allor che non le riſponde l'uſcimento . E chi ſa poi tra le tante incertezze dell'arte , qual ſia la vera, e legittima ragione ? ma come ſaggiamente avviſa Galie no,non è peſo da tutte braccia , ne opera d'huom di poca dottrina il ciò poter ben avviſare . Egli li fu Antonio Muſa , per quel che s'argomenti dal ſoprannome impoſtogli, d'ingegno aſſai nobile, ed elegá te ; ne per altro Euripide nel Palamede chiamò colui col medeſimo ſoprannome: εκτάνετ' εκτάνετε ταν πάνσοφον , μεν ουδέν αλγύνεσαν αηδόνα μούσαν . M2 376 Ragionamento Quinto Maqual fi foſſe veramente l'eleganzadell'ingegno d'An conio Muſa, manifeſtamente ſcorger ſi può da quelvaghiſ, fimoEpigrammadi Virgilio . Cuivenus ante alios Divi, Divumqueforores Cuneta ,nequeindigno Mufa dedere bona . Caneta quibus gaudetPhabus ,chorus ipſeq; Phabi Doctior o quiste Mufa fuiſse poteſt? O quis se in terrisloquitur jucundior uno , Clejo nam certè candida non loquitur . Sivalſe Antonio Muſadella carne delle vipere, enedam va mangiare con non poco giovamento a coloro che da in fanabili piaghe languivano: i quali maraviglioſamente con incredibil velocità , ſe'l ver dice Plinio , ne guariyano. Io yo meco diviſando ,che'lMuſa aveſſe ciò appreſo dal vale tiſſimo tra'greci mediciCratero, cotāto daCicerone in iſcri védo ad Attico ,celebrato ;dicui narra Porfirio che riſanato aveſſe un miſerello ſchiavo , cui in iſtrana guiſa dall of Ia la pelle ſpiccavaſı , fol coldargli mangiar vipere prepa rate a guifa di pefci: Kegπρούτου ικττού οικέτης ξένων περιπεσών νο τήματα , των σαρκών απόφασιν λαβεσών εκ των οδών, τοίς μου ωφέλι ούδέν , ιχθύω- δε κόπο ίχα εκευασθένη , και βρωθένπδιεσώθη της σαρκός συγ 2014 nbbons . Ma ſopra ogn'altro medicainento ſi ſervì Anto nio Muſa de bagnidell'acqua fredda ; e egli, e'l ſuo fratel do Euforbo medico di Giuba RediMauritania ne introdur fc primiero l'uſosappo il quale in sì grande ſtima Euforbo crâ, che zvédo egli ritrovata un'erbamedicinale,volle,che colnome d'Euforbo foſſe chiamata . Mail Muſa folea ba gnare i ſuoi inferini prima nell'acque calde,voladosper mio avviſo , aprir loro in prima bene i pori, acciocchè le fredde poimegliovi poteſſero penetrare; quindi entroall' acque fredde gli laſciava agghiacciare.Del qual modo di medica se così narra Orazio nelle ſue piſtole,dimádádo Numonio Valla , ſe in Salerno , e in Velia foſſe così fredda l'aria ,che dimorandovi egli poteſſegli giovare a'ſuoi mali; percioc. chè il ſuo medico Antonio muſa , freddiſſima gliele richies deva per dover prendervi i bagni freddi . Aua DelSig. LionardodiCapoa 377. ? Quæ fit hyems Velie ,quodCalum Vala Salerni, Quorum hominum regio , &qualis via.( nam mihiBajas Mufa fupervacuasAntonius, &tamen illis Mefacit inviſum : gelida cumperluur unda Per medium frigus; ſanè myrteia relinqui, Dictaque ceſsantem nervis elidere morbum Sulfura contemni , vicus gemit , invidus ægris : Quicaput, & ftomachum fupponerefontibusaudent Clufinis, Gabiosquepetunt, & frigida rura. Ma certamente ebbegran ventura il Muſa , che dopo l'el ferſi bagnato in sì fatta guiſa Ottavio , guariſi d'una gra villima inalattia ; comechè dica Plinio , che ciò foſſe avve nuto per opera delle lattughe,delle quali egli cibavalo co tro il parere di Cimolio ; perchè fu queſti della caſa di Ot tavio ſcacciato fuora ; indi cominciarono i Romani ad uſar ſovente nelle lor menſe le lattughe , che per averle anche fuor di teinpo , riſerbavanle nell'oſſimele. Per la qual cura Antonio Muſa in sì rilevato ſtato montonne , e in cotanto credito , cheoltre alle ricchezze , agli onori, e a'privilegi, che per ſe non ſolo , ma per tutti altresì i medici ottenne, l'adulatore Senato rizzogli una ſtatua di bronzo nel ſegno d'Eſculapio , come ne da teſtimonianza Suèronio : Medico Antonio Mufa , cujus opera ex ancipiti morbo convaluerunt , ſtatuam , çre collaro juxta fignum Eſculapii ftatuerunt . E fe'l mio avviſo non m'inganna , d'oro gliele avrebbe certa mente rizzata , ſe più coſto Ottavio morto ne foſſe;percioc chè non bene allora ſtabilita ancora la tirannide , n'avreb be per avventura la libertà egli ricupcrata ; e veramente ſe la fortuna fecondato aveſſe il diſiderio de'Romani, non ſa . rebbe riſtato per lui di far co'ſuoi bagni ciò che Bruto , ne Caffio , ne Seſto Pompeo , ne Marc'Antonio con tanta oſte per mare , e per terra non avean potuto adoperare . E bé ſi vide quanto nocevole e' foſſe il modo del medicare del Muſa , quando da lui in sì fatta guiſa trattato, come narra Dion Callio , ſe ne morì Marcello ; perchè di preſente e'per denne !, gloria , che guadagnata s’avea ; non ſi dee imper 1.2 . P ; CXLV2Livi , come o telo 378 Ragionamento Quinto poteva nel Dione dicc, che allora buccinayaſî,che eglicon que' ſconci rimedj lo faceſſe a bello ſtudio morire ; anzi morilli Mar. cello in Baja , come teſtimonia Properzio , il quale viſse a que'tempi His preſſus Stygiasvultum demiſit in undas Errat, in veftro fpiritusille lacu . Neſembramiveriſimile ciò , che ne va conghietturando quel ſottiliſſimo inveſtigatore, e d'ogni rara dottrina ſovra no maeſtro Giuſeppe della Scala , facendoſi egli a credere, che Properzio cosìvezzatamente la biſogna rivolgeſſe per ‘iſcagionar Livia , e fargliene ſervigio ; 'perciocchè allor ſu ſpicavaſi, che in ciò ella certamente aveſſe tenuto mano;vo luit , ſono ſue parole , gratificari ei , que de ejus morte ſu Specta fuitLivi& Aguftę. Ein vero non ha dubbio alcuno, che per machinazione di Livia no meno morir le acque di Baja Marcello ,che in quelle di Stabia , la dove alriferir di Servio egli moriſli; e ficome immagina il mede Simo Giuſeppe,la ſua morte avvenne nell'acque acetoſe di quella fonte , che a tempo di Plinio chiamavali di Medio. Io porto opinione,che'lMufa bagnaffe più d'una fiata Mar cello nell'acque calde di Baja, e poi,com'e’avea per coſtu me, nelle fredde il poneſſe , e che alla fine nell'acquecalde colui abbandonaffe la vita ; ne dal narrainento di Properzio argomentar fi puote : Marcellum in aquis Bajanis fulz merſum interije : coine va interpetrando lo Scaligero;im perocchè altro nő,è il ſentiméto di Properzio, fe no ſe Mar cello effer morto per quell’acque,colle quali,eſsédo egli si tiſicuzzo , e triſtanzuolo, e col Toverchio lor calore, o rõpe dogli qualche interno tumore , il ſoffogallero : o di ſover chio creſcendo il moviméto del ſangue li diffipaſſero le ſot tiliffime particelle, dalle quali depéde.la vita negli animali, onde repétemente egli mādafle fuori l'anima;coli, la quale eziādio ad altri è avvenuta; ne veraméte fi puote sõmerge re niuno in que’bagni, ſe a viva forza altri non ve l’affoghi; onde maggiormente avrebbe dato cagione alle genti diſu ſpectare non ciò foſſe per opera di Livia avvenuto ; e ca to balti del Muſa aver fin'ora accennato . Ma paſſiam oltre a dir DelSig.Lionardo di Capoa. 379 a dir di Clinia da Marſiglia . Fu la guiſa del coſtui medica. re nel vero ſtranamolco ,e ſuperſtizioſa : imperocchè infi gnevaſi egli di non darmaia malato niuno ,o cibo , o medi cina , fuor ſolamente , che in certi puntiaſtrologici di fito , o dicongiunzioni della luna , o d'altri corpi celefti : e bert gli approdarono sì fatte malizie ; poichè montò in sì buon nome, e fama appo i Romani,che oltremodoricco in brie, ve tempo ne divenne ;delle quali ricchezze, parte cgli co funionne largamente per cinger di novelle mura la propia patria , e parte alla medeſima ne fe dono , acciocchèpoter Le riſtorar quelle , quando huopo ciò lor foſſe . Ma lo non prenderò a dar giudicio dietro il fiſterna del la ſua medicina , non avendene niuna certa , e ſicura con tezza; ma mi darò briga di far paleſe la ſciocchezza di lui, conoſcendoſi molto bene da chiunque abbià fior d'inten dimento non eſſer altro la ſtrologia da lui in medicãdo ado perata , ch'un ſottile , e malizioſo ritrovamento per paſcer divanc ciance , e promeſſe le troppo credule perſone . Ma forſe , come i Romani ſi ſervirono degliauguri ſecondochè la neceſſità il richiedea : ne folean giámai darcominciamé to all'impreſe , ne trar fuora gli cſerciti , ne far giornate , nc alcuna coſa di confiderazione , o civile , o militare ado perare , ne mai ſarebbon andati a gucreggiare , ſe prima non perſuadevano a l'ofte , che gli augurj avean promeſſo loro la vittoria , affinchè i Coldati maggiormente incorag . giati prédeſſero ſperanza divincere : dalla quale ſperanza ſpeſſo certamente naſce la vittoria : così Clinia valevali della ſtrologia, acciocchè gl'infermi deſſero piena fede alle medicine loro preſcritte ; e forſe ſe ne valſe altresì egli per iſchivare, quádo più in cõcio gli era di preſcrivere qualche medicina , la quale da lui non convenevole al male foſſe ftata ſtimata ;ma dalla minuta gente giovevole , e neceſſaria giudicata ; valevaſi dico della ſtrologia appunto a quella guiſa, che coll' artificio degli Auguri i Capitani Romani fi rimanevano dal coinbattere,quando giudicavano non do ver la battaglia a lieto fine dover per loro riuſcire. Il ſiſtemadimedicina di Carmide conyenne ſenza fallo , Bbb 2 che 380 Ragionamento Quinto cono . 1 che foſſe non meno fciocco ,che ſtrano, come quello, che poſti in non cale , e dannati, e vituperati, i diviſamenti di tutti gli altri medicijalle più rigide ſtagionidell'anno glin fermi, avvegnachè vecchi nell'acque gelide fommergeva; iinpertanto ritrovò gran ricevitori,come Plinio ed altri di Ma per venire allamedicina di Galieno , vana per avvé tura , eſoverchia giudicherà alcuno la mia fatica in abbu rattarla ; imperciocchè chiunque avvedutamente v'affiſe rà lo ſguardo , ben toſto ſcorgerà i mancamenti , e i difetti di quella : i quali non tanto dalla natura medeſima della medicina , quanto dal ſiniſtro modo del filoſofar di Galie no naſcer fiveggono ;. il quale avvedutiſſimo in fuggire il ranno caldo di ſpiegar diſtintamente le particolarità della medicina , ch'e'medefimoconfeſſa , e proteſta eſſer tanto a ' medici neceffarie : a bello ſtudio par , che riltando in s l'ali , o dando lunghe , e inutili aggiratc , a quelle ſpiegar ne giammai ſcender non voglia. Perchè luo mal grado gli è pur di meſtiere d'abbatterſi,e d'impaſtojarſi ne'mede fimigruppi, e nodi, ove parimente i Metodici, e gli Empi rici tutti s'impigliano . Così con le medeſime ſue pruove, con che egli lorcerca d'abbattere, gli ſi ſcagliano pur con tra i ſuoi nimici;e dicendo , ch'egli inneſta in ſu'lſecco , or dinando falſamente il ſuo liſtema, e ponendo a ſuo talento i fondamentialla medicina , niegano conſtantemente gli eleincnti', e gli minori , e l'altre coſe cutre '; ove egli coil poco ſode , ed efficacipruove la gran machina della ſua medicina pianta, ed appoggia. Ma lo ciò al preſente trala fciando , renderommi lecito di brevemente accennare, che di Galieno la medicina non ifpieghi punto il vero , e fiſio comodo come naſcano , o naſcer poſſano le quattro fue prime qualità ,ma ſolamente le ponga già nate ; ne men , quella tanto quanto ne diviſa,in qualcoſa il lor eſser conſi ita ; perchè poi valeyol non è a manifeſtar la maniera del loro operare , ne quant’oltre la lor forza fi ſtenda , ne pur gli effetti che per lc , o per accidente da lor fortiſcono . Ma come egli maile natura delle qualità ſpiegar potea, ſe la > natu Del Sig . Lionardodi Capoa 381 natura della materia , dalla quale quelle dirivano ed in cui, coine e' medeſimo dice, e naſcono, e muojono, giámai inve Aigar egli non cura; il che quanto monti , agevolmente da ciò potrà comprenderli , che traſandato il conoſcimento delle qualità l'economia degli animali , ne la natura delle malattie , ne le cagioni diquelle , ne i medicamenti mede fimi non ſi potranno in modo veruno comprendere . Per chè non ſarà medico, che abbattendoſi in qualità di ſover chio rigoglioſe , o manchevoli di ciò cheal corpo richieg gafi, poſsa mai,la ragione adoperando alla debita propor zione ad agguaglianza ammendandole riporle ; e ne men per la medeſima cagione provar egli mai non ſi potrà , in che conſiſta la árminatío , o nimiſti , che tra loro eſser fi dice ; perchè anche ne fiegue , che non ſi ſappiano , ne convenevolméte ſi poſſano perGalicno ľaltre qualità ſpie gare , che ſeconde chiamanli ,e che egli pocoriguardando a ciò che gli antichi nel lib.della vecchia medicina ne nar rano , giudica , che cheno non pofsan cola alcuna opcrare; € pure avviſar egli poteva, che l'acetofo, per eſemplo,avve gnachè freddo , o caldo , o temperato, pur nelle ferite meſ lo , dolore , e infiammagione apporti ;e che non altrimenti , che dal caldo , dallacetoſo anche l'acetoſo s'ingeneri ; e ſe Pamaro fembra a lui effetto del caldo, il caldo eziandio na fca dall' amaro Macertamente ſe Galieno aveſſe bene avviſata la natura delle prime qualità, iion avrebbe giamai fopra quelle il fiſtema della medicinapiantato ; concioſſie coſachè ben egli compreſo avrebbe non eſser quelle baſtá ti a ſpiegar tutto ciò , che nella naturä vedeſi . Perchèi più ſcorti tra ſeguaci di ſua ſchiera, ove s’abbattono a diviſar delle coſe della natura , fono ftretti ricorrere alla propria foſtanza , o pur alla forina eſsenziale , all'amiſtà , o alla ni miſtàgalla fimigliáza, o diſimiglianza tra le coſc , e alle qua lità naſcoſe; che è tanto quanto a dire a cagioni, delle qua li nulla non ſi ſa, ne ſaper fi puote . Quindi: per racer del Fernelio, e del Severino: il ſottilif fimo Andrea Libavio amico per altro di Galieno, colſe ca gione di dire: in magneticis, quum omnia elementa excufse runt, 1 382 Ragionamento Quinto . ränt, elementarii medici nibil inveniunt,nec de proprio ſubje cto virtutis , nec de caufa prima. Mala vero funt princi. pia artis ea , qua inexplicatam tādem relinquüt quæſtionem . Talia verofuntelementa Galenicorum : ex quibus non potes demonſtrare rationem facti offis , carnis , fuccini,magnetis , & cetera ſecundum formam eſsentialem . E Daniel Senner ti, pertacer d'altri aſsai, cosi diſse:ubicumque pluribus eçdē affectiones , & qualitates infunt , per commune quoddams principum infint neceſse eſt ;ſicut omnia ſunt gravia pro pier terram , calida propter ignem . At colores,odores , Sapores efse progosov , fimilia alia , mineralibus, metallis , gema mis , lapidibus ,plantis , animalibus infunt . Ergo per com mune aliquod principium , & ſubjectum infunt. At tale prin cipium non funt elementa : nullam enim hatent ad tales qua litates producendas potentiam . Ergo alia principia unde fluant inquirenda funt. Ed una tal neceſſità molto bene avviſando molti degli antichi, e poco men , che tutti imo derni Galieniſti, ſe maicoſa alcuna malagevole , ed oſcura intorno all'economia degli animali a ſpiegare imprendono, o ſcorger intendono la natura ,e la cagione di qualche ſtra na , c non conoſciuta malattia , allora abbandonato affac to il lor maeſtro Galjeno , e poſta in non cale ogni ſua dot trina , ed ogni diviſamento della ſua razionale , e vana mie dicina , a’nuovi ſiſtemi de'Chimici filoſofanti toſto s’appi gliano , E ben di ciò avvideſi anch'egli Galieno ; e rimirando alla manchevolezza,e dappocaggine delle ſue fondamen ta, dopo aver più , e più fiate diſegnato , le facoltà non có fiftere in altro , che nel temperamento, o meſchianza delle quattro primnequalità , avviſando alla perfine mal poterli con quello l'opere della facultà baſtantemente ſpiegare , così ſcagionandoſi apertamente confeſsa, che eſso per non ſaper la natura della cagion factrice , la chiama facoltà , o potenza; c però dice eſser nelle vene una certa potenza da ingenerare il ſangue, e nello ſtomaco un vigor di cuocere', e nel cuor di palpitare ; e in tutt'altre parti del corpo eſser anche una tal potenza d'adoperar quelle coſe , chcin eſse ſi fan . 1 1 4 DelSig.Lionardo di Capoa. 383 fi fanno . Con cheGalicno apertamente confeſſa cgli me defimo, le facoltà , che coſa mai elle ſi ſiano, affatto non ſa pere ; e ſolamente così per via di ragionamento chiamarle. Ma non fi potrebbono con parole ſpiegare, tante elleno, e tante ſono , quelle fiate , che per Galien ſi ricorre ad una cagione , la qual eglimedeſimo , non ardiſce, o corporca, o incorporea determinare ; e che egli ignorando , che coſa ſia veramente , inſieme col vulgo coſtumacol nome di Na tur'a appellarla . E ridevole veramente ſi è la maniera,col la quale egli una fiata imprende a ſpiegar ,come le partide gli animalifacciano le loro operazioni;dice egli , che ſico me al comandamento di Vulcano , ſecondo finge Omern, i mantici da ſe ſteſſi mandavan fuori, o'più , o neno il fiato ; e le dózelle d'oro da ſe ſi muoveano ; cosinel corpo degli animali niuna coſa eſſer immobile , ed ozioſa ; imperocchè dal ſupremo facitore alcune divine virtù ſono ſtate impreſ fe alle parti di quelli , sì che le vene non ſolo il nutrimento dello ſtomaco deducono : ma l'attraggono , e lo preparano al fegato ; ilquale così preparato da' ſuoi ſervi ricevendo lo , gli da l'ultima perfezione di ſangue : müstepOuengo εποίησεν αυτοκίνητα τουτου Ηφαίςκαι δημιουργήμα , και τας μια φύσας ευθύς άμα τα κελεύσαι τον δεσπότην, παντοίων, εύκρηκτον αύτμηνεξανι είσας : τοις δε θεραπείνας εκάνας τας χρυσας ομοίως αυτά τώ δημιουργώ κινουμένας εξ αυτών ούτω μοι και συνοεί κατά το του ζώου σώμα μηδέν αρ . γον μήτ' ακίνητον, άλα πάντα μεία της πεσούσης καζασκευής βίας τινας αυτοϊς δυνάμεις τουδημιουργού χαρισαμύου,κοή, τας μέν φλέβας, ου πα eaγούσας μόνον την τξοφήν εκ της γασφος , ' έλκούσας άμα και πιο παρασκευαζούσας το ήπατι τον ομοιόταν εκείνων τόπον , ως αν και eαπλησίας αυτώ φύσεωςυπαρχού σας , και την πξώην βλάσησεν, εξεκεί YOU MEWCimpéva . Ed è anche manchevole la medicina di Ga lieno, per non faperſi in quella il meſtiere, e l'uficio di mol e molte parti del corpo ; perchè malamente l'economia degli animali , ed ondenaſcan le malattie , ei luoghi , e le cagioni, e gli effetti di quelli vi ſi potrà convenevolmente ſpiare. Concioffiecofachè Galieno medeſimo principe, e titrovator di quella , non ebbe ne men ventura di ravviſar baſtan te , j 384 ' Ragionamento Quinto baſtantemente la coſtruttura , e gli ufici delle parti dalı conoſciute;non che d'abbatterſi mainel: canale del Ver ſungio, o nelle vereacquoſe , o nelle vene lattee , o in alą tre , cd altre infinite coie da’moderni deſcritte . Ne ſeppe cgli ne men per ombra il vero movimento del cuore , e dei fingue : ritrovato , del quale ſecondo l'avviſo dell'inge. gnoſilliino Renato, nullum majus, & utilius in medicina eft. Ne del vero cammin del chilo ſeppe boccata; le quali due coſe ſole di tanto pregio , e di tanta conſiderazione parve l'o al nobiliſſimo filoſofante Pietro Gaſſendo , che meritc volméte egli chiamarle ſoleai due poli della medicina; e de queſti due trovati, che l'un l'altro conferma maggiormen te , craſſoda, egli ſommo contento prender ſoleva , quindi fperando, che'la medicina , quando che fosſe, aveſſe avuto a ritrovar qualche coſa diſaldo a pro degli huomini; malli. mamente in quella parte , in cui dall'economia degli ani maliella s’argomenta di riſtorar la perduta ſanità ; almen finattanto, che novello lume lo dimoſtraffe l’orſa;imperoc chè della volgar medicina, che tutta ſi briga in diſaminar le qualità , ed in aggiugner ciance a ciance, eglicēto niun non facea : Ma perciocchè queſta ſarebbe opera da trattar con maggior agio , e tempo in un'intero volume , laſcerolla al preſente, riſtrignendomi ſolamente in un capo, ch'a dover lo quì brievemente accennar mi tira . · La maggiore, c principal parte , e pił d'altra alcuna nel meltier della medicina neceffaria,ſenza alcun dubbio quel la fiè , che alla materia de'cibi, e de'medicamenti s'appar: tiene ; or queſta nella medicina di Galieno è certamente tutta impirica;conſeguentemente a tutte quelle jacertezze, e a tutti quegli errori , e falli ſottopoſta , che Galicno me deſimo, ei ſuoi ſeguaci tanto , e sì factamente negli Impiri ci dannano , erimordono . Ed è ciò dicanta conſiderazio ne , e rilievo , che in utili a baſtanza , c infruttuofe, e vane le contezze cutte della medicina , ſe mai clla in altre parti alcuna n’aveſc, render puote : le qualitutte ad altro non fono indirizzate , che a diviſare , & proporre agli ammalati i cibi, siinçlicamen :1 , 3 ? fu conced.fipreselierelli 13,45's DelSig.Lionardo di Capoa. 385 ra , medicina di Galieno s'abbia certa, e ſicura contezza dell'ea conomia delcorpo umano , della cagione , e della natura de’mali, e d'altre ſomiglianti coſe molte a ciò pertinenti, ed acconce:qual pro giammai peropera di tali notizie dal la razional medicinapotrà ritrarſi ? certamente per quel che Io micreda , niuno , ſe non ſi prenda inſieme a diviſar con efficaci , e ben certe ragioni, come,e qual ſorte di me dicamenti , e dicibida dar ſiano agli ammalati. E ciò cos me mai vorráno i Galieniſti convenevolmére porre in ope, ſenza in prima pieno , e faggio conoſcimento dellana, tura , e della propietà di quelli avere ? Ma queſto per lor non avendofi, avvegnachè d'eſfer razionali millantino,cm pirica certamente , e incerta farà da dire la lor medicina ; per tal modo , che non ne potrà ſe non-ſelargamente il no. bile , e laudeyol titolo dell'Arte meritare . Ed interviene nella medicina ciò che ſi vede anche nella Loica avvenire; che per una menoma particella , che nella definizione , o nel partimento , o nel fillogiſmo dubbiofa fia , ed incerta, toſto dubbioſo , e incerto il tutto anche diviene ; e per una pic cioliſſima taccherella ſi sfregia . Senzachè la medicina in tanto è arte , e conſeguenteinente certa , in quanto ella ha ficuri, e certimezzi, quali ſono ſenza fallo i inedicamenti, ei cibi, per ritrarre il ſuo bramato, ed aſpettato fine della ſalute degli huomini . Adunque non eſſendo queſti certi , ç ſicuri, conſeguentemente non ſarà da dir veramente arte la lor medicina . Perchè poi veggiamo iGalieniſti medici, quanto più avveduti , e più dorti eglino ſono , tanto più dubbiofi, e tertennanti ſempremai medicare ; ne dalla lor doctrina , e diligenza mai nulla di certo promettere. Nequáto in fin quì ho detto ha biſogno alcuno di pruo va ; imperocchè manifeftiffima coſa è , che Galieno mede ſimo, non che altri , con iſchiettezza veramenteda filoſo fo , e degna di lui , molte , e molte fiate apertamente il co felli ; ed una infra l'altre mordendo , e biaſimando alcuni medici de'ſuoi tempi , che troppo arditamente ſtudiavanſi di inveſtigare per via di ragione da’ſoli effetti la natura, e la proprictà de’medicamenti; dicendo : non laſciaremoin Сcc . tanto, 380 Ragionamento Quinto tanto, paffar ſenza gaſtigo la ſoverchia tracotáza di coloro, i quali dalla coſtruttura, e dal colore , e dall'odore, e dal fa pore , e dalpeſo , e dalla leggerezza di ciaſcuna coſa del modo,la di lei propria virtù diſpiar s'argométano . Quindi appreſſo ſoggiugne , che tutta la ragione d'eſaminare , e giudicar bene la biſogna nella ſperienza ſopra tutto confi iter debbia , avvegnachè v'abbia aſſai de’medici, chequel la traſandata, ſolamente in avviſar ſe vermiglia, o di buono odor la roſa ſia vanamente s'indugj . Ed a ciò anche riguar dando di Galieno il fedeliſſimo interpetre, Vallelio, così al la fine prorompe . Modoillud unum ftatuimus nullum effe certum argumenti locum ad inveniendum , rei cujuſpiam temperamentum ex ſecundis qualitatibus ; fed ex modo , quo nos afficiunt ſolum ; ita ut in hac doctrina nullum locum ra tio kabeat , fed tota fit empirica . Con la qual ſentenzas certamente egli abbatte infin da' fondamenti, cmanda au terra la medicina tutta del ſuo maeſtro , e ſpezialmente ciò che egli medeſimo nelle ſue côtroverſie avea in prima infra l'altre sbracciate arditamete millantato : Poj]Galenum non amplius interpollis ars fuit ,fed perpetuo eadem veris de monftrationibus confirmata . Ma certamente s'egli riſuſci taffe a' tempi noſtri il Valleſio, rimarrebbeſi per innanzidi gracchiar più del ſuo divino Galieno; e ricreduto a’moder ni ritrovati, non più di colui vanterebbe : nihil ti ejus in ventis adhuc eſse additum : quoniam hic author nihil , quod ad artis attinet conſtitutionem non reliquit inventum , quod pofteriſuperadderent. E tanto più, che il Valleſio fu ſempre amiciſſiino della verità : poichè , per tacer d'altro , non ſi ritien per quella di rimproverare a Ippocrate medeſimo.co. tanto da lui ſtimato , il non ſaper punto di Loica; e più ma nifeſto ſi vede nel fin delle ſue fatiche intorno alla ſacra fi loſofia , ove infra l'altre coſe accreſcendo il numero degli elementi dice , che quelli non ſiano ſtati mai , ne fuora del corpo miſto eſſer poffano: i quali ( ſon ſue parole ) actu qui. dem nullibi, potentia vero in omnibus miſtis eſse dicimus. E ben’egli avvedutoſi de’vaneggiamenti, e degli errori di Ariſtotele , ſpezialmente intorno alla materia prima , dice . mani Del Sig.Lionardo di Capoa. 387 manifeſtamente , e confeſſa , che quella Aggira, ed avviluppa il capo agli huomini. Ma laſciando queſto ſtare al preſente , dirò coſa non da trapaſſar forſe ſenza qualche ammirazione ; anche il mede fimo Galieno, nonche altri s'avvide eller tutta la ſua razio nal dottriaa non altro, che vaneggiamenti , cd inutili ciar le ; poichè avendo egli ſognato , che ſarebbon guariti due infermi , ſe lor tratto fi foſſe dall'arterie della inan deſtra copioſo il ſangue , ei prontamente gliele craſſe , e tutt'altri ſuoi ſtudj,ſpeculazioni, e fatiche in non cale ponendo , fe guì l'indirizzamento d'un vanillimo ſogno ;e certamente un tal fatto appo me non ritroverebbe niuna fede , ſe Galieno medeſimono’l confeſſaſſe ; ed Io il ridirovvi colle parole di lui ; πξοτζαπείς υπό τήνων όνειρά τον δυοϊν εναργώς μοι γενομένον , ήκον επι την εν τω μείζξυ λιχανού τε και μεγάλου δακτύλου της δεξιάς χει ρος αρτηρίαν, επέτρεψα ερείν , άχρις αν αυτομάτως παύσηται το αίμα , κελεύσαντG- ούτω τε ονείρατG- ερρύη μεν εν εδ' όλη λίτζα • παραχρή μα δεσπεύσατο χρόνιον άλγημα κατ' εκείνο μάλισα το μέρG- ερείδον ένθα συμβάλα τα διαφράγματι το ή παρ' εμοί μεν ουν τούτο συνέβη νέω την • ηλικίαν όντι • θεραπευτής δε του θεού εν περγαμω χρονίου πλευράς αλ γήματG- απηλλάγη δι ’ αρτηριοτομίας,εν άκρα και τη χaei γενομένης και εξ ονείρα G- επι τούτο ελθών και αυτος. Ho lo tralaſciato a bello ſtudio di riferir poi ad uno ad uno , come fanno il Veſſalio ,ed altri,ed altri notomiſti,tan ti , e tanti errori , che nel deſcriver le parti del corpo uma no preſi furono per Galicno : per non recarvi consì lungo racconto più di noja , che per avventura non ſi conviene . Ne menomiho preſo briga d'avviſarciò ,che a ciaſcuno è manifeſto , che l'opere di Galieno ſenza alcun paragone ſian più di vane ciance , che di coſe ripiene ; sì che quantū Andrea Lacuna l'accorciaffe , a più picciol volume po tca ſenza fallo riſtrignerle . Ne meno ho curato accennar come coſa a tutti nota , chc la dottrina inſegnata da Ga lieno , per la più parte ſia colta di pelo ad altri ſcrittori; e tal volta male da lui inteſa , c peggio ſpiegata . Ho trala ſciato altresì per la medeſima ragione , di narrar come Ga lien poco intendente fi paja delic ſentenze di Democrito, Ссс 2 di que 1 388 Ragionamento Quinto di Placone , e d'Ariſtotele , e come al roveſcio anch'egli ſovente ſpiegar fi vegga i ſentimenti d'Epicuro;comechè da un particolar maeſtro n'aveſſe egli la filoſofia epicurea ap parata ; il che ſovente anche egli fa dell'opinioni d'Eralia Itrato , d’Aſclepiade , e d'altri Setteggianti; avvegnachè eº millanti, che di tutte ſette e' ſtato foſſe nella ſua giovanez za da più celebri maeſtri di quelle addoctrinato . Ho tra laſciato anche di far parola dello ſconcio modo del filofo fare , che mai fempreGalieno adopera , non iſccndendo mai alle particolarità delle coſe ; e ſe talor e'fi pare , che viſcenda , il fà per modotale,che'l traſcurarlo ſenza fallo farebbe menmale . E nelvero chi è , che non conoſca,co me per lui ſcioccamente ſi filoſofi dietro agli clementi , a' temperamenti, agli ſpiriti', al caldo innato agliumori; la natura delle quali coſe non mai filoſoficamente egli ſpiega; ne mai pruova , ſe non ſe con ſole parole la lor eliſtenza ? Chi non fa poi, come egli ſcorriamente favelli dell'inge ncrazione, del naſcimento, del creſcimento dell'huomo, e come follemente e' ragioni dell'ingenerazionedelchilo , e del ſangue , della natura , e degli uficj , delle parti, e di tut te altre coſe all’huomo appartenenti ? Chi è per Dio , che non iſcorga , com'egli facendofimenare per la barba dagli ſtrolaghi, vanamente favolegojde giorni critici , e com'e . gli oltremodo vancggj in facendo parole della materia del la natura , delle cagioni , e deglicfetti delle febbri , e d'al tri mali, e particolarmente dell’Apopleſſia ,e dell'Epilcilia . dicendo egli , amendue queſti mali avvenire per l'oppila zione de’ventricoli del cervello fatta da freddo , groſo , e tenace umore ; recandone per ragione , che di preſenta faccianſi, e di preſente finiſcano ; o eſſendogli caduto dal la memoria, o ponendo in non cale d'aver lui altra fiata ,più al vero conformandofi, argomentato il palpitar del cuore di botto ingenerandoſi, e di botto riſtando ; di neceſſità ca gionarſi da ſoſtanza aerea , e ſottile ; ſenzachè ſe ver folle , com’ei dice, dall'intera oppilazion de’ventricoli del cervel lo l'Apoplefia , e dalla non intera l’Epileſia ingenerarſi , converrebbe chemai ſempre dall’Epileſſia cominciaſſe l'A popiel DelSig. Lionardo di Capoa 389 ra , poplellia : e che queſta in quella mai ſempre terminalſe ; il che non ſi avviſa , ſe non ſe di rado ; ma ciò fa vedere le gran traſcuraggine di Galieno nelle coſe della medicina , che non curoffi mai di aprir cadaveri ; perciocchè aurebbe rinvenuto in alcuno oppilati i ventricoli del cervello , il quale no foſſe morto d'apoplesſia,o d'epileſſia;ed altri eſſer morto di sì fatti mali , ſenza tenere ne' ventricoli del cer vello umore niuno. Laonde potrebbe a Galieno addattarſi molto bene quelcelebre detto d'Ariſtotele :87 @ gu dangrasa γα, αλα μαντεύεται το συμβησόμενον εκ τείκότων , και προλαμβάνει και ως ουτως έχον και πειν γινόμενον ούτως . Or non fi coglie da ciò che è detto , che Galieno della coſtruttura delle parti del cervello , e del loro uficio non ſapeffe boccata? il che da egli anche chiaramenre ad inten dere , allor , ch'ci fa parole degli altri mali della teſta ; ed ora mi ſovviene ,come follemente ei filoſofi dietro alla pau ed alla triſtizia de'malinconici , in così dicendo : ficome le tenebre eſteriori apportano ſpavento a quegli huomini , cheaudaci , o fapienti non ſono , così la malinconia col fuo colore offuſcando , ed ottenebrando la ſedia dell'anima , le reca timore ; ne' qualiderti è certamente da ammirare , che ſié più errori che parole; e moſtrafi chiaraméte per eſli, che Galieno niéte foſſe della natura dell'anima, edi quella delle qualità intcſo :eche nó ſapeſſe, che coſa foſſe la luce , che coſa foſſe il colore , ne come le ſenſibilità, e l'immagi nazionc , o'l diſcorſo in noi fi facciano ; perchè ragione volmente nel vero , comechè non a baſtanza ne vien egli per Averroe proverbiato , e deriſo . Or come per Dio huom , che ſuperficialmente filoſofu della natura , e delle cagioni delle malattie , mai può in medicando della ragione valerſi ? .e certamente , per ta cer d'altro , a Galicno ne meno una terzana ſemplice gli verrà mai fatto poter con ragione operando ſecondo i ſuoi diviſamenti medicare ; imperocchèquantunquegli ſi con ceda eſſer vero ciò ch'e' finge della terzana , cioè , che ſi cagioni la terzana dalla collera , la quale fuor delle vene s'imputridiſca:e s'abbia p cofa provata,e vera la ſua rego la, che 390 Ragionamento Quinto la , che curar ſi debba per li contrarj ; le Galien non fa la natura della collera , come potrà ſaper mai come s’impu tridiſca , e che imputridir la faccia,e come per la putreſce za vi s'accenda , e ſi comunichi al corpo il calore: e d'onde egli potrà coglier gli argomenti ad inveſtigare ciò che all' altro ſia contrario ? lo ſo ben, ch'e' dice la collera eller un umor caldo , e ſecco,corriſpondente all'elemento del fuo co ; ma s'ei non fa qual ſia la natura del calore , e della ſic cità , e del fuoco ,certamente nulla ei non ſaprà della colle ra , ne comprender mai potrà , come ella , e per chi s'im putridiſca , e come ella cagioni la febbre , e comea ciò ſi poffa dar compenſo . Certamente meglio partito egli avrebbe preſo , ſe della ſola impirica valuto li foſſe ;la qua le , ſecondo quel , ch'eglimedeſimoafferma, è aſſai mens fallace della falfa razionale , Ne meno lo dirò , ch'ebbeGalíeno avvegnachè compi laſſe tutto Dioſcoride,diſagio di buoni , ed efficaci medica menti : c che egli la più gran parte delle compoſte medici nedegli altri inedicimeſcolò nelle ſue opere: e che adope raffe ogni maggior diligenza, per apparar rimedj , ricercă dogli eziandio infra altri ſetteggianti , e cra’volgari impiri ci ; perchè diſperato egli anco di ciò , fu coſtretto ne'falar fi, nelle purgative medicine , e nella dieta , e ne'giornicri sici tutte ſue ſperanze riporre. Or ſe a queſte,e ad altre cole, che ſe Io voleli ad una ad una narrare per ora non ne verrei a capo , aveſſe avuto Gi rolamo Cardano riguardo , certamente e non avrebbe fra quei ſuoi dodici più ſottili ingegni del modo meſſo Galie no in iſchiera , nc mai ſi ſarebbe laſciato traſcorrer dalla penna ultimus fubtilitate ſed clariſimus arte Galenus metho dis , pulſibus, atque diſsectionibus. Ma quanto a queſt'ul tima parte,ben qual ſi foſſe Galieno , il riconobbe , e l'ad ditò il Veffalio , che più del Cardano ne fudi gran lungu informato . De' poiſi poi,che coſa potea indovinarne mai colui , che per iſpiegarne la cagione , alla facoltà ricorſe , ne punto ſeppe de’movimenti del ſangue ? Ma nella loica , quanto egli poco valce , il dica Aver roc, i 1 DelSig. Lionardo di Capoa 391 tropo ſtudio . roc , il dican aldri, che tanti errori gli ſcoprirono in doſſo . Ma queſto è il veleno di tutte ſue opere , il della loica : e fe Galien conobbeſi bene della loica, ficome pare al Cardino, che monta ciò , s'egli non ſapea ,ne pro to avea fra le mani ciò ch'avea eglicolla loica a diviſare ? e tanto baſti avere al preſente della medicina di Galien fiz vellato ; e dicoloro , che dopo lui vennero , paſſeremo omai a far brievemente parole, comechè novelliſiſtemino ritrovaſſer eglino di medicina . Furono di così poco taléto que' che dopo Galieno ſcriſ ſero in medicina, che non ſoppero altro , che le coſe mede fime dagli antichi già dette , malamente per lor compreſe , e peggio rapportate , compilare ; anzi in ciò pur cotanto bambi, e goccioloni diinoſtrarõſi,che tralaſciando perdap pocaggine le migliori , ſolaméte alla ſchiuma inteſero; per chè Giuliano Cefare avendo commeſſo ad Oribaſio , che di tutti antichi libri di medicina il più bel fiore coglieſe ', mal puotè vedere il ſuo deſiderio a nobil fine códotto; per ciocchè colui non altro che di fraſche, e di novelle,e di va niſſiine anfanie ſolamente fe faſcio . Ma dovea purGiulia no , ſe filoſofante era , qual ſi ſtudiava di far vedere ad al trui , avviſar ben cgli eſſer queſta d'altri omeri loma , che dello ſciocco berlingatore d'Oribafio ; ne alcuna coſa di pregio certamente atrendere da quegli infeliciſſimi tempi potcaſi, ove i medici anche eglino nelle loro dottrine reſi ſervi,parean ſol nati a ſeguir prontamente i fallimenti, e gli errori de'ſecoli traſandati , edi queimaeſtri, i quali ſicome da ciò che addietro da noi è detto ſi può agevolmente ri trarre , anzi alle ciance , e alle lunghe dicerie , che alle fal de operazioni avean l'animotutto , e'l penſiero rivolto . E sì , e tanto queſta ſconcia , e biaſimevol coſtuma crebbe, e diſcorſeper tutto a que' tempi, che i medeſimi impirici , ancora,laſciando da parte le loro pruove , e le ſperienze , tutti nelle ciuffole , e ne'ben compoſti cicalamenti ancor ella s'impigliarono; perchè meritevolmére Galieno una fiata fi biaſimava di quel valentiffimo medico di tal ſetta , ch'avef fe voluto logorar la ſua induſtria , e'l tempo in contraſtare ! ic 392 Ragionamento Quinto le ſette razionali ; perchè in iſperimentare , e in medicare folamente adoperandoſi maggior frutto certamente confe guito n'avrebbe . E fe gran ſenno quell'altro dottiſſimo impirico , ch'or mi ricorda eſſere dalmedeſimo Galieno co loda mézionato : il quale a un inferino, che avea dato orecs chic ad una lunghiſſima diceria tenuta dietro alle cagioni , alla natura , a’ſegni , e a’rimedj della ſua malattia per un ciarlatore razionale , così diſſe; Io per me non ſaprei io, ond'è , che tu più coſto debbi attenerti alle vane ciance di coſtui , che alle tante , e tante pruove fatte permefin'ora ; dal che moſſo lo infermo , diede di botto comıniato al van ſofiſta , e nelle mani dello ſperimentato impirico rimiſeſi . Ma certamente cotanto ciarlare , e anfaneggiare appararo no gli antichi incdicanti greci dal ſoverchio ſtudio della loica ;avvegnachè per quella intorno alrimanéte,anzigua fti che addottrinati ftati foſſero in avviſar le cagioni, e vere ragioni delle coſe: cotanto ſconcia, e travolta l'adoperava no . E forſe in ciò potrebbon ritrovar pietà , non che per dono , ſe già l'oſtinazione, e la fracotanza d'alquanti di lo ro non foſſe giunta a tale , che per fermo eglino ebbero , e per coſtante , così veramente andar le biſogne della natų. ra, come eglino le îi davano ad intendere , Ritroſi ancora ſi parvero , e negligenti affai i Greci mę, dici nell'inveſtigar le parti così diſcorrenti , come faldede gli animali ; e poco o nulla s’affaticarono per iſpiarne l'e , conomnia , e l'ingenerazioni , e gliavanzamenti delle ma lattie ; ma ſour'ogn'altra coſa ſi vider traſcurati in raccon tar la ſtoria de'medicamenti , la quale così dubbia , incer ta , e favoloſa eſſer s'avviſa, come ſe a ſtudio di tal formar la ſtato foſſe il lor principale intendimento; tante, e sì ſpeſ ſe fraſche , e novelle ſi troyano colla verità in quella me ſcolare , e confuſe , E ben ſi ſcorge ciò dalla raccolta, che ne fe il noſtro Plinio; ina foyra tutto dal volume di Diofco ride , il qual da varjantichi autoriritraendo le virtù de'mc dicamenti ſenz'avviſar ſe vere , o falſe elle fi foſſero , di tut te pienamente fece faſtello ; e tali vengono poi per Galic no, per Oribalio , per Paplo , per Aczio , per Simon Seti trat DelSig.Lionardo di Capoa 393 tiatto tratto deſcritte, quali appunto.le.laſciò Dioſcoride regiſtrate; ſe non ſe ſcioccamente (forſe per far ſembiante, che da coloro erano ſtate le coſe affai minuramente difa minare ) in qual grado il ſemplice, o caldo o freddo ,o.umis do , oſecco egli.fi foffe v'aggiunſero .. Ma ſe talora in qualche menomiſlima parte vien per lo ro mai Dioſcoride ripigliato , certamente il fanno dove e * no'l merita ; ficoinc allo.incontro il commendano , dove no'l vale . Ne lo ciò dico per diftorre imedici dalla lettu ra di Dioſcoride , ch'egliè anzi permio avviſo il volume di lui la miglior' opera di quante della medicina de' Greci alle noſtre mani ne lian pervenute : ma perchè eglino vi ſia cauri , guardinghi, e ſenza rigoroia efaininazione alle cofe per lui riferite alla rinfuſa non dian intera credenza . E quinciancor manifeftamente s'avviſa , che non che nulle giovaffe.a'Greci la Razional traccia a difcernere le facoltà de'medicamenti, anziella di vantaggio loro oltremodo nocque ; perciocchè più veritieri aflai trovanfi i rapporti delle virtù de’ſemplici appo i barbareſchi popoli, privi, digiuni di lettere, che nelle limite , e ben culte ſtorie loro . Io tralaſcio di far parole de’medicamenti compoſti de’Gre ci, che afai chiaro fi pare , quantodalla fortuna, dal caſo, anzi che daila ben regolata loro ragione ne vengano di viſati; mal porendofi dirittamente accozzare , e comporre infieme imedicamenti femplicida colui , che di quellinon fia pienamente informato . E ben s'avvidero i Greci ine dicanti più ſagaci ,.e più ſtimari della . poco lieta uſcita de' loro medicamenti; perchè andando per innanzi maggior mente a riguardo: folamente nel preſcrivere fobrio , e ben regolato vivere , l'arte tutra,e'l ſommodel medicare ripo fero ; e sì , e tanto-in.ciò furono ritenuti , e rigorofi, ch'a molti infermi più giorni ogni cibo vierano , cad altri la fo la mulla permettevano. Poco accorti in mole'altre coſe li videro i Greci medici ; perciocchè per iſpiarequanto lor foſſe ſtato poſſibile deca gioni delle malattie di tanti infermimorti nelle lor mani no fi diedero maicuca d'aprire icadaveri; avvegnachè una tal Did dili . 394 Ragionamento Quinto diligézainutile altrui poſſa sebrare,eflendo malagevol mol to lo inveſtigare ſe ciò che guaſto nelle interiora ſi ritrova , più toſto ſia effetto ,che cagion delmale ; pur nondimeno alcuna fiata potrebbeperavventura a qualcheutilità riuſci re . Ma quelche più rilieva, ne meno fcriſſero i Grecile ſtorie de'mali , ſe però non le ci ha tolte la lunghezza del tempo ; e quelle poche, chenoi ne abbiam focco nome da Ippocrate , elleno ſon cosi rozze, ed imperfette , che r.2- ' gionevolmente huom favoloſe le crede . Perchè non è po co da lodare il diviſo di que'moderni , che ſi ſono attentati di ſcriverle , comeche Pabbian poſcia meſſo infelicemente in opera , o perchè lor venne in talento di raccontar le ma raviglie , ſicome fece Amato nelle ſue ſtorie :0 pure, perchè dalla faſcinazione delle ſette adombrati', vider le coſe al trimenti diquel ch'elle erano ; ſe pur non ſon elli imalizio fi , che le coſe ſempre aroveſcio , e travolte ne vogliono da re a divedere ; ſicome alcuni di loro cento, e mille fperien ze, matutte falſe , per difender le loro opinioni tutto di van recando . Egli furon poi i Greci cosi per vaghezza brigāti, eriot tofi che , tal ſovente videli , nonche ad altri ,ma a ſe me d'elimi far contraſto ; ſe bene in ciò non tanto eglino ſono da accagionare, quanto i viluppi , e le malagevolezze di quell'arte , che eglino cotanto con biftentis e vigilie , e fudori ſtudiaronſi d'illuſtrare , emaggiormente offuſcaro no ; perchè non ſenza rifa da huom di ſano intendimento leggerafſí la millanteria di Pelope Maeſtro di Galieno , il qual vantava di ciaſcuna coſa di medicina ſaper la vera ; incontraſtabil cagione . E già parmi leggiermente avet cocca, e traſcorſa tutta la medicina de'Greci;e quantunque non abbia lo fatra ſpezial menzione d’Areteo , il cuili bro per avventura ſembra ſcritto con diligenza maggior di quanti ne fon rimaſi interi della medicina deGreci,e con filoſofica libertà; pur non è da maravigliarvene, perciocchè egli contien le dottrine medeſime da noi più fiate diſami nate , e riprovate . Finalmente ſi conoſce , che non hanno gran coſa i Greci in medicina adoperato ; imperocchè les aveffer 1 1 Del Sig.Lionardodi Capoa . 395 aveſfer qualche coſa di pro eglino mai rinvenuto , certame te qualche veſtigio appo gli autori , chealle noſtre mani so pervenuti,ne apparirebbe. Ma chedovrem noi dire della Arabeſca medicina ella fu tanto nel paſſato ſecolo abburattata , e premuta,che par che d'altra eſaminazione non le faccia più meſtiere . E ciò maggiormente , che dagli Arabi fu maiſempre il filoſofar in inedicina di Galieno ſuperſtizioſamente ſeguito; del cui mancamento molte coſe abbiam noiragionato . Ma egli è in iſtato più miſerevole la loro ſcuola , che dove alcunas volta Ippocrate , e Galieno non dipartendoſi dalla ragio ne il ver dicono , ella ſconciamente gli abbandona . Nel rimanente poi, e ſpezialmente nella materia de ſemplici: di leggieri immaginar nonpuoſli, quanto ſciocchi ſi ſiano i diviſamenti degli Arabi;imperocchèbaſtava lor ſolamente aver letto , o pur udito, che per Galicno una coſa ſi affer maſſe, che immantinente per vera la credevano.Perchè poi gli Arabi ignorarono la greca favella , l'un ſemplice , e l'un malore per l'altro ſpeſſe fiate colfero in iſcambio; e de’libri della natomia de'greci molte coſe , emolte non inteſero ; ma gran male queſto non ſarebbe ſtato per avventura , fe di vantaggio qualche lor ſogno non ci aveſſer frāmeſſo . Ed anvegnachè fra’medicamenti dagli Arabi ritrovati ve ne abbia forſe saluno , che a que' de Greci prevaglia . , niente dimeno nulla ,.o poco ciò monta riſpetto al grave, e incom parabil danno , ch'apportarono gli Arabial mondo colla ver introdotto l'uſo del zucchero , per cui ſi fono sbandeg giate perpetuamente le Sape , le Mulſe, gli Offimeli ſem plici, e compoíti, e in tante guiſe formati; e ſono a lor ſuc ceduti con graviſſiino danno degl'infermi,i ſciroppi ; con cioliecoſachè ſotto il doice del zucchero ,un enordaciſſimo, e pungentiffimo fale ſi naſconda, valevole colla ſua morda cità a ingenerarferventiſſimo caldo ; ed egli oltre a ciò ab bonda il zucchero d'una cotal tenacità oppilante , e perciò alle viſcere nocevole oltremodo , e nimici; della quale il miele è affatto privo , mercè , che le apiil rendon volatile , Ddd 2 e fot 1 390 RagionamentoQuinto é fottile , e penetrante e, quaſi ad una celeſtial quinteffens za il riducono ; perchè facendo nelle viſcere il miele poca dimora, poca, o niuna offeſa può certamenteil ſuo fale re carne , che men acuto anche , e mordace del ſale del zuc chero ſi ſperimenta . Maſenza più diftendermi in queſto , ayendovifaſtiditi pur troppo , lo fo quì fine al mio ragio mare . RA : 397 RAGIONAMENTO SE S TO, vele Icome al partir della fredda ſtagione, dal grave peſo delle neviſgombra la terra , tutta lieta: , e feſteggiante ringiovaniſce , e allo ſpirar de'tiepidi zeffiretti laſciando ležiarſe, e ſquallide ſpoglie; di vaghi fio ri, e di fronzute piante fi riveſte ; e fiabe belliſce : cosìparimente;o Signori ,le ſcienze , e le più no bili artiscellati ifuriofi diſcorrimenti de'barbari, che mala mentemalmenare l'aveano , cominciarono aʼnoſtri più yi cini tempiper l'Italica induſtria tratto tratto a farſi vedere, a poco a poco riacquiſtando l'antico', e forſe altro più rag guardevole ſplendore.Già la Greca, e la Latina favella ,d'o, gni ſcienza antichemadri , riſurte fiorivano ; già la Poeſia ', egli ſtudjtutti del ben parlare erano in ſu'l far frutto ; ne l'Archițettura più , 12.Muſica ,o la Pittura , o ciaſcuna altra arte abbattutalanguiva ; ma pur la medicina ſola;e la Filoſofia nel comun ſollevamento , in vil ſervaggio vivens do ſe ne giacevano oppreffe , efgombinate dal barbareſco giogo d'Ariſtotele, e di Galieno; quando piacque finalme. te a colui, che impoſe a tutte umane coſe aver fine, che fi levala 299 Ragionamento Sesto 3 1 Ievaffer fuſo alquantianimigrandi , e generoli, quali NOR G fperavano, e non poteano per huom mai immaginarſi, ch , avallar doveſſerola ſignoria di coloro , e la medicina , e la filoſofia alla primieralibertà, e al perduto pregio riporres O ſpiriti veramente generoſi, e da elſer commendati per quantoil mondo durerà ; i quali ardirono prima di far ri paro all'impetuoſo torrente dell'abuſo comune ; e ad op porſi sforzatamente all'univerſalconſentimento delle gen ti . Maggior gloria certamente fu di coſtoro , i quali furo no i primi a rompere il guado a sì ardua impreſa , e arice ver a battaglia affrontata i pertinaci ſeguitatori di Galieno: che di coloro , i quali in prima ſetteggiando a lor talento , nel confuſo rimeſcolamento della medicina s'argomenta rono di trarla moltitudine ancor libera a’lor ſentimenti; c . s'eglino , i quali riduſſero la medicina a qualche più toſto apparente,ch'eſiſtente ſtato di perfezione , ed i primi ri trovatori di quella in cima d'altiſſima gloria aſcefero,e for montarono : che farà da dir di coſtoro , i quali, non che ab battuti e'fi foſſero in terren ſoluto ,e d'ogni erbaccia purga to : anzi cotanto duro , e mafagevole , e ſpiuoſo il ritrova rono , che ben convenne loro in prima durar lunga fatiga a liberarlo da’bronchi, e da'pruni, c da’ravvolti ſterpi,che l'ingrombavano,anziche vi poteſſero granello riporre. Ne ſembra certamente cotanto malagevolel'introdurre da pri ma alcuna coſtuma infra le rozze genti : quanto egli è du To , e quaſi impoſſibile , allor che quelle già auſare viſono, e tutto che indurate ,a far loro cambiar uſanza , ericre derle , e ſgannarle de loro errori; perchè è da dire , ches molto maggior vanto foſſe deʼriſtoratori della guaſta, e mal menata medicina a rimetter fe medeſimi in prima, e poi gli altri al diritto ſentiero : che non fu di coloro , i quali non incontrarono malagevolezza niuna d'invecchiata , cpre ſcritta uſanza da ſuperare . Ma ciò al preſente laſciando , trapaſſeremo a narrar de'noſtrivaloroſi moderni, ſecondo il noſtro diviſamento ; e diremo chente , e quali ſiano le loro opinioni intorno alle coſe più ragguardevoli della me dicina . 1 + 1 Egli Del Sig.LionardodiCapoa. 399 Egli fembracertamente , che prima diciaſcun'altro l'al cilimo Chimico , e filoſofante Bafilio Valentino , monaco diS.Benedetto: fatto capo a' ſuoi tempi nella Lamagna co tro la ſignoreggiante medicina di Galieno, e quella degli Arabi, perpiù d'una prưova conobbe a deboliſme fonda menta quelle attenerſi , e in ſü’l ſecco ſenza fallo effer in peſtate;concioffiecoſachèprive di ragioni,e manchevoliol tremodo d'efficaci medicamenti végano alla per fine ſtret re a riporre tutta loro ſperanza di vincer le pertinaci,e gra vi malattie nella ſola natura : comcchè co ' falalli ,e colle purgagioni , e con altriſconcj, e violenti rimedi render la ſogliono ſovente ſpoſfata, e poco acconciza fofferir la vio lenza del male . Perchè argomentoſſi dicomporrenuove forti di medicamenti profittevoli a malati ſenza riſchio di piggiorar loro con quelli di nulla la conpleſſione. E con ciofoſſecofa,che eglivalentiſſimo Chimico foſſe , e molto in folver icorpi maſſimamente minerali affaticafléfi , diede egli cominciamento a quel ſuo famoſiſſimo ſiſtema di medicina , chepoicompiuto,e perfezionato venne da Teo fraſto Paracelſo . Ma comechè ponga egli per fondamen to della fua medicina que’tre principi , de'quali anche ſer veli il Paracelſo : çiò ſono zolfo , ſale , e mercurio ; non però di meno diſcorda egli non poco dal Paracelſo in ciò , che egli giudica corali principj ingenerarſi dagli elementi . Nel qualſuo ſentimento certamente egli non poco falla , laſciandoli ſcioccamente menare alla piena del folle vulgo in ſupporregli elementi ; perciocchè ben doveva egli avvi ſare , quelli ſolamente eſſer nel cervello d'Ariſtotele , e di Galieno : e che tutti loro argomenti, malimamente quel lo , che ſembra aver qualche ſembianza di vero , cioè , che icorpi tutti in iſciogliendoſi , a quelli come aloro primi componenti ritornino , ſiano yani, e fallaci; alla qualcoſa fare bédovevalo ajutare lanotomia vitale;mal'aver lui uſa . to qualche tempo nelle ſcuole in ciò pur dovette abbaci narlo . Adunque egli giudica , che tutte coſe abbian lor materia , e lor forma, onde poi prenda dirivo ciaſcuna lo ro operazione : e che queſta dalle ſtelle venga ingenerata,e dagli 400 Ragionamento Seſto 1 1 dagli elementi formata , e da’tre principj ſolfo , fale , e mer curio prodotta , e perfezionata ; ma pur.dice egli una fiaca l'acqua eſſer la primamateria ditutte le coſe ; que, ſon fue parole , exficcatione ignis , & aëris in terram formata eft . Oltre a ciò egli afferma, in ciaſcuna coſa dimorar cotali fpi riti vivificanti operativi , i quali G nutrichino, e fi foftenti no de'corpi, ne'quali albergano: che in queſti ſpiritila vir tù , e la forza d'effi corpi ſpezialmente conſiſta ; ma come chè queſte, e altre fraſche aſſaiintorno alla natura di sì fat ti ſpiriti egli vada ſcrivendo , pur ſi potrebbono le ſue parole intendere allegoricamente , e con ſentimento forſe da non diſpregiarſi: ſe non ſe moſtra manifeſtamente così in: ciò , comein altri ſuoi divifamenti eſſere ſtato lui molto [um perſtizioſo , e vano nel ſuo filoſofare . Perchè o colpa foſſe de'tempi , o altro, che il ſi faceſſe, comechè egli intenden tiffimo foſſe ſtato della vital notomia , e che con quella ma raviglioſe coſe aſſaioperate aveſſe , avviſando ſottilmente i più naſcoſi ſegreti della natura ; non però di meno non ſe ne ſeppeegli sì ben ſervire , che penetrare aveſſe potutoi veri principj,onde le operazioni, e gliefferci de vegetabi li , degli animali , e de'minerali procedono . Mapure egli , come non poco arricchita aveſſe de' ſuoi comiendevoli ritrovati , e di ſottiliffimi divifamenti la me dicina , e che ſaggiamente giudichi infra l'altre coſe , che dal lavorio delle chiniche preparazioni de' corpi naturali ne lieguano,naſcere il certo conoſcimento di cotal arte;im pertāto.egli manifeftamête avviſando l'incertezza di qucl la , ne conſiglia , econforta a riguardar ſempre all'uſcimen to de’rimedj; perciocchè dal nocimento , e dall'utile , che quelli recano a'malati, può il medico avveduto prender có figlio , ſe debba più per innanzi adoperargli. o nulla , quanto al fatto del medicare, il Va lentino delle chimiche operazioni fi valſe; imperocchè qua tunque belli , e grandi, e copiofi medicamenti gli venine ro , mercè la chimica conoſciuti ; la cui vircù egii profone damente ſpiò: e più avanti facendoſi giugneſſea penetrar la propietà de' tre principi nondimeno non tols'egli a {pie 1 Ma poco , gi!re Del Sig. Lionardo di Capoa 401 gare, come da quelli s'ingenerino , el guariſcano i mali. La quale imprela certamente fu dopo luidal Paracelſo , ſe non compiutamente fornita , a grande ſtato condotta ; av vegnachè il Valentino non tralaſciaſſe affatto di metternes fuora da quando in quando qualche profittevole ammae ſtramento ; ſicomeè quello chea’mali ch’abbian fatto cal lo , e di ſoverchio ſi fian radicati in corpo , ſolo le fifle me dicine approdar poſſano , ficome quelle , che fin dalle ra dici gli sbarbano; le non fiſſe ſaggiamente a quell'acques piovane aſſomigliando , le quali toſto diſcorrendo per le Atrade , non penetrano per fonghe, o per foſſati fin nelles viſcere della terra . Siinigliante è quell'altro ſuo avviſo , che Come d'affe ftraechiodo con chiodo, così l'un ſimile vaglia l'altro a curare ; allegandonc l'eſem plo del veleno , il quale non altrimenti che la calamita ſi faccia il ferro , tragge , ed aſſorbiſce l'altro veleno ; ed in veggendo egli , che l'acqua arzente guariſce la Riſipola , immaginò, che il caldo di quella l'interior calore di queſta attraeſe . Ma da queſto diviſamento può ciaſcuno far con , ghiettura , ch'egli entrato ne’valti regni della natura , qui vi poi li ſmarriſfe , ne fructo, e pro che dovea ne riportaſ ſe ; imperocchè s'egli ſi foſſe dirittamente appoſto , avreb be detto , che ingenerandoſi la Riſipola dall'acetoſità , gli Alcali volanti dello ſpirito del vino ciò adoperino ; il che ben ebbe inteſo il Paracelſo, onde potè cotant'erbe di ſimi li alcali volanti ripiene,valevoli a far contraſto all'acetoſità delle ferute agevolmente rinvenire , e compornc tanti be veraggi , che vulnerarj ſon detri. Maciò , ch'è di maggior conſiderazione , cgli non curò mai il Valentino d'inveſtigare ( il che forſe a lui non guari malagevole ſtato ſarebbe) la figura , e tutt'altre proprietà di quelle particelle , onde i tre principj ſono formati , eco me , ed onde le loro operazioni avvengano; in tal guiſa avrebbe egli potuto felicementenella filoſofia innolcrādoſi ſcorgere , come il ſuo Vulcano fia conoſcitore , egiudica tore ditutte le coſe ne’ere principj ſolvendole , ficome e'di Eec CC CON 402 Ragionamento Sefto 1 ce con quelle parole , che dal tedeſco idiomanel latino così furono dalChercringio portate; Quum Chalybs durif fimusfilice duro ſolidoque percutirur , ignis ignem excitat , commotione vehementi , & - accenſione eliciente occultum ful phur, fiveignis occultus manifeftatur.commotione ifta vehe menti , eper aërem accenditur , ita ut verè , & efficaciter ardeat ; fali maner: in cinere , &mercurius inde fe proripit una cum ſulphure ardente . Ma ſe mai avutoegli aveſſe pie na contezzadella naturadel fuoco ,di cuipoteva informar ſi dalle continue operazioni, che gli ſe ne parávano innanzi agli occhj;séza fallo ,egli in sifatramaniera none avreb be ragionato .. E ſe in cocal guiſa foſſe andato confidcrara mente negli alti miſterj della natura innoltrandoſi , NTOI farebbe ſtato da cotanta maraviglia ſoprapreſo per lo con tinuo ſcambiamento delvino in aceto . Ne ſarebbe egli ſta to nelle ſue opinioni cotanto bergolo , e poco ſtabile ;:fe forſe ciò non avvenne in lui dall'accorgimento , ch'eglieb be del noſtro corto intendimento , e dalle malagcvofezze in cuici avvegniamnoi fovente in filoſofando . Il perchè preſe ad eſclamare una fiata . Bone Deus !'natura à nobis bominibus quodammodo indignatur tota: pervideri ! cum vi tri noftratempus conftitueris adeobreve , & cu verus omnia judex multa refervaveris tibi in creaturis; que non ſcientiæ , fed admirationi noftræ reliquiſti. Ma tempo è omai di venire a Teofraſto Paracelſo ; ne già m'invicrò lo per la ſtrada dall'Eraſto , dal Cortino , dal Riolano padre , e da altri famoſi Galieniſti calcata ; i quali a biaſimar in lui ciò,che eglino medeſimi non comprende vano fi miſero , porgendo giufta cagione ał gran Ticone di dire: Paracelſus pluribus oppugnatus quam intellectus ; e lor fatica impiegando intorno a materie bazzeſche,e gher minelle s'ardirono a rimbcccar quelle ragioni , che già più fortunatamente avea il Paracelſo contro illoro Ariſtotele , e'llor Galicno adoperate : intorno a' quali ſoleva il Para celſo dire , che con una ſola ſperienza arebbe cento ſuppo fte dimoſtrazioni d'Ariſtotele abbattute, e mandate a ter ra ; ma rimarrò ſolamente pago di toccar pochiſſime coſe 1 di mio Del Sig.LionardodiCapoa. 403 di mio talento , e ſpezialmente quelle , ſopra le quali il di ftema tutto di lui vien piantato .. Lamedicina del Paracelſo , quantunqueragionevolme te a chi può dar di queſte coſe perfettogiudicio molto più veriſimile dell'altre razionali fi paja , e che tanto ne' pro fondi miſteri della natura innoltrata , e profondata lilia , cheminutamente ragguardar poſſa a quelle minuzie , per le quali ſolamente l'arti alla debita perfezione montarpor fano : ediſceſa ſi veggia più di tutt'altre medicine, ad ogni menomillunaparticella diſtintamente Itacciare : coſa , la quale già tanto da Galieno fu nella medicina fofpirata ; e quantunque nel diviſarle cagioni ,e la natura delle målar tie , e diciù , ch'a quelle , ed all'economia degli animali s'appartenga , valentiſſimo egli fia : edil ſuo autore abbia trovati , e poſtiglorioſamente in uforimedj valevoli, ed ac concj a riſanare ancheque’mali giudicati per addiecro infia nabili dagli antichi ; e quantınque alcuno dir giuſtamen te vaglia , aver lui aſſai più di lume , e di vantaggio , e d'ui tile recato al mondo co'foli ſuoi libri del Tartaro , che co® loro infiniti , e voluminoſi libri di medicina tutt'altri fcric tori , così Greci , come Latini inſieme s'ayefſer mai fac to ; non però di meno chiunque con occhio filoſofico , e fpaffionato ben ſotcilmente vi badalſe,agevolmente ravvi far potrebbe la dottrina per lei inſegnata eſſer alquanto manchevole , ed intralciata , e le ſue saccherelle, comechè minori forſe dell'altre, avere anch'ella . E tutto ciò certamente avviene tra per la natura della medicina, impoſſibile a comprendere ad intendiméto uma no , come di ſopra baſtantemente è detto ; ed ancora per chè il Paracelſo a tante , e sì diverſe , e ſtranemaraviglie da lui nuovamente nella natura offervate, a guiſa d'occhio da troppa luce abbagliato , Che dal troppo veder men'alto intende, tutto vinto , e tremolante più oltre non osò guatare : ſule prime ſoglie della natura riſterteſi, ove maggiormente a fpiarla per tutto inuoltrar fi dovea ; così Nun altrimenti ſtupido fiturba Ece 2 Il 1 404 Ragionamento Seſto 1 1 Il montanaro , e rimirando ammuta, Quando rozzo , e ſalvatico s'inurba. Perchènon men , cheGalieno già de'ſuoi principj s’aveffe fatto: grazioſamente immaginandoſi la natura della corpo rea ſoſtanza , e delle quattro primjere da lui dette Relol lacee qualità : ene men inveſtigando onde avvenir poſfa , ch'elleno sì poco valevoli ſiano nel corpo umano ad opera re , e cheniuna parte abbiano nelle gravi inalattie ; e per altre,ed altre ragioni,nelle medeſime tacce delle quali ac cagionali Galieno poco meno incorrer fi vede. Così il Pate racelſo intorno a'ſuoi principj non miga già, ſicomea buo.si filoſofíte covenivaſi,riguardò alla natura , o alla proprietà , o a’modi del loro operare;ſenza le quali contezze non può certamente , ſe non murarſi a ſecco, e poco durevol ſiſtema di razional medicina in piè rizzarſi . Ma acciocchè quanto Io dico più apertamente ſcorger ſi poſſa , convien la coſaw più minutamente diſaminare . Queſta grandiſſimamaſſa dellVniverſo e' fi pare , che da Teofraſto Paracelſo venga in due globi partita: uno al to , che due elementiin ſe contiene , ciò ſono il fuoco , Paria : e un'altro più baſſo, che ſomigliante due altrine ha, e ſono l'acqua , e la terra . I quali quattro Elementi chia manfi ancora da lui vacuitadi;perciocchè vuoti d'ogni cor po eglino ſono:altrimenti no potrebbono da' corpi agevol mente efſer ingombri. Sono adunque gli elementi incorpo rei,cioè a dire privi d'ognicorporea diméfone. Ma in que Ha vacuità dice egli , chela luce , e le ſeminali ragioni di tutte cole dal loprano Facitore meſſe furono , allorches quello, di nulla criò da prima l'Univerſo; quindi v'aggiun ſe le ſembianze , e le coperte propie de corpi, le qualiallor che quelli veſtono , varie , e diverſe coſe ci producono. Per quel, che ſi poſſadall'opere del Paracelſo argomentare : i principi primi delle coſe fon di due inaniere; perciocchè, o ſono principj propiamente tali , o alcuni di que', ch'elemé ti comunemente diconſi . Gli elementi ſono due , uno è fecco , il qual terra dannata , e cenere , carena anche tal volta chiamaſi: l'altro è umido , il qual flemmafi dice . La Del Sig.Lionardo di Capoa 405 La terra dannata non ha virtù alcuna , ſalvo che d'aſſor bere, e impiaſtrica,come dicono ; e la flemma parimente al tro non adopera , che ammollare , e inumidire ; perchè ſon dette principi paſſivi . Ma non ſolamente la ficcità , e l'umidore, giudica il Pa racelſo , che in nulla s'adoperino in queſta maſſa mondiale; ma quell'altre dire qualità ancora ,che dalle ſcuole agli ele menti s'attribuifcono , dice egli ad altro non ſervire , fuor folamente, che a riſcaldare,o a raffreddare; perchè da lui , tutte , e quattro chiamanſi Relollacee, cioè a dire ſeioperd te , e ozioſe ; perciocchè non hanno elleno virtù alcuna ſe minale . Nelche ſi pare, che il Paracelſo imitare abbia vo Juto Ariftotele, ilquale vuol , che i ſemi tucti ſian d’unco tal calore forniti, propiamente celeſte, e diverſo affatto dal calore elementare. Perchè è da dire , che fecondamente chè giudica il Paracelſo , le quattro volgari qualità altro non adoperino , che cccitare, e riſvegliare le féminali virtù nc'corpi,ove clle ſono. Ma i principj propiamente tali , che attivi egli chiama ; ſono anchetre , fecondo lui ; ciò ſono il Sale , il Solfo , e'l Mercurio . Egli è il ſale una ſoſtanza ſalda , ſavorofa , la , qual disfaſli , e ſolveſi volentieriper acqua,e per caldo derato fi ſecca , e li raſſoda : e per ſoverchio fuoco ſi fonde. Il ſolfo è un corpo liquido, untuoſo , agevole ad accender fi . E dalſale vengon tutti ſapori alle coſe : e per lo ſolfo gli odori in quelle fpirano . Ma il Mercurio è un coralli quore fottiliſſimo , echiariſſimo , il quale per la ſua ſottie gliezza in tutto penetrando , agevolmente ſi diſperde , ei fvaniſce. Or sì fatti principi giuſta i ſentimenti del Paracelſo abbi fognan tutti neceſſariamente a comporre , egenerare cia fcuna coſa del mondo; perciocchè il ſale è il fondamento di tutta la faldezza de'corpi ; e non potendoſi il fale meſcola re , s'egli in primanon li ſolve in minutiſſime particelle , fa meſtieri della fleminaa ciò adoperare . Ma la flemma non può meſcolarli col fale per cóporre i corpi,ſenza l'ajuto del ſolfo ; il qual parimente per la ſua untuoſità non potendo mo : ſi age 406 Ragionamento Sefto fi agevolmente partire, ficomefi conviene, abbiſogna dell' acqua; la qualcompreſa, e impregnata del ſale ſciolto , fonde il ſolfo , e maggiormente disfallo , acciocchè poſla diſcorrere , e meſcolarſi acconciamente a formarle coſe del mondo . Vien poiil mercurio , il quale a guiſa d'anima nel corpo , per cutto penetra , e diſcorre ; ma in niunama niera potrà certamente ingenerarſi fermo, e ben faldo cor po , ſe per la terra dannata in prima non ſi ſuccia , es’at trae la ſoverchia acqua , chesformatamentel'ammolla: per la qual terra finalmente alla debita perfezione, e all'ultimo for compimentole maſſe tutte de corpidivengono . Per le quali coſe dimoſtrandone il Paracelſo, che diſtruggendofi qualunque corpo , in queſte cinque ſoſtanze folamente fi lolva : e contendendo, che cotaliſoſtanze non poſſano cer tamente per cola del mondo in altro giammai cambiarli , o folverſi : egli inſiemeraffermail ſuo diviſamento , e abbat te ſenza fallol'opinione d'Ariſtotele , e di Galicno intorno a’loro priini quattro elementi. E sì avendo ben tutto ciò che fa meſtieri alla natura de’principi, queſte ſole ſue ſoftá ze , e non altre dice il Paracelſo eſſeri veri principi delle core . Ma Io per manifeſtare il mio parere intorno a cotal di viſo del Paracelſo , non vo'ora opporgli , che y’abbia alcu ni corpi , i quali , come affermal'Elmonte , e altri valoroſi maeſtri in Chimica , non ſi poſſano maidisfare , o fciorre nelle loktanze da lui avviſate ; ficome certamente è l'oro , e'l mercurio volgare;perciocchèegli agevolmente riſponder potrebbe, ſe aver bene cotali corpi ſoluti ; comcchè ciò 2 coloro malagevol fia, ſenza il vero artificio adoperare. Ne meno dirò , che cotali ſoſtanze s’ingenerino di nuovo allor che disfannoſi i corpi : e che prima in quelli in niun modo alliguavano ; perciocchè potrebbe egli ancor dire, che'lle gno per qualche ſpazio di tempo macerato nell'acqua , le poi ſi brucia, non dimoſtra nulla di ſale: ſegno manifeſtif fimo, che'l ſale allor, che in bruciandofi il legno nonmace rato ſi pare , era in priina nellegno : e che dal legno l'ac qua n’avea tratto colſuo maccramento il ſale ; anzi dirà il Para . Del Sig. Lionardodi Capoa. 407 Paracelſo eſſer alcuni corpi, ne'quali ſenza artificio alcuno , e ſenza ſolverſi v'appajano manifeſtamente cotali principi, ſicome nelle ſugne , e in altri corpi grafli', e uotuolije nelle ulive anche non ſolute il ſolfo-apertamente li ſcorge ; per ciocchè in quello ſommamente abbondano ; ne a trar da quelli il ſolfo fa luogo lungo ftudio di chimica , o ben fati colo favorio di diligentemaeſtro ; che poſfiamo dire eſſer il ſolfo quivi tratto per l'artificio del fuoco, e in canta abbon danzaefferſi di preſente ingenerato . Nepuò il fuoco , per direvole , e gagliardo , ch'egli fiaſi ciò adoperare; percioc chè dalla terra dannata', o dalla flemma, ove fólfo ,ne mer . curio, ne fale non alligna , non ſi potrà per opera difuo co , orlalaro chimico ſtrumento trarne goccia giammai. Tralaſcerò pure di dire collElmonte , che dall'arena; dalla ſelce , non maiſolfo , o mercurio ſi può trarre ; per ciocchè riſpõderebbe il Paracelſo in cotalicorpieſſer quel le ſoſtanze cotanto ſcarſe , e poche , che nel volerle diſa minare ſi difperdono . Ne recherò , che per far pruova diciò l'Elmonte con ſuo ſottiliffimo artificio ſciolle in un purisſimo ſale l'arene , e le pietre : le quali s'avvisò egli no aver perciò perduto nulla del loro primjero peſo ; percioc chè fa pochiilimaquantità delſolfo , edelmercurio ſvapo raci,quello cotanto poco fa menomare,che malagevolmen te fi pud per huomo avviſare ; ſenzachè ben può penetrar qualche coſa in eſſi corpi, quando ſolvonfi,la quale riſtorar poſla il perdimento delle ſoſtanze , che ne ſvaporano . Ne dirò pur coll'Elmonte , ſcambiarſi infra loid vicen devolmente corali principj; conciofoſſecofa , che egli con maraviglioſo artificio ſcambiato aveſſe il ſale in olio , e l'o lio poi tramutato in acqua ; perciocchè non così agevol mente il Paracelſo avrebbegli in ciò preſtato tede , fe pri ma con gli occhj propj non l'aveſſe veduto . E medeſima menteciò riſponderebbe il Paracelſo a quell'altra novella dell'Elmonte , ove egli vantaſi da ſedici once di gromma di vino aver tratto per diſtilazione un'oncia d'acqua , due once , e mezza di ſale , e dodici d'olio , perchè egli n’argo menta poi contro al Paracelſo , che l'olio ſi ſia nuovamente dal 408 Ragionamento Sefto , dal Cale acetoſo della gromma ingenerato; conciofoſſecofa , che ſe tanta quantità d'olio ſtata in prima vi foſſe ,ſarebbe & a più d'un ſegno certamente manifeſtaţa. Ė alla per fine laſceròmolti, e molti altriargomenti da rintuzzare il ſiſtema del Paracelſo , e i ſuoi principj : ficome quelli , a' quali cgli agevolmente riparar potrebbe . Sola mente dirò , che quantunque lo ſcioglimento ottimo mnez zo fia da dovereavviſarei principi delle coſe ; non però di meno tra per la ſcarſezza degli ſtruinenti, e di tutto ciò ,ch ' a perfettamente fornirlo ſi conviene, e ancora per lamala gevolezza dellavorio , ſi rende quaſi egli impoſſibile ; ſen zachè nello ſcioglimento delle coſe,moltec molte lor por zioni delle più ſottili, e però forſe più operative fa mestier, che ſvaporino , e ſi diſperdano prima di potereſſer avviſa te ; c altre comechè pur virimangano , nondimeno per la loro picciolczza non si poſſan comprendere , non che per altra notomia più ſottile diſaminare. Ma ſopra qualunque altro argomento , che ſoſpetti rens de i principi delParacelſo quello ſiè,che colle ſuddette ſue cinque ſoſtanze egli non iſpiega, ne ſpiegar certamente po tea , come da loro le ſenſibili qualità ad ognun conoſciu te , e quelle , ch'egli chiama Cherionie s’ingenerino ,eco me operino , ſe pure il fanno ; ne è maraviglia , che'l Para celſo ciò non abbia adempier potuto : da che egli non ſa qual ſia la lor natura ; ne certamente ſaperla , anzine meno inveſtigarla egli giammai poteva , non ſappiendo la natura della ſoſtanza ,onde quelle produconſi. Perchè egli fa meſtier confeſſare , che la medicina del Paracelſo manche vole nella ſua maggior parte ſi ſia. E ſe egli cotanto valoroſo ſi foſſe ſtato in iſcienza , qual veramente giudicavaſi , dovea ben'egli in avviſando , che co'ſuoi principj non ſi potea render ragione dell'apparenze delle coſe , prender quinci cagione di ſoſpettarenon certa mente altri foffero i veri principj di quellc , e quindi forte ſtudiarſi d'inveſtigargli ; perciocchè ſe a ciò aveſſe porav ventura egli indugiato ; ſenza fallo avviſato avrebbe, le varie , e diverſe figure delle menomiſſime particelle eſſer de'ſuoi DelSig.Lionardo di Capoa 409 de' ſuoi principj cagione ; perchè agevolmenteargomentar n'avrebbepotuto come, e perchè quelli operaffero : eche non eglino , ma il corpo medeſimo in varie , e diverſe brice fgrecolatose partito, forſe delle coſe del mondo il vero prin cipio, onde poi ciaſcuna operazione di quelle prendeſſera dice , e cominciamento . Ma intorno alla maniera dei medicare del Paracelſo , ſe credenza preſtar ſi deve a que’libri , che ſotto ſuo nome vanno , èda dire , chemolto vaga , e in coſtante ella ſi foſ fe , e di pochiſſima fermezza . Il che altronde certamente non nacque , ſe non fe dall'avvederſi , ch'egli fe in medicão do , dell'incertezza grande dell'arte ; non però di meno egli pur convien confeffare , niuno ,per quel che ſi ſappia , aver avuto corante , e cotanto efficaci, evalevoli medicine a fgombrar le più pertinaci, e diſperate malattie , quanto il Paracelſo ; e sì ſaggiamente ſeppele egli a tempo adope rare , che non fu certamente infra gli antichi medico co tanto valoroſo , e avveduto , ch'a molto ſpazio , così nell' uno , come nell'altro non gliandaſic dietro . Perchè in tā to pregio , e rinomèa montonne egli preſſo le genti, che non huomo mortale tanto , o quanto della medicina cono ſciuto ,ma non altrimenti che dal Cielo per ſalvamento del genere umanomandato comunemente giudicavanlo . Ne v'increſca al preſente aſcoltarne anche da altri le lo di , ancorachè alcuni di loro per uggia , e mal talento con biechi occhj il guardaſſero . Ecco il doctiſſimo Spondano, il qual ſovente lumc, e occhio della Germania folea chia marlo , così di luifcrive : creditur habuiſse præftantiffimum illud vellus aureum , quod Iafon apud Colchos conquifivit : ( Intelligunt me qui Suidam legerunt) quo defperatos mor bos fanavit ; ande magietiam opinionem apud quofdam cele bres viros , quod magis miror , eft confequutus . E prima dello Spondano , Corrado Geſneri, comeche parzial di Galieno , e di lui per invidia inimico , pur dalla verità ſtret to ebbe a dire : audio multos paffim ab eo in morbis deſpera tis curatos : & ulcera maligna ab eo feliciter ſanata . E al trove egli n'avea detto : Paracelſus noftra memoria mugus Fff FJOR 410 RagionamentoSefto ( nondubito.quin hoc nomen magis fanèintelligas', ut apud Perfas ufurpatum fuit) admirabilis homo, notusamicis qui. bufdam meis; à vicinis noftris Helvetiis oriundus , perva. gatus magnam Orbispartem : chimica arte y qaamipfe puto ſpagiricamvocat, excellentisfimus omnium , ita utper eam metalla immutaret . E'l dottisſimo Geometra, e filoſofo Pietro Ramo di lui parlando fcrive:in intima natura viſce ra ficpenitus introivit , metallorum , ſtirpiumque vires, facultates tàmincredibili ingenii acumine exploravit,acper vidit , ad morbos defperatosi, & hominum opinione infana biles, percurandum,ut cum Teofraſto nataprimum medicina, perfett'aque. videatur . Madel ſuo incóparabilvalore; e delle maraviglie adope. xate da lui in medicina;piena teſtimoniāza ne rende la Città tutta , e la dottiſſima Accademia di Balilea, e'l Comun di Norimberga, ove egli per tante maravigliole ſue pruove ragguardevol molto , e famoſo divenne: intanto che ragio nevolmente ftipiditone il Zemeo avvedueisfiino ſcrittor de'ſuoi tempi,cosìdi lui dice : Apud Germanos: nunc Thea phraſtus quidam vir adolefcens'exiſtit, cui parem Orbis.non fert :doctioremme legiſememor non ſum .. E Melchiorre, Adamo dilui pur raccontando dice: eum ingenio acutisfimo, acferè divino fuiſſepreditum : din univerſa philofophia tàm ardur , tum arcana', abdita eruiſse mortalium nemi nem : lepra , podagra, hydrope,aliiſqueinfanabilibus malis, defperatis mulios liberaſse: &quotidie per duas horas Ba flee tum aétiuamtumcontemplativam philofophiam fumma diligentia , magnoque auditorum fructu eſseinterpretatum doctrină ,quam non ex Hippocrate , fed experientia aſsegur sus erat. E'l Barthio pur di lui dice: Ego de Theopbralo pre clarèfentio : admiranda praffitit; ſed qui cum perfectè intel ligat , & quæ ipfe fecit faciat, nondum audivi. Ę France fco Oporino fuo famigliare, per veduta anche di lui racco ta : pari induſtria novi ipſum leprofos , bydropicos , e pilepti cos , podagricos , morbo venereo infectos , aliofque innume ros infirmos gratis fanare . Id quod Galenici Doctores non fine notabili dedecore non potuerunt imitari ; unde in ma gnum DelSig.Lionardodi Capoa. 411 gnum apud quoslibèt.contemptum inciderunt. E'l me delimo Oporino in quella lettera appunto , ove fraſtorna to dagli emuli dilui , e fommoſſoanch'egli in truppa , a rabbioſa monte mälmenarlo , infra le tante , e tantc menzogne , e cacce , che per isfregiarlo farnesicando ſi fogna ( del che gravemente poi pencilſı , ſicomene narra Michel Toſite ) pur non potè tanto diffimulare , che apertamente talvolta non confeffaſſe eſſere il Paracelſo valentiffiino medico , aver prontamentetra le mani mirabilem faciendi medicinä in omni morborum genere promptitudinem , felicitatem , Quindi di luinarrando foggiugne , che in curandis vulne ribus, etiam deploratiffimis miracula edidit , nulla victus præfcripta , aut obſervata ratione . E de'ſuoi mirabili , e valevoli argomenti maravigliato: laudano fuo , dice , ita gloriabatur , ut non dubitarit affirmare ejus folius ufu ses mortuis vivas reddere pole; idque aliquoties , dum apud ipfum fui, ipfe declaravir. Macelebre ſopra tutte fiè la teſtiinonianza , che fe del le maraviglioſe cure del Paracelſo il SereniſſimoArciveſco vo di Salburgo, il quale dopo averlo altamente anorato in vita , e faccigli in morte famofiflimi eſcqui : volle , che nel Ja lapida del fuo ſepolcro fi leggerle queſto orrevole ſopra ſcritto ; Conditur hic Philippus Teophraſtusinfignis medicine doctor, quidira illa vulnera Lepram ,podagram ,Hydropem , aliaque infanabilia corporis.contagia, mirifica arte fubftulis , ac bona fua in pauperesdiftribuenda , callosandaque curavit. Ma:2pertamente tutto dì ſi ſperimenta il valor di qual che medicina del Paracelſo , comeche delle men nobiliel la li fia , alla contezza noſtra pervenuta ; perchè tutto dà i più valenti Chimici ſtudianti per rinvenirne alere nelle ſue opere . Ma delle medicinedelParacelſo aſſai bene ſcorro Giovan Battiſta Elmonte, tuttochè ſuo emulo , ebbe a dio re eller quelle così rare , e prezioſe , che meritevolmente il gloriofo ſoprannome di Monarca degli arcani ne avelle egli riportato . Maavvegna pure, checotanto valorolo foſſe ſtato il P.2 racclſo in medicina , qual noiraccontato abbiamo; non per Fff 2 rò di 412 Ragionamento Seſto rò di meno non ſempre ſi veggono i rimedi di lui a liero ffa ne riuſcire : e ciò maggiormente teſtimonia la non macura morte,che fopravennegli a mezzo il corſo della fua vita , cioè a dire nell'anno quaranſetteſimo; dalla quale nó li po tè egli per argomento niuno fchermire : comechè cotanti diſperati infermi dall'orlo della ſepoltura ſottratti aveſſe, e quaſi di mano a morte sforzaraméte ritolti; e pur egliavea detto in prima: nullus morbus fuo medicamine defituitur . Che ſe'l maggior medicante del mondo non potè ceſsar la violenza del ſuo fato , e adoperarsì co'ſuoi valevoli , co prezioſi medicamenti,che la ſua vita a'più vecchi anni ſi ri ſerbaſſe , che dovrem noi ſperar mai di certo dalla medici na , attenendoci a rimedjdeboli , eſpoſſati , per falvainen to delle noſtre vite ? Ma egli ſcagionando in ciò l'incertez za grandiſſima dell'arte , che pur troppo avveduto ſe n'eray e roveſciandone follemente la cagione a'forcunoſi fati, dice che in baha di quelli ſia l'uſcimento de’rimedj interamente ripoſto ; perciocchè da quellola vita , e la morte noſtra de pende ; quod autem , dice egli , parlando dell'incertezza de' medicamenti, ium medicine , tum his atentes perfæpè à fa talibusgravius vexentur , &cuentum conditioni medicina AC curſuinatura adverfum omnino experiantur;ideo nobis fa Gere debet , ut inde diſcamus nimis obftixatam de hac fragili vita fiduciam ,ac fpem deponere . Etfi enim nocentia fimul omnia , &medicinarum fimulomnium virtutes , morbo rum genuinascaufas ; ac bis oppofit& remedia debita plenè teneamus: nibilominus tamen hancconfidentiam incumbes fan tum infringit facilè , ftatum formum omnem deftruit ; cui nos non modo non obluétari quicquam poſsumus , ſed fatali bus caufs nofmet nudos totos potiøs objicimus, utpote que nos in folidum mortalesfaciani , noftraque molimina infrin , gant, & providentiam noftram , ac confilia univerſa ever Ma de'medicamenti di lui cotanto poco approfittar ne poſſiamo , che comechè egli valentiſſimo medico , e filorow fante ftato foſſe , pur le ſue opere in gran parte inutili, infruttuoſe ne rieſcono ; cotanto piatto , e imbacuccato tant . egli 1 Del Sig.Lionardodi Capoa. 413 egli ſi fu ne'ſuoi ſentimenti ,ch'a ben rugumargli malage voliſſimamente ſe ne può cavar nulla di buono . Eoche foſſe ſtata invidia aʼmedeſimi ſuoi ſeguaci , o altro ch'a ciò far lo ſpigneſſe ,dique'ſuoi maraviglioſi medicamenti, on de cotanta fama egli accattofſi , pochi egli ne volle inſe gnare :. e que'pochi cotanto monchi, e oſcuri ne fcriffe , che ben ne laſciò nel farnetico di doyerne inveftigar con lunga fatica la traccia ; de'quali egli medeſimo favellanda , dice : in quibus afsequendis paucisfimi fcopum contingent . , Perchè alcuni inviluppativiſi ſconciamente vi favellarono , togliendo in cambiouna coſa per altra , e sì con quelli pig giorando gl'infermi delle loro malattie , e ſovente anche uccidendogli . Vuole egli, che ciaſcuna malattia , toltenc quelle , che richiedono la mano del medico per dover curarſi, e quelle ancora , che dalle ſole qualità relolacce avvengono , le quali ſenza argomento alcuno d'arte ſi guariſcono , dalle impurità ſemplici del ſale , o del mercurio , o del ſolfo , o da tutte queſte foſtanze so da parte di eſſe s'ingeneri no . Ma comechèegli cotanto danno ne dica da quelle av venirne: ſe noi non ſappiamo , ne egli punto ne ſpiega qual ſia veramente la natura loro , ne anche certainente avviſar poſſiamodi che forte d'impurità quelle loro fiano, accioc chè acconciamente alle malattie da quello inoſſe riparar posſiamo . Le medicine , dice il Paracelſo, effer debbono ſomigliá ti al inale , ch'è da curare ; perciocchè quantunque ognun fappia , che le malattie fian contrarie alla ſanità delle gen ti , e che perciò vincer ſi debbano con argomenti contrar alla lor natura ; non però di meno le medicine , le quali G convengono alle malattie eſſer debbono pure della mede fima lor generazione ; perciocchè altrimenti mala pruovan vi farebbono a raccattar la ſanità . Quinci ſi è, che'l Para celſo dopo aver avviſato tre eſſer i generi delle malattie , così dica : caveat itaque medicus ne arbores duas in unams curam inferat :fed teneat regulas,morbis mercurialibus dan dum ejſe mercurium : morbis falinis,falem :morbisfulphureis, ful 414 Ragionamento Sesto ſulphur ; unicuilibet nimirum morbo fuum appropriatum ficut convenit . Ma in buona fe , che ha egli che fare la ſomiglianza con la cura delle malattie? Perchè ebbe egli la ragione l'Elmo te di forte biaſimarnelo : igroravit bonus ille vir , quod ifta non fintagentia fufficienter ad fanationem requifita . Ne ciò è ſempre vero , che le coſe più agevolmente poſſano alle ſomiglianti penetrare , cmeſcolarſi inſieme; ecome il me deſimo Paracelſo diffe:quodlibet fuumfimile comprebendere. fuum fimile,non diverſum ; perciocchè avviſiamo noi tutto giorno in molte , e molte coſe il contrario avvenire . Ele pur talvolta incontra , che s'accozzino , certamente per al tracagione egli s'adoperajāzicotáto ciò è falſo ,che per co trario alcuno dir potrebbe più p diverſità, che p ſomiglia za inſieme le coſe accozzarſi: ficome i corpiconcavi ſono , i quali ſtrettiſſimaméte a’ritõdi s’uniſcono ;nei corpi ſpea rali , o ritondi , comechè fomigliantiſſimi infra lorofiano, poffono in alcun modo convenirſi : avvegnachè pur ſi con vegnanoi quadrati. Perchè dica pure a ſuo seno il Paracel fo :Scorpio ſcorpionem curat , realgar ſuŭ realgar, mercurius fuummercurium , meliſir fuam melilă; che ditanta mara viglia non ſarà certamente cagione la ſomigliáza;anzitute' altro di quello , che egli va diviſando ; perciocchè, per ta cer dell'altre coſe , nello ſcorpione i pori auſati per lungo tempo a ritenere in ſe quel ſuo veleno , e acconcj anche a riceverlo , più agevolmente il ricevono dalla ferita , ch'egli fa nella carne d'alcuno , che non poſſon riceverlo l'altre parti ſane vicine diquella ; perchè movendo per la forme tazione le particelle delveleno nella fcrita , volentiericol loro diſcorrimento nello ſcorpione paffano, e a riccrti me deſimi, onde uſcirono, fi ritornano . E queſte ſono le con tezze ,che deve avere il medico avveduto per doverpren . der argomento da porre avantile fue medicine, e non già le ſomiglianze , o altre fraſche , le quali agevolmente poſ fono ingannarlo , e mettere per la mala via iwiſeri infermi. Che ſe noiveggiamo alla giornata a' mali del ſale aceroſo porfi conſiglio collaflomma , e colla terra dannata, e altri, Catri Del Sig. Lionardodi Capoa. 415 $ 1 e altri mali guarirli con diſſomiglianti rimedi, perchè do vrem noidire,che la ſomiglianza fola poffá diſmalare i cat tivelli infermi, e nello ſtato ſalutevole del primiero vigore riporgli ? Maſu riccvaſi pure',comevera,la regola del Pa . racelſo intorno a'generi de'medicamenti, e ſia pur la fomi glianza da ſeguire in medicando ; come potrà mai il media co avveduto avviſare qual forte di ſale, o di mercurio , o di folfo daelegger ſia per riſtorar de’ſuoi mali l'infermo , feu prima egli pienamente no coprenda la gencrazion di quel ſi , ch'a ciò il conduffero . Conviene adunque al medico fa pere quali ſien quelle particelle , che forman l'apparenza dell'aceroſità nel fal dell'aceto's quali l'amaritudine nel ſal della coloquintida , ſc ragionevolmente egli proceder vuo Ic nel ſuo meſtiere. · Ma fe'l Paracelſo ebbe la medicina univerſale , come è coſtante famaaverla lui apparata nel fuo lungo pellegri naggio , non facea meſtieri ſapere; o'avvifar niuna disì fata re coſe , ne'curar di vene łatice , o di acquoſe, ne della doc cia del Virfungo , o della circulazion del ſangueso dal tri , e d'altrimoderniritrovati : comeche ſembri aldortifia mo Vitiſchio aver parte luidi queſte coſe felicemente avvi fate . E cócioſliecofachè l'univerfal medicina ſenza riguar dare a età o oa compleſſione , o ad altra coſa del mondo , igualméte torte malattie vanti di guarire;Io non ſo lorper chè il Paracelfo a si fåtte fraſche foſſelli: attenuto , ſe egli diquella erisì ben fornito ; perciocchè quella diceni eller ſomigliante albalſamo naturale, e perciò valevole a invi gorirlo , e ajutario sì fattamente , ch'egline ſolva , vinci, e diſtrugga le cinture ſeminali di qualunque ſorte zonda l'e malattie curte prendon dirivo . Diceſi balſamo naturale dal Paracelfo' una coral ſpiriz tuale ſoſtanza di principi puriſſimi compoſta , e participan te della natura celeſtiale : onde ella è quafi incorporea ye incorruttibile ; adunque corale eller conviene l'univerſal medicina, e che ſia partecipe di tuttiprincipj , acciocchè in ciaſcuna malattia approdar poffa . Ma certamente non che il Paracelſo cotal medicina avuta aveſſe giammai , anzie egli 416 Ragionamento Seſto egli fola il creder , che quella ci ſia , o pofla mai eſſere :av : vegna pure , chealquanti medicamenti di lui fieno ſtati va levoli a ſgomberar molte , e diverſe generazioni di graviſ fime malattie . Ma egli tante,e tante ſortidi medicine ado però nelle ſue cure , e argomentoffi dicomporre , e lavora te con ſuo gran biſtento , e noja degl'infermi, che certa mente a cið recar non s'avrebbe dovuto , ſe quella ſua uni verſal medicina conoſciuta aveſſe; ſenzachèegli , ſe non voleva pur logorarla nelle cure baſſe , e menovili, ſarebbe fene almen ſervito perſe medeſimo, allorche da graviſſi ma malattia ſorpreſo anzi tempo morilli , e prima d'aggiu gnere all'anno cinquanteſimo della ſua vita. Ma ſe eglifof fefi pur nella filoſofia tanto, o quanto innoltrato , no avreb be sì fatte millanterie ſcagliate del ſuo valore , e della vir tù della ſua univerſal medicina . Ne meno egli certamente detto avrebbe , che l'huomo per la ſola immaginazione va levol ſia anche fuora del corpo a far le maraviglie , cche i caratteri , e le immagini ſcolpite nelle piaſtre , e porta te adoſſo poteſſero ſchermir le genti dalle inalattie, e libe rarle da quelle ; ne farebbeli follemente ſognato , che'l ſole fo ne'corpi degli animaliſidiſtilli , ſi fublimi, ſi riverberi, fi calcini , e ſi fonda : onde poi mettan fuora varie, e diver fe forte di malattie : e che'l ſale , e'l mercurio in noi ſimi gliante ſi diſtillino , fi ſublimino , e ficalcinino cagionando le malattie : è che'l mercurio aſſottigliato oltremodo per la ſoverchia circulazione ſia cagione delle ſubitane morti , e repentine:e che noi puntalmente n'aſſomigliamo all'univer fo , e neſiamo vere imınagini in ciaſcuna noſtra parte : e che i tre principj in noi cotante generazioni di malattie prodı cano , quante ci ha coſe create : e tante , e tant'altre ciuffo le , e aggiramenti , che ſe tutti fil filo gli vorrei narrare,non così agevolmente ne verrei a capo . E tutto ciò a lui avvē ne per diſagio di profonda filoſofia. Ma per avventura egli non fu cotanto ſciocco , qualnoi giudichiamo dalle man chezze dell'opere fue; perciocchè quelle da' ſuoi malevoli per uggia , c per diſpetto cosìdiſguiſate , e travolte furo no con torne alcune ſentenze per entro , e altrs, o ſciocche, o fans 1 1 Del Sig. Lionardo di Capos 417 o fanciulleſche, o empie vezzataméte frapporrvi,che omai tralignano dallo ſplendor d’un tant'huomo, enon ſembran più ſue. E alcune ancora affatto non ſon fue , licome il medeſimo Oporino , che così fellonoſamente rubbellogli ſi , manifeſtamente rafferma; perchè non dovrebbeſi certa mente coglier cagione per quelle d'accoccaglierla , c dir glicne male ; ſenzachè manifeſta coſa è , che quelle , che ragionevolmente ſon da credere opere ſue , vennero perla più parte ſolamente dalai diſegnate , ne più poi per innan zi rivedute ; perciocchè egli dal ſuo focoſo , e diſcorrevo {e ingegno traportato inteſe ſolamente in prima a ritrovar le coſe , e quali dal profondo della natura cavarle , con in tendimento poi di più minutamente a ſuo bell'agio quelle ſtacciare ,.e diſaminare, per poter metter avanti con eterna fama del fuo valore quelſuolodevoliſſimo ſiſtema, che im preſe a diſegnare; e per avventura ſarebbegli venuto fatto , s'a ciò tempo aveſſe avuto ; ma la morte, ch'improvviſo gli fopravvenne, fe riuſcire a vuoto i ſuoi diſegnamenti, e non laſciogli agio di fornirgli ; perchè rotto a mezzo della fa rica ilſuo lavorìo,cosìmonco , e diviſato rimaſe , qualnoi veggiamo. Ed è anche opinione d'alcuni , che le menzio oate ſue opere foſfono componimenti de'ſuoi ſcolari ; per ciocchè egli uſava folamente a boce inſegnar loro i ſuoi ſentimenti, ſecondo la coſtuma di quc'rempi ; e quelli poi gli cópilavano in iſcrittura, molte coſe giugnendovi dellor capriccio ,e molte non ben copreſe travolgendo a lor talen to in tutt'altro , cheegli li voleva dire . E ciò tanto più ne ſi fa manifeſto , quanto in eſli ſuoi libri più fiate le medeſi me ſue coſe ſon ripetite , ſecondochè da diverli ſuoi ſcolari furono accolte ; anzi dal loro natio tedeſco linguaggio nel Jatino idioina ſcioccamente traportate da perſone diciò poco , o nulla intendenti , così confuſe , c inviluppate di vennero , che malagevolmente ne vien fatto ad avviſarne , iveri ſentiméti dell'Autore; col qualdifetto aggiūta anche l'ofcurezza , ch'egli a bello ſtudio argomentolli frapporvi, certamente oſcuriſſimi , e malagevoli oltremodo quelli ne, rieſcono ; conciofoſſecoſa,cheartatamente il Paracelſo co Ggg sì piat 418 Ragionamento Seſto sì piatto , e imbaccuccato ne' ſuoi ſentimenti con nubi di riboboli, e d'enimmi i ſacroſanti miſterj:della natura avef ſe coperti,per far quelli ſolamente , e con lunga fatica agli huomini dotti , e di maggiore intendimento comprendere, enaſcondergli alla minuta: bcuzzaglia:delle genti, o comes diſſe il Berni Alle brigate goffe, agli animali; Che con la viſta non pafsan gli occhiali. Ilche ſenza fallo infra gli altri fu dalBorricchio avviſaperchè egli dice : ne Eleufina ſacra.profanè Viiverſi pro fituerent: gnarus , id factiraſse Egyptias, & Pythago ne affeclas ſacheche la di ciò, non ſono impertanto da ſpregiare i ſuoi diviſamenti intorno alle coſe della medicina; percioc chè per tacer de’ſuoi medicamenti, de' quali ſe vier mai quella priva, poco men , che come corpo morto ſenza vita rimane : non può certamente eſſere ne filoſofo , nemedico valoroſo colui che non ſappia appieno ciò ,che dellecoſe della natura:glorioſamente.Paracelſo n’abbia diviſato .. Fra Tomaſſo Campanella , comechè d'acutiffiino inten dimento, e libero filoſofante e' ſi foſſe , pur sì fattamente tratto tratto favella delle cofe naturali , cheben ne da.aw divedere quanto più agevole impreſa ſia lo ſchivar quegli errori', ove gli altri incorli ſono , che il ritrovar la verità . Nocquegli più che altro ſommaméte in ben filoſofare nel lamedicina,l'averlui-troppa credenza. voluto preſtare alle opinionidel Teleſio ſuo maeſtro , per tacer della ſtrologia, e d'altre vane ciurmerie ,c.indovinelli, ove egli fanciulle ſcamente dilettavaſi ; e l'averfi dato follemente a credere, che cotali.coſe, o enti favoloſi da lui ſolamente immagi nati abbian parte nelle cofe della natura ; perchè non è da maravigliare ſe'l ſiſtema della medicina , dalui fabbri cato , manchevole oltremodo , e difettuoſo riuſciffe . Al la qual coſa fu egli anche cagione il non aver lui eſercitato gianmai cotal meſtiere: ficome anche nocque a Cornelio Celſo ; perciocchè aflai per avventura ſarebbonfi vantag. giati, ſe per pruova ſperimentato aveſſero i lor diviſamenti. Ma Del Sig. Lionardodi Capoa 419 Ma ſopra tuttonocqueal Campanella il no eſſerfi eglipũ to conoſciuto di nocomia ; perchè egli poi traſcorfe in co tanti errori, e aggiramenti , dicendo il fegato efferfonte , c origine del ſangue e la milza del fiele : e che tutto dal cervello provenga: Organum fpiritus, dice egli , cor Jan guinis jecur ,fplen fellis , & alia aliorum ; omnia autemiſta cerebrocauſsam habent ;arteria vocalis manifeftè ex.com pite oritur , ubi et ftipitem amplisfimum haber:igitur& alia; Junt enim ejufdem fubftantia , d originis . Etanti, e tantal. tri falli egli preſe nella notomia anche in coſe manifeſtiffi me, e a ciaſcunconoſciute,che ragionevolmente di lui cb be a dire ilLindeno : Quid horum eft , quod fenfus teftis omni exceptione major manifefta fallitatis etiam Anatomi corumpueris damnate.convincit? Ma non però di meno fep pebenegliil Campanella da quel gran Padre di Chicas Santa,GiovanniCrifoftomo appararc , che'l nutrimento p una cotal cortiliffima foftanza ; la quale ſpirito appella Cri foſtomo, dal cervello infieme colfenfo , e col movimento all'altre membra degli animali fi difpenfi;comechèpai egli di ciò dimenticato,altramente favelli.. : Ma che direm nai del fiſtema di lui , della nuova arte di medicare,ch'egli ne compone ? Vuole eglicol Telefio il caldo ſolamente, e'/freddo effer primi principj di tutte co fe , i quali egli chiamaagenti: e l'umidità , e la ſiccità ef fer ſolamente diſpoſizioni della materia , ceffetti di quelli; intanto che la materia delcaldo aflottigliata divenga umi da : e ſi rondafecca , ingroffata dal freddo . Ne l'umido có altro può accompagnarfi, fuor folamente che col caldo : nè'l ſecco con altro , che col freddo; perciocchè ſel'umido s'accompagnerebbe col freddo : 04 fecco col caldo , dice eghi, che ſarebbon da quelli toſto diſtrutti . Anzi dice egli, che'l caldo fia cagione dell'umido.: e'l freddo del ſecco ; perciocchè il caldo ſolve le coſe , e le allarga , e l'aſſorti glia : e'l freddo per contrario le indura , le ſtrigne , e le co ftipa. E queſti due principj dice egli effer foſtanze , o for me eſſenziali , de quali accozzate alle lor materie formino il Cielo , c la Terra; perchè anche due, e non quattro vuo Ggg 2 le cgli, 420 Ragionamento Seſto fe egli, che ſian da dire gli elementi. E le forme dice efier nuovamente introdotte nelle coſe dalla potenza della na tura agente , non già dal feo della materia cavate. Maquel,che più è ridevole in lui ſi è ,chc dice egli eſſer : altri principj incorporei, che régan parte nel componiméto delle colc ; daʼqualivuol egli , che prenda dirivo ciaſcunas operazione la qualda'volgarifiloſofanti alle qualità occul te delle coſe s'attribuiſce . E queſti principj incorporei , o primalità , ch'egli chiama, vuol egli , cheſiano lapotenza, la ſapienza , e l'amore ; onde ciaſcuna coſa voglia , poffaw , e conoſca:onde anche quella prenda naturalmente ſenſo della propia conſervazione . Ma quanto poco vero fia sì fatto diviſamento de’princi pj della natura ,non fa meſtier , ch'lo ſpieghi; potendo cia fcuno per fe agevolmente avviſare, non ſolamente il caldo, e'l freddo effer nella natura , ma altre , e altre coſe diver filime da quelle ; ſenzachè non ifpiegando il Campanella la natura del caldo , e del freddo in che veramente conſiſtay mal può inveſtigar poi , non che dichiarare , fe quelli vera mente operino , e come; imperciocchè ſovente egliſoftá ze chiamandole,par che ne voglia certamente uccclare ; poichè egli medeſimo dice, la materia ſola eſſer propiamé te ſoſtanza, e non altro ; perchè manifeſtamente s'avviſa , che il Campanella nel primo ſuo filoſofare, e in ſu la ſoglia appunto di quello ſconciamente fdrucciolando cadele : e grandiſſimo tratto dalla vera ſtrada della filoſofia forvia to erraſſe ; perchè poicertierrori, e aggiramenti gliene ſeguirono, che nulla più ; prendendo egli in cambio della mido il diſcorrente , che è ſuo genere, e non iſpiegando la natura di quello , ne del ſecco , o del dolce ,, o dell'amaro , o di tuce'altre ſenſibili qualitadi . Negran fatto v’abbiſo gna a dimentirlo delle operazioni de'ſuoi principj;percioc chè per ciaſcun , che riguardiall'acqua , che per lo freddo congelata fi rarifica , agevolmente ſi può avviſare , che non feiapre il freddo condenſi le coſe . Mache è ciò ch'egli di ce , che le coſe inanimate abbian ſenſo certamente a ciò cre 1 . 1 DelSig.Lionardo di Capoa. 421 1 credere, per tutti gli argomenti del mondo, ne egli,ne il Tea lefio , ne l'Elmente ,che in ciò volle ſeguirgli, m’indurreb bono . Ma ſpiegar poi non può egli in modo quelle ſue prima lità , c'huom finte da lui non le creda , e aver la loro eſiſté za tutta nel cervello ſolo dell'autore; perchè non sà cgli dir neanchecome vengan quelle a incorporarſi nelle coſe ſen fibili dell'univerſo ,eda far tutte quelle maraviglioſe ope razioni , che da lor procedere tutto dinoi veggiamo . Ma per darci ad intendere , che le coſe tutte abbian ſenſo , do vea certainente egli prima farci vedere in quelle gli orga ni , i quali render le poſſano del ſenſo capaci. Vuole il Campanella ,che l'huomo ſi componga del fal do , dell'umido , dello ſpirito , e dell'anima ; e che la ſal dezza dalla denſità naſca , e queſta dallo ſpeſſo , e fulto ac eozzamento delle parti ſi componga ; perchè dice egli, che le coſe condenſe , e falde , sì attamente, che di vantaggio più riſtrigner non fi poſſono reſiſtano al toccamento,e fem brin dure.E d'altra parte dice naſcer l'umidezza per diſa gio di parti;e per alkargamento diquelle che ſon diradate,e folute , dice eglieffer la ſpiritualità : la qual non che reſiſta al toccamento , anziella dileguiſ immantinente ,e fugge da ognjintoppo . Ma purdice egli alcune volte gli ſpiriti operar faldamé te per l'unione non già corporale , ma ſicomeeglichiama, affettiva :dalla quale invigoriti incontro la forza, che lor fatta viene , riſcuotonſi quelli , e combattendo diſcacciano ciò , cheloro è d'impedimento . Soggiugne il Campanella , ch’alle parti ſaldefaccia me ftier dell'umide per dover nutricarſi delle parti di quelles più groſſe , e per non dover ſeccarſi, erõperſi :e per cõrra rio l'umide delle falde abbiſognare, come divafo , o di ri cetto , che loro dia luogo ,e le ſoſtenga . Ma agli ſpiriti,di ec egli , far luogo le parti umide ,acciocchè dalla lotti gliezza diquelleſi nutrichino : e le falde ancora, acciocchè appiccati quivi dimorino , e non ſi portin via ; e per con trario l'umore abbiſognare dello ſpirito , acciocchè quello pre 422 Ragionamento Sefto premendo il cibo , e traendone il fucco , il formi: e ſomi gliante , acciocchè per quello ſi riſcaldi , e diſcorra ; e al ſaldo ancora convenirli loſpirito , acciocchè per quello ſo ſtener fi poffa, e muoverſiovein concio gli venga. E alla perfine dice egli che l'anima abbia ancor ella biſognodello ſpirito , acciocchè per opera di quello itu dioſamente muova il corpo , e la ſcienza delle coſe natu rali apprenda ; perciocchè l'anima da'corporei oggettief ſer non può mofla,ſe nonſe permezzo dello Ipirito : dalle cui paflioni ella vien rattenuta , o reſa prontaalle ſue ope fazioni. Ma lo ſpirito allo incontro haegli ancor biſogno dell'anima in quanto egli è umano: e acciocchè maggior. mente egli perfecco ſi renda nelle ſue primalità, e più valo roſo nelle ſue operazioni, e più ragionevole nel reggimen to delcorpo . Main quanto eglièanimale,1100 chemeſtier gli faccia l'anima, anzi egli fortemente contro quella com batte , maggior capital facendo degli agj propj di ſe , e del fuo corpo,che de celeſtialidell'anima. Adunque dice egli, effer corali vicende fommamente neceſſarie a ben viverle genti ; che le alcuna per mala ventura in quelle traſandaffe, toſto le malattie mettan fuora : le quali ſciogliendo l'uma na compoſizione, ne diſpongono alla morte. Ma quali ragioni adopererò lo per mádare a terra si fat to fiftema , e rintuzzare il diviſamento del Campanella ? Egli non ha dubbio veruno , che nella maggior parte di quello cotanto egli dalla natura s'allontani , e trafandi,che ſenza ch'Io l'accenni agevolmente ciaſcuno per ſe medefi mo il può avviſare. Ma s'egli pure fondar voleva ſiſtema di razional medicina , conveniva in prima molto bene la natura del corpo inveſtigare , e di ciò che a quello avvenir poffa : ficome fecero quegli antichi greci filoſofanti, i quali egli follemente in quella piſtola ,ch'egli ſcrive al Gaffendi forte biaſima, e riprende. La qual coſa egli certamente nonfacendo, comechè egli col ſuo acuto intendiméto mol ti , emolci errori di Galieno , e de ſeguacidi lui ſcoperti aveffe : pure per manchezza non poco danno gliene ſeguì ; perciocchè egli così poco acconciamente della natura del le m2 Del Sig . Lionardodi Capoa. 427 fc malattie , e delle cagioni,e de'ſegni e delle cure di quel le imprende a ragionare , che ineritevolmente ne fu ſghi» gnato , e carminato da tuttimedicide'ſuoi tempi;non pe rò dimeno fra cotante fue ſconcezze famoſa: ſenza fallo fi è quella ſentenza, ch'cgli reca intorno alla natura dellow febbre : ne ſaper puoffi, ſe egli dáll'Elmonte, o pur l'El , monte da lui tolia l'aveſſe ; imperocchè ſcriſſero coſtoro nelmedeſimo tempo ; ma ad amcnduc n'avez dato forfe cagione disì. Fattamente filoſofar della febbre Roderigo Veig... Io la rapporteròcolle proprie parole del Cápanel la : Febris , dice egli , eft fpontanea .extraordinaria fpiritas agitatio , inflammatioque ad pugnam contra irritantem mora bificam cauſam : quam fic.calefacit, agitar, digerisque, red ditque expulfioniapsan , vel extinétioni', velmeliorationi . Macomechè la febbre tutto ciò faceffe , nonperò di meno offendendo ella ſoprammodo le operazioni, è ella cert2 ; mente da dir malattia ; ſenzachè Io non ſolo , come lo ſpi rito poſſa aver ſentimenti : e non altrimenti, che s'egli ani mal foſſe , quando gli metra bene , riſcuotaſi, e s'apparec chj di combattere contro ciò che'l molefta , e gli reca in toppoalle ſue operazioni . Cofia , la quale delcervellodel Campanella fofamëte,e:dell'Elmonte immaginar ſi poteva: Ma intorno a medicamenti, eglivuole ,che la cura quan to a ſeda far ſia perli contrari: ma per accidente talora dal le cofe comigliantiancor ſi elegga ; e alcuna fiata gli uni ,ė gli altri meſcolando compor fi convenga , acciocchè il foa migliante appiccandoſi alfomiglianteaſe l'attragga;quin . di il contrario combatrendolo il difçacci . Orcome egli fti ma le genti disi groffa paſta , che ne vuol far Calandrinis dandone a divedere sì fatre favole x Reca égli in pruova il fapone : fiquidem, dice , Sapone ex oleo , cinere , da calces confefto maculas olei ex panno extrabimus: oleo invitantej oleum , & alliciente : cinere , calce fimul expellentibus, Quare , ſoggiugne poi , maculas vini ex calce , di vino fa . pone confecto educes; fihanc nofti magiam . Ma doveva av viſar pure il Campanella , non già per la fomiglianza , che pulla opera , l'olio con l'olio fi meſcola , el vino col vino ; i mil 424 Ragionamento Sesto 1 1 ma per la figura , e per la diſpoſizione delle loro particel le ; e doveva egli pure inveftigar la cagione , per la quale la cenere , ela calcina radendo l'olio della veſte,allettaco . come egli dice , dall´altro olio , quello ne portin via ; per-. ciocchè ſe a ciò egli badato avrebbe , ben ſarebbeſi accor. to coral purgamento altronde non naſcere, che dalla figu ra delle particelle de'ſali di quelli , i qualiſe mai loro ven gono colti , la calcina , ne la cenere , ne anche il ſapone , che di lor fi lavora , non ſaranno d'efficacia alcuna ; ſenza . chè fe per fomiglianza è , che l'olio del ſapone attragga l'olio dalle veſti , e con la ſua amicizia ne lo ſpegoli , e dia vella:qual ſomiglianza giammai ritroverà il ſapone in curtº altre macchie de' panni lini , che così gli imbianca so puc Laſciando il ſapone, qual ſomiglianza avrà egli il bucato con quelle : 0'1 fummo del ſolfo colle macchie de'veli? cer tamente non altra , che quella ,che ha la granata colla ſpaz zatura della caſa , o l'erpice , elamarra colle zolle. Soggiugneil Campanella, che quando ſi vuol preſcrive re purgativa medicina , ineſcolar ſi debbano talora i ſimili co’contrarj , appunto come il ſapone da lui diviſato;accioca chè i ſimili ateraggano'a ſe gli umori, ei contrari poi ſcac ciandogli fuora gli purghino . E quinci , dice egli, nella compoſizion dell'utriaca ſi meſcola la carne della vipera, acciocchè dal veleno di quella il veleno s'attragga , e dagli aromati poi ſi diſcaccj. Ma alla Croce di Dio , chi non ſa, o chinon ha per pruova avviſato ,che la carne della vipera non ſia veleno ? Perchè falſo , e vano eſſendo affatto il ſuo diviſamento intorno alle compoſizioni de’medicamenti: come , e quando de ſomiglianti ,ede'contrarj, o ſemplici, o meſcolatinelle cure delle malattie ſervir nc convengu : a'conſigli di lui certamente in niun modo attener nedob biamo , fe a liero fine delideriamo i noſtri medicamentido ver riuſcire . Fu egli ancora cotanto poco fcorto della natura de' me dicamenti , che per tacer d'altri falli in ciò da lui preſi ,dif ſe egli , che le coſe fredde non ſi convengano puntoal le cargo: perciocchè eſtinguino gli ſpiriti ; e pure il caltoreo, il 90 : Del Sig.Lionardo diCapoa. 425 il quale è argomento acconcio aſſai ad affrenar la violenza di quel folto , che cagiona il letargo , avvalora gli fpiriti. Dice egli ancora , che l'antimonio crudo gagliardiffimaw medicina ſia . Mapiù ſconciamente egli trafanda in pre ſtando fede alle fraſche del Maeſtro Agoſtino del Roſli in quella ricetta , in cui colui dice , che ſi tragga il mercurio dell'argento , e che quello ſi meſcoli, e s'uniſca con l'arien to vivo volgare per dover lavorarne il precipitato da cura re il mal franceſe. Ma ridevole ſopra tutto ſi è quel ſuo di viſo di dover colle ventoſe d'oro trarre il inercurio dall'of ſa degl'infermi:fi Hydrargyrus,dice egli, offa penetrarit,nec expellipoffit , cucurbitulisex auro confectis facilè educitur, tractione vacui; Sympathia fimulnaturarum . Ma comechè in molte , e molte coſe , ficome accennato abbiamo falli il ſiſtema del Campanella , e ſia ſopra de boliſſime fondamenta murato ; impertanto non è affatto da ſpregiare quel ſuo libro della medicina ; perciocchè può egli a chi ſaggiamente l'adoperi non poco giovamento recare ; eſſendo nel vero egli ſtato un de' maggiori inge gni e più valoroſi , che la noſtra Italia, e'l noſtro ſecolo ab . bia alleyati. Ma Roderigo Caſtello anch'egli della debolezza della medicina di Gilicno reſo avveduto,imprende forte a com batterla , e mandarla al ſuolo ; e proteſtando di dovere gli inſegnamenti del ſuo Ippocrate ſeguitare, ſi biaſima oltre modo delle dottrine d'Ariſtotele , e di Galieno , e diſtinta mente egli i loro falli ſcoprendo va dagli antichi Greci filo fofanti ad accattar contezze di buona medicina ; ma non gli venne cotanto fatto , chenon deſſe anch'egli in iſconcj, e biaſimevoli errori , giudicando follemente in prima eſle re gli atomi delle prime qualità forniti ; quindi in tanti , e sì grandi vaneggiamentie' traſcorre,che lungo ſarebbe quì ad uno ad unoannoverargli. Ma ſopra tutto fi ftudia egli di darne a divedere ciò che il Paracelſo prima di lui inſegna to n’aves : cioè a dire , che il mondo picciolo ritenga in fer tutte le parti , e tutte l'apparenze , che nel mondo grande ſi veggono. E mentre egli da ciaſcuno qualche ſentiinento Hhh imbo 1 426 Ragionamento Sefto 1 1 imbolando s'argomenta da cotanti meſcolamenti ſconcj, e mal conformi far forgere un nuovo ſiſtema di medicina propio di ſe , filoſofandoora col Paracelſo , e ora con Ga lieno , avviluppa il tutto , e comediſſe colui, Confunde le dueleggi a ſe mal note. Ma egli convien ora far parole dell'ingegnoſiſſimo ſiſte ma di medicina diGiovan Battiſta Elmonte ; il quale,a vo lerne liberamente dir ciò che me ne paja, aſſai più felice lun go tratto fu in abbattere, e ſpiantare gli altrui edifici,che in fondare , e in iftabilir fermamente i ſuoi, comechèdimol ti, e molti nobili, e utiliſſimi ritrovati venifle fatto alla ſua induſtria d'arricchir la medicina . Il materiale principio di tutte le coſe ſenſibili dell'univerſo , appo l'Elmonte,è l'ac qua , non intervenendo nella compoſizione de'corpi miſti altramente l'aria , ne il fuoco , come quello , che non è ſo ftanża , ne accidente , ma morte delle coſe; argomen taſi provar una cotal fua opinione , con dire , che ciaſcuno corpo del mondo poſſa ſempre che ſi voglia in ſale căbiar fi ; e'l ſale poi per opera del circolato del Paracelſo, in ac qua d'altrettanto peſo ridurſi . Oltre a queſto dice l'Elmo te l'acqua eſſer ſempliciſſima, e benchè contenga ella in qualche modo il ſale, il mercurio , e'l ſolfo,i quali da quel la per natura' , e per arte ſeparare giammai non ſi ponno;ne ſono veramente ſale , folfo , e mercurio , come tali da eſſo appellati, per eſſer a quelli ſimili, e per non ſapergli altri menti ſpiegare; no vuolc egli però, che l'acqua di ſolfo , di fale , e di mercurio coinpoſta venga . Ma che che ſia dicið egli ſcorgeſi apertamente , che l'Elmonte non manifeftis pūto , come far ſenza falloe'douea, che coſa l'acqua vera mente fiafi ; ne fpiega di qual natura fornita l'aveſle L'alta cagion , che da principio diede A le coſe create ordine, eftato; anzi egli manifeſtamente confeſſando di non ſaperne boc cata, conforta , e rimuove chiunque d'imprender la natura dell'acqua s’affatica: così di quella dicendo , Quis unquam mortalium novit quid fit aqua ? qua tamen creatorum eft maximè obvia , aperta ,viſibilis,atranslucida ? tantum enim deea Del Sig.LionardodiCapoa. 427 de ea fcit rufticus, vel idiota quantum philofophus:něpè æquam liter illam concipiunt per obſervationem fenfuum : quod fit .corpusgrave , liquidum , humidum ,digitocedens , fluidum , amotoque digito ſerecludéns, calorisſuſceptivum ,attenuabia le in vaporem :nemo tamē novit internam aquaquidditatem , vel quare liquida fit,anhumida. Ma in vero egli ha il corto l’Elmonte a ragionar sì fatra mente dell'acqua ; imperocchè s'egli così ſolamente di.com loroſchiamazzatoaveſſei quali a coſto dicicalecci apprefa fo il volgo,il nobile , e laudevol titolo di filoſofanti compe rar ſi vogliono,vero per avventura egli detto avrebbe ; im perciocchè affermado eglino l'acqua eſſer un tal corpo dal la natura compoſto ,e meſcolato d'atto , e di potenza , ei freddo, e umido , ne ſpiegundo poi qual ſia l'atto , per lo quale l'acqua a partir ſi viene da cuce'altre coſe , che acqua non ſono, e in che conſiſta la potenza , e come ſi maturi nell'atto , e venga a perfezione , sì che acqua , se non altra coſa più coſto quella divenga : ne diviſando , che coſa las freddezza fia , ed onde avvegna il diſcorrimento , ne per qualcagione alcuni de'corpi liquidi , e corſoj, umoroſi an. cor ſiano , ed altri no:nulla certamente vengono ad inſe ghare intorno all'acqua , ne più di ciò che'l popolazzo mi nuto ſenza il lor diviſamento ne ſappia . Ma fe l’Elmonte aveſſe mai ben fiſamente riguardato 2 * dialogi di Platone, e a que'pochi mnaraviglioſi avanzi del le divine opere , ch'ancor fi riſerbano di Democrito , o al diviſar degli altribuoni filoſofanti : o pur s'egli, ficome conveniva , dagli effetti rapportati, di penetrar poipiù ad dentro nelle cagioni di quelle ſottilmente ſtudiato ſifoffe : o alla natura de' corpi diſcorrenti aveſſe poſto mente : Io ſon ben certo , che in cotal guila dell'acqua egli ragiona. to non avrebbe: e altro certamente egli principio di tutte coſe naturali, che quella ,la cui natura di non ſaper libe raméte cõfeffa,determinato avrebbe;perciocchèconvenen do tuor d'ogni dubbio all'acqua il diſcorrimento , a queſta guiſa poteva ben egli riuſcir nella più ſicura ſtrada da avvi. far la natura di quella . E certamente in ciò , che ſi apro Hhh 2 no, e 42.8 Ragionamento Sefto ño , e ſi fendono agevolmente i corpi diſcorrenti, e da cida ſcuna parte anchemenomiſſima, in ogni tempo ſon pene trabili : e dallo ſpargerſi di quelli, e diſcorrer liberamente per tutto : e dal riempiere gli ſpazj , e adattarſi agevolme te alla figura del vuoro, che ingombrano, intanto che al tra forma non hanno fuor ſolamente quella , che loro da vali, che gli contengono, e chediſcorrer non gli lafciano , vien preſcritta : e dall'avviſare , che ogni particella loro participando delle medeſime propietà di eſli, diſcorrentes anch'ella fia : ottimamente raccoglier egli poteva dovere eſſer icorpi diſcorrenti compoſti di menome particelle, i1f ſenſibili , e tra eſſo loro in atto partite , e fpiccate per un.. cotal movimento continuo , che non mai le laſcia appicca re , e congiugnerſi inſieme. La qualcoſa egli avviſando agevolmente fatto gli veniva di poter la natura dell'acqua apparare , e si riparare all'ignoranza , ch'egli di se medeſi mo ne confeffa ; concioffiecoſachè eſſendo l'acqua oltre modo diſcorrente , egli è da dir che ſia un'accoglimento di menome , e inſenſibili particelle , le quali sì fattamente fixo no accozzate ,eammaſſate inſieme, che ſembrino a'noſtri ſentimenti una ſola coſa : avvegnachè in atto elle ſiano fe parate, e partite ,intanto che inſieme non maiforte fi ſtrin gano , ne meno per alcuno de’loro lati : e ſeguentemente continuo ſi muovano . E ſcorto egli avrebbe altresì noi avvenir loro sì fatto movimento dal caldo ; concioffiecofa chè l'acque , comechè fredde elle fiano, e poco mé che ag ghiacciate: non però di meno non ſono elle meno diſcor rentije-ſdrucciolevoli delle calde,ſe non già ſiano in ghiac. cioammaſſate;perchè avrebbe eglicertamente detto che'l movimento , checosì l'acqua ſciolta ritiene , abbia le par cicelle ſue , o da ſe medeſimo, o altronde che dal caldo a : quelle comunicate ;: perciocchè l'acqua , almeno perquel che noi avviſiamo , cede cheta al toccamento , e da luo go a ’ ſaldi corpi ſenza vederſi. ella punto muovere : e di lataſi a'raggi della luce : e riceve entro di ſe particelle di ſale marino, e d'altri corpi cheper la ſomiglianza , che hā no con quello, parimente eſſi vengono ſali appellati : avve gna 1 3 DelSig.Lionardo di Capoa 429 1 gnachè muovēdo in noi molre,e diverſe varietà di ſentime ti nell'organo del guſto , convengano eſſer diverſamente foggiati ; i quali corpi penetrando per mezzo effe particel le , ingombrano gli ſpazj piccioliſſimi tramezzati: o pure ingombrano gli angolije i cătoncelli che quelle colle for fi gure formano, intanto che vi ſi poſſano acconciamente le diverfe figure delle particelle faline allogare . E moltise molti d'effi tramezzamentiper tal maniera compoſti , e or dinari ſono , che agevolmente per entro , e ſenza niun rite gno diſcorrer vi poſfä fa luce. E oltre a ciò riguardando l'Elmõte all'operazioni dell'acqua, avviſato ben'egli avreb be eſſer quella un di que' corpi diſcorrenti , ch'agevolme te a'ſaldicorpi s'appiccano , i quali tanto , o quanto fier poroſi: e che fi fpargano ſopra tutti quelli, e penetrino lo ro dentro , c talotta anche in parte , o in tutto gli ſolvano ; perchè comunemente diceſi l'acqua eſſer umida. E come chè egli nc ſembrieſſer l'acqua tenera oltremodo , e molo le; non però di meno egli alquanto d'aſprezza avviſato an che v'avrebbe, avvegnachè dipoco momento elia fia :non iſpiccadofi l'acqua agevolméte da'corpi ſaldi sì, e talmen te,che quelliaffatto sgocciolati nerimągano; e quincianch ' egli comprender avrebbe potutonó effer le particelle dellº acquada tutte parti cotanto terſe; e liſciatesquali per av vécura iminagina ilDeſcartes.Alle quali coſe tutte ſe l’El mõte ben fiſamente riguardato aveſſe, certamente egli ar gomentata n'aurebbe la figura d'effe particelle , ficome ferono già ne’primi tempi Pittagora, Timco , Platone , altri, i quali la immaginarono icafoedrica: 0 pure ſicome de’giorni noftri l'accennato Deſcartes, il quale giudicata l'ha cilindrica , e pieghevole, e guizzante a guifr d'anguil le : 0 ficome l'incomparabil filoſofante Gio : Alfonſo Bor relli , il qual.cosi'ne favella: lanugo quedam tenuis , &de bilis inveſtiens.quodlibet aqua minimum , ſcilicet concipide bet interna , & individua qualibet aquæparticula , ſolidad's &dura : cujus figura octaedra . E avvifato ancora l'Elmon te avrebbe eſſer le particelle dell'acqua d'una medeſimas foggia infra loro , o almeno poco diſſomiglianci ; la qual for 1 1 430 Ragionamento Sefto forma loro , o affatto non ſi può in altra cambiarc, o egli è cotanto malagevole , che grandillima fatica meſtier vi fa rebbe a ciò operare ; ne fino a'tempi noſtri ciò ad alcuno è venuto fatto , ne mai, per quanto Io poſſa comprendere , certamente verrà per innanzi:acciocchèin altra figura l'ac qua ſi tramuti . E ciò egli anche avviſa l’Elmonte, e vera mente per ognun yedeſi, che non riceva l'acqua fcambia mento alcuno ſenſibile:avvegnadio che a qualunque ingiu ria ella ſi eſponga ., o di caldo , o di freddo,o di altra imma ginabile qualità ; ſe non ſe riſerbandone ſolamente quella , che ella in agghiacciando riceve , o riducendoſi in vapore; per le qualiè coſa manifeſta , e all'Elmonte ben conoſciu che non già la figura delle particelle dell'acqua , ma il ſito ſolamente , e'l movimento di quelle ficam bia.Maſenza far tante parole , l'acqua racchiuſa entro una guaſtadetta ermeticamente , come ſi dice , ſuggellata das Criſtofano Clavio , la quale dopo cotant'anni nel Collegio Romano della Compagnia di Giesù dimoſtraſi: ella s'avvi ſa non punto dall'eſſer ſuo naturale mutata ; e altre acque ancora per più ,e più ſecoli intere,elane pariméte li fon mā tenute séza ricevere oltraggio veruno dal tépo ; perchè ſen za fallo è da dire eſſer quelle di tempera dura , emalage vole aſſai a ſolverſi, dall'onnipotente facitore da prima fabbricate : Adunqueragionevolmente può dirſi dell’El. monte , che de'principi delle coſe naturali Nonpinſe l'occhio infino alla prima onda. E per avventura dobbiam noi confeffare , il medeſimo all’Elinonte eſſergià intervenuto, che in prima di lui al Pa racelſo fortito era : che ove maggiormente egli ſciarpillar figli occhi perpiù veder conveniva,quivi tralandındo,più , ch'altrove ſerrati gli aveſſe ; ed avvegnachè di ſottiliſimo intendimento , emaraviglioſo foſſeſi l'Elmonte,pure abba gliato al troppo luine della natura per troppo veder rintuz zato ſi fofle și come ilſol, cheſi cela egli ſteſſo Per troppa luce , quando il caldo ha roſe Le temperanze de'vapori Speli: c firta Del Sig.Lionardodi Capoa. 431 1 e fatto groſſo dall'abbondantiſſimapiena de curioſi:fegreti di quella Quaſi torrente ,ch'alta vena preme foverchiando il letto , ed allagando le prode;pertroppo ri goglio diſperſo ſi foſſe . E quinci certamente viene , che nello ſpiegar l'economia degli animali, qualche fiata ricorre ancoregli alle facoltà, nonmeno ,cheGalieno fi aveſſe fatto ; ne di ciò pago pro duce egli in mezzo alcuni ſtrani arzigogoli, e nuovighiri bizzi del ſuo cervello :altri ne toglic in preſto dal Paracel fo , come gli Archei, i Blas' , i Magnali;e quelFormento , il quale per dirlo colle ſue ſteſſe parole , eft ens creatum form male, quod neque fubftantia , neque accidensfed , neutrum » per motum lucis ignis magnalisformarum conditumàmundi principio in locis fue monarchia , ut femina preparet;exiſtat , a precedat; con che' , e con altre molte fue fantaſie, le qua li lo per non rediarvinon ridico , da apertamente a divedere l'Elmonte, ch'egli non già nel mondo noftro , di cui tutto di nuove, c nuove maraviglie egli ſcopriva ,main un mon do da lui immaginato filoſofava. Tanto , e tanto poi egli involto fi fu nella notomia vita le , ch'egli traſcurò la morta , ne di queſta ſeppe altro di quel, che n'era ſtato già ſcritto ; perchè alcuniaffatto non ſeppe', ed altri, poco curioſo non curò de’modernitrovati; i qualimolto approdato avrebbono; rendendo ad un'ora più credibili , e manifeſte alcunedelle ſue opinioni; perchè sé bra ' , che forſe non abbia tutto il torto a morderlo, e biaſſa marlo il Gliſſonio , quando così di lui diſſe ; hic auctor , utu eunque acerrimi ingenii ,in eo fuitminus felix , quod .veteri placitis rariffime aſsétitur,& vix,nifi in iis rebus,in quibus il li ex certisſimis, demonftratis neotericorum obſervationibus manifeſte coarguuntur Ma ſe dalla maniera del medicare argomentar lece il va lor de’ſiſtemi della medicina, certamente in ciò quello dell' Elmonte tutt'altria molto ſpazio ſilaſcia addietro . Per ciocchè oltre alla contezza delle buone , e valevoli medi cine , , ch'egli ebbe pronte così ſempre fra le mani, cotan to egli 432 Ragionamento Seſto . co egli vanraggioſli negli ſtudi del ſuo meſtiere, e di si acum to intendimento fu , ch'avviſando i graviflimi danni , che per li ſalaſſi , e per.le purgagionipoſſono intervenire : e'l veleno , che per entro quelle ſi naſconde: così nimico ne fu , e così ritroſo d'adoperarle, che come confeſſa Andrea Cel lario , comechè Galieniſta ', baud paucis medicam artem profitentibus oculos aperuit . Ne laſcioſſi in ciò menare alla piena del ſecolo ,oalla famoſiſſima rinomea del Paracel lo , che non aveffe egli ſolamente intefo quelle medicine , operare, le quali ſenza recar moleftia , o noja alcuna allo in. fermo , fan vuotare ſolamente ciò che cagiona il male.Per chè egliin cotanto pregio,e onor crebbeneadoperando ciò anche nelle più gravi , e pericoloſe malattie , che daGalie niſti medeſiıni, non che da altri, ne venne ſommamente commendato , e quaſia miracolo tenuto . Così infra gli altri Andrea Cellario in facendo parole di lui , e del Paracelſo nel terzo tomo dei fuo Atlante celeſte , Chymicarum ,dice ,operationum adjumento admiranda hatte nus præftiterunt , ac talia medicamenta produxerunt quæin morbis illis natura humana penetrantibus arêtius , altius fe infinuantibus , & remediis à natura productis cedere ne Sciis , primas terent, &vulgaria medicamina longe ſuperăta E per tacer di Daniello Orftio , Nicolò Franchimorc famo fillimo maeſtro infra'Galieniſti nell'Accademia di Praga, in una piſtola mandata all'Arciveſcovo di Colonia,dilui di ce: Helmont pater tanti fiebat Bruxellis , ut non niſi deſperati ad illum quafi ad ſacram anchoram confugerent: quorum non exiguum numerum ab orcifaucibus eripiebat; enon ceſſaro no i rabbioſinimici d'orrevolmente commendarnelo , ſtret ti a ciò dalle maraviglioſe cure di lui,per tacer de’liberi mc dicáti Frāceſco Glišonio, cd Olao Borrichio , che nó ſi veg gion mai ſtanchi di ſommamentelodarlo . Ma cotantielo gj pur nulla fono in riſpetto di ciò, ch’in ſua loda vantano i più nobili filoſofanti del noſtro ſecolo , ciò ſono il Gallen do , elBoile , ed altrimolci di non poco pregio . Ma doler ne dobbiamo eternaméte dell'Elinõte,come di quello , che niuna delle ſue nobili, e prezioſe incdicinema 1 wife DelSig. Lionardo diCapod 433 wifeſtar ci abbia voluto , e quancunque ilParacelfo nie al tri valenci Chimicigliene aveſſero dato eſemplo ; non do vea pure egli , che sì corteſe , umano , e compallionevole dell'altrui miſerie unquemai moſtroflisin ciòimitargli. Ne da coſa , che di tanto pro era al mondo rutro ,dovea diftos lui , lamalignità d'alcunimedicanti, i qualificome uſura parono ingiuſtamente gran parte de' ſuoitrovati ſenza fag di lui menzione, così parimente avrebbon fatto delle ſues medicine . Ma ſe egli più lungamente l'Elmonte viſſuto foſſe , con dar compimento alla ſua maggior opera, che la cera , ed imperfetra in man del ſuo figlio rimafe , avrebbes forſe di sì fátti medicamenti alquanto più apertamente fas vellato , Ma affai più tardi certamente di quel, che fi richiedev. per avventura miſeſi in alletto Pier Giovan Fabbri a dar cominciamento all'opera del ſuo novello ſiſtema della ra zional medicinazimperocchè egli da prima dietro la vanità dell'Alchimia per convertire in oroi più vili metalli conſu . mò lungo tempo , ed appreſſo trapaſsò ben ſei luftti medi. cando altrui, ſicome egli ſteſſo confcſſa , ſenza alcun fruta to mai ritrarne ; ne maigli venne fatto di ritrovare in tutto quanto quel tempo medicina , chevalevole a domarfolie le malattie ; e quantunque egli dì , e norte ſtudiato avelle attentamente ne’libri d'Ippocrate,e di Galieno, e molti cu daveri aperti d'huomini , e di bruti, per inveſtigar l'efficie ti , e le materiali cagioni dc’mali: non mai potè giugnere a ravviſare i luoghi de' putridi umori, ne in parte veruna di ſano , o d'inferm'huomo, o la collera, o la flemma, o la malinconia putrefacte ſcorger giammai. Il perchè pres'e gli per partito , di voler,laſciando le altrui autorità a nons calere,per ſe medeſimo metterſi ne'più cupi pelaghi della filoſofia navigando ; e poi i ſuoitrovati al giudicio de'fa vj , e diſcreti eſtimatori delle coſe rimettere, così dicen do : Si rationes mea , cu experientia non optimę videan tur , trutinentur , &ponderentur diſquiſitione naturali, ut Aquid falſi continere videanturrejiciantur omnino , Celia minentur prorſus à fcholis : quod fi vero probe experiantur lii quid 1 1 434 * Ragionamento Sefto 1 quid ni. amplexabuntur ,tutabuntur . Primieramente avviſa il Fabbrila materia , onde fon le Senſibilicoſeformate efferpalpabile , viſibile , e falda na giddiſtinguerſi dalla forma, la quale fecodo luisaltro no es cheuna propriedeionatæ , virtùnella materia,laquale poits chè è ufcica fuori sidiſtingueda lei ,come dalla ſua cagio nel'effetto . Ondeagevolmente può ſcorgerſi,che ſefalſe andato il Fabbriin si fatca guiſa piùavantifiloſofando, faa rebbe egli per avventura a qualche buon terminepervenu po : ma egli appenamefſoli in camino , ſmarrì il diritto fen : tiero .. Immaginò il Fabbri la prina materia non eſſer.al extocheil fale dell’Vniverſo nelquale il folfo ilmercurio, ed'un'altro ſale ſi contêga : e credette ', che queſto medeſir no áveffe voluto dire Ariſtotele, la dove della priina mate ria cosiofcuramente favella . Vuoldivantaggio egli, chę tutte le coſe , omallimamente l'huomo abbiano dentro di ſe un tale fpirito volanto oleremodo , e diſcorrente , di cui tutteleſueparticompoſtebeno, ed'onde tutte l'operazioni della vita , e tutte quelle coſe avvengano , che ſi oſſervano nellemalattie . Queſto ſpirito , dic' egli , che nel fegato e alquantogre /fo : ma più ſottile nel cuore e ſottiliffimondi seżvello ; naſcere:ad un parto colfeme, e nel'naſcere venir dalle ftelle arricchito della luce , la quale ſecondo lui èlau farma eſſenzialc , non ſolo dello ſpirito , ma di tutt'altres coſe del mondo ... Stimapariméte il Fabbri:altro veraméte non effer. Ja na tura, falvochelaluce' , e che dallaluce ilmovimento, e la quiete a'corpitutti dell'univerſo dirivi, e ſecondo più , o meno , che lo spirito participidella luce , tanto più , o me, noegli nelle ſue operazionivigoroſo, e potente divenga , Immaginaancora ilFabbricheentrije penetri l'anima dell? huomo allo ſpirito , e che lo ſpirito poia tutte le parti del ſuo corpo l'anima uniſcaaMa:Io pur troppo lūgone diver , reiſe volcliquitute'altri ſtrani ſuoi diviſaméti narrarvijne midarò impaccio di contraſtarglije gittarglia terra aduna ad uro ', facendomia credere , che ciaſcun da per ſe in ſen dendogliraccontare,o.in legendogli ſia per accorgerſi coſto del 1 $ . DelSie. Lionardodi Capod della lorvanica . E cerramenteſe alcuna coſav'hadibuone no nel Fabbri yella è colta di peſo.al Paracelſo, all’Elmon të, e ad altri valorofi Chimici: marelle eſſendo poi da lui có altre volgariopinioniaccozzato vengono a perder tāto del lor valore , che ſembrano prezioſegemme dal vil fangoia cretate . Or quantoal fatto del medicare e'non ha dubbio, ch'al ſai dappoco ſi dimoſtraſſe il Fabbris imperocchè tralaſcian , doda parte tutt'altre mal fatte fue cure: nella peripneu . monia vuolegli, ch'abbondantemente abbia da principio a trarſi ſangueallo infermo , c poi collc viole ; e collo fpiri to del vitriolos o con altri simili argomenti abbia z rinfre fčatli quel caldo , che collo ſpirito della vita di foverchio nc'polmoni ribolla : ed il feguente giorno coll'antimonio ábbia aprocacciarfegli il vomito , acciocchè con tal move mento venga ad aprirli alcunapoftema , ove vi ſia . Ein tãto fi cibi l'infermo d'orzate colſal della prunella, e collo { pirito del vitriolo.Orchi mai divifar potrebbe più folli di vifaméti di queſti e ben per'talie'medeſimo gli conobbes poichè altrove confeſſa , che le più valevoli medicine alla peripneumoniafianla verga del Toro ,e'lſangue dell'Irco . E certamente dagli acetoſi medicamenti , che altro maiſe non ſe grave danno avvenirpotrebbe a coloro , che di pe ripneumonia patiſcono; la qualgiuſta i fencimenti del Fab bri,dall'acetolità s'ingenera ; e oltre aciòcol purgare l'in fermo con sìpotente vomitivo, poich'egli è divenuto fpof fáto , e fievole per l'antecedente falaſſo , qualpro ſe nepos trebbe per lui fperare? mafopra tutto dal trar fangue, qual buono avvenimento ne potremo giammai attendere ? Ed o quanto fe più ſenno il Fabbri , allorche dall'Elmonte ay viſato ,de'ſalaffi altrove in altra guiſa favellando, ne diffes : MirorParifienfium medicorumpertinacitatem , curationem febrium , & ferèmorborum omnium in fanguinismisſione lar . ga , ocopiofa collocantium : cum fepe fæpius caulja moru. borum , & potisfimumfebrium tam continuarum , intermite sentium non refedeat in fanguine , imovirtus s proprietas: lii curana Ragionamento Seffo . curandi morborum omniü in fanguine collocetur ,cum arcbeūs visalis fanitatis economus , & morborum amniumcuratorin fanguine refideat: ea fublata ,dlarga manu effufo effundan, tur etiam unacumſanguine vitalisſpiritus, undevires tola luntur , di diffunduntur, &perinde tota rotius corporis nad Cura debilis admodum fit, do curatio etiam morborum omniū , que ab ipſa naturadependetevaneſcit;ita ut loco illius fubfc quaturmors ; aut incurabilismorbus, E quinciſcorger li puote altresìchiaramente,quáro bere gol fi foſſe ,e incoſtante ne'ſuoipareri il Fabbri , e quanto malagevole ; c dura impreſa lia lo ſcaricarſi delle falle opi nioni fin dalla prima giovanezza concette , e per vere al. cun tempoi fermamente credute ; il che nella ſtoria della cure da luifatte più chiaramente ſi ſcorge ;nella quale fto ria , e nel divilainento altresì delle chimiche medicine po trebbe da luiper avventuralealcămaggiore, epiù ſincerità d'animo ricercarfi ; maciò traſändando, quanto al ſuo liſte maſo replicherò , licome poco addietro accennava , che troppo vacillante, e caduco e'fia ,eche il Fabbri poco , o niente non badando ad inveltigar la natura de'ſuoi primi principj,forz'è,ch'egli abbia a rimanerſene fenza poter mai de’loro effetti aſſegnar la vera cagione . - Ma la SignoraD. Oliva Sambuco, della quale lodovea molto addietro , l'ordine de'tempi ( erbando , far parolesar vegnachè ſtudiata ſi foſſe continuo di ſvilupparli dagli er: rori de’mueſtri , e delle dottrine già da loro imbevute : pur tanto non potè ella dimenticarle', che non vi frameſchiaffe qualche ſentimento di quelli talvolta entro al ſuo ſiſtema Svétura nella quale i più famoſi filoſofanti veggőfiancora incorrere ; perchè la ſua medicina non altrimenti, che quel le deglialtri razionali, è manchevole , e difertuofa ; edan co tale ventura certamente le avvenne , per non aver ellow avuta cortezza della chimica .Ma nocquenon poco a'ſuoi divifamenti l'aver ella più di quel , che fi dovea,preſtata ... credenza alle parole di Platone ; et non eſſerfi a que’rem pi aperca ancor la {trada della vera filofofia . Im. Del Sig . LionardodiCapod. 737 Immagina la Signora D.Oliva effer l'huomo ana travol ta pianta , le cui radici fian nel cervello , onde un bianco fugo dipartendoſi ſe'n vada il tronco , i rami, è tutto il ri manence a mutrire , tal ſugo bianco vuol che ſia freddo , umido ; mache nel fegato facendoſi roſſo : caldo, e umido altresìdivenga; e che nel cuor finalmente ſcambiato in să gue , in caldo , e fecco fi muri . Il calor del cuore crede ela la , che ſerva all'huomo , come it caldo del ſole alle pian te ; e che'l bianco fugo faccia l'uficio de quattro elementis fcorrere dal cerebro cotal ſugo per la pelle, per li nervize per le dilicate pellicelle , o membrane, che vogliam dire, delle vene :mapoiin roſſo , e ſanguigno umor convertitos per altre vie , cioè per le vene, e per le arterie ritornare . Or queſto fugo ove ſia malignato ,fuor delle proprie vie sboce cando per tutt'altre parti del corpo ſconvenevolmente an dar penetrando , contro il provveduto ordinamento della natura . Tutto adunque il Florido ,e vigoroſo ſtato di queſtº arbore , vuolella , chedalle radici , cioè a dire dal cerebro avvenga : la dove fc quella , che pia madre fi appella , la dura madre toccando, ftiano ambedue ſollevate, e diſteſes e quali alcranio appiccare, allorvederſiverdeggiante , e fiorita tutta la pianta : ma ſe mai divengan vizze , o alqua to s'abbaffino , fanguire parimenre lei; e quando finalmen te la pia madre ſia dalla dura totalmente ſtaccata allor non poter avere a niun modo più vita . Con queſto trovato , o purcon queſta ſomiglianza dell'arbore , vaella tutti i con . venenti della vita , e della morte , e della generazione , u della corruttura dell'huomo , e de rimedi, e delle malatı tie acconciamente fpiegando. Tali ſono i divilamenti dietro alla medicina della Signo ra D. Oliva ; i quali comeche pajanoin gran parte dal vc to lontani, purealcuni di loro ſon tali , che non poffeno . fenza lunghi encomj, enon ordinaria maraviglia guardar fi; edIomifarò lecito d'arrogare a sì valoroſa donnaquel che già della poereſſa Sulpizix diſfè Giulio Ceſare della Scala :ut tamlaudabilis heroina ratio habeatur non anime objicere ei iudicii ſeveritatem : Ma 738 Ragionamento Sesto Ma crapaſsado al ſiſtemadella medicina di Tomaſo Vil lifio ; egli ſipare, ch'in fula foglia appunto diquello con ciamente fdrucciolandovaneggj. Imperocchèavendoegli Popinion d'Ariſtotele rifiutata intorno a' principj delle cos fe , ficome troppo groſſa , e ſciocca : e quella di Democri to , e d'Epicuro , ficomefoverchiamente ſottile , e da’ſenli lontana : alla perfinc egli alnuovo diviſainenco de'Chimi ci tutto s'appoggia , e vuolche ciaſcunacoſa di ſpirito (co sì chiama egli ilmercurio ) .di ſale , di ſolfo , d'acqua , e di terra formata ſia ; perciocchè in quelli ciaſcun corpo ſenga bilmente ſi riſolva . E con quelto cinque ſoſtanze , in ciò , che elleno ne'corpi compoſtihanmovimento e proporziou ne , ſi ſtudiacgli , e s'affatica di dar ragione dell'apparen ze cutre della natura , e ſpezialmente diquelle,ch'alla mc dicina s'appartengono. E comechè egli apertamente con felli cotali ſoſtanze non eſſer ſemplici , ma comporte, e me ſcolate ; pur tutto il ſuo diviſamento quì egli fermando,no fi prendepiù avanti briga di ſpiar di cheforte priacipj fora fono quelli, onde le ſue prime cinque ſoſtanze ſon compo fte ; anzi egli dice , che non avendoviragionc , o ſtrada al cuna da potergli avviſare , ſciocchezza ſia l'entrar nel fara netico didoverciò fornire:e qualunque coſa ſe ne dica eller più coſto un grazioſo diviſamento , e voler giudicarc allas ventura , ea riſchio delle.cofe del mondo , che conſaldez za di buona filoſofia ragionarne. Ma quantochè egli con ciò di ſcagionar la ſua dappocaggine s'argomenti, imper: tanto maggiormente in altri, e altri ſuoi divifamenci egli s'accagiona; perciocchèa chiben vi ponga menre, tuttoil fuo filoſofare , avvegnachè egli contro i buoni filoſofi fa vellando , dica procudere,autfomniare philofophiam me nola le, lubens profiteor; altro nel vero egli non è , ch'un andare alla cieca, e taftonc,ſenza certezza alcuna . Ma ciò laſcia do ſtare , o non s'avvede egli , o s'infigne di non accorgerſi in dicendo chelo ſpirito una coral ſoſtanza fortidiguna, ë voláte Gia; che spiegar uc doveva come cotal ſostanza s'av valli , e fi deprima, c come poi ſi cſalti , e come con gli al tri principj ſi meſcoli : c comc ammendi, e affreni i ftraboc chero 1 9 Del Sig.Lionardodi Capon . 439 chevoli diſordinamentidel ſolfo', e del ſale : é comequela to tante , e tant'altre operazioni faccia , le quali egligliat tribuiſce . Certamente non mai egli ſaper potrà diche. for te particelle quelle: fiano , ondela ſottigliezza dello ſpirito diriva ; e colcoccare , che colmuovere ora in uno , oras ialtro modofogliono negli altri corpioperare . Eben'e gli dovera ( ficomca buon filoſofante ſi conviene, ilqual fondar voglia ſiſtema di cazionalmedicina) dalle appareze degli effetti la natura delle loro cagioniinveſtigare : cav vifare , chenon puòlo ſpirito effer diſcorrevole , ſe di pre fente nonceda atutti corpi ſaldi , che perentrovi paſlino je perchèeglièda dire', cheloſpirito ſia in molte , e moltes particelle diviſo : le quali continuo movendo infra loro sé.. pre ſeparate ftiano ;ne lo ſpirito,foctile,c volante efferpuðn e per cutto perretrare , ſe le ſue particelle picciolitime non fono , esì fåttamente foggiate , che molti gomiti 20 angoli, non abbiano . Neper darragione dell'opere del ſolfo giova ſapere eſ fer quello , licomc egli dice , di coſtruttura alquauto più groffa', emaggioredi quella dello ſpirito ; e che da quello nafca il calore , cla varietà de'cofori , e degli odori alle co fe , e l'a lor bruttezza , e bellezza : c per la più parte la di verſità de' ſapori ; perciocchè quantımqne tutto ciò vero fi foffe ,cheegli ſenza niuna pruova farne grazioſamente , afferma, ben potevaeglidall'apparenze,che dal fólfo vega giamo , argomentar, che le particelle diquello comeche, in continuo movimento anch'elle fteano;ficome quelle dela 16 fpirito e fiano peròmeno pulite , e ſdrucciolantii, calia quanto' famoſc . E què è danocare , come il Villiſio vada divifando dellacomplellion del fuoco ; egli dopoaver ava vifato effer quello ſomigliantiſſimo alla materia prima de Peripatetici , in ciò che in tutto partire in niuna dice quel, lb allignare, così poi faggiamente ſi ſpiega:Ignis exfuina tura nullibi exiſtentiam , ac certum durationis modum obtin net . Quindifoggiugne : formaignir omninòdepēdet à para siculisfulphureis infubjecto quopiam agglomeratis.y - cona fërrimerumpentibus a quodque ignis nihil fit aliud , quam ejuſmo 440 Ragionamento Sefa 1 1 . 1 + ejufmodiparticularum impetuofius concitarum motus , deras ptio.Ma s'egliaveſſe mai poſtomente alle particelledel fol fo, le qualieſſendo di neceſlità ramoſe, per la loro figuras non così acconce ſono a muover velocemento, e a penetrar ne'corpi più duri , e fpeffi , ficome far veggiamo al fuoco : il qual perciò dice Democrico aver gli atomi ſuoi ritondi : non avrebbe certamente eglicosì di quello filoſofato . Ma Signori ancor Io immaginava una volta cosi andac la biſogna del fuoco, qualla giudica il Villiſio: e acciocchè ceſſar poteſli le malagevolezze propoſte , mecomedeſimo penſava doverſi i ramidel ſolfo piegare in ingenerando il fuoco , e in ſe medeſimi ravvolti formar cotante ſperette , acciocchè agevolmente muovere , e penetrar poteſſero; ma meglio poi il mio divilamento vagliando , ricreduto , igannato inutaiparere . Convien dunque dire , chele pare ticelle componenti il folto diduefogge ſiano, una ramoſa, e un'altra ritonda. E cosìſomigliante doveva egli delle particelle de'fali filoſofare , e ſpiar le vere cagioni dell'o perazioni di quelli,e di que’loro ftati, ch'egli chiamafram fionis, volatizationis,& fluoris:quali egli ſpiega co ſole pa role ſenza recarne giovamēto alcuno. E certaméte non per altro ciò egli adopera, cheper non curar d'inveſtigare la na túra , e la propietà de'componenti di quelli . E doveva bé egli quanto più ciò era malagevole a fornire , cotanto mag giormente argomentarſi perogni ſtrada diaggiugnere infin dove colla mano, ecol ſenno arrivarpoteffe: e cið mallima mente egli col conſiglio dell'incomparabile Boile , edal. tri valorofiffimi filoſofanci fornirpoteva ; ma egli per cele far farica non volle di cotante biſogne imbrigarſi: perchè poi diſguiſata , e ſconcia la ſua filoſofia ne divenne . Eles non da altro , almeno dagli effetti de'ſali,ch'e' continuo da vanti agli occhi avevasben egli in ciò , che quelli folvonli nell'acqua, e a temperato fuoco ſeccanfi , ca gagliardo fi fondono avviſar poteva la natura delle loro particelle, e di quelle di tutt'altre generazioni de' ſali: e ancora in ciò che quelli,davolanti divengono fiſſi , e da fiffi di nuovo volar ti . E Gimigliante da ciò ben'egli inveſtigar poteva in che con ! 1 1 1 + 0 Del Sig.Lionardodi Capoa. 441 1 convengano le particelleinfra loro , le qualicotante gener razionidifali compongono ; e in ciò ancora , che i volanti ſali agevolmente le loro propierà lafciano , divenendo da aſpri, e amari , e acetofi: dolci , e foavis e per contrario da dolci,e ſoavi:acetofi,e aſpri, e amari; e alla per fine inciò , che i ſali di qualúque ſorte ſiano, ftranaméte cambiadoli, e laſciádo illoro natie ſapore, e ditutt'altre propietadiſpo gliádoſisin ſalfezza ſolamēte ſi rivolgano ;perciocchè da ciò tutco ben'egli argométar poteva eſſer i ſali compoſti dipar ticelle acconce a cambiar figura : 0 pure non eſſer quelle in loro d'una medeſima forma, madivarie , e diverſe figuu te foggiate. Quindi oltre paſſando avviſare' poteya' , iſali acetofi, in ciò che recano acerbiflimi dolori, eſfer d'acutif fimc particelle compoſti : e l'altre generazioni de' fali cſfer più , o meno di quelleforniti , ſecondainenteche più o me no il palato nepungono. E così anche dell'acqua, e della terra dannata certame te a lui faceva meſtierdi filoſofare , ſe aggiugner voleva al ragguardevol nome di buon filoſofante . E comechè negat non fi poffa che per la maggior parte riuſcir ſogliano gli ar gomenti tanto , o quanto probabili folamente , e ragione. voli ſenza ſaldezza alcunadicerta verità ; non però dime. no egli è il migliore affai, ſtudiarſi, e affaticarſi per via di conghietture ,ed'argomenti d'aggiugnere a ciò , cheper noi non ſappiamo: checosì ſenza nulla imbrigarfi d'inve ftigarne , laſciarlo vergognoſamente in non calere pernou Ara dappocaggine: Ne lo al preſente midarò briga d'eſaminare il poco lo devolfiloſofare del Villiſio intorno alla formentazione, al ſangue , alle orine ,alle febbri, e ad altre malattie; percioc chè ognuno agevolmente veder può , che non è altrimenti ſaldo filoſofare il ſuo , ma ſolamente ragionarea riſchio, e a voto ſenza fondamento alcuno ; e ben potrebbe per buo monegarſi poco men ch'ogni coſa , ch'egli afferma , ſenza timore d'eſſer dalle ſue anfanie, e da'ſuoi aggiramenti rim beccato . Ma non però di meno montò egli in qualche buo nome dei ſuo meſtiere, per eſſere Atato egli molto avventu Kkk raro 442 Ragionamento Seſto 1 rato ne’luoi emoli; perciocchè de’ſuoi tempi abbatteſt in tal , che nulla ſappiédo delle coſe della natura, volle ſcioc camente e con fanciulleſchi argomenti carminarlo ; per chè non durò molta fatica il dottiſiino Lovero ſuo ſegua ce' , non tanto d'inframmetterſi della difeſa di lui , quanto per ricredere , e rintuzzare la tracotata beffaggine dello ſciocco Galieniſta ; e nel vero ſe filoſofo ſtato foſſe il Mea La, avrebbe egli minutamente ciò che lo ho accennato del la medicina delVilliſio in prima detto . Ma nella notomia il Villifio fu molto ſcorto, e avveduto, intanto che non v'ha notomiſta alcuno, che meglio di lui, e più ſottilmente le parti del cervello ſpiare aveſſe;ma da cià altro certamente noi raccoglier non poſſiamo , che la pro poſta da noi cotante fiate dimoſtrata ,ora maggiorméteper fuadere : cioè a dire che vano , e inutil ſia il diviſar di me. dicina razionale : ne medico poter giainmai in quella tane to , o quanto vantaggiarſiz.conciolliccoſachè dalla lunghif fima , e inolto ſcorta diſaminazione , ch'egli fa dell'uficio delle parti del cervello , non altro certamente ora ne ſap piamo,chequello , che in prima fapevamo :: cioè a dire nulla di certo . Quanto alla maniera del medicare fu egli ſenza fallo ſciocco ,, e infelice aſſai ; perciocchè dopo aver appreſa , ed eſercitata la medicina a quella guiſa , che in Inghilterra comunemente coſtumavali :volendo egli filoſofare ſopra quella , ſi perſuaſe , che le continue ſperienze , così.dover fi medicare additato aveſſero ; perchè non guari egli lontan facendofia'comunali rimedi, nel ſuo ſiſtema,ſtudiof ſi di darne a credere eller quellii veri argomenti da raccato tarne la ſanità , ricoprendo con sì fattoavviſola ſua beſſage gine, c non rinvenendo nulla per giovamento de'cattivelli, inferini'. Anzi vi fu di peggio nella ſua medicina , che non che valevole argomento egli mai ritrovato aveſſe : anzi in qualche biſognatalvolta , ove i volgarimedici bene ado peravano , egli diverſamente ſentendo dipartiſlene. Ma prima difar parola della maniera del ſuo medicare , egli conviene avviſare, cſſer poco ragionevole ciò che 1 1 d egli Del Sig.Lionardo diCapoa. 443 egli giudica, cioè, che la febbre finoca puerida,ficome egli dice , per eſſenza ſempremaiſia : e che la pleureſi , la peri pneumonia , l'infiammagion della gola , e altri fomiglianti mali ſiano effetti, e non cagioni della febbre ; conciollie cofachè ciò manifeftamenteripugnar ſi vegga all'evidenza: avviſandoſi fempremai tratto tratto avanzarſi , e ſcemarla febbre , ſicome Icema , o creſce l'enfiagione ; anzi talora prima d'apparir la febbre: il dolore , c l'enfiagione appa fiſcono : e cominciandoſi poi la ſoſtanza ivi cntro racchiu fa'a formentare , e a comunicarſi al ſangue , e far ſaccajan comincia altresì la febbre . Ma più manifeſto ciò s'avviſa nelle ferite , e allor che qualche ſcheggia , o ſpina, o altrás ſomigliante coſa nella-carne ſi ficca ;perciocchè ivi a poco accendefi la febbre nella piaga ſolaméte, enelle parti prof ſimane , e talor anche pertutto il corpoſi fpande ; e leav vien , che le fibre alcuna fiata enfino , ciò nulla rilievaan dover far pruova del ſuo diviſamento ; perciocchè quella medeſima cnfiagioneſarà anch'ella cagion della febbre, no già effetto , ſicome immagina il Villilio ; concioſliecoſachè manifeſtamente s'avviſi in sì fatte eiffiagioni rattenerſi il ſangue , e dal ſuo uficio rifturfi; perchè poi naíce la febbre; ne ciò potrebbe in piun côto negare il Villifio, confeſsado egli medeſimo quefta verità : Ab ejuſmodi tumore,dice egli dellenfiamento delle fibre, calor, e dolor in parte intendű . tur : fanguis in motu ſuo magis perturbatur : adeoque febris accenfa plus aggravatur. Ma non men vano , e falſo è ciò ch'egli giudica dell'ingencrazionedelle febbri, che chir mano intermittenti; la quaic opinione potrei lo agevolme te rifiutare :ma perciocchè egli è manifeſta aſſai la ſua fal lanza , e per non dilungarmitroppo me ne rimango.Sola mente dico ciò lui fare perpoternella cura delle febbrila biaſimevol coftuma de ſalafi ritenere ; nella qual certame te cotanto egli è più de'Galieniſti medeſimi tracotato , che ovei più avvedutifra loro nella terzana intermittétenõ ar diſcono a trar sāgue, egli pur vuol, che trar fi debba, accioce chè col ſuo mcnomamēto il sāgue fi rinfranchi, e ſi rinfre ſchi , e mcnos'accenda , e più liberamente ſenza riſchio ď K k k incen 1 2 1 444 Ragionamento Seſto incendimento diſcorrer poſſa , e riandar perla perſona .Ma ſe aveffe avviſato il Villiſio le terzane intermittenti divenir talora per li falalli contine , certamente cgli non avrebbe così follcmente ragionato. M2 apertamente ſi vede, ch'egli dictro alla bruzzagliai de’volgari medicanti , più negli effetti de’mali , che nelles cagioni di quelli s'indugia . E per favellar con lui, ſecon do iſuoi medeſimi ſentimenti , ſe la terzana s'ingenera, per ciocchè il facgue ſtrabocchevolmente mordace , e punge te,non intride, e matura toſto il ſucco nutritivo : mala maggior parte di quello in una cotal materia nitro - ſulfurca corrompendo muta : come potrafli ella maiper lalafo am mendare, ſe il ſangue , che riman nella perſona , anch ' egli mordace , e pungente vi rimane ? certainente egli ancora , ſe non ſi addolcia , farà valevole a corromperc, e guaſtare il ſucco nutritivo , e ingenerar la febbre ; anzi tanto mag giormente , quanto per lo ſuo fcemo, più debole , e fpoſfato diviene a rintuzzar quella mordacità, che'l corrompe,me nomandoſi in lui quella nobiliſſima ſoſtanza ,che ſolamente poteva nel ſuo intero affinamento ritornarlo ; perchè poi il ſangue, che di nuovo s’ingenera , diverrà ſenza fallo pig. giore : e non ben digeftédoſi il cibo, il ſucco nutritivo yer rà anche a ingenerarſi cattivo : e manterrannc quel calo re , checol ſalaſſo iinmagina di ſcemare il Villiſio;ſenzachè è egli inolto di riſchio il ſegnar nella terzana ; perciocchè tra per lo cibo , che dentro dallo ſtomaco de’inalaci ſi cor rompe,e per lo sfoggiato calore,ch'allottigliando, e diradi. la collcra nel ſuovalo avvić,chequella nello ſtomaco ſi tra sfonda , e cotanto mal cagioni : ſicome a quel giovinetto nobile intervenne , di cui narra il medeſimo Villiſio ,che no oſtante la cardialgia avendolo cgli fitco ſegnare, piggioró ne sì fatcamente , chequali ne fu per debolezzamorto , gliene ſeguirono fieriſſimivomiti ,e ſpalime , c rivolgime ci d'inceſtini : ne alleggioll in lui il dolore, ſe non ſe nel de clinamento del male . Vuole ancora il Villiſio , che trarſi debba fangue nello febbri, ch'egli chiama efiimcre, e nella finoca putrida , ac cioc Del Sig. Lionardodi Capoa 445 ciocchè perlo falaſſo diradandoſi il ſangue fia ventato : e le particelle calde di quello per affoltata non ſi accendano; ſi . coinc adoperar veggiamo a contadini, i quali rivolgendo, e ſcioperando il fieno difoverchio riſcaldato, fannogli pré dere rinfreſcamento . Ma egli è certamente ſogno del Vil lilio , che liquorsche continuo muova , e diſcorra , ficome il ſangue , abbia quelle particelle , ch'egliſcioccamente chiama calde , le quali poſſano ſtare ammonzicchiate,e af faſtcllate , ficome ficno in palco , maſſimainente , che pic cioliflime , e ritonde quelle fono , e ſi muovon rapidiſſim.2 mente allor che fanno il calore ; perchè malagevolmente ſtar poſſono inſieme, ſe da qualche materia viſcoſa, e tenz ce non ſianoben prima appiccate. Perchè è da dire , che fconcio , e ridevole oltrcmodo ſia il paragon del fieno dal Villiſio apportato ,in cui lo ſtrignimento premendone il fucco cagiona la formentazione , e'l riſcaldamento . Maw oquanto meglio egli avrebbe adoperato , ſe non già con falalli , ma con rimcdj acconcja ciò fare , ſicomealtrove per noi è detto , ſi foſſe argomentato di ſventolare il ſangue , edirinfreſcarlo . Ma egli più oltre traſandando vuol che da ſegnar fiano anche i fanciulli : quandoil medeſimo Ga lieno , che de ſalaſli fu cotanto amico, e altri antichi medi cistutti ad una giudicano efſer quelli ſommamente a' fan ciulli dannevoli , e da fuggire . E avvegnadiochè egli molce novelle ne racconti d'alcuni febbricoli da lui felice mente col fataſſo guariti ; non però di meno , ficome egli medeſimo teftimonia, non pochi ancora ne poſe per la ma la via ; ne è da credere , che coloro che ne camparono ,fof fcro da falaſiajutati : anzi per qualche altro argomento, o cagion da’lui non conoſciuta celsò loro la febbre : e fuma raviglia , che infermo, chenon potè reſiſtere alla febbre ', aveſſe poi la febbre inſieme, e'l mal del falaſſo contraftato. Che ſe veggiuno noi alcuni avvelenati ſenza cóſiglio niu no campare, e altri cadere ftraboccati da alto ſenzafiaccar fi il collo : ele ſcoppiate delle bombarde alcuna volta non colpire , perchè dobbiam noi dire i ſalali ſolamente, per chè talvolta non ammazzino , non effer mali ? Ma ben disi tra 440 Ragionamento Sefto 8 1 Travolto diviſamento portonne egli la pena il Villiſio ; per ciocchè co'ſuoicari ſalasſi-egli-medeſimo s'ucciſe . Ma gľ Inghilefi , huominicotanto pertraffichi , e per uſanze co noſciuti di tutte coftume della maggior parte del mondo , Io non sò lo come ſi laſcino ciecaméte portare alle beſlag gini de’loro medici , e non più toſto rimirino alle varie , ¿ diverſe nazioni, colle quali eglino uſano , che ſenza laper mai di lanciuole , o dimignatte , e ſenza 'logorar goccia di ſangue ſtan bene delle perſone: e ſe pure infermano , altri argomenti coſtumano a raccattar la ſanità , che i nocevoli ſalaffi. E per non andar ricercando detl’Indie , e d'altres a noi rinnotiſfime partijagevolméte ciò potrebbono avviſa re da’Mori: i quali, ſicome teſtimonia quel gran Maeſtro in divinità Tomaſſo Campanella, le malattie tutte col ſolo di giuno , e colle unzioni, e co ' tropicciamenti curama. Ma non meno ſciocco, e poco avveduto nelie purgagio niegli ſi fu il Vihiſio ; concioffiecofachè egli talora ſenza riguardare al tempo delmale toſto le purgative medicine,e le vomitative impor foglia, con graviffimo danno degli in ferini; e ciò egli vuole anche dove la febbreſia grande , d'accendimento dentro agevolmente temer fi poſſa. Ma quanto poco fermo e' ſi foſſe nelle ſue regole il Vil lifio , manifeſtamente egli medeſimo il ci da a divedere, al for che dopo averdiviſato ſecondo fua poſſa a che debba il medico riguardare per dovere acconciamente i ſalaſſi , e le purganti medicine adoperare , maſſimamente nelle feb bri peſtilenzioſe , e maligne : alla per fine avviſando egli la vanità de'ſuoi diviſaınenti, e dimentito della certezza della medicina razionale , non altrimenti , che ſe volgare impi rico e' fi foffe , conſiglia imedicifuoi ſeguaci, che ſi laſci. no ſolamente in ciò alla ſperienza guidare . In his cafibus , ſon fue parole, prater medicicujuſque privatum judiciums; experientia potiffimam mededi rationem fuppeditat ; cã enim hæ febres primo graffantur,finguli ferèfingula tētăt remedia : diex eorum fuccesſibus una collatis facilè edifcitur , qua li demum methodo innitendum erit , donec ultimo crebro ten tamine , feu tranſeuntiuin veftigiis via quafi regia , « Lata Del Sig .Lionardo di Capoa 447 ád bujuſmodi affectuum rationem texitur, variiſque obſerva tionibus , monitiſquemunita , Or quinci manifeſtainente comprēder puoſli quanto po co egli affidato nel fuo fiſtema di medicina, il tutto nel ſens; no , e nell'intendimento de'mediciavveduti roveſciaſſe, giu dicando non eſſer rimedio cotanto certo , di cui noi poffil mo vivere a ſicuranza. Ma non ſi dec egli nondimeno privar della meritata lo de il Villiſio , per eſſes e' ſtato certamente il primiero tra' Chimicimedicanti,ch'abbia avuto ardimento , rendendo giuſta ogniſua poſſa cagioni veriſimili di tutte le coſe , di fabbricar un ordinato ſiſtema di medicina razionale, e ſopra tutto per quelbel libro , ch'ei compoſe della Farmaceutica razionale ; ove egli s'ingegna di dar ragione dell'operazio ni tutte , che ſi fanno ne'corpi umani dalle medicine. Ma non già egli però, come par,chemillanti con queſte paroleg. Spartam hanc fcilicet operationis pharmaceutice Ætiologiam , prius fere intactam , fi nunc temere agreflus, non dignefatis abfoluero , veniam utcunque merebor , quia terram non modo: incognitam ,fed , GvaldeSalebrofam ,&quafi labyrintheam peragrare. incumbebat , fù’l priino aqueſta opera ; poichè il Paracelſo , e l'Elmonte , ſopra i diviſamenti de'quali áp-, poggia tutta la ſua machina il Villiſio , ne trattarono , tut tochè non ordinatamente aſſai n'aveffero eglino favellato Ma ne a queſti , nc al Villiſio , per non aver eglino conſide rata innanzi tratto , e riandata con diligenza la natura del la coſa , cioè que’principi primi , ondederivano immedia tamente le operazioni de'medicamenti, riuſcì il-finir una sì commendevoleimpreſa , con quellafelicità , che le avca no eglino dato principio. Malaſciando dipiù ragionar del Villiſio, e del ſuo liſte ma, a quel di Franceſco delle Boe Silvio trapaſſeremo;egli fin da primi anni il Silvio , licome di lui narra Luca: Schache negli ſtudi d'Ariſtotele , e di Galieno involto, do po lungo tempo a ciò logorato, veggendo alla fine , la Chi mica di que' tempi a grandiſſima altezza ſormontata per le maraviglioſe cure dell'incomparabile Giovan Batrifta El mon 448 Ragionamento Sefto monte , di cui ſopra è detto , a quella apparare con tutto il ſuo intendimento , e con non ordinaria fatica ſi rivolſe; e conoſciuti i grandillimi errori, e ſconcezze delle volgári dottrine , per non dovervender la ſua ſcienza a minuto, ne? più ſaldi ſtudi delle buone arti sì , e tanto innoltroffi , cher grandiſſimo, e famoſo ne divenne: e di molte , e laudcvoli conoſcenze arricchito miſeſi a diſcorrere pergli ſtrabocche voli campi della medicina. Ma ſicome ardito ,e poco cſper co Nocchiere , avvegnachè di ſarte , di - gomene , di ve le , di boffolo , e di tutto ciò , ch'a ben corredata nave fac cia meſtiere , ſufficientemente ſia fornito : impertanto per nuovi , e nonconoſciuti mari navigando, no ſappiendo egli poi ben quelli adoperare , miſerevolmente inghiottito vi muore ; così il Silvio , comechè dibuona filoſofia,per quel ch'e' medeſimo dice : e di non ordinaria medicina fornito , non però dimeno non ſappiendo egli quelle adoperare,ſcó- - ciamente fallovvi , e quaſi nocchier mal pratico negli alti maroſi del ſuo meſtiere appena ſciogliendo, fortunolamen te annego . Ma potrebbe alcun recare in dubbio , ſe ſcor ro in filoſofia si bene il Silvio si foffe veramente itato , co me eglinevuoi dare a divedere ; e nelvero per quel che comprender poſſiamo dalle fue opere , egli ſembra, che no molto addentro e' la ſpiaſſe , comechè una fiata dalla ra dezza , che adopera il fuoco ne'corpi,cgli argomēri le parci celle di quello effer piramidali; non però di meno egli po co conoſcendoſi eſſer profittato nella buona filoſofia , co mechè ,i per quel, ch'e'nedica , trentatrè anni continuo in appararla e' ci aveſſe logorati , proteſtando le ſue dappocaggini , manifeſtamente dice : optabile foret naturalium rerum principia vera , eorundemque numerum certum , qualitates legitimas via,methodoq ; mathematicis demõltrari. Ma nella medicina razionale più alquanto egli ardimé toſo , volle il ſuo ſiſtema diviſarne , dicendo tre umori prin cipali eſſer ne'corpi degli animali: cioè il ſucco pancreatico, la collera , e la flemma; i quali nel ſottile inteſtino adunā. doli inſieme, e meſcolandoli, quell'umor poicompongano, che da lui è detto triumvirale ; che il ſucco pancreatico di 1 1 1 2 0 1.111 DelSigLionardo diCapoa. 449 ſangue , edi ſpiriti animali dentro al pancrea s'ingenere quindi agli inteſtini per la celebre 'doccia del Virfungio diſcorra ; chela collera ſi formi di ſangue dentro alla ve ſcica del fiele ; e che ſia ella abbondevole aſſai diſale ama ro , e volante , e comee'dice, liffiviale , da poča acqua foo Luto : in cui alquanto d'olio, e di volante ſpirito anche s'av viſi; che la flemma ſi crii della ſaliva , la qualdegli ſpiriti animali , e della più ſalda , e tenace parte del ſangue com pofta , dalle glandole delle maſcelle per le docce , che falia vali diconft, alla bocca trapeli , e continuo tranghiorten doſi dentro allo ſtomaco diſcenda : e quivi le ſue tuniches ainmorbidando digeſtiſca i cibi; quindiallinteſtino fottilc pianamente trapelando ivi s'accolga,c per la più gran par te dimori . Venir la flemma di molta acqua, e di poco fpi rito aceroſo , e volante se dipochiſſimo olio, e ſale lillavia le compoſta ; perchèin quella una gran virtù formentantea ritrovarſi; il ſucco pancreatico ingenerarſi degli ſpiriti ani mali, e del ſanguenel pancrea: e che fia eglialquanto ace toſo : ne dalla flemmadiffomigliante , ſe non ſe più alqua to ſottile ; che ſi tragittiegli perlo canal del Virſungio al fotcile inteſtino , la dovenel meſcolarſi ch'egli fa colla collera , perla contraria diſpoſizione dell'amaro di quella , edell'acetofodi eſſo,a riſvegliàr fi venga un cotal bollimé to , per lo quale la parte più groſſa , e limacciola ſi ſeparije queſta giù per gl'inteſtini s'avvalli : e quella per le venes lattce diſcorrendo al cuore aggiugna ; e la flemma anco ra nel fuo ribolliméto fi ſolva: e che la parte ſua più diſcor rente , e ſottile inſieme colla maggior parte della collora, e del fucco pancreatico traſcorrano parimente al cuore : ove la fermezza, e’lcompimento deano al ſangue; e'l lor rima nente diſcendendo giù per gl’inteſtini groili , e alle fecces! meſcolandoſi , quelle maggiormente colorate , e tenaci ré. dere , Cosìavendo formato con queſti tre ſoli umori il fi ftema tutto della ſua medicina il Silvio , dal guaſtamento, e perturbazione di effi vuol , che tutte le febbri dirivino ; concioſliecoſachè ritrovandoſi talvolta per qualche cagio ne il pancrea oppilaco , quivi il pancreatico fucco oltre all' LII uſa : 450 RagionamentoSefto ùfaço dimorando , maggiormente acetoſo divenga , e mor: dace ; perchè egli poi faccia negl'inteſtini un bollimento grande, c ſtrabocchevole aſſai più dell'uſato : e naſcerne la febbre , qualdicono intermittente . E ſe quella parte della collora , della flemma , c del ſucco pancreatico , la quale al cuor ſi tragetta , non ſia ben condizionata, ella nel deltro ventricolo di quello un'altro diverſo ribolliméto riſ veglj , e le contine febbri cagioni . Ma troppo lungo fa rebbe il voler qui raccontare comedal rimeſcolamento di tutti , e tre queſtiumori vuole il Silvio , che ciafcuna maa , lattia ne*corpi umani s'ingeneri. Io non ſaprei lo di leggier narrare quante miſchie, quan te conteſe , eriotte abbia riſvegliate infra' medici un cosi ftrano ſiſtema , così vivendo il Silvio , come anche dopo ſua morte ; ma lo diciò non curando al preſente , folamente per quanto a mio propoſito s'appartiene , dico eſſer vera mente ingegnoſo , claudevoleil diviſamento del Silvio , e quale appunto a un cotanto valent'huomo conveniya ; ma perciocchè egli tutto grazioſamente afferma ſenza nium pruova fare delle ſue ſtranezze farà quello da dircertamēte una ben compoſta novella per tener a bada con ſue ciarle l'ignoranza del vulgo, e preffo quello accattar titolo di va lorofo filoſofante ;machi ſpia più addentro , non veggen do comepoffano effer tali quei tre umori, quali e' glide fcrive , ecome poffano aver poſlanza di cagionare i bolli menti , e le febbri, e tutt'altre malattie, che egli racconti, poco certamente a capitale il ciene . Anzi radillime volte nella flemma, e nel ſucco pancreatico l'acetofità egli avvi far ſi puore; ſenzachè nel pancrea non ſi è giammai per al cuno acetofità , ne poca , nemolta avvifara: e pure dovreb be ad ognora quella trovarviſi, le nel Pancrea s’ingeneraf fe , e s'accoglieffe veramenteil fucco acetofo ; perchè ra de volte ancora quel bollimento , ch'egli immagina ,negli inteſtini da quelli riſvegliar puoſli ; anzi è egli imposſibi le , che per l'acetoſità il bollimento avvegna : ficome per pruova veggiamo , che il liquor del fiele collo ſpirito del vitriolo, o delſale , o con altro acetoſo umore meſcolato ri bolla: DelSig. Lionardodi Capoa 451 bolla : che che in contrario fi dica Olaaldo Crollio , da cui peravventura ciò apparò il Silvio : il qual contendendo co tro la manifeſta ſperienza , ne vuol dare adivedere , chelo ſpirito del vitriolo a ſtomaco , cheabboudi in collera ,bol Jimento cagioni. Maſenza fallo egli di gran lunga s'aggi , 1.3 il Silvio a dir , che gli ſpiriti animali ſiano aceroſi ; per ciocchè, fe ciò foffe , inervicontinudrattratti , e in malei Itato ne ſarebbono : ſappicndo ben ciaſcuno , che l'acctori tà , ſicomc (triguente , e lazza, e pugnereccia , a’nerviol tremodo contraria , e nimica fia . Ma chela ſaliva allo ſmaltimento de'cibinelnostro ſton macobaltevol fia , comechè ella pur gli ſia diqualche gio vamento , chiunque al maraviglioſo artificio del digeſtimé. to non abbia poſtomente, potrà folamente crederlo . E ſopra tutto è da maravigliare di ciò ch'e dice delle febbri intermittenti ; perciocchè ſe quelle dall'acetofità fi cagionalſero, ſenza dubbiogl'Ipocondriaciad ognorafi vch drebbono , e terzane , e quartane patire; poichè in loro fo pra tutti il ſucco delPancrea , ficome anche il medeſimo Silvio confefla , oltremodo acetoſo s'avviſa . Ma riſerbando a più agiato tempo sifatte conſiderazio ni : ciò che toglie maggiormente l'eſſere razionalmedico al Silvio , e'l fiſtemadilui manda a terra , fiè , che egli trasa dando le fondamenta , a niuna cura prende l'inveſtigar la natura di quelle prime ſoſtanze de Chimici, ſule quali egli fonda la fua medicina. Mache che Gadella ſua filoſofia , il modo certamente del ſuo medicare , comechèpovero , e manchevole degli arcani dell'Elmonte , e del Paracelſo , non poco dee effer commendato ; perciocchè egli usò le volgarichimicheme. dicine , e masſimamente l'alloppiate connon ordinaria fe licità ,, e pregiodel ſuo nome ; fe non ſe quanto egli preſtò alle purgagioni troppa credenza : ele pole talora in opera , ove in tutto , e pertutto diſconvenivano : avvegnachè pur guardingo, e ritrofo alquantoegli ſtato ne foſſe . E come chè cgli dicoloro , che così volonteroſi ſono a ſegnare, só mamente ſi biaſimaffe, non però di meno per non dipartir LIT 2 ſi dall' 452 3. Ragionamento Sesto folo può contrariare almale . Oltre a queſto la formentl fidall'uſo comune , andò a bello ſtudio accattando cagioni di ſegnare ancornelle febbriintermittenti: ove egli affer ma non aver luogo niuno il fataſlo.Immagina poi egli , che faccia luogo il ſegnare nelle febbri finoche,acciocchèilsā gue ſtrabocchevolmente radificato non rompa i vaſi ,o fac cia qualche altro gran male ; non avviſando , che con altri ficuriargomenti , quandociòpur s'aveſſea temere , dar vi fi può compenſo , ſenza tor via , col trar ſangue, ciò che zione,tutto che grande, nel fangue,non li dee con -iſpogliar lo della ſua vital ſoſtanza impedire, poichè per quella ſteſ ſa formentazione, grande eccitandoſi , o fenfibile , o inſen fibile vacủazione , fi difcaccian fuori del corpo le cagioni delle malattie , il che s'impediſce certamente col ſegnare. Dopo il Silvio ,mi ſi fa davanti Lazaro Meffonieri, il qua le troppo libero , coltre alconvenevole ardito , imprende a determinar delle più ardue', epiù ripoſte quiſtioni, di cui piatiſfer mai con lungo ſtudio ifilolofanti . Primieramente egli ſtabiliſce effer principidelle coſe il mercurio , il fales , e'l folfo , e dice quefti , licome in cotante arche , o matrici contenerſi negli elementi ; i quali ſecondo l'avviſo di lui, fon quattro :cioè il fuoco, efficiente cagion di tutte altre coſe , in cui niun principio egli v'alloga ; l'aere , in cui ri fiede il mercurio ;l'acqua , ove ſtanzia il fale ; e la terra in cui dimora il ſolfo . Il fuoco ond'ogni altro elemental mo to deriva , vien dal folto ajutato , ed eccitato dal mercu rio ; e ſue proprietà ſono il dar movimento al mercurio , il riſplendere , il riſcaldare , l'attrarre a fc le cofe oleaginoſe, e Peſſere attutato dall'acqua ; l'aria colfuo mercurio fa fare a ſegno il fuoco ; il mercurio è un certo ſpirito aeree , il qual coagula l'acqua , e'l fal volante rappiglia , e che afo fai bene col fuo ſal fiſſo s’uniſce ,ed al ſolfo cótraſta .Dimo ra ilmercurio ne'luoghi piùdalle vie del ſole rimoti, fico me ſono amendue i poli;l'acqua tiene una ftrettiſſima ami, ſtà col ſale , e nimiſtà grande allo incontro poi colſolfo . La terra opprimeilfuoco, e quanto ella è del ſolfo amica, altrettanto ſi moſtra nimica del fale . Indi Del Sig.Lionardo di Capod . 453 , 0 Indideltemperamento il Meſonieri vegnendo a favel lare , così ne divifa : il temperamento è un'armonia delles quattro prime qualità, avvegnente dalmeſcolamento de gli clementi, e de’naturali principj:( Delle qualità , che gli elementi compongono , due ne ſono attive , e due paſſive: attive ſono il calore , e la freddezza , paflive l'umidità , e la ſiccità . Tre coſe vihan nell'univerſo manifeſtamente calde , il ſole nelmondo celeſte , il fuoco nel mondo ele, mentale , e lo ſpirito vitale nelmondo animale , e tre allo incontro manifeſtamente fredde , la Luna , il mercurio , lo ſpirito animale . Alcune ſtelle divantaggio vi han nelmo do celeſte ,dilornatura calde , e altre freddo , ma occulta mente ; e altresì nel mondo elementale altre coſe calde fredde , macelatamente , o accidentalmente ſi trovano : umidifſime ſoſtanze fon da per ſe l'acqua, e l'olio ; ſecchiſ fime la terra , e'l fale . Maicorpimiſti divengono umidi,o ſecchi , allor che conalcuna delle già dette coſe 's accop piano . Le ſeconde qualità daglielementi, e da principi naturali variamente fra eſfo loro meſcolati dirivano . I 12 pori ditutte coſe naſcon dal ſale, gli odori dal folfo , lam durezza dalla terra , e dal fale : la mollezza , e tenerezza , dall'acqua. Ed ecco in brevei lunghi diviſamenti del Mel fonieri ridotti:ne'quali egli nel vero indarno tenta diridur re in un corpo folo , membra cotanto fra effo lor diſcorda ti, che non poffono a niuna guiſa acconciarfi. E quinci ſcorger puoli, che quantunque egli molto ſtelle in fu l'av vifo pernon laſciarſi trarre, e cader col yulgo de filoſofan ti in errore; pur nondimeno non potè affatto obliar le ſcon ce , e falſe opinioni , che cotanto tempo han tenuto maga gnate le ſcuole; le quali ' , come faggiamente,il Verulamio avviſa : Elementorum commentum , quod avide à medicis acceptum , quatuor complexionum , quatuor humorum, qua juor primarum qualitatum conjugationes poft fe traxit , tan quam malignum aliquod , infauftum fidus infinitam , & medicine ,nec non compluribus mechanicis rebusfterilitatem attuliſje, Maciò che egli poivi aggiugne del ſuo il Meſfonieri, in tut 454 Ragionamento Sefto curto ,e pertutto inverigmile fembri ; ficomcè il dir; che il mercurio freddiffima, emobiliffimafortazaſi ſia ;e che ſte colà ne paeſi al polo vicinijed alorcedaltre sì fatte fanfalu che', che lo non mi do briga diriferire , per non logorare fuor di propoſito il tempo . Mada tanti , e sì varj,e sìftra ni ſuoi arzigogoli, nonmai vien fatto alMeſfooieri di co glier coſa che vaglia a dar ragione di quelle apparenze,ché tutto dì nel grande, e nel picciolo li fan vedere.i ': Vuole oltre a queſto il Meffonieri, che di tutte l'azioni del noſtro corpo ſien cagione gli ſpiriti animali, e vitali; lo fpirito animale, dic'egli,è della natura del mercurio , aereos freddiffimo , e dalcervello perlinervi, e perle membrane penetra, e fa il ſentimento , ed ogn'altra azione animales; fi nutriſce della ſalſa , e acquola parte del ſangue ; lo ſpiri to vitale è della natura del fuoco, ed egli è il primo a muo vere , e a far impeto nel corpo, e a ſuegliar lo ſpirito anima lé , il quale da per ſeimmobile,e privo di ſentimento farebo be ; tragittaſi dal cuore perle vene , e per le arterie infieme col ſangue, e forma i dibattimenti de'polli. Nell'uniones d'amendue queſti ſpiriti conſiſte la vita dell'huomo, e nella ſeparazione, perlo coptrário ,la morte . Maconcedaſi, che dal ver lontano non ſia ciò, che divi ſa il Meffonieri,vorrei fapere, onde argomenti egli eſſere lo ſpirito animale freddiffimo, ed immobile, e participar del la natura di quel mercurio aereo da lui ſognato , e paſcerfin. enudricarſi del fale foluto dall'acquoſa parte del ſangue ; e come parimenté egli provar poſſa aver lo ſpirito vitale na tura di fuoco , e dar lui il moto , e'l vigore allo ſpirito ani male . Ma formentandoſi continuo il ſangue nel corpo dell'huomo , e comunicando egli ſempremai più , ome no calore a cucce le parti delcorpo , come , e dove por trà mai l'animale ípirito olcremodo freddo , e inmo bile ingenerarſi ? Coavien parimcnte poi , che'l Mcf ſonieri ci additi il modo , col quale s’uniſcano fralo ro , el diſuniſcano si farciſpiriti ; e altresì , che ſaper egli cifaccia , onde avvenga ,che'l caldo eſtremo dello ſpirito yitale non difrugga, e diſlipi lo ſpirito animale ; ccoine al lo in DelSig. Lionardo di Capoa. 455 lo incontro l'ecceſſivo freddo dello ſpirito animale non am morzi , ed eſtingua lo ſpirito vitale . Laſcio di narrare,quanto il Meffonieri nell'aſſegnare gli uficj alle parti del corpo umano , vada ſovente errato ; e quanto egli poco felicemente lt vaglia (non riconoſcendo Je tali ) d'alcune falſe opinioni di Galieno ; ma accennerò fol tanto ciò che follemente va diviſando dietro allo in generarſi delle malattie: dicendo , che qualor l'azione dell' animale , o del vitale ſpirito ſia impedita , gli huominiven gano damaloritravagliati ; sì che le malattie propriamen te favellando fien tutte negli ſpiriti, e meno propriamente poi negli humori, e nelle altre parti delcorpo ; e la cura delle malattie tutte in altro non conſiſtere , ſalvo che in tor via quelle cofe , che impediſcono l'azioni degli ſpiriti je conchiuder , che tutto ciò con cinque generazioni ſole di medicamenti fare agevolmente ſi poſſa. Ma a queſti , cad altri diviſamenti, ch'egli poſcia produ ce in mezzo in facendo parole delle particolari malattie,no fa certamente luogo d'argomenti per moſtrargli fall . Fi, nalmente la maniera delmedicare del Meſfonieriaſſai roz za nel vero , e materiale effer ſi vede . Ma poichè da uno in un altro ſiſtema paſſando fin quì lią giunti lo non voglio trafandar tacitaméte Franceſco Mea. ra celebre medicante nell'Ibernia . Fu coſtui della ſchiera deGalieniſtiin prima : ma avviſando egli poi quanto all'o pera del medicinare mal veniffero ad huopo le vane ciance di Galieno , impreſe a metter fuori un'altro ſiſtema di ra zional medicina ; nel quale egli fu tutto inteſo ad accozza. re inſieme le dottrine di Galieno con quelle di Paracelſo, in quella ftrana guiſa appunto , che pittor farebbe, ſe mai te Ita umana fopra un collo di cavallo tutto coperto di penne di varj, augelli e dipigner voleſſe . Forte egli rimproccia tutti coloro che ichimici principj ofano dinegare: cô que fte parole . Et miror profecto qua fronte quiſquam experien tia Scientia omnis , & cognitionis inventrici) repugnare prefumat , nifi pro ratione fufficiat , multos pudere , cos pige me quiequam denovo admittere , quod confirmat& eorum upi niuni 456 Ragionamento Sefto nioni adverfetur , à quo ne látum quidem unguem recedere Suftinent , ne prius non recte fapuille videantur: multos taria ta cum fatuitate , ne dicam Idololatria, Hippocratem , Ari ftotelem ; aGalenum venerari videas ,utquicquid ab illis non dictum , non dicendum , quicquid abillis incognitum , no cognofcendum putent; e molto appreffo fi briga in moſtrar , che in natura v'abbiano sì fatti principj; sì veramente però, che non debba a crederſi , che ſian primi ; imperocchèegli vuole , che della materia ,della forma, e della privazione i quattro elementiſi formino , c'di queſti facciali il ſale , il ſolfo , e'l mercurio , che ſon terzi principi; i quali finalmél te col vario accozzamento loro , quanto v'hanell'univerſo coinpongano , Ed ecco , ſecondo lui , onde formanſi le parti ſalde, e di. ſcorrenti del corpo umano: e particolarmēte i quattro umo ri di Galieno ; ne’quali , allor , che il ſale , il ſolfo, e'l mer curio ſtan così bene adattati , che non vengano fra ello lo ro a tetizone , n'avviene la ſanità , e per contrario lemalat tie . Diviſa egli , ſecondo l'avviſo dechimici, lungamente de'ſali ; dicendo , che altri ſe ne ravviſano nella flenna ſas lata , come è il fal comune , e'l ſalgemma; altri nella flem ma acetofa , e in cerca fpecie di malinconia parimente acç. tofa , come è il ſale armoniaco ; e così ancora diſcorre ra gionando degli altri ſali , che ſono negli altri umori . Vna sì fatta dottrina fu introdotta primieramente nelle fcuole per alcuni ſeguaci del Paracelſo;immaginado eglino con ciòfare ,che celtaſſero le perſecuzioni chelor faceano i Galieniſtis ma lor non venne fatto il diſegno ; anzi , come in tute gare civili avvenir ſuole, cui non voglia ad alcuna delle fazioni attenerſi, eglino divennero d'ambedue le par ti nimici ; e come alga , o ondamarina , che da'contrarjvé . ti ſia , or quinci , orquindi agitati, così l'opinioni di coſto ro furono da'Paraceláſti, e daGalieniſticótraſtate . Il per chè anche noi ſenza quì intertenerci immaginamo, che da quel , che di Galieno , e di Paracelſo addietro abbiam di: viſato , rimanga ilſiſtema del Meara baſtantemente impu gnato ; imperocchè, ſe ne con gli elementi , ne co’principi chi Del Sig.Lionardo di Capoa 457 1 1 chimici poſſono i varj avvenimenti del corpo umano fpię garfi : di ſeguente è da dir , che ove ancor vero foſſe (il che non potrebbe a niun modo concederſi)che i princpj chimi ci daglielementi ſi formino, ne men coſa , che monti una frullo Gi farebbe mai a pro della medicina ſcoperta. Quanto nocimto recar poſſa a ben filoſofare il non eſser l'huomo'da prima indirizzato per diritta via , il ci fa mani feftaméte vedere Frāceſco Gliſſonio ;il quale comechè d'ala tiffimo intendimento fornito , e nella notomia , e in alte cofe alla medicina appartenenti oltremodo avanzato fi foſ: fe ; impertanto non ſeppe egli sì , e tanco ſchivare le ſcom ee opinioni nella gioventù appreſe , che intriſo alquanto, e guaſto non ne rimaneſle. E ben ne diè egli manifcfti ſegni nel ſuo ſiſtema di razional medicina , allor che veriſſimo giudicando il diviſamétode'Chimici dictro a’principj del le coſe naturali ,vuol , che il mercurio , o ſia lo ſpirito , e l'olio , c'l ſale , ela flemma , e'l capo morto , o terra dan nata fian l’ultime particelle, nelle quali le coſe o per ingen gno , o per induſtria umana folver li poſſano. Ma dicia avendo lo altrovci miei ſentimenti paleſati, qon fa luogo al preſente , che lo di vantaggio ncragioni. Credeegli accordar queſte cinque ſoltanze con gli ele menti d'Ariftotele, dicendo l'elemento del fuoco allo ſpiri to riſpondere , e quello dell'aria all'olio , e quel dell'acquz alla flemma , a quel della terra alla terra dannata, e allale. Ma in buona fe ,Signori ,chi non avviſa , che'l fuoco non abbia punto che fare col mercurio il quale comechè foco siliflimo ſia , e che le particelle , che'l compongono lian , piccioliffime', nonſono però elle tali, che tutte quelle ope razioni, chedalfuoco naſcer veggiamo, adoperar poſla ao . E ne men certamente l'olio potrà mai quella attegné. za coll'aria avere , la qual peravventura immagina il Glif fonio ; perciocchè l'aria , comechè diſcorrevole , c vagas oltremodo ſia , non è perciò umida, ne ad accenderſi,o bru , ciare acconcia , Ma avvegnachè l'acqua alla flemma ſia pure in qualche parte conforme: che compenſo prenderà egli il Gliſſonio a voler duc diverſillims cofs , quali ſono il Mmm file, 1 4384 Ragionamento Seſto . slaai Cáte jela terra dannata , porre d'accorto , e far ch'una coſt fola , e un ſolo elemento elle fiano E fe pur v'ha infra loro qualche attegnenza , nondimeno fallò egli no poco Ari ſtotele a porre quattro , e non più toſto cinque elementi, e principj delle coſe ; perchè ſcompigliata', e ſconvolta ner diviene oltremodo la filoſofia d'Ariftotcle : la qual folle mente il Gliſſonio con quella del Paracelſo ſi ſtudia di ri conciare . Ma ſufficienti non parendo si fatti principj al Gliſſonio a falvar l'apparenze della natura, egli in luogo di ſpiar ſottile mente,ſicome far doveva,i vcri principj onde fiicópongono quelli , al Paracello , e all'Elmonte per dappocaggine ſi ri fugge, e togliendo da foro ciò , cheeſli degli Archei mil lantando dicono : e giugnédovi di vantaggio molte altres fraſche del ſuo , ſcioccamente con si fatti ripari di riſtorar la ſua cadente Gloſofia s'argomenta : dandone apertamente a divedere con quanto poco ſenno imbolato egli aveſſe il piggior di que’libri di que'valent huomini','tralandando d ? altra parte coranti buoni , e pregiatiſſimi diviſamemi , chę coloro in altre coſe,e fpezialmente intorno alla via da do ver curar gl'infermi han laſciati Almondo , che giacea pien d'alto errore.". Dice adunque il Gliffonio eſſer l'Archeo un cotale ſpi rito reggicore , il qual negli ſpiriti di qualunque coſa,il.ca lor vitale , e attuale riſvegli: e muova, e rilievi tutte le cor loro facoltà natūrali : e altri ſoſtegna : e ciaſcuna natural parte dal corrompimento difenda : tenendola buona fperā. zagli fpiriti , iquali egli in feſta , e lietamente fa vivere . Quindi il Gliffonio le varie generazioni degli Archei di ftintamente va rapportando , ein prima quella dell'Archeo dell'uovo»; il qual primieramente eglidice , che habbia lo fpirito ſuo innato, il quale a tutt'altri elementi dell'uovo fi gnoreggi ; e oltre a ciò contenga ancora , ma ſol virtualmé te l'infiuffo vitale , e animale , e che fia ancora delle tre prime facoltà naturali fornito, le quali egli percipientes, appetente, e movente chiama , da una ſpezial diſpoſizione circonſcricte , c terminate . La facoltà percipiente , dicu , egli, DelSig :Lionardo diCapoa. 459 egli , che l'Idea dell'uovo , e quella ancor dell'animale dam ingenerarhi, o della pianta in ſe comprenda; imperciocchè l'Archeodi quelli , non ſolamente ſemedeſimo,e gli effer, ti , i quali egli può produrre , conoſce; ma l'idea ancora dell'animale, o della pianta ravviſa ; ſappiendo oltre a ciò il modo' ancora , e l'ordineditutta ſua formazione, e qual fa tempo acconcio a mandır avanti le ſue operazioni. La diſpoſizione della facoltà appetente compréde in ſe l'amor della natura rappreſentata per l'idea ,e una cotal brama di quella limitata , sìche ſoſpeſa reſti laſua potenza infino al sempo opportuno . E ultimamente, la diſpoſizione della faç coltà movēte porta con ſçco la ſua virtù formatrice, euna tanta operazione valevole , e acconcia , maches'indugi all'opportunità dell'attualeformentazione. Oltre a ciò vuole egli , che l'Archeo nell'uovo anche dopo l'eſſer fuoriquello uſcito dall'ovaja,ligato alquáto ję pigro nerimanga ; perciocchè le ſenza il conſiglio della chioccią , o d'altro ſomigliante ajuto la formentazion dello animale rentaſſc , ad infelice fine ogniſuo ſtudio riuſcireb be . Quindi egli alquante propoſizioni pertinenti alla na. tura di quello va ſpiegando, facendoſi a credere ſe averba ftantemente ogni ſuo diviſamento ſpiegato per gli avvifi dell'ingegnoſo Malpighinell'uovo. L'Archeo, dice egli,di tutto il corpo già formato è di tre maniere: naturale , vita le , e animale ; il primo in due ſole coſe è differente da quel ch'egli è già ſtato nell'uovo : l'una fiè , che egli in quello avca già ſolamente la forza d'operare: e poi nel corpo for mato, in atto già opera ; e l'altra ſi è, che al preſente egli in un caſamento già fabbricato abita , e dimora : al quale in , acto egli fignoreggia . Ha cgli due miniſtri generaliſciò for no l'Archeo vitale, e l'Archeo animale ; e oltre a coſtoro di diverfi altri particolari miniſtri egli è fornito , quali ſono ſenza dubbio gli Archei del fegato , de’polmoni, del ven tricolo , della matrice , e d'altre parti del corpo a qualche uficio dalla natura dell'animal ſorteggiate . L'Archeo vi tale , licoine il ſole è di tutto ciò, che la terra produce prin çipal cagione , così eglią tutte parti del corpo l'effetto iq Mmm 2 flui 460 Ragionamento Sejto fluiſce , comechè da le ſolo niuna coſa egli ſpecificar polfa. L'Archeo animale agli ſpiriti animali tutti è ſopraftante , i quali nel ſucco nutritivo abitano , e dimorano. E dalla perturbazione , e rimeſcolamento di coteſti Archei vuole egli , chele malattie tutte ne avvengano . Ma egli ſarebbe un logorar vanamente le parole , ſe fil filo annoverarc Io vorrei i diviſamenti tutti del Gliffonio intorno agli Archei . Dirò ſolamente apparer manifeſto , ch'egli in luogo di ſpiegar , ſicome egli intende, la natura degli Archei, il che traſandato a ſtudio venne dall’Elmon te , vie più oſcura , e inviluppata la rende . E doveva pure cgli avviſare , che di quelle cofe , che nonci ſono , ne eſſer poſſono , quantomaggiormente ſe ne favella , tanto men ſe i nedice ;ne ſi può ſenza maraviglia conſiderare, come uns sì ſottile, e avveduto notomiſta, qualſenza fallo ſi è il Glif ſonio , eſſendoſi ſottilmente argomentato d'inveſtigar con fua fatica anche le più merome bazzecole da altri poco curate , foffe poi sì vocolo , e traſcurato in ciò , che folle mente ammannare aveſſe potuto cotante ciuffole,e giunte rie , non meno a' ſentimenti, che alla ragion lontane. Ma non tanto del Gliffonio , quanto di tutti quali i va Ient huominiun tal fallo ſi è ſtato ; i qualiper aver più mi nutamente le maraviglioſe operazioni della naturaavviſa tc , diffidando per for manchezza d'inveſtirne le cagioni corporali, e far che da quelle tutte dipender poteffero ,fi rifuggirono a sì fatte fraîche , e ne compoſero cagioni fia tc , e favoloſe, onde natura . Diſdegnofa fen 'duole, e fene'ricbiama. Maſopra tutti in ciò è certamente da biaſimare il fallo del Gliffonio ; il qual manifeſtamente affermando , fe cfſer pago , e contento a ' principj chimici , e a que primicorpi , che coloro chiamano componenti , avvegnachè egli con felli poterſi più olere coll'intendimento procedere traſcor : se egli poi ſconciamente a favolar degli Archei , e sicon fondere , e invituppar la fua filoſofia con arzigogoli, non men vani , e ridevoli di quelli de'folleggianti peripatetici Ma DelSig.Lionardo di Capoa 401 Ma che è ciò , ch'egli dice de’pori di noitra buccia,negan do affatto quegli eſſerci mai ? c pur dice egli, che perquel la ſottiliſſimeloftanze fuor del noſtro corpo continuo tra pelino . La qual coſa nel vero cotanto ridevole fiè, quan to le pruove ancora ridevoli ſi ſono , leqnali egli ſciocca mente a ciò raffermar va cogliendo . Ma chi non iſmaſcel berebbe delle riſa in avviſare i forciliſfimi argomenti , co' quali ſi ſtudia , e s’affatica il Voffio giovane di fare in ciò le fue parti ? Tralaſcio a bello ſtudio , comeche aſſai vi ſarebbe da di re , ciò che egliintorno alle maniere di ſeparar le parti de corpimiſti ragiona · Solamente accennerò quanto egli di que’ſcioglimenti diviſa , i quali , ficome egli dice, avvengo no per congregationem , vel attractionem magneticam , fi ve fimilarem . E in prima va egli rapportando quelcomun proverbio: che'l ſomigliáte del ſuo fomigliante goduzquint di egli loggiugne , che ſicome gli animali dilettanli oltre modo di quelli della tor generazionc, così anche eſſer ra gionevole ad argomentardelle coſe, che nonabbiano ani ma; imperciocchè ciafcuna coſa del mondo per narurat tz Jento la confervazion di se difidera,la quale da’ſomiglianti avviene : e fugge il ſuo diſtruggimento', il quale per li ſuoi contrarj le incontra . Finalmente cglicoichiude: ex dictis conftat , quod per attractionem fimilarem , five magneticam intelligam.nempe alle &tationem , five incitamentum , quo cora pus naturale ad aliud fui fimile fertur. Ma qual coſa in buona fe più ſciocca, e ridevole può per travolto , e ſcempiatocervello immaginarfi giammaisquí to queſta del Gliffonio , il quale a cutte inſenſate foſtanze il conofcimento , e'l poterf a fua balìa muovere actribui ſce ? certamente fe di baona ragione voleva egli filoſofare, dovea pure avvifare ,che le cofe , che ſtanchete , e fenzów movimento , ſe già non fono animate, tali ſempre fe ne ſtao no , infin che per urto da altricorpi tocche, e fofpinte di fuo luogo non partano .Eſe non piace pure al Gliſſonio ciò , che naturalmente filoſofando ragionan que' valent' huomini , de qualiegli l'opinion rapporsa incorno all'an dar 402 Ragionamento Sefto 1 ! 1 1 i 1 dar del ferro alla calamita , doyea ben egli alcra più ragio nevol inaniera inveſtigare , onde ciò ayviene . Ma direbbő per avventura coloro iquali follemente avviſa il Gliſſonio aver con ſue ragioni abbattuti, infra l'altre coſe eller nella calamita una tale ordinanza di pori dirittamente dall'aſſe , il qual dicon magnetico , del quale eſcan continuo fuora particelle ſottiliſſime , e ſpiritali aſſai: e che ſian nel ferro i pori pieni di particellemagnetiche travoltę infra loro , inviluppate per maniera, che entrandovi le ſottiligime para ticelle fpiritali , che efcon fuora della calamita , faccian , l'uficio della formentazione riſvegliando in quelle il movi mento ; le quali poi movendo verſo il polo magnetico, dis rizzino , ci fianchidel ferro forte percuotano : e sì quello co’loro colpi innanzi {pingano ; ma nella calamita -ancora farſi un cotal rimeſcolamento di particelle ſpiritali , le qua. li urtano in eſſa , e ancor la ſpingono intanto , chevicende volmente incontro moyendo dagl' innumerabili corpice ciuoli d'entro ſoſpinti, corrano a cozzarſi. Ne ciò deves punto recár maraviglia , che la calamita ancorada ſua parte fi muoya , comeche più tarda, e lenta i perciocchè ſe nel acqua il ferro , e la calamita ſi pongano,da qualche legno o altrá ſomigliante leggiera ſoſtanza ſoſtenuti , intanto che ſopránocanti poſſano andarea gall.2 , ſcorgefi toſto il ferro notar verſo la calamita , e la calamita d'altra parte verſo il ferro . E ſe ciò pure non ſoddisfaceſſe al Gliſſonio a voler cotanta maraviglia ſpiegare , dovrebbeegli in alera, e altra maniera-la cagione di quella inveſtigare. Maad altro fac cendo paſſaggio, èegli ſommamente damaravigliar della troppo ſcimunita ſchiettezza del Gliſſonio ; perciocchè có tro i propjſentimenti talvolta alle comuni opinioni del vul. go laiciali ſcioccamente traportare : ficome,per tacer d'al tro, manifeſto avviſaſi in ciò che egli de'quattro volgari umori va ragionando; cioè;che con util grande della media cina un tal diviſamento rinvenuto foſſe : e che ragionevol mente damedici feguir debbafi , ficome loro molto pro fittevole , e acconcio a dover porre in opera le purgagioni, e altre ſorte di votamenti ; eche Galien d'altri diviſamengi degli DelSig. Lionardodi Capoa 403 1 degli umori infrămetterſi non volle , ficome poco utili alla medicina. Madi ciò egli toſto pētuto dice eſſervi un quin to umore, cioè a dire il ſucco nutricāte , il qual giudica egli effer soinmamente a ſaperſi neceſſario ,no che utile a chibe neje lodevolmente apparar voglia la medicina; e pure il fuo Galien di quello nulla ragiona, ne moftra certamente pun to ſaperſene. Ne è vero ciò, che egli millanta di Galieno, eſſer quello non poco commendevole per avere cotal divi ſamento da primaritrovato ; concioſliecoſachè poſto che loda pur nedoveſſe all'inventor ſeguire , certiſſima cofa . ſia , che la dottrina de’quattro umori molte centinaja d'an ni, anzi che Galien naſceſſe divulgata già foſſe nelle ſcuo le della medicina . Ma ſe il Gliſſonio intéder vuole di que. gli uinori, che in varie , e varie parti del corpo fan dimora, non mica già quattro , ne cinque, ma molti, e molti egli no ſono, de' quali alcuno non ſi è forſe ancora ſcoverto . Nelle vene, e nelle arterie poi non trovarſi queſti quattro umori, ſi è moſtro già ; ed i più ſcorti,e celebri fra'Galienia ftimedeſimil'han conoſciuto . Vn divifamento poi quaľ è quel di Galieno dietro agli umori, che non ſi da niuna cu . ra d'inveſtigar la natura delle coſe , non ſolamente utile niuno , ma danno graviſſimo alla medicina ha recato Maquanto al medicare , comechè ſcorto molto , eave veduto egli ſi moſtri il Gliffonio in conſiderando una fiata , che'l trar fangue nella Rachitide niun giovaméto rechi allo infermo;nonperò di meno non ardiſce eglia riprovare una sì biaſimcvolcoſtuma dagl'Impirici in Inghilterra , ficome cgli afferma , introdotta . Non propone egli medicamen to , che volgar non ſia; ne contento d'un ſol medicamento , molti e molti inutilmente nemeſcola inſieme non men che gli altri medicanti ſi facciano ;e in ciò ,per cacer d'altro, da egli manifeſtamente a divedere quanto mal fornito'lia d'efficaci, e valevoli medicine . E ciò baſti avere al preſen té del ſiſtema del Gliffonio accennato ; il qual per altro è certamente non poco da commendare ; maſſimamente per la ſomma, e maraviglioſa diligenza , e ſollecitudine da lui pſara nelle coſe dellanoromine Ma 464 Ragionamento Sefto Ma di troppo lungo tempo abbilognerei , fe lo voleli eſaminare i fiſtemi cutti dellamedicina dell'Ogelande, del Regio, del Moebbio , del Carlettone, delBartoli , e d'altri ſcrittori . A baſtanza potrà ciaſcuno in leggêdo le loro ope re da ſe fteſſo accorgerſi, che il più di loro poveri d'intendi mento , e ſcarſi di partito per quanto facica vi duraſſero ,ra de fiate han potuto dar paſſo ſenza la ſcorta d'altri ſetteg gianti,l'opinioni de'quali tutto cheda loroſtravolte,abbia mo noi a ſufficienza conſiderate ,e riandate ; e altri di loro , fra'quali il Tacchenio ,il Travagino,il Sualve,ilFlúdize'l Fo lio fon così groſſi , e materiali ne'loro diviſamenti, che non fa huopo ,che ſe ne abbia a far menzione alcuna particola re : Adunque chiaramente conoſccſi, che da que primi tempi, che ebbecominciamento la razional medicina lino a giorni noſtri,per quanta induſtria, e diligenza , che da'fi lolofanti antichi , emoderni vi ſi fia adoperata , e per qua te coſe per la morta , e per la vital notomia liaoſi nelle ani. mali , nelle minerali, e nelle vegetali ſoſtanze novellamen te ſcoverte , e per quantepruove , e ſperienze da'ſaggi, u avveduti medicanti in sì lungo proceſſo dicempo nelle cus te delle malattic fieno adoperace , non ſe n'è potuto giam mai rierar nulla di ſaldo a ſtabilir per cercano conoſcimer to, e per vera ragione dottrina niuna . Ma non dee ciò re car maraviglia a cui tanto , o quanto alle ragioni pongas mente ; per le quali , s’Io pur non vado errato,apercamen-, te conoſceſi quanto ad huom’malagevole , anzi impoffibile affatto riefca lo ftabilir luftema alcuno di razionalmedicin na; e ſe pure dalle preterite.coſe giudicar delli di quelle , che debbono avvenire, per tanti,e canti, che infelicemente, vi ſon naufragaci non mai ſi vedrà capitarne a ſalvamento ſeggettante alcuno; e ficome... Chi folca il lido perde l'opra , e'l tempo, così avverrà certamente a ciaſcun' altro , che tenterà una ſimile impreſa 3 ne potrafli così nel filolofare in medicina , comenell'adoperarla prometter ficuramente d'aggiugnere a ſaper la natura de'mali,e come, e perchè ne noftri corpi s'ingenerino, e come riparar vi ſi polia . Anzi, o infeliciflia condizione di noi mortali ! nel continuo ſu buglio, DelSig.Lionardo di Capoa. 405 buglio , e rimeſcolamento dellamedicinaper fatica , e di ligenza , che adoperata viſia , chi mai fin'ora avviſare ha potuto , che coſa ſia un piccioliſſimo catarro , che ne mo- . leſti? e . venne queſta veritàmolti, e molti ſecoli avanti co noſciuta per tacerdi Pitagora)da Empedocle ,da Acrone,da altri antichi filoſofáci:e da Platone, il quale della incertezza della medicina favellado ebbe a dire ήν δε καλούσε μενΙατζικής βοήθεια δε πε και αύτη χεδόν όσον ώρεψύχα καύμαπ ακαϊρα , και πάση τοίς τοιούτοις ληίζονταιτην των ζώον φύσιν , ευδοκιμον δε ουδέν τούτων είς αφίαντην αληθειάτην άμεσα γαρδόξοις φφάται τοπιζόμα. Venne altresìconoſciutaqueſta verità, oltre a Seſto Empirico , da Cornelio Celſo :allorche diſſe della medicina favellando : eft enim bęc ars conjecturalis ,neq ;ei refpondent,non folum có . jecture ſed nec etiã experientię per ; nulla diredel Cardi- : nal Cuſano, e d'aleri moderni. E a ciò ſenza fallo riguar dádo i più ſaggi, e ſcienziati popoli della Grecia, quali ve ramente fur gli Acenieſi: allor che maggiormente in Aten ne fioriva la filoſofia , e le buone letterc , traſcurarono la medicina , no facendone niun capitale , come ſi può vede re nel Pluto d'Ariſtofane Ούκούν ιατρον εισαγωγών έχρήν τινο Tis dñi iarsós ész vũv šv tñ wóriet ; .. Ούπ γας ο μιθος ουδέν έσ' , ούθ ' η τέχνη . . E dietro agli Atenieſi anche iRomani; i quali avveduti, c ſagaci in yotar dalla Grecia il copioſo teſoro di tutte le buone arti , e ſcienze, la medicina ſolamente d'imprender non curarono ; anzi dice Plinio : Populus Romanus neque 46- ; cipiendis artibus lentus : medicinæ etiam amicus: donec ex pertam damnavit ; e dagli Eccleſiaſtici ſcrittori vien anco l'uſo di sì fatto meſtiere ſommamente abborrito , e danna to; infra'quali il Balſamone Patriarca d'Antiochia così dela; le manchevolezze di quello avveduto, ne manifeſta: avve-, gnachè la medicina pur quella veramente fia, che produces © riſerba la ſalute ſecondo lo intendimento de laggi: non dimeno non può ella al ſuo fine aggiugnere; ed Arnobio;, Medici curătanimal humi natū , ut confisú fcientia veritate; fed in arte ſuſpicabilipofitum , conjecturarum eſtimationi bus nutans ; e'l medelimo ne ſcrive llidoro Pcluſiost : clo Nnn niin 1 406 Ragionamento Sesto migliantemente con molra vaghezza Stefano Veſcovo di Tornaja : Hippocratisin ebo Galeni diſcipulos , ut mihi confu lant conſulo : incerta famper ab iis oracula deportans, qui in vafevitreo coloris, & fubftantiæ peccata diſcernunt . Perchè 9. Chieſa , come l'apportaro Patriarca Balfamone ne nar ra,Puro, e'l meſtiet del medicare a fuoi Cherici interdiſſe : adunque , egli dice , non è certamente ragionevole , che il Sacerdote , oʻI Diacono , o altro qualunque Cherico tra fcurando un minifterio irrepréfibile, che già impreſe y oraw s'impieghi ad er meſtice mutevole, edubbioſo , e alfai fo vente fallace . E S. Bernardo volle, chei fuoi MonacidiS. Naftagia nelle loro malattie non fi ſerviſler: punto de' me dici ; al che riguardando per avventura Franceſco Petrarca huom di ſaldo, e intero giudicio,ſcrivédo a un ſuo amicogli diede queſto ſalutevol conſiglio : Nulla eft rectior ad falute via ,quă medico caruifje . E certamente, molto ben per mio avviſo venne conoſciuto al Petrarca ,quel che dopo lui avvi sò l'avvedutiſſimo Franceſco Berni , 2.4 . La medicina como fue erbe , e coſe diri Che fa ? caccia carote a tutti mali ..'.... Infin che l'huom perſempre fa ripoſe. Queſtofece ella al figlio d'un gran Rede noftri tempi ; il qualeavvedutofi de vaneggiamentidella medicina , alla fine fece boto scomedarra Giorgio Orni : Si Deus aliam prolem largiatur , nullo se ampliusmedico ufurum . E per ciò oltremodo fu ſaggio l'avvifo diquel profodo cd ampio pelago d'ogni più rara , ed antica doctrina Giuſeppe della Scála, il quale ricusò ,come narra Daniele Einlio ,ognicoſi glio de'medicāti nell'ultima fua inferinità ; ptaceredi quel gran filoſofante Franceſe; il qualecoll'altezza del ſuo inté. dimentoporè montar ſu la vetta del più belſapere; Io di co Michel diMontagna , che nelle ſue infermità rifiutò sê premai l'operade’medicanti : defichepoſcia valevoliflime's ragioni e' ci reca ne'ſuoibelliſſimi volumi. Neparmi qui da dovere trapaſſar lottó filenzio quel convenente di Do menico Sala , celebre lector di medicina nella famofiffima ſcuola di Padová ; il quale canto non potè tenerli, che alla fine , un giorno non apriffe a' fuoi fcolári quel che e' del la Del Sig.LionardadiCapoa. 467 la medicina ſentiva , inqueſta difinizione: Medicina ef ars * illudendimundum , &à qua totus mundusdelufus eft. La qual definizione porſe cagione a Rafael Carrara di chiarir, ſi affatto della vanità d'effa , di tralaſciarne l'eſercizio , e di cantare in quel ſuo giocoſo ſonetto Ben diſe quel grand'huom lettor primero Nela Città d'Antenore fondata , La medicina deve eſſer chiamaja Arte da mincbionar il mondo intero. Ma chealtrondegir richiedendoteſtimonianze di colo ro , che a faccia ſcoverta abbia la medicina guarata . Non folea Mario Zuccaro (a ciaſcun di noi ben conoſciuto ) no ſolea , dico , ſovente dire a' ſuoi ſcolari : miferi , ed infer lici noi , félmondo arrivale a faper maile,debolezze nofire , che ne meno ne poffiam promettere colla noſtra médicina d'a yere a guarir un picciolo carbõcello,certamēte chene cõverreh be apparar altro meſtiere ? E quinciè avvenuto poi,c'huomi ni d'acuto intédiméto , e di ſano giudicio, e di profondo fą. pere , e di nobil'animo forniti ,pulla abbian curato d’eſer citarla; infra i quali per tacer.canţi antichi diligenti inve ſtigatoridelle coſe , ſavj interpetri della natura , ed altri huomini inſigni dc'tempi noftri , lol faro menzione del no ſtro Col’Antonio Stigliola , riſtoratore della Pitagorica filoſofia : e di Gio; Alfonſo Borrelli chiaro , ed eccellente in ogni ſcienza . Anzi quinciè egli avvenuto , che i medeſimi razionali medici,i quali moſtrano che più diciaſcun'altro tengono a gran capitale la mcdicina , l'abbjan , nel maggior hyopo mcNain son çalere . Intorno allaqual coſa miricorda d'un medico infra’più venerandi di queſta noftra Città,ch'eſſen do non ha guari dell'ultimo ſuo male infermato, e vani veg gédo riųſcire,e ſenza pro gli argométituttidella ſua medi cina , diſperato alla fine miſeſi in mano d'un famoſo fpe -ziale ; ed eſſendoſicolui una volta rimaſodi viſitarlo, egli impaziente entro una carrozza fattoſi, un picciolo in atc raſſo allogare , comepotè il , inen male ; alla bottega delo ſpeziale andollene a richiamarſi agram ente della graſcura tezza dilui; cd avendogli par iſcurarſi colui detto : A voi Nnni 2 1012 468 Ragionamento Sefto 4 non fa meſtieri la mia opera , imperocchè quando vi foffe in grado porreſte avereil Sig. tale ( così un principaliffimo medico nominandogli, e di'lui amiciſimo) allora tutto crucciato l'infermo ripigliollo dicendo, io vo'da voi ſola mente effer medicato; e ſareiben folle , ſe volelli mettere in balia delle ciarle di lui la cura di mia ſalute . E dalla medelima incertezza della medicina avvien,che P lo più i medici, ſe'l vero avviſanomolti,e graviſſimi autori Sien così ingorda , e sì crudelcanaglia ; poichè non potêdo mercè della lor opera promettere alcu na coſa dicerto , abbiſogna loro , che alle giunterie , e alle frodi abbian ricorſo peraccattar lode,ed eſtimazione. Ne fon elleno mica nuove le loro aſtuzie : ma fino a'tempi di Galieno , per tacer de’più antichi , eran ſommamente in vi gore.E cui non è noto quel celebre diviſamento di Galicno, tolto per la più parte da Ippocrate, ov'egli mette nella via chi che ſi voglia , acciocchè buon medico divenga: in que. fta guiſa ? In primad'ogni altra cofa è da diviſar delle viſi tazioni de' medici ; perciocchè alcuniinfermi rade , e altri ſpeſſe volte deſiderano eſſer viſitati.Non dec egli il medico ove il malato riposādo dimora étrar facédo romore co'pie di , ſicome fanno alcuni; o alzando di ſoverchio la voce : acciocchè ſvegliato colui non abbia a lagnarli , che gli ſia rotto in teſta il ſonno . Ma i ragionamenti de'medici in al cuni ſono ſciocchi , e ſenza ſenno , ſicome per rapporto di Bacchio, d'un cotal Callinatte racconta Zeuſi: il quale ef fendo da un infermo domandato ,' ſe di ſua malattia morir doveffe , rifpofe con quelle parole , ει μή σε λητωκαλλίταις γά yato , e ad un altro infermo ſomigliantemente riſpoſe: Κατθανε και ΠάτροκλG- όπερ στο πολών αμάνων. Morio Patroclo ancor di tepiù degno. Oltre a queſto dee effer il medico affettatuzzo della per ſona , e grazioſo in entrando , e in ſedendoſi , acciocchè nó gli ſiano fatte le ſcherne ; ma non cotanto tronfio , e traco tato , ina mezzanamente grave , ſe non ſe per avventura amaffe meglio l'infermo vederlo alquanto modeſto , e umi le , o di ſoverchio altazzoſo . E ſomigliante dobbiam noi dire de’veſtimenti del medico , i quali ancoramezzanamé te deb 7 Del Sig.Lionardodi Capaa: 469 te debbono eſſer foggiati, ne cotanto ricchi, e nobili, che troppo tracorato il dimoftrino : ne cotanto ofcuri , eruſti cani, che il facciano poco a capital tenere dove egli ufaw ; ſe non ſe ancora agli infermi, otroppo ornati otroppo vie li piaceffero . Così anchela tonditura de'capelli eſfer dee a grado degliinferini, i quali egli medica ; perciocchè ins corte d'Antonino padredi Commodo,ciaſcun famiglio per imitar la coſtuma dello Imperadore , fino alla cuticagnato , devafi ; perchè Lucio chiamavagli tutti Mimi; e per con trario i famigli di Lucio lūghe,e belle chiome nudrivano. I medici ancora aver debbono l'unghie nette , e ben forbice; e fe per avventura putiffe loro il fiato , o le dicella , o tutta la perſona,a modo di becco , fpiacevole odore gittaſſe , fi debbon eglino d'odoriferi unguenti , od’acque nanfe for nire , prima che ad altri medicar fi preparino . Ma purvoleſſe Iddio , che queſti, e non altri foſſero i lo ro artificj; eglino di vantaggio ricorrono alle frodi, alle in vidie , alle maladizionije ed altre illecite ſtrade, acciocchè fopra gli altri avanzarfi poffano , e maggiormentein pre gio , e ſtima ſorinontare . Così vedeli , che un medicobia fima ; e danna i medicamenti dell'altro ; tutto che que'me deſimi ſiano , ch'egli appunto diviſati n'avrebbe , s’a lui foffe toccata in prima la volta. Al quale , ed anche pega gior misfatto non vergognoſli Aſclepiade di confortare i fuoi ſcolari , fe vogliam dar fede a Celio Aureliano che'l rapportascosìdilui dicendo . Primo etenim invidiosè jubet fi qua ante ipſum medicus adhibuit , repudianda . At fi non adbibuerit ,tuncprobanda , tanquamlegitimaputans ut hæc aliis adhibentibus noceant, ipfomedeantur . Earrab, biato ſeguace & Afclepiade moſtrolli il famoſo Gabriel Zerbi , allor , cheſcriffe : Medicus aliorum remedia ne lave det ,utſupra vulgaresfapere videatur ; e l'aſtioſo Teſſalo fpinſe l'Imperador Nerone a diſpregiar tutt'altri : rabies quadă ,comenarra Plinio, in omnisævi medicos perorans . E d'un tal medico ne narra il giuriſconſulto Alfeno : medicus libertus , quod pataret , fi libertiſui medicinam nonfacerevt, multo plures imperansesſibi habiturum , poftulabat , ut feques rentur 470. Ragionamento Sefto rentur fet ; netie opus facereni , Ed'un altro medico narra Calliodoro , che delbarbaro Tiranno Teodorico un sì fat, to privilegio iinpetraffe : inter faburis magiftros folusbabea, ris eximius : & omnesjudicio quo cedant , qui fe ambitiones maruzcontentionis.excruciant; eſto arbiterartis egregie ,e04 rumquediſtingue confli& us , quos judicare folusfolebat affe Etus. Or li potea penſarmai ſcimunitaggine maggiore di queſto maeſtro Scimmione? Egli aveva a ſedere a ſcrannaa giudicar le più intratriate quiftionidella natura, come ſe la medicina forſe arte da mattonar le ſtrade, a da far bambuc cj ; o comeſemonna Natura ſtata foſſe una maſſaja fante, ſcá, preſta a ſeguire icomandamenti del Sere . Ne è da die favolofa affatto la novella di que’medici , che per uggia ze mal talento guaſtarono , e atterrarono diſpetroſamente ; bagni di Pozzuoli ; e di que'ribaldi ancora , che il mede fimo ferono alle pregiatiſime acque medicinali della valle d'Anfánto , di cui ancor vive la famaappreſo que delpae ſe Irpino . Perchè ragionevolmente forte l'avvedutiſfuno Pietro d'Aponamorde, e sfregia il medico , chiamandolo talora : Invidie pelagus, derrationis organum , ambitionis perforatam clepſydram ;aliena veritatis contradictorem gar . rulum , propriæ ignorantia conftantiffimum defenforem , & inexcufabilem ægrorü neglecturē:c ancor faggiamente avvila il Magati colà ove fi lagna, che'l ſuo govello modo dime dicare non avrebbe trovato gran fatto ricevitori: da che no- sébrava di molto pro.aʼmedici,i qualimzi ſempre fono alla propia utilicà,e al vil guadagno intefi;foggiugnédocgli: denociniis, atque affentationibus , ut potentium gratia uti ad queftum poffint, facram medicinam fædare,c libiitfis æter nas infamiæ notasinurere nihili faciunt . E Giulio Celules della Scala nella fua poetica , de’medici parlando : turban, dice, videmus à primis literarü rudimentis continuo ſe ipſam eo fenomine venditantem , invidam , maledicam ; cbtrecta tricem ; novam ſpeciem cynicorum yavaram , temulentamus Supinam , ignavam fimul,asq ; ignaram . E GirolamoCar dano di finiſſimo giudicio ; e più che altri del meſtier della "incdicina intcndcnte , vuol ; che da eſa neceflarianente 5 avve Del Sig. Lionardo di Capoa 471 avvegna ,che taliticnoquei, chefeſercitaiio : medicina ! facit , ſono le ſue parole ,nonreruin memoris , fed verborü :1 callidos y verſatiles ingenio ;inuidos avaros ; idolofos , las boriofos , non ingeniofos , de minime graves s opus enim coni rúm , d exercitatio minusquam liberalis eft : e altrove pa rimente de medici avea detto: funt autem improbi fermèi omnes noftra ætate , adeò ut nihil pejus excogitari poffit . Perchè gli ftrolaghiallogando la medicina conſervatrices ſotto labalia del Toro , e di Venere , onde huom fi consi dace, per quel che eſſi dicono,ad ogni force d'impudicizitz e di diſonore : c la medicina curativa ſotto quella diMarte, edello Scorpione, fer gran fenno a dovere sì fatti fregj in veſtire, come ne diviſa il mentóvato Conciliatore ; il qua-> le ſoggiúgne , chedalle ſtelle medefime , onde venir ſuole l'eccellenza de’medici nel for meſtiere, vēga anche loro la malvagità de'coſtumi; perchè finalmente ei conchiude,um", eccellente , e perfetto médico nonpoter eſfere ſe non fer fcellerato huomo , e malvagio ; ed avvegáachè vani, efol li fien ſempremai da giudicare i cicaleccj.delfa ftrologia : è nondimenodacredere , chegl’intendenti dell'arte,ciò cut to a bella poſta fingeffero per adattár le coſtellazioni a quelle coſe , chetuttogiorno nel meſtier della medicina', e ne’profeſſori diquella s'offervano's Má chi mai ilmaltalento , e l'uggia demedicinarrar ba ftantemente potrebbe, e come ſtizzoſamente l'un l'altro tutt'ora ſi carminano , efimalmenano . Egli è coſa pur manifeſti a ciaſcuno l'avere gli aſtioſi medicidi Danimarca tracollato dalla grazia del loro Rè it benigniffimo ,e inge gnofifſimo Ticone della perduta ftronomia famoſiſſimo ri. ſtoratore , intanto , chegliene fư tolta l'Iſola , e la Rocca d'Vraniburgo , di cui egli era Signore : e sité tanto mara vigliofe operazioni', é ordignidella ſtronómia , ele nobi lißime chimiche fucine rovinarono , che appená oggi,non ſenza lagrime, fe neriſerba la memoria : E l'ombra foldi si gran corpo appare. Ma ſcelleraggine così grande di tradir nemichevolmente la patria , ſpogliandola di quello fplendentiffimo lume , non pur 1 472 Ragionamento Seſto $ . pur delSettentrione,madel mondo tutto , onde foſſe sõi moſſa a commetterla la cagneſcatabbia di que'ribaldi me dici, da cheIo non potrei ſenza lagrime narrarlo , dicalo in mia vece Pier Gaſſendi : Erant in his medici quidam , qui videntes non modo exDania , fed ex regionibus etiam cete ris maximam egrorum turbam ad Tychonem confugere, cu Spagyrica illiusremedia , quę quibuslibet gratis largiebatur expertifeliciter , ac morborumetiam valgo habitorum infa nabilium levamen fentire , livore inſigni cxardefcebant, cu quapotenant apud quoslibet,procereſquepotisſimum , quibus preftabant operam ,ipfius nomen traducebant, E o quanti ale tri eſempli della coſtoro invidia rapportar potrei, ſe non che troppo ne ſarei per andare alla lunga. Apollo crudca liſſimamente ucciſe il celebre medicante , e , pocta Lino , la qui inorte pianſero eziandio le genti barbare ; per lo che gli Egizi una flebile canzone ſopra tal convenente com poſero , appellato in lor lingua Emaneco , ci Greci Lino, la chiamarono . Ippocrate , comeſcrive Andrea antichiſe funo medico , inſidioſamente brụciò la nobile, e ricchiffima Libreria diGnido ; e quindi egli poi per tcina fuggiſli . A Quinto , medico famofiffimo , dice Galicno , fu meſtieri gombcrar Roma di prelente, per ceſſarele ribalderic d'al tri medici . E in Roina pure attoſſicato da’rivali luentura.. tamente moriffi un grandisſimo medico , come narra Gin lieno , ilquale anco di ſe narra , che egli fieramente perſe guitato yenne da parteggiantimedici di quel tempo. E per nulla dir quì delle occulte inſidie , c machinazioni, e delle trappole , e frodi ordinate dagli Arabi medicanti inverſo Avicenna , Avanzavarre , e Raſi : quai vili trattamenti nó fi ferono poi a Raimodo Lullio, ad Arnoldo da Villanova , a Pier d'Abbano , c ad altri molti letterati di vaglia, perli maligni medici di que' tempi? il dicano pure le fughe, gli elilj, le prigionie ; per tacer delle ſatire, dell'invettive del le falſità , delle tradigioni, onde que’valent huomini có punti oltremodo , e travagliati ne vennero; imperocchè di sì fatto memorie per la tralcutaggine degli ſcrittori di que tempi De Del Sig .Lionardodi Capod. 473 1 Debil aura di fama appena giugne. E laſciando da parte ftare, come coſa dinon tanto rilie ? vo , quanto i limiti dell'oneſtade oltre paſſafle in favellan do, é in iſcrivendo Maeſtro Gio : della Penna , ( chea 'di ſuoi con aura di grido popolare in queſta noſtra Città eſer citar fi vide la medicina , contro Maeſtro Frāceſco Zannel li; egli è ben certo , che più d'un buonno ſcienziato , e il. luſtre trafſe già a fondo l'ardente , e peftifera invidia di Maeſtro Dino dal Garbo medico Fiorentino . Ma quandº altri , e quanti nobili e illuſtri medici, oltre al Veſalio a mal partito menòla velenoſarabbia, e le cupide ambizioſe voglie di meſſer Giacomo Silvio ! collacui eſtrema aya rizia ſcherzando quelgran Poeta Scozzeſe finſe , che ſcola piti foſſero nella lapida della ſua ſepoltura i ſeguenti verke Sylvius bic fitus eft , gratis,qui nil dedis unquam , Mortuus , & gratis quod legis ifta,doles. Ma quali onteper Dio, o quali ingiurienon ſoftenner que! virtuoſi,che con eſfolui cócorrevano alla cura degl'infermi, dallamaladizione , e dall'altezzola , e sfrenata tracotanza delGalieniſta ineffer Frăceſco Rabalefio così reoze malva gio huomo,che d'accordo col Marotto motteggevol Poeta egliosò di gittar le prime födaméta dell'ercſia nella Frácia ? e da Michel Servetto , la cuiempietà era inteſa a rinovellar gli errori di Paolo da Samoſata , e di Marcello Ancirano : e dall'empia , e ſopraſtante arroganza di Giorgio Biandra ti , e di Franceſco Stancato pur esli Galieniſti;per opera di cui ribellando ſi fottraffe alla cattolica fede il giovanetto Principe Giovanni Sepuſio , e quindi ſen ? vennead infeſtar dell'Arianeſimo colla più parte dell'Ongaria la nobilisſima Proviácia tutta della Tranſilvania . E che non fe contro i poverimediciſuoi emoli la barbara fierezza di Giacomo da Carpi; il quale rinovando la lagrimevol carnificina d'E raſiſtrato , e d'Erofilo ,osò , come narra Paolo Giovio, far notomia , non già d'un reo alla morte condennato , come i già detti due Greci facevano , ma vie più ſpietatamente d'un innocente infermo alla ſua cura commeſſo . E per far omai paſſaggio a coſe più note , e men forſe moleſte : che Ooo non + 474 Ragionamento Sejto non oſarono , che non imprefero , che non machinarono a danni del Paracelſo i Galieniſti medici della Germania ? Necertamente è da credere il Paracelſo averſi lui ſteſſo tal briga adoſſo recata perricredere , e rintuzzare il lor rives ritisſimo Ser Galieno : conciosficcoſächè così fieramentes ancora eglino perſeguitarono , e malmenarono Lionardo Fuſio , Giovan Cratone , e Andrea Mattioli ; il quale con meche Italiano , e di patria. Sanefe, con eſfo foro dimora. va; e altri' , e altrimedici,purGalieniftige della formede , fima banda parzionali; e fomigliáte ferono i Galieniſti me dici Italiani a Gio: Battiſta Montano, a Girolamo Fracaſto . ro , ea Matteo Curzio , comechè queſti tutti afpada tratta la dottrina di Galieno difendeffero : e nel medeſimotempo eglino unitamente contro Giovanni Argenterio diGalien nimicocongiurarono . Nedi coralrabbia innocenti ſi ſer barono quegli altri pur Italianimedici ,che ſtizzoſamente & 'avventarono contro il dottiſſimo Girolamo Cardano. Ne dágli Italiani altresì, c daʼFranceſimedici tralaſcioffi quá lunque ſtrada d'oſcurarc , e deſtinguere quel chiariffimo lume dell'eloquenza e d'ognidottrina incendétifſimo Gilt , lio Ceſare della Scala ;'eche non tentarono imaeſtridella famoſt ſcuola diMöpelieri per abbattere il celebraciſſimo Rondelezj, e'l Giuberti, la cuiimpareggiabile , e non or dinaria dottrina ſopra tutt'altre ſcuole d'Europa di gran lunga poggiar gli facea?Ne tono nuove le rabbioſe invidie, el'affrontarebattaglie d'e’medici di Parigi controil Quer eetano ', il Torqueto , il Baucineto , l'Arveto , il Libaviowe tiaſcun'altro Chimico di que'tempi, da noi in parteancor più addietro accennate . È chinon falacruccioſa invetti va compoſta in Parigi da Germano Cortin contro i Para eelliſti fornita dicalunnie'ye di fofiſmi tutti fanciulleſchi , fenza fermezza:niuna didimoſtramento ? Matroppo lungo ne verreišs’Io diſtintamente narrar vo leffi le travaglie ; e le noje;che nella Lamagna ,nella Dania , nella Franciada’rabbioſi rivali fofferirono Pier Severino , Michel Tofſite , Bernardo Perotti , Girardo Dornei,Mar tino Rolando,, Oſualdo Crollio , ealtri infinitimedici doro tillin Del Sig.Lionardodi Capod 475 1 tiffimi, e avveduti affai ; i quali ſempre , o nella fama, a nell'avere, o nella perſonalungamente fur'oltraggiati. E fenza andar mendicando eſempli di fuora , laſciando das parte ftare le non meritare perſecuzioni del noſtro Antonio Altomari,abbiam purnoi con gli occhi, o congli orecchi baſtantemente per addietro compreſo la rabbia de'medici nella noſtra Città contro il Ferrillo , e lo Schipani, e'l For tunato , e'l Ricci, per tacer d'altri, e malmenato da rabbio . filime trafitture d'invidia il Macaone delle noſtre contrade Marc Aurelio Severini ( le cui doctiflime opere in molte , varie lingue traportate non mai per tempo diincaricate la ranno) così egliperaccuſad'invidiofi rivali,ſenza riguardo alcuno averli a'meritidella fua perſona, fu prima incarcerz to , e poſcia toltoglilo ſpedale ove eglia cocantiſpacciati infermi già la ſalute maraviglioſamente avea riportata , alla fine de' ſuoi beni ſpogliato , Ma delle malvagità de'. medici, quali coſe tralaſcerò lo , o quali ne ridiro ? E pero chè non fo lo côte ad una ad una le ingiufte uccifioni , che medici innocentiffimi há per altio d'altri medici miſcrevol mente patito : fra le quali mi rammenta prima di tutt'altre quella ſpietatiſlimaal celebre Virsūgio data da quell'infa me medico Scozzeſe,nó peraltra cagione, come ſcrive Giz no Leoniceno , ſe non ſe, per dirlo colle parole di lui: ob con munem in praxi novatam operam , &à Virſungio non teme re traduct am tăta in virum honeſtisſimum flagravitinvidia . Ma in paragone di tutte queſte, lagrimevole oltremodo è la narrazione del gloriogfimo martire, che ora beato gode nella preſenza di Dio,Pantaleonc : a cui tanto , e si fatta -mente porè l'invidia de’mcdici , che accuſacolo all' Impe cradore di Roma Maffimiano , non mai fi: rimaſero , finchè " non videro per man del manigoldo dal buſto l'onorata te Ita ſpiccarſi. Mache dalla medicina medelma avvenga, che i medici fian così ,comeabbiam diviſato malvagi,polliam farne più chiaro argométo ,perciocchè eglino no pur nelle noſtre par ti , dove parch'abbiſogni più d'un artificio ne'medici: ma anche la dove gli huomini ſon grosſige materiali, anzi che Ooo 110 , 1 2 477 Ragionamento Sefto no , ufano altresìi medici malizie; ed inganni per accie ditarſi nelfor meſtiere. E per tacer d'altre parti: nell'Ia die Orientali , come riferiſce Francefco Silvio , Solent muka ti medici ad febrium variarum curationem acus aureas lone gas , ac tenuisſimas in varias corporis partesintrudere, atq ; ita putant febres miraculofe curare; e nel Tapui danno a di vedere a' cattivelli infermi, che la cagion di lor malattie fian certe pietre , o animali , o ſterpi, o coſe fimili , le qua li e'dicon , che gliele traggon dicorpo a forza di medicine, e vomitivi ; e in tal guifa fi fanno a credere per grandiflimi bacalari ; e in tanta reputazione ne montano, che anche i Re loro invidiandofa , voglion effer diloro ſchiera . Nel ta muova Francia poi , ficome teſtimonia il Padre Brel fani, i medici danno ad intendere a que’popoli, che tutti i medicamenti infallibilmente le infermità guariſcano : ed ove no’l facciano dicon'eſfer il mal ſovranaturale , a cui ſovranatural rimediofaccia meſtiere; e tali aggiungono ef fere per la più parte le vomitive medicine, e só quei volpo . ni sì deſtri , checol vomito vi meſcolan di botto , ſenza che altri lor tolga in fallo , o ciocchetta di capelli, o pietra, o legno, o altro ſimile; il qual ſenza durar molta fatica per fuadono altrui eſler la malefica fættura , la quale anche ta tor fan veduta di cavarlz fuori colla pūca d'un coltello , che tengono infra le dita , o altrove naſcofo ; e ſe poiavviens, che piggioril'infermo, cglino ſoggiugnendo , che il mal d' un altro Demonio fifaccia, il rimedio replicano ; e quando finalmente lo infermo fe ne muoja , ſi fan loro ſcuſe , con dir , ch'il Demonio ,che l'uccide, è del lor più potente ; c in cal guiſa quei ghiottoncelli queſte, e millalcre novelluzze da ridere a quegli imboccano . Or ſe la medicina è tales, che da per fe delle frodi , e degli ingamni abbiſogna , deb bonſi ſtimare certamente oltremodo felici que'popoli, che cosi zorîchi, c barbarida noi vengon detti ; .poichè a loro è conceduto privilegio sì grande di non avere a provar l'o pera dicoſtoro . Felicisſimi furono adunque i terreni del · la Libia y dell'Arcadia , e d'altre fimili Regioni , in cui si dannofa gente allignar per alcun tempo non ſi vide : fe. 1 1 ! + licil Del Sig.LionardodiCapoa 477 licisſimo per fei ſecoli il Popolo Romano , il cui fenno che pote da debolisſimi iniz; ſollevare alla ſignoria del mondo la fua Repubblica,faggiaméteper lo detto ſpazio di tempo vietò affatto l'uſo de'medici. Felicisſima in ciò la gente del contado , che il lor conſiglio non curando,della vita allus ga il dubbio corſo ; onde dieron cagione ad Ercole Bentis voglio di cantare in loro loda Però ſaggioilvillan , chiam'io ,che quando Égli ba la febbre,che più arde se bolle Non va cura di medico cercando; Ma nelgran parafiſmo il fiaſco tolle De l'acqua,.e tanto bee chepoi diviens Diſalubre ſudor fovente molle : Overa l'ombra de la viti amene Il Settembre o l'Agofto a luva mezzo A fare il corpo lubrico fen ' viene; E la manna , el Riobarbarodiſprezza, La piumangbiunti , il ſervizial , la curi , Che tolgon l'appetito , e la fortezza, DifeLafcia diſporre a la natura : Che ſe dato è diſopra,chetu mora , Non ti guarrà dieta ,o lunga cura. E più avanti E narraci un villan nofiro canutog Ch'altro nonmangia , cheformaggio,mentre Ha febbre ; emai non hamedico-auuto. E nonvoglio ( foggiunse egbi) che m'entre Nojofo, e diſpiacevoleGriflero, Neamara medicina in queſto ventre, Ede la febbre nel'ardor più foera Votai fovente in vece di ſillopa Di moſto un capacisſimo bicchiero. E forſe ,che farà queſto qualchenovellar dipocca , o da orator menſonieros Michel diMontagna filoſofante ,un de più grandi', che peravventura abbia avuto la Francia , o fommamente veridico ,non cinarr'egli, che in un villaggio , ove inai non vi bazzicavaalcun medico ,conmiglior ſanità, chial 778 Ragionamento Sejko 1 ch'altrove vivevafi? Maſenza entrare in alcie provincicis ciò non veggiamoa pruova rutto dìnell'Italia echiepper Dio di noiche , non ſappia ciò , che molt'anni avveniffe in quella terra , chenon avendo mai per addietro ravviſata faccia dimedicoil Signor di effa immaginandofarle ungrá pro un ve n'introduſe, ilquale co'falaslijpurgagioni, cve Icicanti, e altri rimedj, ivi non primanominati , non che praticati, ſeppe sì ben pelarla , ch'eravicino ad eſſer vo ta d'abitatori: ed avvedutiſene i vafſalli ,a guiſa di cani mordenti ſi ferono a doffo al padrone, e lo sforzarono ad mandarne via il medico . Manon ſo come caduto dalla . memoria mi'era ciò che al noſtro propofita avviſano il fan moſisſimo Adriano Turnebo, huomio di fingolar giudicio , e di chiara fede: Animadversi , ſctive , in dyfenteriæ popu • larimorbo , in vicis de pagis , qui medicina non utuntur , mortuos , aut nullos ,aut paucos : in quibufdamurbibus plu . rimos elatus à medicis maximofumptu :e Pier Gaffendi huo mo inſignede'tempi noftri : ex iis ; qui medicas adhibent, aliquiſanantur, aliqui moriuntur ;pari modo aliqui Sanar jur, aliqui moriunturex iis qui non adhiberi: avvegnachè eglipoinell'ultimaſua infermità per non diſpiacere aʼme dicanti ſuoi amici ciò traſandandoſi facefle da loro con re plicati ſalasſi uccidere ; e quel celebre medicante Lazaro Meſfonieri ache dice: multi fineullis auxiliis fpontè fanátur. in agris, & pauperes medicis deftituti . Malaſciando que ſto ſtare al preſente, tra per la dubbiezza dell'arte , tra per la varietà delle opinionidelle ſette; e per la nequizia ; e malvagità degli artefici fu egli ſempreragion di ſaggio , e avveduto governo il non darloro orecchja determinar fol lemente coſa alcuna in medicina ; e infra tanti ſubugli di ſchiere , e fazioni non ſi yide mai faggio Principe , o ben , ordinato reggimento vietar a mediconiuno, che con paro le , e con fattinon paleſaſſe iſuoi liberi ſentimenti. Così con loro ragioni non poteronmai o Erafiftrato ſommamé te caro al Re Antioco , o Aſclepiade amato aſſai, e tenuto in pregio dal gran Pompeo , o Antonio Mofaonorato , e careggiato da Ottaviano Ceſare , o Vezio valente adul tero DelSig.Lionardo diCapoa. 479. 1 tero dell'Imperadrice Meſſalinamoglie di Claudio , o l'am, inicislimo dell'Imperador Nerone , Teffalo , far sì, che a medici di contrarie fette gi per comandamento de loro Principi foſſe il medicar vietato e in lor diſpetto liberer fempremai fr tennero le fchierenemiche . Cosi fempremai in Romàse in tutt'altre parti delmondo , nomeno i Razio nali, che i Metodici, e gl'Impirici liberaméte il lormeſtie re eſercitavano , ciaſcun di loro ugualmente il privilegio della cittadinanza di Romagodendo . E dopo le rovines dell'Impero Romano noir ſi videinfragli Arabimedico vā caggiato ſopra altri : ne a'feguaci d'Avicennafu maiper opera de ſeguaci diRaſi', o d Avenzoárre il medicarvieta4 to. Ne infra''noftri ancora, comeche cotanto l'Arabeſche dottrineper tutto ſormontalfero , comeaddietro è narrato , non però di menonon poterono far sì , che affatto abbats tutane foſſe la ſchiera de’lornimicisſimi Galieniſti ;ned'al tra parte poreron mai coſtoro dallor buornome pūto far gli cadere; e avvegnache con ſátire , einvettive lungamen te piatifféro ; nondiineno di nulla mai', o reggimento , o maeſtrato , o Signoria vi s'inframmiſe, ne Principe', che faggio, oavveduto foffe's colle maia parteggiarncalcunod Ein vero , non Sommo Pontefice , o Re delle Spagne, o Imperadore;o Re della Francia, o dell'Inghilterra; o della Suezia ,o della Dania; o altro Principe;oRepubblica mai; ch ," Io ſappia, ſi legge nelle ſtorie, che voluto aveſſe prēder bri gadellegare; o dellediffenzionide’medici. Ne il Re della Francia soi.parlamenti diquella ',e ſpezialmente queldi Parigi, città in cui fivide lapiù lunga', e la piùfieracon tefa infra i medici Chimici' , e Galieniſti; avvegnachèmols to ſtimolato ne foſſedalla ſcuola di Parigi , volle mai inan dare avanti i decreti diquella , nulla curandole ciarle di PierGregorio da Tolofa ( il qual ſe tanto nella filoſofia ,e negli altri buoni ſtudi del Lullio foſſefi innoltrato ,quan to nella Loica di lui s'avantaggiò , certamentenon aureb be egliuna sivergognoſa briga impreſa ) diedeagio a ' Pas racelfifti di liberamente ſempremedicare ;e ad ontapure del Galieniſta Riolanoilvecchio, edi cute'altri nimici , tư di 480 Ragionamento Seſto di quel gran Principe ſempre in grazia il dottiffimo Giu ſeppe Quercetano medico , e conſiglier dilui: e come egli certamente il valeva , ne fu da lui ſommamente onorato ; e quantunque perquella ſcuola infra l'altre chimiche medi cine foffe affatto vietato il dover dare l'antimonio per en tro : pure non che tal divieto aveſſe avuto effetto alcuno, a i Miniftri del Parlaméto Paveſſer mai co' loro arrefti raffer maco , anzi l'ancimonio per ciaſcun medico liberamente adoperavaſi ,comechè nelle cure delle medeſime perſones reali. Ei Miniftri, e ireggimenti tutti de’noftri Invitriffa mi Redelle Spagne , così ne'paeſi balli , come in tuce'altres Provincie della loro Monarchia ſempre hapermeſſo ,le tur tavia permettono l'uſo libero del medicare a' ſeguaci del Paracelfo, e dell'Elmonte , e del Silvione del Villifio , fen-) za ritegno alcuno ; ſpregiando ſempremai, e rifiutando de maladizioni, ei rapporti de Galieniſti . Che ſe mai Prins cipe , o Maestrato inframmetter tałora s'ha voluto , e por mano in affare pertinente alla medicina,e alcuna ſua cola , comechè menoma a certa , e determinata legge ligare , bea fiè veduto perpruova , che ogni loro ſtatuto , a ſconcio , e non laudevolefine ſempremai è riuſcito ; come ſi vide av venire , oltre a quel, che è detto , allor , che perconſiglio de Napoletanimedici venne perla Prammatica del 15620 Puſo della manna sforzata , qual dicono , come velenoſo vietato ; la quale fa meſtiere rivocarla nel 1573. con per metterſi çſprettamente l'uſo della manna dell’Orno , e del Fraſſino , che poco prima era ſtata ſeveramente proibita . E no poffo no arroſsare in leggere que'rimproveri fatti dal Clufio , e dalMattioli , il quale in cotalguiſa favella : Er . rano non poco i medici Napoletani co’loro Protomedici; i qua li fanno proibire ſotto graviſſime pene , che non ſi debba ven . der la manna, che riſuda dalla ſcorza del frasſino , e dell'ora 10 , la qual chiamanomanna sforzata, immaginandofis cle nonſia buona acofaveruna , imperocchè queſta, oltre che pur ga ſenzamoleftia alcuna , e daffi ficuramente alle donne gra videin ogni tempo della gravidezza , è fantiffima , ed eccel, Lentisfima medicina nelle petecchie , e febbri maligné, e pelli, lenzia DeSig. Lionardo di Capod 487 : Jenziali,eſſendo che il fraſſino ha manifeſta virtù controtua ti velewi ; però laſcimo omai iProtomedici Napoletani di peria reguitar coloro, che cavano lamanna dalfrasſino , e non pris vino gli huomini dicosì prezioſo medicamento non conoſciuto da loro , febene viforopiù propinqui di Noi. E ben ſi vede altresì in quanti errori ſieno ircorſi alcuni Giudici in laſciandola guidare a' ſentimenti d'alcuni medi ci: che ben lungo catalogo recar ne potrei. Macontente rommi al preſente di mentovarne ſolamente un'eſemplo di non poca conſiderazione , che facendoſi troppo ſemplice mente alcuni Dottori di legge a credere, i bambini nati di otto meſi non potere naturalmente vivere, come avviſavali Ippocrate , del quale il loro Bartolo portando opinione i diviſamenti della natura cſfer non guari diffimili alle leggi umane , dice : ftandum eft libris Hippocratis tanquam ad théticis : giudicarono quelle eſſere vere ſconciature, e das dover eſſere d'ogni eredità incapaci ; nel quale errore laſciaronſi traportare l'Alciato , e'l Cujacio , e altri au tori di lieva in legge . Perchè il noſtro Matteo degli Af flicti ne rapporta una deciſione ; ove in modo giudicoſlinel noſtro tribunale per haver data intera credenza a' medici , che dal Caranza dottor di legge ſpagnuolo ne fu ripigliato con queſte parole : venit improbandum judicium Protomedi ci Ferdinandi Regis primi Neapolis , & aliorum quos Affli Etus decif. 236. num.4, valentisfimos Philofophos appellat : eorumque ductu Sacrum Confilium Neapolitanum octavo mē fenatum materna fucceffionis incapacem declaraffe afferit; ut meritò decifionem iftam , d predictorum judicium impugna verit Boërius dec. 220.in fine,neque enim ita magnifacien dum eft judicium illud Confiliis philofophorum , medicorü relatorum ab Afflicto fup.ut ab eo quiſquam non malit diſce dere , quam à veritate . Maciò ſopra tutto ſi ſcorge da quel,che narra quell'av veduto ,e giudicioſo ragguardator delle coſc Giacomo Tua no; dice egli, che d'ordine d'Errigo Quarto Re di Frácia, il gran Lemoſiniere , e altri ſuoi famigliari, che co'i may giori valent’hu onini di ciaſcun meſtiere tenner conſiglio ppp i dair 482 Ragionamento Sesto 1 3 di dar compenſo agli abuli della famoſa accademia di Pa . rigi , e che infra l'altre leggi , e ſtatuti diviſarono delle bi. fogne della medicina : ordinando, che i medici di quella ſcuola doveſſero legger l'opere d'Ippocrate , e ogni ſua opinione puntualmente ſeguire :medicos ſono , parole del, to ſtatuto, rapportate dal Tuano, ut leges fibi prafcriptas tee neant , divinum Hippocratem diligenter legant, præcepta ejus religiosèfervent . Empiricam caveant , neque ea ullo modo utantur . Ma cotale ſtatuto non potè giamınai eſſer poſto in opera ; e in vero , ſeque’valent’huomini aveſſero innan zi tratto conſiderata , e riandata cotal biſogna, e riguarda to alla varietà delle ſette , e delle opinioni , e all'incertez za di tal profeſſione, non avrebbono così ſciocco divieto mandaco fuora . E tanto più , che que' inedici , che con figliarono una cal legge , ne prima , ne poi i diviſamen ti d'Ippocrate oſſervarono ; e in iſpezialità nel purgare , e nel ſegnare ,come nel ſecondo ragionamento avviſam mo ; ſenzachè il non valerſi dell'empirica medicina è contro l'ammaeſtramento del medeſimo Ippocrate ; e an zi tutti medici vengono di neceſſità aſtretti a yalerſi delle impirica, come da quel ch'è detto agevolmente coglier fi puore ; perchè gli ſteſſi riformatori convenne certamen te , che alcuna fiato, per non dir altro, veniſſero con em piriche medicine curati , ſpezialmente ſe furono morſi da can rabbioſo , o daſcorpioni, o da altri velenoſi animali . E già parmi o Signori, ſe'l mio avviſo non m'ingannnas che per quel che da noifin qui ragionato foſſe de tantidi vieri della medicina , che ſaldinon nai ſono fungo tempo durati : delle diverle , e ſoventi fiate contrarie guiſe di me dicare , e dalle si varic , e tante opinioni, che fra i medici di tempo intépo ſono venute inſư, impoſſibili a porſi mai im alcun patto d'accordo: dalla lunga incertezza disì dubbio fo , ed inviluppato meſtiere , il quale non ha in ſe dottrina , o principj , ſui quali huomo unquemai poſta porre alcun menomo fondamento : e dal maltalento demediciinvidio fise maligni, affai manifefte fi pajano le grandi malagevo lezze , acui s'avvengono tutti coloro ,che d'ordinar lebis fogne 1 DelSig.Lionardo di Capoa. 483 + ſogne della medicinafi danno alcuna cura . E perciò lag . gio ſembrami lavviſo di quella Città , o di que'Regni , ch' avendo forſe a pruova legià dette verità conoſciute , non vogliono in alcun modo prenderfene briga , ſeguendo in queſta guiſa la coſtuma dell'accorto poeta , il quale , coine Orazio faggiamente avviſa , que Deſperat tractata nitefcere poffe, relinquit . Talfu il fano conſiglio del Signor Duca diMedinaceliVi cerè nella Cicilia ; il qual non che andar voleſſe a ſeconda di coſtoro , anzi prendendole a gabbo , ſcheroù le ambizio ſe,e avare bramedi Filippo Ingraſſia Protomedico di quell' Iſola ; il quale a diritto , ed a roveſcio volcva i maliſcalche ſoggetti alla ſua giuriſdizion ridurre; perchè pubblicò unu libro, ove ingegnofli di far chiaro (ne v'ebbe per avventura a durare la maggior fatica del modo) che la medicina degli huomini,edelle beſtie in nulla foffero fra ello lor differéti, * e che fra medico , e maliſcalco altro di divario non v'abbia, che ſolamente nel pome . Ma lo finalmente non lo fe altri poſla più a propoſito metterci innnanzi agli occhj l’infelice fine, a cui pervengono tutte le ordinazioni in affári di mc dicina ; e ſpezialmente quelle che fatte ſono a richieſta , o a conſiglio de'inedici , quanto Trajano Boccalini : allor che narra , aver Apollo per ſecondar le perſuaſioni d'Ippocrate tenuto a conſiglio alquantimedici ,a cagion di voler ripa rare ad alcuni diſordini ch'avvenivano nel medicare : ma per l'ordinazioni di tali riformatori, non pure no iſcemaro no in alcun patto , ma vie più moltiplicarono le malattie ; e le morti giunſero a tale , ch'egli rimaſe forte maravigliato: ( ſon parole del Boccalini) ch'una diliberazione fatta con ze lo di tăta carità aveſſe potuto fortire il fine infelice d'una tan to calamitofa confuſione; onde bruttamente da Ippocrate chia mandoſi offeſo , eſchernito , che ſotto zelo d'apparente carità verſo il benpubblico , con quel pernizioſoricordo aveſſe volu to aprirſiſtrada all'eſercizio della ſua ambizione: inpubblica udienza , con indignazionegrande disfece il collegio, con ani Ppp 2 mo dia 484 Ragionamento Sefta mo diliberatififimo di far contro Ippocrate qualche notabile rifentimento". Orecco le riufcite di que'riſolvimenti, ches goglion prenderſi d'un arte cosìfallace, e manchevole, Eche ix ſuobaso mai por ha certezzha 1 RAS 485 . RAGIONAMENTO SET TIM Or 220 Bbiam finora fufficientemente diviſato , o Signori; delle dubbietà ,.e incortezze del la medicina ,malagevoliaffaiperhuomo, anzi impoſſibili a ſuperare :'infra le quali ondeggiandociaſcuno continuo s'aggirai; non altrimenti , che picciola , e malforni ta barca irr tempeſtoſo pelago dimare da'fortunoſi ventije dalflottar dell'onde dibattuta', e percoffa'traballa ; o mal pratico viandante il qualecoleo da oſcura'norte,in folta , non conoſciuta ſelva ;per travolti-bronchi , e fterpi andan do, quafiin cófuſo-laberinto s'aggiri, séza potermai riuſci re a dritto ſentiero, ch'a falvamento il conduca'. Perchè non potendoſi in così intralciato meftiere via , o modo al cunoavviſare , convienr'certamente , che'l tutto a poſta, e ad abitrio didifcreto , e'ayveduto medico fi rimetta. Aduna que avendo ilmedicoperle maniun sì grave affare, chento ſenzafallo è dagiudicar la vita , e la ſanitàdi ciaſcuno ,dse egliconogni ſollecitudine,e con ogniarte ingegnarſi di far: giovamentoagl'infermi commeſt alla cura dilui , al mio gliormodo cheſi poſſa ; çfecondochè la condizione d'un sal 486 Ragionamento Settimo tal meſtiere comporta . E (come a coloro, cherompon per tempeſta in mare , i qualiad ogni picciol cravicello , o pan chettirgi appigliano,così parimente dee il medico negl'ince : uob; maroſi della ſua profeſſione valerſi di que’tutti i Jabuli argomenti , che gli li fanno avanti; an corchè non ben ſicuro egli ſia ,che con quelli sì degna im preſa poſſa ridurre a quel fine, al quale l'avrà indirizzita . E quinci ſi è, che quantunque poco ,o niuna certanza recar poſlano al ſuo meſtiere le corezze,che per le cofe,o vedute, olette, o perlo imperfetto, emāchevole umano modo dific loſofare s'acqui &ano; egliimpertanto deein tutte quante Je coſe alla medicina perrigenti eſerbene ſcorto , e cono ſciuto , chiunque voglia con qualche profitto , e laudevol mente cſercitarla ; perchè fa meſtiere , che lo attenendo le promeſſe già fatte in ſu’l principio di queſti ragionamenti, vegga minutamente chente , e quali coſe a fare un buon medico , e perfetto,in quanto ſi poſſa umanamente, c quan to la condizione d'una tal biſogna comporti, ſi riclrieggia no e per tutti diviſatamente diſcorra. Egli ſembra certamente che non vada err ato Ippocra te , o chiunqueegli (i foſſe l'autor del libro dell'arte, quan do dice , ch'a coloro , che vogliono all'altezza della medi cina mόrare faccia meftieri φύσεG-, διδασκαλίας, τόσο ευφυές , tendopatíns,Qinomovins,xpóvx,cioènatura acconciaze nobilize vira tuoficoſtumi , e luogo allo ſtudiarconvenevole , e buon alleva mentoinfin da fanciullezza , einduſtria, e tempo. Richiedeſi in prima natural genio , ſecondo lui; conciolo fiecofachè mancando talvolta, vano affatto , e inutile ogni ftudio , e ogni diligenza riuſcirebbe. Ne è vera l'opinione del vulgo, cheſolo alla poeſia vuolch’abbiſogni quella na , turale inclinazione , dache alla medicina apparare , e tute? altre ſcienze ancora convien favorevole averla ; vero fem premai ciò che dice il noſtro Dante ſperimentandoſi: Sempre natura,ſefortuna trova Diſcorde aſe , cum'ogn'altra ſemente Fuor di ſua region fa mala prova ; Eſe'l mondo la giù ponce mente Al fondamento ,che Natura pone, Seguen . Del Sig .Lionardodi Capoa . 487 Seguendo lui auria buona la gente. Ma voi torcete a la religione Tal chefu natoa cignerſi la ſpada, E fare Re ditalcb'è dafermone Onde la traccia voſtra è fuor di ſtrada. Ma più ch'a tutt'altri meſtieri, alla medicina natural ta lento richiederſi, egli ſi porrà chiaro a chiunque badar vo glia,ch’afmedico talora improvviſo , ſenza aver potuto in prima dello infermo , o della natura di lui molto diſtinta contezza , o eſperimento , convenga diviſar me dicamentijanzi che dal malore iľvigore almalato ſia colto, o le forze ; eďove ancor queſte ſiano all'ultimo ſcemo per venute,no perciò sbigottire allora, ma prendendo cuore, e ardire a novelle cure lollevare lo intendimento . Alla qual coſa fare , chi non avviſa , che fano giudicio , e ſpedito in gegno, e natural ſagacità v’abbiſogni, c tale appunto qual fa meſtiere per avventura a'gra Capitani, e a'comandatori diguerra . E mi ricorda a tal propoſito , che il Signor di Molluch chiariſſimo capitano dir Tolea , ch ' ove il general della battaglia , iit veggendo rotte le ſue ſquadre', e ſcon fitto l'eſercito ,egli , o da vergognago da timore oppreſſo , il ſenno , e l'ardir non perdeſſe ad'un ora , ſempremai buo na ſperanza gli rimarrebbe da poter raccozzare i ſparpa gliati, e fuggitiviſoldati , e incoraggiargli di bel nuovo a fronteggiar l'ofte vittorioſa . Ma potrebbealcun dire,che natura perapparar medicina punto non abbia luogo; o che fe per appararla vi pur biſogni, certamente cotale inchina. zione, eabilità ciaſcun di noi egualmente l'abbia ; impc rocchè, direbb’cgli , quantunque lo ſappia molti, e molti eſſer coloro , che per naturaľripugnanza di genio , o d'ate titudine in altre arti , appena aſſaggiatele , dalla impreſa fi fian riſtati: pur d'uno normi ricorda', ch'avendo l'a nimo alla medicina rivolto , non ne fia medico poſciano e'n buono ſtato divenuto . Eforſe ciò avviene , perchè eſ fendo la medicina al mondo rominamente neceſſaria per riparare a cotante malattie' , il ſommoProvveditores n'ab bïaciaſcun baſtevolmente d'attitudine fornito per apparar lized eſſerne da tanto ; ma a ciò ſi riſponde i ſovrani conli gli 488 RagionamentoSettimo 1 . 6 gli dell'eterno facitore dell'univerſo non eſſer dato di po tere ſpiare al corto intender noftro , come temerariamente altri pur s'attenta di fare : ma ſe a qualche conghiettura ne fi daiſe mai luogo, lo direi che anziperchèdi ſommo pro, c di gran pregio èla medicina, perciò non eſſer peſo di tut tebraccia, ma di pochisfime; ſicome avvien delle coſe più perfette, le quali ſono altresì più rare . Maintorno abuonicoſtumi,che fiorir debbo in colui che d'eſſer medico intéda, fu egli queſto sétiméto del méziona to autore,ſeguito comuneméteda tutti;anziGalieno mede fimo in un luogo dice ,cbe colui, ch'èxibaldo, e di mala co ſciéza no puòmainegli Studi d'un tal meſtiere vataggiarſi . Ne lo ſtenderommi al preſente in ragionar del.conoſci. mento delle lingue; imperocchè della Greca, della Latina, e forfe acor dell'Arabeſca ,e dcHa Tedeſca egli è allai chia ro ,che p iſtudiar ne’libri in quelle cópoſti,bone,e interame te delle medeſimedobbiamo eſſere inteſe: anzi il dottiffimo Samuel Bocciardi porta opinione chesõmaméteal medico ſia neceffaria la lingua Ebraica. Eforſe anche con qualche ſoverchio di diligenza per lo riſchio , chedal non pienamen té intenderle ne può ſeguire ; il che avviſando l'avvedutiſ fimo Arnaldo da Villanova ſtrettamente ne l'accomandò; cne lo diè per regola nell'apparar medicina, con queſte parole : Notitia nominum prodeft ad doctrinam . Et nulla profeéto ars , curiofius , cautius vigilantius homini diſcenda , traétanda, meditanda eft , quammedicina , qua nulla eft pe riculofior: quippe quum in ea verſetur falushominum , vi ta ; per tacer della Loica, che richiede Galieno nel medico; il troppo ſtudio della quale nuoce , non ch'altro , a chiun que veramente approfittar ſi voglia nella filoſofia , eſpe zialmente nella medicina,poichè eſſendo l'intelletto avvez zo a quelle coſe finte , non fa poſcia dipartirſene allor, che delle vere , e ſenſibili ſoſtanze imprendea filoſofare ; onde faggiamente quella grand’alına del ſaggio Galileo folea paragonare i Loici agli artefici degli ſtrumenti muſia cali , i quali tutto dimaneggiandogli, non ſanno poi quan doloro biſogna, ſe non ſe rozzamente valerience Ma ş DelSig.Lionardo di Capoa. 489 1 Ma la norma ſicura de'perferri, e dimoſtrativi fillogiſmi ſolamente dalla Geometria ci ſi porge : e malamente al ſi curo fornito loico , e conſeguentemente buon medico ſarà colui, a cui per le mani gcoinetriche dimoſtrazioni tutt'orx non ſono . E certamente avea la ragione , l'autor della pi ftola a Teſſalo di tanto iſtantemente quello confortare , e fpignere allo ſtudio della Geometria , e dell'Arilmetica : poichè la notizia di cotali ſcienze, oltre agli altri concj,che arrecar ſuole , dice egli: tlu fug'us o &uréple FE xxA THA Qvyesépleas a & ti tò év inagixí óvño Jou răvő mi yeusercioè ,apporta chiarezza, e fortigliezza nell'intendimento , acciocchè poffa ben rintraca: ciar tutte quelle coſe, che all'uſo della medicina abbiſognano. E diſtintamente poi va dimoſtrando di quanco pro fia ad un medico faper Geometria , affermando ancora lommamen te giovevole , e neceſſaria eſſere a ben comprendere le deslogate offa , e l'altre biſogno nella medicina . Mamol to avanti avrebbe egli certaméte della Geometria detto : ſe oltre a ciò ſaputo aveſſe,che séza quella, poco, o nulla inté der ſi può delmovimento de'muſcoli, e de’mali della viſta, e d'altre belliſſime dottrine molto alla notizia dell'ordina mento del corpo umano utili , e neceſſarie . Ma fe ( come più avanti dimoſtreremo) giammai non può eſſer medico , chifiloſofo in priina non fia : c per apparar filoſofia , la Geo metria è ſommamente di meſtiere;egli è pur manifeſto ,che il medico debba efter Geometra . Ne può punto dubitara ſi il convenir cotanto a ' filoſofila Geometria; concioſſicco ſachè abbiamo nelle ſtorie , che gli antichi filoſofanti , tan to biſognevole ſtimaſſero la Geometria nelle loro ſcuole , che no volcan ,cheniuno in quelle entraſſe ,ſe prima inGeo metria ſtudiato pienamente non aveſſe . E'l gran Galileo de’ Galilei , grandiſſimo maeſtro di coloro , ch’alla vera , e dalda filoſofix attendono , diſſe ; In un vaſto volume farfe ne'lafiloſofia tutta deſcritta : e quello eſserne ſempreinnanzi agli occhi aperto , cioè a dir l'univerfo ; ma non mai poterviſe leggere , fc in prima la lingua , e i caratteri , co' quali egliè Scritto, perfetiamente non s'apparino. Egli è ſcritto , dics in lingua matematica , e i caratteri ſono triangoli , cerchi , - Q29 altre 490 Ragionamento Settimo 1 > altrefiguregeometriche,sēza i qualimezziè impoffibile adin të der umanamenteparola : ſenza queſti, è un'aggirarſi vana . měte per un'ofcuro laberinto. Comendaſi adunque oltremo do il ſaggio conſiglio dell'avvedutiſſimo Cardano , il qual mi ricorda , ch'avrebbe voluto , che niuno in medicina non ſi foſſe mai convertato , il quale , mathematicas perfecte no calleret, per dirlo colle ſue parole ; del che recandone la ragione, ſoggiugne : Nam his folum , nec fallere , nec falli contingit; unde qui in illis peritusfuerit ,non eſt veriſimile in propria arte velle ſuperioribus , &fuis, ac fibi ipſi impo were . Ma oltre alla Loica, e Geometria, la Stronomia , la Mu fica , e altri nobili, e liberali ſtudj in un perfetto medico Galieno richiede ; e della Muſica favellando Tomaſſo Cá panella dice :medicusnon ignoret , qui foni, quos motus in ( piritu ,adquas bonas operationes excitět,ut medicinales fint;i quali ſtudj,ſecodo lo ſteſſo Galieno, il primo luogo appreſſo Mercurio ingombrano ; e con molte , e ben compoſte pa role l'utilità , che da quelli ſi trae , va egli ne'ſuoi ſcrit ti diviſando , e quanto egli avanzato ſe ne foſſe ; ſenzachè, dic'egli , ſe il medico , non è di ſtronomia intendente , gran tratto ei ſi dilungherà da’ſentimenti d'Ippocrate , il qual non pur conforta i medici tutti ad appararla, ma molte co ſe ha egli ne'ſuoi libri ſcritte , le quali ſenza ſaper di ſtro nomia , impoflibil certamente fie , che per huomo s'inten dano. Ma nel vero lo non ſaprei mai comprendere , come ben ſi poſſa medicare , ſenza ſapere, il naſcimento , e loco caſo delle ſtelle, e la varietà de climi,e altre ſomiglianti co le , neceſſarie al meſtier della medicina , le quali tutte la ftronomia ne inſegna . Eragionevolmente tutti coloro ch ' un tale ſtudio , come vano , e inutile a'medici biaſimano , punge , e proverbia il buon Franceſco Vallefio , dicen do , che la ſtronomia vien da alcuni giudicata coſa alla medicina affatto inutile , non per altra cagione, ſe non per chè poſſano in cotal guiſa ſchifare lo ſvergognamento, che dal non ſaperla gliene naſcerebbe . Perchè il non mai aba Aan 1 1 Del Sig.Lionardo di Capoa 497 1 1 ſtanza lodato Ipparco aſſomigliava ilmedico ignorante di ſtronomia ad occhio privo della viſiva potenza; e'l famo fiſſimo infra gli ArabiAlbumazar,dice chela ſcienza delle ſtelle a quella della medicina , principio , eguida ſia. Ma fe la Stronomia richiedefi a'medici, non men di quella certamente fa loro meſtieri il ſaper le ſtorie delle coſe, che avvengono al mondo; concioffiecofachè oltre al ſaper di quelle , i principi, egli avanzamenti delle piſto lenze , e d'altre aſſai malattie , manifeftamente talvolta an che comprendonſi le cagioni de’malije i rimedj , ch'a quel li talvolta hanno approdato , e ciò, che per pruova ha noc .ciuto , e giovato agli huomini : e aſſai pienamente ſi com prende quanto dalla lezion di Tucidide aveſſe Galieno tratto di profitto , e altri aſſai medici di gran lieva, e malli manente da quello artificioſo narramento di lui della fie ra , e lunga peſtilenza del Peloponneſo , traportato poi co tanta eleganza, e così ben da Lucrezio nel luo natio idio mi . Ma ſopra tutto ſenza dubbio la natural filoſofia al medico ſi richiede ; imperciocchè , fe perfettamente egli ſaper dee la natura , è l'economia tutta del corpo uma no , le cagioni, così d'entro , come di fuora delle malat tie , le qualità , e le coinpleſſioni dell'aria , delle acque,de' vegetali, degli animali ,e de’minerali turti: conſeguente méte egli ďee ſtudiare in filoſofia,nó come dicono, di primº occhio , e diſcorrendo : ma in quella con ogni intendimen to , e ſtudio involgerſi , e riconcentrarſi, e in apprenderla , pienamente con ogni sforzo , e con ogni opera affaticarſi . Perchè il Paracello chiamar folea la filoſofia madre, e fon damento della medicina ; e Ariſtotele n'impone , che il me dico cominciar debba , ove il filoſofo finiſca; che altro non vuol dir, per mio avviſo, che il medico dal filoſofo non dif feriſca , ſalvo che nell'operare : e che la medicina altro no fia , ch'una operatrice filoſofia . Folle adunque , e danne vole oltremodo è da giudicar certamente il conſiglio d'A vicenna : che il medico ſenza più avanti ricercare , appa gar ſi debba a' detti de filoſofiintorno alle coſe naturali; Raq 2 ne lo 492 Ragionamento Strimo ne logorar punto di tépo in abburattargli,e far pruova del la verità ; concioffiecoſachè il medico in eſaminandogli no che dall'arte ſua fi diparta giammai , come ſcioccamente s'avviſa Avicenna , anzi allor maggiormente vi s'interna , e profonda , e più maturamente l'apprende. E bene imma gino lo , che a ciò riguardando eſfo Avicenna , avviſaffe pienamente il biaſimo grande , che di tal conſiglio guada gnare egli medeſimo ſi poteva i perchè altro non te in tue to il corſo della ſua vita ',' che attentamente ſpeculare , e contemplar le coſe della natura . Miglior ſenza fallo fu l'avviſo di Galieno , il qual ſopra ciò ben’un libro inte . ro compoſe con queſto titolo densos iarbós, og QorbootG.per * chè e' medeſimo dille altrove , il medicare una piaga non, effer impreſa da tutte braccia , ma di color ſolamente che le coſe tutte della natura hanno davanti agli occhi . Ma dove lo traſandava il buono Ippocrate : il qual giudicò fi loſofia , e medicina eſſer compagne ſtrette , e ſorelle ,giua te , ed avviticchiate ; e ſimigliantemente Cornelio Celſo afferma , amendue coſtoro d'un medeſimo parto eſſer nate, così ſcrivendo : Primomedendifcientia pars fapientia habe batur ; ut &morborum curatio , dow rerum nature contempla tio fub iiſdem auctoribus nata fit ;c di ciò ne apporta ragio ne: fcilicet his hanc maximè requirentibus, qui corporum fuo rum robora inquieta cogitatione , nocturnaque vigilia mi nuerant . Ideoque multos ex Sapientia profeſsoribus peritos ejus fuiffe accepimus. E egli è pur troppo manifeſto ,quan to Pittagora , Empedocle , e Democrito , e Platonc , e altri grandiſſimi filoſofi più di qualunque altro Greco nel le ſecrete coſe della natura innoltrati, più di tutt'altri me dici della Grecia ancor s'avanzaſſero ; ſenzachè i fonda tori , e i Principi di ciaſcuna ſcuola di medicina , eziandio della Metodica, e della Impirica , eilor più rinomati ſe guaci , tutti concordementenegliſtudi della natural filoſo fia s'eſercitarono . Perchè il fimile certamente ciaſcun al tro mcdico de’tempi noſtri dovrà fare; e di lor direbbeſi po ſcia con quelle voci d'Ippocrate innsós gap Quómo , iostec , cioè a dire : il medico filoſofo è ſomigliante a un Dio . E 1 1 quan 1 1 ! DelSig.Lionardo di Capoa. 493 > quantunque ,come ſopra abbiamodimoſtro , aſſai poco al baſſo , e loſco intender noſtro nelle coſe naturali di ſaper ſia conceduto ; nondimeno queſto ſteſſo ci da a divedere effer neceſſario al medico lo ſtudio della filoſofia, acciò egli pof fa agevolmente accorgerſi , non aver la medicina certezza alcuna ; e a queſto avendo certamente riguardo , diceva Cornelio Celfo : natura rerum contemplativ , quamvis non faciat medicum aptiorem , tamen medicine reddit perfectum . Oltre alla naturalfiloſofia, la morale ancora a'medici ſi conviene ; concioſGecofaché , ſe come di ſopra è detto per ſentimento d'Ippocrate , di buoni , e laudevoli coſtumief ſer dee fregiato il medico, Io non ſaprei già , come a tal pre gio mai aggiugner poteſſe colui , che coile natural filoſofia la moraleancora non accoppj; ſenzachè la moral filoſofia è quella , cha per oggetto Panino dell'huomo , e in quello ſuol riconoſcere i malori,e lecagioni,e gli effetti di quelli,e darvi baſtante compenſo , ed efficace ajuto . Orcome po trà il medico adoperando il ſuo meſtiere, con valevoli me dicamenti fanar gli ammalati del corpo , ſe in prima le ma lattie dell'animo loro non toglie ? cioè a dire , ſe non fa di filoſofia morale a Imperciocchè i mali tutti del corpo , come da prima, e principalcagione , da alcuna paſſion dell'ani mo ſovente naſcer ſogliono , la qual certamente ne cono fcerc , ne rimuover potrà il medico giãmai , fe dalla moral filoſofia no ſia fcorto. Tanta enim ,dice Sinforiano Cãpegio , per tacer altri , eſt animi , &corporis neceffitudo , ut ſua om nia bona, ac mala , velint nolint, invicem communicent. Per chè della nostra anima facendo parole cantò il Guarino . Qwell’immortal, che null'ha di terreno A terrenidifetti ancor foggiace. E Platone nel Carmide lungaméte ciò va diviſando; la qual coſa ancora , ficome teltimonia Ippocrate avea in coſtu me di fare Eſculapio s il quale appreſa certamente l'a vea da Chirone ſuo maeſtro : e ſe pure dopo ſi è co minciato a feparare l’un meſtier dall'altro , non èmara viglia , dice Malfmo Tirio : perciocchè la medeſima artu di curare il corpo , così in fc ftella diviſa , e lacera ſi vede, : chic 494 Ragionamento Settimo che altri ha cura dimedicar ſolamente gli occhi , altri law veſcica , e altri altra parte del corpo . Ma con quanto di fcadimento , c danno dell'arte , e de’maeſtri di quella , per nulla dir de’poveri infermi, ciò avveniffe ,che partite , e ſceverate queſte due profeſſioni abbiano i medici, ſolamen te inteſi a curare il corpo , ſenza badar punto alle malattie dentro , lo dicano tante , c tante malvagità , e ribalderie operate daʼmedici , come di ſopra dicemmo ; concieſlico fachè non ſon per altra cagione i biaſimi tutti a' medici, e alla medicina medeſima proceduti,che dall'aver clli traſcua rata l'arte dirender ſe medeſimi in prima, e poi gli alţri tute si della verità , della giuſtizia , e dell'oneſtà lodeyoli ama, tori . Ne per altro chiama Ippocrate, per mio avviſo , il medico filoſofo ſomigliante a un Dio , fe non perchè dal medico filoſofo non ſia da ſcompagnar cotal parte cotan 10 eziandio giovevole , e neceſſaria alla medicina . Per chè guardando a tutto ciò Galieno , cercò di riparar ſe condo ſua poſla a tanto diſordinamento , e di riunir di nuovo , e rannodar la medicina colla morale filoſofia: onde compoſe quel libro , ove e' moſtra, comes’abbiano a cono ſcere,per doverſi guarire,i difetti dell'animo; e quell'altro, del ravviſare , e del medicare dell'anime le malattie . Ebé chiaramente ſi vede quanto in ciò, che inſegna altrui e' me defimo profittaſle ; concioſſiccoſachè, come di ſe medeſimo egli narra , era egli avvezzo a ſoffrire , e a portarein pace i caſi.umani, e d'animo grande , e immobile , ne ſi crolla va punto agli urti di rea fortuna: ne perdita di beni , o altra maggiore ſventura era per farlo ſmagare:ne movealo onor di gloria , o burbanza divana ambizione , o qualunqne altra coſa maggiormente al mondo ſi pregia .. Mail medico avendo a guwar le malattie de' corpi uma ni, ea provvedere a quelle, che ſono a venire,non ha dub bio alcuno , che ſopra tutto egli della natura del corpo umano aſſai pienamente dee eſſere doctrinato , e di quelle coſeancora , che riſtorare il poſſano dalle cagioni, ovale. volmente ceſfarle . Or chiunque voglia,per quanto glifia dalla debolezza dell'umano intendimento conceduto , per veni. DelSig. Lionardo di Capon 495 venire a qualcheconoſciméto della natura del corpo uma no , gli conviene in prima il ſito , la figura, l'ordinamento, e la grandezza ,e l'uficio delic parti di quello diligétemente inveſtigare : alla qual coſa manifeſto è , che ſenza l'ajuto della notomia egli aggiugner non poffa : perchè della me dicina folea dir faggiamente Cello : incidere mortuorum corpora difcentibus neceffarium . La qual neceſſità inolto bé gli antichi medici conſiderando , come pienamente nete ſtimonia Galieno , a ufare i noromici ſegamenti fin da fan ciullezza diligentemente s'avezzano . E oltre a ciò egli dee bene inveſtigare , e con ogni ſtudio maggiore andar rintracciando la propietà, o la natura dell'Erera ,dell'aria , dell'acqua, della terra , della Luna , del Sole , e di tutt'al tri Pianeti del Cielo ; da'quali corpi tutti continuo fotti liffime , e non vedute ſoſtanze ſgorgano, quali a pro , e qua li a dannodell'umane vite . Quindi s'andrà egli pian piano innoltrando a ricercar le naſcoſe virtù de'minerali , de've gerali, e degli animali tutti , oide il cibo , e imedicamenti per gli huoinini ſi coinpongono . Cola,la quale cotanto al medico è neceſſaria , che d'effa ſola ſi vanta Apollo preſſo l'ingegnoſo Poeta latino Inventum medicina meum eſt : opifexque per orbem Dicor : &herbarum fubješta potentia nobis . E'I Mantovano Omeroper unico fregio del ſuo lodato Medico riconoſce Scire poteftates herbarum, ufumque medendi. E l'altiſſimo Toſcano Poeta E già l'antico Erotimo , chenacque In riva al Pò , s'adopra in ſuaſalute : Il qual de l'erbe , e de le nobil'acque Ben conoſceva ogniuſo , ogni virtute . Intorno alla qual coſa folea ben dir Oribaſio , che fenza un tal conoſcimento non fi poſſa dirittamente mádare ava ti la medicina έχ οίόν τε είναι χωρίς ταύτης ιατρεύαν όρθώς. Ε gia molto prima di lui la notizia de'ſemplici in più luoghi de' ſuoi libri affai avea accomādara Galieno, i quali paſſo pal ſo potrannoſi da’curiofi ſcolari vedere : e ame baſterà al preſen 490 Ragionamento Settimo 1 1 preſente per raccorciar la lunghezza in così chiara materia d'apportare un ſolo , over'dice : chiunque nel medicare vorrà da tutte parti eſſer ajutato,egli coviene in prima eſser molto bene ſcorto , e auſato nelle piante, e negli aniinalise ne'metallize in ciaſcun'altra cofa terreſtra, delle quali ſervir noi ci ſogliamo ad uſo di medicamenti, e infra quelle , le più eſquiſite ſceglier ſappia ; concioffiecoſachè non eſſen do egli in sì fatte coſe dottrinato , ſe mai oferà un talme Aiere imprendere , ſappiendo , ſolamente in ciarle la nor na del medicare,non mai ſaprà adoperar coſa degna di me dico , Quinci ſi pare quanto errino i medici , comequelli, che pongono queſta parte , cotanto alla medicina necella ria ,in mano degli ſpeziali; concioſſiccoſachè, come avvi fa il doctiſſimo Fabio Colonna : in quo ille medebitur medi. cusiſilocis contingat pharmacopolis carentibus, artem exerce re ? an ne verbis ? c più avanti trapaſſa l'avvedutiſlimo Pier Caſtelli a minacciarne i mali , che di cotal traſcuraggine agevoliſſimamente ne poſſono ſeguire: medicus , dice egli , neſcit quod agro præfcribit: Pharmacopæus ignorat preſcri ptum medicementum : Rufficus herbarius , qui fæpèlegere ne fcit , &à nemine doceripoteft , cafu colligit fimplicia: &hoc modopreparatamedicine rarò fanitatem , fepiffimemortem afferunt , ignorantiæ finem ; e quàforſe egli li parrà ad alcu chc per troppo afpri, e faticoſi ſentieri avendo il me dico condotto, omai delle tante , e tante malagevolezzo , che noi diviſate gli abbiamo , ſenza altra fatica durare ſia per venire a capo . Ma egli va alcrimenti la biſogna, rima nendo ancora dopo tanti viaggi nuovi altri pachi lontani troppo , e non conoſciutia piè volgare : oye fra bålzi, e di rupi, per iſcoſceſi , e avviluppati ſenticri con gran ſudore , e biftento giugner ſi dee . Egli è il vero , che giunto poi quivi , trova ben cento , e mille vaghezze allettaprici , luſinghiere . Già parę di udirvi dire concordemente , che lo voglia favellar della Chimica , nella qual ſi comprende tutto il bello , tutto il vago , tutto il maravi glioſo , che può mai operar la natura,o l'ingegno umano. Ne 10 , zia 2 Del Sig.Lionardo di Capoa. 497, Ne Io fe cento bocche ,, e lingue cento Avesſi, e ferrea lena , e ferrea voce , alcuna menoma parte de' pregj di sì iluſtre , e glorioſo me ftiere potrei narrare.Ditelo intáto voi in mia vece, o arti il luftrio, rare fcienze, o nobilisſimi ſtudi di quella figliuoli'; voi dilettoſe , giovevoli , e neceſſarie al gencre umano arti dell'agricoltura , del fabbricare , del navigare, della mili della ſcultura , della pittura , della filoſofia, della me dicina : voi facendo teſtimonianza della grandezza , e dellº eccellenza della Chimica ,narrate pure, come da effa -i vo ftri natali , il voſtro accreſcimento , ilvoſtro ſplendor trac fte : dite come a'voſtri intendimentiporſe la materia , age volò l'opera : Netacete pure , o ultime pruove' dell'uma na induſtria , gloriofiffime memorie dell'antichità d'Egittor prezioſo nepente commendato dalla ſonora troba de gra deOmero , che co’ſentimenti inſieme i dolori , e gli affan ni de’greci Campioni potcſti aſſonnare; ricchiſſime coppes allanſonti; e voi cento ,e cento altre Egizie maraviglie , che tolte a noi dal teinpo , appena chi vi preſti fede ritro vare interamente potere. Voi ſuperbe piramidi di Mem fi , voi effigiati obeliſchi di Tebe ,che all'eternità confc crati Roder non può del tempo invidalima, fare pur chiara l'eccellenza della Chimica ; e ne'metalli, e nelle gemme , cnegli artificioſi ordigni da quella portivi raccotate i ſuoi pregj,e le fue glorie eternaméte innalzate . Ne mé taccia il tépo quanto a capital tenuta foſſe la chini ca dagli antichi,chegiudicando Diocleziano baftar quella ſola agli Eğizj per frõteggiare, e mandar giù le glorietutte del Romano Imperio, comenarra colui appo Suida,diedes alle fiame tutti i volumi di sì nobil meſtiere, va reixnucios χρυσού , και αργύρε τους παλαιούς γεγραμμένα βιβλια διερευνησαμG έκαυσε και προς το μηκέτι πλούτον Αίγυπλίοις, έκ τ τοιαύτης προσγίνεσθαι τέχνης , μηδέ χρημάτων αυτουςβαρβούν ας πρεσία του λοιπού Ρωμαί oss auliceiv . Ma quanto la Chimica faccia meſtieri alla medicina, da ciò pienamente ſi può ravviſare , che ſenza quella non può Rrr vale. 498 Ragionamento Settima valevolinente operare , ne è da dir arte ſicuramente la mes dicina ; perciocchè , fe come abbiamo di ſopra lunga mentedivifaro , in cicchi , e confufilimi laberinti: invi luppata la medicina , nulla mai dicerto fermamenteriſer ba, non v'ha più valevol lucerna , o più ſicura guida da poter giugnere a qualche veriſimil conoſcenza delle coſe , che la vera , echimicąſperienza . Enel vero , che giove rebbe mai al medico il ſapere ad una ad'una le partitutte annoverare , e ſcernere del corpo umano , ſe.poi della nas tura , e del miniſtero diquelle digiuno. ſi foffe..? certo , che nulla ; licome nulla ancor monterebbe , che notii fiini glifoſſero i ſemplici tutti , eivegetali , e gli aniinali, ei minerali , ſenza ſapere lui la propietà', e l'efficacia di quelli . Perchè a inveſtigar la propietà, e Puficio delle par ti del corpo umano lungamente affaticandoſi gli antichi fi loſofanti , fenza la traccia della chimica a poco felice fine le loro opere riuſcir fi videro : e ciò , tra perchè iſegui ,į le conghietture , onde di prenderle immaginarono , poco men che ſempre fallaci , evane fi erano : e ancora perchè parecchj di coloro , il tutto a quelle ,, che chiaman prime qualità diridurre s'ingegnarono, dovēdoſi per loro più to fto altre , edaltre qualità ſpiarc ,dalle quali molto più,che dalle prime , le operazionidelcorpo umano, come è detto , dipendono. Matroppo malagevoli alcune di quelle fono , e ad intendimento umano moltonaſcoſe ; così ayviluppatou fono , e infra lor intralciate le particelle cutte , onde s'in generano :: 0 per la troppa debilezza de'lor movimenti , o per la picciolezza;,.e cenuità di quelle , o per altre fomi gliati cagioniagli organi de’noftri ſentiméti celandoſi,non ne laſciano alla verità pienamente penetrare; Namneque pulueris interdum ſentimusadhæfum Corpore , nec membris incuffam fidere cretam , Nec nebulam noctu , neque araneitenuiafila Obvia fentimusquandoobretimur euntes . Così ancor vanamente ſtudiandoſi gli antichi filoſofanti di comprender la natura , e la propietà dell'aere , dell'ac que , della terra , delle piante , degli animali, e de' mine rali, DelSig. Lionardo di Capoa 497 rali , in non pochi errori inavvedutamente incorſero:; maw pur della loro dappocaggine ricreduti Ippocrate , Teofra 1to ,, Diofcoride, e altri famoſi antichi filoſofanti , sfidan doſi di poter quella con piena, e perfetta ragionegiam mai ſcoprire , ſenza più addentro vanamente innoltrarſi in fu la lola corteccia ſi riſtarono ., quel ſolamente ſcrivendo ne , che per lungapruova già ſperimentato :n'avevano . H che diè cagiondi iclamare a quel gran lume della filoſofia , edell'eloquenza Romana : mirari licet, quæ fint animad venfa à medicis herbarum genera , qua radicum ad morſus beſtiarum , ad oculorum morbus , ad vulnera ; quorun uim , aique naturam ratio nuſquam explicavit : utilitate, con ars eft, &inuentor probatues, &indi a poco ſoggiugne:quod ſcămone & radix ad purgandum ,quod ariſtolochia ad morfus ferpentum poffit , videmus, quod fatis eft; cur posſit,nefcimus. E comeche altri filoſofanti , emedicidi grido, dallapore , dall'odore , e daaltre ſimiglianti qualità d'inveſtigar ſi ſtu diaſſero , come, o caldi , o freddi, o ſecchiidetti ſemplici foſſero , onde poila virtù di radificare , o di ſtrignere , o di riſtorare , o d'altro argomentar poteſſero : inutilenondime no,e vano ſempre da'brioni filofotanti il loro ſtudio fu giu dicato ; e'l medeſimo Galicno , non che altri dice, queſta eſſere una ſtrada , oltre ad ogni creder dubbievole., c falla ce; ſenzachè ben rade voltc dal caldo , dal freddo , dall'u ! mido , o dal ſecco -naíce: ma vifan la più parte l'amaro , e l'acetofo , ed altre fomiglianti qualità , che ſeconde chia mano . Oltre a ciò , v'ha parecchi de'ſemplici,chène odo re alcuno , ne ſaporc, ne altra manifeſta qualità avendo, só poi di grandiſfime virtù , eziandio belzoardiche , e veleno ſe dotati. E chi mai colla ſola guida de' ſenti potrebbe av viſar , che l'acqua ftigia , che in niuna ſenſibil qualità dall acqua comunale differente fi ſcorge , cosi peſtilenzioſa, en mortal poi ſia ? Solola Chimica con ſue pruove faccendio manifeſti i naſcoſi veleni di quella potrebbe avátiagli occhi di ciaſcuno quegli acutiſſimi ſali porre,che già valevoli furo nel fior degli ani, e'nel caldo delle vittorie a roder crudelmé te al grande Aleſſandro le viſcere ed ogni altra coſa conſu R.15 2 mano , 500 Ragionamento Settima mano , fuor ſolamente l'unghie degli aſimi, come dice Plu tarco : e.de'cavalli avea detto Pauſania ,, Trogo , e Curzio; ed Eliano delle Corna degli aſini della Scitia ; e di quelle delle muledice Plinio:ungulas tătùmmularum repertas, ne que aliam materiā, quæ non proderetur à venena ſtygis agudo E Vitruvio : conſervare antë eam , &continere nihil aliud po teſt nifi mulina ungula . Machi potrebbe mai credere , cheſotto la dolcezza del miele , e dei zucchero cotanto piacevoli alguſto,e ſoavi, a covino poi alcuni ſpiriti pungenti, e roditori non molto dall'acqua forte, e dall'acqua.regia diſſomiglianei ? delle quali gli acutiſſimi ſpiriti net vitriolo , nel nitro , nell' allu me , e nel ſal comune s'appiattano ; e che nel ſolfo diqua , lunque ſapore ignudo , c digiuno dimori un ſale oltremo do acecolo , c roditore ; e che nell'olio delle ulive due fali fi ragunino , uno acutiſſimo , c aſſai valovole a rodere , e l'altro ſoprammodo piacevole , e ſoave ; e che l'acqua pu ra , e ſchietta , che continuo ſi beve , e ſembra al guſto co tanto inſipida , ritengi un fale sì fattamenteacuto , e pene trevole , che ben balta egliſolo in minutiſſime particelle a fminuzzare , e ſtricolare quel duriſſimo metallo , ch'alle fiąmme, ed a'fuochi punto non cede ; echenelle viole, nel ke lattughe , nelle roſe , ne'papaveri ,, e in altre ſimiglianti ierbe , e fiori, giudicati anzi freddi che no dagli erranti medici, un cotalc ſpirito-affocato , ed ardente mícoſo li ftia , dallo ſpirito del vino non punto diſſomigliante . Vanillimi adunque, e fallaci i ſentieri ſono , ch’a ravviſar le qualità de'ſemplici gli antichimedici s'impreſero : e per giugnere alyero conoſcimento delle coſe, cgliè di meſtiere,che pré- . diamo ad avviarci Per ſentier nuovi a nullo anco dimoſtri: cioè (viſcerando , e minutamente partendo ciaſcun corpo per opera della vitaf notomia , la quale Sempre a vincer ſe beffa oprando intefa noi veggiamo oggidi a sì bello ſtato eſſer condotta . E quanto sì nobilc,e glorioſo meſtiere per aggiugnere a'no Itri intcadimenti aveſſe luogo , ben conobbelo il curiofiſla mo Ga . Del Sig.Lionardo di Capoa. for mo Galieno , allor che con ogni sforzo la natura dell'accto ftudiandoſi d'inveſtigare, lungamente indarno diſiderando fi , così ebbe a dire : In queſta coſa Io non ſon per tentar tutte le ſtrade , e tenterò di far ogni pruova , acciocchè poftafi qualchearte , oqualche ingegnoritrovare , col qua le ſeparar ſi poſſano le parti contrarie nell'aceto , ſicomeſuol farſi nel latte . Macertomala pruova vi fe egli Galieno,na giugnendo a ciò, che per ogni menomo ſcolaretto dell'ar te agevolisſimamente s'adopera . Or quat maraviglia fa rebbe all'orgogliofoGalieno ,c quáto da inenoora li ftime rebbe', fe nel meſtier della medicina dopo tantiſtudj,e tan ti fudori daun giovane Chimico frvedeſſe a lungo ſpazio avanzare? nonpur ſappiendo coſtoro in due diverſe ſoltan zel'aceto partire, il che grandisſimo vantaggio reputave Galieno , main altre , ed altre molte quello agevolmente freverare: le quali ſottopoſte poi al ſottile,e profondo eſa minamento de filaſofi , con dar probabile,e verifimile con tezza delle lor varie ; e diverſe propietà , le tante , e tanto maraviglioſe operazionidell'aceto ne vengono a manife ftare . Oltre a ciò lo immagino altresì , che s'egli aveſſes mai il curioſisſimo Galieno qualchemenomacontezza del la Chimica , comeche rozza; e imperfetta aver potut ? , 11011 đì -ſarebbe certainéte maieglimaravigliato , come ſotto una sì grande virtù di riſtrignere , quanta è nel vitriolostanto, tanto calorc covar fr poteffc .- Imperocchè egli con far di quello notomia agevolmente ,el’una, e l'altra ſoſtanza ri. trovata v'avrebbe, onde poi d'amendue gli effetcidi riſcal dare inſieme , e di riſtrignere pienamente n’avrebbe la ca gion compreſa . Efeaveſſemaidiviſar voluto come il me deſimo ſpirito del vitriolo dueeffetti in - fra le contrariope rar mai poteſſe , ſciogliendo aleuni corpi caldiſſimi, e rap prendendo d'altra parte alcuni liquidi , e fortili, e.volanti troppo , ch'a qualunque oſtinato ghiaccio ligar non lila fciano: 0 como manchevole , e imperfetto il ſuo filoſofar. .conoſciuto avrebbe . Or di queſta nobilisſima arte non meno per avventura, che già ſi ſtimaſſe anticamente il pe netrar la, dove F101 902 RagionamentoSettimo Fuor d'incognito fonte il nila muove , tra per le tenebre folte disì antica età , e maggiormente per la non poca cura , che ebbero ſempre i ſuoi maeſtri di ferbarla a bello ſtudio naſcoſa a' più altiingegni;o punto no iſcrivendone, o ſcrivendone purcon ritegno , e riguardo , accennandola con ignoti geroglifici,c.con intralciati eniin . mi , e con oſcure allegorie , e favoloſi racconti inviluppan dola :malagevolemolto,e confuſo per certo , e poco mē,che impoſſibile rendeſi a volerne il ſuo primo incominciamento rapportare; cofa,la quale in tutt'altre biſogne di conſidera zione avvenir fimigliāteméte ſi vede. Ma che che di ciò Gia, .che di sì nobil ritrovato deali la gloria all'antica Paleſtina , o pure alla Fenicia ,o all'Egitto , o alla China , o a qualū quealtra parce forſe più ragionevolmente la contraſta: egli è coſa ben certa,e ben da ſe medeſima appare eller la Chi mica antichiſſima, e da’più rimoti tempi eller ritrovata nel mondo , avvegnachè alcuni non affatto il concedano; e Sao muelBocciardi dica : novum effe inventum della Chimica favellando , nec illius quenquam meminiffe ante Iulium Firs micum ; il che pienamente teſtimoniano Euſebio ,e Zoſimo; e Suida , c ſpezialmente il Firmico , il quale tutto che fio tilſe a'répi di Coſtantino , pure traſſe le ſueſcritture , come ei medelimo ne narra, dall'opere antichiſſime de'Caldei, es degli Egizj; onde dice il teſtè menzionato Euſebio , che aveffe la Chimica apparata Democrito:Aquóxer Qu Abdueírris φύσικο- φιλόσοφG- ήκμασεν εν Αιγύπου μυηθας υπο Οσάνς του Μήδε σαν λέντG- έν Αίγυπω πα αξε τών τηνικαύζ Βαπλίων Περσών άρχων 7 εν Αι. γύπω ιερών εν τω ιερώτΜέμφεως συν άλοις ιερεύσι και φιλοσόφους , εν οίς ήν και Μαρία της εβραία σοφή. Και Παμμένης συνέγραψε περί χρυσού , αργύρα , και λίθων , και περφύρgς λοξώς' . ομοίως δε και Μαρία εσ ηγέθε σαν παρ' ο'τανε , ως πολσίς και σοφούς αινίγμασι κρύψαντες την τέχνην . Μa che Democrito ſapeſſe la chimica , ſi può apertamente ve dere in quel che dice di luiSencca in una ſua piſtola : exce dit porro vobiseundem Democritum invenifle, quemadmodūs decoétus calculus in fmaragdum converteretur, qua hodieque coétura inventi lapides coctiles colorantur ; le quali parole di Seneca fan.conoſccre quanto vada.crrato Giuſeppe della Sca DelSig. Lionardo di Capox For conto Scala ; in facendoſi a credere non avere ſcritto altrimenti Euſebio , che Democrito nell'Egitto foſſe ſtato in Chimie ca addourinato ,ma aveſſe ne'libri d'Euſebio un tal racco to, aggiunto , untal Pandoro monaco; e comcchè ſi conce deſſe a Samuel Bocciardi, Oſtane non eſſere ſtato giammai in Egitto , e ch'eglimorto {ifoffe gran pezza innanzi, che colà andaſſe Democrito ; impertanto qualch' altro di cotal nomepotrebbe effere ch’aveſſe qualche operazione chimi ca a Democrito inſegnata. Ma ſe pure Euſebio errato aver ſenel nome , da ciò non puòargomentarſi eflerturto il rac Ma ben l'antichità della chimica affai: appieno dimoArano le fabbriche degli iſtrumenti dell'agricoltura , las qual ſenza dubbio, niuno colmondo medeſimo nacque adi un'ora :: e'l modo di coporre il pane, o dipremerdåll'uva, od'altre frutte il vino , e l'artificio veramente maraviglioſo di fabbricare i vetri , e diformar le gemme, e'l meſtier del la milizia , e d'altre antichisfimearti giovevoli non poco , e neceſſarie al genere umano ; le quali ſenza la Chimica non fi poteron mai certamente ritrovare.. Edella ſua antichif lima lega collamedicinaben ſi può ravviſar qualche veſti gio appreſſo Teofraſto , ed altri antichi ſcrittori: e da qualche medicamento ancora delle volgari botteghe ſi può co prendere non eſſer sì nuova cotal arte , e da’moderni inge gni ritrovata . Mache che ſia di ciò: egliè certamente l'uo. ficio , o'l meftier dell'arte chimica di ſciorre i corpi unici, e di congiugnere inſieme i diviſi .. E quantunque ella ſia uns fpezial arte , che da ſe medeſima reggafi, ne le faccia ne ftieri, o la medicina, o alcra arte , di cui dipender debba; non però di meno per li molti , é diverſi fini , in cui gli ar tefici le loro chimiche operazioni talora indirizzar ſoglio . no , ella infra varie altre arti ſovente s'acconta ;, ma in tre ſpezie principalınente è partita . La primaſiè, che ſolve, ed uniſce tutti metalli imperfetti p condurgli a quellaper fezione ( come coloro s'avviſano j che l'oro in ſe contiene:e queſta vien chiamata da’Greci aepurunanida , La ſeconda ſi è la filoſofia ,per la quale sì fatte operazioni s'indiţizzano a fin 1 dico 04 Ragionamento Serrimo di conoſcere , e ravviſare la natura , e la propietà delle co fe a' ſenſi ſottopoſte . La terza- ſi è la medica , che il mede fimoſimigliantemente adopera per iſpiare; e conoſcerpie namente la patura de corpiumani, e- giudicar delle ſanità, e delle malattie , e dell'arie , e dell'acque, e demedicamć ti , e di tutt'altre coſe schad huomo faccian meſtieri: e an cora acciocchè i medicamenti per quella ſoavi, e grazioſi fi rendano , e di maggior efficacia ,e ſicurtà per noi ſi ſpe rimentino : e ſi poſſa ad un'ora più felicemente il veroje conyenevole loro uſo inſegnare. Comunque però ſi dica no , o ſi faccian gli artefici, egli è ben chiaro -effer la Chimi ca una cotal arte da per ſe fola; colla quale tanto ha che far la medicina, quanto delle matematiche , o d'altri ſtudij e virtù certamente s’inframinette ; ſe non ſe per avventura dobbiam dire ,che maggiore , e più manifeſta utilità recau alla medicinata Chimica , che tull'altri ſtudi di ſopra ac cennati unitiinſieme, e rannodati ſi facciano . Perchè come medico Chimico -ſuolchiamarſi dal volgo colui , che del la Chinica tanto quanto per lamedicina ſi ſerve , così ſo migliantemente o ſtronomico , o geometra , o muſioo chia mar colui-fi vorrebbe, che per maggior profitto inmedici na trarre , di sì fatti ſtudi picnamente fi conoſce . Ma noi nondimeno del comuni favellare l'ulo ſeguendo, chimnico medico , o chimico filoſofante-colui chiameremo , che del la chinica arte , o per medicare , o per filoſofare quando meſtier gli faccia ſervir Si fuole . Madall'uficio , edal fin della Chimica chiaro'fimiglia temente ſi comprende quanto quclla ne vaglia, e n'ajusi,a1 ži ſicuramente détro alle ſecrete coſe della natura metter ne poſſa . E ſe veriſſimo cgli mai ſeinpre ſi crede , ch'allej naſcoſe coſe Non trova ingegno-umano aperto il varco : chi può mai porre in dubbio , che lo ſcioglimento de'corpi naturali - il più ſcuro, e'l più agevol modofia da pervenirea qualche conoſcimento dique’principj, onde compoſti, e formati i naturali corpi ſono : come appunto dallo ſciogli incnto dc'corpi artificioſi, comed'orioli; o d'altri ſimiglia . ti in Del Sig .Lionardo di Capoa SOS و ti ingegni fi vengon toſto a ravviſar le parti, che quei comº ponevano; il che ben conoſcédo i primi padri,e maeſtri del la natural filoſofia , Pittagora , Parmenide , Anaſimandro , Democrito , e altri ſaggj filoſofanti dalle continue conſide razioni , che attentamente ſempre facevano nello ſciogli mento delle coſe , che daʼnoſtri ſentimentiſi comprendo no le quali noi diciam corpi naturali,di quelle iprimi prin cipj inveſtigar mai ſempre ſi ſtudiarono . Ne d'altro argo méto fervifli Ippocrate a forınar l'opinione de'quattro pri mielementi , ſe non ſe di quello della reſoluziou del corpo umano ; nella qual coſa egli fu poi da Ariſtotele ſeguito : dicendo , nella carne ,nel legno, ed in altri ſimiglianti cor pi contenerſi virtualmente il fuoco ,e la terra , poichè aper tamente ſe ne ſeparano; ma nel fuoco poi noneſſervi altri menti legno , ne carne , ne in atto , ne in potenza ; imper ciocchè le vi foffero , certamente ſe ne ſeparerebbono . E tal ſentimento dalla torma tutta de’lor feguaci vić abbracó ciato ; a'quali ſeinbra aver aſſai bene ſtabiliti i quattro pri mi clementi , con dire , in bruciandoſi una pianta aver vi, oltre al fuoco la cenere , che è terra , e'l fumino, che è aria : e la groinma , la qual riſudando n’addita non mancar vi anche dell'acqua . Ma quanto ſpoſata , e fievole una sì fatta pruova fia ,ben pienaméte il coprede ogni meromo ſcolaretto in chimnica , cui troppo ben ſi manifeſta il macaméto , e i difetti di cota le ſcioglimento ; concioſliecofachè in ardendoſi sì fatti corpi,molte , e varic favoleſche, oltre a quelle , che per la picciolezza in conto verun çavviſar non ſi poſſono , aperta mente per l'aria ſparpagliar-ne veggiamo : ne è da dire la cenere , il fummo, la fiamma, e l'umidore eller corpi ſem plici , e non compoſti, che queſti ancora ove più minu tainente fi folvano , e inſino a primi ſenſibili componenti fi partano , ravviſanfi compoſti di particelle di natura , en d'operazione diverſi, come quelle , che contengono un'ac qua ſemplice , ed infipida , ſenza altra virtù , falvo che d'u mettare: e un'olio puro, ed acceſibile,e uno ſpirito ſottile, e penetrante, e un ſal volante, che ha in ſe, non micno il ſapo Sss re, che 1 506 Ragionamento Settimo le che la virtù tutta del legno : le ceneri altresì fon com poſte di ſoſtanze diſſimili, ciò ſono un ſale fiffo acconcio a fonderſi nel fuoco , ed a ſcioglierſi nell'umido , ed una ter ra priva di ſapore , e di efficacia. E corale ſcioglimento no come il volgare degli antichi in pochi corpi ſi può dimo ſtrare , ma col conſiglio della chimica , poco men , che in tutti corpinaturali adattar puoſli ; oltre a ciò poi più addé troil chimico facendoſi argomentar potrà i ſapori di tutte coſe dal ſal venire in quelle contenuto , egli odori dal ſol, fo , e dal mercurio la penetrazione ; e per tacer d'altro,più oltre ancora procedendo ritroverà , che i ſemi del liquido , e ſottiliſſimo fuoco nel ſolfo alberghino ; o che ſian quellia guiſa d'acutiſſime piramidette , o dipiccioliſfimi globi : e che il ſolfo ſia d'uncinute particelle , e aggavignate com poſto . E così pian piano ricercando la figura delle parti celle del fale , è degli altri chimici principj trapaſſerà a {piegare con probabili conghietture tutte le operazioni di quelli. Così pariinéte dalle chimiche oſſervazioni avviſato , po trà chiche ſia inveſtigare ,come far ſi poſſano le piovese i grā . dini : come s'ingenerinoi tuoni,i lápise le ſaette :come dalla forza delle folgori fi dileguise fi föda il ferro della ſpada,rie manédo illeſa la guaina : come piovano foventi fiate pietre, ſangue , elatte , e come alla fine ſi formino le ſtelle caden o; le cagionidelle qualicole , e altre molte , potemo ogo gi col giovamento della chimica , non ſolo aſſai veriſimile mente conghietturare , ma coll'opere, e coll'eſercizio prat tico imitare ; imperocchè fifaccia dell'oro una polvere nel la fornace chimica ; che dagli effetti oro fulminante appel laſi , la quale acceſa , fa non folo lo ſtrepito , e lo ſtroſcia del tuono , ma anche ilcolpo , e la violenza della faeţea ; il che fa altresì quella polvere da ' chimici parimente ri trovata , la qual tonante chiamano . Così parimente raccoglieſi dall'evaporazioni dell'acque piovane eſtives , un ſale , chemeſcolato con egaal porzione di ſalnitro ,e có una particella di ſolfo fa an coral meſcolamento , che ac celo li fonde in pietra . Ma di troppo più tempo avrei bi fogno Del Sig.Lionardo di Capoa. 807 fogno ſe voleffi Io far parole ditutte altre maraviglie dela le quali le cagioni naſcoſe per addietro , e inviluppare agli intendimenti de’noftrimaggiori ora per argomenro delle chimiche ſperienze ne fi rendono in qualche maniera pia ne , e manifeſte . Perchè non è forſe dadubitare , che ſe l'arte Chimica pervenuta foſſe a notizia degli antichi greci filoſofanti, non avrebber certaméte coloro nelle loro ſcuo le huom ricevuto , che prima in quella non foſſe alcun té po uſato , e ben lungo vantaggio tratto n’aveſſe ; e per mio avviſo con maggior ragionedi quella , onde Platone, e se nocrate volean , che nel filoſofare non foffero ammelli com loro , che della Geometria digiuni foffero , come teſtimo : niano Laerzio , Suida , ed altri; perchè nella fronte dell'an drone dell'Accademia quelle famoſeparole ſcolpite legge váli oudéis ayemjétentos sioitw . Concioffiecofachè la chimica fola il più certo , e ſicuro fenticro lia,da condurre alla na tural filoſofia ; edella ſola porger ne fappia le chiavi, con cui quelle ſalde ,e diamantine porte differrar in qualche modo ſi poffano , ove i più cari, e ricchi tefori deita natu ra fon riſerbati : perchè a ciò riguardando non ebbe il cor to certamente il famoſiſſimo Meſue di chiamare per van. taggio , e per eccellenza floſofi, e ſapienti coloro , che del la Chimicaconvenevolmente s'intendono. Ma per diſcendere al più particolar giovamento , che della Chimica raccor fucle la medicina : Io dico primiera mente, ch'a bene ſpiarla natura de’viventi, e ſpezialmente delcorpo umano, e la ſua ben regolata economia ,la chimi ca lommamente abbia luogo , e la ſua vital notomia ; im perciocchè ſiafi pure coll’opere della morta notomia a mol te, emolte coſe aggiunto , le quali gli antichi ſapicaci ravviſar non poterono ; e lungo tratto vi crrarono : e ſap piaſi pure per quella il vero movimento del cuore , e del ſangue : e che il ſangue non s'ingeneri nel fegato , o nelle vene , fecondochè con molti altri , così antichi , comemo derni porta opinion Galieno : ne men nel cuore,ſicome im » magina Aristotele : c ſappiaſi anche , che il chilo tragittiſi non per le vene miſeraiche , ficome vollono gli antichi me Sss dici ; 508 RagionamentoStrimo dici; maper le vene lattee al ſacco latteo; onde poi meſco laro col ſangue trapaſſa al cuore : e ſappiaſi eziandio , che vi ha le vene acquofe: c come, e per quali ſtrade l'orina per le reni trapelando alla veſcica s'ayvalli : ecento , e mille altri moderni trovati degli ingegnofi notomiſti de’noftri tempi , de qualierano affatto digiune Legentiantiche ne l'antico errore; anzi concedaſi altresì volentieri ( il che non mai sì di leg gieri conceder dovremmo ) che la notomia già all'ultima mano ſia giunta ; e che de'tempi noſtri ſe ne ſappia quanto mai per tutti i ſecoli ſe ne potrà per innanzi ſcoprire , o fa pere :non per tanto non potrà di tutto concio ſervire al me. dico per farlo a quella perfezion ſormontare, che al ſuo meſtier.Sirichiede ; anzidopo tante , e tante fatiche ſaprà cgli ſolamente una vaga, c dilettevole ſtoria delle parti del corpo umano : utiliſſima certamente , anzi neceſſaria a do ver ſapere ; ma non baſtevole già, ne meno a poter in par te fondare , e mandare avanti una verifimile razionalme dicina : per la quale fa meſtieri ſaper le cagioni dentro , ele probabili ragioni delle coſe , non già la ſola ſtoria, e'l ſem plice racconto di quelle . Ne da dir egli è ſaper pienamen te l'economia del corpo umano quel medico , il quale non potrà render ragione della natura della generazione , del movimento delcuore, del ſangue, del chilo , degli umori acquoſi, e d'altre parti così correnti, come ſaldodelcorpo umano , c della propietà ,e operazione di ciaſcuna di quel le ; le quali coſe inveſtigare impoffibile certamente è ſenza dovere a chimici ſcioglimenti ricorrere ; per virtù de'quali Avicenna d'inveſtigare ſtudiosſi l'umidore dell'oſſa , e de' peli : ed affermò,cheavendo egli ſtillato nella boccia parti eguali d'offa , e di peli , uſcì dell'offa maggiore abbon danza d'acqua, e d'olio, e minor di feccia: perchè dic'egli, che l'oſſa più umide , c più ſuccoſe fieno. Ma no pure a ben filoſofare i Chiinici dello ſcioglimēto de corpiſervir fi debbono,ma co argométo ácora ditutt'al tre operazioni dell'arte,bé poſſono veriſimilmente ſpiegare, come tanta varieti di cibi nella ſoſtanza, e nel colore dilli mili DelSig.Lionardodi Capoa. 509 mili ſi traſmuti ſoventi fiate in un bianchillimo , & unifor me licore , che chilo appellaſı ; come poſcia il candore del chilo in ſanguinoſa roffezza ſi trasformi; e donde il cuore abbia il ſuo movimento , e'l ſuo calore , cioè aſſomigliana do la concozion de'cibial diſcioglimento , over disfacimé to decorpiſolidi , in virtù di convenienti liquori ; la gene razione della bianchezza nel chilo , e del roſſore nel fan gue , alla trasformazionedel colore nel latte vergine , e nell'eſſenza del fatirione , e altre ſimili coſe ; la continua produzione del calore nel cuore , e nel ſangue : al fervore , che per la formētazione s'ingenera ne’liquori de' corpi ve . getabili . E cotanto montano per mio avviſo sì fatticono ſcimenti, che ſenza quelli nonſi può coſa del mondo intor , no alle malattie , a’lor effetti, e cagionigiammai diviſare; ne in altre faccendo delcorpo umano , coſa alcuna di con ſiderazione potrà per huom maidirſi , fe minutamente les dette coſe , e molte , e molt'altre per virtù della Chimica in prima diligentemente non s'inveftighino , le quali tutte lungo ſarebbe al preſente volerle quìfil filo narrare . Ma non men utile , non men giovevole, e neceſſaria cgli è certamente ancora al medico l'arte de Chimici,colla qua le egliponendo ad una rigoroſa , e ſottile eſaminazione l'aria , le terre , l'acqua , le piante , e gli animali , eimine rali corpi , attentamente poine ſpia , e ne conghiettura la natura di ciaſcuna coſa ; e di qualunque lor menoma parti cella le propietà , elevirtù , ele maniere tutte dell'adope rare con probabili, e ſimili conghietture ravviſa . E nel vc ro queſto , che ciaſcun di noi , e tutt'altri corpi di quà giù ſempremai circonda , penctra , avviva, emantiene, valtiſ fimo, e diſcorrente , e lieve , e ſereno , e ſottiliſſimo cor po dell' aria : la quale l'acutiſfimno infra gli antichi Ita liani noſtri Timeo di ſgretolate , e minucillime particel le di ben venti facce compone, non è egligià miga ſem , plice corpo , come il volgo follemente s'avviſa ;ma di varie, e diverſe ſoſtanze compoſto inſieme , emeſcolato . Sorgo no queſte dalla baſſa terra talora , edall'acque , che quella , irrigano, e forſe anche dalla luna, dal ſole, c da altri corpi fupe. l 5102 Ragionamento Settima faperiori vi piovono ; per li qualil'aria, o più , o menoalla reſpirazione, e agli altri biſogni degli animali acconcia fi rende, poichè nelle cimedegli altiſimi monti , ove non giungono l'eſalazioni dell'acqua , e della terra , gli animali fi foffogano ; perchè poi in coloro in varie guiſe le malattie naſcer veggiamo; perchè canrò Virgilio ſubito cùm tabida membris Corrupto cæli tractu , miſerandaque venit Arboribufque ,fatiſque lues,lethiferannus. Ma tali particelle meſcolate inſieme , e nell'aria coufuſe aſſai malagevolmente per certo , aozi in niun modo ravvi-, far ſi poſſono , ſe non ſi partan prima', ſolvendoſi ciaſcu na di loro ne' ſuoi primi componenti . Il che con ma raviglioſo artificio da alcun de'più eſercitati, e più intens denti Chimici felicemente operar ſi ſuole: e ben ſi ſcorges omai a tal ſegno la coſtoro induſtria avanzata, che per ope: ra del famoſo Drebellj,parche vi ſi fia già ritrovato perre ftituirlo all'aere, qualora ne veniſſe egli privo ,quelnobilif ſimo eliſlire, che giuſta i ſentimenti di Paracello vita infó de a quanto Qui nel mondotra noiſimuove , & fpira ; che perciò egli vitale l'appellasper cui l'aere non ſolamente agli animali ,maalle piante cziandio oltremodo neceffaria eller li conoſce ; e ben di eſſo felicemente avvaler ſi vide to ſteſſo Drebelli, allorche egliquella maraviglioſa bar chetta da lui fatta a richicſta del Re Giacomo della Gran Brettagna con iftupor di tutti ſotto acquanel Tamigi fena vigare ; coméchè il detto eliſfire altro ancor faccia , cioè folvå , e precipiti giù quelle ſoſtanze nell'aere , che'l ren dono mai atco alla relpirazione . Ma l'acqua, la quale per bevanda, e per altri infiniti ug è cotanto biſognevole, quantunque chiariſſima, e traſpa rente , c pura a tutta poffa fi ſcelga , eli proccuri ; e che al fapore , all'odore , e alla leggerezza, ea tutt'altri ſesnali ſempliciſſimo corpo in prima neſembri; pur riandata poi, oltre a diverſe foſtanze, che meſcolare vi ſi trovano , ſe ne cava ancora un tal ſaie sì fattamente acuto , e pugnereccio , che DelSig . Lionardo di Capoa JEI che di nulla ha che cedere in forza aque'ſali ,onde per l'ac qúa regia quel duriſſimo metallo fi ſcioglie , comediſopra accennammo, che a qualunque violenza di fuoco, ſaldo , e oftinatiſſimo mai ſempre contraſta ; perchè è dacredere nó bene operar coloro , che il diſtillar acqua per limbicchi di metallo , e maffimamente di piomboagli ſpeziali permet tono ; conciosſiecofachè roſicchiato alquanto dallamorda cità di quel fale il piombo, e trameſtandoſi l'uno all'altro , vengonoinſieme a corrompere,e meſcolare; e guaſtar ma lamente la ſoſtanza diquell'acqua , che ftillaſi:e allora veg giamo coforarſi a poco a pocol'acqua , e a guiſa di latte biancheggiare , quando diſtillata a campana di piombo có altra femplice , e non diſtillara acqua ſimefcola ; ilche fag giamente avvifarono già i dottiſſimi Accademici del Cinně 80. Ma che che fia di ciò , oltre al ſale , il ſolfo altresì , e'l mercurio , e la flemma, ela terra dannata ritrovò nell'ace qua il dottismo medico , e chimico filoſofante Borricchio . E che diremonoi de ſemidi tantis e tanti vegetali semine rali, e animali, cheper la glorioſisſima induſtria d'alcunº altro Chimico nell'acqua ancor ſi avviſano : il che diede per avventura cagione agli Egizzjdi giudicarla primera , e univerfal materia ditutte coſecreate , da'quali tolſe Ome ro a dire : Ωκεανόν πθεών γίνεσαν και η μητέρα τηθε ePautore di que' verſi attribuici ad Orfeo Ωκεανόόσπερ γένεσις παντεσσι τέτυκάι . Ωκεανών πεώτG» , καλιρρόσυ ήρξαι γάμοια oʻpos saoryvártee góptopýtoege TyIwTHEY, E’I noſtro poeta , per tacer Virgilio , Catullo , ed altri, ſe . condo il medeſimo ſentimento avendo egli al fuo Filagli teo fatto ragionare in prima della terra, Pur non è ella il gran principio immenſo, Ilgranprincipiodele coſeeterno, Benchèmadre fichiami, e velta : & vanti La reggia , ei figli ſuoidivize giganti, fa poi, che coluiſoggiunga: Mafo degna di fede ,èfama antica L'O ! ST2 RagionamentoSettimo . L'Ocean de le coſe.è vecchio padre. Il qual ſentimento fu anche di Talerc Mileſio , il qual ncl. la ſcuola de ſapienticosì preſſo Auſonio va dicendo Milefius Thales , aquam qui principem Rebus creandis dixi. E ciò dal vedere egli , come fasſi a credere Ariftotele , effer umido , così il ſeme , onde s'ingenera l'animale, come il cibo del qual ſi nutrica : e dal credere, come riferiſce Plutarco , il ſole , e le ſtelle da'vaporidell'acqua nutrirſi, o dall'avviſare ch'ogni qualunque coſa dall'acqua nafca , ed in ella diffolvafi, comc racconta Euſebio . Malo immagi. no , che Talete non già principio delle coſe abbia voluto eſſer l'acqua , ma giudicato aveſſe aver d'acqua in primas avuta ſembianza e, forma quella materia , onde poiſecon do il ſuo avviſo i corpi tutti ſenſibili del mondo si formaro no; ciò parimente ravviſar ſi puote dallo ſcoliaſte d'Efiodo , allor che dice , il caos d'Eliodo , altro non eſſere, che l'ac qua . Ma non men dell'acqua , e dell'aria ſi dee ancora prender cura delle terre , c con attentisſima eſaminazione conſide rarle , ove certamente infra tante , e tant'altre ſoſtanze,che Vallignano foglion diverſe , e varie ſorti di minerali' ritro varſidagli ; aliti de'quali reſa talora peftilenzioſa, e corrot ta l'aria , o l'acqua , o le piante, o le frutca , nuove , edi verfe guiſe di malattie ſovente cagionano: ne altronde, per quel che già Io ini creda , quelle gravisſime febbricomor tal riſchio degli ammalati in cotali ſtagioni dell'anno accé der fi fogliono, che per cambiamento d'aria avvenir comu nemente fi giudicano , ſe non ſe da sì fatti aliti, e ſuapora menti de'minerali, che pervenendo al noſtro corpo , e dall' aria , ed all'acqua , e da' cibi quivi racchiuſi , e ingozzati, ſcoppiano poi per la loro abbondanza, e ſoverchio vigore in ardentisſime malattie ; imperoccliè in quelle ſtagioni il fervor del fole facendo venir ſu gli alitį arſenicali, vitrio lati. , nitrofi , e ſulfurei dalle occulte miniere della terra , rende l'aria dannoſa, e nociva alla unana ſalute ; concioſ fiecolachè in ponçido noi mente alle chimiche operazioni e 1 o ray 1 Del Sig. Lionardo di Capoa 513 2 ravvifarido , come alcuneſoſtanze , le quali comechè ſc parate ſi prendano ſenza alcun nocumento per la bocca, im pertanto confuſe formano un mortifero veleno , come nel ſolimato ſi vede , del quale ogni qualunque menoma parti cella mortalmente offende, potrasſi agevolmente conoſce re, come reſpirādofi ne'viaggi ora aliti mercuriali, o a'mer curiali equivalenti, ed ora ſalini , pofſa produrſi nel cor. po noſtro una ſoſtanza non guari disſimile al ſolimato ed indi poi quelle mortali infermità di cambiamento da ria appellate agevolmente s'ingenerino . E ciò vien conferinato dalla ſperienza, come quella , che ci dimoſtra, ivi avvenir le malattie di cambiamenti d'aria , ove ravviſa fi maggior varietà diminerali , ed ove il calor del ſole per cuota maggiormente ; ne da altro , che da aliti velenoli, e nocevoli de'minerali da crederè, che s'accendano ancora quell'altre febbri non men malvagc, e non men peſtilenzio ſe delle prime, che avventandoſi tratto tratto con lor vio lenza alle Città, e a' contadi , e a’villaggi tutti, fogliono così infra breve ſpazio di tempo impoverir d'abitatori le contrade . Ed abbiam noi pure con gli occhi proprivedu to quanti , e quanti da sì fatte cagioni nella noſtra Città miſerabilmente morti ſiano, e ſpezialmente ne'meſi addie tro, quando crudelmente diſcorrendo in alcuni luoghi la peſtilenzial febbre, laſciò vuoto , e diſpopolato il Borgo Sant'Antonio , ed altre terre ,non ſolo della Campagna Fe lice , ma d'altre Provincie ancora del Regno noſtro . Ed è egli neceſſaria ancora ſoprammodo a'mcdici la chi mica acciocchè eglino con l'ajutodi quella valevoli a ſpiar la natura , e la propietà de'cibi, e de'ſemplici medicamen ti render ſi poſſano ; conciosſiecofachè quantunquc vero egli foſſe ciò che Galieno medeſimo coſtantemente niega's c rifiuta ;che i ſapori , e gli odori, ed altre ſoiniglianti qua lità, certi , e ſicuri ſegnali della natura de'cibije deʼmedica menti ſiano, pure perciocchè gli organi de’noſtri ſentimen ti di sì ſottiltempera, c di sì acuto intendimento non ſono , che poſlan ſempremzi ben comprendergli , egli ne fw certamente meſtieri per iſcorta de'ſenſi rintuzzatil'Ermeti Ttt C2010 5.14 Ragionamento Settimo ca notomia , la quale partendo i corpi , ed eſaltandone le qualità ( per ſervirmi d'una voce dell'arte ) quelle poi ma nifeſte a'curioſi, e ſenſibili maggiormente offerir poffa . E quale avviſo potrebbe mai per huom' prenderfi dal ſolo fpiamento de ſenſi intorno a que'cibi,e a que'medicaméti : che pur ven'hà molti : edanche intorno a que'veleni, che privi affatto ,e ignudi d'odore ,e di ſapore,e d'altre ſimigliá ți qualità , di tanto vigore , e di sì inaraviglioſa efficacia ſi conoſcon poiper pruova , qualia danno , c quali a prode gli huomini , chc nulla più ? E quale argomento prenderem noi dal ſapor di quelle coſe, che di ſoave dolcezza maſche. rate in prima , come già altra volta abbiam detto, ne lufin gano il palato , e la lingua , e poi tranguggiate , nello lo maco formentandoſi, le viſcere, cgl'inteſtini crudelmeute , n'offendono ? Coſa ,la quale nel zucchero, e nel mele , e in ciaſcun'altra ſimigliante coſa manifeſtamente fi ſperiméra, Che dolce al guſto , a la ſaluteè rea ; perchè facendo le beffe a' volgari medici il motteggevol Berni, così proverbioſamente ne favella: Il melperchèmangiato altrui diſtempre, E’n collera ſi volti ; a cui l'amaro Danno coſtor , che fan tutte le tempre: Queſto ſecreto così degno , e raro Maſtro Simon ftudiandoil Porcografo Scoperſe a Brun , che gli fu già si caro. Or fa tu l'argomento o Babualo , Edì , fe'l mele in cullera ſi volta , Segno è , che d'amarezza non è caſo. Ma comechè così alla ſcoperta n'ingannino i ſentimenti ilmele , e'lzucchero con far veduta d'eſſer cotanto dolci, foavi ; pure de’lor falli agguati ne fan pienamente avveduti le chimiche machinazioni, con darnemanifeſtamentea di vedere, nel zucchero, e nel mele un ſale acutiffimo naſcon derſi, nonmolto a quel dell'acqua forte , e dello ſpirito del nitro dicimile : Quis mellis dulcedinem nefcit? dice Pier Severino : nibilominusin tanta dulcedine latent Spiritus illi acutisfimi , qui ubi exaltantur , & ad extremitatem ducun :: tur, Del Sig.Lionardodi Capoa. 515 tur,venenatā perniciē represētāt.Eprima dilui Baſilio Vale. tini già detto aveva:jā vero ex illo fuavisfimiq ;faporismeile Corroſivă peffimü, atq ; præfens venenum præpararipoteft. Or va medico ingannato , e ſciocco , e giudica pur dalle qua lità , ch'a prima faccia viſcorgi,le cofe della natura ; con danna la rigidezza nel ſal comune per la rabbiofa ſete , ch ' accenderſi da quello sformatamente rimiri: ch'ad ontz pur della tua mellonaggine han ſaputo i Chimici un fales aceroſo rinvenirvi ad attitare anche agl'Idropici più ane lanti la fete . E che direm poi del pepe , che così mordace; e pungente , puré un dolciſimo, e ſoaviffimo fale in ſe na fconde ? E che d'altre , e d'altre pruove infinite , che per interamente fpiegarle vi vorrebbono lunghi volumi , non che piccoli diſcorſi di ragionamenti ? Sarà dunque da con. chiudere , che noi per quanto con tutta noftra poffa a ſpia: rei ſegreti delle coſe del mondo ci adoperiamo , pur nonui ne poſſiamo fe nonſolamentele priincbucce comprendere; perchè ſe chimica mano non le parge , c riſolve , e diſtinta mente elaminandone le parti , le naſcoſe interiora di qucl le non ci addita , e le operazioni, e'l convenevol modo di farlo , certamente chiunque ciò follemente intende Ne l'onde folca , é ne l'arene femina. Eben di ciò fe manifeſta pruova il Cardano ,che col lim. bicco , e colla Chimica giunſe a ciò che comprender mai non poterono , o Ariſtotele , o Galieno ; e ciò fu , che nó fappiendo coſtoro la cagione , perchè cotanto noccia il vi no ,maſſimamente generoſo , e pretto a colui, che paciſca di mal caduco,egli ſolamente colla ſcorta della Chimica potè a fuo credere affai veriſimile ritrovarla:hoc verò dico ( sõ ſue parole) nõ cõvelli puerosà vini potu ob caliditatem ;quum neq; pipere,neq;aliis aromatibus id eveniat: neq ;quod fithumidū; nă vel noeft, vel lac longè humidius, à quo tamen non convel tuntur . Caufsa ergo eft aqua ardens , quæ in illo continetur : que quum latuerit Ariftotelem ; & Galenum, meritò in Aris fotele admirationis cauffam præbuit , in Galeno multa perpe tam commentandi; eftautem abundantior , quo vinum craf Ttt . 2 pius eft. . 116 Ragionamento Settimo 1 : 1 2 fius eſt . Ma ſe'l Cardano ſtato e’li foffe meglio inteſo nelle faccende della chimica , aurebbe certamente una aſſai più veriſimile cagione di ciò nel vino ſcorta , e avviſata : im perocchè oltre allo ſpirito ardente , che giova anzi che no al mal caduco , evvi un ſal fiffo acetoſo nemiciſſimo delle parti tutte nervoſe , del qual aſſai più , che dello ſpirito ardente egli è il vino groſſo abbondevole , e copioſo . Ma intorno alle fattezze , così dentro , come fuori delle coſe, giovevoli oltremodo a raffigurarne anche le vir tù dc'ſemplici , non comporta al preſente la ſtrettezza del tempo , ch’lo tanto quanto ne ragioni;le quali per non dir d'altri vedeſi aver tolte dal Paracelſo , e da altrichimici au tori, comechè di lor non faccia punto mézione,e averle de ſcritte nella ſua Pitognomica il noſtro curiofiffino , emol to de’ſegreti della natura intédente Gio : Battiſta dalla por, ta . Maniuno certamente ha , che con maggior diligenzas per quel che me ne paja , e più felicemente ne tratti (per ta cer del Crollio, e del Quercetano) quáto Federigo Elvezio , E coinechè noi fin qui de'ſemplici medicaméti detto ab kiamo , non però di meno è da credere la Chimica a'com poſti, clavoratimaggiormente abbiſognare . Furon que fi ingegnoſi trovati del mondo già adulto ; imperciocchè negliannidell'oro , e nella felice etade , quando i pomi , e le ghiande Eran del corpo umanlodevolpaſto : nelle ſemplici piante la germogliante medicina ſolamentes confifteva ; e allora non men che le ſchiette vivande , i me dicamenti ancora Vſar le fortunate antichegenti; ma creſciuta poi oltremodo col tempo , e comprenden doſi dagli huomini eſſer nclle piante qualche parte inutile per avventura, c qualch'altra forſe nocevole, eglino di par tir l'une dall'altre per lor biſogne avvedutamente propoſe ro ; quindi tra perchè non ſi fapeva , o non ſi potea purlaw parte nociva , è inutile dalla buona ſeparare , e anche per chè così diviſe, debile molto , e sforzata la parte medicinal He rimaneva, qualch'altra pianta forſe ſaggiamente v’ag 1 4 giun Del Sig .Lionardodi Capoa . 517 1 giunſero valevole ariſtorare i mancamenti, e i difetti del la prima , é a far sì, che quella nulla , o poco nocer potef fe ; anzi ſe pur Pabbiſognaſſe , quindi la ſua virtù notabile mente avanzar nedovefle . Così tratto tratto cominciaro no nel mondo a comporſiinſieme , e meſcolarſi i medica menti ; e ſarebbe pure aſſai bene potuta riſtare in tale fta to la biſogna , ſe già tanti , e tanti indiſcreti , e ſmo dati medicinon aveſſer quindi preſo agio di ſtrabocchevol mente ſcompigliare, e confonder la medicina tota , con ac cozzare inſieme ; e meſcolar cotanti medicamenti per ren der la medicina , o più malagevole , o di maggiorpregio al mondo ; e componendo inſieme una lunga ſchiera di cento ſemplici medicamcnti, ne formarono talora uirconfuſo , e inviluppatiſſimo guazzabuglio . Cofa , la quale ſommoſſe i più faggi, e avveduti medici, ed inveſtigatori della natu ra a lūghisſime quercle,come d'Erafiftrato narra Plutarco con quette parole: Ερgσίστρατοδιέλεγχε την ατοπίαν, και περιεργίας με μεζλικα , και βοτανικα , και θηeμακα, και τα από γής , και θαλάθης εις Te Quroovyzeegwúras oxandryce Citocécouvlas iv mitocrívy , og díxua , και εν ύδρελαίω τηνιατζικην απολιπε . ΜαEragrafo biamo ol tremodo l'indiſcrezione , e la curiofità di coloro , che i minera Li infieme , e le piante , e gli animali, e ciò che mena laterra , o naſce in marein unomeſcolarono; che più fennd af'ai avreb ber fatto , fe daparte laſciate cotantecoje folamente co’farri , colle zucche , e coll'Idreleo aveſſer l'arte della medicina ter minaia. E l'avvedutiffimo, e bé parlante Plinio.fraudes ho minum ,&ingeniorum capture officinas invenere ifas , in quibus ſua' cuique homini venalis promittitur vita . E chi non maraviglierebbeſi di tante , e tante coſe , ch'a com por la Triaca , o'l Mitridate, concorrer debbono , dan ftancare i ſpeziali ,non che a raccorle,maſolamente in leg . gendone le ricette/ Theriace, diſſe altrove il medeſimo Pli nio , vocatur excogitara compofitio luxuriæ ; fit ex rebus ex ternis , quum tot remedia dederit natura , quę fingula ſuffi, cerent. Mithridaticum antidotum ex rebus quinquaginta quatuor componitur , interin nullo pondere equali , & qua . rundam rerum fexagefima denarii unjus imperata . Que Deo 518 Ragionamento Settimo Deorumperfidiam iftammonftrante ? hominum enim fubtilin tas tanta effe non potuit . E avvegnachè cotali medicamen ti fiao poi nell'opera buoni, ed efficaci riuſciti, non ne ſom però mai da troppo commendare i primilor ritrovatorizim perciocchè nel comporgli da prima , e nel lavorargli non con avveduto , e ſano giudicio certamente adoperarono , ma a riſchio , e a caſo alcune di quelle coſe togliendo ( che pure alcune vi ſon ſoverchie ſenza pro niuno, c viſi potreb . bono anche dell'altre , e forſe con maggior ſenno , più ef ficaci aggiugnere)il tutto e nella ſceltage nel povero ,e nels la quantità di ciaſcuna ciecamente alla ventura riniſero , non guardando minutamente comeſi richiedeva , al valor di quelle , ne punto efaminandole . Impreſa per molti ca pi malagevol troppo , e quaſi ad huom diſperata; ſenzachè nel meſcolarſi ,nel diſporſi, e nel formentarſi inſieme i sé plici,varj , ediverſi mutamenti ſovence avvenir ne foglio 110 ; iqualicertamente non è da dire , ch'aveſſer mai que primi ritrovatori di quelli pienamente avviſar potuto. Per chè comenell'incendio di Corinto quel ricco metallo co tanto dalle ſtorie celebrato nella fortunofa meſcolanza di altri metalli alla vçntura formofli , così nõ meno il caſo an cora ha parimente portato , ch'il Mitridate , la Triaca, o s'altra v'ha fomigliante compoſizione , giovevoli, ed effica ci rimedi per molte , e graviſſime malattie fortunoſamente fian divenuti. Ma che che di ciò ſia , manifeſta coſa è poterſi molto be De l'antico ufo rinovando , colle ſole piante medicare ; la qual forte di medicina, dirò con Adriano Turnebo ,huom di varia , ed eſquiſita letteratura : fortaffe ad morborum fani taiem efficacioreft ,quam illa confuforum miſcellanea compo fitis ; magno mortalium , & difpendio , & damnointroducta. £ noi per tacer de' bruti animali , che felicemente ad ogn ora l'adoperano il veggiamo pur fare alla giornata a parec chj de'noſtri contadini, ne ha guari,cheil Caritrero, famo filimo medico Tedeſco , con ufar medicando le ſemplici piante , non ordinaria lodå guadagnoſli ; e i popoli inge gnofillimi del Braſile ,iſicome riferilce Guglielmo Pifone , medi DelSig.Lionardo diCapoa. $19 medicamentis fimplicibus utuntur, noftraque derident , quia compofira ; e degli abitacori del Mellico , Fra Martino Igna zio ne' ſuoi viaggj , così dice : los Indios fon grandesberbo-, larios , ycuran fempre con ellas , demanera , che cafi non hay enfermedad para la qual no ſepan remedio , y le den :ya eſtacaufa viven muyfanos , y cafi per maravillamueron, que noſea quando el humido radical ſe conſuma : ed in quel va ito , e quaſi immenſo tratto dipaefe della China , comete ſtimonia il Padre Matteo Riccio , fi è medicato permolti, e molti ſecoli , e ſi medica tuttavia , ed aſſai felicemente coll uſo delle folc erbe . E certamente come la natura delle ſchiette, e non meſcolate vivandeoltreinodo ſi dilecta , Nam varieres Vt noceant homini credas , memor illius eſcę , Que fimplex vlim tibi federit ; at fimulaffis Miſcueris elixa , fimulconchylia turdis ; Dulciafe in bilem vertent ,ftomacboque tumultum Lenta feret pituita : vides ut pallidus omni Cæna deſurgat dubia ? quin corpus onuftum Heſternis vitiis animum quoque pregravatuna Atque affigit humo divineparticulam aura. Così anche ſchietti , e non compoſti medicamenti per riſtorarſi richiede ; perchè Plinio : non fecit , diffe , ceraia , malagmata, emplaftra , collyria , antidotaparens illa , ac di vina rerum artifex : officinarum hæc , imo veriusavaritia commenta funt. Pure , poichè la coſtuma de’meſcolati, co me de'ſemplici medicamenti, è tanto oggidà nel modo avā zata , che per legge è quafi da ciaſcun ricevuta, e ſi veggo. no sì fatti rimedinelle botteghedegli ſpezialicötinuamen te a calca difpenfare : convenevol cofa egli certamente , anzi neceffaria mi pare , dovere il medico degli unis e degli altri piena , e ficura contezza avere ; e oltre a ciò nelle ma niere del lavorare i compoſti medicamenti eſſer ottiinamé te ammaeſtrato . E certamente , o quanto farebbe egliil migliore , ſe il medico medeſimo i rimedj, che diviſa , po • neſſe in opera , e non ci foſſero ſpeziali, i quali tri per l'in gordigia del danajo , e per la loro ignoranza il tutto traſcu rata : 520 Ragionamento Settimo 1 1 ratamente abborracciaffero ; o almeno lavoraffcro imedici qualche medicamento dimaggior conſiderazione , laſcian-, do ſolamente in man degli ſpeziali i più volgari , e meno vili: come già coſtumavano (ſecondo il narrar di Galieno ) Archigene, Andromaco , Apollonio , Critone, Pacchio ,e altri famoſiffimi medici antichi; i quali non iſdegnarono ď. ufar ſovente un così giovevole , e aobil meſtiere ; an , zi lo ſteſſo Galieno vantaſi oltremodo d'aver lui mede fimoa ſue mani la triaca lavorata; avyegnachè di que’tein pi , come e'medeſimo ne fa teſtimonianza , e molto addie- : tro ancora , il meſtier delmedico da quello dello ſpeziale diviſo anche trovaffefi,come avvifa infra gli altri Plinioidid cEdo, che alcunimedici de'ſuoi tépi no li davan cura niuna dicoporre imedicaméti,gefepropriú,ſono ſue parole ,medie cine ſolebat:ene'répia noi più vicini ebberoi medici ancora le lorbotteghe;avvegnachè conventati, e onorati molto ſi foffero , e in quelle alcuni medicamenti ad uſo di vende re riſerbaroro : come dal Decameron delBoccaccio nel la novella del Maeſtro Simone agevolmente ſi può cópren dere ; a cui Bruno dicea : e ſappiate , che quelle camere ſono nonmenoodorifere che fienoi boffoli delleſpeziedella bottega voftra , quando voi fate peftare il comino. El Fernelio, ed altri famofiffimi medicihan coſtumato pure di comporno alcuno s perchè l'avvedutiſlimo Orazio Eugenj loda foin mamente coloro , che imedicamenti pe’loro ammalatian ſue mani lavorano . Ne dovrebbe ilmedico certamente vergognarſi a pur farlo 3 perciocchè,comedice Primeroſio , remedia abfque medico curant,non autem medicus abſque re mediis ; præftantior igitur medico erit remediorum natura : quare ea præparare , &componere medicum non dedecet, qui naturæ tantum miniſter eft. E nel vero egli è queſo un meſtier sì nobile , e lodevole , che non che i filoſofi di mag gior lieva , e ſpezialmente Ariſtotele l'abborriſſero , e l'a veſſero in diſpregio , anzi i Principi d'alto affarc ſovente l'adoperarono, e'l tennero a conto. Or ſe il medico medeſimo a pro de'ſuoi infermi lavorar dee DelSig. Lionardo di Capoa ser deeimedicamenti ,e ſconvenevol coſa non è a ſalvamento degli huomini l'adoperarviſi ; come potrà giammai , quan tunque faggio , e avveduto egli ſia ', porre in opera, e com porre i più malagevoli rimcdj, ſenza avere in prima bene , uſate, e ſperimentate lungo tempo le maniere , e gli artifi cj , co’quali ſi compongono ? iinperciocchè l'efficacia , e'l valor di quelli dal niodo dell'apparecchiargliin gran parte depende. O come potrà mai pienamente diviſar de'ſempli ci , de'inodi , co'quali tra loro quelli accozzar ſi debbono, e tramcſtare ? perchè Giacomo Silvio intendentisſimo di cotali affari vuol, che chiunque a bene imprender l'arte della medicina indirizzar ſi voglia,debba alinen per lo ſpa zio di quattro anni avercontinuo in prima uſato , ebazzi cato con gli ſpeziali nelle botteghe loro ; & quidem exifti mo , dice anche Pier Caſtelli , oprimum medicum hujus fu cultatis debere effe expertiſſimum : alioquin fore , utfere fem . per in præfcribendis medicamentis compofitis erret. Mari tornando , onde partiti eravamo: ch’al inedico faccia biſo gnola Chimica , quanto al fatto delle compoſte medicine, egli non è da porre in forſe ; poichè ſi ſcorge omai di per; tutto eſſer in uſo le chimichemedicine; perchè ſe'l medico non aurà piena corezza delle faccéde pertinenti a coral ar re , come potrà inai quando meſtier glie ne ficcia , o colle fue propic manicomporle , o adoperarle, o conoſcere al meno , c riparare aldanno , che quelle aveſſero per avven tura cagionato ; o ſe forſe da altri medici diviſati foffero , raffermare i loro sériinéti, o rintuzzargli,ſecodo egligiudi chcrà , che ſi convegna per lo miglior dell'ammalato. E nel vero come potrà mai adoperar medicinenti un medico , ſe non ſe intendentistimo della natura , e delle propietà delle parti, chic’lcompongono , e degli effetti ancora , e del mo do del loro operare ? E come potrà mai egli ſaggiamente ordinargli ad argomento d'una , o d'altra malattia ; e divi . farle ſtagioni, e itempi , in che fan da dire , c alle conj: pleſſionidegl'infermi, e all'età ragionevolmente adattaro gli ? o comcpotrà mai loro ordinare il inodo di prenderglis e diviſarne la quantità : 0 temendo di qualche riſchio rin Vuu tuiz 522 Ragionamento Settimo tuzzarne, e attutarne la troppa violenza , o contro quella agli ammalati di qualche yalevole ajuto di preſente ſoccor rere ; o toglier lenoje, ei fastidi , che ſovente ingenerar ſo gliono ? Non è certamente cosìagevole , ſecondo i ſenti menti del medeſimo Galieno, il poter medicamenti adope rare a colui , cui conoſciuta in priina , e manifeſta molto bé non ſia la virtù di quelli, e la forza per la quale gli effetti n ' avvengono . Or che di grazia avrebbe detto Galieno , re : qualche contezza pur delle chimiche medicine , comechè leggeriffima, gli foſſe all'orecchio pervenuta ? Certamente conſiderando egli le ſtrane maniere , e malagevoli del loro operare, ayrebbe ne' medici ricercato ſtudio , cavvedia mento maggiore ; e non che piane ,e facili , e ſenza trop po riguardo giudicate l'avrebbe , ma pericoloſiſſime a ſpe rimentare , e da troppo più, ch'a popolar medico non lico viene. Or vadano pure coteſti medici di cromba marina, e colla ſola doctrina del lor macſtro Galieno a far pruova de'chimici medicamenti a coſto della vita dc'inileri amma lati ſcioccaméte s'attentino,che vedran pure a funeſto, e la grimeyol fine le loro mal ardite follie sépremai riuſcire;im , perciocchè ne dalle ſcritture di Galieno, o d'Ippocrateme defimo, ne da altri lor ſeguaci , che della chimica medici na nulla certamente s'inteſero , comprender mai potranno coſa alcuna intorno a'chimici medicamenti ; ne dalle rego le , che già coloro ne laſciarono fi può trarre argomento 2 comporne alcuno; ſo per quelle le propietà de'inedicamé timedefimi della lor comunal medicina, nc anche avviſar fi poſſono: perciocchè , ficome è detto , in quelli ancora il chiariſſimo lume della Chimica ne fa meſtieri .Ne quelno biliſſimo pronipote del gran Re di Damaſco , Giovanni fi gliuol di Melue nella chimica medicina, e in quella di Ga lieno , maſſimamente intorno alle purgagioni eſercitato , n' avrebbe mai conſigliato , cſfer ſempre da leggere , e ſtudiar ne’libri de'fapienti ( cosìchiama egli per eccellenza i chi mici) s'aveſſe giudicato averfi ciò potuto baſtevolmente in que' diGalieno, c dc ſuoi ſeguaci apparare :netanti , etā ti valentillimi Galicniſti avrebber poi il conſiglio di Meſue qual DelSig.Lionardo di Capoa. 523 qual legge ſeguito c, con molta fatica ne'volumi, e nelles fucinc de'Chimici lungamente ſudatinon ſarebbono . E licomc ad huom poco giova l'eſſere nell'antico meſtier dell'armi baſtevolmére eſercitato , ſe poi ad abbatter Roc che, e Caſtella ,e ſorprender Città:dimine, d'archibugj , di bombe , d'artiglierie , e d'altri nuovi , emoderni ſtru menti , ed ordigrida guerra dalui per addietro nô mai più veduti, o ſperimentati, ſervir ſi vuole; ma conviene in pri mache da nuovo maeſtro , e intendentiſiino di quelli pic namente apprefi gli abbia,e come,e quando , o per offefa, periſcherno da adoperar ſiano : così nulla ancora a'medici approda il ſaper coloro compiutamente quanto mnai nell’ : antica , e volgare fcuola diGalieno apparar ſi poſſa, ſe mai chimici medicamenti uſar ſaggiamente intendono ; ma egli fa di meſtieri, che ben anche in prima da Chimico macſtro apprcli gli abbia, e la maniera d'adoperargli, e l'arte di bé comporgli pienamente abbia apparata; imperciocchè fe così sfornito dell'arte , e ſconſigliato ſi vorrà ad impreſa çotanto matta , e malagevole arriſchiare, certo mala pruo va vi farà il ſuo orgoglio ; e rimettendo il medicamento al Izventura , e alla cieca andando , a manifeſto , e certiſlimo pericolo la ſua fama iuliemc, e'l falvamento dell'anmala to alla fuacura commeſſo porrà . Così quella famoſa ſci mitarra diquell'invittillimo Eroe Georgio Caſtriota , la cúi memoria ancor teme, e trema l'infedel popolo ſaracino, diceſi , che in man di Macometto Re de’Turchi le ſue glo rioliflime pruove laſciate aveſſe : ita plerique medicine, dice a noltro concio Teodoro Chercringio , chymice præſertim , aut mortue ,aut (quod deplorandum magis) mortisfæpè cauf ſefunt, quando non animantur periti Doétorismanu, qui no verit eas tempore, &loco adminiſtrare . Così anche dopo l'infelici pruove per lui fatte nella gioſtra, Colui ch'indoffo il non fuo cuojo haveva, Come l'afino già queldel leone, il viliſfimo Martano , lo dico,ritornato in Damaſco fu qui vilungamente ſcherno delle femmine , e de'fanciulli. Ma tanto più da piangercè , comechèdirifi ancor degna ia ,la Vull liioc 524 -Ragionamento Settimo ſciòcca tracotanza dicoſtoro ', quanto in malamente uſan do le chimiche medicine , quantunquc ſicure , e piacevoli quelle ſieno , pur n’ammazzano crudelmente gli ammalati. Così il dotto Galieniſta per altro , e avveduto molto To waffo Eraſto collo ſpirito del vitriolo un cattivello infer mo empiamente a morte conduſſe per no aver lui nel fuo maeſtro Galieno la natura , e l'uſo di cotal medicamento apparato ; che ſe egli dal Severino , dal Penoto , dal Dor neo, o da altro profeffor della Chimica medicina;da lui cos tanto biaſimatas appreſo aveſſe , e pienamente conoſciuto come , o quando lo ſpirito del vitriolo da dar ſia , certame tc eglicotanto misfatto comıneſſo non avrebbe. 's E forſe , che nel medeſimo fallo appunto dell'Eraſto no ſi è quì bruttamente cader veduto non ha guari un credu to , e molto ſtimato Galienifta , il qual collo ſpirito fimi gliantemente del vitriolo un miſerabile infermo, cui, per troppo ghiottamente eſſerſi riempiuto di freddi, e aceto ſi liquori , fi era riſerrato il perto , infelicemente ſtrago Jandolo licciſe ? E piaceſſe pure al Cielo , che per l'abuſo di sì fatto mc dicamento non fi vedeſſero tutto giorno miſerabilmente molte , e molte perſone morire . Egli è coſa troppo mani fefta , ſe pur merita fede la ſtoria rapportata dal Checher manni, di quell'Elettor Paladino, cui per l'uſo dello ſpirito del vitriolo l'interiora tutto guaſtc , e roſe ritrovaronfi. Ne giova punto a cellare il pericolo de'ſuoi peftilenzioſi effet zi l'adoperarlo con ritegno , e riguardo, e ſcarſamente uſar lo , teinperandolo anche talvolta con acqua , o altriſomi glianti liquori; concioſiecoſachè dato più , e più volte co minciapianamente ad operare , ea poco a poco rodendo , infin le tuniche del ventricolo , ſpietatamente alla per fine conſuma, c divora . Così talvolta al continuo ftillar d'ofti nata goccia mancano finalmente i duri macigni. Et leviter quamvis quod crebro tunditur ietu , Vincitur in longo ſpacio tandem , atque labafcit. E pur lo ſpirico del vitriolo per altro cosìbenigno,e pia cevole ſi ſperimenta , che ben felicemente a'fanciulli anco :. ra da Del Sig .LionardodiCapoa 525 1 ra dacolui , che cautamente ſervir ſe ne ſappia fuol darli . ? E ſe'l vitriolo baltevole a guarir la quarta parte de'rnali da quel grand'huomo in medicina Teofraſto Paracelſo vienu giudicato ,ben da colui ancora il ſuo ſpirito vien fomma mente lodato con chiamarlo quartampharmacopolii partēs & lapidem angularem in officinis pharmacopoeorum ; avve gnachè cotefto ſpirito , che comunalmente nelle botteghe degli ſpeziali per ciaſcun fi diſpenſa , non fia veramente quellofpiritodi vitriolo cotanto da Chimici commêdato na altro più groffo , e di minor virtù , e giovamento di fuello . : ! is Ma per ritornare a' grofliffimi errori , ne'qualiper nons aper di Chimica fogliono i medici, comechè faggj , e av veduti, talvolta ſmucciare , egliè pur manifeſto a ciaſcun quanto fcioccamente , e fanciulleſcamente dell'antimonio il dottiſſimo infra’ſeguaci di Galieno , Mercuriale favelli. E chi non iſcoppierebbe delle rifa in conſiderando la mel ionaggine di quel famoſiſſimo Gåſieniſta , e cotanto nella lottrina del fuo maeſtro eſercitato , Aleſſandro Maffaria ? vvegnachè più toſto da pianger fiat , che da ridere la com fioro ignoranza per li ſconcj avvenimenti , e funeſti, che ne fuguono . Egliadunque intorno al medeſimo antimonio dopo averne cosìinfelicemente favellato , venendone all' lifo del darlo , e diviſando in che quantità da dar fia ,in und fua cotal ſciocca ricetta ,cosi ragiona: Recipe antimonii pre parati 8.3. Orchi Domine giammai il fentimento compré der ne potrebbe ſenza andar dalle gabbolc a ricercar ſe de fiori , o del gruogo , o del vetro , o d'altre, e d'altre molte medicine , che foglion farſi dell'antiinonio , abbia intender voluto ? Ecco appreſſo il nottro Antonio Santorelli nella volgar dottrina de Greci, e degli Arabi maeſtri famoſifli moſcrittore, diviſar dell'acqua arzente in una delle fue opere così ſcioccamente, che nulla più . Ecco il dottiſſimo Galieniſta Giovanni Eurnio così traſcurato in favellar del fale del vitriolo vomitivo , cheda piacevoliſſimo chequel, loè , facendolo fomigliante nella violenza all'ariento vivo precipitato , ed al vetro dell'antimonio , lo riftrigne , eris fpar ' 526 Ragionamento Settimo . ſparmia a nôn darlo all’ammalatosſe non nella quantità ſo la di due minutiſſime granella digrano . Ecco d'altra parte il più illuſtre , e famoſo medico de'ſuoi tempi Guglielmo Rondelezji doftar forte , e temere , non la raſchiatura del dente del Cignale rattenga talvolta nelmal della punta lo fputo;nel qualviluppo certamente egli involto non fareb be , ſe nella maniera del filoſofar de chimici in medicina baftevolmente avanzato fi foffe ; concioffiecoſachè cota li rimedi per lo loro Alcali volante mai ſempre operiuo ; il qualpenetrando , e trameſtandoſi colfale aceroſo, che nel le vene , e nella punta s'accoglie , eſciogliendo le dutez ze dell'apoſtema, agevolmëte quindi per ogni via così aper ta , come occulta ,non che per quella ſola dello ſputo,ne fa ſpiccar fuora la inateria tutta inſaccata . E ſe cotal via di filoſofare quell'altro famoſiſſimo Medico Prevozio te nutå aveſſe ,certamente, che ne anche eglicosì ſcioccamé te temuito ayrebbe di dar nelle febbri maligne agli ainma latiil.corno del cervio . Ma come , o in qual guiſa a sì no bilmente filoſofar'nelle maraviglioſe operazioni della chi mica potrebbon mai indirizzarſi i tondi , c goccioloniGa lieniſti, ſe nelle coſe più piane , e più manifeſte di quellow , anche v'ha infra loro chi Come notturno augel nemico alſole cieco affatto ', e rintuzzato d’intendimento vive ? Egli non può narrarſi certamente ſenza ſmaſcellar delle riſa la peco raggive di quel famoſo conventato Galieniſta nell’Acade mia diGroninga, il qual troppo fanciulleſcamente giudica va lo ſcoppio , c'l tuono dell'oro fulminante per opera de ' Diavoli avvenire : e ciò turto pauroſo attendeva, non altri menti , che il Macſtro Simon fi faceſſe , quando ſu la beſtia imperverſata, e nabiffante inyer la Conteſſa di Civillari ini corſo andava . Nuper aurum fulminansracconta il Chippe ro , cujus fi granum unum , aut duo carbone defuper lentè ac cendas , bombardam minorem fonitu aquat,ſi non antecellit; ut meritoridenda fie Freitagii focordia ;&contradicendi ftu dium ; dum tale quid fieripofle naturaliter denegat , ctſi oma ninò effectus evidentia cuvincatur, ad Dæmones hujus cauſ; fam Del Sig.Lionardo di Capoa. 527 fam refert : dignum certè hac patella operculum , & hoc philos fopho hæcphilofophia. , Egli è dunque da conchiudere eſſer la chimica ſomma mente neceſſaria alla medicina tra per li medeſimi volgari medicamenti de'Galienifti, e più aſſai per quelli, che di el fa Chimica ſon propi , e che per opera diquella , e de' ſuoi ftrumenti ſolamente ſi compongono ; e maggiormente in quelli l'arte ſottiliſſima della Chimica fi conviene; che co me è già detto , così pericoloſi ſono ,e da temere inmaneg giarſiper le ſtrane, e non ordinarie maniere del loro opera re . E concioſliecoſachè v'abbia cotali rimedj non iſcorti alla lingua, e alle nare , e d'ogni ſenſibile qualità affatto ignudi , che per regole d'ordinaria medicina non può la lor natura agevolmente comprenderſi: egli è di ineſtieri certa mente per non fallar nell'avviſargli, alla chinica notomia ſopratutto ricorrere;ſenzachè havvi alcuni particolari me dicamenti , detti ſpecifici , i quali convien fenza fallo , ch'a chiuſi occhi , e ſcioccamente lavori , e maneggi chiunque del meſtiere , c del modo del filoſofar de Chimici non è bé dottrinato , e intendente affui ; perciocchè sì fatte ricettev: nella pratica della medicina , così brevis ce ſecche , ecalor confule , e incerte ne'buoni ſcrittori ſi trovano , che per im broccarnela quantità , o'l tempo , o la maniera d'uſarle , o le malattie , nelle quali da adoperar ſono, malagevole cer tanente ſarà ad intendimento umano; ed è ſolo de' Chi miciragionevolmente , e ſenza fofpetro alcuno l'adoperar lc , e ſervirſenic calora , dove lor faccia meſtieri, con effer in prima fotcilmente filoſofando nella lor natura ben penetra ti ; e per quel che permeſſo ad huom ſia , con aver le loro qualità baſtevolmente compreſc . Cofa , la quale quanto monti a dover ceſare i riſchjge i danni, cheda sì fatti me dicamenti naſcer poſſono , pur troppo è a ciaſcun manife fta . Ne è già punto maraviglia , ſe gli arditi , e poco avve duti Galieniſti ſcioccamente inframmertédoviſi,la lor par te ancor vifanno : ſe come è detto , anche nell'adoperare i . Jor medeſimi medicamenci van carponi, e brancolando per l'incertezza,quaſi ciechi al bujo ; e in quelli maſſimamente , a’qua 528 Ragionamento Settimo < aquali dan nomedi virtù occulta , cioè a dire di ragion no conoſciuta , e non punto da lor compreſa , credendo così la lor groffezza , e laloro ſciocca pecoraggine coprire. Ma d'altra parte i chimici medici filoſofanti innoltrandoſi quá to per huon ſi puote nella contezza demedicamenti,eco noſcendo aſſai veriſimilmére la natura dc'mali, e le cagioni, onde avvengono , ſicome con avveduto , e probabile divi famento fortilmente ragionar ne ſanno , così con loro no bili , ed efficaci argomenti digran vantaggio riparando ſo-, vente al genere uinano , degni d'immortal gloria , ed'eter na fama ſirendono ..., mily Magià baſtevolmente dimoſtrato quáto a color, che me. dicare intendono faccia meſtier: la Chimica : a divilar de' chimici medicamenti , e quanto ſovente ne lian neceſſari. trapaſſeremo. Ma comechè lo di ciò fivellar per comuns giovamento m'ingegnj, e ne renda maggiormente avvedu-. ti gli huomini delmondo , pur dubito , non alcuni dannā- ) do ,ebiaſimando sì fatti rimedj inalgrado per avventura me ne fappiano . Dunque dirà taluno, queſt' altra nuova ſorte dipeſtilenza all'uman genere mancava ? e non baſta va forſe a impoverir di gente le provincie, e i Regni, il vuo tar di quel prezioſo liquore,a cui s'attiene la noſtra vita, per , ogni menomacagion le vene ; e co'duri cauterj, e con crui deli veſcicanti , e altriricroyati di barbare , e ſtrane nazioni martoriar miſerabilmente le genti:e a toglier alle parti più ſodedel corpo umano il debito nutrimento , e la virtù di ravvivarlo , e di riſtorarlo alle liquide : uſar le ſcamonces , gli elaterj , le colloquintide , ilatirj , i pepli, gli Elleborin , iTurbitti , iMezerj, le ſquame del raine, le pietre lazule , e tante , e tant'altre forţi di nocevolislimi veleoi più ches , di riſtorativi argomenti dell'antica volgar medicina , ſe non vi congiuravano ancora a noſtro comun danno i potentiffi mi precipitati , i mercurj divita , 0 Alcarotti , come altri gli chiama, i verri , i fiori, e altri cento violentiffimi vomi tivi tratti dell'antimonio ,del vitriolo , del mercurio , o d'al tro qualunque più peſtilenzioſo minerale ? Deh piaceſſo pure al grande Iddio , che, o non mai uel mondo foſſeliin he trodora ( DelSig.Lionardo di Capoa. 529 trodotta la medicina; o almen , che non inai ella ſtata ſi for ſe colla ſpagirica arte accoppiata , e delle nuove , e ſtrane fortide'medicamentidiquella dannevolmente accreſciuta : che mé malcerto ne farebbe dalle malattie medeſime inter venuto di quel, che tutto dì oggi per mā de’medici miſera bilmente proviamo. Or s'accreſcano pure a ſtruggimento, e ſterminio delle noſtre vite nuovi, e muovi ſtrumenti di mora te ; e gl'ingegniumani s'aſſottiglino,e s'affannino , e ſudina a gara per imprédere un'eſercizio così in fauſtojcosì crudele, che nemeno a'ſuoimedeſimi artefici ſuol perdonare, che im appreſsãdoſi ſolamëte a'fornelli no debban ſovente correr manifeſto pericolo delle perſone. Così morifli ancor gio vane il Tedeſco Teofraſto , non già da’maligni Galieniſtip invidia atroflicato , ficomecomunemente per tutto allor buccinavaſi,ma al parer dell'Elmonte ,buo giudice in sì fata te coſe ,da’medeſimi minerali ; che continuamente e' manego giava ; dal cui nocevole , e peſtilezioſo fummo l'Elmon te medeſimo confeſla ſe eſſere ſtato più fiate in grandiſſimi riſchj della vita condotto . Così anche a ' tempi noftrive duto abbiamo quel cattivello nella ſtrada delle Campane dagli ſpiriti del nitro , e del vitriolo , e da altri minerali do po continuo tremore , ch'e' n'apprefe , e dopo lunghe , e gravi malattie miſerabilmente alla fine morirſi . Orqual danno dovrà egli intervenirne a colui , che quaſi cibi inno centivolentier gliſi tracanna , fe cotanto nocevole , e dan noſo è l'avergli ſolamente davanti Ripone tra' ſuoi egregi vanti la Chimica di ſapere oltremodo i medicamenti delle parti inutili , e nocevoli ſpogliare , e di rendergli benigni aſſai, ed efficaci ; ma per tacere , che alcuni di quelli ( e'l confeflano comechè mal volétieri i loro artefici medeſimi) deboli , e ſpotſati, e di niun momento dal ſuo maneggiar diventano , parecchi , e parecchj ( coſa la quale certamé te è peggio aſſai , e dura oltremodo a ſofferire ) di mezza Haméte nocevoli, che in prima erano , o pur tali ſi dimoſtra vano , rendegli la chimica col preparargli non altrimenti , che imedeſimipiù fieri toſſichi, crudeliffimi, e micidiali . Dica pur queſta nobiliflima Città : quanti, e quanti nel 1 Xxx ten 530 Ragionamento Settimo tempo della paſſata peſtilenza con dolori acerbiffimi di vi. ſcere n'aveſſe fatti morire quel velenofiffimo ariento vivo precipitato , ch'angelica polvere allora chiamavano , pro poſto allordal Protomedico di que'tépi a comun ſalvamé. to degli ammalati,e co pubblico editto diyolgato colle ſtá pe. E ragionevolmente per avventura dubitonne alcuno , ſe più huomini allora per la potentisſima violenza di quet medicamento , o per la medeſima peſtilenza mancaliero . Edo quanti, e quanti alla giornata veggonfi privi di vi ta , o cagionevoli reſi della perſona per opera di chimici ri medj, de’quali la maggior parte conſiſte in lavorare i mine sali;i quali dalla noſtra natura affatto rimosſi ,altro mai, che dolori, noje , malattie , e morti recarnon poſſono . Odafi per Dio ciò , che di coteſti Chimici , e della loro ſcuola di dica ildoctisſimo Erafto , l'eloquentisſimo Cortino , il ſot tilisſimo Riolano il padre , e la ſcuola famoſisſima tutta di Parigi. Odaſi come con ſaldisſimeragioni nuovamente gli rintuzzi , e mandi giù l'acutisſimo peripatetico filoſofo, e Galieniſta Ermanno Corringio ; e ſopratutto ſi riguardi a ciò , che dalle genti pe’mal capitati infermicontro a'chi ci medicamenti tutt'or querelando ſi dica , e le beſtemmie atroci, che per tutto contro lor ſi ſcagliano . Deh sbandi ſcafi per Dio da queſta Città, sì nocevole , c dannoſo me ftiere , e con rigoroſisſimi divieti ſi mandin fuora delle bota teghe degli ſpeziali, e da tutt'altri luoghi le chimiche me dicine. Ne già mé ſaggj nel vero , e avveduti eſfer dobbiam noi de'medici Melaneli, che il dannevole uſo dell'Alcarot to vietarono ; e ſe ſono , e con ogniragione , da' noſtri fta tuti proibiti gli uſi degli archibugetti e degli ſtili , e d'altre ſomiglianti arme,come nocevoli algenere umano , quan. tunque tal volta a ſchermo dell'onore , e della perſona pur buone fiano ; perchè non ſaran da yietar poi medicine sì fie re , emaligne,che ſe mai pure di recar qualche giovamento fan ſembiante , allor più crudelmente inſidiar la vita fi fpe rimentano . Sono o Signori, sì fatte querele , e rimproccj in grā par te per opera dc'malvagj Galieniſti contro la Chimica, ei ſuoi DelSig.Lionardo di Capoa. 530 ſuoi medicamenti fovente adoperari ; i quali gittando la polvere innanzi agli occhi della balſa,minuta,e troppo cre dula gēte , fan loro a vedere che ichimici medicamenti più ch’altri ammazzar fogliano , e che tutto il malc, che nel cu rare altrui intervenir ſuole , da color ſolamente avvegnavi perchè la ſciocca torma del popolo da for moſſa lamente volmente gli biaſima ; e con torti , evani giudizj ſovra i chimici, i misfatti de'Galieniſti medeſimi, o le violenze del male empiamente riverla; E parla più di quel , che meno intende. Ed è egli certamente cotal diſavventura a tutt'altri me. dici ancor comune d'eſſer sépremai accagionati della mor te degl'infermi : non moritur æger fine infamia medici: diſse Plinio e pural tépo dilui, o no v'era , o no avea púto che fır nelle noſtre contrade, o in quelle de Greci,colla medicina la Chimica . Così non giugnendo i medicamenti a rintúż zar la violenza del inale , ed eſſendone diterminata alla per fine la meta della noſtra vita', è certamente da dire có quel valent'huomo, che nella medicina tutt'altro avvenir ſoglia, che in ciaſcun'altro meſtier ſi coſtumi; perocchè dove i mã. camenti degli Artefici a'difetti dell'arte comunalméte s'im putano , ſolamente in medicina il mancamento dell'arte aʼmedici cattivelli ſovente fi riverſa ; e fon talvolta inde gnamente accagionatidi ciò , che per argomento umano imposſibile ad operare . Perchè certamente intorno a ' misfatti de’medici da prudente huomo , e aſſennato non è da preſtare agevolmente fede a’rapportati masſimamente da altri medici per malavoglienza , o per nimiſtà , ficome di ſopra baſtantemente diviſato abbiamo con l'eſemplo d ' Aſclepiade; eſſendo pur troppo vero quel detto di Curzio: iai diverſis rebus id folet fieri ,ut alius in alium culpam refe rat . Ne già è mio intendimento , che di cocal quereia al cun de'noltri medici al preſente fi punga , come a ſe pro piamente inveſtita ; perciocchè lo quì in general ragionare intendo del cattivo coſtume d'alcuni medici ; cben ſo , che così quì, comealtrove v'ha de'medici dabbene , c onorati affai, e di qualunque gran loda dignisſimi : avregnachè Xxx 02 532 Ragionamento Settimo 1 1 1 1 1 talvolta pur alcun di loro daʼfalſi rapporti ingannato, NÓIL . già per altio , e permalayoglienza, maper troppa ſua dab benaggine vi falli . Pur male a noſtr’huopo comincia tal volta leggeriſſimavoce , non ſo donde , o falſa , o vera, ch' ella fiali , che roſto per tutto ſi buccina, c s'accreſce:intan to, che agevoliſſimamente dalla bafla plebe , e dalle troppo credulaperſone vi ſi preſta fede; i quali non che vogliano ſottilmente caminar comela biſogna paſſata ſia , anzi tal volta ſenza ſaper come , o quando, c da chi cominciata ſia , volentier la s'inghiottono : & fepè etiam quod falſo creditu eft , veri vicem obtinuit . Perchè poiveggiamo della mor te di taluno accagionarſene medico , che non che viſitato giammai l'aveſſe ; anzi ne men chi colui foffe, o dove ſi foſſe dimorato per avventura fapeva; pure comechè a sì fatta diſavvetura ciaſcunmedico ſoggiaccia,nó però di meno ſo pra tutt'altripar ch'a’miſerichimici maggiorméteella con traſti, quantunque certamente maggiori, e più gravi dan ni da'volgari medicamenti alla giornata avvenir veggiamo, che da’Chimici ; e pure quelli ſovente alla gravezza incon traftabile del male, non alla dappocaggine del medico ac tribuir ſi fogliono: dove di queſtinel contrario, laſciata dw parte qualunque altra cagione , folamente i chimici medi camenti s'infamano ; maſtimamente per coloro , i quali nul la fappiendone , come di nuove , e non conoſciute coſe ſo ſpettando, ſempre ne temono ; follemento mai ſempre,e in tutte le faccéde vera ſtimado quella séréza di Cornelio Ta cito :fuper omnibus negotiis melius,atq ;rectius olim provisü :et quæ cuvertuntur in deterius mutari. Ed è pur da aggiugnere a ciò quell'altra cagione che per opera de’malvagi, e invi dioſi Galieniſti s'accrefcon mai ſempre i timori della ſcioc ca plebe , intanto che ne men poſſono ficuramente i chimi ci medicide' più volgari, e comunali medicamenti talor fer virſi ; che pur diquelli il vulgo ignorante teme ; dove d'al tra parte fe dalla greggia de creduti Galieniſtichimiche medicine , comechè violenti, e pericoloſe loro fien porte ' , tantoſto alla cieca , e ſenza tema alcuna le fi tracannano , volendo pertinacemente anzi che a'chimici,ne'loromedeſig 1 mi me DelSig. Lionardo di Capoa 533 mi medicaméti, ſtarſene agli ſtrani, e talora ſciocchi Galie niſti, cui ne men per nomequelli conoſciutiſono : non che ne ſapeſſer mai le qualità , e glieffetti , che ne'corpi umani quelli adoperar ſogliono . Non niego però , che tal malavventura ne' Chimici di non eſſer agevolmente creduti , eglino medeſimi talvolta la ſi procaccino , quando o per ſoverchio dicompasſione , che han de’miſeri ammalati, o per vaghezza di dover gưa rire gli abbandonati da'Galieniſti , ambizioſi s'inframmer tono di medicare i diſperati, e voglion quaſi dall'orlo del feretro trarre i morci.È la ſciocca géte n’aſpetta pur le ſtra vaganze, quaſi foſſe propio de Chimicil'adoperare i mira coli; quando forfe i Galieniſti non han faputo per poco co figlio la creſcente malattia attutare , con dar loro al tempo iconvenevoli medicamenti; perciocchè Principiisobſta : ferò medicina paratur, Quum malaper longas invaluere moras. Anzi con avere i Galieniſti medicati talvolta a roveſcio , e alla cieca gli ammalati , malignamente poi, ea gran tor to ne vien ripreſo,e cacciato il Chimico ,e i fuoi rimedi bia fimati . E a tal fegno pure giugner veggiamo la iniquitoſa malizia d'alcun medico , che di quel medeſimo infermo, cl egli ſpacciato in prima , e già laſciato aveva , attribuiſce poi difpertoſamente altruila morte, e i chimici medicamé te di colui empiamente n'accagiona. Così non vergognof fi il Foreſto a ſcriver purc , che colgruogo di Marte un co tal’Empirico ammazzato aveſſe un'ammalato tutto mar cio , e corrorto , e com'egli medefimo narra , già moribon do , e fpirante. E piaceſſe pure a Iddio ,che non foſſe giūrå a tāto l'affocata malavogliéza di sì fatti ſquafimodei , che già reputādofia vergogna il falvaméto ,che allo infermo da loro ſpacciato avvenir puore per cófiglio de'chimici, e già temédone gli avāzi,nó prédeſſero alcuna briga di far pruo va delle loro bugie, con dar qualche ftorpio a’riſtoramenti dello infermoze ſe pure in lor diſpetto neguariſce l'āmala to,nó folaméte delmedico, che'l fanò, madi lui medeſimo capitali nimici rimangono; ficome di quel Cote diffe quel motteggevol Satirico Italiano : Ha 534 Ragionamento Settimo Ha buon ز occhio , buon vifo ; buon parlare , Bella lingua , buon / puto , e buon toffire ; Queſti fon ſegni , che non vuol morire; Maimedici lo voglion 'ammazzare: Perchè non ci ſarebbe il loro onore , S'egli ufciffe lor vivodalle mani , Avendo detto , egli è Spacciato , e more. Ma come teftè ragionavamo con la lor ſoverchia pictà in voler curare infermidiniuna ſperanza , danno agio i Chi mici a i ſoffiamenti degli invidiofi Galieniſti, e cadono tal volta dal buo nomedivaléti medici. Ne certaméte p altro Ippocrate vieta aʼmedicanti il dover por mano agli infermi difperati; e quell'altro famoſo ſcrittore Arabo ne conſiglia a non doverci arriſchiare a prender cura di malagevoli , sfidate malattie , ſe non vogliamo pure guadagnar titolo di cattivi medici ; e anche avviſa Cello , prudentis hominis eft, eum , qui fervari nonpoteſt , non attingere : nec fubire.fufpia cionem ejus, ut occifi, quem forsipfius peremit . E a ciò an che riguardado Galieno parimente ne conſiglia a dover la fciare alſolo predicimento cotali infermi, ſenza dar loro niuna ſorte dimedicaméto , per no logorare indarno.i rime. dj,e fargli infam uea torto preſſo il vulgo, õde poi ſi laſcian via, quando forſe ad altri ammalati di minor riſchio giove voli ſono . E nella medeſiına guiſa Aleſſandro de Benedet ti : prudentis medici, dice, ef ,inſanabiles, &defperatos mor bos nun curare ;ne hominem occidiſſe , quifua forte interitu rus erat , exiſtimetur . E che direm noi di que'chimici medicamenti , che talor de perſone ſi lavorano, e ſi diſpenſano, che dichimica , ne dimedicina ne ſan boccata? Enel vero eglitāto omai è cre ſciuto l'abuſo delfabbricare malamente , anzi abborrare i rimedjchimici , cheda'Ciurmadori , e da Cerretani , edas viliflime femminelle uſar pubblicamente ſi veggono , e ven dong a macco in ſu le panche, e per le fiere abbondanteme te li ſpacciano , e ben ſovente fi comprano anche dagli ſpe ziali , e da’medici per diſpenſargli poi a 'loro ammalati;šć zachè da Galieniſti medeſimi calor s'imprendono , e teme ruri . 1 . DelSig. Lionardo di Capoa. 535 rariaméte dagli ſciocchiffimi uccelloni yeggőli ordinare , e lavorare alla cieca . Navem agere ignarusnavis timer: abrotanum ager Non audet,nifi quididicit dare.Quodmedicorum eft Promittuntmedici;tractant fabrilia fabri. E s'attendono purecoteſti medici di tromba marina de' noſtri tempi a maneggiar biſogne di cotanta conſiderazio ne , e di cotanto riſchio : certamente ſe ad infelice fine poi rieſcono , e veggonfiatcriſtar le caſe , e le famiglie , non gli innocenti rimedi biaſimar ſe ne vogliono , ma color ſola doperano ; non altrimenti , che ſe ſpada , o archibuſo daw furioſa mano moſſo fia , non n'è lo ſtrumento da accagionas. re , ma la follia ſolamente dello ſcherano . Ne ſan coſtoro quanto ſenno abbiſogni in medicare , e ſpezialmente con argomenti chimici, a cuicertamente di maggiore avvedi mento e di più ſaldo giudicio fa luogo; che le malamente s'adoperano , maſſimamente le purganti medicine, ove il medico non abbia in dandole riguardo al tempo , lità del male , all'età dello infermo, o alla natura di lui, o alla ſtagione dell'anno, certamente colui mal ne capiterà : Temporibus medicina valet: data tempore profunt, Et data non apto tempore vina nocent ; Quin etiam accendas vitia , irriseſque vetando, Temporibusfinon aggrediareſuis . E o quanti per Dio ſe neſon veduti e fe ne veggono tut tavia correr pericolo, e morirne talvolta anche col medica mento in corpo per traſeutaggine , e colpa de’ſoli medici ignorāti,e ſciocchi? Quante volte per beſſaggine degli ſcé pj Galieniſti ſono ſtate biaſimate le manne , le roſe , le caſ. fie , e anche l'aloé , di cui non ſi trova al comun parere mę. dicamento più innocente , e benigno ? E ſe alcun prende rebbe cura di guarire ammalato, ſe egli nel cominciar d'in terna infiammagione, o nell'acerefciinento , e nel vigor di quella deſſegli ſcioccamente a tracanar chimica purgagio ne , qual colpa poi ſarebbe egli dell'arte , ſe coluimalamé te adoperandola l'ammalato n'uccideffc ? Certamente niu . najper . alla qua : 536 Ragionamento Settimo 1 na ;perciocchè come Ippocrate medeſimo , e Galieno di viſano, anche le lor purgative medicine allora ſon peſtilen zioſe , e da non uſarſi ; perchè a' mali precipitoſi,e ftraboc chevolmente imperverſiti non ha certamente la medicina più ſicuro conſiglio, che il guadagnar tempo con iſchermi readagio , e tenere a bada la foga del male , ſenza voler glili alla rincontra oſtinatamente opporre có purgative me dicine, masſimamente gagliarde ; che alla zuffa,che in un medeſimo tempo due si oſtinati,esì poffenti nimici dentro dall'ammalato farebbono, certamente egli n'andrebbe cof peggio :neq ;ulla alia fpes,diffe avveducillimaméte Cello , ir malis magnis eft ,quã utimpetum morbi trahendo aliquis effum giat , porrigaturque in id tempus, quod curationi locum pre Stet :così parlavano que'buoniantichi, che ne'ſalafli, e nel le purgative medicineſolaméte credeano eſſer ripoſte le cu re de'più gravi malori; ma i moderni da'chimici addottri nati bé fanno co'rimedj valevoli, e generoſi,ına che non of fendono punto lo infermo, eche in ogni tempo ſicuriffima mente ſi poſſono adoperare darvi compenſo , ſenza ſtarſe neſcioperati, e neghittofi ad afpettare il ſoccorſo , che non è dalla natura forſe per venir giammai . Ma ciò da parte laſciando noi pur troppo veduto abbiamo nelle febbriche delpaſſato anno han malmenato , e quaſi abbattuto il Bor go Sant'Antonio ,e altri luoghi vicini, effer così malaméte riuſcite le purgagioni, e altri ſomigliāti rimedi;perchè a grā ventura recaronſi poique' poveri infermi , che non ebber agio di comperarſi la morte a contanti ne'medicamenti,che uſavanſi; e ſtando alla bada ſolamente della natura,così sé. za rimedj la lor vita ſerbaronſi . E per cacer d'altri, il me deſimo anche eſſeravvenuto novellamente in Francia, rac conta l'Autor della giunta all'oſſervazioni di Lazaro Ri yerj. - Éfe egli è dannevole oltremodo , e di riſchio lo - Atuzzi cargli umori crudi , e non debitamente maturati, certamé te il medico ne farebbe da biaſimare , non l'arte, ſe contro i giuftiffimi divieti d'Ippocrate , e di Galieno s'inframmet . teſſe di purgare ammalato , in cui fian crudi gli umori ſex 2 :2 en Del Sig.Lionardo di Capoa . 537 za enfiamento alcuno : in morbis quoquenihil eft magis peri culofum , quam immatura medicina,comechè non medican-. te , avviso Seneca ; perchè ſeguendo i ſentimenti de' ſuoi maeſtri avvedutiſſimaméte in queſto capo Aleſſandro Maf ſaria, danna, e sbandiſcenelle febbril'uſo dell'Antimonio, come nocevole oltremodo agli ammalati: e allora, egli di ce maggiormente farſi a conoſcere il danno , che dalle purgagioni, oltre al convencvol tempodate ne fiegue,qua do più gravoſo , e di maggior riſchio fiè il male ; concior fiecofachè nelle lievi malattie , che molto non piggiorano dal ſuo naturale ſtato l'inferino , poco nocimento ricever, certo egli ne foglia ; perciocchè o ſe n'allunga il male,ficc me Ippocrate,e Galieno diviſano, o pursì poco cagionevol della perſona coluinerimane , che nulla il medico quan tunque accorto , ed eſercitato Gali , comprender mai ne puote . A torto anche vien biaſimata la Chimica d'adoperar fo laniente i minerali; e ben detto è a baſtanza contro la ſci munitaggine di alcuni,quanto ricca, e abbondevole di ine dicamenti ella ſia; c nel vero, ne l’Ericina ebbe mai,o l'Ar denna , o s'altra al mondo è più vaſta , e più folta ſelva,tã ti alberi , tante belve , quanto ricca, e abbondante è la chi. mica di cofe a’luoi medicaméti accóce;e prédöli a loro uſo, non ſolamente i minerali dalla terra ,madagli animali anco ra , e dalle piante abbondantemente i rimedi ſi formano ; perchè troppo ſcarſa , e mendica pur ſarebbe da dire la rapportata ſomiglianza ; perciocchè quanto cuopre il Cies : lo , abbraccia l'aerc , nutrica la terra , e'lmarchiude, tutto alla Chimica giuridizion ſoggiace : e'l meno di che ella s'inframmette ſono i minerali; concioſliecofachè non abbia ſolamente in fua balia i falnitriji ſalicomunisi vitrioli, i fer ri , i rami, e gli argenti , c gli ori , e le gemme, comcchè di queſt'ultime coſe ſolamente i perfettiſſini Chimici, o icat tivi , non già i inczzani ſervir li fogliano;ma e radici anco ra , c tronchi, e frondi , e ſughi di cento , e mille infra lo ro diverſiffime piante , e anche tutte parti ſalde , e diſcor renti di tanti , e sì varj animali,di cui la Chimica i ſuoi me Yyy dica 538 RagionamentoSettimo dicamenti in sìvarie , e tante guife ordina , e lavora. : Ne perchè la chimica medicina ne' minerali talora s'a doperi ,e s'affarichi, è per huom da tacciarne : anzi fom mamente da efferne commendata lo la giudico; concioffie coſachè non ſono i minerali altrimenti , comealcun di loro follemente ſognoſli , veleni, e toſſichi:anzi non poco in vero molti e molti diesſi all'umangenere giovano,e approdano; e ciò a tutti buoni ſcrittori aſſai manifeſto egli fi è , anche antichi , che liberamente , e fenza niun ſoſpettomettevan gli in opera , e così fchietti , comecon altre coſe meſcolati l'uſavano ; il che ſenza troppa fatica durare agevolmente moſtrar potrei : maſſimamente, cheper tutti manifeftamé te ſi ſa quanto Ippocrate della ſquama del rame fovente fi ſerviſle ; e Dioſcoride no conſiglia , e conforta a dar per bocca liberamente il vitriolo: e ne'tempi antichi anche s'a doperava il mercurio : e ancora a' dì noftri nella colica , e ne'vermi , e in altri ſimiglianti mali ordinaſi da tutti medi ci, anche a'fanciulli del lactime, ſenza ſofpetto dinocimé to alcuno ;e ſe fra’minerali v'han di que' , che velenofi fo no , ve n'haparimente di queſti, ed in maggior copia fra' vegetabili . Maſe egli avvien mai pure , che alquanti deʼnedicame ei de'Chimici,compoſti divengano fpoffati, e debili , egli ciò non dee a colpa della chimica aſcriverſi:ma de’poco av veduti artefici , e de’medici, i quali intendenti non ſono delle chimiche preparazioni, e ravviſar non ſanno quai mea dicamenti ſenza alcun preparamento fiano da porre in ope ra , e quali gli richicggano . E ſe divantaggio i Chimici da'vclenofi, emicidiali ſemplici ſoglion trarre ſalucevoliſ fimi antidoti , ciò loro a fomma gloria dee riputarſi, che ciaſcun di loro fuor d'ogn’uſo Pieghi natura ad opre altere , e frane. E ſe'l precipitato , e'l ſolimato , che potentiſſimi veleni ſono , cavanfi dalmercurio , e da altri minerali, non ne ſon però quelli da biaſimare , ne i chimici medeſimi , che gli compongono ; concioffiecofachè anche l'oppio , e altres molte comunali medicine , avvegnachè rieſcan poi vele nofc Del Sig.Lionardo di Capoa 539 noſeall'opera, pur da ſemplici non mica velenoſi compon ganſi, ne perciò tanto quanto ilor fabbricatori ſe n'acca gionino : e ne balti ſolo al preſente fapere , che ciò non , lia ſpezial biaſimo della Chimica ; e ſe da quella i pre cipitati, ci ſolimati fabbricaronſi al mondo , no fu già ,per chè s'aveſſer quelli ad operar mai ad uſo alcuno dimedici na , ma per altre, e altre biſogne; ne perſona ſe non priva affatto d'intendimento per dover medicar giammai gli la vorò ;perchè ſe quel temerario Bacalare aveſſe púto in chi mica ſtudiato, non avrebbe egli giammai ardito ad impor re agli infermi per coſa delmondo il precipitato , il qual da tucci buoni ſcrittori vien daʼmedicaméti sbadito, come ma nifeftiſfimo veleno;e ſpezialmére dal Quercctauo,có queſte parole:precipitatú in aqua furti à nobis omninò improbatar: 0 có quell'altre,ch'e' ſoggiugne:hæc, & fimilia effe Empiricorii fecreta , quæbuccinatorum inftar pro maximismyfteriis pro mulgant. Ne perchè i minerali lian da noſtra natura citra : nci , e rimoſi, dovrà ciò darne punto di briga; e ſe pur co tal ragione aveſſe luogo , dovrebbervi eſſer a parte anche i Galiçniſti in rintuzzarla, i quali non men deChimicime defimila pietra lazula ,e l'oro , el’ematite , ci giacimi , e'l bolarmcnico, e le pietre giudaichc, c altre, e altre ſomiglia. ti medicine lovente adoperano . Ma lo per non darmene troppa briga ſervisõini al preſente di quelle parole del Tā .chio là dove d'un cotal balordo , che con ſimiglianti fanfa luche ftuzzicavalo così cgli al ſuo Oiſtio ſcrive : oppugnant, dice egli,medicamenta ex metallis parata , ideo quia non iis alamurfed ; nec cornu cervi nos alit,neque uniones, aliaque pleraque . Quænos alunt impura ſuntimnia , do quefacilē mutationem ſuſcipiunt ,fed quotidie agunt in balſamum na turæ , cum corrumpendo in fenium ; labefactatis viribus noftri corporis facile illareficiuntur vegetabilibus ; fed fixio illa in fixa; mineralia figuntſpiritus , purificant , & exaltant. E prima di lui Avdrea de'Mattioli , così del biſogno de’mi nerali ne ſcriſſe : ibi tum alibi , tã in chronicis morbis eſt ani: madvertendum , ubi tota malafanguinea in univerſo vena rum ambitu corrupta eft , & referta multorum morborum fe Yуу 2 mina 540 Ragionamento Settimo minariis , tunc ii inquam morbi citra metallica devinci vix pollunt; avvegnachè egli poi faggiamente ne configli a non dovere i Chimici medicamenti adoperare colui che di chi mica pienamente non ſi conoſca ; il che noi baſtantemente altrove dicemmo . At qui, dice egli , ejufmodi morbos ci tra ſcientiam res metallicas tractandi aggrediuntur , ii ple rumque re infecta cummagno dedecore , & fui, &artis me dicine defiftunt. Ma ſopratutto baſti recar qui le parole di GiacomoPrimeroſio Galieniſta di primo grido: Cauffa eft, egli dice,cur plurimi Chymica hec reformidēt;quia creduntur ſcilicet sti metallicis . Et fanè certum eft plurimos Nebulones, qui hoc pallio technas ſuastegunt , metallicis fæpè , &malè præparatis , & malèadhibitis uti ; verum ut jamfupra dixi mus , eadem eft materia , & fubjeétum uperationis Pharma copæi utriuſque tàm Chimici , quàm vulgaris ; neque minus vegetabilibus utitur Chymicus, quàm qui dicitur Galenicusze non guari appreffo foggiugne . Nonne maximè probanda eft ars illa , qua fi quandoiis utitur, variè, &eleganter pre parata ,non integra exhibet ? Ne meno è da dire, che perchè i foro fummi ſian peſtile zioſi, e nocevoli liano anch'eglino tali i minerali; percioc chè apertiffimamente veggiamo ſenza punto di danno il falnitro, e'l vitriolo , elfal comune alla giornata ufarli , e'l fal comune maſſimamente in tutte vivande da ciaſcun porſi; i cui fumıni certamente , come que d'altri,e d'altri minerali, nocevolilfinni fono . Pure non è coſa cotanto utile , e gio vevole al genere umano , che nonnepoiſa talvolta anches nuoceren Nilprodeft, quod non læderepoffit idem . Igne quid utilius ? fi quis tamen urere tecta Cæperit , audaces inftruit igne manus. Eripit interdum , modo dat medicina falutem . Le ragioni poi, e le teſtimonianze dell'Eraſto , del Riola no, e d'altri sì fatti Galieniſti han canto dello ſceno ,che da lor medeſime a baſtanza ſi rifiutano ; e comechè per mani feſta, coftinata malavoglienza fianfi queſti ftudiati dimor der la Chimica , e ſozzainente lacerarla , e quaſi metterla 1 in fon Del Sig .Lionardodi Capoa 541 1 in fondo ; pure non han potuto far sì , che ſtretti talvolta dalla propia coſciēza, o dalle nimiche ragioni abbattutis no l'abbianomanifeſtamente approvata. Così l’Eraſto medelia mo, che moſtroffi più ch'altro Galieniſta acerbo, e fiero ni mico della chimica, purnel proemio di quell'operc,ch'eico tro il Paracelſo fcriffe,nó potè no commendarla ;e la ſcuola tutta di Parigi pur la permette,e l'adopera,ficome raccota il Riolano; il qual comechè nimico a ſpada tratta le fi dimo ſtraſſe, pur delle chimiche medicine,comeãcorfece l'Eraſto , ſerviſſzavvegnachè talora p loro ſcimunitaggine ad infeli cc fine gli uſciſſero . Ma côtro a’piacitori, e a'maladicéti Ga lieniſti adoperarono gloriofaméte le péne a ſchermo della chimica nelle loro dottisſime Apologie il regio Protomedi co Torqueto , e l'Arueto , e'l Baucinero celebri e famoſiſſimi maeſtri in medicina: e oltre ad infiniti altri il famoſo , e ben parlante Libavio nella ſua Alchiinia trionfante ,di cuicon ) aringa di lode diſſe il Caſtelli: Alchimie dignitatem adeo re Kituit Libavius contra fcholă Parifiensë ,ut nihil amplius addi polje videatur ; ma ſopra tutti imalzi, e difende la chimica il ſottiliſſimo Borricchio , non men celebre , che dotto let tor di quella , nella famoſa reale Accademia d’Afnia; il qual sì fattamente rimbeccale ciance del Corringio , che nulla più . Ma quanto poco ſenno aveſſer facto i medici meſaneſi in proibendo l'uſo dell'Alcarotto, apertamente ſi vede dalla poca ſtima in cui vennetenuto il loro divieto ; poichè non men ,che prima in Melano, e altrove le genti tutte l'adope rarono ; e oltre alla gloria molte ricchezze guadagnoſſi Vittorio Algoreto per sì fatto medicamento, il quale altro * non è , che il mercurio di vita;comechè p naſcõder sì caro fegreto il nieghino gli eredi del medeſimo Algoreti; e forte mi maraviglio , che alQuercetano , sì bene ſcorto nelle chimiche operazioni, e che tutto dì l'avea fra le mani, non veniſſe fatto ciò ravviſare . Ed è egli pregiato l’Alca . rotto , eziandio daʼmedici volgari , e Galieniſti, e per buo na , e giovevol medicina per tutto ſtimato ; ma pur ſi vuos le 112 342 Ragionamento Settimo le in ufarlo aver riguardo a' tempi,alla quantità,e agli ama · malati ; ne fi dee prendere ſenza conſiglio di medici faggi in chimica , e conoſciuti affai; perciocchè ſe da perſone dappocomallavorato folle , o foſſe pur ſenza riguardo at cuno preſo , certamente nuocer potrebbe , e a riſchio della perſona talvolta ancorcondurre; ſicome non ha guari, ava venne a un Barone d'alto affare , il qual per conſiglio d'un corale ſciocco,e temerario Galienifta avendone trangugis to ſoverchiamente , con acerbiffimi dolori, feno'l receva di preſente , certamente nemoriva . Ma di ciò ſenza dubbio , non n'è dabiaſimare il medicamento, ma la follia più coſto del medico , cheoltre al dover l'iinpone; e più quella dell' ammalato, che alla cieca , e ſenza riguardo alcuno ſe'l tra caima . E ben ſarebbe il migliore, ſe laſciando da parte i volgariGalicniſti sì fatti medicamenti,non s'inframmettel ſero púto di ciò, che non ſanno ; e come cantò colui Velperfectèartem diſcant , vel non medeantur; Namfialiæ peccant artes ,tolerabile ceriè eft: Hæc vero nifi fit perfecta , eft plenapericli , Et fævit,tanquam occulta , aique domeſtica peſtis. Ma noi luiluppati dasì fatte conteſe, trapaſſereino intanto a far qualche parola dell'antimonio, come di quello , ch'al noftro parlamento diede in prima cagione, L'ancimonio , che da alcunicertamente non fuor d'ogni ragione chiamato viene colonna, e baſe della medicina,egli sébra nel vero una corale ſtrana ; e nuova ſorte di minerale di variege fra loro diverſe parti copoſta, e si lazza,e acerba , che ragionevolmére alle poma anzi che mature fiano è raf ſomigliata;imperciocchè tra per la troppo meſcolanza , che in ſe ritiene, e per l'inegual proporzione delle parti,che'l co pongono , non eſſendo potuto alla debita maturità , e per fezion di inccallo pervenire , così trameltato, e inal com poſto ſe ne giace . La ſua ſtrana natura ', c le ſuc maravi gliole qualità malagevolmenteravviſar ſi poſſono, non che per huom narrare; concioliecofachè quaſi Proteo de'minc rali in facendoſi dilui notomia , in tante , e sì fatte guiſc fi ſcambi, e traſmutische inviluppativi i più famoſi maeſtri della 1 Del Sig.Lionardodi Capos. 543, ikclla chimica, dopo molci, e diverfi argomenti , e ſperien ze , ſtupidi alla per fine, e d'ogni loro avviſo ricreduti ſi ri mangono . Ma perquanto col noſtro intendimento com prender ne poſſiano , due forri di zolfo par che abbia nellº Antimonio : l’una fiffa , e pura oltremodo, in cui le ţinture tutte,e i ſemi de'metalli e ſpezialmente dell'oro ſi rinvégo ao: pchè daalcuni degli ſpagirici filaſofati,matrice de'me talli vié chiamato l'Antimonio; l'altra fiè di zolfo dalla sé biáza del comun zolfo poco o nulla diverſa ; perciocchè no filla , mainquieta y e volante, e oltremodo vaga ella è;per chè potentiſſimage:ſoperchievole nelleſue operazioni viene da ciaſcun giudicara. Havvioltre a ciò un cal mercurio me, tallico indigcfto , il qual corto più , che ſe mercurio vivo non foſſe , della natura del piombo alquanto ritiene ;e as queſta parte , che certamente è la maggiore nell'ancimonio , alori la violenza attribuiſcono , e'l poter , ch'egli ha nell'o perare ; anche havvi alcune parti arſenicali, in cui ſecondo. chè altri ne dicano, il ſuo veleno veramente ſi ſerba; c per fine havvi nell'Antimonio una cotal ſoſtanza groffase terre ftra , la qual della ſua matrice ſommamente participando , con quella inſieme,e con ſue particelle congiugoc,emelco la le parti arſenicali, e quelle del primo zolfo, c delmercu rio indigeſto, e del ſale ancora di natura vitriolato , che pur ven’ha : a cuila malvagità tutta , e'l veleno altri aſſegnò , che tanto all'uſo , e all'operazione ſconcio lo rende. Ma l'Antimonio crudo non inuove punto vomito , ne tanco , o quanto a colui , che'l prenda offender ſuole ; perchè ne Galieno medeſimo , ne Dioſcoride , ne altri buoni Autori de'ſecoli addietro l'allogară mai infra’veleni, o nel catalogo delle vomitive medicine l'ānoverarono anzi Diofcoride medeſimo ne conſiglia , e conforta a toglier via la poſſanza vomitiva dell'Elacerio , con meſcolarvi deutro dell’Antimonio ,e così temperandolo ammendarlo; percioc chè ſenza dubbio ha l'Elarerio più del veleno , che del me dicamento , ſe violento , e rigoglioſo il ſenciamo , che se vorrai purgare , ſono le parole di Dioſcoride, ove egli nar ra dell'Elaterio , meſcolavi altrettanto di ſale ed'Antimonio, 444 - 544 Ragionamento Settimo 1 quanto farà meſtieri ,laſciandoall'altrui diſcrezione il divri Jarne la doſe : seisn &è mois diam vooõoty aj di autoữ xabagors . ei pea ούν θέλεις κα το κοιλίαν καθαίρειν , διπλάσιον αλών, μίξας , και είμ plaws over gewoon e Il che eglicertamentefatto non avrebbe, s'aveſſe mai , comechè leggiermente , ſoſpettato, non forte velenoſo , enocevole l'antimonio . Nicolò Mirelio poi , it qual con accuratezza non ordinaria accolſe inſieme le ri cette più nobili de’medicamenti, ch'adoperaſſer mai ne’té pi antichi ipiù famoſi medici Greci, annovera l'antimonio infra iſemplici dell’Antidoto ,ch'egli del Gengiovo chiana. E Baſilio Valentini narra , ch'a' ſuoi tempi dell’antimonio ingraſſavanſi i porci : e nell’Efemeridi, o giornalieri dell'In ghilterra abbiamo , che tutto dì oggi i porci, le vacche, ci cavalli ſe n'ingraſſano,al peſo d'unadráma,e anche di mez za oncia per volta prendendone ; e in molte contrade del noſtro Regno coſtumaſ a prender l’Antimonio dalle donne gravide in quantità d'unanocciuola , ſenza danno, o noci mento niuno , e'l chiamano volgarmente allegra cuo ré ; e nella inedeſima noſtra Città in molte malattie uſali a ber l'acqua dell'antimonio con grandiſſimno gio vamento degli ammalati; e nella Francia , e anche altrove, l'Antimonio crudo , ſicome per M. de la Febure di ciò pie namente inteſo ſi racconta , fe donne tout les jours tout crud par la bouche fansaucun accident , emeſmes aux enfans à la mammelle: e que de plus on le met boüillir juſques au poids d'une demie livre dans les decoctions contre la verolle , &qu'on le met de meſmes en infufion à froid dans de l'eau pour ouvrir le ventre gepour ofter les obſtructions des viſce 1 5 Ma ſciolte da quegli intoppi , c da'legami , chea freno, e a bada la lor violenza tenevano le nocevoli particelle dell'antimonio , o ſaligne , o ſulfuree, o mercuriali, o arſe nicali , ch'elle ſieno (perciocchè grandisſime quiſtioni , ei contefe intorno a ciò infra'Chimici filoſofanti tutt'or vifo no ) non ſi può di leggier credere quantenoje , e ſconcisſi mi danni quelle recar ſogliano ,con fondere, e diſtruggere, e liquefar non ſolamente le parti umide, ma le falde anco ra del DelSig.Lionardo di Capoa. 545 ra del corpo umano'; riſvegliando anche vomitiimpetuofif fimi, e purgando per baffo ,finattanto ,che colvigor talvol ta lo ſpirito , e la vita miſeramente ne manchi. Ma tacer non fi dee, che ritrovali talora in qualche miniera , Anti monio , cheſenza niuna preparazione voiniti, e fluffi ſoglia cagionare ; ſenzáchè'talora nello ſtomaco di colui , che'l prende , può eſſer coſa , che ſciolga da’legami lalparte ve Jenofa, perchè l'antimonio d'ogni miniera , parimente può ciò fare ; e quel'è la cagione , che ſpinge alcuni autori a fa vellar così variamente della facoltà dell'antimonio crudo : Ma che che ſia di ciò , ſe per opera , e argomento d'avve dutiffimo maeſtro reprimuto alquanto, e rintuzzato il loc nocevoliſſimo veleno neſia , certamente allora valevole e Pantimonio a vincere, e ſgomberare ogni peſtilenzioſo ma lore , ove a tempo , e acconciamente , e con riguardo per huom ſi dea ; concioffiecofachè non ſolamente egli ne pur ghi , cvuoti dentro , ma ſovente ancora diſſolva , e miglio ri , e ſgomberi ciò che nel corpo di maligno , e cattivo così nelle falde , come nelle diſcorrenti parti peravventura ritrova; il che certamente a niuna altra forte di medicamé to , o purganre , o vomitivo , ch'egli fia agevolmente ſi co cede. Nec conftat , dice il Zuelfero, ex vegetabilibus unicũ emeticum , grad nainore cum periculoexhiberi pifit , quàm aniimonium dextere , ac debitè præparatum ; nunquam enim tormina ventris , convulhones , hypercatharſin , fluxumque nimium colliquativumcauffabit , etiam fi frigida ſuperbiba tur . E egli però quelta malagevoliſſima impreſa ,e difficil molto , p mio avviſo , anzi impoſſibile affatto ad artificio umano ; perciocchè la parte velenoſa nell’Antimonio ſi è quella , che muovelo ſtomaco a recere, e ſcioglie il ventre: la qual certamente quantunque volte vi rimane, non ſi può in modo alcuno accutare , che a qualche perſona alla fine,o in qualche tempo non abbia gravemente a nuocere . Nej per altroʻi Chimici autori ora in biaſimo, or in lode de'varj apparecchiamenti dell'antimonio purgante , o vomitivo fa vellar ſempre ſogliono, ſe non fe per lo grare , e ftraboc chevol riſchio, che agevolmente vi ſi corre . E quel ſapie Z zz tilfimo 544 Ragionamento Settimo tiſſimo nuomo nella Chimicafiloſofia, e nella medicina pas rimente ſublime, e ſingolare Giovan Battiſta Elinonte ſolea dire: Antimonium ,quandiu vomitum , aut fedes movet , mercurius revivificaripoteft , venena funt: non boni virirea media . Soglioſi dell'antimonio ſublimare i fiori;e ſi fôde egli an che in vetro , e in regolo ; e'l mercurio di vita , e'l gruogo ancor ſe ne forma : purganti inſieme , e vomitive me dicine . E per cominciar dal vetro , il qual comechè in viſta di nulla ſi paja dall'ordinario vetro differente ; pure comunicar ſuole minutiſſime , e però inſenſibili , e cieche particelle velenoſe al vino, o ad altro ſomigliante liquore , in cui per qualche ſpazio di tempo ſia dimorato . Egli è il vetro dell'Antimonio commendato aſſai da quel nobiliffi mo Vicerè dell'Olſazia Enrico Ranzovio , Strolago infie me , e medico famofiflimo, e Guerriero, e Poeta ; e dalGeri neri ſomigliantemente , e dall'Andernachi, e dal Langio , e dal Mattioli è ſommamente lodato . Ma Pietro Severini d'altra parte grandiſſimo maeſtro in Chimica , e in medici na , forte il biaſima , e danna ; dicendo , che avvegnachè in quello cotanto fuoco trapaſfato ſia , non ſe n'è però il buon giamai dalcattivo potuto ſeparare.E de'ſuoi ſentimenti an cora ſi fan feguaci altri , ed altri famoſi medici , e chimici con apportarne molti eſempli d'infelicisſimi avvenimenti . Vitrum antimonii , dice Giuſeppe Quercetani , quo bodie multi imperiti maximo cum damuo utuntur , perniciofum eft medicamentum ; quod ſwoarſenicali fpiritu facultatem irri tandoexpultricem , perſuperiora , einferiora magna cum perturbatione ducat , evacuetque; quod ego probare nullo mom do poffum . Dal che moſſo Duncano Borrero anch'egli ri fiutandolo , affatto dalla medicina il bandiſce , dicendo : Vitrum hic antimonii fciens omitto , tanquam pernicioſum medicamentum ; e'l dortisſimo medico , e Chimico Teodo ro Cherchringio parimente del vetro dell'antimonio dice , che comechè alcun guarito pur ne ſia , non eft tanti ifta for . tuita quorundam fanitas, ut propterea , vel unius hominis vita exponendafit periculo . Vidienim quum ager tantùm femiun . DelSig.Lionardo diCapoa. $47 Jemiunciam fumpfiſjes infafionis , eum poft ingenies vomitus, & fupercatharticasvacuationes ,fubito efflare animă. Ata binc ille lachryma , hinc clamoresifti contra Chymicos inſur gunt ; tanquamfiarti imputanda effet aliquorum Pſeudochya micorum impia temeritas, quorum nihil refert quotfuneribus impleant domos ; modo unus; alterve fanatuseorum ebuccines fama, &illi audiant magni Doctorės , emungantque rufticis pecuniam . Ma avvegnachè egli medeſimo una cotaltem pera , ecorrezione del vetro dell'antimonio rapporti, la qualdice egliefſer ſicurisſima, e séza riſchio alcuno in ado perarlı ; purecomeegli biaſima ſommamente', e riprova quella ; che dal Ranzovio , e dal Mattioli , e da altri uſa vali, così verrà un tempo chi da qualche finiftro avve nimento moffo , dannerà , e riproverà anche la ſua . Mi Ιο quanto a me intorno a' vetri dell'antimonio non fa prei certamente che dirmene ; non avédo mai fatta pruo. va di quell'avvertimento del Rolfincio , ove c'dice : quane do coctio inſtituitur , favellando del vetro dell'antimonio col vino bollico , fupernatan'scuticula arſenicalis aufertur ;" E foglion certamente sì fatti veli naſcer da'ſali, comenel bollir del ranno manifeftainente oiſervali; perchè ſomiglia temente potrebbe dall’Alcali ingenerarſi il velo nel vetro dell'antimonio , e non dall'arſenico , ficome il Rolfincios avviſa . Ma che che di ciò ſia , in biſogna dicotanta confi derazione , lo conſiglierei i lavoranti ad eſſer anzi ſover chianente ſcrupololi, che no , e a ſeguire il conſiglio del Rolfincio , e a dubitare non forſe così foſſe , come cgli dices - Defiori dell'antimonio dal Zappata , e da altri cotanto commendati ,così il teſtèmentovato Quercetano favella : Antimonii vitrum idem ferociterpræfat ,quod ejus flos;idq; obe Spiritum quendam album , & arſenicalem ipfi infitum quě nec à floribusego exulare exiſtimem ; quippe quos adeo afro citer corpus concutere , ac devexare foleant tìm vomitu, tùm dejectionibus , ut res non caréat periculo. E con lui anche ac cordãdofi Baſilio Valentini,dice pariinente i fiori dell'anti monio effer nacevolisſimi, e velenoſi . Z z z M2 Ragionamento Settimo Mai Regolo anche dagli antichimedici imperocchè coa hoſciuto, ne fáno ſpezialmézione Dioſcoride,e Plinio (av , vegnachè vi fallaſſero no poco in giudicar, che quello altro non foſſe, che Antimonio in piombo cambiato ) è da’buoni Chimici avviſato per medicaméto violentisſimo ancora,ed oltremodo di riſchio . E ciò anche a' Galieniſti medeſimi fu purtroppo conoſciuto ; infra’quali il Priineroſio ,così dan nandolo nefavella ; omnem retinet antimonii malignitatem , qua antea fub terreo excremento sopita latebat : edindi ap preſſo : fed quum omnes pravas, e horrendas antimonii vi res adhuc posfideat , poculum indè confeftum perniciofiffi mum effe neceffe eft ; ideo puriores Chymici hoc ab ufæ me dico amninò ablegarunt. Ed un della ſcuola di Lazaro Ri verj parlando del Regolo , così per ſentiméto del fuo mae ftro ne ragiona : Calix chymicus toties in obſervationibus no Bris nominatus , communiterque adeo omnibus confectus non eft , ut nonnulli arbitrabantur, & arbitrantur ex regulo An timonii vulgaris . Exregulo quidem eft :fed tertii gradus , qui longè differt àvulgari ; quamvis etiam multi boc utan zur non finepericulo bibentium . Ma il gruogo de metalli, col cui uſo cotanto avantaggiar fi potèl'imperial medico Martin Rollando, e in tanto ono re , e ricchezze formontare, è così chiamato dal Querceta no , perchè ſecondochè egli ne dica , dell'antimonio tutti metalli s'ingenerano , e fpezialmente l'oro , l'argento , e'l piombo: egli è comunalmente da’buoni ſcrittori il mens violento , e men pericoloſo infra le vomitive medicine an rimoniali giudicato.Ma perocchè l'Alcali del nitro nőben ? anche tutta la parte velenofa dell'antimonio ha tolta e pur gata, o p me dirc legata :la qual certaméteè quella cheare . cer muove , ben li può di eſſo dire , che comechè per ope ra d'eccellente , e ſperimentata mano nel meſtier della chi mica temperato fi foffe , pure pofftan dire che L'ira s'intiepidi , ma non s'eftinfo perchè ſoſpettar fempre dee l'accorto , e prudentemedia co , non ne ll'adoperarfi ,alcun ſiniſtro avvenimento ne ſe gua ; perci occhè pure , comechè di rado fortir ne fogliono , Ed 1 Del Sig.Lionardo di Capoa 649 Ed havvi un'altra malagevolezza nel gruogo , imposſibil quafi a ſuperare ; perocchè quantunque con la medeſimas proporzione del nitro , e dell'antiinonio diſpoſto fia , c quá ¢unque con tutte le medeſime circonſtanze lavorato į pure, talvolta più ;o men vigoroſo ſortir ſuole , e sì da ſe mede fimo differente , che in dubbio ſempre, e in timore delle ſue ſtrane qualità ne tiene, ne per accorto , e ſperimentato che l'Artefice fia , potrà maicome , o perchè ciò avvegna baſtantemente comprendere; ſenzachè cotalimedicamen ti recar fogliono talora uſcite copioſisſimedi ſangue, o la egli , perchè fi rompa qualche apoſtema dentro dall'huo mo,e con quello alcun vaſo grande ancora’del corpo : o che tra per la violenza del vomito , e quella del medicamento alcun altro ſe n'apra , e ſi roinpano, e ſquarcino l'interiora: oche partendofi dalle viſcere , e dibucciandofi la mucilag gine , la quale infra gli altri ſuoi ufi, a guiſa di veſte copré dole , difenderale dagli oltraggj de’ſali acuti , e pugnerec cj, o d'altre ſoſtanze, quelle ignude,e ſcoperte rimanendo, dal medicamento s'offendano : e rodanſi anche dalla me deſima violenza del medicaméto gli orli de’vaſi delſangue; i quali aperti, eſquarciati, comechè picciolisſimi , pure così numeroſi quivi ſono che ſgorgar oc può in ranta copia il fangue, quanto n'uſcirebbe per avventura dal rompime to di qualche vaſo ben grande . E comechè di ciò n'abbia parecchi eſempli; masſimamente nella noſtra Città ; purs baſterammi al presēte rapportarquì una ofſervazione dell' avvedutis ſimno Vartone recata dal Gliffonio con queſte pa role : Huc referamus hiſtoriam , quam mihi communicavit clarisfimus V varton, mulieris cujuſdam , quæ à fumptu pharm macoafperiore in enormem fanguinis vomitum inciderat,cui, que ventriculum poft obitum vocatusaperuerat . Nulla com paruit vena , fivèrupta , five exefa; cæterùm in cavitate ventriculi adhuc nonnihil fanguinis reftitit ; fiquidem multò maximam ejus partem ante obitum rejecerat. Fortè dum mi ratur unde ea fanguinis copia promanaret , dorfo .cultri inte riorem tunicam , ut penitiusreminfpiceret deterfit : boc facto innumera fanguinis pūčtula in ſuperficie deterfafenfimcomo pare Ragionamento Settimo parebant ; ipfa quoque funica quaficutis derafa: cuticules 1 . E che diremo noi de'copiofiffimi ſudorifreddi , e viſcoſi, ch'uſcir fogliono dagli ammalati per opera dell'antimonio sì fattamente lavorato i Certamente cotali ſudori,che chia man diaforeticizangofce,e noje , e ſvenimentirecar foglio no , e talora anche con toglier agl'infermi miſerabilmente la vita ; avvegnachè cotali effetti non dall' antimonio fo . lamente , madalle manne ancora , e dalle roſe avvenir fo gliano , ed eziandio da altremedicine , che per comun conſentimento più ſicure , e piacevoli, e innocenti tenu te fono : memini non defuiffe, dice il Libavio , qui Caffia fumpta omnia pateretur , que illi ,qui venenum hauferuns. Nedi ciò è daprender maraviglia; perciocchèil medeſimo veleno , che è nell'antimonio , è anche nella Callia , non che nella manna , e nelle roſe , e in altre ſomiglianti media cine ; perchèſoverchiamente preſe, o fuor del convenevol temporecar ſogliono talora gli effetti medeſimi dell' anti monio . Neq ;enim ,dice il medeſimoLibavio ,in favellando pur della Caſſià ,parum acrem inde elicimus liquorem : tur batorem nimirumillum alui . E finalmente il mercurio di vita è egli vero, e legitimo parto dell'Antimonio , non men di quel, cheſiali il gruogo; comechè il Billicchio vanamente li perſuada eſſer quello operadel mercurio , non dell'antimonio . Ma egli è ſenza dubbio men temperato , emen gaſtigato del gruogo ; e fe guentemente maggiorinoje , e moleſtie recar ſuolea'corpi umani per la parte maligna , e velenofa, che in eſſo preva le ; perchè men certamente agli ammalatidar ſe ne vuole ; che non ſi dà del gruogo. Ecomechè be fi poſſa in eſſo co tal vizio perarte.correggere , e ammendare , e più forfes chc da'volgari maettri non ſi coſtuma; tuttavia per quanto diligentemente per huomo lavorato ſia , temer fempre , e fofpettarne dobbiamo ; ſenzachè il mercurio divita, come Cutt'altre medicine d'antimonio vomitive, ſovente imediči da' loro avvifi ingannar ſuole , o nulla, o ſoverchiamente operando. M.2 Del Sig .Lionardo di Capoa 151 Ma non perchè dannoſi talora , e pericoloſi ad uſare co tali medicamenti ſiano , ſi vuol perciò dalla medicina l'uſo dell'antimonio affatto sbandire ; conciofliecoſachè ben an che fabbricar ſe ne potranno nobilisfini rimedj dadover darſi ſenza tema di nocimento niuno anche a’vecehj e a'bā. bini , e alle donne groſſe , ficome agevolmente compren der ſi può dall'opere del Valentini , delParacelfo, e dell? Elinonte . E comechè non ſia impreſa da tutti il compor cotali poderoſi medicamenti , ma innocenti però , e piace. voli e di qualunque veleno difarmaci;non però di meno sér za troppafatica durarc potrannoſi agevolmentelavorarda chiunque mezzanamente uſato ſia nella Chimica , que'po chi inedicamenti , che vanno attorno ; come il belzoardico minerale , l'antimonio diaforetico , e altre ſomigliantime dicine , nelle quali comechè attutato affatto ,e ſpento il ves Jen ſia , pur sifattamente ligato ſe ne giace, Ch'a guiſa di leon quando fopofa : non ſogliono , anzi non poffono perpoter ch'elle abbiano, colle lor pungentiffime particelle offender giammai , ne ad huomonocimento alcuno apportare ; non altrimenti, che innocenti anche in alcuni legni , e nellolio , e nella pietra focaja que piccioliſſimicorpicciuoli ſi giacciano ,de'quali il concorſo , il movimento , la figura, l'ordine, e'l ſito formano il fuoco . Eben diſs’Io non effer anche nell'antimonio dia foretico eſtinta , e fmorzata affatto la ferocia; concioffieco ſachè fondédoſi quello inkegolo,cagagliardiffima forza di fuoco ſtaccadoſi allora gli alcali,o pur cábiádo sebianza , i quali il vigor del veleno affrenavano,e'ltenevano a badari ſvegliaſi di nuovo, e riforge la fua primiera,e natia fierezza . Quinci ſi vede,quanto dal ver fi diparta il Villiſio , il qual vuole , che l'antimonio diaforetico , altro non ſia , ch'unw ſemplice terra dannata, e che come tale ad altro e' non và glia, ch'ad aſforbire, ea dar luogo nelle ſue vacuità a que' fali acuti,chefogliono travagliar le viſcere: e che egli non abbia niuna facoltà diaforetica; ma ſe al Villifio foſſe ved nuto fatto d'avviſare i maraviglioſi effetti dell'antimonio diaforetico , certamente in altra maniera n'aurebbe favel la + RagionamentoSettima Lato,comeche Pantimonio diaforetico ſi ſia veduto nellofte : maco d'alcuno non men ,che la polvere di Sicilia , detta del Chiaramonte , e altre terre ſimiglianti,per la gran forza de faliivi dimorāti talora impietrarſi ; il che però da béiſcor to chimico ſcanfare aſſai bene ſi puote. Maciò laſciando di parte ſtare : e'manifeſtamente fi comprende eſſer nell'anti monio la parte velenola fiſſa ; e forſe arſenicale,e non come altri vanamenté s'avviſa , volante, e vaga . Ma ſe ciò è ve ro , potrebbono per avventura ritrovarſi nelle viſcere delle ammalato ſughi così potenti , che colla loro efficacia vale . voli foſſero ad operar quivi tutto ciò, che far ſuole violen tiſfimo fuoco ne'fornelli, ſciogliendo nell'antimonio diafo retico gli alcali , e riſvegliando la parte arſenicale ad ope rar dentro le viſcere la ſua uſata peſtilenza : e allora chin? aflicurerà dell’acerbiffime noje, e dolori , e ſtracciamenti di viſcere , che recar ſuol l’antimonio , non altrimenti che ad uſo de'fiori, o di vetro lavorato ſia . Così ſperimentiamo talora,che lo ſchietto , ed innoccnte mercurio , meſcolato dentro dall'huomo ,coll'acetoſo ſale , che vi ritrova , gua ftali agevolmente , es’aguzza, a guiſa di violentisſimo pre cipitato; intanto chei medeſimi effetti di quello crudelmé te adopera ; e ciò manifeſtamente ſi può comprendere dal le pillole del Barbaroſſa ,e da’fumi, e dalle unzioni , e da al tre ſoinigliantimedicine . Ma poſto che lavorato per ogni verſo l'antimonio sépre nocevole , e velepoſo all'uman genere rieſca , non ſono però da biaſimare cento ,e mille altri medicamenti chimici giovevoli affai, e falutevoli ſommamente ſperimentati.Ma qualunque pur fieno i violenti rimedi della Chimica medi cina , maggiori nondimeno , e più peſtilenzioſi aſſai ne ha ſempre la volgar de Galieniſti , ſecondo il ſentimento cos mune di loro medeſimi: Magis igitur familiare eſe medicis (dice il Primeroſio ) qui Galenici dicuntur, ideft qui veterē Sequunturdiſciplinam ,validisfimis. uti medicamentis, quæ Chymici,aut raròin ufum adhibent , autſaltem melius pre parata . Nec verum eft à Chymicis omnia valentisfimo ignis calore præparari ; fapillimè mitiffimus calor adhibetur . Sed pre 4 Del Sig.Lionardodi Capoa . 553 : præterea ipſe Galenus docet igne valido pharmaca plurimai acrimoniam , mordacitatem omnem deponere . Etcertum eft , egli poi ſopraggiugnc,arte hac fpagirica ditta , & fero ciſſima medicamenta edomari, & plurima alias venenata ademptis deleteriis partibus evadere cardiaca . Perchè an che ſecondo i ſentimenţi d'un sì nobile , e valoroſo Galie niſta , e d'altri affai,ch'Io non rapporto pernon tediarvi, gli ellebori, le colloquintide, gli elaterj , le ſcamionee , e al tri non pochi violentiſſimi medicamêti diſegnatine dall'an tica gróffal medicina , i quali già ella più forſe ad offende reinteſa , che a riparare all'umana ſalute,fin da barbaré có trade a carisſimo prezzocomprando recati avea, ora incr cè ſolaméte della Chimica raddolcito il natio amarore , e pofta giù l’nfata fierezza, Ambrofios præbent fuccosoblita nocendi. Aft ego, dice quel fedeliſſimo ſegretario della natura cotan te volte da noi , coniechè non mai a baſtanza commendato Gio: Battiſta Elmonte : aft ego volens paterno animo corri gere furiofam medicaminum vim , intelligo rerum vires pri ftinas manere debere , infui radicem introverti , vel fub ſui fimplicitate transformari in dotes illas ibidem latitantes clanculum fub cuftode veneno : vel de novo partas ratione additaperfectionis. Quopacto colocynthislaxativam ,atque deletericam qualitatem introvertit ; emergitque ex imo vis. reſolutiva , morborů chronicorum curatrix egregia . Id enim Paracelſus in tintura Lilii antimonii cum laude attentavit ; filuit tamen, vel neſcivit fieri idimin omnibus prorſus anima tium , &vegetabilium venenis per falem ſuum circulatums: Siquidem omne venenum ipforum perit,fi in entia prima re dierint. E queſto è appunto quel veramente maraviglioſo artificio , di cui favellando Giovan da Bagnolo una volta diſſe : Generata naturalia inferiora loco durioris compaginis conflata , & alta magnifactione , propter duritiem nequeant abhominum mentibus diruiabſque magnorum philofophorum artificio . Perchè ritornando al propoſto di prima, è da co chiudere , utilisſime molto , e neceſſaric al genere umano Аааа effor Ragionamento Settimo 1 eller lechimiche medicine. E nel vero có quali valevoliar gometi poreron mai cotanti miracoli operare, eguarir ma li giudicati per addietro indomabili, e sfidanzati, l'Elmon , te , e'l Paracelſo , ſe non fe per opera delle chimiche loro medicine ? Eglino certamente con queſto meſtier poteronſi guadagnare il glorioſo titolo de'inaggiori medici del mon do : e per queſto ſentiero in tanta altezza di pregia monto il Paracelſo, che ragionevolmente meritonne il famoſo no medimonarca della medicina . Ma oltre a ciò ſono i Chimici intendentiſlimi de'ſempli, ci, e della lor natura : e ben ſanno ſciogliergli a tempo cô trarne la parte inutile, e nocevole , e ſerbar folamente pus ra , e intera la medicinale: ne loro punto naſcoſi ſono i gra. di , e le qualità del fuoco , e gli ſtrumenti tutti , egli ordi gni acconci a lavorare , e'l tempo , e l'altre circonſtanze a ciò confacenti oſſervano . Quindi dal loro faggio , e avve durisſimo operare forgon poi tantiprezioſisſimi medicamé, ti : e fanno dal vino , e di altri vegetabili , e viventi, e miş nerali corpicavar ricchisſimielisliri, e olj,e tiņture , e fali, ed eſſenze , e ſpiriti ſottilisſiini oltremodo , e ſommamente penetranti, e valevoli a riſtorare , eadar dipreſente ripa ro alla mancante vita ; e a richianare addietro i ſpirie ei vaghi, e fuggitivi negli sfinimenti , e nelle ſincopi, e ne più gravi, e mortali malori ; in cui convien di preſente con prelto , c valevole argomento ſoccorrere . Nea ciò fare al tro che la Chimica efficacisſimamedicina è valevole , cbi ftāte; perciocchè a’ınali gravoli, e non agevoli ad effer vinci fembran certamente bazzicature i volgari, e comunali rią medj; ne a tuto ſenzadubbio le più ſquiſite ricette di Ga, lieno poſlono aggiugnere. Inde illa , gridaforte ſtupidito il principe degli ſpagnuoliGalienilti LodovicoMercati,pro dierant miracula in diuturnis malis,quaprofunda ele ſolens, diſtillatorum aque ardentis, quinie eflentia, auripotabi. lis , fi ſcuſi nel Mercati , ignorante dell'arte , la follia del preſtar credenza all'oro potabile: e la manchevole ragione, ch'egli reca de’mąraviglioſi effetti delle chimiche medici, ne , così ſoggiugnendo , Chymica enim arte fumma compan ratur Del Sig. Lionardodi Capoa. 555 : ratur miſtis tenuitas , quæ duplieiter malis peritioribus profi cit , quia cedit ad imum , radiceſque mali penitus evellit, do quia cum toto affecto luco penitusconverfatur, &mifcetur; ità ut facilealteret , &devincat. E quindi ancor moſſo quel gran inaeſtro in divinità , e in ragion civile Martin del Rio, comechè egli per altro non ſappiendo bé la coſa , creda col Mercati , econ altri mal pratici del meſtiere ; che ſia vera mente oro potabile quel liquore che alcuni chimici ſoglio no chiamartale : ſommamentela Chimica loda , e innalza, ei ſuoi valevoli medicamenti commenda. Quam ego arré, dice egli della Chimica , qua medicine adminiculatur janë laudo, &venerur , ut phyſiologie fatum præftantifimum , in ventricem auri porabilis , reinonminusutilis adſanandum , quàm ad alendum , ac quoad fieripoteſvitam prorogardam . Ma che cerco lo co raccor tutti quegli autori,chelodanole chimiche medicinezánoverar col poetasqual degl'alti boſelti a terra caggia Numero delle ſparſe aride frodi? trapaſſero dunque a diviſardell'altro capo propoſto, cioè a dire a clti lavorare , e compor le chimiche medicine fi convenga. - E in prima dico , che chiunquc lavorar chimici medica menti intenda , e meſtier di tuo riſchio , è di tanta confi derazione imprender voglia , egli della chimica filofofia , è della medicina ancora intendentisſiino eller debbà, eco noſcer appieno , e comprender lanatura , e gli effetti di ciò che s'abbia a comporre; concioſliecoſachè quantunque di tutto il chimico filoſofo aver piena contezza poſa', e cia ſcun medicamento ottimamente comprendere, pure ſenza lungo , e avvedutiflimo guatamento delle coſe,e ſenza ofat la medicina , mal fenza dubbio i ſuoi medicamenti faprà fabbricare . E ciò bene avviſando il Valentini , e’l Para celſo , e l'Elmõtese'l Quercetano , e'l Dornei, e'l Penoto; e'l Severini , e'l Crollio, etutt'altri famoſimedici Chimici, no ofarono mai confidare, fe non ſe allemedeſimelor manile compoſizione delle lor medicine ; anzi que' due gran lumi della Chimica medicina , il Paracelſo , e l'Elmonce foven te d'alcuni lor famigliariforte fi biaſimano ', ch’ardiſſerò a comporre' , e difpenfarc i Chimici inedicamenticon gravey Аааа 2 dan 55.6 Ragionamento Settimo danno , e riſchio deglinfermi, e con non poca taccia della Chimica . Ne per altro in vero in tanta infainia ,e ſcherno cadde cotal meſtiere , e tuttavia ſi biafima, e fi vitupera dalle genti , quanto , che i ſuoi graviſſimimedicamentiin man tutt'ora di ſciocchiſſime, e temerarie perſone ſon mal menari. Perchè meritainente idetti valent'huomini, e altri Chimici aſſainon laſcian maidi continuo conſigliare ,econ fortare i medici a non commetter traſcuratamête all'altrui cura , e talento i ragguardevoli lor medicamenti ; dicendo alcuni di eſſo loro , coluiſolamente effer vero medico , che a ſue propie mani le ſue medicine ſi lavori. Quo circa illum demum cum Crollio , dice Criſtoforo Glucradt , verè genui num elle medicum cenfemus , qui medicamenta debitè cogni ta , non ratione , ut rationalesmedicifaciunt, fed propriaſua manupreparare , & à veneno, & feculentiis ſuis feparares repurgare, &ad puram fimplicitatem reducere didicit; eaque imperito non committere coguo ; e prima di lui n'avea recata la cagione il Penoto , facilius eſt , R. fcribere, do ad im peritum coquumablegare agrotum, quàm in ipſa naturę pe netralia carbonibus , cineribuſque ſordidum ingredi,& pro mereindè magno fudore, quod ipſe egro exhibeat. E ſe'l lavo rio de' grandi antidoti licome , avviſa Galieno, propiamé tc al medico s'appartiene : perchè narrali, ch’i Romani Im peradori nel comporla triaca il ſervigio de’baſſi ſpeziali ri fiutando, a valorofi medici ſolamente il commetteſſero :Io non lo comead altrui , chc a medico il lavorar le Chiniche medicine impor ſi debba ; perciocchè molte , e molte di quelle di maggior vigore , ed efficacia fornite ſono ; perchè certamente maggiore avvedutezza , e intendiméto richieg gono , che la triaca medeſima,o qualunquealtro più famo jo antidoto , che gliantichi medici componeffer inai; eres la lor compoſizione malne ſortiſce , aſſai più certamente ne può di danno , e di nocimento avvenire ; imperciocchè molti, e molti de chimicimedicamenti ſon così dilicati , e pericoloſi in lavorarſi , cheper ogni menomo fallo , o tra ſcutaggine , che vi ſi commetta , graviſſima certamente , e mortal rovina ne può ſeguire . Perchè l'incomparabile Res nato Del.Sig. Lionardo di Capoa 557 : nato delle Carte così alla Principeffa Palatina ſua diſcepola ſcrivendo ragiona : Caurè etiam fecit celfitudo ſua , quod non luerit Chymicis remediis uti ; nàm quantumvis longa expe rientia illorum vires comprobatę fuerint , tamen , vel minima in eorum preparatione , etiam quum optimè fieri creduntur , variatio, poteft illorum qualitates ità immutare, ut non re media fint , fed venena; ſenzachè, ſe'l medico non vorrà pu re apparare a fabbricare,e comporre le chimiche medicine, come egli potrà mai i diverſize iſtrani mutamenti avviſare , che alcune di quelle , eziandio ottimamente compofte , e apparecchiate far fogliono ? come afficurarſi mai delle pe ricoloſe qualità dell'antimonio diaforetico ? il qual ſecondo gli avviſi dell'avvedutiſſimo Zuelfero , quocunque modo fe và cum folo nitro , aut addito etiam tartaro præparatum fit , traétu temporis aëri expoſirum pravam , da quaſ maligram induit naturam , fumptumqueintrà corpus , cordis anguſtias, lipothymias , vomitufque , & fimilia prava ſymptomata pro creat . Come potrà egli mai d'altri medicamenti comedel gruogo del metallo , comprenderla vera , e giuſta quanti tà , ch’ad ammalato ſia da dare ? la qual certamente non da altro li miſura , e conoſce, ſe non ſe dal ſaper l'operazione dell'Alcali, che in ſu le parti arſenicali dell'Antimonio più, o meno è fatta : e quella ſenza dubbio comprender non fi può , fuor ſolamente per iſperienza , e per pruova, con far ne ſaggio in darlo ſcarſamente agli ammalati , e con rite gno in prim ? : quindi a poco a poco andarlo accreſcendo finattanto ch’alla ſua convenevol quantità giuſtamente ſi pervéga : oltre a queſto havviancora alcune virtù di medi camenti , che come di ſopradetto è, avvegnachè nella me deſimacompoſizione , e qualità de'ſemplici, cnelmedeſi mo tempo,e gradidi fuoco lavorate ſiano , pur diverſame te o più , o men vigoroſe , e valevoli ſortir ſogliono ; in torno alla qual coſa non è tempo ora acconcio a filoſo fare,comechè molto da dir vi ſarebbe ; ma pur come potrà egli tante, e sì fatte ſorti di lavorj comprendere,ſenza aver le in prima ne'fornelli, e con fottiliſſimoocchio ſpiate ? co me poi diviſarne agli ammalati i medicamenti, lenza pun to conoſcergli ? Ma 558 Ragionamento Settimo Maperciocchè infinitirimcdj a'medici pur s'apparten gono , iquali eglino nonpotrebbono certamente tutti fora nire feinza tralaſciar le viſite più neceſſarie degli ammalati; o altre lor bifogne : dico , chenon haluogo al medico cur ti rimedj a ſue man lavorare , ma que' ſolamente , che di maggior conſiderazione , e di maggior riſchio agl'infermi fono ; commettendo ſolainencei medicamcnti piùmenovi li, e più ſicuria ' pubblici, e fedeliſpeziali, da lui per pruo va già in primaconoſciuti dattanco ; eſſendovi anche egli talvolta in fu'llavorio per maggior ſicurezza , quando la biſogna peravventura il richiedeſſe . Ma convienmiritor : nar addietro ; imperocchè caduto dalla mente miera di ri ferire a fuo luogo, quanto la Chimicas'appartenga fapere, a coloro , che ben intender vogliano gli ſcritti demedici; certamente non che altri, ma i libri medefimi de' Galieniſti la richieggono.E nel vero chi mai potrebbe séza riſchio di groſiſſimi falli,malfornito a tal meſtiere,pormano a'volu: mi d'Arnaldo, o d'altri antichi, e moderni Galieniſti ? E ' no è peravvétura purtroppo manifeſto,quáti falli preli abbia no i troppo séplici , e feiocchiGalieniſti in iſpor l’opere di qualche autore per non eſſerſi da loro laputo diChimica perchè ragionevolmente Giovani da Bagnuolo, Galieniſta medico , e chimico eccellentisſimo, cosi querelandofi ſcla ma: Hoc voluit Ioannes Damafcenus in herbarum decoctio nibus ; diſtillationibus , quamvis corruptê, di impiè intel bigatur abignorantibus diftillaturiam artem ,nefciétibus evela bereelementa à fimplicibus , tantum affumuns aquam endi: viæ primam ,oprojiciunt aërem , ignem ; non fpretos à doctis medicis benèintelligentibus naturæ principia , & fecres ta : à doctisſimo viro Ioannéa Rupe feiffa : hoc voluit in selligere Ben Cene in tertio lib.fen. 20. cap. 18. de fingular. med . ad augendum coitum , ubi toquitur de commiſtione falis Strucorum cum vitellis ovorum , &patentiffimum eft falem no poffe confici , nifi perdiſtillationem ; ducum prima aqua dif folvere cinerem , abluere primam aquam , terram albifi cando , ut docent fapientes . Ma prima di lui ciò ravviſato avea Antonio de Ferrariſuo maeſtro , c compatriota'nelle fue 1 Del Sig.LianardodiCapoa. 159 fue chiofe ſopra la cantica d'Avicenna. Vadiinoſtrando egli poi quanto lia meſtier la Chimica a 'medici per ben in tender gli Autori , con produrre in mezzo molti , emol ci altriluoghid'Avicenna male iſpoſtiso mal preſi daʼmedi ci , per non conoſcerli di chimica ; e centoaltri ne potreme míonoi quì ſomigliantemente annoverare , ſe dal tempo ne foſſe permeſſo . Maperchè ho laſciato lo anche di rammo tare la Chimica efferoltremodo neceſſaria aʼmediciper po ter ben conoſcere , e ravviſare tante , e sì fatte guiſe dime dicamenti , che fabbricar tutto giorno, edifpenſar da mol ti, e molti artefici fi fogliono / intorno aquali i ſemplici Galieniſti in nulla fappiendoſi delle lor vircùconoſcere , ſom vente a' rapporti de’medeſimi componitori diaeceſſità les ne ſtanno digiuni affatto , e privi ritrovandoſi di qualunque contezza dichimica; ſenza la quale comporcocali medica, menti , ne in quali forti di malattie , in qual' età, in quales ftagione convenevolmente da uſar fieno, appieno compré der potráno :cõciofſiccofachè cotali ricette fovéte appreſſo i buoni autori s'incontrino , i quali appena ſi pare,che l'ab . biano ne'lor volumi groſſamente accennate , non che par . titamente ſpiegate , e deſcritte , coprendo a bello ſtudio , e inviluppando imiſterjpiù pregiati, e più profondi dellar te , per non logorargli yanamente infra le genti volgari ,cu dibaſſo intendimento . E quinci poi ingannati da’loro fal fi avviſi impongono vapamente agli ammalati alcunisime dj , che chiaman prezioſi; facendoſi a crederc , che fien tali, quando veramente fon viliffime bazzicature , e fanfaluche di niun pregio; fe non vezzatamentele impongono per aver parte poiall'ingordiffime baratterie degli ſpeziali. Ma coſtuma fu mai ſempre de' medici il dar a divedereu effer di pregio grande i loro medicamenti; ficomc per ta cer di Pallada, teſtimonia Sereno Samonico : Multos pratereamedici componere fuccos Afuerunt ; preciofa tamen quum veneris emptum . Falleris,fruftraque immenſa numifmatafundeso E per non dir nulla del file dell'oro , che cotanto alcuni ſopranmodo millantano : come potrà egli un buon medico diſpor 560 Ragionamento Settimo diſporſi mai ad ordinare al ſuo ámalato beveraggio di quel che chiamāſale d'argēto,ſenza pūto le qualità diquello fa pere ? Oh ſep chimica conoſceſſero i Galieniſti giámai,che cofa ſia quel malvagio medicamento , certamente non ne ſarebbono cotanto a'ſuoi infermiliberali , perciocchè non è egli , ne eſſer può giammai ſal d'argento ; ma sbriciolati, e ſottiliſſimi ſcamuzzoli del medefimo metallo uniti inſie me , e rappreſi dalle particelle di quegli eſaltati fali acuti, e peſtilenzioſi , onde già roſi , e ſgretolati furono; perchè cer tamente la medeſima qualità riſerbar debbono di que' fali, e'l'medeſimo effetto peravventura adopererebbono, che dal vitriol del rame far fi ſuole ; perchè Giuſeppe Don zelli nell'arte della Chimica conoſciuto aſſai , così ne dice: Quanto al mioſentimentoſtimo vanità le virtù , cheſipredia canodel ſald'argento ; e credo, che abbia indebolite più bor fe, che corroborati cervelli . Anzi tanto più velenoſo,e mal vagio cotal ſale fi è , quanto più del vitriolo del rame, o ď altro peſtilenzioſo veleno rode,e morde le viſcere, e ſpie tatamente ſtracciandole ſtrabocchevolmente ne muove a recere gli inteſtini, e l'anima; perchè con dolori acerbillimi correr ne potremmo anche mortal pericolo, ſe non che co tanto poco dar ſe ne ſuole, che agevolmente , o la natura medeſima , o altri medicamentiviriparano. E’lmedeſimoancora da dir ſarebbe dell'olio dell'oro , e dell'oro , che chiaman potabile , del qual certamente niun mai ſervir dovrebbeſi , ſe non aveſſe egli in prima per più d'una pruova baſtantemente compreſo non poterli quello in niun modo ne'primicri ſembianti ritornare , e prender di nuovo forma di metallo ,laſciato avēdo affatto d'eſſer tale . La qual coſa da quel grā maeſtro dell'arte Elmõte ben con . ſigliata ne fu allor , che diſſe : ne metallicum ullum arcanu intra corpus accipiatis , nifi prius redditum fit volatile , din nullum metallum reduci poffit. Eche direm noidelle tinture de coralli , delle perle,del le quint'effenze, che millantar fogliono,degli ſmeraldi,de zaffiri, e de’rubini , cd'altre ſomiglianti gemme, le quali veramente,ne filoſofiche tinture, nc eſſenze non ſono con cior Del Sig.Lionardo di Capoa sor ciosfecofachè a farle tali , egli convenga in prima ſcioglier filoſoficamente que'corpine'primicris loro principj collo pera , e col conſiglio degli Alchaeft, e d'altri ſomiglianti li quori: le qualicoſe altro veramente non ſono , ſecondo il ſentimento d'alcuni valent' huomini, che Sogni d'infermi, e fole di Romanzi; e nõ men vane, e bugiarde, che l'eroiche sbracciate del Rc Artù , e lemillanterie di Lancillotto , di Triſtano , ed'altri crranti Cavalieri,che dimenzogneempion carte . E ſepur vere coſe , e non vanisſime dicerie elle fono , ficome al quanti guari autori han voluto pur credere , cgli però ſo 110 sì inviluppate ; e cieche , e rimoſſe dal noſtro intendi mento , chemalagevoliſſimamente per huom ſe ne potreb beorma rinvenire; così, ſe pur lealmente ne diviſano i mae Itri, e Senatori della Chimica Repubblica, come il Valen tini, il Paracelſo , l’Elmonte , e altri, l'han ſapute co' loro riboboli , ed cninmisì bene avvolgere , e intralciare , che impoſſibile omai ne ſembra l'impreſa. Perchè lo ſciogli incnto , che comunemente far pe veggiamo , altro certa mente non è , ch'un minuto ſtrirolamento , o ſceveraniento delle parti , fatto , come è detto ,da’ſaliacuti elaltati ,e per ciò ſoinmamente velenoſi , i quali meſcolativi per entro , e forte appiccativi non ſe ne potrebbono per tutte le bucate del mondo toglier giammai; ſenzachè i bricioli dell'oro , o delle gemme,o d'altra ſomigliante coía dura, ſcioltije ſgre tolati, e a que’ſali appiccati , ceſano , e fraſtornano l'ope razioni degli Alcali ; intanto che non potendogli quelli da tutre parti inſiemeunire, no rieſcono valevoli ad iſpogliar glidella lor natia acrimonia,con rendergli ottuſi affatto , e rintuzzati delle lor ſottiliſſime punte ; ficoinenel tartaro vitriolato far ſogliono, ove sì fatto intertenimento non hí 110. E ſe i fali pur non vi rimancſſcro , ma per opera d'ec cellente , e ſaggio maeſtro già tutti interamente ne goin beraſſero , certamente iminuzzoli dc'corpicciuoli ſciolti, c sbriciolati non reggerebber pure a galla nuorando in ſu i pori delle umide ſoſtanze , ma tantoſto in fondo al valo sõ. mergerebbonſi; ne meno ſcioglicrebbonſipunto per gli Bbbb wwin 502 Ragionamento Settimo umidi aliti nel deliquio ; come gli intendenti del meſtier fa vellano . E di ciò ben fi può far manifeſta pruova,conme ſcolarvi dentro l'Alcali del tartaro ; concioffiecofachè bcn allor di preſente fi vegga l'argento , e l'oro, e le gem me calar giù , e far toſtofondaccio : comechè alcuni cotali paltonieri , e giuntatori de’noftriſecoli pur ſi ſtudjno di di moftrarne il contrario : circumfuranei fallaces ,come dice il grand'Elmonte ,qui aurum , & argentum furripientes aliud in borum locum fuppofuere ; incontro a’quali giuntatori al trove riſerberommia ragionare . Ma de' lavoratori di sì fatti medicaméti,così dice lo ſteſ fo Elmonte , huomo per univerſal conſentimento di tutti letterati intendentiffimo di ciò giudicato . Pudendam pa riter deploro fimplicitatem illorum , qui foliatum aurum , gē maſquecontufas hominibusmagnaſpepropinant,magno ven dentesfuam ignorantiamfinondolum ; quafi ftomachusinde, welminimum expectetfubfidium . Subtilior , ideoque magis condolendus efterror eorum , quiaurum , argentum ,coralia , perlas, atque fimilia per liquores acidos corrodunt, atque dif folvere videntur;putantque hoc pacto intra venas admiffum iri , verè ſuasproprietates nobiſcum communicatura .Nefciät enim , ah neſciunt acidum venis hoſtile ; ideoque peregrina diſſolventiúfuperata , & tranſmutata aciditate,ejufmodi me talla ,& lapides pulveré effesatante; qui utcunquein tenuiffi mum pollinemfit redaétus,nihil tamen à ſtomacho conficitur, aut nobisfuas vires partitur. Ed Angelo Sala nel meſtier della Chimica ofercitato affai , e ferino , e veritiero ſcritto Te : omnes illi , ſclama , qui talibus portentofis promifis, quo rum ne minimum re ipfa præftare pofunt, multum gloriantur, Banquam.agyrta , &impoftores babendi funt; licet ab aliqui bus , intendendo egli di coloro appunto , de' quali noi ra gionato abbiamo : ſciocchi,e ignoranti della Chimica, qui facilè vanis perſuafionibus ducuntur , tanquam profundi ar. canorum naturæ fcrutatores fufcipiantur,magniquefiant, da contra ab iiſdem ingenuisfine oſtentatione quantum in artis poteſtate eft exhibentes negligantur. E prima di ciò avea egli detto : meritò fufpeéti habentur , qui primam dari materia philo Del Sig. Lionardodi Capoa 563 philofophorum tùm ad quorumcunque morborum curationem , tùmadmetallorum tranfmutationem , multis , jiſque ad oſtë tationem , & fraudem comparanis rationibus probare conan tur . Qui ex auro , quod necfummaignis violentia , autul lo corroſivo cogi poteft , ut vim fuam metallicam exuat , se liquorempotabilemverum fine peregrina miſtura conficere poffe jactitant . Qui non folùm colorem , innatam tin &tu ram ex omnibus metallis , lapidibus presiofos , fed etiam fpi ritus , olea , & ſales non minus , ac exvegetabilibus fe fepa rare poffe profitentur: Qui ex.talco , corpore illu metallico , & incombuſtibili , balſamicum , &temperatumliquorem ad per petuam faciei venuftatem promittunt. Qui veram tincturam coraliurum ejufdem cumipfis coraliis coloris , faporis, &tem peramenti , majoris tamen virtutis ad Epilepſie, & Melan cholie curationem vendunt; du ex ipfis margaritis talē quin tamellentiam ,quæ humidum radicale confumptum meliusquá ullumaliud fimplex ,aut compofitumreftituat. E quancunque gli acuti lali ſoglian talor raddolcirli al quanto, o per me'dir mitigarhi accozzádoſi in modo co'mi nuzzoli demetalliſciolti, che le lor fottiliffimepunteaca biar fito ne vengano, come nel vitriolodel ferro agevolmé te fi può vedere; non,però di meno il più delle volte il con trario n'avviene; perciocchè le punte delle particelle, che compongono i fali, accozzandoſi talvolta con gli sbricio latiminuzzi de’metalli , vengon si fartamente a ſchierarſi , e comporſi, ch’a guiſa di pungentiſſime ricciaje , od’aſpri riccj fieramente aguzzandoſi, ed arruffandoſinefquarcia no le viſcere ', e con mortali punzecchiamenti talor n’ucci dono ; ficomealla giornata nel ſoliinato , e nel precipitato , e achenell'oro ſciolto p l'acqua regia avvenir veggiamo. Perchè l'avvedutiflimo Chimico Ofualdo Crollio , dicoral oro favellando, dannandone ſommamente l'uſo,non datur, dice , illo nocentius toxicum . Ed io porto pur ferma opi nione, che da sì fatti medicamenti , ſe non ſi deſſero tanto miſuratamente , e a ſpiluzzico , non nien gravi , e manifeſti danni ſeguirebbono , che dal ſolimato , e dal precipitato avvenir ſogliono ; perchè non ardirebbono imedici ſcioc Bbbb 2 chi, c 564 RagionamentoSettimo chi , e ignoranti , ſe nella chimica eſercitati foffero , cotali medicamenti , anzinocevoliſſimiveleni , a'loro ammalati per cagion veruna imporre ; e comprenderebbon pure che corali, che chiaman riſtorativi, in luogo di dovere agli in fermi sfidati lc ſmarrite forze ravvivare , inaggiormente gliele abbattono . E ſappiano pure , che ſecondochè nes dicano i più veritieri Chimici, più agevole aſſai è a fabbri car di nuovo l'oro , che'l già fatto diſtruggere. Ne è dacredere , che quell'olio d'oro tanto celebre , e famoſo in Portogallo , curi, e ſaldi le ferite con altro , ches co'ſali roditori , ed acuti dell'acqua regia , che if diffolve ; perciocchè corrugando quelli, e riſtrignendo i vaſi acquo fi del noſtro corpo, nó fanno alla ferita umore alcuno trape lare ; perchè gli ſpiriti de ſali frizzanti, e lazzi la virtù dell' olio dell'oro , o ſia egli oro potabile, è certamente da attri buire ; che per altro, ficome diceva colui, l'oro sì fattamé. te ſciolto troppo ſpoſfato , e di niun momento ſenza il fal roditore egli riuſcirebbe: ma affai a ingordo pregio paghe rebbeſi quel poco d'utile , che rade volte ricever fe ne ſuo le , ſe paragonafial riſchio , in cui la vita del malato mani feftamente incorre . Ne altrimenti è da credere degli ap parecchiamentidelle perle , de’coralli , e dellc gemme ; perocchè , come di ſopra detto è , sì fattamente nel loro Atritolamento gli acuti fali vi s’appiccano , che per quindi torgli vano affatto , e inutile ogniſtudio riuſcirebbc .' Emi ricorda pure eſſer capitato una volta alle mani del Donzel li un talmagiſtero di ſmeraldi, che manifeſtamente di que' ſali , onde compoſto era , putiva; e quelvalent'huomoall ? aperto riſchio della perfona colui ſottraffe , che di preſente predere il doveva. Perchè i buoniChimicisépre dal far co tali apparecchiamenti ſono ſtati oltremodo guardinghi ; e'l Gluctradio medeſimo ne'cométi, ch'ei fe in fu'l libro delſuo Beguino , forte gli biaſima, e danna . Anzi quantunque il Cratone nel meſtier di cotali medicine ragionevolméte da ſeguitar non fia ; non però di meno in ciò , chcnarra delle perle , egli ſenza dubbio ſembra dir vero . Acetum radi catum , ſon ſue parolefua , acrimonia , & vi corroſiva, atq; caufti. DelSig. Lionardo di Capoa. 585 cauſtica non modo margaritas , verum alia etiam diſolvere ; &in cinerem quafi redigere , atque quemadmodum Chymiſte loquuntur, calcinare polje nemini dubium eft . Huc autem no eft fpiritum margaritarum elicere, fed totam earumfubftan . tiam corrumpere. D.Vaoylelius ſenior mihi narravit Epiſco pumn Vratislavienſem Gaſparem Logum , magiſterium hocper larumperſuaſum à fratrefepèporrectum à Paracelfifta quo dam ebibife, atque eo demortuo tunicas ventriculi nigras, egy corruptas apparuiſe. Eodem eventu ufam effe Marchionis Iohannis conjugem , in qua ventriculi tunicæ planè fuerunt erofa . E ciò certamente avvenir debbe dal non aver ſapu to il componitore di quellavorjo qual cofa apprèffo'l Para cello ſia veramente l'aceto radicato, e dall'averſi egli ſervi to in luogo di quello d'un cotal liquore minerale oltre modo acuto , e roditore . E quantunque diciò per avven tura non ſi poſſa ne'magiſterj delle perle , e decorallifac ti per opera d'alcuni piacevoli fali, o liquori vegetabili dottare,tuttavia comechè ſi cõfacciaio a qualche āmalato , pure in molte,e molte malattie comuneméte ſi dánano ;per chè in luogo d'abbeverarſi di quel ſale acetoſo , che nelle noſtre viſcere calor ritrovano, accreſcendolo maggiormen te , le cagionidelle inalattie ne multiplicano. Ma chi baſtevole ſarebbe giammai a raccontar le frodi, c le baratteric , che in sì fatte materie tutto giorno com metter fi fogliono ? Ed è egli recente ancor la memoria in queſtaCittà di quel Polacco, chevedeva a carisſimo prez zo lo ſpirito del nitro per l'Alcacſt; e di quel gran Barbar ſoro Ciciliano , ilquale con ſue ciarle , e giunterie molti, e molti ne preſe faccendo Calandrini gli huomini, e dando a diveder loro l'elitropia fu per lo mugnone , vendendo, e di fpenſando la tintura del verderame per quella degli ſme raldi , c'l biſmuto calcinato con acqua forte , e ſciolto , co me dicono , per deliquio , in luogo di veraciſſimo latte di perle; e f quel che minor male certamente era ) Peliſſire di propierà per balſamo di Criſto , e la cintura del Chermes per quella de'coralli. Così bé ſapea falſeggiar sì fatte ma raviglie, come colui, cui fa dire il noſtro Dante la giu nella : deci 566 Ragionamento Settimo --- . decima bolgia dello Inferno : Sì vedrai ch'Io fon l'ombra di Capocchio , Che falfaili metalli con Alchimia : E ten deiricordar ſeben , t'adocchio, Com'Iofui dinatura buona foimia . E non ha guari di tempo ; cheda qualche malvagio fpe? ziale comunemente vendevali ( edimedici pur l'imponeva no a'loro infermi ſotto nome d’eſtratto di caffia ) la caffia medeſima, ineſcolatovi dentro gutgummi: e queſto mede fimo pure meſcolar ſoleva nell'eſtratto del Rabarbaro per renderlo maggiormente efficace , e vigoroſo , con quel dá no, e nocimento de’miſeri ammalati,che immaginar poſfia mo ; e gli ſcimuniti, e balordi medici ignoranti affatto dela la Chimica, ingaonacine reſtavano,giudicando ſcioccamé te maggiorſempre , e più vigoroſa negli eſtratti l'efficacia dellemedicine dover riuſcire . E ſomigliantemente dall'ignoranza della chimica anco ra avviene , che i baccelloni , e ſemplici medici credendo di foverchio agli Artefici, veggonfi tutto dì mandar fuora varie , e diverſe moſtruoſe, e ridevoliricette di medicines, le quali o non inai fi videro al mondo , o folamente ne’libri di poco pregio , o dalle bocche , o dalle penne di chi trop po lor crede furono appreſe; ma quanti danni ne fian ſegui ti a’poveri infermi , chi potràmairaccontare :Dirò lo fola mente , ch'un celebre Galieniſta de'noftri tempi per aver lerro forle egli il Tirocinio delBeguino , o altro ſomiglia te libro di Chimica , ftimandofi egli già gran maeſtro in quella , preſe ardire d'ordinare a una cattivellainferma lo fpirito del nitro volgare fchietto ; e comechè lo ſpeziale tá to quanto intendente della biſogna a tutta ſua poſſa il con traſtafle , pur colei preſolo , dopo acerbilliini dolori nabif fando , e rabbiando fe ne morì. Ma di sì ſciocche , e irra gionevoli ricette ben ne potrei Io un lungo catalogo qui diviſare , ſe non che per troppa modeſtia me ne taccio ; temendo non diciò ſe n'adiraſſe alcuno , come di fallo per avventura da ſe maffimamente commeflo ; ſenzachè v'ha perſona, ch’avendonc finora un lunghisſimo ordine intel R 1 iuto , Del Sig.Lionardodi Capoa. 507 ne , futo, infra non lungo tempo forſe divolgandolo, farà intors, no aciò la vaghezza de'curioſi interamente paga . E dall'ignoranza della Chimica medefinamente avvic che tutto di daʼmedici il ſale del vitriolo ordinar ſi co ftumi ; il che certamente non avverrebbe , fe ſapeſſefi qua to eglioltremodo malagevol fia il comporlo ; e che gli ſpe ziali in vece del ſale del vitriolo , dar fogliano il vitriolo medeſimo bianco , o pure il vitriolo riprodotto dal capo : morto , ſicome dicono ; il quale talvolta aſſai più del vetro medeſiino , e de'fiori dell'Antimonio violento ſuol riuſcire; cagionando acerbillimi dolori nelle viſcere , e talora anche manifeftamcnte uccidendo . Così non ha guari di tempo per pochi granelli di cſſo moriſli in Caſtel nuovomiſerabil mente rabbiando Gio :Battiſtade'Benedetti ftrolago di gra grido . Ma i noſtri ſciocchi, e baccelloni medici immagi nando di porre in opera un benigniſſimo, e piacevol medi camento, in luogo di quello un crudelifimo, c micidial ve leno ne vengono talvolta ad ordinare . E ſon' anchei medicinegli ſpiriti de'corpi vegetabili da? mueftridiſtillatori, ſommamente beffati ; perciocchè colo ro cavar gli ſogliono per limbicchi di rame con gravilli mo danno di colui , che prender gli dec ; conciolliecoſa chè la flemma di que' corpi formentati, gravida di quel ſale acetoſo , che non mai partir ſe ne può , trae ſoven te qualche nocevol particella della campana , e con la ſua mordacità tanto quanto la rode , e la ſminuzza. Quinci poi a poco a poco, ne l’huom ſe nc può in prima avvedere,[con volge , e morde le viſcere , e diſtempera il corpo, cagione vole oltremodo , e difettoſa l'economia di quello renden do . Ma veggo Signori che s’lo diſtintaméte narrar vi volei gli errori tutti ne' quali incorrono i medici p nó ſaper pūto di chimica troppo lūgo, e ſtucchevole ne diverrebbe il mio ragionaméto; perchè ritornando di nuovo ad avvercirglin confortargli, e ſcongiurarglia non inframmetterſi d'impre ſa di tanto riſchio , fe pienamente non ne fan riuſcire, dico di nuovo , che laſcjno da parte ſtare le pericoloſisſime me dici. 5:08 RagionamentoSettimo : dicine della Chimica , e ſolo alle lor menovili, ccomunali attendano : Ludere qui neſcit campeftribus abftinet armis; Indoctuſque pila , diſcive , trochive quieſcit , Ne ſpiſſa riſum tollant impunècorona. E perchè dirò lo non reſterà anche un medico della Chi mica ignorante d'ordinarchimichemedicine?masſimamé re , che non ne fieguono le ſcherne di lui , ma la morte de gli infermi; perchè a ragion lagnavaſi il Sennerti d'alcuni maeſtriScimmionide'ſuoi tempi , i quali, com'egli dice , quum rerum Chymicarum planè ignari fint ,ne tamen Chymi cis aliqua ex parte inferiores videantur, chymica medicame ta , quorum vires , & præparationis modum ignorant , fatis periculosè ufurpant . Or che direbbe egli , s'ancor vivendo vedeſſe la tracotanza del noſtro ſecolo , e ſcorgeſſe pures in queſta noftra Città , in queſto Regno non eſſere ſpeziale anzi no eller barbiere , non eſſer cerrerano,non doniccico : 1a , che non componga Chimicimedicamenti:non effermc dico , che non gli ordini , appena che ne ſappia il noine, o bene , o malc , in tutte ſortidimalattie ? Anzi , che direb be egli pure , ſe vedeſſe cotali Squaſimodei de'noftri tempi andar tronfj, e pettoruti biaſimando la Chimica in cotali, che forſe ſaggiamente , e con prudenza l'adoperano, quan do eglino ignoranti , e non punto intendenti di quella più ch' alcun' altro poi follemente delle chimiche medicinc fi ſervono ? E comechècotalimaeſtri zucche al vento diſa per tutto miliantino ; pur nulla conoſcendoſidella vecchia, e della nuova medicina, abborrano, e meſcolano alla groſ ſa il tutto , con danno , e rovina di chilor crede. Ma per favellare appunto de'tempi noſtri, dice l'avve. dutisſimo, eingegnoſisſimo Roberto Boile,Obfervo noviſ fimis annis Chymiam ceptam efe (uti meretur) à viris doctis, quiprius eamfpreverant , excoli ; ejuſquefcientiam à pluri bus , qui ipfam nunquam coluerunt, arrogari,ne eam ignora. re exiſtimentur . Vndè faftum quodplures Chymicorum de rebus philofophicis notiones fumptæ fint pro conceſis , atque in uſum verſa ; & fic ab eximiis admodum ſcriptoribus,tiim phyſi Del Sig.Lionardodi Capoa: 150g phyſicis , tùm medicis adopsate . E finalmente anche ſe alla medicina non foſſe meſtier la chimica , a che ragunarſi a giornate tāti parlamenti, e tante ſcuole di Chiinica nella Germania, nellaFrácia, nell'Inghil terra , e in altri molti famoſisſimiluoghi d'Europa ? A che tanti valentisſimi medici ( de'quali alquanti più famoſi Ga dieniſti per brevità ſolamente rapporterò ) avrebber durate tante fatiche, ſparſi tanti ſudori, vegghiate tante notti per imprenderla , per appararla ? E per racer d'Avicenna , di Rali, di Meſue, d'Abulcafi , e d'altri famoſi medici Arabi, e ſomigliantemente di Ramondo Lulli , d’Arnaldo da Vil lanova , e d'altri di que'barbari, e infelici tempi: quanto ſudor vi ſparſero Giovanni da Bagnuolo,Gio :Battiſta Món tano : Giacomo Silvio grandiffimo parteggiano diGalieno , Giovan Fernelio , Corrado Geſneri, Teodoro Zuingero , Andrea de'Mattioli,Gio : Giacomo Veccheri , Gabriel Fal loppio , Felice de' Platteri , Martin Rollando , Anſelmo Boezio , Girolamo Cardano , Giulio Cefare della Scala , Gregorio, e Daniello Orftio , Pietro Caſtelli, Marco Aure lio Severini , Daniel Sennerti , Girolamo de'Roſli, Andrea Cefalpini, e Giovanni Eurnio, e Giovan Cratonc ? il qual, come alcun'altro deʼmentovati, comeche con ogni sforzo in prima ſtudiato li foſſe di contraſtare , e abbatter la Chi mica , pure alla per fine tratto dalla verità volle appararla , e ſeguirla ; e introduſſe in Vienna , com ' egli narra , nel la Corte Imperiale molti ſalutevoli , e nobili medicamē. ti ; perchè poi ne fu da altri medici fieramente perſeguita to , e biaſimato . Ed egli ſembra certamente ſventura ſin golar della Chimica , fe pur egli non è anche di tutt' altre cofe grandi , e magnifiche : poichè non s'arri fchia alcun giammai a tacciar coſa , di che pienamente non ſappia , e non ne ſia in prima a baſtanza informato :ma folo la Chimica fi biaſima , e s'accagiona da chi men n'in-. tende; e giugne a tanto l'invidia,e la malavoglienza de'bef fardi, che con arrabbiati morſi fan lacerare empiamente un meſtier ,dicui appena fanno il nome . : Machi baſterebbe giammai ad annoverar tutti coloro , Сccc chc 570 Ragionamento Settimo che le chimiche medicine adoperano ? certamente non è medico a'tempi noſtri , ch'abbia fior di ſenno , che per be ne ciò fare , con ogni ſtudio diligenteméte nó appari la chi mica ; e ſi è ciò ſolaméte vantaggio della noſtra ctà , o della noftra fioritiffima Italia nella quale anche a'tempiaddietro la Chimica da tutte genti,che tanto quáto n’ebber contez za avidiſſimamente fu ricevuta . E Pier Caſtelli ad un co tal meſtolone, che inutile, e ſoverchia a'medici giudicava fa , fciat,diſſe , in Germaniamedicină exercere Chymiæ igna rum non poffe , &vixin Gallia , & in Italia ; e'l teſtè men tovato Daniello Orſtio : encomia Chymie non opus eft , ut hic recenfeam : quia verum eft, quod habet alicubi Heur nius : ceſpitat, jam profecto fine hacarte medicina . E prima dicoſtoro avea già detto il Mattioli : medicum abſolutum effe non poſſe ; immo nec mediocrem quidem , qui in Chymica non fit exercitatus: nella qual ſentenza fu dopo ancora Da niel Sennerti , e in varj altri luoghi l'accennato Caſtelli , tant'altri valenti ſcrittori, Ch'a nominar perduta opra ſarebbe. Ho traſandato a bello ſtudio di avviſare quanto l'uſo della Chimica ſi diſtenda nella maggior parte dell'arti più curio fe, e più utili al genere umano : imperocchè l'acqueodori fere, gli olj , tanta varietà di liſcj, che lavoranſi per orname to delle donne, le gioje artificiali, che dalla Chimica, qua fi emula della natura produconſi , la varietà de'colori , che formanſi per uſo della pittura , le paſte da indorare , e lac que da partire i metalli , che continuamente adoperanſi dagli Orafi , tutti ſono effetti, coperazionidella Chimica; delle quali la ſola operazione della menzionata acqua da partire i metalli, diè cagione di tanta maraviglia a quel grā lume delle buone lettere Budeo , che nel terzo libro de Af se , ebbe a dire : hujus eft id artificium , ut vi aqua medicata , quam Chryſulcam appellant,quantulamcunqueauri partem argento , aut cuivis metallo illitam , aut confufam ,nullo di Spendio abſtrabat , ita ut inauraturis nibil jam depereat mă do , niſi quod ufu interteritur . Res omnino fupenda auri ar gentiquequotamcunque portionem ex ære eximere , etiã, quod magis Del Sig. Lionardo di Capoa 571 magis mireris manente vafculi forma quaſa interdum , a inani , veluti quadam idea à materia abſtracta . E l’Alciato ammirò pariinente la medeſima acqua in chiolando il teſto della legge Idem Pomponius , S. fed fi D. de rei vind . nella quale ſi dice , che'l rame miſchiato con argento non può ſepararſi,e però nõ vi può aver luogo la vindicazione, qual dicono: onde e' ſcriſſe potuit hæc sētētia Vlpiani têpore obſer vari , hodie forte aliud erit, etenim inventa eſt ars,qua Chry ſulcæ aqua viaurum à quocunque alio metallo fepararipoteft, cujus rei quamvis pauci ſintartifices , vixque finguli in ma gnis Civitatibus, cum tamen ſeparatio fieri poffit, apparèt non effe fuprafcripta rationi hodie locum . Ma cotali brighe a'cervelli più ozioſi de' noſtri laſciana do :poichè la chimica eſſer così giovevole, e oltremodo ne cellaria alla medicina baltevolmente è detto, trapaſſeremo ora a diviſare delle ſtrade , perle quali aggiugner ſi poſſa alla contezza di sì nobil meſtiere . Primieramente colui che nel faticoſo meſtier della Chimica eſercitar ſi voglia , conviene, che non ſolo , comc Teobaldo avviſa, ſia nel latino idioma ben addottrinato : ma d'altri, e d'altri ancora egli abbia conoſcimento :concioffiecoſachè in molte lingue del la Chimica i volumi ſiano ſcritti , e con tanti eniminio eri boboli inviluppati, come altrovc dicemmo,che ben richie dono ſottiliſſimi, c.alti cervelli per iſpiegargli : Ea fuit om nium hactenus invidia , dice di lor querelandoli Geremia Bartio , idque præpofterum occultandi ftudium , ac labor , ut non tantum à fe inventa artificia ſpagyrica , tanquam eleuf , na facra celarint: ſed veterum etiam arcana , fimpliciori , apertiorique orationis genere propalata, impofioria perplexi tate, do notarum hieroglyphicarum obſcuritate , in tenebras ipfis Cimmeriis , & Ægyptiis denfiores conjecerint . E oltre a queſto deeil Chimicoper lo ſciogliméto e per l'inneſtamé. to de’naturali corpi aver diligentemente ſtudiato in fiſica , e conſeguentemente in Geometria , e in tutte altre ſcienze ad imprender filica ſommamente neceſſarie ; ſenza le qua li mal certamente può egli il ſuo intendimento fornire,quáa tuinqueavveduto fit , e valoroſo aſſai: così quel famolin C cc c 2 mo me . 572 Ragionamento Settimo mo medico ; e chimico Arnaldo da Villanova: quicunque ad hancfcientiam vultpervenire , &non eſs philofophus, fa tuus eft ; per tacere il Morieno , e altri . Maconviene oltrº a ciò ,che per internarſi nelle cupe , e profonde ſpecula zioni della natura , ne' tre vaftiffimi reami di quella con ra pidiffimo ingegno traſcorra , e molto in eſli ſpii, molto co prenda , e avviſi tutte quelle coſe, ch'e' continuo aver dee tra le mani, e vada pure per inveſtigare nuove coſe ; cer cando per lande , e per valli, e per colli , e per fiumi, e per nuovi mari Fior varj, e varie piante , erbe diverſe, c oltr'a ciò augelli , e peſci, e altri infiniti animali, e minic re , e gemme , e altre , e altre fatiche a sì lungo meſtiere appartenenti volentieri imprenda , come già fecero que chiarisſimi lumi dell'arteRamondo Lullio, e Teofraſto Pa racelſo . Oltr’a ciò egli è di meſtieri al chimico eſſer otti mamente avviſato della natura , e delle qualità di tutti gli ordigni , e ſtrumenti del meſtiere , e ſopratutto del fuoco ; € fottilmente anche comprendere checo’ſemi di quello sé premai ſi vengono ad accoppiarealquãte particelle, o fali gne , o d'altre ſorte di quelle coſe , che ſi lavorano ; perchè poi vengono oltremodo a variarſene gli effetti, e l'opera zioni delle chimiche medicine. Macertamente Nõ è pareggio da picciola barca , e troppo fuor dimiſura n’allungherei il ragionamento ,fee tutto ciò,ch'ad un perfetto Chimico abbiſogna recar quà partitamente lo vi volesſi; ſolamente non laſcerò di nuovo d'avviſar coſa importantisſima a mio credere a cal meſtie re : ed è, che il voler da’ſoli libridegli autorila chimica ap parare , è impreſa oltremodo malagevole,e dura affai,mal ſimamente a colui,cheper la filoſofia , e per la medicina ſervir ſe ne yuole . La qualcoſa, ſicome dicemmo,ſopra tutto naſce dall'aver quella gli avveduti ſcrittori a bello Audio con enimmi,e viluppi intralciata ; e ciò fanno per . non manifeſtare a tutta gente i ſegreti più profondi dell'ar te ; nella qual cofa adoperano certamente gran ſenno , ſe guitando i conſigli degli antichisſimi padri dell'arte gli Ege. Del Sig.Lionardodi Capoa. 573 Egéziaci ſapientiperciocchè ; , come cancò quel giocondo ſatirico Fiorentino nel ſuo Orlando rifatto, Le cofe belle prezioſe , e care , Saporite , foavi, e delicate Scoverie in man non fi debbon portare , Perchè da'porci non ſiano imbrattate. Perchè poi molti , e molti , che ſi ſono affaticati, e s'af fatican tuttavia di ſpiegare gli aſcoſi ſentimenti de’Chimi ci maeſtri , ne rimangono certamente di gran lunga ingan nati , e ſovente ancora ne' loro errori traggonnon volendo coloro , che creduli troppo preſtan lor fede; masſimamen te nelle bifogne di maggior conſiderazione della medicina, come fon quelle intorno alle qualiora noi ragioniamo. E quel , che maggiorméte accreſce la malagevolezza fiè,che fpesſiſlime fiate , quandofan ſembianza di parlar manife ſtamente , e alla ſcoperta ſenza aggiramenti di parole , al lor maggiormente n’inviluppano . Omnium rerum , avvi fa il gran Claudio Salmaſio , quæ ad hanc fcientiam perti nent vocabula , ab ufu , & confuetudine communifubmoveritt auctores fui, &peculiarem fibi dialectum vindicarunt , fa lis myſtis tanti arcani intelle &tam . Fornaculam fortem , ve caminum , in quo argentum ,& aurum fundebatur,quod ore hiāti, &patulo effet.E fu ancora conoſciuto dal ſapiêtisſimo Boile,dicédo egli quelle parole.Hæcpropterea adjicio , quod qui vel ullatenus in rebus Chymicis eft verfatus, non poteft no ex obſcuro corum ambiguo , & ferè ænigmatico tradendi, que docere præſe ferunt ,modo percipere ; ipfis. confilium non effe , st intelligantur ,nifi à filiis artis (utvocant , nec vel ab iis quidemfine difficultate, & incerti ſucceffusexperimentis;adeo ut eorum nonnulli vix unquam tàm candide loquantur, quă guando trita inter ipforum fententia utuntnr : ubi palàm la quuti fumus, ibi nihil diximus . E’l dottiſſimo Samuel Boc ciardi in favellado della chimica, ars enim ipſa tam eft abdi ta , ut in ejus cognitione adipiſcenda oleum , & operam miſe rè perdant pleriquemortalium . Et qui adeptos ſe putāt quaſ cæteris hanc gloriã inviderët,tot verborü involucris,atq; am bagibus artis arcana obtegunt;ut videant , ideo folü fcripfiffe 574 Ragionamento Settimo ut nõ intelligerent ? E peraddurre di ciò un ſolo efemplo , chi non crederebbe interamente al Beguino , ea tant'altri moderni autori eſſere lo ſpirito del nitro diſtillato coi bo lo , quelmedeſimoappunto , che gli antichi Chimiciin , molte malattie di darper bocca uſavano ? Epur la biſogna non va così; perciocchè quel degli antichi d'altra ,e più sé plice maniera componevali; e lo ſpirito rapportato dal Be guino , non ſolamentenon giova , anzi n'offende notabil mente le viſcere ; perchè molti della lor perſona mal capi tati ne ſono , per avere i medici ſoverchiamente al Beguino preſtato credenza ; come dicemmo teſtè di quella cattivel. la inferma : ecento , e mille altri eſempli addur ſe ne po trebbono . E quinci avvien poi , che non ſi veggono a’dì noſtri quelle maraviglioſe cure , che ſi leggono già per iná degli antichi Chimici eſſer fatte;avvegna pure,che que'me deſimi lor medicamenti ne’loro ſcritti ſi ritrovino, ma sì in viluppati , e alla groſſa diſegnati , che inal certamente per huom ſi poſſono adoperare . E a ciò ben dovea riguarda re Pier Caſtelli, che troppo mal conſigliato , il libro de mendaciis Chymicorum , con ſua poca loda compoſe . Or veggali di grazia chente , e quali fian le malage volezze ; le quali intorno a un sì faticoſo meſtier s'in contrano , e come ſe ne poffa in ſoli due meſi huom mai ſuis luppare , ficome non meno ſciocco , che malizioſo fi ſtudia di darnea divedere, il Billicchio ; quando egli ſotto gli ann maeſtramenti di Angelo Sala per imprender quel poco, ch' ei ne feppe , tanto tempo infelicemente logorovvi. E concioſliecoſachè cotalarte più operativa , che ſpecu lativa fia : egli è di meſtieri all'avveduto Chimico ,anzi coll' uſo , e colla ſperienza , che col rivolger de’libri appararla ; perchè poco ragionevolmente colui i ſuoi ſcolari confor taya , dicendo Vos exemplaria Gebri Nocturna verſate manu , verfate diurna ; perciocchè quantunque in ſui libri diGebro , e d'altri fa. moſi Chimici molto li poffa apparare, non però di meno ſe non ſi pruova col fuoco : econ altri chimici ſtrumenti ,ciò, che Del Sig. Lionardo di Capoa che ne'libri ' de’valét'huomini ſi legge indarno di pienamen te ſaperlo vantar huom puore; perchè il Chimico prudéte, e avveduto è da dir , che più co'carboni , e co'fornelli che coʻlibri uſar debbia ; ne per altro certamente detto viene il chimico, filoſofo pe'l fuocò . E comechè dura oltremo , do , e malagevole talcoſaneſembri, pure chiunque d'in tendere a sì glorioſo ſtudio preſume, ſappia innanzi tratto , ché Της δ' αρετής ιδρώG θεοί πτοπίροιθεν έθηκαν Α'θάνατοι, μακρος δε και όρθιG- ομG-επ' αυτίω , Και τζηχυς το πρώτον:επήν δ' εις άκρονίκητα , Ρηϊδίη δ'ήπατοι πέλα χαλεπήπτε εούσα . Innanzi a la virtù poſto i ſudori Hannoglieterni , & immortali Dü : Aleiper lungo, ed erto calle vaſſi , Che duro inprima appar , ma quando alfommo Si giugne , agevol èquel , ch'aſpro apparve; ma per paſſar ad altro non fa certamente meſtiere , ch'Io avvili, potendofi agevolmente da quel ch'è detto cogliere, che dee colui , che pretende avanzarſi in medicina ſtudiar in tutte le ſette di quella ; ne in meſtier di tanta conſide. razione , quant'è la ſalute , e la vita degli huomini haw egli a riſparmiar fatica in rivoltar qualunque libro , ne ar roffarfi di ſpiarne da qualunque perſona, per appararne co ſa di comun giovamento, e di qualche pro-alla inedicina ; perciocchè ſicome avviſa l'intendentiſſimo Plinio : nullus adeò malus liber eft , ex quo non quidpiam utilitatis erui pof fit . E Giuſeppe della Scala : ego ſum is, qui ab omnibus di Scere volo,neque tam malum librumeffeputo , ex quo non alia quem fruitum colligere poffim . Ne è perſona cotanto ſcioca ca , e balorda , da cui talvolta non poſſaſi apparare qualche coſa , eſſendo vero il detto d'Eſchilo πελάκι του και μωρος ανήρ κα @ καίρον είπε , che per tacere altri , il Padre della giocoſa poeſia toſcana nell'Orlando rifatto , così gentilmente cantando ſpiegò Haqualche volta un Ortolanparlato, Cofe molto a propoſito a la gente. Ma 1970 Ragionamento Settimo Maparticolarmente de’medici favellando ſcriſſe a tal pro , poſito Conſalvodi Toledo famoſo medico de'ſuoi tempi, e Arciveſcovo di Lione : prudens le&tor , vel auditor , omnes libenter audit , omnia legit : non fcripturam , non perfonam , non doctrinam Spernit :ab omnibus indifferenter , quod fibi deeffe videtur querit , non quantum fciat,fed quantum igno ret , confiderat . E'l Quercetano anch'egli dice, ch'un co tale ſconoſciuto contadino tolſe d'addoſſo d'un gran per ſonaggio la ſeccaggine d'un moleftiffimo capogirlo , cui no aveapotuto porre alcun compenſo , e vani erano riuſcitii molti , e varj conſigli de' valentiſſimimedici . E fenza dia partirſi da queſta noſtra Città, egli è gran tempo , ch'ado perar folevanſi dalla gente volgare efficaciffimi rimedi per li bozzoli della gola , e perle ſcrofole ; e al mal della pun ta guarire alcuniuſavanocon feliciſſime riuſcite ,aftenendo ſi da’ falafli , l'olio del lino , l'olio dell'olive , il ſangue del becco , il ſalnitro , l'incenſo, la pece, la raſchiatura delde te del Cinghiale , i fiori del papavere roſli , la calce, il gen giovo , e'l zafferano ; nella colica la cenere d'alcuni legni, nella riſipola il ſangue della lepre , il ranno , e l'acqua del vitriolo , e della calce, e altrimolti medicamenti , che non fa meſtieri, ch'lo quì rapporti;il perchè ſembra degno, an zi di commendazione, che no l'avviſo del Paracelſo , il qua le vuole, che'l medico non ſempre debba uſare co'letterati, e bazzicar nelle ſcuole , come ſe da lor ſolamente, e non altronde ancora s'apparaſſe tutto ciò , ch’alla medicina ri chiedefi ; ma gli convenga anche girne dalle vecchiarelle , dalle zingane ,da'ciurmadori, e da’vecchj , e ſperimentati contadini; dalle cui ſcuole talvolta apprenderanne aſſai più , ch’altrove per avventura non farebbe ; e quinci fi coglie , the'l medico , non menche del chimico è detto , debba an dar ſe poſſibil fia ,per dirla co'verſi del poeta Peregrinando da'piùfreddi cerchi Del noſtro mondo a gli Etiopi acceſi. E queſto ancora , acciocchè egli avviſar poſſa la varietà, o la natura delle terre , delle minicre,dell’acque , degliani mali , dell'aria , delle ſtagioni , de'coſtumi , de'cibi, delle bcyan DelSig. Lionardo di Capoa. 577 bevande , delle medicine , delle malattie , e delle maniere di ciaſchedun paeſe . Ma con tutto , che tanto, e tanto af faticato egli s'abbia il medico per apprender le contezze già dette,no dee ftimar già ſe eſſere al fommo grado della medicina pervenuto : concioffiecofachè ne men vero ſia ciò che l'Elmonte dice , che in tutta l'Europa appena un ſolo medico ſi trovi :imperocchè queſto ſteſſo ne'maggiori bi ſogni troveraſſi dal ſuo ſaper ingannato; come ſi vide , per tacer del Paracelſo , nell'Elmonte medeſimo , che forſe quell'uno ſi era, il quale non potè ſe medeſimo del mal del la punta guarire;e pure di queſto male,e de'ſuoirimedj egli più d'ogn'altro medico ragionevolmente filoſofaro avea . Ma laſciando ciò daparte ſtare , mi par tempo omai , che veggiamo , quali efſer debbano i maeſtri, i quali introdur poſlano lo ſcolare al conoſcimento di táte ſcienze, quali ab biamo avviſato ellerneceſſarie alla medicina . E conciofi ſiecoſachè di ſopra ſia per noi detto , infra l'altre coſe al medico la notizia dell'erbc ſommamente abbiſognare ; conveniente coſa mi parrebbe , acciocchè gli ſcolari in ciò avanzar ſi poteſſero , d'un compiuto , eperfetto giardin de femplici lenoſtre ſcuole ornare, e quivi un'eſpertiſimo er bolajo ritenere , il quale gliele doveſſe ad una ad una ad ditare , con iſpiegar loro la natura , i nomi, e gli effetti di quelle ; acciocchè avveduramente poi ciaſcuno uſar le do velle . E ciò tanto monta al comun deila medicina , che ragionevolmére il Caſtellicosì ne ſcriſſe : ficutmedicus fim plicium ignarus non eft bonus medicus, ita Academia , quæ horto fimplicium publico caret , non eft perfecta Academiae. E poco addietro egli medeſimo avea molti , e molti danni annoverati , che per non eſſer nelle ſcuole della medicina il giardino de'ſemplici, avvenirnefogliono . E certamente niun maiſaprebbe , comechè ſagace , cavveduto molto ſi foffe , giugner al vero conoſcimento de ſemplici alla me dicina appartenenti , ſenza aver huom , che d'efli affai pie namente informato innanzi tratto diligentemente gliele inſegnale. La qual coſa fu da Galieno avviſata , allorche dilic , parlando de'ſemplici : Convien certamente , che non Dddd nina , 578 Ragionamento Settimo una , o due , o tre volte,ma tratto tratto gli vada minutame te offervando con qualche'maeſtro , il qualgliele additi ,come bocca gliele inſegni. E altrove : Quinci immagino i giovani valorofi eller non pocoſpronatia comprender la materia de medicamenti ; eglino medeſimi non una , o due , e tre fiates ma ſoventi volte ravviſandola ; concioficofachè la vera co tezza delle coſe apparenti coldiligente gratamento de ſenfi ap prender fi foglia . Ed altrove ancora biaſimando coloro, i quali di ſapere per veduta le coſe lordiſegnate non curano : diſſe :Sonocoſtoro fomigliantiffimi a Banditori, i qualii ſe gnali tutti , e i marchi d'unoſchiavofuggitivo , comeche mai non l'abbian veduto , a ſuon di tromba vanpubblicando; im perciocchè apparando ciò eglino daaltrui , comecanzone il vă per tutto poirecitando ; che ſe per avventura intervenije , cbe il pubblicato a bando loro dinanzi capitale, eglino certa menteper tutto ciò no'lravviſerebbono . E ciò tanto mag giormente avviene , quanto ,che da’libri ſolamente degli Icrittori non ſi poſſono agevofmente apprendere, tra perlaz traſcuraggine di coloro nel dipignergli, e diſegnargli,e per le contele , ch'intorno a quelli ſovente infra ſe hanno go anche pe’molti, e moltinomi, che i ſemplici hanno , chia mandoſi diverſamente da ciafcuno . Coſa , la qual cotanto fe ſudare , e affaticare il doctiſſimo Ruellj; perciocchè , co mc egli dice : in berbulæ cujufdam facie repreſentanda , no tas tam variè delineant, utquidvisaliud potius, quam ſtir pemipfam demonftrare videantur : aut cerie eandem multi plici prorſus effigie : quæ antalis ufquam effe poffit pleriqaw omnes dubitant. Quare me tantorum impulit virorumdift fidium , per vaftas ire regionum multarum ſolitudines , invia montium juga peragrare, lacus inacceffos Inftrare , abditas terra fibras fcrutari, hiantes vallium ſequi ſpecus, vel cum corpufculi bajus periculo præcipitia nonnunquam tentare , ut inſpectu eriam , ne dum cognitione res ipfas comprehenderem . E ciò certamente fu non poca fatica d'un tanto valenthuo mo, e convenevole a ciaſcuno , ch'a sì fatro meſtiere in tender preſuma .Se non ſe noi in ciò riſparmiar ne potrem ino , con apparar quì in un ben fornito giardino tutte l'era be da ! DelSig. Lionardo di Capoa. 579 . be da confarſi ad ulo di medicina, ſenza andarle raccoglie do con tanto ſconcio , e riſchio delle noſtre perſone. Ag. giungafi a ciò , ch'abbiamo detto che l'orto de'ſemplici tão to più nelle noſtre ſcuole , ed entro queſta medeſima noſtra Città biſognevoi ne fia , quanto che, come ben Dioſcorido avviſa ad acquiſtar pienamente cotali conoſcenze ne con vegna , e nel tempo ,che germogliano , e nel tempo , che creſcono , e nel tempo , che languiſcono le piante diligen temente confiderare : τον δε βελόμενον εν τούτοις εμπειρίαν έχεις deti na to ye try agtsQuñ Erasnov ix tūs gãsexuá(over, aig ade Ogexedeafso παρτυγχάνειν • ούτεγαν ότι βλάση εν πτυχηχώς μόνον δύναται το ακ μαζον γνωρίσει ούτε έωes κως το ακμάζονα και το αρτοφυές επιγνώναι .. Perchè a ciò riguardādo ilComū di Piſa,di Perugia, di Bo. logna , di Mompelicri, di Parigi, e d'altre molte Città d'Eu ropa,hánocógrádiſſima loda nelle loro ſcuole i séplicitut tiin ragguardevoli giardini piātati.Maſopra tutti in ciò s'a váza il famoſiflimo , e comendevole Orto di Padova find a ducento anni addietro di tutti i più ſtrani, e ſconoſciuti sé plici, ch'a medicina ficcian meſtieri compiutamente forni to ; del qual mai ſempre han tenuto cura huomini in tal meſtiere , e in tutt'altre parti di medicina intendentiflimi : ficome certamente fu Luigi Mondelli , Luigi dell' Anguil Jara , Melchior Guilandini , Giacomo Antonio Cortufio , Proſpero Alpino , Giovan Prevozi, il Cavalier Veslinci Giovanni Rodio , ed altri molti per le lor famoſe opere in iſtampa pubblicate almondo chiariſſimi. Ne certamente con táto ſtudio ciò fatto avrebbono que fapientiflimi huomini, cotanta ſpeſa , e tempo logorandovi, fe a più d'una pruova il grá biſogno di sì fatto giardino pie namente avviſato non aveſſero ; il qual ſenzadubbio più, ch'altrove , in queſta noſtra Città , in queſte noſtre ſcuole apertamente ſi ſcorge, non avendovi ne pur uno mezzana mente inteſo de’ſemplici, a cui per una, comechè non mol to ſtrana , e ſconoſciuta pianta ricorrer ſi poſſa ; da poi che la paffata piſtolenza tutti gliene tolſe . Intanto , che l'av vedutiſlimo Giuſeppe Donzelli , che in ciò pochi ebbe a ſc pari , infra i ſemplici, de'quali in una cotal bottegaalai fi Dddd 2 1110 580 Ragionamento Settimo -mofaa compor s’avea la Triaca , fei, o ſette adulterini un giorno riconobbene . Or che della noſtra Città, e delle no ftre ſcuole quel famofo ſcrittor direbbe, che sì ebbe a ſcla mare ? Conveniens in omnibus V niverſitatibushurtus fimpli ciumpublicus non folum ad warięweden perfectionem Academia, &ut diſeantjuniores medici , atque Pharmacopei,feu ad ur bis ornamentum , decus , fed quod maximum , quod optă dum , ad civium ſalutem neceſſarius omninò eft. Quot nãq; quafo errata à pharmacopæis in fimplicium delectu committi tur ? quot agri indè necantur ? E cócioſliecoſachè ſia dimoſtro ſopra più ,e più altre con tezze a un medico abbiſognare; e ſpezialméte lo ſtudio del le lingue , farebbe meſtiere introdurre ne'noſtri ftudj, mae Ari di lingua greca; perciocchè séza quella malagevolmére potrà ne’libri degli antichi huom vātaggiarſi;eſlendo quel li in greca favella compoſti; e comechè nel latino traporta ti già tutti or ne ſiano ; non però di meno molte fiate i vol garizzatori non a baſtanza eſſendo , o della materia, o del la lingua intendenti , in non pochi errori ſono incorſi; e per tacer d'altri , o quante , e quante fiatc vien ripigliato da' Galieniſti, e tolto in fallo ſconciamente Avicenna peraver Jui troppo di leggieri preftato fede a coloro , che nell'ara beſco idioma avevano i greci autori traslatati.E certamen te qual inai Xi!rem noi per ficuro, e fedel traslatatore,ſe an che Plinio , anzi il inedefino Cicerone,che così pratico fu della greca favella , pur malamente alcune delle greche pa role nel latino trafportando,da molti avvedutiſſimi ſcritto ri ne vien forte accagionato ? Ma meſtier anche farebbe ri ſtorar la vuota ſcuola della filoſofia , ein man de'medici ri porla , come già prima coſtumavaſi. Ma della notomia lo non ſo che dir mi debba ; certiſtima coſa eſſendo , che do po Marco Aurelio Severini le noſtre ſcuole mai non abbia no Notomiſta avuto ; ſenzachè il medeſimo Marc Aurelio , o perchè di fcco cotal biſogna le riſpondeffe ,o che gli fta tuti, no’l richiedefſono, pochiſſima cura ei ſe ne dava. Egli, silo non vado errato , una faccenda di tanta conſiderazio ne , e di tanta lieva si dovrebbe eſſer ordinata , che un di ligen Del Sig. Lionardo di Capoa 181 ligéte notomiſta alle ſcuole s'introducefle , e facédofi ada giare di tutto ciò che biſogno a lui fia,un giorno alınen pec ogni ſettimana la notomia diqualche particolar membro d'animal faceffe ; perciocchè in sì fatta guiſa non ha dub bio , che a'giovani, perchè perfetti notomiſti diveniſſero , agevole ſtrada fi ſcoprirebbe. Non fo poi lo fe ben fitro vino inſieme unite le due cattedre della notomia , e della cirugia, e come di due peſi cotanto gravi un medeſimo let tore acconciamente ſcaricar fi poſſa; perchè loderei , che queſte due ſcuole amendue di ſomma conſiderazione, e d' igual fatica ſi partiſsero , e dibuona ragione da due valen ti maeſtri ſi reggeffero. E fomigliantemete anche direi del. le matematiche, le quali cotanto biſognevoli fono al co mune , che non ſolamente per la medicina, e per la filoſofia fan meſtieri , ma per l'arti della guerra ancora , c per la na vigazione , e per le mercatanzic , e per tutto il civil con mercio . Ma oltre a tutte queſte ſcuole, che noi abbiamo dovrebbeſila ſcuola della Chiinica imporre ; la quale per quel,chie già ne fia baſtantemente per noidetto , così gio vevole , e neceffaria è al genere umano, ne da'folilibriſen za la guida d'un buono , & cccellente maeſtro apparar mai baſtantemente ſi puote ; e non ha il torto l'avvedutisſimo , ed aſſai ben conoſciuto di sì fatte coſe Monſignor Giovan ni Cianpoli, a vituperare , e biaſimare la dappocaggine delle ſcuole p no avervi la chimica introdotta; ma ſpezial méte al noſtro ſtudio la ſcuola della chimica fa meſtiere : avédoſi a far notomia dell'acquc minerali di Pozzuoli, e d ' Iſchia , alle quali i noſtri medici ſenza eſſer della lor natura conoſciuti grå novero d'ammalati poco faggiamente códá nano; quátúque talvolta non pocx ſciagura necoglieſſe ad alcuno; alcheanche por mére dovea il noſtro Capaccio , quãdo diſſe : Medici hoc têpore ( Sed quis medicus? quiGaleni tantum methodum legerit?qui impunè homines occidit ? ) cum mihil reliqui habeant medendis corporibus , vel cum re ipfa . ignorent , quo morbigenere ægri fins affecti, ad aquas Baja. nas eos rejiciunt , quas nemini unquam prodeffe cognovi. No. vi tamen ftolidos noftræ ætatis homines , quificaci eò profici Scan ' 582 RagionamentoSettimo fcantur , jam ſe videre , caciores indè reverſicontendunt . E certamente una cotal biſogna a comun giovamento fornir fi dovrebbe ; perciocchè non abbiam noi fin'ora ſcrittor di lieva avuto, ilqualdiſtintamente eſaminate l'abbia , come chè il Iaſolino ſcriva eſſerſi valuto dell'opera d'un certo Chimico per eſaminare i bagni d'Iſchia ; dal quale ingan nato, follemente credette eſſer non ſo quali miniere di fo le , e diluna in quelle acque. Ma per accennar qualche coſa dell'altre parti della mea dicina : Io richiederei , che i Lettori di ella , oltre alle yolgari opinioni d'Ippocrate , e diGalieno ſpiegar dover fero tutt'altre ſentenze degli antichi , e moderni autori,ac ciocchè gli ſcolari, ſicomeGalieno , c altri famoſi valend huominigià ferono , di tutto ciò chenella medicina ſi trat: ta,appieno inforınar ſi poſſano ; e ſe bene sì fatte contezze di poco, o niun momento fieno alla medicina, avendo noi a fufficienza dimoſtrato eſſer quella per ſe ſteſſa incerta, e fallace , e che niuna ſetta di quella abbia in ſe dottrina , che vi ſi poſſa per huom alcuno ſtabile fondamento porre , ne coſa di certo mai determinare ; impertanto potranno agevolmente ayviſare i giovani in ponendo mente alla va rietà delle ſecte , e dell'opinioni , e alle varie , e ſoventi fia te contrarie maniere di medicare , che fra i medici ditem ро in tempo ſono venyte in ſu , qual via nel meſtier del me 'dicare debban genere , Ne in queſta guiſa alcun contraſto allo ſtatuto del noſtro Regno mai fi farebbe , ficome alcuni daquelle parole : li bros authenticos tam Hippocratis, quamGaleni in fcholis da Geant : vorrebbono argomentare, c ftabilire; e che altro, che la dottrina d'Ippocrate,e di Galieno nons’avelſe a inſegna: re ; cócioſliecofachè col dipartirli talvolta da Galicno ,i sé timenti di Galieno medeſimomaggiormente fifoguano; ne potrà a buona ragionechiamarli ſeguace di Galieno colui, il quale non faccia , come Galieno adoperò , ſcegliendo datutti libri il migliore , ſicome a ciò fare egli i ſuoi ſcola . w inſtantemente conforta . Solo - nó laſcerò d'avvertire ſo pra l'accennato ſtatuto , ſecondo le fpoſizioni d'alcuni, che 11012 DelSig. Lionardo diCapoa 583 sion vietò la legge per quelle parole,il ſeguire , einſegnare ; ancoraaltri nonininori autori; coſtumando le leggi, qua do vogliono riſerbare , e vietar tutt'altre coſe, diſegnarle con quelle particelle duntaxat, tantummodo , folum , che i Dottori chiamano taſſative ; ſenzachè, ſe colla mente del Legislatore vogliam noi ſporre la legge, come ragio , nevolmente è da fare , certamente non che lo ſpiegare an , che altri nomen famoſi autori vietato ne fia , anzi egli n'è apertamente conceſſo , o per medire impoſto ; conciollie cofachè l'intendimento del legislatore in ordinando una si fatta legge ,, altro certainente ſtato non ſia , ſecondo che da quella ſi puòcomprendere, ſe non ſe di formare un , perfetto ge valentemedico ; il quale, conte già abbiam di moſtrato ,cal divenir non potrebbe , s'egli di tutto ciò che fin'ora in medicina è ſcritto piena contezza non abbia . E. certamente ſe l'Imperador Federicoamici!limo , e bene in formato delle buone lettere' , che fe lo ſtatuto , e Pier delle Vigne,per quanto cõportaffer que'barbari tempi, ſciéziato huomo , che ſcriſfelo , econrpilollo , aveſſer mai potuto di tantie sinobili ritrovati, e dottrine de" novelli medici , e filoſofanti alcuna concezza avere , eglino ſenza dubbio non pure permeſſo ,ma commendato anche avrebbono ,che nelle ſcuole a pro del Comune ſpoſti, einſegnati ſi foffero. E tanto più del noſtro avviſo ora noici rendiam ſicuri, qua to che riguardando alla volgar coſtuma di quel barbaro , e rozzo ſecolo, veggiamo apertamente, che corale ſtatuto, o no mandolfi mai di que’tempiad effetto ;o pur ſe andò avā ti , fu preſo ſempre in quelmedeſimo ſentimento, nel quale ora noi lo ſpiegamo; inperciocchè in Padova , e altrove la dottrina degli Arabiallor pubblicamente ſi ſponeva; e ab biamo, chepiù che d'Ippocrate ,e di Galieno,i medicaméti di Ralis,d'Avicena ,c di Meſueallor ſi coſtumavano ; anzi in queſte noſtre ſcuole medeſime,laſciati da parce i Greci maeſtri , con comandamento đe’noftri maeſtrati il trattato delle febbri d'Avicenna allor leggevaſi,per racer del nono di Rafi: cum publico bujus almeCivitatis juſu ordinariams Avicennale &turam de febribushoc anno interpretarer, fcrifle già 584 Ragionamento Settimo 1 gia Paolo Tucca , famoſo maeſtro in medicina di queſta noſtra Città . Ne altre doitrine in vero , o diviſamenti,ſe nó que'degliArabi,quà sépre ſono ſtati ſeguitati in medicá do , licome già baſtantemente per noi ſi diffe; e tuttaviade' noftri cempi ancor ſeglionfi ; ſegnal certiſſimo , che i me deſimi ancora ne ſiano ſtati ſempre nelle ſcuole de maeſtri inſegnati. Ne Giovanni degli Argentieri, oftinatiſlimo nimico di Galicno , e de'Galieniſti tucci,havrebbe quì midi potuto liberamente mandar giù le loro doterine , aper tamente cozzandovi , ſe per legge ne foſſe ſtato impo ſto a dover āzi Ippocrate, c Galieno,che la verità medeli ma , e la ſperienza ſeguire . E che direm noi di cotanti al tri autori, che da ſentimenti di Galieno traſandando , ove la verità il richiedeva apertamente il contraſtarono ? certa mére male a lor huopo táta tracotáza impreſſa avrebbono , ſe contro i divieti imperiali altronde , che da Ippocrate , e da Galieno raccolta l'arte faticoſisſima della medicina nel - le ſcuole inſegnata aveſſero.E lo mi fo a credere,che tāto ito doposì fatto ſtatuto ,comeche foſſer preſi a leggerfi i di ſegnati autori, pur tutt'altro chequelli ſpiegar dovevanſi;ne in modo alcuno da’ſentiméti di coloro la medicina tutta di pēder poteva: poichè allora pochisſime opere d'Ippocratese di Galieno dall'arabeſco nel latin linguaggio ſconce,e gua íte , e tutte piene di barbarie erano traportate: e l'opere d'Ippocrate poco certamente a capital tenute furono dagli Arabi ; de'quali la doctrina allora per tutto trionfando fio riva ; intanto , che Avicenna per comun yoce era principe della medicina chiamaco . E tanto parmial preſente della traccia , che tener debbano nell'inſegnare i pubblici mae ſtri della medicina aver baſtantemente accennato . Ma lo ben m'accorgo, che alpreſente ne verrebbe a huopo, chu attenédo le promeſſe già fatte, diviſar de’mnaeſtri della filo Cofia , comeanch'esſidebbiano eſſer liberi, e non appiccar- , fi all'altrui autorità nell'inſegnare ; ma di ciò nel ſeguente ragionamento farem parole , 1 RA 585 VAN RAGIONAMENTO O T TA V O E VLT I M O. Rai più illuftri, è più glorioſi pregidi que ſta oltre ad ogn'altra d'Italia,belliſſima,e amena Città,è da giudicare : p mio avviſo laver ella ſempremai, o prodotti, o al tronde a lei venuti corteſeinente accolti , % 9 e albergati pellegrini ingegni, e ſaggi , ſcorti, e liberi nello inveſtigare i ripoſti, e profondimiſte rj della natura . E nel vero per non far parole de' più anti chi tempi , chi è di voi , che non ſappia, che quìBernardi no Teleſio, cui diede ilcuore innanzi ad ogn'altro di fron teggiare i maggiori tiranni della filoſofia, che quella avea no a vile , e duriſſimo fervaggio miſeramente condotta, co poſe, e diè fuora que ſuoipregiatiſſimilibri della natura delle coſe ? Chi è di voi che non ſappia, che quì pariméte poi Sertorio Quattrománi, Aſcanio Perfio, L.atino Tácredi, Tomaſo Cápanella,Vincézo,c Giovan Battiſta della Por ta, Col’Antonio Stigliola,Frāceſco Muti,e altri, e altri egre gj filoſofanti ſcosſero virilmente il giogo impoſto alle ſcuo. le dell'autorità degli antichi mnaeſtri , della quale dubitar Еесс PU 380 Ragionamento Ottavo punto non che farle alcuncontraſto avrebbe il coinune cõ lentimento delle genti a ſomma ſcempiezza recato ? Vlti mamente , chi è divoi , che non ſappia , e che non abbia co’propi occhjveduto, che quì cbbe cominciamentoquel la nonmai baftevolmente commendata accademia, che de. gl'inveſtiganti appellofli , ſol perchè era intendiméto di lei, poftergata ogni qualunque autorità d'huomo mortale , alla ſcorta della ſperienza ſolamente , e del ragionevol diſcorſo andar dictro per iſpiar le cagioni de'naturali avvenimentia Echi giammai potrebbe colle dovute lodi tutti i nobili fpi riti , che in tal famoſa aſſemblea felicemente filoſofar fi vi dero rammentare? Ella ricoveroſſi , come voi ben ſapete , ſotto la protezion di D. Andrea Concubletti già Marche fe d'Arena, ch'ebbe l'animo intefo a vincer la virtù de’luoi maggiori, i quali fur ſempremai larghiſſimi favoreggiato ri delle lettere più eſquiſite; e annoverò ella fra'ſuoipiù ca si un Monfignor Caramuele , un Daniello Spinola,un Frá ceſco , e Gennaro d’Andrea, un Gio: Battiſta Capucci , un Luc' Antonio Porzio , un D.Michele Gentile , un To maffo Cornelio , e altri , e altri curiofi , e ſagaci interpreti della natura , che collor fenno, e ftadio ,e gloriofe fatiche generoſamente s'oppofero all'impetuofo torrente delPabu fo , chegià ſtabilito , e accreſciuto diforze dal conſentimen to deglihuomini,e dallautorità che gli avea data il tempo , alvero, e alla ragione ſovraftar avviſavanſi ; huomini vera mente d’immortal gloria degni, e certamente da commen dare, e da avere in pregio vie più di que' primi, che alla fi Jofofia diedero operá, ecominciamento ; conciofficcoíachè; fe eglino difcorrendo regolatamente, e oſſervando con dili genza saperfono la ftrada alla contezza delle coſe naturali, altro veramente noh fecero , ſaluo chc fecondare quef rego lamento, per lo quale caminar fogliono l'arti, e le fcienze , e l'altre coſe tutte di quaggiù, le quali cominciando da roz zi, e baffi principi, dal cattivo, e men buono, al buono, indi al migliore e alla fine a qualche ſtato di perfezione aggiuo gono; ne a queſta opera fare altra malagevolezza s’incontra di quella dell'applicazione,e della fatica,ſenza le quali non è da Del Sig.Lionardodi Capoa : 587 è dato agli huomini acquiſtare utile, o onore veruno. Ma ove p rammendare ciò che p fatal legge delle coſe umane, o per altro accidente fia venuto una fiata in dichinamento , e corruttura, primieramente hanſi a ſuperare i gravi impedi menti del mal abito già fatto per lo conſentimento della moltitudine, e per la lunghezza del tempo fortemente ra : dicato negli animi; e dopoauer ciò operato durar fi debbom no parimente le medeſime fatiche , ſe non maggiori, che durarono que'primi autori , e padri della filoſofia; perchè non è lingua,non è penna,che gli poſſa a baſtanzacommen dare. Maio perchè tante volte pazientemente avete degna to d'aſcoltarmi,o Signori,in queſto ultimo mio ragionamen to, che dovrò fare , ſe non ſe incoraggiarviad una sì bella impreſa di liberamente filoſofare, e diviſarvi altresì quanto di liberi filoſofanti, e maeſtri le noſtre ſcuole abbiſognino ; ne a ciò fare veruna induſtria , veruno ſtudio , veruna fati ca reputerò vana , e inutile : imperocchè ove ſia ſeguito il mio avviſo., ſpero , che a voi ſomma gloria alcomun ſom mo pro , camefelice termine di queſte poche fatiche , che per altrui utilità ho durate, ſia per ſeguirnezeper dare omai comincianento ,dico , ch'egli ſembrerebbe ad alcuni ben fatto aſſai , che s'aveſſe a rinovellare l'antico , e ormai per lungo ſpazio in tralaſciato uſo di ſporre a parola p parola il teſto d'Ariſtotele. E quancunque il miglior partito ſareb be,intorno a ciò imitando le più famoſe ſcuole d'Europa ,ri pigliare l'antichiſfima traccia già tenuta da’ Greci nello in ſegnare , Oye poi queſta non li voleſſe ſeguire , certamente giudicherei il men male , che ſi faceſſer le chioſe in ſu'l già detto teſto d'Ariſtotele; imperocchè in sì fatta maniera grande ſcemo ne verrebbe il numero innumerabile di quel le quiſtioni , in cui, e'l tempo,e'l cervello, non men de’mac ſtri,vilogorano tutto di milerevolmente gli ſcolari; sì ve ramente , che poi i maeſtri a quella guila , e con quella li bertà l'opere d’Ariſtotele aveſſero a trattare, colla quales cgli quelle di Platone, e d'altri antichi trattar ſolea . E co me a ſuo eſemplo fecero poi delle ſue mcdefime Tcofraſto, Ermia , Filopono , caltri , e altri ſuoi più nobili ſeguacije Ессе 2 clio 588 Ragionamento Ottavô chioſatori , cioè a dir, ch'egli s'aveſſe minutamente a cri vellare ogni fuo detto , diſaininar a fpiluzzico ogni ſua ra gione , econ nuovi,ė nuovi ſaggi provare, e riprovare ogni fperienza, ch'egli aver fatto teſtimonia nelle coſe della na tura ; e ficomene'miſterjdalla Divina eterna fapienza , che ne ingannar ſi plote, ne ingannare altrui a noi già rivelati, nő dobbiamo più oltre inveſtigare ; così nelle dottrine in. fegnatene da’šiloſofi,e particolarmente dallo Stagirita,egli fi dee ſempreinai ſtare in ſu l'avviſo,ed aprir , come fuol dir fi , mille occhi , e mille , per veder ſe ciò ,che egli nel ſuo indice ne ſcriſſe ficonformi coll'ampio , e immenſo volun medell'Vniverfo . Ma perchè chiaro appaja , e ſi poſſa quaſi diſli toccar cô mani quáto mal ſicurain quallivoglia materia ſia la dottri na d'Ariſtotele ,ne daremo ora , comechè breve , qualche faggio ; e primieramente in que ſentimenti , che da criſtia no orecchio fenz'orrore no potrebbongiammai udirſizcioè, che l'eterno Dio non ſia il gran fattore dell'Vniverſo, e de gli huomini : ne di noi punto fi brighi , ne con noi voglia , o poſſa uſare in alcunaguiſa , ne in ſonno , ne in vegghia: e ch'egli non ſia colui , ond'ogni bene avvenga. Che la per fertabeatitudine fol nella preſente vita neli conceda , ſen za alcun godimento nellaltra poterfi ſperare . Che la det ta beatitudine nella fola virtù non confifta : ma le fac cia meſtiere de'beni della fortuna : dipartendoſi dal parcr del ſuo Macſtro Platone ( cotanto commendato dal gran Padre Agoſtino ) colà ove diſſe , cſſere la perfetta beatitu dine non altrocheil godimento di Dio. Che buona ſia l'é pia legge di Minoffe ,il quale volca, chelecito foffe il pec car cótra a natura , acciocchè nó creſceffe oltre al cõvene vole il numero de'cittadini. Che gli huomini abbian la vera fapienza : burlandoſi di Simonide, che detto avea effer Dio folamente il ſapiente ; e ftizzandoſi contro Platone , ches ſcriſſe eſſere l'umana ſapienza vile , e bazzeſca . Che igio , vani debbano fraftornarhi , comcincapaci, dalle morali dio fcipline . Che la modeſtia non fia virtù : nc virtù di fortez za ſia il ſofferir pazientemente le ingiuric , la povertà , gli 1 efilj, DelSig.Lionarda di Capoa. 189 efilj , la morte , o altri infortunj : le quali coſe , come em pie la medefima gentilità condannerebbe, che fortiſſimi sé, za contraſto ſtimò Meltiade nel ſoſtener la prigionia,Temi ftocle l'eſilio , Socrate la morte . Ma che direm poi di quel ſuo ſentimento dietro all'eters nità del mondo,tante , e tante volte da lui ridetto , e pro varo, facendo contro il vero arme i ſofiſmi?Che dell'empie fuc beſtemmie intorno alla natura del grande Iddio , il qua le ſcioccamente egli chiama (wor , cioè a dire animale . E a lui di vantaggio egli l'onnipotenza , ela providenza , elas libertà dell'operare empiamente toglie ; oltre a ciò non potendo talor la fuafolle , e pertinace miſcredenza celare , apertamente dice eſſere la religione un politico ritrovato da tener a freno le genti , e che la dignità del Sacerdozio debba compartirli a' ſoldati veterani. E che diremo intor no alle pene, e premj , che dila ſi danno ſecondo l'operes che di quà per noi fatte fono : E che direm’anche dello in ferno , il qual egli dice effer certamente novella da vegliar de ; morendocon noi l'anime ancora , ne altra coſa di noi reſtando dopo morte , fe non ſe il freddo cadavero , ſenza , fentimento niuno ? e tali alla per finc Ariſtotele ne trattadig come Se fate foſſim’anime di ferpi . Ma non verrei mai a fine , ſe tutte quì diſtintamente re car lo voleſſi le fue empie , e peſtilenzioſe doctrine , dalle quali contaminato il miſcredente Arabo chioſacore in's prima ; e poi altristolſero l'occaſione di comporre , e di co pilare quell'infame libro,de'tre ſeduttori del mondo. Quin ci apertamente fi pare con qualita ragione detto aveſſe già Lattanzio Firmiano : Deum non colit, nec curat omninò Ari Hoteles : e prima di lui il grande Origene nel libro , cli’ei ſcriſſe cótro Celſo Epicureo,avea già detto eſſere Ariſtote le piggiore aſſai d'Epicuro ; e dipiù biaſima Origene mole? altre malvagità,e ſcelleratezze inAriſtotele,e la peripateti ci ſcuola tutta ne taccia ; e'l beato Serafino da Fermo , e S. Vincenzo Ferreri abboininando , e maladicendo la dottri na d'Ariſtotele, e quella d'Averroe ſuo ſeguace ſoleva.gri dare i4 590 Ragionamento Ottaud dareeffer quellephialas ire Dei projectas fuper aquasfapië tiæ chriſtiane , unde facte furtamare, ficut abfynthium ; per chè anche la venerabile ſua ordine avca ſeveramente proi. bito a’ſuoi frati il leggere l'opere d'Ariſtotele . E ben ſi paa re , cometeſtimoniano Laerzio Diogene , Ammonio , Cle mente d’Aleſſandria , e altri , ch'Ariſtotele rivolto fi foſſes agli ſtudidella filoſofia per ordinazione di quel Diavolo , che ſotto il mérito nome d'Apolline già dar ſoleya le riſpo Ite in Delfo ;ne altra cagione ritrova San Girolamo alla Arriana ereſia , che dottrine d'Ariſtotele : Arriana berefis argumentationum rivos , de Ariſtotelæo forte mutuatur : fic enim Arrianos inperfidiam iviſse cognovimus,dum Chri Si generationem putant ufufaculialligandam , relinquunt Apoftolum , fequuntur Ariſtotelem , E S. Baſilio il magno ſchermendo , e vituperando oltremodo l'Ereſiarca Euno mio dice , che coll'armi d'Ariſtarele tentava egli d'abbat tere , e diſtruggere Criſto ; e ſpezialmente in un luogo, ov? egli dice : deh laſcia forſennato il malvagio , e danneyole gærrir d'Ariſcotele: laſcia io c'avverto quel velenoſo, e pe ſtilenzial ſuo favellare intorno alla natura dell'anima : è in tutto caccia via da te quelle ſue mondane ſentenze, copi nioni . Or ſe nelle coſe , che abbiam noi di certo , come loni quelle della noſtra ſanta Fede , così manifeſtamente Ari ſtotele graſandò ; certamente dovremmo noi anche nell'al tre tenerlo ſoſpetto , e dubitarne continuo degli uſati ſuoi crrorijanzi dovremmo pure giudicar falſo apertamente tut te quelle ſue premeſſe , dalle quali egli pervia di neceffarie cõſeguéze ſuol cavare gli ſciocchiſſimi ſuoi falli intorno alla noftra sáta Fede.E veraméte il ſiſtema in ſu'l quale egli ap. poggia , o tutta , o la maggior parte della ſua vana filoſo fia,egliè l'eternità della materia, del movimento, del mon do , delle intelligenze : la neceſſità di Dio nell'operarc,e la virtù finita di lui : e altri , e altri ſentimenti a queſti fomi glianti. Ma che dire noi di quelle coſe d’Ariſtotele,le quali quã tunque per la noſtra S. Fede non fi determinino,pur la Ipe 1 ricn DelSig . Lionardo di Capoa اور rienza così manifeftamente ora a noile dimoſtra , che nulla più èda dubitarne ? O forſe negando noi fede agli occhi noſtri medeſimi, e dimentendone i ſentimenti , e le dimo ſtranze , crederem noi oſtinatamente ad Ariſtotele , e non ne prenderem pure faggio da altri più avveduti, e men cre. duli ſcrittori i quali in buona verità affermino ſe avere fpe rimentato tutt'altro di ciò , cheAriſtotele nefcrive : Adun que perchè credere noi,che l'arco celeſte nó poffa maggior d'un mezzo cerchio apparere , quando contro l'avviſo d'A : riftotele, Franceſco Pico della Mirandola , il Campanella , il Gaſſendi , il Blancani , ed altri molti maggiore affai l'of ſervarono ? Anzi Io l'ho purriguardato , che non ſol mag giore, del mezzo cerchio apparir foglia , ma talvolta anco ra in un cerchio compiuto , e intero , dove il Sol fia alto , e l'huom da qualche monte aſſai rilevato ilriguardi. E dell' arco celeſte lunare,perchè'giudicherem noi eſſer quello co tanto malagevole aformarſi, che ne' plenilunj ſolamente apparer radiſfime volte ne foglia : anzi le egh è pur vero (perciocchè vien comunemente giudicato, maffimamente da Alberto Magno per una delle più favolofe novelle d'A riſtotele ) cgli dovrebbe pur più ſovente apparere , che non Polervòcolui in due fole volte per lo lunghiffimo ſpazio di cinquant'anni ; quafi egli in ciaſcuna notte dicotanto tem po ſenza prender mai ſonno foſſe ſtato ſempre a bada al ſe reno per riguardarlo ; non altrimenti che Fra Puccio ftayaſi digiuno orádo alle ſtelle , mentre la fua donna rinchiuſa có colui troppo alla ſcapeſtrata ruzz.ava . Ma degli errori d'A riſtorelein si fatte materie ne diſcorrono appieno il Tele fio , il Campanella , ed altri eccellenti autori. Ma che direm noi della proporzione, e convenenza,che infra fe hanno nel mondo peripatetico quaſi in ben librata bilancia in andar ſu le coſe leggiere , e giù le gravi? E la fciando per ora ad Ariſtotcle il creder, ch'ei fa fuor d'ogni ragione effere la leggerezza non men che la gravezza me delima , qualità delle coſe : e come poi per ſua dappocag gine lafciando di ſpiegare d'amédue la natura ad altro tra paſli: dirò ſolamente della ſua fciocchilimatracotanza il non 592 Ragionamento Ottavi -- -- non volere far pruova di ciò , che ſogna , che una pietra di mille libre fcenda mille volte più preſto , ch'un altra d'una libra ; potendo con durar poca fatica ,ravviſare , che que due mobili , tutto che tanto diſuguali di peſo , diſcendano però eguali in velocità . E chedirem noi intorno aciò , che Ariſtotele vaneggia do ne vuol dare a divedere delle coſe , che poſte in acqua , o ſcendano giù , o galleggino ? e come egli tratto dalla ſuaſciocca maniera del filoſofare , vuol,che peropera della larghezza, o ſtrettezza della figura, o fendan l'acqua,o nuo tino a galla coſe più gravi aſſai dell'acqua medeſima , non riguardando egli punto alle vere cagioni, che in ciò con venir poſſano . Intorno alla qualcoſa così ſmentito , eri creduto ne fu egli dal noſtro ſottiliſſimo Galilei , che nutta più ne ſarebbe il favellarne. Ma che direm noi dell'acque del mare? onde egli appre . ſe il noſtro Ariſtotele eſſer quelle più dolci aſſai, e men fan late nel fondo ,che di ſopra li ſieno ? Ahi quanto cauti gli huomini efer denno Preſso a color ,che non veggon pur l'opra; Ma per entro i penfier miran col fenno. Così traſcurati , e bambi ſi ſon laſciati trarre a ' ſuoi ſco cj , e difettoſi fillogiſmi i poco avveduti ,e troppo creduli ſuoi ſeguaci, che nulla curandodi vederlo per pruova,giu rano , ch'egli ſia infallibile verità : quum hoc , dice Giulio Ceſare dalla Scala , pro comperto ,veroque habeatur, in fun do maris aquas dulces effe. Ma Franceſco Patrizio huomo di maraviglioſo ſapere , e di non ordinario avvedimento così operando pur con tutte diligêze diviſarene dallo Sca ligero , ritrovando alla per fine il contrario , ne ſcrive: quñi mare ftaretplacidiffimum , nec itineris tantillum navis confi ceret , nullo Spirante vento experiri libuit , vafe cattitering ejufmodi, quale ipſe deſcribit , funi longiffimo alligato , quem nautæ fcandalium vocant , & altero leviore funiculo operculo accommodato , ita ut attractus illud aperire poſſet . Itaques manibus propriis utrumquefunem in mare demifimus : vas cafu plumbo pilotico fenfim ad fundumpervenit altiffimum , ſcili DelSig. Lionardodi Capoa 593 fcilicet CXLVII.: quum fenfiterramtenere , minorem funem traxi , operculum referavi. Extraximus opertum mari ple. num , falfo , amaroque , baud majorefalfedine , vel minore quàmquod in ſuperficie pofitum vafe alio guftabamuscompa rando . Ma finalmēte intorno a ciò n'ha rimoſſa ogni dub biezza il chiariſſimo Boile , il qual dice , che non ſolo i tuf fatori moderni inghileſi han fempremai aſſaggiata l'ac qua nel fondo del mare ſalſa, non men, che quella diſopra ; anzi dipiù in cerci luoghi della zona corrida ritrovato no una fiata nel fondo del mare pezzolinidiſale , e ſe ne ſervirono a lor agio per condir le vivande i peſcatori. Nó diffimile altresì da queſto dell'acqua ſalſa è quel, che Ari {totele apporta ne’libri delle ſue metcore, intorno al vino ; affermando con franchezza grande, che i vapori del vino ſi vengano a cambiare in acqua toſto che ſi riſtringano . Ne men groffa di queſta è quell'altra ridevol balordag gine del noſtro natural filoſofante,intorno al rame ; la qual parimente nelle ſue meteore volle, che ſi leggeſſe;cioè, che'l ramenon ſi poſſa per coſa del inondo įn altro color tignere. E quinci veggafi pure quanto male a lor huopo i filoſofi nan turali non ſappian di Chimica. E che direm noi intorno a’mari , i quali dice Ariſtotele eſſer molti , e molti , che non ſi congiungano inſieme, trat tone ſolamente il mar roſſo; il qualſecondo il ſuo avviſe , p piccioliſſime focinell'Oceano Atlático entrar ſi vede Nar ra ancora egli , e follemente giudica i Beti, e la Dannoja naſcer da’monti Pirenei ; e nel Parapamiffo l.2 lor prima fő te avere il Battro , el Coaſpe , e l'Indo , e l’Araſle , cche da queſto poi li venga eglia diramareil Tapai. Coſe tutte manifeſtamente falle , e impoſſibili;concioſliecoſachè fap pia ben ciaſcuno tanto quãto di ciò intendente , che'l Coal pe per la Perſia diſcorra , e di la dalla Perſia il Battro allin Battriana Provincia dea nome , e l'Indo naſca nell'Indiwi perchè non è da credere , che fiumi diſcorrenti in Provin cie cotanto infra fé lontane , e rimoſſe , in un modelimo luogo tutti , e da una medeſiına fonte ſorgano ; c'l Tanai ſa ben ciaſcuno , che naſca ne'inonti Rifci. Ma di più dice Ffff Ari 594 Ragionamento Ottavo 1 Ariſtotele , che nella Liguria un fiume grandiflimo ; e non minor del Po s'inghiotta tutto , e fi divori dalla terra , e quindi dinuovo poi rinaſcendo diſcorra altrove . Ma in corno al primo naſcimento de'fiumitutti ,egli molto ſcioc camente parlando dice , che ciaſcun fi formi, es’ingeneri negli altiſſimi monti dal vaporoſo aere per virtù del freddo a viva forza riſtretto , e condenſo , e diſtillante continuo in acqua nelle naſcoſe caverne , e nelle picciole buche della terra ; e quindi poi fa che prendano perpetuo movimento con una cotal gravezza , la quale perrocce, e per burrati , eper lande, e pervalli faccendo l'acqua diſcorrere , eca dere La fa inquieta , inftabile, e vagante . Nel qual modo follemente filoſofando fa egli nafcer non folamente piccioli fiumicelli , e fonti, e poveri rivi , ma no ne ferba anche i più ſuperbi, e vaſti fiumi del mondo. La qual coſa quanto ſia ſciocca , e da ridere , ben può comprenderlo chiunque ha favilfuzza d'intendiinento, fen za ch’lo più ne dica . Eche direm noi di quella così ſmiſu . sata , e incredibile altezza del monte Caucaſos Baja , ch'avanza inver quante novelle , Quante mai differ favole , ecarote Stando alfuoco a filar le vecchiarelle. Eglimillantando delle cime di quello dice , che fino alla terza parte della notte ſian dalfole illuminate ; che fatta ne la ragione ſecondochène ſcrive il ſottiliſſimo Peripate tico filofofante Giacomo Mazzoni , farebbe il monte dal tezza almen di ſettant'otto miglia noſtre Italiane per linea perpendicolare ; c quì non può non gridar eoli : papa in quos aculeos imprudens me conjeci! rident enim hoc Ariſtotelis dictum Mathematici; putant enim eum pueriliter lapfum efle. Cæterum ego dico eum ſequutum effe famam . La quale ſču fa del Mazzoni Io non lo ſe maggiormente debba fcagio nare , o tacciare il noſtro veritiero , e accortiſſimo Filoſofo. Ma d'altra parte Giuſeppe Blancani famoſifſimo Matema tico , cercando a biftento di menomar cotanta altezza del Mazzoni, la riſtrigne ſolamente a miglia cinquantadue ; qua DelSig.Lionardo di Capoa. 509 quia tamen , ſoggiugne poi, adhuo omnem veritatem nimium exfuperat ; e biaſimandoſi forte della ſcuſa del Mazzonifa piertiores judicent , dice , num recte philofophus, cujus eſiree condita , &abditadocere, excufetur ,fedicatur eum popula . rem famamfequutum effe. Ma fe falla così ſconciamente Ariſtotele in narrando con ſe falſe per vere , non meno errar ſuole egli talora in rifiu . tar come mentite , e falſe quelle, che manifeftamente ſon vere . Così egli nega efſer il vero ciò che cutto dà ſperimé €2 avvenire nelle contrade della Paleſtina, e propriamente in quel miſerabil luogo , in cui già cadde Fiamma dal Cielo in dilatate faldea E di natura vendicò t'offeſe Sovra le genti, in maloprar sì falde. Fu già terra feconda,almopaeſe; Hor acque for bituminofe , e calde, E fteril lago, e quanto ei volge, e gira, Compreſs'èl'aria , egrave il lezzo fpira. Di quel fetidohumorgiammainon beve L'affaticato peregrina, e laſo, Non greggia, non armento:e cofa greve , (Benchefia gravepur, qual ferro;of affo ,) Sornuota quaſi abete,od orno leve: L'huom non s'attuffa mai, ne giugneal baſſo. Cosìagevole egli è Ariſtotele a negare , e ad affermare a fuo talento tutto ciò , ch'e' vuole , fenza aver riguardo niuno alla verità . E volle Ariſtotele anche oſtinaramente contendere , e negare contro l'avviſo di molti valent'huo mini, fotto la torrida Zona la terra eſſer abitabile. Ma che direm Noi della Galaſſia , o vogliam dire cerchio di lat te , il quale fecondo Ariſtotele è un incendio perpetuo bruciate nella region dell'aria per l'eſalazioni, che dal le baſſe valli , e dagli alci monti vi manda continuo la cerra ; errore così grande , che anche i più cari ſeguaci di lui ſe n'avvidero , e apertamente ne'l ripigliarono ; in torno alla qual coſa , ſon veramente degne da notar quel le parole d'Olimpiodoro avvedutiſſimo ſuo interpetre, colle Ffff 2 quali 1 596 Ragionamento Ottava quali egli comincia a chioſar quel luogo : il Reo ( dic' egli, fervendoſi del volgar detto ) è di miglior condizione dell attore ; concioffiecoſachè allegando tutti gli antichi filoſo fanti nel ciel la Galaffia , ſolamente Ariſtotele portando falſa opinione, nell'aria ła pone ; perchè il Campanella eb be a dire:hancfententiam nemo fequacum ſectatur , nifi ftul si quidam :fra' quali non vergognoſli di porre il ſuo nome CeſareCremonini:mathematica ,et rationis expertes;e Aver roe , il quale così a capital tiene la reverenda autorità del ſuo caro Ariſtotele , che tranguggiar volentieri fi fuole tutte ſuc bagatelle, e ſue bugie, quantunque groſſe,e fmi ſurate elle fieno, pur ciò non potè a niun inodo inghiottire . Ma che direbbono a’giorni noſtri il Cremonini , e gli altri oſtinati fuoi ſeguaci , fe mercè del Teleſcopio guataſfero quelle tanto picciole ſtellucce , ch’ammucchiare inſieme , e riſtrette laſsù formano la Galaſſia , edi quà ne fembrano per la lor picciolezza una confufa liſta appena di mal di ſtinto ſplendore; il chefenza conſiglio del Teleſcopio be conobbe il fottiliſſimo Democrito , allor che , come Plu tarco , e Macrobio teſtimoniano ,difſe eſfer la faſcia del latte non altro,che moltitudine di ſtelle fiffe in quella parte tan to picciole,e non vedute diſtintamente a noi per la lor pic ciolezza , non già perchè allumate non fian dal ſole per lo tramezzamento della terra , come falſamyente ne vuol dar a diveder Ariſtotele ch'abbia detto Democrito , per avval lare il buon nome di quello, con accagionarlo d'un mani feftisſimo errore . Ma chi non fa quanto egli fiafi apertaméte aggirato Aristotele intorno al luogo, e alla generazion delle stelle comete , e quanto fanciulleſcamente e'ne diviſi ; e già n'è prie troppo a ciaſcun manifefta la verità , avendone sì ben fa vellato il noſtro Ipparco ( che tal meritamente dal Gaſſer di vien chiamato Ticone ) e l'ingegnofisſimo Chepleri, e cotant'altri moderni Aſtronomi, e filoſofanti, i quali n’hā così dimentito , e ricreduto Ariſtotele, chenulla più. E che direm noi intorno all'incorruttibiltà,come dicono del Cie lo , intorno alla natura del ſole , e dell'altre ſtelle ? E che direm Del Sig.Lionardo di Capaa 597 direm noi della favoloſa novella della sfera del fuoco? Ne. mi farò ora a voler dir della Terra, la qual ne’libri del Cie lo avendo Ariſtotele poſta ritonda , pure ſpagato , dice ne’ libri delle meteore,ch'ella inverſo Settentrione , alquanto più rilevata , e alta filia . Nedi ciò anche contento , ne’li bri medeſimi delle meteore , come ſe caduto gli foffe della memoria , ciò, che non guari addietro n'avea ſcritto, portas opinione eſſer la terra , non già ritonda ,ma da due lati pia na a guiſa ditamburo ,o di cilindro , o dirottame di colom na : ftando ella , ſon ſue parole , non altrimenti,che tamburo ; perciocchètale è lafigura della terra : equantunque ſi paja ch'eifavelli della terra abitabile , di queſta anche aveans favellato gli antichi filoſofi , i quali egli biaſima travolgen do i lor ſentiméti;mache che ſia di ciò, falfo pariméte ſi è , la terra abitabile efſer a guiſa di tamburo; ondeebbe a di re il Tallo , comechè peripatetico e' fi foffe : Tal che nonſembra l'habitata terra Timpano più ,come affermando inſegna Il gran Maeſtro di color ,chefanno. Ma delle contradizioni, e mutamenti d'Ariſtotele ,i que. li quafi in ogni carta delle ſue opere s’incontrano , lun gofarebbe ora a dire ; le quali così manifeſte , e così ſpeſ fe ne'ſuoi libri ſono , chei inedeſimiſuoi parziali non oſan negarle . E conciosſiecofachè molti famoſi ſcrittori s'ab biano preſo briga di fcoprirgliele , tralaſcerò lo al preſen te di più divifarne . Solamente non vo lafciar di trarne a noſtro concio , cheAriſtotele avvegnachè tutt'altro inoſtrar volefle,filoſofar folea non meno incerto e dubbioſo , che il luo maeſtro Platone , e Socrate ſi aveſſer già fatto ; e feco dochè più in concio gli rendevali ſerviva delle opinioni al trui ; e quelle , e queſte , or abbracciando , or rifiutan do a ſuo talento , non altrimenti che noi nelle varie ſta gioni dell'anno de' noſtri veſtimenti facciamo . E certa mente lo direi co'l dottisſimo Ramo,la filoſofia d'Ariſtotele da quelle vane ciance in fuora , che dir ſi poſſono propia mente ſue , eſfer una confufa meſcolanza de ſentimene ti degli antichi ſoventemente da lui non troppo bene capi 598 Ragionamento Ottavo 1 2 4 . 4 capiti , e malamente ſpiegati; ficome in più luoghi delle ſue opere manifeſtamente fi fcorge. Collecta femel iftafunt, dite l'accennato Ramo, de multis , magnis infinitorum authorum ; & operum vigiliis ; recognita nufquam funt . E piaceſſe pureal Cielo , ch’a’tempi noftridurati pur foſſero imalandati libri di quegli antichivalent'huomini,che più agevolmente ſenza fallo ne ſarebbe creduta cotanta verità, E quinciſi pare , con quanta ragione detto aveſſe l'iſtorico Timeo appo Suida , eſſer Ariſtotele ditardo , ed ottuſo in tendimero: Tίμαι φησιν κατ ' Αριστοτέλες ,είναι αυτονευσχερή,θρα συν , πιοπιτή,αλ' ου σοφισών,όψιμαθή.μισον υπάρχοντας το πολυήμητου ιαπιείον αποκεκλεικόG , και στις πασαν αυλήν , και σκηνήν έμπισηδηκόα . Timeo diſse contr’Ariftotele , efser lui impronto , orgoglioſo , rintuzzato d'intendimēto,eda ciaſcuno odiato: il qual con ſue maladizionifi fe ftrada in tutte le corti , e per ogni ſcena pro verbiava ; che che ſi dica il Cauſabono: il qualpoco, o nul la inteſo di sì fatte faccende dice , in favellando di Timeo , falfifima enim omniaquæcunq; dedivino viro epitimæus ifte nugatuseft. E le inai ſidee dar alcun luogo alle conghiet ture , più balordo , e ſciocco eſſer veramente ſtaro di quel, chc Timco , ed Eliano ancora ne raccontano e ſembra cer tamente Ariſtotele ;perciocchèegli ben vent'anni conſumo nella feuola di Platone,e periſtudio,e ſudor , ch'e'vi logo raffe ,nó potè mai avāzarne più che forſe ſi ſarebbe approfit tato il più minutoícolaretto. E ciò maggiormente ſilaſcia credere dall'aver lui molto ſcioccaméte apprefe alcune sé téze del ſuo maeſtro, e molto ſtorpiatele , e malmenatelei. Ma di ciò forte altrove più agiatamente diremo . E ritor: nando ora a ciò , che propoſto avevamo, cioè a rapportar come ſconciamente Ariſtotele cerca talora di contraſtare , ed abbattere gli altrui veri ſentimenti: maraviglioſo certa mente , e degno aſſai da notarſi e' miſembra qucl, che egli dice del ragnolo : ed è,che avendo già detto in prima De mocrito , che le ſottiliſſime fila , onde ilragnatelo con arti icioſo lavorio teſſer ſuole maraviglioſamente le fuc tele , egli dentro le ſue viſcere le ingenerise per lo fondo le trag ga per quella parte ch'è bello il tacere ;levofli incótanente fuſo 3 4 DelSig.Lionardo di Capoa. 199 ر fuſo Ariſtotele , e opponendoli orgogliolamente a un tan to huomo, diſſe , che Democrito in ciò manifeftamente fal lava , e che le fila forminſi dal ragnatelo per tutte parti del ſuo corpo , a guiſa di corteccia , o di lanugine, chetut ta gli vadano coprendo la buccia ; o non altrimenti che s? avventino le penne dell'Itrice : ου διμύανται δ ' αφιέναι οι αράχναι το αράχνιον , ευθύς γεννώμενον , ουδ' έσωθεν , ως αν περιθωμα , καθάπερ φησί ΔημόκριτGάλ ’ από του σώματG- οίον φλοιόν, ή του βάλον τοίς Dertiv,oi'or ai uspiges : cioè i ragnateli nati appena mādan fuq ri le fila ,non già dalleparti dentro aguiſa di fecce d'anima li, come falfamente immagina Democrito , madalleparti di fuori, aguiſa d'una ſcorza, opur di quegli animali , che ſono gliano, Jaettano i peli, come è l'Iſtrice, Ma quì non ſi può ſenza maraviglia coſiderare la traſcu raggine ,e lentezza de’poco curioſi peripateticisi quali se zabadar puntoalla verità del fatto ,confarne pruova han cosìvergognoſamente ſeguito il parere d’Ariſtotele, laſcia do daparte quello di Democrico ;ilquale tutto il corſo del la ſua vita , che fu affai ben lungo, in far eſperienze avea logorato ; e tanto più degni di biafimo ſi rendono , quanto che l'impreſa non richiedeva cotanto fenno , e avvedimen to , o fatica per venirne a capo : che ben ancora le feminel le delcontado, e imuratori, e gli ſpazzacamini avveder ſe ne poſſuno , allor, che ne’lor piccioli abituri veggono fa re il tombo agl'induſtriofi ragnuoli, per inteſſer le ragne alle moſche. Ma fu egli certaméte cagioned'un sì folle errore l' aver eſli dato intera credenza ad Ariſtotele.E nel vero , chi mai ſoſpettar avrebbe potuto , eſſere ſtato Ariſtotele così fciocco , e ardimentoſo nel ſuo lcrivere , che manifeſtame te aveffe voluto contraddire al divino Democrito ſenza aver lui in prima ſottilmente conſiderata la biſogna, e ſpe rimentata per più d'una pruova co’propi occhj . la ſua ragio ne ; maſſimamente,che a doverne far ſaggio non gli era me ftieri inviar mefli ad Aleſsandro, e farli venir dalla Media, o dall'Ircania, c dalle più rimoſſe contrade dell'Indie nuo ve, e non più conoſciute belve ; che ben poteva egli nella camminata della ſua caſa propia veder ne*cáconi i ragnuoli filare; Coo Ragionamento Ottaud ; filare;pchèvalſe tátol'autorità d'Ariſtotele,che in coſa co tāto manifeſta ſe ne ſarebbe per avvétura ancoroggi ſepol tala verità, avédo ad Ariſtotelecreduto l'Aldovrádi,e cota. ti altri famoſi ſcrittori,ſe la ſperienza nõ aveſſe nõ ha guari moſtro pienamente aver Democrito la ragione, peropera del curiofiflimo Giuſeppe Blancani in prima, e poi di Tom maſo Moufeto : acceptomanu bacillo Araneum quendam :dia ce il Blancani : ex iis , quicirculares telas , quas nonnulli , & quidem aptè labyrinthos appellant, ingenio utique mathe matico contexunt ,fic adii , ut Araneuspro arbitrio ſuper bar cillum liberè inambularet ; dum ipſe interim curiofius illums obfervarem quanam videlicet ex parte filum foras ederet : cum ecce tibiaraneus experienti mibi ultro favensfefe exba culo demiſit, ita tamen ut ex filo fuoin aëre fufpenfus rema neret : cum primum obferuo ipſum inverſum , hoc eſt capice deorſum , ventre ſurſum pendere ; ut autem acutius cerne rem eum opacecuidam rei oppofui , ne pre nimia luce tenuiffi mum aranei filum aciem oculorum effugeret ; quo facto cla riſfimè videbam filum ſeceſſu Aranei prodire . Mamolti ſe coli prima del Blancani avea ciò parimente ravviſato il ſa gaciſſimo Plinio ; mane a Plinio , ne al Blancani volle pre ítar credenza il Vosſio padre : così poco acconcio egli eb be l'intendimento a diviſar delle cole della natura . Ma poichè deʼragnateli facciam parole,non tralaſcerò di conſi derare quanto dietro al partorire di quegli il noſtro Ariſto tele vanamente anco s'aggiri , dicendo partorire i ragnoli cotali vermicelli vivi , e non già le uova , come alcuni im maginano ; ma quanto ciò ſia dalvero lontano , dicalo in miz vece il diligentisſimo Redi; il quale narra, che per tut te diligenze, ch'egli ulate v’aveſſe , non avea mai veder po tuto ne’ragnateli ſe non l'ovare, e dalle lor uova poi nalce . re i piccioli ragnolini ; Ma non meno è da notare ilgravif fimo fallo d'Ariſtotele intorno al Canclo in dicendo efferli ingannati coloro , tra'quali fu Erodoto , che diceano il Ca melo aver più di quattro ginocchjie pur chiaramente ſcor geli, il Camelo, comc Erodoto dicea,aver ſei ginocchji e le cotāto intorno a coinunali e ben conoſciuti aniinali ſcioc chinen DelSig.Lionardo di Capca. 661 ) و : camente Ariftotele travede che dovrem noi credere di que's più rimoſſi alle noſtre contrade , e meno uſati,de quali egli nátrâ cotante ſtrane , e incredibili novelle , e più affai , che me diceffe mai fra Cipolla a que’ſemplicicontadini da Cero taldo ? Narra egli del Lione Ariſtotele, che non abbia mi dolle alcune nell'offa maggiori del ſuo corpo; ma che ſola mente in alcune delle picciole, cioè delle gambe ne abbia, avvegnachè sì ſottili , e poche quelle ſiano , che par,che af fatto eglinon ne aveſſe ; onde egli avviſa poi naſcere l'in vincibil fortezza del Lione. Ma quanto ciò falfo fia , non pure per Ateneo , che forte ne ’ ripiglia , ne ſi fa chiaro ;ma dopo lui ancora più apertamente fu dimoſtrato dal chiarif fimo Borricchio ; il quale aperti due gran lioni in Afnias , reggia di Danimarca ,vide egli avere in molte delle loroof ſa copia grandiſſima di midollc; e prima del Borricchio fu ravviſato in queſta noftra patria in un Lione del Signor D.Tiberio Carrafa , Principe di Biſignano: il quale fu tro vato parimente pieno di midolle ; e quinci apertamente fcorgeſi, quanto a torto ſiano accagionati, e biaſimati da’ critici ſeguaci d'Ariſtotele il noſtro dotiſfimo Stazio ,paver lui poſto in bocca ad Achillo que'verli nec ullis Vberius fatiaffe famem , sedſpiſſa Leonum Viſcera ſemianimefque libens traxiffe medullas: et gran Lodovico Arioſto , quando fa egli, che la maga Melilla affacciandoti nella forma d'Atlante , all'effeminato Ruggicri così dica : Dimidolle già d'Orſi , e di Lioni Ti porſi.io dunque li primi aiimenti; perciocchè dicono non aver midolle i Lioni ; il che an che credendo ad Ariſtotele il Mazzoni , ricorre per difen der l'Arioſto , giuſta il ſuo coſtumein quella ſua infelice di feſa di Dante, a ſottigliezze così vane , e puerili , ch' egli ſteſſo vien aſtretto a chiamarle altrove ſofiſtiche , e cavillo fe : Ma non meno ſciocco è quell'altro crror d'Ariſtotele , diccndo egli aver i Lioni così dure , e falde l'offa , che fre gandoſi inſieme, agevolmente ſe ne tragga il fuoco ; non altri oli 12 ull Do le Gggg 602 Ragionamento Ottavo altrimenti , che avvenir loglia nella pictra focaja . Ma ciò manifeſtamente fperimentoſli falſo in que' menzionatiLio ni d'Afnia , i quali comechè fortis e gagliarde l'offa avelle ro , non però di meno per diligenza , chevi fi adoperaffe , non ſe ne potè trar mai picciolisluna ſcintilla di fuoco ;, fen zachèſe ciò pur foſſe vero ,non ne dovea però cavare Aria ftotele per via d'argomento l'invincibil durezza di cotali offa ; concioſliecofachè anco in fregandoſi due tron molto dure , e pieghevoli canne d'India , o due molliflimc ferole , o altri simili legniaccender ſi foglia il fuoco anzicorpi, che fian talmente duri,che in fregandoſi no li roinpano in qual che parte, non poſſono accender in niuna maniera il fuoco . Dice oltre a ciò Ariſtotele, eſfer l'olla del collo del Lione, comeanche quelle del Lupo non rotte , e partite , ficome tutt'altri animali le hanno , e poi per opera de’nodi con giunte ; ma tutte intere , e diſtefe in ſu lo ſchenale sì fat taméte , che in niun modo ſi poffan piegare; ma in ciò, oltre a Giulio Ceſare dellaScala ritrovollo in fallo ed apertame . te lo convinſe di bugiardo , il Borricchio ; dicendo, per ve duta fermamente di que’Lioni,quorum colla vertebris ſuis, & articulis pulcherrimè diſtincta erant . Finalmente afferma Ariſtotele eller l'orina del Lione di ſconcio , e ſpiacevolisſimo'odore; ondeavvien poi , dice egli, che i cani fiutar fogliono gli alberi, perciocchè il Lio AC, come il cane appoggia una delle coſce al pedal dell'al bero , quando e' vuole ſtallare ; c più appreffo ſoggiugne: e lafcia il Lionegrave , e iníopportabil puzzo negli avan zi de cibi , ch'egli divorar ſuole ; e ciò avvenir Ariſtore Je ſoggiugne dal peſſimofiato , che il Lione fpira; percioc che , come e narra , le interiora oltremodo putono al Lio ne . Coſa , la quale manifeſtamente da a divedere nõ aver mai Ariſtotele alcũ Lione aperto , o teſtè occiſo ,veduto.Ma troppo lúgo ne diverrei, fe tutt'altre novelle d'Ariſtotele in torno alLionerecarlo què voleſli; pchè tacerò acheciò, che: Ariſtotele fognò del Camclo ; immaginado egli ſu'l dolfo di quello ungrá gobbo ;non avvisādo, il Camelo no averlo maggiore deporci,e de'canize che quella eminéza,la quale nel DelSig.Lionardo di Capoa. 603 nel Camelo ſi ſcorge fia formata da'peli ; c ciò , che e' fogaz del Camaleõte,dicédo no averil Camaleõte ſangue , ſe no ſe vicino al cuore; ed eſſerdi carne prive le ſuemaſcello; e'l principio della coda. Ne addurrò per la medeſima ra gione i ſuoi ragionamenti dietro al Coccodrillo alle Aqui le , e ad altri molti animali, che manifeftamente per prud va ora falſiffimi eſſere fi ſcorgono ;e tuttavia da'famoſi ſcrit tori de’tempi noftri ne fon notati; me ſolamente è qucftas ventura del noſtro ſecolo ; imperocchè nc'traſandati tempi ancora v’hebbe degli affennati, e diligenti ſcrittori , i quali de'ſuoi groſi, e infiniti falli intorno alla ſtoria degli animali manifeſtamente Ariſtotele dimentirono ; ed Afinio Pollione, quel famofiffimo, e ſaggio oratore rivale di Mar co Tullio Cicerone , incontro a’lunghi volumi d'Ariſtotele ben diece libri compoſe della natura degli animali ; il qual fe pur egli affatto non era ſenza giudicio, e ſcimunito , ben è da credere , che con chiare, ſalde, e ragionevoli fpcricn že n’aveſſe fgannati, e ricreduti de' grandisſimi crrori prefi in quc'libri per Ariſtotcle : c più veritieramente narrata la natura, o le factezze di corali animalida lui ben conoſciu ti ; ma la rubberia del tempo netolle cotali fatiche. Ebé s'avvide ancheAteneo dell'infinite bugie narrate da Ari ftotele; ond’ebbe a dire ; con qual cura , ö diligenza , potè mai egligiugnere a fapere , che coſa fi facciano i peſci nel ma re , come dormano , e qual ſia il lor vitto ,o qual Proteo , o qual Nereo uſcito fuori del pelago alla riva andò araggua . gliargliene . Come gli porè effer noto lo spazio della vitae dell' Api, e delle Moſche ; ove mai potè vedere un' edere nata da corni d'un cervio ; e dopo aver narrato queſte , e cent'altre novelluzze da ridere , e da tenere a bada la bruz zaglia deʼlettori , dette da Ariſtorele in fu la ſtoria degli animali , riſtucco alla per fine di più annoverarne , trala fcio 1o, dic'egli , di narrar molte coſe,e multe,nelle quali ma nifeftamente lo fpeziale , cioè Ariftotele fi vede avere ſconcia mente delirato . Ma quanto al fatto della ſtoria degli ani mali , Io porto fermislima opinione, non effer vero ciò che narran dilui alcuni , e che buccinavaſigià ( ficome riferiſce Gggg 2 Arc 604 Ragionamento Ottavo . Atenco) nella ſua patria Stagira; cioè , ch'egli avuto aveſſe Ariſtotele dalla liberalità del Magno Aleſſandro , per po refla più acconciamente fornire ottocento talenti , che ſo condo la ragion del dottisſimo Budeo giungono alla ſom ma di quattrocento ottantamila ſcudi de’noftri tempi: e che per una sì glorioſa , e mirabil opera gli foſſer deſtinati , co me narra Plinio :aliquot millia hominum in totius Afic,Gree ciæque tractu parere juffa,omnium ,quos venatus,piſcatuſque slebant ,quibufque vivaria , armenta , piſcine , aviaria in cura erant , ne quid ufquam gentium ignoraretur ab ea quospercontando quinquaginta fermèvolumina de animali bus condidit. E’n queſto parer ini conferma in prima la va rietà degli ſcrittori in narrar queſto fatto ; imperocchè Elia no ſagaciffimo ſcrittore, e raro nell'inveſtigar le greche an tichità , dice , che la ſomma de’danari, non già da Alellar dro , ma da Filippo ad Ariſtotele foſſe ſtata donata . Co fazla quale affatto inverifimil ſi pare ; conciosliecoſachè a Filippo tra per le continue guerre , ch'e' fece in Grecia , e perle grandi impreſe , ch'e' diſegnava contro la poderoſif kima Monarchia Perſiana , gli faceva meſtiere, anzi d'accu mudar danari, che di ſpendergli,e ſcialacquargli in peſchie rejo vivaj , in uccellami , in cacciagioni , o ſomiglianci co fe. Aleſſandro poi ,priina d'incominciar la guerra contro Dario , ad altro certamente dovette badar , ch'a ſomigliã ti ſcacciapenſieri ; fcozachè non avea sì gran dominio daw poter ſeguire ciò,chc Plinio millanta ; manel tempo della guerra, oltrechè la cura dell'armi era valevole a fraſtornar gli ogn'altra impreſa egli di più era allor divenuto si nimi co d'Ariftotele , che per fargli onta, e diſpetto ,mnādò Am baſciadori , e doni a Senocrate ſucceſſor di Platone , e fie ro emulo d'Ariftotele . E dirò ancora , che ſe mai Ariſto tele ebbe parte ne’teſorid Aleffudro , in tutto altro certa mente l'aveffe inveſtico , che in acquiſtar notizia , e contez za delle coſe della natura . Neglimancò agio da farlozim perocchè egli era , come ne da teſtimonianza Tineo :760578 γαςείμαργον, έψαρτυτήν , επ σάμα φερόμενον εν πάσιν: cioè gram paraſito , e divorator delle più ghiotte vivande , ne fi ritene va di DelSig. Lionardo di Capoa gos va difvögliarſi di qualunque cibo. E in oltre non gli mann cò quel pizzicore , per cuii giovani male il loro avere ſpé, dendo , le più fiate miſeramente ne capitano ; e tinto s'in veſchiò nella pania , che per amor venne in furore, e matto ; e come narra Laerzio ,sì fortemente innamoroſli della con cubina d'Ermia , che a leicosì immolò , come a Cerere Eleuſina folean già fare gli Atenieſi ; e per tali cagionia tal ſegno di miſeria pervenne, che alla fine riduſſeli vergo , gnoſamente a tradir la patria a’Macedoni : poi tolſe a fare il foldato ,ove ne meno eſſendoviſi niente avantaggiato, vode le far borrega di ſpeziale; e anche per civanzarſi nonver gognavafi di vender quell'olio, ove in prima bagnandoſi avea depoſto le ſozzure tutte del corpo ; e con fimili ſtiti. chezze s’avvisò di dar compenfo per avventura agli ſcia facquamenti di quella prodigalità , con cui difperfe,e con fumò tutto il paterno retaggio . Io adunque mi fo a cres dere , ch'egli non nai vedefle notomie di morti , non ches di vivi animali ; e che folamente ne ſcriveſſe per udito yes per ciò , che ne’libri degli antichi fconciaméte forſe appre lo n'aveva , o immaginato . Perchèpoi così alla rimpazza ta confonde , é meſcola il tutto , ragionando de' nervi , es delle vene , cheben'a lui fi potrebbe adattare quel verſo di Orazio Delphinum ſylvis appingit,fluctibus apram . Così cgli follemente immagina naſcer i nervi ,e le venej tutte dalcuore ; il qual dice ſolamente eſſer quello , onde il ſenſo , ei movimenti negli animali fi facciano ; ne ad al tro fervire il cervello , fuor folamente , che ad alleggiare, e temperare l'abbondevol caldo del cuore . E ſomiglianti altre balordaggini , e fcipitezze narra : anzi maggiori affaiz in ſomma intorno alla fabbrica , diſpoſizione , ed ufici del le parti del corpo umano tanti,e tanti falli commiſe ,che ben potè dir Ateneo : coſe tali ſcriffe Ariftotele , parlando della ſtoria degli animali , 'che come dice il Comico , daglá ufcempiati ,e pecoroni quaſi a fravaganza ,quaſi a miracoloſ gredoro. E ben fi parc , che Galicno medeſimo foffeſi con lui portato modeftamente , anzi che no, allor che diſſe po + 1 CO Aria 806 Ragionamento Ottavo 1 1 4 co Ariſtotele conotcerti di notomia . E ben’a noftr'huopo di que' ſettanta libri, i quali, ſecondochè Antigono ne ſcriva, Ariſtotele intorno agli animali compoſe , ſolamen te que’pochi ſe ne leggono , che il tempone laſciò ; per ciocchè maggiori cagioni di fallare i ſuoi favorevoli avrebbono; fi enim ,dice ſaggiamente il Borrichio,compen dii peccata numerari vix poffunt, illa operis totius modo ex tarent , effent fortaſſis innumerabilia . E queſte adunque só ic gran pruove dell'ingegno maraviglioſo del divino Ari ftotcle queſte le riuſcite delle tante ſpeſe , del tanto aju to,ch'egli ebbedalla liberalità del grand'Aleſſandro? que Ite le ripoſte notizie, ch'egli acquiſtò dalle tante fatiches da lui durare ? Ma ſenza venir tinto buccinato , fenza tan ti ſoccorſi, e ajuti, o quant'oltre, non dirò Democrito, no dirò Eraſiſtrato ,non dirò Erofilo ,non dirò altri antichi, ma un folo Arveo ne'confini d'un Iſola riſtrerto, o quant'oltre avanzoſli , sì chemeritevolmente , e ne ſtupiſce l'aman ſa pere , e l'amira il preſente ſecolo , el celebrerà il futuro , Ma che direi noi intorno all'altre coſe della natura , cu gencralınére in tutta la filoſofia naturale ? Eglicosì ſciocco , e gocciolonc fu Ariſtotele , che diffidandoſi di parteggiar lo in ogni ſuo fallo,iſuoi medefimi ſeguaci,talor vergogno ſamente l'abbandonarono . E per nulla dir de' Greci ; o d' Avicenna , d’Algazele , e d'altri Arabi filoſofanti,qualno ftro buon peripatetico per Dio fu così teſo, e oſtinato ,che talor da lui apertamente non fi partiſſe ? cper tacer d'altri, ilBeato Alberto , lume della Criſtiana ſapienza , e della venerabile Ordine de'Domenicani , avendo l'opere d'Ari ftotele ſpiegate , niuna delle ſueopinioni approvar volle; anzi così proteftando i ſuoi ſentimenti alla per fin conchiu de: in his nihil dixi ſecundum opinionem meam propriam , fed juxta pofitiones peripateticorum ; & ideo illos laudet , velre prehendat, non me.E quel gran maeſtro in divinità e in peri patetica filoſofia Benedetto Pereira della Compagnia di Giesù , il quale in quel ſuo libro de rerum naturaliums, principiis , dopoaver largamente conſiderati i poco fermi argomenti, c fillogiſmi , con cui le coſe dubbic , e incertes . fievo Del Sig.Lionarda diCapaa. 607 fievolinente egli tratta, cosi:della ſua natural filoſofia dice: doctrinam rerum naturalium , quam nobis fcriptam reliquit Ariſtoteles , fi quis velitbeneſentire , propriè loqui, nous poteft dici abfolutè ,din totum ſcientia ; perciocchè riguar dando alle fondamenta di quella, e ravviſandole ,che falſe, e che dubbie, e malamente con falde, c naturali ragioni raf fermate, ficome il medeſimo Ariſtotele teſtimonia, dicendo eſſer quelle ſolamente dialettiche : ragionevolmente poi e': ne tragge, e conchiude alla fine: quum igitur phyſica Arifto telis fit falfa pars , pars autem topica tantum probabilia .. contineat, non poteft dici abfolutè, & in totum fcientia . Ma acciocchè perciaſcuno ſcorger (ipoffa , quanto inu tile , quanto vana, quáto priva d'ogni falda dottrina egli ſi fia la filofofia d'Ariſtotele , conviene innanzi tratto da più alto principio imprender la cola . Dico adunque , che per due ſtrade ayviar fi foleano coloro, che agognavano alla ſublime altezza della natural filoſofia pervenire ; una , ches quantunque falli , è nondimeno agevole , e piana, echiun que per quella prende il camino , non fida cura veruna di cſaminare, e riandare minutamente le coſe naturali, ma sē . preinai fe ne ſta fu l'univerſalità de'termini , e de' vocaboli, quali a ragionar di tutte apparenze della natura ſenza du rar molta fatica adattar ſi poſſono ; e comechèſembri, che tutto dicano , che tutto ſpianino :impertanto , altro non ſo no veramente eglino,ſalvo che vanillime ciance,fra le qua li non altrimenti che ſi faceffero un tempo , ſe'l ver dice l' Arioſto , que’franceſchi, e faraceni cavalieri nel palagio in cantato d'Atlute aggirar tutto dì veggiamo confuſi gl'in cauti, e poco avveduti, fenza mai venir a capo d'alcuna ve rità ; ma l'altra ſtrada, quanto più erta,ſtraripevole,e ardua, altrettanto nel vero è più nobile , e più gloriofa . Queſtas calcar generofamente li videro i diligenti inveſtigatori del le coſc , ei ſavj interpetridella natura ; i quali diſcorrendo regolatamente , ed offervando con diligenza , guatavano quaſi a ſpiluzzico le coſe naturali. Dopo queſti incomin ciarono a poco a poco ne'tempi ſeguenti gli altri a traviac da queſto diritto ſenticro , ed a tenere la falfa ſtrada ;o che ſe'l 608 Ragionamento Ottavo fe'l faceſſero perdebolezza d'ingegno, o per non durar fiatica,o p vana ambizione di farſi capi più tolto in quel cores rotto modo, che eſſer ſeguaci degli altri nella vera, c legit tima maniera di filoſofare . E fu tanta certamente loro ſchiera , e sì copioſa, che ben pochi ne rimaſero nell' arin go del buono filoſofare ; di cui potrebbe ben dirdi Pochi fon , perchè rara è vera gloria : i quali per quelche già da quelle ſcarle memorie , che noi rabbiamo comprender fi poffa, furono Anafſagora,Empe docle , Leucippo , cd altri pochi, Che colle dita annoverar fi ponno; perchè ragionevolmente ebbe a dire quel ſatirico : Rari philofophi: numerus vix efttotidem ,quod Thebarum porta , vel divitis oftia Nili. Ma ſopra tutti l'incomparabile Democrito adeguando il tutto col ſuo vaftiliſimo ingegno (ini giova dirlo colle pa role di Petronio Arbitro ) etatem inter experimenta con fumpfit ; e con principj veramente naturali, cioè a dir ſenli bili ,così maraviglioſamente ragionò di ciaſcuna coświ ch’alla natura appartener fi poffe , che a gran ragione nel vero Seneca dopo averlo detto antiquorum omnium fubtilif fimum ,antiſtitem literarum.ſapientiæ caput: a chiamar l'ebbe lingua della natura ; perchè non guari dopo venendo Pla tone, e diffidandoſi di poterlo col ſuo ingegno ragguaglia re, per uggia , e per invidia volle rabbioſamente dareallo fiamme tutte le divine opere di lui ; poſe in non calere co tal vero , e lodevol modo diſpecular diritcamente le coſe della natura, e con univerſali , c apparenti ragioni avvilup pò il cutto . La qual maniera difiloſofare, concioffiecofa chè agevol foffe , fu poi ſeguita,e abbracciata da ciaſcuno, rimanendo quaſi morta,e ſpenta la natural filoſofia ; ſe non ſe dopo la morte d'Ariſtotele levoſſi ſuſo il ſaggio Epi curo, ecol ſuo avvedutiſſimo ingegno ripreſe, e riſtorò la morta filoſofia , e la fece di nuovo fiorir ne' ſuoi doctiſſimi orti , ove rinaſcendo viffe , e morio . Perchè non ebbe il torto per avventura Dionigi d'Alicarnaſſo in chiamando il filoſofofar di quei tempi un vano berlingare , e cinguettar dives Del Sig.Lionardodi Capoa. 609 di vegliardi ozioſi , e ſcioperati , a ' giovani ignoranți. E Cleante ancora faggiamente ebbe a dire , che gli antichi aveſſero nelle coſe filoſofato ,ei moderni ſolamente in pa role . Qualdunquefia maraviglia , ſe così mal concia , malmenata la filoſofia , non potea vantaggiarli nella Grecia . Perchè ragionevolmente diſſe quell'Egeziaco San cerdote nel Timeo, chei Greci eran ſempre giovaniſlimi,e fanciulli: emlwes del muides is ' , gépur di enlew oux iso , certè ha bent, dice Franceſco Baccone , id quod puerorum eft , ut ad garriendum prompti fint; generare autem nonpoffint. Così perduta , e ſpenta la buona filoſofia , poco a capi tal tenendoſi i libri diquella , nc punto per huom riſerban doſi , o traſcrivendoſi, avvennc, che infra breve ſpazio di tempo con comune ſcoſcio delle buone lettere, affatto fi perderono ; rimanendo ſolamente que’libri de' yani çiarla tori, che al guaſto , e corrotto ſecolo erano in pregio ; ne? quali poteſe ben paſcerfi ,e nutricar l'ambizioſa vanità de Greci. Ea tanta caduta della buona filoſofia s'aggiunſes poi l'allagamento de'Barbari nell' Imperio Romano, nel quale andandone a ruba ogni coſa, que'pochi libri , che pur v'erano rimaſi, fi perderonſi,; e come dice il teſtè rap porcaco Bacconc , doctrina humana velut naufragium per . pefa eft; & philofophia Ariftotelis , o Platonis tanquam , tabula ex materia leviori , minus ſolida per fluctus tem porum fervatæ ſunt. I qualilibri dapoi imbolati, lo non ſo come , dagli Arabi ſi tramandarono inſiemecolla ſerya, e apparente filoſofia, come altra volta fu detto alle noſtre contrade ; e queſta è quella filoſofia ,che infino a' dì noftri con tanta loda è ſtata ſempremai ſeguita , e tuttavia nelle Icuole comunemente s'inſegna : e a cui dicevam , che già poneſſe le prime fondamenta Platone; il quale avvegna chè ravviſaſle il yero , e diritto modo difiloſofare: percioc chè difficil molto , e malagevole gli ſembrava a ſeguirlo , lalciofſi talora anch'egli portare alla corrente de' ſofiſmi Ma non però di meno non laſciò talvolta il vero modo di filoſofare ; comeagevolmente egli ravviſar fi puote ne'ſuoi Dialoghi , e malimamente in quello , ch'egli intitola il Ti Hhhh . . meo, 610 Ragionamento Ottavo meo , o della natura . Perchè ben ſi pare , ch'egli ſaggia mente foſſeli attentato di gir anche per quel medeſimo sé tiero , per cui già Democrito , e gli altri primipadri, e ve rije ſovrani maeſtri della filoſofia avviatiſi erano ;ma come sébra ad Ariſtotele, no ſegui egli troppo felicemente l'im preſo aringo, e di gran lunga a Democrito addietro reſtoffi. Πλάτων μεν , fono parole d'Ariftotele, περί γενέσεως έσκέψατο,28 φθοράς όπως υπάρχει τοϊς πάγμαστεκαι σερί γενέσεως ού πάσης , αλλα της ή στοιχείων πώςδε σάρκες, ή όσα και η άλων και των τοιούτων , ουδεν·έτι , ουδε . περι αλοιώσεως, ουδε περί αυξήσεως, ένα τρόπον υπάρχει τους πράγμα στν · όλο- δε παρα τα έπιπολής περί ουδενός ουδείς επίσησεν , έξω Δημα reíte ;cioè Platone cöfiderò la fula generazione e'l corrõpimēta delle coſe;ne già di tutte,ma degli elemêtifolamēte; trabaſcia doariguardare , come formifla carne , el'offa, e gli altrifo miglianti corpi; ne demutamenti , o come s'accreſcano,o pig giorino cotai corpi feceparola alcuna. Finalmëte nonfu niuno , fe non ſe alla rimpazzata ,e lentaměte, che ragionaſſe mai de' mutamēti delle coſe,da Democrito in fuora .Ecomechè que Ito riprédiméto fatto da Ariſtotele al ſuo maeſtro egli sébrë all'intendentiſſimo Patrizio un manifeſto , e falfſſimo appo ſtamento , e maladizione dell'invidia dilui; pur non ha tut to il corto Ariſtotele in così fattamente ragionare ; imper ciocchè quantūque Platone in molti luoghi delle ſue ope re baſtantemento favellato aveſſe della generazion delle pictre , de'venti, delle gragnuole , de’nuvoli,del criſtallo , della neve , della rugiada ,delvino, dell'olio , e d'altri fi ghi: e ſomigliantemente filoſofato de ſapori, degli odoris e de'colori delle coſe , e detto altresì de’mutamenti e degli accreſcimenti di quelle ; e quantunque anche ſpezial mé. zione aveſſe fatta della carne , e dell’oſsa , ecome quelles s'ingenerino; pur no così addētro innoltroſi ne'ſuoi ragio namenti,che toccato aveſse diſtintamente, come con que? ſuoi quattro corpi fi doveſſono mai formar cotante coſe ; perchèparve,ch'egliaveſse cominciato a filoſofar colmo do vero , che ſi conveniva ; ma poifmagato a mezzo corſo foſſe ricoverato all'apparente . E queſto è quel , che vuole dir di lui Ariſtotele, biafimatone a torto dal Patrizio nella dife . DASig. Lionardo di Capoa OIT difeſa del ſuo Platone . Ma fu egli anche Platone traſcu rato a ſpiegar comeſi doveſſero partire, o accozzar que fuoi primi corpi , pereffer valevoli a produrre negli organi de' noftriſentimenti gli odori , e i ſapori, e i colori delle coſe ; perchè ragionevolmente ſoggiugne Ariſtotele , niun maeſtro in filoſofia , fuor ſolamente Democrito , aver ad dentro ſpiato fino agli ultimi fondi i principj delle coſe . E ciò agevolmente fi può comprendere dallemedeſime paro le di Platone; il qual così nel ſuo Timeo dice: To dº osoīvowle φησιν ώδε γίώ διατρήσας καθαρgν , και λείαν ανεφύρgσε, και έδευσε μυε λώ , και μετα τούτη άς πύρ αυτο εν τίθησι μετ' εκείνο δε εις ύδωρ βάλει και πα Αιν δε εις σύρ,αύθις τι εις ύδωρ"μεταφέρον δ ' ούτως πολάκις εις εκάτερονυπ ' se je Dowăsnutev dzepyáo mo. L'offo vēne formato in queſta guiſa; minuzzădo in prima la terra pura , é netta,meſcolalla , e inu midilla colle midolla ;quindila poſe nel fuoco;quindiattuffolla nell'acqua;quindidinuovo la poſe nel fuoco;e cosìriponendola molte frate or nel fuoco , or nell'acqua , sì, e tanto fece , che dell'acqua, e del fuocoquello alla per fin venne a ingene. rarfi . Or chi domine , non direbbe con Ariſtotele , eſſer que. Ito filoſofare alla groſſa colle fole parole , ſenza veder più in là , che la ſola buccia delle coſe perciocchè ſe la terra , come vuol Platone , era pura , e ſchietta , non era , meſtier certamente di sbriciarla ; che ſe i cubi, de' quali, ſecondo lui, ella è formata , così ammaſſati, e riſtretti ſta vano , che ſegnale alcun di partiinento non avevano , già quelli veritieramente non eran mica da dir cubi ; e ſeguen temcntc non era dadir terra quella , ma una cotal maſſa , che tritata , e minuzzata così ſe ne poteva formar terra , come acqua, comeanche qualunque altra coſa del mondo, ſecondo le particelle ,in cui partir ſi poteva . Perchè me ftier certamente non era d'accattare altronde fuoco , o ac qua per lavorar quaſi in fucina , temperando l'oſſo,ſe tutto abbondevolmente in ſe aveva . E ſe i cubi eran partiti , e affacciati nella lor debita figura , che coſa mai potea cosi divili, e sbriciolati tenergli non il vuoto,che perlui coſta - tcinente ſi niega ; non altra diſcorrente ſoſtanza , e irrego Hhla h 2 lar un 0121 Ragionamento Ottavo Jarmente figurata ; imperocchè ne diquattro foli corpiscos meegli vuole verrebbono a comporſi le coſe cutte del mo . do ; ne la terra pura farebbe, e da niun'altra coſa non tra meſtata . O forſe i già detti cubi poteva il ſolo moto tener diviſi ? nia dovendo ciaſcun di loromuoverſi,ed eſſer d'ogni banda ſceverato oltre molte altre inconvenienze , n'occor re queſta, che non già un corpo ſaldo , ficomeè la terra : main diſcorrente verrebbero a comporre. E lomigliāte anchea queſta maniera di filoſofare fu quel diviſamento del medeſimo Placone intorno alla generazion . della carne , e de' nervi;ch'egli narra nel medeſimo Dialo go del Timeo ; il qualccrtamente non è altro , che una va ga , e ben compoſta diceria ; che con vane parole allettan do i ſemplici , e poco intendenti delle coſe naturali , fa, ch egli faccia ritratto di gran filoſofante Al vulgo ignaro, & a l'inferme menti. Perchè non haegli il torto Ariftotele in dir ,che il ſuo mae ftro non trapalli più , che la prima buccia delle coſe in filo fofando , e nons'immerga troppo ne'naſcondigli più ſco noſciuti della natura . Di più , dice Ariftotele , e libera mente confeffa , che ſciogliere i corpi fino alla lor ſuperfi cie , come fa Placone , ſia coſa affatto ſconvenevole ; per ciocchè dalle ſuperficie non ſi poffono generar qualità , altra cofa , ſe non folamente corpi faldi ; il chepuò ben far Democrito co’fuoi acomi. E non molto dopo ſoggiugne : Democrito fembra aver certamente ſpecolata con propia, e convenevol ragione la natura delle coſe . E comechè in parte ingannaſſefi Ariſtotele in ciò dicendo ; perciocchè bé fi ſpiega nelTimeo , come talora il caldo s'ingeneri ſenza ricorrere alla ſuperficie : non però di meno ha egli per al tro non poca ragione in biaſimarne il ſuo maeſtro, ſembraa do a ciaſcun ' ch’abbia ſenno , ſoverchio alfai , e ſconvene vole quello ſcioglimento de corpiinfino alla ſuperficie . E noi , le il tempo ce'l concedeffe, ne ragioneremmo per av, ventura più alfai , e forſe altrove ne diremo ; ma non è al preſente da traſandar , che ſei quattro corpi di Platone poſſono più ſottilmente ſtricolarli , e minuzzarſi in altre fi gure 1 1 Del Sig. LionardodiCapoa 013 1 ' 2 gure', come ſi pare,ch'egli in qualche fuogo de'ſuoi ſcritti accennar voglia ; vano certamente , e foverchio è a dire , che que'cotali corpicciuoli colle lor figure , e facce dean cominciamento alle coſe tutte del mondo ; e non più tolto un ſolo corpo , il qual poi in molti corpicciuoli di moka te , e varie figure partito foſſe . Ma fe pur vogliams contendere , che ne ftritolar , ne partire in modo niu no que' corpi li poſſano , lo .non fo come quattro cor pi ſolamente a formar tante , e tante diverſe coſe , che noi ci veggiamo , baſtanti pur ſiano . Ne meno fo lo certa mente comprendere , come poffan que'quattro corpi cial cun luogo affatto ingombrare. Il che anche avvisò Ariſto tele; comechè egli troppo fanciullefcamente in ciò fallaffe, portando opinione , che le piramidi foffer valevoli a riem piere ciaſcuno ſpazio ; nel qual manifefto errore ſmuccian do poi incorfero dietro a luituttiſuoi interpetri, e feguaci; e ne fur forte biaſimati dal P. Giuſeppe Blancani , e prima di lui da Gio: Battiſta de' Benedetti e dall'impareggiabil Geometra Franceſco Maurolico. Ma in cotanti fdruccioli, e malagevolezze abbattendo fi l'avvedutisſimo Platone , riſtando in fu le primeormes del ſuo ſpeculare,non ebbe ardimento d'innoltrarſi d'avā . taggio ne'maraviglioſi ſegreti della natura;e quaſi nocchier rotto per tempeſta in mare, che lentamente vada ridendo i più ſicuri lidi , non s'arriſchio d'ingaggiarſimaggiormen te nell'aſprezze del filoſofare , e folo andò pian piano, e có ritegno palpando le prime facce delle coſe . Ne ciò ba Stando a renderlo ſicuro da' pericoli , non volendo ne ans che affermare alcuna , comechè leggeriffima cofa , feces quaſi in iſcena comparir perſonaggi a favellar diverfaméter ciaſcú ſecodo il ſuo ſentiméto , delle coſe del mondo,e for mò Dialoghi,e ragionamenti in nome altrui per ceſſare i m ordimenti delle varie ſcuole della filoſofia . Ma lo ſcal trito , e fagace Ariſtotele all' apparence filoſofia con ogni sforzo , e con tutto lo ſtudio del ſuo ingegno riyol gendoſi , cercò artificioſamente la coſa naſcondere : e tanto operò , che venne in grado di primo filoſofante del mon 614 Ragionamento Ottauo mondo appreſſo il vulgo;ma qualeſi foffe il ſuoartificio lo brevemente vi dimoſtrerò . Compofe egli quel libro cotão to pregiato da' ſuoiparziali, nel quale delle ſole cores aſtratte impreſe a favellare : e ad eſemplo degli antichi, or di Teologia, or di ſapienza , or diprima filoſofia altiera mente chiamollo ; i quali titoli fur tutti poi da' ſuoi inter petri nel ſolo titolo della Metafiſica cambiati . Intorno al qual libro ſarebbe molto da dire ;ma chi pur n'è vago di qualche contezza , vegga Franceſco Patrizio, e MarioNi zolio , e Pietro Ramo ilquale con l'uſata ſua libertà ,e di ligenza eſaminandolo , trovollo alla fine non eſſer altro , che la medeſima loica d'Ariſtotele , con diverſe parole , e nuovo ordine travolta : e una ſconcia , emalcompoſta me ſcolanza , e guazzabuglio di ſoli vocaboli; perchè manifc ftamente avvedutofene Nicolò da Damaſco , il cui faggio intendimento iguale a quel di Teofraſto , o d'Ariſtotele medeſimo fureputato , comechèegli de'parteggianti d'A riſtotele , c Peripatetico ſi foffe: pur giudicollo inucile af fatto alconoſcimento delle coſe ; e de'medeſimi ſenti menti fu anche Plutarco . Ma che che di ciò ſia , immagi nò Ariſtotele aver baſtantemente con cotal libro dato a divedere , ch'egli aveſſe diſtintainente diviſato delle coſe univerſali, e ſtratte , per non doverle poi meſcolar colle fi fiche , come avean fatto gli antichi,i quali perciò ne furda lui gravemente biaſimati,e ripreſi: comechè a torto, fico mei medeſimi ſuoi peripatetici confeſſano . Ma poco cer tamente in ciò approdogli la ſua ſcalterita avvedutezza ; perciocchè non è huomo tanto quanto intendente delle coſe del mondo,ch'abbattendoſi ne' libri della ſua natural filoſofia non s'avviſi tantoſto a’primi foglieffer quella tutta apparente , e ideale , ne ſerbare in fe coſa alcuna di ſaldo. Pur piacque oltremodo a no pochi sì fatto modo di ſchera zar filoſofando, parendo egli vago aſsai , e ingegnoſoallas ſembraglia de'giovani ; i quali s'avviſavano concotali va ni , e folli diviſamenti, e millanterie già pienamente ſaper tutto , quando per avventura non ſapevan nulla.E la ſcioc ca torma del popolo vi pur correva , maravigliando ſom mamen Del Sig.LionardodiCapoa. 818 mamente di cotanti termini ſtratti , e fantaſtichi, comes nuovi , e non ancor comprehi dagli ſcolari di baſſo inten dimento , e da dover richieder più profonda , e ſottil dot trina , checoloro non aveano ; Semper enimſtolidi magis admirantur, amantq ; Inverfis qua fub verbis latitantia cernunt. E per maggiormente farci veder la luna, come ſuoldir fi, nel pozzo, cominciò eglimalizioſamente a voler ragio nare di coſe naturali; e in ogni ſuo capo imprende a dir có qualche menoma faldezza di vera filoſofia; ma toſto ricor re agli uſati fofifmi,non iſpiegando mai nulla di vero ,ne manifeſtando qual foffe la natura delle coſe, di cui egli fa vella ; ne come di nuovo naſcano , o yengan meno , ne co me patiſcano, o operino nel mondo . Al che riguardando infra gli altri Plutarco, comechè egli non fofse cotanto ſao gace, pur delle vane ciace di lui avveduto; l'allogò di gran lunga dietro al divino Democritose co-maggior ragione in vero di quella pla qualeAriſtotele al fuo maeſtro Platone medeſimaméte Democrito átepofto avea. Ne in ciò cota to teneri , .e parzionali d'Ariſtotele i moderni filoſofanti fono , che reſi talvolta avveduri de'ſuoi trafandamentisan che i pià cari ſeguaci di lui, forte non l'accagionino: e infra gli altri quell'avvedutisſimo fuo Chioſatore , il Padre Ni colò Cabbei; il quale,comechè peripatetico di gran rino meanpur volle apertamétemanifeſtarlo in chiosådo le me teore del ſuomaeſtro.Quia iſte Philofophus ( dice ) maximè pollebat ingenio metaphyfico , edapprimè ei arridebatphilofo pbariper metapbyficasabſtractiones : ubi adres phyſicas de venitur , quia ad hos ingenio fuo nonferebatur, ingenii vires nonacuit ; ed in un altro luogo : Ariſtoteles magismetaphy ficis obſervationibus affuetus , quam phyficis obfervatur. E finalmente egli conchiude : fed fenties in rebusphyſicis Ari Stotelem non potuiſje metamſapientiæ attingere. Enelvero chi ſarà maicolui , che riſtucco forte , e faſtie dito delle ſue vane dicerie no'l biaſimi , e rimproveri, rin venendo in lui più , e maggiori tacce affai', che non vi rava viſa il Cabbei? Egli primieramente togliendo ad imitazio ne d'O 616 Ragionamento Ottavo ned'Ocello Lucano(ſe pur egli è l'autore di quel libro ,che gli viene attribuito ) e diPlatone, oſia di Timeo, a fabbri. car la grandiſſima maſſa dell’Vniverſo tutta fantaſtica, tut ta metafiſica , e apparente , prele per principi delle coſe sé. fibili , e vere , terminitutticonfuli, e generali , e da' noftri sétiméti affatto rimoſſi;del che forteegli è da accagionare ; mallimamente , ch'egli medeſimo avvisò pur una fiata , do ver delle coſe ſenſibili effer ſenſibili parimente i principj ; e ciò cotanto egli giudicò vero , che preſene ſconciamente a carminare gli antichifiloſofapti. Egli ſono i principi , onde Ariſtocele vuole , che forma te le coſe tutte ſenſibili ſi foſſero , così larghi, e lontani, che ben yi ſi poſſono agevolmente ricoverare curci que'fiſici principi , che varic, e diverſe ſchiere de'filoſofanti,così an tiche, comemoderne alle coſe naturali impongono . E ciò ben ne diedea conoſcere il famoſo ChenelmoDigbinobi lillimo filoſofante del noſtro ſecolo , allor che con lodevo le artificio volendo prender gli oſtinati ; e provani peripa terici, fece ſembiante d'effer anch'cgli cocale . Il qual arti ficio dopo il Digbi , molci valenc'huomini d'uſare anche ſi Audiarono . Ma laſciando ciò al preſente ſtare , non iſpie gando mai Ariſtotele ciò , che in fiſica ſia quello , a cuive ramente poſſa adattarſi quella generale , e confuſa ſua difi zione della materia , e della forma:nulla certamente ad in ſegnare e' viene . E nel vero , chemonta per Dio a ſapere, che ciò che di nuovo in queſto vaſto teatro del mondo ap pariſce , e s'ingenera, e li forma, non era in prima tale, po tendo eſservi ? ed ecco la gran maraviglia , naſcoſa in prima a tutt'altri antichi filoſofanti, che egli con tante bel faggini millantando innalza , chiamandola privazione; più ragionevolinente forſe da Platone detta occaſione, e non principio delle coſe . Ma che direm noi degli altri due non men ridevoli principi delle coſe , cioè a dir materia , e forma , ſopra le quali fondamenta egli la generazion tutta dell'univerſo va fabbricando ? Poveri filoſofanti antichi; voi per iftudio , e ſudori non ſapeſte trovar diviſamenti sì bclli ; Ariſtotele ſolo ſeppela nateria delle coſe cſser po 1 tel  tenza , overo in potenza a divenir tali coſe , e la forma alla per fineeſſer un cotal-atto , che dandoalla materia perfe zione , la mandi avanti , e la faccia eſfer propiamente tale . E queſto è quel, che con tanti riboboli , e aggiramenti , e lunghe dicerie eglide’principj delle coſe ragiona . Ma per Dio , ſe non fi fa in che conſiſta la fiſica natura della mate ria , cioè a dire iti cui cada cal potenza a divenir quefta , o quell'altra coſa ., come potrà mai ſaperſi poi la fiſica natura della forma , e ciò che abbia afarſi , acciocchè la materia imprender poffa o queſta , o quell'altra diterminata coro per informarſi ? e ſe queſte pur non ſi fanno , comepotrā . mai ſaperſi le qualità , l'opere , e le paſſioni delle coſe., come, e che, c perchè l'operazioni ſortiſcano ? Se a giovane , il quale apparar voleſſe a fabbricar glio riuoli ,dopo molte , e molte vaneciance e' diceffe per fine il maeſtro : attendi figlio , e nota ben tutte mie parole , ch' Jo brievemente ora intendo di manifeftarti il maraviglioſo modo da compor gli oriuoli : egli primieramente convienu ſapere., che l'oriuolo fabbricaſ d'una cotal coſa , che non è mica già oriuolo ; perchè ſe oriuolo ella già foſse , non potrebbe divenir oriuolo ;ma agevolmente ella può venir oriuolo per.coſa acconcia a farla co effetto coral divenire: certamente ,che udédo cotali novelle lo ſcolare, e avveden doſi d'eſler uccellato , Goaffe direbbe, maeſtro voi dite bene; ina quel che lo volea ſapere Io ,era qual coſa è quel 12 cotal materia , che voi dite non eſser mica oriuolo, ina agevole a venir tale ; e quali ſono quelle coſe , per le qua lidivien tale ; ma non ritraendone alla fin riſpoſta , fe pri mieramente di faſso, o di legno ,o di ferro,od'altro l'oriuol fi debba comporre ; e poi con quai mezzi , e lavorj ſi fac ciz, ſchernito , ed ingannato il ' laſcerebbe colla ſua mala ventura . Or così appunto ſcherniſce , e beffil Ariſtotcle . i luoi peripatetici. Ma Eudemo un de’più cari, e più famoſi ſcolari d'Aristotele , ponendo in non cale l'autorità del maeſtro , çome in altre coſe già fatto aveva , diſse la materia delle natura li coſe eſser vero , c propiamente corpo ; la qual ſentenzas fu poifermamenteabbracciata da quel famoſo , e ſortii pe Iiii 018 Ragionamento Ottavo 1 ripatetico noſtro ItalianoAndrea Ceſalpini.Ma comechè il Cefalpini in ciò moltoſi ſtudiaſſe , pur non ritrovandolive Itigio alcuno dell'opere d'Eudemo, ove appiccar fi potef fe , reſtò di farſi più avanti , e l'impreſa in ſu'l buono abbadono . Nemenopotè ſeguirſi il diviſo d'Averroe intorno a cotal biſogna ; il qual diſſe doverſi aſſegnare alla materia , comeaccidentile dimenſioniincerte, e indeterminate; per chè non potendoſi a niun partito ſcufare ciò , che dice Ariſtotele intorno alla materia ', ne men riparando in par te gli errori di lui , con iſtorcere , e piegar le fue parole in altri , e diverſi ſentimenti, ragionevolmente il bialima , e'l proverbia il dottiſſimo greco Padre S. Baſilio Magno,dice do : ſe la materia d'Ariſtotele eſsendo incorporea non è , ne: che, ne qualc , ne quanto, ſarà certamente ella , come S .. Giuſtino parimente conchiudc, unacoſa.finta : cioè a dire: una fantaſima, una chimera. Ma avviſando pure Ariſtotele , che in sì fatta maniera fia. fofofandode primiprincipjdelle coſe; perdeva affatto il no me di natural filoſofante, ricorre finalmente', ma troppo tardi a coſe ſenſibili ; e pone egli i quattro volgari elemen ti , come ſecondi principj decorpidiquaggiù; ma non ave do ſpiegata la fiſica natura della materia, e della forma,on de fecondo lui compoſtivengono gli elementi, no può ſpie gare ( come avea fatto in prima Empedoclc , Tinco;e Plizo tone, componendogli dipicciolillimi corpicciuoli) natu ralmente procedendo , la vera eſſenza diquelli ; perchè gli va diſegnando', e deſcrivendo colle lor qualità ; maegli poi , come a natural filoſofo conveniva fare , le nature del le qualità non infegna; anzinepure dar briga ſi vuole d'in veſtigarle ; ed appenadeſcrive , rozzamente narrando al cunipochi loro effetti aperti , e manifeſtiad ognuno ; ed'in quegli anche talora sì ſconciamente e'fallar ſuole', che nul fa più ; ficomeallor , che francamente egli afferma, che'l freddo uniſca tutte le coſe diqualunque genere elle ſi lie no ; e pur dovea egli avviſare , che'l freddo ralora coniſce. mare il movimento all' acqua , chenon le facea calare a fondo , ſepara quelle coſe , che non convengono nella gra. vità, Del Sig.Lionardo.di Capoa : 619 vità , e.che di diverſo genere ſono . Così parimente erra Ariſtotele allor chedice , il caldo fceverar le coſe , che di diverſo genere ſono,, da quelle , che convengono inſieme nel genere medeſiino ; imperocchè uficio del fuoco ſia col fuo rapidiſſimomovimento di ſceverar l'unedall'altre, cut te le coſe ,, che ſiano di qualunque genere , comechè talo ra ( il che ingannòAriſtotele )ritrovandoſi rimoſſo il cal do , non vieri, che le coſe più gravi calando più giù ſi ſepa rino dalle men gravi . Manon meno fallar {i vede Ariſto tele allor che egli imprendendo a narrar la natura dell'us mido , definiſce contro a'ſuoimedeſiınidiviſamenti la ſpe zie colla definizione del genere; dicendo : ma l'umido è quello , che dileggieri ricevendol'altrui termini, non può in ſe ſteſso.contenerſi: uygóv dè , tè dóessevoixdin õp.com evőeisov or. E no ha dubbio , che una coral definizione non avvegua al di fcorrente , di cuiegli è ſpezie l'umido.; poichè il diſcorren te altro non ſignifica , ſe non ſe quel.corpo, il quale diſcor re , s'inſinua , e penetra agevolmente , compreſo cede's e non fa reſiſtenza ; perchè non eſſendo da ſe terminato prende dileggieril'altrui termine . Ma l'umido , oltre a queſto s'avviticchia in sì fatta guiſa a ' corpi ſaldi,che:ſi ré de ſenſibile ; laonde altro.nonè , ſe non che una ſpecie di diſcorrente . E fe l'umido pure è tale , quale il ci.deſcrive Ariſtotele, certamente egli non dovrebbeſi poſcia dirſi fec , .co.il fuoco.con Ariſtotele , maumido; anzi umidiflimo con Bernardino Teleſio , ed Antonio Perſio converrebbe chia marſi . Ne vale a pro d'Ariſtotele ciò che dice Giacomo Zabarella , l'umido convenire in qualche guiſa al fuoco , no già per ſe , eſſendo il fuoco ſecco per fe, ma per accidente : cioè ricevere agevolméte il fuoco il termine altrui,non già per la ſiccità : non convenendo il ciò fare a tutti i corpi fece chi : ma per la tenuità delle parti di quello ; anzi contra ſtando la ficcità del fuoco a quel corpo, che terminar lo yo leſſe , avvien , ch'egli non riceva così agevolmente, come i corpi umidi far fogliono , il termine altrui . Ma ſc noi il contrario ſperimentiamo di ciò , che dice il Zabarella , adattandoſi aſſai più dell'acqua , cdell'aere il Iiii fuo ز 2 620) Ragionamento Ottavo fuoco a quel termine , che da altri corpi preſcritto'gli vie ne : oltre ad ogn'altro elemento umido dovrà dirſi il fuoco; che non per altro nel vero Ariſtotele, e i ſuoi ſeguaci affer inano cfler aſſai più dell'acqua , e fominaméte umida l'aria , perchè ſe la ſomma umidità conviene al fuoco , egli non aurà certamente parte niuna in quello la ſiccità ; laonde ne anche per accidente il fuoco potrà ſecco mai dirſi. Enel vero la narrazione del fecco da Ariſtotele rapportata,in cui egli in vece del ſecco par che deſcriva il corpo ſaldo, in di cendo , il ſecco eſſer quello , che ſi contiene agevolmente da ſe ſteffo , c malagevolmente prende l'altrui termine : Engordà , no evóerson pèr cireiw opw , duodessor dè , egli non può con venire in modo veruno al fuoco . Or come adunque il Za barella oſa affermare , che'l fuoco fia per ſe ſecco ? Oltre a ciò,ſe'l fuoco è per ſe tenue , ſarà anche per fe umido i e ſe il tenue, per quel, che ne dica Ariſtotele ,è ſpecie dell'u mido , e’l fuoco non ſolamente da per ſe è tenue , ma nella tenuità l'aria , non che gli altri elementi,vince d'aſſai; con verrà ſenza fallo confeſſare giuſta la dottrina d'Ariſtotele , per fe ,e vie più d'ogn'altro elemento eſſer umido il fuoco . Ma vorrei faper quì da Giacomo Zabarella , e da Ar cangeloMercenario , che volle darſi ſpezialmente una si fatta briga: onde , e come potraſli giugnere mai a ſaperes che'l fuoco fia ſecco forſe daglieffetti ? ma ond'è, che il folc , per tacer d'altri, giuſta il ſentimento d'Ariſtotele non è altrimenti caldo , comechè produca calore ? ſenzachè il fuoco, come afferma Ariſtotele medeſimo,ſovente ingenc rar ſuole l'umidità ; come nel ghiaccio , ne'metalli , einu altre coſe molte ſcorger e' li puote; e ſe ogni qualunque corpo , o pure i più di eſſi ,fi poſſono fondere in vetro , chi ardirà di dire , che'l fuoco non ſia valevole a inge nerar l'umidità > E fe mai tutte le coſe , o la maggior parte di eſſe in vetro per ſua opera fi cambiaffcro , non di rebbe ciaſcheduno , che'l fuoco le rendeſſe umide primadi fermarle in vetro ? oltre a ciò allora quando l'acqua, ſecon, do Ariſtotele immagina , vien dal fuoco cambiata in aria, certamente quella maggior umidi à , per cui aria l'acqua divie Del Sig.Lionardo di Capoa. 621 diviene, in lei s'ingenera dal fuoco . Ma forſe ſarà ſecco il fuoco , perchè, come fcioccamente ſi da egli ad intendere un barbaro autore, ſi ſente da noi ſecco ? Ma dal noſtro sé. ſo apertamente ſi ſcorge, che il fuoco ha tutte le propietà agli umidicorpi da Ariſtotele attribuito. Ma forſe per fi nirla argomentar fi potrà la ſiccità del fuoco dal ſuo calo re ; ma eſſendo propio del calore , comc Ariſtotele dice , il rarificare , certamente da ciò umido più coſto , che fecco dovrebbe il fuoco argomentarfi. Dice altri , Ariſtotele non l'umido , ma il diſcorrente aver definito ; e che fi legge umido nelle fue opere , per colpa di coloro che dallaGreca nella Latina favella trasla tarono i ſuoi libri ; poichè eſſendoſi valuto e’della parola sygov nella menzionata definizione , che appo iGreci ora ſignificar vuole qualſifia corpo difcorrére, or fi riſtrigne ad aſprinier ſolo quel , che tra corpi diſcorrenti tien vigore do umidire, e chehumidum , vien detto da’latini . Eglino non bene intendendo i ſentimenti d'Ariſtotele , immaginaro no aver fui l'umido definito ;perchè foggiūgono poi: a torto anche vien accagionato Ariftorele d'incoſtanza , e di co traddizione ; perchè d' talora dica ,Pacqua eſfer più umida dell'aere, e talora affermi (il che una fiata ſembrò pazzia a Galieno ) l'aria eſſer più umida dell'acqua. Ma quanto poco , anzi nulla rilievi a pro d'Ariſtotete ciò , che fingono coſtoro , chiarainente ſi conofce ; imperocchè Ariſtotele in coſa appartenente a' fondamenti della ſua filoſofia non dovea ſervirfi di vocaboli ambigui, e dubbiofi; e ſe non v'erano i propj nella fua lingua , il che appena mi ſi laſcia credere , che aveſſe potuto avvenire , eſſendo ella così ric ca , e copiofa divoci , non gli avrebbon mancati modi , e vie di chiaramente fpiegare ciò che cgli dovea dire. Ne li può Ariftotele ſcufaredelle contraddizioni;impe rocchè , per tacer d'altro , dice egli una volta , che la tera ra ſi trovi in tutti i miſti , perchè i corpimiſti, fpezialmen te i più grandiper lo più nel luogo propio della terra ſi tro vano; ma Pacqua, perchè fa ellameſticre a terminare i cor pi compofti, effere lei ſola di que’ſemplici corpi , che ter mina 622 RagionamentoOttavo minare dileggieri dale poſſonoyn rifugão ivendéggumasaza έκαςον είναι μάλιστακαι και πλείστον έντων οικείων τόπω·ύδωρ δε δια το δείν μεν δελζεται το σύνθε % και μόνον δε είναι των απλών ευόμισαν το ύδως. Dal le quali parole chiaramente fi coglie., che o abbia Ariſtote . le definir voluto l'umido , o pure il diſcorrente ; attribuen-. do egli all'acqua, come propia dote , e non comunea verun altro elemento il potere agevolmēte da ſe terminare; il che certaméte contro quel,ch'altre volte detto egli avea , viene a determinare l'acqua ſola, eſcludendone l'aria , eller o umida , o diſcorrente , M ,a nella ragione , che Ariftotele di ciò indi a poco rapporta , ſi vale ſenzafallo della parola vypov a denotar l'umido ; e dice eſſer quello , il quale ha , forza dicontenere , riſtrignere , e coaglutinare la terra ,la quale ſenza l'acqua verrebbe a diſſiparl .; perchè eſſer :cgli .conchiude , l'acqua parimente neceſſaria alla compoſizio. ne de'miſti , con queſte parole: én dè ry Tosningav ávev Tš vggs μη δύναθα συμμένειν . άλα τούτ' είναι τοσυνέχον ή γαρ εξαιρεθείη - λέως εξ αυτής το υγρόν διαπίστοι αν• Ovc fcοrgerfi puote, che alla terra ancora convenga la definizione dell'umido data per Ariſtotele; nell'opinione del quale ſi pare , che a niuno degli elementi convenga la definizione,ch'egli del ſecco rapporta ; ma di ciò ad altri laſciando il diviſare , es Jaſciando ad altri eziádio la briga di moſtrare, ch'Ariſtore le dagli effetti ſtelli,comechè pochi ch'egli rapporta nelles incnzionate definizioni,potca agevolmente cogliere la na tura di ciò ch'egli dice freddo , e umido : caldo , e ſecco : e così poi far anco di que' , che chiama lor differenze; accen però ſolamente ch’Ariſtotele alior che fa parole del tenue , in dicendo , che il tenue compoſto fia di picciolo parti,per che ricampie το δε λεπον αναπληρικόν(λεπτομερές γαρ και το μικρομε. pès avænangıxóv.)noſtra ſeguir l'opinione di Democrito e che nella guiſa , che detto abbiamo,filoſofare, comechè rozza mente e ſi vede del tenue ; il che dovea certamente c'fare, anche dell'altre qualità . Ma vediamo ora come Ariſtotcle a ſpiegar infelicemen te imprenda la natura del movimento , in cui non ha dub bio , che conllte cutta la nzural filoſofia . Primieramente cyli cgligiúdica eſfer ilmovimento un cotal genere ,il qualej comprenda l'alterazione, l'accreſcimento, la diminuzione, la generazione , e’Imovimento , che chiaman locale . In di diſegna, e definiſce ilmovimento nel primo, e nel ſeco do capitolo della fiſica , in cotal guila : rov Suv áués.Övr. ÉVTE . dexaci , ģTovorov , cioè endelechia di quella coſa , la quale è inpotenza , in quanto ella è tale ; ed altrove : aivos, évtené.. geta toī XIVSTOU , xuvytor, cioè , il movimento egli ſi è endelechia della coſa , la quale tien potenza a muoverſi, in quanto ella tien la detta potenza . Orchi domine non comprende ſe eſ ſer beffato , e uccellato da: Ariſtotele ?maſſimamente , che: egli medeſimo inſegna dover eſſerela definizione più mani feſta , e più conoſciuta affiidella coſa, che ſi definiſce;per chè diceGiovanniMagiro , famoſo peripatetico , eſſere cotal definizione biafimevole', e vizioſa : atque ob eam.cau-. fäm in nonnullorum reprehenfiones incurrit . Ma. Simplicio nondimeno dice', effer quella ſommamente artificioſa , e quaſi divina ; ſpiegandoli , emanifeſtandoſi con eſlå in una certa maniera maravigliofamente la natura del movimen to . MaCicerone , e Porfirio affermano ', effer quella voce ŁYTENÉXAtjun vago , e artificioſo ritrovato d'Ariſforele , per uccellar le genti ; e nel vero di cotal voce ſoven ti fiate ſervisſi Ariſtotele , non ſolamente per ifpiegare il moviinento , ma l'anima ancora , e quella ſua nuova mtura: anzi ilmedeſimoIddio ( coſe ſenza fillo fra eſfo lo ro aſſai diverfe ) con talnomee' ſcioccamente chiama. Per chè ben diffe l'avvedutisſimo Ramo : Entelechiæ fue Ariſtoteles nimium conceſſit nimium indulſit. Ma ſu conceda fiad Ariſtotele così bel diviſo, ne s'atté ti aſcun di privarlo della ſua endelechia ; e reſti a quellas comedice motteggevolmente il medeſimo autore , inveſti to in dore il rcametutto della filoſofia; e che più ? 'perdonili anche a lui ' , che contro le regole della dialettica con voci equivocoſe , e oſcure le definizioni formar fi poſſano :'ela vocc iv terémax",prendaſi pure nella definizion del moto ,non già per perfezione acquiſtata , e compita , mache tuttavia fi vadi acquiſtando , comepar che e' voglia : o per me”di re, per 1 624 Ragionamento Ottavo 1 re,per la ſtrada p la quale la perfezione s'acquiſti; la qua le ſtrada certamente anch'ella in qualche modo è perfezio ne ; perchè meritevolmente è da chiamar con nome di at to della coſa , comechè imperfetto ; la qual li è in poten za a mandarſi all'atto perfetto , cioè a dir alla forma , in quanto alla materia la coſa è in potenza,cioè a dire in qua to può ella effettualmente imprenderla . Or dove eglino ſono , dove conſiſtono quelle tante , e sì ſtrane maraviglie, millantate da Simplicio? Quid dignum tanto feretbic promiffor hiatu ? Parturient montes , naſcetur ridiculus mus . Apporta Ariſtotele per ifpiegar maggiormente la coſa , l'eſemplo dei rame, il quale comechè poffa divenire ſtatua , nondiincno quel movimento , col quale egli poi vienead acquiſtar la perfezione , e la forma di {tatua, non appartic ne punto al rame , in quanto , ch'egli è rame , ina folame te in quanto egli può divenire , o eflere ftatua xaaxos, dice egli,κίνησίς έσιν ου γαρ το αυτό το χαλκώείναι, και διωάμει τινί κινητώ, έπει & αυτον ω απλώς , και κατα τον λόγον , ω αν και του χαλκού , και ganzes , ÉV TERÉNHO , xívyos, Mache montano alla filoſofia si fatri ravvolgimentidiyaneparole , echiè per Dio , cheno ravviſi,e non ſappia, appartener propriamente al muro, che può eſſer bianco , la ſtrada,o'l mezzo di dover eſſer tale, in quanto cgli eſſer vi poſſa > Chi ciò mai ardà a negare ? Ma dell'atto , e della potenza , non ſolamente ſervir ſi voller Ariſtotele per iſporre, e ſpiegare la nariua del movimento ; anzi in molte, emolte altre opportunità egli sì fattamente gli ripete,che ragionevolmente infaſtidito Bernardino Te. lelio ebbe a dire : Magnos mehercule Ariſtoteles, ut ingenuè fatetur ipſe , actus potentiave diſtinctioni gratias debet ;cu jus nimirum upe ex anguftiis quibuſvis evadere nibildefpe rat ; il che parimente venne avviſato da Antonio Perfio . E nel vero Ariſtotele ſpelle volte ſi ſerve dell'atto , e della potenza per rattoppare , e rabberciar le ſue Idruſcite does trine; e certamente quelle duc voci il traggono da’più ma lagevoli ,e intralciati laberinti della națural filoſofia. Ma ſe finalmente definir mai voleſs Ariſtotele quel mo vimen DelSig. Lionardo di Capoa. 625 vimento , che chiaman locale , certamente egli converreba be ricorrere alla general definizione del moviméto, có giu gnervi d'avantaggio qualche diviſamēto proprio del moto locale . La qual coſa : ſecondo lui,non ſarebbe molto ma lagevole a fornire ; comeeper raffermar la ſua ingegnoſif lima definizione del movimento ne fa pruova nell'altera zione , così definendola : l'alterazione , è atto di quella coſa , la quale ſi può alterare , in quanto ch'ella alterar fi puote : αλλοίωσης μεν γαρ , και του αυλοιωτού ή αλοιωτών , εντελέχω . Adunque così ancora andrebbe, ſecondo Ariſtotele,nelmo vimento del luogo la definizione : egli è il movimento del luogo, endelechia , cioè atto della coſa , che ſi può lotal méte muovere, in quáto ella ſi può localmente muovere; la qual definizione,ſe accóciaméte ſpiegherebbe la natura del movimento locale , dicalo in mia vece il medeſimo Ariſto tele , che in trattando del moto locale , a valer non ſe n'ebe be . Matacer non fi dee certamente quì , che Pier Ramo avviſando non dovere effer il genere d'una coſa , genere anche delle ſpecie di quella , perciocchè troppo rimoſſo, e lontano le ſarebbe: preſe agio di gravemente punger Ari ftotele collarori di lui medeſimo, così dicendo: Hic ende lechia rurſusnon imperfecta ,fed abfoluta exprimitur; &ta mrenfo genus effet motus, non poſsetefseproximum genus cui libet motusfpeciei. Ma chi poi voleſſe eſaminare, e riandare le altre definizioni d'Ariſtotele , rinverrebbe veriſſimo sé. za fallo l'avviſo di Lodovico Vives ; il quale, comechè non fi vegga mai pago di lodarlo , impertanto ebbe a dire: Ari Stoteles eſt in definiendo vafer , occultus adeo, ut pleraquefine idcircò in ejus philofophia incerta , da perplexa , parum etiam vera ; dum magis curat quem in modum reprehenfionem ex cludat , quàm ut afserat verum . E perciò funneanche da Attico , eda Temiſtio alla ſeppia aſſomigliato . Ma tanto e tanto Ariſtotele dell'oſcurezzaſi compiacque , e così ſo vente in iſcrivendo uſolla , ch’ebbe a dir di lui ragionevol mente nel vero il P. Elizzaldi : Summa laus Ariſtotelis ob fcuritas fuit . E quantunque Ammonio s'attenti di ſcuſa re Ariſtotele , dicendo Ariſtotele eſsere ſtato oſcuro a bel Kkkk lo ſtu 626 Ragionamento Ottavo rezza , lo ſtudio , non per altro , ſe non ſe per iſpaventar coll'oſcu ed eſcludere dagliſtudi della filoſofia , e dalla lezio de'ſuoi libri gli huomini d'ottuſo , e baſſo intendimento ; il che ſi pare , che'l medeſimo Ariſtotele dir voleſle in quel la lettera , fe pur fu ſua , e non da' ſuoi ſeguaci finta , ch'e gli ſcritta l'aveſſe ad Aleſſandro , che da Aulo Gellio venne nella latina lingua traslatata s'ngoja nixovs libros , quos edi tos quereris , non perinde, ut arcana abfcondiros,neque editos ſcito effe , neque non editos ; quoniam iis ſolis , qui nos au diunt , cognobiles erunt ; impertanto sì malamente venne fatto ad Ariſtotele d'aſcădere la vera cagione del ſuo ſcri yere così oſcuramente , che fu ravviſata da ognuno in gui ſa , che non poſſon far dimeno i medeſimi peripatetici ta Jora di non confeſſarla apertamente; e per tacer di Simplią cio , diTemiſtio , e d'altri molti: l'autor della cenſura de'libri d'Ariſtotele dopo averlo ſtrabocchevolmente commenda to , alla fine purdice in facendo parole delle ſue oſcurez ze : Accedebatad hæc ingenium viri te&tum , & callidums, &metuens reprehenfionis , quod inhibebat eum ne proferret interdum aperte , quæ fentiret ; inde tam multa per ejus ope ra obſcura , & ambigua . Ma laſciando ciò ſtare alpreſente, nomeno che nella definitione,egliſi ſcorge eſſer Ariſtotele infelice nella diviſione del moto.Vuolegli,comeè detto ,ſei eſſere le ſpezie del moto : cioè generazione, corruttura,al terazione,accreſcimento ,diminuimiento , e moto locale; ma a chiunque bene , e ſottilmente la coſa ragguarda , niuna altra forte di movimento ſi fu avanti nella natura , ſe non ſe locale ; e nel vero tutte le ſpecie addotteperperAriſtotele, altro non ſono ,ſalvo che movimenti locali ; e ſi pare ,che'l medeſimo Ariſtotele ciò anche confelli ; concioſliecoſachè dica egli una volta , che'l moto locale ſia il primo de’moti, eche niuna delle p lui mézionate ſpezie del moto ſi poſſa no ritrovar " inquemai diſcopagnate dalmoto locale; ed uną altra fiata apertamente affermi, che il ſolo moto locale ſia quello , che dir ſidebba propriamente moto . Divide Ari ſtotele primieramente ilmoto locale in ſemplice, e miſto; ſemplice chiama egli quel movimento , il quale è ſempre mai Del Sig .Lionardodi Capoa. 027 mai uniforme,e fimile a ſe medeſimo. Il moto semplice è di due maniere, retto ,e circolare ;cöcioffiecoſache di due mas niere ſiano le grádezze séplicirerte pariméte,e circolari; la qual ragione ,quáto frivola,quanro yana fazlaſciù a voi a conſiderare , Il moto çircolare , il quale ſolamentegiuſta il ſuo avvilo, è perfetto , e regolare ; vuole Ariſtotele eller quello , che fi få intorno almezzo; ma il retto allo incon tro eſſer quello , che faffi in ſuſo , ed alla in giù , Mataçé do , che avviſar dovea Ariſtotele que’movimenti , ch'egli immagina farſi intorno al çētro della terra, non eſſer altra mente circolari ' , ma ellittici , follemente nel yero egli fi da ad intendere avermoto ſemplice nell'univerſo , che retto non ſia; imperocchè qualunque corpo , cheſi muove convien certamente , che ſe'n vada ad occupare il luogo a ſe più vicino ; perchè ſarà mai ſempre ogni ſuo moto ret to , e formerà mai ſempre col muoverſi linee rette ; laonde i moti obbliqui tutti,cácora que’che circolari ſi chiamano, altro non ſono, che moltiſſimi, e poço men chę infinitimo vimenti retri; i quali ad ogn' ora facendo angoli, a formar vengono moltiſlime, e poco men , che infinite linee rette ; laonde niun moto del mondo farà circolare ; imperciocchè niun moto, che in giro fi faccia mantener il corpo maiſemi pre potrà dal centro ugualmente lontano ; il che richiede Ariſtotels nel inoto circolare . E quinci ſcorgeragevolme. te li puorc , quanto dal ver ſi diparta ciò che appreſo Ari ftorelc diviſa, poço faggiamente, confondendo i membri della diviſione , dicendoil moto ſemplice eller di tre ma niere : l'una di quello , che ſi fa intorno al mezzo , o lia centro : l'altra diquello , che ſi fa dal mezzo ; e l'altra di quel, che ſi fa almezzo ; ma degna ſenza fallo è d'aſcol tarſi con grandiſſime riſa la cagion ,che di sì fatta diviſio ne cgli reca,françamëte affermando tre eſſer i ſemplici mos vimenti ; concioſliecofachè abbiano i corpi tre dimenſioni, Quinci li coglie eller falſa , e vana del pari la menzionata diviſione del moto d'Ariſtotele ; enon aver moto veruno nell'univerſo , che compoſto eſſendo del retto , e del circo Jare, miſto con Ariſtotele dir veramente ſi poſſa. K k k k Ma a è 2 028 Ragionamenta Ottavo Ma trapaſſando a quella diviſione del moto , così cele bre ne’libri d'Ariſtotele , in naturale , e violento :veramen te in iſpiegare i membri di quella oltremodo vario , ed in conſtante e ' li moſtra ; perciocchè una fiara dice , il moto violento eſſer quello ch'altrõde vien comunicato ; il che ſe vero fofſe , vana ſarebbe la fua diviſione; imperocchè ogni moto , giuſta Ariſtotele , altronde procede; e un'altra vole ta poi, no badado a ciò che prima avea detto,egli afferming comechè da altri cagionato effer poffa , trondimeno alcun movimento eſſer naturale . Vltimamente Ariſtotele vuole , che quel moto djr ſi debba violento , il quale venga cagio nato da eſterna cagione in un corpo , che il ripugni; maſe il moto altro veramente egli non è , fe non cambiamento di luogo , e al corpo non meno è natural queſto , che quell altro luogo : certamente al corpo niun moto ſarà mai vio lento ; e ogni qualunquemoto , che nell'univerſo ſi faccia , dovrà dirfi naturale . Ne la terra , o altro corpo dique'che chiamanli gravi da ſe , comeinſieme col vulgo immagina Ariſtotele gripugna il ſalir in alto , quantunque ſi paja a noi, che non veggiamo que' corpi , che la ſpingono giù , e fan ch'ella ripugni il ſalire . Non ſembra finalmente conforme a quel ſuo famofo detto , ch'ogni coſa , che ſi muove , per alrri ſi muova , la diviſione,ch’Ariſtotele reca del movime to , in quel , che vien fatto da fe, e propio chiamato , e in quel, che da altri faſli , e per accidenteè detto . Ma una cotal diviſione mi fa ſovvenir , come ſconciamente fallò Ariſtotele nel dire , che'l generante muova ancor quando è lontano ; anzi ancor quando più non è ; e che le ſue intel ligenze muovano moralmente ; il che ancora di colui che'l tutto muove empiaméte oſa egli affermare; che tanto egli è nel vero , quanto dire, che le intelligenze muovano non movendo le ſpere celeſti dalui ſognate . Ma dovea Ariſto tele avviſare, chela maniera dell'operare del Sovrano Mo narca dell’Vniverſo è molto lontana , e differéte da quella, che'l più acuto umano intendimento poſſa vnquemai im-, maginare ;e comeegli già traſſe dal nulla le corporee ſoftá ze colla fola volőtà , colla quale potè dar loro il moro anzi gliele . DelSig. Lionardo diCapoa 629 gliele diede ſenza fargli puntomeſtier di toccamento veru no ; e che Iddio ancora fa , che gli Angioli parimentes. comeche inviſibili fpiriti,pofanomuovere, avvegnachè nă tocchino le corporee ſoftanze ; e laſciando di riferire , che dican di ciò Guglielmo da Parigi, l’Aureolo , e altrimae Ari in divinità , iquali non fi prendon briga più che tanto di venir a' particolari : Io vado conghietturando, che: dar poſſano il moviméto gli Angioli a ' corpi,in quella gui ſa per avventura , colla quale fuole l'anima ragionevolea allor che muove il ſuo corpo ; la quale certamente altro nā fa allorche muove qualche membro , ſalvo che dar altra determinazione per opera della volontà a que' rapidiffimi movimenti di que’minutiſſimicorpicciuoli , che continuo dal fangue vengon per l'arterie a'nervi compartiti. Argo mentali eſser vero ciò dall'oſservare , che ficome ſcema , o creſce in cotalicorpicciuoli il movimento , così più o me no all'anima di muovere le mébra del noſtro corpo vié per meſso ; non altriméti forſe l'Angelo, comechè non ſia lor forma , come è l'anima del corpo , muoveicorpi determi nando altrimentii moti de'piccioliſſimi corpicciuoli,ch'en tro lor fono , o pure que' dell'aria , o dell'etere , che gli penetra ,e gli circonda; e'n quella guiſa , che'l vento soľ acqua muover logliono le piume, e le frondi, faccian ancor cglino cambiar luogo a queſto , e a quel corpo ; ed eſsen do il moto delle particelle , che l'etere compongono , rapi diſſimo:può l’Angela determinandolo condurre in brevif fimo tempo da un luogo a un'altro ,comechè lontaniffimos icorpi . Ma laſciando queſta curioſa digreſſione a ' facri Teologi, e al noſtro Ariſtotele ritornando , lo dico ,che no men , che s'aveſse fatto del moto , ſcioccamente falla in di viſando del luogo : imperocchè egli dice eſsere il luogo quella immaginata ſuperficie delcorpo , ove la coſa allo gata ſia ; la quale opinione , comechè egli la toglieſse di peſo comealcun giudica daPlatone, o da Archita,dal quale tolſe anche quella fconcia diviſione dell'ente cotanto da Lorenzo della Valle , e da altri deriſa , pure egli sì disfor mata la ci reca , che nel vero ſembra , che più toſto egli ab . + bia 630 Ragionamento Ottavo bia ſecondarvoluto l'opinionedelvulgo , il quale non fa diſtinguere il vaſo dal luogo: che adombrar i ſentimenti di que'valent'huomini; e sì ſciocca , c irragionevole parves una sì fatta opinione a Filopono, per tacer d'altri Peripa tetici, che acerbamente ne ripigliò il maeſtro ; e nel yero ſe'l luogo , comeragion perſuade , e Ariſtotele medelimo inſegna , appartiene a qualſifia minima particella del corpo locato , dovrà ſenza fallo il luogo aver parimente riſpetto a qualunquc minima particella del corpo locato,e farli da quella ingombrare dimaniera ; che a tutto il corpo locato corriſponda tutto il luogo , ea qualunque minima particel la del corpo corriſponda ugual minimaparticella di luogó. Conie potrà mai dunque conſiſtere la natura delluogo nels la ſuperficie più vicina del corpo contiguo , la quale a cir condare , e ad abbracciar viene il corpo locato , ed è affat to fuora di tutte le particelle di eſſo corpo; perchène ſegui rebbe , chemoyendoſi un corpo, non ſi moverebbono tut te le parti di eſſo , per tacer d'altre ; e d'altre ſconvenevo lezze a'peripatetici medefimimolto ben conoſciute . Ma per nulla dir di ciò , che dice Ariſtotele del tempo , il qual ſe la mente noftra non ſi deſfe brigadi partire, e di numerar il movimento ; in niun modo ſecondo lui ci ſarebbe : chen ti,per Dio ſono i diviſamenci d'Ariſtotele, dietro allana tura , e alla propietà del corpo? E laſciando ciò ad altri cô ſiderare , accennerò ſolo quanto egli vanamente s'aggiri in yolendo filoſofar , oltre alle qualità menzionate , della ra rità , e della denfità prime, comedicç'una volta ditutte ale tre qualità del corpo,Si fa egli follemente a credere , mora ſo da leggeriſſime ragioni , poter un corpo rarificandoſi in grandire , e ſenza giunta d'altro corpo ingombrare mag gior luogo , di quel che prima egli ingombrava, e maggior di fe divenire;e allo incontro poi ſenza eſſer in nulla ſcema 10 , e ſenza entrar l'une delle ſue particelle entro l'altre,po tercondéſandoſiingombrar il corpo minore ſpazio di quel, che prima egli ingombrava, e divenir minore di quel ches prima egliera , Machi potrà mai ridire, come ſconciamē. te egli poi favelli della luce , come de' colori, come de? ( 1 pori, DelSig. Lionardo di Capoa 631 pori , come degli odori, comedell'altre ſenſibili qualità. : Ma non è mio intendimento di volervi quì ad uno ad uno tutti i fallimenti d'Ariſtotele narrare; che ſe un tal filo pré delli di ragionare , certamente non ne verrei mai a capo; c nel vero ov'egli follemente non aggiroffi in filoſofando di que'corpi,ch'egli chiamaſemplicide’miſti, edelle lor qua lità? E quanto ſpiacevoli in verità ad udire ſon que’lunghi, e fuor di propoſito diviſamenti, ch'egli fa del Cielo , dell'a . nima , e delle ſue operazioni , dell' aere , de' venti , delle piove , de'fulmini , dellaneve, del tremuoto , dell'altera zione, dell'accreſcimento, della diminuzione delmeſcola mento , della generazione, della corruttura, c d'altre coſe naturali non iſpiegate certamente da lui naturalmente , fi come facea meſtieri : chenti , ſono le diviſioni , chenti, gli argomenti, in che fu egli sì infelice , che ne meno eb be ventura di poter le più vere propoſizioni provare. Ma ſopratutto in Ariſtotele mi par da notare , ch'egli in tutte le ſue opere ſi ſtudia colla ſua loica d'avviluppar mai ſem pre la verità , e di crollare , e mandar a terra i buoni, e veri ſentimenti de' più celebrifiloſofanti; perchè da Santo Am brogio venn'egli chiamato :ftudiofus impugnāde veritatis ;ç molto avātidi lui per le medeſime ragioni l'antichiſſimoPa dre Tertulliano avea detto la dialettica d'Ariſtotele:artificē Aruendi , &deftruendi verfipellem in fcientiis coactam in co jecturis duram , in argumentis operatoriam contentionum ', moleftam etiam fibi ipfiomnia tractantem , ne quid omnino tractaverit . Ma non ſo come fuggito mi era dalla memoria ciò che Io avea determinato di dirvi del bel diviſamento , ch ' Ari ſtocele fa delmondo . Afferma egli il mondo di neceſſità eſſer perfetto , avendo egli larghezza , lunghezza, eſpel ſezza ;dalle quali dimenſioni in fuora , altra grandezzaw , non v'abbia , dache queſte tre ſole ſon tutte le coſe; e ove fiano due , allora non diciamo tutti,ma ambodue,& aggiu gnendo a tre , allora in prima diciam tutti ; il che effer di sì fatta maniera , la natura il ci inſegni, ece l'additi: c.chę per tal cagione,ci ſoggiugne cotal numero uſavali ne'ſacri ficj; nel che Ariſtotele fra tantiaggiramenti avviluppofli , non per altro , ſalvo che per iſpiegar alcuni ſencimenti de Pittagorici, da lui malamente inteſi. Quindi apertamé te appare, quantograndefata ſi dia la cracotanza di quel miſcredente Arabo Vano immaginator d'ombre, e di fole : d'Averroe in dico , il quale privo affatto d'intendimento ärdì a dire eſſer Ariſtotele la norma, el'idea a noi prepoſta dalla naturaper maraviglia di tutti iſecoli , e per addicar ne l'ultimo sforzo , e l'intero compimento d'ogni umanaj perfezione: e che egli venne a noi conceduto dall'eterna providenza per noſtro ajuto ; nelle cuiopere non s'è potu to per lo travalicamento di quindici ſecoli error alcuno ri trovare ; e in fine ch'a miracolo Natura il fece , e poi ruppe la ſtampa ; anzi tanto s'avanzò oltre la follia d'Averroe, che diffe , fe ad Ariftotele folo voler dare intera credenza infra tutti gli altri huomini del mondo; e ne meno eccettuonne il fantili. mo Profeta Moisè , qualor difle aver Moisè dette molte coſe , ma niuna provata; al che aggiugner volle, per tacer d'altro , quell'altra beſtemmia ; che coloro , i quali affer mano Iddio ritrovarſi per tutto , ſian fanciulli, e che di ſtruggano , e mandino a terra l'ordine tntto delle cagioni naturali. MacomechèAverroe foſſe di sì ottuſo , e ballo intendimento : impertanto valſe tanto la ſua autorità appo gli Arabi, che vennero a gara da tutti abbracciare, e come verità infallibili credute furono le dottrine d'Ariſtotele ; laõde cõvēnè aʼnoſtri Teologi, p.poter cõvincere i ſeguaci di Macometto ,quella dottrina,che appo loro era in pregio, ed iſtima apparare ; e introdurre nelle ſcuole la filoſofia di Ariſtotele , o pure quella , che ſi contiene ne' libri , che ſi leggon ſotto il ſuo nome; căcioffiecoſachè dietro a tal con venente gran piari fieno infra gli ſcrittori . E veramente alcune di quelle non pajono d'Ariſtotele , come p teſtimo niāze di Tullio ,di Laerzio, di Suida, e d'altri antichi ſcrit tori,e di Mario Nizolio , e di Frāceſco Patrizi, e d'altri mo derni autori fi può affermare ; nondimeno però nei , co une que me que', cheveggiamo concordevolmente in tutte quell opere , che portano in fronte il nome d'Ariſtotele, da libri neobanuárwv in fuori , l'iſteſſo modo di filoſofare : portiai moopinionceſfer tutte d'Ariſtotele, o pure da qualche ſuo ſcolare ſcritte ſecondo i diviſamenti del maeſtro : Mala ſciando ciò ſtare al preſente , chiaro da quel che ſi è fin'o ra detto fivede , non eſſere conſentimento comune degli huomini in eleggere Ariftotele per primicro filoſofante ; perciocchè nel lungo travalicamento di cotanti anni, dopo le prime voci del ſuo nome, forte vanamente infra gli Araa bi per dappocagine, e ſciempiezza del loro intendimento , gli altri tutti corſero lor dietro Qualcapra all'altra perſentiero alpeftro : non con fermo , e ragionevole avviſo, perchè non eſſendo vi elezione d'animo faggio , e avveduto , è da dir con Bac cone , coitio , non confenfus; e come dice il Ciampoli , copia comune , non già opinione comune. E nel vero ponendo in no cale l'originale, ad altro non badarono le ſcuole, ſe non ſe a far copie continue di quelle ſconce ; e mat fatte copie del lor primiero maeſtro Ariſtotele : cd a ciò anche fare i ſemplici,e rozzi ſcolari coſtrignendo ;perchè non ſenza ca gione fu detto dc' peripatetici da Lorenzo della Valle , il quale veramente fu ilprimo , che liberò la filoſofia da quel cieco ,e miſero fervaggio,in cui miſerevolmére giaceva fot topoſta :Pudet referre apud quofdam elle morem initiandi di fcipulos, &jurejurando adigendi , nunquam ſe Ariſtoteli re pugnaturos : genus hominum fuperftitiofum , atque vecors , defe ipfo malè meritum ; cum ſe facultate fraudent indagă då veritatis ; quos fi reprehendere jure optimo poſſumus, quod hanc ſibi legem impofuerunt , qua tandem infectatione caſti. gare debemus, fi hanc legem in alios transferunt; ſenzachèno dee giudicarſi opinion comune in filoſofia quella, che nella fchiera de volgari filoſofi ſoli , avvegnachè innumerabi le, alligna; ma più dalla qualità degli avveduti ragguarda tori delle coſe , che dalla copioſa ſembraglia del popolo è da ſtimare ; perciocchè , come teſtimonia il Romino Ora tore , la filoſofia , dipochigiudicatori s'appaga , cabello L111 ftudio ſchifa la moltitudine a lei ſoſpetta, e odioſa: eft phia lofophia paucis contenta judicibus , multitudinemque conful ty fugiens, eique ipfi , & fufpe ta , & invifa ; eragionevol mente in verità ; imperocchè, come ſaggiamente avviſa il Baccone : nihil multis placet , nifi imaginationem feriat, auf intelleétum vulgarium rationum nodis adftringat;perchè dir ſoleva Ariſtotele folamente in favellando la parte maggio re , ma nel giudicar poi la minor parte doverfimai ſempre {eguire . Ma ciò , che de' Peripatetici abbiam noi ſin ora diviſato , deſli ſenza fallo anche dire degli altri parteggian çi; de'quali tutti ebbe a dire quel valent'huomo , noneſſer credenza infra’filoſofi così ſtrana, e rimoſſa dalla ragione , che non abbia ritrovati i ſuoi difenſori. E sì abbondevole fu nel vero la greca filoſofia di sì fatte ſconce , e inveriſi mili opinioni , che non ſenza cagione fu detto da Varrone nemo ægrotus quicquamfomniat Tam infandum , quod nonaliquis dicat philofophus. ma prima potrei col Poetacotar nella diſerta piaggia l'are nege nel mar turbato l'onde,che gire ad uno ad uno anno verando degli antichi filoſofi i fallimenti; de quali più forſe ne ſarebbon conoſciuti , ſe a noi foſſero pervenute tutt'altre opere di coloro , dicui Già lunga notte involve i nomi, e l'opre. Maavendovi, come di ſopra avviſammo , infra' greci me. dici alcunivalentiſſimi maeſtri, i quali ſi valſero dell'opi nioni di Zenone , e d'Epicuro in filoſofando delle coſedel la medicina , nõ farà per avventura fuor del noſtro propo fito il brievemente accennare i miei ſentimenti intorno al la ſtoica, ed epicurea filoſofia . E per cominciar dalla ſtoi ca : grande certamente ſi fu la follia di Zenonedella ſetta ſtoica primo maeſtro , e fondatore , il quale avendo ben potuto fcorgere quanto ſi foffe oltre avanzato ſopra tutti i greci filoſofantiDemocrito nella vera ſtrada del filoſofa re , volle nondimeno più coſto gir dietro alla traccia di co loro , che apertamente avean da quella traviato ; e Com ? mechè men vaneggiante affai d'Ariſtotele Zenon fi mo Atri in iſpiegar le coſe della natura , non però di meno egli Del Sig.Lionardo di Capoa. 838 egli ancora nelle maggiori ſtrette fuolentrar nel pecoreci cio , ſenza divifar nulla di ſaldo. Così in ragionando delo la mareria la delcrive largaméte con termini (tratti e genes rali,come appūto diviſato in prima n'avea Pittagora, e Pla . tone,e Ariſtotele; della qual coſa ragionevolmēte ne fu egli force biaſimato da Seſto Empirico; eavvegnapure,ch'egli cófesſaſſe eſſer vero corpo la materia, e chiamaſſe la forma nõ cagione , ma parte delle coſe:nondimeno non iſpiegando appreſſo , che coſa veramente la formalia , e in che conſi ſta la natura del corpo , e come formar variamente fi poffa, e ne meno ſcendendo poialparticolar delle qualità, mani feſtando , e dichiarando chente fia la lor natura , ecomes ingenerino : è da dir, che neile medeſime ſconvenevolezze egli ancorcada, nelle quali già in prima detto abbiamo eſ. ſer Platone , e Ariſtotele vergognoſamente caduci . Ma non ſembra vero ciò che Cicerone , e altri fcrittori riferiſcono di Zenone , che egli aveſſe per efficiente cagio . ne conoſciuto il ſolo fuoco; imperocchè egli coinpone le coſe de’quattro volgari elementi; e alle loro qualità attri buiſce, o tutte , olamaggior parte dell'operazioni natura. li , comech'egli in ciò poco felicemente s'adoperi, per nốt aver inveſtigato in prima , come certamente conveniva, la propietà diquelli; e quinci avvien poi;che Zenone di quel le , che ſeconde qualità chiamanſi, così confuſamente an che favelli, comeſipuò vedere allor ch'egli dice , eſſer i colori le primediſpoſizioni della materia . Dice ben egli Zenone , che ſon due i primi principi delle coſe : paſ ſivo l'uno , cioè la materia , ſoſtanza ſecondo lui priva di qualità : Paltro attivo , quale ingenera ogni coſa, e vienda lui col nome d'Iddio, e di natura chiamato; e queſto vuol Zenone , ch'altro non fia , ſe nõ ſe un ſottiliffimo fuoco do. tato di ragione , e di ſapienza , il quale per tutto diſcorra , il tutto abbraccj,il tutto penetri ; e che dalle varie , c varie materie in cui egli ſi trovi,varj,e varj nomi poſcia egli rice va.Ma quanto ciò ſia lõtano dalla ragione, nofa certamen. te meſtieri, ch' lo duri fatica per darlovi a divedere . E Lill 2 nel 636 Ragionamento Ottavo nel vero ſe mai Zenone argomentato ſi foffe d'inveſtigar , comeché rozzamente la natura del fuoco ,non avrebbe po tutomai concepirnella ſua mente così folle , e pazza opi nione ; anzi ne men avrebbe egli detto eſſer l'anime noſtre, caldi, e ſottiliſſimi fpiriti, tratti, come rapporta Seneca : ex illisfempiternis ignibus ,quæſidera , acflellas vocamus, , veluti ſcintillas quafdam afrorum interris defiliiffe , atque alieno loco exiife . Concioffiecofachè il fuoco, il quale al cro non è ſe non fe un'adunamento di piccioliffimi corpic ciuoli , o sferici, o piramidali,non pofſa ne ſentire , ne in tendere, ne far niun'altra operazione , che l'anima far ſuo. le ; perchè non avrebbe poi anco detto Zenone l'anime ef fer mortali, e quelle dappoco , e baffe , qualieſſere giudica l'animne degli ſciocchi , e ignoranti Cbe viſſer fenza fama, e ſenza lodo col corpo infieme attutarſi , emorire ; e quelle de’dotti fo lamente che , fon più vigoroſe, dover durare ciaſcuna ſe condo il fuo potere , come fiaccole acceſe in tenacemate ria fino all'ultimo ſcoſcio del mondo : fi ut fapientibus pla cet , dicea Tacito di Zenone , e degli ſtoici , non cam corpo re extinguuntur magnæ animæ ; il qual luogo chioſando il dottiſſimo Lipfio : nota, dice, magnas arimas;minutæ igitur, & fatuæ pereunt ,aut non diu manent . La quale opinione motteggiando l'eloquentiſfimo Romano: Stoici, dice, uſu ram nobis largiuntar tanquam cornicibus : dia manſuros ajūt animos , ſemper negant. E quinci follemente temevano gli Stoici ilmorir ſommerfi neĪPacque ; imperocchè ſtimava no , che l'aniine , come quelle , ch'eran di fuoco,veniſſero cſtinte dall'acque . Ma cotal crcdenza ella mi ſembra , che molto più antica di Zenone ſtata fi foſſe ; imperocchè non per altro certamente quel grand'Eroe , d'Aſia ter rore , e'l fagace Vliſe , e'l fortiffimo Duca Trojano moſtra no aver cotanto in orrore il morir affogati nell'acque : ingemit Æneas , dice Servio , non propter mortem , fed pro ptermortisgenus; grave eft enim fecundum Homerum perire naufragio , quia anima eft ignea &, extingui videtur in ma ri contrario elemento.Ma piacevole è nel vero a udire il di via DelSig. Lionardodi Capoa 037 viſamento's ch'eglifa Zenone , intorno alla generazion del mondo ; dice egli, che Iddio ſtava primieramente in ſe ſtel ſo raccolto , il che non ſo lo, come poſſa dirſi mai del fuo € 0 ; e che indi poi la materia tutta in aria prima, e l'aria ape preffo in acqua cambiafle ; e che ficomenel ventre della femmina fi contiene il ſeme, così ſteſſe parimente nell'ae : qua una materia abile a ingenerar tutte le coſe ; e che pri mieramente ingeneraſſe Iddio diquella materia i quattro elementi , cioè il fuoco , l'acqua, l'aria, e la terra ; e poidi queſti,tuttii corpi miſti formati veniffero . Il fuoco ſecon do Zenone è caldo , e l'acqua è liquida, l'aria è fredda, e la terra è arida ; ma l'ordine col quale , c lic ſtelle , e gli altri ragguardevolicorpi dell'univerſo s’ingeneraſſero; vie ne ſpiegato da Zenone in sì fatta guiſa . Afferma egli, che nel ſupremo luogo foſſe collocato quelfuoco , il quale per la gran fua: ſottigliezza vien detto ctere ; e che in lui pri micramente naſceſfero le ſtelle fiſſe ; indi appreſſo l'ervanti, indi appreſſo l'aria., indi appreffo l'acqua ; e ultimamente la terra , la quale ſta in mezzo collocata; mafolte ben fa rei Io a logorar il tempo nel racconto di queſte , e altre sì fatte empiezze , che ci vuol dare ad intendere Zenone . Ma non meno ſtoltamente erra Zenolie in ſecondando i fentimenti d'Omero', togliendo non ſolo la libertà dell’o perare agli huomini; ına ſottoponendo alla violenza delFa to il: mcdeſimo Iddio ; perchè cantò Lucano, per tacer Se neca , Fileinone , e Manilio : Sive parensrerum , quum primum informia regna , Materiamq; rudem flamma cedente recepit Tinxit in æternum caufsas, quæcunéta coërcent; Se quoque Lege tenens , & fecula jufa ferentem Fatorum immoto divifit limite mundum . E prima di Lucano , quel greco poeta, così traslatato da Cicerone : Quod fore paratum eft ,id fummum exfuperat lovem ; perchè dicono non poter nulla Iddio contro la violenza del Fato ; ne lui medeſimo poter iftorcere; o piegar l'opere de gli eterni provvedimenti; laonde ſccodo i ſentimenti di Ze none 638 Ragionamento Ottavo 1 nonediſse Seneca,o qualūquefi ful'autor di quella tragedia Non illa Deovertiſe, licet Que nexa ſuis currunt cauſſis . E a ciò ponendo mente Luciano , piacevolmente deriden do,come è fua usāza, gli Stoici, fa ,che l'orgoglioſo Ciniſco ſeguace di Zenone,tratto da cotali ſentiměti, temerariamć. te diſpregjGiove , e gli Dii tutti , non temendo punto del le ſue folgori, ſe dal fato non gli erano deſtinate ; poichè gli Diitutti, e Giovemedeſimo erano al fato ſoggetti; u che così gli Dii come gli huomini erano ſervi delleParche; ne potere far coſa del mondogli Dii, per menoma ,ch'ella ſi foſſe , che dalle Parche non foſſe in prima ordinata , e lun gamente compoſta . Perchè altro gli Dii non effer, che mi niſtri , e ſergentidelle Parche , o per mc' dire ſtrumenti di quelle , come la ſcure , e'l trivello . E con queſte ſtoiche beſtemmie fa ch'egli ſi rida di Giove ; il quale oleremodo fi vanta di quella famoſa catena delle coſe del modo appreſ ſo Omero . Il medeſimo Stoico poi giudica appo lo fteſſo Luciano eſſer anzile Parchemedeſime, che Giove da pre gare , ſe lc Parche per prieghi pur ſi moveſſero ; poichè al le Parche , e non a Giove l'imperio tutto del mondo , c'1 primo reggimento de' fatiè da attribuire . Mano è da in tralaſciar,ch'avviſando anche l'aſtutiſlimo Macometto ,per nulla dir di Lutero , e di Calvino , eſſer corale opinione molto in concio a'ſuoi fatti , preſela , ed inſegnolla nel ſuo Alcorano , acciocchè preſti maiſempre, e arditi i ſuoi po. poli , ponendo giù ogni timor della morte, a magnanime,e pericoloſe impreſe prontamente s’eſponeſſero; perchè a co tal credenza riguardando il Taffo , pole in bocca al valo roſo Rede'Turchi , Solimano , Giriſ pur Fortuna O buona , orea , com'è laſsù preſcritto. Ma non meno ſciocca èquell'altra credenza di Zenone intorno a ' peccati, ch'egli follemente vuole, che tutti ſiano uguali, e che ne più , ne meno falli colui , che ſpogli cru delmente della vita il ſuo propio padre , di colui , che allor , che ciò far non convenga ammazzi un bruto anima le . E . DeSig . Lionardo di Capoa 639 te : Equell'altra intorùo al ſuo ſapiente;il qual'eglivuole , chenon altrimenti, che ſe la filoſofia l'aveſſe dell'umana natura poſto in bando ,no’l muova amore ,non ira,non odio, non timore , ne qualúque altra più violéta paſſione . Senti menti in verità , per dirla coll'Arioſto, Convenientia un huomfatto diſtucco ; ed Io per me non ſo come s'aveſſe giammai potuto fognar - Zenone una sì fatta novella , ch'un huomopoffa viver nel mondo libero , e Sciolto da tutte qualitati umane . Manon queſti ſolamente ſono ,ma altri, e altri i falli che Zenone , e iſuoi Stoici prendono , alla noſtra fede , ed alla natura ſteſſa ripugnanti; perchè non pocomimaraviglio , come cotato preſſo alcuno ſiano commendate , e in pregio tenute quelle memorie,chedi loro rimágono ; e ſpezialmé te l'opere di Seneca ; imperciocchè non è punto , com 'egli follemente s'avviſano le genti , quell’ aſtuto Stoico , re ligioſo , e dabbene ; concioffiecoſâche , ſe ben fifamente vi fibadi , in altro non s'argomentiSeneca ne'ſuoi libri, ch'a toglier dal mondo ogni coſtuma dipietà , e direligione ; comechè faccia ſembiante nelle ſue dottrine, di'rigorofilli mo Anacoreta , e poco men , che di perfettiſſimo Criſtia no ; e a prima faccia appaja , qual farſi vedervolle anche il fuo maeſtro Zenone , Virtutis verd cuſtos , rigidus que ſatelles. Ma ritornando a Zenone , egliſi parve, che talora Ze. none fi foſſe avvicinato al ſegno in filofofando delle coſe naturali ; come quando egli per iſpiegar la maniera , nella quale faſli la viſta , diſſe l'occhio valerſi della aria teſa , co med'un baſtoneper conoſcer le coſe viſibili; del quale esé. plo fi valſe poi così a propofito Renato delle Carte . Com nobbe ancora Zenone , comeche a durar non viaveffe mols ta fatica ,, effer il ſole più grande della terra. Argomentò al. tresì egli da' ſuoi effetti non eſser altro il ſole , ſe non le fuoco ; ma da quelli certamente avviſar non ſi puote , come egli immagina' , eſser quel fuoco , ond' è forma to il ſole ,ſincero , e puriſſimo. Ma non ha dubbio ,che Zeno 640 Ragionamento Ottavo . Zenone s'ingannò grandemente , immaginando participar la luna aſsai più dell'altre erranti ſtelle , della natura della terra : per eſserella più di eſso loro alla terra vicina ; im perciocchè non ha che far con ciò punto la vicinanza, e nó v'ha ragion alcuna , la quale perſuader ci poſsa , che la lu na differiſca púto dagli altri pianeti; e oltre a ciò mal inten dendo Zenone la ſentenza degli antichi filoſofi , i quali di cevano comunicarfra di eſso loro inſieme p via di piccio liſſimi corpicciuoli dall'une all'altre continuo mandati , le ſtelle erranti , e fiſse , e la terra : afferma , che le ftelle , co me quelle , ch'animaliſono , dal mondodi quaggiù riceva no il loro alimento ; e venir il ſole nutricato dal mare , la luña dall'acque dolci , e l'altre Atelle dalla terra ; m2 perta cer d'altri difetti della filoſofia di Zenone, in ciò ſopra tut to fu egli oltremodo manchevole , checoltivò molto più di quel , che certamente a natural filofofo fi conveniva , gli ftudi della Loica , onde conveme, che i ſeguacidilui , for ſe aſsai più di que'priini peripatetici,nelle inutili fortigliez ze dialettiche intrigati , vennero ragionevolmente da Ga lieno contenzioſi chiamati; e quinciavvenne, ch'eglino no poterono gran fatto vantaggiarſi nello ſpecular le coſe della natura ; onde ebbe a dire il medeſimo Galieno , che gli Stoici nelle inutili coſe erano alsai eſercitati , ma rozzi poi allo incontro in quelle di momento,e poco eſperti ſi dimo Atravano . Malaſciando Zenone , trapaſseremo a ragionar d'Epicuro .. Primieramente per mio avviſo mai fi par certaméte, che convengano ad Epicuro quelle ſtrabocchevoli lodi , che , da pallionati luoi ſeguaci , c ſpezialmente da Lucrezio gli vengono attribuite icon dire jufra l'altre millanterie , ch' Epicuro non huom mortale , ma Iddio ſi foſse;e ch'egli pri ma di tutt'altri rinveniſse la vera ſapienza ; e chc Epicuro anche fi foſse Quel , che i termini tolfe al vaſto mondo, Le fiammeggiantimura a terraſparſe, E'l vano immenfo col penſier traſcorſe. Imperocchè , per tralaſciar ch’Epicuro altro in verità nõ facer 1 Del Sig. Lionardodi Capoa. 041 faceffe , che traſcrivere le ſentenze di Democrito : i falli menti del quale non maiegli diſcoverſe, non che rammen daſſe : anzi ſe mai egli da’ſentiméti di Democrito ſi diparti , incorſe in graviſfimi falli . E gliporrò opinione Epicuro , che da una infinita , ed immenſa corporea ſoſtanza , qual ſecondo lui altro non è , ſe non ſe un radunamento d'infiniti corpicciuoli di varie , ¢ varie grandezze , e figure , e da uno ſpazio parimente im menfo, qual'egli vuoro d'ogni corpo eſſer crede ,fia copoſte l'univerfose che fenza regolaméto d'intelligenza veruna, a caſo , ed a ventura , dalmoto, dall'accozzaméto,e dall'or dinamento , ſolo di que'corpicciuoline fian nati ,non ſola mente queſto , in cuinoiabitiamo , ma più , e più mondi , Aggiunſe egli al diritto movimento de corpicciuoli ( che apparò da Democrito) di ſuo altresi quell'altro moto pie gato,ed obbliquo, acciocchè dalle varie maniere di quello poteſſero cotante coſe ingenerarſene : e cocal movimento torto , eglidiffe naſcer dalla chinacura de' corpicciuoli , quali movendo per diritto , ed in altri corpiceiuoli incop pando , neceflariamente doveſſero in iftrigando piegarlize non men dell'altre coſe del mondo empiamente eſtimò Epicuro eſſer compoſte le noſtre anime , come dice Lu crezio Corporibus parvis, do levibus,atq; ratundis . Ma fe noi riguardiamo , non ſolaméte alla diverſità del le coſe del mondo , ma anche alla lor vaghezzase perfezio ne, e come nulla non vi ſtia a bada , ma all'acconcio fine venga mai ſempre convenevolmente dirizzata : non può in niun modo da ciaſcun comprenderli , come a riſchio , per caſo , ſenza ſottiliffima macaria di gran maeſtro debba effer formata ; e per non trarre argomenti dalle ſtelle , dad ſole, dall'huomo e da altre ,e altre opere maggiori d'Iddio , mi contenterò ſolo di far parole di alcuni piccioli animales ti , come ſono le moíche , le zanzare , le formiche , l'Api, gli Acari , c altei afſai cotanto menomi, e ſottili, ch’appe col microſcopio , tanto quanto , cavviſar li poſſono ; e pu re fono in loro da ammirar, ſomipamente quelle picciolilli M in m in me par 642 Ragionamento Ottavo 1 me particelle , così ben compoſto , e formate , come nella notomia degli huomini medeſimi, e d'altri animali più grā di fi veggono . Sono que'corpicciuoli anch'eglino forniti de’lor membri; ne mancan lornella teſta i piccioliſſimi oc chiolini, e negli occhi le palpebre, e le tuniche, e tutto ciò, ch’ad occhio ben compoſto per rimirar fi conviene ; e nel capo è anche loro il cervello , le glandole , le membrane ', ei ſottiliſſiminerbolini ; da' quali il poco ſugo nutritivo al rimanente del corpicciuolo ti dirama, e comparte . E che dirò lo dello ſtomaco , delcuore , e d'altri fomiglianti me bricelli ? che dell'offa , e delle vene , e dell'arterie , e del facco latteo , e de'vaſi acquoſi, e di cotante altre menomif fime particelle , chente , e quali a ben fornito corpo ſi ri chieggiono ? e che delle loro piccioliſſime anime, le quali anch'elle nel reggimento tutto del corpo dimorano , e ri fvegliano i ſentimenti, e fá chc muovano i membriceili alle fue opazioni:e céto, emillaltri maraviglioſi effetti in quel lo adoperano ?Ma ſopra tutto è da por menteal loro indu ftrioro ingegno ; e per non dire al preſente dell'api, è da maravigliar ſommamente dell'induſtre , e faticoſa formica, Che'l vitto onde fi pafca alfreddo verno Ripon la ſtate , ebenchè lunge ancora Sian difagion moleſta i giorni algenti, Neghittofa non ceffa ,e non s'allenta La negra turba ,, anzi ſe freſsa avvezza Ne le fatiche , e per gli adufti campi Fervel'opra nonmen , che l'ore,e'lgiorno , Fin ch’abbia ne fuoi ſpecchiil gran ripoſto . E avendo forſe quella per pruova appreſo effer la ſementa , onde poſcia germoglian le piáte, no altro, che le piáteme de lime dentro della buccia raccolte , e riſtrette , per ceſſar l'aſprezza del verno : come apertamente col microſcopio noiveggiamo : avvedutamente per non farle ſorgere a più piacevol ftagione Ela con l'unghie propie , incide, eſega I carifratti, e inumiditi al ſole Gli aſciuga, e ſecca , el bel tempo fereno Spias DelSig.Lionardo di Capoa. 643 Spiando già prevede i lieti giorni. Talche quand'ella i grani a'raggi eſpone Pioggia nonſtilla da lofcure nubi, Ediſerenità l'indicio è certo . Quinci ripor ne le ſuecelle anguſte L'aſciutta meffe , e poi la ſerba , e parte Cuſtode , e diſpenziera. E’ntenta a l'opre E nonfol mentre ilſoleaccende icampi, Ma le fatiche ſuenotturne ancora Dal Ciel rimira la rotonda luna: E quelle più ſerene , e calde nutti Tolte al dolce ripoſo , al queto ſonno Aggiugneal travagliar continuo, e lungo . Ne è da traſandare ciò che delle formiche oervò Clea te . Vide egli un giorno alquáte formichetrar dal lor for micajo il cadavero d'una formica , e portarlo a un'altro vi cin formicajo ; e quivi giunte uſcirne;come chiamate,alerc formiche , e andar loro incontro , e accontarſi quaſi ragio nando di lor bifogne ; e indi a poco ritornarſene quelle ch? erano uſcite nella lor buca, e di nuovo quindiriuſcire ,e ri trovar le foreſtiere ,come rientrate foffero nella buca a re car l'imbaſciata di quelle alle lor compagne ; è conſiglia teſi del cadavere della lor compagna foſfer poi ritornate a patteggiarne la riſcoſſa : e ciò due , o tre fiate facendo , alla fine dopo cotante aggirare , quaſi eſſendo di convegna de loro piaci, andaronoalla buca , e fi recarono loro un verme per taglia della morta fórmica, il qual prendendoli quelle di fuora , e laſciando il patteggiato cadavere , n'andar via ; ed elle raddoſsãdoſi il cadavere ritornarono nella lor tana, quaſi per dover quello ſotterrare . Néminormaraviglia è ciò che Io un giorno fattomi per diporto ad una fineſtra di mia cafi oſſervai. Era in quella una formica , la qual ripoſtali in guato , non altrimenti , chei'ragnuoli ſi faccia no , preſe per lo piede unamoſca , la qual forte dibatten dofi , e ſcooendoſi, indarno di fuggir slargomentava ; ma pur la piccioliſſima formica non potendo portarſela, o uc ciderlai, ſtrettamente fiffa la riteneva, fiache giuntavi a ca Mmmm 2 ſo un ' 644 Ragionamento Ottavo :: ſo un'altra formica partiffi.di preſente , e ricornò con alire formiche a condurli a forza la prcda dentro dal lor formi cajo . Ma perchène G faccia maggiorméte manifeſto ,qua to ſtolta fia ', cd'irragionevole la menzionata opinione d'E picuro ,e quanto fia grave l'ingiuria , che per quella vien fatta all'autore dellanatura, egli ne fameâiere,che alqua to più di ciò, che per avventura abbiſognerebbe in diſami narla c'intertegniamo. Dico adunque , che una ſoſtanza fia quella , onde cotanti aſpetti , e sì diverſe ſembianze di coſe n'appajono in queſto gran Teatro dell'univerſo , eſle re egli ſtato parere , in cui non pur Democrico ed Epicu ro:mailmedeſimo Ariſtotele ( il qual più ,.chalari fa ve duta diportarne contrariaopinione,dicomun conſentimé to convengono . E tanto par che coſtui voleſse dire colà : nell'ottavo libro della metafiſica : ove feriſse eſsere una , medefima coſa l'ultima materia , e laforma; e fimilmente non eſser differenci nelfubbietto la materiais e la privazio . ne( del chc.a torto altrove egliavevaripigliato Platone ) e che ſolo l'incelletto fra:cſso lor le diſtinguaje nel ſecondo della fiſica ; ſcrivendo , che la forma non maipoſsa dalla , materia fceverarfi , ſe non ſe in mente noftra ,ficome a niū modo può fepararſi la ſchiacciatura dal naſo ;:e nel ſecon do dell'anima: ove avvifa vano eſsere l'inveſtigar, ſe l'ani ma ſia altra cofa dakcorpo diverſa ;ſicome non è da elami. nare , fe la figura , che imprende la cera, fia da quella di itinaa . E finalıncnte il medeſimo par che confermis quan do ſpeſso ſpeſso va affermando , la forma eſser quiddità della coſa; che a ſua favella vuol dire la formaeſser perfe zione dellamateria,la qualiove capace diperfezione,mām. deria s'appella :ovegià perfetta conſideriſi,forma:fi-dice. Ne altriméti in verità creder poteva: chiin Dio, nelibertà, ne cnnipotenza riconoſceva;ondepotuto aveſse dal niente criando le forme ( le quali ſe-veramente altro foſser , che ka materia , folla creationepotrebbe dar loro Peſsere, che che in contrario nedicano i peripatetici ) e afuo talento la materia informarne. -Mache queſta ſoſtanza , di cui ragioniamo,altro,non ſia che : Del Sig.Liarcardo do Capoa 45 che corpo inminutisme particelle di grandezza , difigura; di fito , di moto , e d'ordine diverſe ,sbriciolaco', e diviſo, fuinſegnamêto che da Fenicjappreſero i primi Greci filor fofanti scomechè Democrico , più ch'altri, in primachia ramente diviſato l'aveſse . Maqueſta ſentenza medefima ne fa vedere eſserci ne ceſsario un'infinita onnipotenza , e ſapienza valevole a dir ſporre , e ordinare in tante guiſe , e comunicare ivarſ mo vimenti alla già dettämateria . E ciò ben conobbe da pri ma , per quel ch’lo ſappia , il fapientiflimo Greco Filolo . fante Talete Milefio ; e confeſsollo manifeftamente , di cendo appreſso Cicerone: Aquam efse initium rerum :Derim autem eam mentem , quæ ex aqua cuneta fingerei . E da lui l'appreſero poi Ippone, e Ippia ,.e cotant'altri antichi filo fofi , i quali tutti concordevolmente giudicarono eſserci unamentc,o una fapienza infinitajlaqualpartédo ,e fceve rando queſta maſsa comune , e ordinandola, c movendola, doveſse cambiarla in cotante guiſe , quali noiveggiamo.E cotalmente vollè anche il grande Anafsagora , che dalla materia lua ſimilare , comedicono g.componcise ciaſcunai coſa del mondo : comcchè a torto poinefoſse egliprover biato , e biaſimato oltremodo da Ariſtotele , cola ove diſ ſe , ch’Anaſsagora d'un sè fatto ritrovato ſi foſse voluto: ſcioccamente ſervire , per dar ragione dell'apparenze nas turali : non altrimenti , che ſervir fi fogliono i tragici Poc tidelle loro machine piſciorre i nodi più inviluppati del le favole ; edelimedeſimo ſentimento di Talete furonoan che Platone , o Timeo'; ed è da credere pure , che dal fon datore dell'Italiana filoſofia, Pittagora , e damolt’altri fa * mofi , .e ſaggj filoſofanti ſtata foſse in prima inſegnata . Ma però tutti i sì fatti filoſofanti ad un tratto ſtrabocchevol mente fallarono in negando oftinatamente eſser cotal fox ftanza uſcita dalle mani onnipotenti dell'Eterno Fattore, dicendo eſser quella ſempremaiſtata ererna . E forſe non guari illoro errore fu avāzato da quel d'Epicuro ,o di De mocrito ;i quali ciò checoloro alla mente operatrice afcrifo ſero , attribuirono al caſo ; imperocchè la divina , ed eter 1 li e ne be 12 2 na on 646 Ragionamento Ottavo 1 na onnipotenza eltimarono deboliífimo artefice cheſol yao leſſe della già eliftéte materia varie machinazioni formar ne ; e così attribuendole il poco : ilmolto , anzi il tutto negaronle , com'è il poter criare dal niente ; perchè dicono follemente, che'l ſovrano Facitore in fabbricando il mon do , tutta la materia nell'opera conſumaſſe ; e quinci avve niſſe poi , che un ſolo e'ne formafle . Ma ritornando ad Epicuro : non ci dee rucar maraviglia, s'egli sì ſconciarné te dell'onnipotenzadel grande Iddio favellaffe ; imperoc chè egli nonmeno ſciocco , che empio , immagino Iddio eſſer un'animale di ſembiante umano , come quello , ch'è più bello di tutt'altri;ma nondimeno ſtimò noneſſer Iddio corpo altrimenti , ina quafi corpo : ne aver Iddio ſangue , maquaſiſangue : Dice Epicuro ,oltre a ciò , che gli Dii ſian vaghi , adorni, e riſplendenti, e che le membra fieno umane; ma chenon abbian però uficio niuno ; e che l'al bergo degli Diilia in quello ſpazio , che vuoto rimane in fra que’tanti , e tantimondi per luifognati. Toglie affat to Epicuro empiainente poi la giuſtizia ,e la provedenza di vina; e afferma, che Iddio non cura punto di Noi, Nec bene pro meritis capitur,nec tangitur.ira; i ! e riinettendo Epicuro il tutto nelle mani della volubile , ei cieca fortuna ,con iſcioccaggine , e ſcempiezza eſtrema le attribuiſce De la terra , e del Ciel lo ſcettro,e'l regno. Ma'laſciando di più diviſar di queſte , e d'altre fimili em piczze d'Epicuro , ad ogn’un conoſciute : Io non ſo per me. come difender mai fi poſſa di’kuoi ſeguaci ciò che Epicuro dice de'ſuoi atoini, chenon poffin dividerſi'; imperocchè , quantunqué menomiſfimi; oltre adogni umana credenzali concepiſcano , ben potranno dividerſi da uno , o da più ato mi, ch'a guiſa di piramide acuti, meno di loro piccioli fia no ; ne fa punto luogo il dire , che non avendo nell'atomo vuoto alcuno , 110'l poſſan penetrare altri atomi, ne fender lo , ne dividerlo in parti;concioſliecofachè:ben potrà quell atomo, chefendere , e partire ilvoglia , con replicati colpi a poco a poco penetrarlo , e dividerlo , ma ſi può creder 1 1 1 1 imper DelSig.Lionardo di Capoa . 647 inipertanto , che ſia queſta una quiſtione vana , e che o no mai ; o rariſſime fiate avvenir poffa , che un'atomo per al tro ſi fenda , e ſi divida ; concioſſiecoſachè quantunque li tenti di fare la diviſione di qualche atomo, che in corpo faldo ſi trovi, non potendo'effer maiqueiľatomoaffatto có gli altri atomi avviticchiato , e congiunto , ſicome a chiun quedirittamente ragguarda la cofa , egli è manifeſto : gli riuſcirà aſſai più agevole in ricevendo i colpi cedere , e diſ giugnerſi dagli altri atomi compagni , a fe vicini, che'l romperhi .S'argomenta eſſer vero ciò che lo immagino ,dal vedere , che alcuni corpi faldiſfimi ſi ritrovano , i quali per qualunque forza , che l'arte , o la natura viadoperi, non ſi pofſon giammai in altri cambiare; il che altronde certamé te naſcer eglinon puote, fe no ſe dall'eſſer que’corpicciuo li tutti, che gli compongono nella figura , e'nella grandez Za non guari diſſimili infra effo loro , e dal non venir que gli mai rotti , e in particelle diviſi . Ma non mi par , che lo clebba logorar il tempo in rifiutar l'opinione del Vacuod Epicuro, apertamente perognuno ifcorgendofi falfa ; co mechè valentiſſimi filoſofi cerchino pure farla apparer vera ; poichè per tacer altri imbratti, concedendoſi ilva. cuo,converrebbe , cheli toccaſſero , e non fi toccaſſero l'u nos e Paltro di que'corpi,infra’quali fi fingeffe inframmeſ fo il vuoto . Oltre a queſto , fe infiniti gli atomiſono , ſe condo Epicuro : faran ſenza fallo ripieni di corpi tutti gli fpazj ;ne vi avrà ſpazio vuoto alcuno nell'univerſo ; in cui, comechè iinmenfo egli il faccia : Io non veggio lo , come infiniti corpi , e ſpazio vuoto infinito immaginar mai poteſ fe Epicuro . Ma non in ciò ſolamente fallar ſi vede Epicuro : maal tri , e altri errori ancor egli commettc;infra i quali mi par certamente degno oltremodo da ridere quel, ch'egli,non già per aver troppo creduto a’ſeñfi , come Cartefio crede , maperfuafo da troppo fievoli argomenti, afferma,poter ef ſere il ſole o tanto , o poco più , o poco meno grande di quel , ch'a noi ſi faccia vedere; ne men certamente rideyo le ſi è ciò , che Epicuro immagina della figura della terra , del -0 vo 1 i 648 Ragionamento Ottavo - del naſcimento , e aell'occaſo dellole , della luna, e dell'al tre erranti , e fiſſe ſtelle:: degli Idoli, o ſian ſimulacri, che ci s'appreſentan, ſecondo egli penſa , allorche noi veggia mo , e immaginiamo, le coſe ;matroppo.tedioſo diverrei, s'ogni fallimento d'Epicuro voleffi lo quì riferire : maſſi mamentequei , ne qualierrò egli inſiemecon gli altri filo fofanti della Grecia; perchè ragionevolmente forſe dir di tutti fi potrebbe ciò che d’Ariftotele , e di Platone dicea S. Giuſtino, con quelle parole : ſe l'invenzione della veri sà , come d'accordo ciaſcua vuole , è ilfine della filoſofia , Io non lo come coſtoro , i quali nonebber niuna-contezza della verità, fi debban veramente chiamarfiloſofi.E ragio nevolmente ancora S. Clemente d'Aleſſandria afferma che la greca filoſofia , a riſchio , e per ventura , come alcuni vogliono , ſuole rinvenir la verità; e ſe pur talvolta la ritro va:allora pur la prende lievemente , e alla sfuggita ,ſenza troppo minutamenteconſiderarla ; e come altri poicredo no , crae ella ſua origine dal Diavolo ; edopo altri biafimi, conchiude egli alla fine , efſer tutti rubaidi,e huomini ſcel leratiſſimi coloro , i quali appo i Grecicol nome di filoſo fanti ſi chiamavano . Ma certamente troppo a lungo , e più diquel ,che al fi 1o del noſtro ragionamento forſe conveniva ſon traſcorſo a favellar dell'antiche filoſofie ;ma non ſi dee impertanto pe rò inutile , e ſoverchio ciò reputare; poichè un de' più ma lagevoli,e de'meno forſe conoſciuti impedimenti,ch’abbia arreſtato il corſo della filoſofia , Ga ſtato quello dell'averſe fatto a credere gli huomini, chei greci filoſofiaveſſero fco perto , e compreſo tutto ciò , chenel vaſtiſlimo reame del la natura ſcoprire, ecomprender li yola per intendimento umano ; ne per aloro certa.nente , che per una tal folle cre denza egli è avvenuto,che quel tempo,checertaméte ſpé dercucco di dovea in inveſtigar con eſperienze, e con ragio ni le coſe naturali , fi fia vanamente ſpeſoin andar cercan do quali ſiano ſtati iveri ſentimenci, o di queſto ,o di quel to zuore ; perchè dicea il Signor di Montagna: car les opin mions des bommes font , recevesà la fuitte des creances an cien Del Sig. Lionardo di Capoa 649 outil ciennes , par authoritè , &à credit, commeſi c'eſtoit religion Lloy.On reçoit comme unjargon ce qui eneſtcommunement tenu :on reçoit cette veritè , avec tout for baſtiment , de ato telage d'arguments, odepreuves , comme un corps ferme ; ſolide , qu'on n'esbranle plus , qu'on ne juge plus . Au contraire, chacun à qui mieuxmieux , va plaſtrani , &con fortant cette creance receuë , de tout ce que peut fa raiſon in qui eft un útilſoupple, contournable, & accommodableà tous te figure. Ainf je remplit le monde , feconfit enfadeze ; den menfogne . Ce qui faict qu'on ne doubte de guere des choſes, c'eſt que les comunes impreſſions onne les efl ayeja mais, on n ' en fondepoint lepied , où gitlafaute, älafois bleſſe : on ne debat, que ſur les branches : onne demande pas fi cela eſt vray , mais s'il a eſte cinſin ou ainfin entendu E quinci derivar anche ſuole quella gran malagevolez za avviſata da Galieno , la quale ſi ſperimenta da chiun que vuoi ritrarre i ciechi parteggianti dal torto loro , e fal hace camino; e nel vero cotanto danno apportar fogliono le falſe apprefe opinioni, che eziandio a coloro, che mene daci han ſcoverti , e ravviſati gli autori di quelle,non per mettontalora , che fiyantaggin nella buona filoſofia s co me apertamente ſcorger ſi puote in Pier Ramo , ed in al tri molti si quali, quantunque aveſsero ben conoſciute le ſconvenevolezze della filoſofia d'Ariſtotele , non poterono alla buona ſtrada giammai pervenire : ne in cotonjuno for trarſi dalla maniera del filoſofare d'Ariſtotele;ę ciò perche, çome avviſa Renato: opinionibus ejus jam imbuti fuerant in juventute, quia ea fola infcholis docentur; adeoq; illis præoc cupatusfuit ipforum animus , ut ad verorum principiorumid Hotitiam pervenire non potuerint . Anzi Ariſtotele medeſimo , leggendo i volumidegli an tichi filoſofi , concepctie alcuno di que'ſentimenti onde , inavvedutamente poi traſcorſe in cotanti crrori. Così logo gendo egli in Ocello Lucano il melc cffer dolcc ,perché ca gioni in noi ſentimenti di dolcezza , tratto anch'egli dall' altrui errore , !! c a ciò punto badando, non dubitò di fer mamcareil medelino narrare , giudicando la dolcezza,co Nnnn me rute 1 650 Ragionamento Ottavo me tutt'altre qualità veramente nelle coſe , e non ne’ſenti menti confiftere . Che fe egliaveffe: avvilato , il medeſimo cibo ſenza punto dimutamento ad un palato, dolce ,e foa ve : a un'altro poi amaro , e diſpiacevole parere , come la colloquintida amariſſima a noi,dolce oltremodo a’topi, e ſoave li fa ſentire : certamente egli non così improvviſo avrebbe raffermata cofa non vera; e avrebbepur dubitato, non forſe ne' cibi foſſer corali particelle , dital forma , e così ordinate , e moſſe ,, che in diverſi palati, or di dol cezza , or d'amarezza faceſſer ſeinbiante . Enella medeli, ma maniera cento, e mille altre ſciocchiſſime opinionid'A. riſtotele potrei lo quì rapportare , le quali appreſe egli da. gli antichi filoſofanti . Ne ciò è maraviglia ; perciocchè p iſtudio , e fatica , che vi ſi logori' , non ſi poſſono così affac to sbarbicare dalla mentei già allignati ſentimenti,e ban deggiargli affatto che non ritornino talvolta, quando men ſi temano . Cosi avvien appunto ad una botte , o altro va ſo guaſto putente di vin ravvolto', o -inagrito , la quale av vegnachè forte fi’rada , eſilavi: non però dimeno non ſi puòella cotanto per diligenza purgare', che non ne prenda anche il nuovo vin',che vi ſi pone, e dibreve anch'egli non dia la volta , concioſliecoſachè quantunque bennetto , e forbito fipaja ilvalo', pur ne'ſuoi pori minutiſſime particel te ancora ſi naſcondono , le quali ſpiccatene da quelle del nuovo vino , o altro ſomigliante liquore , che vi ſi pone , trameſtandofi loro , agevolmente vi nuotano per entro , per opera della fermentazione poi creſcono",intanto , che infra brieve ſpazio di tempo tutto il corrompono . Così avvenir ſuole nell'anima,la quale priva , e ſpogliata affat to delle antiche notizic,da ſe medeliina in filoſofído nuo ve notizie proccuri in luogo dell'antiche introdurre ; eri porre ; poichè le nuove ſpezialmente , ſea ciò ſpinte ſono da quelmovimento , chenello ſpeculare neceſſariamente ſi fa , eccitano , per qualche ſomiglianza , che è tra loro , alcuna dell'antiche, che a caſo rimaſta , ma celata viftia; dalla quale poi sēzamolta malagevolezza infecte elle ne riman gono . Eco Del Sig.Lionardodi Capoa : 651 E comechè ciò baſtantemente , per quel ch'Io micredaj a ciaſcun lia manifeſto , pur d'avantaggio ne può eſſer chiar ro per ciò , che nella memoria artificiale fortir ne ſuole Sogliono coloro , che all'arte ,veramente maraviglioſa del ricordarſi ſtudioſamente intédono,d'alcuniſpeziali luoghi valerſi quali ſiá loro sépre ſenza fatica niuna nella memo ria, come uſati, e domeſticiaffai , e oltre a ciò ſiano in qualche guiſa ſomiglianti, o uguali alle coſe che ſi voglio no ricordare ; acciocchè quando poi fia meſtieri, nel fuo proprio luogociaſcuna coſa appiccata, dipreſente rinven gano ; e le coſe già alla memoria preſenti,loro facciano ve nire avanti le lontane. Delche certamente ne fa manifeſta pruovà ciò che ſovente noi ſperimentiamo; che in ragio nando d'arca , o di forziere , che in noſtra caſa ſia , ne fov viene tolto di libro, o di veſtimento ,o d'altra coſa ripoſtavi; eda divifamenti de palagj,o delle terre , ſubito ne ſi rap preſentan coloro, ch’ividimorano, o che da prima gli fab bricarono , o che un tempo ancor vi ſono dimorati: Cosi anche un'amico né fa rimcmbrar d'altro amico: e anche de nimici di ciaſcuno , io nominandolo ne ſovviene . Perchè al noſtro amorofo M.Franceſco Petrarca , il ſolomovimé. to dell'aura , dolcemente faceva venire avanti madonna Laura , eltempo ch'e' da primamirandola ſe n'innamoro: L'aura ferens , che fra verdi fronde Mormorando a ferir nel volto viemme Fammiriſouvenirquard'amor diemme Le prime piaghe sì dolci je profonde; E'l bel viſo veder , ch'altri m'aſconde, Che ſdeguo, o geloſia celato temme. Ma veggio , e per avventura con qualchevoftra noja eſ . fermi troppo dilungato in ragionando, e affai più certamë te di quel, cheaveva lo già propoſto di fare; non per tan to prima d'imporre a’miei ragionamenti fine , mi convienu tirar la coſa un poco più avanti. Dico adunque , che non giová punto ,cheſieno ben inteſi gli fcolariin filoſofia » in chimica , in medicina , e in tutte altre coſe, che diſopra diviſammo al medico far meltieri, ſe finiti i loro ſtudi egli Nnnn : 2 no per 052 Ragionamento Ottavo ao per convenevole ſpazio di tempo non ufino qualche ſpedale, con por mente ivi alle malattie , e alle maniere , che vengon tenute nel medicarle; e qual pro ,e qual danno ricevan daʼmedicamentiglinfermi; ed egli è coſa nel vero queſta così rilevante , che non ſi dovrebbe certamente co ventar mai fcolare , il quale con fedi autentiche , e con te ſtimonj non provaſſe aver lui in ciò fare tutta la ſua indu ftria, e diligenza adoperata. Sidovrebbe oltre a ciò prima di conventarlo ftrettaméte eſaminar lo ſcolare per limae ftri delle ſcuole , a ciò deſtinati, in tutte le coſe all'arte ap partenenti, e ſpezialmente nella chimica ; la qual cotanto dicemmo effer a' medici neceſſaria , e di tanto riſchio a co loro , chepienamente non la poſſeggono; e a ciò certamen te con ogni rigore , ligati con facramenti , econ pene do vrebbono intendere imaeſtri,oltrea queſto de coſtumian cora dello fcolare converrebbe , che minutamente fi ricer caſſe , acciò per ogni capo s'eleggeſſero medici, quali gli abbiam noi giuſta ogninoſtra pofſa al prefente diviſati; e sì forfe per innanzi cefferebbono, quanto l'incertezza di co tal meſtiere comporta , i fallimenti de'medici: e'l co mune in qualche parte ſe ne riſtorerebbe ; ne da altro cer tamente naſce , ſe non fe dal non uſarhi queſte diligenze nell'accademie, allor che vi ficonventáno gli ſcolari , che così fortemente vengano elleno talora biaſimate :approba jiones,dice il Primeroſio , fapienterà majoribus inftitutæ,ele gantes ſunt quidem , & neceffaria , fed deberent diligentius obſervari . At jam omnia negliguntur , nam quibuslibet guantumvis ſeiolis gradus exbibetur doctoratus unde ft, utex quibuſdam Academiisredeant ductores parum da fti , nihil minus , quam apti ad medicinam , aut docendam , aut faciendam . Ne perciò giudico lo convenevole , come alcuni vogliono , che i medici giovani, ſpezialmente que', che in Salerno furono conventati , fian di nuovo daeſami nare ; imperciocchè baſtar dee quell'eſaminazione , allas quale eſli foggiacquero prima d'eſser conventati , accioc chè fenz'altra pruova tare del lor ſapere poſsano per innan zi liberamente medicare . Nealoriinenti volle il Re Rug gieci Normanno , ove per legge comandò non poterſi il peri Del Sig. Lionardo di Capoa 653 pericoloſo meſtier della medicina uſare ſenza ſpezial lice za de' regjminiſtri a ciò deſtinati ; e l'Imperador Federi go pur v'aggiunfo , chei medici del ragguirdevol Colle gio diSalerno doveſſero effer teſtiinong, che colui , che aw medicare inprenda, da tanto ſia ; perciocchè parlando de gli Impirici , folamente i conventati manifeſtamente ne ri ferbarono ; ne vollono eſſere da eſaminar coloro , a’quali la cura d'efaninare altrui era per lor commeſſa. Così An drea d'Iſernia ſpiegando que’capitoli dice delle bollettes delle licenze : Doctor medicinæ practicabitfine literis , quia fuitexaminatus , quando fuit doctoratus , &approbatus; for cut ibi diximus de Advocatis.. E Matteo degli Afflitti. pa. rimente dice efferſi ciò mai fempre oſſervato , che iconvé tati di Napoli, o di Salerno fenz'altra bolletta , per tutto il noſtro Regno , poſlan liberamente andarmedicando :ne altrimenti effer mai avvenuto : eft fciendum ,dice l’Afflitti, quod à tanto tempore , in cujus contrarium memoria hominio non-exiſtit,nunquam fuit fervatum , quod magiftri medicine approbati in Collegio medicorum Salerni, vel Neapolis ha beat quarere literas Officialium Regis, vellicentiam à Rege , vel vicerege medieandi in Regno. Perchè ſarebbe molto ſco cio il mādarſi ciò avanti ; e larebbe certamente un togliere l'autorità a'noftri Collegj di più conventar perſona in me dicina ; cioè a dire , di dar licenza di liberamente me dicare ; ſenzachè non ſapreiIo certamente , quali medici farebbon da eſaminare ; perciocchè egualmente i giovani , ei vecchi, anzi maggiormente nel vero i vecchj ne han data cagione di farne richiedere a parlamento . Ma come potrebbon le ſecrete eſaminazioni a buó fine giammai riu . fcire , fe per averle conoſciute ſcempie ', e manchevoli , i Principi, e le Comunità ne’loro reggimenti han,, per mio avviſo le pubbliche eſaminazioniinſtituite . Sogliono re carſi per eſemplo coloro , che queſta novella eſaminazione de’mediciintrodur vogliono , i legiſti ; i quali da non mol to tempo in qua ſogliono eſſer eſaminati, quantunque co ventati :maben dovrebbono avvertire , che gli Avvocati non mai vollono ſoggiacere atale eſaminamento : eleggen ; do an 654 Ragionamento Ottavo doanzi d'abbadonare il meſtiere, quátūquel'eſaminazione aveſse a farſi da'ſupremi miniſtri, e in alfai orrevol maniera; e fol rimaſe,che coloro ragionevolméte nel vero vi foggia ceffero , a'quali , o alcun governo , o altro onore s’aggiu gneſſc. Ne mégiudico Io ragionevole quel diviſo di dover eſa minarſi almeno i noſtri medici in Chiinica ; da che la Chi mica cotanto neceſſaria alla medicina eſfer narramıno;per ciocchè da cotali eſaminazioni grandi ſconcj certamen te al noſtro comun ne feguirebbono , per molte , e mol te cagioni , le quali lo taccio al preſente per eſſer ciò ba ftantemente, a ciaſcun manifeſto ; ſenzachè i vecchj anco ra , anzi con maggior ragione , che i giovani , farebbon da eſaminare ; richiedendoſi.comunemente a ciaſcun medico la chimica , ed eſsendo aſſai meglio i giovani , che i vecchi medici inteſi di quella. Ma de’volgari impirici farebbe da prendere, ſe pur si potesse, strettiſſima cura, acciocchè per lordappocaggine al cun nocimento al noſtro comune non ſiegua ; e comechè intorno a coſtoro baſtantemente di ſopra la detto , pure fi dee por mente a ciò ch'avviſa Galieno , allor ch'eglidice, che il curar qualunque, avvegnachè leggeriſſimomale, d' altri non ſia , ſe non ſe ſolamente di coloro, i quali di tutta la medicina pienamente fian inteſi; concioſliecorachè uns male foglia ſovente con altro male eſſer congiunto ; e ſo glian talora , o per.cagion delle medicine, o peraltro sì fat to accidente ſopragiugnere : cheda colui , ch'un ſol medi camento ſappia , non ſi poſſa dar compenſo. Oltre a que fto , nel conoſcerſi delle malattie , aſai ſovente glimpirici s'ingannano: togliendo in cambio ſcioccamente una per al tra , e contrarj rimed, talora imponiendo ; nella qual mala ventura , comedicemmo, cadono talora , anche i più ſcie ziati medici per la dubbiezzade'ſegnali. Perchè ſarebbe certamente il migliore victar a coteſti volgari Empirici il medicare;e miglior séza fallo ſarebbe ſtato il provvedime to del Senato di Parigi, fe del tutto aveſſe agli Empirici il medicar proibito , e non permeſſo loro il farlo lol coll'ap prova Del Sig.Lionardo di Capoa 051 poter mc provagione,e licenza de’dotti medici;ed ebbe il torto di la gnarſi di loro Anneo Roberto dicendo , che all’onta di tut te le proibizioni eglino il capo alzaſſero ; imperciocchè no mai aſſolutaméte allo incotro furon: proibiti,ſë ſotto condi. zion ſi permiſero,perchè daʼmedicijnõoſtante il gran male , ch'ei fanno di leggieri ottengono la licenza del dicarc. Ma tacer non fi dec ciò, che degl'impirici racconta Giacomo Silvio : in montepeſſulano's clarifima, & antia quiſſima medicinæ academia , fi quis borum nebulonum feme: dicummentiatur , mox raptus in afinumftrigofum , fiin venitur fcabidum , ſublimistollitur , averfus, urbe tota cir. cumducitur,Scommatisundique incefitur , conſpuitur,pulfa; tur, laceratur, fordibusomnis generis conſpurcatur; ceu olim Sacra illa mafilienfium vittima :poftremo expiata urbe ejici tur , illuc nunquam rediturus, niſi malo ſuomaximo. Magià baſtantemente ſecondo noſtra possa avendo de medici ragionato, trapaſſeremo a diviſare al preſente de gli Speziali ,i quali debbon lavorare i medicamenti; maffia mamente chimici ; il quale fu il ſecondo capo , onde mofle il noſtro ragionamento. Veggiam dunque brevemente , quali coſe, e quante abbiſognino a colui che voglia van taggiarſi in sìnobilmeſtiere . Immagina il volgo, che age volitima faccenda fia a ſaper fabbricare imedicaméti; per chè in man di perſone di poco ſapere , edipoca licva ado perar ſi rimira . Mio quanto di lungo certamente coſtoro ingannati ci vivono! imperciocchè atal meſtier richiedonſi poco men , che tutte altre códizioni,ch'a coloro ſon d'huo po ) che il rimanente tutto della medicina apparar bene, e lodevolmente intendono; e ciò ſenza , che lo troppa fati ca vi duri, agevolmente ſi può comprendere per coloro che alle biſogne tutte d'una cotalarte fiſamente riguardano. Ma concioſliecolachè i guaſti, e biaſimevoli coſtumi del ſe colo ciò non comportino ' , dovrebbe almen chi deſidera una tanta impreſa leguire,oltre alla ſua natura, e a'genero fi, c lodevolicoſtumi,eſſer mezzanamente, per tacer dell' Araba , almeno della latina , c della greca lingua inteſo , per dover poi intendere i varj, e diverſi ſcrittori, che nell' una, e nell'altra lingua materie a ciò appartenenti deſcri vono. Appresso egliè dimeſtieri aver continuo tra le ma ni pronta , e apparecchiata la conoſcenza , non folamente di que’vegetabili,o minerali, o animali, che maneggiar fo vente coſtuma , ma di quelli ancora , che nelle ſtrane, enon ordinarie compoſizioni de’medicamenti gli poteſſero tale ra dal medico venirimpofte . Dovrebbe oltre a ciò eſler pienamente informato degli ſtrumenti tutti, e ordigni dell' arte, e delle convenenze, e proporzioni ancora , che alcu ni di quelli han co’ſemplici , de' quali egli nel ſuo lavorio ſervir li dee . Ma ſopra tutto convien , che la propietà , e la natura del fuoco egli perfettamente ſappia ; acciocchè poi comprender appieno ,e ravviſar poſſa quelle alterazio ni , che indi le medicinali compoſizioni ricever fogliano ; alla qual coſa certamente aggiugner non potrà colui, che non prenderà per guida, e per iſcorta la Chimica ; ſenza la quale Io non veggio , come bene , e lodevolmente per huố li poſſa un sì malagevole meſticre adoperare ; ſenzachè migliore aſſai, e di maggior giovamento all'uman genere farebbe , ficome altrove abbiam detro, ſe da ſoli medici i medicamenti li lavoraffero ; perciocchè, quanto a me , lo non ſo a niyn modo comprendere , comemai perfettamen te fabbricargli colui poſsa , il qual non abbia in prima le manicre tutte del loro operare con gli occhj propi piena mente conoſciure. Perchè dovrebbono finalmente gli ſpe ziali , oltre alle ſopradetre coſe , avere in prima tanto qua to ſtudiato in medicina , ed in qualche ſpedale co ' pro pj occhj all' operazioni de’medicamenti riguardato . E ſcorgendofi omai in tutte botteghe di ſpeziali aver non poca quantità di chimici medicamenti, non ſi dovrà più avanti dubitare, convenir lo ſpeziale almen per queſto ca po eſser della Chimiea baftevolmente inteſo , e ſperto , In quanto alle Chimiche medicine poi, comcchè per noi fia ſtato di ſopra baſtantemente raffermato , che il fabbri. carle propiamente appartenga a medici; non però di meno da cheimedici, o non vogliono per lor tracoranza , o non fanno , o non poſsono invilupparvili,lo aſsai ben giudiche ici , Del Sig. Lionardodi Capoa. 057 rei , ch' a' ſoli speziali, e a tali , quali noi diviſamino ſe ne commetteſse ſtrettamente la cura ; ne altra privata perſoni s'inframmetteſse di lavorarne alcuna ; male compoſizioni de'più pericoloſi, e rilevanti medicamenti, o da medici lo li, come dicemmo lavorar ſi dovrebbero , o almen dagli ſpeziali in preſenza de'medici . Ne è da dir con alcuni, po terſi alle ſconvenevolezze tutte ripararare colla ſola eſa minazione, che delle medicine chimiche fi' faceſse allor che ſiviſitano , come dir ſi ſuole , le ſpezierie ; concioffie coſachè vana ſenza dubbio , e inutile cotal eſaminazione riuſcircbhe: per non poterſi mai , per ſogno niuno, lorvir tù , e lor forza baſtantemente avviſare . Echi mai ne' bof foli delle botteghe , la bontà, e finezza del mercurio di vi ta, dell'antimonio diaforetico, delbelzoardico minerale , e d'altri , e d'altri sì fatti medicamenti d'odore , e di ſapore affatto privi,per pruova de’ſentimenti avviſar mai ſapreb be , e l'eccellenza , e la perfezione ridirne, ſenza eſsey irl prima cgli ſtato preſente al lor lavorio E tanto queſta ma iagevolezza dell'indovinare i chimici medicamenti anche per li macſtri di quelli è grande , che cziandio de'più me nomi,e comunalinon ſi può nulla di certo fovétemente di viſare; ſicome que'ſali, che fiffi diconſi ci danno apertamen te a divedere ; imperocchè i fali fiſi , per nulla dire del fa pore , che in tutti il medeſinio appare ,ne alle varie manie re , chcin criſtallizandofi, per valermi d'una parola dell' arte , ſoglion figurarſi: ne a' varj colori ,de'quali veſtono il precipitato colcotare , ne ad altro ſegnale può niuno macſtro , comęchè ſperto , e ſaggio in chimica, certamente ravviſare, e ſicuramente de terminare di qual pianta , di qual animale ſieno ; conciofficcofachè parecchj ſali di diverliſt me piante fra eſſo loro ,prender ſogliano in criſtallizandoſi la medeſima figura , e del color medeſimo veſtir anche ſo gliano il colcotare ; ma onde ciò avvegna , non fa iuogo ora , che lo imprenda ad inveſtigare , eſſendo oltre traſcor ſo tanto co’miei ragionamenti, che mi convien riſerbare , più d'una coſa al nostro proposito appartenente, ad altra, Oooo più agiata opportunità ; la quale ſe miverrà mai, come pero, diviferonne forſe pienamente, e di vantaggio in uno ſpezial libro , il quale lo ora ſto intero a comporre. Alcesto Cilleneo (arcade). Lionardo di Capoa. Leonardo di Capua. Keywords: filosofia romana, Aristotele, filosofia, ragione debole, La Crusca, comunicazione, platone. Incertezza, investigare, gl’investigante, vestigia lustrat. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Capua” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691229541/in/photolist-2mTdSm7-2mSEtHs-2mRb398-2mPwGPf-2mPtnaL-2mNzeEc-2mMYDGZ-2mMZQZW-2mLLZRD-2mLLwjC-2mKQ5j7-2mKM4Dx-2mKGd6B-2mKPDck-2mPpskp-2mKbkhx-2mJq2uE-C5ierD-BxCpRq-BxCnkJ-ACvZaD-nTocck-o7QZ82-mujisr

 

Grice e Carabellese – la sabbia e la roccia – il segno – filosofia italiana – Luigi Speranza l(Molfetta). Filosofo. Grice: “I love Carabellese; his masterpiece is ‘the rock and the sand,’ which reminds me of Tuke’s Cornwall! – Tuke captured some dialectic on the sand and rocks, which I’m sure were common in Ostia, too, back in the day! Carabellese speaks of a ‘semiotic scandal’ so it all connects with my pragmatics of dialectics or conversation.” Studia a Napoli e Roma. Insegna a Palermo e a Roma.A partire da una critica ferrata alla dottrina cartesiana (Le obbiezioni al cartesianesimo; il metodo, l’idea, la dualita; Il circolo vizioso in Cartesio) porta a compimento studi critici su diversi autori, tra i quali spiccano Kant e  Rosmini. Elabora la dottrina dell'ontologismo critico, in cui l'essere non è mero oggetto della coscienza ma è a essa intrinseco come fondamento irriducibile, cioè essere-di-coscienza, che in ultima istanza altri non è che Dio (che, come già asseriva Vico, "è" e non "esiste").  Difese l'oggettività essenziale dell'essere e la filosofia, non come sapere specialistico trincerato, ma come operatrice per l'umanità tutta così che la coscienza filosofica esplica quella teoria che nel diversificarsi concreto della spiritualità risulta necessariamente implicita. E allora lo sforzo della filosofia non potrà mai, quindi, essere compiuto atto seppure la teoria si attui sempre in una pratica, che è l'altro termine del concreto. Insomma Carabellese difese la filosofia come ascesa teoretico-razionale a realtà teologiche, o come sentiero che volge al fondamento comune della vita politica e che alla politica rimane irriducibile. Altre opere: Critica del concreto; Il problema della filosofia da Kant a Fichte; Il problema teologico come filosofia; L'idealismo italiano; L'idea politica d'Italia; Da Cartesio a Rosmini. Fondazione storica dell'ontologismo critico. L'essere e la manifestazione. L'essere e la manifestazione: Dialettica della Forme. L'essere. Filosofo della coscienza concreta, Ravenna, Edizioni del Girasole. La sabbia e la roccia: l'ontologia critica di Pantaleo Carabellese. Il problema dell'io in Carabellese. Metafisica in Pantaleo Carabellese. Kant e Carabellese.  Dizionario Biografico degli Italiani. Autolimitazione della metafisica critica? Momenti della recezione italiana di Fichte con particolare riferimento all'ontologismo critico di Carabellese. E anche per lui lo gnoseologismo era il fraintendimento della vera scoperta di Kant , ed era all ' origine della moderna ... intesa come « scoperta » deriva quell ' approfondimento dei concetti tradizionali che il Semerari chiama « lo scandalo ...seDalla filosofia intesa come « scoperta » deriva quell ' approfondimento dei concetti tradizionali che il Semerari chiama “lo scandalo linguistico,” cioè la terminologia dell ' Ontocoscienzialismo , a prima vista sconcertante. See also the important chapter " Lo scandalo linguistico , " in G. Semerari , La sabbia e la roccia. Merleau - Ponty , Sens et non - sens , Paris , Nagel , 1948 ; It . trans . by P. Caruso , Senso e non senso , Milan , Il Saggiatore. La ontologia di Carabellese, così, si prospetta come una ontologia della coscienza assiologica e semantica, ossia come una critica antinaturalistica e antipsiscologistica dei valori e dei significati dell’essere»42. L’importanza del lavoro filosofico carabellesiano, secondo Semerari, consiste nell’esigenza radicale di lavorare alle radici del linguaggio filosofico, di andare al di là della storia già fatta, come scrive Semerari citando Carabellese43, scendendo sino ai suoi presupposti: ciò significa portandosi al grado zero della parola per reinventare il linguaggio filosofico e le connessioni che in esso si sono stabilite lungo la sua storia, a partire dalla cosa stessa, ossia dall’essere in cui la coscienza è già implicata. Scrive Semerari: «Sotto questo riguardo non si può trascurare la convergenza con la ontologia critica di quella parte della filosofia linguistica contemporanea per la quale, al limite tra fenomenologia, esistenzialismo e analitica, porre la questione del linguaggio è portarsi al grado zero della parola, al silenzio come radice di ogni possibilità linguistica, fare giudice della critica del linguaggio, com’è stato suggestivamente detto, la ‘coscienza silenziosa’. singolari di Coscienza si costituiscono come soggetti pensanti in comunicazione tra loro. L’alterità dell’altro io presuppone l’identità dell’io che lo esperisce come altro. Reciprocamente la coscienza della propria identità egologica richiede il rapporto di alterità come intrinseco all’essere stesso dell’io. L’alterità sempre afferma chi dice io, il quale ciò dicendo, anche trascendentalmente si distingue, senza per questo separarsi assolutamente, da un chi che riconosce di fronte a sé [...]. Con questo chi egli afferma una relazione reciproca con la quale attua l’egoità. Soggettività ed egoità pura sono sempre pura alterità»19. L’alterità di ciascun io è, come scrive Carabellese, «l’insondabile residuo di meità intraducibile in esperienza dell’altro. Ma questa intraducibilità, che è il limite che la meità ha nell’esperienza, non prova che l’alterità sia soltanto di esperienza e non pura, ma prova, precisamente, il contrario, e cioè che, a fondamento dell’alterità empirica, c’è l’alterità pura come schietta egoità»42. Alterità e non assolutezza dell’io L’Essere di coscienza richiede la compattezza non la relazione fra Oggetto universale, Dio, e soggettività molteplice. La relazione è fra i soggetti: infatti, l’io come uno esistente, implica necessariamente l’altro, che è sempre un altro io, sottolinea il Carabellese. Diversamente l’io assoluto fichtiano, dilaga nella coscienza, identificandosi con essa, riducendo l’oggettività a negazione; ma resta così l’io nella sua solitudine e, senza l’altro, cade nel nulla del non pensare. L’io fichtiano, nell’interpretazione del Carabellese, elimina gli altri io dalla coscienza, assolutizzandosi, ma in tal modo perde la meità, approdando all’Unico, che egli vede come una nuova forma di eleatismo8. Il Carabellese sottolinea che se non è da percorrere l’identificazione dell’io con la coscienza, tuttavia questo non conduce alla cancellazione della meità; invece, pensare l’immediata appartenenza del me all’essere di coscienza, non assolutizzando il me, apre ad intendere gli altri. Non l’annullamento del me costituisce la base per la relazione responsabile in sede etica (Lévinas), ma proprio partendo dal me, per il Carabellese si giunge agli altri come altri “di” me, esistenti nella loro singolarità, non si giunge agli altri “da” me. Il me esistente nella purezza dell’Essere di coscienza apriori di cui parla il Carabellese, in primo luogo non si identifica con il corpo, in quanto quest’ultimo trova il suo limite nell’altro corpo e, più in generale nell’altra cosa: «Io, come innegabile esigenza di coscienza non sono, o se volete, non sono affatto corpo. pur mio. Ora la differenza fra me, che pur sono uno esistente, e il mio corpo, che anch’esso è uno, sta proprio (non se ne può trovar altra) nel limite, che il mio corpo trova negli altri corpi, e che io non trovo, se non voglio cadere nell’assurdo di ritenere me il mio corpo» Carabellese rifiuta l’ipotesi materialistica, perché se l’io si identificasse con il corpo non potrebbe affermare nemmeno la propria corporeità, ossia che il corpo è suo. Nella concezione materialistica l’io si identifica con il corpo che diventa la radice dell’opposizione con gli altri. Se si realizzasse questa identificazione in realtà si avrebbe la soppressione dell’io come uno di coscienza, e anche gli altri non sarebbero più altri uno di coscienza. Il nulla del non pensare si porrebbe contraddittoriamente come l’essere. Anche la concezione spiritualistica che intende l’io come spirito finito, ha come esito la riduzione dell’io a corpo, perché sostenere la limitatezza dello spirito implica sottoporlo al limite, come il corpo, eliminando così il me. Anche se Fichte ha evitato la riduzione dell’io al corpo, non ha tuttavia salvato la meità identificando l’io con la coscienza. Infatti nell’io empirico il me è sostanzialmente ridotto a corpo, a non-io. Solo l’Io, unico, assoluto pone se stesso. In Hegel, poi, ogni residuo di meità è tolta nel Soggetto assoluto. L’io perciò è spirito infinito, ma da questo non deriva per il Carabellese che venga eliminata la distinzione dell’io dal tu nella coscienza, ossia che vengano tolti gli altri, con il rischio di tornare a Fichte. Per il filosofo italiano «togliere il limite è affermare gli altri», non annullarli; infatti, per giungere alla negazione dell’altro, o degli altri, «bisogna prima ammettere – osserva il Carabellese – che gli altri, in quanto tali, escludano l’uno di tale essere, e che l’uno esclude gli altri; bisogna cioè cominciare proprio con l’opporre ad uno gli altri dall’uno, ritenendoli diversi ed opposti a questo e cioè col presupporre che uno (io) sia la coscienza, e gli altri no, e perciò siano non io, non coscienza. Cioè bisogna cominciare col presupporre la empirica limitazione dei corpi, la quale appunto, nella identificazione di me col corpo mio, fa ritenere me, col mio corpo, coscienza e gli altri, che col loro corpo limitano il corpo mio, non coscienza»11. Già ne Il problema teologico come filosofia il Carabellese afferma, polemizzando con Fichte, che la molteplicità soggettiva non è semplicemente empirica, ma pura, condizione trascendentale della “concretezza”; la singolarità non è solitudine, ma relazione reciproca nel pensare, sentire, agire l’Universale/Dio. L’io esistente, singolare, è uno, e come tale è ciascuno, essenzialmente altro. «Il singolare è quell’uno, di cui si sa l’alterità, ed è perciò ogni uno, ciascuno, unusquisque. Uno che non sia ciascuno, non è uno. E, ancora più incisivamente: «Io sono altro: solo così “sum qui sum”» L’altro, spirito infinito come l’io, per il Carabellese non è esteriore, né eterogeneo rispetto al me, non si risolve in una identificazione con l’oggetto realisticamente inteso. Nell’ultimo sistema il Carabellese sostiene l’“identità” dei soggetti pensanti, portando alle estreme conseguenze la determinazione dell’omogeneità, senza però indicare come possano differenziarsi i soggetti l’uno dall’altro. Il rischio dell’annullamento dell’alterità, pur se non voluto, è evidente; infatti per spiegare il darsi della molteplicità soggettiva egli parla di alterazione, come moltiplicazione infinita riferendola però non all’uno, al soggetto, ma all’Unico, ossia all’essenza divina, al che. Tuttavia, se la moltiplicazionealterazione è riferita dal Carabellese all’Unico, non all’uno: allora l’altro, è un altro uno, ossia un altro soggetto, oppure un impossibile altro Unico? Ed essendo l’Unico non soggettivo, come possono derivarne i soggetti? In realtà possiamo muovere anche al Carabellese l’osservazione di involgersi in una sorta di circolo fra Dio e io, in quanto se da un lato Dio è la qualità infinita di cui l’io è terminazione, moltiplicazione/alterazione, nello stesso tempo a Dio, in quanto non soggettivo, sono necessari i soggetti pensanti. L’uno di cui parla il Carabellese è l’io che immediatamente si intuisce singolare, e che altrettanto immediatamente avverte l’alterità: «Uno che non sia ciascuno, non è uno», afferma eloquentemente. Egli sente il pericolo di ricondurre e ridurre la meità ad una ciascunità di identici, perdendo l’originalità e l’inconfondibilità di ciascuno nei confronti degli altri. Tuttavia per il Carabellese invece proprio il recupero dell’altro consente la realizzazione di sé. Ma, se si andasse più profondo in questo amor di me spirituale, che è, o dovrebbe essere, l’amor proprio, se si sviluppasse ciò a cui esso mi costringe, si vedrebbe, che, se io veramente voglio dare una positività a questa negazione del “non tu”, se non voglio divenire un puro e semplice “non” devo considerare me come uno tale che possa e debba riversare l’amor di me uno in altro uno, che è uno come me, cioè devo riconoscere l’unità, che sono io, nell’alterità. L’amor mio proprio, che non voglia essere soltanto amor del mio corpo, è proprio amor dell’altro. L’amor proprio spirituale non mi costringe alla assolutezza (unicità e incondizionatezza) della mia unità, ma proprio alla sua alterità: l’amore è sempre amore di altro: è la grande scoperta di Cristo»15. La struttura dell’essere di coscienza apriori richiede l’alterità e Dio o, in altri. termini, l’uno molteplice e l’Unico: in tal modo è la stessa struttura coscienziale a dare fondamento alla carità. L’amor proprio e l’originalità di ciascuno si afferma e realizza nella relazione e nel riconoscimento degli altri: «Io facendo dagli altri riconoscere me tra essi, e riconoscendo me come altro, non tolgo ma affermo la mia originalità»16. Per il Carabellese l’amor di sé ha insita l’esigenza della relazione con l’altro; solamente chi concepisce l’io come l’Unico chiuso in se stesso, privo di meità e di relazione, il solo, parla di offesa dell’amor proprio, ma in realtà non si avvede che quell’Unico non è più nemmeno soggetto. Tuttavia i problemi restano: la relazione con l’altro identico rischia di essere più un narcisistico rispecchiamento, che una vera relazione, più una sorta di moltiplicazione dell’Unico, un suo reiterarsi che il faticoso cammino del riconoscersi. Fra i soggetti nella loro purezza, per cui sono infinitamente penetrativi e interi nella loro relazione, l’identità è già data immediatamente: ma allora non si comprendono gli erramenti, le lotte e gli scontri a livello empirico. L’altro per il Carabellese è un altro me, non la negazione del me. Ineludibile il riferimento al Parmenide platonico e all’opposizione che Platone pone tra uno e altri. Per il Carabellese, sulla base dell’essere di coscienza, tale opposizione non si dà; alla domanda del Socrate platonico su quel che siano gli altri, quando io sia, si può rispondere, che essi, non sono altri dall’uno ma altri uno, sono perciò altri “me”. Il Carabellese individua la causa della “cacciata” degli altri dalla coscienza nella erronea identificazione della coscienza concreta con l’io: per tale scambio l’io annulla la “qualità” di cui insieme agli altri è individuazione senza esaurirla. Nello stesso tempo si annulla la “quantità” pura, restando il solo, che cade nell’assurdo di non essere né soggetto, né oggetto. L’io infinitamente aperto, illimitato, identico, intero pur se nell’essenziale relazione, di cui parla il Carabellese è apriori, non si identifica con il singolo uomo vivente, limitato nello spazio e nel tempo: essere condizionato e limitata persona dell’esperienza, presuppone essere soggetto incondizionato e illimitato nell’essere di coscienza puro. Sembra presentarsi una scissione fra il soggetto in quanto pensante e l’uomo vivente spazio-temporalmente, fra “miglior coscienza” e “coscienza empirica”, per utilizzare in chiave euristica espressioni del giovane Schopenhauer, che riflette sulla duplicità della coscienza, non facendo ancora riferimento alla volontà come principio metafisico. Però proprio il pensare, da lui inteso in senso ampio come intendere, sentire e volere che si esplicano nell’attività spirituale umana, esige il livello della purezza coscienziale. Come abbiamo visto in precedenza, per il Carabellese l’assolutizzazione della. Cfr. A. Schopenhauer, La dottrina dell’idea, antologia a cura di E. Mirri, Armando, Roma. dimensione spazio-temporale, ossia del limite, condurrebbe all’annullamento dell’attività spirituale umana. Il Carabellese non intende semplicemente opporre la propria concezione a quella fichtiana, ma intende condurne all’estremo le conseguenze, ipotizzando una sorta di esperimento mentale. Infatti, se l’Io si ritenesse assoluto e si arrogasse il diritto di sopprimere il tu, riducendolo soltanto a sua esperienza, allora «rimarrebbe sì, solo Io, ma solo in quanto avrebbe soppresso il tu e quindi anche l’esperienza, che egli ne ha: non ci sarebbero più i tu, che egli dovrebbe dimostrare essere soltanto io empirici: gli altri non sarebbero empirici, non ci sarebbero. Or senza i tu (altri) ci sarei ancora io (uno)?»18. In realtà, per il Carabellese c’è un'unica soluzione, che esclude la fine tragica della disputa: «Non c’è dunque altra via d’uscita da esso, se non quella che io non mi contenti di ricambiare la tuità, ma gli ricambi proprio la meità, riconosca in lui non un tu posto da me (Fichte) ma un altro io, e perciò mentre gli riconosco la meità, che egli non mi riconosce, gli contesto il diritto di trasformarsi in Io assoluto, mostrandogli che così egli sopprime se stesso come io, e nega l’assoluto facendolo, lui, sapere e parlare come Io»19. Dio, ossia l’Unico, non è soggetto, ma come qualità infinita, costituisce l’essenza di cui i molti soggetti sono individuazione o moltiplicazione, con tutti i problemi che ne conseguono20, compreso il possibile l’esito fichtiano. Secondo il Carabellese si può dire che «sono l’identico io proprio perché siamo due»: se fosse eliminato il tu come altro me, riducendolo ad esperienza, sarebbe eliminato anche quel consentire in cui consiste la stessa esperienza. Non solo l’esperienza richiede la dimensione comunitaria, ma in generale il pensare, che è essenzialmente un convenire, un cum-sapere21 l’Universale, Dio. Quel cum non è un'aggiunta irrilevante, in quanto la dimensione intersoggettiva, comunitaria, è essenziale a tutte le forma dell’attività spirituale umana. «Ci sarà – afferma il Carabellese –, anzi c’è senza dubbio, quella empirica alterità, nella quale ciascuno di noi presenta all’altro un insondabile residuo di meità intraducibile in esperienza dell’altro, ma questa intraducibilità, che è il limite che la meità ha nella esperienza, non prova che l’alterità sia soltanto di esperienza e non pura, ma prova precisamente, il contrario, e cioè che, a fondamento dell’alterità empirica, c’è l’alterità pura come schietta egoità, prova che il limite empirico, che separa me da te, persone viventi, non è la stessa alterazione pura di noi altri due, ciascuno singolare; io, alterazione pura, per la quale ciascuno, con la propria unità è immesso nell’altro uno, Cfr. F. Valori, Il problema dell’io in Pantaleo Carabellese. Cfr. in proposito P. Carabellese, La coscienza. immissione, senza della quale è assurdo non solo l’innegabile consentimento ma anche la divergenza di noi nell’alterità nostra; consentimento, e divergenza, per i quali noi, ciascuno come altro, siamo tanti soggetti dell’Unico, che è immanente a noi molti»22. La differenza fra le egoità si dà solo a livello empirico, a livello trascendentale e metafisico i soggetti sono identici, interi23 e, nello stesso tempo infinitamente penetrativi24. Pantaleo Carbellese. Keywords: la sabbia e la roccia – il segno, lo scandalo del significato, io/tu, Husserl, intersoggetivita, razionalita strategica, razionalita comunicativa, complessita intensionale, il significato, i significati, l’insieme, la comunita, il noi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carabellese” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51777371015/in/dateposted-public/

 

Grice e Caracciolo – il colloquio – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Pietro di Morubio). Filosofo. Grice: “I like Caracciolo – at Harvard, I joked on Schlipp, and stated that Heidegger was then the greatest (grossest, in German) living philosopher – as he then was, living --. Caracciolo has dedicated his life to translate Heidegger’s ‘Dutch’ mannerism into the ‘volgare’: and now I have concluded that Heidegger is perhaps the grossest dead philosopher – “in cammino verso il linguaggio: il dire originario” –“.  Grice: “Note that Caracciolo’s ‘cammino’ translates Heidegger’s ‘weg’ – my ‘way’ of words – but for Heidegger is ‘way to’ (weg zur) – as it should!” cf. Speranza, “in cammino verso la conversazione” – versus “il cammino della convresazione’ –“ Grice: “Note that in Italian, unlike German, you drop the otiose ‘the’ of ‘way – “Nel cammino” is o-kay, but “in cammino” is the choice by Caracciolo!” – cf. Aligheri, ‘nel cammino’ OF his life, towards heaven, or paradise, that is.” Studia a Verona e Pavia. Fa la conoscenza di Olivelli, con il quale collaborò alla stesura dei Quaderni del ribelle. Olivelli divenne uno dei più noti martiri della Resistenza e a lui Caracciolo dedica un saggio, “Teresio Olivelli: biografia di un martire” (Brescia). Insegna a Pavia, Lodi, Brescia, e Genova. La sua filosofia si sviluppa inizialmente all'interno della tradizione crociana, ma poi acquisisce tratti più originali a contatto con Jaspers, Löwith e Heidegger. In cammino verso il Linguaggio. Di particolare interesse e importanza sono i suoi studi sul nichilismo a partire da Leopardi e sulla dimensione religiosa dell'esistenza. Nella sua riflessione egli ha pure mostrato una forte attenzione per il rapporto tra pensiero e poesia, tra pensiero e musica. Altre opere: “L'estetica di Benedetto Croce nel suo svolgimento e nei suoi limiti (Torino); L'estetica e la religione di Croce (Arona); Estetica (Brescia); Etica e trascendenza, Brescia); Arte e pensiero nelle loro istanze metafisiche. I problemi della "Critica del giudizio", Milano); Studi kantiani, Napoli); La persona e il tempo, Arona; Saggi filosofici, Genova); Studi jaspersiani, Milano); La religione come struttura e come modo autonomo della coscienza, Milano); Arte e linguaggio, Milano); Religione ed eticità, Napoli); Löwith, Napoli); Nichilismo, Napoli); Nichilismo ed etica, Genova); Studi heideggeriani, Genova); Nulla religioso e imperativo dell'eterno, Genova); Politica e autobiografia, Brescia); Leopardi e il nichilismo, Milano); La virtù e il corso del mondo (Alessandria); L'assolutezza del Cristianesimo e la storia delle religioni, Napoli); Filosofia della religione; In cammino verso il Linguaggio; Theophania. Lo spirito della religione antica. Filosofia umana. Esistenza e Trascendenza. Lo spazio della trascendenza. La prospettiva estetica ed etico-religiosa. Caracciolo. Sentieri del suo filosofare. Unterwegs zur Sprache. In cammino verso il linguaggio. F.-W. von Herrmann, Die Sprache. Il Linguaggio. Die Sprache im Gedicht. Il linguaggio nella poesia. Eine Erörterung von Georg Trakls Gedicht. Aus einem Gespräch von der Sprache. Zwischen einem Japaner und einem Fragenden. Das Wesen der Sprache. L’essenza del linguaggio. Das Wort. La parola. Il verbo. Der Weg zur Sprache. In cammino verso il linguaggio. Essere e tempo. La riflessione esplicita sul linguaggio. ζῷον λόγον ἔχον. Ermeneutica e metodo storico-ermeneutico. Il ‘non’ come fondamento. Più in alto della realtà sta la possibilità. La Kehre. L’essere: un problema che rimane problema. Poesia. L'arte come messa in opera della verità. Hӧlderlin. Il tempo della povertà. Il pensiero come Kehre. In cammino verso il silenzio. La differenza e il fondamento. In cammino verso il linguaggio: il dire originario. In cammino verso il linguaggio: il suono del silenzio. “Heidegger is the greatest living philosopher”.  Martin Heidegger In cammino verso il linguaggio Curatore: A. Caracciolo Mursia Editore 2014 Pagine: 222 13 maggio 2015 Nel 1959 Heidegger scrisse In cammino verso il linguaggio. Ci sono alcune cose interessanti e volevo proporvele questa sera. Innanzi tutto l’esordio in cui è molto chiaro e molto deciso dice: L’uomo parla, noi parliamo nella veglia e nel sonno, parliamo sempre anche quando non proferiamo parola ma ascoltiamo o leggiamo soltanto perfino quando neppure ascoltiamo o leggiamo ma ci dedichiamo a un lavoro o ci perdiamo nell’ozio, in un modo o nell’altro parliamo ininterrottamente, parliamo perché il parlare ci è connaturato. Il parlare non nasce da un particolare atto di volontà, si dice che l’uomo è per natura parlante, e vale per acquisito, che l’uomo a differenza della pianta e dell’animale è l’essere vivente capace di parola, dicendo questo non si intende affermare soltanto che l’uomo possiede accanto ad altre capacità anche quella del parlare, si intende dire che proprio il linguaggio fa dell’uomo quell’essere vivente che egli è in quanto uomo. L’uomo è uomo in quanto parla, è la lezione di Wilhelm Von Humboldt, resta però da riflettere che cosa significhi “l’Uomo”. Ora considera una poesia di Carl Kraus: Quando la neve cade alla finestra a lungo risuona la campana della sera, per molti la tavola è pronta, la casa è tutta in ordine. Alcuni nel loro errare giungono alla porta per oscuri sentieri, aureo fiorisce l’albero delle grazie, la fresca linfa della terra, silenzioso entra il viandante, il dolore ha pietrificato la soglia, là risplende in pura luce, sopra la tavola, pane e vino. La sua ferita piena di grazie lenisce la dolce forza dell’amore “o nuda sofferenza dell’uomo” colui che muto ha lottato con gli angeli. Ve l’ho letta visto che ne parla, che cosa “chiama” la prima strofa? Perché lui dice che il linguaggio è qualcosa che “chiama” le cose letteralmente dice “il linguaggio parla” ma come parla? Dove ci è dato cogliere questo suo parlare? questo già è interessante perché non è l’uomo, ma è il linguaggio che parla, dice: innanzi tutto in una parola già detta, in questa infatti il parlare si è già realizzato, il parlare non finisce in ciò che è stato detto. Qui sentirete a breve echeggiare anche molte cose di Lacan e di altri. In ciò che è stato detto il parlare resta custodito, in ciò che è stato detto il parlare riunisce il modo del suo perdurare, è ciò che grazie ad esso perdura, il suo perdurare, la sua essenza, ma per lo più, e troppo spesso, ciò che è stato detto noi lo incontriamo soltanto come il passato del parlare. // Lui considera la prima strofa e dice: che cosa “chiama” la prima strofa? Chiama cose, dice loro di venire, dove? Non certo qui, nel senso di farsi presenti fra ciò che è presente, sicché per esempio la tavola di cui parla Kraus venga a collocarsi fra le file di poltrone da loro occupate, il luogo  2 dell’arrivo che è con-chiamato nella chiamata, è una presenza serbata intatta nella sua natura di assenza, è questo il luogo in cui quel nominante chiamare dice alle cose di venire, in una assenza, poi preciserà fra breve il chiamare è un invitare tenete conto che sta dicendo della parola è l’invito alle cose ad essere veramente tali per gli uomini, la “caduta della neve” (qui cita un’altra strofa di Kraus) porta gli uomini sotto il cielo che si oscura inoltrandosi nella notte, il suonare della “campana della sera” li porta come mortali di fronte al divino, “casa” e “tavola” vincolano i mortali alla terra, le cose che la poesia nomina in tal modo “chiamate”, adunano presso di sé cielo e terra, i mortali e i divini, i quattro “cielo, terra, i mortali e i divini” costituiscono nel loro relazionarsi una unità originaria, le cose trattengono presso di sé il quadrato dei “quattro”, in questo adunare e trattenere consiste l’esser cosa delle cose, l’unitario quadrato di cielo e terra, mortali e divini, immanente all’essenza delle cose in quanto cose, noi lo chiamiamo “il mondo”. La poesia nominando le cose le chiama in tale loro essenza, queste nel loro essere e operare come cose dispiegano il mondo, nel mondo esse stanno e in questo loro stare nel mondo è la realtà e la loro durata, le cose in quanto sono e operano come tali portano a compimento il mondo. Nel tedesco antico “portare a compimento” si dice “bern, bären” donde i termini “gebären” “generare” e “Gebärde” “gesto”, quanto mettono in atto la loro essenza le cose sono cose, in quanto mettono in atto la loro essenza esse generano il mondo. La prima strofa chiama le cose al loro esser tali, dice loro di venire, tal dire chiamando le cose le chiama presso, le invita, al tempo stesso sospinge verso le cose, affida queste al mondo da cui si manifestano, per questo la prima strofa nomina non soltanto cose ma insieme il mondo, chiama i molti che come mortali fanno parte del quadrato del mondo, le cose condizionano i mortali ciò a questo punto significa: le cose visitano di volta in volta i mortali sempre e solo insieme col mondo. La prima strofa parla nell’atto che dice alle cose di venire, la seconda strofa parla in modo diverso dalla prima eccetera … qual è la questione qui? Importante perché ci sta dicendo che c’è il mondo che è fatto di che cosa? “dei, mortali, cielo, terra”, il mondo è ciò per cui le cose sono quelle che sono, adesso ve la dico in modo molto più semplice e capirete subito: “le cose” sono gli enti, il “mondo” è l’Essere. In questa posizione sta dicendo che senza il mondo cioè senza l’“Essere”, che poi questo mondo, lui è preciso qui quando dice “la caduta della neve” per esempio nel verso “porta gli uomini sotto il cielo che si oscura inoltrandosi nella notte e il suonare della campana della sera li porta come mortali di fronte al divino” cioè queste parole costruiscono la scena entro la quale la “cosa” può apparire, come se fosse, adesso preciseremo meglio, come se la “cosa” fosse una sorta di significante, adesso sto un po’ stravolgendo ma per farvi capire, il “mondo” il significato, senza significante non c’è significato e viceversa, il significato cioè ciò che questa “cosa”, questa parola produce, se lui nomina il “suonare della campana” è chiaro che questo suonare della campana evoca qualcosa, evoca il divino, evoca la religione, evoca tantissime cose, adesso lui ne cita solo una, ma potrebbero essere sterminate ed è all’interno di questo che l’ente compare, Intervento: come se le cose potessero apparire solo in questa scena che è il “mondo”… Esattamente, però senza gli enti il mondo non c’è … Intervento: il mondo è la totalità degli enti? Sì, esattamente, poi: Come il chiamare che nomina la cose chiama presso e rimanda lontano, così il dire che nomina il “mondo” è invito a questo a farsi vicino e al tempo stesso lontano. Cosa vuole dire che “chiama presso e rimanda lontano” questo “chiamare”? le chiama le cose parlando, io chiamo le cose quindi è come se me le avvicinassi ma mentre avvicino queste cose, queste cose si allontanano anche, si allontanano perché di cosa sono fatte? Intervento: c’è sempre quell’assenza di prima … Sì, queste parole sono assenti, nel senso che non sono lì in quanto tali, sono lì sempre in quanto riferite al mondo ecco: esso, il chiamare, affida il mondo alle cose e insieme accoglie e custodisce le cose nello splendore del mondo, il mondo concede alle cose la loro essenza. Quindi è questo mondo, questa scena, io adesso uso dei termini che lui non usa ma solo per rendere le cose più semplici, è questo “mondo” che dà alle cose la loro essenza, qui sembra essere ancora platonico, questo mondo  3 potrebbe essere pensato come il mondo delle idee ed è questo mondo delle idee che da alle cose, agli aggeggi la loro essenza. Le cose d’altra parte fanno essere il mondo, il mondo consente le cose. Il parlare delle prime due strofe parla nell’atto che sollecita le cose a venire verso il mondo e il mondo verso le cose- tenete sempre conto che sta descrivendo cosa fa il linguaggio: neppure però costituiscono soltanto una coppia, mondo e cose non sono infatti realtà che stiano l’una accanto all’altra, esse si compenetrano vicendevolmente, compenetrandosi i due passano attraverso una linea mediana, in questo si costituisce la loro unità, per tale unità sono intimi linea mediana e l’intimità, per indicare tale linea la lingua tedesca usa il termine “das …” il “fra” “fra mezzo” la lingua latina dice “inter”, all’“inter” latino corrisponde il tedesco “unter”. Intimità di mondo e cosa non è fusione - ora cominciate a pensare a queste due cose “mondo e cosa” come significato e significante e adesso vi dirò perché non è una fusione fra le due cose, pensate a De Saussure, L’intimità di mondo e cosa regna soltanto dove mondo e cosa nettamente si distinguono e restano distinti, nella linea che è a mezzo tra i due, nel fra mezzo di mondo e cosa, nel loro “inter”, questo “unter, domina lo stacco. ora adesso non so se è già il caso di dire qua, ecco qui comincia con la questione della “differenza”: L’intimità di mondo e cosa è nello stacco, “Schied” “del frammezzo” e nella “dif-ferenza” “Unter Schied”, il termine “differenza” è qui sottratto all’uso corrente e consueto non indica un concetto generico nella cui area rientrino molteplici specie di differenza, la “dif-ferenza” di cui qui si parla esiste solo come quest’una e unica, la dif-ferenza regge, non però con essa identificandosi, quella linea mediana nel modo e nella relazione alla quale, e grazie alla quale, mondo e cose trovano la loro unità, l’intimità della dif-ferenza è l’elemento unificante della diafora, di ciò che differenziando porta e compone, la dif-ferenza porta il mondo al suo esser mondo, porta le cose al suo esser cose, portandoli a compimento li porta l’un verso l’altro. Il termine “dif-ferenza” non indica per ciò più una distinzione posta tra oggetti del pensiero presentativo – Oggetti del pensiero presentativo sono quelli che il pensiero mostra, presenta – né la differenza è solo una relazione oggettivamente esistente tra mondo e cosa, che il pensiero presentativo venendovisi a imbattere possa constatare, né la differenza è comunque relazione tra mondo e cosa destinata ad essere in un ulteriore momento negata e trascesa – cioè non può togliersi – la differenza di mondo e cosa fa che le cose emergano come quelle che generano il mondo, fa che il mondo emerga come quello che consente le cose. La dif-ferenza è la dimensione in quanto misura nella sua interezza facendo essere nella sua propria essenza lo spazio di mondo e cosa, la differenza come linea mediana di mondo e cose rappresenta generandola la misura in cui mondo e cosa realizzano la loro essenza, nel nominare che chiama “cosa” e “mondo” quel che è propriamente nominato è la dif-ferenza. – A questo punto è ovvio che ciascuno di voi ha pensato necessariamente a Derrida, il quale Derrida ha preso a man bassa da Heidegger ma tra breve sarà ancora più evidente, lui, Derrida ha preso Heidegger e lo ha riletto con De Saussure dice: “Questo chiamare” ricordate prima ha detto del chiamare: Questo chiamare è l’essenza del parlare, la dif-ferenza è la chiamata dalla quale soltanto ogni “chiamare” è esso stesso chiamato, alla quale pertanto ogni possibile “chiamare” appartiene. // Il linguaggio parla in quanto suono nella “quiete” (adesso dirà che cosa intende) la quiete acquieta, (ovviamente) portando mondo e cose alla loro essenza, il fondare e comporre mondo e cose nel modo dell’acquietamento è l’evento della dif-ferenza, il linguaggio, il suono della quiete è in quanto “la dif-ferenza”, è come farsi evento, l’essere del linguaggio è l’evenire della dif-ferenza. Il suono della quiete non è nulla di umano, certo l’uomo è nella sua essenza parlante, il termine “parlante” significa qui che emerge ed è fatto se stesso dal parlare del linguaggio. (lui è preciso su questo cioè non è l’uomo che parla, è il linguaggio che parla, e il linguaggio non è un ente, non è un oggetto al pari degli altri, infatti quando la logica parla di “linguaggio oggetto” compie un abominio per Heidegger, perché il linguaggio non è un oggetto, mai può essere oggetto dunque: In forza di tale evenire l’uomo nell’atto che è dalla lingua portato a se stesso, alla sua propria essenza continua ad appartenere all’essenza del linguaggio, al suono della quiete (cioè è l’uomo che appartiene all’essenza del linguaggio non viceversa) tale evento (il suono della quiete) si realizza in quanto l’essenza del linguaggio (il suono della quiete) si avvale del parlare dei mortali per essere dai mortali percepita come appunto “suono della quiete”, solo in quanto  4 gli uomini rientrano nel dominio del suono della quiete, i mortali sono a loro modo capaci di un parlare attuantesi in suoni. Il parlare dei mortali è un “nominante chiamare”, (questo è fondamentale in Heidegger lo ripeto “il parlare è un nominante chiamare”) è invito alle cose e al mondo farsi presso muovendo dalla semplicità della differenza. La pura del parlare mortale è la parola della poesia, l’autentica poesia non è mai un modo più elevato della lingua quotidiana vero è piuttosto il contrario, che cioè il parlare quotidiano è una poesia dimenticata come logorata nella quale a stento è dato ancora percepire il suono di un autentico chiamare. Ecco la questione che sta ponendo è esattamente quella che pone Derrida, questo suono, questo suono silenzioso che non si sente ma che tuttavia è ciò che costituisce la condizione della parola che chiama, beh è ciò che Derrida ha elaborato come “differance”, lui usa per indicare questo suono che non c’è, usa questo esempio, lui scrive in francese “difference” in francese si scrive così, però a “difference” sostituisce alla e una a, scrivendo quindi “differance” che in francese è scorretto perché si scrive “difference”, però dice anche cambiando la e con la a, il suono della parola in francese “differance” non cambia, è esattamente lo stesso cioè questa e non si sente, che metta la e o metta la a, è uguale, non si sente, cioè quella cosa che lui chiama la “differance” è esattamente questo suono muto, che tuttavia è quella cosa che consente alla parola di essere tale e cioè di, mettiamola così, lui, forse dovrei aggiungere qualcosa, lui, Derrida muove a queste considerazioni partendo da De Saussure, dal segno di De Saussure “significante/significato” e quindi ciò che dice è che questa barra è quella che divide il significante dal significato ma è quella che compone il segno, senza questa barra che distingue il significante dal significato il segno non c’è, però questa barra si scrive, si mette il trattino, come faceva De Saussure, ma non c’è, non suona né nel significante né nel significato ecco questa barra è la “dif-ferance”, è quella cosa che non compare, che non ha suono però è la condizione perché il segno sia segno, cioè perché la parola sia la parola è indeterminabile cioè questo suono di cui parla qui Heidegger il “suono della quiete” è questo suono, senza questo “cosa e mondo”, adesso la dico in modo molto rozzo ma si sovrapporrebbero l’uno altro, l’ente, cesserebbe di essere tale perché l’ente è tale perché inserito all’interno del mondo, e il mondo è tale perché esiste un ente che lo pone in essere, esattamente come il significante e il significato. Heidegger non parla né di significante né di significato, non gliene importa assolutamente nulla, per lui il mondo è l’essere, è l’esserci “Dasein”. Ciò che a noi interessa invece è intendere come anche in Heidegger si siano poste delle questioni molto precise intorno al linguaggio, soprattutto rispetto al fatto che il linguaggio non è un oggetto, non è una proprietà dell’uomo, non è una sua facoltà tra altre, ma è il linguaggio che parla, ricordate la famosa asserzione di Lacan quando dice “ça parle” cioè qualcosa parla, viene da qui ovviamente, è stato Heidegger a porre la questione in termini precisi, tali per cui ha preso atto del fatto che il linguaggio non è una proprietà, è questo che dice, non è una proprietà, non è un ente, non è qualcosa di cui gli umani dispongano ma è il linguaggio che parla. Che significa questo per quanto ci riguarda? Significa una cosa importante: è il linguaggio a parlare e a costruire l’uomo, e anche le cose, perché Heidegger dice che le chiama, le chiama alla presenza, però di fatto il linguaggio è quella struttura, come andiamo dicendo da tempo, senza la quale non sarebbe possibile per gli umani il dirsi tali, non sarebbe possibile costruire nessun pensiero, nulla. Quindi lui dice che il linguaggio “chiama le cose”, sì, le chiama nel senso che le crea, le produce letteralmente, e in effetti non lo dice, forse lo usa da qualche parte, non usa la parola “costruire” ma in ogni caso ciò che sta dicendo è che il linguaggio è quella cosa che in un certo senso, adesso permettetemi di dire questa cosa che ad Heidegger non piacerebbe, ma “preesiste” l’uomo in un certo senso, “preesiste” tra virgolette, perché è come se il linguaggio fosse da sempre lì, è questo mondo all’interno del quale qualche cosa può apparire. Ed è una posizione molto interessante che per altro moltissimi hanno ripreso, tutti coloro che si sono minimamente interrogati intorno al linguaggio in qualche modo hanno tenuto conto di queste asserzioni di Heidegger, questo testo è celeberrimo “In cammino verso il linguaggio”  5 Intervento: scusi, dicendo appunto dell’uomo e del linguaggio, non dice che il linguaggio “costruisce” o “inventa” l’uomo, ma dice che il linguaggio fa qualsiasi cosa, però non è giunto a dire che l’uomo non esisterebbe in quanto uomo, se non ci fosse il linguaggio? Nel senso che mantiene l’uomo un’entità che parla, che dice delle cose, o no? Dice in modo molto chiaro: Il linguaggio fa dell’uomo quell’essere vivente che egli è in quanto uomo, Dice ancora: La parola è cenno e non segno, nel senso di semplice denotazione la logica ma anche la linguistica ha sempre considerato la parola come un segno denotante qualche cosa, un segno linguistico che denota un aggeggio qualunque, lui dice che la parola è cenno, accennare a qualche cosa, alludere a qualche cosa, riferirsi indirettamente a qualche cosa, come dire lasciare che questa cosa appaia senza una determinazione precisa, cioè senza una denotazione, la denotazione appunto “de nota”, la denotazione dice qual è il significato di una cosa, ricordate la differenza fra denotazione e connotazione? Dicendo che la parola è cenno, qua nella parte in cui fa questo dialogo ipotetico con un giapponese, è come dire che la parola indica qualche cosa ma che è al di là della parola, la parola è un cenno in quanto indica il mondo all’interno del quale questa parola è inserita, ma lo accenna, non lo determina, non lo può determinare … Intervento: lo potrebbe determinare l’esserci, “Dasein”? è l’“esserci” nel mondo che determina la cosa, ovviamente di volta in volta … Sì, Heidegger oscilla però in genere tende a considerare che l’essere non può stare senza l’ente, altre volte invece sembra dire che, così notava Severino, che l’Essere possa darsi senza l’ente, cosa abbastanza improbabile, è come dire “un significante senza un significato” che cos’è? È niente. Intervento: non ho capito: che l’ente possa esserci senza l’essere, significante senza significato? Heidegger dice che l’ente e l’essere non possono darsi l’uno senza l’altro, così come, stavo dicendo, allo stesso modo come il significante e il significato non possono darsi l’uno senza l’altro. In questo senso dicevo, allora qui si riferisce a “Sein und Zeit”: Si trattava e si tratta, era ed è, di evidenziare l’essere dell’essente, certamente non più alla maniera della metafisica ma in modo che l’essere stesso si manifesti, l’essere stesso, ciò significa la presenza di ciò che può farsi presente, (la “presenza di ciò che può farsi presente”) vale a dire la differenza dei due momenti sulla base dell’unità, è questa differenza che esige l’uomo per la sua propria essenza … che è come dire cioè l’essere stesso, a questo punto se lui lo pone come la differenza dei due momenti “cosa/mondo” sulla base dell’unità, sulla base del fatto che sono inscindibili, dice che allora: è questa differenza che esige l’uomo per la sua propria essenza cioè questa differenza tra il fatto che mondo e cosa pur essendo assolutamente inscindibili sono tuttavia separati, è da lì che l’uomo trae la sua essenza, dal fatto che il significante e il significato cioè ogni parola che dice mostra si presentifica qualche cosa, nel senso che chiama qualche cosa ma mentre chiama la cosa, chiama anche il mondo all’interno del quale questa cosa è inserita e senza il quale mondo non esisterebbe neppure … Intervento: è molto vicino alla semiotica, in fondo parla di connessioni … Tutti coloro che si sono addentrati in queste questioni, e questa è un’altra cosa che forse compare in ciò che vado dicendo ultimamente, si sono trovati a interrogare questioni molto simili, perché quando si incomincia a riflettere sul modo in cui funziona il linguaggio è inevitabile accorgersi che la parola è all’interno di qualche cosa, per Heidegger è il mondo, per Greimas non è più il mondo ma un contesto di segni all’interno del quale il nucleo segnico acquista un significato, per la psicanalisi è la parola che non si può intendere se a questa parola non vengono associati tramite associazioni libere le connessioni alle quali è agganciata. Modi di interrogare una questione che sono sì differenti però incontrano molto spesso quasi una stessa direzione da seguire, quasi gli stessi elementi Intervento: però l’uomo incontrando il mondo lo simbolizza nella parola? Può accadere certo, siamo però già verso Lacan (lo evoca) sì evocandolo può anche simbolizzarlo, se vuole, non è proibito. Ecco qui parla del “non pensato” sempre riferendosi indirettamente alla differenza perché è l’impensato, non si può pensare la differenza in quanto tale, così come non può  6 neanche dirsi perché non c’è ma pur non essendoci in quanto ente costituisce, come dice Heidegger quel suono muto che tuttavia è ciò che consente a questi due elementi la cosa e il mondo di stare distinti ma al tempo stesso uniti. Intervento: … non avevo conosciuto Heidegger su questo aspetto. All’Università … Su alcune cosa ha riflettuto attentamente, soprattutto intorno al linguaggio qui incomincia a parlarne in modo abbastanza esplicito già nel suo primo scritto “Essere e tempo” poi mano a mano riflettendo intorno all’Essere si accorge che una riflessione intorno all’Essere comporta una riflessione intorno al linguaggio necessariamente (…) Il parlare inteso nella sua pienezza significante trascende sempre la dimensione puramente fisico sensibile del suono ovviamente il parlare non è soltanto il suono ma il linguaggio come significato fattosi suono o segno scritto è qualcosa di essenzialmente soprasensibile, qualcosa che perennemente oltrepassa il puramente sensibile, il linguaggio così inteso è per sua costitutiva natura metafisico.) È la metafisica che rappresenta, badate bene: si parla, si rappresenta, se si rappresenta si compie un’operazione metafisica. Poi sul volere sapere: Il voler sapere e l’avida richiesta di spiegazioni non portano mai a un interrogare pensante, nel volere sapere si cela già sempre la presunzione di un auto coscienza che si appella a una ragione auto fondata e alla sua razionalità, il volere sapere non vuole che si stia in ascolto di fronte a ciò che è degno di essere pensato … Intervento: è una forma di controllo Esattamente, e poi c’è la seconda parte di cui ci occuperemo nel prosieguo perché ciò che stiamo facendo è straordinariamente vicino a ciò che qui Heidegger ci sta dicendo, lui non ha dubbi sul fatto che l’uomo è quello che è, perché c’è il linguaggio, non ha nessun dubbio lo pone proprio nelle prime pagine il che comporta ovviamente delle implicazioni, perché se l’uomo non è se non nel linguaggio allora, dice lui giustamente, occorre porsi in ascolto del linguaggio, che non significa ascoltare quello che qualcuno dice, ma porsi in ascolto del linguaggio e porsi in ascolto della domanda che c’è nel linguaggio, nella chiamata che il linguaggio è, il linguaggio è un chiamare le cose e fra le cose, chiama anche l’uomo nonostante che sia l’uomo la condizione perché ci sia questa chiamata. Questa è una questione sempre presente in Heidegger, infatti è stato accusato di “umanismo”, “accusato” tra virgolette, mentre lui si è sempre difeso da questo, la sua non è una posizione esistenzialista, ha dovuto attraversare l’esistenzialismo perché l’unico esistente è l’uomo, questo accendisigari per Heidegger non esiste, c’è, ma non esiste, solo gli umani esistono cioè soltanto coloro che sono in condizioni di porre la domanda, questo aggeggio, questo accendino non fa nessuna domanda. Per Heidegger l’uomo è il portatore in un certo senso del linguaggio, forse non necessariamente l’unico, però a quanto ci consta per il momento si, e questo, sempre per Heidegger, è fondamentale perché l’uomo può trarre la verità, cioè la verità sull’essere e quindi il fatto che l’essere non sia nient’altro che l’esserci dell’uomo in quanto progetto ciascuna volta, solamente nel dialogo. Nel dialogo tra umani ovviamente, ma un dialogo dove le cose si interrogano, dove si mantiene aperta la domanda non la chicchera, il parlare per il sentito dire, il sentito dire vuole dire anche averlo letto da qualche parte, ma non averlo interrogato in modo autentico. Interrogare in modo autentico e lasciarsi interrogare dalla cosa: una qualunque cosa pone delle questioni, per esempio “che cos’è?” o quando mi trovo all’interno di un progetto su come posso utilizzare quella certa cosa, pone comunque sempre delle domande, l’uomo è sempre all’interno di questo domandare, continuamente. Questo è il domandare autentico, quello che si lascia interrogare da ciò che sta dicendo, da ciò che sta facendo, le cose che sta incontrando, non da colui che invece si precipita a dare la risposta o come dicevo prima ha la fretta di sapere tutto dimenticandosi della domanda. Nella parte successiva ci saranno delle cose molto interessanti da dire. per esempio sulla poesia che per lui è importante perché la poesia accenna, e in questo accennare lascia che la parola chiami le cose, senza fermarle, senza bloccarle, senza mortificarle ma le lascia essere, lasciar essere questo è sempre stato fondamentale per Heidegger.  7 20 maggio 2015 Heidegger prosegue: La ricerca scientifica e filosofica mira da qualche tempo (siamo nel ‘59) in modo sempre più deciso a costruire ciò che viene chiamato “metalinguaggio” (qui ce l’ha con i filosofi analitici) giustamente pertanto la filosofia scientifica che si prefigge di costruire tale super linguaggio, intende se stessa come metalinguistica. Metalinguistica suona come metafisica, non soltanto suona “come” ma è, la metalinguistica è infatti la metafisica della totale trasformazione tecnica di ogni lingua in semplice strumento interplanetario di informazione, metalinguaggio e sputnik, metalinguistica e tecnica missilistica sono la stessa cosa. // (Poi cita una poesia, una poesia di Stefan George, il titolo è Das Wort (la parola). Meraviglia di lontano o sogno io portai al lembo estremo della mia terra e attesi fino a che la grigia Norna (Norna è la dea del fato, del destino) il nome trovò nella sua fonte, meraviglia o sogno potei allora afferrare consistente e forte ed ora fiorisce e splende per tutta la marca. (la marca è un territorio di confine) Un giorno giunsi colà dopo un viaggio felice con un gioiello ricco e fine, ella cercò a lungo e al fine mi annunciò “qui nulla di eguale dorme sul fondo”, al che esso sfuggì alla mia mano e mai più la mia terra ebbe il tesoro, così io appresi triste la rinuncia: “nessuna cosa è dove la parola manca”. Un numero infinito di persone considera non di meno anche questa cosa dello sputnik un prodigio, questa “cosa” che gira vertiginosamente in uno spazio del mondo ove non è mondo, e per molti essa era ed è tutt’ora un sogno, prodigio e sogno della tecnica moderna, la quale dovrebbe essere la meno disposta a riconoscere valido il pensiero che sia la parola a procurare alle cose la loro esistenza, non le parole ma le azioni contano nei calcoli dell’ossessivo calcolare planetario, lasciamo la fretta del pensare, non è proprio anche questa “cosa” quel che essa è, e così come essa è, in nome del suo nome? Certamente. /…/ Se l’affrettare nel senso del massimo potenziamento tecnico della velocità, di quella velocità nel cui spazio temporale soltanto le macchine e i congegni moderni possono essere quello che sono, (questi marchingegni sono quelli che sono perché esiste la velocità cioè esiste il concetto di velocità) se l’affrettare dunque, non avesse parlato all’uomo e non l’avesse posto sotto il suo comando, (sta parlando della tecnica ovviamente) questo comando non avesse spinto e disposto l’uomo alla fretta, se la parola di un tale disporre non avesse parlato non ci sarebbe nessuno sputnik, nessuna cosa è là dove la parola manca. La parola del linguaggio e il suo rapporto con la cosa, con qualunque cosa che è sotto il riguardo dell’essere e il modo di essere della cosa stessa resta un enigma. (l’enigma sarebbe il rapporto fra la parola e la cosa, ecco già questo dice delle cose perché nessuna cosa è dove la parola manca, beh la dice già lunga sul fatto che se non c’è la parola, se manca la parola non c’è nessuna cosa, non c’è nulla. Questo Heidegger l’aveva inteso molto bene ovviamente, non è un caso che riprenda questa poesia di Stefan George) Dice poi: l’ultimo verso infatti appunto “nessuna cosa è dove la parola manca” in tedesco “Kein ding ist wo das Wort gebricht” l’ultimo verso potrebbe allora avere anche un significato diverso da quello di un asserzione e costatazione volta nella forma del discorso indiretto che dice “nessuna cosa è dove la parola manca”, quel che segue i due punti, dopo la parola “rinuncia” (perché ci sono due punti dopo “così io presi triste la rinuncia: nessuna cosa è dove la parola manca”) non indica ciò cui si rinuncia, ma indica l’ambito entro cui la rinuncia deve immettersi, indica il comando a consentire e accordarsi al rapporto fra parola e cosa ora esperito, (“ora” esperito nel momento in cui si dice allora si esperisce la cosa, allora c’è la cosa, e la cosa è quello che è) ciò di cui il poeta ha preso la rinuncia è la sua precedente opinione nei riguardi del rapporto fra cosa e parola, rinuncia concerne il rapporto poetico con la parola a lui fino a quel momento consueto, la rinuncia è la disposizione a un rapporto diverso, nel verso “Kein ding sei wo das Wort gebricht” “sai” non sarebbe allora sul piano grammaticale un congiuntivo (“sai” vuol dire “sia”, l’indicativo è “ist”) al posto dell’indicativo “ist” bensì una forma dell’imperativo, un ordine cui il poeta obbedisce per rispettarlo anche in futuro, nel verso “nessuna cosa “sia” laddove la parola manca”, il “sia” significherebbe allora “non considerare d’ora in poi una cosa come esistente dove la parola manca” (è un imperativo categorico” e non so per quale via mi ha evocato le parole di Parmenide “sulla via del non essere non ti ci incamminerai, ma seguirai la via dell’Essere.” Con quel “sia” inteso come  8 comando, il poeta si dispone ad accettare quella rinuncia per cui egli abbandona la convinzione che qualcosa esista, già esista, anche quando la parola manca. (Non c’è già la cosa) Che significa rinuncia? La parola “Verzicht” Rientra nell’aria del verbo “verzeihen”; una locuzione antica dice “Sich eines Dinges verzeihen”, e significa “abbandonare qualcosa” “rinunciarvi”. Zeihen corrisponde al latino dicere, all’antico alto tedesco “sagan” (il sagen del tedesco moderno), da cui “saga”. La rinuncia è un Entsagen, letteralmente un “disdire”. Nella sua rinuncia il poeta dice “no” al suo precedente rapporto con la parola, questo soltanto? No. Nell’atto in cui rifiuta qualcosa, già gli è stato destinata una chiamata alla quale egli non si sottrae più. (nella sua rinuncia, dice, rinuncia soltanto all’idea che qualcosa ci sia anche senza la parola? già questa è una bella rinuncia. Rinuncia di fronte a ciò che incontro, a pensare che questa cosa che incontro sia già lì prima che io la dica, prima della parola, non che io la dica propriamente, però aggiunge no, non è proprio così, ciò a cui non si sottrae è ciò che gli è stato destinato “una chiamata alla quale egli non si sottrae più”. Chi lo chiama a quella maniera, se non la parola?) In termini più chiari il poeta ha capito che solo la parola fa sì che la parola appaia e sia pertanto presente come quella cosa che è, la rinuncia che il poeta apprende è della natura di quella compiuta rinuncia alla quale soltanto è dato attingere ciò che da lungo nascosto è propriamente già destinato. Il poeta esperisce la sua vocazione di poeta come una chiamata alla parola, ma cosa raggiunge il poeta? Non una semplice nozione, seguendo questa chiamata, egli giunge nel rapporto della parola con la cosa, questo rapporto non è però una relazione fra la cosa da una parte e la parola dall’altra (qui c’è la parola e lì c’è l’ente e la relazione è in mezzo) la parola stessa è il rapporto che via via incorpora e trattiene in sé la cosa, in modo che essa è una cosa. Sulle prime e per lungo tratto pare che alla fonte del linguaggio (poi dirà che è la parola la fonte dell’Essere) il poeta abbia bisogno di portare soltanto le meraviglie che lo incantano (qui sta sempre commentando la poesia di George) e i sogni che lo estasiano, pare che le parole che a quella fonte egli va, con non incrinata fiducia, a cercare siano solo quelle che convengono a quanto di meraviglia e sogno ha preso corpo nella sua fantasia, prima di allora il poeta, confermato in questo dalla felice riuscita delle sue precedenti composizioni poetiche, era dell’opinione (qui sta parlando di George) dell’opinione che le cose poetiche meraviglia e sogni avessero già, da e per sé, garanzia di esistenza (come ciascuno pensa) e che tutto consistesse poi nel saper trovare per esse anche la parola atta ad esprimerle e rappresentarle. (non è questo il pensiero comune?) Sulle prime e a lungo è parso che le parole fossero come pigli che afferrano ciò che già esiste, ed è per sé esistente considerato, e ad esso danno consistenza ed espressione portandolo così a bellezza. (qui ripete ancora una parte della poesia): Qui meraviglia e sogni, là nomi che afferrano gli uni e gli altri fusi in uno e la poesia era nata, tutto fuso insieme, bastava essa a quello che è il compito del poeta dar vita a ciò che permane, perché duri e sia? Ad un certo punto giunge però Stefan, per Stefan George il momento nel quale il poetare che fino allora gli era stato consueto, quel poetare sicuro di sé viene bruscamente meno riportandogli alla mente la parola di Hölderlin, ma ciò che permane fondano i poeti, infatti un giorno il poeta arriva il viaggio per di più è stato buono e anche per questo egli è pieno di speranza, dalla dea del destino carica d’anni e chiede il nome per il gioiello ricco e fine che porta sulla mano (questo gioiello ricco e fine è la parola) solo che lei chiede il nome della parola (e questo crea qualche problema) questo non è meraviglia di lontano e neppure sogno, la dea cerca a lungo ma invano, alla fine gli annuncia “nulla d’eguale dorme qui sul fondo” (non c’è la parola per dire la parola, “nulla d’eguale” cioè nulla che sia come il gioiello ricco e fine che gli sta sulla mano) la parola capace di far essere quel gioiello che sta semplicemente lì sulla mano quello che esso è, una tale parola dovrebbe scaturire da quella sicura custodia che riposa nella quiete di un sonno profondo, soltanto una parola veniente di lì potrebbe portare e fermare il gioiello nella ricchezza e gentilezza del suo semplice essere. (Ripete le parole del poeta) “Nulla di eguale dorme qui sul fondo” a tal dire esso sfuggì alla mia mano (questo gioiello) e mai più la mia terra ebbe il tesoro. Il fine ricco gioiello che era lì sulla mano non giunge all’essere di una cosa, non diventa tesoro cioè ricchezza custodita nella poesia di quella terra, il poeta non precisa la natura del gioiello che non poté divenire tesoro della sua terra ma che gli donò tuttavia l’esperienza del  9 linguaggio, l’occasione di apprendere quella rinuncia nella quale l’abdicazione corrisponde, da parte del rapporto fra parola e cosa, l’assenso a un disvelamento, l’oggetto ricco e fine è cosa diversa dalla meraviglia di lontano oppure sogno, se poi la parola canta il cammino poetico proposto proprio di Stefan George è lecito pensare che nel gioiello sia adombrata la delicata ricchezza della semplicità che nell’ultimo periodo della sua attività si presenta al poeta come ciò che deve essere detto “la parola della parola”. Qui Heidegger affronta una questione, poi diremo mano a mano, e se la porta appresso perché ovviamente non ha soluzione cioè quella parola che è all’origine della parola, e la Norna, la dea del destino, del fato glielo dice qui “sul fondo non giace nulla di simile”, non c’è, non c’è il fine, il limite del linguaggio, il punto da cui comincia. Certo che non c’è, Heidegger poi lo allude, lo allude nel dire autentico del poeta e il dire autentico del poeta è quello che ovviamente nel pensiero di Heidegger è quello che lascia dire l’Essere, lo lascia apparire, lo disvela, l’ἀλήθεια. Però ciò che qui il poeta cerca di fatto è la parola della parola, cioè l’essenza propriamente della parola, ma qui si scontra contro un qualche cosa che non c’è perché è la parola che dà l’essenza alle cose, dà l’Essere alle cose, e quindi ci vorrebbe un altro Essere che dia Essere all’Essere della parola, la cosa non avrebbe più senso. Heidegger lo pone come una sorta di enigma, però di fatto non possiamo parlare di enigma quanto piuttosto del tentativo di dare anche alla parola o meglio di trasformare la parola in ente, lui dirà tra un po’ che la parola non è un ente al pari di qualunque altro, è un'altra cosa, è ciò che da l’accesso all’ente, infatti lo dice utilizzando la poesia “nulla è là dove la parola manca”, se nulla è là dove la parola manca è ovvio che anche la parola potrebbe essere intesa come ente, ma a questo punto la cosa non funziona più. L’apparire di qualche cosa che è il λόγος, lo vedremo più avanti, λόγος non inteso come il discorso, il racconto, la ragione, nulla di tutto ciò, il λόγος è una delle forme dell’Essere per Heidegger, è questo logos che consente l’apertura cioè il linguaggio consente l’aprirsi della parola che nomina qualche cosa, nel momento in cui nomina qualche cosa questa cosa è. C’è. Intervento: la parola è ciò che differenzia l’istinto dalla pulsione … Intervento: l’uomo, diciamo, arrivando a possedere la parola nominando gli oggetti, qualificandosi come possessore della parola, identificandosi come ciò che padroneggia la realtà, come il bambino che si distacca dall’uniforme primordiale sia come essere sociale, essere sociale organizza la società che si differenzia dal gruppo indistinto dall’orda primitiva, o comunque dai gruppi degli animali … Intervento: dal branco degli animali, esattamente grazie, ecco possedendo la parola ecco io la intenderei così … Heidegger ha un’opinione differente, perché dice: “quando poniamo una domanda al linguaggio, una domanda sulla sua essenza, già del linguaggio deve esserci stato fatto dono, non possiamo chiederci qualcosa sul linguaggio se già non possediamo il linguaggio, se vogliamo porre una domanda sull’essenza, sull’essenza cioè del linguaggio allora anche del significato di “essenza” ci deve essere già stato fatto dono, domanda “a” e domanda “su” presuppongono qui, come sempre, che ciò cui e su cui va la domanda abbia già fatto giungere la parola sollecitatrice, ogni posizione di domanda è possibile solo in quanto ciò che si fa problema ha già iniziato a parlare e a dire di se stesso. // (cita ancora la frase: nessuna cosa è dove la parola manca) Accenna al rapporto tra parola e cosa prospettando il modo che la parola stessa risulti il rapporto, in quanto essa trae all’essere (la parola) e mantiene nell’essere ogni cosa (qualunque essa sia), senza la parola che si identifica con la forza del rapporto, il complesso delle cose, il mondo, sprofonda nel buio insieme all’io che porta all’estremo lembo della propria terra, alla fonte dei nomi ciò che ha incontrato di meraviglia e di sogno. Perché quel che ci interessa è un’esperienza, un essere in cammino, noi oggi in questa lezione che segna il passaggio tra la prima e la terza conferenza (in genere la seconda fa questo, il passaggio fra la prima e la terza) rifletteremo sul cammino, è necessaria al riguardo un’osservazione preliminare dato che la maggior parte di loro si occupa in prevalenza di ricerca scientifica, (il pubblico che aveva)nelle scienze la via al sapere va sotto il nome di metodo, “metodo” “μετα ὁδός” “attraverso il cammino” “lungo il cammino”, il metodo non è specie nella scienza moderna un puro strumento al servizio della scienza  10 anzi al contrario è il metodo che ha assunto a proprio servizio la scienza. Questo fatto è stato visto in tutta la sua portata per la prima volta da Nietzsche, che così ne parla nelle annotazioni che seguono, queste fanno parte del corpus degli inediti pubblicato postumo dal titolo “Der Wille zur Macht” “La volontà di potenza”. La prima dice “ciò che caratterizza il nostro XIX secolo non è la vittoria della scienza ma la vittoria del metodo scientifico sulla scienza”. L’altra notazione incomincia con la proposizione “Le idee più importanti furono trovate per ultime, ma le idee più importanti sono i metodi” in realtà anche Nietzsche è giunto assai tardi a scoprire questo rapporto tra metodo e scienza e precisamente l’ultimo anno della sua lucidità mentale nel 1888 a Torino. Nelle scienze non solo il tema viene posto dal metodo ma viene immesso nel metodo e vi resta sottoposto, la corsa folle, che oggi trascina le scienze verso mete che esse stesse ignorano, ha la sua forza propulsiva nel potenziamento e nel progressivo assoggettamento alla tecnica del metodo e delle possibilità a questo intrinseche, nel metodo è tutta la potenza del sapere, il tema rientra nel metodo. Bene vi lascio riflettere su queste questioni, mercoledì prossimo riprendiamo questo testo. 27 maggio 2015 Vi rileggo la poesia di Stefan George perché la riprende si chiama “La parola”, Das Wort: Meraviglia di lontano o sogno io portai al lembo estremo della mia terra e attesi fino a che la grigia Norna il nome trovò nella sua fonte, meraviglia o sogno potei allora afferrare consistente e forte ed ora fiorisce e splende per tutta la marca. Un giorno giunsi colà dopo viaggio felice con un gioiello ricco e fine, ella cercò a lungo e alfine mi annunciò “qui nulla d’eguale dorme sul fondo”. Al che esso sfuggì alla mia mano e mai più la mia terra ebbe il tesoro, così io appresi triste la rinuncia “nessuna cosa è dove la parola manca”. C’è da dire qui che la questione che sta ponendo questa poesia è interessante perché di fatto sta chiedendo alla Norna di fornirgli, dicevamo l’altra volta, la parola della parola, e cioè un qualche cosa che è fuori della parola e che dovrebbe garantire l’essere della parola. Ovviamente cercare la parola fuori dalla parola è un problema, tant’è che la Norna, saggia, dice “qui nulla d’eguale dorme sul fondo” e allora lui ha appreso la rinuncia: non troverà mai qualche cosa che da fuori della parola possa garantire la parola… Intervento: sarebbe il significato del significato? Non esattamente, perché il significato del significato è ancora un altro significato, quindi un altro termine, un altro elemento linguistico, qui cerca invece proprio la garanzia, cioè il qualche cosa che è fuori dal linguaggio e che dia alla parola la sua consistenza. “Nessuna cosa è dove la parola manca” accenna al rapporto tra parola e cosa, prospettandolo in modo che la parola stessa risulti il rapporto, in quanto essa trae all’essere e mantiene nell’essere ogni cosa, qualunque essa sia. // Infatti fra le primissime cose cui diede voce il pensiero occidentale rientra il rapporto tra cosa e parola e precisamente nella figura del rapporto tra essere e dire, questo rapporto sorprende il pensiero in modo così subitaneo e sconvolgente da dirsi in una sola parola, esso suona “λόγος”, ma ancora più sconcertante è per noi il fatto che in tutto questo non si fa un’esperienza pensante del linguaggio, nel senso cioè che il linguaggio stesso in base a quel rapporto giunga propriamente a dirsi. Cioè sta dicendo che il linguaggio non “si dice” nel senso che non c’è modo di aggirare il linguaggio, di uscire dal linguaggio e poi di lì parlare del linguaggio sapendo di che cosa si sta parlando, non c’è uscita dal linguaggio Se sempre il linguaggio ricusa, in questo senso, la sua essenza (cioè non dice mai che cosa realmente è, perché appunto dovrebbe uscire fuori dalla parola) allora questo rifiuto fa parte dell’essenza del linguaggio (il rifiuto della Norna). Il linguaggio non solo si trattiene così in se stesso nel nostro corrente parlarlo, ma trattenendosi esso in sé, con la sua origine nega la sua essenza a quel pensiero presentativo nel quale comunemente ci muoviamo, per questo non possiamo nemmeno più dire che l’essenza del linguaggio sia il linguaggio dell’essenza (come diceva prima) a meno che la parola “linguaggio” non indichi nel secondo caso qualcosa d’altro che cioè quel rifiuto dell’essenza del linguaggio a dirsi, proprio esso, parla. (In altri termini sta dicendo che il linguaggio non dice se  11 stesso, si trattiene dal dire di se stesso nell’accezione che indicavo prima, e cioè come se volesse parlare da fuori il linguaggio per dire che cos’è esattamente il linguaggio, si trattiene dal fare questo. Heidegger dice che non possiamo nemmeno più dire che l’“essenza del linguaggio sia il linguaggio dell’essenza” come diceva prima e cioè che l’essenza del linguaggio, ciò che è più proprio al linguaggio è il linguaggio dell’essenza, il linguaggio dell’essenza è quel linguaggio che parla di ciò che è proprio, a meno che, dice, questo linguaggio non lo si intenda nelle due cose in modo differente e cioè nel secondo caso intendendo che è proprio lui che parla e cioè il linguaggio dell’essenza è ciò che parla continuamente, il linguaggio dell’essenza vale a dire sarebbe, per dirla con Heidegger, il “dire originario”, quel dire cioè che muove nel momento in cui è qualcosa, qualcosa appare e questo dire lascia che ciò che appare interroghi, ciò che si dice, a questo punto, il “λόγος” ciò che fa esistere le cose, a questo punto è lui, è soltanto lui che parla. Qui c’è adesso forse qualcosa che è ancora più chiaro, dice:) “Nessuna cosa è (sia) dove la parola manca”. Così suona la rinuncia del poeta e noi abbiamo aggiunto che qui viene in evidenza il rapporto fra cosa e parola. (Il rapporto tra cosa e parola è importante perché è ciò che la metafisica ha sempre cercato di stabilire con certezza, lì c’è la parola e lì c’è la cosa, però è un problema come dicevamo la volta scorsa, è la questione tipica della metafisica e cioè il problema del “terzo uomo” come diceva già Aristotele, cioè c’è un terzo elemento che deve fare da tramite tra i due, il problema è che questo terzo elemento che deve consentire il bloccarsi di questa relazione tra cosa e parola, anziché compiere questo rinvia la cosa all’infinito, perché poi dopo il “terzo uomo” c’è il quarto, c’è il quinto c’è il sesto e così via all’infinito e quindi non raggiungerà mai la cosa): Abbiamo anche detto che “cosa” (lui lo mette tra virgolette) indica qui ogni possibile essente quale ne sia il modo d’essere. (cioè qualunque cosa) Abbiamo detto ancora riguardo alla parola, che questa non solo sta in rapporto con la cosa ma porta la cosa che di volta in volta nomina, la cosa in quanto essente che è e tale, “è”(tra virgolette) in questo reggendola, trattenendola, dandole per così dire il sostentamento a essere cosa, questo sarebbe il parlare autentico (la parola che fa essere ciò che dice, nel momento in cui dice le cose è in quel momento che esistono, che sono quello che sono. È questo che sta dicendo. Conseguentemente abbiamo detto che la parola non si limita ad essere in rapporto con la cosa ma che la parola stessa è ciò che porta e serba la cosa come cosa. (che è ancora di più che “la parola stessa è la cosa”, perché la parola è ciò che porta e “mantiene” e fa perdurare la cosa in quanto cosa, dice che la “parola in quanto ciò che porta e serba è il rapporto stesso”. Qui badate bene che dice “è il rapporto stesso” anzi l’ha già detto varie volte, come dire che questo rapporto tra parola e cosa è la parola stessa, quindi non c’è più la parola e la cosa ma c’è una relazione tra parola e cosa, nel senso che la parola rende la cosa quella che è, e solo la parola può farlo, cioè il λόγος, e questo è la parola. Qui si potrebbe anche fare un accenno alla questione della metafisica, così come trascorre da Platone fino a Heidegger, non è altro che lo spostare una cosa presente a una cosa che presente non è, e che deve dare il senso, il significato a ciò che è presente, da qui tutte le distinzioni dalle più antiche alle più recenti: “sensibile – ultrasensibile”, “immanente – trascendente”, “significante – significato”, “enunciazione – enunciato”, l’ultimo in ordine di tempo: “conscio – inconscio”. Per questo dico che tutta questa struttura è metafisica, è metafisica sempre in questa accezione ovviamente, cioè ciò che questo significato di “metafisica” che, come dicevo, trascorre da Platone fino ad Heidegger, indica che ciascuna volta in cui qualche cosa deve la sua esistenza, la sua essenza, il suo significato, a qualche cos’altro, questa è una struttura metafisica. Che ha degli effetti ovviamente, perché comporta la supposizione che una certa cosa sia quello che è in base a quell’altra, quindi quell’altra dà alla prima il suo significato, lo ferma, lo blocca e che quindi questo secondo elemento costituisca l’essenza, potremmo quasi dire, del primo, bloccandolo nel significato, ciò che potrebbe, dico “potrebbe”, consentire un passo fuori, ammesso che sia possibile, dalla metafisica. È da considerare che invece ciò che dà il significato al primo elemento costituisca anche questo un elemento che trae il proprio significato da altro, poi da altro, poi da altro ancora e così via all’infinito, a questo punto non c’è la possibilità di bloccare un significato  12 ovviamente, ma questo significato, come ci dice la semiotica, non è altro che un rinvio continuo, infatti, a quella serie di contrapposizioni potremmo anche aggiungere quella di Greimas, cioè i sememi danno un senso ai semi nucleari ché da solo, di per sé, il sema nucleare non significa niente. Ora è chiaro che è il linguaggio che è strutturato così, per questo da tempo sto dicendo che la metafisica illustra il modo in cui il linguaggio funziona, né più né meno, per cui non hanno neanche tutti i torti i metafisici a dire che non c’è uscita dalla metafisica. Posta in questi termini in effetti non c’è uscita dalla metafisica, e neanche attraverso la via immaginata da Heidegger ovviamente): La “parola per la parola” non è dato trovarla là dove il destino dona il linguaggio (cioè se c’è il linguaggio allora la parola per la parola non c’è, una parola che dica la parola in modo definitivo, l’ultima parola sulla parola, non c’è, non si trova perché c’è il linguaggio, il linguaggio che nomina e fa essere, quindi non c’è), linguaggio che nomina e fa essere per l’essente, non c’è la parola che dica l’essenza del linguaggio, perché questa sia e come essente splenda e fiorisca la parola per la parola un tesoro certamente ma un tesoro non conquistabile per la terra del poeta, e per il pensiero? Può il pensiero? Quando il pensiero cerca di meditare la parola poetica (cioè la parola autentica per Heidegger) questo si rivela: la parola, il dire non ha essere. Il nostro modo corrente di concepire si ribella quando gli si propone un pensiero così audace. Scritte o parlate ognuno pur vede e sente delle parole, esse sono. Possono essere come cose, realtà afferrabili dai nostri sensi, basta solo per far l’esempio più banale aprire un dizionario è pieno di “cose” stampate, certamente puri vocaboli, non una sola parola, poiché la parola grazie alla quale i vocaboli si fanno parola, un dizionario non è in grado né di captarla né di custodirla, dove dobbiamo andare a cercare la parola? dove il dire? Dall’esperienza poetica della parola ci viene un cenno che può essere di grande aiuto: la parola non è cosa, nulla di essente, invece noi abbiamo cognizione delle cose quando per esse c’è a disposizione la parola allora la cosa è. Ma qual è la natura di questo “è”, “la cosa è” ? e questo “è” è anch’esso una cosa sovrapposta a un’altra, messale su come un cappuccio, noi non troviamo mai questo “è” come cosa sopra altra cosa, per questo “è” la situazione è la stessa che per la parola, questo “è” non fa parte delle cose che sono più di quanto non lo faccia la parola. (sta dicendo che la parola non è, nel senso dell’Essere, cioè come lo intende la filosofia comunemente, e cioè come ente, qui allude al fatto che la parola non sia determinabile, così come lo è per esempio un vocabolo, un lessema, quindi intende con parola ovviamente un’altra cosa.) Improvvisamente ci risvegliamo dalla sonnolenza di un pensare frettoloso, e scorgiamo qualcosa di diverso in ciò che l’esperienza del linguaggio dice, riguardo alla parola gioca il rapporto fra questo “è” che per sé non è, e la parola che si trova nella stessa situazione che cioè non è nulla che sia, (qui sta cercando di complicare le cose, adesso vediamo se) né l’“è” nella parola hanno l’essenza della cosa, (l’abbiamo detto prima: non sono enti) l’Essere né ha il rapporto con l’“è” la parola al quale è affidato il compito di concedere via, via un “è”, (sta dicendo che né questo è, quando diciamo che “la parola è qualcosa”, questo “è” per lui costituisce un problema, diciamo “la parola è”, “è” cosa? infatti né l’“è” né la parola in questa frase hanno l’essenza della cosa, cioè non hanno l’Essere) né ha (soggetto l’Essere) il rapporto fra l’“è” e la parola, ciò non di meno, né l’“è”, né la parola e il dire di questa, possono venire cacciati nel vuoto del niente (non sono niente, qualcosa pur sono) Che indica l’esperienza poetica della parola quando il pensiero riflette su di essa? Essa rimanda a quel degno d’essere pensato, pensare il quale si pone al pensiero fino dai tempi più antichi e anche se in modo velato come suo proprio compito, esso rimanda a quello di cui in tedesco può dirsi “es gibt senza che possa dirsi “ist” cioè è, “gibt” “esso dà” “si offre”, di ciò di cui può dirsi “est gibt” fa parte anche la parola (adesso incomincia a intravedersi che cosa intende con quello che sta dicendo “la parola non è, propriamente, ma è ciò che si dà, ciò che si offre”.)forse non solo anche, ma prima di ogni altra cosa, in modo tale che nella parola e nella sua essenza si cela quello che “gibt” appunto “dà”, nella parola si cela quello che essa stessa da. Della parola pensando con rigore non dovremmo mai dire “es ist” cioè “essa è” ma “es gibt”, ciò non nel senso di quando si dice “es gibt Worte” “qualcosa dà la parola” ma nel senso che la parola stessa dà, non è qualcosa che dà la parola ma è la parola che dà, la parola: la datrice. Ma che dà la parola?  13 secondo l’esperienza poetica e la tradizione più antica del pensiero la parola dà: l’Essere (ecco perché prima diceva che la parola non è l’Essere, la parola dà l’Essere) Ma se così stanno le cose allora in quel “es, das gibt” “esso, il dare” noi dovremmo pensando cercare la parola come ciò stesso che dà e mai è dato. La parola “es gibt” si trova in tedesco usata in molteplici modi, si dice per esempio “es gibt an der sonningen Halde Erdbeeren” “ci sono fragole sul pendio soleggiato”, “là ci sono le fragole”, nella nostra riflessione “es gibt” è usato diversamente non “des gibt …” “si dà la parola” ma “es das Word gibt…” cioè “essa la parola dà”. Quando Freud dice “Wo es war, soll Ich werden” questo “es” può essere inteso benissimo come “qualcosa” “là dove qualcosa era occorre che io avvenga” è una delle traduzioni che sono state fatte di questa frase. Così dilegua completamente lo spettro dell’“es” davanti al quale molti e a ragione trovano sconcerto, ma ciò che è degno di essere pensato resta, si fa anzi evidente, questa realtà semplice e inafferrabile che noi indichiamo con l’espressione “es, das word, gibt” si rivela come ciò che propriamente è degno di essere pensato e cioè che “essa” la parola da, per la determinazione di questo mancano ancora da per tutto i termini di misura forse il poeta li conosce ma il suo poetare ha appreso la rinuncia e tuttavia con la rinuncia nulla ha perduto (la rinuncia era quella del poeta di avere quella parola che dice la parola stessa, a questo rinuncia perché la Norna dice che non ce l’ha) il gioiello però gli sfugge certamente ma sfugge nella forma comportata dall’esser per esso negata la parola (questo gioiello sfugge, ma sfugge in che senso? Sfugge perché gli sfugge la parola per dirlo) Negare è trattenere ma qui appunto si rivela l’aspetto sorprendente del potere proprio della parola, il gioiello (che è la parola) non si dissolve affatto nell’inerte insignificanza del niente, (qui si riferisce a quando prima diceva, che la parola non è Essere, non ha l’Essere) la parola non sprofonda nella banale incapacità di dire (non è che la parola non può dirsi perché non siamo capaci a dirla, dice:) no, il poeta non abdica alla parola tuttavia il gioiello si sottrae nel mistero che riempie di stupore … per questo il poeta come dicono i versi introduttivi al canto medita anche più di prima, compone ancora, compone cioè un dire e in forma anche diversa da quella di prima. (ecco qui dicendo che non è la parola che si dà, ma è la parola che dà, ovviamente pone la parola come già aveva fatto in precedenza come λόγος in quanto Essere, nell’accezione che indica Heidegger ovviamente, cioè di “Dasein” “esserci”) Se però l’affinità tra poetare e pensare è quella del dire, allora siamo portati a supporre che l’evento domini come quel dire originario con il quale il linguaggio ci dice della sua essenza, il suo dire non si perde nel vuoto esso ha già sempre raggiunto il segno, che altro è questo segno se non l’uomo? Che l’uomo è uomo solo se ha risposto affermativamente alla parola del linguaggio, se è assunto nel linguaggio perché lo parli (ovviamente, questo dicevo è importante perché la presenza dell’uomo è ciò che fa, per Heidegger, la possibilità stessa dell’esserci, “esserci” riguarda l’esistente, l’esistente è l’uomo. Per questo si trova a dire molto spesso che l’Essere è il dialogo da uomo a uomo, perché la parola abita l’uomo. Anche le nuove teorie cioè i metodi della misurazione dello spazio e del tempo, la teoria della relatività e dei quanti e la fisica nucleare, non hanno cambiato in nulla il carattere parametrico di spazio e tempo (in tutte queste discipline i concetti di spazio e tempo sono sempre esattamente gli stessi, quelli per esempio di Anassagora) e nemmeno sono in grado di produrre un simile cambiamento, se ne fossero capaci ne verrebbe a crollare l’intero apparato della moderna scienza tecnica della natura. (perché non avrebbe più questi parametri sui quali è stata costruita ogni cosa) Tutto parla contro, in primo luogo la caccia alla formula fisica capace di interpretare il cosmo in termini matematici, la famosa teoria del “Tutto”, sennonché ciò che spinge al perseguimento affannoso di tale formula non è primariamente la passione personale dei ricercatori, ché questi si trovano ad essere quel che sono in forza di un esigenza prepotente che coinvolge e domina il pensiero moderno nella sua globalità, fisica e responsabilità, “bello!” e nella difficile situazione di oggi importante, ma resta una partita doppia dietro la quale si cela un passivo che non può essere sanato né da parte della scienza, né da parte della morale, sempre poi che sanabile sia. (Naturalmente poi qual è questo passivo che rimane? La dico così brutalmente “è il non sapere ciò che stanno facendo”, con tutto ciò che questo comporta ovviamente, poi ecco l’ultimo capitoletto si chiama “la parola”. Qui fa delle domande, tre domande) : (Ripete di nuovo il verso  14 finale “Nessuna cosa è (sia) dove la parola manca) Si è tentati di trasformare il verso finale in un’asserzione “Nessuna cosa è dove la parola manca” dove qualcosa “es gebrit” “manca” cioè c’è una frattura, un danno, “recar danno a una cosa” vuol dire sottrarle qualcosa, farle mancare qualcosa, non c’è cosa dove la parola manca, solo quando c’è la parola per dirla la cosa è, (allora ecco le tre domande): 1) Che è la parola per avere tale potere? 2) Che è la cosa per avere bisogno della parola per essere? 3) Che significa qui “essere”, dal momento che appare come un dono conferito alla cosa dalla parola? (qui riassume in una parola tutto ciò che ha detto nel libro praticamente. Cioè l’Essere stesso appare come “un dono conferito alla cosa dalla parola”, qui è chiarissimo … Intervento: risponde alle domande poi, perché qui è un po’ antropocentrico? Si può dire anche di Heidegger che sia antropocentrico, anche se a lui non sarebbe piaciuto, infatti per lui l’uomo è oggetto di interesse, cioè l’esistenzialismo, solo perché si accorge che l’esistenza dell’uomo è la condizione per potere fare un discorso sull’Essere, cioè dice che non c’è l’Essere senza l’uomo, cioè senza colui che parla, senza colui che fa essere le cose.) Il primo verso della poesia dà la risposta “meraviglia di lontano o sogno” “nomi” per quello di cui al poeta giunge notizia di lontano come di cosa meravigliosa o per quello che lo visita nel sogno, l’uno e l’altro sono considerati dal poeta senza ombra di dubbio come realtà reali, come qualcosa che è, realtà che egli tuttavia non vuole tenere per sé ma vuole rappresentare, per questo occorrono i nomi. Tali nomi sono parole per mezzo delle quali ciò che già è e per tale è tenuto, assume così consistente concretezza che da quel momento splende e fiorisce e così facendo esercita tutta la regione e il dominio che è proprio della bellezza … i “nomi” sono le parole che rappresentano (Qui si può intendere in due modi, perché “i nomi sono le parole che rappresentano” può intendersi sia in questo modo e cioè che i nomi sono parole che rappresentano qualche cos’altro, ma anche che “i nomi rappresentano altre parole”. I nomi sono le parole che rappresentano parole rappresentanti altre cose, oppure i nomi sono le parole che rappresentano, sono le parole stesse che rappresentano i nomi,) Essi (i nomi) propongono all’immaginazione ciò che già è, grazie alla loro virtù rappresentativa i nomi testimoniano il loro decisivo dominio sulle cose, è l’esigenza stessa dei nomi che porta il poeta a poetare, per raggiungerli egli deve prima giungere con i viaggi là dove … Sono due casi, nel primo caso potremmo dire che “nomina sunt consequentia rerum” nel secondo “nomina non sunt consequentia rerum” “i nomi sono la conseguenza delle cose” nel secondo “i nomi non sono la conseguenza delle cose”. I nomi che la fonte custodisce (qui si riferisce sempre alla poesia di Stefan George) sono come qualcosa che dorme, che ha bisogno solo di essere destato per servire come rappresentazione delle cose, nomi e parole sono come un solido patrimonio finalizzato alle cose, che poi viene utilizzato per rappresentarle, sennonché la fonte, alla quale fino a quel momento il dire poetico ha attinto le parole cioè i nomi che rappresentano la realtà, non dona più nulla. Quale esperienza fa qui il poeta? Soltanto quella che quando si tratta del gioiello portato sulla mano il nome non si trova? (il gioiello è sempre la parola) soltanto quella che ora il gioiello deve sì restare senza nome, ma può tuttavia restare sulla mano del poeta? No, altro accade e ha dello sconcertante, ma sconcertante non è né il fatto che manca il nome, né il fatto che il gioiello scompare con il mancare della parola, è quindi la parola che trattiene il gioiello nel suo essere presente: (cioè la parola trattiene se stessa) la parola, nient’altro che la parola lo prende e lo porta a tale esser presente e in questo lo serba, la parola presenta improvvisamente un altro più alto potere, non è più solo la presa sulla realtà, come presenza già colta dall’immaginazione, quella presa che consiste nel dare un nome, non è soltanto mezzo per rappresentare ciò che sta dinnanzi, al contrario (qui veniamo alla questione) è la parola che conferisce la presenza cioè l’Essere, nel quale qualcosa si manifesta come essente, quest’altro potere della parola trae su di sé l’attenzione del poeta in modo brusco e improvviso, al tempo stesso però la parola che ha quel potere manca, perciò il gioiello dilegua, non per questo si dissolve nel nulla, resta un tesoro che poi il poeta non potrà mai custodire nella sua terra, (che cosa si dilegua, che cosa manca? Qui non siamo nella questione della “mancanza a essere”, siamo al fatto che ciò che manca è quella parola che da fuori del linguaggio finalmente dica che cos’è veramente la parola. Il nome che si dà alla parola è un’altra parola, non è qualcosa che da fuori  15 dovrebbe garantire che sia esattamente quella cosa. E qui insiste sul fatto che la parola fa sì che la cosa sia, cosa tutt’altro che irrilevante) Il tesoro e la terra del poeta mai giunge a possedere, è la parola per l’essenza del linguaggio, la potenza e la vita della parola scorta d’improvviso (qual è la potenza della parola? il fatto di fare essere le cose) il suo essere e operare vorrebbe pervenire alla parola, alla sua propria parola ma la parola, per l’essenza della parola, non viene concessa. La parola che dica che cosa veramente è, è questo che non viene concesso, è questo che manca, in questo senso diceva. L’ultimo capitoletto “In cammino verso il linguaggio” che poi dà il nome al testo. Ecco qui parla dell’¡λήθεια: il testo di Aristotele evidenzia con un dire chiaro e sobrio quella classica struttura in cui si cela l’essenza del linguaggio inteso come parlare, le lettere indicano i suoni, i suoni indicano le affezioni dell’anima, le affezioni indicano le cose che colpiscono l’anima, il “mostrare” “das Zeigen” è quello che costituisce e regge l’intera impalcatura, in modo vario, velando e disvelando, esso il mostrare, porta qualcosa ad apparire, fa che ciò che appare sia avvertito e ciò che viene avvertito sia considerato (cioè esista) quando riflettiamo sul linguaggio in quanto linguaggio già abbiamo abbandonato il modo di procedere rimasto finora consueto nella riflessione sul linguaggio. Non possiamo più andare alla ricerca di concetti generali come “energia” “attività” “lavoro” “forza spirituale” “visione del mondo”, espressione sotto i quali condurre il linguaggio come un caso particolare di tale generalità. Anziché spiegare il linguaggio come questa o quest’altra cosa fuggendone in tal modo lontano, il cammino verso il linguaggio vorrebbe fare esperire il linguaggio come linguaggio, nell’essenza del linguaggio, il linguaggio è sì compreso, ma afferrato per mezzo di altro da esso è il famoso metalinguaggio (di cui diceva prima il metalinguaggio come metafisica) se volgiamo invece l’attenzione unicamente al linguaggio come linguaggio, questo pretende allora da noi che mettiamo finalmente in evidenza tutto quello che fa parte del linguaggio in quanto linguaggio (è quello che ho cercato di fare in questi anni intendendo che cosa fa funzionare il linguaggio) Nel parlare rientrano i parlanti, ma il rapporto tra parlanti e parlare non è riducibile a quello tra causa ed effetto (se no sarebbe come dire che qualcosa dà la parola, mentre lui è stato preciso, “è la parola che dà”, ma cosa dà? Le cose, l’Essere.) I parlanti trovano piuttosto nel parlare il loro essere presenti, presenti a che? A ciò con cui parlano, presso cui dimorano in quanto realtà che sempre già li riguarda, è quanto dire “gli altri, le cose, tutto ciò che fa che queste siano cose, queste precise cose e quelli gli altri quei concreti altri” (questo fa la parola, fa esistere tutte queste cose qui) A tutto questo ora in un modo, ora in un altro già sempre è andato l’appello del parlare. // Ma come sono pensati il parlare e il “parlato”, nel breve racconto che si è precedentemente fatto del linguaggio? Essi si rivelano già come ciò per cui e in cui qualcosa si fa parola, giunge a farsi evidente in quanto qualcosa è detto. Dire e parlare non sono la stessa cosa, uno può parlare, parla senza fine, e tutto quel parlare non dice nulla, un altro invece tace, non parla e può col suo non parlare dire molto, ma che significa dire, “sagen” in tedesco? Per esperire questo è necessario attenersi a ciò che la lingua tedesca già costringe a pensare con la parola “sagen”. “Sagan” significa “mostrare” “far che qualcosa appaia” “si veda” “si senta” // Ciò che fa essere il linguaggio come linguaggio è il dire originario “die saghe” in quanto “mostrare” “die Zeige”, il mostrare proprio di questo non si basa su un qualche segno ma tutti i segni traggono origine da un mostrare nel cui ambito e per i cui fini soltanto acquistano la possibilità di essere segni. (Ma non sta proprio in questo mostrare, nel fatto che tutti i segni traggono origine da un mostrare che si impianta la metafisica stessa, la sua stessa possibilità? Ma ne riparleremo perché è una questione tutt’altro che semplice) // (siamo alla fine volevo riprendere le tre domande che faceva prima, adesso possiamo rispondere a ciò che si è domandato): Il dire originario è mostrare, in tutto ciò (ricordate: il dire originario è mostrare. Questo è il dire originario per Heidegger) in tutto ciò che ci volge la parola, che ci tocca come oggetto di parola o parola, che ci si partecipa, che in quanto non detto è in attesa di noi, non solo ma in quello stesso parlare, che noi veniamo mettendo in atto, che è operante il mostrare sempre e comunque, in virtù di questo che ciò che è presente appare, ciò che è assente dispare. Questo (è sempre il dire originario il soggetto) dischiude ciò che è presente nel suo esser presente (che sembra una ripetizione inutile “dischiude il suo essere presente nel suo essere  16 presente” ma il fatto che qualcosa sia presente per Heidegger non è così automatico, occorre qualcosa che dischiuda, apra l’orizzonte entro il quale qualche cosa può essere presente, non basta che sia presente perché che sia presente da sé non significa niente se non c’è il linguaggio che fa essere presente.) il dire originario domina compone in unità la libera distesa di quella radura … da dove viene il mostrare? La domanda vuol sapere troppo e troppo in fretta (non è che possiamo sapere tutto subito) gioverà accontentarsi di osservare la natura e l’origine del moto presente nel mostrare, non è necessaria qui una lunga ricerca è sufficiente l’intuizione repentina, non obliabile e perciò sempre nuova, di ciò che, sì, è a noi familiare, ma che noi tuttavia lungi dal riconoscere nel modo che ci conviene neppure cerchiamo di conoscere, questa realtà sconosciuta e non di meno familiare da cui ogni mostrare del dire originario trae il proprio moto, è per ogni essere presente ed essere assente l’alba di quel mattino nel quale soltanto può trovare inizio la vicenda del giorno e della notte. Alba che insieme l’ora prima e l’ora più remota tale realtà appena ci è dato nominarla, essa è l’“ort” che non tollera “Er-örterung”. Il tempo che non concede di essere raggiunto perché è luogo di tutti i luoghi e di tutti gli spazi del gioco del tempo, noi la chiameremo con una parola antica e diremo: ciò che muove nel mostrare del dire originario è lo “Eignen”. Lo Eignen adduce ciò che è presente e assente in quello che gli è proprio, cosicché emergendone la cosa presente e assente, si rivela nella sua vera identità e resta se stessa. // Il linguaggio non si irrigidisce in se stesso nel senso di un narcisismo di tutto dimentico tranne che di sé, come sarebbe potuto apparire, (eventualmente) come dire originario il linguaggio è il mostrare appropriante, che appunto prescinde da sé per dischiudere così per mostrare la possibilità di rilevarsi nella figura che gli è propria, (cioè il linguaggio consente alla cosa di mostrarsi e permette anche alla cosa di mostrarsi per quello che è. Il linguaggio è questa possibilità delle cose di essere quelle che sono. Ma non toglie alle cose il fatto che sono quelle che sono.) Il linguaggio che parla dicendosi cura che il nostro parlare, ascoltare il dire che non ha suono, corrisponda a quel che esso (linguaggio) viene dicendo, in tal modo anche il silenzio che non di rado si pone a fondamento del linguaggio, come sua scaturigine, è già un corrispondere (corrispondere alla chiamata del dire, ovviamente, cioè del λόγος. La conclusione sarà a questo punto la risposta a quelle tre domande.) Poiché noi uomini, per essere quelli che siamo, restiamo immessi nel linguaggio, né mai possiamo uscirne e posarci a un punto da cui ci sia dato circoscriverlo con lo sguardo, noi vediamo il linguaggio sempre solo in quanto il linguaggio stesso già si è affissato su di noi (appoggiato su di noi, fissato su di noi) ci ha appropriato a sé, il fatto che del linguaggio ci è precluso il sapere, (perché per sapere sul linguaggio bisognerebbe uscire dal linguaggio e tutte queste storie) il sapere inteso secondo la concezione tradizionale fondata sull’idea che conoscere sia rappresentare, non è certamente un difetto bensì il privilegio grazie al quale siamo eletti e attratti in una sfera superiore, in quella in cui noi assunti a portare a parole il linguaggio dimoriamo come immortali insomma siamo fortunati ad essere parlanti. Allora le tre domande alle quali potete, a questo punto, rispondere voi stessi: Che è la parola per avere tanto potere? È l’Essere è il logos. Perché la parola ha tanto potere? Perché è ciò che in quanto Essere è ciò che consente alle cose di apparire, ma che è la cosa per avere bisogno della parola per essere? La parola ha bisogno della parola per essere la cosa, e quindi è quella cosa che diventa cosa soltanto se la parola la fa essere cosa. Terza domanda: che significa qui Essere dal momento che appare come un dono conferito alla cosa dalla parola? che significa qui Essere? Λόγος, nient’altro che λόγος e bell’è fatto. Ecco, io vi ho fatto considerare queste cose perché non è tanto il fatto del contenuto delle affermazioni di Heidegger quanto il modo in cui approccia la questione del linguaggio, in un modo che lui direbbe “non presentativo” cioè non mostra, non dice che cos’è il linguaggio come fa la linguistica, come fa la filosofia del linguaggio, come fa la filosofia in generale approcciando il linguaggio come ente, perché sta qui la differenza ontologica: ente/Essere. Il linguaggio è Essere non è ente. Sono considerazioni interessanti che possono portare ad altre considerazioni, possono aprire altre vie, per questo motivo vi ho letto alcune cose di questo testo di Martin Heidegger.  Alberto Caracciolo. Keywords: il colloquio, in cammino verso il linguaggio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Caracciolo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51629253328/in/photolist-2mSEtHs-2mS81kq-2mS22wB-2mRjtgo-2mRfi2Y-2mPTwCM-2mPC6Zb-2mNzeEc-2mMQbzj-2mKF4aM-2mKGd6B-2mKCdPg-2mEiqh9-2dxgYk4

 

Grice e Caramella – gl’eroi di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo. Grice:”I like Caramella – like me, he is into the metaphysics of conversation! And he reminds me that I should re-read Vico!” --  Grice: “I like Caramella; he prefaced Fichte’s influential tract on ‘la filosofia della massoneria’ – but also wrote on more orthodox subjects like Kant, Cartesio, Bergson, and most of them!” – Grice: “Like me, he thought truth is found in conversation!” Ancora al liceo, comincia a collaborare con Gobetti, il quale gli affida la trattazione della filosofia su “Energie Nove”.  Dopo un primo contatto con PGobetti e La Rivoluzione liberale, su segnalazione di questi, entra in collaborazione con Radice, da cui apprese le dottrine del neo-idealismo di Croce e Gentile. Dopo la laurea, insegna a Genova. Per le sue idee antifasciste fu arrestato e rinchiuso prima nelle carceri di Marassi a Genova, e poi fu trasferito a San Vittore a Milano; fu scarcerato, ma venne sospeso dall'insegnamento e dalla libera docenza. Ottenne, per intercessione di Croce, l'incarico di filosofia a Messina. Vinse la cattedra a Catania. Prese parte ai convegni organizzati dalla Scuola di mistica fascista  Insegna a Palermo, ereditando la cattedra che era stata di Gentile. Il suo allievo principale, che ne cura il lascito, è Armetta, docente alla Pontifica Facoltà Teologica di Sicilia.  La sua vasta cultura, gli permise di vedere la continuità della filosofia antica romana classica e e, nell'ambito della filosofia italiana, l'unità delle opposte dialettiche nella legge vivente dello spirito e nel dinamismo della natura e della storia. Apprezzato storico della filosofia. La sua filosofia si può definire un neo-idealismo crociano e gentiliano, ma reinterpretatto alla luce dello spiritualismo. La sua filosofia supera lo storicismo e la dottrina crociana degli opposti e dei distinti, e si esprime nell'interpretazione della pratica come eticità storica.. La religione e la teosofia rappresentano la possibilità dello spirito attento da un lato alla concretezza dell'uomo e dall'altro all'ineffabilità. Lo spirito, anziché risolversi nella filosofia, colloca il proprio progresso in intima unità con il progresso della filosofia stessa: da un lato è esclusa la riduzione dello spirito ad atteggiamento pratico; dall'altro, le è conferito una distinta funzione teoretica.  Altre opere: “Problemi e sistemi della filosofia, Messina); “Religione, teosofia e filosofia”; “Logica e Fisica” (Roma); “La filosofia di Plotino e il neoplatonismo” Catania); Ideologia”; “Metafisica, filosofia dell'esperienza”; “Metalogica, filosofia dell'esperienza” (Catania); “Autocritica, in: Filosofi italiani contemporanei, M.F. Sciacca, Milano); “L'Enciclopedia di Hegel, Padova); “La filosofia dello Stato nel Risorgimento, Napoli); “Introduzione a Kant, Palermo); “Conoscenza e metafisica, Palermo); “La mia prospettiva etica, Palermo); “Carteggio con Croce. Carteggio. La dialettica del vero e del certo nella "metafisica vichiana" di Caramella, in Miscellanea di scritti filosofici in memoria di Caramella, Palermo. Ontologia storico-dialettica di Caramella.Lo spirito nella filosofia di Caramella.Caramella. La verità in dialogo. Carteggio con Radice.Dizionario biografico degli italiani. Il linguaggio come auto-analisi. 2 S. Caramella , La cultura ligure nell’alto Medioevo, in II Comune di Genova,  La recente V ita d i G io rd a n o Bruno, con documenti e ined i t i 1, in cui Vincenzo Spampanato lia potuto finalmente sintetizzare oltre vent’anni di ricerche bruniane, mi suggerisce l’opp o r tu n ità di un breve eenno sul soggiorno del filosofo nella n o s tra regione, così sulla base di quanto lo Spampanato ha messo novamente in luce come su quella delle antiche notizie da lui rinfrescate. Cel resto l’unica seria esposizione dei fatti che stiamo per narrare era, prima delle dotte pagine dello Spampanato, nella biografia del Berti2: ma sommaria e imprecisa per molti rispetti. Arrivò il Bruno in Genova poco prima della domenica delle Palme, nel 1576: anno in cui la festa cadeva il 15 aprile? Cont raria m en te al parere del Berti, il quale sostiene non essere capace di prova che il filosofo sia entrato nella nostra città, dobb iam o infatti tener presente una scena del Candelaio dove tino dei protagonisti giura, entrando in scena, sulla « benedetta coda dell’asino, che adorano i Genoesi’3 », e il passo correlativo dello S p a c c io d e lla B e stia trio n fa n te , che dice proprio così : « Ho visto io i religiosi di Castello in Genova mostrar per breve tempo e far baciare la velata coda, dicendo: non toccate, baciate: questa è la santa reliquia di quella benedetta asina che fu fatta degna di p o rt ar il nostro Dio dal monte Oliveto a Jerosolina. Adoratela, baciatela, -porgete limosina: Centum accipietis, et vita aeternam p o s s id e b itis 4 ». I « religiosi di Castello» sono, è evidente, i Domenicani di Santa Maria di Castello, dove uffiziavano fin dal secolo X V 5 : e la preziosa reliquia doveva certo esser mostrata 1 Messina, Principato, 1921-22. Vedi, per l’argomento di questa com unicazione, a pp. 269-273. 3 Torino, Paravia, 18691; 18892. 3 ed. Spampanato (Bari, Laterza), pag. 29. 4 ed. Gentile (D ial. m orali di G. B., ivi, 1608), pp. 185-186. Q u e t if e t E c h a r d , S c rip t. ord. praed., t. il, p. in. Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2012 GIORDANO BRUNO A GENOVA E IN LIGURIA 49 al p opolo nella precisa circostanza della c o m m e m o r a z io n e del giorno in cui Gesù discese trionfante su ll’asina a G e r u s a l e m m e 1. Il Bruno veniva da Roma, um ile fu ggiasco. A v ev a avu to notizia che il processo istruttorio p endente presso l’ in q u isiz io n e, per i sospetti di erodossia avanzati contro di lui, n o n a n n u n ­ ziava buon esito: e così, deposto l’ abito, si diresse verso la valle Padana. Più tardi raccontò egli stesso, ai giu d ici di V enezia, di essere andato subito a N oli. Ma è prob abile c h e la peste, da cui quella plaga fu proprio in quel torno di rem po violentemente aiflitta, lo abbia genericam ente con sigliato a v o lgersi verto la Liguria, contrada m eno infetta, o non ancora raggiunta dal contagio, e a fermarsi alm eno qualche g io r n o a G e ­ nova. Le sarcastiche espressioni dello Spaccio ci fanno im m aginare agevolmente il Bruno là sulla piazzetta della vetusta ch iesa romanica, pieno l’animo non già di ammirazione estetica perla caratteristica facciata o per gli ornamenti molteplici dell’ interno, eh’ è tutto un m usaico di con q uiste orientali, - e tan to m e n o di interesse psicologico e religioso per la folla affluente ed effluente dal tempio, - ma di cruccio e di sd eg n o : lui da p o c o a ccostatosi alle nuove idee dei riformatori oltremontani, lui per questo costretto a fuggire di patria e dall’ am ato co n v e n to napoletano di San Domenico Maggiore, dove gli allievi p endevano dalla sua parola, dottamente teologizzante. La peste arrivò presto, anzi subito, anche a G e n o v a ; a Milano l’ ambasciatore veneto Ottaviano di Mazi ne aveva già n o ­ tizia tre giorni dapo il 15 aprile, il m ercoled ì s a n t o 2. E allora il Bruno, com e ci attestano, questa volta, più veracem ente, le sue note dichiarazioni ai giudici veneti, se ne a n d ò a N oli. Forse il ricordo dantesco, che per lui u m anista p oteva con tar qualche cosa, e la simiglianza del nom e con quello della sua Nola; forse la persistente libertà della piccola repubblica, e anche, chissà, qualche lettera di raccomandazione, qualche c o n ­ siglio di amico lo spinsero in quel tranquillo rifugio, l’ u n ic o veramente tranquillo per lui nella storia delie sue lunghe peregrinazioni. « Andai a Noli, territorio g e n o e se , d ove m i intrattenni quattro o cinque mesi a insegnar la gram m atica a’ putti ». « Io 1 P e r la s t o r i a d ella re liq u ia v. Im b r ia n i, N a ta n a r II in P ropu ­ gnatore, Vili, 1 (1875), p. 190-91. 3 M u tin e lli, Storia arcana ed aneddotica d’Italia, vol. 1, lib. li, pp. 306-307, Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2012 50 stetti in Noli.... circa quattro o cinque mesi, insegnando la grammatica a’ figliuoli e leggendo la Sfera o certi gentiluomini...1 ». Lo Spam panato, per ragioni di coerenza con ulteriori dati biografici, pensa che il soggiorno sia durato un po’ più di quattro mesi; e cioè dalla fine d ’ aprile 1576 ai primi del 1577. C o m u n q u e, le occupazioni del Nolano a Noli sono ben chiare: l’ esule cercava di trar qualche mezzo di vita con lezioncine private. Ma anche « leggeva la Sfera a certi gentiluomini »: la Sfera, cioè il famoso trattato di Giovanni da Sacroboseo, professore alla Sorbona e monaco domenicano quasi contemporaneo di Dante: che si soleva considerare come perfetta e sintetica esposizione di una teoria fisico-geometrica fondamentale per l’astronomia tolemaica, (la teoria delle sfere celesti), e che Γ insinuarsi dell’ ipotesi copernicana aveva, nella seconda metà del Cinquecento, rimesso in gran voga2. Persino a Noli era d u n q u e penetrato il novello interesse del secolo per i problemi astronomici ; perfino a Noli alcuni giovani signori sentivano il b i s o g n o di stipendiare un povero erudito piovuto di lontano perchè spiegasse loro il sistema del mondo. E il Bruno cominciava di quia occuparsi direttamente di quelle indagini che fur o n o oggetto delle polemiche da lui sostenute in Inghilterra e che formano l’argomento della Cena delle Ceneri. Non possiamo n atu ralm e n te sapere (a meno che venissero fuori i quaderni di q u e s t e sue legioni liguri) s’ egli già a Noli professasse la dottrina copernicana, servendosi della Sfera per criticare il sistema tolem aico: o invece, come il Galilei ne’ suoi corsi allo Studio di Padova, si limitasse all’illustrazione del classico libretto. Un sacerdote napoletano, anzi padre Iazzarista, Raffaele de Martinis, che p otè consultare gli atti del Santo Uffizio, asserisce nella sua biografia del B ru no3 che a questi fu intentato in Vercelli un processo (che sarebbe il quarto dopo i primi due di Napoli 1 D occ. veneti, vili, c. 8 r-v. (SPAMPANATO, p. 6Ç8). 2 Vedi A. P e l l i z z a r i , Il quadrivio nel Rinascimento (Genova, Perrella, 1924). 3 G . Bruno (Napoli, 1889), p. 12-13. Ma cfr. L. A mabile, in A tti A cc. S cienze mor. e politiche di Napoli, vol. xxiv, pp. 468-469 n.; e s p a m p a n a t o , op. cit.., p. 273 n. (e anche T occo in Arch. fiir Gesch. d e r P h ilo s., IV, 1891, pp. 346-50; B onghi, ne La Cultura, Γ-15 ott. 1889, pp. 585-86; G en til e , G. Bruno e il pensiero del Rinascimento, [Firenze, Vallecchi 1920, pp. 63-64. Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2012 GIORDANO BRUNO A GENOVA E IN LIGURIA 51 e il terzo di Roma) « dalla Inquisizione dello Repubblica g e n o ­ vese»: ma dell’asserzione importantissima (secondo la quale si potrebbe proprio pensare aver il Bruno palesato ancora una volta la sua eterodossia nell’insegnamento di Noli) il De Martinis non dà, e confessa di non aver potuto trovare, le prove. E la notizia non pare affatto fondata, posto che manca ogni riferimento a questo processo genovese nei posteriori documenti processuali di Venezia, e di Roma dove pur dovrebbe trovarsi, posto che a Vercelli non ci consta che il Bruno facesse soggiorno (nè quindi l’inquisizione genovese avrebbe avuto ragione alcuna di perseguirvelo), ma solo vi passò nel 1577. « Eppoi me partii de là [da Noli] ed andai prima a Savona, dove stetti circa quindeci giorni; e da Savona a Turino, dove non trovando trattenimento a mia satisfazione venni a Venezia per il P o 1 ». Da Venezia, di lì a due mesi, a Padova; da Padova a Brescia, Bergamo, Milano. Qui rivestì l’ abito, e poi per Buffalora, Novara, Vercelli, Chivasso, Torino, Susa arrivò alla Novalesa, sotto il Cenisio. Un giorno ancora e fu in Francia, oltre monti, lanciato per la gran carraia della Sua fortuna. T r o ­ verà onori, trionfi accademici, soddisfazioni di filosofo e di scrittore; ma la queta pace di Noli, mai più. S antino C aramella 1 Docc. veti., c. 8La Logica di Porto Reale. Con Prefazione del Prof. Santino ... Storia del pensiero e del gusto letterario in Italia ad uso dei licei.  La scuola di mistica fascista e la discoperta del vero Vico L'azione combinata della storiografia al bianchetto e della credulità strisciante fra le righe del conformismo teologico, ha fatto sparire la notizia della sfida al neoidealismo, che fu lanciata dalle avanguardie cattoliche inquadrate nella scuola milanese di mistica fascista. In tal modo la memoria storica degli italiani è stata privata della nozione necessaria a contrastare seriamente l'ideologia totalitaria e ad avviare gli studi filosofici su un cammino di ricerca opposto a quello tracciato dall'intossicante influsso del gramscismo. Un percorso, quella anticipato dalla scuola di mistica fascista, che avrebbe messo capo ad un'evoluzione del Novecento - un'autentica rivoluzione italiana - di segno contrario al coatto e calamitoso trasferimento (narrato da Ruggero Zangrandi) degli intellettuali fascisti nel partito di Palmiro Togliatti. L'accertata esistenza di una forte opposizione cattolica alla filosofia di matrice hegeliana, comunque, fa crollare i due pilastri della mistificazione comunista: la leggenda della complicità cattolica con l'ideologia anticomunista prevalente in Germania - leggenda sintetizzata dal calunnioso slogan «Pio XII papa di Hitler» - e la rappresentazione degli intellettuali italiani nella figura di un coacervo nazifascista, redento in extremis dalla longanimità del partito staliniano.    La vicenda degli oppositori italiani all'idealismo rivela, invece, l'autonomia, la straordinaria vitalità e l'attitudine del pensiero cattolico ad entusiasmare ed orientare i giovani studiosi, che avevano aderito al fascismo senza separarsi dalla radice religiosa della patria italiana. Curiosamente, l'autorità del pensiero cattolico si rafforzò nella prima fase della II guerra mondiale, quando la Germania nazionalsocialista sembrava avviata a vincere la guerra. Dopo che il governo italiano ebbe sottoscritto l'alleanza con la Germania, il dubbio si era, infatti, diffuso fra i giovani, causando la divisione dell'area fascista in due opposte scuole di pensiero: una corrente maggioritaria, intesa a metter fine al dominio della cultura tedesca e perciò risoluta a percorrere la via d'uscita indicata dalla tradizione cattolica, e una corrente minoritaria, rimasta fedele ai princìpi dell'idealismo e perciò decisa a seguire le avanguardie germaniche sulla via del fanatismo e dell'estremismo anticristiano. Espressione del fermento in atto durante quegli anni cruciali è un magnifico saggio di Nino Tripodi (1911 - 1988), giovane interprete delle novità introdotte nella scuola milanese di mistica fascista dal cardinale Ildefonso Schuster e dal fondatore dell'Università cattolica del Sacro Cuore, il francescano Agostino Gemelli (confronta «Il pensiero politico di Vico e la dottrina del fascismo», Cedam, 1941). Tripodi, grazie ad una profonda conoscenza della filosofia italiana tentò un audace confronto tra lo storicismo cristiano di Giambattista Vico e la dottrina politica di Benito Mussolini.    L'affinità del fascismo e della scienza nuova, nell'acuta analisi di Tripodi, non è causata dalle letture (Mussolini, infatti, non cita mai Vico) ma dalla comune tendenza a riconoscere che «maestra non è la mente di questo o quell'uomo che razionalmente pone un principio, ma la storia delle attività di tutti gli uomini che si svolgono come debbono svolgersi perché provvidenzialmente si compia la socialità che ad esse è intrinseca». La scelta di Tripodi cade su Vico poiché «fu perenne nel suo spirito la distinzione tra la sostanza divina e quella delle creature, tra l'essenza o ragion di essere di Dio e quella delle cose create, come fu perenne ed inequivocabile la inintelligibilità di Dio se ricercata nel mondo bruto della natura anziché in quello della storia, nella quale la Provvidenza si manifesta, chiamando gli uomini a collaboratori della divinità». Pubblicato nel 1941 e presto rimosso dalla censura di sinistra e dall'indifferenza di destra, il saggio di Tripodi raccoglie e approfondisce i risultati delle ricerche iniziate da quegli studiosi cattolici (nel testo sono citati Emilio Chiocchetti, Giorgio Del Vecchio, Francesco Amerio, Agostino Gemelli, Francesco Olgiati, Santino Caramella, Francesco Orestano, Armando Carlini e Balbino Giuliano) che avevano sostenuto l'irriducibilità della tradizione italiana alla filosofia tedesca, confutando le tesi di Croce e di Gentile su Vico precursore dell'idealismo. Tripodi afferma, ad esempio, che il pensiero fascista, per quanto concerne l'ontologia, «ha sempre creduto nella finitezza dell'umano, riconoscendo che esiste una parete invalicabile, sulla quale lo spirito umano non può scrivere che una sola parola, Dio» mentre gli idealisti, convinti di sfondare quella parete, «hanno spiegato la dottrina fascista attraverso il monismo soggettivista o le dimostrazioni immanentistiche, falsando così gli inequivocabili atteggiamenti dualistici di essa».    Di qui il ribaltamento della linea neoidealista e la scelta dello storicismo cristiano di Vico quale orizzonte filosofico della tradizione vivente in Italia malgrado gli apparenti successi della modernità: «La stessa barriera che Vico oppone, in nome della genuinità del pensiero italiano al razionalismo, la oppone il fascismo all'idealismo. Né Gentile, né Croce, anche se il primo ha la camicia nera e cercò di darla al secondo pongono gli estremi della nostra dottrina». Tripodi indica in Vico l'antagonista dell'irrealismo e del soggettivismo dominanti nell'età moderna: «Vico non può essere idealista perché la sua filosofia impugna Cartesio e fa impugnare in Kant gli iniziatori delle dottrine, costruite unicamente su di una realtà interiore». La filosofia vichiana, inoltre, è apprezzata perché rivendica la responsabilità dell'azione umana nei fatti della storia «che altre indagini speculative avevano invece interpretato o come involuti in una meccanica autonoma e materiale o come creazione ideale definita dal pensiero che l'aveva posta. … La coscienza delle proprie virtù creatrici della storia non deve però indurre l'uomo a dimenticare che la causa prima di esse sta al di fuori della sua singolarità terrena. E non al di fuori perché affidata al caso o al fato, ma perché contenuta nella volontà di Dio e rappresentata nella linea tracciata dalla sua divina provvidenza».    L'invito a separare il destino dell'Italia fascista dalle chimere del razionalismo e dalle suggestioni dell'attivismo prometeico e dell'amor fati, non poteva essere formulato con maggiore chiarezza. Nelle penetranti tesi formulate da Tripodi è in qualche modo anticipato lo schema della strategia culturale elaborata, nel dopoguerra, dai pensatori dell'avanguardia cattolica (Giorgio Del Vecchio, Nicola Petruzzellis, Michele Federico Sciacca, Augusto Del Noce, Francisco Elias de Tejada, Rocco Montano, Francesco Grisi, Giovanni Torti) che nella filosofia di Vico vedranno lo strumento adatto a contrastare e battere i poteri dell'astrazione hegeliana trasferita, intanto, nella parodia inscenata dal gramscismo. La posta in gioco era la corretta impostazione della dottrina del diritto naturale, in ultima analisi la soluzione del problema riguardante il rapporto tra la giustizia ideale e le cangianti leggi che i popoli producono nel corso della loro storia. Dagli scritti giuridici di Vico, Tripodi trasse una indicazione che gli permise di risolvere il problema senza nulla concedere alle dottrine storicistiche contemplanti un pensiero dell'assoluto che evolve nel tempo: «esiste non una separazione ma una diversa gradazione d'intensità etica tra giustizia e diritto. La prima è un diritto naturale soprastorico, che è patrimonio universale e depositario del sommo vero. Il secondo è dato dall'insieme delle norme che il mondo delle nazioni partitamente elabora nel suo progressivo avvicinamento alla giustizia». Di qui l'indicazione di due altri motivi del consenso fascista alla scienza nuova: il fermo rifiuto delle astrazioni suggerite dal contrattualismo e la confutazione delle teorie utilitaristiche, che ritengono l'interesse materiale unica molla delle azioni umane.    Nella definizione del comune fondamento della teoria dello Stato, Tripodi sostiene, pertanto, che nel pensiero di Vico come in quello di Mussolini la Provvidenza fa prevalere la solidarietà sull'istinto egoistico: «la provvidenza ha il suo più alto attributo nel senso della socialità che perennemente richiama agli uomini, facendo loro vincere il senso egoistico per cui vorrebbero tutto l'utile per se e niuna parte per lo compagno». Tripodi conclude il suo ragionamento affermando che «l'unitario ordine di idee nel quale relativamente alla concezione dello Stato si muovono la dottrina vichiana e quella fascista» è dimostrato dalla condivisione del fine soprannaturale: «l'uomo trova nello Stato l'organizzazione storica che gli consente di realizzare quei principi morali conferitigli dalla divinità e con ciò di assolvere alla sua stessa funzione trascendente di uomo». E' evidente che l'identificazione della dottrina fascista con la filosofia vichiana era, per Tripodi, un mezzo usato al fine rafforzare la convinzione sulla necessità, imposta dai dubbi destati dall'alleanza con il nazionalsocialismo, di rompere con la cultura prevalente in Germania e di condurre all'approdo cattolico le vere ragioni dell'ideologia fascista.    E' però incontestabile che le tesi di Tripodi erano un ottimo strumento per estinguere l'ipoteca che la filosofia tedesca aveva acceso sulla cultura italiana. Non a caso, nel dopoguerra, Tripodi occupò un posto di prima fila nel gruppo degli intellettuali dell'INSPE (Giorgio Del Vecchio, Carlo Costamagna, Carmelo Ottaviano, Ernesto De Marzio, Vanni Teodorani, Giovanni Volpe, Gino Sottochiesa, Giuseppe Tricoli, Primo Siena, Dino Grammatico, Gaetano Rasi) l'istituto che progettava la trasformazione del MSI di Arturo Michelini in avanguardia di una moderna e rigorosa destra cattolica. L'attenzione prestata da Pio XII all'evoluzione del MSI in conformità alle tesi di Tripodi, aprivano le porte del futuro alla destra. Il congresso del MSI, che doveva tenersi a Genova nel luglio del 1960, doveva, infatti, approvare in via definitiva la lungimirante linea culturale e politica di Tripodi, mandando a vuoto i progetti dell'oligarchia favorevole all'apertura a sinistra. Purtroppo la tollerata (dai democristiani) violenza della piazza comunista impedì lo svolgimento di quel congresso, respingendo il MSI nel sottosuolo dionisiaco del pensiero moderno e nelle magiche grotte del tradizionalismo spurio. La lunga immersione nell'area dell'indigenza filosofica impoverì a tal punto la cultura di destra che, quando la discesa in campo di Berlusconi offrì un'altra occasione all'inserimento nella politica di governo, la classe dirigente del MSI, ottusa dalla retorica almirantiana ed espropriata dal pensiero neodestro, non seppe produrre altro che le esangui e rachitiche tesi di Fiuggi.  Nato a Genova il 22 giugno 1902 da Eleucadio e da Francesca Delfò, segui gli studi classici nella città natale. Ancora liceale, nel maggio del 1919, cominciò a collaborare a Energie nuove di P. Gobetti, con il quale aveva preso contatto epistolare fin dal 17 dic. 1918, dicendosi lettore entusiasta del periodico e seguace della dottrina filosofica crociana. Il Gobetti, ormai orientato verso interessi più specificamente politici, affidò al giovane C. la trattazione sulla rivista dei temi filosofici. Dal luglio 1921, su segnalazione del Gobetti, Giuseppe Lombardo Radice cominciò ad accogliere i suoi scritti su L'Educazione nazionale.  In linea con l'orientamento pedagogico idealistico del Lombardo Radice, fin dall'inizio degli anni Venti il C. prese le distanze dal positivismo pedagogico con un contributo (Studi sul positivismo pedagogico, Firenze 1921), nato proprio da un suggerimento del pedagogista siciliano che nel dicembre 1919 glielo aveva proposto come tema di studio.  È qui osteggiato un pensiero ispirato agli schemi dell'evoluzionismo deterministico e del positivismo scientifico; in particolare e avversato il meccanicismo naturalistico biologicoevolutivo (Spencer e Ardigò), cui viene opposta la concezione umanistica dell'educazione di un Angiulli, di un Siciliani, di un Gabelli. Un'idea di fondo anima le critiche del C.: è inutile ogni speculazione teoretica che non sappia apportare nuove indicazioni pedagogiche per il miglioramento delle condizioni di vita umana, sociale e pratica.  Nello stesso orizzonte critico degli Studi si muovono Le scuole di Lenin (Firenze 1921), La pedagogia di Vincenzo Gioberti (ibid. 1922) e la Guida bibliografica della pedagogia, specialmente italiana e recente (ibid. 1923), che faceva seguito alla Bibliografia ragionata della pedagogia (Milano 1921) scritta in collaborazione con il Lombardo Radice.  Nutrito di idee democratiche, che gli facevano ritenere inadeguato per l'obiettivo della costruzione di una "nuova Italia" il vecchio quadro politico postunitario, il C. si impegnò politicamente partecipando alla costituzione a Genova di un gruppo democratico di sinistra, che aveva tra i leader Arturo Codignola. Dal 1920 collaborò sia all'Arduo, sia al quotidiano socialriformista Il Lavoro.  In particolare, tipico dei gruppo di pedagogisti che, in certo qual modo, si ponevano nell'ambito del pensiero gentiliano (verso cui anche il C. veniva avvicinandosi sulla scia del Lombardo Radice, sia pure su posizioni autonome), è il tema dell'educazione come strumento di realizzazione di una coscienza democratico-nazionale. Da qui, anche per l'influsso delle idee gobettiane, l'attenta considerazione di quanto veniva fatto in quel campo in Unione Sovietica, all'indomani della rivoluzione bolscevica. In Le scuole di Lenin l'ammirazione con cui il C. guardava al piano scolastico educativo diretto da Lunačarskij era determinata in concreto dalla considerazione che si trattava di una rivoluzione culturale unica nella storia dell'umanitàl tesa all'elevazione delle classi inferiori per farle partecipare alla guida della società; la critica più forte, propria della formazione laico-democratica del C., stava nella denuncia del carattere dogmatico delle idee del Lunačarskij, quando questi sosteneva che la sua scuola del lavoro non era disgiungibile dal sistema sociale comunista e dal controllo politico del partito (pp. 106- 110).  Conseguita la laurea in filosofia nel 1923, nel 1924 il C. ottenne presso l'università di Genova la libera docenza in storia della filosofia e vinse il concorso per le grandi sedi per la cattedra di filosofia, pedagogia ed economia negli istituti magistrali, ottenendo come sede Genova. Frattanto la collaborazione con il Gobetti, che più che un sodalizio intellettuale aveva costituito un formativo comune impegno politico-sociale all'insegna del programma di democrazia liberale, lo portò in breve tempo allo scontro con il fascismo ormai trionfante. Dell'ottobre 1925 è la diffida dei prefetto di Torino contro la Rivoluzione liberale (alla quale il C. collaborava dal febbraio 1922) e i suoi redattori. La conferma di questo impegno politico e intellettuale, il C. la offrì ulteriormente curando la pubblicazione postuma di Risorgimento senza eroi (Torino 1926) del Gobetti e continuando a far uscire IlBaretti fino al 1928, pur orientando la rivista sempre più verso temi letterari e filosofici onde evitare scontri ancora più aspri con il regime. Nel 1926, grazie al Croce, che ormai era divenuto per lui - come per tanti altri antifascisti - "maestro di libertà", assunse la direzione della collana "Scrittori d'Italia" edita da Laterza. Nel maggio di quell'anno fu costretto a rinunciare alla collaborazione all'Enciclopedia Italiana, a cui era stato invitato dal Gentile, per gli atttacchi mossigli dalla stampa di regime.  Il dissenso dalla politica del fascismo ne provoco l'arresto il 21 apr. 1928; rinchiuso prima nelle carceri. di Marassi a Genova e quindi trasferito a S. Vittore a Milano, fu scarcerato il 6 luglio dello stesso anno. Il 16 genn. 1929 venne sospeso dall'insegnamento e dalla libera docenza. Le accuse - come si legge in una lettera al Croce del 5 febbr. 1929 (in Il Dialogo, 1980) - erano tra l'altro di aver collaborato "al giornale socialistoide-democratico Il Lavoro" di Genova e di aver avuto rapporti con l'associazione antifascista Giovane Italia, insomma di essere "in una condizione di incompatibilità con le direttive generali del governo". Scagionato anche grazie all'intervento del Croce, il C. fu riammesso all'insegnamento il 9 aprile e la libera docenza gli fu restituita con d. m. del 21 giugno 1929. Venne però destinato all'istituto magistrale di Messina, dove prese servizio dal 16 settembre.  Dall'ottobre di quell'anno ottenne l'incarico di filosofia e storia della filosofia e di pedagogia presso il magistero dell'università di Messina. Mantenne questi incarichi finché, nel 1933, vincitore di più concorsi, fu chiamato a coprire la cattedra di pedagogia nell'università di Catania. Nel 1935 passò alla cattedra di filosofia teoretica (che terrà fino al 1950), conseguendo nel 1936 l'ordinariato.  Furono questi anni di studio intenso. Pur nel crocianesimo di base, si intravvede in Religione, teosofia, filosofia (Messina 1931) e in Senso comune. Teoria e pratica (Bari 1933) lo sforzo di plasmare un proprio e originale impianto teoretico.  In dialogo con i principali pensatori dell'idealismo tedesco e italiano, il C. si misura particolarmente con la crociana logica dei distinti. L'indagine si muove sul terreno dell'attività teoretico-pratica dello Spirito. Particolarmente Religione, teosofia, filosofia rappresenta questo tentativo compiuto dal C. per una revisione del sistema idealistico: vi è fatta emergere l'esigenza di un pensiero spirituale più attento da una parte alla concretezza dell'uomo e dall'altra alla ineffabilità di Dio. Perseguendo tale assunto, nella ricerca di un ordine della verità oltre la logica e la nozione di storia del Croce, il C. ripercorre in Senso comune le tappe storiche del pensiero occidentale, ricostruendo la genesi della dualità dello Spirito nella filosofia greca e poi seguendola nel suo sviluppo e nel suo problematicizzarsi nel pensiero moderno. La concezione della filosofia come educazione e storia, la stretta connessione tra la filosofia e la sua storia pongono il C. medianamente tra il Croce e il Gentile, e tuttavia nel senso di una sicura indipendenza dal loro pensiero. La sua posizione teoretica può essere così schematizzata: la teoresi è fondamentalmente caratterizzata dalla dialettica dei distinti, mentre la prassi genera lo scontro tra gli opposti; la sintesi dei distinti non è un tertium quid da essi distinto, ma consiste nella loro stessa inscindibile relazione. La loro circolarità consente, come riaffermerà in Ideologia (Catania 1942), di guardare alla pratica come alla realizzazione della teoria, così che si può parlare e di un finalismo teoretico della pratica e di un finalismo pratico della teoria.  All'approfondimento critico dei neoidealismo italiano, il C. affianca l'approfondimento del rapporto tra ricerca filosofica e fede religiosa. Egli mantiene costante il dialogo tra filosofia, scienza e fede nelle trattazioni della piena maturità: Ideologia (Catania 1942), Metalogica: filosofia dell'esperienza (ibid. 1945), Metafisica vichiana (Palermo 1961), in cui è auspicata la possibilità della sopravvivenza del problema metafisico nell'orizzonte di una metafisica rinnovata, Conoscenza e metafisica (ibid. 1966).  In quest'ultima opera è affrontato il rapporto verità-conoscere, con l'intento di delimitare i confini del sapere scientifico e di affermare razionalmente la capacità di intelligere la realtà della rivelazione. Qui la religione, anziché risolversi nella filosofia, colloca il proprio progresso in intima unità con il progresso della filosofia stessa: da un lato è esclusa la riduzione della religione ad atteggiamento pratico; dall'altro, le è conferita una distinta funzione teoretica. La piena adesione del C. allo spiritualismo cristiano, dunque, fa si che sia elusa la riduzione della filosofia a metodologia, senza dover rinunciare alla fondamentale esigenza di criticità, e che l'interesse si concentri su quelle istanze spiritualistiche, invero in lui presenti dagli anni giovanili sia come atteggiamento di vita - lo si evince dalle Lettere dal carcere del 1928 - sia come ricerca originale di pensiero. In tal senso, l'adesione allo spiritualismo cristiano va dunque letta più nella prospettiva della continuità, dinamica e perciò trasformantesi e trasformante, che in quella della svolta.  Durante la sua lunga e proficua attività accademica, il C. ricoprì numerose cariche, tra cui quella di preside della facoltà di lettere e filosofia dell'università di Catania (1943-45); fu presidente di sezione del British Council di Catania (1944-50) e presidente di sezione della Società filosofica italiana a Catania (1947-50) e a Palermo (1951-72); fu anche presidente di sezione dell'Associazione pedagogica italiana. A Palermo si era stabilito definitivamente allorché venne chiamato prima alla cattedra di pedagogia (1950-52) e poi a quella di filosofia teoretica (1952-72) presso la facoltà di lettere e filosofia.  Il C. morì a Palermo il 26 genn. 1972.  Opere: Per un elenco completo si rinvia a Bibliografia degli scritti di S. C., a cura di T. Caramella, in Miscellanea di studi filosofici in memoria di S. C. (suppl. n. 7 degli Atti dell'Accad. di scienze lettere e arti di Palermo), Palermo 1974, pp. 371-414. Oltre alle opere citate ci limitiamo a ricordare qui: E. Bergson, Milano 1925; Antologia vichiana, Messina 1930; Breve storia della pedagogia, ibid. 1932; La filosofia di Plotino e il neoplatonismo, Catania 1940; Autocritica, in Filosofi italiani contemporanei, a cura di M. F. Sciacca, Milano 1946, pp. 225-233; L'Enciclopedia di Hegel, Padova 1947; La filosofia dello Stato nel Risorgimento, Napoli 1947; Introduzione a Kant, Palermo 1956; La pedagogia tedesca in Italia, Roma 1964; Pedagogia. Saggio di voci nuove, ibid. 1967.  Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 1061, fasc. 21865. Per l'epistolario del C. contributi in: Lettere dal carcere di S. C., in Giornale di metafisica, XXX (1975), pp. 26-38; Carteggio con Croce e Gobetti, in Il Dialogo, XVI (1980), pp.63-I16; Carteggio Lombardo Radice-S. C., a cura di T. Caramella, Genova 1983. Vedi inoltre: M.F. Sciacca, Profilo di S. C., in Annali della facoltà di magistero della università di Palermo, 1971-72, pp. 5-15; P. Di Vona, Religione e filosofia nel pensiero giovanile di S. C., ibid., pp. 16-33; F. Conigliaro, Verità e dialogo nel pensiero di S. C., in Il Dialogo, VIII (1972), pp. 56-65; A. Guzzo, S. C., in Filosofia, XXIII (1972), pp. 165-167; M. F. Sciacca, Il pensiero di S. C., in Atti dell'Accad. di scienze lettere e arti di Palermo, XXXII (1971 -73), n. 2, pp. 11-24; A. Sofia, Il dialogo di S. C. con gli uomini d'oggi, in Labor, XIV (1973), pp. 81-93; F. Cafaro, Commemoraz. di S. C., in Nuova Riv. pedagogica, XXIII (1973), pp. 17-26; P. Piovani, La dialettica del vero e del certo nella "metafisica vichiana" di S. C., in Miscellanea di scritti filosofici in memoria di S. C., Palermo 1974, pp. 251 -262; M. Ganci, S. C., ibid., pp. 361-366; M. A. Raschini, Commemoraz. del prof. S. C., in Giornale di metafisica, XXIX (1974), pp. 465-472; F. Brancato, S. C.: senso fine e significato della storia, Trapani 1974; V. Mathieu, Filosofia contemporanea, Firenze 1978, pp. 8-10; P. Prini, La ontologia storico-dialettica di S. C., in Theorein, VIII (1979), pp. I-II; L. Pareyson, Inizi e caratteri del pensiero di S. C., in Giornale di metafisica, n. s., I (1979), pp. 305-330; M. Corselli, La vita dello spirito nella filosofia di S. C., in Labor, XXI (1980), pp. 157163; M. A. Raschini, Storiografia e metafisica nella interpretazione vichiana di S. C., in Filosofia oggi, V (1982), pp. 267-278; M. Corselli, La figura di S. C. nel periodo giovanile (1915-1921), in Labor, XXV (1984), pp. 71-79; G. M. Sciacca, S. C. filosofo, pedagogista, educatore, in Pegaso. Annali della facoltà di magistero della università di Palermo. Santino Caramella. Keywords: gl’eroi di Vico, “la verita in dialogo”, soggetto, intersoggetivita, lo spirito oggetivo, spiriti intersoggetivi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Caramella” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51777096859/in/dateposted-public/

 

Grice e Caramello – interpretare – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Grice: “I love Caramello – he exemplifies all that I say about latitudinal and longitudinal unities of philosophy – Aquinas is a ‘great,’ and Caramello has dedicated his life to him!”  Studia al prestigioso liceo classico Gioberti di Torino, entra in seminario e nel 1926 riceve l'ordinazione presbiteriale con una speciale dispensa papale dovuta alla giovane età a cui aveva completato gli studi. Si laurea a Torino. Insegna a Torino, e Chieri. Studia e cura Aquino. Praemittit autem huic operi philosophus prooemium, in quo sigillatim exponit ea, quae in hoc libro sunt tractanda. Et quia omnis scientia praemittit ea, quae de principiis sunt; partes autem compositorum sunt eorum principia; ideo oportet intendenti tractare de enunciatione praemittere de partibus eius. Unde dicit: primum oportet constituere, idest definire quid sit nomen et quid sit verbum. In Graeco habetur, primum oportet poni et idem significat. Quia enim demonstrationes definitiones praesupponunt, ex quibus concludunt, merito dicuntur positiones. Et ideo praemittuntur hic solae definitiones eorum, de quibus agendum est: quia ex definitionibus alia cognoscuntur.  Si quis autem quaerat, cum in libro praedicamentorum de simplicibus dictum sit, quae fuit necessitas ut hic rursum de nomine et verbo determinaretur; ad hoc dicendum quod simplicium dictionum triplex potest esse consideratio. Una quidem, secundum quod absolute significant simplices intellectus, et sic earum consideratio pertinet ad librum praedicamentorum. Alio modo, secundum rationem, prout sunt partes enunciationis; et sic determinatur de eis in hoc libro; et ideo traduntur sub ratione nominis et verbi: de quorum ratione est quod significent aliquid cum tempore vel sine tempore, et alia huiusmodi, quae pertinent ad rationem dictionum, secundum quod constituunt enunciationem. Tertio modo, considerantur secundum quod ex eis constituitur ordo syllogisticus, et sic determinatur de eis sub ratione terminorum in libro priorum.  Potest iterum dubitari quare, praetermissis aliis orationis partibus, de solo nomine et verbo determinet. Ad quod dicendum est quod, quia de simplici enunciatione determinare intendit, sufficit ut solas illas partes enunciationis pertractet, ex quibus ex necessitate simplex oratio constat. Potest autem ex solo nomine et verbo simplex enunciatio fieri, non autem ex aliis orationis partibus sine his; et ideo sufficiens ei fuit de his duabus determinare. Vel potest dici quod sola nomina et verba sunt principales orationis partes. Sub nominibus enim comprehenduntur pronomina, quae, etsi non nominant naturam, personam tamen determinant, et ideo loco nominum ponuntur: sub verbo vero participium, quod consignificat tempus: quamvis et cum nomine convenientiam habeat. Alia vero sunt magis colligationes partium orationis, significantes habitudinem unius ad aliam, quam orationis partes; sicut clavi et alia huiusmodi non sunt partes navis, sed partium navis coniunctiones.  His igitur praemissis quasi principiis, subiungit de his, quae pertinent ad principalem intentionem, dicens: postea quid negatio et quid affirmatio, quae sunt enunciationis partes: non quidem integrales, sicut nomen et verbum (alioquin oporteret omnem enunciationem ex affirmatione et negatione compositam esse), sed partes subiectivae, idest species. Quod quidem nunc supponatur, posterius autem manifestabitur.  Sed potest dubitari: cum enunciatio dividatur in categoricam et hypotheticam, quare de his non facit mentionem, sicut de affirmatione et negatione. Et potest dici quod hypothetica enunciatio ex pluribus categoricis componitur. Unde non differunt nisi secundum differentiam unius et multi. Vel potest dici, et melius, quod hypothetica enunciatio non continet absolutam veritatem, cuius cognitio requiritur in demonstratione, ad quam liber iste principaliter ordinatur; sed significat aliquid verum esse ex suppositione: quod non sufficit in scientiis demonstrativis, nisi confirmetur per absolutam veritatem simplicis enunciationis. Et ideo Aristoteles praetermisit tractatum de hypotheticis enu nciationibus et syllogismis. Subdit autem, et enunciatio, quae est genus negationis et affirmationis; et oratio, quae est genus enunciationis.  Si quis ulterius quaerat, quare non facit ulterius mentionem de voce, dicendum est quod vox est quoddam naturale; unde pertinet ad considerationem naturalis philosophiae, ut patet in secundo de anima, et in ultimo de generatione animalium. Unde etiam non est proprie orationis genus, sed assumitur ad constitutionem orationis, sicut res naturales ad constitutionem artificialium. Videtur autem ordo enunciationis esse praeposterus: nam affirmatio naturaliter est prior negatione, et iis prior est enunciatio, sicut genus; et per consequens oratio enunciatione. Sed dicendum quod, quia a partibus inceperat enumerare, procedit a partibus ad totum. Negationem autem, quae divisionem continet, eadem ratione praeponit affirmationi, quae consistit in compositione: quia divisio magis accedit ad partes, compositio vero magis accedit ad totum. Vel potest dici, secundum quosdam, quod praemittitur negatio, quia in iis quae possunt esse et non esse, prius est non esse, quod significat negatio, quam esse, quod significat affirmatio. Sed tamen, quia sunt species ex aequo dividentes genus, sunt simul natura; unde non refert quod eorum praeponatur. Praemisso prooemio, philosophus accedit ad propositum exequendum. Et quia ea, de quibus promiserat se dicturum, sunt voces significativae complexae vel incomplexae, ideo praemittit tractatum de significatione vocum: et deinde de vocibus significativis determinat de quibus in prooemio se dicturum promiserat. Et hoc ibi: nomen ergo est vox significativa et cetera. Circa primum duo facit: primo, determinat qualis sit significatio vocum; secundo, ostendit differentiam significationum vocum complexarum et incomplexarum; ibi: est autem quemadmodum et cetera. Circa primum duo facit: primo quidem, praemittit ordinem significationis vocum; secundo, ostendit qualis sit vocum significatio, utrum sit ex natura vel ex impositione; ibi: et quemadmodum nec litterae et cetera.  Est ergo considerandum quod circa primum tria proponit, ex quorum uno intelligitur quartum. Proponit enim Scripturam, voces et animae passiones, ex quibus intelliguntur res. Nam passio est ex impressione alicuius agentis; et sic passiones animae originem habent ab ipsis rebus. Et si quidem homo esset naturaliter animal solitarium, sufficerent sibi animae passiones, quibus ipsis rebus conformaretur, ut earum notitiam in se haberet; sed quia homo est animal naturaliter politicum et sociale, necesse fuit quod conceptiones unius hominis innotescerent aliis, quod fit per vocem; et ideo necesse fuit esse voces significativas, ad hoc quod homines ad invicem conviverent. Unde illi, qui sunt diversarum linguarum, non possunt bene convivere ad invicem. Rursum si homo uteretur sola cognitione sensitiva, quae respicit solum ad hic et nunc, sufficeret sibi ad convivendum aliis vox significativa, sicut et caeteris animalibus, quae per quasdam voces, suas conceptiones invicem sibi manifestant: sed quia homo utitur etiam intellectuali cognitione, quae abstrahit ab hic et nunc; consequitur ipsum sollicitudo non solum de praesentibus secundum locum et tempus, sed etiam de his quae distant loco et futura sunt tempore. Unde ut homo conceptiones suas etiam his qui distant secundum locum et his qui venturi sunt in futuro tempore manifestet, necessarius fuit usus Scripturae.  Sed quia logica ordinatur ad cognitionem de rebus sumendam, significatio vocum, quae est immediata ipsis conceptionibus intellectus, pertinet ad principalem considerationem ipsius; significatio autem litterarum, tanquam magis remota, non pertinet ad eius considerationem, sed magis ad considerationem grammatici. Et ideo exponens ordinem significationum non incipit a litteris, sed a vocibus: quarum primo significationem exponens, dicit: sunt ergo ea, quae sunt in voce, notae, idest, signa earum passionum quae sunt in anima. Dicit autem ergo, quasi ex praemissis concludens: quia supra dixerat determinandum esse de nomine et verbo et aliis praedictis; haec autem sunt voces significativae; ergo oportet vocum significationem exponere.  Utitur autem hoc modo loquendi, ut dicat, ea quae sunt in voce, et non, voces, ut quasi continuatim loquatur cum praedictis. Dixerat enim dicendum esse de nomine et verbo et aliis huiusmodi. Haec autem tripliciter habent esse. Uno quidem modo, in conceptione intellectus; alio modo, in prolatione vocis; tertio modo, in conscriptione litterarum. Dicit ergo, ea quae sunt in voce etc.; ac si dicat, nomina et verba et alia consequentia, quae tantum sunt in voce, sunt notae. Vel, quia non omnes voces sunt significativae, et earum quaedam sunt significativae naturaliter, quae longe sunt a ratione nominis et verbi et aliorum consequentium; ut appropriet suum dictum ad ea de quibus intendit, ideo dicit, ea quae sunt in voce, idest quae continentur sub voce, sicut partes sub toto. Vel, quia vox est quoddam naturale, nomen autem et verbum significant ex institutione humana, quae advenit rei naturali sicut materiae, ut forma lecti ligno; ideo ad designandum nomina et verba et alia consequentia dicit, ea quae sunt in voce, ac si de lecto diceretur, ea quae sunt in ligno.  Circa id autem quod dicit, earum quae sunt in anima passionum, considerandum est quod passiones animae communiter dici solent appetitus sensibilis affectiones, sicut ira, gaudium et alia huiusmodi, ut dicitur in II Ethicorum. Et verum est quod huiusmodi passiones significant naturaliter quaedam voces hominum, ut gemitus infirmorum, et aliorum animalium, ut dicitur in I politicae. Sed nunc sermo est de vocibus significativis ex institutione humana; et ideo oportet passiones animae hic intelligere intellectus conceptiones, quas nomina et verba et orationes significant immediate, secundum sententiam Aristotelis. Non enim potest esse quod significent immediate ipsas res, ut ex ipso modo significandi apparet: significat enim hoc nomen homo naturam humanam in abstractione a singularibus. Unde non potest esse quod significet immediate hominem singularem; unde Platonici posuerunt quod significaret ipsam ideam hominis separatam. Sed quia hoc secundum suam abstractionem non subsistit realiter secundum sententiam Aristotelis, sed est in solo intellectu; ideo necesse fuit Aristoteli dicere quod voces significant intellectus conceptiones immediate et eis mediantibus res.  Sed quia non est consuetum quod conceptiones intellectus Aristoteles nominet passiones; ideo Andronicus posuit hunc librum non esse Aristotelis. Sed manifeste invenitur in 1 de anima quod passiones animae vocat omnes animae operationes. Unde et ipsa conceptio intellectus passio dici potest. Vel quia intelligere nostrum non est sine phantasmate: quod non est sine corporali passione; unde et imaginativam philosophus in III de anima vocat passivum intellectum. Vel quia extenso nomine passionis ad omnem receptionem, etiam ipsum intelligere intellectus possibilis quoddam pati est, ut dicitur in III de anima. Utitur autem potius nomine passionum, quam intellectuum: tum quia ex aliqua animae passione provenit, puta ex amore vel odio, ut homo interiorem conceptum per vocem alteri significare velit: tum etiam quia significatio vocum refertur ad conceptionem intellectus, secundum quod oritur a rebus per modum cuiusdam impressionis vel passionis.  Secundo, cum dicit: et ea quae scribuntur etc., agit de significatione Scripturae: et secundum Alexandrum hoc inducit ad manifestandum praecedentem sententiam per modum similitudinis, ut sit sensus: ita ea quae sunt in voce sunt signa passionum animae, sicut et litterae sunt signa vocum. Quod etiam manifestat per sequentia, cum dicit: et quemadmodum nec litterae etc.; inducens hoc quasi signum praecedentis. Quod enim litterae significent voces, significatur per hoc, quod, sicut sunt diversae voces apud diversos, ita et diversae litterae. Et secundum hanc expositionem, ideo non dixit, et litterae eorum quae sunt in voce, sed ea quae scribuntur: quia dicuntur litterae etiam in prolatione et Scriptura, quamvis magis proprie, secundum quod sunt in Scriptura, dicantur litterae; secundum autem quod sunt in prolatione, dicantur elementa vocis. Sed quia Aristoteles non dicit, sicut et ea quae scribuntur, sed continuam narrationem facit, melius est ut dicatur, sicut Porphyrius exposuit, quod Aristoteles procedit ulterius ad complendum ordinem significationis. Postquam enim dixerat quod nomina et verba, quae sunt in voce, sunt signa eorum quae sunt in anima, continuatim subdit quod nomina et verba quae scribuntur, signa sunt eorum nominum et verborum quae sunt in voce. Deinde cum dicit: et quemadmodum nec litterae etc., ostendit differentiam praemissorum significantium et significatorum, quantum ad hoc, quod est esse secundum naturam, vel non esse. Et circa hoc tria facit. Primo enim, ponit quoddam signum, quo manifestatur quod nec voces nec litterae naturaliter significant. Ea enim, quae naturaliter significant sunt eadem apud omnes. Significatio autem litterarum et vocum, de quibus nunc agimus, non est eadem apud omnes. Sed hoc quidem apud nullos unquam dubitatum fuit quantum ad litteras: quarum non solum ratio significandi est ex impositione, sed etiam ipsarum formatio fit per artem. Voces autem naturaliter formantur; unde et apud quosdam dubitatum fuit, utrum naturaliter significent. Sed Aristoteles hic determinat ex similitudine litterarum, quae sicut non sunt eaedem apud omnes, ita nec voces. Unde manifeste relinquitur quod sicut nec litterae, ita nec voces naturaliter significant, sed ex institutione humana. Voces autem illae, quae naturaliter significant, sicut gemitus infirmorum et alia huiusmodi, sunt eadem apud omnes.  Secundo, ibi: quorum autem etc., ostendit passiones animae naturaliter esse, sicut et res, per hoc quod eaedem sunt apud omnes. Unde dicit: quorum autem; idest sicut passiones animae sunt eaedem omnibus (quorum primorum, idest quarum passionum primarum, hae, scilicet voces, sunt notae, idest signa; comparantur enim passiones animae ad voces, sicut primum ad secundum: voces enim non proferuntur, nisi ad exprimendum interiores animae passiones), et res etiam eaedem, scilicet sunt apud omnes, quorum, idest quarum rerum, hae, scilicet passiones animae sunt similitudines. Ubi attendendum est quod litteras dixit esse notas, idest signa vocum, et voces passionum animae similiter; passiones autem animae dicit esse similitudines rerum: et hoc ideo, quia res non cognoscitur ab anima nisi per aliquam sui similitudinem existentem vel in sensu vel in intellectu. Litterae autem ita sunt signa vocum, et voces passionum, quod non attenditur ibi aliqua ratio similitudinis, sed sola ratio institutionis, sicut et in multis aliis signis: ut tuba est signum belli. In passionibus autem animae oportet attendi rationem similitudinis ad exprimendas res, quia naturaliter eas designant, non ex institutione.  Obiiciunt autem quidam, ostendere volentes contra hoc quod dicit passiones animae, quas significant voces, esse omnibus easdem. Primo quidem, quia diversi diversas sententias habent de rebus, et ita non videntur esse eaedem apud omnes animae passiones. Ad quod respondet Boethius quod Aristoteles hic nominat passiones animae conceptiones intellectus, qui numquam decipitur; et ita oportet eius conceptiones esse apud omnes easdem: quia, si quis a vero discordat, hic non intelligit. Sed quia etiam in intellectu potest esse falsum, secundum quod componit et dividit, non autem secundum quod cognoscit quod quid est, idest essentiam rei, ut dicitur in III de anima; referendum est hoc ad simplices intellectus conceptiones (quas significant voces incomplexae), quae sunt eaedem apud omnes: quia, si quis vere intelligit quid est homo, quodcunque aliud aliquid, quam hominem apprehendat, non intelligit hominem. Huiusmodi autem simplices conceptiones intellectus sunt, quas primo voces significant. Unde dicitur in IV metaphysicae quod ratio, quam significat nomen, est definitio. Et ideo signanter dicit: quorum primorum hae notae sunt, ut scilicet referatur ad primas conceptiones a vocibus primo significatas.  Sed adhuc obiiciunt aliqui de nominibus aequivocis, in quibus eiusdem vocis non est eadem passio, quae significatur apud omnes. Et respondet ad hoc Porphyrius quod unus homo, qui vocem profert, ad unam intellectus conceptionem significandam eam refert; et si aliquis alius, cui loquitur, aliquid aliud intelligat, ille qui loquitur, se exponendo, faciet quod referet intellectum ad idem. Sed melius dicendum est quod intentio Aristotelis non est asserere identitatem conceptionis animae per comparationem ad vocem, ut scilicet unius vocis una sit conceptio: quia voces sunt diversae apud diversos; sed intendit asserere identitatem conceptionum animae per comparationem ad res, quas similiter dicit esse easdem.  Tertio, ibi: de his itaque etc., excusat se a diligentiori harum consideratione: quia quales sint animae passiones, et quomodo sint rerum similitudines, dictum est in libro de anima. Non enim hoc pertinet ad logicum negocium, sed ad naturale. Postquam philosophus tradidit ordinem significationis vocum, hic agit de diversa vocum significatione: quarum quaedam significant verum vel falsum, quaedam non. Et circa hoc duo facit: primo, praemittit differentiam; secundo, manifestat eam; ibi: circa compositionem enim et cetera. Quia vero conceptiones intellectus praeambulae sunt ordine naturae vocibus, quae ad eas exprimendas proferuntur, ideo ex similitudine differentiae, quae est circa intellectum, assignat differentiam, quae est circa significationes vocum: ut scilicet haec manifestatio non solum sit ex simili, sed etiam ex causa quam imitantur effectus.  Est ergo considerandum quod, sicut in principio dictum est, duplex est operatio intellectus, ut traditur in III de anima; in quarum una non invenitur verum et falsum, in altera autem invenitur. Et hoc est quod dicit quod in anima aliquoties est intellectus sine vero et falso, aliquoties autem ex necessitate habet alterum horum. Et quia voces significativae formantur ad exprimendas conceptiones intellectus, ideo ad hoc quod signum conformetur signato, necesse est quod etiam vocum significativarum similiter quaedam significent sine vero et falso, quaedam autem cum vero et falso.  Deinde cum dicit: circa compositionem etc., manifestat quod dixerat. Et primo, quantum ad id quod dixerat de intellectu; secundo, quantum ad id quod dixerat de assimilatione vocum ad intellectum; ibi: nomina igitur ipsa et verba et cetera. Ad ostendendum igitur quod intellectus quandoque est sine vero et falso, quandoque autem cum altero horum, dicit primo quod veritas et falsitas est circa compositionem et divisionem. Ubi oportet intelligere quod una duarum operationum intellectus est indivisibilium intelligentia: in quantum scilicet intellectus intelligit absolute cuiusque rei quidditatem sive essentiam per seipsam, puta quid est homo vel quid album vel quid aliud huiusmodi. Alia vero operatio intellectus est, secundum quod huiusmodi simplicia concepta simul componit et dividit. Dicit ergo quod in hac secunda operatione intellectus, idest componentis et dividentis, invenitur veritas et falsitas: relinquens quod in prima operatione non invenitur, ut etiam traditur in III de anima.  Sed circa hoc primo videtur esse dubium: quia cum divisio fiat per resolutionem ad indivisibilia sive simplicia, videtur quod sicut in simplicibus non est veritas vel falsitas, ita nec in divisione. Sed dicendum est quod cum conceptiones intellectus sint similitudines rerum, ea quae circa intellectum sunt dupliciter considerari et nominari possunt. Uno modo, secundum se: alio modo, secundum rationes rerum quarum sunt similitudines. Sicut imago Herculis secundum se quidem dicitur et est cuprum; in quantum autem est similitudo Herculis nominatur homo. Sic etiam, si consideremus ea quae sunt circa intellectum secundum se, semper est compositio, ubi est veritas et falsitas; quae nunquam invenitur in intellectu, nisi per hoc quod intellectus comparat unum simplicem conceptum alteri. Sed si referatur ad rem, quandoque dicitur compositio, quandoque dicitur divisio. Compositio quidem, quando intellectus comparat unum conceptum alteri, quasi apprehendens coniunctionem aut identitatem rerum, quarum sunt conceptiones; divisio autem, quando sic comparat unum conceptum alteri, ut apprehendat res esse diversas. Et per hunc etiam modum in vocibus affirmatio dicitur compositio, in quantum coniunctionem ex parte rei significat; negatio vero dicitur divisio, in quantum significat rerum separationem.  Ulterius autem videtur quod non solum in compositione et divisione veritas consistat. Primo quidem, quia etiam res dicitur vera vel falsa, sicut dicitur aurum verum vel falsum. Dicitur etiam quod ens et verum convertuntur. Unde videtur quod etiam simplex conceptio intellectus, quae est similitudo rei, non careat veritate et falsitate. Praeterea, philosophus dicit in Lib. de anima quod sensus propriorum sensibilium semper est verus; sensus autem non componvel dividit; non ergo in sola compositione vel divisione est veritas. Item, in intellectu divino nulla est compositio, ut probatur in XII metaphysicae; et tamen ibi est prima et summa veritas; non ergo veritas est solum circa compositionem et divisionem.  Ad huiusmodi igitur evidentiam considerandum est quod veritas in aliquo invenitur dupliciter: uno modo, sicut in eo quod est verum: alio modo, sicut in dicente vel cognoscente verum. Invenitur autem veritas sicut in eo quod est verum tam in simplicibus, quam in compositis; sed sicut in dicente vel cognoscente verum, non invenitur nisi secundum compositionem et divisionem. Quod quidem sic patet.  Verum enim, ut philosophus dicit in VI Ethicorum, est bonum intellectus. Unde de quocumque dicatur verum, oportet quod hoc sit per respectum ad intellectum. Comparantur autem ad intellectum voces quidem sicut signa, res autem sicut ea quorum intellectus sunt similitudines. Considerandum autem quod aliqua res comparatur ad intellectum dupliciter. Uno quidem modo, sicut mensura ad mensuratum, et sic comparantur res naturales ad intellectum speculativum humanum. Et ideo intellectus dicitur verus secundum quod conformatur rei, falsus autem secundum quod discordat a re. Res autem naturalis non dicitur esse vera per comparationem ad intellectum nostrum, sicut posuerunt quidam antiqui naturales, existimantes rerum veritatem esse solum in hoc, quod est videri: secundum hoc enim sequeretur quod contradictoria essent simul vera, quia contradictoria cadunt sub diversorum opinionibus. Dicuntur tamen res aliquae verae vel falsae per comparationem ad intellectum nostrum, non essentialiter vel formaliter, sed effective, in quantum scilicet natae sunt facere de se veram vel falsam existimationem; et secundum hoc dicitur aurum verum vel falsum. Alio autem modo, res comparantur ad intellectum, sicut mensuratum ad mensuram, ut patet in intellectu practico, qui est causa rerum. Unde opus artificis dicitur esse verum, in quantum attingit ad rationem artis; falsum vero, in quantum deficit a ratione artis.  Et quia omnia etiam naturalia comparantur ad intellectum divinum, sicut artificiata ad artem, consequens est ut quaelibet res dicatur esse vera secundum quod habet propriam formam, secundum quam imitatur artem divinam. Nam falsum aurum est verum aurichalcum. Et hoc modo ens et verum convertuntur, quia quaelibet res naturalis per suam formam arti divinae conformatur. Unde philosophus in I physicae, formam nominat quoddam divinum.  Et sicut res dicitur vera per comparationem ad suam mensuram, ita etiam et sensus vel intellectus, cuius mensura est res extra animam. Unde sensus dicitur verus, quando per formam suam conformatur rei extra animam existenti. Et sic intelligitur quod sensus proprii sensibilis sit verus. Et hoc etiam modo intellectus apprehendens quod quid est absque compositione et divisione, semper est verus, ut dicitur in III de anima. Est autem considerandum quod quamvis sensus proprii obiecti sit verus, non tamen cognoscit hoc esse verum. Non enim potest cognoscere habitudinem conformitatis suae ad rem, sed solam rem apprehendit; intellectus autem potest huiusmodi habitudinem conformitatis cognoscere; et ideo solus intellectus potest cognoscere veritatem. Unde et philosophus dicit in VI metaphysicae quod veritas est solum in mente, sicut scilicet in cognoscente veritatem. Cognoscere autem praedictam conformitatis habitudinem nihil est aliud quam iudicare ita esse in re vel non esse: quod est componere et dividere; et ideo intellectus non cognoscit veritatem, nisi componendo vel dividendo per suum iudicium. Quod quidem iudicium, si consonet rebus, erit verum, puta cum intellectus iudicat rem esse quod est, vel non esse quod non est. Falsum autem quando dissonat a re, puta cum iudicat non esse quod est, vel esse quod non est. Unde patet quod veritas et falsitas sicut in cognoscente et dicente non est nisi circa compositionem et divisionem. Et hoc modo philosophus loquitur hic. Et quia voces sunt signa intellectuum, erit vox vera quae significat verum intellectum, falsa autem quae significat falsum intellectum: quamvis vox, in quantum est res quaedam, dicatur vera sicut et aliae res. Unde haec vox, homo est asinus, est vere vox et vere signum; sed quia est signum falsi, ideo dicitur falsa.  Sciendum est autem quod philosophus de veritate hic loquitur secundum quod pertinet ad intellectum humanum, qui iudicat de conformitate rerum et intellectus componendo et dividendo. Sed iudicium intellectus divini de hoc est absque compositione et divisione: quia sicut etiam intellectus noster intelligit materialia immaterialiter, ita etiam intellectus divinus cognoscit compositionem et divisionem simpliciter.  Deinde cum dicit: nomina igitur ipsa et verba etc., manifestat quod dixerat de similitudine vocum ad intellectum. Et primo, manifestat propositum; secundo, probat per signum; ibi: huius autem signum et cetera. Concludit ergo ex praemissis quod, cum solum circa compositionem et divisionem sit veritas et falsitas in intellectu, consequens est quod ipsa nomina et verba, divisim accepta, assimilentur intellectui qui est sine compositione et divisione; sicut cum homo vel album dicitur, si nihil aliud addatur: non enim verum adhuc vel falsum est; sed postea quando additur esse vel non esse, fit verum vel falsum.  Nec est instantia de eo, qui per unicum nomen veram responsionem dat ad interrogationem factam; ut cum quaerenti: quid natat in mari? Aliquis respondet, piscis. Nam intelligitur verbum quod fuit in interrogatione positum. Et sicut nomen per se positum non significat verum vel falsum, ita nec verbum per se dictum. Nec est instantia de verbo primae et secundae personae, et de verbo exceptae actionis: quia in his intelligitur certus et determinatus nominativus. Unde est implicita compositio, licet non explicita.  Deinde cum dicit: signum autem etc., inducit signum ex nomine composito, scilicet Hircocervus, quod componitur ex hirco et cervus et quod in Graeco dicitur Tragelaphos; nam tragos est hircus, et elaphos cervus. Huiusmodi enim nomina significant aliquid, scilicet quosdam conceptus simplices, licet rerum compositarum; et ideo non est verum vel falsum, nisi quando additur esse vel non esse, per quae exprimitur iudicium intellectus. Potest autem addi esse vel non esse, vel secundum praesens tempus, quod est esse vel non esse in actu, et ideo hoc dicitur esse simpliciter; vel secundum tempus praeteritum, aut futurum, quod non est esse simpliciter, sed secundum quid; ut cum dicitur aliquid fuisse vel futurum esse. Signanter autem utitur exemplo ex nomine significante quod non est in rerum natura, in quo statim falsitas apparet, et quod sine compositione et divisione non possit verum vel falsum esse.  Postquam philosophus determinavit de ordine significationis vocum, hic accedit ad determinandum de ipsis vocibus significativis. Et quia principaliter intendit de enunciatione, quae est subiectum huius libri; in qualibet autem scientia oportet praenoscere principia subiecti; ideo primo, determinat de principiis enunciationis; secundo, de ipsa enunciatione; ibi: enunciativa vero non omnis et cetera. Circa primum duo facit: primo enim, determinat principia quasi materialia enunciationis, scilicet partes integrales ipsius; secundo, determinat principium formale, scilicet orationem, quae est enunciationis genus; ibi: oratio autem est vox significativa et cetera. Circa primum duo facit: primo, determinat de nomine, quod significat rei substantiam; secundo, determinat de verbo, quod significat actionem vel passionem procedentem a re; ibi: verbum autem est quod consignificat tempus et cetera. Circa primum tria facit: primo, definit nomen; secundo, definitionem exponit; ibi: in nomine enim quod est equiferus etc.; tertio, excludit quaedam, quae perfecte rationem nominis non habent, ibi: non homo vero non est nomen.  Circa primum considerandum est quod definitio ideo dicitur terminus, quia includit totaliter rem; ita scilicet, quod nihil rei est extra definitionem, cui scilicet definitio non conveniat; nec aliquid aliud est infra definitionem, cui scilicet definitio conveniat.  Et ideo quinque ponit in definitione nominis. Primo, ponitur vox per modum generis, per quod distinguitur nomen ab omnibus sonis, qui non sunt voces. Nam vox est sonus ab ore animalis prolatus, cum imaginatione quadam, ut dicitur in II de anima. Additur autem prima differentia, scilicet significativa, ad differentiam quarumcumque vocum non significantium, sive sit vox litterata et articulata, sicut biltris, sive non litterata et non articulata, sicut sibilus pro nihilo factus. Et quia de significatione vocum in superioribus actum est, ideo ex praemissis concludit quod nomen est vox significativa.  Sed cum vox sit quaedam res naturalis, nomen autem non est aliquid naturale sed ab hominibus institutum, videtur quod non debuit genus nominis ponere vocem, quae est ex natura, sed magis signum, quod est ex institutione; ut diceretur: nomen est signum vocale; sicut etiam convenientius definiretur scutella, si quis diceret quod est vas ligneum, quam si quis diceret quod est lignum formatum in vas.  Sed dicendum quod artificialia sunt quidem in genere substantiae ex parte materiae, in genere autem accidentium ex parte formae: nam formae artificialium accidentia sunt. Nomen ergo significat formam accidentalem ut concretam subiecto. Cum autem in definitione omnium accidentium oporteat poni subiectum, necesse est quod, si qua nomina accidens in abstracto significant quod in eorum definitione ponatur accidens in recto, quasi genus, subiectum autem in obliquo, quasi differentia; ut cum dicitur, simitas est curvitas nasi. Si qua vero nomina accidens significant in concreto, in eorum definitione ponitur materia, vel subiectum, quasi genus, et accidens, quasi differentia; ut cum dicitur, simum est nasus curvus. Si igitur nomina rerum artificialium significant formas accidentales, ut concretas subiectis naturalibus, convenientius est, ut in eorum definitione ponatur res naturalis quasi genus, ut dicamus quod scutella est lignum figuratum, et similiter quod nomen est vox significativa. Secus autem esset, si nomina artificialium acciperentur, quasi significantia ipsas formas artificiales in abstracto.  Tertio, ponit secundam differentiam cum dicit: secundum placitum, idest secundum institutionem humanam a beneplacito hominis procedentem. Et per hoc differt nomen a vocibus significantibus naturaliter, sicut sunt gemitus infirmorum et voces brutorum animalium.  Quarto, ponit tertiam differentiam, scilicet sine tempore, per quod differt nomen a verbo. Sed videtur hoc esse falsum: quia hoc nomen dies vel annus significat tempus. Sed dicendum quod circa tempus tria possunt considerari. Primo quidem, ipsum tempus, secundum quod est res quaedam, et sic potest significari a nomine, sicut quaelibet alia res. Alio modo, potest considerari id, quod tempore mensuratur, in quantum huiusmodi: et quia id quod primo et principaliter tempore mensuratur est motus, in quo consistit actio et passio, ideo verbum quod significat actionem vel passionem, significat cum tempore. Substantia autem secundum se considerata, prout significatur per nomen et pronomen, non habet in quantum huiusmodi ut tempore mensuretur, sed solum secundum quod subiicitur motui, prout per participium significatur. Et ideo verbum et participium significant cum tempore, non autem nomen et pronomen. Tertio modo, potest considerari ipsa habitudo temporis mensurantis; quod significatur per adverbia temporis, ut cras, heri et huiusmodi.  Quinto, ponit quartam differentiam cum subdit: cuius nulla pars est significativa separata, scilicet a toto nomine; comparatur tamen ad significationem nominis secundum quod est in toto. Quod ideo est, quia significatio est quasi forma nominis; nulla autem pars separata habet formam totius, sicut manus separata ab homine non habet formam humanam. Et per hoc distinguitur nomen ab oratione, cuius pars significat separata; ut cum dicitur, homo iustus.  Deinde cum dicit: in nomine enim quod est etc., manifestat praemissam definitionem. Et primo, quantum ad ultimam particulam; secundo, quantum ad tertiam; ibi: secundum vero placitum et cetera. Nam primae duae particulae manifestae sunt ex praemissis; tertia autem particula, scilicet sine temporeit , manifestabitur in sequentibus in tractatu de verbo. Circa primum duo facit: primo, manifestat propositum per nomina composita; secundo, ostendit circa hoc differentiam inter nomina simplicia et composita; ibi: at vero non quemadmodum et cetera. Manifestat ergo primo quod pars nominis separata nihil significat, per nomina composita, in quibus hoc magis videtur. In hoc enim nomine quod est equiferus, haec pars ferus, per se nihil significat sicut significat in hac oratione, quae est equus ferus. Cuius ratio est quod unum nomen imponitur ad significandum unum simplicem intellectum; aliud autem est id a quo imponitur nomen ad significandum, ab eo quod nomen significat; sicut hoc nomen lapis imponitur a laesione pedis, quam non significat: quod tamen imponitur ad significandum conceptum cuiusdam rei. Et inde est quod pars nominis compositi, quod imponitur ad significandum conceptum simplicem, non significat partem conceptionis compositae, a qua imponitur nomen ad significandum. Sed oratio significat ipsam conceptionem compositam: unde pars orationis significat partem conceptionis compositae.  Deinde cum dicit: at vero non etc., ostendit quantum ad hoc differentiam inter nomina simplicia et composita, et dicit quod non ita se habet in nominibus simplicibus, sicut et in compositis: quia in simplicibus pars nullo modo est significativa, neque secundum veritatem, neque secundum apparentiam; sed in compositis vult quidem, idest apparentiam habet significandi; nihil tamen pars eius significat, ut dictum est de nomine equiferus. Haec autem ratio differentiae est, quia nomen simplex sicut imponitur ad significandum conceptum simplicem, ita etiam imponitur ad significandum ab aliquo simplici conceptu; nomen vero compositum imponitur a composita conceptione, ex qua habet apparentiam quod pars eius significet.  Deinde cum dicit: secundum placitum etc., manifestat tertiam partem praedictae definitionis; et dicit quod ideo dictum est quod nomen significat secundum placitum, quia nullum nomen est naturaliter. Ex hoc enim est nomen, quod significat: non autem significat naturaliter, sed ex institutione. Et hoc est quod subdit: sed quando fit nota, idest quando imponitur ad significandum. Id enim quod naturaliter significat non fit, sed naturaliter est signum. Et hoc significat cum dicit: illitterati enim soni, ut ferarum, quia scilicet litteris significari non possunt. Et dicit potius sonos quam voces, quia quaedam animalia non habent vocem, eo quod carent pulmone, sed tantum quibusdam sonis proprias passiones naturaliter significant: nihil autem horum sonorum est nomen. Ex quo manifeste datur intelligi quod nomen non significat naturaliter.  Sciendum tamen est quod circa hoc fuit diversa quorumdam opinio. Quidam enim dixerunt quod nomina nullo modo naturaliter significant: nec differt quae res quo nomine significentur. Alii vero dixerunt quod nomina omnino naturaliter significant, quasi nomina sint naturales similitudines rerum. Quidam vero dixerunt quod nomina non naturaliter significant quantum ad hoc, quod eorum significatio non est a natura, ut Aristoteles hic intendit; quantum vero ad hoc naturaliter significant quod eorum significatio congruit naturis rerum, ut Plato dixit. Nec obstat quod una res multis nominibus significatur: quia unius rei possunt esse multae similitudines; et similiter ex diversis proprietatibus possunt uni rei multa diversa nomina imponi. Non est autem intelligendum quod dicit: quorum nihil est nomen, quasi soni animalium non habeant nomina: nominantur enim quibusdam nominibus, sicut dicitur rugitus leonis et mugitus bovis; sed quia nullus talis sonus est nomen, ut dictum est.  Deinde cum dicit: non homo vero etc., excludit quaedam a nominis ratione. Et primo, nomen infinitum; secundo, casus nominum; ibi: Catonis autem vel Catoni et cetera. Dicit ergo primo quod non homo non est nomen. Omne enim nomen significat aliquam naturam determinatam, ut homo; aut personam determinatam, ut pronomen; aut utrumque determinatum, ut Socrates. Sed hoc quod dico non homo, neque determinatam naturam neque determinatam personam significat. Imponitur enim a negatione hominis, quae aequaliter dicitur de ente, et non ente. Unde non homo potest dici indifferenter, et de eo quod non est in rerum natura; ut si dicamus, Chimaera est non homo, et de eo quod est in rerum natura; sicut cum dicitur, equus est non homo. Si autem imponeretur a privatione, requireret subiectum ad minus existens: sed quia imponitur a negatione, potest dici de ente et de non ente, ut Boethius et Ammonius dicunt. Quia tamen significat per modum nominis, quod potest subiici et praedicari, requiritur ad minus suppositum in apprehensione. Non autem erat nomen positum tempore Aristotelis sub quo huiusmodi dictiones concluderentur. Non enim est oratio, quia pars eius non significat aliquid separata, sicut nec in nominibus compositis; similiter autem non est negatio, id est oratio negativa, quia huiusmodi oratio superaddit negationem affirmationi, quod non contingit hic. Et ideo novum nomen imponit huiusmodi dictioni, vocans eam nomen infinitum propter indeterminationem significationis, ut dictum est.  Deinde cum dicit: Catonis autem vel Catoni etc., excludit casus nominis; et dicit quod Catonis vel Catoni et alia huiusmodi non sunt nomina, sed solus nominativus dicitur principaliter nomen, per quem facta est impositio nominis ad aliquid significandum. Huiusmodi autem obliqui vocantur casus nominis: quia quasi cadunt per quamdam declinationis originem a nominativo, qui dicitur rectus eo quod non cadit. Stoici autem dixerunt etiam nominativos dici casus: quos grammatici sequuntur, eo quod cadunt, idest procedunt ab interiori conceptione mentis. Et dicitur rectus, eo quod nihil prohibet aliquid cadens sic cadere, ut rectum stet, sicut stilus qui cadens ligno infigitur.  Deinde cum dicit: ratio autem eius etc., ostendit consequenter quomodo se habeant obliqui casus ad nomen; et dicit quod ratio, quam significat nomen, est eadem et in aliis, scilicet casibus nominis; sed in hoc est differentia quod nomen adiunctum cum hoc verbo est vel erit vel fuit semper significat verum vel falsum: quod non contingit in obliquis. Signanter autem inducit exemplum de verbo substantivo: quia sunt quaedam alia verba, scilicet impersonalia, quae cum obliquis significant verum vel falsum; ut cum dicitur, poenitet Socratem, quia actus verbi intelligitur ferri super obliquum; ac si diceretur, poenitentia habet Socratem.  Sed contra: si nomen infinitum et casus non sunt nomina, inconvenienter data est praemissa nominis definitio, quae istis convenit. Sed dicendum, secundum Ammonium, quod supra communius definit nomen, postmodum vero significationem nominis arctat subtrahendo haec a nomine. Vel dicendum quod praemissa definitio non simpliciter convenit his: nomen enim infinitum nihil determinatum significat, neque casus nominis significat secundum primum placitum instituentis, ut dictum est. Postquam philosophus determinavit de nomine: hic determinat de verbo. Et circa hoc tria facit: primo, definit verbum; secundo, excludit quaedam a ratione verbi; ibi: non currit autem, et non laborat etc.; tertio, ostendit convenientiam verbi ad nomen; ibi: ipsa quidem secundum se dicta verba, et cetera. Circa primum duo facit: primo, ponit definitionem verbi; secundo exponit eam; ibi: dico autem quoniam consignificat et cetera.  Est autem considerandum quod Aristoteles, brevitati studens, non ponit in definitione verbi ea quae sunt nomini et verbo communia, relinquens ea intellectui legentis ex his quae dixerat in definitione nominis. Ponit autem tres particulas in definitione verbi: quarum prima distinguit verbum a nomine, in hoc scilicet quod dicit quod consignificat tempus. Dictum est enim in definitione nominis quod nomen significat sine tempore. Secunda vero particula est, per quam distinguitur verbum ab oratione, scilicet cum dicitur: cuius pars nihil extra significat.  Sed cum hoc etiam positum sit in definitione nominis, videtur hoc debuisse praetermitti, sicut et quod dictum est, vox significativa ad placitum. Ad quod respondet Ammonius quod in definitione nominis hoc positum est, ut distinguatur nomen ab orationibus, quae componuntur ex nominibus; ut cum dicitur, homo est animal. Quia vero sunt etiam quaedam orationes quae componuntur ex verbis; ut cum dicitur, ambulare est moveri, ut ab his distinguatur verbum, oportuit hoc etiam in definitione verbi iterari. Potest etiam aliter dici quod quia verbum importat compositionem, in qua perficitur oratio verum vel falsum significans, maiorem convenientiam videbatur verbum habere cum oratione, quasi quaedam pars formalis ipsius, quam nomen, quod est quaedam pars materialis et subiectiva orationis; et ideo oportuit iterari.  Tertia vero particula est, per quam distinguitur verbum non solum a nomine, sed etiam a participio quod significat cum tempore; unde dicit: et est semper eorum, quae de altero praedicantur nota, idest signum: quia scilicet nomina et participia possunt poni ex parte subiecti et praedicati, sed verbum semper est ex parte praedicati.  Sed hoc videtur habere instantiam in verbis infinitivi modi, quae interdum ponuntur ex parte subiecti; ut cum dicitur, ambulare est moveri. Sed dicendum est quod verba infinitivi modi, quando in subiecto ponuntur, habent vim nominis: unde et in Graeco et in vulgari Latina locutione suscipiunt additionem articulorum sicut et nomina. Cuius ratio est quia proprium nominis est, ut significet rem aliquam quasi per se existentem; proprium autem verbi est, ut significet actionem vel passionem. Potest autem actio significari tripliciter: uno modo, per se in abstracto, velut quaedam res, et sic significatur per nomen; ut cum dicitur actio, passio, ambulatio, cursus et similia; alio modo, per modum actionis, ut scilicet est egrediens a substantia et inhaerens ei ut subiecto, et sic significatur per verba aliorum modorum, quae attribuuntur praedicatis. Sed quia etiam ipse processus vel inhaerentia actionis potest apprehendi ab intellectu et significari ut res quaedam, inde est quod ipsa verba infinitivi modi, quae significant ipsam inhaerentiam actionis ad subiectum, possunt accipi ut verba, ratione concretionis, et ut nomina prout significant quasi res quasdam.  Potest etiam obiici de hoc quod etiam verba aliorum modorum videntur aliquando in subiecto poni; ut cum dicitur, curro est verbum. Sed dicendum est quod in tali locutione, hoc verbum curro, non sumitur formaliter, secundum quod eius significatio refertur ad rem, sed secundum quod materialiter significat ipsam vocem, quae accipitur ut res quaedam. Et ideo tam verba, quam omnes orationis partes, quando ponuntur materialiter, sumuntur in vi nominum.  Deinde cum dicit: dico vero quoniam consignificat etc., exponit definitionem positam. Et primo, quantum ad hoc quod dixerat quod consignificat tempus; secundo, quantum ad hoc quod dixerat quod est nota eorum quae de altero praedicantur, cum dicit: et semper est et cetera. Secundam autem particulam, scilicet: cuius nulla pars extra significat, non exponit, quia supra exposita est in tractatu nominis. Exponit ergo primum quod verbum consignificat tempus, per exemplum; quia videlicet cursus, quia significat actionem non per modum actionis, sed per modum rei per se existentis, non consignificat tempus, eo quod est nomen. Curro vero cum sit verbum significans actionem, consignificat tempus, quia proprium est motus tempore mensurari; actiones autem nobis notae sunt in tempore. Dictum est autem supra quod consignificare tempus est significare aliquid in tempore mensuratum. Unde aliud est significare tempus principaliter, ut rem quamdam, quod potest nomini convenire, aliud autem est significare cum tempore, quod non convenit nomini, sed verbo.  Deinde cum dicit: et est semper etc., exponit aliam particulam. Ubi notandum est quod quia subiectum enunciationis significatur ut cui inhaeret aliquid, cum verbum significet actionem per modum actionis, de cuius ratione est ut inhaereat, semper ponitur ex parte praedicati, nunquam autem ex parte subiecti, nisi sumatur in vi nominis, ut dictum est. Dicitur ergo verbum semper esse nota eorum quae dicuntur de altero: tum quia verbum semper significat id, quod praedicatur; tum quia in omni praedicatione oportet esse verbum, eo quod verbum importat compositionem, qua praedicatum componitur subiecto.  Sed dubium videtur quod subditur: ut eorum quae de subiecto vel in subiecto sunt. Videtur enim aliquid dici ut de subiecto, quod essentialiter praedicatur; ut, homo est animal; in subiecto autem, sicut accidens de subiecto praedicatur; ut, homo est albus. Si ergo verba significant actionem vel passionem, quae sunt accidentia, consequens est ut semper significent ea, quae dicuntur ut in subiecto. Frustra igitur dicitur in subiecto vel de subiecto. Et ad hoc dicit Boethius quod utrumque ad idem pertinet. Accidens enim et de subiecto praedicatur, et in subiecto est. Sed quia Aristoteles disiunctione utitur, videtur aliud per utrumque significare. Et ideo potest dici quod cum Aristoteles dicit quod, verbum semper est nota eorum, quae de altero praedicantur, non est sic intelligendum, quasi significata verborum sint quae praedicantur, quia cum praedicatio videatur magis proprie ad compositionem pertinere, ipsa verba sunt quae praedicantur, magis quam significent praedicata. Est ergo intelligendum quod verbum semper est signum quod aliqua praedicentur, quia omnis praedicatio fit per verbum ratione compositionis importatae, sive praedicetur aliquid essentialiter sive accidentaliter.  Deinde cum dicit: non currit vero et non laborat etc., excludit quaedam a ratione verbi. Et primo, verbum infinitum; secundo, verba praeteriti temporis vel futuri; ibi: similiter autem curret vel currebat. Dicit ergo primo quod non currit, et non laborat, non proprie dicitur verbum. Est enim proprium verbi significare aliquid per modum actionis vel passionis; quod praedictae dictiones non faciunt: removent enim actionem vel passionem, potius quam aliquam determinatam actionem vel passionem significent. Sed quamvis non proprie possint dici verbum, tamen conveniunt sibi ea quae supra posita sunt in definitione verbi. Quorum primum est quod significat tempus, quia significat agere et pati, quae sicut sunt in tempore, ita privatio eorum; unde et quies tempore mensuratur, ut habetur in VI physicorum. Secundum est quod semper ponitur ex parte praedicati, sicut et verbum: ethoc ideo, quia negatio reducitur ad genus affirmationis. Unde sicut verbum quod significat actionem vel passionem, significat aliquid ut in altero existens, ita praedictae dictiones significant remotionem actionis vel passionis.  Si quis autem obiiciat: si praedictis dictionibus convenit definitio verbi; ergo sunt verba; dicendum est quod definitio verbi supra posita datur de verbo communiter sumpto. Huiusmodi autem dictiones negantur esse verba, quia deficiunt a perfecta ratione verbi. Nec ante Aristotelem erat nomen positum huic generi dictionum a verbis differentium; sed quia huiusmodi dictiones in aliquo cum verbis conveniunt, deficiunt tamen a determinata ratione verbi, ideo vocat ea verba infinita. Et rationem nominis assignat, quia unumquodque eorum indifferenter potest dici de eo quod est, vel de eo quod non est. Sumitur enim negatio apposita non in vi privationis, sed in vi simplicis negationis. Privatio enim supponit determinatum subiectum. Differunt tamen huiusmodi verba a verbis negativis, quia verba infinita sumuntur in vi unius dictionis, verba vero negativa in vi duarum dictionum.  Deinde cum dicit: similiter autem curret etc., excludit a verbo verba praeteriti et futuri temporis; et dicit quod sicut verba infinita non sunt simpliciter verba, ita etiam curret, quod est futuri temporis, vel currebat, quod est praeteriti temporis, non sunt verba, sed sunt casus verbi. Et differunt in hoc a verbo, quia verbum consignificat praesens tempus, illa vero significant tempus hinc et inde circumstans. Dicit autem signanter praesens tempus, et non simpliciter praesens, ne intelligatur praesens indivisibile, quod est instans: quia in instanti non est motus, nec actio aut passio; sed oportet accipere praesens tempus quod mensurat actionem, quae incepit, et nondum est determinata per actum. Recte autem ea quae consignificant tempus praeteritum vel futurum, non sunt verba proprie dicta: cum enim verbum proprie sit quod significat agere vel pati, hoc est proprie verbum quod significat agere vel pati in actu, quod est agere vel pati simpliciter: sed agere vel pati in praeterito vel futuro est secundum quid.  Dicuntur etiam verba praeteriti vel futuri temporis rationabiliter casus verbi, quod consignificat praesens tempus; quia praeteritum vel futurum dicitur per respectum ad praesens. Est enim praeteritum quod fuit praesens, futurum autem quod erit praesens.  Cum autem declinatio verbi varietur per modos, tempora, numeros et personas, variatio quae fit per numerum et personam non constituit casus verbi: quia talis variatio non est ex parte actionis, sed ex parte subiecti; sed variatio quae est per modos et tempora respicit ipsam actionem, et ideo utraque constituit casus verbi. Nam verba imperativi vel optativi modi casus dicuntur, sicut et verba praeteriti vel futuri temporis. Sed verba indicativi modi praesentis temporis non dicuntur casus, cuiuscumque sint personae vel numeri. Deinde cum dicit: ipsa itaque etc., ostendit convenientiam verborum ad nomina. Et circa hoc duo facit: primo, proponit quod intendit; secundo, manifestat propositum; ibi: et significant aliquid et cetera. Dicit ergo primo, quod ipsa verba secundum se dicta sunt nomina: quod a quibusdam exponitur de verbis quae sumuntur in vi nominis, ut dictum est, sive sint infinitivi modi; ut cum dico, currere est moveri, sive sint alterius modi; ut cum dico, curro est verbum. Sed haec non videtur esse intentio Aristotelis, quia ad hanc intentionem non respondent sequentia. Et ideo aliter dicendum est quod nomen hic sumitur, prout communiter significat quamlibet dictionem impositam ad significandum aliquam rem. Et quia etiam ipsum agere vel pati est quaedam res, inde est quod et ipsa verba in quantum nominant, idest significant agere vel pati, sub nominibus comprehenduntur communiter acceptis. Nomen autem, prout a verbo distinguitur, significat rem sub determinato modo, prout scilicet potest intelligi ut per se existens. Unde nomina possunt subiici et praedicari.  Deinde cum dicit: et significant aliquid etc., probat propositum. Et primo, per hoc quod verba significant aliquid, sicut et nomina; secundo, per hoc quod non significant verum vel falsum, sicut nec nomina; ibi: sed si est, aut non est et cetera. Dicit ergo primo quod in tantum dictum est quod verba sunt nomina, in quantum significant aliquid. Et hoc probat, quia supra dictum est quod voces significativae significant intellectus. Unde proprium vocis significativae est quod generet aliquem intellectum in animo audientis. Et ideo ad ostendendum quod verbum sit vox significativa, assumit quod ille, qui dicit verbum, constituit intellectum in animo audientis. Et ad hoc manifestandum inducit quod ille, qui audit, quiescit.  Sed hoc videtur esse falsum: quia sola oratio perfecta facit quiescere intellectum, non autem nomen, neque verbum si per se dicatur. Si enim dicam, homo, suspensus est animus audientis, quid de eo dicere velim; si autem dico, currit, suspensus est eius animus de quo dicam. Sed dicendum est quod cum duplex sit intellectus operatio, ut supra habitum est, ille qui dicit nomen vel verbum secundum se, constituit intellectum quantum ad primam operationem, quae est simplex conceptio alicuius, et secundum hoc, quiescit audiens, qui in suspenso erat antequam nomen vel verbum proferretur et eius prolatio terminaretur; non autem constituit intellectum quantum ad secundam operationem, quae est intellectus componentis et dividentis, ipsum verbum vel nomen per se dictum: nec quantum ad hoc facit quiescere audientem.  Et ideo statim subdit: sed si est, aut non est, nondum significat, idest nondum significat aliquid per modum compositionis et divisionis, aut veri vel falsi. Et hoc est secundum, quod probare intendit. Probat autem consequenter per illa verba, quae maxime videntur significare veritatem vel falsitatem, scilicet ipsum verbum quod est esse, et verbum infinitum quod est non esse; quorum neutrum per se dictum est significativum veritatis vel falsitatis in re; unde multo minus alia. Vel potest intelligi hoc generaliter dici de omnibus verbis. Quia enim dixerat quod verbum non significat si est res vel non est, hoc consequenter manifestat, quia nullum verbum est significativum esse rei vel non esse, idest quod res sit vel non sit. Quamvis enim omne verbum finitum implicet esse, quia currere est currentem esse, et omne verbum infinitum implicet non esse, quia non currere est non currentem esse; tamen nullum verbum significat hoc totum, scilicet rem esse vel non esse.  Et hoc consequenter probat per id, de quo magis videtur cum subdit: nec si hoc ipsum est purum dixeris, ipsum quidem nihil est. Ubi notandum est quod in Graeco habetur: neque si ens ipsum nudum dixeris, ipsum quidem nihil est. Ad probandum enim quod verba non significant rem esse vel non esse, assumpsit id quod est fons et origo ipsius esse, scilicet ipsum ens, de quo dicit quod nihil est (ut Alexander exponit), quia ens aequivoce dicitur de decem praedicamentis; omne autem aequivocum per se positum nihil significat, nisi aliquid addatur quod determinet eius significationem; unde nec ipsum est per se dictum significat quod est vel non est. Sed haec expositio non videtur conveniens, tum quia ens non dicitur proprie aequivoce, sed secundum prius et posterius; unde simpliciter dictum intelligitur de eo, quod per prius dicitur: tum etiam, quia dictio aequivoca non nihil significat, sed multa significat; et quandoque hoc, quandoque illud per ipsam accipitur: tum etiam, quia talis expositio non multum facit ad intentionem praesentem. Unde Porphyrius aliter exposuit quod hoc ipsum ens non significat naturam alicuius rei, sicut hoc nomen homo vel sapiens, sed solum designat quamdam coniunctionem; unde subdit quod consignificat quamdam compositionem, quam sine compositis non est intelligere. Sed neque hoc convenienter videtur dici: quia si non significaret aliquam rem, sed solum coniunctionem, non esset neque nomen, neque verbum, sicut nec praepositiones aut coniunctiones. Et ideo aliter exponendum est, sicut Ammonius exponit, quod ipsum ens nihil est, idest non significat verum vel falsum. Et rationem huius assignat, cum subdit: consignificat autem quamdam compositionem. Nec accipitur hic, ut ipse dicit, consignificat, sicut cum dicebatur quod verbum consignificat tempus, sed consignificat, idest cum alio significat, scilicet alii adiunctum compositionem significat, quae non potest intelligi sine extremis compositionis. Sed quia hoc commune est omnibus nominibus et verbis, non videtur haec expositio esse secundum intentionem Aristotelis, qui assumpsit ipsum ens quasi quoddam speciale. Et ideo ut magis sequamur verba Aristotelis considerandum est quod ipse dixerat quod verbum non significat rem esse vel non esse, sed nec ipsum ens significat rem esse vel non esse. Et hoc est quod dicit, nihil est, idest non significat aliquid esse. Etenim hoc maxime videbatur de hoc quod dico ens: quia ens nihil est aliud quam quod est. Et sic videtur et rem significare, per hoc quod dico quod et esse, per hoc quod dico est. Et si quidem haec dictio ens significaret esse principaliter, sicut significat rem quae habet esse, procul dubio significaret aliquid esse. Sed ipsam compositionem, quae importatur in hoc quod dico est, non principaliter significat, sed consignificat eam in quantum significat rem habentem esse. Unde talis consignificatio compositionis non sufficit ad veritatem vel falsitatem: quia compositio, in qua consistit veritas et falsitas, non potest intelligi, nisi secundum quod innectit extrema compositionis.  Si vero dicatur, nec ipsum esse, ut libri nostri habent, planior est sensus. Quod enim nullum verbum significat rem esse vel non esse, probat per hoc verbum est, quod secundum se dictum, non significat aliquid esse, licet significet esse. Et quia hoc ipsum esse videtur compositio quaedam, et ita hoc verbum est, quod significat esse, potest videri significare compositionem, in qua sit verum vel falsum; ad hoc excludendum subdit quod illa compositio, quam significat hoc verbum est, non potest intelligi sine componentibus: quia dependet eius intellectus ab extremis, quae si non apponantur, non est perfectus intellectus compositionis, ut possit in ea esse verum, vel falsum.  Ideo autem dicit quod hoc verbum est consignificat compositionem, quia non eam principaliter significat, sed ex consequenti; significat enim primo illud quod cadit in intellectu per modum actualitatis absolute: nam est, simpliciter dictum, significat in actu esse; et ideo significat per modum verbi. Quia vero actualitas, quam principaliter significat hoc verbum est, est communiter actualitas omnis formae, vel actus substantialis vel accidentalis, inde est quod cum volumus significare quamcumque formam vel actum actualiter inesse alicui subiecto, significamus illud per hoc verbum est, vel simpliciter vel secundum quid: simpliciter quidem secundum praesens tempus; secundum quid autem secundum alia tempora. Et ideo ex consequenti hoc verbum est significat compositionem. Postquam philosophus determinavit de nomine et de verbo, quae sunt principia materialia enunciationis, utpote partes eius existentes; nunc determinat de oratione, quae est principium formale enunciationis, utpote genus eius existens. Et circa hoc tria facit: primo enim, proponit definitionem orationis; secundo, exponit eam; ibi: dico autem ut homo etc.; tertio, excludit errorem; ibi: est autem oratio omnis et cetera.  Circa primum considerandum est quod philosophus in definitione orationis primo ponit illud in quo oratio convenit cum nomine et verbo, cum dicit: oratio est vox significativa, quod etiam posuit in definitione nominis, et probavit de verbo quod aliquid significet. Non autem posuit in eius definitione, quia supponebat ex eo quod positum erat in definitione nominis, studens brevitati, ne idem frequenter iteraret. Iterat tamen hoc in definitione orationis, quia significatio orationis differt a significatione nominis et verbi, quia nomen vel verbum significat simplicem intellectum, oratio vero significat intellectum compositum.  Secundo autem ponit id, in quo oratio differt a nomine et verbo, cum dicit: cuius partium aliquid significativum est separatim. Supra enim dictum est quod pars nominis non significat aliquid per se separatum, sed solum quod est coniunctum ex duabus partibus. Signanter autem non dicit: cuius pars est significativa aliquid separata, sed cuius aliquid partium est significativum, propter negationes et alia syncategoremata, quae secundum se non significant aliquid absolutum, sed solum habitudinem unius ad alterum. Sed quia duplex est significatio vocis, una quae refertur ad intellectum compositum, alia quae refertur ad intellectum simplicem; prima significatio competit orationi, secunda non competit orationi, sed parti orationis. Unde subdit: ut dictio, non ut affirmatio. Quasi dicat: pars orationis est significativa, sicut dictio significat, puta ut nomen et verbum, non sicut affirmatio, quae componitur ex nomine et verbo. Facit autem mentionem solum de affirmatione et non de negatione, quia negatio secundum vocem superaddit affirmationi; unde si pars orationis propter sui simplicitatem non significat aliquid, ut affirmatio, multo minus ut negatio.  Sed contra hanc definitionem Aspasius obiicit quod videtur non omnibus partibus orationis convenire. Sunt enim quaedam orationes, quarum partes significant aliquid ut affirmatio; ut puta, si sol lucet super terram, dies est; et sic de multis. Et ad hoc respondet Porphyrius quod in quocumque genere invenitur prius et posterius, debet definiri id quod prius est. Sicut cum datur definitio alicuius speciei, puta hominis, intelligitur definitio de eo quod est in actu, non de eo quod est in potentia; et ideo quia in genere orationis prius est oratio simplex, inde est quod Aristoteles prius definivit orationem simplicem. Vel potest dici, secundum Alexandrum et Ammonium, quod hic definitur oratio in communi. Unde debet poni in hac definitione id quod est commune orationi simplici et compositae. Habere autem partes significantes aliquid ut affirmatio, competit soli orationi, compositae; sed habere partes significantes aliquid per modum dictionis, et non per modum affirmationis, est commune orationi simplici et compositae. Et ideo hoc debuit poni in definitione orationis. Et secundum hoc non debet intelligi esse de ratione orationis quod pars eius non sit affirmatio: sed quia de ratione orationis est quod pars eius sit aliquid quod significat per modum dictionis, et non per modum affirmationis. Et in idem redit solutio Porphyrii quantum ad sensum, licet quantum ad verba parumper differat. Quia enim Aristoteles frequenter ponit dicere pro affirmare, ne dictio pro affirmatione sumatur, subdit quod pars orationis significat ut dictio, et addit non ut affirmatio: quasi diceret, secundum sensum Porphyrii, non accipiatur nunc dictio secundum quod idem est quod affirmatio. Philosophus autem, qui dicitur Ioannes grammaticus, voluit quod haec definitio orationis daretur solum de oratione perfecta, eo quod partes non videntur esse nisi alicuius perfecti, sicut omnes partes domus referuntur ad domum: et ideo secundum ipsum sola oratio perfecta habet partes significativas. Sed tamen hic decipiebatur, quia quamvis omnes partes referantur principaliter ad totum perfectum, quaedam tamen partes referuntur ad ipsum immediate, sicut paries et tectum ad domum, et membra organica ad animal: quaedam vero mediantibus partibus principalibus quarum sunt partes; sicut lapides referuntur ad domum mediante pariete; nervi autem et ossa ad animal mediantibus membris organicis, scilicet manu et pede et huiusmodi. Sic ergo omnes partes orationis principaliter referuntur ad orationem perfectam, cuius pars est oratio imperfecta, quae etiam ipsa habet partes significantes. Unde ista definitio convenit tam orationi perfectae, quam imperfectae.  Deinde cum dicit: dico autem ut homo etc., exponit propositam definitionem. Et primo, manifestat verum esse quod dicitur; secundo, excludit falsum intellectum; ibi: sed non una hominis syllaba et cetera. Exponit ergo quod dixerat aliquid partium orationis esse significativum, sicut hoc nomen homo, quod est pars orationis, significat aliquid, sed non significat ut affirmatio aut negatio, quia non significat esse vel non esse. Et hoc dico non in actu, sed solum in potentia. Potest enim aliquid addi, per cuius additionem fit affirmatio vel negatio, scilicet si addatur ei verbum.  Deinde cum dicit: sed non una hominis etc., excludit falsum intellectum. Et posset hoc referri ad immediate dictum, ut sit sensus quod nomen erit affirmatio vel negatio, si quid ei addatur, sed non si addatur ei una nominis syllaba. Sed quia huic sensui non conveniunt verba sequentia, oportet quod referatur ad id, quod supra dictum est in definitione orationis, scilicet quod aliquid partium eius sit significativum separatim. Sed quia pars alicuius totius dicitur proprie illud, quod immediate venit ad constitutionem totius, non autem pars partis; ideo hoc intelligendum est de partibus ex quibus immediate constituitur oratio, scilicet de nomine et verbo, non autem de partibus nominis vel verbi, quae sunt syllabae vel litterae. Et ideo dicitur quod pars orationis est significativa separata, non tamen talis pars, quae est una nominis syllaba. Et hoc manifestat in syllabis, quae quandoque possunt esse dictiones per se significantes: sicut hoc quod dico rex, quandoque est una dictio per se significans; in quantum vero accipitur ut una quaedam syllaba huius nominis sorex, soricis, non significat aliquid per se, sed est vox sola. Dictio enim quaedam est composita ex pluribus vocibus, tamen in significando habet simplicitatem, in quantum scilicet significat simplicem intellectum. Et ideo in quantum est vox composita, potest habere partem quae sit vox, inquantum autem est simplex in significando, non potest habere partem significantem. Unde syllabae quidem sunt voces, sed non sunt voces per se significantes. Sciendum tamen quod in nominibus compositis, quae imponuntur ad significandum rem simplicem ex aliquo intellectu composito, partes secundum apparentiam aliquid significant, licet non secundum veritatem. Et ideo subdit quod in duplicibus, idest in nominibus compositis, syllabae quae possunt esse dictiones, in compositione nominis venientes, significant aliquid, scilicet in ipso composito et secundum quod sunt dictiones; non autem significant aliquid secundum se, prout sunt huiusmodi nominis partes, sed eo modo, sicut supra dictum est.  Deinde cum dicit: est autem oratio etc., excludit quemdam errorem. Fuerunt enim aliqui dicentes quod oratio et eius partes significant naturaliter, non ad placitum. Ad probandum autem hoc utebantur tali ratione. Virtutis naturalis oportet esse naturalia instrumenta: quia natura non deficit in necessariis; potentia autem interpretativa est naturalis homini; ergo instrumenta eius sunt naturalia. Instrumentum autem eius est oratio, quia per orationem virtus interpretativa interpretatur mentis conceptum: hoc enim dicimus instrumentum, quo agens operatur. Ergo oratio est aliquid naturale, non ex institutione humana significans, sed naturaliter.  Huic autem rationi, quae dicitur esse Platonis in Lib. qui intitulatur Cratylus, Aristoteles obviando dicit quod omnis oratio est significativa, non sicut instrumentum virtutis, scilicet naturalis: quia instrumenta naturalia virtutis interpretativae sunt guttur et pulmo, quibus formatur vox, et lingua et dentes et labia, quibus litterati ac articulati soni distinguuntur; oratio autem et partes eius sunt sicut effectus virtutis interpretativae per instrumenta praedicta. Sicut enim virtus motiva utitur naturalibus instrumentis, sicut brachiis et manibus ad faciendum opera artificialia, ita virtus interpretativa utitur gutture et aliis instrumentis naturalibus ad faciendum orationem. Unde oratio et partes eius non sunt res naturales, sed quidam artificiales effectus. Et ideo subdit quod oratio significat ad placitum, idest secundum institutionem humanae rationis et voluntatis, ut supra dictum est, sicut et omnia artificialia causantur ex humana voluntate et ratione. Sciendum tamen quod, si virtutem interpretativam non attribuamus virtuti motivae, sed rationi; sic non est virtus naturalis, sed supra omnem naturam corpoream: quia intellectus non est actus alicuius corporis, sicut probatur in III de anima. Ipsa autem ratio est, quae movet virtutem corporalem motivam ad opera artificialia, quibus etiam ut instrumentis utitur ratio: non sunt autem instrumenta alicuius virtutis corporalis. Et hoc modo ratio potest etiam uti oratione et eius partibus, quasi instrumentis: quamvis non naturaliter significent. Postquam philosophus determinavit de principiis enunciationis, hic incipit determinare de ipsa enunciatione. Et dividitur pars haec in duas: in prima, determinat de enunciatione absolute; in secunda, de diversitate enunciationum, quae provenit secundum ea quae simplici enunciationi adduntur; et hoc in secundo libro; ibi: quoniam autem est de aliquo affirmatio et cetera. Prima autem pars dividitur in partes tres. In prima, definit enunciationem; in secunda, dividit eam; ibi: est autem una prima oratio etc., in tertia, agit de oppositione partium eius ad invicem; ibi: quoniam autem est enunciare et cetera. Circa primum tria facit: primo, ponit definitionem enunciationis; secundo, ostendit quod per hanc definitionem differt enunciatio ab aliis speciebus orationis; ibi: non autem in omnibus etc.; tertio, ostendit quod de sola enunciatione est tractandum, ibi: et caeterae quidem relinquantur.  Circa primum considerandum est quod oratio, quamvis non sit instrumentum alicuius virtutis naturaliter operantis, est tamen instrumentum rationis, ut supra dictum est. Omne autem instrumentum oportet definiri ex suo fine, qui est usus instrumenti: usus autem orationis, sicut et omnis vocis significativae est significare conceptionem intellectus, ut supra dictum est: duae autem sunt operationes intellectus, in quarum una non invenitur veritas et falsitas, in alia autem invenitur verum vel falsum. Et ideo orationem enunciativam definit ex significatione veri et falsi, dicens quod non omnis oratio est enunciativa, sed in qua verum vel falsum est. Ubi considerandum est quod Aristoteles mirabili brevitate usus, et divisionem orationis innuit in hoc quod dicit: non omnis oratio est enunciativa, et definitionem enunciationis in hoc quod dicit: sed in qua verum vel falsum est: ut intelligatur quod haec sit definitio enunciationis, enunciatio est oratio, in qua verum vel falsum est.  Dicitur autem in enunciatione esse verum vel falsum, sicut in signo intellectus veri vel falsi: sed sicut in subiecto est verum vel falsum in mente, ut dicitur in VI metaphysicae, in re autem sicut in causa: quia ut dicitur in libro praedicamentorum, ab eo quod res est vel non est, oratio vera vel falsa est.  Deinde cum dicit: non autem in omnibus etc., ostendit quod per hanc definitionem enunciatio differt ab aliis orationibus. Et quidem de orationibus imperfectis manifestum est quod non significant verum vel falsum, quia cum non faciant perfectum sensum in animo audientis, manifestum est quod perfecte non exprimunt iudicium rationis, in quo consistit verum vel falsum. His igitur praetermissis, sciendum est quod perfectae orationis, quae complet sententiam, quinque sunt species, videlicet enunciativa, deprecativa, imperativa, interrogativa et vocativa. (Non tamen intelligendum est quod solum nomen vocativi casus sit vocativa oratio: quia oportet aliquid partium orationis significare aliquid separatim, sicut supra dictum est; sed per vocativum provocatur, sive excitatur animus audientis ad attendendum; non autem est vocativa oratio nisi plura coniungantur; ut cum dico, o bone Petre). Harum autem orationum sola enunciativa est, in qua invenitur verum vel falsum, quia ipsa sola absolute significat conceptum intellectus, in quo est verum vel falsum.  Sed quia intellectus vel ratio, non solum concipit in seipso veritatem rei tantum, sed etiam ad eius officium pertinet secundum suum conceptum alia dirigere et ordinare; ideo necesse fuit quod sicut per enunciativam orationem significatur ipse mentis conceptus, ita etiam essent aliquae aliae orationes significantes ordinem rationis, secundum quam alia diriguntur. Dirigitur autem ex ratione unius hominis alius homo ad tria: primo quidem, ad attendendum mente; et ad hoc pertinet vocativa oratio: secundo, ad respondendum voce; et ad hoc pertinet oratio interrogativa: tertio, ad exequendum in opere; et ad hoc pertinet quantum ad inferiores oratio imperativa; quantum autem ad superiores oratio deprecativa, ad quam reducitur oratio optativa: quia respectu superioris, homo non habet vim motivam, nisi per expressionem sui desiderii. Quia igitur istae quatuor orationis species non significant ipsum conceptum intellectus, in quo est verum vel falsum, sed quemdam ordinem ad hoc consequentem; inde est quod in nulla earum invenitur verum vel falsum, sed solum in enunciativa, quae significat id quod mens de rebus concipit. Et inde est quod omnes modi orationum, in quibus invenitur verum vel falsum, sub enunciatione continentur: quam quidam dicunt indicativam vel suppositivam. Dubitativa autem ad interrogativam reducitur, sicut et optativa ad deprecativam.  Deinde cum dicit: caeterae igitur relinquantur etc., ostendit quod de sola enunciativa est agendum; et dicit quod aliae quatuor orationis species sunt relinquendae, quantum pertinet ad praesentem intentionem: quia earum consideratio convenientior est rhetoricae vel poeticae scientiae. Sed enunciativa oratio praesentis considerationis est. Cuius ratio est, quia consideratio huius libri directe ordinatur ad scientiam demonstrativam, in qua animus hominis per rationem inducitur ad consentiendum vero ex his quae sunt propria rei; et ideo demonstrator non utitur ad suum finem nisi enunciativis orationibus, significantibus res secundum quod earum veritas est in anima. Sed rhetor et poeta inducunt ad assentiendum ei quod intendunt, non solum per ea quae sunt propria rei, sed etiam per dispositiones audientis. Unde rhetores et poetae plerumque movere auditores nituntur provocando eos ad aliquas passiones, ut philosophus dicit in sua rhetorica. Et ideo consideratio dictarum specierum orationis, quae pertinet ad ordinationem audientis in aliquid, cadit proprie sub consideratione rhetoricae vel poeticae, ratione sui significati; ad considerationem autem grammatici, prout consideratur in eis congrua vocum constructio. Postquam philosophus definivit enunciationem, hic dividit eam. Et dividitur in duas partes: in prima, ponit divisionem enunciationis; in secunda, manifestat eam; ibi: necesse est autem et cetera.  Circa primum considerandum est quod Aristoteles sub breviloquio duas divisiones enunciationis ponit. Quarum una est quod enunciationum quaedam est una simplex, quaedam est coniunctione una. Sicut etiam in rebus, quae sunt extra animam, aliquid est unum simplex sicut indivisibile vel continuum, aliquid est unum colligatione aut compositione aut ordine. Quia enim ens et unum convertuntur, necesse est sicut omnem rem, ita et omnem enunciationem aliqualiter esse unam.  Alia vero subdivisio enunciationis est quod si enunciatio sit una, aut est affirmativa aut negativa. Enunciatio autem affirmativa prior est negativa, triplici ratione, secundum tria quae supra posita sunt: ubi dictum est quod vox est signum intellectus, et intellectus est signum rei. Ex parte igitur vocis, affirmativa enunciatio est prior negativa, quia est simplicior: negativa enim enunciatio addit supra affirmativam particulam negativam. Ex parte etiam intellectus affirmativa enunciatio, quae significat compositionem intellectus, est prior negativa, quae significat divisionem eiusdem: divisio enim naturaliter posterior est compositione, nam non est divisio nisi compositorum, sicut non est corruptio nisi generatorum. Ex parte etiam rei, affirmativa enunciatio, quae significat esse, prior est negativa, quae significat non esse: sicut habitus naturaliter prior est privatione.  Dicit ergo quod oratio enunciativa una et prima est affirmatio, idest affirmativa enunciatio. Et contra hoc quod dixerat prima, subdit: deinde negatio, idest negativa oratio, quia est posterior affirmativa, ut dictum est. Contra id autem quod dixerat una, scilicet simpliciter, subdit quod quaedam aliae sunt unae, non simpliciter, sed coniunctione unae.  Ex hoc autem quod hic dicitur argumentatur Alexander quod divisio enunciationis in affirmationem et negationem non est divisio generis in species, sed divisio nominis multiplicis in sua significata. Genus enim univoce praedicatur de suis speciebus, non secundum prius et posterius: unde Aristoteles noluit quod ens esset genus commune omnium, quia per prius praedicatur de substantia, quam de novem generibus accidentium.  Sed dicendum quod unum dividentium aliquod commune potest esse prius altero dupliciter: uno modo, secundum proprias rationes, aut naturas dividentium; alio modo, secundum participationem rationis illius communis quod in ea dividitur. Primum autem non tollit univocationem generis, ut manifestum est in numeris, in quibus binarius secundum propriam rationem naturaliter est prior ternario; sed tamen aequaliter participant rationem generis sui, scilicet numeri: ita enim est ternarius multitudo mensurata per unum, sicut et binarius. Sed secundum impedit univocationem generis. Et propter hoc ens non potest esse genus substantiae et accidentis: quia in ipsa ratione entis, substantia, quae est ens per se, prioritatem habet respectu accidentis, quod est ens per aliud et in alio. Sic ergo affirmatio secundum propriam rationem prior est negatione; tamen aequaliter participant rationem enunciationis, quam supra posuit, videlicet quod enunciatio est oratio in qua verum vel falsum est.  Deinde cum dicit: necesse est autem etc., manifestat propositas divisiones. Et primo, manifestat primam, scilicet quod enunciatio vel est una simpliciter vel coniunctione una; secundo, manifestat secundam, scilicet quod enunciatio simpliciter una vel est affirmativa vel negativa; ibi: est autem simplex enunciatio et cetera. Circa primum duo facit: primo, praemittit quaedam, quae sunt necessaria ad propositum manifestandum; secundo, manifestat propositum; ibi: est autem una oratio et cetera.  Circa primum duo facit: primo, dicit quod omnem orationem enunciativam oportet constare ex verbo quod est praesentis temporis, vel ex casu verbi quod est praeteriti vel futuri. Tacet autem de verbo infinito, quia eumdem usum habet in enunciatione sicut et verbum negativum. Manifestat autem quod dixerat per hoc, quod non solum nomen unum sine verbo non facit orationem perfectam enunciativam, sed nec etiam oratio imperfecta. Definitio enim oratio quaedam est, et tamen si ad rationem hominis, idest definitionem non addatur aut est, quod est verbum, aut erat, aut fuit, quae sunt casus verbi, aut aliquid huiusmodi, idest aliquod aliud verbum seu casus verbi, nondum est oratio enunciativa.  Potest autem esse dubitatio: cum enunciatio constet ex nomine et verbo, quare non facit mentionem de nomine, sicut de verbo? Ad quod tripliciter responderi potest. Primo quidem, quia nulla oratio enunciativa invenitur sine verbo vel casu verbi; invenitur autem aliqua enunciatio sine nomine, puta cum nos utimur infinitivis verborum loco nominum; ut cum dicitur, currere est moveri. Secundo et melius, quia, sicut supra dictum est, verbum est nota eorum quae de altero praedicantur. Praedicatum autem est principalior pars enunciationis, eo quod est pars formalis et completiva ipsius. Unde vocatur apud Graecos propositio categorica, idest praedicativa. Denominatio autem fit a forma, quae dat speciem rei. Et ideo potius fecit mentionem de verbo tanquam de parte principaliori et formaliori. Cuius signum est, quia enunciatio categorica dicitur affirmativa vel negativa solum ratione verbi, quod affirmatur vel negatur; sicut etiam conditionalis dicitur affirmativa vel negativa, eo quod affirmatur vel negatur coniunctio a qua denominatur. Tertio, potest dici, et adhuc melius, quod non erat intentio Aristotelis ostendere quod nomen vel verbum non sufficiant ad enunciationem complendam: hoc enim supra manifestavit tam de nomine quam de verbo. Sed quia dixerat quod quaedam enunciatio est una simpliciter, quaedam autem coniunctione una; posset aliquis intelligere quod illa quae est una simpliciter careret omni compositione: sed ipse hoc excludit per hoc quod in omni enunciatione oportet esse verbum, quod importat compositionem, quam non est intelligere sine compositis, sicut supra dictum est. Nomen autem non importat compositionem, et ideo non exigit praesens intentio ut de nomine faceret mentionem, sed solum de verbo. Secundo; ibi: quare autem etc., ostendit aliud quod est necessarium ad manifestationem propositi, scilicet quod hoc quod dico, animal gressibile bipes, quae est definitio hominis, est unum et non multa. Et eadem ratio est de omnibus aliis definitionibus. Sed huiusmodi rationem assignare dicit esse alterius negocii. Pertinet enim ad metaphysicum; unde in VII et in VIII metaphysicae ratio huius assignatur: quia scilicet differentia advenit generi non per accidens sed per se, tanquam determinativa ipsius, per modum quo materia determinatur per formam. Nam a materia sumitur genus, a forma autem differentia. Unde sicut ex forma et materia fit vere unum et non multa, ita ex genere et differentia. Excludit autem quamdam rationem huius unitatis, quam quis posset suspicari, ut scilicet propter hoc definitio dicatur unum, quia partes eius sunt propinquae, idest sine aliqua interpositione coniunctionis vel morae. Et quidem non interruptio locutionis necessaria est ad unitatem definitionis, quia si interponeretur coniunctio partibus definitionis, iam secunda non determinaret primam, sed significarentur ut actu multae in locutione: et idem operatur interpositio morae, qua utuntur rhetores loco coniunctionis. Unde ad unitatem definitionis requiritur quod partes eius proferantur sine coniunctione et interpolatione: quia etiam in re naturali, cuius est definitio, nihil cadit medium inter materiam et formam: sed praedicta non interruptio non sufficit ad unitatem definitionis, quia contingit etiam hanc continuitatem prolationis servari in his, quae non sunt simpliciter unum, sed per accidens; ut si dicam, homo albus musicus. Sic igitur Aristoteles valde subtiliter manifestavit quod absoluta unitas enunciationis non impeditur, neque per compositionem quam importat verbum, neque per multitudinem nominum ex quibus constat definitio. Et est eadem ratio utrobique, nam praedicatum comparatur ad subiectum ut forma ad materiam, et similiter differentia ad genus: ex forma autem et materia fit unum simpliciter.  Deinde cum dicit: est autem una oratio etc., accedit ad manifestandam praedictam divisionem. Et primo, manifestat ipsum commune quod dividitur, quod est enunciatio una; secundo, manifestat partes divisionis secundum proprias rationes; ibi: harum autem haec simplex et cetera. Circa primum duo facit: primo, manifestat ipsam divisionem; secundo, concludit quod ab utroque membro divisionis nomen et verbum excluduntur; ibi: nomen ergo et verbum et cetera. Opponitur autem unitati pluralitas; et ideo enunciationis unitatem manifestat per modos pluralitatis.  Dicit ergo primo quod enunciatio dicitur vel una absolute, scilicet quae unum de uno significat, vel una secundum quid, scilicet quae est coniunctione una. Per oppositum autem est intelligendum quod enunciationes plures sunt, vel ex eo quod plura significant et non unum: quod opponitur primo modo unitatis; vel ex eo quod absque coniunctione proferuntur: et tales opponuntur secundo modo unitatis.  Circa quod considerandum est, secundum Boethium, quod unitas et pluralitas orationis refertur ad significatum; simplex autem et compositum attenditur secundum ipsas voces. Et ideo enunciatio quandoque est una et simplex puta cum solum ex nomine et verbo componitur in unum significatum; ut cum dico, homo est albus. Est etiam quandoque una oratio, sed composita, quae quidem unam rem significat, sed tamen composita est vel ex pluribus terminis; sicut si dicam, animal rationale mortale currit, vel ex pluribus enunciationibus, sicut in conditionalibus, quae quidem unum significant et non multa. Similiter autem quandoque in enunciatione est pluralitas cum simplicitate, puta cum in oratione ponitur aliquod nomen multa significans; ut si dicam, canis latrat, haec oratio plures est, quia plura significat, et tamen simplex est. Quandoque vero in enunciatione est pluralitas et compositio, puta cum ponuntur plura in subiecto vel in praedicato, ex quibus non fit unum, sive interveniat coniunctio sive non; puta si dicam, homo albus musicus disputat: et similiter est si coniungantur plures enunciationes, sive cum coniunctione sive sine coniunctione; ut si dicam, Socrates currit, Plato disputat. Et secundum hoc sensus litterae est quod enunciatio una est illa, quae unum de uno significat, non solum si sit simplex, sed etiam si sit coniunctione una. Et similiter enunciationes plures dicuntur quae plura et non unum significant: non solum quando interponitur aliqua coniunctio, vel inter nomina vel verba, vel etiam inter ipsas enunciationes; sed etiam si vel inconiunctione, idest absque aliqua interposita coniunctione plura significat, vel quia est unum nomen aequivocum, multa significans, vel quia ponuntur plura nomina absque coniunctione, ex quorum significatis non fit unum; ut si dicam, homo albus grammaticus logicus currit.  Sed haec expositio non videtur esse secundum intentionem Aristotelis. Primo quidem, quia per disiunctionem, quam interponit, videtur distinguere inter orationem unum significantem, et orationem quae est coniunctione una. Secundo, quia supra dixerat quod est unum quoddam et non multa, animal gressibile bipes. Quod autem est coniunctione unum, non est unum et non multa, sed est unum ex multis. Et ideo melius videtur dicendum quod Aristoteles, quia supra dixerat aliquam enunciationem esse unam et aliquam coniunctione unam, vult hic manifestare quae sit una. Et quia supra dixerat quod multa nomina simul coniuncta sunt unum, sicut animal gressibile bipes, dicit consequenter quod enunciatio est iudicanda una non ex unitate nominis, sed ex unitate significati, etiam si sint plura nomina quae unum significent. Vel si sit aliqua enunciatio una quae multa significet, non erit una simpliciter, sed coniunctione una. Et secundum hoc, haec enunciatio, animal gressibile bipes est risibile, non est una quasi coniunctione una, sicut in prima expositione dicebatur, sed quia unum significat. Et quia oppositum per oppositum manifestatur, consequenter ostendit quae sunt plures enunciationes, et ponit duos modos pluralitatis. Primus est, quod plures dicuntur enunciationes quae plura significant. Contingit autem aliqua plura significari in aliquo uno communi; sicut cum dico, animal est sensibile, sub hoc uno communi, quod est animal, multa continentur, et tamen haec enunciatio est una et non plures. Et ideo addit et non unum. Sed melius est ut dicatur hoc esse additum propter definitionem, quae multa significat quae sunt unum: et hic modus pluralitatis opponitur primo modo unitatis. Secundus modus pluralitatis est, quando non solum enunciationes plura significant, sed etiam illa plura nullatenus coniunguntur, et hic modus pluralitatis opponitur secundo modo unitatis. Et secundum hoc patet quod secundus modus unitatis non opponitur primo modo pluralitatis. Ea autem quae non sunt opposita, possunt simul esse. Unde manifestum est, enunciationem quae est una coniunctione, esse etiam plures: plures in quantum significat plura et non unum. Secundum hoc ergo possumus accipere tres modos enunciationis. Nam quaedam est simpliciter una, in quantum unum significat; quaedam est simpliciter plures, in quantum plura significat, sed est una secundum quid, in quantum est coniunctione una; quaedam sunt simpliciter plures, quae neque significant unum, neque coniunctione aliqua uniuntur. Ideo autem Aristoteles quatuor ponit et non solum tria, quia quandoque est enunciatio plures, quia plura significat, non tamen est coniunctione una, puta si ponatur ibi nomen multa significans.  Deinde cum dicit: nomen ergo et verbum etc., excludit ab unitate orationis nomen et verbum. Dixerat enim quod enunciatio una est, quae unum significat: posset autem aliquis intelligere, quod sic unum significaret sicut nomen et verbum unum significant. Et ideo ad hoc excludendum subdit: nomen ergo, et verbum dictio sit sola, idest ita sit dictio, quod non enunciatio. Et videtur, ex modo loquendi, quod ipse imposuerit hoc nomen ad significandum partes enunciationis. Quod autem nomen et verbum dictio sit sola manifestat per hoc, quod non potest dici quod ille enunciet, qui sic aliquid significat voce, sicut nomen, vel verbum significat. Et ad hoc manifestandum innuit duos modos utendi enunciatione. Quandoque enim utimur ipsa quasi ad interrogata respondentes; puta si quaeratur, quis sit in scholis? Respondemus, magister. Quandoque autem utimur ea propria sponte, nullo interrogante; sicut cum dicimus, Petrus currit. Dicit ergo, quod ille qui significat aliquid unum nomine vel verbo, non enunciat vel sicut ille qui respondet aliquo interrogante, vel sicut ille qui profert enunciationem non aliquo interrogante, sed ipso proferente sponte. Introduxit autem hoc, quia simplex nomen vel verbum, quando respondetur ad interrogationem, videtur verum vel falsum significare: quod est proprium enunciationis. Sed hoc non competit nomini vel verbo, nisi secundum quod intelligitur coniunctum cum alia parte proposita in interrogatione. Ut si quaerenti, quis legit in scholis? Respondeatur, magister, subintelligitur, ibi legit. Si ergo ille qui enunciat aliquid nomine vel verbo non enunciat, manifestum est quod enunciatio non sic unum significat, sicut nomen vel verbum. Hoc autem inducit sicut conclusionem eius quod supra praemisit: necesse est omnem orationem enunciativam ex verbo esse vel ex casu verbi.  Deinde cum dicit: harum autem haec simplex etc., manifestat praemissam divisionem secundum rationes partium. Dixerat enim quod una enunciatio est quae unum de uno significat, et alia est quae est coniunctione una. Ratio autem huius divisionis est ex eo quod unum natum est dividi per simplex et compositum. Et ideo dicit: harum autem, scilicet enunciationum, in quibus dividitur unum, haec dicitur una, vel quia significat unum simpliciter, vel quia una est coniunctione. Haec quidem simplex enunciatio est, quae scilicet unum significat. Sed ne intelligatur quod sic significet unum, sicut nomen vel verbum, ad excludendum hoc subdit: ut aliquid de aliquo, idest per modum compositionis, vel aliquid ab aliquo, idest per modum divisionis. Haec autem ex his coniuncta, quae scilicet dicitur coniunctione una, est velut oratio iam composita: quasi dicat hoc modo, enunciationis unitas dividitur in duo praemissa, sicut aliquod unum dividitur in simplex et compositum.  Deinde cum dicit: est autem simplex etc., manifestat secundam divisionem enunciationis, secundum videlicet quod enunciatio dividitur in affirmationem et negationem. Haec autem divisio primo quidem convenit enunciationi simplici; ex consequenti autem convenit compositae enunciationi; et ideo ad insinuandum rationem praedictae divisionis dicit quod simplex enunciatio est vox significativa de eo quod est aliquid: quod pertinet ad affirmationem; vel non est aliquid: quod pertinet ad negationem. Et ne hoc intelligatur solum secundum praesens tempus, subdit: quemadmodum tempora sunt divisa, idest similiter hoc habet locum in aliis temporibus sicut et in praesenti.  Alexander autem existimavit quod Aristoteles hic definiret enunciationem; et quia in definitione enunciationis videtur ponere affirmationem et negationem, volebat hic accipere quod enunciatio non esset genus affirmationis et negationis, quia species nunquam ponitur in definitione generis. Id autem quod non univoce praedicatur de multis (quia scilicet non significat aliquid unum, quod sit unum commune multis), non potest notificari nisi per illa multa quae significantur. Et inde est quod quia unum non dicitur aequivoce de simplici et composito, sed per prius et posterius, Aristoteles in praecedentibus semper ad notificandum unitatem enunciationis usus est utroque. Quia ergo videtur uti affirmatione et negatione ad notificandum enunciationem, volebat Alexander accipere quod enunciatio non dicitur de affirmatione et negatione univoce sicut genus de suis speciebus.  Sed contrarium apparet ex hoc, quod philosophus consequenter utitur nomine enunciationis ut genere, cum in definitione affirmationis et negationis subdit quod, affirmatio est enunciatio alicuius de aliquo, scilicet per modum compositionis, negatio vero est enunciatio alicuius ab aliquo, scilicet per modum divisionis. Nomine autem aequivoco non consuevimus uti ad notificandum significata eius. Et ideo Boethius dicit quod Aristoteles suo modo breviloquio utens, simul usus est et definitione et divisione eius: ita ut quod dicit de eo quod est aliquid vel non est, non referatur ad definitionem enunciationis, sed ad eius divisionem. Sed quia differentiae divisivae generis non cadunt in eius definitione, nec hoc solum quod dicitur vox significativa, sufficiens est definitio enunciationis; melius dici potest secundum Porphyrium, quod hoc totum quod dicitur vox significativa de eo quod est, vel de eo quod non est, est definitio enunciationis. Nec tamen ponitur affirmatio et negatio in definitione enunciationis sed virtus affirmationis et negationis, scilicet significatum eius, quod est esse vel non esse, quod est naturaliter prius enunciatione. Affirmationem autem et negationem postea definivit per terminos utriusque cum dixit: affirmationem esse enunciationem alicuius de aliquo, et negationem enunciationem alicuius ab aliquo. Sed sicut in definitione generis non debent poni species, ita nec ea quae sunt propria specierum. Cum igitur significare esse sit proprium affirmationis, et significare non esse sit proprium negationis, melius videtur dicendum, secundum Ammonium, quod hic non definitur enunciatio, sed solum dividitur. Supra enim posita est definitio, cum dictum est quod enunciatio est oratio in qua est verum vel falsum. In qua quidem definitione nulla mentio facta est nec de affirmatione, nec de negatione. Est autem considerandum quod artificiosissime procedit: dividit enim genus non in species, sed in differentias specificas. Non enim dicit quod enunciatio est affirmatio vel negatio, sed vox significativa de eo quod est, quae est differentia specifica affirmationis, vel de eo quod non est, in quo tangitur differentia specifica negationis. Et ideo ex differentiis adiunctis generi constituit definitionem speciei, cum subdit: quod affirmatio est enunciatio alicuius de aliquo, per quod significatur esse; et negatio est enunciatio alicuius ab aliquo quod significat non esse. Posita divisione enunciationis, hic agit de oppositione partium enunciationis, scilicet affirmationis et negationis. Et quia enunciationem esse dixerat orationem, in qua est verum vel falsum, primo, ostendit qualiter enunciationes ad invicem opponantur; secundo, movet quamdam dubitationem circa praedeterminata et solvit; ibi: in his ergo quae sunt et quae facta sunt et cetera. Circa primum duo facit: primo, ostendit qualiter una enunciatio opponatur alteri; secundo, ostendit quod tantum una opponitur uni; ibi: manifestum est et cetera. Prima autem pars dividitur in duas partes: in prima, determinat de oppositione affirmationis et negationis absolute; in secunda, ostendit quomodo huiusmodi oppositio diversificatur ex parte subiecti; ibi: quoniam autem sunt et cetera. Circa primum duo facit: primo, ostendit quod omni affirmationi est negatio opposita et e converso; secundo, manifestat oppositionem affirmationis et negationis absolute; ibi: et sit hoc contradictio et cetera.  Circa primum considerandum est quod ad ostendendum suum propositum philosophus assumit duplicem diversitatem enunciationis: quarum prima est ex ipsa forma vel modo enunciandi, secundum quod dictum est quod enunciatio vel est affirmativa, per quam scilicet enunciatur aliquid esse, vel est negativa per quam significatur aliquid non esse; secunda diversitas est per comparationem ad rem, ex qua dependet veritas et falsitas intellectus et enunciationis. Cum enim enunciatur aliquid esse vel non esse secundum congruentiam rei, est oratio vera; alioquin est oratio falsa.  Sic igitur quatuor modis potest variari enunciatio, secundum permixtionem harum duarum divisionum. Uno modo, quia id quod est in re enunciatur ita esse sicut in re est: quod pertinet ad affirmationem veram; puta cum Socrates currit, dicimus Socratem currere. Alio modo, cum enunciatur aliquid non esse quod in re non est: quod pertinet ad negationem veram; ut cum dicitur, Aethiops albus non est. Tertio modo, cum enunciatur aliquid esse quod in re non est: quod pertinet ad affirmationem falsam; ut cum dicitur, corvus est albus. Quarto modo, cum enunciatur aliquid non esse quod in re est: quod pertinet ad negationem falsam; ut cum dicitur, nix non est alba. Philosophus autem, ut a minoribus ad potiora procedat, falsas veris praeponit: inter quas negativam praemittit affirmativae, cum dicit quod contingit enunciare quod est, scilicet in rerum natura, non esse. Secundo autem, ponit affirmativam falsam cum dicit: et quod non est, scilicet in rerum natura, esse. Tertio autem, ponit affirmativam veram, quae opponitur negativae falsae, quam primo posuit, cum dicit: et quod est, scilicet in rerum natura, esse. Quarto autem, ponit negativam veram, quae opponitur affirmationi falsae, cum dicit: et quod non est, scilicet in rerum natura, non esse. Non est autem intelligendum quod hoc quod dixit: quod est et quod non est, sit referendum ad solam existentiam vel non existentiam subiecti, sed ad hoc quod res significata per praedicatum insit vel non insit rei significatae per subiectum. Nam cum dicitur, corvus est albus, significatur quod non est, esse, quamvis ipse corvus sit res existens. Et sicut istae quatuor differentiae enunciationum inveniuntur in propositionibus, in quibus ponitur verbum praesentis temporis, ita etiam inveniuntur in enunciationibus in quibus ponuntur verba praeteriti vel futuri temporis. Supra enim dixit quod necesse est enunciationem constare ex verbo vel ex casu verbi. Et hoc est quod subdit: quod similiter contingit, scilicet variari diversimode enunciationem circa ea, quae sunt extra praesens tempus, idest circa praeterita vel futura, quae sunt quodammodo extrinseca respectu praesentis, quia praesens est medium praeteriti et futuri. Et quia ita est, contingit omne quod quis affirmaverit negare, et omne quod quis negaverit affirmare: quod quidem manifestum est ex praemissis. Non enim potest affirmari nisi vel quod est in rerum natura secundum aliquod trium temporum, vel quod non est; et hoc totum contingit negare. Unde manifestum est quod omne quod affirmatur potest negari, et e converso. Et quia affirmatio et negatio opposita sunt secundum se, utpote ex opposito contradictoriae, consequens est quod quaelibet affirmatio habeat negationem sibi oppositam et e converso. Cuius contrarium illo solo modo posset contingere, si aliqua affirmatio affirmaret aliquid, quod negatio negare non posset. Deinde cum dicit: et sit hoc contradictio etc., manifestat quae sit absoluta oppositio affirmationis et negationis. Et primo, manifestat eam per nomen; secundo, per definitionem; ibi: dico autem et cetera. Dicit ergo primo quod cum cuilibet affirmationi opponatur negatio, et e converso, oppositioni huiusmodi imponatur nomen hoc, quod dicatur contradictio. Per hoc enim quod dicitur, et sit hoc contradictio, datur intelligi quod ipsum nomen contradictionis ipse imposuerit oppositioni affirmationis et negationis, ut Ammonius dicit. Deinde cum dicit: dico autem opponi etc., definit contradictionem. Quia vero, ut dictum est, contradictio est oppositio affirmationis et negationis, illa requiruntur ad contradictionem, quae requiruntur ad oppositionem affirmationis et negationis. Oportet autem opposita esse circa idem. Et quia enunciatio constituitur ex subiecto et praedicato, requiritur ad contradictionem primo quidem quod affirmatio et negatio sint eiusdem praedicati: si enim dicatur, Plato currit, Plato non disputat, non est contradictio; secundo, requiritur quod sint de eodem subiecto: si enim dicatur, Socrates currit, Plato non currit, non est contradictio. Tertio, requiritur quod identitas subiecti et praedicati non solum sit secundum nomen, sed sit simul secundum rem et nomen. Nam si non sit idem nomen, manifestum est quod non sit una et eadem enunciatio. Similiter autem ad hoc quod sit enunciatio una, requiritur identitas rei: dictum est enim supra quod enunciatio una est, quae unum de uno significat; et ideo subdit: non autem aequivoce, idest non sufficit identitas nominis cum diversitate rei, quae facit aequivocationem. Sunt autem et quaedam alia in contradictione observanda ad hoc quod tollatur omnis diversitas, praeter eam quae est affirmationis et negationis: non enim esset oppositio si non omnino idem negaret negatio quod affirmavit affirmatio. Haec autem diversitas potest secundum quatuor considerari. Uno quidem modo, secundum diversas partes subiecti: non enim est contradictio si dicatur, Aethiops est albus dente et non est albus pede. Secundo, si sit diversus modus ex parte praedicati: non enim est contradictio si dicatur, Socrates currit tarde et non movetur velociter; vel si dicatur, ovum est animal in potentia et non est animal in actu. Tertio, si sit diversitas ex parte mensurae, puta loci vel temporis; non enim est contradictio si dicatur, pluit in Gallia et non pluit in Italia; aut, pluit heri, hodie non pluit. Quarto, si sit diversitas ex habitudine ad aliquid extrinsecum; puta si dicatur, decem homines esse plures quoad domum, non autem quoad forum. Et haec omnia designat cum subdit: et quaecumque caetera talium determinavimus, idest determinare consuevimus in disputationibus contra sophisticas importunitates, idest contra importunas et litigiosas oppositiones sophistarum, de quibus plenius facit mentionem in I elenchorum. Quia philosophus dixerat oppositionem affirmationis et negationis esse contradictionem, quae est eiusdem de eodem, consequenter intendit distinguere diversas oppositiones affirmationis et negationis, ut cognoscatur quae sit vera contradictio. Et circa hoc duo facit: primo, praemittit quamdam divisionem enunciationum necessariam ad praedictam differentiam oppositionum assignandam; secundo, manifestat propositum; ibi: si ergo universaliter et cetera. Praemittit autem divisionem enunciationum quae sumitur secundum differentiam subiecti. Unde circa primum duo facit: primo, dividit subiectum enunciationum; secundo, concludit divisionem enunciationum, ibi: necesse est enunciare et cetera. Subiectum autem enunciationis est nomen vel aliquid loco nominis sumptum. Nomen autem est vox significativa ad placitum simplicis intellectus, quod est similitudo rei; et ideo subiectum enunciationis distinguit per divisionem rerum, et dicit quod rerum quaedam sunt universalia, quaedam sunt singularia. Manifestat autem membra divisionis dupliciter: primo quidem per definitionem, quia universale est quod est aptum natum de pluribus praedicari, singulare vero quod non est aptum natum praedicari de pluribus, sed de uno solo; secundo, manifestat per exemplum cum subdit quod homo est universale, Plato autem singulare. Accidit autem dubitatio circa hanc divisionem, quia, sicut probat philosophus in VII metaphysicae, universale non est aliquid extra res existens. Item, in praedicamentis dicitur quod secundae substantiae non sunt nisi in primis, quae sunt singulares. Non ergo videtur esse conveniens divisio rerum per universalia et singularia: quia nullae res videntur esse universales, sed omnes sunt singulares. Dicendum est autem quod hic dividuntur res secundum quod significantur per nomina, quae subiiciuntur in enunciationibus: dictum est autem supra quod nomina non significant res nisi mediante intellectu; et ideo oportet quod divisio ista rerum accipiatur secundum quod res cadunt in intellectu. Ea vero quae sunt coniuncta in rebus intellectus potest distinguere, quando unum eorum non cadit in ratione alterius. In qualibet autem re singulari est considerare aliquid quod est proprium illi rei, in quantum est haec res, sicut Socrati vel Platoni in quantum est hic homo; et aliquid est considerare in ea, in quo convenit cum aliis quibusdam rebus, sicut quod Socrates est animal, aut homo, aut rationalis, aut risibilis, aut albus. Quando igitur res denominatur ab eo quod convenit illi soli rei in quantum est haec res, huiusmodi nomen dicitur significare aliquid singulare; quando autem denominatur res ab eo quod est commune sibi et multis aliis, nomen huiusmodi dicitur significare universale, quia scilicet nomen significat naturam sive dispositionem aliquam, quae est communis multis. Quia igitur hanc divisionem dedit de rebus non absolute secundum quod sunt extra animam, sed secundum quod referuntur ad intellectum, non definivit universale et singulare secundum aliquid quod pertinet ad rem, puta si diceret quod universale extra animam, quod pertinet ad opinionem Platonis, sed per actum animae intellectivae, quod est praedicari de multis vel de uno solo. Est autem considerandum quod intellectus apprehendit rem intellectam secundum propriam essentiam, seu definitionem: unde et in III de anima dicitur quod obiectum proprium intellectus est quod quid est. Contingit autem quandoque quod propria ratio alicuius formae intellectae non repugnat ei quod est esse in pluribus, sed hoc impeditur ab aliquo alio, sive sit aliquid accidentaliter adveniens, puta si omnibus hominibus morientibus unus solus remaneret, sive sit propter conditionem materiae, sicut est unus tantum sol, non quod repugnet rationi solari esse in pluribus secundum conditionem formae ipsius, sed quia non est alia materia susceptiva talis formae; et ideo non dixit quod universale est quod praedicatur de pluribus, sed quod aptum natum est praedicari de pluribus. Cum autem omnis forma, quae nata est recipi in materia quantum est de se, communicabilis sit multis materiis; dupliciter potest contingere quod id quod significatur per nomen, non sit aptum natum praedicari de pluribus. Uno modo, quia nomen significat formam secundum quod terminata est ad hanc materiam, sicut hoc nomen Socrates vel Plato, quod significat naturam humanam prout est in hac materia. Alio modo, secundum quod nomen significat formam, quae non est nata in materia recipi, unde oportet quod per se remaneat una et singularis; sicut albedo, si esset forma non existens in materia, esset una sola, unde esset singularis: et propter hoc philosophus dicit in VII Metaphys. quod si essent species rerum separatae, sicut posuit Plato, essent individua. Potest autem obiici quod hoc nomen Socrates vel Plato est natum de pluribus praedicari, quia nihil prohibet multos esse, qui vocentur hoc nomine. Sed ad hoc patet responsio, si attendantur verba Aristotelis. Ipse enim non divisit nomina in universale et particulare, sed res. Et ideo intelligendum est quod universale dicitur quando, non solum nomen potest de pluribus praedicari, sed id, quod significatur per nomen, est natum in pluribus inveniri; hoc autem non contingit in praedictis nominibus: nam hoc nomen Socrates vel Plato significat naturam humanam secundum quod est in hac materia. Si vero hoc nomen imponatur alteri homini significabit naturam humanam in alia materia; et sic eius erit alia significatio; unde non erit universale, sed aequivocum. Deinde cum dicit: necesse est autem enunciare etc., concludit divisionem enunciationis. Quia enim semper enunciatur aliquid de aliqua re; rerum autem quaedam sunt universalia, quaedam singularia; necesse est quod quandoque enuncietur aliquid inesse vel non inesse alicui universalium, quandoque vero alicui singularium. Et est suspensiva constructio usque huc, et est sensus: quoniam autem sunt haec quidem rerum etc., necesse est enunciare et cetera. Est autem considerandum quod de universali aliquid enunciatur quatuor modis. Nam universale potest uno modo considerari quasi separatum a singularibus, sive per se subsistens, ut Plato posuit, sive, secundum sententiam Aristotelis, secundum esse quod habet in intellectu. Et sic potest ei aliquid attribui dupliciter. Quandoque enim attribuitur ei sic considerato aliquid, quod pertinet ad solam operationem intellectus, ut si dicatur quod homo est praedicabile de multis, sive universale, sive species. Huiusmodi enim intentiones format intellectus attribuens eas naturae intellectae, secundum quod comparat ipsam ad res, quae sunt extra animam. Quandoque vero attribuitur aliquid universali sic considerato, quod scilicet apprehenditur ab intellectu ut unum, tamen id quod attribuitur ei non pertinet ad actum intellectus, sed ad esse, quod habet natura apprehensa in rebus, quae sunt extra animam, puta si dicatur quod homo est dignissima creaturarum. Hoc enim convenit naturae humanae etiam secundum quod est in singularibus. Nam quilibet homo singularis dignior est omnibus creaturis irrationalibus; sed tamen omnes homines singulares non sunt unus homo extra animam, sed solum in acceptione intellectus; et per hunc modum attribuitur ei praedicatum, scilicet ut uni rei. Alio autem modo attribuitur universali, prout est in singularibus, et hoc dupliciter. Quandoque quidem ratione ipsius naturae universalis, puta cum attribuitur ei aliquid quod ad essentiam eius pertinet, vel quod consequitur principia essentialia; ut cum dicitur, homo est animal, vel homo est risibilis. Quandoque autem attribuitur ei aliquid ratione singularis in quo invenitur, puta cum attribuitur ei aliquid quod pertinet ad actionem individui; ut cum dicitur, homo ambulat. Singulari autem attribuitur aliquid tripliciter: uno modo, secundum quod cadit in apprehensione; ut cum dicitur, Socrates est singulare, vel praedicabile de uno solo. Quandoque autem, ratione naturae communis; ut cum dicitur, Socrates est animal. Quandoque autem, ratione sui ipsius; ut cum dicitur, Socrates ambulat. Et totidem etiam modis negationes variantur: quia omne quod contingit affirmare, contingit negare, ut supra dictum est. Est autem haec tertia divisio enunciationis quam ponit philosophus. Prima namque fuit quod enunciationum quaedam est una simpliciter, quaedam vero coniunctione una. Quae quidem est divisio analogi in ea de quibus praedicatur secundum prius et posterius: sic enim unum dividitur secundum prius in simplex et per posterius in compositum. Alia vero fuit divisio enunciationis in affirmationem et negationem. Quae quidem est divisio generis in species, quia sumitur secundum differentiam praedicati ad quod fertur negatio; praedicatum autem est pars formalis enunciationis; et ideo huiusmodi divisio dicitur pertinere ad qualitatem enunciationis, qualitatem, inquam, essentialem, secundum quod differentia significat quale quid. Tertia autem est huiusmodi divisio, quae sumitur secundum differentiam subiecti, quod praedicatur de pluribus vel de uno solo, et ideo dicitur pertinere ad quantitatem enunciationis, nam et quantitas consequitur materiam.  Deinde cum dicit: si ergo universaliter etc., ostendit quomodo enunciationes diversimode opponantur secundum diversitatem subiecti. Et circa hoc duo facit: primo, distinguit diversos modos oppositionum in ipsis enunciationibus; secundo, ostendit quomodo diversae oppositiones diversimode se habent ad verum et falsum; ibi: quocirca, has quidem impossibile est et cetera.  Circa primum considerandum est quod cum universale possit considerari in abstractione a singularibus vel secundum quod est in ipsis singularibus, secundum hoc diversimode aliquid ei attribuitur, ut supra dictum est. Ad designandum autem diversos modos attributionis inventae sunt quaedam dictiones, quae possunt dici determinationes vel signa, quibus designatur quod aliquid de universali, hoc aut illo modo praedicetur. Sed quia non est ab omnibus communiter apprehensum quod universalia extra singularia subsistant, ideo communis usus loquendi non habet aliquam dictionem ad designandum illum modum praedicandi, prout aliquid dicitur in abstractione a singularibus. Sed Plato, qui posuit universalia extra singularia subsistere, adinvenit aliquas determinationes, quibus designaretur quomodo aliquid attribuitur universali, prout est extra singularia, et vocabat universale separatum subsistens extra singularia quantum ad speciem hominis, per se hominem vel ipsum hominem et similiter in aliis universalibus. Sed universale secundum quod est in singularibus cadit in communi apprehensione hominum; et ideo adinventae sunt quaedam dictiones ad significandum modum attribuendi aliquid universali sic accepto.  Sicut autem supra dictum est, quandoque aliquid attribuitur universali ratione ipsius naturae universalis; et ideo hoc dicitur praedicari de eo universaliter, quia scilicet ei convenit secundum totam multitudinem in qua invenitur; et ad hoc designandum in affirmativis praedicationibus adinventa est haec dictio, omnis, quae designat quod praedicatum attribuitur subiecto universali quantum ad totum id quod sub subiecto continetur. In negativis autem praedicationibus adinventa est haec dictio, nullus, per quam significatur quod praedicatum removetur a subiecto universali secundum totum id quod continetur sub eo. Unde nullus dicitur quasi non ullus, et in Graeco dicitur, udis quasi nec unus, quia nec unum solum est accipere sub subiecto universali a quo praedicatum non removeatur. Quandoque autem attribuitur universali aliquid vel removetur ab eo ratione particularis; et ad hoc designandum, in affirmativis quidem adinventa est haec dictio, aliquis vel quidam, per quam designatur quod praedicatum attribuitur subiecto universali ratione ipsius particularis; sed quia non determinate significat formam alicuius singularis, sub quadam indeterminatione singulare designat; unde et dicitur individuum vagum. In negativis autem non est aliqua dictio posita, sed possumus accipere, non omnis; ut sicut, nullus, universaliter removet, eo quod significat quasi diceretur, non ullus, idest, non aliquis, ita etiam, non omnis, particulariter removeat, in quantum excludit universalem affirmationem.  Sic igitur tria sunt genera affirmationum in quibus aliquid de universali praedicatur. Una quidem est, in qua de universali praedicatur aliquid universaliter; ut cum dicitur, omnis homo est animal. Alia, in qua aliquid praedicatur de universali particulariter; ut cum dicitur, quidam homo est albus. Tertia vero est, in qua aliquid de universali praedicatur absque determinatione universalitatis vel particularitatis; unde huiusmodi enunciatio solet vocari indefinita. Totidem autem sunt negationes oppositae.  De singulari autem quamvis aliquid diversa ratione praedicetur, ut supra dictum est, tamen totum refertur ad singularitatem ipsius, quia etiam natura universalis in ipso singulari individuatur; et ideo nihil refert quantum ad naturam singularitatis, utrum aliquid praedicetur de eo ratione universalis naturae; ut cum dicitur, Socrates est homo, vel conveniat ei ratione singularitatis.  Si igitur tribus praedictis enunciationibus addatur singularis, erunt quatuor modi enunciationis ad quantitatem ipsius pertinentes, scilicet universalis, singularis, indefinitus et particularis.  Sic igitur secundum has differentias Aristoteles assignat diversas oppositiones enunciationum adinvicem. Et primo, secundum differentiam universalium ad indefinitas; secundo, secundum differentiam universalium ad particulares; ibi: opponi autem affirmationem et cetera. Circa primum tria facit: primo, agit de oppositione propositionum universalium adinvicem; secundo, de oppositione indefinitarum; ibi: quando autem in universalibus etc.; tertio, excludit dubitationem; ibi: in eo vero quod et cetera.  Dicit ergo primo quod si aliquis enunciet de subiecto universali universaliter, idest secundum continentiam suae universalitatis, quoniam est, idest affirmative, aut non est, idest negative, erunt contrariae enunciationes; ut si dicatur, omnis homo est albus, nullus homo est albus. Huius autem ratio est, quia contraria dicuntur quae maxime a se distant: non enim dicitur aliquid nigrum ex hoc solum quod non est album, sed super hoc quod est non esse album, quod significat communiter remotionem albi, addit nigrum extremam distantiam ab albo. Sic igitur id quod affirmatur per hanc enunciationem, omnis homo est albus, removetur per hanc negationem, non omnis homo est albus. Oportet ergo quod negatio removeat modum quo praedicatum dicitur de subiecto, quem designat haec dictio, omnis. Sed super hanc remotionem addit haec enunciatio, nullus homo est albus, totalem remotionem, quae est extrema distantia a primo; quod pertinet ad rationem contrarietatis. Et ideo convenienter hanc oppositionem dicit contrarietatem.  Deinde cum dicit: quando autem etc., ostendit qualis sit oppositio affirmationis et negationis in indefinitis. Et primo, proponit quod intendit; secundo, manifestat propositum per exempla; ibi: dico autem non universaliter etc.; tertio, assignat rationem manifestationis; ibi: cum enim universale sit homo et cetera. Dicit ergo primo quod quando de universalibus subiectis affirmatur aliquid vel negatur non tamen universaliter, non sunt contrariae enunciationes, sed illa quae significantur contingit esse contraria. Deinde cum dicit: dico autem non universaliter etc., manifestat per exempla. Ubi considerandum est quod non dixerat quando in universalibus particulariter, sed non universaliter. Non enim intendit de particularibus enunciationibus, sed de solis indefinitis. Et hoc manifestat per exempla quae ponit, dicens fieri in universalibus subiectis non universalem enunciationem; cum dicitur, est albus homo, non est albus homo. Et rationem huius expositionis ostendit, quia homo, qui subiicitur, est universale, sed tamen praedicatum non universaliter de eo praedicatur, quia non apponitur haec dictio, omnis: quae non significat ipsum universale, sed modum universalitatis, prout scilicet praedicatum dicitur universaliter de subiecto; et ideo addita subiecto universali, semper significat quod aliquid de eo dicatur universaliter. Tota autem haec expositio refertur ad hoc quod dixerat: quando in universalibus non universaliter enunciatur, non sunt contrariae.  Sed hoc quod additur: quae autem significantur contingit esse contraria, non est expositum, quamvis obscuritatem contineat; et ideo a diversis diversimode exponitur. Quidam enim hoc referre voluerunt ad contrarietatem veritatis et falsitatis, quae competit huiusmodi enunciationibus. Contingit enim quandoque has simul esse veras, homo est albus, homo non est albus; et sic non sunt contrariae, quia contraria mutuo se tollunt. Contingit tamen quandoque unam earum esse veram et alteram esse falsam; ut cum dicitur, homo est animal, homo non est animal; et sic ratione significati videntur habere quamdam contrarietatem. Sed hoc non videtur ad propositum pertinere, tum quia philosophus nondum hic loquitur de veritate et falsitate enunciationum; tum etiam quia hoc ipsum posset de particularibus enunciationibus dici.  Alii vero, sequentes Porphyrium, referunt hoc ad contrarietatem praedicati. Contingit enim quandoque quod praedicatum negatur de subiecto propter hoc quod inest ei contrarium; sicut si dicatur, homo non est albus, quia est niger; et sic id quod significatur per hoc quod dicitur, non est albus, potest esse contrarium. Non tamen semper: removetur enim aliquid a subiecto, etiam si contrarium non insit, sed aliquid medium inter contraria; ut cum dicitur, aliquis non est albus, quia est pallidus; vel quia inest ei privatio actus vel habitus seu potentiae; ut cum dicitur, aliquis non est videns, quia est carens potentia visiva, aut habet impedimentum ne videat, vel etiam quia non est aptus natus videre; puta si dicatur, lapis non videt. Sic igitur illa, quae significantur contingit esse contraria, sed ipsae enunciationes non sunt contrariae, quia ut in fine huius libri dicetur, non sunt contrariae opiniones quae sunt de contrariis, sicut opinio quod aliquid sit bonum, et illa quae est, quod aliquid non est bonum.  Sed nec hoc videtur ad propositum Aristotelis pertinere, quia non agit hic de contrarietate rerum vel opinionum, sed de contrarietate enunciationum: et ideo magis videtur hic sequenda expositio Alexandri. Secundum quam dicendum est quod in indefinitis enunciationibus non determinatur utrum praedicatum attribuatur subiecto universaliter (quod faceret contrarietatem enunciationum), aut particulariter (quod non faceret contrarietatem enunciationum); et ideo huiusmodi enunciationes indefinitae non sunt contrariae secundum modum quo proferuntur. Contingit tamen quandoque ratione significati eas habere contrarietatem, puta, cum attribuitur aliquid universali ratione naturae universalis, quamvis non apponatur signum universale; ut cum dicitur, homo est animal, homo non est animal: quia hae enunciationes eamdem habent vim ratione significati; ac si diceretur, omnis homo est animal, nullus homo est animal.  Deinde cum dicit: in eo vero quod etc., removet quoddam quod posset esse dubium. Quia enim posuerat quamdam diversitatem in oppositione enunciationum ex hoc quod universale sumitur a parte subiecti universaliter vel non universaliter, posset aliquis credere quod similis diversitas nasceretur ex parte praedicati, ex hoc scilicet quod universale praedicari posset et universaliter et non universaliter; et ideo ad hoc excludendum dicit quod in eo quod praedicatur aliquod universale, non est verum quod praedicetur universale universaliter. Cuius quidem duplex esse potest ratio. Una quidem, quia talis modus praedicandi videtur repugnare praedicato secundum propriam rationem quam habet in enunciatione. Dictum est enim supra quod praedicatum est quasi pars formalis enunciationis, subiectum autem est pars materialis ipsius: cum autem aliquod universale profertur universaliter, ipsum universale sumitur secundum habitudinem quam habet ad singularia, quae sub se continet; sicut et quando universale profertur particulariter, sumitur secundum habitudinem quam habet ad aliquod contentorum sub se; et sic utrumque pertinet ad materialem determinationem universalis: et ideo neque signum universale neque particulare convenienter additur praedicato, sed magis subiecto: convenientius enim dicitur, nullus homo est asinus, quam, omnis homo est nullus asinus; et similiter convenientius dicitur, aliquis homo est albus, quam, homo est aliquid album. Invenitur autem quandoque a philosophis signum particulare appositum praedicato, ad insinuandum quod praedicatum est in plus quam subiectum, et hoc praecipue cum, habito genere, investigant differentias completivas speciei, sicut in II de anima dicitur quod anima est actus quidam. Alia vero ratio potest accipi ex parte veritatis enunciationis; et ista specialiter habet locum in affirmationibus quae falsae essent si praedicatum universaliter praedicaretur. Et ideo manifestans id quod posuerat, subiungit quod nulla affirmatio est in qua, scilicet vere, de universali praedicato universaliter praedicetur, idest in qua universali praedicato utitur ad universaliter praedicandum; ut si diceretur, omnis homo est omne animal. Oportet enim, secundum praedicta, quod hoc praedicatum animal, secundum singula quae sub ipso continentur, praedicaretur de singulis quae continentur sub homine; et hoc non potest esse verum, neque si praedicatum sit in plus quam subiectum, neque si praedicatum sit convertibile cum eo. Oporteret enim quod quilibet unus homo esset animalia omnia, aut omnia risibilia: quae repugnant rationi singularis, quod accipitur sub universali.  Nec est instantia si dicatur quod haec est vera, omnis homo est omnis disciplinae susceptivus: disciplina enim non praedicatur de homine, sed susceptivum disciplinae; repugnaret autem veritati si diceretur, omnis homo est omne susceptivum disciplinae.  Signum autem universale negativum, vel particulare affirmativum, etsi convenientius ponantur ex parte subiecti, non tamen repugnat veritati etiam si ponantur ex parte praedicati. Contingit enim huiusmodi enunciationes in aliqua materia esse veras: haec enim est vera, omnis homo nullus lapis est; et similiter haec est vera, omnis homo aliquod animal est. Sed haec, omnis homo omne animal est, in quacumque materia proferatur, falsa est. Sunt autem quaedam aliae tales enunciationes semper falsae; sicut ista, aliquis homo omne animal est (quae habet eamdem causam falsitatis cum hac, omnis homo omne animal est); et si quae aliae similes, sunt semper falsae: in omnibus enim eadem ratio est. Et ideo per hoc quod philosophus reprobavit istam, omnis homo omne animal est, dedit intelligere omnes consimiles esse improbandas. Postquam philosophus determinavit de oppositione enunciationum, comparando universales enunciationes ad indefinitas, hic determinat de oppositione enunciationum comparando universales ad particulares. Circa quod considerandum est quod potest duplex oppositio in his notari: una quidem universalis ad particularem, et hanc primo tangit; alia vero universalis ad universalem, et hanc tangit secundo; ibi: contrariae vero et cetera.  Particularis vero affirmativa et particularis negativa, non habent proprie loquendo oppositionem, quia oppositio attenditur circa idem subiectum; subiectum autem particularis enunciationis est universale particulariter sumptum, non pro aliquo determinato singulari, sed indeterminate pro quocumque; et ideo, cum de universali particulariter sumpto aliquid affirmatur vel negatur, ipse modus enunciandi non habet quod affirmatio et negatio sint de eodem: quod requiritur ad oppositionem affirmationis et negationis, secundum praemissa.  Dicit ergo primo quod enunciatio, quae universale significat, scilicet universaliter, opponitur contradictorie ei, quae non significat universaliter sed particulariter, si una earum sit affirmativa, altera vero sit negativa (sive universalis sit affirmativa et particularis negativa, sive e converso); ut cum dicitur, omnis homo est albus, non omnis homo est albus: hoc enim quod dico, non omnis, ponitur loco signi particularis negativi; unde aequipollet ei quae est, quidam homo non est albus; sicut et nullus, quod idem significat ac si diceretur, non ullus vel non quidam, est signum universale negativum. Unde hae duae, quidam homo est albus (quae est particularis affirmativa), nullus homo est albus (quae est universalis negativa), sunt contradictoriae.  Cuius ratio est quia contradictio consistit in sola remotione affirmationis per negationem; universalis autem affirmativa removetur per solam negationem particularis, nec aliquid aliud ex necessitate ad hoc exigitur; particularis autem affirmativa removeri non potest nisi per universalem negativam, quia iam dictum est quod particularis affirmativa non proprie opponitur particulari negativae. Unde relinquitur quod universali affirmativae contradictorie opponitur particularis negativa, et particulari affirmativae universalis negativa.  Deinde cum dicit: contrariae vero etc., tangit oppositionem universalium enunciationum; et dicit quod universalis affirmativa et universalis negativa sunt contrariae; sicut, omnis homo est iustus, nullus homo est iustus, quia scilicet universalis negativa non solum removet universalem affirmativam, sed etiam designat extremam distantiam, in quantum negat totum quod affirmatio ponit; et hoc pertinet ad rationem contrarietatis; et ideo particularis affirmativa et negativa se habent sicut medium inter contraria.  Deinde cum dicit: quocirca has quidem etc., ostendit quomodo se habeant affirmatio et negatio oppositae ad verum et falsum. Et primo, quantum ad contrarias; secundo, quantum ad contradictorias; ibi: quaecumque igitur contradictiones etc.; tertio, quantum ad ea quae videntur contradictoria, et non sunt; ibi: quaecumque autem in universalibus et cetera. Dicit ergo primo quod quia universalis affirmativa et universalis negativa sunt contrariae, impossibile est quod sint simul verae. Contraria enim mutuo se expellunt. Sed particulares, quae contradictorie opponuntur universalibus contrariis, possunt simul verificari in eodem; sicut, non omnis homo est albus, quae contradictorie opponitur huic, omnis homo est albus, et, quidam homo est albus, quae contradictorie opponitur huic, nullus homo est albus. Et huiusmodi etiam simile invenitur in contrarietate rerum: nam album et nigrum numquam simul esse possunt in eodem, sed remotiones albi et nigri simul possunt esse: potest enim aliquid esse neque album neque nigrum, sicut patet in eo quod est pallidum. Et similiter contrariae enunciationes non possunt simul esse verae, sed earum contradictoriae, a quibus removentur, simul possunt esse verae. Deinde cum dicit: quaecumque igitur contradictiones etc., ostendit qualiter veritas et falsitas se habeant in contradictoriis. Circa quod considerandum est quod, sicut dictum est supra, in contradictoriis negatio non plus facit, nisi quod removet affirmationem. Quod contingit dupliciter. Uno modo, quando est altera earum universalis, altera particularis, ut supra dictum est. Alio modo, quando utraque est singularis: quia tunc negatio ex necessitate refertur ad idem (quod non contingit in particularibus et indefinitis), nec potest se in plus extendere nisi ut removeat affirmationem. Et ideo singularis affirmativa semper contradicit singulari negativae, supposita identitate praedicati et subiecti. Et ideo dicit quod, sive accipiamus contradictionem universalium universaliter, scilicet quantum ad unam earum, sive singularium enunciationum, semper necesse est quod una sit vera et altera falsa. Neque enim contingit esse simul veras aut simul falsas, quia verum nihil aliud est, nisi quando dicitur esse quod est, aut non esse quod non est; falsum autem, quando dicitur esse quod non est, aut non esse quod est, ut patet ex IV metaphysicorum.  Deinde cum dicit: quaecumque autem universalium etc., ostendit qualiter se habeant veritas et falsitas in his, quae videntur esse contradictoria, sed non sunt. Et circa hoc tria facit: primo proponit quod intendit; secundo, probat propositum; ibi: si enim turpis non probus etc.; tertio, excludit id quod facere posset dubitationem; ibi: videbitur autem subito inconveniens et cetera. Circa primum considerandum est quod affirmatio et negatio in indefinitis propositionibus videntur contradictorie opponi propter hoc, quod est unum subiectum non determinatum per signum particulare, et ideo videtur affirmatio et negatio esse de eodem. Sed ad hoc removendum philosophus dicit quod quaecumque affirmative et negative dicuntur de universalibus non universaliter sumptis, non semper oportet quod unum sit verum, et aliud sit falsum, sed possunt simul esse vera. Simul enim est verum dicere quod homo est albus, et, homo non est albus, et quod homo est probus, et, homo non est probus.  In quo quidem, ut Ammonius refert, aliqui Aristoteli contradixerunt ponentes quod indefinita negativa semper sit accipienda pro universali negativa. Et hoc astruebant primo quidem tali ratione: quia indefinita, cum sit indeterminata, se habet in ratione materiae; materia autem secundum se considerata, magis trahitur ad id quod indignius est; dignior autem est universalis affirmativa, quam particularis affirmativa; et ideo indefinitam affirmativam dicunt esse sumendam pro particulari affirmativa: sed negativam universalem, quae totum destruit, dicunt esse indigniorem particulari negativa, quae destruit partem, sicut universalis corruptio peior est quam particularis; et ideo dicunt quod indefinita negativa sumenda est pro universali negativa. Ad quod etiam inducunt quod philosophi, et etiam ipse Aristoteles utitur indefinitis negativis pro universalibus; sicut dicitur in libro Physic. quod non est motus praeter res; et in libro de anima, quod non est sensus praeter quinque. Sed istae rationes non concludunt. Quod enim primo dicitur quod materia secundum se sumpta sumitur pro peiori, verum est secundum sententiam Platonis, qui non distinguebat privationem a materia, non autem est verum secundum Aristotelem, qui dicit in Lib. I Physic. quod malum et turpe et alia huiusmodi ad defectum pertinentia non dicuntur de materia nisi per accidens. Et ideo non oportet quod indefinita semper stet pro peiori. Dato etiam quod indefinita necesse sit sumi pro peiori, non oportet quod sumatur pro universali negativa; quia sicut in genere affirmationis, universalis affirmativa est potior particulari, utpote particularem affirmativam continens; ita etiam in genere negationum universalis negativa potior est. Oportet autem in unoquoque genere considerare id quod est potius in genere illo, non autem id quod est potius simpliciter. Ulterius etiam, dato quod particularis negativa esset potior omnibus modis, non tamen adhuc ratio sequeretur: non enim ideo indefinita affirmativa sumitur pro particulari affirmativa, quia sit indignior, sed quia de universali potest aliquid affirmari ratione suiipsius, vel ratione partis contentae sub eo; unde sufficit ad veritatem eius quod praedicatum uni parti conveniat (quod designatur per signum particulare); et ideo veritas particularis affirmativae sufficit ad veritatem indefinitae affirmativae. Et simili ratione veritas particularis negativae sufficit ad veritatem indefinitae negativae, quia similiter potest aliquid negari de universali vel ratione suiipsius, vel ratione suae partis. Utuntur autem quandoque philosophi indefinitis negativis pro universalibus in his, quae per se removentur ab universalibus; sicut et utuntur indefinitis affirmativis pro universalibus in his, quae per se de universalibus praedicantur.  Deinde cum dicit: si enim turpis est etc., probat propositum per id, quod est ab omnibus concessum. Omnes enim concedunt quod indefinita affirmativa verificatur, si particularis affirmativa sit vera. Contingit autem accipi duas affirmativas indefinitas, quarum una includit negationem alterius, puta cum sunt opposita praedicata: quae quidem oppositio potest contingere dupliciter. Uno modo, secundum perfectam contrarietatem, sicut turpis, idest inhonestus, opponitur probo, idest honesto, et foedus, idest deformis secundum corpus, opponitur pulchro. Sed per quam rationem ista affirmativa est vera, homo est probus, quodam homine existente probo, per eamdem rationem ista est vera, homo est turpis, quodam homine existente turpi. Sunt ergo istae duae verae simul, homo est probus, homo est turpis; sed ad hanc, homo est turpis, sequitur ista, homo non est probus; ergo istae duae sunt simul verae, homo est probus, homo non est probus: et eadem ratione istae duae, homo est pulcher, homo non est pulcher. Alia autem oppositio attenditur secundum perfectum et imperfectum, sicut moveri opponitur ad motum esse, et fieri ad factum esse: unde ad fieri sequitur non esse eius quod fit in permanentibus, quorum esse est perfectum; secus autem est in successivis, quorum esse est imperfectum. Sic ergo haec est vera, homo est albus, quodam homine existente albo; et pari ratione, quia quidam homo fit albus, haec est vera, homo fit albus; ad quam sequitur, homo non est albus. Ergo istae duae sunt simul verae, homo est albus, homo non est albus.  Deinde cum dicit: videbitur autem etc., excludit id quod faceret dubitationem circa praedicta; et dicit quod subito, id est primo aspectu videtur hoc esse inconveniens, quod dictum est; quia hoc quod dico, homo non est albus, videtur idem significare cum hoc quod est, nullus homo est albus. Sed ipse hoc removet dicens quod neque idem significant neque ex necessitate sunt simul vera, sicut ex praedictis manifestum est. Postquam philosophus distinxit diversos modos oppositionum in enunciationibus, nunc intendit ostendere quod uni affirmationi una negatio opponitur, et circa hoc duo facit: primo, ostendit quod uni affirmationi una negatio opponitur; secundo, ostendit quae sit una affirmatio vel negatio, ibi: una autem affirmatio et cetera. Circa primum tria facit: primo, proponit quod intendit; secundo, manifestat propositum; ibi: hoc enim idem etc.; tertio, epilogat quae dicta sunt; ibi: manifestum est ergo et cetera.  Dicit ergo primo, manifestum esse quod unius affirmationis est una negatio sola. Et hoc quidem fuit necessarium hic dicere: quia cum posuerit plura oppositionum genera, videbatur quod uni affirmationi duae negationes opponerentur; sicut huic affirmativae, omnis homo est albus, videtur, secundum praedicta, haec negativa opponi, nullus homo est albus, et haec, quidam homo non est albus. Sed si quis recte consideret huius affirmativae, omnis homo est albus, negativa est sola ista, quidam homo non est albus, quae solummodo removet ipsam, ut patet ex sua aequipollenti, quae est, non omnis homo est albus. Universalis vero negativa includit quidem in suo intellectu negationem universalis affirmativae, in quantum includit particularem negativam, sed supra hoc aliquid addit, in quantum scilicet importat non solum remotionem universalitatis, sed removet quamlibet partem eius. Et sic patet quod sola una est negatio universalis affirmationis: et idem apparet in aliis.  Deinde cum dicit: hoc enim etc., manifestat propositum: et primo, per rationem; secundo, per exempla; ibi: dico autem, ut est Socrates albus. Ratio autem sumitur ex hoc, quod supra dictum est quod negatio opponitur affirmationi, quae est eiusdem de eodem: ex quo hic accipitur quod oportet negationem negare illud idem praedicatum, quod affirmatio affirmavit et de eodem subiecto, sive illud subiectum sit aliquid singulare, sive aliquid universale, vel universaliter, vel non universaliter sumptum; sed hoc non contingit fieri nisi uno modo, ita scilicet ut negatio neget id quod affirmatio posuit, et nihil aliud; ergo uni affirmationi opponitur una sola negatio.  [80425] Expositio Peryermeneias, lib. 1 l. 12 n. 4 Deinde cum dicit: dico autem, ut est etc., manifestat propositum per exempla. Et primo, in singularibus: huic enim affirmationi, Socrates est albus, haec sola opponitur, Socrates non est albus, tanquam eius propria negatio. Si vero esset aliud praedicatum vel aliud subiectum, non esset negatio opposita, sed omnino diversa; sicut ista, Socrates non est musicus, non opponitur ei quae est, Socrates est albus; neque etiam illa quae est, Plato est albus, huic quae est, Socrates non est albus. Secundo, manifestat idem quando subiectum affirmationis est universale universaliter sumptum; sicut huic affirmationi, omnis homo est albus, opponitur sicut propria eius negatio, non omnis homo est albus, quae aequipollet particulari negativae. Tertio, ponit exemplum quando affirmationis subiectum est universale particulariter sumptum: et dicit quod huic affirmationi, aliquis homo est albus, opponitur tanquam eius propria negatio, nullus homo est albus. Nam nullus dicitur, quasi non ullus, idest, non aliquis. Quarto, ponit exemplum quando affirmationis subiectum est universale indefinite sumptum et dicit quod isti affirmationi, homo est albus, opponitur tanquam propria eius negatio illa quae est, non est homo albus.  [80426] Expositio Peryermeneias, lib. 1 l. 12 n. 5 Sed videtur hoc esse contra id, quod supra dictum est quod negativa indefinita verificatur simul cum indefinita affirmativa; negatio autem non potest verificari simul cum sua opposita affirmatione, quia non contingit de eodem affirmare et negare. Sed ad hoc dicendum quod oportet quod hic dicitur intelligi quando negatio ad idem refertur quod affirmatio continebat; et hoc potest esse dupliciter: uno modo, quando affirmatur aliquid inesse homini ratione sui ipsius (quod est per se de eodem praedicari), et hoc ipsum negatio negat; alio modo, quando aliquid affirmatur de universali ratione sui singularis, et pro eodem de eo negatur. Deinde cum dicit: quod igitur una affirmatio etc., epilogat quae dicta sunt, et concludit manifestum esse ex praedictis quod uni affirmationi opponitur una negatio; et quod oppositarum affirmationum et negationum aliae sunt contrariae, aliae contradictoriae; et dictum est quae sint utraeque. Tacet autem de subcontrariis, quia non sunt recte oppositae, ut supra dictum est. Dictum est etiam quod non omnis contradictio est vera vel falsa; et sumitur hic large contradictio pro qualicumque oppositione affirmationis et negationis: nam in his quae sunt vere contradictoriae semper una est vera, et altera falsa. Quare autem in quibusdam oppositis hoc non verificetur, dictum est supra; quia scilicet quaedam non sunt contradictoriae, sed contrariae, quae possunt simul esse falsae. Contingit etiam affirmationem et negationem non proprie opponi; et ideo contingit eas esse veras simul. Dictum est autem quando altera semper est vera, altera autem falsa, quia scilicet in his quae vere sunt contradictoria.  Deinde cum dicit: una autem affirmatio etc., ostendit quae sit affirmatio vel negatio una. Quod quidem iam supra dixerat, ubi habitum est quod una est enunciatio, quae unum significat; sed quia enunciatio, in qua aliquid praedicatur de aliquo universali universaliter vel non universaliter, multa sub se continet, intendit ostendere quod per hoc non impeditur unitas enunciationis. Et circa hoc duo facit: primo, ostendit quod unitas enunciationis non impeditur per multitudinem, quae continetur sub universali, cuius ratio una est; secundo, ostendit quod impeditur unitas enunciationis per multitudinem, quae continetur sub sola nominis unitate; ibi: si vero duobus et cetera. Dicit ergo primo quod una est affirmatio vel negatio cum unum significatur de uno, sive illud unum quod subiicitur sit universale universaliter sumptum sive non sit aliquid tale, sed sit universale particulariter sumptum vel indefinite, aut etiam si subiectum sit singulare. Et exemplificat de diversis sicut universalis ista affirmativa est una, omnis homo est albus; et similiter particularis negativa quae est eius negatio, scilicet non est omnis homo albus. Et subdit alia exempla, quae sunt manifesta. In fine autem apponit quamdam conditionem, quae requiritur ad hoc quod quaelibet harum sit una, si scilicet album, quod est praedicatum, significat unum: nam sola multitudo praedicati impediret unitatem enunciationis. Ideo autem universalis propositio una est, quamvis sub se multitudinem singularium comprehendat, quia praedicatum non attribuitur multis singularibus, secundum quod sunt in se divisa, sed secundum quod uniuntur in uno communi.  Deinde cum dicit: si vero duobus etc., ostendit quod sola unitas nominis non sufficit ad unitatem enunciationis. Et circa hoc quatuor facit: primo, proponit quod intendit; secundo, exemplificat; ibi: ut si quis ponat etc.; tertio, probat; ibi: nihil enim differt etc.; quarto, infert corollarium ex dictis; ibi: quare nec in his et cetera. Dicit ergo primo quod si unum nomen imponatur duabus rebus, ex quibus non fit unum, non est affirmatio una. Quod autem dicit, ex quibus non fit unum, potest intelligi dupliciter. Uno modo, ad excludendum hoc quod multa continentur sub uno universali, sicut homo et equus sub animali: hoc enim nomen animal significat utrumque, non secundum quod sunt multa et differentia ad invicem, sed secundum quod uniuntur in natura generis. Alio modo, et melius, ad excludendum hoc quod ex multis partibus fit unum, sive sint partes rationis, sicut sunt genus et differentia, quae sunt partes definitionis: sive sint partes integrales alicuius compositi, sicut ex lapidibus et lignis fit domus. Si ergo sit tale praedicatum quod attribuatur rei, requiritur ad unitatem enunciationis quod illa multa quae significantur, concurrant in unum secundum aliquem dictorum modorum; unde non sufficeret sola unitas vocis. Si vero sit tale praedicatum quod referatur ad vocem, sufficiet unitas vocis; ut si dicam, canis est nomen.  Deinde cum dicit: ut si quis etc., exemplificat quod dictum est, ut si aliquis hoc nomen tunica imponat ad significandum hominem et equum: et sic, si dicam, tunica est alba, non est affirmatio una, neque negatio una. Deinde cum dicit: nihil enim differt etc., probat quod dixerat tali ratione. Si tunica significat hominem et equum, nihil differt si dicatur, tunica est alba, aut si dicatur, homo est albus, et, equus est albus; sed istae, homo est albus, et equus est albus, significant multa et sunt plures enunciationes; ergo etiam ista, tunica est alba, multa significat. Et hoc si significet hominem et equum ut res diversas: si vero significet hominem et equum ut componentia unam rem, nihil significat, quia non est aliqua res quae componatur ex homine et equo. Quod autem dicit quod non differt dicere, tunica est alba, et, homo est albus, et, equus est albus, non est intelligendum quantum ad veritatem et falsitatem. Nam haec copulativa, homo est albus et equus est albus, non potest esse vera nisi utraque pars sit vera: sed haec, tunica est alba, praedicta positione facta, potest esse vera etiam altera existente falsa; alioquin non oporteret distinguere multiplices propositiones ad solvendum rationes sophisticas. Sed hoc est intelligendum quantum ad unitatem et multiplicitatem. Nam sicut cum dicitur, homo est albus et equus est albus, non invenitur aliqua una res cui attribuatur praedicatum; ita etiam nec cum dicitur, tunica est alba.  Deinde cum dicit: quare nec in his etc., concludit ex praemissis quod nec in his affirmationibus et negationibus, quae utuntur subiecto aequivoco, semper oportet unam esse veram et aliam falsam, quia scilicet negatio potest aliud negare quam affirmatio affirmet. Postquam philosophus determinavit de oppositione enunciationum et ostendit quomodo dividunt verum et falsum oppositae enunciationes; hic inquirit de quodam quod poterat esse dubium, utrum scilicet id quod dictum es t similiter inveniatur in omnibus enunciationibus vel non. Et circa hoc duo facit: primo, proponit dissimilitudinem; secundo, probat eam; ibi: nam si omnis affirmatio et cetera.  Circa primum considerandum est quod philosophus in praemissis triplicem divisionem enunciationum assignavit, quarum prima fuit secundum unitatem enunciationis, prout scilicet enunciatio est una simpliciter vel coniunctione una; secunda fuit secundum qualitatem, prout scilicet enunciatio est affirmativa vel negativa; tertia fuit secundum quantitatem, utpote quod enunciatio quaedam est universalis, quaedam particularis, quaedam indefinita et quaedam singularis. Tangitur autem hic quarta divisio enunciationum secundum tempus. Nam quaedam est de praesenti, quaedam de praeterito, quaedam de futuro; et haec etiam divisio potest accipi ex his quae supra dicta sunt: dictum est enim supra quod necesse est omnem enunciationem esse ex verbo vel ex casu verbi; verbum autem est quod consignificat praesens tempus; casus autem verbi sunt, qui consignificant tempus praeteritum vel futurum. Potest autem accipi quinta divisio enunciationum secundum materiam, quae quidem divisio attenditur secundum habitudinem praedicati ad subiectum: nam si praedicatum per se insit subiecto, dicetur esse enunciatio in materia necessaria vel naturali; ut cum dicitur, homo est animal, vel, homo est risibile. Si vero praedicatum per se repugnet subiecto quasi excludens rationem ipsius, dicetur enunciatio esse in materia impossibili sive remota; ut cum dicitur, homo est asinus. Si vero medio modo se habeat praedicatum ad subiectum, ut scilicet nec per se repugnet subiecto, nec per se insit, dicetur enunciatio esse in materia possibili sive contingenti. His igitur enunciationum differentiis consideratis, non similiter se habet iudicium de veritate et falsitate in omnibus. Unde philosophus dicit, ex praemissis concludens, quod in his quae sunt, idest in propositionibus de praesenti, et in his quae facta sunt, idest in enunciationibus de praeterito, necesse est quod affirmatio vel negatio determinate sit vera vel falsa. Diversificatur tamen hoc, secundum diversam quantitatem enunciationis; nam in enunciationibus, in quibus de universalibus subiectis aliquid universaliter praedicatur, necesse est quod semper una sit vera, scilicet affirmativa vel negativa, et altera falsa, quae scilicet ei opponitur. Dictum est enim supra quod negatio enunciationis universalis in qua aliquid universaliter praedicatur, est negativa non universalis, sed particularis, et e converso universalis negativa non est directe negatio universalis affirmativae, sed particularis; et sic oportet, secundum praedicta, quod semper una earum sit vera et altera falsa in quacumque materia. Et eadem ratio est in enunciationibus singularibus, quae etiam contradictorie opponuntur, ut supra habitum est. Sed in enunciationibus, in quibus aliquid praedicatur de universali non universaliter, non est necesse quod semper una sit vera et altera sit falsa, qui possunt ambae esse simul verae, ut supra ostensum est.  Et hoc quidem ita se habet quantum ad propositiones, quae sunt de praeterito vel de praesenti: sed si accipiamus enunciationes, quae sunt de futuro, etiam similiter se habent quantum ad oppositiones, quae sunt de universalibus vel universaliter vel non universaliter sumptis. Nam in materia necessaria omnes affirmativae determinate sunt verae, ita in futuris sicut in praeteritis et praesentibus; negativae vero falsae. In materia autem impossibili, e contrario. In contingenti vero universales sunt falsae et particulares sunt verae, ita in futuris sicut in praeteritis et praesentibus. In indefinitis autem, utraque simul est vera in futuris sicut in praesentibus vel praeteritis.  Sed in singularibus et futuris est quaedam dissimilitudo. Nam in praeteritis et praesentibus necesse est quod altera oppositarum determinate sit vera et altera falsa in quacumque materia; sed in singularibus quae sunt de futuro hoc non est necesse, quod una determinate sit vera et altera falsa. Et hoc quidem dicitur quantum ad materiam contingentem: nam quantum ad materiam necessariam et impossibilem similis ratio est in futuris singularibus, sicut in praesentibus et praeteritis. Nec tamen Aristoteles mentionem fecit de materia contingenti, quia illa proprie ad singularia pertinent quae contingenter eveniunt, quae autem per se insunt vel repugnant, attribuuntur singularibus secundum universalium rationes. Circa hoc igitur versatur tota praesens intentio: utrum in enunciationibus singularibus de futuro in materia contingenti necesse sit quod determinate una oppositarum sit vera et altera falsa.  Deinde cum dicit: nam si omnis affirmatio etc., probat praemissam differentiam. Et circa hoc duo facit: primo, probat propositum ducendo ad inconveniens; secundo, ostendit illa esse impossibilia quae sequuntur; ibi: quare ergo contingunt inconvenientia et cetera. Circa primum duo facit: primo, ostendit quod in singularibus et futuris non semper potest determinate attribui veritas alteri oppositorum; secundo, ostendit quod non potest esse quod utraque veritate careat; ibi: at vero neque quoniam et cetera. Circa primum ponit duas rationes, in quarum prima ponit quamdam consequentiam, scilicet quod si omnis affirmatio vel negatio determinate est vera vel falsa ita in singularibus et futuris sicut in aliis, consequens est quod omnia necesse sit vel determinate esse vel non esse. Deinde cum dicit: quare si hic quidem etc. vel, si itaque hic quidem, ut habetur in Graeco, probat consequentiam praedictam. Ponamus enim quod sint duo homines, quorum unus dicat aliquid esse futurum, puta quod Socrates curret, alius vero dicat hoc idem ipsum non esse futurum; supposita praemissa positione, scilicet quod in singularibus et futuris contingit alteram esse veram, scilicet vel affirmativam vel negativam, sequetur quod necesse sit quod alter eorum verum dicat, non autem uterque: quia non potest esse quod in singularibus propositionibus futuris utraque sit simul vera, scilicet affirmativa et negativa: sed hoc habet locum solum in indefinitis. Ex hoc autem quod necesse est alterum eorum verum dicere, sequitur quod necesse sit determinate vel esse vel non esse. Et hoc probat consequenter: quia ista duo se convertibiliter consequuntur, scilicet quod verum sit id quod dicitur, et quod ita sit in re. Et hoc est quod manifestat consequenter dicens quod si verum est dicere quod album sit, de necessitate sequitur quod ita sit in re; et si verum est negare, ex necessitate sequitur quod ita non sit. Et e converso: quia si ita est in re vel non est, ex necessitate sequitur quod sit verum affirmare vel negare. Et eadem etiam convertibilitas apparet in falso: quia, si aliquis mentitur falsum dicens, ex necessitate sequitur quod non ita sit in re, sicut ipse affirmat vel negat; et e converso, si non est ita in re sicut ipse affirmat vel negat, sequitur quod affirmans vel negans mentiatur.  Est ergo processus huius rationis talis. Si necesse est quod omnis affirmatio vel negatio in singularibus et futuris sit vera vel falsa, necesse est quod omnis affirmans vel negans determinate dicat verum vel falsum. Ex hoc autem sequitur quod omne necesse sit esse vel non esse. Ergo, si omnis affirmatio vel negatio determinate sit vera, necesse est omnia determinate esse vel non esse. Ex hoc concludit ulterius quod omnia sint ex necessitate. Per quod triplex genus contingentium excluditur.  Quaedam enim contingunt ut in paucioribus, quae accidunt a casu vel fortuna. Quaedam vero se habent ad utrumlibet, quia scilicet non magis se habent ad unam partem, quam ad aliam, et ista procedunt ex electione. Quaedam vero eveniunt ut in pluribus; sicut hominem canescere in senectute, quod causatur ex natura. Si autem omnia ex necessitate evenirent, nihil horum contingentium esset. Et ideo dicit nihil est quantum ad ipsam permanentiam eorum quae permanent contingenter; neque fit quantum ad productionem eorum quae contingenter causantur; nec casu quantum ad ea quae sunt in minori parte, sive in paucioribus; nec utrumlibet quantum ad ea quae se habent aequaliter ad utrumque, scilicet esse vel non esse, et ad neutrum horum sunt determinata: quod significat cum subdit, nec erit, nec non erit. De eo enim quod est magis determinatum ad unam partem possumus determinate verum dicere quod hoc erit vel non erit, sicut medicus de convalescente vere dicit, iste sanabitur, licet forte ex aliquo accidente eius sanitas impediatur. Unde et philosophus dicit in II de generatione quod futurus quis incedere, non incedet. De eo enim qui habet propositum determinatum ad incedendum, vere potest dici quod ipse incedet, licet per aliquod accidens impediatur eius incessus. Sed eius quod est ad utrumlibet proprium est quod, quia non determinatur magis ad unum quam ad alterum, non possit de eo determinate dici, neque quod erit, neque quod non erit. Quomodo autem sequatur quod nihil sit ad utrumlibet ex praemissa hypothesi, manifestat subdens quod, si omnis affirmatio vel negatio determinate sit vera, oportet quod vel ille qui affirmat vel ille qui negat dicat verum; et sic tollitur id quod est ad utrumlibet: quia, si esse aliquid ad utrumlibet, similiter se haberet ad hoc quod fieret vel non fieret, et non magis ad unum quam ad alterum. Est autem considerandum quod philosophus non excludit hic expresse contingens quod est ut in pluribus, duplici ratione. Primo quidem, quia tale contingens non excludit quin altera oppositarum enunciationum determinate sit vera et altera falsa, ut dictum est. Secundo, quia remoto contingenti quod est in paucioribus, quod a casu accidit, removetur per consequens contingens quod est ut in pluribus: nihil enim differt id quod est in pluribus ab eo quod est in paucioribus, nisi quod deficit in minori parte.  Deinde cum dicit: amplius si est album etc., ponit secundam rationem ad ostendendum praedictam dissimilitudinem, ducendo ad impossibile. Si enim similiter se habet veritas et falsitas in praesentibus et futuris, sequitur ut quidquid verum est de praesenti, etiam fuerit verum de futuro, eo modo quo est verum de praesenti. Sed determinate nunc est verum dicere de aliquo singulari quod est album; ergo primo, idest antequam illud fieret album, erat verum dicere quoniam hoc erit album. Sed eadem ratio videtur esse in propinquo et in remoto; ergo si ante unum diem verum fuit dicere quod hoc erit album, sequitur quod semper fuit verum dicere de quolibet eorum, quae facta sunt, quod erit. Si autem semper est verum dicere de praesenti quoniam est, vel de futuro quoniam erit, non potest hoc non esse vel non futurum esse. Cuius consequentiae ratio patet, quia ista duo sunt incompossibilia, quod aliquid vere dicatur esse, et quod non sit. Nam hoc includitur in significatione veri, ut sit id quod dicitur. Si ergo ponitur verum esse id quod dicitur de praesenti vel de futuro, non potest esse quin illud sit praesens vel futurum. Sed quod non potest non fieri idem significat cum eo quod est impossibile non fieri. Et quod impossibile est non fieri idem significat cum eo quod est necesse fieri, ut in secundo plenius dicetur. Sequitur ergo ex praemissis quod omnia, quae futura sunt, necesse est fieri. Ex quo sequitur ulterius, quod nihil sit neque ad utrumlibet neque a casu, quia illud quod accidit a casu non est ex necessitate, sed ut in paucioribus; hoc autem relinquit pro inconvenienti; ergo et primum est falsum, scilicet quod omne quod est verum esse, verum fuerit determinate dicere esse futurum.  Ad cuius evidentiam considerandum est quod cum verum hoc significet ut dicatur aliquid esse quod est, hoc modo est aliquid verum, quo habet esse. Cum autem aliquid est in praesenti habet esse in seipso, et ideo vere potest dici de eo quod est: sed quamdiu aliquid est futurum, nondum est in seipso, est tamen aliqualiter in sua causa: quod quidem contingit tripliciter. Uno modo, ut sic sit in sua causa ut ex necessitate ex ea proveniat; et tunc determinate habet esse in sua causa; unde determinate potest dici de eo quod erit. Alio modo, aliquid est in sua causa, ut quae habet inclinationem ad suum effectum, quae tamen impediri potest; unde et hoc determinatum est in sua causa, sed mutabiliter; et sic de hoc vere dici potest, hoc erit, sed non per omnimodam certitudinem. Tertio, aliquid est in sua causa pure in potentia, quae etiam non magis est determinata ad unum quam ad aliud; unde relinquitur quod nullo modo potest de aliquo eorum determinate dici quod sit futurum, sed quod sit vel non sit.  Deinde cum dicit: at vero neque quoniam etc., ostendit quod veritas non omnino deest in singularibus futuris utrique oppositorum; et primo, proponit quod intendit dicens quod sicut non est verum dicere quod in talibus alterum oppositorum sit verum determinate, sic non est verum dicere quod non utrumque sit verum; ut si quod dicamus, neque erit, neque non erit. Secundo, ibi: primum enim cum sit etc., probat propositum duabus rationibus. Quarum prima talis est: affirmatio et negatio dividunt verum et falsum, quod patet ex definitione veri et falsi: nam nihil aliud est verum quam esse quod est, vel non esse quod non est; et nihil aliud est falsum quam esse quod non est, vel non esse quod est; et sic oportet quod si affirmatio sit falsa, quod negatio sit vera; et e converso. Sed secundum praedictam positionem affirmatio est falsa, qua dicitur, hoc erit; nec tamen negatio est vera: et similiter negatio erit falsa, affirmatione non existente vera; ergo praedicta positio est impossibilis, scilicet quod veritas desit utrique oppositorum. Secundam rationem ponit; ibi: ad haec si verum est et cetera. Quae talis est: si verum est dicere aliquid, sequitur quod illud sit; puta si verum est dicere quod aliquid sit magnum et album, sequitur utraque esse. Et ita de futuro sicut de praesenti: sequitur enim esse cras, si verum est dicere quod erit cras. Si ergo vera est praedicta positio dicens quod neque cras erit, neque non erit, oportebit neque fieri, neque non fieri: quod est contra rationem eius quod est ad utrumlibet, quia quod est ad utrumlibet se habet ad alterutrum; ut navale bellum cras erit, vel non erit. Et ita ex hoc sequitur idem inconveniens quod in praemissis. Ostenderat superius philosophus ducendo ad inconveniens quod non est similiter verum vel falsum determinate in altero oppositorum in singularibus et futuris, sicut supra de aliis enunciationibus dixerat; nunc autem ostendit inconvenientia ad quae adduxerat esse impossibilia. Et circa hoc duo facit: primo, ostendit impossibilia ea quae sequebantur; secundo, concludit quomodo circa haec se veritas habeat; ibi: igitur esse quod est et cetera.  Circa primum tria facit: primo, ponit inconvenientia quae sequuntur; secundo, ostendit haec inconvenientia ex praedicta positione sequi; ibi: nihil enim prohibet etc.; tertio, ostendit esse impossibilia inconvenientia memorata; ibi: quod si haec possibilia non sunt et cetera. Dicit ergo primo, ex praedictis rationibus concludens, quod haec inconvenientia sequuntur, si ponatur quod necesse sit oppositarum enunciationum alteram determinate esse veram et alteram esse falsam similiter in singularibus sicut in universalibus, quod scilicet nihil in his quae fiunt sit ad utrumlibet, sed omnia sint et fiant ex necessitate. Et ex hoc ulterius inducit alia duo inconvenientia. Quorum primum est quod non oportebit de aliquo consiliari: probatum est enim in III Ethicorum quod consilium non est de his, quae sunt ex necessitate, sed solum de contingentibus, quae possunt esse et non esse. Secundum inconveniens est quod omnes actiones humanae, quae sunt propter aliquem finem (puta negotiatio, quae est propter divitias acquirendas), erunt superfluae: quia si omnia ex necessitate eveniunt, sive operemur sive non operemur erit quod intendimus. Sed hoc est contra intentionem hominum, quia ea intentione videntur consiliari et negotiari ut, si haec faciant, erit talis finis, si autem faciunt aliquid aliud, erit alius finis.  Deinde cum dicit: nihil enim prohibet etc., probat quod dicta inconvenientia consequantur ex dicta positione. Et circa hoc duo facit: primo, ostendit praedicta inconvenientia sequi, quodam possibili posito; secundo, ostendit quod eadem inconvenientia sequantur etiam si illud non ponatur; ibi: at nec hoc differt et cetera. Dicit ergo primo, non esse impossibile quod ante mille annos, quando nihil apud homines erat praecogitatum, vel praeordinatum de his quae nunc aguntur, unus dixerit quod hoc erit, puta quod civitas talis subverteretur, alius autem dixerit quod hoc non erit. Sed si omnis affirmatio vel negatio determinate est vera, necesse est quod alter eorum determinate verum dixerit; ergo necesse fuit alterum eorum ex necessitate evenire; et eadem ratio est in omnibus aliis; ergo omnia ex necessitate eveniunt.  Deinde cum dicit: at vero neque hoc differt etc., ostendit quod idem sequitur si illud possibile non ponatur. Nihil enim differt, quantum ad rerum existentiam vel eventum, si uno affirmante hoc esse futurum, alius negaverit vel non negaverit; ita enim se habebit res si hoc factum fuerit, sicut si hoc non factum fuerit. Non enim propter nostrum affirmare vel negare mutatur cursus rerum, ut sit aliquid vel non sit: quia veritas nostrae enunciationis non est causa existentiae rerum, sed potius e converso. Similiter etiam non differt quantum ad eventum eius quod nunc agitur, utrum fuerit affirmatum vel negatum ante millesimum annum vel ante quodcumque tempus. Sic ergo, si in quocumque tempore praeterito, ita se habebat veritas enunciationum, ut necesse esset quod alterum oppositorum vere diceretur; et ad hoc quod necesse est aliquid vere dici sequitur quod necesse sit illud esse vel fieri; consequens est quod unumquodque eorum quae fiunt, sic se habeat ut ex necessitate fiat. Et huiusmodi consequentiae rationem assignat per hoc, quod si ponatur aliquem vere dicere quod hoc erit, non potest non futurum esse. Sicut supposito quod sit homo, non potest non esse animal rationale mortale. Hoc enim significatur, cum dicitur aliquid vere dici, scilicet quod ita sit ut dicitur. Eadem autem habitudo est eorum, quae nunc dicuntur, ad ea quae futura sunt, quae erat eorum, quae prius dicebantur, ad ea quae sunt praesentia vel praeterita; et ita omnia ex necessitate acciderunt, et accidunt, et accident, quia quod nunc factum est, utpote in praesenti vel in praeterito existens, semper verum erat dicere, quoniam erit futurum.  Deinde cum dicit: quod si haec possibilia non sunt etc., ostendit praedicta esse impossibilia: et primo, per rationem; secundo, per exempla sensibilia; ibi: et multa nobis manifesta et cetera. Circa primum duo facit: primo, ostendit propositum in rebus humanis; secundo, etiam in aliis rebus; ibi: et quoniam est omnino et cetera. Quantum autem ad res humanas ostendit esse impossibilia quae dicta sunt, per hoc quod homo manifeste videtur esse principium eorum futurorum, quae agit quasi dominus existens suorum actuum, et in sua potestate habens agere vel non agere; quod quidem principium si removeatur, tollitur totus ordo conversationis humanae, et omnia principia philosophiae moralis. Hoc enim sublato non erit aliqua utilitas persuasionis, nec comminationis, nec punitionis aut remunerationis, quibus homines alliciuntur ad bona et retrahuntur a malis, et sic evacuatur tota civilis scientia. Hoc ergo philosophus accipit pro principio manifesto quod homo sit principium futurorum; non est autem futurorum principium nisi per hoc quod consiliatur et facit aliquid: ea enim quae agunt absque consilio non habent dominium sui actus, quasi libere iudicantes de his quae sunt agenda, sed quodam naturali instinctu moventur ad agendum, ut patet in animalibus brutis. Unde impossibile est quod supra conclusum est quod non oporteat nos negotiari vel consiliari. Et sic etiam impossibile est illud ex quo sequebatur, scilicet quod omnia ex necessitate eveniant.  Deinde cum dicit: et quoniam est omnino etc., ostendit idem etiam in aliis rebus. Manifestum est enim etiam in rebus naturalibus esse quaedam, quae non semper actu sunt; ergo in eis contingit esse et non esse: alioquin vel semper essent, vel semper non essent. Id autem quod non est, incipit esse aliquid per hoc quod fit illud; sicut id quod non est album, incipit esse album per hoc quod fit album. Si autem non fiat album permanet non ens album. Ergo in quibus contingit esse et non esse, contingit etiam fieri et non fieri. Non ergo talia ex necessitate sunt vel fiunt, sed est in eis natura possibilitatis, per quam se habent ad fieri et non fieri, esse et non esse.  Deinde cum dicit: ac multa nobis manifesta etc., ostendit propositum per sensibilia exempla. Sit enim, puta, vestis nova; manifestum est quod eam possibile est incidi, quia nihil obviat incisioni, nec ex parte agentis nec ex parte patientis. Probat autem quod simul cum hoc quod possibile est eam incidi, possibile est etiam eam non incidi, eodem modo quo supra probavit duas indefinitas oppositas esse simul veras, scilicet per assumptionem contrarii. Sicut enim possibile est istam vestem incidi, ita possibile est eam exteri, idest vetustate corrumpi; sed si exteritur non inciditur; ergo utrumque possibile est, scilicet eam incidi et non incidi. Et ex hoc universaliter concludit quod in aliis futuris, quae non sunt in actu semper, sed sunt in potentia, hoc manifestum est quod non omnia ex necessitate sunt vel fiunt, sed eorum quaedam sunt ad utrumlibet, quae non se habent magis ad affirmationem quam ad negationem; alia vero sunt in quibus alterum eorum contingit ut in pluribus, sed tamen contingit etiam ut in paucioribus quod altera pars sit vera, et non alia, quae scilicet contingit ut in pluribus.  Est autem considerandum quod, sicut Boethius dicit hic in commento, circa possibile et necessarium diversimode aliqui sunt opinati. Quidam enim distinxerunt ea secundum eventum, sicut Diodorus, qui dixit illud esse impossibile quod nunquam erit; necessarium vero quod semper erit; possibile vero quod quandoque erit, quandoque non erit. Stoici vero distinxerunt haec secundum exteriora prohibentia. Dixerunt enim necessarium esse illud quod non potest prohiberi quin sit verum; impossibile vero quod semper prohibetur a veritate; possibile vero quod potest prohiberi vel non prohiberi. Utraque autem distinctio videtur esse incompetens. Nam prima distinctio est a posteriori: non enim ideo aliquid est necessarium, quia semper erit; sed potius ideo semper erit, quia est necessarium: et idem patet in aliis. Secunda autem assignatio est ab exteriori et quasi per accidens: non enim ideo aliquid est necessarium, quia non habet impedimentum, sed quia est necessarium, ideo impedimentum habere non potest. Et ideo alii melius ista distinxerunt secundum naturam rerum, ut scilicet dicatur illud necessarium, quod in sua natura determinatum est solum ad esse; impossibile autem quod est determinatum solum ad non esse; possibile autem quod ad neutrum est omnino determinatum, sive se habeat magis ad unum quam ad alterum, sive se habeat aequaliter ad utrumque, quod dicitur contingens ad utrumlibet. Et hoc est quod Boethius attribuit Philoni. Sed manifeste haec est sententia Aristotelis in hoc loco. Assignat enim rationem possibilitatis et contingentiae, in his quidem quae sunt a nobis ex eo quod sumus consiliativi, in aliis autem ex eo quod materia est in potentia ad utrumque oppositorum.  Sed videtur haec ratio non esse sufficiens. Sicut enim in corporibus corruptibilibus materia invenitur in potentia se habens ad esse et non esse, ita etiam in corporibus caelestibus invenitur potentia ad diversa ubi, et tamen nihil in eis evenit contingenter, sed solum ex necessitate. Unde dicendum est quod possibilitas materiae ad utrumque, si communiter loquamur, non est sufficiens ratio contingentiae, nisi etiam addatur ex parte potentiae activae quod non sit omnino determinata ad unum; alioquin si ita sit determinata ad unum quod impediri non potest, consequens est quod ex necessitate reducat in actum potentiam passivam eodem modo.  Hoc igitur quidam attendentes posuerunt quod potentia, quae est in ipsis rebus naturalibus, sortitur necessitatem ex aliqua causa determinata ad unum quam dixerunt fatum. Quorum Stoici posuerunt fatum in quadam serie, seu connexione causarum, supponentes quod omne quod in hoc mundo accidit habet causam; causa autem posita, necesse est effectum poni. Et si una causa per se non sufficit, multae causae ad hoc concurrentes accipiunt rationem unius causae sufficientis; et ita concludebant quod omnia ex necessitate eveniunt.  Sed hanc rationem solvit Aristoteles in VI metaphysicae interimens utramque propositionum assumptarum. Dicit enim quod non omne quod fit habet causam, sed solum illud quod est per se. Sed illud quod est per accidens non habet causam; quia proprie non est ens, sed magis ordinatur cum non ente, ut etiam Plato dixit. Unde esse musicum habet causam, et similiter esse album; sed hoc quod est, album esse musicum, non habet causam: et idem est in omnibus aliis huiusmodi. Similiter etiam haec est falsa, quod posita causa etiam sufficienti, necesse est effectum poni: non enim omnis causa est talis (etiamsi sufficiens sit) quod eius effectus impediri non possit; sicut ignis est sufficiens causa combustionis lignorum, sed tamen per effusionem aquae impeditur combustio.  Si autem utraque propositionum praedictarum esset vera, infallibiliter sequeretur omnia ex necessitate contingere. Quia si quilibet effectus habet causam, esset effectum (qui est futurus post quinque dies, aut post quantumcumque tempus) reducere in aliquam causam priorem: et sic quousque esset devenire ad causam, quae nunc est in praesenti, vel iam fuit in praeterito; si autem causa posita, necesse est effectum poni, per ordinem causarum deveniret necessitas usque ad ultimum effectum. Puta, si comedit salsa, sitiet: si sitiet, exibit domum ad bibendum: si exibit domum, occidetur a latronibus. Quia ergo iam comedit salsa, necesse est eum occidi. Et ideo Aristoteles ad hoc excludendum ostendit utramque praedictarum propositionum esse falsam, ut dictum est.  Obiiciunt autem quidam contra hoc, dicentes quod omne per accidens reducitur ad aliquid per se, et ita oportet effectum qui est per accidens reduci in causam per se. Sed non attendunt quod id quod est per accidens reducitur ad per se, in quantum accidit ei quod est per se, sicut musicum accidit Socrati, et omne accidens alicui subiecto per se existenti. Et similiter omne quod in aliquo effectu est per accidens consideratur circa aliquem effectum per se: qui quantum ad id quod per se est habet causam per se, quantum autem ad id quod inest ei per accidens non habet causam per se, sed causam per accidens. Oportet enim effectum proportionaliter referre ad causam suam, ut in II physicorum et in V methaphysicae dicitur.  Quidam vero non attendentes differentiam effectuum per accidens et per se, tentaverunt reducere omnes effectus hic inferius provenientes in aliquam causam per se, quam ponebant esse virtutem caelestium corporum in qua ponebant fatum, dicentes nihil aliud esse fatum quam vim positionis syderum. Sed ex hac causa non potest provenire necessitas in omnibus quae hic aguntur. Multa enim hic fiunt ex intellectu et voluntate, quae per se et directe non subduntur virtuti caelestium corporum: cum enim intellectus sive ratio et voluntas quae est in ratione, non sint actus organi corporalis, ut probatur in libro de anima, impossibile est quod directe subdantur intellectus seu ratio et voluntas virtuti caelestium corporum: nulla enim vis corporalis potest agere per se, nisi in rem corpoream. Vires autem sensitivae in quantum sunt actus organorum corporalium per accidens subduntur actioni caelestium corporum. Unde philosophus in libro de anima opinionem ponentium voluntatem hominis subiici motui caeli adscribit his, qui non ponebant intellectum differre a sensu. Indirecte tamen vis caelestium corporum redundat ad intellectum et voluntatem, in quantum scilicet intellectus et voluntas utuntur viribus sensitivis. Manifestum autem est quod passiones virium sensitivarum non inferunt necessitatem rationi et voluntati. Nam continens habet pravas concupiscentias, sed non deducitur, ut patet per philosophum in VII Ethicorum. Sic igitur ex virtute caelestium corporum non provenit necessitas in his quae per rationem et voluntatem fiunt. Similiter nec in aliis corporalibus effectibus rerum corruptibilium, in quibus multa per accidens eveniunt. Id autem quod est per accidens non potest reduci ut in causam per se in aliquam virtutem naturalem, quia virtus naturae se habet ad unum; quod autem est per accidens non est unum; unde et supra dictum est quod haec enunciatio non est una, Socrates est albus musicus, quia non significat unum. Et ideo philosophus dicit in libro de somno et vigilia quod multa, quorum signa praeexistunt in corporibus caelestibus, puta in imbribus et tempestatibus, non eveniunt, quia scilicet impediuntur per accidens. Et quamvis illud etiam impedimentum secundum se consideratum reducatur in aliquam causam caelestem; tamen concursus horum, cum sit per accidens, non potest reduci in aliquam causam naturaliter agentem.  Sed considerandum est quod id quod est per accidens potest ab intellectu accipi ut unum, sicut album esse musicum, quod quamvis secundum se non sit unum, tamen intellectus ut unum accipit, in quantum scilicet componendo format enunciationem unam. Et secundum hoc contingit id, quod secundum se per accidens evenit et casualiter, reduci in aliquem intellectum praeordinantem; sicut concursus duorum servorum ad certum locum est per accidens et casualis quantum ad eos, cum unus eorum ignoret de alio; potest tamen esse per se intentus a domino, qui utrumque mittit ad hoc quod in certo loco sibi occurrant.  Et secundum hoc aliqui posuerunt omnia quaecumque in hoc mundo aguntur, etiam quae videntur fortuita vel casualia, reduci in ordinem providentiae divinae, ex qua dicebant dependere fatum. Et hoc quidem aliqui stulti negaverunt, iudicantes de intellectu divino ad modum intellectus nostri, qui singularia non cognoscit. Hoc autem est falsum: nam intelligere divinum et velle eius est ipsum esse ipsius. Unde sicut esse eius sua virtute comprehendit omne illud quod quocumque modo est, in quantum scilicet est per participationem ipsius; ita etiam suum intelligere et suum intelligibile comprehendit omnem cognitionem et omne cognoscibile; et suum velle et suum volitum comprehendit omnem appetitum et omne appetibile quod est bonum; ut, scilicet ex hoc ipso quod aliquid est cognoscibile cadat sub eius cognitione, et ex hoc ipso quod est bonum cadat sub eius voluntate: sicut ex hoc ipso quod est ens, aliquid cadit sub eius virtute activa, quam ipse perfecte comprehendit, cum sit per intellectum agens.   Sed si providentia divina sit per se causa omnium quae in hoc mundo accidunt, saltem bonorum, videtur quod omnia ex necessitate accidant. Primo quidem ex parte scientiae eius: non enim potest eius scientia falli; et ita ea quae ipse scit, videtur quod necesse sit evenire. Secundo ex parte voluntatis: voluntas enim Dei inefficax esse non potest; videtur ergo quod omnia quae vult, ex necessitate eveniant.  Procedunt autem hae obiectiones ex eo quod cognitio divini intellectus et operatio divinae voluntatis pensantur ad modum eorum, quae in nobis sunt, cum tamen multo dissimiliter se habeant.  Nam primo quidem ex parte cognitionis vel scientiae considerandum est quod ad cognoscendum ea quae secundum ordinem temporis eveniunt, aliter se habet vis cognoscitiva, quae sub ordine temporis aliqualiter continetur, aliter illa quae totaliter est extra ordinem temporis. Cuius exemplum conveniens accipi potest ex ordine loci: nam secundum philosophum in IV physicorum, secundum prius et posterius in magnitudine est prius et posterius in motu et per consequens in tempore. Si ergo sint multi homines per viam aliquam transeuntes, quilibet eorum qui sub ordine transeuntium continetur habet cognitionem de praecedentibus et subsequentibus, in quantum sunt praecedentes et subsequentes; quod pertinet ad ordinem loci. Et ideo quilibet eorum videt eos, qui iuxta se sunt et aliquos eorum qui eos praecedunt; eos autem qui post se sunt videre non potest. Si autem esset aliquis extra totum ordinem transeuntium, utpote in aliqua excelsa turri constitutus, unde posset totam viam videre, videret quidem simul omnes in via existentes, non sub ratione praecedentis et subsequentis (in comparatione scilicet ad eius intuitum), sed simul omnes videret, et quomodo unus eorum alium praecedit. Quia igitur cognitio nostra cadit sub ordine temporis, vel per se vel per accidens (unde et anima in componendo et dividendo necesse habet adiungere tempus, ut dicitur in III de anima), consequens est quod sub eius cognitione cadant res sub ratione praesentis, praeteriti et futuri. Et ideo praesentia cognoscit tanquam actu existentia et sensu aliqualiter perceptibilia; praeterita autem cognoscit ut memorata; futura autem non cognoscit in seipsis, quia nondum sunt, sed cognoscere ea potest in causis suis: per certitudinem quidem, si totaliter in causis suis sint determinata, ut ex quibus de necessitate evenient; per coniecturam autem, si non sint sic determinata quin impediri possint, sicut quae sunt ut in pluribus; nullo autem modo, si in suis causis sunt omnino in potentia non magis determinata ad unum quam ad aliud, sicut quae sunt ad utrumlibet. Non enim est aliquid cognoscibile secundum quod est in potentia, sed solum secundum quod est in actu, ut patet per philosophum in IX metaphysicae.  Sed Deus est omnino extra ordinem temporis, quasi in arce aeternitatis constitutus, quae est tota simul, cui subiacet totus temporis decursus secundum unum et simplicem eius intuitum; et ideo uno intuitu videt omnia quae aguntur secundum temporis decursum, et unumquodque secundum quod est in seipso existens, non quasi sibi futurum quantum ad eius intuitum prout est in solo ordine suarum causarum (quamvis et ipsum ordinem causarum videat), sed omnino aeternaliter sic videt unumquodque eorum quae sunt in quocumque tempore, sicut oculus humanus videt Socratem sedere in seipso, non in causa sua. Ex hoc autem quod homo videt Socratem sedere, non tollitur eius contingentia quae respicit ordinem causae ad effectum; tamen certissime et infallibiliter videt oculus hominis Socratem sedere dum sedet, quia unumquodque prout est in seipso iam determinatum est. Sic igitur relinquitur, quod Deus certissime et infallibiliter cognoscat omnia quae fiunt in tempore; et tamen ea quae in tempore eveniunt non sunt vel fiunt ex necessitate, sed contingenter.  Similiter ex parte voluntatis divinae differentia est attendenda. Nam voluntas divina est intelligenda ut extra ordinem entium existens, velut causa quaedam profundens totum ens et omnes eius differentias. Sunt autem differentiae entis possibile et necessarium; et ideo ex ipsa voluntate divina originantur necessitas et contingentia in rebus et distinctio utriusque secundum rationem proximarum causarum: ad effectus enim, quos voluit necessarios esse, disposuit causas necessarias; ad effectus autem, quos voluit esse contingentes, ordinavit causas contingenter agentes, idest potentes deficere. Et secundum harum conditionem causarum, effectus dicuntur vel necessarii vel contingentes, quamvis omnes dependeant a voluntate divina, sicut a prima causa, quae transcendit ordinem necessitatis et contingentiae. Hoc autem non potest dici de voluntate humana, nec de aliqua alia causa: quia omnis alia causa cadit iam sub ordine necessitatis vel contingentiae; et ideo oportet quod vel ipsa causa possit deficere, vel effectus eius non sit contingens, sed necessarius. Voluntas autem divina indeficiens est; tamen non omnes effectus eius sunt necessarii, sed quidam contingentes. Similiter autem aliam radicem contingentiae, quam hic philosophus ponit ex hoc quod sumus consiliativi, aliqui subvertere nituntur, volentes ostendere quod voluntas in eligendo ex necessitate movetur ab appetibili. Cum enim bonum sit obiectum voluntatis, non potest (ut videtur) ab hoc divertere quin appetat illud quod sibi videtur bonum; sicut nec ratio ab hoc potest divertere quin assentiat ei quod sibi videtur verum. Et ita videtur quod electio consilium consequens semper ex necessitate proveniat; et sic omnia, quorum nos principium sumus per consilium et electionem, ex necessitate provenient. Sed dicendum est quod similis differentia attendenda est circa bonum, sicut circa verum. Est autem quoddam verum, quod est per se notum, sicut prima principia indemonstrabilia, quibus ex necessitate intellectus assentit; sunt autem quaedam vera non per se nota, sed per alia. Horum autem duplex est conditio: quaedam enim ex necessitate consequuntur ex principiis, ita scilicet quod non possunt esse falsa, principiis existentibus veris, sicut sunt omnes conclusiones demonstrationum. Et huiusmodi veris ex necessitate assentit intellectus, postquam perceperit ordinem eorum ad principia, non autem prius. Quaedam autem sunt, quae non ex necessitate consequuntur ex principiis, ita scilicet quod possent esse falsa principiis existentibus veris; sicut sunt opinabilia, quibus non ex necessitate assentit intellectus, quamvis ex aliquo motivo magis inclinetur in unam partem quam in aliam. Ita etiam est quoddam bonum quod est propter se appetibile, sicut felicitas, quae habet rationem ultimi finis; et huiusmodi bono ex necessitate inhaeret voluntas: naturali enim quadam necessitate omnes appetunt esse felices. Quaedam vero sunt bona, quae sunt appetibilia propter finem, quae comparantur ad finem sicut conclusiones ad principium, ut patet per philosophum in II physicorum. Si igitur essent aliqua bona, quibus non existentibus, non posset aliquis esse felix, haec etiam essent ex necessitate appetibilia et maxime apud eum, qui talem ordinem perciperet; et forte talia sunt esse, vivere et intelligere et si qua alia sunt similia. Sed particularia bona, in quibus humani actus consistunt, non sunt talia, nec sub ea ratione apprehenduntur ut sine quibus felicitas esse non possit, puta, comedere hunc cibum vel illum, aut abstinere ab eo: habent tamen in se unde moveant appetitum, secundum aliquod bonum consideratum in eis. Et ideo voluntas non ex necessitate inducitur ad haec eligenda. Et propter hoc philosophus signanter radicem contingentiae in his quae fiunt a nobis assignavit ex parte consilii, quod est eorum quae sunt ad finem et tamen non sunt determinata. In his enim in quibus media sunt determinata, non est opus consilio, ut dicitur in III Ethicorum. Et haec quidem dicta sunt ad salvandum radices contingentiae, quas hic Aristoteles ponit, quamvis videantur logici negotii modum excedere. Postquam philosophus ostendit esse impossibilia ea, quae ex praedictis rationibus sequebantur; hic, remotis impossibilibus, concludit veritatem. Et circa hoc duo facit: quia enim argumentando ad impossibile, processerat ab enunciationibus ad res, et iam removerat inconvenientia quae circa res sequebantur; nunc, ordine converso, primo ostendit qualiter se habeat veritas circa res; secundo, qualiter se habeat veritas circa enunciationes; ibi: quare quoniam orationes verae sunt et cetera. Circa primum duo facit: primo, ostendit qualiter se habeant veritas et necessitas circa res absolute consideratas; secundo, qualiter se habeant circa eas per comparationem ad sua opposita; ibi: et in contradictione eadem ratio est et cetera.  Dicit ergo primo, quasi ex praemissis concludens, quod si praedicta sunt inconvenientia, ut scilicet omnia ex necessitate eveniant, oportet dicere ita se habere circa res, scilicet quod omne quod est necesse est esse quando est, et omne quod non est necesse est non esse quando non est. Et haec necessitas fundatur super hoc principium: impossibile est simul esse et non esse: si enim aliquid est, impossibile est illud simul non esse; ergo necesse est tunc illud esse. Nam impossibile non esse idem significat ei quod est necesse esse, ut in secundo dicetur. Et similiter, si aliquid non est, impossibile est illud simul esse; ergo necesse est non esse, quia etiam idem significant. Et ideo manifeste verum est quod omne quod est necesse est esse quando est; et omne quod non est necesse est non esse pro illo tempore quando non est: et haec est necessitas non absoluta, sed ex suppositione. Unde non potest simpliciter et absolute dici quod omne quod est, necesse est esse, et omne quod non est, necesse est non esse: quia non idem significant quod omne ens, quando est, sit ex necessitate, et quod omne ens simpliciter sit ex necessitate; nam primum significat necessitatem ex suppositione, secundum autem necessitatem absolutam. Et quod dictum est de esse, intelligendum est similiter de non esse; quia aliud est simpliciter ex necessitate non esse et aliud est ex necessitate non esse quando non est. Et per hoc videtur Aristoteles excludere id quod supra dictum est, quod si in his, quae sunt, alterum determinate est verum, quod etiam antequam fieret alterum determinate esset futurum.  Deinde cum dicit: et in contradictione etc., ostendit quomodo se habeant veritas et necessitas circa res per comparationem ad sua opposita: et dicit quod eadem ratio est in contradictione, quae est in suppositione. Sicut enim illud quod non est absolute necessarium, fit necessarium ex suppositione eiusdem, quia necesse est esse quando est; ita etiam quod non est in se necessarium absolute fit necessarium per disiunctionem oppositi, quia necesse est de unoquoque quod sit vel non sit, et quod futurum sit aut non sit, et hoc sub disiunctione: et haec necessitas fundatur super hoc principium quod, impossibile est contradictoria simul esse vera vel falsa. Unde impossibile est neque esse neque non esse; ergo necesse est vel esse vel non esse. Non tamen si divisim alterum accipiatur, necesse est illud esse absolute. Et hoc manifestat per exemplum: quia necessarium est navale bellum esse futurum cras vel non esse; sed non est necesse navale bellum futurum esse cras; similiter etiam non est necessarium non esse futurum, quia hoc pertinet ad necessitatem absolutam; sed necesse est quod vel sit futurum cras vel non sit futurum: hoc enim pertinet ad necessitatem quae est sub disiunctione.  Deinde cum dicit: quare quoniam etc. ex eo quod se habet circa res, ostendit qualiter se habeat circa orationes. Et primo, ostendit quomodo uniformiter se habet in veritate orationum, sicut circa esse rerum et non esse; secundo, finaliter concludit veritatem totius dubitationis; ibi: quare manifestum et cetera. Dicit ergo primo quod, quia hoc modo se habent orationes enunciativae ad veritatem sicut et res ad esse vel non esse (quia ex eo quod res est vel non est, oratio est vera vel falsa), consequens est quod in omnibus rebus quae ita se habent ut sint ad utrumlibet, et quaecumque ita se habent quod contradictoria eorum qualitercumque contingere possunt, sive aequaliter sive alterum ut in pluribus, ex necessitate sequitur quod etiam similiter se habeat contradictio enunciationum. Et exponit consequenter quae sint illae res, quarum contradictoria contingere queant; et dicit huiusmodi esse quae neque semper sunt, sicut necessaria, neque semper non sunt, sicut impossibilia, sed quandoque sunt et quandoque non sunt. Et ulterius manifestat quomodo similiter se habeat in contradictoriis enunciationibus; et dicit quod harum enunciationum, quae sunt de contingentibus, necesse est quod sub disiunctione altera pars contradictionis sit vera vel falsa; non tamen haec vel illa determinate, sed se habet ad utrumlibet. Et si contingat quod altera pars contradictionis magis sit vera, sicut accidit in contingentibus quae sunt ut in pluribus, non tamen ex hoc necesse est quod ex necessitate altera earum determinate sit vera vel falsa.  Deinde cum dicit: quare manifestum est etc., concludit principale intentum et dicit manifestum esse ex praedictis quod non est necesse in omni genere affirmationum et negationum oppositarum, alteram determinate esse veram et alteram esse falsam: quia non eodem modo se habet veritas et falsitas in his quae sunt iam de praesenti et in his quae non sunt, sed possunt esse vel non esse. Sed hoc modo se habet in utriusque, sicut dictum est, quia scilicet in his quae sunt necesse est determinate alterum esse verum et alterum falsum: quod non contingit in futuris quae possunt esse et non esse. Et sic terminatur primus liber. Postquam philosophus in primo libro determinavit de enunciatione simpliciter considerata; hic determinat de enunciatione, secundum quod diversificatur per aliquid sibi additum. Possunt autem tria in enunciatione considerari: primo, ipsae dictiones, quae praedicantur vel subiiciuntur in enunciatione, quas supra distinxit per nomina et verba; secundo, ipsa compositio, secundum quam est verum vel falsum in enunciatione affirmativa vel negativa; tertio, ipsa oppositio unius enunciationis ad aliam. Dividitur ergo haec pars in tres partes: in prima, ostendit quid accidat enunciationi ex hoc quod aliquid additur ad dictiones in subiecto vel praedicato positas; secundo, quid accidat enunciationi ex hoc quod aliquid additur ad determinandum veritatem vel falsitatem compositionis; ibi: his vero determinatis etc.; tertio, solvit quamdam dubitationem circa oppositiones enunciationum provenientem ex eo, quod additur aliquid simplici enunciationi; ibi: utrum autem contraria est affirmatio et cetera. Est autem considerandum quod additio facta ad praedicatum vel subiectum quandoque tollit unitatem enunciationis, quandoque vero non tollit, sicut additio negationis infinitantis dictionem. Circa primum ergo duo facit: primo, ostendit quid accidat enunciationibus ex additione negationis infinitantis dictionem; secundo, ostendit quid accidat circa enunciationem ex additione tollente unitatem; ibi: at vero unum de pluribus et cetera. Circa primum duo facit: primo, determinat de enunciationibus simplicissimis, in quibus nomen finitum vel infinitum ponitur tantum ex parte subiecti; secundo, determinat de enunciationibus, in quibus nomen finitum vel infinitum ponitur non solum ex parte subiecti, sed etiam ex parte praedicati; ibi: quando autem est tertium adiacens et cetera. Circa primum duo facit: primo, proponit rationes quasdam distinguendi tales enunciationes; secundo, ponit earum distinctionem et ordinem; ibi: quare prima est affirmatio et cetera. Circa primum duo facit: primo, ponit rationes distinguendi enunciationes ex parte nominum; secundo, ostendit quod non potest esse eadem ratio distinguendi ex parte verborum; ibi: praeter verbum autem et cetera. Circa primum tria facit: primo, proponit rationes distinguendi enunciationes; secundo, exponit quod dixerat; ibi: nomen autem dictum est etc.; tertio, concludit intentum; ibi: erit omnis affirmatio et cetera.  Resumit ergo illud, quod supra dictum est de definitione affirmationis, quod scilicet affirmatio est enunciatio significans aliquid de aliquo; et, quia verbum est proprie nota eorum quae de altero praedicantur, consequens est ut illud, de quo aliquid dicitur, pertineat ad nomen; nomen autem est vel finitum vel infinitum; et ideo, quasi concludens subdit quod quia affirmatio significat aliquid de aliquo, consequens est ut hoc, de quo significatur, scilicet subiectum affirmationis, sit vel nomen, scilicet finitum (quod proprie dicitur nomen, ut in primo dictum est), vel innominatum, idest infinitum nomen: quod dicitur innominatum, quia ipsum non nominat aliquid cum aliqua forma determinata, sed solum removet determinationem formae. Et ne aliquis diceret quod id quod in affirmatione subiicitur est simul nomen et innominatum, ad hoc excludendum subdit quod id quod est, scilicet praedicatum, in affirmatione, scilicet una, de qua nunc loquimur, oportet esse unum et de uno subiecto; et sic oportet quod subiectum talis affirmationis sit vel nomen, vel nomen infinitum.  Deinde cum dicit: nomen autem etc., exponit quod dixerat, et dicit quod supra dictum est quid sit nomen, et quid sit innominatum, idest infinitum nomen: quia, non homo, non est nomen, sed est infinitum nomen, sicut, non currit, non est verbum, sed infinitum verbum. Interponit autem quoddam, quod valet ad dubitationis remotionem, videlicet quod nomen infinitum quodam modo significat unum. Non enim significat simpliciter unum, sicut nomen finitum, quod significat unam formam generis vel speciei aut etiam individui, sed in quantum significat negationem formae alicuius, in qua negatione multa conveniunt, sicut in quodam uno secundum rationem. Unum enim eodem modo dicitur aliquid, sicut et ens; unde sicut ipsum non ens dicitur ens, non quidem simpliciter, sed secundum quid, idest secundum rationem, ut patet in IV metaphysicae, ita etiam negatio est unum secundum quid, scilicet secundum rationem. Introducit autem hoc, ne aliquis dicat quod affirmatio, in qua subiicitur nomen infinitum, non significet unum de uno, quasi nomen infinitum non significet unum.  Deinde cum dicit: erit omnis affirmatio etc., concludit propositum scilicet quod duplex est modus affirmationis. Quaedam enim est affirmatio, quae constat ex nomine et verbo; quaedam autem est quae constat ex infinito nomine et verbo. Et hoc sequitur ex hoc quod supra dictum est quod hoc, de quo affirmatio aliquid significat, vel est nomen vel innominatum. Et eadem differentia potest accipi ex parte negationis, quia de quocunque contingit affirmare, contingit et negare, ut in primo habitum est.  Deinde cum dicit: praeter verbum etc., ostendit quod differentia enunciationum non potest sumi ex parte verbi. Dictum est enim supra quod, praeter verbum nulla est affirmatio vel negatio. Potest enim praeter nomen esse aliqua affirmatio vel negatio, videlicet si ponatur loco nominis infinitum nomen: loco autem verbi in enunciatione non potest poni infinitum verbum, duplici ratione. Primo quidem, quia infinitum verbum constituitur per additionem infinitae particulae, quae quidem addita verbo per se dicto, idest extra enunciationem posito, removet ipsum absolute, sicut addita nomini, removet formam nominis absolute: et ideo extra enunciationem potest accipi verbum infinitum per modum unius dictionis, sicut et nomen infinitum. Sed quando negatio additur verbo in enunciatione posito, negatio illa removet verbum ab aliquo, et sic facit enunciationem negativam: quod non accidit ex parte nominis. Non enim enunciatio efficitur negativa nisi per hoc quod negatur compositio, quae importatur in verbo: et ideo verbum infinitum in enunciatione positum fit verbum negativum. Secundo, quia in nullo variatur veritas enunciationis, sive utamur negativa particula ut infinitante verbum vel ut faciente negativam enunciationem; et ideo accipitur semper in simpliciori intellectu, prout est magis in promptu. Et inde est quod non diversificavit affirmationem per hoc, quod sit ex verbo vel infinito verbo, sicut diversificavit per hoc, quod est ex nomine vel infinito nomine. Est autem considerandum quod in nominibus et in verbis praeter differentiam finiti et infiniti est differentia recti et obliqui. Casus enim nominum, etiam verbo addito, non constituunt enunciationem significantem verum vel falsum, ut in primo habitum est: quia in obliquo nomine non concluditur ipse rectus, sed in casibus verbi includitur ipsum verbum praesentis temporis. Praeteritum enim et futurum, quae significant casus verbi, dicuntur per respectum ad praesens. Unde si dicatur, hoc erit, idem est ac si diceretur, hoc est futurum; hoc fuit, hoc est praeteritum. Et propter hoc, ex casu verbi et nomine fit enunciatio. Et ideo subiungit quod sive dicatur est, sive erit, sive fuit, vel quaecumque alia huiusmodi verba, sunt de numero praedictorum verborum, sine quibus non potest fieri enunciatio: quia omnia consignificant tempus, et alia tempora dicuntur per respectum ad praesens.  Deinde cum dicit: quare prima erit affirmatio etc., concludit ex praemissis distinctionem enunciationum in quibus nomen finitum vel infinitum ponitur solum ex parte subiecti, in quibus triplex differentia intelligi potest: una quidem, secundum affirmationem et negationem; alia, secundum subiectum finitum et infinitum; tertia, secundum subiectum universaliter, vel non universaliter positum. Nomen autem finitum est ratione prius infinito sicut affirmatio prior est negatione; unde primam affirmationem ponit, homo est, et primam negationem, homo non est. Deinde ponit secundam affirmationem, non homo est, secundam autem negationem, non homo non est. Ulterius autem ponit illas enunciationes in quibus subiectum universaliter ponitur, quae sunt quatuor, sicut et illae in quibus est subiectum non universaliter positum. Praetermisit autem ponere exemplum de enunciationibus, in quibus subiicitur singulare, ut, Socrates est, Socrates non est, quia singularibus nominibus non additur aliquod signum. Unde in huiusmodi enunciationibus non potest omnis differentia inveniri. Similiter etiam praetermittit exemplificare de enunciationibus, quarum subiecta particulariter ponuntur, quia tale subiectum quodammodo eamdem vim habet cum subiecto universali, non universaliter sumpto. Non ponit autem aliquam differentiam ex parte verbi, quae posset sumi secundum casus verbi, quia sicut ipse dicit, in extrinsecis temporibus, idest in praeterito et in futuro, quae circumstant praesens, est eadem ratio sicut et in praesenti, ut iam dictum est. Postquam philosophus distinxit enunciationes, in quibus nomen finitum vel infinitum ponitur solum ex parte subiecti, hic accedit ad distinguendum illas enunciationes, in quibus nomen finitum vel infinitum ponitur ex parte subiecti et ex parte praedicati. Et circa hoc duo facit; primo, distinguit huiusmodi enunciationes; secundo, manifestat quaedam quae circa eas dubia esse possent; ibi: quoniam vero contraria est et cetera. Circa primum duo facit: primo, agit de enunciationibus in quibus nomen praedicatur cum hoc verbo, est; secundo de enunciationibus in quibus alia verba ponuntur; ibi: in his vero in quibus et cetera. Distinguit autem huiusmodi enunciationes sicut et primas, secundum triplicem differentiam ex parte subiecti consideratam: primo namque, agit de enunciationibus in quibus subiicitur nomen finitum non universaliter sumptum; secundo de illis in quibus subiicitur nomen finitum universaliter sumptum; ibi: similiter autem se habent etc.; tertio, de illis in quibus subiicitur nomen infinitum; ibi: aliae autem habent ad id quod est non homo et cetera. Circa primum tria facit: primo, proponit diversitatem oppositionis talium enunciationum; secundo, concludit earum numerum et ponit earum habitudinem; ibi: quare quatuor etc.; tertio, exemplificat; ibi: intelligimus vero et cetera. Circa primum duo facit: primo, proponit quod intendit; secundo, exponit quoddam quod dixerat; ibi: dico autem et cetera. Circa primum duo oportet intelligere: primo quidem, quid est hoc quod dicit, est tertium adiacens praedicatur. Ad cuius evidentiam considerandum est quod hoc verbum est quandoque in enunciatione praedicatur secundum se; ut cum dicitur, Socrates est: per quod nihil aliud intendimus significare, quam quod Socrates sit in rerum natura. Quandoque vero non praedicatur per se, quasi principale praedicatum, sed quasi coniunctum principali praedicato ad connectendum ipsum subiecto; sicut cum dicitur, Socrates est albus, non est intentio loquentis ut asserat Socratem esse in rerum natura, sed ut attribuat ei albedinem mediante hoc verbo, est; et ideo in talibus, est, praedicatur ut adiacens principali praedicato. Et dicitur esse tertium, non quia sit tertium praedicatum, sed quia est tertia dictio posita in enunciatione, quae simul cum nomine praedicato facit unum praedicatum, ut sic enunciatio dividatur in duas partes et non in tres.  Secundo, considerandum est quid est hoc, quod dicit quod quando est, eo modo quo dictum est, tertium adiacens praedicatur, dupliciter dicuntur oppositiones. Circa quod considerandum est quod in praemissis enunciationibus, in quibus nomen ponebatur solum ex parte subiecti, secundum quodlibet subiectum erat una oppositio; puta si subiectum erat nomen finitum non universaliter sumptum, erat sola una oppositio, scilicet est homo, non est homo. Sed quando est tertium adiacens praedicatur, oportet esse duas oppositiones eodem subiecto existente secundum differentiam nominis praedicati, quod potest esse finitum vel infinitum; sicut haec est una oppositio, homo est iustus, homo non est iustus: alia vero oppositio est, homo est non iustus, homo non est non iustus. Non enim negatio fit nisi per appositionem negativae particulae ad hoc verbum est, quod est nota praedicationis.  Deinde cum dicit: dico autem, ut est iustus etc., exponit quod dixerat, est tertium adiacens, et dicit quod cum dicitur, homo est iustus, hoc verbum est, adiacet, scilicet praedicato, tamquam tertium nomen vel verbum in affirmatione. Potest enim ipsum est, dici nomen, prout quaelibet dictio nomen dicitur, et sic est tertium nomen, idest tertia dictio. Sed quia secundum communem usum loquendi, dictio significans tempus magis dicitur verbum quam nomen, propter hoc addit, vel verbum, quasi dicat, ad hoc quod sit tertium, non refert utrum dicatur nomen vel verbum.  Deinde cum dicit: quare quatuor erunt etc., concludit numerum enunciationum. Et primo, ponit conclusionem numeri; secundo, ponit earum habitudinem; ibi: quarum duae quidem etc.; tertio, rationem numeri explicat; ibi: dico autem quoniam est et cetera. Dicit ergo primo quod quia duae sunt oppositiones, quando est tertium adiacens praedicatur, cum omnis oppositio sit inter duas enunciationes, consequens est quod sint quatuor enunciationes illae in quibus est, tertium adiacens, praedicatur, subiecto finito non universaliter sumpto. Deinde cum dicit: quarum duae quidem etc., ostendit habitudinem praedictarum enunciationum ad invicem; et dicit quod duae dictarum enunciationum se habent ad affirmationem et negationem secundum consequentiam, sive secundum correlationem, aut analogiam, ut in Graeco habetur, sicut privationes; aliae vero duae minime. Quod quia breviter et obscure dictum est, diversimode a diversis expositum est.  Ad cuius evidentiam considerandum est quod tripliciter nomen potest praedicari in huiusmodi enunciationibus. Quandoque enim praedicatur nomen finitum, secundum quod assumuntur duae enunciationes, una affirmativa et altera negativa, scilicet homo est iustus, et homo non est iustus; quae dicuntur simplices. Quandoque vero praedicatur nomen infinitum, secundum quod etiam assumuntur duae aliae, scilicet homo est non iustus, homo non est non iustus; quae dicuntur infinitae. Quandoque vero praedicatur nomen privativum, secundum quod etiam sumuntur duae aliae, scilicet homo est iniustus, homo non est iniustus; quae dicuntur privativae. Quidam ergo sic exposuerunt, quod duae enunciationes earum, quas praemiserat scilicet illae, quae sunt de infinito praedicato, se habent ad affirmationem et negationem, quae sunt de praedicato finito secundum consequentiam vel analogiam, sicut privationes, idest sicut illae, quae sunt de praedicato privativo. Illae enim duae, quae sunt de praedicato infinito, se habent secundum consequentiam ad illas, quae sunt de finito praedicato secundum transpositionem quandam, scilicet affirmatio ad negationem et negatio ad affirmationem. Nam homo est non iustus, quae est affirmatio de infinito praedicato, respondet secundum consequentiam negativae de praedicato finito, huic scilicet homo non est iustus. Negativa vero de infinito praedicato, scilicet homo non est non iustus, affirmativae de finito praedicato, huic scilicet homo est iustus. Propter quod Theophrastus vocabat eas, quae sunt de infinito praedicato, transpositas. Et similiter etiam affirmativa de privativo praedicato respondet secundum consequentiam negativae de finito praedicato, scilicet haec, homo est iniustus, ei quae est, homo non est iustus. Negativa vero affirmativae, scilicet haec, homo non est iniustus, ei quae est, homo est iustus. Disponatur ergo in figura. Et in prima quidem linea ponantur illae, quae sunt de finito praedicato, scilicet homo est iustus, homo non est iustus. In secunda autem linea, negativa de infinito praedicato sub affirmativa de finito et affirmativa sub negativa. In tertia vero, negativa de privativo praedicato similiter sub affirmativa de finito et affirmativa sub negativa: ut patet in subscripta figura.Sic ergo duae, scilicet quae sunt de infinito praedicato, se habent ad affirmationem et negationem de finito praedicato, sicut privationes, idest sicut illae quae sunt de privativo praedicato. Sed duae aliae quae sunt de infinito subiecto, scilicet non homo est iustus, non homo non est iustus, manifestum est quod non habent similem consequentiam. Et hoc modo exposuit herminus hoc quod dicitur, duae vero, minime, referens hoc ad illas quae sunt de infinito subiecto. Sed hoc manifeste est contra litteram. Nam cum praemisisset quatuor enunciationes, duas scilicet de finito praedicato et duas de infinito, subiungit quasi illas subdividens, quarum duae quidem et cetera. Duae vero, minime; ubi datur intelligi quod utraeque duae intelligantur in praemissis. Illae autem quae sunt de infinito subiecto non includuntur in praemissis, sed de his postea dicetur. Unde manifestum est quod de eis nunc non loquitur.  Et ideo, ut Ammonius dicit, alii aliter exposuerunt, dicentes quod praedictarum quatuor propositionum duae, scilicet quae sunt de infinito praedicato, sic se habent ad affirmationem et negationem, idest ad ipsam speciem affirmationis et negationis, ut privationes, idest ut privativae affirmationes seu negationes. Haec enim affirmatio, homo est non iustus, non est simpliciter affirmatio, sed secundum quid, quasi secundum privationem affirmatio; sicut homo mortuus non est homo simpliciter, sed secundum privationem; et idem dicendum est de negativa, quae est de infinito praedicato. Duae vero, quae sunt de finito praedicato, non se habent ad speciem affirmationis et negationis secundum privationem, sed simpliciter. Haec enim, homo est iustus, est simpliciter affirmativa, et haec, homo non est iustus, est simpliciter negativa. Sed nec hic sensus convenit verbis Aristotelis. Dicit enim infra: haec igitur quemadmodum in resolutoriis dictum est, sic sunt disposita; ubi nihil invenitur ad hunc sensum pertinens. Et ideo Ammonius ex his, quae in fine I priorum dicuntur de propositionibus, quae sunt de finito vel infinito vel privativo praedicato, alium sensum accipit.  [Ad cuius evidentiam considerandum est quod, sicut ipse dicit, enunciatio aliqua virtute se habet ad illud, de quo totum id quod in enunciatione significatur vere praedicari potest: sicut haec enunciatio, homo est iustus, se habet ad omnia illa, de quorum quolibet vere potest dici quod est homo iustus; et similiter haec enunciatio, homo non est iustus, se habet ad omnia illa, de quorum quolibet vere dici potest quod non est homo iustus. Secundum ergo hunc modum loquendi, manifestum est quod simplex negativa in plus est quam affirmativa infinita, quae ei correspondet. Nam, quod sit homo non iustus, vere potest dici de quolibet homine, qui non habet habitum iustitiae; sed quod non sit homo iustus, potest dici non solum de homine non habente habitum iustitiae, sed etiam de eo qui penitus non est homo: haec enim est vera, lignum non est homo iustus; tamen haec est falsa, lignum est homo non iustus. Et ita negativa simplex est in plus quam affirmativa infinita; sicut etiam animal est in plus quam homo, quia de pluribus verificatur. Simili etiam ratione, negativa simplex est in plus quam affirmativa privativa: quia de eo quod non est homo non potest dici quod sit homo iniustus. Sed affirmativa infinita est in plus quam affirmativa privativa: potest enim dici de puero et de quocumque homine nondum habente habitum virtutis aut vitii quod sit homo non iustus, non tamen de aliquo eorum vere dici potest quod sit homo iniustus. Affirmativa vero simplex in minus est quam negativa infinita: quia quod non sit homo non iustus potest dici non solum de homine iusto, sed etiam de eo quod penitus non est homo. Similiter etiam negativa privativa in plus est quam negativa infinita. Nam, quod non sit homo iniustus, potest dici non solum de homine habente habitum iustitiae, sed de eo quod penitus non est homo, de quorum quolibet potest dici quod non sit homo non iustus: sed ulterius potest dici de omnibus hominibus, qui nec habent habitum iustitiae neque habent habitum iniustitiae.  His igitur visis, facile est exponere praesentem litteram hoc modo. Quarum, scilicet quatuor enunciationum praedictarum, duae quidem, scilicet infinitae, se habebunt ad affirmationem et negationem, idest ad duas simplices, quarum una est affirmativa et altera negativa, secundum consequentiam, idest in modo consequendi ad eas, ut privationes, idest sicut duae privativae: quia scilicet, sicut ad simplicem affirmativam sequitur negativa infinita, et non convertitur (eo quod negativa infinita est in plus), ita etiam ad simplicem affirmativam sequitur negativa privativa, quae est in plus, et non convertitur. Sed sicut simplex negativa sequitur ad infinitam affirmativam; quae est in minus, et non convertitur; ita etiam negativa simplex sequitur ad privativam affirmativam, quae est in minus, et non convertitur. Ex quo patet quod eadem est habitudo in consequendo infinitarum ad simplices quae est etiam privativarum.  Sequitur, duae autem, scilicet simplices, quae relinquuntur, remotis duabus, scilicet infinitis, a quatuor praemissis, minime, idest non ita se habent ad infinitas in consequendo, sicut privativae se habent ad eas; quia videlicet, ex una parte simplex affirmativa est in minus quam negativa infinita, sed negativa privativa est in plus quam negativa infinita: ex alia vero parte, negativa simplex est in plus quam affirmativa infinita, sed affirmativa privativa est in minus quam infinita affirmativa. Sic ergo patet quod simplices non ita se habent ad infinitas in consequendo, sicut privativae se habent ad infinitas.  Quamvis autem secundum hoc littera philosophi subtiliter exponatur, tamen videtur esse aliquantulum expositio extorta. Nam littera philosophi videtur sonare diversas habitudines non esse attendendas respectu diversorum; sicut in praedicta expositione primo accipitur similitudo habitudinis ad simplices, et postea dissimilitudo habitudinis respectu infinitarum. Et ideo simplicior et magis conveniens litterae Aristotelis est expositio Porphyrii quam Boethius ponit; secundum quam expositionem attenditur similitudo et dissimilitudo secundum consequentiam affirmativarum ad negativas. Unde dicit: quarum, scilicet quatuor praemissarum, duae quidem, scilicet affirmativae, quarum una est simplex et alia infinita, se habebunt secundum consequentiam ad affirmationem et negationem; ut scilicet ad unam affirmativam sequatur alterius negativa. Nam ad affirmativam simplicem sequitur negativa infinita; et ad affirmativam infinitam sequitur negativa simplex. Duae vero, scilicet negativae, minime, idest non ita se habent ad affirmativas, ut scilicet ex negativis sequantur affirmativae, sicut ex affirmativis sequebantur negativae. Et quantum ad utrumque similiter se habent privativae sicut infinitae.  Deinde cum dicit: dico autem quoniam etc., manifestat quoddam quod supra dixerat, scilicet quod sint quatuor praedictae enunciationes: loquimur enim nunc de enunciationibus, in quibus hoc verbum est solum praedicatur secundum quod est adiacens alicui nomini finito vel infinito: puta secundum quod adiacet iusto; ut cum dicitur, homo est iustus, vel secundum quod adiacet non iusto; ut cum dicitur, homo est non iustus. Et quia in neutra harum negatio apponitur ad verbum, consequens est quod utraque sit affirmativa. Omni autem affirmationi opponitur negatio, ut supra in primo ostensum est. Relinquitur ergo quod praedictis duabus enunciationibus affirmativis respondet duae aliae negativae. Et sic consequens est quod sint quatuor simplices enunciationes. Deinde cum dicit: intelligimus vero etc., manifestat quod supra dictum est per quandam figuralem descriptionem. Dicit enim quod id, quod in supradictis dictum est, intelligi potest ex sequenti subscriptione. Sit enim quaedam quadrata figura, in cuius uno angulo describatur haec enunciatio, homo est iustus, et ex opposito describatur eius negatio quae est, homo non est iustus; sub quibus scribantur duae aliae infinitae, scilicet homo est non iustus, homo non est non iustus. In qua descriptione apparet quod hoc verbum est, affirmativum vel negativum, adiacet iusto et non iusto. Et secundum hoc diversificantur quatuor enunciationes.  Ultimo autem concludit quod praedictae enunciationes disponuntur secundum ordinem consequentiae, prout dictum est in resolutoriis, idest in I priorum. Alia littera habet: dico autem, quoniam est aut homini aut non homini adiacebit, et in figura, est, hoc loco homini et non homini adiacebit. Quod quidem non est intelligendum, ut homo, et non homo accipiatur ex parte subiecti, non enim nunc agitur de enunciationibus quae sunt de infinito subiecto. Unde oportet quod homo et non homo accipiantur ex parte praedicati. Sed quia philosophus exemplificat de enunciationibus in quibus ex parte praedicati ponitur iustum et non iustum, visum est Alexandro, quod praedicta littera sit corrupta. Quibusdam aliis videtur quod possit sustineri et quod signanter Aristoteles nomina in exemplis variaverit, ut ostenderet quod non differt in quibuscunque nominibus ponantur exempla. Pietro Caramello. Keywords: interpretare, peryermeneias Aquino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Caramello” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51777304810/in/dateposted-public/

 

Grice e Carando – l’implicatura di Socrate – filosofia italiana – Luigi  Speranza (Pettinengo). Filosofo. Grice: “I like Carando; a typical Italian philosopher, got his ‘laurea,’ and attends literary salons! – There is a street named after him – whereas at Oxford the most we have is a “Logic lane!” --  Ennio Carando (Pettinengo), filosofo. Studia a Torino. Si avvicina all'anti-fascismo attraverso l'influenza di Juvalta (con cui discusse la tesi di laurea) e di Martinetti. Collaborò alla Rivista di filosofia di Martinetti, dove pubblicò un saggio su Spir. Insegna a Cuneo, Modena, Savona, La Spezia. Sebbene fosse quasi completamente cieco dopo l'armistizio si diede ad organizzare formazioni partigiane in Liguria e in Piemonte (fu anche presidente del secondo CLN spezzino). Era ispettore del Raggruppamento Divisioni Garibaldi nel Cuneese, quando fu catturato in seguito ad una delazione.  Sottoposto a torture atroci, non tradì i compagni di lotta e fu trucidato con il fratello Ettore, capitano di artiglieria a cavallo in servizio permanente effetivo e capo di stato maggiore della I Divisione Garibaldi. Un filosofo socratico. La metafisica civile di un filosofo socratico. Partigiano. Dopo l'armistizio Ennio Carando, che insegnava a La Spezia presso il Liceo Classico Costa, entrò attivamente nella lotta di liberazione organizzando formazioni partigiane in Liguria e in Piemonte. A chi gli chiedeva di non avventurarsi in quella decisione così pericolosa rispondeva fermamente: "Molti dei miei allievi sono caduti: un giorno i loro genitori potrebbero rimproverarmi di non aver avuto il loro stesso coraggio". Ennio Carando. Keywords: l’implicatura di Socrate, filosofo socratico, Socrate, Alcibiade. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carando” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51776655823/in/dateposted-public/

 

Grice e Carapelle – linguaggio e metafilosofia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Carcano; I cannot say he is an ultra-original philosopher, but I may – My favourite is actually a tract on him, on ‘meta-philosophy,’ or rather ‘language and metaphilosophy,’ which is what I’m all about! How philosophers misuse ‘believe,’ say – but Carcano has also philosophised on issues that seem very strange to Italians, like ‘logica e analisi,’ ‘semantica’ and ‘filosofia del linguaggio’ – brilliantly!” Quarto Duca di Montaltino, Nobile dei Marchesi di Carapelle. Noto per i suoi studi di fenomenologia, semantica, filosofia del linguaggio e più in generale di filosofia analitica. Studia a Napoli, durante i quali si formò alla scuola di Aliotta e si dedica allo studio delle scienze. Studia a Napoli e Roma. Sulla scia teoretica del suo tutore volle approfondire le problematiche poste dalla filosofia e riesaminare attentamente il linguaggio in uso. La sua tesi centrale è che correnti come il pragmatismo, il positivismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo e la psicoanalisi, fossero il portato dell'esigenza teoretica di una maggiore chiarezza – la chiarezza non e sufficiente -- delle varie questioni che emergevano da una crisi culturale, vitale ed esistenziale. Al centro di tale crisi giganteggia la polemica fra senza senso metafisico e senso anti-metafisica, soprattutto a causa del vigore critico del positivismo logico, contro il quale a sua volta lui -- che ritiene necessaria una sostanziale alleanza o quantomeno un aperto dialogo fra la metafisica e la scienza -- pone diversi rilievi critici, principale dei quali è quello di minare alla base l'unità dell'esperienza, alla Oakeshott -- che senza una cornice o una struttura metafisica in cui inserirsi rimarrebbe indefinitamente frammentata in percezioni fra loro irrelate. A questo inconveniente si può rimediare temperando il positivismo con lo sperimentalismo, ovvero accompagnando alla piena accettazione del metodo una piena apertura all’esperienza così come “esperienza” è stata intesa, ad esempio, nella fenomenologia intenzionalista intersoggetiva di Husserl. In questo senso si può procedere a mantenere una costante tensione sui problemi posti dalla filosofia, in opposizione a ogni dogma di sistema, e al contempo non cadere nell'angoscia a cui conduce lo scetticismo radicale che tutto rifiuta, compresa l'esperienza. Non si tratterebbe dunque per la filosofia di definire verità immutabili ma di sincronizzarsi col ritmo del metodo basato sull’esperienza fenomenologico, sussumendo i risultati sperimentali e integrandoli nel continuum di una struttura metafisica mediante il ponte dell'esperienza. Altre opere: “Filosofia e civiltà” (Perrella, Roma); Filosofia (Soc. Ed. del Foro Italiano, Roma); Il problema filosofico. Fratelli Bocca, Roma); La semantica, Fratelli Bocca, Roma – cf. Grice, “Semantics and Metaphysics”) Metodologia filosofica, una rivoluzione filosofica minore. Libreria scientifica editrice, Napoli 1958. Esistenza ed alienazione” (CEDAM, Padova); Scienza unificata, Unita della scienza (Sansoni, Firenze); Analisi e forma logica (CEDAM, Padova); Il concetto di informativita, CEDAM, Padova); La filosofia linguistica, Bulzoni Editore, Roma. Dizionario biografico degli italiani, Roma. Ben altrimenti articolato e puntuale ci sembra l'intervento operato sulla fenomenologia da Paolo Filiasi Carcano di Montaltino de Carapelle, quarto duca di Montaltino, ed allievo di Aliotta a Na­poli e pur fedele estensore delle sue teorie, sulle quali, per questo mo­ tivo, ci siamo nell'ultima parte dilungati sorvolando sullo scarso ruolo t-he gioca in esse l'opera di Husserl. L'iter formativo di Filiasi Carcano (1911-1977) interseca situazioni ed esperienze riscontrabili, come ve­ dremo, anche in altri giovani filosofi della stessa generazione. Di più, nel .suo caso, c'è una singolare — e probabilmente indotta — analogia con la vicenda teoretica del primo Husserl. In realtà, — scrive l'autore in un brano autobiografico del 1956 — io non posso dire di essere venuto alla filosofia in maniera diretta, per un'intima voca­ zione alla speculazione o per un normale maturarsi dei miei studi e della mia men­ talità giovanile, ma questa era soprattutto caratterizzata da un'intensa passione pèrle scienze e da una viva disposizione per la matematica54. Questo germinale orientamento, unito a una sensibilità religiosa che non tarderà a manifestarsi, ebbe come primo e scontato effetto di allontanare Filiasi Garcano dall'area neo-idealistica, il cui radicale immanentismo, la esclusione dei concetti di peccato e di grazia e l'avversione per ogni for- 53 Ibidem, p. 7. 54 P. Filiasi Carcano, 17 ruolo della metodologia nel rinnovamento della filo­ sofia contemporanea, in AA.W., La filosofia contemporanea in Italia. Invito al dialogo, Asti, Arethusa, 1958, p. 219.   LA PRIMA ONDATA DI STUDI HUSSERLIANI NEGLI ANNI TRENTA 59 ma di naturalismo, non potevano in alcun modo essere accettati 55. Di qui un sentimento di estraneità e di insoddisfazione subito denunciati fin dai primi scritti, l'intima perplessità e la difficoltà di orientarsi in una temperie culturale già decisa e fissata nelle sue grandi linee da altri. E, d'altro canto, un naturale rivolgersi al problema metodologico, come pre­ liminare assunzione di consapevolezza circa i percorsi teoretici che con­ veniva seguire per ottenere uno scopo valido, senza tuttavia ancora nul­ la presumere circa la necessità di quei percorsi o la natura di questo sco­ po. In tal senso, l'elaborazione di una qualsivoglia metodologia doveva prevedere come esito programmatico, da un lato, una sorta di epochizza- zione delle grandi tematiche metafisiche e della tradizionale formulazione dèi problemi, dall'altro lato, un lungo e paziente lavoro di analisi, con­ fronto, chiarificazióne e comprensione che consentisse di recuperare, di quelle tematiche e di quei problemi, il contenuto più autentico. Ma più lo sguardo critico del giovane filòsofo andrà maturando fino ad abbracciare nel suo complesso il controverso panorama culturale del tempo, più quel programma iniziale perderà la sua connotazione prope­ deutica per trasformarsi in compito destinale, in una ' fighi for clarity* che assumeva i termini di un radicale esame di coscienza nei confronti della filosofia. Scrive Filiasi Carcano: Confesserò che varie volte ho avuto ed ho l'impressione di non aver abba­ stanza compreso, e per questo alla mia spontanea insoddisfazione (al tempo stesso scientifica e religiosa) si mescola un senso di incomprensione. Questo stato d'animo spiega bene il mio atteggiamento che non è propriamente di critica (...), ma ha piut­ tosto il carattere di un prescindere, di una sospensione del giudizio, di una messa in parentesi, in attesa di una più matura riflessione 56. Al fondo dei dualismi e delle vuote polemiche che, nella comunità filoso- fica italiana degli anni Trenta, sembravano prevaricare sulle più urgenti esigenze scientifiche e di sviluppo, Filiasi Carcano coglie i sintomi dì un conflitto epocale, di una inquietudine psicologica e di un'incertezza morale che andranno a comporsi in una vera e propria fenomenologia della crisi. ' Crisi della civiltà ', anzitutto, come recita il titolo della sua opera prima 57, dove al desiderio di fuggire l'alternativa del dogmatismo fa da 55 Per questi punti mi sono riferito a M. L. Gavazzo, Paolo Filiasi Carcano,. «Filosofia oggi», X, 1, 1987, pp. 57-74. ; * P; Filiasi Carcano, // ruolo della metodologia, ;cit., p. 220. 57 Cfr. P. Filiasi Carcano, Crisi della civiltà e orientamenti della filosofia   60 .CAPITOLO TERZO contraltare l'eterno dissidio tra ragione e fede. Crisi esistenziale, di con­ seguenza, dovuta al prevalere delle tendenze scettiche e antimetafisiche su quelle spirituali e religiose. Crisi della filosofia, infine, fondata sulla raggiunta consapevolezza del suo carattere problematico, sull'incapacità di realizzare interamente la pienezza del suo concetto. Come moto di reazione immediata occorreva allora, oltreché circoscrivere le proprie pre­ tese conoscitive ponendosi su un piano risolutamente pragmatico, assur­ gere ad una più compiuta presa di coscienza storica e conciliare la filoso­ fia con una mentalità scientificamente educata. Solo, cioè, il confronto con una seria problematica scientifica (la quale Filiasi Carcano vedeva realizzata nell'ottica positivista dello sperimentalismo aliottiano) avreb­ be potuto segnare per la filosofia l'avvento di una più matura riflessione intorno alle proprie dinamiche interne e ai propri genuini compiti critici. E a questo scopo parve a Filiasi Carcano, fin dai suoi studi d'esor­ dio, singolarmente soccorrevole proprio l'opera di Edmund Husserl. Scri­ ve Angiolo Maros Dell'Oro: A un certo punto si intromise Husserl. Filiasi Carcano pensò, o sperò, che là fenomenologia sarebbe stata la ' scienza delle scienze', capace di indicargli la via zu den Sachen selbsf, per dirla con le parole del suo fondatore. Da allora è stata invece per lui l'enzima patologico di una problematica acuta 58. Sùbito rifiutata, in realtà, come idealismo metafisico, quale eira frettolo­ samente spacciata in certe grossolane versioni del tempo (non esclusa, lo ^bbiamo visto, .quella del suo, maestro), la fenomenologia viene aggredita alla radice dal giovane studioso, con una cura e un rigore filologico — i quali pure riscontreremo in altri suoi coetanei — giustificabili solo con l'urgenza di una richiesta culturale cui l'ambiente nostrano non poteva evidentemente soddisfare. Non è un caso che Filiasi Carcano insista, fin dal suo primo articolo dedicato ad Husserl, sul valore della fenomeno­ logia, ad un tempo, emblematico, nel quadro d'insieme della filosofia contemporanea, e liberatorio rispetto al giogo dei tradizionali dogmi idealistici che i giovani, soprattutto in Italia, si sentivano gravare sulle spalle ". contemporanea, pref. di A. Aliotta, Roma, Libreria Editrice Francesco Perrella, 1939, pp. VIII-202. • s* Cff. Il pensiero scientifico ìtt Italia '(1930-1960), Creiriòria, Màngiarotti Editore, 1963, p. 108. 39 Cfr. P. Filiasi Cartario/ Da Carierò'ad H«w&f/, :« Ricerche filoSofìche », VI, 1; 1936; pp: 18*34.   LA PRIMA ONDATA DI STUDI HUSSERLIANI NEGLI ANNI TRENTA 61 In piena coscienza, — scriverà l'autore nel 1939 — se abbiamo voluto scio­ gliere l'esperienza da una necessaria interpretazione idealistica, non è stato per forzarla nuovamente nei quadri di una metafisica esistenziale, ma per ridare ad essa, secondo lo schietto spirito della fenomenologia, tutta la sua libertà 60. Tale schiettezza, corroborata da un carattere decisamente antisistema­ tico e dal recupero di una vitale esigenza descrittiva, avrebbe consentito lo schiudersi di un nuovo, vastissimo territorio di indagine, sospeso tra constatazione positivistica e determinazione metafisica, ma capace, al tem­ po stesso, di metter capo ad un positivismo di grado superiore e ad un più autentico pensare metafisico. Si trattava, in sostanza, non tanto di dedurre i caratteri di una nuova positività oppure di rifondare una me- tafisica, quanto piuttosto di guadagnare un più saldo punto d'osserva­ zione dal quale far spaziare sul multiverso esperienziale il proprio sguar­ do fenomenologicamente addestrato. È in questo punto che la fenome­ nologia, riabilitando l'intuizione in quanto fonte originaria di autorità (Rechtsquelle), operando in base al principio dell'assenza di presupposti e offrendo i quadri noetico-noematici per la sistemazione effettiva del suo programma di ricerca, veniva ad innestarsi sul tronco dello sperimenta­ lismo di stampo aliottiano, che Filiasi Carcano aveva assimilato a Napoli negli anni del suo apprendistato filosofia). Il ritorno ' alle cose stesse * predetto dalla fenomenologia non solo manteneva intatta la coscienza cri­ tica rimanendo al di qua di ogni soglia metafisica, ma anche e più che mai serviva a ribadire il carattere scientifico e descrittivo della filosofia. In un passo del 1941 si possono scorrere, a modo di riscontro, i punti di un vero e proprio manifesto sperimentalista: Descrivere la nostra esperienza nel mondo con l'aiuto della critica più raffi­ nata; cercare di raccordarne i vari aspetti in sintesi sempre più vaste e più com­ prensive, esprimenti, per cosi dire, gradi diversi della nostra conoscenza del mon­ do; non perdere mai il senso profondo della problematicità continuamente svol- gentesi dal corso stesso della nostra riflessione; infine stare in guardia contro tutte le astrazioni che rischiano di alterare e disperdere il ritmo spontaneo della vita: sono questi i principali motivi dello sperimentalismo e (...) al tempo stesso, i modi mediante i quali esso va incontro alle più attuali esigenze logiche e metodologiche del pensiero contemporaneo61. D'altro canto, si diceva, non è neppure precluso a questo program- *° P. Filiasi Carcano, Crisi della civiltà, cit., p. 138. 61 P. Filiasi Carcano, Antimetafisica e sperimentalismo, Roma, Perrella, 1941, p. 120.   62 ......... CAPITOLO TERZO ma un esito trascendente, e a fenderlo possibile sarà ancora una volta, in virtù della sua cruciale natura teoretica, proprio l'atteggiamento feno­ menologico. Scrive Filiasi Carcano: In realtà, il dilemma tra una scienza che escluda l'intuizione e una intui­ zione che escluda la scienza, non c'è che su di un piano realistico ma non su di un piano fenomenologicamente ridotto: su questo piano scienza e intuizione tornano ad accordarsi, accogliendo una pluralità di esperienze, tutte in un certo senso le­ gittime e primitive, ma tutte viste in un particolare atteggiamento di spirito che sospende ogni giudizio metafisico. È questo, com'io l'intendo, il modo particola­ rissimo con cui la filosofia può tornare oggi ad occuparsi di metafisica 62. Certo, nella prospettiva husserliana, il problema del trascendens puro e semplice, che farà da sfondo a tutto il percorso speculativo di Filiasi Carcano, sembrava rimanere ingiudicato o, almeno, intenzionalmente rin­ viato in una sorta di ' al di là ' conoscitivo, Ma in ordine alla missione spirituale che l'uomo deve poter esplicare nel mondo storico, il metodo fenomenologico conserva tutta la sua efficacia. Esso —nota Filiasi Carcano nelle ultime pagine del suo Antimetafisica e spe­ rimentalismo — certo difficilmente può condurre a risultati, ma compie per lo meno analisi e descrizioni interessanti, e tanto più notevoli in quanto tende a sollevare il velo dell'abitudine per farci ritrovare le primitive intuizioni della vita religiosa 63. Dato questo suo carattere peculiare e l'orizzonte significativo nel quale viene assunta fin dal principio, la fenomenologia continuerà a va­ lere per Filiasi Carcano come referente teoretico di prim'ordine, accom­ pagnandolo, con la tensione e la profondità tipiche delle esperienze fon­ damentali, in tutti i futuri sviluppi della sua speculazione. III.3. - LASCUOLATORINESE. ANNIDALEPASTOREENORBERTOBOBBIO. La terza grande area di interesse per il pensiero hussèrliano negli anni Trenta in Italia, fa capo all'Università.di Torino e si costituisce prin­ cipalmente intorno all'attività 4i tre studiosi: il primo, già incontrato e che, in qualche modo, fa da ponte fra questa e la neoscolastica mila­ nese è Carlo Mazzantini; il secondo è Annibale Pastore —ne parleremo ora — che teneva nell'ateneo torinese la cattedra di filosofia teoretica; 6- P, Filiasi Corcano,. Crisi .della civiltà, .eit,,. p.., 184. ,: ; 63 P. Filiasi Carcano, Antimetafisica e sperimentalismo, cit., p. 153. Paolo Filiasi Carcano di Montaltino di Carapelle. Paolo Filiasi Carcano. Paolo Carcano. Montaltino. Keywords: linguaggio e metafilosofia, semantica, quarto duca di montaltino, semantica ed esperienza, semantica e fenomenologia, filiasi carcano, montaltino, carapelle. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carapelle” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51777277620/in/dateposted-public/

 

Grice e Carbonara – l’esperienza e la prassi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Potenza). Grice: “I like Carbonara; my favourite of his tracts are one on ‘del bello,’ – another one on ‘dissegno per una filosofia critica dell’esperienza pura: immediatezza e reflessione’ – but mostly his ‘esperienza e prassi,’ which fits nicely with my functionalist method in philosophical psychology: there is input (esperienza), but there is ‘prassi,’ the behavioural output --; I would prefer this to the tract on the ‘filossofia critica’ since I’m not sure we need ‘reflexion’ to explain, say, communication – not at least in the way Carbonara does use ‘reflessione,’ alla Husserl.  Conseguito il diploma liceale, si trasferì a Napoli, frequentando la facoltà di filosofia. Ottenuta la laurea sotto Aliotta, collabora per “Logos”. Insegna a Campobasso, Nocera Inferiore, Cagliari, Catania, e Napoli.  Con “Disegno d'una filosofia critica dell'esperienza pura”, rifacendosi alla filosofia kantiana e riprendendo il discorso idealistico ne mette in rilievo il tentativo fallito di Gentile di dare concretezza all’astratto. Nell'attualismo, il ritorno all’atto, al fatto, si risolve infatti nell'atto sempre uguale e sempre diverso del pensare, unica realtà e verità del pensiero e della storia: «vera storia non è quella che si dispiega nel tempo, ma quella che si raccoglie nell'eterno atto del pensare»..  Il problema secondo Carbonara anda esaminato riportandolo alla sua origine, cioè al problema del rapporto tra esperienza e concetto, tra realtà e concetto così come era stato affrontato dalla filosofia kantiana e che Gentile crede di risolvere stabilendo un rapporto dialettico tra il concetto e il suo negativo all'interno del concetto stesso. La soluzione invece era in nuce secondo Carbonara nella sintesi a priori kantiana dove convivono forma (segnante) e contenuto (segnato) per cui la coscienza è per un verso forma, contenitore (segnante) di un contenuto (segnato) storico e per un altro *coincide* col suo contenuto (segnato) in quanto il contenuto (segnato) non avrebbe realtà al di fuori della forma della coscienza segnante.  La successiva questione si pone considerando oltre il rapporto del pensiero – il segnante -- con la materia quella collegata all'origine del pensiero stesso. Ancora una volta Kant intravede la soluzione nella teoria dell' “io penso” che però va ora intesa non come la struttura logico-metafisica della realtà storica, ma come la sua struttura psicologica ma *trascendentale* o "esistenziale", secondo una concezione della "filosofia dell'esperienza pura" nel senso che l'esperienza coincide col divenire della vita dello spirito e deve restare indifferente al problema, ch'è propriamente di natura ontologica, circa la sua dipendenza o indipendenza da una realtà diversa dal mio spirito. Il rapporto tra pensiero e materia porta Carbonara ad indagare quello tra filosofia e scienza con “Scienza e filosofia” in Galilei, in cui sostiene che mentre da un punto di vista filosofico non si può andare oltre l'ambito dell'autocoscienza (il mio spirito – Il “I am hearing a noise” di Grice) del cogito cartesiano, al contrario la scienza si basa sulla necessità di fondarsi sul mondo esterno (nel spirito dell’altro – intersoggetivita). Forse la soluzione di questa antinomia, sostiene Carbonara, va ricercata nell'insoddisfazione dello stesso idealismo verso se stesso  non potendo rinunciare a se stesso ma neppure al suo opposto -- nec tecum nec sine te  -- solus ipse. Si interessa anche della filosofia rinascimentale a Firenze. Nota come in quel periodo si fosse realizzata una fusione tra il cristianesimo e il neo-platonismo così come ad esempio in Ficino prete cattolico che visse la sua fede come teologia razionale dando una base filosofica, trascurando la stessa rivelazione, alla sua spiritualità religiosa:  In Ficino, il platonismo si congiunge al cristianesimo non soltanto sul fondamento di una religiosità profonda da cui il primo appare permeato, ma anche per una tradizione storica ininterrotta, per cui l'antichissima saggezza, ripensata da Platone e dai neoplatonici, si ritrova trasfigurata ma tuttavia persistente nei Padri della Chiesa e nei dottori della Scolastica. Come apprendiamo dall'Epistolario di Ficino, la sapienza e intesa come un dono divino e come mezzo per cui l'uomo può elevarsi fino a Dio. Tale principio fu poi appreso da Pitagora, Eraclito, Platone, Aristotele, i neoplatonici. Riemerse nella speculazione filosofica ispirata dalla Rivelazione cristiana e si ritrovò quindi in Agostino. Lo stesso Cicerone figura nella catena dei platonici romani.  Riallacciandosi a quella tradizione e meditando sui testi platonici, Ficino concepí il disegno, portato a termine di ricostruire su fondamento platonico la teologia il platonismo vi è considerato come il nucleo essenziale di una teologia razionale i cui princípi coincidono con quelli della rivelazione. Tale coincidenza è il principale argomento con cui si riesce a dimostrare l'eccellenza del cristianesimo rispetto alle altre religioni positive. Del resto Ficino è disposto ad ammettere che qualsiasi culto, purché esercitato con animo puro, reca onore e gradimento a Dio. Altre opere: “L'individuo, i dividui, e la storia; Scienza e filosofia in Galilei; Esperienza; Umanesimo e Rinascimento (Catania) Del Bello; Introduzione alla Filosofia (Napoli;  Materialismo storico e idealismo critico; Sviluppo e problemi dell'estetica crociana; I presocratici; Esperienza ed umanesimo (Napoli) La filosofia di Plotino; “Persona e libertà”; Ricerche di un'estetica del contenuto”; Esperienza e prassi; Discorso empirico delle arti, Il platonismo nel Rinascimento. Cleto Carbonara. Keywords: l’esperienza e la prattica, esperienza, dull title: “l’empirismo come filosofia dell’esperienza”! – i periti conversazionale – esperienza dell’altro, persona e persone – solipsism, anti-solipsismo – esperienza, sperimento, esperire, perito, perizia, per, fare, fahren, --. altri, altro, l’altro, l’altri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carbonara” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51777011254/in/dateposted-public/

 

Grice e Carbone – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Grice: “I love Carbone; my favourite of his tracts are on the ‘unexpressible’ – a contradictio in terminis – and on ‘the flesh and the voice’ –  but the favourite-favourite are  his tract on ‘il bello’ (‘eidos ed eidolon’) and even more, his “La dialettica”.  Si laurea a Bologna con “Marxismo: i soggetti nella storia". Studia a Padova. Insegna a Milano. Opere: Condannàti alla libertà, adattamento teatrale del romanzo di Sartre L'età della ragione, che è stato messo in scena in quello stesso anno. Fonda a  Pisa  con il sostegno del Leverhulme Trust un Programma  di ricerca sulla filosofia, concentrandolo su alcune delle sue figure più importanti e sulle parole-chiave: l'essere, la vita, il concetto». Dirige la collana f«L'occhio e lo spirito. Estetica, fenomenologia, per Mimesis Edizioni.  Si concentra sulla fenomenologia di Merleau-Ponty, indagandone il duplice ma unitario significato estetico di riflessione filosofica sull'esperienza percettiva e sull'esperienza artistica attraverso l'esame del parallelo interesse manifestato da Merleau-Ponty per Cézanne e Proust. Tale indirizzo di studi si è allargato dapprima a una più vasta considerazione della fenomenologia e poi a quella del pensiero post-strutturalistico sviluppatosi in Francia, pur mantenendosi imperniato sul parallelo interesse per la riflessione filosofica sulla pittura e sulla letteratura moderne. Questo ampliamento ha inoltre condotto gli studi ad affrontare tematiche di carattere gnoseologico e ontologico, spingendolo anche a problematizzare il tradizionale rapporto tra la filosofia e la "non filosofia". Tli orientamenti hanno trovato sbocco in una riflessione sul peculiare statuto delle immagini nella nostra epoca, sulle possibili implicazioni etico-politiche del rapporto con esse e sulla dimensione ontologica dell'"essere in comune" (morire insieme, dividualita, dividuo). che in tali implicazioni troverebbe espressione. Cura Merleau-Ponty (Il visibile e l'invisibile; Linguaggio Storia Natura, La Natura, È possibile oggi la filosofia? Saggi eretici sulla filosofia della storia) e Cassirer -- Eidos ed eidolon, il bello.  Influenzato prevalentemente da Merleau-Ponty, di cui ha sviluppato in maniera teoreticamente personale alcune nozioni. Tra queste, spicca il concetto di "idea sensibile", intesa quale essenza che s'inaugura nel nostro incontro col sensibile e da questo rimane inseparabile, sedimentandosi in una temporalità retroflessa --"tempo mitico". Alla prima di queste nozioni è dedicato il dittico “Ai confini dell'esprimibile” e “Una deformazione senza precedente: la idea sensibile Porta a sintesi le implicazioni filosofiche delle nozioni sopra citate nel concetto di "de-formazione senza precedenti", con cui egli intende caratterizzare il peculiare statuto che a suo avviso la de-formazione assume nell'arte, al fine di staccarsi dal principio imitativo della rappresentazione e dunque dalla concezione del modello inteso quale “forma” preliminarmente data. Alle nozioni sopra menzionate si è andata successivamente collegando quella di "precessione reciproca" tra l’immaginario e il reale che Carbone ha proposto di dar conto del prodursi della peculiare temporalità retroflessa detta "tempo mitico". Cerca di sviluppare le implicazioni etico-politiche della concezione della memoria legata all'idea di "deformazione senza precedenti" nella sua riflessione sue venti di cui ha sottolineato l'irriducibile carattere visivo indagandolo pertanto mediante un approccio anzitutto estetico. Cerca le radici ontologiche di tali implicazioni etico-politiche della filosofia, proponendo le nozioni di "a-individuale" e di "dividuo" per sottolineare l'intrinseco carattere re-lazionale (e dunque il divenire e la divisibilità) di ogni identità.  Altre opere: “Ai confini dell'esprimibile. Merleau-Ponty a partire da Cézanne e da Proust, Milano, Guerini e Associati); Il sensibile e l'eccedente. Mondo estetico, arte, pensiero, Milano, Guerini e Associati); Di alcuni motivi in Marcel Proust, Milano, Libreria Cortina); La carne e la voce. In dialogo tra estetica ed etica, Milano, Mimesis); Essere morti insieme (Torino, Bollati Boringhieri). Sullo schermo dell'estetica. La pittura, il cinema e la filosofia da fare, Milano, Mimesis). Una deformazione senza precedenti. la idea sensibile, Macerata, Quodlibet). Mauro Carbone. Keywords: dialettica, “individuo e dividuo” eidos, il bello, essere en comune, mit-sein, #DialetticaDegl’EntrambiDividui -- -- --. Merleau-Ponty ‘linguaggio’, individuus, dividuus, dividuo -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carbone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51774461752/in/dateposted-public/

 

Grice e Carboni – tratto dalla vita – filosofia italiana – Luigi Speranza (Livorno). Filosofo. Grice: “I love Carboni – my favourite of his tracts is ‘between the image and the ‘parable’” – a semiotics of communication with sections on ‘the tacit response,’ through the looking-glass’, ‘towards the hypertext,’ and quoting extensively from some ‘conversational-implicature’ passages in Aristotle’s metaphysics, ‘To ask ‘why is man man?’ is to ask nothing!” “For some expressions, analogy suffices!” Insegna a Roma, Bari, Viterbo.  Altre opere: L’angelo del fare. Melotti e la ceramica (Skira) e Il colore nell’arte (Jaca).  Cura Dorfles, Brandi, Deleuze, Guattari, Adorno. Tra le recensioni dei suoi saggi si segnalano: Giacomo Marramao, Gianni Vattimo (“L’Espresso”), Gillo Dorfles (“Il Corriere della Sera”), Victor Stoichita (“il manifesto”). Al Festival delle Letterature di Mantova hanno presentato i suoi saggi Sini  e Didi-Huberman. Scrive su  “Nòema” e “Images Re-vues” e sulla “Rivista di Estetica”.   “L’Impossibile Critico. Paradosso della critica d’arte, Kappa); “Cesare Brandi. Teoria e esperienza dell’arte, Editori Riuniti); “Il Sublime è Ora. Saggio sulle estetiche contemporanee, Castelvecchi); “Non vedi niente lì? Sentieri tra arti e filosofie del Novecento, Castelvecchi); “L’ornamentale. Tra arte e decorazione, Jaca); “L’occhio e la pagina. Tra immagine e parola, Jaca); “Lo stato dell’arte. L’esperienza estetica nell’era della tecnica, Laterza); “La mosca di Dreyer. L’opera della contingenza nelle arti, Jaca); “Di più di tutto. Figure dell’eccesso, Castelvecchi); “Analfabeatles. Filosofia di una passione elementare, Castelvecchi); “Il genio è senza opera. Filosofie antiche e arti contemporanee” Jaca); “Malevič. L'ultima icona. Arte, filosofia, teologia, Jaca).  Drawing after the Antique at the British Museum, 1809–1817: “Free” Art Education and the Advent of the Liberal State, Martin Myrone Drawing after the Antique at the British Museum, 1809–1817: “Free” Art Education and the Advent of the Liberal State Martin Myrone Abstract From 1808 the British Museum in London began regularly to open its newly established Townley Gallery so that art students could draw from the ancient sculptures housed there. This article documents and comments on this development in art education, based on an analysis of the 165 individuals recorded in the surviving register of attendance at the Museum, covering the period 1809–17. The register is presented as a photographic record, with a transcription and biographical directory. The accompanying essay situates the opening of the Museum’s sculpture rooms to students within a farreaching set of historical shifts. It argues that this new museum access contributed to the early nineteenth-century emergence of a liberal state. But if the rhetoric surrounding this development emphasized freedom and general public benefit in the spirit of liberalization, the evidence suggests that this new level of access actually served to further entrench the “middleclassification” of art education at this historical juncture. Authors Martin Myrone is an art historian and curator based in London, and is currently convenor of the British Art Network based at the Paul Mellon Centre for Studies in British Art. Acknowledgements The register of students admitted to the Townley Gallery was originally consulted during my term as Paul Mellon Mid-Career Fellow in 2014–15. Thank you to Mark Hallett and Sarah Victoria Turner of the Mellon Centre for their continuing support and guidance, to Baillie Card and Rose Bell for their careful editorial work, Tom Scutt for crafting the digital presentation of my research, the two anonymous readers for their valuable critical input, and to Antony Griffiths, formerly of the British Museum, and Hugo Chapman, Angela Roche, and Sheila O’Connell of the British Museum, for providing access to the register and for their advice. I am especially indebted to Mark Pomeroy, archivist, and his colleagues at the Royal Academy of Arts for the access provided to materials there and for advice and suggestions. I would also like to thank Viccy Coltman, Brad Feltham, Martin Hopkinson, Sarah Monks, Sarah Moulden, Michael Phillips, Jacob Simon, Greg Sullivan, and Alison Wright. Cite as Martin Myrone, "Drawing after the Antique at the British Museum, 1809–1817: “Free” Art Education and the Advent of the Liberal State", British Art Studies, Issue 5, https://dx.doi.org/10.17658/issn.2058-5462/issue-05/mmyrone From the summer of 1808 the British Museum in London began regularly to open its newly established galleries of Graeco-Roman sculpture for art students. The collection, made up almost entirely of pieces previously owned by Charles Townley, had been purchased for the nation in 1805 and installed in a new extension to the Museum’s first home, Montagu House, which was built earlier in 1808. After some protracted discussion with the Royal Academy, detailed below, the collection was made available for its students in time for the royal opening of the Townley Gallery on 3 June 1808. From January 1809, a written record was kept of students admitted to draw from the antique. This volume survives in the library of the Department of Prints and Drawings at the British Museum and identifies one hundred and sixtyfive separate individuals admitted through to 1817. 1 The register forms the focus of this essay and is presented here as a facsimile and transcription, with an accompanying directory of student biographies (see supplementary materials below). This may be taken as a straightforward contribution to the literature on early nineteenth-century art education, and the author hopes it may be useful as such. However, it also situates the opening of the Museum’s sculpture rooms to students within a rather more far-reaching set of historical shifts. Namely, it argues that this new form of museum access was part of the early nineteenth-century emergence of a liberal state that “actively governs through freedom (free ‘individuals’, markets, societies, and so on, which are only ‘free’ because the state makes them so)”. 2 Access to the British Museum was “free” in that there were no charges or fees. Meanwhile, the arrangement offered a degree of freedom to the students themselves; they were expected to be largely self-selecting and self-regulating. When the arrangement was exposed to public scrutiny, as a result of questions asked in parliament in 1821, the freedom of access and the service this did to the public good were emphasized. But, once closely scrutinized, the evidence suggests that this manifestation of the freedoms encouraged by the liberal state had a social disciplinary role (even if disciplinary function can hardly be recognized as such), in serving to further entrench the “middle-classification” of art at this historical juncture. 3 The conjunction of art education and a grandiose notion such as the liberal state may be unexpected, and rests on three key assertions. The first is that art worlds are structured and in their structure have a homological relationship with the larger social environment. 4 The initial part of this statement (that art worlds are structured) may not be especially hard to swallow, given the relatively formalized and hierarchical nature of the London art world during the early nineteenth century, when cultural authority was vested in a small number of institutions, and the practices associated with academic tradition in principle still held sway. However, that the structure of the art world, in its hierarchical dimension, may also be homologically related to the larger field of power, so that social relationships are reproduced within this relatively autonomous sphere, is more clearly contentious, and runs contrary to commonplace beliefs and expectations about talent and luck in determining personal fate in the modern age—artists’ fortunes most especially. In fact, in the period under review here, the artist became an exemplary figure in the new narratives of social mobility: the art world came to serve as a model of how talent or sheer good fortune could override social origins and destinies. 5 The second assertion is that the Royal Academy and British Museum were developing new forms of state institution, underpinned by the conjoined principles of freedom of access and public benefit. Such has been argued importantly by Holger Hoock, and while I depart from his arguments in some key regards, his insights into the status of these institutions and the role of forms of public–private partnership in their formation are crucial. 6 The third assertion (and this marks a departure from Hoock), is that the state is not a stable, centralized entity, or site of power either “up above” or “below” historical actors. Instead, it is taken to be the sum of actions and dispositions ostensibly volunteered by these historical agents in all their multitude and variety. The crucial point of reference here is the sustained body of work on the liberal state by the historian Patrick Joyce, deploying the work of Bruno Latour and Michel Foucault, among others, to yield a more materialistic and decentralized understanding of the emergence and role of state bodies. 7 The state, in this view, is composed of technologies, disciplinary structures, habits of mind, and ways of doing things. The mechanics of art education, insofar as this involves the movement through or exclusion of individuals from identified places, the arrangement of their bodies in relation to one another and to their model, the management of their behaviour within those places, the very motion of their bodies, hands, and eyes under the surveillance of their peers, teachers or other authorities, may be considered as a form of biopolitics; the student who entered his or her name into the British Museum’s register of admission was producing his or her governmentality. 8 The argument here is emphatically historical and states that this arrangement, while it may have precedents and may have been seminal, belongs to an historical moment—the emergence of the liberal state. My case, which can be sketched out only in outline in this context, is that the emergence of the familiar institutional arrangements of the modern art world between the 1770s and the 1830s (in the form of actual institutions and regulatory structures or permissions, including annual exhibitions, centralized art schools supported by the state directly and indirectly, emphasis on quantifiable measures of access and engagement as the test of public value, and so forth) represents in an exemplary way the illusory freedoms promoted by liberalism, and renewed by present-day “neo- liberalism”, as addressed by commentators from the prophetic Karl Polanyi through to the later work of Foucault and Bourdieu on the state, and Luc Boltanski and Eve Chiapello, among others. 9 The early nineteenth-century art world can be proposed as a privileged focus of attention because it was still of a scale which can allow for the kinds of data-based analysis which must underpin any sort of sociological exploration, and because its individual membership can be documented in fine detail in a manner which is simply not possible at an earlier historical date. Paradoxically, despite its announced commitment to non-intervention and personal freedom, the emerging liberal state generated huge amounts of documentation about society and its individual members—tax records, parochial and civil records, the national census from 1801—which digitilization has made more readily available than ever before, allowing this generation of artists to be documented as never previously. 10 The production of artistic identities through these records is not unrelated to changes in artistic identity itself over the same timeframe. One way of realizing this might be to consider the period outlined above—c. 1770–1830s—not as a period from the foundation of the Royal Academy (1769) to its removal to Trafalgar Square, or even as the era of Romanticism, as much literary and cultural history-writing would dictate, but as the era from Adam Smith’s Wealth of Nations (1776) to the Reform Act (1832) and the Speenhamland system, a last experiment in patrician social care before the Poor Law Amendment Act (1834), taking in Thomas Malthus and David Ricardo. The challenge is thinking of these two frameworks not in sequential or spatially differentiated ways, but as simultaneous and identical. Within this emerging liberal state the figure of the artist is attributed with a special degree and form of freedom, what has conventionally been alluded to, in generally sociologically imprecise ways, as a feature of “Romanticism”, slumping into “bohemianism” and a generic idea of art student lifestyle. If this was a moment of unprecedented state investment in the arts (from the Royal Academy through to the Schools of Design) and government scrutiny (notably with the Select Committees), it simultaneously saw the emergence of artistic identities expressing the values of personal freedom, freedom from regulation, and even active opposition to the state. I propose that art education, as it took shape in the emerging liberal state, might be explored as a “liberogenic” phenomenon: among those “devices intended to produce freedom which potentially risk producing exactly the opposite.” 11 As such, it may have renewed pertinence for our own time, although this does not entail seeing a “causal” relationship between the past and present, or a linear genetic relationship between then and now. In fact, the purpose of this commentary, and the larger project it arises from, 12 is rather to trouble our relationship with that past. The intention is not, however, to point unequivocally to the era under consideration as here entailing “the making of a modern art world”, with the rise of art education and museums access representing a stage towards democratization, as illuminated in stellar fashion by the great Romantic artists (J. M. W. Turner—famously the son of a lowly London barber—pre-eminently). I would want instead to take seriously Jacques Rancière’s call for “a past that puts a radical requirement at the centre of the present”, eschewing causality and “nostalgia” in favour of “challenging the relationship of the present to that past”. 13 If giving attention to the “freedom” of art education at the advent of the liberal state provides any insight at all, it should do so by troubling rather than affirming our narratives of the genesis of a modern art world. Access to the Townley Gallery The arrival at the Museum of the Townley marbles, together with the development of the prints and drawings collection and its installation in new, secure rooms in the same wing, fundamentally changed the character of the institution. As Neil Chambers has noted, having been primarily a repository of (often celebrated) curiosities of many different forms, quite suddenly “The Museum was now a centre for art and the study of sculpture.” 14 The shift was acknowledged internally at the Museum by the creation in 1807 of a distinct Department of Antiquities, which also had responsibility for the collection of prints and drawings. But while the significance of the opening of the Townley Gallery in the history of the British Museum is clear, the opening of the collection to students has barely been noticed in the art-historical literature. The register has been overlooked almost entirely, and the relevance of this development in student access may not even be immediately obvious. 15 Figure 1. William Chambers, The Sculpture Collection of Charles Townley in the dining room of his house in Park Street, Westminster, 1794, watercolour, 39 x 54 cm. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum Figure 2. Attributed to Joseph Nollekens, The Discobolus, 1791–1805, drawing, 48 x 35 cm. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum Townley’s collection had already famously been on display for many years at his private house in Park Street, London. William Chambers’ (or Chalmers’) drawing of the Park Street display from 1794 includes a well-dressed young woman drawing under the supervision or advice of a man, promoting the idea that the collection was available for sufficiently genteel students of the art more generally (fig. 1). In his recollections of the London art world, J. T. Smith described “those rooms of Mr Townley’s house, in which that gentleman’s liberality employed me when a boy, with many other students in the Royal Academy, to make drawings for his portfolios”. 16 Smith’s former employer, the sculptor Joseph Nollekens, has been identified among the more established artists who were also engaged by Townley to draw from marbles in the collection (fig. 2). As Viccy Coltman has noted, “The townhouse at 7 Park Street, Westminster became an unofficial counterpoint to the English arts establishment that was the Royal Academy: as an academy of ancient sculpture, much as Sir John Soane’s London housemuseum in Lincoln’s Inn Fields would become an academy of architecture in the early 19th century.” 17 Evidently, a number of the students and artists admitted to draw from the Townley marbles once they were at the British Museum knew them formerly at first hand from visiting 7 Park Street; for instance, William Skelton, admitted to draw at the Museum in 1809, had apparently already studied and engraved three busts from the collection for inclusion in the design of Townley’s visiting card (fig. 3). Townley had hoped for a separate gallery to be erected to house the collection, but his executors, his brother Edward Townley Standish and uncle John Townley were unable to agree a plan. 18 The sale of the collection to the Museum was a compromise. With the erection of a new gallery space for the collection underway, the Museum considered how special access might be given to artists. That the question was posed at all should be an indication of how far the realm of cultural consumption and production was being folded in to the emerging liberal state at this juncture. At a meeting of the Trustees on 28 February 1807, a committee was set up to consider how the prints and drawings collections might be used by artists, and to draw up “Regulations . . . for the Admission of Strangers to view the Gallery of Antiquities either separately from, or together with the rest of the Museum: And also for the Admission of Artists”. 19 Figure 3. William Skelton, Charles Townley's visiting card, 1778–1848, etching, 65 x 96 cm. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum With the Gallery still under construction, the Sub-Committee was not obliged to move quickly, and it proved to be a protracted and unexpectedly fractious affair. 20 It was not until the Museum’s general meeting of 13 February 1808, that the principal librarian, Joseph Planta, reported “his opinion of the best time & mode of admission of Strangers as well as artists, to the Gallery of Antiquities”, with the request that Benjamin West, President of the Royal Academy, be asked to attend a further meeting. 21 After delays, he did so on 10 March, after which the Council drew up a set of regulations. 22 These went back to the Academy with additions and changes, which were accepted by the Council who wrote to the British Museum on the 10 May to that effect, noting that a General Meeting of the Academy was to take place, “to prepare the final arrangement for his Majesty’s approbation”. 23 Accordingly, at the British Museum, the Sub-Committee’s reports and proposals were approved by the Standing Committee, with “Resolutions founded on the above mentioned Reports” read at the General Meeting of 14 May. 24 The resolutions, numbered so as to be inserted in the existing regulations regarding admissions, were confirmed in the meeting of 21 May, over three months after what should have been a straightforward matter was raised (see Appendix, below). 25 Clause number eight, concerning the payment of Academicians charged with the supervision of students, evidently caused some consternation within the Academy, as recorded in the diary of Joseph Farington. 26 The relative authority of the Council and General Assembly had been a contentious matter in previous years, and the lengthy dispute over arrangements with the Museum reflected lingering tensions. On 12 July 1808 the proposals were read, and “After a long conversation it was Resolved to adjourn.” 27 The subject was taken up on re-convening on 21 July, but without resolution. 28 At yet another meeting, on 26 July 1808, the point about the Academy’s provision of superintendents to monitor the students while at the British Museum was referred back to Council. 29 We have to turn to Farington’s diary for a fuller account. He noted that the Academy’s General Assembly had met on 12 July “for the purpose of receiving a Law made by the Council ‘That permission having been granted by the Trustees of the British Museum for Students to study from the Antiques &c at the Museum, certain days are fixed upon for that purpose, & that an Academician shall attend each day at the Museum & to be paid 2 guineas for each day’s attendance’ . . . Much discussion took place.” 30 At a further meeting: “The Correspondence of the Council with the Sub Committee of the British Museum was read from the beginning” and “much discussion” was had about the supervision of the students, Farington making the point that: as the studies of the British Museum shd. be considered those of completion and not to learn the Elements of art the Academy shd. not recommend any student whose abilities & conduct wd. not warrant it, that it should be considered the last stage of study, when those admitted wd. not require constant inspection; therefore daily attendance of a Member of the Academy wd. not be necessary. 31 The point of contest may have concerned the right of the Council to organize things independent of the General Assembly of the Academicians, and a more general question about economy (“Northcote proposed that the Academician who in rotation shall attend at the British Museum, shd. have 3 guineas a day. West thought one guinea sufficient”). 32 But Farington’s point is more revealing in indicating the expectation that the selected students of the Academy were to be largely self-regulating, and self-disciplining; they were to be granted freedom because they had already internalized the discipline required by these institutions. Figure 4. Front cover, Register of Students Admitted to the Gallery of Antiquities, 1809–17. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum The matter finally settled, students were admitted to the Townley Gallery from at least the beginning of 1809: the first entries in the register book are dated 14 January 1809 (figs. 4 and 5 to 11). On that date four students were enrolled, although only one of them was at the Royal Academy. That was Henry Monro, the son of Dr Thomas Monro, Physician at Bedlam and an amateur and collector who ran the influential “academy” at his home in Adelphi Terrace. The other students included two of the daughters of Thomas Paytherus, a successful London apothecary, and a Ralph Irvine of Great Howland Street, who seems quite certainly to have been Hugh Irvine, the Scottish landscape painter and a member of the landowning Irvine family of Drum, who gave that address in the exhibition catalogue of the British Institution’s show in 1809. Another five students registered in February and July. This included another recently registered Royal Academy student, Henry Sass, whose name was entered into the Academy’s books in 1805, recommended for study at the British Museum by the architect and RA John Soane, and the artists William Skelton, Adam Buck, Samuel Drummond, and Maria Singleton. The mix of amateur and professional artists, young and old, and indeed the mix of male and female students (discussed below), continued throughout the register. View this illustration online Figure 5. Page 1, Register of Students Admitted to the Gallery of Antiques, 1809–17. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of British Museum View this illustration online Figure 6. Page 2, Register of Students Admitted to the Gallery of Antiquities, 1809–17. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum View this illustration online Figure 7. Page 3, Register of Students Admitted to the Gallery of Antiquities, 1809–17. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum View this illustration online Figure 8. Page 4, Register of Students Admitted to the Gallery of Antiquities, 1809–17. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum View this illustration online Figure 9. Page 5, Register of Students Admitted to the Gallery of Antiquities, 1809–17. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum View this illustration online Figure 10. Page 6, Register of Students Admitted to the Gallery of Antiques, 1809–17. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum View this illustration online Figure 11. Page 7, Register of Students Admitted to the Gallery of Antiques, 1809–17. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum Eight of the twelve students registered on 11 November were current Academy students; this proportion of Academy students to others continues throughout the record. But on the same day Planta noted to the standing committee that the Royal Academicians not having availed themselves of the Regulations in favour of their Pupils, & many applications having been made to him for leave to draw in the Gallery of Antiquities, he therefore submitted to the consideration of the Trustees, whether persons duly recommended might not be admitted in the same manner as in the Reading Room. 33 The matter was referred on to the general meeting. 34 On 9 December 1809 the new regulations were confirmed: Students who apply for Admission to the Gallery are to specify their descriptions & places of abode; and every one who applies, if not known to any Trustee or Officer, will produce a recommendation from some person of known & approved Character, particularly, if possible, from one of the Professors in the Royal Academy. 35 On 10 February 1810 it was instructed “That the Regulation respecting the mode of Admission of Students to the Gallery of Sculpture, as made at the last General Meeting be printed & hung up in the Hall, & at the entrance into the Gallery”. 36 The students admitted through 1810 were predominantly students at the Royal Academy, but also included the emigré natural history painter the Chevalier de Barde and Charles Muss, already established as an enamel and glass painter. The same pattern was apparent in subsequent years. Twenty-five students were registered in 1811 and again in 1812, before numbers dropped to twelve in 1813, eight in 1814, picking up with nineteen in 1815, and dropping to nine in 1816. The Museum’s original stipulation that no more than twenty Academy students be admitted each year did not, it appears, create any undue constraints on the flow of admissions. Far from having a monopoly over student admissions, as the Museum’s original regulations had anticipated, the Royal Academy had apparently been distinctly laissez-faire, doing little to try to push students forward to make up the numbers. The galleries the students gained access to comprised a sequence of rooms within the new wing added to accommodate the growing collection of sculptural antiquities, notably the Egyptian material taken from the French at Alexandria in 1801. The Egyptian antiquities dominated the galleries in terms of sheer size, although the visual centrepiece, whether viewed from the Egyptian hall or through the extended enfilade of rooms II–V where the Townley marbles were displayed, was the Discobolus (fig. 12). 37 The intimate scale of the galleries brought benefits, as German architect Karl Friedrich Schinkel noted on his visit of 1826: “Gallery of antiquities in very small rooms, lit from above, very restful and satisfying”. 38 But is also imposed a practical limit on the numbers of students who could attend. This changed when, in 1817, the Elgin marbles were put on display at Montagu House in spacious, if warehouse-like, temporary rooms newly annexed to the Townley Gallery (fig. 13). The spike of interest recorded in the register, with thirty-seven students listed under the heading “1817”, must reflect this new opportunity. The register terminates at this point, although the volume continued to be used to record students and artists admitted to the prints and drawings room (upstairs from the Townley Gallery) from 1815 through to the 1840s. 39 Figure 12. Anonymous, View through the Egyptian Room, in the Townley Gallery at the British Museum, 1820, watercolour, 36.1 x 44.3 cm. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum Figure 13. William Henry Prior, View in the old Elgin room at the British Museum, 1817, watercolour, 38.8 x 48.1 cm. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum Some form of register must have been maintained, but appears not to have survived, and evidence of student attendance after 1817 is largely a matter of anecdotal record. 40 These later records also, incidentally, point to the variety of student practice in the galleries. While the Museum’s original stipulations made the presumption that admitted artists would be drawing (“each student shall provide himself with a Portfolio in which his Name is written, and with Paper as well as Chalk”), students evidently worked in different media as well. James Ward referred explicitly to “modelling” in the Museum in his diary entries of 1817; and George Scharf’s watercolour of the interior of the Townley Gallery from 1827 (fig. 14) shows a student sitting on boxes at work at an easel, with what appears to be a paintbrush in his right hand and a palette in his left. 41 Nonetheless, the Townley marbles had lost much of their allure. Jack Tupper, a rather unsuccessful artist associated with the Pre-Raphaelite Brotherhood, recalled his growing disillusion when studying at the British Museum in the late 1830s: “So the glory of the Townley Gallery faded: the grandeur of ‘Rome’ passed.” 42 Figure 14. George Scharf, View of the Townley Gallery, 1827, watercolour, 30.6 x 22 cm. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum The material record of student activity in the Townley Gallery, in the form of images which seem definitely to derive from this special access to the Museum, is extremely scarce. 43 Whatever was produced in the Gallery was, after all, generally only for the purposes of study, and was unlikely to be retained or valued after the artist’s death. John Wood, a dedicated student at the Royal Academy from 1819, noted: “I am surprised at the comparatively few drawings I made in the Antique School at the Royal Academy, including my probationary one, not exceeding five, with an outline from the group of the Laocoon.—In the British Museum I made a chalk drawing from the statue of Libēra for Mr Sass”, that is, the Townley Venus, apparently drawn by Wood as an exercise for the well-known drawing teacher Henry Sass. 44 Student drawings after the antique must have been numerous, but that does not mean they were preserved. J. M. W. Turner had apparently attended the Plaster Academy over one hundred and thirty times up to the point he became an ARA, in 1799. 45 Yet even with a figure of his stature, whose studio contents were so completely preserved, and whose dedication to academic study was so notable, we have only a handful of drawings which appear certainly to derive from his time at the schools. 46 There are, doubtless, traces of study in the Museum to be uncovered in finished works of the period. Charles Lock Eastlake’s youthful figure of Brutus in his ambitious early work is evidently a direct lift from the marble of Actaeon attacked by his own hounds in the Townley collection; he had been admitted to draw from the antique in 1810 (figs. 15 and 16). But given the dissemination of classical prototypes (in graphic form as well as in plaster) it would be hard to insist that it was only access to the British Museum’s antiquities which made such allusion strictly possible. Figure 15. Charles Lock Eastlake, Brutus Exhorting the Romans to Revenge the Death of Lucretia, 1814, oil on canvas, 116.8 x 152.4 cm. Collection of the Wiliamson Art Gallery & Museum. Digital image courtesy of Wiliamson Art Gallery & Museum Figure 16. Anonymous, Marble figure of Actaeon attacked by his hounds, Roman 2nd Century, marble, 0.99 metres high. Collection of the British Museum (1805,0703.3). Digital image courtesy of Trustees of the British Museum The Register of Students as Social Record Of arguably greater interest than the question of the “influence” of access to the marbles on artistic practice is the evidence the register provides about the social profile of the students. This takes us to the heart of the question about the relationship between art education and the state. This was, in fact, a question raised at the time. The British Museum was in 1821 obliged to draw up a report on student and public attendance of the Museum, prompted by Thomas Barrett Lennard MP, who had entered a motion in the House of Commons seeking reassurance that this publicly funded institution was not “merely an establishment for the gratification of private favour or individual patronage”. 47 Lennard’s questions arose from a growing body of criticism directed against the Museum, which turned on the question of whether, as a publicly funded body, everyone could expect free access, or only a more specialist minority. As one critic jibed in 1822, “If the British Museum is open only to the friends of the librarians, & their friends’ friends, it ceases to be a public institution.” 48 The report elicited by Lennard’s question provided a detailed breakdown of admissions. With regard to providing access to draw from the antique, the Museum indulged the impression that it not only fulfilled but exceeded its commitment to admitting Royal Academy students: providing the figures for the period 1809–17 (based, surely, on the register under consideration here), the Museum’s report elaborated: The Statute for the admission of Students in the Gallery of Sculptures being among those required by the Order of the House of Commons, it may not be irrelevant to add, that the number of students who were admitted to make drawings in the Townley Gallery, from the year 1809 to the year 1817, amounted to an average of something more than twenty. 49 Notably, this summary gives the clear impression that the antiques were being opened to the students of the Royal Academy; such is, quite reasonably, presumed by Derek Cash in his recent, careful commentary on admission procedures at the Museum. 50 The report also pointed to recent changes: In 1818, immediately subsequent to the opening of the Elgin Room, two hundred and twenty-three students were admitted: in 1819, sixty-nine more were admitted, and in 1820, sixty-three. It asserted that, now: Every student sent by the keeper of the Royal Academy, upon the production of his academy ticket, is admitted without further reference to make his drawings: and other persons are occasionally admitted, on simply exhibiting the proofs of their qualification. According to the present practice, each student has leave to exhibit his finished drawing, from any article in the Gallery, for one week after its completion. 51 Thus stated, the Museum appeared to be fulfilling its public duty in providing free access to appropriately qualified students. The bare figures might seem to indicate a steady rise in student interest, which could be taken as a marker of quantitative success. In one of the earliest historical accounts of the Museum, Edward Edwards implied that the statistical record was evidence of how Planta had progressively extended access to the Museum: “From the outset he administered the Reading Room itself with much liberality . . . As respects the Department of Antiquities, the students admitted to draw were in 1809 less than twenty; in 1818 two hundred and twenty-three were admitted.” 52 At that level of abstraction the information appears beyond dispute. What I test in the remainder of this essay is how these statements stand up to the more individualized account of student activity represented in the biographical record. That record does include the most assiduous students of the Royal Academy of the time, who certainly did not need the kind of “constant inspection” Farington worried about, the kind of student anticipated by the Museum’s regulations. Among these we could count Henry Monro, Samuel F. B. Morse and Charles Robert Leslie, William Brockedon, Henry Perronet Briggs, William Etty and Henry Sass, the last two famously dedicated as students of the Academy. 53 However, the full biographical survey of the register points to a more complicated situation. Of the one hundred and sixty-five individuals named in the register, it has proved possible to establish biographical profiles for the majority: details are most lacking for about twenty-four of the attending students, although in most of those cases we can conjecture at least some biographical context. 54 Slightly less than half the total number of individuals listed were recorded as students at the Academy at a date which makes it reasonably likely that they were actively attending the schools when they were admitted to the British Museum (eighty in all). 55 Around twenty more established male artists attended, and several of these were formerly students at the Royal Academy, including John Samuel Agar, John Flaxman, and James Ward. Whether they were pursuing their private studies or undertaking more specific professional tasks is not always clear. There are, certainly, a few cases where the latter appears to be the case. When William Henry Hunt was admitted it was explicitly for the purpose of preparing drawings for a publication; both William Skelton and John Samuel Agar were probably admitted in connection with his ongoing work engraving from sculptures at the Museum. It seems likely that the “Students to Mr Meyer”, that is, the engraver and print publisher Henry Meyer, were engaged on professional business, as was Thomas Welsh, recommended by the publisher Thomas Woodfall. More striking, though, is the determined presence in the register of artists who did not pursue the art professionally or full-time, including the relatively well-documented Chevalier de Barde, Arthur Champernowne, John Disney, Hugh Irvine (assuming he is the “Ralph Irvine” who appears in the register), Robert Batty, Edward John Burrow, Edward Vernon Utterson, and a number of others designated as “Esq”, so clearly from the polite classes, even if their exact identities remain unclear. There are at least fifteen male individuals who appear to come from backgrounds sufficiently socially elevated or affluent enough to suggest they were taking an amateur interest rather than pursuing serious studies. 56 Enough of these men are known to have practised art to make it quite certain that they were not, at least generally, being admitted to consult the collection without intending to draw, and John Disney was admitted explicitly “to make a sketch of a Mausoleum”. Notable, in this regard, are the large number of women admitted to study, most of whom are or appear to be from polite backgrounds, including the Paytherus sisters, Elizabeth Appleton, Louisa Champernowne, Miss Carmichael, Elizabeth Batty, Miss Home, Lucy Adams, Jane Gurney, Maria Singleton, and Anne Seymour Damer. 57 Some were established artists, or became so; others were pursuing art as a polite accomplishment, or at least we can assume so given their family circumstances; in other cases the situation is by no means clear-cut. All were admitted without special comment or notice despite the issues of propriety around the drawing of even the sculptured nude figure by female artists which crops up in contemporary commentaries. 58 This may be all the more striking given the relative paucity of women admitted as readers at the British Museum library over the same period: only three out of the three hundred and thirty-three admitted between 1770 and 1810, as surveyed by Derek Cash. 59 On this evidence, the field of artistic study was, in the most literal terms, relatively female compared even to the study of literature or history. This points to an under-explored context for the inculcation of the students into life as an artist: the “feminine” sphere of the home, and of siblings (whether brothers or sisters) alongside parents. We have, surely, barely begun to consider the family as the context in which artists are made as much as, if not more than, the studio and academy. Nor is it straightforward to assume that those individuals who had enrolled as Academy students also had expectations about the professional pursuit of the art. Among the Academy students who attended, a large proportion, including a majority of the most assiduous, were from polite social backgrounds, with fathers in the professions, or who were office-holders or from the landowning classes, including Henry Monro, John Penwarne, Richard Cook, William Drury Shaw, Charles Lock Eastlake, Henry Perronet Briggs, Alexander Huey, Thomas Cooley, Samuel F. B. Morse, Andrew Geddes, John Zephaniah Bell, Thomas Christmas, John Owen Tudor, and Samuel Hancock. Others were the sons of elite tradesmen, highly specialized craftsmen or merchants, including William Brockedon, Seymour Kirkup, Charles Robert Leslie, Gideon Manton, and John Zephaniah Bell. These were not, either, predestined to be artists, by simply following in their father’s footsteps, but were opting in to an artistic career, having had, usually, a decent education, and access to material and social support. In many cases their brothers, who shared the same upbringing, became doctors or lawyers, property-owners or merchants. A number of individual students gave up the practice of the art—Thomas Christmas became a landowner in Willisden; Richard Cook was able to retire, wealthy; Seymour Kirkup languished in Rome dabbling in the arts; William Brockedon became more engaged as an inventor and traveller; while others were never really obliged to draw an income from their practice but pursued art as a pastime. It remains the case that there was a high level of occupational inheritance; perhaps thirty-eight of the students (23 percent) had fathers who were architects, engravers or artists in painting or sculpture. Many were the sons of established artists (including Rossi, Bone, Stothard, Ward, Dawe, Wyatt, Bonomi, and the brothers Stephanoff); a few were part of “dynasties” encompassing generations engaged in the arts (Wyatt, Wyon, Hakewill, Landseer). Even then, there is the case of John Morton (noted confusingly as “John Martin” in the register, although the address given provides for a firm identification), who, although the son of an artist and a student at the Royal Academy, exhibited personally as an “Honorary”, suggesting he was not professionally engaged. That his brother became quite prominent as a physician suggests that this was a quite emphatically middle-class family setting. There are several points to derive from this information, even as lightly sketched as it necessarily is here. Firstly, it is noteworthy that while female students were a minority they were a definite presence; in this regard, the British Museum was like other spaces of artistic study, notably the painting school at the British Institution. 60 The observation is upheld by the contemporary records of student attendance at the British Institution or of copyists at Dulwich Picture Gallery, and should serve as a reminder that the Royal Academy was exceptional among the spaces of art education in being so entirely male. 61 Secondly, it is striking how few came from humble backgrounds unconnected with the art world; really, only a handful, which would include John Tannock (son of a shoemaker in Scotland), William Etty (son of a baker in York), John Jackson (son of a village tailor in Yorkshire), and William Henry Hunt (whose father was a London tin-plate worker). The circumstances which led to their gaining access to the London art world are, therefore, noteworthy, as a third and most important point would be to emphasize how emphatically metropolitan, polite, and middle-class was the British Museum as a site of artistic education. The Townley Gallery on student days was a place where working artists, students, amateurs, and patrons mingled. 62 While the Royal Academy is conventionally seen as an engine of professionalization, it is striking that the social affiliations of artists point to strong, arguably increasingly strong, affiliations between amateurs and professionals—to the extent that our terminology around this point needs to be reconsidered. Looking over the biographical survey, the kind of social suffering or precariousness typically associated with artists’ lives, perhaps especially during the era of industrialization, is markedly absent. When it does appear—most strikingly with the grim life-stories of the siblings Jabez and Sarah Newell—they are among the minority of students from backgrounds neither closely connected with the art world, nor comfortably middle-class or genteel. The examples of stellar social ascent and achievement on the basis of talent alone are real; but they are the exceptions rather than representative. The relative weight of personal and Academic connection is exposed in the record of the provision of references for students. Of the forty-three referees recorded between 1809 and 1816, less than half (nineteen) were Academicians. One of those was Henry Fuseli, who as Keeper of the Academy Schools through this period must have provided references as part of his duties, and accordingly provided the second largest number of recommendations (nineteen; all but one students at the RA). The lead in providing references was taken by William Alexander, artist and keeper of prints and drawings (twenty-two; mainly but not exclusively students). Overall, officers and Trustees were most active in admitting students. Most only ever provided a reference for one, or at most a handful, and the jibe about “friends of the librarians, & their friends’ friends” contains some truth. But the same point applies to the artists, most of whom only ever recommended one student, often known personally to them already: David Wilkie recommended his assistant, John Zephaniah Bell; George Dawe provided a reference for his own son; Thomas Lawrence for his pupil William Etty; Thomas Phillips and John Flaxman, the relatives of fellow Academicians; Thomas Stothard, the son of a neighbour (Kempe). Geography, too, seems to have played a role, with referees often coming from the same area as their favoured student: Francis Horner recommended John Henning, whom he had known in their native Scotland; the Scottish George Chalmers recommended James Tannock; Arthur Champernowne put forward William Brockedon, his protégé, whom he had supported in moving from Devon to the metropolis to pursue art; James Northcote recommended two fellow West Countrymen; Benjamin West, notorious for giving special assistance to visiting American students, two such (Leslie and Morse). If the admission procedure could be interpreted as an opportunity for the Academy to assert a corporate, professionalized identity, based purely on merit, we can nonetheless detect underlying patterns of kinship, personal, social, and geographical affiliation. Simply stated, even if study at the Museum was free and freely available, any given student would still need to access a letter of reference and the time to go to the Museum (as well as the material means to acquire the portfolio, paper, and chalks anticipated by the Trustees). The opening hours for students militated against anyone attending who had to use these daylight hours for work, a point which was made quite often with reference to the Reading Room through this period. 63 The most assiduous students needed the time free to study at the British Museum, something that well-off students like Eastlake, Brockedon, Briggs, and Monro had readily available to them. Their peers at the Academy who were obliged to work during the day to make a living, or who were serving apprenticeships, would simply not be able to make the hours available at the Museum. 64 The ambitious painter Thomas Christmas was free to attend the Museum, having dedicated himself to study after working as a clerk, but his brother, Charles George Christmas, who held down a job in the Audit Office, would have struggled; accounting for his studies at the Academy, he had told Farington, “He shd. continue to do the business at the Auditors' Office, Whitehall, which occupies Him from 10 oClock till 3 each day, as it will keep His mind free from anxiety abt. His means of living and leave Him with a feeling of independence.” 65 Given that the students were admitted to the Townley Gallery from noon to 4 o’clock in the afternoon, and that the Trustees continued to prohibit the use of artificial lights in the Museum, there was scarcely any real possibility of Charles George Christmas attending, although he also enjoyed the comforts of a middle-class home background (their father was a Bank of England official). With the ascent of utilitarian criticism, visitor levels were turned to anew as a measure of the institution’s fulfilment or failure to fulfil its “national” purpose. On strictly statistical terms, the Museum seemed to be successful at providing opportunities for art students. Only under the closest scrutiny, with attention to the “micro-history” of individual lives, does that illusion start to be tested. It is, though, at this “micro” level that we can apprehend the characteristic paradox of an emerging cultural modernity, one that is still with us. Yet the point, to follow Rancière, is not to see the past ascent of a present situation, but to force ourselves to feel uneasy with that sense of recognition and its tacit model of history. The evidence is that free access to culture and the (circumscribed) promotion of equality were combined with socially restrictive patterns of preferment. 66 Study at the British Museum may have been free, and freely available to properly qualified students of the Academy, but you needed to be in the right place at the right time, to have the time available, and, indeed, to know or at least be able to access the right people, to get in. This point may seem unduly sociological or even tendentious, but overlooking it involves a denial of the socially invested nature of time, specifically, of the scholastic time (given over to study or contemplation or to creation) mythically removed from the influence of social forces. 67 The acts of nomination which saw certain men and women given special access to the Townley Gallery, acts so seemingly trivial in themselves involving perhaps only an exchange of words and a scribbled note, were microcosmic manifestations of social authority of the most far-reaching kind. 68 When Robert Butt, the principal manager of the bronze and porcelain department at Messrs Howell & James, Regent-street, was examined by the Select Committee on Arts and Manufactures in 1835, he noted: The process by which a knowledge of the arts of painting and sculpture is now acquired is this: a young man receives tuition from a private master; he draws from the antique at the British Museum for a certain time, and when he shows that he has sufficient talent to qualify him for a student of the Royal Academy he is admitted; but the expense of acquiring that preliminary knowledge is considerable, and the young artist must also be maintained by his relatives during the time that he is acquiring it. 69 The following year, in a further parliamentary committee, this time dedicated to testing out the British Museum’s claims to public status, James Crabb, “House Decorator” of Shoe Lane, Fleet Street, was asked, “Did you ever obtain any assistance, by means of casts, from the better specimens of sculpture in the Museum or elsewhere?”, to which he replied, “I should derive assistance from them if I had the opportunity, but I have not time.” 70 Considered sociologically, as the personal experience of these men seems to have obliged them to do, time was certainly of the essence. The prevalence of students with secure middle-class backgrounds at the British Museum might, then, be taken as evidence of an early phase in the “middle-classification” of art practice, the awkward but evocative phrase used recently by Angela McRobbie in her eye-opening observations of careers in the present-day creative industries. 71 Whatever emphasis may be put on equality of access to educational opportunity, however rigorously fairminded and anonymized the tests and measures involved in admission procedures, without forms of positive support to counterbalance or actively adjust social inequalities, those same inequalities will tend to be reproduced, homologically, in the educational field. This is patently not a simple matter of social and material advantage underpinning artistic enterprise in a wholly predictable way; such would be a nonsense, in light of the many students who did not enjoy such advantages. Instead, it is the very flexibility built into the exclusionary processes of the emerging cultural field which is significant—the possibility that talented students could get access, gain reputation, achieve success, without being limited by their social origins. “Freeing” art education allowed for the expression of personal preferences or dispositions at an individual level, which at an aggregate level reproduced larger power relations. Exposing that ultimately exclusionary process, which may be marked only in small differences, in personal dispositions and behaviours, in the personal choices and decisions which are neither truly personal nor really pure as choices, is no small task. This essay, and the biographical survey accompanying it, with its details of a multitude of student lives otherwise scarcely recorded or recognized, is intended as a small contribution to that larger project, with the excess of data presented here perhaps imposing, in itself, new requirements on our understanding of the history of art education. Appendix Regulations for the admission of students of the Royal Academy to the Townley Gallery at the British Museum (May 1808): [7] That the students of the Royal Academy be admitted into the Gallery of Antiquities upon every Friday in the months of April, May, June, & July, & every day in the months of August and September, from the hours of twelve to four, except on Wednesdays and Saturdays the Students, not exceeding twenty at a time, to be admitted by a Ticket from the President and Council of the Royal Academy, signed by their Secretary. [8] The better to maintain decorum among the Students, a person properly qualified shall be nominated by the Royal Academy from their own body, who shall attend during the hours of study; the name of such person to be signified in writing, from time to time, by the Secretary of the Royal Academy to the Principal Librarian of the British Museum. [9] That the members of the Royal Academy have access to the Gallery of Antiquities at all admissible times, upon application to the Principal Librarian or the Senior under Librarian in Residence [10] That on the Fridays in April, May June & July one of the officers of the Department of Antiquities do attend in the Gallery of Antiquities according to Rotation in discharge of his ordinary Duty. [11] That in the months of August & September some one of the several Officers of the Museum, then in Residence, do (according to a Rotation to be agreed upon by themselves & confirmed by the Principal Librarian) attend on the Gallery upon the Days for the admission of Students. [12] That the attendants in the Department of Antiquities be always present in the Gallery during the times when the Students are admitted. 72 Footnotes The original register is held in the Keeper’s Office, Department of Prints and Drawings, British Museum. Patrick Joyce, “Speaking up for the State” (2014), https://www.opendemocracy.net/ourkingdom/patrick-joyce/ speaking-up-for-state. These points are made in light of a larger research project, which has given rise to the present study: a biographical survey of all the students of paintings, sculpture, and engraving who were active at the Royal Academy schools between its foundation in 1769 and 1830 together with a monograph, provisionally titled The Talent of Success: The Royal Academy Schools in the Age of Turner, Blake and Constable, c. 1770–1840 (forthcoming). This fuller survey indicates several important shifts over these decades, including a fundamantal shift in the proportion of students coming from family backgrounds in the arts and design-oriented trades, in comparison with those coming from professional and genteel backgrounds. It exposes, specifically, a new group whose fathers were engaged as “officers”, in the civil service or bureaucratic roles, who in turn had a disproportionate representation within the developing art establishment (as Academicians, or as officials in other cultural bodies). The term “art world”, as designating a space of co-production, stems from Howard S. Becker, Art Worlds (1984), rev. edn (Berkeley, CA: University of California Press, 2008). As deployed here, it is closer in conception to the sociological “field” as detailed by Pierre Bourdieu across a succession of influential works. Notable among these, for present purposes because of its methodological statement about the homological analysis of the world (field) of art in relation to the field of power, is The Rules of Art, trans. Susan Emanuel (Cambridge: Polity Press, 1996), esp. 214–15. See, notably, the chapter on “Workers in Art” in Samuel Smiles’s Self-Help, first published 1859 with numerous further editions. On the self-motivated artist as the model for all forms of work, see Angela McRobbie, Be Creative: Making a Living in the New Culture Industries (Cambridge: Polity Press, 2016), esp. 70–76. Holger Hoock, The King’s Artists: The Royal Academy of Arts and the Politics of British Culture, 1760–1840 (Oxford: Oxford University Press, 2003) and Hoock, “The British State and the Anglo-French Wars Over Antiquities, 1798–1858”, Historical Journal 50, no. 1 (2007): 49–72. Patrick Joyce, The Rule of Freedom: Liberalism and the Modern City (London: Verso, 2003) and Joyce, The State of Freedom: A Social History of the British State Since 1800 (Cambridge: Cambridge University Press, 2013); also his “What is the Social in Social History?”, Past and Present 206, no. 1 (2010): 213–48. On this Foucauldian framing of art education and creative production within liberalism, see McRobbie, Be Creative, 71–76 and passim. Karl Polanyi, The Great Transformation: The Political and Economic Origins of Our Time (1944; Boston, MA: Beacon Press, 2002); Michel Foucault, The Birth of Biopolitics: Lectures at the Collège de France, 1978–1979, ed. Michel Sennelert, trans. Graham Burchell (Basingstoke: Palgrave Macmillan, 2008); Luc Boltanski and Eve Chiapello, The New Spirit of Capitalism, trans. Gregory Elliott (London and New York: Verso, 2007); Pierre Bourdieu, On the State: Lectures at the Collège de France, 1989–1992, ed. Patrick Champagne and others, trans. David Fernbach (Cambridge: Polity Press, 2014). See Edward Higgs, Identifying the English: A History of Personal Identification 1500 to the Present (London: Bloomsbury, 2011), 97–119. Higgs’s account is, essentially, positive about the liberties and rights secured by this rising documentation. The position taken here is more determinedly Foucauldian. For the foundational role of statistics in “liberalisation”, and the hidden affinities between the liberal and the totalitarian, see Michael Foucault, “Society Must Be Defended”: Lectures at the Collège de France, 1975–76, ed. Mauro Bertani and Alessandro Fontana, trans. David Macey (London: Penguin, 2004). Foucault, Birth of Biopolitics, 69. A biographical dictionary of Royal Academy students from 1769–1830. See note 3, above. Jacques Rancière, The Method of Equality: Interviews with Laurent Jeanpierre and Dork Zabunyan, trans. Julie Rose (Cambridge: Polity Press, 2016), 108. Neil Chambers, Joseph Banks and the British Museum: The World of Collecting, 1770–1830 (London: Routledge, 2007), 107. The register is mentioned in the notice of Seymour Kirkup in G. E. Bentley, Blake Records, 2nd edn (New Haven, CT, and London: Yale University Press, 2004), 289n. Kirkup was an unusually assiduous student at the Museum, admitted in 1809 and renewing his ticket through to 1812. The reference in Bentley appears to be the only published reference to the register. The admission of the Paytherus sisters to draw at the Museum is noted by James Hamilton in his London Lights: The Minds that Moved the City that Shook the World, 1805–51 (London: John Murray, 2007), 72, although with reference to the early Reading Room register (marked “1795”) in the British Museum Central Archive, rather than the volume in Prints and Drawings. See J. T. Smith, Nollekens and his Times, 2 vols., 2nd edn (London: Henry Colburn, 1829), 1: 242. Viccy Coltman, Classical Sculpture and the Culture of Collecting in Britain since 1760 (Oxford: Oxford University Press, 2009), 242–44. See B. F. Cook, The Townley Marbles (London: British Museum Press, 1985) and Ian Jenkins, Archaeologists and Aesthetes in the Sculpture Galleries of the British Museum, 1800–1939 (London: British Museum Press, 1992). Chambers, Joseph Banks, 107. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 Derek Cash, “Access to Museum Culture: The British Museum from 1753 to 1836”, British Museum Occasional Papers 133 (2002), 68. http://www.britishmuseum.org/research/publications/research_publications_series/2002/ access_to_museum_culture.aspx. The British Museum, Central Archive, C/1/5/1029–30. Library of the Royal Academy of Arts, London, CM/4/50–52. Library of the Royal Academy of Arts, London, CM/4/59. The British Museum, Central Archive, C/1/5/1034. The British Museum, Central Archive, C/1/5/1043–144. Cf. “Chapter III: Concerning the Admission into the British Museum”, in Acts and Votes of Parliament, Statutes and Rules, and Synopsis of the Contents of the British Museum (London, 1808), 15–16. Joseph Farington, The Diary of Joseph Farington, ed. Kenneth Garlick, Angus Macintyre, and others, 17 vols. (New Haven, CT, and London: Yale University Press, 1978–98), 9: 3284. Library of the Royal Academy of Arts, London, GM/2/366, 370. Library of the Royal Academy of Arts, London, GM/2/371. Library of the Royal Academy of Arts, London, GM/2/372–73. Diary of Joseph Farington, 9: 3313. Diary of Joseph Farington, 9: 3317. Diary of Joseph Farington, 9: 3284. The British Museum, Central Archive, C/3/9/2426. The British Museum, Central Archive, C/3/9/2428. The British Museum, Central Archive, C/1/5/1069. The British Museum, Central Archive, C/1/5/1070. The arrangement of the galleries was first detailed in a written description provided by Westmacott for Prince Hoare’s Academic Annals (London, 1809) and in Taylor Combe’s A Description of the Ancient Marbles in the British Museum, 3 vols. (London, 1812–17). See Cook, Townley Marbles, 59–61. Karl Friedrich Schinkel, “The English Journey”: Journal of a Visit to France and Britain in 1826, ed. David Bindman and Gottfried Riemann (New Haven, CT, and London, 1993), 74. The record of admissions to view prints and drawings must have arisen from the new regulations issued by the Trustees in November 1814; see, Antony Griffiths, “The Department of Prints and Drawings during the First Century of the British Museum”, The Burlington Magazine 136, 1097 (1994): 536. In March 1817 the student artist William Bewick wrote to his brother: “I last Monday set my name down as a student in the British Museum.” See Thomas Landseer, ed., Life and Letters of William Bewick (Artist), 2 vols. (London: Hurst and Blackett, 1871), 1: 37. Edward Nygren, “James Ward, RA (1769–1859): Papers and Patrons”, Walpole Society 75 (2013): 16. Jack Tupper, “Extracts from the Diary of an Artist. No.V”, The Crayon, 12 December 1855, 368. An album of drawings of the Townley Marbles in the British Museum (2010,5006.1877.1–40) appears to have been collected by Townley himself, so dates to before the installation of the marbles at the Museum. The drawings serve as records of the objects rather than student exercises. The drawings by John Samuel Agar in the Getty Research Institute are evidently preparatory for the prints published in Specimens of Antient Sculpture. BL Add MS 37,163 f.106. This and other figures in the Townley collection could also be found as casts in the Royal Academy’s plaster schools, so even if Wood’s drawing, for example, could be traced, it could not definitively be said to be made in the Townley Gallery. See Ann Chumbley and Ian Warrell, Turner and the Human Figure: Studies of Contemporary Life, exh. cat. (London: Tate Gallery, 1989), 12–13. Eric Shanes, Young Mr Turner: The First Forty Years, 1775–1815 (New Haven, CT, and London: Yale University Press, 2016), 33–34. Hansard (House of Commons), 16 February 1821, c.724 (online at http://hansard.millbanksystems.com/commons/ 1821/feb/16/british-museum). See Cash, “Access to Museum Culture”, 197–225 for a full account of public discussions around this date. Quoted in Cash, “Access to Museum Culture”, 208. British Museum: Returns to two Orders of the Honourable House of Commons, dated 16 th February 1821, House of Commons, 23 February 1821, 2. Cash “Access to Museum Culture”, 71. Quoted in The Literary Chronicle, 17 March 1821, 168. Edward Edwards, Lives of the Founders of the British Museum (London: Trübner and Co., 1870), 520. 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 Bibliography Acts and Votes of Parliament, Statutes and Rules, and Synopsis of the Contents of the British Museum. London, 1808. Becker, Howard S. Art Worlds (1984). Rev. edn. Berkeley, CA: University of California Press, 2008. Bentley, G. E. Blake Records. 2nd edn. New Haven and London: Yale University Press, 2004. Boltanski, Luc, and Eve Chiapello. The New Spirit of Capitalism. Trans. Gregory Elliott. London and New York: Verso, 2007. See Martin Myrone, “Something too Academical: The Problem with Etty”, in William Etty: Art and Controversy, ed. Sarah Burnage, Mark Hallett, and Laura Turner (London: Philip Wilson, 2011), 47–59. The barest and most conjectural biographies include those for William Carr of New Broad Street; W. W. Torrington; Edward Thomson; Richard Moses; and Mr Lewer. Information is most notably lacking for the trio of Miss Cowper, Miss Moula, and Mr Turner of Gower Street; William Hamilton of Stafford Place; William Irving of Montague Street; Thomas Williams of Hatton Garden; Daniel Jones; M. Hatley of Albermarle Street; Miss Edgar; Miss Carmichael of Granville Street; Mr Atwood; Mr Higgins of Norfolk Street; George Pisey of Castle Street; Charles White of George Street; Robert Walter Page of Wigmore Street; Henry A. Matthew; Thomas Welsh; and John Hall. Students were entered as “probationers” for a period of three months (which might be extended), and once registered could attend the Schools for a period of ten years. Ralph Irvine; Arthur Champernowne; the Chevalier de Barde; John Disney; John Campbell; Edward Utterson; John Lambert; Robert Batty; Alexander Huey; Richard Thomson; Charles Toplis; John Frederick Williams; Edward Burrows; William Carr; W. W. Torrington. Jane Landseer; Janet Ross; Georgiana Ross; the two Misses Paytherus; H. Edgar; Maria Singleton; Elizabeth Appleton; Louisa Champernowne; Miss Carmichael; Elizabeth Batty; Frances Edwards; Eliza Kempe; Ann Damer; Miss Cowper; Miss Moula; Miss Trotter; Miss Adams; Sarah Newell; Emma Kendrick; Jane Gurney. Gentleman’s Magazine (1820) and A Trip to Paris in August and September (1815), quoted by William T. Whitley in his Art in England, 1800–1820 (London: Medici Society, 1928), 263, as evidence that “It was still thought improper for women to study from such figures” as the Apollo Belvedere. Cash, “Access to Museum Culture”, 113. As the American Samuel F. B. Morse (a student at the Royal Academy and the British Museum) noted in 1811: “I was surprised on entering the gallery of paintings at the British Institution, at seeing eight or ten ladies as well as gentlemen, with their easels and palettes and oil colours, employed in copying some of the pictures. You can see from this circumstance in what estimation the art is held here, since ladies of distinction, without hesitation or reserve, are willing to draw in public.” See Edward Lind Morse, ed., Samuel F. B. Morse: His Letters and Journals, 2 vols. (Boston, MA: Houghton Mifflin, 1914), 1: 45. Lists of students admitted to copy at the British Institution appear in the Directors’ minutes, NAL RC V 12–14, and in contemporary press reports. Individuals admitted to copy at Dulwich Picture Gallery were routinely listed in the “Bourgeois Book of Regulations” from 1820; photocopies and notes at Dulwich Picture Gallery, C1 and H3. This is expecially clearly expressed in James Ward’s diary notes on his visits in 1817, meeting there the artists William Skelton, Joseph Clover, Henry Fuseli, and William Long, but also the gentlemen collectors and scholars William Lock, Edward Utterson, and Francis Douce (Nygren, “James Ward”). See Cash, “Access to Museum Culture”, 217 and passim. Although the timing of the Academy’s evening classes might seem to be more accommodating, even this may have been challenging. The master of Richard Westall, later a watercolour painter, “permitted him to draw at the Royal Academy, in the evenings; but for that indulgence he worked a corresponding number of hours in the morning”. Gentleman's Magazine, February 1837, 213. Diary of Joseph Farington, 4: 4783. On educational tests as linking “macro” and “micro”, “both sectoral mechanisms or unique situations and societal arrangements”, see Boltanski and Chiapello, New Spirit of Capitalism, 32. See Pierre Bourdieu, Pascalian Meditations, trans. Richard Nice (Stanford, CA: Stanford University Press, 2000). “Acts of nomination, from the most trivial acts of bureaucracy, like the issuing of an identity card, or a sickness or disablement certification, to the most solemn, which consecrate nobilities, lead, in a kind of infinite regress, to the realization of God on earth, the State, which guarantees, in the last resort, the infinite series of acts of authority certifying by delegation the validity of the certificates of legitimate existence”, Bourdieu, Pascalian Meditations, 245. The potentially trivial nature of the acts of nomination involved in gaining access to the British Museum is highlighted in Joseph Planta’s own account of providing recommendations (for the Reading Room) often only on the basis of casual conversations. See Cash, “Access to Museum Culture”, 207. Report of the Select Committee on Arts and Manufactures, House of Commons, 4 September 1835, 40. Report of the Select Committee on the British Museum, quoted in Edward Edwards, Remarks on the “Minutes of Evidence” Taken before the Select Committee on the British Museum, 2nd edn (London [1839]), 14. McRobbie, Be Creative. The British Museum, Central Archive, C/1/5/1043–144. 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 Bourdieu, Pierre. On the State: Lectures at the Collège de France, 1989–1992. Ed. Patrick Champagne and others. Trans. David Fernbach. Cambridge: Polity Press, 2014. – – –. Pascalian Meditations. Trans. Richard Nice. 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casalegno, paolo. Italian philosopher author of “H. P. Grice” in “Filosofia del linguaggio.”

 

cattaneo: essential Italian philosopher. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Cattaneo," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Carchia – ars amandi – filosofia romana – Luigi Speranza (Torino). Grice:”I once joked that if I’m introduce dto Mr. Poodle as ‘our man in eighteenth century aesthetics, the implictum is that he ain’t good at it! Not with Carchia: because (a) Carchia is a serious philosopher (b) he conceives aesthetics alla Baumagarten, having to do with communication  (“nome e immagine”, “interpretazione ed emancipazione”) and with not just the aesthetis qua sensus – but its truth value (“immagine e verita,” “l’intelligible estetico”) – a genius! On topc, my favourite piece of his philosophising is on the torso del belvedere as representing the ‘rhetoric of the sublime’!” Si laurea a Torino sotto Vattimo con la dissertazione “Il Linguaggio”. Insegna a Viterbo e Roma. Studioso di filosofia antica, traduttore. Opere: Orfismo e tragedia; Estetica ed erotica; Dall'apparenza al mistero; La legittimazione dell'arte; Arte e bellezza; L'estetica antica, ecc.  Si è anche occupato, di arte e comunicazione dei popoli 'primitivi' e di artisti contemporanei quali Savinio, Sbarluzzi e Lanzardo. La casa editrice Quodlibet raccoglie le sue opere postume. Rusce ad immaginare la filosofla, a porla in immagini -- nel solco della filosofia italiana dall'Umanesimo a Vico. Minima immoralia. Aforismi tralasciati nell'edizione italiana (Einaudi, 1954), Milano: L'erba voglio); Comunità e comunicazione (Torino: Rosemberg & Sellier); prefazione e cura di Henry Corbin, L'imâm nascosto, Milano: Celuc, 1979; Milano: SE); Orfismo e tragedia. Il mito trasfigurato, Milano: Celuc); Estetica e antropologia. Arte e comunicazione dei primitivi, Torino : Rosemberg & Sellier); Erotica. Saggio sull'immaginazione, Milano: Celuc) L'intelligibile (Napoli: Guida); Dall'apparenza al mistero. La nascita del romanzo, Milano: Celuc); Il mito in pittura. La tradizione come critica, Milano: Celuc); cura di Arnold Gehlen, Quadri d'epoca. Sociologia e estetica della pittura moderna, Napoli: Guida) Retorica del sublime, Roma-Bari: Laterza); Il bello (Bologna: Il Mulino); Interpretazione ed emancipazione. Torino: Dipartimento di ermeneutica); introduzione a Karl Löwith, Scritti sul Giappone, Soveria Mannelli: Rubbettino); “La favola dell'essere. Commento al Sofista” (Macerata: Quodlibet); Estetica, Roma-Bari: Laterza);  L'estetica antica, Roma-Bari: Laterza); L'amore del pensiero, Macerata: Quodlibet); Nome e immagine (Benjamin, Roma: Bulzoni); Immagine e verità. Studi sulla tradizione classica, Monica Ferrando, prefazione di Sergio Givone, Roma: Edizioni di storia e letteratura, 2003  88-8498-112-3 Kant e la verità dell'apparenza, Gianluca Garelli, Torino: Ananke, 2006  88-7325-151-X introduzione a Walter Friedrich Otto, Il poeta e gli antichi dèi, Rovereto: Zandonai. L’immaginazione come orizzonte nomade della conoscenza. Produttività e trascendentalità dell’immaginazione nella critica del giudizio. L’immaginazione senza immagini. La notte delle immagini, il ricordo, la memoria. L’immaginazione come autotrasparire dell’apparenza rappresentativa. Naturalismo simbolico e simbolica naturale. Angelologia. Alighieri: spiritus phantasticus e alta fantasia. Gemellarità dell’immaginazione gnostica. L’immaginazione speculativa. Simbolismo e imagismo. Il fantastico come ideologia. Il romantico. L’immaginazione come dimora del padre. Demone e allegoria. La forza del nome. Icona e coscienza sofianica. Mistica. Mimesi e metessi. La nuova accademia: l’estetico. Paradigma, schema, immagine. Gianni Carchia. Keywords: ars amandi, erotica, il bello, la comunicazione dei primitivi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carchia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51775426728/in/dateposted-public/

 

Grice e Cardano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pavia). Filosofo. Grice: “I’m sure Cardano does not mean chance by aleae! It’s a Roman notion, not an Arabic one!” Grice: “Cardano is a fascinating philosopher, but then so is I [sic]!” Grice: “My faavourite philosophical topic by Cardano is what he calls, well, his Italian translators call – recall that Italian philosophy is written in the ‘learned’! – ‘gioco d’azzardo’, ludo alaea – which is what conversation is – what is conversation is not a game of azzardo? But Cardano also refutes all that Malcolm says about ‘dreaming,’ never mind Freud – Italians are obsessed with a male sleeping: Rinaldo, Tasso, Botticelli (“sleeping Mars”), not to mention the search for the Etruscan equivalent to ‘oneiron,’ the god – one of my most precious souvenirs is a little medal of Cardano: not so much for his very Roman nose (charming as it is) but for the backside, which represents Oneiron, indeed, aong the ladies!” Poliedrica figura del Rinascimento. Riconosciuto come il fondatore della probabilità, coefficiente binomiale e teorema binomial. A lui si deve anche la parziale invenzione dell’ implicatura e della serratura, della sospensione cardanicache permette il moto libero, ad esempio, delle bussole nautiche ed è alla base del funzionamento del giroscopioe della riscoperta del giunto cardanico. Animos scio esse immortales, modum nescio. So che l'anima è immortale, ma non ho capito come funzioni la cosa. Figlio del nobile Fazio, un giurista esperto nella matematica tanto da essere consultato da da Vinci su alcuni problemi di geometria.  Fazio conobbe a Milano la vedova, madre di tre figli, Chiara Micheri (o de Micheriis) di cui s'innamora iniziando con questa, che vive con la famiglia del defunto marito, una relazione clandestina che porta al concepimento di un quarto figlio. Per non essere coinvolto nello scandalo prega un suo amico di Pavia, il patrizio Isidoro Resta, affinché assumesse Chiara come governante nella sua casa. Prima che lei partorisse, i suoi tre figli morirono quasi contemporaneamente di peste e lei tenta allora di abortire, senza riuscirci, del nascituro che ebbe il nome di Gerolamo e che lasciò scritto nella sua autobiografia. Dopo che mia madre tenta senza risultato dei preparati per abortire, vengo alla luce a Pavia. Come morto, infatti, sono nato, anzi sono stato strappato al suo grembo, con i capelli neri e ricciuti. Il bambino contrasse la peste dalla sua balia, che ne morì, e fu allevato da altre nutrici. E trasferito a Milano dal padre che anda ad abitare con lui solo quando ha solo sette anni, età in cui prese ad accompagnare il padre nei suoi viaggi d'affari. Essendo delicato di salute, si ammala gravemente. Solo dopo una lunga convalescenza poté riprendere a viaggiare con il padre dedicandosi nel frattempo agli studi di filosofia, nei quali ha modo di eccedere per le sue doti quando puo iscriversi a Pavia e Mantova per studiare filosofia, contrariamente ai desideri del padre che avrebbe preferito avviarlo agli studi giuridici.  Lasciata Milano in preda alla peste e sconvolta dalla guerra francese, si trasfere a Padova e si laurea a Venezia. E oggetto dell'astio che molti tutori hanno nei confronti di quello tutee geniale ma dal carattere scontroso e talora offensive. Sono poco rispettoso e non ho peli sulla lingua, soprattutto mi lascio trascinare dall'ira, al punto che poi mi dispiace e me ne vergogno. Riconosco che tra i miei vizi ce n'è uno molto grande e tutto particolare: quello di non riuscire a trattenermianzi ne gododal dire a chi mi ascolta ciò che gli risulta sgradevole udire. Persevero in questo difetto coscientemente e volontariamente, pur sapendo quanti nemici da solo mi abbia procurator. Nel frattempo a Milano e morto il padre che ha regolarizzato la sua convivenza sposando la madre del filosofo.  Non potendo tornare a Milano per l'epidemia e la guerra, prese dimora a Piove di Sacco. Esercita la sua professione a Gallarate.  Ottenne la cattedra per l'insegnamento della filosofia presso le scuole Piattine di Milano, dove aveva insegnato anche il padre. La sua fama di esperto dottore si accrebbe per aver risanato alcuni membri della famiglia Borromeo. Dovette rifiutare alcuni incarichi di prestigio perché non retribuiti fino a quando e ammesso nel Collegio dei medici di Milano. Accetta di ricoprire la cattedra di filosofia a Pavia, rifiutando le offerte che gli venivano reiterate dal papa Paolo III. Cura, con esiti positivi, l'arcivescovo di Edimburgo John Hamilton, malato d'asma. Intuì probabilmente la natura allergica della malattia proibendo a Hamilton di usare cuscini e materassi di piume. Per aumentare la sua fama volle fare l'oroscopo all'arcivescovo e al re, e lesse nelle stelle un futuro radioso per entrambi. Hamilton fu impiccato quasi subito dai riformatori. Il re muore di tubercolosi. Rifiuta le prestigiose e ben retribuite offerte del re di Francia e della regina di Scozia.  Colpito da un doloroso avvenimento riguardante il figlio Giovanni Battista, medico anche lui, che, nonostante gli avvertimenti del padre, aveva voluto sposare una donna povera e di cattivi costume. Per necessità economiche il figlio coabita dai parenti della moglie avviando una convivenza caratterizzata dalla nascita successiva di tre figli e da continui litigi dovuti anche alle infedeltà della moglie che egli decise di uccidere, con la complicità di una serva, facendole mangiare una focaccia avvelenata con l'arsenico. Arrestato subito per uxoricidio, il figlio confessa il delitto e dopo un veloce processo, nonostante la difesa con tutti i mezzi messa in atto dal padre, fu condannato alla decapitazione. Gerolamo, convinto che la durezza della condanna fosse dovuta all'invidia dei suoi colleghi, per sfuggire alle malevole voci che lo accusavano di intrattenere rapporti illeciti con i suoi tutee, si trasfere a Bologna. Venne ulteriormente amareggiato dalla condotta scapestrata del figlio Aldo che lo diffama per tutta la città e che arriva a derubarlo così che il padre dovette denunciarlo alle autorità che espulsero il figlio dal territorio bolognese. A questa disgrazia si aggiunse inaspettata la notizia che si stava preparando contro di lui un'accusa di eresia tanto che il cardinale Giovanni Morone gli consigliò di lasciare il pubblico insegnamento della filosofia. Questa misura prudenziale non valse però a salvare Gerolamo che fu arrestato per eresia assieme al suo tutee Rodolfo Silvestri che non volle abbandonare il tutore. Non si conoscono le accuse che gli erano rivolte dall'Inquisizione. Tuttavia si era distinto per una certa imprudenza nei confronti della Chiesa, governata dal severo Papa Pio V, per aver compilato un oroscopo di Gesù, la cui vita così sarebbe stata decisa dalle stelle, scritto l'encomio di Nerone, persecutore dei cristiani, e soprattutto per i suoi confidenziali rapporti con i circoli protestanti frequentati dal suo tuteei, dal genero e dall'editore e tipografo dei suoi libri. Nonostante le testimonianze a suo favore di quasi tutti i suoi tutee, Cardano fu messo in carcere e poi agli arresti domiciliari sino a quando la Sacra Congregazione tramite l'inquisitore di Bologna gli impose la professione dell'abiura prima in forma grave (de vehementi) coram populo e successivamente in forma meno infamante (coram congregationem).  Si sottopose docilmente alla abiura promettendo in una lettera a papa Pio V di non insegnare più pubblicamente filosofia (la cattedra all'università gli era stata intanto tolta) e di non pubblicare altre opere.  Lasciata Bologna Cardano si trasfere, sotto la diretta protezione di Pio V, a Roma dove fu ben accolto ma gli fu negata una pensione che gli fu invece assegnata da Gregorio XIII che era stato suo tutee a Bologna..E ammesso al Collegio romano. Si dedica alla composizione della sua autobiografia De vita propria. Il punto focale della sua filosofia è il concetto rinascimentale di “uomo universale" che dà alla sua ricerca della verità un contenuto enciclopedico. Scrive più di duecento opere che solo in parte furono pubblicate nel XVI secolo e che, altrettanto parzialmente, confluirono nei dieci volumi della monumentale “Opera omnia” dove si trattano temi di metafisica, omosessualita, mascolinita, il machio, il maschile, la medicina, scienze naturali, matematica, astronomia, scienze occulte, tecnologia. Egli, che si occupa anche della interpretazione dei sogni, della chiromanzia, della numerologia, del paranormale rende difficile distinguere nella sua filosofia il contenuti moderno del sapere dalle tradizioni metafisiche e magiche del passato. Vuole arrivare a una sistemazione unitaria della molteplicità dei saperi così che la nostra incerta conoscenza eviterebbe la confusione se potesse discendere dall'uno ai molti. Ma questo obiettivo, di origine neo-platonica, sfugge però all'uomo il quale allora è preferibile che occupi il suo intelletto in quei campi dove riesce, quasi come un dio creatore o ‘genitore’ – o ingegnero, a fare le cose. Questo avviene nell’aritmetica che si incarna nell'esperienza in un rapporto astratto-concreto la cui definizione ancora non è in grado di elaborare  Dopo aver analizzato nel “De subtilitate” i molteplici principi delle cose naturali e artificiali, si rivolge allo studio di tutto l'universo e delle sue parti (De rerum varietate), che concepisce come legate da sim-patia (attrazione) e anti-patia (repulsione) fra gli astri e l'uomo) e connessioni che consentono al filosofo, che conosce il linguaggio della natura e gli effetti degli influssi astrali sulla vita sessuale umana, di compiere quei "miracoli naturali" che sono le magie, di elaborare previsioni astrologiche e di stendere gli oroscopi delle religioni come quello dedicato a Cristo.  Il contributo in matematica  Noto soprattutto per i suoi contributi all'aritmetica, pubblica le soluzioni dell'equazione cubica e dell'equazione quartica nella sua “Ars magna”. Parte della soluzione dell'equazione cubica gli era stata comunicata da Tartaglia. Successivamente questi sostenne che Cardano aveva giurato di non renderla pubblica e di rispettarla come di sua origine. Si avvia così una disputa che dura un decennio. Cardano sostenne di averne pubblicato il testo solo quando era venuto a sapere che il Tartaglia avrebbe appreso la soluzione dalla voce dal bolognese Scipione del Ferro. La soluzione di Tartaglia, pur essendo successiva a quella di Scipione Dal Ferro (comunque mai pubblicata), risulta essere indipendente da questa. La soluzione della equazione cubica è detta comunque di Cardano-Tartaglia. L'equazione quartica venne invece risolta da Lodovico Ferrari, un tutee di Cardano. Nella prefazione dell'“Ars Magna” vengono accreditati sia Tartaglia che Ferrari. Nei suoi sviluppi delle soluzioni occasionalmente si serve del concetto di numero complesso, ma senza riconoscerne l'importanza come invece saprà fare Bombelli. Nell'ambito della scienza medica, l'esempio di Vesalio, che negli stessi anni aveva contestato l'anatomia galenica, spinse Cardano a definire Galeno un cattivo interprete di Ippocrate. Le sue critiche a Galeno erano comunque presentate come parte integrante di un tentativo di recuperare una tradizione ancora più antica e, si presumeva, più autentica. Fu il primo a descrivere la febbre tifoide. Venne invitato in Scozia a curare l'Arcivescovo di Sant'Andrea che soffe di asma probabilmente d'origine allergica. Seguendo i precetti di Maimonide riusce a guarirlo utilizzando delle cure modernissime per l'epoca: eliminare piume e polvere e mantenere una dieta controllata. Al ritorno dalla Scozia si ferma a Londra, dove incontrò il re d'Inghilterra per il quale redasse un oroscopo secondo il quale prospetta Edoardo VI una lunga vita seppure turbata da alcune malattie. La sua fama di si diffuse in Inghilterra tanto da interessare Shakespeare che nella "Tempesta" rappresenta un personaggio molto simile a Cardano ed inoltre una prova della sua perdurante popolarità può essere vista nel fatto che un’edizione del suo ‘De Consolatione’ è proprio il libro che Amleto tiene in mano quando recita il suo celeberrimo monologo ‘Essere o non essere’. De subtilitate e il libro che Amleto tiene in mano all'inizio del secondo atto, quando Polonio gli domanda cosa stia leggendo e lui risponde: "parole, parole, parole". Progetta inoltre svariati meccanismi tra i quali:  la serratura a combinazione; la sospensione cardanica, consistente in tre anelli concentrici collegati da snodi, in grado di ospitare una bussola o un giroscopio, garantendo la libertà di movimento dello strumento; il giunto cardanico, dispositivo che consente di trasmettere un moto rotatorio da un asse a un altro di diverso orientamento e viene tuttora usato in milioni di veicoli. Ma pare fosse già conosciuto, anche se porta il suo nome perché appare nella sua opera De Rerum Varietate  in una illustrazione navale. L'invenzione di questo tipo di giunto in realtà risale almeno al III secolo a.C., ad opera di scienziati greci come Filone di Bisanzio, che nella sua opera Belopoiika lo descrive chiaramente. Egli dette svariati contributi anche all'idrodinamica. Sostene l'impossibilità del moto perpetuo, con l'eccezione dei corpi celesti. Pubblica anche due opere enciclopediche di scienze naturali che contengono un'ampia varietà di invenzioni, fatti ed enunciati afferenti all'occultismo e alla superstizione: il De Subtilitate e successivamente il De Varietate. Introdusse la griglia cardanica, un procedimento crittografico.A Cardano è attribuito anche il gioco rompicapo descritto nel De subtilitate, ma probabilmente risalente a un periodo più antico, chiamato Gli anelli di Cardano. Altre opere: Della sua vita avventurosa e molto travagliata, rimane testimonianza nella sua autobiografia. Ebbe spesso problemi di denaro e per cavarsela si dedicò ai giochi d'azzardo per i quali ha una vera passione di cui si pente. Così ho dilapidato contemporaneamente la mia reputazione, il mio tempo e il mio denaro. (zeugma – segnato da ‘dilapidare’ – denaro, dilapidare il suo tempo, dilapidare la sua reputazione. Pubblica un saggio sulle probabilità nel gioco, “De ludo aleae” che contiene la prima trattazione sistematica della probabilità, insieme a una sezione dedicata a metodi per barare efficacemente. Oltre alla produzione dialettica, di carattere più strettamente filosofico sono invece il De subtilitate e il De rerum varietate, ampie raccolte delle sue osservazioni empiriche e delle sue speculazioni occultistiche.  Della sua produzione filosofica sterminata possono considerarsi come le opere più importanti:  De malo recentiorum medicorum usu libellus, Venezia, 1536 (medicina). Practica arithmetice et mensurandi singularis, Milano. Artis magnae sive de regulis algebraicis liber unus (conosciuta anche come Ars magna), Nuremberg. De immortalitate. Opus novum de proportionibus. Contradicentium medicorum. De subtilitate rerum, Norimberga, editore Johann Petreius (fenomeni naturali). De libris propriis, De restitutione temporum et motuum coelestium; De duodecim geniturarum -- commento astrologico a dodici nascite illustri. De rerum varietate, Basilea, editore Heinrich Petri. Fenomeni naturali. De signo. De causis, signis, ac locis Morborum. Bologna. Opus novum de proportionibus numerorum, motuum, ponderum, sonorum, aliarumque rerum mensurandarum. Item de aliza regula, Basilea (matematica). De vita propria. Proxeneta  (politica).  Metoscopia libris tredecim, et octingentis faciei humanae eiconibus complexa, Liber de ludo aleae, postumo (probabilità). Le sue opere vennero raccolte e pubblicate a Lione  in 10 volumi. L’Encomio di Nerone. A lui è dedicato il cratere lunare Cardano e un asteroide. È intitolato a lui l'Istituto  "G. Cardano" della sua città natale, nel cui cortile interno è posta una scultura che rappresenta il giunto cardanico, nonché infine l'omonimo collegio universitario pavese.  La blockchain "Cardano" (ADA) prende il suo nome, in quanto basata su un approccio scientifico e matematico. Della mia vita. Somniorum synesiorum omnis generis insomnia explicantes (Basilea). tti del Convegno, Castello Visconti di San Vito, Somma Lombardo, Varese ed. Cardano); Università Bocconi. Equazione di terzo grado"  Il Rinascimento. Omeopatia e allergie, Tecniche Nuove); Cardano, Edizioni Cardano, Il Prospero della "Tempesta”  somiglia tanto a Cardano in Corriere. La tecnologia scientifica, in La rivoluzione dimenticata: il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Feltrinelli Editore); Il libro della mia vita, Cerebro editore); Della mia vita, Alfonso Ingegno, Serra e Riva editori, Milano). La formula segreta. Il duello matematico che infiammò l'Italia del Rinascimento. ileae, per Ludouicum Lucium); “De propria vita” (Milano, Sonzogno). Lugduni, sumptibus Ioannis Antonii Huguetan & Marci Antonii Ravaud. Aforismi (Milano, Xenia). Palingenesi. Dizionario biografico degli italiani. Il filosofo quantistico. L’avventure di Cardano, filosofo e giocatore d'azzardo (Bollati Boringhieri, Torino Edizione); “La mia vita” (Milano, Luni). Che sfortuna essere un genio. Indice delle Opera omnia Volume 1  Frontespizio  Lettera dedicatoria  Praefatio  Vita Cardani per Gabrielem Naudaeum  Testimonia  Elenchus generalis  Index librorum tomi primi  Previlege du roy 1.1De vita propria    Le redazioni del 1544, 1557 e 1562    (Archivio) 1.2De libris propriis (Archivio) 1.3De Socratis studio (Archivio) 1.4Oratio ad I. Alciatum Cardinalem sive Tricipitis Geryonis aut Cerberi canis (Archivio) 1.5Actio in Thessalicum medicum (Archivio) 1.6Neronis encomium (Archivio) 1.7Podagrae encomium (Archivio) 1.8Mnemosynon (Archivio) 1.9De orthographia (Archivio) 1.10De ludo aleae  (Archivio) 1.11De uno (Archivio) 1.12Hyperchen (Archivio) 1.13Dialectica (Archivio) 1.14Contradictiones logicae (Archivio) 1.15Norma vitae consarcinata, sacra vocata (Archivio) 1.16Proxeneta (Archivio) 1.17De praeceptis ad filios (Archivio) 1.18De optimo vitae genere (Archivio) 1.19De sapientia (Archivio) 1.20De summo bono (Archivio) 1.21De consolatione (Archivio) 1.22Dialogus Hieronymi Cardani et Facii Cardani ipsius patris  (Archivio) 1.23Dialogus Antigorgias seu de recta vivendi ratione (Archivio) 1.24Dialogus Tetim seu de humanis consiliis (Archivio) 1.25Dialogus Guglielmus seu de morte (Archivio) 1.26De minimis et propinquis (Archivio) 1.27Hymnus seu canticum ad Deum (Archivio)  Indice rerum Volume 2  Frontespizio  Index librorum tomi 2.1De utilitate ex adversis capienda (Archivio) 2.2De natura (Archivio) 2.3Theonoston seu de tranquilitate (Archivio) 2.4Theonoston seu de vita producenda (Archivio) 2.5Theonoston seu de animi immortalitate  (Archivio) 2.6Theonoston seu de contemplatione (Archivio) 2.7Theonoston seu hyperboraeorum historia (Archivio) 2.8De immortalitate animorum (Archivio) 2.9De secretis (Archivio) 2.10De gemmis et coloribus (Archivio) 2.11De aqua (Archivio) 2.12De vitali aqua seu de aethere (Archivio) 2.13De aceti natura (Archivio) 2.14Problemata (Archivio) 2.15Se la qualità può trapassare di subbietto in subbietto (Archivio) 2.16Discorso del vacuo  (Archivio)  De fulgure liber unus  Indice rerum Volume 3  Frontespizio  Index librorum tomi 3.1De rerum varietate (Archivio) 3.2De subtilitate (Archivio) 3.3In calumniatorem librorum de subtilitate (Archivio)  Indice rerum Volume 4  Frontespizio  Index librorum tomi 4.1 De numerorum proprietatibus (Archivio) 4.2Practica arithmeticae (Archivio) 4.3Libellus qui dicitur, Computus minor (Archivio) 4.4Ars magna (Archivio) 4.5Ars magna arithmeticae  (Archivio) 4.6De aliza regula (Archivio) 4.7Sermo de plus et minus (Archivio) 4.8Geometriae encomium (Archivio) 4.9Exaereton mathematicorum (Archivio) 4.10De proportionibus (Archivio) 4.11Operatione della linea (Archivio) 4.12Della natura de principii et regole musicali (Archivio) Volume 5  Frontespizio  Index librorum tomi 5.1De restitutione temporum et motuum coelestium (Archivio) 5.2De providentia ex anni constitutione (Archivio) 5.3Aphorismorum astronomicorum segmenta septem (Archivio) 5.4In Cl. Ptolemaei de astrorum iudiciis (Archivio) 5.5De septem erraticarum stellarum qualitatibus atque viribus (Archivio) 5.6De iudiciis geniturarum (Archivio) 5.7De exemplis centum geniturarum (Archivio) 5.8Geniturarum exempla  (Archivio) 5. De interrogationibus (Archivio) 5.10De revolutionibus (Archivio) 5.11De supplemento almanach (Archivio) 5.12Somniorum synesiorum (Archivio) 5.13Astrologiae encomium (Archivio) Volume 6  Frontespizio  Index librorum tomi 6.1 Medicinae encomium (Archivio) 6.2De sanitate tuenda (Archivio) 6.3Contradicentium medicorum (Archivio) Volume 7  Frontespizio  Index librorum tomi 7.1De usu ciborum  (Archivio) 7.2De causis, signis ac locis morborum (Archivio) 7.3De urinis (Archivio) 7.4Ars curandi parva (Archivio) 7.5 De methodo medendi (Archivio) 7.6De cina radice (Archivio) 7.7De sarza parilia (Archivio) 7.8Disputationes per epistolas liber unus (Archivio) 7.9De venenis (Archivio) 7.10In librum Hippocratis de alimento commentaria (Archivio) Volume 8  Frontespizio Index librorum tomi 8.1In librum Hippocratis de aere, aquis et locis commentaria (Archivio) 8.2In septem aphorismorum Hippocratis commentaria (Archivio) 8.3In Hippocratis coi prognostica commentaria (Archivio) Volume 9  Frontespizio  Index librorum tomi 9.1In librum Hippocratis de septimestri partu commentaria (Archivio) 9.2Examen XXII. aegrorum Hippocratis (Archivio) 9.3Consilia (Archivio) 9.4De dentibus (Archivio) 9.5De rationali curandi ratione (Archivio) 9.6De facultatibus medicamentorum (Archivio) 9.7De morbo regio (Archivio) 9.8De morbis articularibus  (Archivio) 9.9Floridorum libri sive commentarii in Principem Hasen (Avicenna)  (Archivio) 9.10Vita Ludovici Ferrarii (Archivio) 9.11Vita Andreae Alciati (Archivio) Volume 10  Frontespizio  Index librorum tomi 10.1De arcanis aeternitatis  (Archivio) 10.2Politices seu Moralium liber unus (Archivio) 10.3Elementa Graeca (Archivio) 10.4De inventione (Archivio) 10.5 De naturalibus viribus (Archivio) 10.6 De musica (Archivio) 10.7Artis arithmeticae tractatus de integris (Archivio) 10.8Expositio Anatomiae Mundini (Archivio) 10.9In libros Hippocratis de victu in acutis commentaria (Archivio) 10.10In libros epidemiorum Hippocratis commentaria (Archivio) 10.11De epilepsia (Archivio) 10.12De apoplexia  (Archivio) 10.13De humanis civilibus successionibus (Paralipomena)  (Archivio) 10.14De humana perfectione (Paralipomena) (Archivio) 10.15Peri thaumason seu de admirandis (Paralipomena) (Archivio) 10.16De dubiis naturalibus (Paralipomena) (Archivio) 10.17De rebus factis raris et artificiis (Paralipomena) (Archivio) 10.18De humana compositione naturalium (Paralipomena) (Archivio) 10.19De mirabilibus morbis et symptomatibus (Paralipomena) (Archivio) 10.20De astrorum et temporum ratione et divisionibus (Paralipomena) (Archivio) 10.21De mathematicis quaesitis (Paralipomena) (Archivio) 10.22Historiae lapidum, metallicorum et metallorum (Paralipomena) (Archivio) 10.23Historiae animalium (Paralipomena) (Archivio) 10.24Historiae plantarum (Paralipomena) (Archivio) 10.25De anima (Paralipomena) (Archivio) 10.26De dubiis ex historiis (Paralipomena) (Archivio) 10.27De clarorum virorum vita et libris (Paralipomena) (Archivio) 10.28De hominum antiquorum illustrium iudicio (Paralipomena) (Archivio) 10.29De usu hominum et dignotione eorum, tum cura et errore (Paralipomena)  (Archivio) 10.30De sapiente (Paralipomena) (Archivio)  Indice rerum. De vita propria. De libris propriis. De Socratis studio. Oratio ad I. Alciatum Cardinalem sive Tricipitis Geryonis aut Cerberi canis. Actio in Thessalicum medicum. Neronis encomium. Podagrae encomium. Mnemosynon. De orthographia. De ludo aleae. De uno. Hyperchen. Dialectica. Contradictiones logicae. Norma vitae consarcinata, sacra vocata. Proxeneta. De praeceptis ad filios. De optimo vitae genere. De sapientia. De summo bono. De consolatione. Dialogus Hieronymi Cardani et Facii Cardani ipsius patris. Dialogus Antigorgias seu de recta vivendi ratione. Dialogus Tetim seu de humanis consiliis. Dialogus Guglielmus seu de morte. De minimis et propinquis. Hymnus seu canticum ad Deum. De utilitate ex adversis capienda. De natura. Theonoston seu de tranquilitate. Theonoston seu de vita producenda. Theonoston seu de animi immortalitate. Theonoston seu de contemplatione. Theonoston seu hyperboraeorum historia. De immortalitate animorum. De secretis. De gemmis et coloribus. De aqua. De vitali aqua seu de aethere. De aceti natura. Problemata. Se la qualità può trapassare di subbietto in subbietto. Del vacuo. De fulgure. De rerum varietate. De subtilitate. In calumniatorem librorum de subtilitate. De numerorum proprietatibus. Practica arithmeticae. Libellus qui dicitur, Computus minor. Ars magna. Ars magna arithmeticae. De aliza regula. Sermo de plus et minus. Geometriae encomium. Exaereton mathematicorum. De proportionibus. Operatione della linea. Della natura de principii et regole musicali. De restitutione temporum et motuum coelestium. De providentia ex anni constitutione. Aphorismorum astronomicorum segmenta septem. In Cl. Ptolemaei de astrorum iudiciis. De septem erraticarum stellarum qualitatibus atque viribus. De iudiciis geniturarum. De exemplis centum geniturarum. Geniturarum exempla. De interrogationibus. De revolutionibus. De supplemento almanach. Somniorum synesiorum. Astrologiae encomium. Medicinae encomium. De sanitate tuenda. Contradicentium medicorum. De usu ciborum. De causis, signis ac locis morborum. De urinis. Ars curandi parva. De methodo medendi. De cina radice. De sarza parilia. Disputationes per epistolas. De venenis. In librum Hippocratis de alimento commentaria. In librum Hippocratis de aere, aquis et locis commentaria. In septem aphorismorum Hippocratis commentaria. In Hippocratis coi prognostica commentaria. In librum Hippocratis de septimestri partu commentaria. Examen XXII. aegrorum Hippocratis. Consilia. De dentibus. De rationali curandi ratione. De facultatibus medicamentorum. De morbo regio. De morbis articularibus. Floridorum libri sive commentarii in Principem Hasen (Avicenna). Vita Ludovici Ferrarii. Vita Andreae Alciati. De arcanis aeternitatis. Politices seu Moralium. Elementa Graeca. De inventione. De naturalibus viribus. De musica. Artis arithmeticae tractatus de integris. Expositio Anatomiae Mundini. In libros Hippocratis de victu in acutis commentaria. In libros epidemiorum Hippocratis commentaria. De epilepsia. De apoplexia. Paralipomena. De humanis civilibus successionibus. De humana perfectione. Peri thaumason seu de admirandis. De dubiis naturalibus. De rebus factis raris et artificiis. De humana compositione naturalium. De mirabilibus morbis et symptomatibus. De astrorum et temporum ratione et divisionibus. De mathematicis quaesitis. Historiae lapidum, metallicorum et metallorum. Historiae animalium. Historiae plantarum. De anima. De dubiis ex historiis. De clarorum virorum vita et libris. De hominum antiquorum illustrium iudicio. De usu hominum et dignotione eorum, tum cura et errore. De sapiente.Hieronymus Cardanus. Hieronimo Cardano. Gerolamo Cardano. Keywords: masculinity, machio – maschile, Prospero, De signo, De signis, de Casis, signis, ac locis Morborum, ten volumes of “Opera omnia” analytic index – he wrote about almost everything – including logic, dialettica, metafisica, psicologia, anima, fisionomia, same-sex, he criticised Galenus for not realizing the distinction that at 14, a puer becomes an adolescent – his oeuvre is being examined in masculinity studies – masculinity Italian, Bolognese masculinity. He claimed that Bolognese males were ‘tasteful’ and underrated compared to Milaenese or Florentine males – he lived all over the place – he had many tutees, whose names survive – he was possibly paranoid – Silvestri was his best known tutee –analytic index of “Opera Omnia” --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cardano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690241000/in/photolist-2mQH692-2mNaHiH-2mNb16r-2mN597t-2mN2qNc-2mPxhsE-2mKFZMJ

 

Grice e Cardano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lumellogno). Filosofo. lombardia -- Grice: “If William was called Ockham, I should be called Harborne, and Petrus Lombardia!” --  Pietro Lombardo rappresentato in una miniatura a decorazione di una littera notabilior di un manoscritto Pietro Lombardo o Pier Lombardo (Lumellogno di Novara, 1100Parigi, 1160 circa) teologo e vescovo italiano. Nacque a Novara o nei dintorni (a Lumellogno esiste una lapide su di una casa che risorda il luogo della nascita) , all'inizio del XII secolo. Ricevette la sua prima formazione teologica a Bologna, dove acquisì una perfetta conoscenza del Decretum Gratiani. Dopo il 1136 si recò a Reims e poi a Parigi, dove fino alla sua elevazione alla sede vescovile di questa città (1159) insegnò teologia. Almeno una volta in questo periodo, tra il 1145 e il 1153, si recò alla corte pontificia, dove venne a conoscenza della traduzione del De fide orthodoxa di Giovanni Damasceno, compiuta da Burgundio Pisano per incarico di Eugenio III. Quasi certamente nel 1147 fu uno dei teologi che nel sinodo parigino presero posizione contro Gilberto Porretano.  Dopo un breve episcopato (1159-1160) morì il 21 o 22 luglio del 1160 (non del 1164). Il suo epitaffio si conservò nella chiesa di Saint Marcel fino alla Rivoluzione francese. Dante lo nomina in Paradiso, X, 106-108.  Oltre ai commenti all'opera di Paolo di Tarso e ai Salmi, la sua opera maggiore rimane il Liber Sententiarum (Libro delle Sentenze), scritta fra il 1150 ed il 1152 e per la quale ottenne l'appellativo di Magister Sententiarum. Sebbene il testo rientri in un genere letterario tipico della teologia medievale, ossia l'esposizione delle sentenze delle autorità di fede (i padri della chiesa ed i riferimenti biblici) l'opera del Lombardo, per l'ampiezza delle fonti e la sua originalità, diverrà il testo di riferimento per la didattica nelle facoltà di teologia e l'elaborazione letteraria nello stesso campo fino alla fine del XVI secolo. Egli infatti attinge ad una vasta letteratura in merito, adottando anche testi che normalmente non erano contemplati in queste composizioni, come Il De fide ortodoxa di Giovanni Damasceno.  Con la sua opera il Lombardo tenta di sistematizzare e armonizzare la disparità e le divergenze che la pluralità delle auctoritates aveva generato, dando luogo ad un certo scompiglio ermeneutico e dottrinale. Riprendendo la classica distinzione agostiniana tra signa e res, Lombardo afferma che il motivo delle divergenze non appartiene alla natura delle cose trattate, bensì alla metodologia esegetica.  Il testo si divide in quattro parti:  la prima tratta di Dio, della sua natura e dei suoi attributi; la seconda delle creazione degli angeli, del mondo e dell'uomo sino al peccato originale; la terza dell'incarnazione cristica e della promessa della Grazia; la quarta dei sacramenti. Anche lo sviluppo del testo mantiene la distinzione tra res (le prime tre parti) e signa (l'ultima) Lo stile del Lombardo snoda l'esposizione delle sentenze coll'eleganza dialettica di tipo anselmiano mantenendosi aderente al rispetto delle varie auctoritates anche riguardo o stile letterario col quale egli opera una volontaria mimesi.  Il testo venne criticato sin dalla sua prima uscita per via del cosiddetto nichilismo cristologico. Lombardo descrive infatti l'incarnazione nei termini di assumptus homo, ossia la persona divina del Cristo avrebbe assunto una natura umana (accessoriamente). Ciò contrastava con la determinazione di origine boeziana per la quale la natura cristologica traeva la sua forma da un sinolo unico di divino ed umano. Note  Per approfondimenti vedere: Nicola Abbagnano, Storia della filosofia,  II, pag.30 e seg. Novara, Istituto Geografico de Agostini, 2006 per Gruppo Editoriale l'Espresso, Roma (I contenuti di questo volume sono tratti da: Nicola Abbagnano, Storia della filosofia  I, II, III, quarta edizione, Torino, Utet, 1993 e Nicola Abbagnano, Dizionario di Filosofia, terza edizione aggiornata ed ampliata da Giovanni Fornero, Torino, Utet 1998)  Nicola Abbagnano, Storia della filosofia,  II, pag. 37 e seg. Novara, Istituto Geografico de Agostini, 2006 per Gruppo Editoriale l'Espresso, Roma (I contenuti di questo volume sono tratti da: Nicola Abbagnano, Storia della filosofia  I, II, III, quarta edizione, Torino, Utet, 1993 e Nicola Abbagnano, Dizionario di Filosofia, terza edizione aggiornata ed ampliata da Giovanni Fornero, Torino, Utet 1998)  Marcia L. Colish, Peter Lombard, Leiden, Brill, 1994 (due volumi). Pietro Lombardo. Atti del XLIII Convegno storico internazionale : Todi, 8-10 ottobre 2006, Spoleto, Fondazione Centro italiano di studi sull'alto Medioevo, 2007.  Minuscule 714il manoscritto del Nuovo Testamento e di "Sententiae". Libri Quattuor Sententiarum Scolastica (filosofia) Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Pietro Lombardo Collabora a Wikiquote Citazionio su Pietro Lombardo Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Pietro Lombardo  Pietro Lombardo, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Pelster, Pietro Lombardo, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Pietro Lombardo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Francesco Siri, Pietro Lombardo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Pietro Lombardo / Pietro Lombardo (altra versione) / Pietro Lombardo (altra versione) / Pietro Lombardo (altra versione) / Pietro Lombardo (altra versione) / Pietro Lombardo (altra versione) / Pietro Lombardo (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Pietro Lombardo, .    su Pietro Lombardo, su Les Archives de littérature du Moyen Âge. Pietro Lombardo, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.  Sofia Vanni Rovighi, Pietro Lombardo, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970. Petrus Lombardus, Opera Omnia dal Migne Patrologia Latina con indici analitici.Hugh Chisholm , Peter Lombard, in Enciclopedia Britannica, XI, Cambridge University Press. Refs.: Luigi Speranza, “Philosophical psychology in the commentaries of Pietro Lombardo and Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Lombardia Grice: “It is strange that he was called Piero da Lombardia; it would be like ‘a lad from shropshire.’ ‘Lombardia,’ unlike Ockham, ain’t a townbut a full regionIt’s different with ‘veneto,’ which is toponymic and metonymic for Venice. But if Milano was the main ever settlement in Lombardia this would be “Peter, the one from Milan.” Lombardo Pietro Lombardo Lumellogno Cardano – Grice: “It’s only natural that he was Pietro Cardano – after the city in Lombardy, Cardano – Plus, the implicature that he went by “Peter of Lombardy” having been born in Piemonte, means that the locals never saw him as one of their own!” --  Pietro Cardano – la stirpe Cardano 1600 --. Familia patrizia di Novara.  Pietro Cardano. Keywords: Cardano.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cardano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51775966110/in/dateposted-public/

 

Grice e Cardia – il laico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “Cardia is what I would call the Italian Hart – with a tweak – Italy and religion is Cardia’s forte – recall that the bishop of Rome has the roots in the ‘pontifex’ of old Rome, so he knows what he’s talking about!” – Grice: “Like me, Cardia has philosophised, as what the Italians call a professore di filosofia del diritto, on the ethical versus legal implicatures of the very idea of a ‘right’ (diritto). We don’t have that economy of vocabulary in Engish – calling Hart the professor of right would be unnacepptable at Oxford!”. Si laurea a Roma. Clifton has chapel services and a focus on Christianity. This is the Chapel: here, my son, Your father thought the thoughts of youth, And heard the words that one by one The touch of Life has turn'd to truth. Here in a day that is not far, You too may speak with noble ghosts Of manhood and the vows of war You made before the Lord of Hosts. The magnificent Chapel sits at the heart of Clifton both spiritually and physically and has played an important part of life. Topped by a striking copper-clad lantern and built from soft red and honey-coloured stone, the Chapel provides Christian calm, and forms a powerful link between past and present. It is a place where the community come to mark milestones and celebrate successes, and for quiet contemplation or spiritual guidance.  Brass plates placed on the back of the staff stalls mark the names of all those who have carved out a reputation. High on the walls are memorials of pupils of another age who died by accident or disease serving the Empire. One bears the moving epitaph ‘A good life hath but few days but a good name endureth forever.’  The Chapel was built to a design by C. Hansom. It is a narrow aisleless building. It is the gift of the widow of W. J. Guthrie. Hansom is given permission to quarry sufficient stone from the grounds of Clifton for the purposes of the Chapel building". The Chapel building is licensed by the Bishop of Gloucester and Bristol.  Stato, Chiese e pluralismo confessionale Rivista telematica (www.statoechiese.it) settembre 2007 ISSN 1971- 8543 Nicola Colaianni (ordinario di Diritto ecclesiastico nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bari) Quale laicità * Con questo libro Carlo Cardia si affaccia sul versante polemistico della letteratura giuridica con la maestria affinata attraverso una copiosa produzione saggistica e con la non comune versatilità che negli ultimi anni lo ha portato ad occuparsi dei problemi di tutela non solo delle confessioni religiose ma anche dei diritti umani. I bersagli della polemica sono indicati nel sottotitolo: etica, multiculturalismo, islam, non in sé naturalmente ma in quanto declinati in maniera rispettivamente relativistica, separatistica, fondamentalistica. Capaci cioè di esaltare le identità oltre ogni limite e di attentare, quindi, a quello “stato laico sociale” che, dopo secoli di storia travagliata e i totalitarismi del secolo breve, a cavallo del nuovo millennio ha trionfato un po’ dovunque in Europa e in tutto l’occidente. Questo carattere ben si coglie secondo l’autore nella “rivincita dei concordati”. Un fenomeno effettivamente impressionante, tanto più perché si inserisce in un trend favorevole alle relazioni con le confessioni, da cui non prendono le distanze neanche l’Unione europea, in base ad una dichiarazione allegata al trattato di Amsterdam, e la Francia della Loi de séparation, secondo le proposte della commissione governativa Machelon1 . Da esso Cardia deduce che lo stato è ormai amico delle religioni, che contribuisce attivamente a sottrarre all’irrilevanza degli affari privati e a reimmettere nel circuito pubblico, relegando l’ostilità del laicismo ottocentesco nel museo della memoria.  * Recensione a C. CARDIA, Le sfide della laicità. Etica, multiculturalismo, islam, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2007, pp. 202, destinata alla pubblicazione sulla rivista “Laicità”, Torino, n. 3 del 2007. 1  Cfr. F. MARGIOTTA BROGLIO, su Reset, n. 102/2007.  Stato, Chiese e pluralismo confessionale Rivista telematica (www.statoechiese.it) settembre 2007 ISSN 1971- 8543 2 Dal quale non varranno a riesumarla le “guerricciole”, rinfocolate dal “micro-massimalismo” di chi spera di “rivivere un po’ dell’epopea del passato” e non si accorge che ormai lo stato italiano gli accordi li fa anche con confessioni non cattoliche e, peraltro, non è l’unico ad integrare le scuole private e confessionali nel sistema scolastico, ad assicurare l’insegnamento religioso confessionale nelle scuole pubbliche, a finanziare lautamente la chiesa cattolica ma anche le altre confessioni. L’agile sintesi storico-politica, condotta nella prima metà del libro, consente a Cardia di avallare questa laicità realistica, che ad altri2 è sembrata più propriamente “praticistica”. A quella stregua l’autore tratta con sufficienza i rinnovati contrasti tra stato e chiesa (che pure sono al centro delle preoccupazioni di altri libri coevi3 ) tanto quanto con drammaticità le sfide suindicate. A cominciare dal multiculturalismo, che in effetti nella versione spinta si presenta sotto la forma di un comunitarismo senza coesione. Il “fascino discreto” che in molti differenzialisti suscitano gli statuti personali, di medioevale o ottomana memoria, è giustamente visto come una relativizzazione della laicità: a vantaggio, in particolare, dell’islam. Ovviamente Cardia è severo con la “partita giocata su due tavoli”: non si può invocare la laicità contro i “simboli e la memoria del cristianesimo” e a favore di quelli dell’islam, per cui “verrebbero estromessi i crocifissi, ma sarebbero ammessi il velo e la preghiera degli islamici”. Ma i termini del paragone sono omogenei solo apparentemente: il crocifisso fa problema per la laicità non se portato addosso al corpo, se fa parte del libero abbigliamento dei cittadini (come il velo o altri segni religiosi), ma in quanto esposto autoritativamente, cioè imposto, negli spazi pubblici, scolastici, giudiziari. In effetti, è tutta la seconda parte del libro a risentire di questa drammatizzazione impressa ai vari scenari. Islam versus cristianesimo. Di là un sistema chiuso ad ogni interpretazione evolutiva, un’identità fissa e immutabile, di qua una religione tollerante, aperta all’interpretazione storico-critica dei testi sacri e alla laicità, la quale in essa sarebbe addirittura “germinata”. La schematizzazione diventa  2  Per esempio a P. BELLINI nel libro coevo Il diritto d’essere se stessi. Discorrendo dell’idea di laicità. 3  Come quelli di G. ZAGREBELSKY, Lo stato e la chiesa, o di E. BIANCHI, La differenza cristiana, o di G.E. RUSCONI, Non abusare di Dio.  Stato, Chiese e pluralismo confessionale Rivista telematica (www.statoechiese.it) settembre 2007 ISSN 1971- 8543 3 inevitabile. In realtà, l’involuzione della seconda metà del XX secolo, a parte i fanatismi e i terrorismi, non è riuscita a spegnere le numerose voci laiche dell’islam moderno4  né, a livello istituzionale, ad annullare, pur frenandola, l’applicazione negli stati islamici di una legge non religiosa, il kanun, “nel senso laico di ‘legge di stato’ (…) in contrapposizione alla sharī ‘a” 5 . D’altro canto, bisogna riconoscere che abbiamo tutti sovracaricato il detto evangelico “Quae sunt Caesaris Caesari, quae sunt Dei Deo” di un significato improprio e anacronistico, in termini appunto di laicità, che nessun biblista ha mai potuto avallare (vorrei ricordare qui almeno Giuseppe Barbaglio, che ci ha lasciato pochi mesi fa: nel suo La laicità del credente non cita mai il versetto di Matteo). Storicamente poi, anche a voler retrodatare – seguendo Ernst-Wolfgang Böckenförde6 - alla lotta delle investiture l’inizio del processo di secolarizzazione, non v’è dubbio che per secoli la chiesa ha sostenuto la supremazia del potere spirituale ratione peccati o salutis anche nella sfera mondana. E al giorno d’oggi la più netta distinzione degli ordini formulata dal Concilio non sta impedendo il tentativo di informare la legislazione italiana al magistero ecclesiastico: è la chiesa dei no alla procreazione medica assistita (divieto dell’eterologa, della diagnosi preimpianto dell’embrione), al testamento biologico, visto come anticamera di pratiche eutanasiche, al riconoscimento pubblico di unioni civili in qualsiasi forma (pacs, dico, cus, ecc.), emblematicamente (a luglio alla Camera) al richiamo del principio di laicità come fondamento di una legge sulla libertà di religione (che pur non tocca la chiesa cattolica). Neanche Cardia indulge su questi punti. Il suo no è altrettanto netto. In nome della laicità e contro il relativismo etico. Ma poiché su quei punti, con varie sfumature, il pensiero laico (di non credenti e agnostici ma anche di credenti) è per il sì, è evidente che ci si trova davanti ad una diversa concezione della laicità. Tanto rispettabile nei suoi riferimenti eteronomi, divini o naturali e perciò antichi o “ancestrali”, quanto incapace di far capire - per dirla con Jürgen Habermas7  - “quale ruolo e significato i fondamenti giuridici secolarizzati della costituzione possono avere per una società  4  Cfr. l’antologia di P. BRANCA e quelle più recenti di V. COLOMBO. 5  Così ne Il linguaggio politico dell’Islam B. LEWIS, studioso fra i più citati nel libro. 6  Cfr. E.-W. BÖCKENFÖRDE, Diritto e secolarizzazione. 7  Cfr. J. HABERMAS, Il futuro della natura umana. Stato, Chiese e pluralismo confessionale Rivista telematica (www.statoechiese.it) settembre 2007 ISSN 1971- 8543 4 postsecolare”, come la nostra. In una democrazia necessariamente relativistica (se, al contrario, fosse assolutistica non sarebbe democrazia, insegna Kelsen) la laicità alimenta norme non di supremazia ma di compatibilità, espressive di una vocazione non paternalistica, ma responsabilizzante, nei rapporti tra stato e cittadini: visti non come meri educandi, da guidare nelle scelte etiche in base a valori esterni, ma come persone responsabili delle loro scelte nella propria autonomia e capaci di mediarle alla ricerca di quella “giusta”8 . Una laicità pluralistica e perciò non espressiva di una sola cultura ma interculturale (come dovrebbe porsi ormai tutto il diritto secondo Otfried Höffe9 ). Le cui sfide, e il libro di Cardia stimola ad intraprendere questo percorso di riflessione, non vengono da una parte sola.  8  In questo senso rilegge il da mi factum, dabo tibi ius S. RODOTÀ, La vita e le regole. 9  Cfr. O. HÖFFE, Globalizzazione e diritto penale. LA LAICITA’ IN ITALIA (Carlo Cardia) (Convegno Giuristi cattolici, 9 dicembre 2006) Sommario. Premessa. 1. La laicità in Italia tra conflitto e moderazione. 2. Laicismo, intransigenza cattolica, isolamento culturale. 3. Dai Patti Lateranensi al modello costituzionale di respiro europeo. 4. La crisi della laicità. Laicità ed etica. 5. Cultura laica e questione islamica. 6. Laicità e multiculturalismo. Ambiguità e prospettive. Premessa. E’ mia intenzione soffermarmi sulle problematiche attuali della laicità in Italia, anche perché sono diverse e complesse. Però, penso sia necessario dare spazio a qualche riflessione storica che ci aiuti a comprendere meglio le questioni che abbiamo di fronte nel tempo presente. Si tratta, più che di una analisi organica, di spunti ricostruttivi utili a cogliere alcune costanti della nostra tradizione. Ho avvertito questa esigenza perché l’esperienza italiana ha un tratto caratteristico che non si rinviene altrove, avendo dato vita nello spazio di poco più di un secolo a tre tipologie diverse di relazioni ecclesiastiche: una laico-separatista, una di tipo concordatario neo-confessionista, e quella costituzionale che poi si è evoluta nel quadro di una Europa che ha finito per seguire il nostro modello. Infine, l’Italia sta vivendo una vera crisi della laicità, in rapporto alla questione etica, e al multiculturalismo, ed è entrata in quella globalizzazione dei rapporti tra religione e società che riguarda l’Occidente nel suo complesso. Quindi, l’esperienza italiana non è comprensibile all’interno di un solo orizzonte storico-culturale, mentre l’analisi deve mantenere un respiro più ampio e saper individuare delle linee trasversali di riflessione, dei fili conduttori che chiariscano il percorso storico complessivo che si è compiuto. 1. La laicità in Italia tra conflitto e moderazione Il primo filo conduttore che voglio privilegiare è il rapporto che si è determinato tra conflitto e moderazione, tra correnti estreme del pensiero laico, e di quello cattolico, e soluzioni storico- 2 normative che sono state adottate. La storiografia più accreditata ci ha abituati a interpretare questo rapporto a tutto favore della conflittualità e a discapito della moderazione. Ancora oggi il conflitto tra Stato e Chiesa è considerato un tratto eminente della storia italiana, il punto focale che illumina tutto il resto. Il processo di unificazione nazionale viene letto alla luce del contrasto tra laici e cattolici, della fine del potere temporale, della prevalenza della modernizzazione sul conservatorismo cattolico. Anche l’epoca autoritaria che dà vita ai Patti Lateranensi è vista in chiave di rivincita cattolica e di sconfitta laica, come un rovesciamento di fronte rispetto all’epoca liberale. Questa interpretazione resta valida perché permette di capire tante pagine della nostra storia nazionale, ma può essere integrata con un’altra chiave di lettura che aiuti a vedere anche i chiaro-scuri, i toni più morbidi, della storia italiana. Questa chiave di lettura è quella della moderazione e dell’equilibrio che, pur nelle vicende aspre che conosciamo, ha segnato la storia italiana. L’Italia è stata moderata ed equilibrata nel separatismo, in parte nel sistema concordatario del 1929, in modo speciale nella elaborazione della Costituzione. Quando parlo di moderazione non intendo esaltare il carattere per così dire compromissorio generalmente riconosciuto alla genti italiche. Mi riferisco ad un dato realmente presente nelle nostre leggi, in ampi settori della cultura laica e di quella cattolica, che ci aiuta a meglio comprendere la storia e l’evoluzione della laicità in Italia. La moderazione del periodo separatista si manifesta in tanti modi, ma nell’insieme consente all’Italia di operare un sottile, solido compromesso con l’anima cattolica del paese su punti essenziali, ed evita l’affermazione di tendenze francesizzanti che pure esistono in esponenti della classe dirigente liberale. In Italia non si afferma mai l’idea della reformatio ecclesiae come obiettivo proprio dello Stato. L’aspirazione ad una evoluzione della Chiesa è parte integrante del pensiero laico e dei riformatori cattolici dell’Ottocento, ma da noi non si trovano tracce significative di quel disegno (tipicamente transalpino) che mira alla costituzione civile del clero, a stravolgere le strutture ecclesiastiche, a creare una chiesa nazionale quieta e obbediente al potere civile. La struttura della Chiesa, gli enti ecclesiastici mantenuti, l’educazione e la disciplina del clero, non subiscono ingerenze o stravolgimenti diretti a modificarne la natura. Nel dibattito sulle Facoltà di teologia è il ministro Correnti che respinge le tentazioni giurisdizionaliste e afferma che lo Stato non ha “né interesse, né volontà, né facoltà di creare teologi”, che l’evoluzione della religione è compito della Chiesa, e la “Chiesa troverà in sé stessa, e solo in se stessa può trovare, la volontà e la forza di ravvicinarsi” alla modernità. L’unico intervento chirurgico è quello che sopprime le corporazioni e le congregazioni religiose. Ma anche in questo intervento, che storicamente si giustifica con la necessità di ridistribuire la grande proprietà ecclesiastica, non mancano i segni di moderazione, se vogliamo della dissimulazione. Come quando le comunità religiose si ricostituiscono progressivamente al riparo delle c.d. frodi pie, che consentono l’utilizzazioni di proprietà immobiliari messe a disposizione da veri prestanome. Comunque, a nessuno in Italia è mai venuto in mente di adottare leggi draconiane come quelle transalpine del 1901 e 1902, la prima che vieta alle congregazioni religiose non riconosciute l’insegnamento, la seconda che prevede multa e carcere per chi apra una scuola nella quale insegni anche un solo religioso. Ho sfioato il problema della scuola, perché su questo terreno si opera il più grande compromesso italiano, sul quale storici e giuristi si soffermano poco. Alla laicizzazione della scuola italiana, con la Legge Casati del 1859, non segue la cancellazione della presenza cattolica nel corpo scolastico pubblico. Se l’insegnamento religioso viene escluso nelle scuole superiori, rimane però in quelle elementari. La Legge Coppino del 1877 non dice nulla al  3 riguardo, e questo silenzio, con l’aiuto del Consiglio di Stato, consente di mantenere l’insegnamento religioso che, ci dice Francesco Scaduto, viene attivato da quasi tutti i Consigli comunali e seguito dalla totalità delle famiglie italiane. Neanche si può dire che la questione passi sotto silenzio, perché un Regolamento del 1908 conferma l’insegnamento religioso, e la Camera respinge nello stesso anno una mozione di Bissolati che chiede di vietare ogni presenza religiosa nelle scuole. Molto chiaramente Minghetti compara gli inconvenienti di una scuola che preveda l’insegnamento religioso a quelli di una scuola che lo esclude, e afferma che “i primi saranno sempre minori di quelli di una scuola che dovrebbe essere popolare, ma che senza Dio ripugna alla coscienza popolare e addiviene atta a soddisfare soltanto una piccola minoranza”. Si può dire che è poco, invece è moltissimo, perché la scuola elementare è l’unica vera scuola di massa dell’epoca. Per questa ragione l’Italia separatista ha operato le grandi riforme della modernità ma ha saputo mantenere un raccordo di fondo tra il sentire comune della popolazione e una legislazione non aggressiva e non punitiva. E’ l’Italia laica e separatista che affida ai maestri e alle maestrine della letteratura dell’Ottocento l’onere di trasmettere elementari ma importanti valori religiosi e morali nelle nuove generazioni. 2. Laicismo, intransigenza cattolica, isolamento culturale L’elogio della moderazione non deve fare aggio sull’altro fattore endemico dell’esperienza italiana, su quella arretratezza che, in modo diverso, caratterizza alcuni settori della cultura laica, e della cultura cattolica, e che provoca per lungo tempo un isolamento rispetto ad altre più avanzate esperienze europee e alla cultura anglosassone, cioè rispetto al resto del mondo. Mi riferisco alle correnti laiciste che animano la cultura politica, danno vita al pensiero più autenticamente anticlericale, rendono la laicità ostile alla religione. Ma anche all’arroccarsi di quell’intransigenza che frena la capacità di iniziativa dei cattolici, li estranea a lungo dalla vita politica del Paese. Nel conflitto, e nel corto circuito, tra intransigenza cattolica e correnti laiciste sta la radice di una chiusura provinciale che in Italia condiziona a lungo le relazioni ecclesiastiche. Il radicarsi di queste tendenze immette nella cultura italiana semi che tornano a fiorire di tanto in tanto. Il laicismo estremo produce cultura, mentalità, costume, e fa sì che anche da noi come in Francia e in Spagna, laicità voglia dire tante cose negative: estraniazione della religione dalla società e dalla dimensione pubblica, ostilità alla scuola privata nonostante il liberalismo sia altrove il difensore del pluralismo scolastico, riduzione della Chiesa ad un ambito puramente cultuale. In Italia, come oltr’Alpe, il termine laico è contrapposto a cattolico, e questa antitesi, sconosciuta nei paesi anglosassoni, diviene da noi categoria del pensiero e del linguaggio. Quando faccio riferimento alle tendenze laiciste mi riferisco sia all’anticlericalismo di matrice ottocentesca che alle correnti culturali di grande dignità che da Spaventa a Bissolati rivivono poi in Gaetano Salvemini e in Ernesto Rossi, e che di più aspirano ad una Chiesa riformata, apparentemente tutta spirituale ma muta sul piano civile e sociale. Queste correnti si ravvivano quando l’accordo del 1929 tra Chiesa e fascismo di fatto umilia la laicità, provocando una frattura seria tra la cultura laica ed un cattolicesimo al quale viene restituito un ruolo di primo piano, ma con il sacrificio di altre idealità e di altri ruoli. Anche  4 l’intransigenza cattolica riaffiora più volte nella storia italiana, impedisce a tratti di cogliere le trasformazioni della società, di discernere gli aspetti positivi dalle spinte disgreganti, porta all’arroccamento su posizioni che potrebbero essere evitate. La critica più autentica a questo corto circuito non è diretta alle singole posizioni radicali che produce, quanto al fatto che da lì è derivato un certo isolamento rispetto alla cultura anglosassone, rispetto ad altre esperienze europee, come quelle dell’Olanda, del Belgio e della Germania, dove già nell’Ottocento maturano equilibri più stabili tra religione e società. Una conferma di questo provincialismo sta nell’incomunicabilità tra esperienza italiana ed esperienza statunitense, alla quale pure molti laici si richiamano, senza mai averla capita e forse conosciuta. Lo stesso Salvemini, che pure conosceva la società americana, di quell’esperienza evoca sempre e soltanto la parola separatismo, non i suoi contenuti, né la sua anima pregna di rispetto e di amicizia verso la religione. Possiamo verificare questa lontananza della cultura laica rispetto alle correnti del pensiero anglosassone su un particolare problema, quello della scuola privata, nel quale il liberalismo italiano si è discostato dai canoni del liberalismo classico per seguire un indirizzo statalistico destinato a dominare a lungo. C’un dibattito di metà Ottocento (oggi dimenticato ma molto importante all’epoca) nel quale Domenico Berti critica quei liberali che per paura di monopolio combattono la libertà di insegnamento, e afferma che questa trae il suo diritto dall’individuo medesimo, dalla sua libertà, ed è da annoverarsi tra “gli altri diritti naturali”. E’ Bertando Spaventa che si oppone a Berti ed esplicita la vera ragione della contrarietà alla scuola privata. La ragione sta nel fatto che “i paladini” del libero insegnamento finiscono per portare acqua al mulino della “libertà del papa”, perché in Italia dare via libera alle scuole private vuol dire favorire la scuola cattolica. Quindi, con grande trasparenza si riconosce che il vero liberalismo postula la libertà della scuola, ma in Italia questo liberalismo non è praticabile perché se ne avvarrebbero i cattolici. Insomma, al liberalismo si ricorre quando fa comodo, altrimenti lo si mette da parte. 3. Dai Patti Lateranensi al modello costituzionale di respiro europeo In Italia, però, si ritrova un altro elemento equilibratore che consente di attenuare le asperità e finisce col favorire le soluzioni strategiche adottate in sede di Costituente. Parlo di quella questione romana che nessun altro Paese conosce, e che tocca all’Italia affrontare e risolvere in modo autonomo. Anche su questo problema vorrei offrire uno spunto ricostruttivo diverso rispetto alla storiografia prevalente. E’ vero che la questione romana ha costituito il punto di maggiore attrito tra Stato e Chiesa, ed ha agito come coagulo dell’intransigenza cattolica e come bersaglio dell’anticlericalismo. Tuttavia, pur nei termini del conflitto che conosciamo, essa ha rappresentato anche un elemento equilibratore nel periodo separatista, nel 1929 con la stipulazione dei Patti Lateranensi, soprattutto all’atto della elaborazione della Costituzione democratica. Quando parlo di elemento equilibratore intendo dire che la presenza della Santa Sede ha fatto uscire il meglio di sé dalla classe dirigente liberale nell’Ottocento, ha attenuato gli effetti che i Patti Lateranensi hanno avuto sulla società italiana, ha favorito notevolmente il lavoro che ha  5 portato alla formulazione del disegno costituzionale complessivo dei rapporti tra Stato e Chiesa. Già nell’Ottocento, la classe dirigente liberale conferma la propria lungimiranza con quella Legge delle Guarentigie che, pur temporaneamente, risolve la più grande questione storica europea, e, dovendo misurarsi con un evento che interessa i cattolici di tutto il mondo, si rivela capace di ad attenuare, smussare, equilibrare le asperità del separatismo. Anche nel 1929, quando il Concordato ferisce duramente la laicità e la cultura laica italiana, la soluzione definitiva del questione romana stempera il valore politico del patto con il fascismo. Non a caso il giudizio delle forze politiche antifasciste sui Patti Lateranensi si presenta come scisso in due: severo e aspro, anche da parte cattolica, nei confronti dell’accordo politico tra Chiesa e fascismo e del Concordato, ma positivo e accogliente nei confronti del Trattato del Laterano. Sin dall’inizio Benedetto Croce approva la soluzione della questione romana, riservando le sue critiche al Concordato. Ma anche Gaetano Salvemini, durissimo con il Concordato, riconosce che la questione romana è ben risolta, anzi afferma che ciò che è stato fatto nel 1929 avrebbero dovuto farlo i liberali nel 1871. Infine, i programmi elaborati dai leader dell’antifascismo durante la guerra in vista della ricostruzione del Paese, concordano nel non voler rimettere in discussione i risultati del Trattato del Laterano. Credo si possa dire che, senza una questione romana risolta in quel modo nel 1929, forse non avremmo avuto quel tipo di rapporti con la Chiesa che l’Italia ha elaborato nel 1946-47 e che ha saputo anticipare un modello oggi utilizzato in un numero considerevole di Paesi europei. Nell’incontro tra le correnti del cattolicesimo democratico e la maggioranza della cultura laica, l’Italia trova il modo di abbandonare un certo provincialismo e riesce a parlare un linguaggio europeo, supera quel corto circuito che l’aveva appesantita a lungo. Le scelte del costituente non sono riconducibili al solo articolo 7, quanto alla maturazione di una laicità che è destinata a fare scuola, a prefigurare un modello di Stato laico sociale che diverrà prevalente nell’Europa che si unisce e conosce la fine dei totalitarismi. Si tratta di una laicità complessa dove converge il meglio della tradizione separatista (in materia di libertà religiosa), e dove il laicismo è superato dal riconoscimento pieno della presenza e del ruolo sociale della religione. Si abbatte il muro della incomunicabilità tra religione e società, si conferma e si estende il metodo della contrattazione e dell’incontro, tra Stato e Chiese; si supera l’ultimo tabù dell’Ottocento, per il quale nessun culto dovrebbe essere finanziato dallo Stato perché lo impedirebbero le differenti opinioni religiose dei cittadini. Sul finire del Novecento questo Stato laico sociale trionfa un po’ dovunque. Non si contano più i concordati tra Santa Sede e Stati in Europa, che sono oltre 20, come non si contano più intese, accordi, convenzioni tra Stato e confessioni religiose, protestanti, ebraica, islamica, e altro ancora. Ma è nel merito delle relazioni ecclesiastiche che il modello italiano fa scuola in Europa. Dall’Atlantico alla Russia, ovunque troviamo una laicità fondata su principi comuni: libertà religiosa, tutelata nel quadro dei diritti umani, riconoscimento delle Chiese come entità impegnate in molteplici attività, sostegno pubblico alle confessioni. Insomma, un mixer tra la tradizione nordamericana di amicizia verso la religione, e la tradizione europea di contrattazione e reciproca integrazione. Tanto solido è questo nuovo orizzonte di laicità sociale che ormai in Europa si discute di riforma dei rapporti tra Stato e Chiesa soltanto in Inghilterra e nei Paesi protestanti del nord, dove ancora esistono Chiese ufficiali sottomesse e apparentate alle dinastie regnanti.  6 4. La crisi della laicità. Laicità ed etica La laicità, invece, torna di attualità e vive una crisi di cui non siamo ancora pienamente consapevoli, su terreni nuovi e in editi, come quelli dell’etica e del multiculturalismo. Si tratta di fenomeni molto diversi, perché nel primo caso siamo di fronte ad un uso indebito, quasi una strumentalizzazione, del concetto di laicità, nel secondo assistiamo ad un pericoloso arretramento dei valori più intimi dello Stato laico. Non entro nel merito del rapporto tra etica e diritto. Non è oggetto della mia relazione, non è possibile neanche sfiorarlo nella sua complessità. La mia attenzione è più ristretta, riguarda il rapporto che esisterebbe tra laicità ed etica nel momento in cui un ordinamento è chiamato a pronunciarsi su questioni decisive per la collettività, come la famiglia, l’ingegneria genetica, l’eutanasia, e via di seguito. Alcune elaborazione teoriche danno per scontato che il pluralismo etico non è che un altro aspetto del pluralismo religioso, e “come oggi ammettiamo e rispettiamo le varie confessioni religiose (…), così dobbiamo riconoscere le varie moralità che affiancano o sostituiscono la fede religiosa”. D’altra parte, si aggiunge, come nella religione non si dà verità oggettiva, ma solo opinioni, così in campo etico lo Stato deve accettare tutte le convinzioni e le scelte che si contendono il campo. Questa similitudine tra religione ed etica è accattivante, ma nasconde un’insidia dialettica. In primo luogo perché la neutralità dello Stato riguarda le convinzioni religiose, la sfera più intima della spiritualità e della coscienza, non i comportamenti delle persone, tanto meno quelli che coinvolgono gli altri. In questa materia la legge non pretende mai di definire qual è la verità, ma sceglie sulla base di valori che hanno una loro validità nel tempo, nella struttura sociale nella quale si incarnano, e che possono dar vita a equilibri diversi tra etica e diritto. In secondo luogo, si trascura il fatto che una neutralità dello Stato estesa a tutte le scelte etiche porterebbe alla paralisi del legislatore e allo svuotamento della funzione della legge. L’ordinamento non si interesserebbe più della procreazione, dei doveri verso i figli, non potrebbe più disciplinare il matrimonio, dovrebbe consentire tutto in materia di bioetica. Uno Stato eticamente neutrale dovrebbe disporre il “rompete le righe” e preoccuparsi solo di regolare il traffico delle attività sociali. C’è, poi, un corollario di questa impostazione che viene utilizzato frequentemente. Si tratta di quel ritornello che in Italia viene ripetuto spesso, secondo il quale in queste materie lo Stato deve permettere, non proibire. Infatti, se permette non obbliga nessuno, ma se proibisce impedisce a qualcuno di realizzarsi. Lo Stato che liberalizza l’eutanasia non obbliga nessuno a praticarla, ma consente a chi vuole di scegliere un’altra opzione. Se permette la fecondazione eterologa, non la impone, ma se la nega erode spazi all’autonomia individuale. Io credo che ci troviamo di fronte ad un uso improprio della laicità, e ad un vero sillogismo. Se applicata coerentemente, questa logica porterebbe a risultati che ben pochi si sentirebbero di sostenere. Si legittimerebbe la pratica della clonazione umana, perché una legge che la liberalizzasse non costringerebbe nessuno a clonare cellule e individui, mentre un divieto impedirebbe ad alcuni di seguire i propri convincimenti. Dovrebbe essere permesso di intervenire sul genoma per determinare alcune caratteristiche del nascituro, come il sesso, o il colore della pelle o degli occhi, perché in ogni caso non si obbligherebbe nessuno a queste operazioni, mentre vietandole si diminuirebbe l’autonomia individuale. Questa impostazione dovrebbe indurre l’Authority inglese a rispondere positivamente al recente quesito del Kings College, se sia lecito produrre ibridi di umanità e animalità. Infatti, consentendo questa  7 pratica non si impone a nessun ricercatore di creare la chimera, ma proibendola si violerebbe la libertà di quanti non hanno remore nel procedere su questa strada. Molti sostenitori del relativismo si dichiarano contrari alla clonazione, alla chimera e ad altre scelte estreme, ma spesso non sanno dire il perché. E non sanno dirlo perché dovrebbero riconoscere che clonazione e chimera possono essere escluse soltanto se si fa leva su valori antropologici primari, meritevoli di trovare spazio nel mondo del diritto. Si dovrebbe allora riconoscere che la laicità dello Stato non c’entra nulla quando la discussione riguarda questi valori. E che nel gioco democratico della discussione, del convincimento, si determineranno gli equilibri essenziali, modificabili nel tempo, sui confini del diritto, sul rapporto tra autonomia e solidarietà. In questa discussione vi è spazio per tutti, per le convinzioni religiose e per quelle filosofiche, per l’apporto delle scienze e la mediazione della politica. Ma se il confronto viene by-passato ricorrendo alla laicità per sbarrare la strada a determinate scelte, vuol dire allora che c’è insicurezza in alcune posizioni relativistiche, le quali non riescono ad elaborare valori convincenti, e utilizzano impropriamente la laicità per dare alle proprie tesi una forza che probabilmente non hanno. 5. Cultura laica e questione islamica L’analisi si fa più complessa se affrontiamo il tema del multiculturalismo, perché questo fenomeno costituisce una grande opportunità ma anche un grande rischio. Una opportunità per la laicità, che può far risaltare il suo volto accogliente e il suo carattere universale di fronte al mischiarsi delle popolazioni, delle pagine della storia, e della geografia. Ma anche un rischio se con il multiculturalismo si vogliono reintrodurre nelle nostre società antiche intolleranze, o costumi e tradizioni che evocano un lontano passato. Le prime risposte a questo evento sono deludenti, alcune preoccupanti, ma tutte riflettono un disorientamento generale. Vi sono a volte reazioni di tipo islamofobico che fanno d’ogni erba un fascio, alimentano paure e diffidenze, che vogliono negare all’islam ciò che la laicità deve garantire a tutti. Mi sembra, però, che siano prevalenti le reazioni opposte, perché la cultura laica sta rispondendo con uno spaesamento che tradisce incertezza e insicurezza. Il multiculturalismo sta facendo emergere una insicurezza dei valori della laicità, della loro validità e tendenziale universalità. Anche quell’orgoglio che ha dato forza allo Stato laico, che ha prodotto diritto e storia, sembra vacillare di fronte a chi appare più estraneo ai principi di libertà ed eguaglianza. Potrei citare una pluralità di fatti, ed eventi, che sembrano slegati tra di loro ma sono uniti da un robusto filo conduttore. Ne indico alcuni per far riflettere sul loro significato complessivo. Pochi si accorgono che si sta creando un divario crescente tra l’atteggiamento nei confronti delle Chiese tradizionali e quello che si manifesta di fronte a clamorose lesioni della laicità per motivi di multiculturalismo. Le prime riflettono un’antica suscettibilità, quasi la memoria del conflitto, le altre sono fatte di stupore e di silenzi. Se una Chiesa lucra ancora oggi qualche favore giuridico, si reagisce con veemenza perché la laicità dello Stato sarebbe in pericolo. Ma se vengono lanciate fatwe di morte contro letterati, giornalisti o registi, per offese all’Islam, si tratta di episodi che non riguardano lo Stato laico, non costituiscono istigazione all’omicidio. Se una fatwa viene eseguita, l’omicidio è di competenza della cronaca nera.  8 Se in un paese europeo si discute su temi etici, le prese di posizione delle Chiese cristiane sono viste come espressioni di un nuovo temporalismo. Ma se, in Europa o ai suoi confini, avvengono omicidi di donne che rifiutano regole tribali, di derivazione islamica o meno, oppure se il diritto di cambiare religione conduce ancora alla morte o all’emarginazione sociale, si considerano questi eventi come frutto di arretratezza, anziché un salto indietro nella storia della laicità. Nessun grido, nessun manifesto, nessun convegno è dedicato loro. Uno strabismo particolare colpisce la cultura laica quando è in gioco la questione femminile. Mentre gli ordinamenti europei adottano raffinati strumenti per rendere effettiva la parità tra uomini e donne, normativa e pratiche aliene che discriminano le donne, o le umiliano, non suscitano ribellione o ripulsa. Un tempo la cultura laica reagiva con forza, definendole oscurantiste e censorie, alle richieste di non eccedere nella liberalizzazione dei costumi, e di frenare la licenziosità con cui veniva usata la figura femminile. Oggi tace, quasi si nasconde, quando le donne vengono chiuse nel burqa, o si chiedono classi separate nelle scuole, spiagge differenziate, reparti ospedalieri distinti, o gli uomini rifiutano di essere subordinati sul lavoro a dirigenti donne, e via di seguito. In diversi paesi occidentali, dall’Inghilterra al Canada, dalla Germania al Belgio ai paesi del Nord Europa si moltiplicano le proposte di introdurre la scharì’a, o suoi segmenti, senza che suscitino scandalo per la ferita che porterebbero ai diritti umani fondamentali. Soltanto il 24 ottobre corso, con grande ritardo, il Parlamento europeo, ha approvato una risoluzione (peraltro molto positiva) sulla condizione delle donne, sulla illegalità della poligamia, sulla lesione dei diritti fondamentali. Le reazioni islamiche al discorso di Benedetto XVI a Ratisbona sono ormai note, e non mi ci devo soffermare. Ma nessuno ha notato un fatto che, in tema di laicità, ha sovrastato tutti gli altri. Il silenzio che i più rigorosi laicisti hanno mantenuto nel difendere la libertà di parola e di espressione contro minacce, violenze, ricatti. Eppure, per decenni questi gruppi hanno ripetuto sino alla nausea il pensiero di Voltaire per il quale, anche se non si condividono le idee di un altro, si è però pronti a spendere la propria vita perché l’altro possa esprimere quelle idee. Ma dopo Ratisbona, non si è spesa neanche una parola per difendere il diritto del Papa, come di chiunque altro, ad esprimere le proprie valutazione sul rapporto tra fede e violenza. A questi silenzi si aggiunge un fenomeno culturale meno appariscente e più sotterraneo. Il cattolicesimo, e il cristianesimo, sono stati per due secoli letteralmente vivisezionati per criticare e sradicare tutto ciò che sapesse di temporalismo, di anti-modernità, per spezzare la loro alleanza con il potere politico. Sull’intreccio tra altre religioni e sistemi politici dittatoriali, oggi prevale l’afasia nella cultura liberale, in quella marxista o anti-istituzionale. Sembra quasi che la critica illuministica e storicistica che, pur con asprezze a faziosità, ha saputo fustigare, in certa misura ha contribuito a rinnovare, le Chiese delle nostre società, scelga il silenzio di fronte a ben più pesanti congiunzioni tra religione, violenza, dispotismi più o meno teocratici. Tutto ciò apre degli interrogativi sul futuro della laicità in Italia e in Europa; e li apre non su un punto o su un altro, ma sulla spinta propulsiva che la laicità ha esercitato nel realizzare lo Stato moderno. Da questi, e altri episodi, sta scaturendo una sorta di assuefazione rassegnata di fronte alla mutazione genetica della laicità come la conosciamo in Occidente, che può portare ad un esito paradossale: ad una laicità occhiuta e diffidente verso le religioni tradizionali e ad un multiculturalismo disarmato e senza valori verso altre religioni e tradizioni. Sarebbe la fine della neutralità dello Stato.   9 6. Laicità e multiculturalismo in Italia. Ambiguità e prospettive Per meglio capire i rischi di questa frattura tra laicità e multiculturalismo torniamo per un attimo all’esperienza italiana. L’Italia, ancora una volta, si è dimostrata più di altri Paesi equilibrata e accogliente, non condizionata da pregiudizi etnici o religiosi. L’Italia non ha fatto la guerra al velo, e a nessun simbolo religioso, forse perché di simboli confessionali ne conosce tanti da tanto tempo, dalle cattedrali alle chiese, dai conventi ai battisteri, alle fogge vestiarie di religiosi e religiose d’ogni genere. Quindi non avvertiamo disagio per un modesto velo che peraltro può appellarsi alla libertà di abbigliamento. L’Italia ha predisposto una vasta rete di accoglienza e sostegno sociale per l’immigrazione; sta cercando in tanti modi di soddisfare le esigenze di culto dei soggetti dell’immigrazione; prevede nei contratti di lavoro spazi per pratiche religiose, diversità alimentari, tradizioni come quello del ramadan. Ma questo che può essere considerato legittimamente un nostro vanto, si sta trasformando lentamente in qualcosa d’altro. Si sta trasformando nell’oscuramento di principi e valori essenziali, e nella accettazione di una cultura della separatezza che può colpire la laicità. Parlo della tendenza a rimuovere il crocifisso dalle aule scolastiche, e più in genere, tutta una simbologia e una tradizione di memorie del cristianesimo, riprendendo concezioni laiciste superate. E’ di questi giorni la notizia che nelle scuole, negli alberghi, in luoghi pubblici e privati diminuiscono i presepi e gli alberi di natale per non urtare suscettibilità di persone aderenti ad altri culti. Si realizza così quella che da tempo definisco una partita giocata su due tavoli: quello della laicità che limita o cancella simboli e presenze cristiane, e quello del multiculturalismo che legittima altri simboli o presenze religiose. Sempre in Italia si manifestano i primi sintomi di un cedimento multiculturale che mette a rischio i diritti fondamentali dei cittadini, in primo luogo delle donne. Si accetta qua e là la presenza del burqa, aumentano le voci favorevoli alla poligamia, si introducono in qualche parte forme separate di vita collettiva, nelle scuole, nei luoghi pubblici, si consente l’apertura di scuole islamiche fuori dei canoni previsti dalle nostre leggi. Si tratta di primi sintomi, ma sono parecchi e di significato univoco, e ci dicono che neanche noi siamo immuni dal rischio della perdita di senso della laicità e dei suoi valori. Altra cosa sarebbe se della laicità si offrisse il volto più maturo e accogliente, quello che sa distinguere tra quanto di autenticamente religioso emerge da una tradizione, e quanto appartiene ad arretratezza storica e culturale. Che sa rispettare e tutelare il patrimonio spirituale di ciascuna religione ed etnia, ma sa criticare e respingere ciò che collide con il sistema universale dei diritti umani, con la libertà religiosa, con l’eguaglianza tra uomo e donna. Che sa, cioè, promuovere il meglio della nostra e delle altrui tradizioni, ma si impegna a far arretrare il resto. Sarebbe un’altra cosa, un’altra storia, e potremmo dedicarvi un altro convegno. Carlo Cardia. Keywords: il laico, filosofia vs. teologia, italia anti-papista, il filosofo italiano deve essere neutro in questione di religione. Verdi – il papa – stati papali – repubblica italiana – liberta di culto – giurisprudenza – religione dell’antica roma – il pontifice nella religione romana antica – credenza religiosa – credenza naturale – credenza super-naturale – il sovra-naturale – il naturale – l’idea di religione nella antica Roma – il mito romano – la mitologia romana antica – il sacro – il pagano – la filosofia della roma antica pagana – la critica dei antichi romani al cristianesimo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cardia” – The Swimming-Pool Library.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51774096897/in/dateposted-public/

 

Grice e Cardone – Clark Kent; ovvero, sul sovrumano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palmi). Filosofo. Grice: “Cardone plays with a coinage, sobraumnao, in Dionigio e Luciano – it triggers implicata: what’s wrong with ‘human’? One is reminded of Pico (‘dignita dell’uomo’) and D’Annunzio – it is a problem of linguistic botanising for Italian phiosophers, ‘altreuomo’ being rendered as a translation of Emersen’s ‘plus man’ – and cf. Carlyle – D’Annunzio, who should have known better, prefers ‘suPer,’ when we know that in the ‘volgare,’ the ‘p’ becomes ‘v’, so Cardone has it just right!” Si laurea a Roma. Membro de Partito Socialista Unitario. Fonda "Ebe" e la rivista "Rivista". Fonda “Ricerche filosofiche”. Fonda la Società Filosofica Calabrese. Aattività deontologica per la realizzazione di un'etica sociale della Cultura, in difesa e promozione della civiltà, onde onorarlo per le sue incessanti iniziative anche in favore della fratellanza umana. Altre opere: Saggi di storia, filosofia e diritto; Il relativismo gnoseologico” (Palmi, A.Genovesi & figli ed); Reazione collettiva (Torino, Paravia & C); I filosofi calabresi nella storia della filosofia, con appendice sui sociologi e gli psicologi, Palmi, A.Genovesi & Figli ed., “La filosofia dello Stato” (Città di Castello, Casa Editrice Il Solco); Filosofia della vita, Città di Castello, Casa Editrice Il Solco); Umanismo (Messina); Cristianesimo, liberalismo e comunismo, Palmi, G. Palermo ed); Il Divenire e l'Uomo, Palmi, Ricerche filosofiche, “Civiltà, Palmi, G. Palermo ed); Vita di Gesù secondo il Vangelo incompiuto, Modena-Roma, Guanda Editore); La filosofia di Gesù, Milano, Bocca ed); L'uomo nel cosmo. Storia e prospettive, Palmi, Ricerche filosofiche ed); Bio critica, a cura della sezione bibliografica della Società Filosofica Calabrese, Bologna, Mareggiani ed); Seguito alla Bio critica, a cura della sezione bibliografica della Società Filosofica Calabrese, Cosenza, MIT); La vita come esperienza inutile, Cosenza, Pellegrini); L'ozio la contemplazione il gioco la tecnica l'anarchismo, Roma, Ricerche). Ricerche filosofiche, Torino, Edizioni di Filosofia). Il Divenire” (Padova, Rebellato Editore). Si vis pacem para pacem, Montepulciano, Editori Del Grifo,  Ludi. Bologna, Soc. Tip. Mareggiani ed); I confini dell'anima, Palmi, Ed. Del Fondaco di Cultura); La banca della carità” (Milano, M. Gastaldi ed., 1962 Terapia del tramonto (Milano, M. Gastaldi); Il figlio del dittatore” (Milano, M. Gastaldi); Canti del Sant'Elia, Poggibonsi, Lalli); L'assenza e la mancanza: meditazioni quasi poetiche, Cosenza, MIT). Dialogo sulla solitudine. divenir e vita. Filosofo-poeta. Un inattuale nella sua attualita. Domenico Cardone. Domenico Antonio Cardone. Keywords: Clark Kent; ovvero, sul sovrumano, “Ricerche filosofiche”; futilitarianism, inutilitarianism, Grice, “The philosophy of life,” Grice, “Philosophy of life”, essere e divenire – il sovraumano, Nietzsche, Bergson, D’Annunzio, sobra-uomo, super-uomo. Jesus as a philosopher! -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cardone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51775137288/in/dateposted-public/

 

Grice e Carifi – ablativi relativi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pistoia). Filosofo. Grice: “I would call Carifi a poet rather than a philosopher! He did indeed philosophise ‘in difesa della filosofia,’ but that  should read of ‘his’ ‘filosofia,’ which he sees as an elaboration on death! My favourite are his ‘lezioni’ di filosofia and his ‘ablativo assoluto,’ something English lacks, but ‘deo volente’ doesn’t!” --  Studia sotto Bigongiari, tra i maggiori esponenti dell'ermetismo fiorentino,  profondamente influenzato dalle voci liriche di Rilke e Trakl, su cui si è esercitato anche come traduttore, oltre a essere poeta, svolge l'attività di critico letterario e filosofico. Autore de “Il segreto”. Al fianco degli studi filosofici, vi sono quelli di psicoanalisi a Milano. Mentre nelle liriche si risente la dizione rilkiana e emerge il debito verso Heidegger, nei componimenti successivi questi motivi vengono amalgamati a nuove istanze della sensibilità. In particolare dopo la dura prova della malattia, l'incidente, come lui chiama l'ictus da cui è stato colpito, i suoi versi abbracciano una nuova forma di rarefazione dissolvente in cui l'essere, attraversato dal dolore, cerca una via estrema di comunicazione per ricongiungersi al mondo.  Luoghi e figure dell'anima. Due sono i temi che incardinano la sua poetica: la madre e il legame con la città natale, Pistoia, che di quel rapporto affettivo è l'emanazione, entrambi raccolti filosoficamente nel rimando all'infanzia, epoca originaria dei sensi, periodo d'elezione per l'anima ma anche ingrato, di cui si fatica a cogliere l'essenza se non a patto di una discesa spossante. Ora è l'attimo che attende, è l'istante che prepara i tempi a un altro istante dove si deve attendere l'infanzia, quella bastarda che era là, tragico volto dei bambini. La madre, dolorosa musa, abbandonata dal marito quando il bambino aveva appena tre anni, ha lungamente accompagnato e sorretto la voce del figlio. La sua scomparsa è una perdita incolmabile nella vita e nel suo immaginario. La città rappresenta un caldo grembo, dove tutto rimanda a quel legame dissolto ma anche alle tante amicizie e perfino a quegli spiriti gentili di artisti e letterati che continuano ad aggirarsi, figure di sogno, nelle strette strade del centro. Bigongiari era di Pistoia. Era figlio del capostazione e abitava in Via del Vento, accanto a Manzini. Nei miei viaggi onirici li vedo tutti e due, Bigongiari e Manzini, camminare tra Via del Vento e Via Verdi, in silenzio perché parlano una lingua muta, una lingua del deserto che solo i poeti e i mistici capiscono. Nei suoi versi rivive di continuo la devozione spirituale per il luogo, la cui essenza poetica sta nell'intreccio di memorie che lo abitano, un passato con cui si misura in uno stato di incerta beatitudine tra sogno e veglia. Nasco filosofo con una grande tensione verso la poesia. Una tensione, la mia, che si è poi sviluppata fino a rendermi filosofo, ma soprattutto poeta. La filosofia arriva fino ad un certo punto, da quel punto in poi c’è la poesia. La poesia parla del cielo, delle foreste degli uomini, fa un salto verso la verità. Abbandona il linguaggio su cui, bene o male, la filosofia regge e sceglie un linguaggio pre-sentativo'', il linguaggio della presenza.  La sua ricerca è la risposta alle varie vicende dell’uomo. L’uomo colma e coglie sé stesso attraverso il percorso del lume, l’apertura alla conoscenza. L’uomo mite che miete la luce, capace di cuore della verità, che non rinuncia al pensiero della responsabilità e della parola, è l’uomo Carifi. Non bisogna accostarsi a lui con il timore di leggere un incomprensibile tomo di filosofia analitica alla teoria dell’implicatura di Grice, sia pur condividendo con lui che non esistono concetti semplici, né concetti già pronti, perché la filosofia analitica di Grice è, Grice morto, in divenire, è in movimento. Un sottile ma preciso filo conduttore che caratterizza la raccolta delle sue lunghe e silenziose riflessioni è la pratica dell’intensità, destini che si rivelano fino in fondo. Esercita il bello della profondità portandola, a tutti, sul piano conoscitivo della conversazione. Le sue opere sono cammini culturali e spirituali dove l’uomo ed il valore sono all’unisono un giro concentrico di piaceri.  La conversazione è un abisso che, in un’intima solidarietà, unisce il moto interiore all’estetica dell’espressione, e la conversazione diviene il veicolo principale dove il silenzio meditativo e contemplativo si colora di una dimensione inter-oggettiva. La conoscenza dell'altro .L'uomo del pensiero: Roberto Edizione Polistampa, Firenze. Poesia e filosofia convivono e si alternano nella sua vasta produzione, tra i maggiori autori contemporanei. E conosciuto per i testi filosofici e per l’intensa attività poetica, influenzata, a partire dagli anni Ottanta, dall’amicizia con Bigongiari; ma anche per le traduzioni in italiano di Hesse, Rousseau, Racine, Bataille, Trakl e Weil. La poesia è una stretta di mano su «Naturart», rivista di cultura, Giorgio Tesi Editrice»  Scopre il dolore con la perdita della madre che diventa la sua ossessione poetica, descritta come un pozzo in cui scendere. Le sue due antologie poetiche (Infanzia; Nel ferro dei balocchi), pur seguendo percorsi diversi, si ergono entrambe su due abissi: l'infanzia personale, ma al contempo quella di intere generazioni europee, segnate da un legame indissolubile. Archivio Festival Letteratura, Palazzo Ducale, Mantova. È una poesia in cui la forte componente autobiografica trasfigura il vissuto, in quanto ciò che si racconta assume valore paradigmatico: situazioni ed episodi emblematici in cui l’uomo incontra l’assoluto. Incontro su «VIinforma», rivista culturale della Banca di credito coooperativo di S. Pietro in Vincio»  «La raccolta Madre, proprio perché torna su un tema già fortemente praticato, consente di guardare al complessivo percorso poetico di Carifi potendo distinguere in esso un momento di passaggio e di mutamento, determinato prima dall’avvicinamento al buddismo, poi dalla malattia. Giuseppe Grattacaso, Supplica alla madre su «Succedeoggi» Cultura nell’informazione quotidiana»  Opere Raccolte poetiche Simulacri (Forum/Quinta Generazione, Forlì); Infanzia (Società di Poesia, Milano, rist. Raffaelli, Rimini ); L'obbedienza (Crocetti, Milano); Occidente (Crocetti, Milano); Amore e destino (Crocetti, Milano); Poesie (I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme); Casa nell'ombra (Almanacco Mondadori, Milano); Il Figlio (Jaca Book, Milano); Amore d'autunno (Guanda, Parma-Milano); Europa (Jaca Book, Milano); Il gelo e la luce (Le Lettere, Firenze); La pietà e la memoria (Edizioni ETS, Pisa); D'improvviso e altre poesie scelte (Via del Vento edizioni); Nel ferro dei balocchi (Crocetti, Milano 2008); Tibet (Le Lettere, Firenze ); Madre (Le Lettere, Firenze); Il Segreto (Le Lettere, Firenze ); Racconti Victor e la bestia (Via del Vento edizioni, Pistoia); Lettera sugli angeli e altri racconti (Via del Vento edizioni, Pistoia); Destini (Libreria dell'Orso editrice, Pistoia); Saggi Il gesto di Callicle (Società di Poesia, Milano); Il segreto e il dono (EGEA, Milano); Le parole del pensiero (Le Lettere, Firenze); Il male e la luce (I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme); L'essere e l'abbandono (Il Ramo d'Oro, Firenze); Nomi del Novecento (Le Lettere, Firenze); Nome di donna (Raffaelli, Rimini ). Note  Rainer Maria Rilke, L'angelo e altre poesie, Via del Vento edizioni, 2008; Georg Trakl, La notte e altre poesie, traduzione di Massimo Baldi e Roberto Carifi, Postfazione di Roberto Carifi, Via del Vento edizioni. Tiene la rubrica mensile "Per competenza" sulla rivista «Poesia». Per ulteriori notizie si veda la sezione dedicata ai cenni biografici del poeta nel volume Roberto Carifi, D'improvviso e altre poesie scelte, Via del Vento edizioni, Da Roberto Carifi, Tibet, Le Lettere, .  Da Pistoia in parole. Passeggiate con gli scrittori in città e dintorni, Alba Andreini, introduzione di Roberto Carifi, Edizioni ETS, .  M. Baudino, Nel mitico mondo di Carifi, «Gazzetta del Popolo»; C. Viviani, Il mito e il nuovo inquilino, «Il Giorno», F. Ermini, Il mito per relazionarsi al reale, «Il quotidiano dei lavoratori», G. Giudici, Il gesto di Callicle, «L'Espresso»; A. Porta, Il gesto di Callicle, «Alfabeta», M. Spinella, La microfisica del significante poetico, «Rinascita», nQui sento odor di buoni versi, «Il Messaggero»; Infanzia, «Il piccolo Hans», Al fuoco di un altro amore, Jaca Book, L'anima e la forma nel verso. «Avvenire»; P.F.Iacuzzi, Il paradosso della poesia italiana. «Paradigma»; Utopisti e menestrelli, «L'indice», R. Nostalgia del tragico, «Corriere del Ticino»; I Quaderni del Battello Ebbro. Basso continuo del rumore bellico per litanie epiche sull'occidente, «Il Manifesto». Il filo del tramonto e del rimpianto, «Il Giornale», La poesia, il luogo del ritorno a casa, «La Nazione», La lingua continua a battere dove la carità duole, «Il Mattino»,   Il buio mondo che ci avvolge, «Il Sole 24 ore», Il lato oscuro delle cose, «La Repubblica»;  Sul vuoto appesi alla parola, «La Nazione», Amore senza tempo, «Il Sole 24 ore», ; E per musa ispiratrice la nostalgia, «Avvenire»,  Classici pensosi versi, «Gazzetta di Parma», Amore per una donna e per il nulla, «Il Giorno», Gli amori di Carifi, «La Nazione»; B. Manetti, Carifi il poeta errante, «La Repubblica»; D. Attanasio, Amore e morte trascendenti segreti, «Il Manifesto», R. Copioli, Carifi: il desiderio è mitico, «Avvenire», 14 maggio 1994; E. Grasso, L'amore quando il lume si spegne, «L'Unità»; A. Donati, Intervista a Roberto Carifi, «Il Giorno», Doni al confine del tempo, «Il Sole 24 ore»; L'angelo poetico della solitudine, «Il Giorno», R. Figli innamorati del proprio destino, «Avvenire»; Il male come provocazione estetica – estetica del male -- Chiaroscuro con lampada e scialle, «Il Sole 24 ore»; Chi son? Sono un poeta, «Il Giornale»; Il dolore nelle sillabe, «La Gazzetta di Parma»; Un angelo in esilio, «Avvenimenti»; U. Piersanti, Il figlio, «Tutto Libri»; Bigongiari, Carifi: parole e voce di Figlio, «La Nazione»; Quel contratto da verificare, «Il Sole 24 ore», Angeli sospesi tra essere e abbandono, «Avvenire», Un neoromantico invoca il cuore, i sogni, l'addio, «Tutto Libri»,  Amore d'autunno, «L'Espresso», Morte di madre. Quando la poesia "riversa la vita", «Il Giornale», L’elegia di uno stile semplice, «Avvenire»; Quei legami vitali tra figlio e madre, «La Nazione»; Tra infelicità e silenzio, «Il Sole 24 ore»; Un dolcissimo amore d'autunno, «Il Giornale», L'estetica dell'amore, «Il Tirreno», Dalla parte del cuore, «Gazzetta di Parma»; E. Coco, Rivista de Literatura. Un dialogo a distanza sull'alterità del figlio, introduzione a R. Carifi e U. Buscioni, Figure dell'abbandono, maschiettoemusolino, Siena; Il pathos del sublime: la poesia di Carifi, «Atelier», D. Fiesoli, Europa, «Il Tirreno», B. Garavelli, Addio alla madre, «Avvenire», G. Colotti, Europa, «Il Manifesto»;  La religiosa tragicità di Carifi, «Poesia»; F. A. Scorrano, La conoscenza dell'altro. L'uomo del pensiero. Edizione Polistampa, Firenze, S. Ramat, Roberto Carifi nel nome della madre, «Il Giornale»,  Per la sezione bibliografica questa voce trae informazioni dalla  inglese.   Piero Bigongiari Gianna Manzini Pistoia Via del Vento edizioni //poesia.blog.rainews//09/blog Poesia Rai News L'UOMO DEL PENSIERO. Saggio sulla poesia di Carifi Tre poesie su «Sagarana», su sagarana.net. Una recensione di Infanzia, su margininversi.blogspot. Roberto Carifi. Il sisma silenzioso del cuore articolo di Andrea Galgano su «Clandestino». Roberto Carifi. Keywords: ablativi relative, filosofia e poesia – l’implicatura del poeta – l’implicatura di Blake – l’implicatura di Guglielmo Blake – rhyme or reason – the invention of rhyme – l’invenzione della rima – empedocle: ragione senza rima -- Heidegger, conversation, language, silence, being, inter-subjectivity. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carifi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51775516699/in/dateposted-public/ 

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