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Monday, January 3, 2022

GRICE ITALICVS VI/XXII

 

 

Grice e Barbaro – il Daniele – filosofia italiana – filosofia veneziana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Grice: “This can be confusing to Oxonians, althou we are familiar with the Hanover dynasty! Daniele Barbaro, a faitehful nephew, commented on his uncle’s, Ermolao Barbaro’s, ‘translation’ of Aristotle’s rhetoric – I shouldn’t even be saying this since it’s implicated in the title where Ermolao features as ‘interprete,’ and the ‘commentarium’ is due to Daniele.” Grice: “On top, Daniele wrote about ‘eloquenza,’ but his comments on his uncle’s vulgarization into latin of Aristotle’s vulgar-greek (koine) rhetorica – is perhaps more Griceian – since there is little conversational about Daniele Barbaro’s ‘eloquenza,’ while the rhetoric (or ‘rettorica,’ as he prefers) is ALL about ‘dialettica’ and dialogue!” --  Daniele Barbaro patriarca della Chiesa cattolica Portret van Daniele Barbaro Rijksmuseum SK-A-4011.jpeg Ritratto di Daniele Barbaro, attorno al 1561-1565, opera di Paolo Veronese, presso il Rijksmuseum di Amsterdam Template-Patriarch (Latin Rite) Interwoven with gold.svg   Incarichi ricopertiPatriarca di Aquileia. Nato 8 a Venezia Nominato patriarca 17 dicembre 1550 da papa Giulio III Deceduto13 aprile 1570 (56 anni) a Venezia. Ritratto da Paolo Veronese, 1562-1570 (Firenze, Palazzo Pitti)  Villa Barbaro a Maser  Pratica della perspettiva, 1569 È noto soprattutto come traduttore e commentatore del trattato De architectura di Marco Vitruvio Pollione e per il trattato La pratica della perspettiva.  Importanti furono i suoi studi sulla prospettiva e sulle applicazioni della camera oscura, dove utilizzò un diaframma per migliorare la resa dell'immagine. Uomo colto e di ampi interessi, fu amico di Andrea Palladio, Torquato Tasso e Pietro Bembo. Commissionò a Palladio Villa Barbaro a Maser e a Paolo Veronese numerose opere, tra cui due suoi ritratti.   Daniele Matteo Alvise Barbaro o Barbarus fu figlio di Francesco di Daniele Barbaro ed Elena Pisani, figlia del banchiere Alvise Pisani e Cecilia Giustinian. Suo fratello minore fu l'ambasciatore Marcantonio Barbaro. Barbaro studiò filosofia, matematica e ottica all'Padova.  Fu ambasciatore della Serenissima presso la corte di Edoardo VI a Londra, dall'agosto 1549 al febbraio 1551, e come rappresentante di Venezia al Concilio di Trento.  Nipote del patriarca di Aquileia Giovanni Grimani, fu suo coauditore nella sede patriarcale di Aquileia. Venne promosso in concistoro a patriarca "eletto" di Aquileia (coadiutore), con diritto di futura successione, ma non assunse mai la guida del patriarcato perché morì prima dello zio. All'epoca tale carica era quasi una questione di famiglia per i Barbaro, infatti furono patriarchi di Aquileia ben 4 Barbaro fra il 1491 e il 1622:  Ermolao Barbaro il Giovane, patriarca di Aquileia dal 1491 al 1493, Daniele Barbaro, patriarca di Aquileia, Francesco Barbaro, patriarca di Aquileia dal 1593 al 1616, Ermolao II Barbaro († 1622), patriarca di Aquileia dal 1616. Fu forse nominato cardinale in pectore da papa Pio IV nel concistoro del 26 febbraio 1561 e mai pubblicato.  Solo i Grimani, con cui erano imparentati, occuparono più volte il patriarcato (ben sei).  Partecipò a varie sedute del Concilio di Trento a partire dal 14 gennaio 1562 fino alla sua chiusura nel 1563.  Atre opere: commentarii di Aristotele Retorica del suo pro-zio Ermolao Barbaro il Giovane (Venezia); Compendium scientiae naturalis di Ermolao Barbaro il Giovane (Venezia); Commento sull’archittetura d Vitruvio, pubblicato col titolo “Dieci libri dell'architettura di M. Vitruvio” (Venezia). Di essa pubblica anche una versione in latino intitolata M. Vitruvii de architectura, (Venezia). Le illustrazioni sono realizzate da Palladio --; un trattato sulla geometria, prospettiva e scienza della pittura, La pratica della perspettiva (Venezia); un trattato sulla costruzione delle meridiani, “De Horologiis describendis libellus” (Venice, Biblioteca Marciana, Cod. Lat. VIII, 42). Più tardi si scopre che il testo del Barbaro affronta la tecnica di strumenti come l'astrolabio, il planisfero, il bacolo, il triquetrum, e olometro di Abel Foullon. Cronache, probabilmente riprese da Giovanni Bembo nella Cronaca Bemba. Aurea in quinquaginta Davidicos Psalmos doctorum graecorum catena interpretante Daniele Barbaro electo patriarcha Aquileiensi, Venetiis, apud Georgium de Caballis.  Note  La pratica della perspettiva, 1569, consultabile online (testo italiano + tavole originali)  Giuseppe Trebbi, Barbaro Daniele, in Nuovo Liruti: dizionario biografico dei friulani. 2: l'età veneta. A-C, Forum editrice universitaria, Udine 2009374  Eubel, Hierarchia Catholica Medii et Recentoris Aevi, III39, che cita gli Acta camerarii 9, f. 37 e gli Acta vicecancellarii 8, f 7  Louis Cellauro, Daniele Barbaro and Vitruvius: the architectural theory of a Renaissance humanist and patron, Papers of the British School at Rome, 72 (2004),  293–329 Pio Paschini, Daniele Barbaro letterato e prelato veneziano del Cinquecento, Rivista di storia della chiesa in Italia, 6 73–107. Władysław Tatarkiewicz, History of Aesthetics,  III: Modern Aesthetics, edited by D. Petsch, translated from the Polish by Chester A. Kisiel and John F. Besemeres, The Hague, Mouton, 1974. Daniele Barbaro, Pratica della perspettiva, In Venetia, appresso Camillo, & Rutilio Borgominieri fratelli, al Segno di S. Giorgio, 1569. 30 maggio . Robert Devreesse, La chaine sur les psaumes de Daniele Barbaro, in Revue Biblique,  Giovanni Mercati, Il Niceforo della Catena di Daniele Barbaro e il suo commento del Salterio, in Biblica,  26, 1945,  153-81.  Storia della fotografia Villa Barbaro Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Daniele Barbaro Collabora a Wikiquote Citazionio su Daniele Barbaro Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Daniele Barbaro  Daniele Barbaro, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giovanni Vacca, Daniele Barbaro, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Daniele Barbaro, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Giuseppe Alberigo, Daniele Barbaro, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Daniele Barbaro, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Daniele Barbaro, . David M. Cheney, Daniele Barbaro, in Catholic Hierarchy.  Daniele Barbaro, su museogalileoMuseo Galileo, Firenze. 21 ottobre . Daniele Barbaro (15141570), su mathematica.snsEdizione Nazionale Mathematica Italiana, Pisa, Centro di Ricerca Matematica Ennio De Giorgi. 21 ottobre .Salvador Miranda, Barbaro, Daniele Matteo Alvise, su fiu.eduThe Cardinals of the Holy Roman Church, Florida International University. 21 ottobre . PredecessorePatriarca di AquileiaSuccessorePatriarchNonCardinal PioM.svg Giovanni Grimani17 dicembre 155013 aprile 1570Aloisio Giustiniani4959495 Umanisti italiani 1514 1570. Nati l'8 febbraio 13 aprile Venezia VeneziaBarbaroPatriarchi di AquileiaAmbasciatori italiani. DELLA ELOQUENTIA, DIALOGO. INTERLOCVTORI:  L'ARTE, LA NATVRA , ET L'ANIMA . R.IO VORREI VOLENTIERI Natura , che noi disputaßimo insieme , fe però l'ufficio del disputare alla tua conditio nesi conueniſſe . NAT. Il diſputare é cosa da te ò Arte, figliuola mia. Ma fe à me stesse l'ammaeſtrarti, di presente direi, che tra il tuo intendimento, o il mio, alcuna differenza non fuſje, da che dentro ti venija se il contender meco. AR . Al almeno desidero tale occasione . NAT. Vano, o dannoso desiderio é il tuo, si perche io non sono mai ociosa , come perche tu sempre dei non mes no abbracciare il bene che cercare la verità delle cose. AR. Niena te più migioua, che il bene, ne che il vero più mi diletta. NA. In questo almeno tu m'assomigli, che ouunque sia , ch'io mi ritrdovi, il vero sono, o il bene di ciascuna cosa . AR. si,  ma tu alla cieca ne vai, e io di tanto amo ogn'uno, che con deliberato consiglio , o anati veduto fine faccio, lo difar bene . NAT. Emmipur manifesto che la tua grandezza è di nascondere te stessa quantopuoi, o di accoſtarti à me . AR. Queſto é,maciò auiene,perche tu prima di me al mondo ueniſti, o gli huominia'tuoi piaceri aduſaſti , innanzi ch'io ci naſceßi; o queſta mia imitatione non ti accreſce dignitade alcuna . Percioche,nëla formica uile animaluzzo e più degna , ne l'huomo meno onorato, ancor che questo quella imitando , l'eſtate per lo uerno ſiproueda.La mia induſtria, Ò Natura , fa maggiore il tuo pouero patrimonio . NAT. Che accreſcimento farebbe ella,ſe io non ti laſciaßi che accreſcere ? Tupure,ſe uuoi,ben ſai, che ogni operă preſuppone il ſoggetto,ſenza il quale nulla ſi può fare. Que fto da me , non da te procede; oltra che appreſſo giuſto giudice il ſecondo DELL A ſecondo luogo, non che il primo, ti faria denegato. AR. Giusto à tua ſcelta intendi colui, che te à me anteponga;ma nonſai che per la età molto ti concedo . NAT. E'mipiace di ragionare an poco tea coſopra queſta materia , poi che tant'oltra procedutaſei, che di te con buona equità midolga . Dicoti adunque, che in ordine di onoran za ne prima ſei, né ſeconda . Ar . Chi adunque à noi ſopraſta ? NAT. Chi ne fece ambedue é il primo.10 ſenza mezo dalui nace qui. Tu doppo me sei . NAT. Adunque mentono coloro che affer mano , te effer madre uniuerſale , poi chetu ſteſſa non nieghi eſſere d'altruifattura ? NAT. Ad un modo io ſono madre,ad un'altro figlia. A R. Adunque di te coſa picprestante ſi truoua ? NAT. Chi ne dubita ? Ma io per eſſere å gliumaniſentimenti uicina, tutta fiata ſon preferita . AR. Hai tu conoſcimento di fine alcuno ? NAT. Certo no ;ma nelgouerno del tutto io ſon drizzata,e quafi addeſtrata dalpadre mio . AR. In che dunque é ripoſta queſta tud gloria ? NAT. Tanto potente,ſaggio, w buono é ilmio fattore , che la ſua gloria in me mirabilmente ſoprabonda . AR. Sommi più voltemarauigliata di coteſta tua occulta uirtù ,dalla quale tu ſei cosi gentilmente guidata.jpelefiate mi è uenuto in animo di cre dere che ella forſe habbia potere di trar mead imitarti diforza; ergo però diſcorrendo,etpiù dentro penetrando, bo giudicato eſſere gran famiglianza tra quelprincipio , che ti muoue, &me,ondeper la ſea creta uirtu ,non tua,io mi muouo ad operar come tu fai. Ma poi mi pare,che,ſe il diſcorrere l'ordinare,e il ridurre àfine le coſeantiue dute, è ufficio mio,io ſia inanzi di teſtata nel Cielo appreſſo il padre tuo, che egli habbia l'opera mia uſata in generarti ò produrti NAT. In altra guiſa io faccio le coſe mie tule tue, di quella del fattor noſtro, chenehafatte, & create.Però guardati dinon giudi care troppo animoſamente le coſe , figurando le inuiſibili, & occulte per le uiſibilio manifeſte . Ma perchecosi agramente mi condane ni? ſe in qualunque modo tu uuoi per le coſe già dette chiamar mi, ò madre, è figlia, o ſorella, ó amica ſeisforzatadi nominarmi ? no mi tutti di congiuntione, amicitia, oſtrettezza. Egli non ſi uuol có. si correre a furia . AR. Non ti adirare ó Natura, che io non ho contra te mal uolere, né il finemio é ſtato cattiuo , anzi per lo tuo ef faltamento ho uoluto raffrenare la mia credenza, che era di ſapere con qual calamita io tirata fußi ad operare come tu fai,e mi uenu to ben fatto per lo ragionamento ,che éftato fra noi, perche hauen do noi do noi ritrouata l'origine del noſtro naſcimento,ſiamoſicuré della no ftra nobiltà, come quella checon la eternità ſipareggi,o dal primo fattore d'ogni coſa proceda . Ma ben mi duole , & per queſto ti ho chiamata,cheà molte ſciagure ſia la grandezza mia ſottopoſta .Et quanto maggiore è lo stato mio, tanto àpiù pericoli mi ueggio eſſer ſoggetta . NAT. Quai ſciagure , oquai pericoliſono queſti ? AR. Saper dei Natura, madre mia , che in tutte le parti delmondo mi truouo hauer molti miniſtri,de quali neſono alcuni,chemifanno una gran uergogna, a oltre à ciò miſono di danno infinito , o per lor cagione io ne ſento male . Perche non indrizzando me al debito fine, anzifieramente in abuſo ponendomi, come buona, utile, oono reuole cheio ſono,rea,dannofa , & uituperabilemifanno . Ondegli huomini per mezo mio ingannati da loro, certi de' loro danni, main certi di chi la colpaſiſia, s'accendono d'ira contra dime, à guiſa di co loro,che le ſpade,o non glihomicidi punir uoleſſero. NAT. Tu non ſei ſola nelmale di si fattioltraggi, tutto'l dime ne uengono afe ſai . Percioche producendo io ogni coſaà beneficio della vita di chi ci naſce, moltiſciagurati epieni dimal talento, maleufando l'arti ficio loro,empiono iltutto diconfuſione, auelenando, uccidendo,in, gannando, eoffendendoſenza riguardo alcuno; e chi ode o xede taliſceleraggini, maledice ogni mia fattura . A R. Duraper certo ėlaforte noſtra,però che il uolgo cieco, &ignorante non ſa,chereo non è quello , che in bene uſar ſipuote.Maper uer direzio poco mi marauiglio, ſe il ueleno auelena,ò il ferrouccide, ma ben grandeam miratione miporge,quädo il cibo, di cuiſiuiue,cosi ſpeſſo in cattiuo umore ſi conuerte,che alla morte conduce. Et ciò dico à fine,chetu Sappia quantoiogiuſtamente mi dolga,che lapiù pretiofa parte,che tupergratia del tuo fattoreall'huomo cõcedi conla quale egli poſ fan debbia altrui eſſere d'infinito giouamento , cosi ad offeſa Sia, ex à danno preparata , che niente più . NAT. Chié quelmaluagio Oingrato,che tal coſa ardiſca di fare ? AR. L'Anima, o la più diuina parte di lei. NAT. Perseguitiamola dunque, o facciamo la citare dinanzi al Tribunal diuino , Voglio , che ella dica la cauſa ſua. AR. Ma prima uoglio,che infingendo noi con eſſo lei,tanto la prendiamo che ella dica à noi ogni ſuaeſcufatione . NAT . Né la giuſtitia del Giudice, né la uerità del fatto , nela tua dignità ricerca tale inganno,eſſendo quello ſincerißimo,la coſa uerißima, otu quel la,che del medeſimo errorej, del quale ſei per riprender lei, puoi eſ A 2 Ser accufatd. A R. Ben di..Ma io altrimenti non ſonouſata difure. Ma eccoti queſta ingrata ,che di molte parti, et eccellenti doni da noi dotata d'alcuna gratia,che futta le habbiamo,non ſi ricorda ,contre mecon me fteſa ,o contra te per li beni, che dato le hai , altiera ſi lieua . Aſcoltiamola alquanto. ANIMA. Iddio vi ſalui ſorelle amantißime, delle qualiund mi rende atta l'altra mi fa gagliarda als l'operare . AR. Et te ancora ſecondo il tuo buon uolere, ma dins ne, che usi tu cercando ? AN. Te ſopra tutte le coſe . AR. In parte difficile ti ſei riuolta, perciò che biſogna, che tu oſſeruicon di ligenzatutte le operationi, a modi di coteſta noſtra commune amis ca. A N. Hoio ad impiegare tanta fatica, innanzich'io t'imprens da ? AR. Et poſponere a queſta ogni altra cura,ben che dolcißima cura ti fia , per la ſperanza dello acquiſto, che ne farai. Ma che parte di me conoſcer deſideri ? AN. Indifferentemente,ſe poßibil fuſſe, tutte le uorrei , tutte le abbraccerei tutte le poſſederei . Ma ora grado mifia tant'oltre procedere, ch'ioſappia altrui paleſare i cons cetti miei . AR. Più chiaramente midi quel che uuoi,perche in molte maniere giouar ti poſſo d'intorno à cosi fatto dimoſtramento di penſieri . Vuoi tu ſapere conqual nodo di ragione ſi ſtringa ung parola con l'altra quale ſia la concordanza de' numeridelle per fone, ode' uocaboli delle coſe, et con quai regole dirittamente fifcri Me ? AN. Queſta parte io la preſuppongo. AR. Forſe tu uai cer cando d'intendere con quale unione una coſa con l'altra conuengd, per poter'à tua uoglia diſcorrere,argomentare,o foſtenere le cons teſe  AN. Né ciò intendo per ora , ma di più diletteuol parte ho curd . AR. Tu uuoi tutta fiata porgere diletto col parlar ſoauiſ fimamente,à guiſa di delicata uiuanda acconciandoi numeri,il ſuono, per l'armonia delle uoci eſprimenti coſe piaceuoli, & grate à i fenfi umani ? A R. 10 uorrei più adentro penetrare, né tanto effer folles cita di piacere alle orecchie ,quanto di giouare all'animo , operò dimmiſe hai più parti, quaſi figliuole,cui ſi conuenga la cura del ras gionare. AR. Honne , o hauer ne poſſo ancora molte altre , che nonſono in luce ; ma tra le altre una ue n'ba, che non è leggitima; un'altra la quale bēche leggitima ſid, pure e di tāto riſpetto, che rare Holte ſilaſcia al mondo compiutamente uedere. La prima in tanto da me é hauuta per buona , in quanto ella inſegna di conoſcere gli ingan ni del parlare , e à fuggire i ciurmatori . Laſeconda e da me coſto dita, &guardatamolto,percheio temo , che gli huomini di malaf fare non la ſuijno. Et eſſendo ella di bellezza,o di forma ſopra ogni altra eccellente gran pericolo miſoprafta Jlquale tolga lddio , ma doue non paſſa la maluagità umana : doue non penetra l'audacia ? ego di queſto, poco fa , la Natura, a io ci doleuumo, et penſauamo,che tu fußi quella tu , che d'ogni male Q uergogna noſtra fußi l'apporta trice . A N. Perunared eu perfida, che ſi truoua , non crediate di gratia, che oggi di tutte ſieno tali,perche da me ui prometto,che als tro che onore non hauerete , AR. Bene, o cosine cape nell’anis mo. Che uuoi tu adunque da me ſapere ?  AN. 10 cerco molto , Ò Arte, à modo mio di posſedere coteſta tua cosi bella, o riguardata figliuola,à benefitio deipopoli, o delle genti, o à gloria tua, di me,dicui altro cibo più ſoaue non truouo . AR. Prega tu prima la Natura, che à te conceda corpo ben diſpoſto, oformato , aſpetto graue, o gentile, uoce chiara, á eſpedita fianco,modo, o mouimen ti conformialla virtù , che deſideri". Appreſſo poi à me prometterai congiuramento di non ufare già mai la figliuola mia,uezzofa , inſos lente, « che tanto uagaſia delle bellezze ſue, che per farſi uaghegs giare in ogni luogo , in ogni tempo , in ogni propoſito ſenza riſpetto alcuno compariſca . Et con luſinghe eadulatione dal ben fare le genti , o i popoli aſcoltanti rimuoua . AN. Se ottimo uolere , fe oneſtédimanda ritruoua luogo appreſſo di te, o Natura, con ogni af fetto ti priego, chetu mi dia quello chel'arte mi perſuade, che ti dis mandi, corpo gratiofo,formato,odotato di quelle parti, che conue nientiſono alualore della figliuola fua . Etſe bene in alcun tempo io non ti poteßi di tanto donorimeritare,pure non ceſſerò di eſſertiſem pre obligatißima. NAT . Siati la gratia , che dimandi, conceſſa . A N. Io tigiuro ó Arte,perquella diuinità, che ſi truoua maggiore, di accoſtumare la tua figliuola à giouare ouà ben far’altrui , né per modo alcuno permettere, che ella ſeguagli apperiti diſordinati, ma circoſpetta ſempre , oſempre riguardeuole compariſca . AR. CO si habbi la chiarezza del ſangue, la libertà , eccellenza della pas tria , ibeni da gli huomini defiderati, come ciò facendo,alcolmo della gloria à pochi conceſſa ,peruenirai. NA . Felice patria ,che di tale, e tant'huomoſaràfornita. Maqual patria le dareſti tu ,ó Ar te ? AR. A'mia uogliale darei quella ,in cui le leggi poteſſero piit, che gli huomini , doue la maggior parte alla commune utilità s'ina drizzaſſe; antica,nobile,illuſtre,e di quelgouerno, nel quale il bes ne di tutti glialtri gouerniſiconteneffe, qualeforſe non più che unds'e  s'è ritrouata ,oſi ritruoua al mondo, oforſe tu , o Natura,conſentia ſti di prepararle ilpiùſicuro & comodo luogo , oil piie forte fito , cheueder ſi poſſa,nonmeno al mare che alla terra uicino ,cui di gra tiaſpeciale ancora il Cielo concede priuilegio di eſſer nimica d'ogni tumulto, o ſeditione,parca,pia,oreligioſa , con inſtitutiottimi temperata : NA. Troppo di cuore commendi, o lodi queſta tua Città, eforſe à ciò fare queſto t’induce ,che tu in eſſa puoi il tuo ud lore, o la tuaforza chiaramente dimoſtrare . Ma tu, ó Anima, già ricca di tanti doni, chefatti t'habbiamo, che dici ? A N. Le gratie non ſonopari al uolere,io attendo quello, che attender dei , &sò lo ſtudio ,che tu ſei ſolita di porre nelle coſe tue;mi& rendo certa, che tuſai ancora, che ritrouando io unatemperatißima compleßione di corpo ,à quella dò la umanaperfettione, o come quella temperanza cade,cosiſopra di eſſa declina ilmio ualore. Làondeſono alcune co ſe, allequali io non degno la uita concedere. Ad altre ueramente dos no la uita,ma le operationi di quella cosi ſono occulte, che in forſe fi ftà di credere ſe in eſſe la uita ſi truoui . Altre uita ,ſenſo, omouis mento da me hanno comealcune intelligēze, et amore, coſa nobile et ueramente diuina . NAT. Queſtomipare,checosi ſia map ure als cuna fiata io ueggo, che le anime uan ſeguitando le compleßioni de' corpi. Onde poiſono alcuni ſdegnoſi, alcuni manſueti, altriuanno dietro alle apparenze,altrialle fauole più che alla uerità fi danno , emolti in ogni pruoua, ſoda ex inquiſita ragione uan ricercando. A N. Et queſto èquello da me tantodeſiderato dono , che e di ſapes re in tal guiſaſpiegare i concetti miei,ch'io ſatisfaccia à tanta diuer. ſità di nature, o d'ingegni. NAT. Quando tu ſarai giunta à quel paßo,chetu ſappia per mezo dell'arte cosi ben gouernarti con ogni maniera di perſone,dotte,roze,ciuili, barbare, umane, e inumane , allora potrai à tua uoglia mitigar’anco gli adirati, fpingere i pigri, raffrenare i feroci, ingagliardire i deboli; et di uno in altro cótrario à uiua forza ogni anima tramutare . A N. Coteſta é und magica eccellentiſsima. Ma tu Arte,cui è dato di ritrouare alcune uie ragio neuoli di peruenire alla cognitione di coſe non conoſciute, incomincia da quelle che facili, en eſpedite ad inuiarmi al deſiderato fine riputes rai . Ar. Cosi uoglio, o à te farò capo , ó Natura, dinuouo addis mandandoti,di che beni uuoi tu adornare queſta noſtra nouella ſpoſa ? NAT. Hollo già detto, a più aperto ti diſtinguo ,dar le uoglio , ol tre al corpo ben formato unauoce grata , chiara, eguale, che ogniſuonoageuclmente ſi pieghi, e che ſe ſteſſa inſino all'eſtremo ſoſtenti. AR. Et io le dimoſtreró parole atte ad eſprimere leggia dramente ogni concetto,pure,ampie, illuftri, eleganti ſeuere,giocona de, accoſtumate,ſemplici,uere, tarde, ueloci, ofinalmente tali , che abbracceranno la uera idea di me in queſtoeſſercitio . Et di più io l'inſegnerò di collocarle si fattamente inſieme, che diletteranno ſema pre , o non falliranno già mai ; or iu Anima farai ociofa ? AN. Hauendo io per gratia di te Natura le coſe conuenienti , oper tud corteſia ò Arte le parole conformi, farò si, che niuno in mepotrà de fiderare ne penſamento neſtudio alcuno . NAT. 10 a' ſenſi tuoiſot toporrò tutte le coſe, dalle quaifacilmēte ti uerrà fatto di prendere argomento di ragionare. Tu fin tanto non mancherai di diligenza. AR. Paterno, oſaggio ricordo. Però che con la diligenza ogni giorno teſteſſa auanzerai, ella ti farà poßibile ogni impoßibilità ,ela la é la perfettione, lalode di tutte le opere de mortalijà cui cons giunte ſono tutte queſte coſe, cura, induftria, penſamento,fatica,eſſer citio , imitatione de migliori, «il tempo padre d'ogni coſa . Credi adunque à me quelloche la lunga eſperienza mi haidimoſtrato, cioé, che niente giouano imieiprecetti,niente le regole,niente gli ammae ſtramenti,ſenza la diligenza,con la quale oltre alla inuentione , all'ordine delle coſe,otterrai di accommodar la uoce alle parole, eſpri mendo le umili con baſſo, o rimeſſo ſuono, le pure coniſchiettezza, le afpre con durezza,abbaſſando, & inalzando queſto beato inſtrué mento à que' tuoni, che ſaranno conuenienti . An. Coteſte fono leggi da eſſere oſſeruate allora che io ſarò col corpo congiunta. Pers cheben ſai chenė lingua, nė uoce habbiamo, nė però egliſi uuoldire cosi ad ogn'uno,in che maniera tra noi fauelliamo . NAT. 10 ſo be ne, chegli huomini andrannofauoleggiando di noi , come altre fiate hanno detto chele cannucce parlarono , ilche é maggior miracolo , che ſe gli Indiani uccelli eſprimono le uoci umane. A R. Se già col mio aiuto uolarono gli huomini, molte coſe inſenſate hebbero mo uimento , che marauiglia potranno oggi maiprendere del parlar nos ſtro ? AN. Che debbo dir’io ? partita ora dalluogo,oue il parlaa re é uiſibile , l'intendimento ſenza fauella ſi ſcuopre, muoueſi ſenza luogo,e s'impara ſenza discorso. AR. Coteſti miracoli , che tu ci narri,ſono ſegno, che tu non habbia biſogno dell'opera noſtra . AN. Tu di vero, ſeio nella mia primiera ſimplicità mi rimaneßi. Ma diſcendendo dalpuro o purgato eſſere, o venendo quaſi ad un'aria infettata e corrotta,molto mi ſento dal mio primo ſtato ria moſſa . NAT. Peggio ti auerrà meſcolandoticon la masſa matea riile del corpo . A N. Ad ogni modo mi biſogna ſtar ſottopoſta. AR. Non uſciamo di ſtrada,macome buoni mercatanti accontiamo inſieme . Haßi dunquefin'ora promeſſa di uoce eſpedita , di copia di parole , di modo conueniente di accomodar la uoce alle parole ;oraci reſta di affettare le parole alle coſe. Cheditu Natura ? NAT. Die co, ch'egli è più che neceſſario queſto affettamento,ſenzail quale le parole ſarebbon uane et ſenza frutto, però accreſcendo le doti, che io intendo dare à coſtei , promettole di dimoſtrarle nelle coſe mie us na certa uerità , alla quale accoſtandoſi, potrà ſeco tirare ogniforte di gente , o di tale ueritàſenza dubbioti affermo eſſerne ogn'uno capace. A'R . Già tre corde di queſto liuto ſono accordate , uoci, parole , a coſe. Reſta, che nelle coſeſi ueda una certa conuenienza con eſſo teco,ò Anima, e con le parti tue; che ne riſulti la perfetta e compiutafoauità della deſiderata armonia. Però aiutamia ritros uare le tue più ſecrete parti, epiù occulte uirtù, acciò cheſi ſappia qual parte di te, con quai coſe, « con che parole, et con che attione ſi debba muovere . A n. Piacemi queſta diſpoſitione mirabilmene te ofappi ,che auenga;ch'io nonſia ſtata col corpo già mai, nientes dimeno come nouella ſpoſa nella caſa del padre molte coſe hoſapute, che mi aueranno quando ciſarò legata. A R. Ora incomincia à dir mene alcune. AN. Hogià inteſo,che quando io ſarò con eſſo il cor po, molte mie forze emoltemie uirtù ſi ſcoprirāno,le qualiora non ſi conoſcono. Et prima ne gli occhi io ſarò il uedere,nell'orecchie l’u dire, nel palato il guſto , per ogni luogo oparti del corpo faró ſentimento, nel cuore principio diuita,di ſenſo,etdi mouimento .Ben che ad altra intentione altri riguardando,la origine di tai coſe ad al tre parti aſſegnerano. In un luogo ſarò fantaſia,in altro memoriain altro ingegno,et per tutto ſarò anima.Et ſe il corpo fuſſe di tal tem pra, chegli fuſſe diffoſto à riceuere ogni mis uirtù, farei nelle orecs chie la uiſte , o ne gli occhi l'udito, quantunque per molti accia denti , che uengono à i corpi , l'animepouerelle uſar non poſſano le forzeloro, da che nacque l'opinione di coloro, che dicono "credos no che noi moriamo inſieme col corpo.Ma io ti giuro per quell'onnis potente maeſtro, che mi fece che noiſiamoimmortali , oſe ora io fo noſenza il corpo,perche non ſi dee credere che io reſtar poſlı dapoi, che'l corpoſarà disfatto ? AR. Tutto chemolte ragioni aſſai pro Babiliper l'und ei per l'altra parte mi muouano,pureal modo,che io Sonoſolita di cercare la uerità delle coſe ,io non ſono puntoſicura del la voſtra immortalità, però rimettendomi à qualche maggior ſapien za, che la mia non é, mi gioua di credere che noi uiuiate eternaměte. A N. Più oltraiſe fenza il corpo conoſco ,fo ueggio , econoſco di conoſcere,miapropria operatione, che dirai tu poſcia dello eſſer mio ? AR, Ritorniamo al cominciato ragionamento . An. Ben ti dico ora delle forze mie, perche io conoſco di dentro , e di fuori, dentro con la fantaſia, col diſcorſo , o con l'intelletto , o ciò si dia mandavolontà, come quello del ſenſo appetito , il quale hauirtù di porſiinanzialle coſe diletteuoli, o di fuggire le diſpiaceuoli.La no lontà è Regind. AR . A'me pare , che tu mi hábbiposto inanzia gli occhi la forma di una ben'ordinata Republica, nella quale ui ſia il Principe, iCoſiglieri,i Guardiani, et gli Artefici. Mainfinitamentemi doglio d'alcuni , che per molti ſecreti auenimenti, de' quali non fan renderealtramente ragione, corrono à fabricar nomi, che nonſono, et con quegli impauriſcono le genti,aguiſa delle nutrici,che ſpauenta, no ifanciulli con le fauole, quindi è nato il nome della Fortuna,cui ca pital nimica io ſempreſonoſtata, nõ percheio creda,che à quel nome alcuna coſariſponda , maperche mimoleſtalafalſa opinione di colo ro, che non ſolamente uogliono , che ella ſia una coſa come le altre, che ſono, ma le attribuiſcono la diuinità. NAT. 10fo bene, che la for tuna non è fattura mia . ART. Né di me'ancora. An. Molto mea no dimeauezza à coſe stabili e impermutabili. ART. Laſcida mola dunque andare, o ueggiamo ſe io ti bo ben’inteſa, due ſono i conſiglieri,per quanto io comprendo,ragione, &appetito, daiquali commoſſo e perſuaſo,s’induce à fare, eoperare il tutto , perche ora nė difortuna,nédi uiolenza alcuna ragiono. A N. Senza dub bio ,ſe riguardi al nome, maſaper dei, che ſotto queſto nome di appea tito ſi comprendono due conſiglieri,l'uno , nel quale è poſto l'iracons dia,che è come difenſore dell'altro,nelquale è posta lacõcupiſcenza. AR . O diquantimali, e di quante conteſe l'uno e l'altro de gli appetiti ſuoleſſer ſemenza . An. Queſto non già auiene pur il dritto gouerno in tirannia non ſi tramuti. Diritto gouer è quel lo,nel quale ,chi deue ubidire, ubidiſce , ochi dee comandare, cos manda". La ragione adunque di queſta piccola città preceder deue allo appetito, e non permettere, che egli ad abandonate redini cors sendo, ſeco dietro la tiri. AR . Moltomipidce quello che tu di,eso B per che 1 jo per ricompenſa di tal piacere voglioti ſcopriremoltiſecreti, che io bo d'intorno alle predette coſe.Ma dimmi tu prima queſta una parte, nella quale é riposta la ragione,diche hai tu inteſo cheella eſſer deb bia adornata ? NAT. Diſcienza o di buona opinione ART, Vero é , per che la ſcienza é ilpiù bello adornamento , che s'habs bia, al qualeſe s’auicina la buona opinione,ò che gentileabito é que ſto ,diche l'animaſiueſte apparando le ſcienze . Alora ella acquiſta laſua perfettione,allora ella é pronta à conſeguire il deſiderato fine, & quaſi ſeſopraſeinnalzando auanza ogni coſa mortale, o ſi cons giungecon la diuinità .Ma come di coſa precioſa,orara, difficile,or non da noi ora cercata,non ne ragioniamo, ma ritorniamo alla buong opinione , la quale si come la ſcienza è una certa cognitione delle cofe occulte, nata da uere og manifeſte cagioni, cosi eſſa opinione è una incerta notitia,nata da alcune dubbioſe cagioni, alle quali l'anis ma con timore difallire, odi errare, s'inchina . Per uoler'adunque ottenere l'intento fuo ,é biſognoconoſcere il modo,col quale dapia gliareſi hanno ,o , comeſidice , farſi beneuoli i detti conſiglieri,ac cio che acquiſtata lagratia loro , l'animaſi muoua àfareleuoglie di chi parla.Muoueſiadunque la ragioneuol parte,che è nell'anima, că lepruoue, ocon le ragioni; & tal mouimento s'addimanda inſegna re. Etperche la ragione è uno de' conſiglieri,prudente,etſuegliato , perd nell'ufficio deŪ'inſegnare é di mestiere diacuto epronto inten : dimento,mal'appetito in altro modoſimuoue.Il primo , che è detto Concupiſcibile,richiede una certa piaceuolezzaet cõciliatione. Pero ciòche cosi di dentro i petti umaniſono da quello tirati . Ilſecondo gli fpigneàforza, operò cõ eſo egliſiuuole uſare uno impeto, a cui più propriamente queſto nomedimouimento ſi conuiene, che à gli al tri ; e comedebito è lo inſegnare,cioè il dimoſtrare con ueriſimil pruoua le propoſte coſe, cosi è onoreuole il conciliare, o neceſſario il muouere. Ma da ogni afficio di queſti tre peruiene lapropria dileto tatione. An. Io ſo almeno ,che altro diletto non ho che lo apparda re . AR. Et tu prouerai appreſo quanto piacere naſca negliapa petiti. An. 10 pure ſono auifata cheeſſendo in eßi ripoſte le umaa ne affettioni, nonpuò eſſere che ſenza riſentimento di dolore ſimuou wano. ART. In ogni affetto, & mouimento d'animo,dolore, o piso cere ſono compagni.Oruedi quáto sfrenataſia l'iracondia, oquana to doloroſo ſia l'adirato,et pure conoſcerai, che lo appetito,et la ime ginatione della vendettaglie piùfoane che il mele. Ho duucrtito ,che nc ELOQVEN Z A. ii negli eſtremi dolori gli huomini hauuto hanno piacere di dolerſi , ayo il non poter ciò fare , èſtato loro di doppia doglia cagione , non cbe à loro elettionehaueſſero uoluto l'occaſione di dolerſi,ma poſti neldo lore; dolce coſa il poter'à lor uoglia ramaricarſi hāno riputato. Dilet ta ueramente la ſperanza,ma il deſiderio la tormenta. Peßima coſa è la diſperatione tra tuttigli affetti umani , maſola è ſicura contra la morte. Mauannetu diſcorrendo nelle altre perturbationi,che trouca rai nella allegrezza ſteſſa un mancamento diſpiriti , ounatenerez xa, che al pianto ti condurrà fpele fiate.Però io tiſcuopriròintorno à tai coſe bellißimiſecreti. A N. sidigratia; percioche queſte mi paiono leuere, epotentifuni, con le quai ſi tirano l'altrui ate nos ſtre uoglie. A R. 10 ho inſegnato a' mieifedeli,che non fieno fema pre folleciti d'intorno ad unoaffetto , per fuggire la noia con la uda rietà dellecoſe, imitando la Natura, la qualeamaſopra modo il udm riare,o il mutare le coſe ſue. NAT. Vero è, perche chiaramente dei vedere la diuerſità delle ſtagioniedei tempi, la grandezza co l'ornamento de i cieli, la moltitudine delle coſe e delle apparenze, ch'io ſonouſata di dare alle coſe mie. AR. O'quanto io leggo fo pra il tuo libro è Natura ;ma non abandoniamo l'impreſa. Deiaduna que fapereè Animàun'altroſecreto, non meno delſopra detto bello, degno da eſſere apprezzato . Jo ti dico che tu auuertiſca bene di nõ ſollecitare con tutte le forze ad unoſteſſo tempo i detti conſiglieri, perche l'anima trauiata in molti mouimenti , non attende comeſi dee ad un ſolo .L'eſperienza ti moſtrerà, che ad un'bora né gliocchi, di belißime pitture,né l'orecchie di ſoauißime confonanze potrai pies: namenteſatiarejma compartendole opere , meglio aſſai per guſtare i diletti,e i piaceri delſenſo ,uederai quanto può queſtaſeparata pers ſuaſione. Inſegna adunque. Inſegnato che hauerai,muoui ,apporta le facelle, et eccita con gli ſtimolide gli affetti l'animo de gliaſcoltanti. AN. O' Arte tu ſarai ſempre arte. A n. Et tu anima ſaraiſempre anima. A N. Eſſendo io anima, o da te ammueſtrata,diuentero Ar te , o tu eſſendo in me Arte , Anima diventerai. A R. Nuouo miracolo,didue coſe farne una ; ma digratia non ci laſciamo ſuiare dalle occaſioni,che in uero alcuna uolta épiùdifficile la ſcelta, che la inuentione. Ora foniamo a raccolta, o quaſi ſotto uno ſtendardo ria duciamo le tue;uirtù, dalle quali fin’ora habbiamo iregali aßiſtenti ragione, concupiſcenza,oira. Reſta, che andiamo alle altre parti . ; AN. Cosi faremo, o da eſſa memoria ſidarà principio. AR..O B quanto tiſon tenuta in nomeſuo,che mi giouerebbe duuertiré un'afa fetto di Natura, ſe altra fiata in quello abbattendomi , la memoris preſta nõ mi diceſse, Eccoti,ò Arte,quello che ancora uedeſti. Che es ſperienza ſitruouain meſenza di eſſa ?chis'accorgerebbe , che in al . cuna di uoi, ó Anine , io miritrouaßi , ſe non fuſe la memoria come guardiana, teſoriera ditutte le parti dello ingegno ? onde con ues rità ſidice, Che tanto fa l'huomo, quäto ſiricordaNaſce la memoria dal bene ordinare , l'ordine dello intendere, odal penſamento , però poſſo io con le imagini in alcuni luoghi riposte artificioſaméte indura rela memoriadelle coſe. NAT. A lungo andare tu le ſeipiù toſto di danno , che di prò alcuno ,però non mipiace altro che uno eſſercitio, di eſſa memoria,cheſi fa mandando motte coſe à mente . A R. Che fai tu di eſſercitio • Natura, l'ordine della quale è ſempre conforme ? il tuo fuoco ſempre tiraall'insù , la tua terra per lo dritto all'ingiù di fcende, o cot ſuo giuſto peſo al centro rouinando à modo alcuno non fi può uſare alla ſalita.volgeſiilcielo tutta fiata raggirandoſi in ſe medeſimo, ogni tua legge e impermutabile, o tutto che i tuoi mona ftri, le tue ſconciature alcuna volta ci diano da marauigliare, pus ge ſono tue fatture,néſono alla tua generale intentione repugnanti, mal'Anime da uno in altro cõtrario trapaſſando, buone di ree,et ree di buonediuengono. NAT. Io conoſco il biſogno in quel modo che gli occhi comprendono la notte , che é priuatione di luce, ma ben ti dico,chela memoria da me con molta cura é guardata nella compoſiz tione dell'huomo. A R. Io l'ho auuertito nel tagliare di eſſo, egomi fono marauigliata con quanta cura difeſo hai quella parte,nella quale éla memoria collocata ,hauendole dato nella parte di dietro della tes ſta un'oſſo fermo, e rileuato ,che da ogniſtranieraforza nella difens da.Tui in temperata umidità e la impreſione, e in ſecco proportios nato la ritentione delle coſe. Ma tu Arima,la cui nobiltà fi fa manife ſta per tante & tali operationi , di ciò il tuo fattore ne ringratierai, regolando con la ragione i tuoi appetiti, penſa,ordina, ocon lo eſa fercitio conſerua la memoria quanto puoi,percheciò facendo,tale di senterai,quale deſideri, e conoſcendo te ſteſſa, conoſcerai l'altre tue forelle , & come della più onorata di eſſe la tua ragione ſopraſta alla loro, il tuo dritto deſiderio ſarà lor freno , onde infinita riputatione acquiſterai,perche di leggieriſicrede à colui,in chiſifida, et facilmen te ſi fida in chi ſi truoua autorità , w credito, il qual naſce dalla inte grità ,o bontà de' coſtumi, o queſto é ,ch'io deſideroſa , fe altra ſi trkowa E LO QVEN Z A. 13 truoua del bene,temo aſſai non abbattermiin perſonemalungie.AN : In che potranno ufare la loro malu agità , non eſſendo lor data ſede ? ART . Come io non ti niego,che il uiuer bene,es accoſtumatamente non ſia di gran giouamento à farſi luogo nel coſpetto degli huomini, e acquiſtarlagratia de gli aſcoltanti,cosi non ti conſento che l'has uergli dalla ſua,per uirtù, oforza di parole non ſi poſſa fare. A N. Perche inſegni tu coteſti incanteſimi? A R. Il mio ualore e tale , che io poſſi in parti contrarie e repugnanti , ſenza che io deſidero ſcoprire in altruiſimili inganni,e però biſogna conoſcergli, cosila uerità ſtadi ſopra, ola bugia cade'uinta in terra,cosiſiponfine alle conteſe, cosi ſi terminano le liti , cosi ſi ammolliſce le durezze degli adirati, s'attura le rabbie de’ ſeditioſi, ſi ſollieua l'autorità delle leggi caduta contra il uolere di quegli, che ſtimando l'oro , l'argento, più cheil douere, & à prezzoſeruendo , poſpongono la ſalute coma mune alla utilità priuata.o quanto nei publici mali,e nei tempi pe ricoloſi compenſo pigliarſi ſuole dal parlare digraue et onorato cit . tadino,le cui parole condite diſenno,ſeco hanno l'alleggiamento d'o gnimalinconia,che gliafflige. An. E dunquegran difetto d'huos mini da bene? AR. Senza dubbio , o ciò auiene perche la uia dis ritta è una,male torteſono infinite, però di raro ſi vede tra mortali, chi per la ſola camini. Ma tuſcordata ti ſei d’un'altrauirtù, la quale per mettere le coſe dinanzi a gli occhi ( il che éſommamente richies ſto)non ha pari.Di queſta uirtù , perche ella ha grande amicitia co i ſenſi corporali,o é molto confuſa,come quella , che é lo ſpecchio ges nerale di tuttii ſentimenti umani , o perciò è detta imaginatione;di queſta uirtù dico, non hauendola tu ancora eſſercitata, non ne haifin ora alcuna parola mosſa . Io odo dire che nella imaginationeſirifere bano le imagini, e le apparenze da ſenſi riceuute,et beneppeſſo in lei cosi ſtranamente tramutarſi che i ſogni non ſono cosi turbati, et con fuſi, là onde molti ſono detti, o riputati fantaſtici, altri ſi fanno Re O signori,o talmente par loro eſſere que'tali , che ſi credono di eſ ſere,che riſo eg compaßione mouono a chigli vede . Alcuni uanno , come ſi dice,in aria fábricando, et tanto ſi ſtannonel lor penſiero fißi, che forſennati,e pazzi da tutti creduti ſono. A R. Quanto piùe uanamente ſpender ſi ſuole tal uirtù , tanto à maggior prò li deue ue farla,& adoperarla. Per queſta l'huomo prima taleſi fa, qual uuole che altri ſieno . Perche egli prima dentro diſe ſi propone la coſa, che egli cerca dare ad intendere altrui, con quel migliore e più eccelslente modo cheſi può, auolendo egli metter’altri a pianto, non tera rà mai gli occhi aſciutti . Simile forza nella pittura ſi dimoſtra,lo ar tefice della quale, ogni forma, che egli cerca di far uederenelle ſue tele, primanella imaginatione fermamente ſi dipinze, o quanto più belli,o gagliarda è la ſua imaginatione, tantopiù illuſtre, o loda . ta e la ſua pittura.Molte forme, oſembianze ſono de gli adirati,ma una più eſprimela forza dell'iracondia ; queſta una deue inanzi alle altre eſſer poſta nella fantaſia, o à quela il pennello e la linguafi deue indrizzare ; en cosi tutta fiata il più efficace modo o di moues re, o di dilettare, ò d'inſegnare por ſi dee chiragiona,inanzi,accioche egli ſi habbia l'aſcoltatore come deſidera.Et queſta è la utilità grans de di coteſta tuapericoloſa potenza,pericoloſa dico,perchemolti no ſanno ufarla à feruigidello intelletto , ocredono , che lo imaginarſi ſia intendere odiſcorrere . Ma laſciamo queſto da parte;o racco : gliamo le tue uirtù. Che mi hai tu dato fin'ora ? An. Mente,uolons tà,appetito,memoria,imaginatione. A RT. Molto mi piace.Nella mente, che uiporremo altro, ſenon buona opinione, con l'ufficio dello inſegnare? Làonde la uolontà ſi muoua ad abbracciar le coſe . Et nel lo appetito,che ui ſtarà ſenongli affetti ,eccitaticol muouere, &col dilettare, Là onde l'animo ſia uiolentato à bene eſſequire ? Della me. moria non dico altro, né della imaginatione , percheſono ambedue di ſopra aſſai bene ſtate de noi diſtinte . Ora bella coſa udirai, oda non eſſer à dietro laſciata. A N. Che mi dirai tu ? ART. Dicoti,che doppo la eſpedita dimoſtratione di tutte le tue parti, fa di meſtiere di ſapere in qual maniera elleſieno dipoſte à riceuere la impreſione dei loro oggetti. Perche uana, ofriuolafatica quella ſarebbe, di chi af fettaſſe in parte al pianto diſpoſta ſenza alcun mezo porre il piacere. Credi tu che eguale prontezza hauerai allo imparare,et allo adirars ti ? Indrizza adunque i tuoi penſieri à gli ammaeſtramenti , che io ti uoglio dare, oſaperai comedeueeſſer'apparecchiato l'animo dico . lui che ricerca la pruoua, edi colui che è pronto all'affettione, imis tando i buoni medici, i quali prima uannoinueſtigado quai partiſieno guaſte, o quaiſane,eappreſſo , le guaſte uanno disponendo à rices uere i rimedij conuenienti; e primaleniſcono, e ammolliſcono , poi apportano la medicina . L'anima adunque , nella quale la ragione fi dee porre, acciò che dia luogo alle pruoue, et accettar poſſa la buona opinione, e iſcacciare la contraria,deue eſſere ripoſata, e quieta,et non in modo niuno affettionata, et trauagliata. Perche eſſendo il piancere,cheha l'anima, quandoimpara, foauißima coſa , biſognofache ellaſia lontana da ogniturbatione , operò molto male è conſigliato colui chenel conſigliar'altrui uſa la forza, o la violenza degli aps petiti, &degli affetti,laſciando il ripoſo della verità daparte ; qual contento può riportar colui, che partito dal Senato dica, per qual ragione ho io aſſentito?perche ho io cosi deliberato?Buona coſa è l'hauer’alla uerità conſentito,mamiglior'e , ciò hauerfatto ragion neuolmente più toſto che à forza,perche in tal caſo non pure ſifabe ne,maſiſa di far bene; di che non è coſa più diletteuole w gioconda. Habbiaſi dunque l'animo ripoſato di colui cheattende la ragione; queſto ageuolmenteſi può fare , ponendoſiprima di mezo trail si o il no,come chiſta in dubbio.Però che più prontamëte ſi prende para tito,et ſi ammette il uero dubitando,che portando ſeco alcuna opinio ne . Macome diſpoſto ſia lo appetitoalle coſeſueattendi,che loſaprai con una bella diuiſione degli affetti. Perciò che in eſſo appetito gliaf fetti ripoſti ſtanno,comet'ho detto. Ogni affetto e d'intorno al male, ò d'intornoal bene, truouiſi pure lo affetto in qualunque parteſi uos glia. Ecco nel tuo generoſoſoldato,cui é conceſſo l'adirarſi, opren. der l’armi quando biſogna dico dello appetito iraſcibile ,d'intorno al bene uiſta la ſperanza, e la diſperatione. Laſperanza é uno aſpetta re il bene, la diſperatione è un cadimento da quello aſpettare . D'in = torno al maleuiſta l'ira, la manſuetudine , il timore , ol'audacia. Ira é appetito diuendetta euidente per riceuuto oltraggio Mania ſuetudine èraffrenamento dell'ira , oambedue queſti affettiſono in torno almale,difficile,etpreſente.Il timore é un aſpettatione di noia, ouero un ſoſpetto di eſſere diſonorato.Et queſta ſichiamauergogna. Il primo,ouero é temperato,ouero eccede la miſura. Dal temperato neuieneil conſiglio,dall'altro la inconſideratione,il tremore, & altri ſtrani accidenti.Laconfidenza , «audacia, é contrario affetto . Et queſte perturbationi tutte ſono d'intorno almale che dee uenire.Nel L'altro appetito, in cui è poſta la concupiſcenza , d'intorno al bene ui ſta l’amore,il deſiderio, a l'allegrezza. D'intorno al male l'odio, o l'abominatione, di cui ſegno infelice e la triſtezza, dalla quale naſce l'inuidia, la emulatione, lo ſdegno, o la compaßione,quando auiene che la triſtezza detta ſia de i maliouero de i beni altrui. Ma nelle co fe proprie affligendoſi l'huomo tre alleggiamenti ritruoua. Il primo ė ripoſto nel proprio ualore, perche niuno ſcelerato é compiutamente aüegro.L'altro è meſſo nel conſiderare il dritto della ragione, werita 16 D ' Ε ι ι Α fuerità delle coſe, da che naſce la ſofferenza figliuoladella fortezza. L'ultimo é la conuerſatione di alcuno amico , perche ne gli amici e ripoſta la ſoauità della uita . Ritornando adunque allo amore, ti dico, che Amore è uoglia del bene altrui,eu ſe é mouimento d'animo a far bene, li dimanda gratis . Senonſopporta concorrenza , geloſia , lela ſopporta ad onefto fine , amicitia . L'inuidia non uorrebbe, che altri haueſſe bene,ſe benuifuſſe il merito . Lo ſdegno non lo uorreb be , non ui eſſendo il merito La emulatione il uorrebbe anche per ſe . La compaßione ſi duole del male altrui , temendo il ſimilenon da uengu á lei . Etciò ti puòbaſtare in quanto ad una brieue dichiaraz tiore di tutti gli umani affetti . Ora econueniente, che tu ſappia in che modo à ciaſcuno d'eſſi tu ſia diſpoſta , acciò che tu ſappia poi als truiſimigliantemente diſporre . Eſſendo adunque l'appetito uarias mente affettionato, quandoſi ſdegna,quandoinuidia, quando aborris ſcequando ama, quando teme, quandofpera, equando in altro mo . do é trauagliato,acommoſſo , aſcolta un bellißimo ſecreto, ilquale non ſolamente à diſporre gli animi à qualunque affetto è buono, ma in ogni operatione é neceſſario, & benche oggi mai per uero ammies ſtramento della uita da ogn'uno ſi dica , RIGVARDA AL F 13 NE, non é però d'ogn’uno l'applicare alle attioni o opere de' mor tali, cosi belle ſentenza . Laſcerò da canto le coſe, che non ſpettano alla noſtra intentione,ſolo dirotti quanto io deſidero, che ſia negli af fetti oſſeruato. Deiſapere che egli ſi truoua una maniera diparlare, la quale in molte, manifeſte parole effrime la forzı, ey la natura delle coſe ; e quelle molte, omanifeſte parole altro non ſono , che le parti della coſa eſpreſſa. Queſtamanieradi parlare é detta Diffie nitione . Ora dunque io ti ammoniſco, che nel muouere gli effetti pri ma tu habbia à riguardare alla diffinitione di ciaſcuno,come al deſide rato fine. Però cheſe la diffinitione rinchiude in certi termini la nas turi della coſa propoſta , ſenza dubbio querrà, che il conoſcitoredel la natura , o delle parti deltutto diffinito , oeſpreſſo , indrizzerà tutte le forze dello ingegno ſuo, à ciò fare,et tale aiuto preſterà abon dantißima copia di ragionare , o diſciogliere ogni occorrente diffi cultà, e durezzé . Eccotiſe ſai, che l'ira é deſiderio di uendetta per riceuuto oltraggio , o ſe mirerai in queſto fine , non anderai tu dia ſcorrendo, in qual modo eſſer debbia diſpoſto all'ira colui, che tu uora rai hauere ſcorucciato ? o conchi, oper qualicagione, & quanti modiſieno di oltraggiare altrui ? Et ciòin ogni affetto facendo,non ti farai ſignore , & poſſeditore dello animo di ciaſcheduno ? Et rans to più dimoſtrerai con la uoce , & co i mouimenti del corpo , te tale . effere, quale uorrai,che altri ſia,certamente si . La diffinitione adun queé il ſegno,al quale ſi deue attentamente guardare . Ora inbrieue ti dico dell'ira, che eſſendo ella uoglia di uendetta,è neceſſario,che lo adirato ſi dolga, o dolendoſi appetiſca alcuna coſa, dalche naſce,che repugnando altri à gli umani deſiderij , ouero à quelli alcuno impedi mento ponendo , ouero in qualunquemodo ritardande le uoglie al trui, porga cigione di adirarſi, cioé di deſiderare uendetta,ilperche nella ſtanchezza nell'amore, nella pouertà , e ne i biſogni ſonodiſpoſti i petti umani agramente al dolore cagionato dall'ira, epiù cheſono ideſiderijmaggiori, più apparecchiati , oprontiſono all'ira , o al furore. Lo hauer male di chi s'attende ilbene,lo eſſere in poco pre gio tenuto , ò diſubidito, o prezzato , o per ingratitudine , ò per ingiuria ſenza prò dello ingiuriatore, ſono tutte diſpoſitioni al predet to mouimento .Giouamolto , oin queſto , & in altri affetti ſaper. la natura,ilpaeſe, la fortuna, ela conſuetudine di ciaſcheduno . Se adunque ſi accende nell'ira in tal modo, chië diſonorato , o iſcordas to,ſenza dubbio acqueterai colui cheſarà onorato, riuerito ,ubidito, ammeſſo, et riputato;ouero, chiſiſarà uendicato ,a cuiſarà dimandato perdono con la confeßione del fallo , incolpando la violenza , enon la uolontà. Deueſi dare molto al tempo, oalla occaſionein ognicoſa, operò ne' conuiti, ne i diletti, one igiuochigli umani appetitifoa no più alla manfuetudine inchinati Dell'amorealtro non tidico , le non che eſſendo eſo soglia del bene altrui, l'eſſere cagione , mezano, interceſſore, aiutore al bene altrui,diſpone ageuolmente à tale affets to ciaſcuno . Et perche Amore appreſſo, é una ſimiglianza, w unios ne di uolere , però coluiſarà più amato , ocon l'animo più abbrace ciato, il quale dimoſtrerà d'eſſere d'un'animo, o d'una uoglia steſſa con noi . Ilche nelle allegrezze, one i dolori ſi conoſce, o neį biſoa gni ancora ; non ſolo nelle perſone amate, ma ancora negli amici de gli amici . Allo Amore riferiſco la Benuoglienza, e l'Amicitia, las quale , ben che affetto non ſia , pure è nata da eſſo amore , che è uno de gli umani affetti. Qui non é luogo di più diſtintamente ragionare dell'amicitia; de gli oggetti, delle parti, e delſine ſuo . Perciò che altroue nei graui ragionamenti di filoſofia ciò ſi conuiene . Baftiti d'hauere per ora la ſuperficie , el'apparenza . Ritorno adunque e ti dico,che ipiaceuoli,coloro, cheſidimenticano dell'ingiurie i с faceti, imanſueti, gli officiofi uerſo i lontani, atti ſono ad eſſer'amati. Peril cótrario ſapersi chedire intorno all'odio,il quale è ira inſatia: bile, da uendetta, da tempo,daruina alcuna non mitigato; occulto ine ſidiatore, ymortale, nato da in giurie o ſoſpetti. Al quale diſpoſte ſono altre nature più, altre meno, o à megliodiſporle,biſogna ams plificare le ingiurie, « iſospetti,acciò che nonſoloſi brami una ſema plice uendetta, ma la diſtruttione della perſona odista . Del timore , odella confidenza, che ne attendi più , ſe di queſta , ed'ogni altra perturbatione ne i uolumi degliſcrittori, et nelle pratiche umane'ne Jei per uedere aſſai ? Timore e turbation d'animo, nata da ſoſpetto di futura noia . Et però chi temeſa ó penſa dipotere ageuolmente eſſer’offeſo, eda chiſpecialmente, ſopraſtando il tempo,es la occas : fione. Etchiciò non ſoſpetta,non é al timore diſpoſto comeé chi ſem pre éſtato fortunato, chi ſempre miſero, chi è copioſo d'amici, di ros 64,09di potere,chi é fuggitoſpeſo dalle ſciag ure, ode pericoli,ego altriſimiglianti ;o que'taliſono confidenti, &audaci . Euui altra maniera di timore, non didanno,madi biaſimo; alla quale diſpoſtiſos no i giouanetti,i riſpettoſi, oriuerenti, quelli cheuoglionoeſſer' ha uutiper buoni da ' più uecchi , o da ſimili , opari . Et però aûa loro preſenzaſonopronti ad arroſire. Non cosi ſono i vecchi,perche non credono,che di loro altri ſoſpettino quelle coſe , che ſono ne' giouani, come laſciuie,amori, euanità. Etperche il diſonore è coſa, cheuies n'altronde, però gli ſpiritidalſangue à quellaparte, che più lo ricer inuiati ſono .Ladoueil uiſo ſi tignediquel roſſore , cheſi vede . il contrario nei timidi, nel cuore dei quali il ſangue ſi riſtringe, per ſoccorſo di quella parte , che teme la offenſione .Nella uergogna ſi abbaſſano gli occhi , come che tolerar nonſi posſa la preſenza dicos lui, che è giudice de i difetti umani . Queſto è ne' giouani aſſai buon ſegno di gentil natura . Però che pare , cheuergognandoſi conoſcas no idifetti, ey habbiano cura di quelli . Non uogliopire diſcorrer’ina torno all'audacia, allo ſdegno, alla compaßione, alla emulatione, « al la inuidia . Però che molto ne uedraiſcritto , eragionato da altri. Ben non ti poſſo tacere del male acerbo , mortale, ch'io uoglio à quella fiera indomita, eabomineuole dell'inuidia, che all'udir ſolo il nomeſuo, ſtranamentemi muouo . Lafigura ,i modi, ai coſtumi di eſſa ſono da gran poetadeſcritti. Di queſta mi dolgo , per eſſer quels la, che più regnaneimiei ſeguaci. Là doue il fabro al fabro, il mes dico al medico ,l'uno artefice all'altro , inuidia portano ſempremai . M4 ca ,Md tacciamoora di queſto, e poicheragionatohabbiamo di te, delo le parti tue,delle quali taci, che in eſſeſi ſtanno,e delle loro difpofia tioni , addimandiamo la Natura quaicoſe a’quai parti di te conuena gono , acciò che accordando la foauißima armonia della umana elo quenza con piacere, og utiledegli aſcoltanti uditi ſiamo apieno por polo raccontare i miracoli della Natura. ' AN. lo ueggio ben oggia mai' ' Arte, che tuſei quella chefai l'acume , ò la ſottilezzadell’oca chio mortale nel ſecreto della diuinamentetrapaſſare. AN. Anzi per te, ó Anima,coteſto mirabile ufficio s'acquiſta, la cui cognitione tanto apporta di lume, e chiarezzaad ogniprofeßione, o ſcienza, che ucramenteſi può dire chetuſia ilprincipio d'ogni conoſcimento Etperò chiunqueſtima; ola uſanza di uno leggierieſſercitio, o il ca fo tanto potere quanto tu, o io.uagliamo , grandamente s'allontana dal uero. Tu t'abbatterai in un ſecolo impazzito, d'huomini, i quali s'accoſteranno ad imitare più uno , che l'altro , olo imitar loro non faràſenon manifeſto rubamento, ſciocchi,oferui imitatori, che non Sapendo , perche altri s'habbiano acquiſtato il nome , tutta via in ciò s'affaticano. Altri perche hanno unaſcelta di belle , &ornate pde role uogliono ad uno ſteſſo tempo fcoprirle accomodando à quelle i concetti loro ; ma che poi ſono cosi rozi, a inetti,cheſenza ordine , Ofuor di tempo le metteranno, e diranno, Io cosi dißi,perche cosi ha detto alcuno de' più preſtanti. Queſtiſono gli incomodi delfecom lo. Nat. O`quanto m’increſce perciò eſſere ſtimatapouera «biſo gnoſa, come che à me manchi alcunafiata,che donare, o che nel cer care l'altrui teſoro l'huomo perda,ò non conoſca il ſuo . AR. Chi ſempre ſegue, ſempre ſta di dietro , chi nonua dipari,nõ puòauan zare . Male hauerebbonofatto i primi inuentori delle coſe , fehae veſſero aſpettato ,chiloro douea farla ſtrada . Et troppo pigro écoe lui, cheſi contenta del ritrouato. Ionon porgo già mai la mano a chi laſcia , oabandona la naturale inclinatione , come bene ho ueduto que' ali non conſeguire il deſiderato fine . NAT. Mi turbano apa preſſo quelli, ò Arte, che tanto di me ſi fidano , che te laſciano à dies tro". A R. Non ti dißi da principio, chenoi erauamo unite , e che ciò che appare di uarietà, e diſomiglianza tra noi,e in un principio ricongiunto? Che miditu? Chiunque opera alcuna coſa da me drizzato , uſa una regola commune, & uniuerſale, che à molte, diuerſe nature feruendo,quelle uniſce, o lega in uno artifi cio medeſimo , perche io ſono la conformità,o la ſimiglianza ;altri acuti 20 DELLA ! acutifono , eſuegliati, altriſeueri,& graui,altri piaceuoli,&eles ganti per natura . Vnaperò e l'arte,una éla uia, che ciaſcuno al ſuo ſegno conduce . Quando adunque l'arte precede,facile e lo imitare ; lodeuole il rubare , & aperta la ſtrada alſuperare altrui . Et in tal guiſa bene ſilpendeſenza lo auantarſi di eſſer ricco, a fenza dar ſos: spittione di uergognoſo furto . Accompagnifi dunque nelle ciuili con teſe il core, ola ſcrima,cioè la natura, el'arte, ogſi uederanno poi que’miracoli, ch'io ſo fare . Ma laſciamo tai coſe, e incomincia o Natura , o dimmi , in che modo le coſe tue fiſtanno , che di eſſe cosi dileggieri gli huominiſiuanno ingannando NAT. Sappi ò Arte, che ogn'uno che ci naſce, ſeco porta dal naſcimento ſuo unacerta ins clinatione alla uerità , donde auiene, che inſieme con glianni creſcens do ella in parteſuole il uero congetturare, laqual congetturi opis nione più toſtocheſcienza uferai di chiamare . Laſcio la uſanza mia imitatrice,chefino da primiannirecarſuole molte opinioni, che poi dipenacon l'altra certezzaſileuano, parlerò di quella ſembianza più toſto, che ſembiante di uero ,cheé atta nata à muouere l'umane mentia far giudicio delle coſe . Dico adunque, alcune coſeeſſer da ſe ſteſſe manifeſte , chiare , altre , niente da ſe hanno di lume, edi fplendore,mailluminate da quelleche ſeco hanno la luce , ſi fannoa? fenſi umanipaleſi ; nel primo gradoé il Sole , o tutti que' corpi, che ſon chiamati luminoſi . Nel ſecondo ſono i corpi coloriti, i quali non hannoin ſe ſcintilla di chiarezza, ma d'altronde ſono illuminati . Il fimigliante ſi ritruoua nello intelletto . Iljaale riceuendo alcune coſe diſubito quelle apprende, og ritiene . Però che quelle ſeco hannoil lume loro, ſe à me ſteſſe il fabricare de' nomi, io le chiamerei Noti tie, ouero Intendimentiprimi. Ma poi altre ſono , che non hannoda ſe lume, ó uiuezza alcuna,&però di quelle ſifa giudicio con ſoſpetto di errare, fe da altro luogo la loro intelligenza non uiene ; quinci ė nata la opinione, la quale come opinione, che ella é, né uera ſitruoua, ne falfa. Il difetto naſce daquelli uirtù,chepoco dianzi diceſte.Pero che le coſe mie fono, come ſono,mariceuute nell'anima, e da' ſenſi al la fantaſia per alcune debili ſembianze traportate , ſtranamente meſcolate,fannodiuerſe opinioni. Ben’é uero, ch'io non faccio una co ſa tanto diuerſa da un'altra, che l'huomo dueduto non poſſa alcuna Somiglianza tra eſſe ritrouare . A R. Molto mi piace che l'animadi ciò nonſia fatta capace, perche accadendoleſpeſo mutare le opinioni umine, e da uno in altro contrario traportarle, molto deſtramente biſogna adoperarſi,et diſimiglianza, in ſimiglianzaà poco a poco pas fando,perchelo errore in eſe ſimiglianze ſinaſconde, tirar le menti, che no s'aueggono di una in altra ſentenza. An . Et chi può queſto ageuolmente fare ? A R. Chi con diligenza inueftiga la natura dela le coſe ſottilmente, uedrà in che l'una con l'altra ſi conuenga, ma non chiamiamo però la opinione incerta,cognitione à queſto ſenſo,checo lui, che ha opinione ſappiaſempre quella eſſer’incerta, o dubbioſt conoſcenza, ma bene che in ſe conſiderata, come opinione da chiuna que hauerà il uero ſapere,ſarà riputataincerta . NAT. O quans to mi nuoce in questo caſo,la uſanza inſieme con la età creſciuta , lds quale à guiſadimeſtesſa, ferma talmente le coſe nelle menti umane , che bene ſpeſſo la bugia , più che la uerità in eſi ritruoua luogo. Et peròcredono molte coſe che nonſono, ouerofe ſono, ad altro modo di quello, che ſono, uengono giudicate . Etfe pure dirittamente appreſe ſono, altre cagioni lor danno,che le uere, e quelle ch'io so eſſere in mediati o continuate à gli effetti . Et queſto auiene quando la ragio ne inchina più al ſenſo che all'intelletto, « più all'apparenza, che al l'eſſenza. AR. Tu hai più dell'Arte,o Natura,che di te ſteſſa,cos si bene uai diſtinguendo i tuoi ragionamenti . NAT. Non te ne ma rauigliare, ò Arte,perche io qual ſono,tale mi dimoſtro, oſe di me medeſima parlo, cometu uedi io lo faccio in quel modo, chetu altre uolté hai confeſſato , che io ragionereiſe io fußite. AR. Quello che io dico, lo dico per amınaeſtramento di coſtei, laqualanche non ſi dee marduegliare di queſta apparenza del uero. Perciò che è aſſai als l'huomo ſaggio, che le buoneragioni gliſieno ſemprequelle ſtelle, da quelle ne prenda la ſimiglianza del uero , che per lo più muoue le umane menti, oin eſſe ageuolmente ſi pone, al che fare, opportuna , ocomoda coſa é ricordarſi, in che maniera per lo pulſato l'huomo ſe ſteſſo habbia ingannato, o in qual modo ancora, e per qual cagione altri ingannatiſi fieno da loro medeſimi, in uero te ne riderui, uedens do alcuni che penſano, ogni coſa, che precede un'altra, cffer di quella cigione, ò che lo eſſer fimile ſia il medeſimo. Ne per ciò direi che l'os pinione fuſe ignoranza,comenon dico, eſſa eſſere ſcienza , perche la ſcienza e stabilità,o fermata da uero, e infallibile argomento, en la ignoranza non è di coſe uere . Onde naſce,chela opinione è un abi to mezano tra il uero intendimento , o l'ignoranza, differente dal dia bitare in queſto che la opinione piega più in una, che in un'altra par te , il dubitare tiene in egual bilancia la mente tra l'affermare, o il negare, eye però biſogna riuocare in dubbio le coſegià ammeſſe,e di mojtrare quäto pericolo ſia il giudicare . Da queſtone naſcerà la que ſtione, e la dimanda, la quale diſponendo le menti alle ragioni; quan to leuerà della prima opinione,tanto porrà di quella , che tu uorrai, o à ciò fare uia non é appreſſo quella che ua per le ſimiglianze delle coſe.Partipoco,ò Anima,cotesti uirtu ? penſi tu ,che ſia cosi facile il perſuadere ? ó credi tù chegià biſogni con dritto giudicio, o con ſal do intendimento penetrare dalla ſuperficie alla profondità delle coſe? A N. Da che occulta radice l'apparente bellezza dicoteſta tua figli uola,nel cuiadornameiito la Natura ſola non baſta . NAT, Ora ogniſentimento mi ſi ſcuopre, ó Anima, da costei, emanifeſta uedo eſſermifatta la cagione,per la quale molti miei amiciſono diſonorati. ART. Quai ſono coteſti amicituoi ? NAT. Quei, che inueftis gando uanno iſecretimiei, le ripoſte cagioni delle coſe,i movimenti, le alterationi, &i naſcimenti d'ogni coſa , o che non ſicontentano di ſtare par pari de gli altri huomini,manobilitando la ſpecie loro con le dottrine traſcendono i cieli. AR. Che ſtrano accidente può ueni re à perſone cosi pregiate, come ſono iſeguaci tuoi, ogli amatori della Sapienza,i quali comerettori delmondo, felicißimi,er beatißis mi eſſer deono riputati? NAT. Queſti fedeli miei à punto ſonoquel li, che più de gli altri ſono diſonorati. An . In che coſa ? ART. Aſcolta digratia; mentre che gli ſtudioſidi meſi ſtannoſoli, ein par te ripoſta comeſchiui dell'umano confortio,non é loda • grido onora to , che con ammiratione delle gentinon gli eſſalti o inalzi infino al cielo. Mapoi che compareno, et uěgono alla luce,ſono prima da ogn'u no guardati, si per la eſpettatione già conceputa della virtù loro, si an cora per la nouità dell'abito, o dell'aſpetto ,et del portamento,ogn's no lor tiene gli occhi addoſſo, a attentamente ſi dimoſtra di uolergli udire. Io non ti potrei eſprimere con che grauità poi aprono la boca ca, e con che tardezza poimandano fuori le parole , etquanta ſia la dimora de i loro ragionamenti, i quali poi che da principio nonſono in teſi dalle genti,comecoſe lontane dalla umana conuerſatione, non cosi toto uiene lor tolta la credenza, per che purſiattende coſa miglios respire conforme alla opinionede’uolgari,iquali dalla prima eſpets tatione inuiati danno i ſeſteßi la colpa del non capire la profondità de' concetti loro. Mapoi che nel ſeguete ragionare s'accorgono pur in tutto di non poter’alcuna coſa da que'beati ritrarre, et che ogn'os ra più le coſe intricate, ar le parole aſcoſe ogni lume d'intelligenza Hanno lor togliendo, quanto ſcherno, Dio buono , jego quanto riſo ſe ne fanno . AR . Jo grauemente miſdegno, ó Natura, & mi dolgo di ſimili auenimenti, poi chegli infelici non fanno drittamente ſtimar le coſe,benchefino al fondodi eſſe paſarſi credono,maforſe è, cheſtan do eßiſemprein altro, quando poi allo in giù riguardando ueggono l'altezza loro, a la profondità delle coſe terrene, uanno uaccillando con gli occhi; ocomparando il cielo alla terra , ſtimano ld terra un minimo punto , o una bella città un niente che nobiltà, che chiaa rezza diſangue può eſſere appreſſo coloro , che ſeſteßicon la eterni tà miſurando, tutti da uno ſteſſo principio uenuti affermano ?Che rica chezzaſarà grande appreſocoloro, che ſi ſtimano poſſeditori del cie. lo ? qual prouiſione daſoſtentare i popoli farà colui il quale quaſipa ſciuto del cibo de i Dei,altro non guſta, altronon ſente,altronon din fia ,cheſempre ſtare alla ſteſſa menſa ? ne credono , che altriſieno in bi sogno ? Queſte coſe io direi in loro efcuſatione. Ma che midiraitu di quelli cheſonoſtudioſi della vita ciuile,ochefanno le cagioni de’mu. tamenti de i Regni, e delle Rep.le conditioni de principi, gli ufficij di ciaſcuno,le uirti, gli abiti uirtuoſi? Non credi tu, che queſti ſie no più auenturati de gli altri ? NAT . Peggio , percioche il ſapere ciaſcuna delle dette coſe ,hauer le diffinitionid'ogni uirti, ocoa noſcere diſtintamente ogni buona qualità,non é aſſai, ma egli biſogna uſar tanto teſoro al governoaltrui per ſalute, ocomodo uniuerſaa le, e oltre all'uſo hauer parole al preſente maneggio oalla ciuile uſanza accomodate . ART. Dondeprocede coteſta loro cosi ſot tile ignoranza: forſe cosi eleggono penſando di eſſer' hauutiper dot tiæintelligentiparlando in cotalguiſa ?Ma questa é una groſſezza infinita,perche non é piacere, che s'agguagli àquelloche prende ľa ſcoltatore quando impara &intende ciò che uien detto.Sai tu duns que la cagione di cosi fatto errore ? NAT. Forſe è,perche non ha uendo eſsi alcuna eſperienza della conuerfatione cittadineſca, fanno quelguidicio dimolti cheſonoſoliti di far d'alcuni pochi, loro come pagni,co i quali tutto’l giorno con uarie diſputationi argomentando trapaſſano,ne mai ſono riſoluti. ART. Et io ancora cosi credo, pe rò guardati ó Anima, di non entrare nel loro no conoſciuto collegio , ò ſe pure ui uorrai entrare tanto iui dimora,quanto alcun giouamen to ne puoi ritrarreper la ciuile amminiſtratione. Nel resto pronta, et ſuegliata nel coſpetto degli huomininon meno alla ſcuola eall'acas demia,che alla piazza,alla corte, o alſenato intentafarai, o uſans do . D E L L A. doistiche le gi,con mozeme uoci raptorersi, percbe riund coſa é få mots, creudire ripublicico:lizále uanie dig esioni, o le Haitat parole di moint, i quali razlo" 2r.do le ébloro per la Città frendere unsguerra,realize, ne : i mezi di efl: u21 riguardando, riaprindo le ſcuole de presa deguono, di 7 : oro, oargos :ht ::opia ficcrente del mondo , o cercano chifu il primo ins kantore deli'arxi chifrino in Roma trionfale, cbisitrouo le naui , chui brizla i czasu, et ilere ciance si fatte ,cbenc irfegn2":0,ne dis last250,14.1widojiore della prostione de' daruri, delle genti, o del *010 , col quale s bubbis a fartal guerra . Il percbelo. To poi auies fie, cbei nero perini,çia deguamente di loro parlando, ſono con grue de 11ratione acoltati. NAT. Cotto e mio dono,percbe ditus to potere affreuz! cusi mi truono,che wina forzaglimetto irrar ci i tuoi ſegussi . AR. Et forſe corne sfrenati causlii, gli fai tel mezo del coro pericolare; pero sili eccellente natura,che ta lorda , sorrei che mi falje l'aiuto rio.percbe meglio , o çik ficuri aadribs 6290 per lefiziglianze dre coſe. An. Biſogna dunque pik skatie rigliz- guardare, cbe al wero ? A R. Cosi biſcgna ; o quedo porriaz slitacels il facesi, sı il donerci tu fare , o ciaſcuno , che * pis airtai perjuadere , accio cbe fiso aſcoltato , o inteſo dude geri , lezasli barefeito -Is bagis nga 14.0 , får cbe in ejja las casicae spetto dd zero . Queto per fo cjjere, cbei şià f- 931 babe bis 10 c50 surorit : b4xx.: predoi popoli cbei nácti inges gs . An. Dizni gratis, çusio é cbegli buozi idaro fede : cazzo , cbe apps uto , nos lo faze0 percbeloro piace il nero ? Ar. . As. Paepiuere già saco : 507 co :cf-:: ta? Forzz aidake,che il sero lis és glicucuitico ? Ax Pacte danese giàceil serezos bruszni P -T271? AR Perikliois tragises filer cxz . AX. Aja -- 22 :04 ks :0 600leri: del bero . Às. SostraTrao Adira.secte lazaratsie sesi tid: acts indiscrezi!4.cezecklacteaefepie 8222475l4regiaze, o lomatto; c ( 72.0: 1 , o Resmitironine.cedriersdieedia 2.3 " To RossiradizioroBoricitis 32 2 ciasto nigirisececeáciless Aires22:22: carte.ro 2:46, 13 :3050: 22 : 15 : 4 :15 ,cheſe la opinione con la ragioneſarà legata , per modo niuno potrà fuggire,anzifuori dell’eſſerſuo leggiadramente uſcita nõ più opinio ne,maſcienza ſi potrà nominare . A N. Dimmi, ſe'l uerifimile e tale ad ogn'unoegualmente. AR. Nó. An. Che differenza ci fai tu ? A R. Grande . Ben'è uero,che quando io dico ueriſimile , io intendo ciò che pare alla più parte . Ma diſtinguendo dico, la più parte però effere ode gli huomini ſenza dottrina,o degli huomini letterati . Et altro ſarà il ueriſimile,che parerà à gli Idioti, altro à iperiti. A M. Inſegnami à conoſcere queſto uerifimile . AR. Il ſegno della ſimia glianza alcuna fiata ſi ritruoua in eſſaſuperficie delle coſe, cheſenza diſcorſo di ragione ſono riceuute,o appreſe daiſenſi umani ; da ciò naſce il veriſimile, che pare egualmente a tutti, come auienedimolte miſture, che's'aſſomigliano à l'oro, cheſe il giudicio filaſciaſſe al ſenſo ſolo,per oro da ogn’uno ſarebbono hauute. Alcune uolte il detto fe gno emeſcolato con alcuna ragione,accompagnata col ſenſo , oque sto é quello , che pare àmo!ti . Speſſo più di ragione, che di ſenſo ſi mette, e ciò è quello,che pare à i piùſaggi; o quarto più dalſenſo s'allontana,o s'accoſta la ragione all'intelletto, tanto de' più saggi, edi pochi ſarà l'apparenza del uero . Ma laſciando coteſte più ina terneſomiglianzedel uero , bauendo tu àfare. con la moltitudine , quelle attendi,che a tutti,ò alla partemaggiore appariranno ; &co: si ogniforza di proponimento nelle altrui menti rompendo, farai la uoglia tud . AN. Queſtomipiace . Ma uorrei, che tu m'inſegnaſi à congetturar quello chepuò eſſere . Dimmi, ſe n'hai ammaeſtramen to alcuno . A R. Dimandane pur la Natura . AN. Non n'hai tu ancora poter’alcuno? A r . sibene ; ma la Natura operando , Sa meglio dime,quello che èpoßibile . An. Dimmi tu dunqueò Naz tura,quai coſeeſſer poſſono ? NAT. Tutte quelle il principio delle quali ſi ritruoua. An. Adunque ui ſarà l'arte deldire, poi che'l prin cipio di lei ſi truoua? ilquale nõ é altro, che l'ojferuatione,che fu l'Ar te di te ó Nitura. Ar. Che uai tu mettendo in dubbio quello che fie qui habbiamo fermato ? ſegui. NAT. Se quello chepiù importa, ò che piie uale, ò che ha più difficultà , fiuede , ſenza dubbio il meno importante, il più debile, il più facile ejer potri. A n . Adunque ſe l'arte puòridurre gli huomini rozialla uita ciuile , meglio potrà gli ammaeſtrati inalzare algouerno della Città ? A R. T4 pur uti argomentando . AN. Mercé tua, che giàmiſei fatta familiare . A R. Queſto ſo io , che poſſeduta che io ſono dalle anime,dimoſtro il. D ualore, 26 , D Ε ιι. Α ualore , il piacere , o la facilità dell'operare . NAT. se può eſſer la cagione, chivieta che lo effetto non posſa eſſere ? et ſe queſtoé, quel la di neceßità ſi haue. Quello che ſegue dimoſtra,che può eſſere quel lo che antecede. In ſomma ogni coſa può offere, di cui naturale appeti toſi uegga, o dalla poſibilità delle parti naſce quella del tutto. Dals l’uniuerſale il particolare, o dal meno quello che più comprendeſi congettura . Vna metà, il ſimile , il pare ricerca l'altra metà , l'altro Simile, o l'altro pare . Etſeſenza arteſi puòfar’una coſa molto me glio ſi farà con artificio , ſe chi meno può opra, chi più può non opes rera egli ancora ? Chene attendi più ,ſe queſto ti può eſſere à baſtan za à farti aprire gli occhi è ritrouare il fonte della eloquenza ? AR . Et io già mitruouoſatisfatta in queſta parte,che alle coſe appar tenenti all'intelletto ſi conuiene ; però aquelle io uorrei,che paſſaßi, lequaliſono da eſſere ne gli appetiti collocate.Et attendo,che tu quel le brieuemente mi dimoſtri,etdiffiniſca, acciò che l'anima oggimaicõ. tenta dellaſeconda promeſſa,alla terza,et ultima ſi riuolga. A N. Per qual cagione, ò Arte,dimanditu le diffinitioni della Natura ? ejendo ſuo carico il diffinire. A R. Perche ora io non attendo le eſquiſite , Oregolate diffinitioni,maquelle che dalla più parte delle gentiſono ammeſſe, delle quaiquaſiſenz'artificio ſe ne può formare un numero infinito . An. Tu ſei molto circoſpetta . AR. Seguiò Natura , féle coſe àgli umaniappetitidi lor natura piacere, o dispiacere posſo no apportare,òpur l'Anima ne li fa tali. NAT. Senza dubbio non folo elaAnimaha uirtidi apprendere, ofuggire le coſe, ma in effe ancora e nonſo cheda eſſer fuggito,ouero abbracciato. Quädo adun que tra la coſa, o l'animaſi truouaalcuna conformità, allora lo appe tito ſi muoue ad abbracciarla, o queſto mouimento,ſi può dire, no minar defiderio ,ilquale è appetito di coſa che nõ ſi poßiede,cõforme però à quella uirtù ò parte dell'anima,che l'appetiſce; ma quando no ui é queſta conformità,tra gli oggetti, o l'anima,ella gli aborre, o fugge, né ſolamente oue o anima,oſentimento ſi truoua cotefti ab bracciamenti,e fugheſiueggono,ma doue occultamente io ſonoſoli ta di operare, doue non éſenſo, ociò faccio con un ſemplice inſtinto, ilquale al mio poteree tale, quale al tuo é la conoſcenza. Coteſto in ſtinto ogni coſa conduce alla conſeruatione, o albene; & dalmale & dalla morte il tutto ritragge quanto può . Maper dirti de gli huo mini, ſappi, che eſſendo tra le coſe oppoſte, ole parti de gli animi lo ro ,conuenienza,quando auiene,che quelli ſíenopreſenti,oche laſcia no impreſſa la loro qualità,in quellapartechegli appetiſie , allora ſi genera ildiletto , e l'allegrezzanata dalla morte delprimo deſides rio , perche poſſedendo la coſa deſiderata , il diſio è già conuertito in piacere. Ilqualpiacere altro non é,cheadempimento di uoglie. Tu conoſcerai, cheil guſto tuo bauerà conformità con le coſe dolci; da queſta nenafcerà l'appetito,auenendo poi,chele coſe dolci uicine fica no à quella parte,doue il detto ſenſo dimora , eche in eſſa laſcino la lor qualitàimpreſſa,che é la dolcezza,nonha dubbio ,che quella par te nonſia per bauer diletto , egiocondità . Il ſimigliante uedrai in ogni tua parte, Et per lo contrario ſi ſente noia, e diſpiacereo nella priuatione delle coſe deſiderate, o nell'hauere le difformi, oaborrite, ecome il principio di ottenere il bene era il deſiderio dalla ſperanza accompagnato ,cosi il principio di hauere la noia, era la fuga dal timore commoffa . Etcome nella prima impreſione la ſperanza in gio is fi conuertiua , cosi nella ſeconda la paura ſi tramutaua in dolore . Eccoti adunque i quattro principali affetti diuoianime. AN. Vor reiſaperè,o Natura, in cheſia poſta la conueneuolezza , che é trale coſe, ole parti mie . NAT. Percheioſono tale in ciaſcuna coſa , quale io mi truouo , però nelle coſe eſaéripoſta per me; maperche poi auenga,che io tale mi truoui in ciaſcuna coſa,dimandane chi cos si ab eterno prouid. AR. Or l'anima tiparetroppo curioſa ? ma dimmi quai coſe,à qual parte dell'anima ſono conformi. NÁT. In fomma il uero é il bene, &per tal cagione, quello che è uero,uien giu dicato bene. Ar. Che intendi tù bene ? NAT. Ciò che daogn'u no,e da ogni coſa uien deſiderato , &uoluto . A R. Qual bene Ć cercato daữ’intelletto ? NA T. Dimandane coſtei  AN. il ſapee re , la dritta opinione. NAT. Dalla uolontà ? AR. Ogniabis to di uirti . NAT. Da gli appetiti . AR. Ogniutilità ® dilets to AR. Che naſcerà poi , ò Natura , dal deſiderio ditai coſe ? NAT. Lo sforzo, o lo ſtudio de'mortali per conſeguirle . An . Buui alcuno inganno de gli appetiti intorno al bene, come ui é l'ingan no dell'intelletto intorno al uero ? NAT. Grandissimo. AN. Et come ſe il bene e cosi conforme all'anima ? NAT. Non hai tu udito poco di ſopra, come l'anima era d'intorno al uero, opure anco il ue to le era molto conueneuole , et proportionato ? AN. Ben'inteſi, che la cognitione del uero era molto confuſa, riſpetto alla fantaſia . A'R . Cosi é . Et di nuouo ti dico, afferino,che ogn'uno confufae mente apprende un bene,nelquale par che l'animo s’acqueti,et quels D 2 lo 28  lo deſideri,mapoi da gli appetiti traportato (come prima era l'intele letto dalla fantaſia ) e aquegli rivolto ſmarriſce la uera strada di quel bene, al quale ciaſcuno digiugner contende , moſſo dalla interna forza della Natura . Et in quella ſtrada,orapiù lentamente , ora più. velocemente camina , troppo è meno amando, et deſiderando quello , che con miſura dourebbe amare,ò defiderare . Indië nata la ingorda uoglia delle ricchezze, lo sfrenato appetito dei piaceri, vtalbora la pigritia, om negligenza dell'ocio ; &deſiderando altrilapropria con ſeruatione, s'inganna, credendo,che il bene altrui,ſia la ruina ſua ,oue ro temendo di perder’i ſuoibeni, fauori,gratie ,amiſtà,onori,o lodi, ſi muoue alla ingiuria,alla inuidis,alla uendetta. Et di qui naſce quello di che tutto di ſi contende fra' mortali, il giuſto, lo ingiufto,ildouere, l'equità, l'utile, oaltre coſe, che ſono cagioni di liti, o di conteſe Per il diletto adunque, & per il comodo, ciaſcuno ſi muoue à fare. Et benefarà quello, alquale ogni coſaſi riferiſce , ouero ſiriferirebbe , • perragione, o per appetito, o per natura .Et ciò cheopera, difende, conſerua,accreſce,accompagna, ſegue,ordina,et ſignifica il bene,bene ſi chiama, operò la felicità, o tutte le parti ſueſarannobuone, a le uirtie ſopra tutto ſono benidiſua natura degni,bencheàmoltinon ſono cosi apparenti. Ilpró ,l’utile , il piacere ebene , perche l'utile ė mezo di conſeguire il deſiderio, oil piacereè moltoalla natura cona forme. A N. Fermati un poco , & dimmi,come non eſſendo beni cosi apparenti le uirtù de coſtumi,gli huominiſieno uenuti in cognis tione di quelle: AR. Credi, ó Anima,che ogni maniera di bene, che appare à gli huomini , éſimiglianza di quel bene, che non appare,e chi uuole drittamente giudicare da coteſti apparenti beni , potrà ris trouare la uia di peruenire alla cognitione di quegli, cheſono in ſebe ni, o che fanno la uera , es ſola felicità,più deſiderata ,che conoſciu taima non ſta bene ora difiloſofare intorno a tal coſa . Baſtiti, ch'io ti ritruoui la uia, per la quale gli huomini ſono andati a ritrovare i beni dell'animo, o le uirti interiori . Dicoti adunque, che uedendo i mortali nel corpo umano molte buone conditioni, hanno congetturas to, ancora nell'animo ritrouarſi alcune ottime qualità, à quelle del cor po in qualche parte conuenienti . Dimandane la Natura, quali ſieno le doti del corpo ,che tu ſaprai da me poſcia quali ſienogli ornamenti tuoi. AN. Dimmi ò Natura , fe egli ti piace, diche beni adorni tu i corpi umani ? NAT. Prima diſanità, o di forza,poidi bellezza, O d'integrità diſenſi . An. In checonſiſte la ſanità ? Nat. Nels la . la proportionata meſcolanza degliumori principali, enell'uſo di ej 14,6 queſta proportionata meſcolanza , ueramente ſipuò chiamare una egualità ragioneuole. ART. Credi tu , o Anima,di eſſer’al corpo inferiore ? AN. Non già . ART. Credi adunque , che in te eſſer deue una certa egualità. Il cui ualore conſiſte nell'uſo. A N. Quale uuoi tu che ella ſia ? AR. Quella che Giuſtitia ſi chiamna,fers ma, o coſtante volontà di render a ciaſcuno ilſuo . Ma che dici tu delle forze ? NÅT. Dico, la gagliardezzaeſſer’una uirtù del cor po,poſta nel potere à ſua uoglia abbattere,atterrare,et uolgere ogni alieno impeto con leggiadria. AR . Bella, aneceſſaris uirtù neli aa nimo. Perqueſto giudicarono ifaggi,eſſer la fortezza, laquale reſis ſtendo à gli impetidella fortuna,ſola nė"ſuperbanel bene,ne uile nelle auuerſità ſi dimoſtra, &fola guida nella militia della uita mortale uin cendo,glorioſamente trionfa . NAT. Che dirai tu della bellezza del corpo, laquale è una proportione di membra, o di parti tra ſe ſteſ fe, o col tutto conuenienti dauiuacità di colori, et gentil gratia acs compagnata ? AR. Tumi dipingila temperanza dell'animo,laqua le in ſe ſteſſa raccolta, ecompoſta,inuera, o proportionata miſura conſiſte, tanto può di dentro,che di fuorinel corpo il ripoſato , o quieto penſiero uedi, dolce, ogratioſa maniera ſi conoſce, & quafie una conſonanza di tutte le conſonanze . NAT. Che coſa trouerai tu nell'anima,conformealla integrità dei ſenſi, come alla bontà della uiſta, alla perfettione dell'udito, « al uigored'ogni ſentimento ? ART. La prudenza, la quale consiste in saldo, o sincero conoſcia mento delle attioni umane : A N. Egli mi pare, che io ſia da Dio creata à fine , che le coſe mie fieno ſcala all'altezza di quello . AR. Che penſitu altro , ò Natura ? NAT. Nulla , ſenon che conchiudo frame, che gli huominiſi ſieno aueduti delle uirtú interiori per le qua lità eſteriori. AR. Senza dubbio, a molti anche ſi ſono ingannas ti, oper una ſimiglianza, che hanno le uirtù con alcuni uitij, se lo Cangiando il nome hanno detto chela tardezza ſia moderata pruten za,la liberalità ſia la larghezzaſenzamiſura; e cosi all'incontro il prodigo ſia liberale . Et non hanno conſiderato , eſſergran differenza tra il ſaper dare, er il non ſaper conſeruare.Et queſto è quel ueriſimi le nei beni, che muoue ſpeſſo lementi, ogli appetiti umani . Orain brieue l'ordine,l'ornamento,e la coſtanza delle coſe handimoſtra to le uirtù , ou appreſſo la concordanza di tutte le operationi , o la grandezza, che le ſopra feſteſſa inalzają si come in ogni arte, com in ogni 30 DELLA ogni ſcienza biſogna hauer’alcuna coſa manifesta , e chiara, dalla quale da prima ella naſca, o s'augumenti,cosinella felicità, bed ta uitaſi richiede, euidentefondamento,preſo dui benimanifeſti à i ſen ſi umani,dalquale s'argomenti il uero , ottimo fine , operò dalle predette coſe ſiſtima,quella eſſer felicità , che con proſpero corſo tracorre,tutta diſeſteſsa, tutta di ſua uoglia, tutta piena,tutta d'ogni parte abondeuole, ocopioſa, eyd'intorno à tai coſe ricordati ſeme pre della diffinitione, da unaparte conſiderando, che coſa é bene,di! l'altra diſtinguendo quello che é del corpo , da quello , che é del’ani mo, e come ciaſcuno in molte parti ſi diuide.perciò che cosi ne trar : rai quella abondanza di coſe che tuuorrai,doue meritamente la pres detta parteſi può dar tutta alla inuentione, laquale e il fondamento della noſtra fábrica. Partidoadunque tutto quello cheſotto il nome di bene, ò uero, ò apparente ſi conciene, trouerai la felicità con tutte le ſue parti,o trouerai, che'l fuggire dal maggior male,ſia bene , et l'acquiſto delmaggior bene, « il contrario delmale; & queſto, pera che molti s'affaticano, e che i nimici lodano alcuna fiata.Et che ſifa ſenza incomodo, feſa, fatica, ò tempo, ſe é diſiderato; ofinalmente tutto è bene,uero, apparente, v dubbio, quello che uiene deſiderato. A N. Che dirai tu del piacere ? AR. Grande ueramente è la fore za del piacere, & del dipiacere , percheſin da fanciulli ſi uede , che il tuttoſi fa per tai contrarietà. Et s'io uoleßi pienamente ragionarti, io non finirei cosi toſto, però di eſſo alcune brieui ſentenze io ti pros pongo,dalle quaiſe ne ritrarrà quella ſimigliäza di uero, che in tai be niſi può trarre. Dicotiadunque,che quelle coſe grate ſono, dipid= cere,che ſono alla natura conformi,come hai diſopra ſentito ; pero à ciaſcheduno grato ſarà quello ,à che eglidi natura ſua ſaràinchinas toje per la medeſima ragione,foaue,et gioconda coſa é la conſuetudi ne, come quella chemolto alla natura ſi confaccia . Perche quello, che speſſo ,et per lo più ſifa, è molto uicino a quello che ſempre ſi ſuolfa re . Caro e quello ,che non ſi trde per forza,perche la forza é contra natura, onde i trauagli,lecure , e ogni maniera diſtudio, odi pens ſiero,che turbi la quiete dell'animo , perche é uiolēto,arrecca moleſtia o diſpiacere. Seforſe la conſuetudine non l'ammolliſce. Cosi per con trario il diletto, il giuoco, il ripoſo ,la ſicurezza ilſuono, et la rimeßio ne, come coſe di ogni neceßitá lotane. Néſolo col ſenſo uicino ſiprende piacere delle coſepreſenti, ma con la memoria,con la ſperanza,del lequali una riguarda le paſſate, l'altra le future.Lepaſſate apportano nella ricordatione aſſai diletto,perche la imaginatione le fa quaſi pres ſeriti, e ſe erano graui, o noioſe, con lieto, o piaceuol fine fatte ſos no dolci, eſoauile coſe buoneche hanno à uenire nello ſferare con fortano, comele preſenti nel goderle,ouero nel imaginarle, ilche ſuos le à gliamantiuenire, iquali non hanno ripoſo ſenon quanto penſano alle coſe diſiderate . Lauittoria ė foauißima coſa, ó lo auanzare il compagno , or però ogni maniera digiuoco ſuol dilettare la caccia , l'uccelare, la peſcagione, et appreſſo l'onore,ogni gratitudine, ogniri uerenza,inſin l'adulatione piace infinitamente . Lo imparare ancora é coſa piaceuole , onde la imitatione delle coſe è giocondiſſima , tutto che le coſe imitate non dilettino, perche nõ la coſa eſpreſſa ,malo sfor zo, e il contraſto dell'arte ſuol dilettare. Indi è nato, che la pittura, le statue,o l'opre finte aggradano chi li mira . Ne più ti uoglio af faticare,o Anima,in dimoſtrarti,quello cheda te, et in te prouerai ef ſendo con eſſo il corpo .o quanto ti fia dipiacere il dominar’ultrui il comandare il ridurre à compimento le coſe incominciate, il veder riu ſcire ogni tua deliberatione , e finalmente tutto quello, che al bene t’indrizzerà,ò dal male ti ritrarrà. AN. Se queste coſe ſono buo ne, come tu di , per qual cagione ſipuò errare nel deſiderarle , nel cercarle ? A R. Due mouimenti,ò Anima in te conoſcerai, l'uno de' quali da eſſa Natura riceuerai, e l'altro riporterai teco. Nel primo niuno errore puoi commettere,perche non è colpa tua, che alcuna co ſa ſi truoui,che ti diletti; ma nelſecondo ageuolmente puoi cadere , eſſendo in tua mano il freno di non conſentire cosi à pieno à quella prima voglia&, non riguardare alla ragione, che con certo conſiglio al gouerno de'primi appetiti guidar tidee. Maperche per lo primo, O naturalemouimento gli huominifanno il più delle loro operatio ni però debbonoeſſer ueriſimilmente guidati,o é creduto per lo più, che ciaſcuno faccia con deliberatione quello cheegli fa, ſeguendo il primo inſtinto; néſi conſidera che in teſi truoua uirtá libera, o po tente,dalla quale ognilode, o ogni biaſimo procede . Etacciò che el la ſiapiù drittamentegouernata, eccoti l'autorità delle ſacre leggi , nella quale è poſta la ſalute, e la correttione d'ogniumano errore. Contra le quaichiunquepreſume di opporſi, dal proprio conſiglio abandonato, è dato in preda alle ſue proprie uoglie,e ſottoposto ale la pend, come quello cheiniquo, o ingiuſto ſia. Ora in brieue ti dico, che eſſendo eſſe leggi nelle rep. àgli animi quaſi medicine delle loro infirmità, o rimedijà i loro errori, biſogna ſapere ogni maniera di gouerno ,  gouerno, in che eglipiù fermo fia,da che uegna il cadimento di quels lo, et quanti ſienoi contrarij ſuoi,per poteralla cõmune utilità con le Sante inſtitutioniliberamente prouedere. NAT. Matu non dimo ſtri, ò Arte, che alcune leggi ſono eterne, er immutabili, non da gli huomini ſecondo gli ſtati loro ordinate, ma dallo editto diuino , o da me inuiolabili ſtatuite, communi,& uniuerſali à tutte le genti, lequai non più allo Indiano,cheallo Ethiope,eguali, in ogniſecolo , in ogni luogo ſi Sogliono ritrouare, non ne igrandiuolumiſpiunati da' morta li,manel libro della eternità impreſſe,et ſigillate in ciaſcuno che ci na ſce. AR. Coteſte leggi,ó Natura,non ſono ritrouamenti umani, né ſecondo le occaſioniformate, ma eterne, econtinuate ad un modo in permutabile , del quale non tocca à me il ragionare, «pint é quella ch'io non dico di eſſe, o forſe quella equità,dichefpeſoſi ragiona, al tro nonė, che la leggeſcritta nel cuore d'ogn'uno per correttione di quella cheè poſta per commune uolere di ciaſcun popolo . An. Dun que nelle umane leggiſi truoua errore? AR. Nongià , ma ben può eſſereche ilfondatoredi eſſe al tutto non proueda,et chenon conſide ri molte coſe,lequaiperalcuno accidente , come , che molti ne ſieno fanno uariare i giudicij, e in queſto caſo la equità , & l'oneſtà può aſſai, operò molto prudente, oqueduto biſogna cheſia , chiunque forma le fante leggi, « che il più che può tolga il potere à gli huos mini di giudicare da ſe ſteßi . Però cheben ſai, quantopericoloſopra ſtà nel giudicio, riſpetto allo amore, all'odio, e ognialtra perturbae tione umana . Matempo è, cheſi dia fine à queſta parte , perche aſſai sé detto d'intorno alle uirtù dell'anima,e d'intorno alle coſe appars tenenti ad eſſa , si di quelle che allo intelletto, come di quelle, che ape partengono allo appetito . In quanto che elle hanno ſimiglianza del uero , delbene, dj appartengono alla inuentione. A N. Tutto che ó Arte, inanzi à gli occhimiſieno le coſe, che tu m'hai dimoſtras te , hauendole tu ſopra la Natura delle coſe ſtabilite ,pur uorrei ſapes re alcunſecreto , come diſopra molti me n'hai ſcoperti, quando tra noi ſi ragionaua delle parti mie. AR. Io non per naſconderti alcu na coſa miſon taciuta, maperche eglimipare, cheda te ſteſſa potrai ogni ripoſte bellezza conſiderare, uedere, che da que' beni che di ſopra habbiamo diſtinti,naſcono treparti principali dello artificio no ſtro . Però che ſe il bene é utile ,nenaſce quella parte, che é posta nel conſigliare, laquale ſi uſa neiſenati. Se'l fine è giuſto, quell'altrapare te, che delle ingiurie ciuili,ò criminalitra i popoli fa mentione, felfie ne 1 1 ne é honeſto , allora ampia, o magnifica materia ſipreſta di lodare nelle pompe, et ne i trionfi le opere glorioſe , ma il ualore delgraue, o riputato Cittadino,primanel ben fare,poi nel ben conſigliareſi di moſtra. AN. Diche coſa più ſi conſiglia ? AR. Di quello , che : più abbraccia l'utile uniuerſale . Etprima d'intorno al corpo delle uettouaglie, odel uiuere per ſoſtenimento di ogn'uno, odella difen fione per ſicurtà de i popoli, delle ricchezze perſoſtenere la difes Ja. Dapoi delle ſacre leggi, e della religione per ottenere l'ultis mo , o deſiderato fine . ANI. Che ſi ricerca nel conſigliare ? ART. Prudenza, beneuolenza , animo , ſecretezza , e celeris , tà nello eſſequire . A N. Gli ineſperti adunque,imaligni, i timis di , i uani, i pigri huomini , non ſono atti al conſigliare : ART. Non già . Necoloro , che non ſanno conſigliare ſe ſteßi. Ma odi: alcuni ſecretidi queſta parte, forſe non uditi fin'ora. Vuoi tu ſapere un modo mirabile di conoſcere glianimi de' mortali ? AN. Queſto eil tutto . A R. Sappi,checiò, che ſecreto nell’hkomo ſi truoua , forza cheſia in alcun ſentimento di eſſo,ò di dentro, o difuori.Sentis, mento chiamo ora ogniparte di te ó Anima . Et però uolendo tu ri trouar coteſto ſecreto , tenterai ogni ſentimento , perche quando es toccherai quella parte,nella qualee ripoſto il ſecreto di alcuno, o pia ceuole, ò noioſo,che egli fi fia ,ſenza dubbiomanderà fuorialcuniſea gni,comemeſſaggieridelle uoglie ſue,ocon alcuneſimiglianze dimo ſtrerà quello,che egli ſipenſa di haueredétro diſe naſcoſo; aguiſa di una corda chealſegno tirata di un'altra ; quandoritruoua la conſon: nanza,ſimuque, a ſuona di pari armoniacon quella.Da queſta reues, latione dipende la uittoria, eu l'onore di chi parla nel coſpetto degli huomini.Etqueſto è un ſecreto ripoſto aſſai, wodegno di penſamento .. L'altro è , che a conoſcereil giuſto, e lo ingiuſto,biſogna riguardas re al fire,alquale ciaſcuna coſa deueeſſer meritamente riferita , pera , che quando ſia, che dal debito fine alcuna coſa ſi rimuoua, allora ne ng ſce la ingiuria,la quale éuna eſpreſſa maniera di ingiuſtitia. Aqueſta ingiuria altri ſono più diſpoſti a farla, che à patirla ,altri per lo cons , trario . Et questo biſogna conſiderare per potere in quella parte uas lere , ii cuifinalgiudicio rizuarda il giuſto , o l'ingiuſto. Altri ſes creti ui ſono , ma io mi riſeruo là doue della applicatione ragiones remo, cioè quandoſi dirà il mododi porre le coſe nell'anima . Ma che marauiglia è queſta ? doue é gita l'Anima , ò Natura ? Perche te ne ridi tu ? come ſono ingannata ? come tolto mi viene il poter ſeguire E l'incominciato ragionamento ? NAT. Aſpetta ó Arte,non titurs bare, toſto merrà, con chi tu habbi à ragionare . Ora uoglio che noi ci tramutiamo, o che cifacciamopalpabili, o viſibili. AR. Che mutationimiusi predicando? NAT. Taci, attendi . Eccomi qui di corpo ,e di formaumana . AR, Guardami ancora tu, ch'io ſo no trafigurata ,à chimiſomigli tu o Natura ? NAT. Io non ſaprei à coſa alcuna ſimigliartijmubene io uedo, che tu hai molto del graue nell'aſpetto, e nello andare, onel uestire,et à pena io ardiſcofiſarti . gliocchi à doſſo . Et mi viene una certa tenerezza di lagrimare. A R. Coteſto é ſegno ,che tu mi ami et riueriſci ;et tanto più ch'io ti ſcorgo un certo roſſore nel uolto , e ti odo ſopirare. Ma che ti pare de gli occhi miei ? NAT. Tu haideldiuinoin eßi,come cheſieno di coloa re celeſte, o di luce penetrante . A R. Et de capelli,chedi tu ? delle ciglia ? NAT. Quelli ſono neri, a queſte rare , e di oneſta grandezza. ART. Saitu di cheſieno ſegni le predette coſe ? NAT. Non già,ma bene ſtimo, che tu t'habbifigurata in quel mo do difuori,che tuſei di dentro, cioè piena d'intelletto, edi capacità ftudiofa delbene,folerte ,er ſuegliata comeſei. A R. Tudi il ues ro, e dipiù il naſo aquilino, le orecchie egualiil collo brieue, il pete tolargo , le ſpalle große, le braccia, le palme, ø i diti lunghi, tuttiſou no ſogni euidenti dello eſſer mio . NAT. Ma tunonſei peròtroppo grande,bencheiltuo mouimento ſia tardo, elo ſtarediritto, chedie moſtrino te manſueta , umana , a piaceuole . Ar. Se non fuſſe il mio continuo penſamento, mi uedreſti ancora più allegra. Ma guarda quantiſtrumentiadoperar mi conuiene perporre in opra quello che io nella mente diſegno . NAT. 10 ſono dite più ſemplice , o piis ſchietta comeuedi. AR. Tu mifai ridere con tante mammelle . NAT. A punto io fo ridere ogni coſa per tante mie mammelle, pero che credi tu , chelefemine , noni maſchi habbiano tai parti ? AR : Perche le femine ſono quelle chepartoriſcono, però biſo gna, che come eſſe danno la uita, cosi diano il notrimento ,etperò han no le dette parti come iſtrumenti della nodritione . NAT. Quans te adunque nedebbo hauer’io, eſſendo madre dituttele coſe ? AR. Tu hairagione,ma chi é quel giouane cosi bello , che incontro ne uie ne ? NAT. L'anima,che poco dianzi era ſola,ora è accompagnata col corpo. AR. Chemiracoli fai tu ò Natura? NAT . Credi tu Arte ſapere ogni coſa ? AR. 10 fo bene quello, che credo, ſo che le genti non crederanno queſte mutationi, che tu o io facciamo. NAT. E LO QVENZA. NAT. Pochi ſono i ueri Sauij., però non diamo orecchie al uolgo . Eccoti il deſiderato aſpetto, conſidera o miſura le parti fue , che ria trouerai bella ,o proportionata compoſitione. Ar. Che carne gen tile, odelicata , non però troppo molle, guarda chedignità,che maa niera chefronte allegra, « ſignorile ,chipotrà dire che egli nonhab bia ad eſſere pieno di coſtumi, o d'ingegno ? NAT. Ben ſai,che io gli ho la promeſſa ſeruata in tutto . ART. Rallegromi ueramen . te, o mi pare , che tu ſeimolto miglior maeſtra di me, ma che nome gli daremo ?.NAT. Quello che conuengaà chi lo fece. ART. Io ne ho poco che fare. NAT. Anzi tugli hai dato , & darai il miglior'eſſere;ben’è uero ,ch'io ne ho la parte mia, o il mie fattore la ſua. ART. Chiamiamolo dunque DINARDO. NAT. Perche ? AR. Perche Dio , Natura , & Arte il donarono. NAT. Tu mi allegri con tal fabrica di nomi . A R. In molte lingue io ho queſto potere, il quale e poco da gli huomini conoſciuto. NAT. Mipiace, ma perche non l'hai tu dacapo a piedi minutamente miſurato ? AR. Micuſui lo hauerglidimoſtrato , che la oratione eſſer dee.comeil corpo umano, o hauere principio,mezo , & fine.Etche le partiſue deono corriſpondere à ſejteſe, al tutto con dignità ,e decoro ? Et si comenel capo ſono tutti i ſentimenti del corpo , cosi nel principio eller deono ripoſti i ſentimentidella oratione. A lui pofciaſtarà di ore dinar la predetta materiafecondo il biſogno,facédolo auuertito, che i teftimonij delle opere de’ mortaliſono le coſe che ſtanno d'intorno à quelli . Et però mi gioua di nominarle circostanze, percioche fa cendo,o operando l'huomo alcuna coſa, ha ſempre inanzi,ò apprefe ſo il tempo,il luogo,le perſone, il modo, ilfine, le quaicoſe fanno fede ſe l'operaſua è buona, orea . Da coteſta conſideratione, ſi ſtima chi ragiond, e con chi,ſe è la occaſione di dire ſe in questo, o in quel luo, goſtarà bene di parlareſe ilfine è buono,et altre coſe,alle opere ap pertenēti. Ma tu gratioſißimo Giouane, che con tăto fauore delcielo ſeinato,ti ricorderai tu quelle coſe che dette habbiamo fin'ora ? Non titurbure,cheio ſono l'Arte, e queſta è la Natura,con la quale tu , eſſendo Anima ragionaſti. Din . In che maniera ſono le coſe ſchiette, oignude , oin che forma ſono le compoſte,che cosi uiſiete mutate, piacemi di hauerui riconoſciute , o cosi uiaffermo di ricordarmi di quanto s'è detto . ART. 1o non mipoſſo ſatiare di guardarti. NAT. Che giouanezze ſono queſte ? ART. Non ti dolere , o Natura , che la bellezza delle opere tue ſia da me riguardata con E 2 marauiglia . NAT. Poi che io à tale fon uenuta , che pienas mente ho ſatisfatto al deſiderio tuo , e chef Anima pronta s'è die moſtrata, comincia tu ancora ò Arte ad inſegnarci ilmodo , col quale applichiamo le coſe all'Anima. Et perché non più aſtratte ſiamo ,ma compoſte,però voglio,che con le eſperienze degli ingegni altrui, eo con glieſempi,cheſono oſtaggi della verità, e con l'uſo quotidiano, tu ti rivolga à darci ad intendere la forza dell'eloquenza umana. AR. Cosifarò .Ma tu ò Dinardo, preſteraimi udienza , enon las ſciare à dietro coſa, ch'io ti dica . Marauiglioſae ueramente la förs za ola uirti della fauella umana. Perciò cheoltre alla intentione de i concetti e delle uoglie di uoi mortali , che per eſſa ſi fuole con bes neficio univerſale, &euidente diletto appaleſare , non é in uoi ſentis mento alcuno ,l'appettito del quale non ſia da quellafieramente eccia tato, e commoſſo ; a chi uoleſſe di ciò prender debito argomento . ogn'hora,che ueniſſe bene, riguardando à i modi,cheſiuſano tra uoi, ritrouerebbe le coſe à i ſenſi ſottopoſte alcuna uolta effere di minor uirtù in muovere ciaſcuna il ſenſoſuo ,che il parlare , qualhora egli fia con bello,efficace, es maeſtreuole modoformato, ofabricato, o appreſo doppo alcuna più profonda cõſideratione, conoſcerebbeese fere quaſi infinito il valore di eſſo parlare,come che ſolo allo intellets to dimoſtri la ſoſtanza , ela ragione delle coſe, it che à niuno altro . ſentimento, quantunque la Naturaſempre atutti liberaliſima ſtata fia ,né é,në fu ,nefarà conceſſo già mai. Quante cofe del cielo , quante delle intelligenze, quante di Dio per mezo della lingua, ſenza l'aiuto de gliocchiò d'altro ſentimento ſi fanno ? Il parlare èſolo dimoſtras tore della ſoſtanza, ilparlare e ſolo per uniuerfale miniſtro dell'aniæ ma, ilparlare é ſolo ſtrumento della ragione , ma onde é o Dinardo, che ne gliquenimenti,et ne gli atti degli huomini tanta forza diſcens da nelle parole ? DIN. Credo ueramente, cheeſſendocidato da eſſa Natura ilparlare (come tu dici )affine,che le noſtre biſogne , ino. ftri penſieri altrui manifestiamo, granpotere in quella fauella debe ba eſſere,la quale da uero , &ſaldo intendimento , e da sforzes uole diſiderio procedendo,tale difuori apparirà, quale di dentro nele l'animo dimorando ſtaraſi. AR T. Ben di . Eſſendo adunque le pas role come oſtaggi delle uoglie, o de concetti, bifogna , come tra ' sis gnori auiene,dare gli oſtaggi alle perſone conuenienti, e però prens dendo noi dintorno al parlare quelmiglior partito , che ſi conviene, soglio ,che picde inanzipie mettendo or, gentilmente più oltre pafé fando ritrouiamo le maniere , egli aſpetti della oratione, oconfia deriamo quale parlamento à qual coſa,età qualperſonaficonuenga. DIN. Di, ch'io t'aſcolto. A R. Non è dubbio , che riportando il parlare per gli orrecchi alle anime de gli aſcoltanti, la forza dello intendere, o del uolere, biſogna in queſto viaggio dar mouimento,et modo ad eſſo parlare . Perciòche lo intendimento ó la uoglia nell'anis ma ſi ripoſano, o iui come nel ſuo caro nido dimorano , ne ſi potreba bono da quello ſenza ragione, et artificio, dipartire. Al che fare accõa ciamente uoglioin prima che in ciaſcuna forma, o maniera dell'orda tioneſi truoui il concettodelle coſe inteſe,ca deſiderate , ilquale par oraſia detto , ey nominato SENTENZA. Appreſſo uoglio, che ci ſia lo artificio dileuare la sentenza dalluogoſuo, & là doue farà biſoa gno, leggiadramente portarla , perche ſimigliando la ſentenza al ris poſo, e all'anima, diremo , che l'artificio sia la machina , il modo conueniente di leuare il peſo della ſentenza dalla menteumana Ma perche ſiuede, che l'anima uſa le forzeſue , oadopra il corpo come ſtrumento,peròà ciaſcunaforma dell'oratione appreſſo l'artificio, Ry la sentenza, le ſidarà parole, e uoci,per mezo delle qualipotrà l’q . nima delle fentenze la ſuauirtù , leforzeſue gentilmente adopea rare . Ma perche aſpetto alcuno non ſipotrà vedere, oueſieno le pare ti, la compoſitione di eſſe, il colore,icontorni, oifinimentideltutta, deſidero condonar alle parole iſuoi colori, il ſito , o le partiquaſi membra, o iſuoitermini, accioche altri allo aſpetto, o alla forma conoſca quali oſtaggiſienodati dall'anima dei i ſuoi ripofti, & fecreti intendimenti. Chiameremo dunque i colori figure , le parti membra, il ſito compoſitione , il finimento chiuſa o termine della oratione . Et perche uanafatica ſarebbe la noſtra, le haueßimo folamente formas to si bella creaturaaffine che ella ſifteſle, népunto ſimoueffe , pexo come uiuo s'intendequel corpo ,cui mouimēto e conceſſo ,cosidaremo al noſtro parlare il ſuo paſſo,ò uero ilſuo corſo, il qualeſifarà col ri pofo dialcune parti, ecol mouiméto di alcune altre,come farſi uede ne gli animali, o perche con altro mouimentoſi muoue uno adirata, con altro un manſueto, o altro é il paſſo d'huomograue , & atteme pato, altro d'un leggiero , & ancorafreſco di età ,perònello ſpatio, per lo quale hauerà da correre, o caminare la oratione , uoglio che ſi conoſcaogniinterna qualità delle coſe perlo mouimento, e per lo ris poſo delle parti delfermone, ewe perchediſopra habbiamo dato à cias fcunaparte il nome che à formar una manieradiparlaméto ſi richies de däremo ancora à queſta ultima il nomeſuo,si ueramente che il ripos fo, yo il mouimento delle parti ſotto unoſteſſo uocabolo ſi rinchiuda, poi chiamato fia ó Numero, onumeroſo componimento. Din , Qual Dedato potrebbecosi belle figure,afare, adornare,comefai tu ò Arte ! Raccolgofin tanto quelloche io ho da te ſentito fin’ora,odi * co,che tu uuoi, che la oratione habbia una qualità,checonuenga alle *coſe,o alle perfoneſoggette, o queſta iſteſſa qualità, formaá maa inierazò guiſa dimandi. Ari Cosić, Din . Tuuuoi appreſſo, che ciaſcunaforma primieramente habbia la ſuaſentenza, che altro non è che il concetto della coſa,dapoi l'artificio , che é il modo di les * uarla dalluogo ſuo,ne queſto ti baſta , a però uuoi ire grandamente fi conſideri con quai parole ſi posſa pixi acconciamente ragionare , a eſprimere la occulta uirtù delle fentenze,diſponendo quelle parole,e dando loro iſuoicolori , o finalmente rinchiudendole in alcuni ter "mini acciocheſieno alla ſentenza eguali ,come l'Anina à tutto il cor . Spo, oaciaſcuna parte dare il fuonumeroſo, e miſuratomouimeto, checol ripoſo, o con la uelocità del tempo preſente ſi miſuri.A RT. Cosi u'ho detto D'IN: Ognicoſamipare d'intendereragioneuol mente,ſolo che tu uoglia dichiararmi alquanto d'intorno a questo numero ſo componimento, che NvMERo hai nominato. Et io fon diſpoſta àfarlo , sueramente ,ch'io uoglio prima partitamente ragionare, ego diſtinguerele maniere,e le forme predette., decioche tu fappia ilnumero diciaſcuna determinatione. Dico adunque,lapris smaguila,esla prima formadouer eſſere la chiarezza,la qualeſotto dife contiene la purità , ola eleganzadel dire , anzi più preſto da queſtemaniere ne riſultala cagione ,che nel primo luogoſi riponga queſta forma perche niuna coſa più ſi ricerca , ò ſi diſideradachi jagiond, cheil laſciarſi intendere , ilche altramente non ſi può fare fenzá la purita del dire, la mondezza , la quale oggi uoglio , che ELEGANZA fi chiamidanoi.Ma percheſpeſſo auiene, chesforzans doſi alcuni di eſfer’inteſi,cadono in forma umile, ego dimeſſa molto les cuando , otogliendo della dignità , della grandezza del parlare, però appreſſo la predetta forma,fi'dirà della grandezza, o grauità della oratione, la quale damoltealtre forineprocede , che ſono ques ste, Mueftd, Comprenſione, Afprezza; Veemenzt,splendore,viuacie tài boppo la chiarezza, e la grandezza del dire a mepare che ſi conuenga conoſcer’un'altra forma; ta quate tutto il corpo della os rationecon la conuenienza delle parti,ornamento,osgratia recando, bella ELOVENZA. 39 bella, en miſurata ſimoſtra, v però mi gioua di nominarldBellezzi, alla quale un'altra formaſidarà, uolubile, preſta,perche tèggiaa dramente ſi muoua, leggiadramente dico å fine, chene troppo sciolta, né troppo legtta ſiueggia.Et ſe la chiard, a la grande , ela bella, o la ueloce forma ſono tanto richieſte, quanto previ dá te ſteſſo cona ſiderare chediremo noi di quella, nella qual ſi dimoſtrano imodi, i coſtumi delle perſone? Et diquell'altra,chefa credere ogni coſa, che fi dice esser uerißima? Certo non meno queste, che quelle eſſerticare deuriano,quando in queſte ſta ripoſta ogni riputatione di chi parla ; et ogni credenza delle coſe,cosi uoglio nominar quella forma,la quae le ſecondo le nature , & gli abiti delle genti ua ragionando ſotto della quale è la ſimplicità , la giocondità , o l'acutezza; e quels l'altra ancora, che uerità ſi dimanda , ſono forme, ſenza le quali morta , e ſpenta ſarebbe la oratione . Et in queſto numero ſono chiuſe le maniere , o le guiſe , delle quali alcune haueranno le loro ſentenze , &i loro artificij, e l'altre parti diſtinte, es ſes parate dalle altre; alcune comunicando inſieme, ſi confarànno, o nelle ſentenze ,ò nello artificio, ò nelle parole, ò nelle figure;o nel reſto, cos me chiaramente uedrai . Queſte uoglio , chetu da feſteſe , come ſemplici forme riguardi diſtinte l'una dall'altra . Perciò che non quel lo cheſitruoua,maquelloche può eſſere,uoglio che tra te medeſimo rivolgendo conſideri, e ciaſcuna forma, come tale, ew tale conoſchi. DIN. Io t'intendo, Tu vuoi, ch'io sappia considerare ogni guisa di oratione in se stessa, onde poi a scelta mia io possa questa con quella,et quella con altra meſcolando, di più ſempliciformarne una bella.coinin poſitione. AR. Che credi tu,che uaglia poicoteſta meſcolanza,che nella purità ritenga grandezza ,a peſo, nella ſemplicità ,forzkiego fplendore, et habbianella grandezza delbello, e diletteuole,mache afþramente piaceuole,e piaceuolmente aſpra ſi dimoſtri, pungendo; gungendo, comeſi dice,ad un'horafteli, &facendo, chequello,che è nelle ſentenze ampio, o ripieno,ſia nello artificio ampio, ad leggida dro ? Et in tal modo accompagnando le figure d'unaforma con le pas role d'un'altra,dipiù contrarij ( coſa alla natura medeſima riputatd . impoßibile)farne una amoreuolefratellanza , onde poiqueſto genes roſo accozzamento di coſe repugnanti empia ogn’unodimarauiglia . DIN: Non mi accender pir di gratia ,diquello che io ſono, cos minciami oggimai à formare ciaſcheduna delle dette maniere , accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe, e del parlare. DE Ï Ï Á parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere che comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella , che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto ,als cune alle coſe della uoglia , odello appetito , o quando queſto non fuſſe, né uia, nė ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione con la forza della fuuella . Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN. Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondola occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero , o numeroſo componimento . ART. Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è Dinardo , chequalhora alcuno ſi rivolga à conſi= derare il modo, es la ragione del medicare , che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza . Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte ,d'intorno alla buonaopinione , perche conogni ſtudio s'affitica di metterla ,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata, o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il peßimoſapore , ego l'odore delle medicine , ne da queſta gentilezza ſi parte la mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris medij ,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto ,per le qualiſotto la ſoauità delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione , quantun que ſia di coſa dalla Natura aborrita . Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune coſe ui mette , non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare , perche troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento ; il quale portando ſeco ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra per ogni parte dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota,onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto , che delſentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione, che le parole più ad un modo , che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto eſſere alla Natura, quanto alſuo principio , conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi ; però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la Nde tura, a quello che io ti poßiamo prestare,dico ,che la Natura ha posto alls cor nelle orecchie ilſuo piacere & diletto, uuole chequelle affaticate fi folleuino con la ſoauità , a dolcezza del dire ; al che fare niuna coſa è più potente nel uostro ragionare , che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual numero biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e non muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, operò leua loro ogni perſuaſione, o fede . Ma quando con ine certo , & non conoſciuto numero,dolce però , e foaue,ſi compone il parld . -mento, oſi lega inſieme il faſcio della ſentenza, & del'intendimento,fena za dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi riceue . Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola continouata del uerſo ; continouata dico , peroche lo ſteſſo numero più volte replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato, « conſueto ritorno , più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to ,e conoſciuto,più dall'arte ,che dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del tutto non dee restare l'oratione , che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo come ponimento. DIN. Queſto ordine à meſommamente diletta,però di cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri. A R. La neceßità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza ,perche à queſto fine ſi ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto interno non ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora , ò il parlar ſarebbe ociofo ,ò mancheuole.Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta ,però debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che laſenten F DEELLA za dimostrano. Laqual quantità inſieme ragunata, Giro , o circuito nos mineremo ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza. Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori , ſecondo le parti della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo mezo, o il corpomedeſimo e terminato, & finitocosi , le parti dello abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to . In tutto queſto ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più ueloce ,ò piu tarda ſecondo laqualità del concetto . Et questo ripoſo , oqueſto mouimento ,miſurato col tempo del proferire, para toriſce ilnumero , del qual ragioniamo,uero figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, omoltopiu nel fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel mezo.Etperche di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento del piacere, o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però , hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in parte dico,perciò che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce , odiuerſe maniere hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle forme del dire daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroue remo quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di farmicapace di questa magnifica oillus ſtre compoſitione ; però ſegui,che con maggior deſiderio, cheprima ,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare ,che ora tu facci di me pruoua marauiglioſa. AR: La primaformae nominata Chiarezza,laqual naſce da purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo ella quaſi un tutto , acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima della mondezza opile rità ,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare allapurità del dire quelle ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno biſogno di piu conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le narrationi delle co fe ,come qui. Leggi. DIN. Tancredi , Principe di Salerno , fu Signore affai umano , di benigno aſpetto. AR. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di diſcorſo ogni mediocre in . gigno  gegropuò capire ilſentimento della ſentenzagià letta, come ancora in questi uerfi.Leggi. DIN. Io ſon Manfredi , Nipote di Coſtanza Imperatrice. Et molti eſſempi ſono della purità nelle nouelle , la ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe conſiderata , percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano , per che queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo attendere a quel io, che ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta . Non aſpetti adunque altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella ſentenza , las quale stando nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto ,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo . do,ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza : DIN. La quale percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei dimoraua, s'inamoród’uno giovane chiamato Roberto. AR. Non lascia eſſer pura cotesta sentenza, quel trammezamento, che dice, percioche egli,si come i mercatanti fanno,andaua molto intorno , o questo adiuiene,perche ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode . Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno,ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole ueramente con le quali ſi dee uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi daràperche , tutte le parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi ſonoall'anima della purità molto proportionate , onde le trae portate,le ſtraniere,le lunghe, & quelle, che la lingua pena à proferire , o l'intelletto a capirefono dalla purità lontane ,però purisſime ſono queste. DIN. Cheà me pareuaeßer’in una bella , « diletteuole ſelua ,& in quella andar cacciando ehauer preſo una cauriola , parcami, che ella fuſſepiu che la neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica , che punto da me nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara , cbe accio che da me non partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una catena d'oro tener con le mani. ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle, o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. Aſolo adunqueuago , « piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre Alpiſopra il Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo,Di Aſolo ,uago & piaceuole caſtello poſſe ditrice fu la Reie na di Cipri . Ma puro e per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella : parola puro non ſia ,doue ſi dice Arneſe,uoce ſtraniera, ancora nello are. tificio non é puro per quello tramezamento, che dice ( si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circoſtanze del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il ſentimentode gli aſcoltanti , oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque erra chi uolendo cßer puro uſa parole non pure , artificio,ò figura d'altra maniera,della oratione ? ÁR: Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in ogni parte puro , &netto, & non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe ſteſſa conſiderata , e però lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprenſione della quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole , Dico nella purità ,cs mondezza del dire douerſi met : tere le parole inſieme con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza , Cogni difficultà di lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale , temperato , « non impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di acconciare talmente , che pine tosto nate , che fabricate appariſcano,come nello eſempio già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba , come la natura in tutte ha posto la ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda parte del petto ,o eſce poifuori con alta восс, uoce,riſonante ,onde lo ſpirito di eſſa grande,oſonoroffente,odi laſe guente , ch'é ,B. LA B é puraſnella,deſpedita ,come è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C, órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e di dolce,ſpeſſo , o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo . Conſidera poi da te ſteſſo il restante delle lettere , in che maniera eſſa natura diſua propria qualità ha ciaſcuna dotata , & uederai onde nde ſce più questa,chequella compoſitione.Le parti, &le membra , della purie. rità effer deono breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo ,come qui, D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue più la loro ſaluezza ueggiono , indirizzare. Bifox gna parimente in minoreſpatio raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer puro, ofare in questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi il laſcia,L'abbate ritorna , in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio Papa,o fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma oſſeruata,come, qui . Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra , E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio . Ilche non quiene in queſta altra parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono . Perciò che ilſenſo è troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del numero, & del finimento ,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o delle parti ſue.Dico adunque , che nello andare , ego nello ſpatio di queſta forma non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi ,one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal fine,peròſapendo quale eßer dee la compoſitione dele parole, quale il fineztutto quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi è detto, perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che ſidica del finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola tronca,oin parola piena,ſienoque ſte parole ,ò di due,ò di tre,ò di piu ſilabe,o ancora di una. Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, & uolubili,o ſalde ,oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luo go ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire cotidiano,fuggirà il fine del le parole tronche, comeſono quelle andò,corfuftarà,o C.perche le mede. fime dee nella diſpoſitione fuggire,come ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine,cheper lo più la Natura a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole piene , &perfete te ,fuggendo le tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare,perche quello cheſi dice, ſi dice per la mage gior parte de ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque odalla diſpoſitione riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo adunque lachiuſa ſimile alla dispoſitione , «la diſpoſitione non isforzeuole,matemperata,& naturale,fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuoloſarà , à quelle fomigliante.Ben'è uero ,che laforza di cia fcuna manierà,e ripoſta piu toſto nelle altre parti,che nel numero, eccetto, che nella bellezza,douc l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, « nella poeſia ,che altroue, o questo dico , acciò che fu non metta piu ſtudio ,doue nonbiſogna riportandoti a gli orecchi, il giudicio delle quali da eſſa natura é ſommamente aiutato . Ecco adunque, è Dinardo,quanto giouala mondezza , opurità del dire alla chiarezza; ma perche questa ſempliceforma non può daſefola si chiaramente parlae re che non uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri ,con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro, piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del dire ,ilqual'aiuto èpiù presto nell'ar . tificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni ſentenza chiara &aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della cleganza,o prima dello artificio, colquale ella lcuar fuole ogni sentenza nella mente riposta. AR. La ceeganza e maniera, che porta chiarezza à tutte le maniere della oratione, operò non tanto alla purità, dove ella manca soccorre, quanto à ciascaduna forma opra intelligenza, o facilità, daqueſto nasce, che la eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é differente. Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta ,ma la eleganza nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun sole, che ogni oſcurità , che per quella poteſſe uenire, leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio fuo , si co i colori,«le figure.L'artificio adunque di les uare ogniſentenza dallo intelletto,acciò che ella ſia inteſa , cogni auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poiſeguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa ,comequi. DI N. Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare, &l'altra il biaſimare alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio , s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Ma per trattar del ben, ch'io vi trovai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. AR. Se il poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che ſono in diſgratia di Dio, non haur ebbe potuto dare ad intendere facilmente il beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di Firenze ,auuertendo pri ma chi legge ,in queſto modo. DIN. Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare ,quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. A R. Ecco qui ancora un'altra bella preparatione di coſe,fatta per le uare ogni impedimento,chepoteſſe offendereilrimanente. DIN . Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare ,che di que' tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune ci uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo di ciòche io al termine promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari, AR. In fine ogni precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo , che elte ſon fatte,narrandole,ė artificio ſcelto , & elegante ,però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il fimigliante modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi. DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi , che diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppo licenza usata. ART. Eccola dimanda ſeguita la ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbiafcufato , ma quelmodo non ha dello elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni , che queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo , eche oneſta coſa nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di uoler dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le Mufe in Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to ,cl’io farei più diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante ,comeilprimoartife cio ,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde , ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella intera ,ma parte di una. AR. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura ? A R.Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle. Secondo la ſententia di Platone. AR. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel tuo uelle Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle. ART. In queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati . DIN. Ma hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò . AR. Aſaiſi èdetto fin qui,con che arte la eleganza leua dalla mente ogni ſenienza,oraſi dirà con quai parole più acconciamente ella ragioni , oquesto brieuemente ſi farà.Vſa la eleganza le medeſime parole, che la purità,chiare,piane,natie,o tali,che niuna durezza in eſe ſi truoui . Et perònonſono eleganti,né con eleganza diſposte le parole che dicono, Amen due ſopra gli mal trattiſtracci caddero à terra ,&quelle, Non curandofar gli falſ , o quelle che nellapurità dicemmo,Ghino di Tacco piglia l'Abba te di Clugni.Da quelloche ſi è detto delle parole , tu puoi uedere chedalla difpofitione di eſſe,le parti,i finimenti, &il numerononſono dalla purità lontani, DELLA lontani,anziſonole coſe steſſe. Leggerai,come gentilměteſi sbriga dalle co fe,come brieuemente rinchiuda il ſentimento, come puramente elegga , o temperatamenteſi muoua questa nouella di Ricciardo de' Manardi,otro uerai parole parti, chiuſe,numerio fiti diparole purißime, oelegantisſa me. Ma le figure di queſtaforma fono diuerſe molte, tra lequali ottiene il primo luogo la ordinatione, laquale è unafigura,che da quello cheſi dia ce,dimostra altro ſeguirne, come qui. DÍN. Et accioche quello chemi par difare,conoſciate,oper conſes guente aggiugnere, o menomare poßiate à uoſtro piacere,con pocheparo le we lo intendo di dimostrare. AR. Et ancora qui della fortunaparlando . DIN. Le quai noiſcioccamente nostre chiamiamo,ſeno nelle ſue ma ni, oper conſeguente da lei ſecondo ilſuo occulto giuditio ſenza alcuna po ſa, d'uno in altro,o d'altro in uno fucceßiuamente ſenza alcun conoſciuto ordine da noi,eſſer da lei permutate. AR. Egli ſf ordina, come ſi è detto anco nel proporre di quante coſe fha da dire,con lo auuertimento di dire prima una coſa,o poi un'altra.Il che inquanto abbraccia più coſe,ė Comprenſionedella qualeſi dirà. Main quanto diſpone, acconcia allo intendimento,epuro,eleganteo chiaro.Al trafiguraèſcelta,eelegante,oltra la predetta nominata Partitione , lde quale Afa,quando noi,due coſe è piùſepariamo parlando, come qui. DIN. Et il tacere,oil parlareoggimai mi ſonoegualmente diſcari, perciò che nè quello debbo,ne questo poſſo. AR. In molti modipuòpartitamente ragionare,come qui con mola ti efſempi ſi dimostra . DIN. Tra per la forza della peftifera mortalità, per lo eſſeremol ti infermimalſeruiti,& abbandonati. AR: Etqui ancora. DIN. Et tra che egli s'accorſe, si come huomo, che molto aueduto erd, Otrache da alcuno fu informato,trouò dal maggiore al minore Co. ART. Etaltroue. DIN. Carißime dore,siper le parolede fauijhuomini udite , o si per le cofe da me molte uedute or lette. AR. Appresso le dette figureit ripigliamento è bellißimo colore della eleganza, come quelloche alla obliuione,alla oſcuritafoccorra, in quca ſto modo, DIN: E perche mifogliate immantenente Del ben ,che adkor’adhor l’anima fente ? Dico che ad hord ad bora , Vostra mercede, iofento in mezo l'alma Vna dolcezza inufitata e noua AR. Et nella proſa, come qui. - DIN. Ilchemanifestamente potrà apparire nella nouella , laquale dl raccontare intendo,manifeſtamente dico,non il giuditio di Dio , maquello de gli huominiſeguitando. · AR. Queſto ripigliamento appreſſo la chiarezza e di non poco peſo alla oratione, come figura molto uicina al raddoppiamento, ilquale è di for za marauiglioſanell'arte deldire,o ,òinterpretado,ò interrogado,ò riſpon dendodi ſubito alla eleganzaconuerrà grandemente.Etper contrarioRfan ra nella oſcurità ,la quale naſce da confuſione,& diſordine, nel’animofia tà, o ne gli affetti grandementeſi ricerca,perche in eſil'animo dallo ema pito traportato ogni coſa difordina,o la mente confonde. E adunque la confufione alla ſcelta ,& elegante oratione contraria,come la meſcolanza, alla purità, da ambedue, cioè confufione , meſcolanza, naſce la oſcurità , come da quell'altre due la chiarezza del dire . Della quale pora uoglio che à baſtazaſa detto ,o dimoſtrato.Resta chefi ragioni del la grădezzadel dire,acciò che il pericolo della baſſezza,odell'umilità,che Hella chiarezza ciſopraſta,con l'autorità della orationeſ leui in tuttó. DELLA GRANDEZZA DEL DIRE, prima della Maeſtà . ESSEND'O la grandezza del dire unamaniera, che oltra l'uſato modo di ragionare inalza , ø follicuala oratione , è di neceßità di molte parti compoſta delle quali altre faranno daſe ſteße altreinſieme alcune co fe raccommunandofaranno un tutto magnifico, generoſo. E adunque la grandezzafatta dalla maestà,dalla comprenſionedalla ucemenza, dalla ui uacità,dallo ſplendore,o dall'apprezza.La maeſtà, ola comprenſione da ſeſtanno,ohanno le parti loro dall'altre ſeparate.Etperò di clje prima di rò, poi dell'altre partitamente. La maestà del dire é maniera conueniente alle coſe grandi,o Rfa quan do di eſſe con dignità,o ornamento ſi ragiona.Leſentenze ueramentedela la maeſtàſono prima quelleche appartengono à Dio , o alle diuine coſe,co uerità e decoro efpreffe,come queſte.Leggi, DIN. Conueneuole coſa è carißimeDonne,che in ciaſcuna coſa , che l'huomo fa,dallo ammirabile ,oſanto nome di colui,ilquale di tuttofufate tore, le diaprincipio. AR.  AR. Dapoi,le coſe appartenenti alla natura umana, come qui. Leggi. DIN. Natural ragione è di ciaſcuno che ci naſce, la ſua uita quantū que può,aiutare,e conferuare, & difendere. ART. Et appreſſo quelle,oue le ſecrete cagioni delle coſe inuestigane do, & dimoſtrando ſt uanno,lequai poco appartengono alla uita ciuile, po co dico, perche alcuna uolta ſi diconoperfare alcuna fede à quellochedicia mo,come qui. DI N. Andiamo adunque,& bene duenturoſamente aſſagliamo la nde ue, che Iddio alla noſtra impreſa fauorcuole ſenza uento prestarle,la citien ferma . AR: La maeſtà è uſata per lo più ne i proemij delle nouelle . Perció che in eßi fi contiene il fine,perlo qualeſi racconta il tutto ,& percheil fi ne, per utile,a giouamento de gli huomini ſi ricerca,però di coſe al uiucre appartenenti con grandezza maeſtaſiragiona.Leggi queſto principio, come è pieno di alta,o degna ſentenza. DIN. Credefi permolti filoſofanti,che ciò che s'adopra de mortali , Rade gli Dij immortali diſpoſitione,& prouedimento. AR. Degne adunque di riuerenzaſono le coſe di Dio, però chiunque di quelle altramente ragiona,ė dalla maeſtà del dire lontano, perche chida ramente da te comprenderai,che niuna maeſtàſi truoua là,doue il mutamē to in Angelo, d’un frate ſi narra , &doue in alcuni altri luoghi non ſi dicon no coſe alla religione conformi,con quella uerità e decoro, che ſi conuica ne, &però aliena dalla maeſtà équcũa comparatione,chedice, DIN. Si come eterna uita é ueder Dio, Ne più ſ brama,né bramarpiulice, Cosi me, Donna , il uoi ueder, felice Fa in queſtobreue, efrale uiuer mio : AR. Lo affetto di chi ragiona ſcuſa chiunque parla in tal modo, pere che lo acceſo deſiderio acciecal'intelletto,ela lingua come di ebbri uacil la,ofa dire che gli Angeli aſpettano di uedere il bel uiſo delle amate los rou che la preſenza di quelle adorna il Paradiſo, altre coſe,le quai pe rò ſotto altra form !,che questa ſi riduranno.Sarà dunque ſeuera,o degna, epiena di maeſtà la ſeguente ſentenza. DIN. La gloria di colui che tutto mouc Per l'uniuerjo penetra, e riſplende In una parte più, e meno altroue. ART. Et per la più parte degno e il preſente poema,dalquale aj na turali, co umane,o diuine ſentenze,ſecondo la macià delle coſe leggendo  ne ritrarrai, come qui , DIN. Le coſe tutte quante Hann'ordine tra loro ,e queſto è forma Che l'uniuerfo à Diofaſomigliante. Qui ueggion l'altre creature l'orma De l'eterno ualore, ilqualefine, Al qual'èfatta la toccata forma. A R. Et finalmente pieniſono i uolumi de i buoniſcrittori. Leggi. DI . ciaſcuno , che bene , o onestamente unol uiuere, dee in quan topuò , fuggire ogni cagione, laquale ad altrimenti fare il potere cons durre AR. Et qui, D I N.Manifesta coſa è cheogni giuſto Re,primo oſſeruatore dee eſſe re delle leggifatte da lui. AR. Baſtiti queſto d'intorno alle ſentenze della formapredetta . Ord, con che artificio dal lor ſoggiorno leuareſi debbano,intenderai.Percheadū que piene di maestà ſono quelleſentenze,che di Dio, & delle diuine coſe, delle umane,& naturali , peròfanno con fiducia O certezza è afferman do,ò negando,ſarà l'artificio della maestà. Negando,come qui. DIN. Ne creator,necreatura mai Cominciòci, figliuolfu ſenzaamore O ' natural, o d'animo, e tu'l ſai. AR. Affermando,come qui , DIN. Lo natural fu ſempre ſenza errore Ma l'altro puote errar, per mal'oggetto oper poco, ò per troppo di vigore. A R. Leggi pure,chenon mancano effempi. DIN. Le coſe, che alferuigio di Dio N fanno, deono far tutte nete tamente . AR. Et qui, DIN. Chiunque fouente fa male ,egli certamente non é Iddio ,& chii que Iddio e,egliſenza dubbio non puòfar male. AR. Laeſpreßione ha gran forza nell'artificio di quella forma com me qui. DIN. Veramente fiam noi poluere eombra , Veramente la uoglia cieca,e ingorda, Veramente fallaceè la ſperanza , AR. Et qui ancora DIN. 57 DE LL A DIN . Nel ciel, che più de la ſua luce prende, Fu'io , euidi coſe, che ridire Nésà , ne può, chi di la sù diſcende. A R. Hanno in queſta forma le allegorie peſo, or forzagrandißima, eperò le ſacre lettere di allegorie ſono ripiene,etutto il preſente poema è quaſi una continuata allegoria ,coſa molto alla ſuamaeſtà diprofitto,co d'ornamento, &però la leonza,il leone,la lupa, e tutto quello chein tute ta l'opera gli appariſce,èuna raunanza di allegorie , degna « grande for pra modo.Conſidera come queſt'altro poeta uolendo innalzar le coſe baſe, Qumili grandemente ſi dà alle allegorie,facendo con quelle i cotidiani aue nimenti si grandi apparire che ifatti d'arme, ole coſe marauiglioſe di na tura si grandi nonſono.Ecco , DIN. Quando dal proprio ſito ſi rimoue L'arbor, che amogià Febo in corpo umano , Soſpira e fudaà l'opera Vulcano , Per rinfreſcar l'afpre ſaette à Gioue. AR. Questa grandezza di coſa, altro non uuol dire,ſenon ,che nel partiredi un luogo ad un'altro della donnafua, fieramente era il Cielo tura bato da uenti, « da tempefta.Et cosi il reſtante di questo fonetto, omolti de gli altri,che ſeguono per l'artificio delle allegorie,ode gli enigmi, mis rabili appariſcono,à chi gli legge.ENIGM Iſono modi oſcuri di dire , come qui, Fortuna, chi t'intende, non t'intende, Efa chiſei ,chi non ſa chi tufa. Tale adunque é l'artificio della maestà. Reſta óra à dirſi delle altre par tijeg prima delle parole.Sono alcune lettere, lequali fanno leparole ampie, e di ſpirito sforzeuole ,come la A la 0,però quelle parole, che ſono di tai lettere,odiRllabe di eſſe fatte,ſaranno alla maestà del dire conucnicne tißime,tanto più diforza haueranno,quanto auanzeranno le duefillas be,odi maggiorſignificatione faranne.come qui. DIN. Quel, che infinita prouidenza, o arte, Moſtrò nel ſuo mirabil magistero, Che creò questo, e quell'altro emiſpero , E manſueto più Givue, che Marte. ART. Et ancora in un'altro luogo. Perſeguendomi Amor’al loco uſato Ristretto, in guiſa d'huom , ch'aſpetta guirra , Che prouede,e ipaßi intorno ferra , Di mici antichi penſier mi saua armato . AR. Sono ancora le parole traportate ,di grandezza, e maestà mdo rauiglioſa, «perche molti credono il loro dritto pagare,ſe degni, ogran di riputando ,poi gonfi fono o freddiper la troppa licenza,cbe piglia no nel trasferire,però alcuna coſa ti ſcoprirò d'intorno alle traslationi, bel lage degna,o di profitto non mediocre. Voglio,che dalla bruttezza del uitio ſpauentatoda quello alla uirtù ti riuolga,o però di quelli dirò, i qua li cosi gonfiamente,o cosi freddamente parlando, come fanno,ſono da ogni ſaldo giuditio abborriti. Alcuni di queſti hanno ardire di fingere,odi co por nomi,oparoleſenza alcuno raffrenamento di conſideratione,chiamar do il Cielo oculoſo,il mare ueligante, la terra granifera, o di queſte s'eme piono ifogli.Altri danno à nomi ſtranieri,dalla antichità rifiutati,nuoui, oſcuri,o di niunſentimento,coſa fpenta,o agghiacciata,comeeßiſono, che uuoi tu più freddo,che'l continuare in fimili inuentioni? Tuſei l'ombra del l'angustia ,il diadema della mestitia,un'atto fatale,o si fatti.Peccano mola ti dando ad ognicoſa i loro aggiunti, ilche quando nonſifa per diletto, o con circonfpettione,come per condimento del dire,affettato,inſipido,o rin creſceuoleſ truoua, comeſe in luogo diſudoreſi diceſſe,il liquoredelle car niperlo caldo ſtillato,o non le feſte,ma la celebrità delle feſte,ne i triona fi,ma la grandezza de i trionfi,&alere gonfiezze, ilqual uitio in alcuni ė ucnuto al fommo,o però parlandoeßi più che pocticamente & fuor di të po,fannocoſe degne di riſo, o di compaßione,fono oſcuri &ociofiſatiano, Orincreſcono fieramente.Leggi. DIN. Potrei,poſcia che il vento della licentia datami di ragionare ba tanto inantifpinta la naue del mio parlamentoper l'ampio pelago di si fat ta materia,conducerui distintamente à uedere checoſa è difpofitione. AR. 1o mene rido di tai coſe,guarda quanto meglio ſi èdetto qui nel uerfo , o con più modestia. DIN. O'uoi, che ſete in piccioletta barca , Defideroft d'aſcoltar ſeguiti Retro almio legno,che cantando uarca , Tornate à riveder inoſtri liti Non ui mettete in pelago, cheforſe Perdendo me rimarreſteſmarriti. AR. Ecco,chedi più ampia materia ragionaua il Poeta, & non diffe la naue del ſuo parlamento,o altroue diſſe, Per correr miglior’acqua alza le uele Ormai la nauicella delmio ingegno Che laſcia retro à ſe mar si crudele , Etquandopurepiù arditamenteegli baueſſe alcuna traslatione uſata , dico ,che egli era Poeta , o hauea ſotto la penna materia,ſe altra ne è,gră dißima, o d'ogni parte degna; o poteua ben laſciarſi portare(dirò cosi) dal uento della licenza,ma uedi ancora nella proſa in miglior modo ridotta laſopradetta traslatione. DIN. Madonna,aſſai m'aggrada,poi che ui piace, per questo campo aperto Wlibero, nel quale la uoštra Magnificenza ci ha meßi,del nouella . re,d'eſſer colci, che corra il primo arringo. AR. Ma riuolgiti à queste fredde,çocioſe maniere,& leggi, DIN. La real conditione del quale ſaria stata di più felice uita,odi più beata memoria,che uerun'altra mai,ſe il generoſo della bontà di lui,hax uelle men creduto al maligno della fraudealtrui. AR. E' ancora più ſpento qui. DIN. Nel finedelle parole cadendogli giù per le gote alcune lagrie me non men groſſe,che calde, le compaßioni delle ſuepietadi transformaro. no l'ira in manſuetudine. 1. AR. Di che giudicio dotati,di che eſperienza ammaestrati,e di quan ta gratia eſſer deono adornati coloro, i quali uogliono traportare le paro. le nate à ſignificar’una coſa, alla di chiaratione d'un'altra , nonſi può cosi brieuemente eſporre.Baſtiti per tuo ammaeſtramento ,che tu fugga le ridic cole,perche ſono de' comici,le gonfie, percheſonode' tragici, le austere dure,perchenon ſono euidenti, & infine quelleche dallalunga ſi uanno tra endo,comeſe alcuno chiamaſſe la ſapienza lo ſteccato della anima, l'acqua loſpecchiodi Narciſo , ò che diceſſe le faccende qui uerdeggiano,o altre coſe sifatte . Biſogna adunque deriuare le parole da coſe facili,& di pres fta intelligenza, con queste i due pocti le loro fittioni mirabilmente innale zarono, delle quali piene ormai ne ſono tutte le carte.Alte parole appreſſo ſi odono quelle del nome,or del uerbo partecipi comeAmante, Ardente,co quelle ancora Andando, Vergognando,percheſono di ampio o largo fpiris to.Et nel loro andare ſonoadagiate graui . Et di queſta ſia detto aſſai. Ora con quai colori, ofigure adornar ſi debba la maeſtà delle parole,ſi di rà,o prima,che alle coſe clgne unafalda confirmatione del proprio gilidi tio, come un fermo tratto di pennello ,rileua mirabilmente la oratione.Pere che non è uera grandezza quella, della qualeſi tiene alcuna dubitanza,cu però grande è quella parte. Leggi . DIN. Chi il commendò mai tanto, quanto tu il commendaui in tutte quelle coſe laudeuoli,di che ualoroſo huomodee eſſer commendato ? certo . certo non a torto. AR. Ma quel giuditio,cheſeguc,ė fatto con timore na dubbioſamente te proferito ,però non ha del grande,benche al modeſto dire , grandemente fi conuegna. DIN. Che ſe i miei occhi non mi ingannarono,niuna laude da te data glifu, ch'io lui operarla,o più mirabilmente chele tue parole non poteca no eſprimere,non uedeßi. ART. Conſidera quanto togliedella maeſtà di quel ſonetto ,che con mincia, Perſeguendomi Amoral loco uſato, quel timido o ſoſpetto giudicio che dice, quella che ſe'l giudicio mio non erra,Era più degna d'immortaa le ſtato,Et tanto più quanto quest'ultimo uerfo non ha quelſuono,che gli al tri hanno.Douea ſenza temenza giudicare ancora questo autore . Leggi, DIN. Et perciò che la gratitudine,ſecondo ch'io credo,fra l'altre uir tùėfommamente da commandare. AR. Perche la ſentenza è degna, a ricercaua un colore,che terminaf se il ſentimento.Nequesta figura ſolamentealla maeſtàſ conuiene , ma tut te quelle che alla purità ſirichieggono,delle quai di ſopra ſe ne è detto afa ſai.Et ciò ſifa ,perche la maestànon entri in tumidezza, o cada ( diroco. si )in quella infermità che idropiſia é nominata . Le parti, le membra eſſer deono bricui ſenza alcuna lunghezza di giriyil che ſi uede ne'ſauij huomini, iquali breuißimamente uanno raccom gliendo le coſe loro in fentenza, & detti,come oracoli.Leggi, DI N. Giuſtitia moſſe il mio alto fattore. Fecemi la diuina potestade , Laſommaſapientia ,e'l primo amore. A R. Et qui ancora. DIN. Iſon Beatrice, che tifaccio andare , Vegno dal loco oue tornar diſo, Amor mi moſſe, che mifa parlare. ART. Etqui . DIN. Gli animi noſtri ſono eterni,perche difuggeuole uaghezza gli inebriate.Mirate uoi come belle creature ci ſiamo,o penſate quanto dee of ſer bello colui, di cui noi ſiamo miniſtre. AR. Inſomma,degno è ilſeguenteparlare in ogni ſua parte . Leggi, DIN. Et queſto altrimenti non ſi fa ,che à quello Iddio gli noſiri ani mi riuolgendo,che ce gli ha dati. Ilchefarai tufigliuolo ,ſe me udirai , o penſerai,che eſſo tutto queſtoſacro tempio,chenoi mondo chiamiamo,di ſe empiendolo hafabricato. ART. AR. Et qui ancora dicoſeumane. DIN. La uirti primieramente noi,che tuttinaſcemmo, o naſciamo equali,ne distire,o quegli, che di lei maggior parte haucuano, o adopee rauano, nobili furon detti, e il rimanente rimafe non nobile. A R. La diſpoſitione o il ſito delle parole nella maestà del dire dee tal mente ordinarji,che non ui ſia concorſo di uocaboli , onde la bocca ſi apra ſconciamente. Voglio poi,che le paroleſdruccioloſe, con più libertà uilica no ,che nella parità, o tal ſuono eſſe legate inſieme diano, quale ft deſides raua,che da ſe steſſo diſciolte faceſſero.Il ſimileſi dice nella chiuſa, o nel finimento,operò il fine in parole manche non deeper alcun modo hde uer loco in questa forma, deſidero la uarietà de' finimenti,o de i princia pi, ma fieno di parole cheauanzino le dueſilabe, oquello cheper la più ſarà tale in tutto il giro ,farà il numero , che in queſtaforma ft ricere ca. Leggi tutto il ſopra detto effempio, che ciò chen'ho detto, chiaramena' te wedrai. Et ciò della maeſtà ti può bastare. Eſſendo la comprenſione alla grane dezza del dire comela eleganza alla chiarezza , e eſſendoſi della male stà detto , come di forma , che da ſemedeſima di tutte le ſueparti era cone tenta, nè ad altra maniera, Òſentenze,ò numeri,ò parole, ò artificio, o ale": tra qualità concedeuia ,nėda altri alcuna coſa pigliaua , non è fuori dira. gione che ſi dica ora della comprenſione, uera, ounicaforma da folleuare ogui baiſao umile maniera della oratione. Et pero delleſueſentenze fi dirà prima, poi delle altre parti. Le ſentenze di queſta forma,ſono quel le, che chiamano altro ſentimento, o che raccolgono,operò in queſtapar te la comprenſione è oppoſta alla purità del dire,nella quale dicemmo,non eſſer’alcuno raccoglimento. Raccoglimento intendo ,quando quello che piis i riſtringe nel meno ,come una coſa commune in generale , alla ſpecialità ė ristretto. Leggi , Certißima coſa é adunque,ò Donne, che di tutte le perturbationi dell’d nimo,niuna coſa é cosi noceuole, cosi graue, niuna cosiforzeuole o nio . lenta ,niuna che cosi ci commoud,ogiri,comequellafa,che noi amore chia mia mo. Eccoti che la perturbatione è un genere commune ſotto il quale ſi rac coglie l'amore, che è una ſpecie di perturbatione. Raccoglieſi ancora lo in determinato v oſcuro ,allo aperto & terminato ,comequi. Molte nouelle,dilettoſe Denne à douer dar principio à cosi lieta gior . nata ,come questa ſarà,per douere eſſere da me raccontate miſi parano das uanti,delle quali una più nell'animo me ne piace. Et qui ancora molto più lines. $ 9 fi uede per due raccoglimenti. Et come che à ciaſcuna perſona stia bene , à coloro maßimamente éria chieſto,li quali già hanno di conforto hauuto mestieri, & hannolo trouato in altrui.Fra quali ſe alcuno mai ne hebbe,ò gli fu caro,ò già ne riceuette piacere io ſono uno di quegli. Riduceſt tutto il tutto alla parte ſia quel tutto è del tempo, ò del luogo, ò d'altra coſa. Del tempo,come qui, · 10 amaiſempre,ey amo forte ancora . Del luogo ancora, come qui , In Frioli,paeſe quantunque freddo ,lieto di belle montagnedipiù fiumi e di chiarefontane,è una terra chiamata Vdine. Suole ogniſentenza, che chiama o ricerca ſentimento alcuno, eſſere di quella forma,o appreſſo tutte quelle che alla purità ſono repugnanti nelle quali ogni circostanza di luogo,di tempo dimodo, oogni accidente, che preceda,accompagni,ófegua ,alle coſe ſiſuoleaggiugnere.Come fe egli R diceſſe in queſta guiſa, in sù la meza notte con molti'armati al luogo del le guardieſoprauenne,fdegnato per la ingiuria fattagli il precedente gior no.Ecco checon molte circostanze ſi narra il fatto,oR amplifica mirabil mente la coſa.Come in queluerſo ancora , Giouane incauto ,diſarmató, e ſolo. Chiamano altroſentimento alcuni in questo modo, Ma si come àlui piacque,il quale eſſendo egli infinito, diede per legge incommutabile à tutte le coſe mondane bauer fine , il mio amore oltre ad ogn'altro feruente ,o il quale. AR. Non legger piùche da teſteſſo poi nel predetto luogo potraiper comprenſione eabbracciamento uedere tantagrandezza di oratione che niente più. Abbracciano alcuneſentenze mirabilmente,o ſono quelle, che la ragio nedella coſa in ſe ſteſſe ritengono,come s’io diceßi,L'ira de'mortali immor tale eſſer non dee,e queſta, Aſai dimanda chi feruendo tace. Et quell'altra. Un bel morir tutta la uita onord. Etſimiglianti. Senza timor uiue chi le leggi teme. : Che il perder tempo, à chi più sàpiù piace. Queste fonole ſentenze,che abbracciano a comprendono, ma l'arte H 2 difolleuareè prima in ogni tramezamento . Leggi, Alla qual coſa fare(come'chein ciaſcuna età stia bene il leggere « l'u dire le giouenili coſe, & c. Etſopra l'altre questa. Percioche non amare ,come che ſia,in uoſtra stagione nonſi può , quane doſi uede, che da Natura inſieme col uiuere a tutti gli huomini è dato, cbe ciaſcuno alcuna coſa ſempre ami, oſempre diſii,pure io, che giouane fono , gligiouani buomini,« le giouani donne conforto oinuito . Maggiormente queſti tramezamenti inalzano la oratione comeuedi, i quali uanno meſcolando le ragioni con le coſe, o fanno la oratione ampia ecircondotia, o uſanſiſpeſſo da queſto Autore nelle fentenze baſſe, co me qui, Le quai coſe ,quantunque molto affettuoſamente le diceſſe, conuertite in uentocome le piu delleſue impreſefaceano,tornarono in uano. AR. Lo andare per gli gradi raccogliendo ,ė artificio di quella fora md, come qui, Figliuola miaio credo,che gran noiaſa ad una bella edelicata donna come uoi ſiete,bauere per marito un mentecatto ,ma molto maggiore la cre do eſſere d'hauere un geloſo. Et queſta ancora. Leggi, Drmare ciaſcheduna delle dette maniere , accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe, e del parlare. 40 DE Ï Ï Á parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere che comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella , che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto ,als cune alle coſe della uoglia , odello appetito , o quando queſto non fuſſe, né uia, nė ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione con la forza della fuuella . Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN. Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondola occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero , o numeroſo componimento. ART. Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è Dinardo , chequalhora alcuno ſi rivolga à conſi= derare il modo, es la ragione del medicare , che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza . Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte ,d'intorno alla buonaopinione , perche conogni ſtudio s'affitica di metterla ,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata, o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il peßimoſapore , ego l'odore delle medicine , ne da queſta gentilezza ſi parte la mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris medij ,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto ,per le qualiſotto la ſoauità delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione , quantun que ſia di coſa dalla Natura aborrita . Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune coſe ui mette , non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare , perche troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento ; il quale portando ſeco ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra per ogni parte dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota,onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto , che delſentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione, che le parole più ad un modo , che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto eſſere alla Natura, quanto alſuo principio , conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi ; però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la Nde tura, a quello che io ti poßiamo prestare,dico ,che la Natura ha posto alls cor nelle orecchie ilſuo piacere & diletto, uuole chequelle affaticate fi folleuino con la ſoauità , a dolcezza del dire ; al che fare niuna coſa è più potente nel uostro ragionare , che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual numero biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e non muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, operò leua loro ogni perſuaſione, o fede . Ma quando con ine certo , & non conoſciuto numero,dolce però , e foaue,ſi compone il parld . -mento, oſi lega inſieme il faſcio della ſentenza, & del'intendimento,fena za dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi riceue . Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola continouata del uerſo ; continouata dico , peroche lo ſteſſo numero più volte replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato, « conſueto ritorno , più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to ,e conoſciuto,più dall'arte ,che dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del tutto non dee restare l'oratione , che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo come ponimento. DIN. Queſto ordine à meſommamente diletta,però di cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri. A R. La neceßità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza ,perche à queſto fine ſi ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto interno non ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora , ò il parlar ſarebbe ociofo ,ò mancheuole.Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta ,però debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che la sentenza dimostrano. Laqual quantità inſieme ragunata, Giro , o circuito nos mineremo ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza. Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori , ſecondo le parti della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo mezo, o il corpomedeſimo e terminato, & finitocosi , le parti dello abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to . In tutto queſto ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più ueloce ,ò piu tarda ſecondo laqualità del concetto . Et questo ripoſo , oqueſto mouimento ,miſurato col tempo del proferire, para toriſce ilnumero , del qual ragioniamo,uero figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, omoltopiu nel fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel mezo.Etperche di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento del piacere, o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però , hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in parte dico,perciò che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce , odiuerſe maniere hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle forme del dire daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroue remo quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di farmicapace di questa magnifica oillus ſtre compoſitione ; però ſegui,che con maggior deſiderio, cheprima ,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare ,che ora tu facci di me pruoua marauiglioſa . AR: La primaformae nominata Chiarezza,laqual naſce da purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo ella quaſi un tutto , acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima della mondezza opile rità ,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare allapurità del dire quelle ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno biſogno di piu conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le narrationi delle co fe ,come qui. Leggi. DIN. Tancredi , Principe di Salerno , fu Signore affai umano , di benigno aſpetto. A R. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di diſcorſo ogni mediocre in . gigno gegropuò capire ilſentimento della ſentenzagià letta, come ancora in questi uerfi.Leggi. DIN. Io ſon Manfredi , Nipote di Coſtanza Imperatrice. ART. Et molti essempi ſono della purità nelle nouelle , la ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe conſiderata , percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano , per che queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo attendere a quel io, che ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta . Non aſpetti adunque altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella ſentenza , las quale stando nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto ,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo . do,ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza : DIN. La quale percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non laſcia eſſer pura cotestaſentenza,quel trammezamento ,che dice,percioche egli,si come i mercatanti fanno,andaua molto intorno , o questo adiuiene,perche ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode . Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno,ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole ueramente con le quali ſi dee uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi daràperche , tutte le parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi ſonoall'anima della purità molto proportionate , onde le trae portate,le ſtraniere,le lunghe, & quelle, che la lingua pena à proferire , o l'intelletto a capirefono dalla purità lontane ,però purisſime ſono queste. DIN. Cheà me pareuaeßer’in una bella , « diletteuole ſelua ,& in quella andar cacciando ehauer preſo una cauriola , parcami, che ella fuſſepiu che la neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica , che punto da me nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara , cbe accio che da me non partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una catena d'oro tener con le mani. F 2 ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle, o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. Aſolo adunqueuago , « piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre Alpiſopra il Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo,DiAſolo ,uago &piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di Cipri . Ma puro e per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella : parola puro non ſia ,doue ſi dice Arneſe,uoce ſtraniera, ancora nello are. tificio non é puro per quello tramezamento, che dice ( si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circoſtanze del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il ſentimentode gli aſcoltanti , oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque erra chi uolendo cßer puro uſa parole non pure , artificio,ò figura d'altra maniera,della oratione ? ÁR: Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in ogni parte puro , &netto, & non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe ſteſſa conſiderata , e però lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprenſione della quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole , Dico nella purità ,cs mondezza del dire douerſi met : tere le parole inſieme con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza , Cogni difficultà di lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale , temperato , « non impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di acconciare talmente , che pine tosto nate , che fabricate appariſcano,come nello eſempio già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba , come la natura in tutte ha posto la ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda parte del petto ,o eſce poifuori con alta uoce,riſonante ,onde lo ſpirito di eſſa grande,oſonoroffente,odi laſe guente , ch'é ,B. LA B é puraſnella,deſpedita ,come è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C, órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e di dolce,ſpeſſo , o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo . Conſidera poi da te ſteſſo il restante delle lettere , in che maniera eſſa natura diſua propria qualità ha ciaſcuna dotata , & uederai onde nde ſce più questa,chequella compoſitione.Le parti, &le membra , della purie. rità effer deono breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo ,come qui, D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue più la loro ſaluezza ueggiono , indirizzare. Bifox gna parimente in minoreſpatio raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer puro, ofare in questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi il laſcia,L'abbate ritorna , in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio Papa,o fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma oſſeruata,come, qui . Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra , E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio . Ilche non quiene in queſta altra parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono . Perciò che ilſenſo è troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del numero, & del finimento ,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o delle parti ſue.Dico adunque , che nello andare , ego nello ſpatio di queſta forma non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi ,one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal fine,peròſapendo quale eßer dee la compoſitione delelc le parole, quale il fineztutto quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi è detto, perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che ſidica del finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola tronca,oin parola piena,ſienoque ſte parole ,ò di due,ò di tre,ò di piu ſilabe,o ancora di una. Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, & uolubili,o ſalde ,oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luo go ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire cotidiano,fuggirà il fine del le parole tronche, comeſono quelle andò,corfuftarà,o C.perche le mede. fime dee nella diſpoſitione fuggire,come ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine,cheper lo più la Natura a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole piene , &perfete te ,fuggendo le tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare,perche quello cheſi dice , ſi dice per la mage gior parte de ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque odalla diſpoſitione riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo adunque lachiuſa ſimile alla diſpoſitione , «la diſpoſitione non isforzeuole,matemperata,& naturale,fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuoloſarà , à quelle fomigliante.Ben'è uero ,che laforza di cia fcuna manierà,e ripoſta piu toſto nelle altre parti,che nel numero, eccetto, che nella bellezza,douc l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, « nella poeſia ,che altroue, o questo dico, acciò che fu non metta piu ſtudio ,doue nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giudicio delle quali da eſſa natura é ſommamente aiutato . Ecco adunque, è Dinardo,quanto giouala mondezza , opurità del dire alla chiarezza ; ma perche questa ſempliceforma non può daſefola si chiaramente parlae re che non uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri ,con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro,piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del dire ,ilqual'aiuto èpiù presto nell'ar . tificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni ſentenza chiara &aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni ſentenza nella mente riposta. AR. La cleganza e maniera,cheportachiarezza à tutte le maniere della oratione , operò non tanto alla purità, douc ella manca foccorre , quanto à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto nafce , che la eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é differente.Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta ,ma la eleganza nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun ſole , che ogni oſcurità , che per quella poteſſe uenire, leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio fuo , si co i colori,«le figure.L'artificio adunque di les uare ogniſentenza dallo intelletto,acciò che ella ſia inteſa , cogni auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poiſeguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa ,comequi. DI N. Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare, &l'altra il biaſimare alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio , s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Maper trattar del ben, ch'io ui trouai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. A R. Se il poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che ſono in diſgratia di Dio , non haurebbepotuto dare ad intendere facilmente il beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di Firenze, avvertendo pri ma chi legge ,in queſto modo. DIN. Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare ,quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. A R. Ecco qui ancora un'altra bella preparatione di coſe,fatta per le uare ogni impedimento,chepoteſſe offendereilrimanente. DIN . Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare ,che di que' tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune ci uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo di ciòche io al termine promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari, AR. In fine ogni precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo , che elte ſon fatte,narrandole,ė artificio ſcelto , & elegante ,però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il simigliante modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi. DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi , che diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata. ART. Eccola dimanda ſeguita la ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbiafcufato , ma quelmodo non ha dello elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni , che queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo , eche oneſta coſa nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di uoler dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le Mufe in Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to ,cl’io farei più diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante ,comeilprimoartife cio ,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde , ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella intera ,ma parte di una. A R. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura? AR.Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo la ſententia di Platone. AR. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel tuo uelle Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle. ART. In queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati . DIN. Ma hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò. AR. Aſaiſi èdetto fin qui,con che arte la eleganza leuarmare ciaſcheduna delle dette maniere , accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe, e del parlare. DE Ï Ï Á parlare. AR. Bendi. Dei dunque ſapere che comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella , che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto ,als cune alle coſe della uoglia , odello appetito , o quando queſto non fuſſe, né uia, nė ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione con la forza della fuuella . Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN. Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondola occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero , o numeroſo componimento. Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è Dinardo , chequalhora alcuno ſi rivolga à conſi= derare il modo, es la ragione del medicare , che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza . Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte ,d'intorno alla buonaopinione , perche conogni ſtudio s'affitica di metterla ,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata, o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il peßimoſapore , ego l'odore delle medicine , ne da queſta gentilezza ſi parte la mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris medij ,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto ,per le qualiſotto la ſoauità delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione , quantun que ſia di coſa dalla Natura aborrita . Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune coſe ui mette , non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare , perche troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento ; il quale portando ſeco ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra per ogni parte dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota,onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto , che delſentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione, che le parole più ad un modo , che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto eſſere alla Natura, quanto alſuo principio , conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi ; però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la Nde tura, a quello che io ti poßiamo prestare,dico ,che la Natura ha posto alls cor nelle orecchie ilſuo piacere & diletto, uuole chequelle affaticate fi folleuino con la ſoauità , a dolcezza del dire ; al che fare niuna coſa è più potente nel uostro ragionare , che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual numero biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e non muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, operò leua loro ogni perſuaſione, o fede . Ma quando con ine certo , & non conoſciuto numero,dolce però , e foaue,ſi compone il parlamento, oſi lega inſieme il faſcio della ſentenza, & del'intendimento,fena za dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi riceue . Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola continouata del uerſo ; continouata dico , peroche lo ſteſſo numero più volte replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato, « conſueto ritorno , più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to ,e conoſciuto,più dall'arte ,che dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del tutto non dee restare l'oratione , che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo come ponimento. DIN. Queſto ordine à meſommamente diletta,però di cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri. A R. La neceßità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza ,perche à queſto fine ſi ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto interno non ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora , ò il parlar ſarebbe ociofo ,ò mancheuole.Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta ,però debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che laſenten F DEELLA za dimostrano. Laqual quantità inſieme ragunata, Giro , o circuito nos mineremo ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza. Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori , ſecondo le parti della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo mezo, o il corpomedeſimo e terminato, & finitocosi , le parti dello abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to . In tutto queſto ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più ueloce ,ò piu tarda ſecondo laqualità del concetto . Et questo ripoſo , oqueſto mouimento ,miſurato col tempo del proferire, para toriſce ilnumero , del qual ragioniamo,uero figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, omoltopiu nel fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel mezo.Etperche di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento del piacere, o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però , hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in parte dico,perciò che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce , odiuerſe maniere hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle forme del dire daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroue remo quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di farmicapace di questa magnifica oillus ſtre compoſitione ; però ſegui,che con maggior deſiderio, cheprima ,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare ,che ora tu facci di me pruoua marauiglioſa . AR: La primaformae nominata Chiarezza,laqual naſce da purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo ella quaſi un tutto , acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima della mondezza opile rità ,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare allapurità del dire quelle ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno biſogno di piu conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le narrationi delle co fe ,come qui. Leggi. DIN. Tancredi , Principe di Salerno , fu Signore affai umano , di benigno aſpetto. AR. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di diſcorſo ogni mediocre in . gigno. gegropuò capire ilſentimento della ſentenzagià letta, come ancora in questi uerfi. Leggi. DIN. Io son Manfredi, Nipote di Costanza Imperatrice. ART. Et molti eſſempi ſono della purità nelle nouelle , la ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe conſiderata , percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano , per che queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo attendere a quel io, che ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta . Non aſpetti adunque altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella ſentenza , las quale stando nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto ,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo . do,ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella sentenza: DIN. La quale percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non laſcia eſſer pura cotestaſentenza,quel trammezamento ,che dice,percioche egli,si come i mercatanti fanno,andaua molto intorno , o questo adiuiene,perche ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode . Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno,ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole ueramente con le quali ſi dee uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi daràperche , tutte le parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi ſonoall'anima della purità molto proportionate , onde le trae portate,le ſtraniere,le lunghe, & quelle, che la lingua pena à proferire , o l'intelletto a capirefono dalla purità lontane ,però purisſime ſono queste. DIN. Cheà me pareuaeßer’in una bella, diletteuole ſelua ,& in quella andar cacciando ehauer preſo una cauriola , parcami, che ella fuſſepiu che la neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica , che punto da me nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara , cbe accio che da me non partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una catena d'oro tener con le mani. F 2 AR DEL LOA: ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle, o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. Aſolo adunqueuago , « piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre Alpiſopra il Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo, DiAſolo ,uago &piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di Cipri . Ma puro e per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella : parola puro non ſia ,doue ſi dice Arneſe,uoce ſtraniera, ancora nello are. tificio non é puro per quello tramezamento, che dice ( si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circoſtanze del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il ſentimentode gli aſcoltanti , oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque erra chi uolendo cßer puro uſa parole non pure , artificio,ò figura d'altra maniera,della oratione ? ÁR: Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in ogni parte puro , &netto, & non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe ſteſſa conſiderata , e però lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprenſione della quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole , Dico nella purità ,cs mondezza del dire douerſi met : tere le parole inſieme con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza , Cogni difficultà di lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale , temperato , « non impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di acconciare talmente , che pine tosto nate , che fabricate appariſcano,come nello eſempio già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba , come la natura in tutte ha posto la ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda parte del petto ,o eſce poifuori con alta восс, uoce,riſonante ,onde lo ſpirito di eſſa grande,oſonoroffente,odi laſe guente , ch'é ,B. LA B é puraſnella,deſpedita ,come è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C, órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e di dolce,ſpeſſo , o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo. Conſidera poi da te ſteſſo il restante delle lettere , in che maniera eſſa natura diſua propria qualità ha ciaſcuna dotata , & uederai onde nde ſce più questa,chequella compoſitione.Le parti, &le membra , della purie. rità effer deono breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo ,come qui, D. Suol’essere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue più la loro ſaluezza ueggiono , indirizzare. Bifox gna parimente in minoreſpatio raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer puro, ofare in questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi il laſcia,L'abbate ritorna , in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio Papa,o fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma oſſeruata,come, qui . Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra , E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio . Ilche non quiene in queſta altra parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono . Perciò che ilſenſo è troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del numero, & del finimento ,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o delle parti ſue.Dico adunque , che nello andare , ego nello ſpatio di queſta forma non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi ,one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal fine,peròſapendo quale eßer dee la compoſitione delelc  le parole, quale il fineztutto quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi è detto, perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che ſidica del finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola tronca,oin parola piena,ſienoque ſte parole ,ò di due,ò di tre,ò di piu ſilabe,o ancora di una. Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, & uolubili,o ſalde ,oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luo go ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire cotidiano,fuggirà il fine del le parole tronche, comeſono quelle andò,corfuftarà,o C.perche le mede. fime dee nella diſpoſitione fuggire,come ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine,cheper lo più la Natura a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole piene , &perfete te ,fuggendo le tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare,perche quello cheſi dice , ſi dice per la mage gior parte de ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque odalla diſpoſitione riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo adunque lachiuſa ſimile alla diſpoſitione , «la diſpoſitione non isforzeuole,matemperata,& naturale,fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuoloſarà , à quelle fomigliante.Ben'è uero ,che laforza di cia fcuna manierà,e ripoſta piu toſto nelle altre parti,che nel numero, eccetto, che nella bellezza,douc l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, « nella poeſia ,che altroue, o questo dico , acciò che fu non metta piu ſtudio ,doue nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giu . dicio delle quali da eſſa natura é ſommamente aiutato . Ecco adunque, è Dinardo,quanto giouala mondezza , opurità del dire alla chiarezza ; ma perche questa ſempliceforma non può daſefola si chiaramente parlae re che non uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri ,con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro,piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del dire ,ilqual'aiuto èpiù presto nell'ar . tificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni ſentenza chiara &aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni ſentenza nella mente riposta. AR. La cleganza e maniera,cheportachiarezza à tutte le maniere della oratione , operò non tanto alla purità, douc ella manca foccorre, quanto à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto nafce , che la eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é differente.Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta ,ma la eleganza nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun ſole , che ogni oſcurità , che per quella poteſſe uenire, leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio fuo , si co i colori,«le figure.L'artificio adunque di les uare ogniſentenza dallo intelletto,acciò che ella ſia inteſa , cogni auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poiſeguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa ,comequi. DI N. Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare, &l'altra il biaſimare alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio , s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Maper trattar del ben ,ch'io ui trouai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. A R. Se il poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che ſono in diſgratia di Dio , non haurebbepotuto dare ad intendere facilmente il beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di Firenze ,auuertendo pri ma chi legge ,in queſto modo. DIN. Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare ,quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. A R. Ecco qui ancora un'altra bella preparatione di coſe,fatta per le uare ogni impedimento,chepoteſſe offendereilrimanente. DIN . Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare ,che di que' tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune ci uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo di ciòche io al termine promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari, AR. In fine ogni precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo , che elte ſon fatte,narrandole,ė artificio ſcelto , & elegante ,però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN . Veramente quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il fimigliante modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi. DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi , che diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata. ART. Eccola dimanda ſeguita la ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbiafcufato , ma quelmodo non ha dello elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni , che queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo , eche oneſta coſa nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di uoler dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le Mufe in Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to ,cl’io farei più diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante ,comeilprimoartife cio ,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde , ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella intera ,ma parte di una. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura ? A R.Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita.  Ancor di dubitar ti dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo la ſententia di Platone. AR. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel tuo uelle Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle. In queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati . DIN. Ma hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò . AR. Aſaiſi èdetto fin qui,con che arte la eleganza leuarmare ciaſcheduna delle dette maniere , accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe, e del parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere che comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella , che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto ,als cune alle coſe della uoglia , odello appetito , o quando queſto non fuſſe, né uia, nė ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione con la forza della fuuella . Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN. Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondola occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero , o numeroſo componimento . ART. Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è Dinardo , chequalhora alcuno ſi rivolga à conſi= derare il modo, es la ragione del medicare , che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza . Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte ,d'intorno alla buonaopinione , perche conogni ſtudio s'affitica di metterla ,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata, o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il peßimoſapore , ego l'odore delle medicine , ne da queſta gentilezza ſi parte la mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris medij ,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto ,per le qualiſotto la ſoauità delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione , quantun que ſia di coſa dalla Natura aborrita . Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune coſe ui mette , non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare , perche troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento ; il quale portando ſeco ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra per ogni parte dell'anima Ειοο ν Ε Ν Ζ Α. dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota,onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto , che delſentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione, che le parole più ad un modo , che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto eſſere alla Natura, quanto alſuo principio , conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi ; però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la Nde tura, a quello che io ti poßiamo prestare,dico ,che la Natura ha posto alls cor nelle orecchie ilſuo piacere & diletto, uuole chequelle affaticate fi folleuino con la ſoauità , a dolcezza del dire ; al che fare niuna coſa è più potente nel uostro ragionare , che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual numero biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e non muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, operò leua loro ogni perſuaſione, o fede . Ma quando con ine certo , & non conoſciuto numero,dolce però , e foaue,ſi compone il parld . -mento, oſi lega inſieme il faſcio della ſentenza, & del'intendimento,fena za dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi riceue . Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola continouata del uerſo ; continouata dico , peroche lo ſteſſo numero più volte replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato, « conſueto ritorno , più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to ,e conoſciuto,più dall'arte ,che dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del tutto non dee restare l'oratione , che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo come ponimento. DIN. Queſto ordine à meſommamente diletta,però di cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri. AR. La neceßità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza ,perche à queſto fine ſi ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto interno non ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora, ò il parlar sarebbe ocioso, ò mancheuole. Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta ,però debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che laſentenza dimostrano. Laqual quantità inſieme ragunata, Giro , o circuito nos mineremo ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza. Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori , ſecondo le parti della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo mezo, o il corpomedeſimo e terminato, & finitocosi , le parti dello abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to . In tutto queſto ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più ueloce ,ò piu tarda ſecondo laqualità del concetto . Et questo ripoſo , oqueſto mouimento ,miſurato col tempo del proferire, para toriſce ilnumero , del qual ragioniamo,uero figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, omoltopiu nel fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel mezo.Etperche di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento del piacere, o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però , hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in parte dico,perciò che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce , odiuerſe maniere hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle forme del dire daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroue remo quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di farmicapace di questa magnifica oillus ſtre compoſitione ; però ſegui,che con maggior deſiderio, cheprima ,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare ,che ora tu facci di me pruoua marauiglioſa . AR: La primaformae nominata Chiarezza,laqual naſce da purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo ella quaſi un tutto , acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima della mondezza opile rità ,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare allapurità del dire quelle ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno biſogno di piu conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le narrationi delle co fe ,come qui. Leggi. DIN. Tancredi , Principe di Salerno, fu Signore affai umano , di benigno aſpetto. AR. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di diſcorſo ogni mediocre in . gigno gegropuò capire ilſentimento della ſentenzagià letta, come ancora in questi uerfi.Leggi. DIN. Io ſon Manfredi , Nipote di Coſtanza Imperatrice. ART. Et molti eſſempi ſono della purità nelle nouelle , la ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe conſiderata , percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano , per che queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo attendere a quel io, che ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta . Non aſpetti adunque altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella ſentenza , las quale stando nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto ,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo . do,ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza : DIN. La quale percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non laſcia eſſer pura cotestaſentenza,quel trammezamento ,che dice,percioche egli,si come i mercatanti fanno,andaua molto intorno , o questo adiuiene,perche ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode . Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno,ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole ueramente con le quali ſi dee uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi daràperche , tutte le parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi ſonoall'anima della purità molto proportionate , onde le trae portate,le ſtraniere,le lunghe, & quelle, che la lingua pena à proferire , o l'intelletto a capirefono dalla purità lontane ,però purisſime ſono queste. DIN. Cheà me pareva eßer’in una bella, diletteuole ſelua ,& in quella andar cacciando ehauer preſo una cauriola , parcami, che ella fuſſepiu che la neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica , che punto da me nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara , cbe accio che da me non partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una catena d'oro tener con le mani. F 2 ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle, o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. A solo adunqueuago , « piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre Alpiſopra il Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo,DiAſolo ,uago &piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di Cipri. Ma puro e per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella : parola puro non ſia ,doue ſi dice Arneſe,uoce ſtraniera, ancora nello are. tificio non é puro per quello tramezamento, che dice ( si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circoſtanze del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il ſentimentode gli aſcoltanti , oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque erra chi uolendo cßer puro uſa parole non pure , artificio,ò figura d'altra maniera,della oratione ? ÁR: Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in ogni parte puro , &netto, & non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe ſteſſa conſiderata , e però lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprenſione della quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole , Dico nella purità ,cs mondezza del dire douerſi met : tere le parole inſieme con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza , Cogni difficultà di lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale , temperato , « non impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di acconciare talmente , che pine tosto nate , che fabricate appariſcano,come nello eſempio già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba , come la natura in tutte ha posto la ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda parte del petto ,o eſce poifuori con alta восс,  uoce,riſonante ,onde lo ſpirito di eſſa grande,oſonoroffente,odi laſe guente , ch'é ,B. LA B é puraſnella,deſpedita ,come è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C, órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e di dolce,ſpeſſo , o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo . Conſidera poi da te ſteſſo il restante delle lettere , in che maniera eſſa natura diſua propria qualità ha ciaſcuna dotata , & uederai onde nde ſce più questa,chequella compoſitione.Le parti, &le membra , della purie. rità effer deono breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo ,come qui, D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue più la loro ſaluezza ueggiono , indirizzare. Bifox gna parimente in minoreſpatio raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer puro, ofare in questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi il laſcia,L'abbate ritorna , in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio Papa,o fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma oſſeruata,come, qui . Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra , E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio . Ilche non quiene in queſta altra parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono . Perciò che ilſenſo è troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del numero, & del finimento ,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o delle parti ſue.Dico adunque , che nello andare , ego nello ſpatio di queſta forma non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi ,one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal fine,peròſapendo quale eßer dee la compoſitione delelc  le parole, quale il fineztutto quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi è detto, perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che ſidica del finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola tronca,oin parola piena,ſienoque ſte parole ,ò di due,ò di tre,ò di piu ſilabe,o ancora di una. Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, & uolubili,o ſalde ,oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luo go ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire cotidiano,fuggirà il fine del le parole tronche, comeſono quelle andò,corfuftarà, o C.perche le mede. fime dee nella diſpoſitione fuggire,come ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine,cheper lo più la Natura a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole piene , &perfete te ,fuggendo le tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare,perche quello cheſi dice , ſi dice per la mage gior parte de ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque odalla diſpoſitione riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo adunque lachiuſa ſimile alla diſpoſitione , «la diſpoſitione non isforzeuole,matemperata,& naturale,fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuoloſarà , à quelle fomigliante.Ben'è uero ,che laforza di cia fcuna manierà,e ripoſta piu toſto nelle altre parti,che nel numero, eccetto, che nella bellezza,douc l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, « nella poeſia ,che altroue, o questo dico , acciò che fu non metta piu ſtudio ,doue nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giu . dicio delle quali da eſſa natura é ſommamente aiutato . Ecco adunque, è Dinardo,quanto giouala mondezza , opurità del dire alla chiarezza ; ma perche questa ſempliceforma non può daſefola si chiaramente parlae re che non uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri ,con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro,piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del dire ,ilqual'aiuto èpiù presto nell'ar . tificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni ſentenza chiara &aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni ſentenza nella mente riposta. AR. La cleganza e maniera,cheportachiarezza à tutte le maniere della oratione , operò non tanto alla purità, douc ella manca foccorre, quanto à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto nafce , che la eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é differente.Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta ,ma la eleganza nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun ſole , che ogni oſcurità , che per quella poteſſe uenire, leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio fuo , si co i colori,«le figure.L'artificio adunque di les uare ogniſentenza dallo intelletto,acciò che ella ſia inteſa , cogni auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poiſeguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa ,comequi. DIN. Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare, &l'altra il biaſimare alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio , s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Maper trattar del ben ,ch'io ui trouai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. A R. Se il poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che ſono in diſgratia di Dio , non haurebbepotuto dare ad intendere facilmente il beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di Firenze ,auuertendo pri ma chi legge ,in queſto modo. DIN. Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare ,quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. AR. Ecco qui ancora un'altra bella preparatione di coſe,fatta per le uare ogni impedimento,chepoteſſe offendereilrimanente. DIN . Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare ,che di que' tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune ci uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo di ciòche io al termine promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari. AR. In fine ogni precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo , che elte ſon fatte,narrandole,ė artificio ſcelto , & elegante ,però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il fimigliante modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi. DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi , che diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata. ART. Eccola dimanda ſeguita la ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbiafcufato , ma quelmodo non ha dello elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni , che queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo , eche oneſta coſa nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di uoler dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le Mufe in Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to ,cl’io farei più diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante ,comeilprimoartife cio ,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde , ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella intera ,ma parte di una. A R. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura ? A R.Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo la ſententia di Platone. A R. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel tuo uelle Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle. ART. In queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati . DIN. Ma hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò . AR. Aſaiſi èdetto fin qui,con che arte la eleganza leuarmare ciaſcheduna delle dette maniere , accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe, e del parlare. 40 DE Ï Ï Á parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere che comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella , che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto ,als cune alle coſe della uoglia , odello appetito , o quando queſto non fuſſe, né uia, nė ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione con la forza della fuuella . Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN. Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondola occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero , o numeroſo componimento. ART. Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è Dinardo , chequalhora alcuno ſi rivolga à conſi= derare il modo, es la ragione del medicare , che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza . Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte ,d'intorno alla buonaopinione , perche conogni ſtudio s'affitica di metterla ,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata, o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il peßimoſapore , ego l'odore delle medicine , ne da queſta gentilezza ſi parte la mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris medij ,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto ,per le qualiſotto la ſoauità delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione , quantun que ſia di coſa dalla Natura aborrita . Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune coſe ui mette , non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare , perche troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento ; il quale portando ſeco ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra per ogni parte dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota,onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto , che delſentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione, che le parole più ad un modo , che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto eſſere alla Natura, quanto alſuo principio , conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi ; però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la Nde tura, a quello che io ti poßiamo prestare,dico ,che la Natura ha posto alls cor nelle orecchie ilſuo piacere & diletto, vuole chequelle affaticate fi folleuino con la ſoauità , a dolcezza del dire ; al che fare niuna coſa è più potente nel uostro ragionare , che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual numero biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e non muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, operò leua loro ogni perſuaſione, o fede . Ma quando con ine certo , & non conoſciuto numero,dolce però , e foaue,ſi compone il parld . -mento, oſi lega inſieme il faſcio della ſentenza, & dell’intendimento, fena za dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi riceue . Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola continouata del uerſo ; continouata dico , peroche lo ſteſſo numero più volte replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato, « conſueto ritorno , più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to ,e conoſciuto,più dall'arte ,che dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del tutto non dee restare l'oratione , che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo come ponimento. DIN. Queſto ordine à meſommamente diletta,però di cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri. A R. La neceßità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza ,perche à queſto fine ſi ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto interno non ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora , ò il parlar ſarebbe ociofo ,ò mancheuole.Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta ,però debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che la sentenza dimostrano. Laqual quantità inſieme ragunata, Giro , o circuito nos mineremo ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza. Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori , ſecondo le parti della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo mezo, o il corpomedeſimo e terminato, & finitocosi , le parti dello abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to . In tutto queſto ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più ueloce ,ò piu tarda ſecondo laqualità del concetto . Et questo ripoſo , oqueſto mouimento ,miſurato col tempo del proferire, para toriſce ilnumero , del qual ragioniamo,uero figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, omoltopiu nel fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel mezo.Etperche di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento del piacere, o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però , hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in parte dico,perciò che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce , odiuerſe maniere hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle forme del dire daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroue remo quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di farmicapace di questa magnifica oillus ſtre compoſitione ; però ſegui,che con maggior deſiderio, cheprima ,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare ,che ora tu facci di me pruoua marauiglioſa . AR: La primaformae nominata Chiarezza,laqual naſce da purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo ella quaſi un tutto , acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima della mondezza opile rità ,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare allapurità del dire quelle ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno biſogno di piu conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le narrationi delle co fe ,come qui. Leggi. DIN. Tancredi , Principe di Salerno , fu Signore affai umano , di benigno aſpetto. A R. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di diſcorſo ogni mediocre in . gigno gegropuò capire ilſentimento della ſentenzagià letta, come ancora in questi uerfi.Leggi. DIN. Io ſon Manfredi , Nipote di Coſtanza Imperatrice. ART. Et molti eſſempi ſono della purità nelle nouelle , la ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe conſiderata , percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano , per che queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo attendere a quel io, che ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta . Non aſpetti adunque altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella ſentenza , las quale stando nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto ,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo . do,ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza : DIN. La quale percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non laſcia eſſer pura cotestaſentenza,quel trammezamento ,che dice,percioche egli,si come i mercatanti fanno,andaua molto intorno , o questo adiuiene,perche ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode . Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno,ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole ueramente con le quali ſi dee uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi daràperche , tutte le parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi ſonoall'anima della purità molto proportionate , onde le trae portate,le ſtraniere,le lunghe, & quelle, che la lingua pena à proferire , o l'intelletto a capirefono dalla purità lontane ,però purisſime ſono queste. DIN. Cheà me pareuaeßer’in una bella, diletteuole ſelua ,& in quella andar cacciando ehauer preſo una cauriola , parcami, che ella fuſſepiu che la neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica , che punto da me nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara , cbe accio che da me non partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una catena d'oro tener con le mani. F 2 AR ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle, o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. Aſolo adunqueuago , « piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre Alpiſopra il Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo,DiAſolo ,uago &piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di Cipri . Ma puro e per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella : parola puro non ſia, doue ſi dice Arneſe,uoce straniera, ancora nello are. tificio non é puro per quello tramezamento, che dice ( si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circoſtanze del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il ſentimentode gli aſcoltanti , oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque erra chi uolendo cßer puro uſa parole non pure , artificio,ò figura d'altra maniera,della oratione ? ÁR: Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in ogni parte puro , &netto, & non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe ſteſſa conſiderata , e però lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprenſione della quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole , Dico nella purità ,cs mondezza del dire douerſi met : tere le parole inſieme con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza , Cogni difficultà di lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale , temperato , « non impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di acconciare talmente , che pine tosto nate , che fabricate appariſcano,come nello eſempio già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba , come la natura in tutte ha posto la ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda parte del petto ,o eſce poifuori con alta voce,riſonante ,onde lo ſpirito di essa grande,oſonoroffente,odi laſe guente , ch'é ,B. LA B é puraſnella,deſpedita ,come è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C, órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e di dolce,ſpeſſo , o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo . Conſidera poi da te ſteſſo il restante delle lettere , in che maniera eſſa natura diſua propria qualità ha ciaſcuna dotata , & uederai onde nde ſce più questa,chequella compoſitione.Le parti, &le membra , della purie. rità effer deono breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo ,come qui, D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue più la loro ſaluezza ueggiono , indirizzare. Bifox gna parimente in minoreſpatio raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer puro, ofare in questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi il laſcia,L'abbate ritorna , in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio Papa,o fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma oſſeruata,come, qui . Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra , E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio . Ilche non quiene in queſta altra parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono . Perciò che ilſenſo è troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del numero, & del finimento ,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o delle parti ſue.Dico adunque , che nello andare , ego nello ſpatio di queſta forma non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi ,one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal fine,peròſapendo quale eßer dee la compoſitione delelc le parole, quale il fineztutto quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi è detto, perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che ſidica del finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola tronca,oin parola piena,ſienoque ſte parole ,ò di due,ò di tre,ò di piu ſilabe,o ancora di una. Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, & uolubili,o ſalde ,oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luo go ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire cotidiano,fuggirà il fine del le parole tronche, comeſono quelle andò,corfuftarà,o C.perche le mede. fime dee nella diſpoſitione fuggire,come ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine,cheper lo più la Natura a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole piene , &perfete te ,fuggendo le tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare,perche quello cheſi dice , ſi dice per la mage gior parte de ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque odalla diſpoſitione riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo adunque lachiuſa ſimile alla diſpoſitione , «la diſpoſitione non isforzeuole,matemperata,& naturale,fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuoloſarà , à quelle fomigliante. Ben'è vero ,che laforza di cia fcuna manierà,e ripoſta piu toſto nelle altre parti,che nel numero, eccetto, che nella bellezza,douc l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, nella poeſia ,che altroue, o questo dico , acciò che fu non metta piu ſtudio ,doue nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giu . dicio delle quali da eſſa natura é ſommamente aiutato . Ecco adunque, è Dinardo,quanto giouala mondezza , opurità del dire alla chiarezza ; ma perche questa ſempliceforma non può daſefola si chiaramente parlae re che non uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri ,con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro,piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del dire ,ilqual'aiuto èpiù presto nell'ar . tificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni ſentenza chiara &aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni ſentenza nella mente riposta. AR. La cleganza e maniera,cheportachiarezza à tutte le maniere della oratione , operò non tanto alla purità, douc ella manca foccorre, quanto à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto nafce , che la eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é differente.Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta ,ma la eleganza nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun ſole , che ogni oſcurità , che per quella poteſſe uenire, leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio fuo , si co i colori,«le figure.L'artificio adunque di les uare ogniſentenza dallo intelletto,acciò che ella ſia inteſa , cogni auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poi seguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa ,comequi. DIN. Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare, &l'altra il biaſimare alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio , s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Maper trattar del ben ,ch'io ui trouai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. AR. Se il poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che ſono in diſgratia di Dio , non haurebbepotuto dare ad intendere facilmente il beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di Firenze ,auuertendo pri ma chi legge ,in queſto modo. DIN. Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare ,quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. A R. Ecco qui ancora un'altra bella preparatione di coſe,fatta per le uare ogni impedimento,chepoteſſe offendereilrimanente. DIN . Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare ,che di que' tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune ci uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo di ciòche io al termine promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari, AR. AR. In fine ogni precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo , che elte ſon fatte,narrandole,ė artificio ſcelto , & elegante ,però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il fimigliante modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi. DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi , che diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata. ART. Eccola dimanda ſeguita la ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbiafcufato , ma quelmodo non ha dello elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni , che queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo , eche oneſta coſa nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di uoler dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le Mufe in Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to ,cl’io farei più diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante ,comeilprimoartife cio ,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde , ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella intera ,ma parte di una. A R. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura ? AR. Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo la ſententia di Platone. A R. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel tuo uelle Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle. ART. In queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati . DIN. Ma hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò . AR. Aſaiſi èdetto fin qui,con che arte la eleganza leuadato per ſostegno la grandezza o magnificenza del dire,cosi nella grandezza è pericolo di uſcire in forma che non habbis ornamento, proportione,o peròſe le darà per miſura, o bellezzafua unaforma diligente,accurata,o ben composta, laquale in termini conuc. nienti richiudendo l'ampiezza della oratione,o ſangue, o colore amabi le en gratioſo le donerà,ondeil tutto miſurato, & temperato marauigliofan mente ſipotrà uedere.Questa forma nėſentenze, ne artificio ſeparato dal l'altreforme ritiene ,ma ogniſuaforza nelle parole ,nelſito di oſſe, ne i luo mi,onelle altre parti e ripoſta.Seperò dare non le uogliamo quellefenten ze, che acuti fono,o diſottile intendimentodelle qualiſi dirà poi . Le paro le adunque di queſtaforma ſono le foaui,leggiadre,bricui , difacile intelli . genza,iſchiette,o con gran circoſpettione traportate. Perciò che le trasla tioni in queſtaforma eſſer deono rarißime, o lefigure di questa miſurata Oben compoſta manieraſono le repetitioni. Leggi, Per meſ ua ne la Città dolente, Per me ſi ua ne l'eterno dolore , Per mefi ua tra la perduta gente. AR. E molto bella eornata queſta figura, os tanto più ha di ornde mento,quantoquello che ſi replica,augumenta,o creſce. Come qui. Amor, che à cor gentil ratto s'apprende, Preſe costui de la bella perſona Che mifu tolta,e'l modo ancor m'offende. Amor che a nullo amato amarperdona , Mipreſe del coſtui piacer si forte Che, come uedi ancornon m'abbandona. amor conduſſe noi ad una morte . A R. Se alla repetitione aggiugnerai la interrogatione, ſenza dubbio tu entrerai nella maniera forte ucemente comequi. Qual'amore,qual ricchezza,qualparentado baurebbe le lagrime, o i K sospiri pospiri di Tito con tanta efficaciafatti à Gilppo nelcuorfentire , che egli perciò la bellaſpoſa ,gentile,&amata da lui haueße fatta diuenir di Tito, fe non coſtei ? Quai leggi.Quaimi nacce ?oc. AR. Tu da te stesſo poi quanto ornata ſa ducemente queſta parte conſiderando uedrai; tanto più ſeappreſo le dettefigure ancora ui porrai la conuerſione della quale di ſopra s'è detto.Nėti marauigliarefe( una me defimafiguraſia da altrefigure ornata willustrata.Pero che la lingua di queſtiornamenti é capacißima. Laſcia che à fuo modo altri ragioni, tu neſarai giudice,ola coſa iſteſſa te lo dimostra. La conversione adunque è figura di queſta idea , a Rſuol fare quando in quella ſteſſa parola pià membri ſ laſciano terminare,come nello eſempio ora letto. Bella è ancora la ritornatacheſi fa quando la parola cheſegue, comincia da quella in che la precedente finiſce,come qui. Leggi, Di me medeſmo meco miuergogno. Et qui , Et confoauepaſſo a campi difcefa,per l'ampia pianura sùper le rua giadoſe erbe in fine à tanto che, & c. AR. O uero in questo modo. Infiammò contramegli animi tutti , Egli infiammati infiammar si Auguſto , che lieti onor tornaro in tristi lutti. AR. Et ancora il Bifquizzo come nell'uno Poeta ſi dicra Ch'io fuiper ritornar più uolte uolto, Et l'altro. Il fiorir queſte innanzi tempo tempio. Da poi la predetta ui ſono anco altre ornatisſimefigure , come è illoro aſcendimento,ala tradottione o altre. Lo ascendimento R fa quando le parti che ſeguono,cominciano dalle parole medeſime,nelle quali uan tere minando le parti precedenti,con questa conditione che ſi mutino, le cadenze di esse parole. Come qui, Nel dir l'andar ,ne l'andar lui più lento. AR. Ouero in queſt'altromodo. Luſca, io non poſſo credereche queſte parole uengano dalla mia donnd, eperciò guarda quello che tu di.Et ſe pure da lei ueniſfono,non credo che con l'animo fermo dire le tifaccia.Etſe pure con l'animo le diceſſe, il mio Rignore mi fa più onorecheio non merito: A R. La tradottione ė figura,che replicando la steſſa parola,nonfolde mente dimoſtra la intentione di chi parla ,ma mirabil'ornamento accreſce oue ella ſtruoud.come qui, Laurd, che'l uerde lauro,e l'aureo crine. AR. Molto diligente as accurata figura e quella cheſifa quädo due, • più partifraſecongiunteſi ſogliono proferire.Leggi, Et utile conſiglio potrannopigliare, & conoſcere quello che fa dáfug gire,o che ſia fimilmente da ſeguitare. AR. Et qui, A cui grandi ey rade ,o à cui minute pelje. AR. Forza ė,che onunque in una bella,& adornata figura s'abbatta un bel giuditio, egli conoſca es ſenta dentro difealcuna dolcezza; com meſe uno udirà in questo modo ragionare. Riſpoſemi non huomo,huomo giàfui, E li parentimiei furon Lombardi, Mantovani per patriambedui, Nacqui ſub Iulio ancor che foſſe tardi, E uißi à Romaſotto il buon ’Auguſto, Al tempo de gli dei falſie bugiardi Poetafui,e cantaidi quel giusto Figliuol d'Anchife,che uenne da Troia, Poi che'lſuperbo Ilion fu combuſto . AR. Non ſentirai tu per queſta diſgiuntione,per la quale ogni parte ſotto ilſuo uerbo è rinchiuſa ,una diligenza gentile del Pocta :si comelà ,do we dice , Io ſon Beatrice,che ti faccio andare , Vegno dal loco, oue tornar diſſo, Amor mi molle,che mifa parlare. Et molto piùſe nella proſa detto ritrouaſi A que' tempi che i noſtri maggiorihaueano l'occhio al gouerno di que ſta Republica,eta riconoſciuta la uirtù de'buoni , dauanſ i compenſi dei danni riceuuti per la patria,chi robaua il publico,era castigato; fioriua dia na giouentù dedita alla mercantia , oucro alle lettere , laſciauaſi il facerdos : tio, la militia da' noſtri queſta,per che i cittadini non pigliaſſero l'arme contrafe ſtoßi,quello,acciochefuſſero più finceri i parenti afar giudicio delle coſe importanti. ART. Vedi,che narrando partitamente, oſenza congiugnimene to alcuno , il parlareè ſpedito , la figura ornata , odiletteuole ſopramo do il ſuono di eßa oratione. Al cui ornamento il traportar delle parti di oßa gioua mirabilmente , come quando ſi dice , Al costei foco ,alcolei grido. K 2 Giouin Giouinettopoß'io nel coſtui regno. Et qui. Vſate le colei bellezze. In queſto caſo nonf dee di tanto leuar dall'ordine loro le parole, che la ſentenza oſcura deuenti,come diſſe, Che i belli,onde miſtruggo,occhi mi co la , di che èquaſ piena quella canzone. Verdi panni,ſanguigni,oſcuri,operſ . Bello alquanto èquel tranſportamento chedice. Or non odio per lei, per mepietade Cerco, che quel non uo,questo non poſſo. Concedeſ però a ' Poetimaggior licenza per riſpetto della neceßità del uerfo,nel quale ancora più ampio luogo fanno gli ornamenti che nella profa.pure non èche del bello nonhabbiano aſſai quelle figure, che per le negationi affermano,come s'egliſi diceffe, io nol niego, cioè io il confefe fo.Et quella ,non è alcuno,che nol creda,cioè ogn’uno il crede.Poi non taca que,cioè parlò, e diſſe. Suole ancora chi fcriue amaggior bellezza circoſcriuendo le coſe, con più parole,quello che conuna può eſprimere come qui, Era giàl'hora,che uolge il deſio, A'nauiganti,e inteneriſceil core, Il di,che han detto à i dolci amici,A Dio, AR. Et cosiA chiama il Sole Pianeta,che distingué l'hore, e diceft. laprudenza di Mario,la fapienzadi Catonein luogo di dire Mario prila dente , o Catone faggio ,&éappreßo bella figurala innouatione i com me qui , Parte preſ in battaglia,e parte ucciſt. Et quia Taciti ſolieſenza compagnia, N'andauan l'un dinanzi e l'altro dopo. AR. Ecco come la bellezza ogni formaabbelifce ,ne per tanto auenga che ella moltefigure, molti lumidimoſtre,di quelle ſolamenteſt contene ta,ma ſtudioſa del diletto sforza di ragionare uariamente. Là onde per fuggir la fatietà con mirabile artificio è uſata di uariare la oratione . Et questo ſuolfare primieramente doppo molte uoci di piene «ſonore lettere ponendonealcune dibaſſe U rimeſſe.Dapoifuggendo la continuatagiacia tura de gli accentiſopra una medeſimafillaba ,ora nelle ultime,ora in quet le,che uanno innanzi adeffe gliſopramette,o di più in mezo delle lunghe le corte parole framettendo gratia &adornamento le giunge . Bella coſa ė si come tra cittadini vedere gli ſtranieri, cosi tra le nostre parole alcuna adirai che alicna fa,o meſcolare le ifquifite con alcuna detle popolari, le BMOWE huone con le uſate, finalmente la elettiöne in queſta parte può aſai, la quale ritrouandofi in ſaldo w ſottilgiudicio , dimoſtra in un'eſſere tutto quello che col conſiglio di molti eletto a ricolto effer potrebbe però non degnale uili,ſcaccia le brutte,fugge le aſpre, abbracciale eleganti ſceglie leſignificanti, o con copia marauigliofa uaria la difpofitione, i të pi,ilnumeroje i finimenti;nė di pari lunghezza formeràle parti delparlaa re,nėripiglierà una'steßa figura,un tempo medeſimo,un modo Amile, una perfona pari,ma quaſi un'adorno pratola oratione di molta varietà fora mando, diletto , o gioia,recherà ſempremai.Leggiprima qui, comeil Poce ta i medeſimi nomi non ridice in uno steßo luogo. Io credo checi credette,ch'io credeßi, Che tante uoci uſciße da quei bronchi, Da genti cheper noiſi naſcondeffc., Però diſſe il maeſtro,ſe tu tronchi Qualchefrafchetta d'una deste piante, Penſter c'hai ffaran tutti monchi. Allor porfi la mano un poco duante , E colfi un ramufcel da un gran pruno, E'l tronco fuo gridò perche miſchiante. Da chefattofupoi diſanguebruno, Rincominciò à gridar,per che mi ſterpiš Non hai tu ſpirto di pietade alcuno ? Huominifummo, oorfemfatti sterpi, Ben douerebbe la tua man più pia , seſtatefoßim'anime di ferpi ? Comed'un ſtizzo uerde,che arfo Ria, Dal'un de lati cheda l'altro geme, Bi cigolaper uento che ua uia. Cosi di quella ſcheggia ufciua inſteme, Parole,e ſangue,ond'io laſciai la cima Cadere,e dette come l'huom che teme. A R. Tu puoiuederein quanti modiilPoeta ha uoluto variar leparon ko con quanta felicità egli lo habbia ottenuto . Il che in molti luoghi può in elo uedere.si come là,doue parlando del lago gelato , lo chiamaora ghiaccio,era uetro, ora gelozora groſſo,o duro uello ,ora ghiaccio, ora geld ti guazzi, ora eterno uzzo,oragelata,ora cristallo orafaſcia gelata, ora fredda crostázora lagrime inuetriate, &fimili altre parole ufa variando il poema. Il fimigliante hannofatto ,fono perfare tutti gliſcrittori di non D B 1 L me. Leggerai mirabili eſſempi della narietà in tanti principij di giornar Odi nouelle cheſono in quell'autore, o leggerai anco l'ultima parte del ſecondo libro di quest'altro che comincia. Che andiamo noipure tutta uia di molti amanti et diletti ragionando. Maė tempo di ritornar’omai alle altre parti della formapredetta ,ope ró d'intorno alle membra dei ſapere chela lunghezza di eſſe in queſtafor. ma èpix deſiderata ,chela breuità ocortezza,non però uoglio, che si lo ftremo ti fermi,macon più disteſe parti che nella eleganza uorrei ,che leſue ſentenze liportaſjero ,che le parole di effe in tal guiſa ſi collocaſſero,et ſ terminajſe queüa oratione,che uariate alſopradetto modoil faſtidio o la satietà ſi fuggiſſe, oin grado ogni sprezzata coſa ci ueniſſe. Il numero al uerfo uicino in questaforma ci uuole,il qual numero primaſarà di quel la maniera,che di ſopra ti ho detto, cioè ripoſo o mouimento, ouero tempo di proferire,ò da poi di un'altra ,che ora io ti dimoſtrerò. Perciò chemolto bene all'oratione può dar formanumeroſa et bella, la qualeſia nata da ue na certa neceßità delle coſe ben composte, o conſiderate, come il contra . porre i contrarij, o le coſe diſcordi l'una all'altra con miſura corriſpone denti,ritrouare i ſimiliipari, o altre coſe ſomiglianti à queste,delle quali partitamente e con eßempio ne dirò, Sono alcune membra,ò nodi della oratione,iquali hanno le lor ſentenze oppofte,ma con una corriſpondenza tra loro mirabile temperate. Ilprimo cfſempioſarà di quello che ſi chiama Pare,il qualeſi fa quando le parti che Äihanno à corriſpondere ſono quaſi di pare numero di ſilabe, odi tempi , quafi dico,però che queſta parità di ſillabe, o di tempi con ſaldo intendie mento o giuditiodeue eſſereſtimata, et nõ del tutto pari.L'eßempio di que ſta forma e questo . Dou’elladifonestamente amica ti fu , ch'ella oneſtamente tua moglie diuenga. ART. Nel predetto effempio in duemodi ſiuede effer fatta numero, ſa la oratione primaper la parità delle ſillabe ,la quale nelle parti ſi uede poi per la contrarietà corriſpɔndenteperche amica omoglie,ſono contra rij, oneftamente o difonestamente fo:10 contrarij , oppoſti,ſolodi pari ud queſto. Leggi, Quiui à niunoſi cerca inganno ,a niunoſifa ingiuria. ART. I contrarij adunque fanno la orationeoffer numeroſa,come an cora qui , Et di gran lunga é da eleggerpiù toſto il poco oſaporito, che il mola to o infipido. ART. tornare. 2 ! TAR. Ne i ſimili ancora cade il numeroſo concento in modochequando in fimil ſuono la chiuſa finiſce,ne rinſulta il numero. Quel roſſore , che in altri ha creduto gittare,ſopra di ſe l'ha ſentito A R. Speſſo auiene,che per fuggire il ſoſpetto di cotesto artificio , la fimiglianza de ifinimenti delle parole in mezo delle parti ſi ponga, com me qui, Poi ueggendo,che questoſuo , conſumamento,più tosto che emendamento della cattiuità del marito potrebbe eſſere. Et qui. Che più dispettosamente ,che fauiamente,parlando. Molti eſempi ritrouerai da teſteſſo di queste numeroſe maniere, nate dalla corriſpondenza delle parti.Ora vorrei, che bene aucrtißi di non re. plicare piùuolte cotesti adornamenti ,di non affettar tanto la conſonana za delle parti,che cadeßi in fastidio,ouero infospetto de gli aſcoltanti . Et per queſta reggerai medeſimamente il uerfo,nel quale caduto in più luoghi Ruede l'autore delle nouelle,il quale à mepare che di ciò molto curato nõ habbia.Beneuero ,che con mirabile perfettione riempie le parti ele měs bra della ſua fauella quando diuide i nodi de' ſuoi giri in tre parti , come qui Percioche niun'altro diletto ,niun'altro diporto , niun'altra confolatione laſciata ti ha la tua eſtremafortuna.Etqui, Et ſe qualunque di quelle fuſſe in Salomone ,ò in Aristotile ,ò in Seneca, 'haurebbe forzadi guastar'ogni lorſenno,ogni lor uirtů , ogni lor ſantità. Et qui. Maquantoſenfante, quanto poderoſe,di quantoben cagion le fore ze d'Amore,& c. Conſidera la distintione de' membri in quella nouella, doue introduce to ſcolare ,la uedoua,perche cosirichiedeua la dotta perſona dello ſcolare. AR. E degno di conſideratione il numero delle fillabe, chenelle parti, che hanno à riſpondere l'una all'altra,ſ mette. Perciò che quando una pare te di troppo l'altra auanzaſſe,non ne ſeguiterebbe alcuna numeroſa compo Rtione ,però buone onumeroſe appaiono eſſer queſte . Accioche come per nobiltà d'animo dall'altre diuiſe fiete , cosi ancora per eccelentia di coſtumiſpartite dall'altre ui dimostriate. ART. Maqui appare alquanto lunghetta la riſpondenza, &la die fagguaglianza demembri.Leggi. Quanto piùſ parla de' fattidellafortuna,tantopiù à chi uuole lefue co fe ben riguardare,ne reſta da poter dire, ÄR. ART. Può eſfer’ancora,che non ſi gusti il numeroper la lunghezza delleſueparti,benche fieno quaſi paricomequi, Egli auieneſpeſſo , che sicomela fortunafotto uili artialcuna uolta grandi teſori di uirtù naſconde,cosi ancoraſotto turpißime forme d'huo . miniſtruowa marauiglioſ ingegni dalla natura eſſere stati ripoſti. AR. S'io ti uoleßi ogni coſa moſtrare d'intorno alla bellezza del dire, troppo ritarderei gli ſtudij che hai afare,o pocoti laſcerei da eſercia tarti d'intorno allaeloquéza umana.Peròp trapaſſare alle altre forme,par lerò della ueloce e pronta maniera della oratione; la forza della quale è nello artificio,più tosto,onelleſeguenti parti,che nelle ſentenze riposta. L'artificio adunque della prestezza eà brieui dimande brieuementeria fpondere.Leggi. S'amor non èche èdunque quel ch'ioſento? :: Ma s'egliè amor,per Dio che coſa è quale ? Se buona,ond'ċ l'effetto afpro e mortale ? Se ria,ondési dolce ogni tormento ? ART. Ouero il fare molte dimande , con forze di ſpirito obrer uits : Non era egli nobile giouane ? Non era egli tra gli altri ſuoi cittadini bello ? Non eraegli valorofo in quelle coſe che d' giouani s'appartengono? Non amato? Non bauuto caro?Non uolentieri ueduto da ogni huomo ? AR. Le membra,quaſ parole eſſerdeono bricui «uolubili, oche pa ia che in eſſe fail monimento del parlar noſtro, oltre alla ſignificatione delle parole nelle quali ėripoſta la forza dela efpreßione di ogni forma . Leggi. Soli bastano , accompagnati creſcono , und mille nefå, odelle mille in brieue tempo mille ne naſcono,per ciaſcuna ſono aſpettate giocondißime,no aſpettate uenturoſe, ſono cari ageuoli,ma diſageuolivia più care inquanto le uittoric acquiſtate con alcuna fatica fanno il trionfo maggiore, donare, rubbare,guadagnare,guiderdonare,ragionare,ſoſpirare, lagrimare , rotte, reintegrate ,prime ſeconde,falje,o uere,lunghe bricui, tutte fonodiletteuo li tutte ſono gratiofe. AR. Vedi che mouimento apporti ſeco questo parlamento , il quale quando l'huomo è riſcaldato s'aſcolta con marauiglia delle genti . Confia Ate anco nellaforzadelleparole, o nelſuono , onella compoſitione . com mequi . E già uenia sì per le torbid onde, Vn fracaſſo d'un ſuon pien difpauento, Per cui tremauan' amendue le ſponde, Non altramente fatti,che d'un uento : Impetuofo per gli auuerſardori, Chefier la ſeluaſenza alcun rattento Gli ramiſchianta ,abbatte, e porta i fiori Dinanzipolucroſo uaſuperbo Etfafuggir lefiere e gli pastori. ART. Tanto uoglio che tu ſappia della preſtezza del dire. Perciò che date medeſimopuoi comprendere quanto « ilconcorſo delle uocali,ore forezza delle fillabe pa lontana da questa forma,esfapere che ogni ina dugio di proferire, ogni raccoglimento,ogni giro, impediſce il mouimento fuo. Reſta adunque a dire della formaaccostumata,o delle fueparti, la . quale e , cheſi conuiene alle cocoalle perſone in tal modo chequello che ſi chiama Decoro, molJa chiaramente ſi uedaEt però la detta forma ſota to di ſe quattro maniere principaliſ uede contenere. La primaė la unilta ubaſſezza. L'altra é la piaceuolezza o il diletto. La terza e l'acutezza Uprontezza. Et l'ultima la moderatezza della oration. Delle quai fore menecessariamente in queſta forma si ragiona, perche cosi porta la natua rade gli huomini,i quali sono ó uili, o riputati, è piaceuoli, o moderati. La bajezze dangue e forma infima, e dimessa del dire, alle roze, o idiote persone convenicnte, à femine, fanciulli non diſdiceuole: da Comici, rie chieſta ouſata pia toſto che da Oratori,o eloquenti buomini,o piu tom Ho nelle cauſe de priuati, che ne i communiconſigli ricercata ,quando uor rai attribuire il parlar a quella perſona, cui non ſidifdice la baffizza. Cá dono in queſta ſimplicita di dire i paſtori, aquelli che le coſe.boſcarecce Man deſcriuendo,o però le ſentenze di queſtaformaſonopiu baſſe Qumi li, opiùfacili che quelle della purità oſcioltezza del dire. Là onde ala cuni giuramenti ſciocchi à qneſtamaniera ſi confanno. O Calandrino mio dolce, culor del corpo mio, quanto tempo t'ho defide Tatob’dauerti edi poterti tenere a mio fenno.Tu m'hai con le piaccuoa lezza tuațratto il filo delacamicia, tu m'hai aggrattigliato il cuore con la tua ribecca. Può egli eſſer che io titenga ? Leggeraila tutta, otutto che in questa formauiſabaſſezza, non è però ela ſenza artificio, percioche per dimoſlrarla pulefe ,fi fuole alcuna fista minutamente ogni coſa deſcriuere,u ogni particolarità chia rire, introdurre alcune ſcioccheriſpoſte, ò ſemplici contentioni di coſe, che non rileuano con detti, le ſentenze de quali ſono grandi , ma le parole ſciocche, at rozze. Leggi. L Cominciò à dire ch'egli era gentilhuomo per procuratore , roy. Begli bauea diſcudi più di milantanouefenza quellich'egli hauea àdarealtri che erano anzi piùche meno e che egliſapeus tale coſe fare ; ct dire che domine pure unquanche. ART.. A tuo agio nie leggerai ilrestante,mauedi la contentione: Guatatala un poco in cagneſco per amoreuolezza la riniorchiaua '; ege ella cotale ſaluatichetta, facédo uiſtadi non auederſene andaua pure oltra in contengo. Seguita che tutta ëbaſſa per li giuramenti, per le beffe, con per alcuni rabbuffi, come qui. Vedi bestial buomo che ardiſce , là doue io Pid , parlar prima di me, laſcia dir à me, Et alla reina riuolta diſſe,Madonna, costui mi uuol far. conoſcer la moglie di Sicofanta ,ne più ne meno come scio con lei ufata nor , fußi, che mi uuol dar' à uedere chela notte prima che Sicofanta giacque con lei meſſer Mazza entraffe in monte nero per forza ,e con ſpargie mento di fangue oio vi dicoche non é ucro,anzi u’entró pacificamente: La deſcrittione del fante di fracipolld;& della fante,ėbaſſa,er propria di queſta formaa alcuni lameti cô parole ufitate & popolari. Leggi. Dime,oimė Giãnel mio io fon morta,ecco ilmarito mio,chetri fto il faccia Dio ,che ſi tornò, « non ſo che queſto ſi uoglia dire. ART. Et alcuni prouerbiemodiſono dimeßi. Leggi. : Et cosi al mododeluillan matto doppo il danno fece il patto, muoia. foldo, oniua amore, e tutta la brigata. ART. Dalle fentenze di queſta forma ſipuò far congettura quai parole, ochenumero, oquaichiuſe ad effali conuengonc, Però cheari tificioſamente da ogni artificio lontana offer deue ogni ſua parte , & imie tare la ſemplicità, ogroſſezza delle perſone. Io non uorrci queſtaforma in unpocma grande, o genoroſo; o dubito che per questa ragione da ale cuni ripreſo noſia uno de i piùcarifigliuoli ch'io habbia ,ilqualefpeſo per dire ognicoſaminutamente cade in parole baßißime,come quando dife. Vn’amme non faria potuto dirſt, Quero. Etmentre che la giù con l'occhio cerco , o quello che ſegue Trale gambe pendeuan le minuggia La corata parea, e il tristo ſacco. Et il reſto. E non uidi già mai menare ſtregghia A ragazzo aſpettato daſignorfo, Et la doue diſſe che Tencuan bor done alle ſue rime. Md ora al diletto paſſando, dirò, che per diletto de gli aſcoltanti ale cuna uolta l'oratione ad una forma s'inchina la quale tutta e riposta nellä , bautentione delpoeta ,però gioconda diletteuolemanieras'addimanda ĝrellache la ſemplice edimeſſa alquanto più rileua ealla fauola, ó fala uoloſa narratione ſi uolge. Là onde leſentenze di questa formafaranno contrarie alla forma della dignità del dire ; &però diletteuoli o gior conde ſono quelle , doue ragionano inſieme la Diſcordia, oGioue, o in quel dialogo d'Amore , oue R dimostra in che guiſa difcendeſſe fra more tali Amore.Sonoanco grate,ga dolci quelle ſentenze chehanno quelle coſe ntinutamente deſcritte, lequali per natura loro hanno onde piacere difense timenti umani, es però la deſcrittione dell'amenißima valle delle Donne a molto grata ad udire. Conſidererai di quanta dolcezzaſia ſtato amaeſtro Simone il ragionaméto di Bruno, quando egli deſcriſſe la brigata, che giudi in corſo,og de i loro follazzi, opiaceri,e delle altre coſe diletteuoli che egli uedeus in udiua. Ma è bene che tu ſappia , come di quelle coſe, che a ſenſi ſono ſottoposte, alcune fono oneste, alcune diſoneste. Le diſor Heiste ſe paleſamentesi ſcuoprono co iloroproprij uocaboli, offender for gliono le caſte orecchie ;benche non offendano quelliche nė di dirle , ne di farle R logliono tergognare,maſe con diſcretomodoleggiadramente cura prono la bruttezza loro,non pure non perdono il diletto quando ſono inteſe, ma molto più di ſoauird ſeco recano à gli aſcoltanti: Narra lo amore di due cognatiilpoetaDante,o uolendo il finedieſſo quantopiù poteua onestan mente ſcoprir diffe. Quel giorno pia non ui legemmo auante, cioé attena demmo ad altro che à legger quello , che fu cagione del nostro amore, o cosi quá lo l'altro poeta diſſe, Con lei fuß'io da cheparte il ſole. E non ci Medeß'altri che le ſtelle.Ocosi in mille modi ó per le coſe antecedenti, • per quelle cheſeguono,eſſendo meno diſoneste,le difoneſtißimèappalefar ft poſſono ne è pocalode dichi ſcriuezin tale occaſione abbattědofi,ſenza offen fione anzi con diletto delle oneſte perſone deſcriuer le coſe meno che oneſte. Intělaſi adunque la coſa, ofuggaſi la bruttezza delle parole,o in queſto modo ſarà foaue, &diletteuole il parlar uoſtro. Alquale gli amori,le bele lezze de i luoghi,igiardinizi prati,i fiori le fontane,la prima uera, le pite ture, o altre coſe piaceuoli aggiungendoſi,ſenzadubbio ſi dimoſtrerà la predetta forma,della quale anco di ſopras é detto aſſai, quando del diletto, della gioia tiragionxi ,che naturalinēte inuouc ogni coſa creata. Et cosi ſecondo l'affettione di ciaſcuno ſi porge ſolazzo opiacere col ragionare. L'artificio ,et le parole della giocõdità tolteſono dalla primaformadel dire chiamata purità, onettezza. Voglio bene in queſto paſſo ,che co più licen zoufigliaggiunti,ſegno e che i pocti loſtudio de' quali è proprio il dilet ? tare , allora più dilettano quando più belli ;eacconiodatiaggiunti- fono ? wfati di porre ne' verſi loro, ecco Leggi. L & Giace nella fommità di Partenio,non'umile monte della pastorale Arct. dia,un diletteuolepiano di ampiezza non molto patioſo,peròche'l ſito del luogo nol conſente ma,di minuta, o uerdisſima, crbetta si ripieno , cbe fe: le lafciue pecorelle congli auidi morſi non uipafceffero,ui ſi potrebbe dom gni tempo ritrouar merdura. ART. Tutti i principii delle giornateſono à proua fatti per dileta tarc, eperò inshi 13 ziunti uiſono meſcolati come tu potrai uedere. Egli lliſuole anchora interporre de i ucrſi per. dilettare , ma con destro modo, Perciò che non mipareche bence ſtia , che la compoſitionc babbia del uer fo come qui. Cofi detto, et riſposto,e contentato, doppo, un brieue.filentio di ciaſcuno. ART. Ecco che nella proſa ui è il uerlo ,ſenza quel propoſito che: io ti diceua ,però, biſogna rompere i ucrſi con alcuna parola,eccoti uer : foc, Postbaueafine alſuo ragionamento, madicendo. Pofthauca fine Lau, retta.al ſuo.ragionamento non è più verſo , benche queſto.autore altrowe: non foſſeſchifatodal uerfo,come quando diſſe. Poſcia che molto commendata l'hebbe, Disleale, o spregiuro, e traditore, Etpoi con un ſospir aſſai penſoſo, Luogo moltoſolingo, ofuor. dimano.. Et questi uerſi quanto ſono migliori,tanto più ſono da.cſfer fuggiti nel fic lo della oratione,fenon quando,o per eſſempio, o per autoritade, o per di: letto ſono tolti da poeti. Ora delle figure di questa faperai ,che alla giocondaforma, oltra le fi gure che alla purità,Q umiltà. conuengono quelle ancora non disd.cono, che alla bellezza ſi danno,o peròle membra pari di ſimili cadimenti le rime, i biſguizzi, itramutamenti; i circoli, le uoci.ſimiglianti, il fingeri: de i nomi ſonofigure di questaforma. Leggi i ſimili cadimenti. Tranquilla lite de'giudicanti ristora.le fettche gucrreggianti, in quel le con le ſeuereleggi de gli huomini, la pisceuolezza della natura,meſcoa. lando a queſti nel mezo de gli nocentisſimi guerreggiantipure, ø inno.. centisfime paci recando. Nellefſempio letto ui troucrai anco la bellezza di contrari, la parità de'membri, perche niente ci uicta ,che una ſtela figura da molti lumi ancora illuminata, fi poffa fare illuſtre e luminoſa. Laura, che il ucrde lauro,c l'aurco crine.. Eſcherzo di upci ſimiglianti. Il mormorar dett'onde,bisbiglio , ſpruzza.. reribombo,gracidare, fonoparolefinte,cha con diletto cfprimeno il fatto,  ecco quando colui diffe,Filli , Filli ,fonando tutti i calami, parue ueram mente che i calami fuſſono tocchi col fiato di dettopaftore, o quello ſem zafar motto alcuno. Rimafu quella di coſtui che diſſe. Tanto d'intorno à quel più bello, quanto pià de Thumido fenting di quello , Et perpiù adornamento et diletto, diſſe anco . L'acqua laquale alla ſua capacità ſoprabondaua. Et comei falli meritano punitione, Cosi i beneficii meritano guidero: done. Nella rima è pofta. la dolcezza de' Poeti di questa lingua, dallaqual.rima chi ardiſſe ò tentaſje per alcun mododidipartirf, toſto ſi pentirebbe . Le rimepiùuicine fono più dolci: Qucta licenzadel rimaremoderatamente Bplglia de proſatori , purche di affettata dilettatione: disoneſto ſegno non porga. Voglio bene la compoſitione di questa forma,numeroſa epiù al uerſo uicina che l'altre, ma il uerfo per ogni modo le tolgo. Guarda con chefacilità ſipotrebbe coteſta proſa alla dolcezza deluerfo ridurre.Leg. Vna fede medeſimatraloro per le menti unafermezza , unoamore in agni faſo, in :ogni tronco,inognirina,,uede l'amante la faccia dolce delld. fua.belladonna,o ella quella del ſuoſignore. Ma.ora non: voglio che tantoti piaccia la forma predetta che tralaſcian do la dignità,o grandezzadeldire, procuri.con ogni ſtudio il diletto piacere cheda quella fola procede , Perciò che io non uorrei che alcuna . parte del tuo ragionamento ſenza piacer s udiſſe, di.che l'aſcolta,ilqual pia cere naſce ancora. dalla Idea dell'altreforme, o dalle orecchie allo animo, trapaſſando ogni parte di eſſo fparge di diletto marauiglioſo, perche moe. uendo diletta, o dilettando li mouc, inſegnando ſimilmente fi.moue,, odiletta.in quanto che lo inſegnare il mouere,o il dilettare, ſono opera . tioni non distinte l'una dall'altra. Mi. laſciamo queſta quiſtione. ad altro , tempo, o ancora nonstiamo troppo in.questa forma tutta.di altra confla deratione, come quella.cbe al Posta.grandemente conuenga, alquale pocta. i giuochi, po le coſe ridicole ſi confanno , operò di. cße ora non te ne dia 60, e tanto piu adietro di buon cuore ti laſcerà queſta matcria ', quanto di: ſacopioſamente damoltine è ſtato ſcritto,etragionato. Larifponfione: ad ogni parte è anco figura di diletto. Leggi. Laquale ciiba fattinc i corpi.delicate ,o morbide , negli animi. timide opaurofe,ne le menti benignc, opietoſe, obacci dute le corporalifora ze leggieri, le uoci piacsuoli, o imouimenti de imembrifoaui .. Ms or a pasfiamo all'acutezza del.dire , forma inucro egregia. &. piùalto penfamentoche altra meriteuple. Peroche ella contiene le ſentenza fic,deltuttocontrarioalla umiltà, «baffezza della oratione, ej in uero altro dicendo,altro intende.Percioche è dicoſeche hanno in ſeforza,et uds Forela onde lo artificiaė proferire le alteodifficili intentioni pianaměte, o con facilità, e le umili &abictte che paianoalte ,o degne : onde i primo modo é,quandofi piglia una parola in altra ſignificatione che nella ufata confueta maniera,ne pcro e meno conuencuole et propriafe gli wiguardaalla forza della uoce,che la uſala, « conſucta, come qui. Non creda donna Berta oſer Martino * -Prueden un furar altro offerine. 9. Wedergli dentro al conſiglio diuino. Che quel puo furger,oquel può cadere . C : il  secondo modo e quello cheſi fa non mettendo la parola, doueela berie Starebbe, ilche abufione s'addimanda; come ė à dire allegrezza inſanabile, in luogo di dire allegrezza grandißima. Seguita il terzo modo di porre. una þarola pia uolte'., ma che ſempre ſia ad un modo istefjo pigliata , come dicendo,ſecglimuore, morirà tutto, perche uiuendo non uiue.Vſaſi ancora biquestaforma un altro artificio aljai degno di conſideratione ilquale ft fa quando il parlare ſi fa pieno ditraslationi,o per la moltitudine di quelle lifa ogn'horpiùmanifesto. Leggi. Eeleggi fon,ma chiponmanoad eſſe Nullo, percheil paſtor , che precede i Ruminar può,manon ha l'ugne. foffe, Perche la gente che ſua guida uede ** Pur à quel bel ferir on fella é ghiotta Di quelfi paſce, opiù oltre non chiede. ART. Et in queſto altro loco ancora Nel mezo del camin di noſtra uita Mi ritrouai in unaſelua oſcura Che la diritta uia craſinarita. ART. Acuti ſono ancora quei rimedij,che uanno quafi medicando le dile rezte delle Tralationi con alcune altre piu chiare , ecco dire il fiato della morte é duratralatione. Ma dire della morte , e ſpigne col ſuo fiato il noe ſtro lume,e acutamente raddolcita la aſprezza fua . O qui.Con altezza di: animo propoſe di calcar la miſeria della fori una.Voglio ancora ,che acuto fa ilporre inanzi yliocchi le coſe con bella colligatione di ſignificantißia me parole,Vuoi tu ucdere la celerità del tempo. Leggi. a Delaurco albergo con l'aurora istanzi E to 1vs K $ *** siratto ufciua it ſol cinto di raggi, Che detto baureſt',.' Apur corcò dianzi. Jo uidi il ghiaccio, e li preſſo la rofa, Quaſi in un tempo il granfreddo, e ilgran caldo. Che pure udendo par mirabil cofa Veggo la fuga del miouiuerpresta. Anzi di tutti , et nel fuggir delſole , La ruina del mondo manifesta Voi tu uedere dipinta la oſcurità. Leggi. Buio d'inferno, o di notte priuata D'ogni pianeta ſotto pouer ciclo Quant'eſſer puo di nuuol tenebrata : ART.No ſolaměte leparolefanno l'effetto,ma te fllabe, et le lettere steffe Vedi quáte fiate uie replicata la quinta lettera come lēte baſſa,co oſcura. Sotto queſtaforma i beidetti ſi coprendono, et quei mottiurbani,che co dimeſe parole dicono altißime coſe.Là onde alcune ſentēze, la ragione delle quali in effe ſi conticnejacute ſono, o di ſuegliato ingegno ſegnimanifesti. come à dire, le minacce fon arme del minacciato. sēdotu huomo penſa alle coſe humane o offendo mortale nõ hauerl'odio immortale, o quello.Rade volte è ſenza effetto quello che uuole ciaſcuna delle parti. Queſte ſono le parti principali dellaforma ſublime; & acuta,nellealtre haida ſeguitare la purità o eleganza del dire. Ma della Modestia,o Circonfpettione del parlarenelquale conſiſte quanta gratia tuti puoi con gli aſcoltanti acqui Atare,dirò,pregandoti caraméte,che tu uoglia questaſopra tutte l'altre ele gere,abbracciare,et fauorire in ogni tuo ragionamēto. Modesta è adunque quella forma del dire che le proprie coſe abbaſſando innalza le altrui, o quaſi cede e toglierſi laſcia del ſuo, il che opinione acquista di grābone tade appreſſo chi ode.Le ſentezedi quellafono quelle che dimostrano l'ani mo di chi parla alieno dalle contētioni, il deſiderio di fuggire, o terminar le coteſe,ildiſpiacere d'accufar altrui, il poter dimoſtrar maggiorpeccati dell'auuerfario,«nõfarlo,et quello che ſi fafarlo sforzatamēté ,ė astretto dalla uerità,o p no laſciar opprimere gl'innocēti,uerfo de'quali,chi dice, A deue dimostrare cõ queſta formaofficiofo,et benigne,comefece coſtui . Leggi. Mi piace condiſcendere a' conſigli de gli huomini,de quai die cendo mi conuerrà far due coſe molto a' miei coſtumi contrarie;luna fia al quanto me commendare o l'altra il biaſmar alquanto altrui,o auilire. ART. Molti huomini eccellenti nelle lodi, che date hanno a i loro cittadini uſati ſono di dire, uoi faceſte, uoi uinceste ,mánel dimoſtrare alcana coſa meno che oneſta de' fatti loro ,hanno detto per modeftia.Noi perdesſimo, noi malefi portasſimo,noialquantoimprudentemente to gließimo la guerra. A questeſentenzeſi aggiugne l'artificio, ilquale con Rate nel dire di fero delle proprie coſe modeſtamente, con dubitatione facendolegrditamente minoridiquellocheſono;eſcuſando per lo contras rio gli auuerfarii,oucro con ragione,conalquanto di timore accufando li,permettendoli alcuna coſa a fuomodoin loro diffeſa pronuntiare,acció sonſi dia ſoſpetto al giudice dioffer contentiofo,& amicodelle liti, in que ſto caſo voglio ,che tu uſ parole baſſe, et pure, oquelle che hanno manco forza nelle tue lodijonel biaſimo de gli auuerfari, però quelle figure a questaformaſono accomodate ,nellequali con deliberato conſiglio alcuna coſaſ pretermette,quiſando però l'aſcoltante di tale deliberationc.Inbrie ue ti dico, cbe la disſimulatione , che ironia s'addimanda, quenga, che ale cuna volta morda cu pungasėperò artificio,o figura di queſta materia,nel laqual alcuni Greci riuſcirono mirabilmente. Lacorrettione, oil giudi cio con timore ſonocolori di questa idea. Come quando ſi dice , S'io nca sn'inganno ,s’io non erro , cosi mipare,ofimiglianti modi, i quali quanto più banno del leggiadro, tanto più dilettano,o fanno l'effetto, che ſi ricer 14. La correttione e in quel luogo. Si come prima cagione di queſto peccato , fe peccato é , perciò che io t'accerto. ART. Et la disſimulatione iui. Godi Fiorenza , poi che ſei si grande. ART. Belmodo e modešto é quando o il biaſimo, o la lote ſi fa dar da una terza perſona, perche meno ha d'innidia il teſtimonio altrui , che'l noftro, operò in queſto Poeta nel dire la origine fua, uedrai modestia ma rauiglioft, Leggi ancora qui. Nobilisfime giouuni, à confolatione delle quai io mi ſono meſſo à cosi lunga fatica io mi creda aiutandomi la diuina gratis ſi come io auiſo, per gli uostri pictofi preghi non gia per i mei mcriti quello compiutamente ha Herfornito, che io nel principio della preſente opera promiſi di douer far. ART. Etil principio della quarta giornata i ripieno di queſti modi. Ma tempo è di ucnire all'ultima forma di queſto ordine , ma prima in die gnità o perfettione,comequella, ſenza laquale niuna delle altre può nel l'animo entrare de gli aſcoltanti,dico della uerità, a laquale benche la moc desta e dimeſſaforma piu che l'altre s'auicinano ,nientedimeno non è da di Te,che ella debbia dall'altre offer abbandonata, imperoche non è opinione, òaffetto ,che ſenza eſſa indurre ſi poſſa, queſta fa credere che cofiſia ,come Adice,questa moſtra l'animo di chiragions, queſta èfrutto diquella uir ta che tùche noi chiamiamo imaginatione,cosi potente nel porre le coſe dinanzid gli occhi,et cosi efficace ad ottenere ogni nostra intenţione.Dimoftrafl adia que l'aniino di chi parla in questo modo,cioèſenzamezo alcuno rompendo in uno effetto ,perche la natura in queſta guiſa ui diſpone chequandoſiete iņuno affetto ſenza altra ragione in quello entrando le dimoſtrate, cosi l'a ra ,lo ſdegno, il diſo, il dolore,o ogniaccidente ſi fa paleſe. In ſommaſe je fidate,o diffidate, c teneteſperanza d'alcuna coſa ſe allegrezza uimuoue 'ò noia alcuna,ueracißimi pareranno gli affetti uoftri,ſe da quello che defe derateſenza porui tempo di mezo cominciante. Leggi. Fiamma del ciel si le tue trecce pioua Equi doue il Poeta dimanda aiuto Quando uidi costui nel gran diferto. Miferere di me cridai à lui. A R. Come qui è uitiofo, doue un nụncio corre al palazzo à dan nog ua alla Regina della preſa della città, es ardere etſaccheggiare ogni coſa, o incomincia con lunga narratione,dicendo, id ui dirò diffuſamente il tutto. Ma ritorniamo, hauendo il Porta di mandato aiuto à Virgiliopiù bricue che può gli da notitia diſco perche l'affetto lo pronaua à chiedergli pohc cagione egli ſi trouaſje in quel luo. soſeluaggio ,dice. Ma tu perche ritorni à tanta noia ? Etfa maggiore il ſuo affetto replia çando, perche non fali il dilettoſo monte. Là onde poiil Poeta pien di mara uiglia di ueder Virgilio, non gli riſponde, ma dà loco allo affetto,et dicca Leggi. orſe tu quel Virgilio, equella fonte, Che parge di parlar si largo fiume, Ripoſi lui con uergognofa fronte , Et piu ritornando all'effetto di primajo de gli altri Poeti onor',e tume. AR. Vedi comele Diſcordia con Gioue'adirata in tal modo comincia. Parti Gioue,che io, la qualeprodußi,et conſeruo il mondo,degna fia di doc uer’eßer biaſmata da ciaſcaduno. AR. Serbati in questo caſo à dimostrare che inte più uaglia la natur ra ,che l'arte, o otterrai la credenza del uero che tu uuoi. Dire con uolubi li parolc é ſegno di uerità, l'infigner d'hauerſi ſcordato, il dimostrare die ſere dall'artificio lontario, o lo ejer dulla ucrità commoſſo,il correggerſ daſeſteſſo,lo cſclamare in alcune parti quafi rapito dal uero, o finalmene, te una diligente traſcuragine, & una traſcurata diligentia può far’apparenza diuero.Ecco quanto bene appare,ola modeftia, ola verità ufar la Discordia ,doue dice, Etſel mio eſſere pien di miſeria mi ci rende in diſpetto l'effer Dea (coa me tuſei ) onata al gentilißimo modo delfangue two pieghi il tuo anis mo ad aſcoltarmi benignamente. oRati' stato ilmio minacciare più tos fto fegno di diſperatione , che cagion d'odio è di ſdegno che tu mi debbi portare. AR. Et poco dipoi. Io parlerò Gioueaffine di farti pietoſo alla mia miſeria ,non con animo d'effer lodatacome eloquente;muoue il dolor la mia lingua,parte,et diſpone a fuo modo le mie parole, o quale id'l ſento nel core tale,à te uegnia allos recchie,cheſenza offer altramente artificioſa ,Oornata,affai ti perſuaderà l'oration mia à dolerti di me,la qualedi tanto nonſon conformeallo affan nocleoue quello continuamente m’afflige,queſta toſto fi finirà, o ad ogni richiesta tua s'interromperà,però che qualunque uolta cofa dirò, che mena zogna ti paia ſon contenta di dichiararla ,accioche picciolo error nel prin cipio nonſi faccia grande alla fine: AR. Vedi quanto efficaci ſtenote eſclamationi. O‘Amor quanti, o quali ſono le tue forze: AR. Et là doue dice, o felici anime,alle quali in unmedeſimo di auer re il feruente amore o la mortal uita terminare,o piú felicife inſieme ad uno medeſimoluogo n'antaſte, o felicissimi fe nell'altra uitaſi ama.com toi vi amate; come di qua faceste. Questa eſclamationefa parere la cofa uera, ilfalimento bella, la ſentent za degna,o grande,le parole aſpra, o acerba, oil numero fplendida,o generoſa.Al predetto artificio s'aggiungono le parole conuenienti alle cos feale appre nell'ira, le pure, o le fimplici nella comuniſeratione. Leggi. Ahi dolcißimo albergo di tutti imiei piaceri,maledetta fia la crudeltà di colui checon gli occhi della fronte or mi tifa uedcre . Affai m'ora con quelli dellu mēteriguardarti à ciaſcun’hora.Tu hai il tuo corſo finito, et di tale ,come la fortuna tel concedette tiſe ſpacciato.Venuto ſe alla fine ,alla quale ciaſcun corre,laſciate hai le miſerie del mondo, o le fatiche. AR. Conſidera le parti,le parole , o le figure di questa forma nella effempio ora letto, ote ſimili uſorai nelle occaſioni che ti ucrranno, et uce derai uſcirne opora maraniglioſa. Vodi che cömiferatione ſi truoua in que fe parole. Caro mio signore , fe la tua anima oralcmiclagrimc uede, oniuno i conoſcimentoóſentimento doppo la partita di quella rimane a corpi,rice. dei benignemoute l'ultimo dono di colei, laquale tu uiuendo cotato amasti. Vedi ancora qui la ſomiglianzadel ucro grandemente adopraſi in rio fpondere alle coſe,che potriano eſſer dimandate. Andreuccio,io ſuno molto certa, che tu ti marauigli, & delle carezze,le qualiiori.fo.a delle mie lagrime;si come colui chenon miconoſci ,oper quentura mai ricordar nonm'udisti,matu udirai toſto coſa, la quale più tifarà forſe marauigliare, si come è ch'io ſia tua ſorella. AR. Eccoti,che con una coſa più incredibile fa parere il falſo eſer aero. Vſafi questo modo nel raccontare ,nello amplificar le lodi, ouero i uituperii delle genti ,ouero in narrare le coſe fuori dell'ordine naturali,e rare.Con una antiucduta eſcuſatio::e,come qui, Carißime Donne à me ſipara dinanzi a doucrmifi far raccontare una uerità,che ba troppopiù di quello che ella fu,dimenzognaſembianza. AR. Vera in ſoiamaè quella formadel dire , nella quale confiderata la natura delle coſe la uarietà de gli affetri,la uſanza del uiucre , con prue denza,riguardo dimostra le coſe fuggendo il coſpetto dello artificio, & però molto leggiadramente fidce procedere nell'accurata, obella forme del dire nella quale più vale il numero etl'artificio , che nell'altre.Sicno dun que gli ſpirtidi questa forma partiper tutto il corpo,accompagnati dal Sanguedella bellezza,odal mouimento della celerità del dire ,che facila menteſi otterrà il deſiderato fine.Ne gl'affetti grandi,bricui ficno le mem bra,uiusci le parole ,nel resto il giudi.io di chi parla habbia luogo.Et qui Na ilfine delleformc o maniere del direin quanto che di ciaſcuna partie samente ſi può dirc. Ma non sarà il finedi eſſe in quanto biſognaſapereil modo di uſarle,et Accomodarle nella ciuilc oratione. Perciò che colui ne oratore,ne erudito parcrebbe ilquale come nouel cfſercitaßcle predette maniere daſe steſſe ignude, o inconipote,onde l'artefuafi manifestaffs, oegli di abomincus defatietà, ct fastidio ricmpicſſe le orecchie, o gli animi de gli aſcoltanti , Bella coſa é adunque il meſcolare inſieme le predette forme, o farne una ortima miſtura,dalla quale n'uſcirà l'ottima,o uniuerſale idea della oratio nc;appreſſo la qualeſarà quellà, che mancherà alquanto da quella ottima meſcolanza,cosi di grado in gradofcemundo ilterzo,il quarto, o l'ul timo luogo occuperà l'oratore. Della prima operfetta compofitione dela leformeio non ti trouerei per ls uerità chi in questa lingua potefje , pere che gli ſcrittori di efla hanno hauutaaltra intētione,cheformarela città M dincica dineſca minicra,ben che per quello ch'io ſtimo,non anderà molto,che alcu noci naſcerà atto a questa grandezza,alla quale più tosto manca la fatie ča,che il modo.Ora in quale forma debbia abondarc la eloquenzafaperaiz per che la chiarezza,la ucrità, quella cheaccoſtumata ſi chiama , fono le formeprincipali di tutta la manicra ciuile.Dapoi appreſſo io amerei la celerità del dire con quelle forme poi,che alla grandezzafi danno, tra le quali io eleggerei la comprenſione.Le altre ueramenteſecondo il tempo ; er la occafione reggendomi abbraccerei con quella ſcelta, con quella di fcretione che uolentieri,ut non isforzate păreſſero ucnire riel parlar mio Ben'è uero, che molte ſono le intentioni de gli huomini , equelle con dilia genza offer dcono confiderate.Chi uuole de i ſecretidi natura parlare, bo delle coſe morali dee abondar'in grandezza senza alcuno volubile movimeto. Chi ueramente cerca narrare ifatti de mortali,comeſi fa nella iſtoria , elleggerà la ſchiettezza,ocleganza,nella quale è ripoſto l'ordine delle co fe,cu dei tempi,a riguarderà primai conſigli,ale deliberationi, poi le attioni, o ifatti,o finalmente gli auenimentio fucceßi.Neiconſigli di moſtrerà quelloche deue cffer lodato ,o quello che merita biaſimo nelle at tioni,i fatti ,ole parole,ilmodo, il fine. Et ne ifucceßi dimostrerà ció the alla uirtù ,o ciò che alla fortunafi deve attribuire.Chi ne ifenati uud l'esprimere la forza dell’eloquenza,perche il peſo delle coſe ſară poſto fore. pra lepalle di chiragiona,biſognaabondare in grandezza,o dignità, di mostrar cura openſamento,il che non uale ne i giudicij, ſe non ſono di coi . Le graui,aimportanti,perche in eſſe più fimplicità,baſſezzaſi ricerca, eſſendo quegli per lo più di coſe edi buominipriuati . Nel difendere, ale fai uale la forma accoſtumata,obalfa,ſe non quando arditamente il fatto Rinega. Poco ancora ui ſi vedrà di uolubile,o presto mouimento . Ma non . cosi nello accuſare,douc oajpro, uecmente,o uiuo cſer dee l'accuſato re. Chi lola. fi dee dare alla bellezza,o al diletto, o apprezzare lo fplene dore fenza ucсmenza, o celerità. Et in brieuc,biſogna aprir gli occhi; eje nello imitare i dotti,o eccclenti huomini.ſi richiede conſiderare; di che for ma eßt ſieno più abondanti,o di che meno;accioche ſapendoper qual caz glorie eß istatilicno tali,ancora non ſia tolto il potere à gli studioſi di ace coſtarſi loro, o aguagliarli,o le poßibilc é ,che pureé paßibile al modo già detto di ſuperargli. Et chi.pure non uoleſſe la fatica,poteße almeno giudicare i loro fecreti. Molti, o minuti ſono i precetti d'intorno a questo offercitio,maio non uoglio più affaticarmi,effendo quegli in molti,o gran di uolumi ordinatamente ripoſti,oltra che ilnostro diſcorſo à niunopuò på rere terc imperfitto ,quando egli uoglia la noſtra intentione riguardare ,laqua le è stata di fare i fondamenti della eloquenza, auuertire di quanta co gnitione elſer debbia chi à quella ſi dona; sopra i quali fondamenti ſono for date l'articelle de' maeſtri, o gli esercitij de' giovanetti. Baſtiti, ô Dinare do,che tu ſia giunto là, doue di giugnere deſideraui,o che tu habbi ueduto un circolo della tanto deſiderata cognitione. Però che dalle parti dell'anie ma incominciaſti ,o in eſſe ſei ritornato ,hauendo il corſo tuo ſopra di natů ra, ci sopradi me fornito, come sopra due rote di quel carro,cheper lo apet to cielo ti condurrà uittorioſo, o trionfante. Daniele Matteo Alvise Barbaro. Daniele Barbaro. Keywords: archittetura, palladio, prospettiva, retorica, ordine cronologico: Ermolao Barbaro il vecchio – Ermolao Barbaro il giovane – Daniele Barbaro – Temisto, index nominorum, interpretazione e commentario di Barbaro sul commentario di Tesmisto sull’analitica posteriora – manoscritto, Bologna. Manoscritto delle ‘Adnotationes ad analyticos priores’ – commentario diretto su Aristoele e no via Temisto – Villa Barbaro – lezione privati di Barbaro sull’organon di Aristotele – analytica priora e analytica posteriora, non al studio GENERALE, ma alla sua propria villa! . Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barbaro” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716107284/in/photolist-2mRuuqB-2mRcn9c-2mQHwBB-2mN8Hgb-2mNb8t7-2mMYyW9-2mLMX6P-2mLLR3n-2mLMUtQ-2mLMWGH-2mLMVmX-2mLJQmk-2mLJQRd-2mLMULU-2mLLRgi-2mKQDQ5-2mLMXqw-2mKwuhr-2mKBLhJ-2mKCdPg-2mKArEy-2mKH3ZR-2mKDteh-2mJWMoD-2mJq2uE-2mJ4GHU-CkaHMd-BVh5m5-CntuMM-BRstt1-o3jP2q-nKqBVU-nJyPnZ-o1WCtG-noDCLh-nqpN2n-npidX4-nmQUvH-noiVeB-nnFBEg-nmPeYK-nn8tfW-nmR6a7-mwamdR-mw9SoV-mwbCd5-mw9U98-mwbymC-ihDHCu-ihh9Aj

 

Grice e Barbaro – il vecchio – filosofia italiana – filosofia veneziana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo.  Umanista --. Grice: “As much as Speranza LOVES Daniele Barbaro, I prefer Ermolao Barbaro; after all, he was his uncle – I mean, Ermolao was Daniele’s uncle – and therefore HE taught HIM; I mean, Ermolao, as a good philosophical uncle, taught the ‘minor’ (literally, since he was his junior) Barbaro.”  "Some like Barbaro, but Barbaro's MY man." Ermolao Barbaro detto il Vecchio. Umanista e vescovo cattolico italiano.  Sendo stato uomo degnissimo, m'è paruto farne alcuna menzione nel numero di tanti singulari uomini, acciocché la fama di sì degno uomo non perisca (Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri del secolo XV). Ancora bambino comincia a studiare lettere conVeronese, e il successo di quest'accoppiata allievo-maestro fu tale che tradusse in latino le favole d’Esopo. Fece poi i suoi studi universitari a Padova dove si laurea. Successivamente si trasfee a Roma dove entrò al servizio della cancelleria papale. La sua carriera nella curia romana fu così fulminea che Eugenio IV lo nomina protonotario apostolico e gli concesse la diocesi di Treviso. Il rapporto con il pontefice, però, si interruppe bruscamente quando, dopo che gli era stata promessa la nomina a vescovo di Bergamo, il papa assegna il posto a Foscari.  Lascia Roma e viaggiò per l'Italia ma, dopo una serie di peregrinazioni, tornò a lavorare in curia. Si trasfere poi a Verona dove Niccolò V lo designa vescovo e dove si sistemò in pianta stabile, tranne una breve parentesi a Perugia come governatore. Messer Ermolao Barbaro, gentiluomo viniziano, fu fatto vescovo di Verona da papa Eugenio, per le sue virtù. Ebbe notizia di ragione canonica e civile, ed ebbe universale perizia di teologia, e di questi istudi d'umanità; ed ebbe nello scrivere ottimo stile. Fu di buonissimi costumi, e nel tempo di papa Eugenio si ritornò a Verona al suo vescovado, e attese con ogni diligenza alla cura, e vi accrebbe assai e onorò e multiplicò il culto divino. Era umanissimo con ognuno. Ridusse nel suo tempo il vescovado in buonissimo ordine, così nello spirituale come nel temporale. Aveva in casa sua alcuni dotti uomini, in modo che sempre vi si disputava o ragionava di lettere; ed era la sua casa governata, come si richiede una casa d'uno degno prelato. S'egli compose (che credo di sì) non ho notizia alcuna. Compose. Nulla se ne ha alle stampe trattane qualche lettera, ma più opuscoli manoscritti se ne hanno in alcune biblioteche, e fra essi la traduzione della Vita di S. Anastasio scritta da Eusebio di Cesarea. Note  Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri del secolo XV, ed. Barbera-Bianchi, Firenze. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, ed. Firenze, Vol. VI, pag. 808  Società storica lombarda, Archivio storico lombardo, ser.4:v.7, L'Umanesimo umbro: Atti del IX Convegno di studi umbri. Gubbio, 22-23 settembre, 1974, Perugia, 1977, pag. 199  Vespasiano da Bisticci, cit. pag. 195  Girolamo Tiraboschi, cit. pag. 808 Opere (alcune moderne edizioni italiane)  Ermolao Barbaro il Vecchio. Orationes contra poetas. Epistolae. Edizione critica a cura di Giorgio Ronconi. 16x24 cm, pp VIII+186. Firenze: Sansoni, 1972. Pubblicazioni della Facolta di Magistero dell'Universita di Padova Ermolao Barbaro il Vecchio. Aesopi Fabulae. A cura di Cristina Cocco. 22 cm, pp 186. Genova: D.AR.FI.CL.ET., Trad. italiana a fronte Hermolao Barbaro seniore interprete. Aesopi fabulae. A cura di Cristina Cocco, 25 cm, pp 155, Firenze: Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2007. Il ritorno dei classici nell'umanesimo. Edizione nazionale delle traduzioni dei testi greci in eta umanistica e rinascimentale.9788884502506 Bibliografia Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Vol. VI, ed. Firenze, 1819. Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri del secolo XV, ed. Barbera-Bianchi, Firenze, 1859. Pio Paschini, Tre illustri prelati del Rinascimento: Ermolao Barbaro, Adriano Castellesi, Giovanni Grimani, Roma, Facultas Theologica Pontificii Athenaei Lateranensis, 1957. Emilio Bigi, Ermolao Barbaro, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 6 luglio 2018. Voci correlate Ermolao Barbaro il Giovane Collegamenti esterniDavid M. Cheney, Ermolao Barbaro il Vecchio, in Catholic Hierarchy. Predecessore Vescovo di TrevisoSuccessoreBishopCoA PioM.svg Lodovico Barbo1443-1453Marino ContariniPredecessoreVescovo di VeronaSuccessoreBishopCoA PioM.svg Francesco Condulmer1453-1471Giovanni Michiel · SBN IT\ICCU\MILV\110912 · LCCNn95090012 · GND (DE) 102417849 · BNF (FR) cb146202310 (data) · NLA35968113 · BAV495/27788 · WorldCat Identitieslccn-n95090012 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Treviso Portale Treviso Venezia Portale Venezia Categorie: Umanisti italianiVescovi cattolici italiani del XV secoloNati nel 1410Morti nel 1471Nati a VeneziaMorti a VeneziaBarbaroVescovi di TrevisoVescovi di VeronaTraduttori dal greco al latino. Ermolao Barbaro, il vecchio. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barbaro” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702111083/in/photolist-2mRcn9c-2mQHwBB-2mN8Hgb-2mNb8t7-2mMYyW9-2mLJQmk-2mLMXqw-2mLMX6P-2mLLRgi-2mLLR3n-2mLMUtQ-2mLJQRd-2mLMVmX-2mLMWGH-2mLMULU-2mKwwoA-2mKCdPg-2mKwuhr-2mKQDQ5-2mKBLhJ-2mKH3ZR-2mKArEy-2mKDteh-2mJWMoD-2mJq2uE-2mJ4GHU-CkaHMd-BVh5m5-CntuMM-BRstt1-nKqBVU-o3jP2q-nJyPnZ-o1WCtG-noDCLh-nqpN2n-npidX4-nmQUvH-noiVeB-nnFBEg-nmPeYK-nn8tfW-nmR6a7-mwamdR-mwbCd5-mw9SoV-mw9U98-mwbymC-ihDHCu-ihh9Aj

 

Grice e Barbaro – il giovane – filosofia veneziana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Grice; “Very good.” , ermolao – the younger – il giovane, non il vecchio --  "Speranza likes Ermolao Barbaro the Younger, but Ermolao Barbaro The Elder is MY man." -- H.G. Ermolao Barbaro il Giovane. Avea profondamente meditato sopra i doveri che impone il carattere di legato a chi lo sostiene e sopra le avvertenze che devono servirgli di norma nella pratica degli affari, ónde servir con vantaggio il proprio governo e riportare onore anche da quello presso di cui risiede. Ei ne ha indicate le tracce in un pregevolissimo opuscolo  in cui la prudenza apparisce compagna della onestà del candore, ed è venuto a delineare in certa guisa il suo ritratto. Ma lo stesso suo merito fu a lui cagione di grave calamità. Cardinale di Santa Romana Chiesa Hermolaus Barbarus Ritratto di Ermolao Barbaro, opera di Theodor de Bry. Patriarca di Aquileia. Ordinato presbitero. Nominato patriarca da papa Alessandro VI. Consacrato patriarca. Creato cardinal da papa Innocenzo VIII. Ermolao Barbaro detto "Il giovane" -- è stato un umanista, patriarca cattolico e diplomatico italiano, al servizio della Repubblica di Venezia. Comincia l'educazione elementare con il padre Zaccaria Barbaro, politico e diplomatico veneziano, poi in tenerissima età e mandato a Verona dal pro-zio Ermolao Barbaro, vescovo della città e umanista di fama, per studiare lettere latine con Bosso. Per perfezionarsi passa a Roma dove ha come insegnanti prima Leto e poi Gaza. Un cursus studiorum concluso con successo. E laureato poeta, a Verona, da Federico III. Segue a Napoli il padre, titolare dell'ambasciata veneziana, e proprio nella città partenopea scrive la sua prima opera ovvero il “De Caelibatu”.  Traduce tutto Temistio, pubblicato poi, in parafrasi. Tornato in Veneto consegue a Padova il dottorato in arti e quello in diritto civile e canonico. Subito dopo fu nominato titolare della cattedra di etica. Come professore insegna soprattutto sulla Nicomachea di Aristotele, mettendo in guardia i suoi studenti dalle traduzioni in latino di Aristotele e predicando il ritorno alla traduzione diretta dal greco, proprio come face lui. Sono infatti di quegli anni i commentari all'Etica e alla Politica e la traduzione della Retorica. Abbandonato l'insegnamento  accompagna nuovamente il padre in missione diplomatica a Roma. E promosso senatore della Repubblica di Venezia e ma stavolta in veste ufficiale, si reca a Milano con il padre per una nuova ambasceria. Il primo incarico diplomatico arriva quando, insieme a Trevisano, rappresenta a Bruges la Serenissima in occasione dei festeggiamenti per l'incoronazione a ‘re dei romani’ di Massimiliano d'Asburgo e nell'occasione fu investito cavaliere. Dopo un'esperienza come savio di terraferma, e finalmente nominato ambasciatore residente a Milano dove si accredita e rimane in carica. Venne creato cardinale in pectore d’Innocenzo VIII nel concistoro, ma non venne mai pubblicato. L'ottima gestione della legazione veneziana a Milano, in tempi davvero turbolenti come quelli della reggenza di Ludovico il Moro, gli vale un anno dopo la nomina ad ambasciatore a Roma alla corte d’Innocenzo VIII. Ed e qui che avvenne la catastrofe.  Il giorno dopo la morte del patriarca di Aquileia Marco Barbo, Ermolao erasi recato all'udienza del papa, per fare istanza acciocché fosse differita la nomina del patriarca successore, finché il senato non gli e ne avesse presentato, secondo il consueto, la nomina. Ma il papa, senza punto badare a cotesta istanza, nomina lui appunto in patriarca di Aquileja; aggiungendogli, essere questa grazia una giusta ricompensa al suo sapere ed alla sua virtù. Il Barbaro in sulle prime si rifiutò dall'accettare la dignità, che il pontefice conferivagli; ma quando Innocenzo gli e lo comandò in virtù di santa ubbidienza, si vide costretto a sottomettervisi ed obbedire. Allora il papa sull'istante lo vestì del rocchetto, di cui, per darglielo, si spogliò uno dei cardinali colà presenti; e poscia in pieno concistoro fu preconizzato patriarca di questa Chiesa. La procedura era rigorosamente contraria alle leggi della repubblica che vietavano ai propri ambasciatori, senza la previa autorizzazione del senato, di ricevere incarichi o nomine dai principi presso i quali erano accreditati. Allora, per giustificare la violazione procedurale, il Papa scrisse una lettera al Doge chiedendogli di confermare la nomina, ma il Consiglio dei Dieci, competente in materia, delibera comunque che Barbaro deve rinunciare al patriarcato. Cosa che, dopo un po' di tira e molla, prontamente fa. Scelse, per farla più solenne, la circostanza del giovedì santo alla presenza del papa e di tutto il sacro collegio. Ma il papa non la volle accettare. Né l'obbedienza sua agli ordini del senato basta per anco a giustificarlo. Poco avveduto, non pensa di spedirne a Venezia la stessa sua dimissione al senato, ad onta dell'opposizione del pontefice; mostrandosi dal canto suo per tal guisa fedele ed obbediente alle leggi del suo governo. Più avrebbe inoltre dovuto lasciar Roma e ritornare a Venezia. Ov'egli si fosse regolato così, l'affare avrebbe cangiato di aspetto, e sarebbesi ridotta ad una semplice controversia di giurisdizione tra la corte di Roma e la Repubblica di Venezia. Ma essendo rimasto in quella capitale, ad onta della fatta rinunzia, né avendone dato avviso al senato, egli fu riputato veramente colpevole in faccia alla legge, e perciò costrinse il senato ad usare verso di lui ogni misura di rigore. Come risultato di questo pasticcio fu bandito perennemente dalla repubblica e interdetto da qualsiasi ufficio pubblico e privato. Quanto al patriarcato di Aquileia, tecnicamente, ne rimase titolare ma il senato oltre ad avergli impedito, con l'esilio, di recarvisi fisicamente, ne congelò le rendite patriarcali e nomina Donato in suo vece, anche se la nomina non fu ratificata dal papa. Ne deriva una situazione di stallo, durante la quale la diocesi patriarcale fu amministrata da Valaresso (anche Valleresso), vescovo di Capodistria, con il titolo di Governatore generale. Barbaro rimase a Roma dove decise di dedicarsi a tempo pieno ai suoi studi. Pparticolarmente importanti, oltre alla composizione di Orationes et Carmina in latino e alla pubblicazione delle “Castigationes Plinianae,” disputazioni scientifiche sulle imprecisioni e sulle invenzioni della Naturalis historia di Plinio,  sono l’epistolario filosofico che si scambiò con Poliziano e Pico, che, insieme, costituirono un vero e proprio «triumvirato, a que' giorni potente e celebratissimo nelle scienze e nelle lettere. E sventuratamente colto dalla pestilenza che serpeggia nell'agro romano. Giunta a Firenze la nuova del suo pericolo trafisse altamente il cuore dei due suoi celebri amici Poliziano e Pico. Si lagnavano essi che la sua perdita seco involge il destino delle buone lettere, sembrando loro che in un sol uomo pericolasse l'onere delle cose romane. Pico anzi volle tentar di soccorrerlo, inviandogli col mezzo di suo corriere un antidoto ch'ei medesimo componeva e che credeva atto a domare il morbo pestilenziale. Ma quando arriva a Roma l'espresso, era di già passato tra gli estinti. Note  De Legato, recuperato dal cardinal Quirini da un codice della Vaticana e stampato per la prima volta nelle annotazioni alla Deca II della sua Thiara et purpura veneta  Giovanni Battista Corniani, Camillo Ugoni, Stefano Ticozzi, I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, Torino, 1855, Vol. II,132  Contemporaries of Erasmus, op. cit.91  Bruno Figliuolo, Il Diplomatico E Il Trattatista: Ermolao Barbaro Ambasciatore Della Serenissima, Napoli, Guida Editori, 1999,19  Saverio Bettinelli, Risorgimento d'Italia negli studj, nelle arti, e ne' costumi dopo il mille, Bassano, 1786, parte I,219  S. Bettinelli, cit.219  Antonino Poppi, Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuola padovana del Cinque e Seicento, Rubbertino, 2001,54  Vittore Branca, La sapienza civile: Studi Sull'umanesimo a Venezia, Firenze, 1988,67  Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Firenze, 1846, Vol. VII,26  Giuseppe Cappelletti, Le chiese d'Italia della loro origine sino ai nostri giorni, Venezia, 1851, Vol. VIII,512-513  Giuseppe Cappelletti, op. cit.516  Jacopo Bernardi, Ermolao Barbaro o la scienza del pensiero dal secolo decimoquinto a noi, Venezia, 1851,12  I secoli della letteratura italiana, op. cit.134-135 Bibliografia Saverio Bettinelli, Risorgimento d'Italia negli studj, nelle arti, e ne' costumi dopo il mille, Bassano, 1786 Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Firenze, 1846 Giuseppe Cappelletti, Le chiese d'Italia della loro origine sino ai nostri giorni, Vol. VIII, Venezia, 1851 Jacopo Bernardi, Ermolao Barbaro o la scienza del pensiero dal secolo decimoquinto a noi, Venezia, 1851 Giovanni Battista Corniani, Camillo Ugoni, Stefano Ticozzi, I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, Torino, 1855 Vittore Branca, La sapienza civile: Studi Sull'umanesimo a Venezia, Firenze, 1988 Bruno Figliuolo, Il Diplomatico E Il Trattatista: Ermolao Barbaro Ambasciatore Della Serenissima, Napoli, Guida Editori, 1999 Antonino Poppi, Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuola padovana del Cinque e Seicento, Rubbertino, 2001Thomas Brian Deutscher, Contemporaries of Erasmus: A Biographical Register of the Renaissance and Reformation, University of Toronto Press, 2003 Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Ermolao Barbaro il Giovane Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ermolao Barbaro il Giovane Collegamenti esterni Ermolao Barbaro il Giovane, su Treccani – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Ermolao Barbaro il Giovane, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Opere di Ermolao Barbaro il Giovane, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.Opere di Ermolao Barbaro il Giovane, su Open Library, Internet Archive.David M. Cheney, Ermolao Barbaro il Giovane, in Catholic Hierarchy.Salvador Miranda, BARBARO, iuniore, Ermolao, su fiu.edu – The Cardinals of the Holy Roman Church, Florida International University. Ermolao Barbaro, in Treccani – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Emilio Bigi, BARBARO, Ermolao, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 6, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1964.PredecessorePatriarca di AquileiaSuccessorePatriarchNonCardinal PioM.svg Marco Barbo7 marzo 1491 - 2 maggio 1493Nicolò Donà Controllo di autoritàVIAF54942062 · ISNI0000 0001 2133 7866 · SBN IT\ICCU\MILV\088873 · LCCNn80137686 · GND (DE) 118657119 · BNF (FR) cb121940202 (data) · BNE (ES) XX1216846 (data) · NLA35180637 · BAV495/46340 · CERL cnp01329886 · WorldCat Identitieslccn-n80137686 Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Umanisti italianiPatriarchi cattolici italianiDiplomatici italianiNati nel 1454Morti nel 1493Nati il 21 maggioMorti il 14 giugnoNati a VeneziaMorti a RomaBarbaroAmbasciatori italianiPatriarchi di AquileiaTraduttori dal greco al latino[altre] Ermolao Barbaro. Keywords: il celibato, lettera a Pico, lettera a Poliziano, traduzione della retorica, commentario all’etica nicomachea, comentario alla politica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barbaro” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702720210/in/photolist-2mRcn9c-2mQHwBB-2mN8Hgb-2mNb8t7-2mMYyW9-2mLJQmk-2mLMXqw-2mLMX6P-2mLLRgi-2mLLR3n-2mLMUtQ-2mLJQRd-2mLMVmX-2mLMWGH-2mLMULU-2mKwwoA-2mKCdPg-2mKwuhr-2mKQDQ5-2mKBLhJ-2mKH3ZR-2mKArEy-2mKDteh-2mJWMoD-2mJq2uE-2mJ4GHU-CkaHMd-BVh5m5-CntuMM-BRstt1-nKqBVU-o3jP2q-nJyPnZ-o1WCtG-noDCLh-nqpN2n-npidX4-nmQUvH-noiVeB-nnFBEg-nmPeYK-nn8tfW-nmR6a7-mwamdR-mwbCd5-mw9SoV-mw9U98-mwbymC-ihDHCu-ihh9Aj

 

 

Grice e Barcellona – i soggeti e le norme – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Catania). Filosofo. Grice: “Perhaps my favourite by Barcellona is “I soggetti e le norme” – vide my conversational norms – and ‘soggeto’ of course relates to ‘intersoggetivita,’ a pet concept of Italian phenomenology!” Grice: “Of course, for us British subjects (to the Queen), the idea of ‘soggeti’ cannot quite make sense! But Barcellona’s point is fascinating: the Romans did have the concept of a sub-iectum and an ob-iectum: they like a symmetrical expression formation, too! Barcellona shows that we have to speak of ‘soggetti’ to get intersoggetivita – and then the norma – a very Roman concept, which as J. L. Austin said (following John Austin), does not quite translate as ‘norm’ – “We don’t use ‘norm’ in ordinary language.””  Barcellona shows that it is ‘I soggetti’ i. e. at least a dyad that makes ‘the noi trascendentale’ adding up ‘l’io trascendentale’ with ‘il tu trascendentale’ and ‘l’altro trascendentale’ that we get the norm. Barcellona got to the idea after seeing the French film, ‘l’un et l’autre’!” --  Pietro Barcellona, deputato della Repubblica Italiana LegislatureVIII Gruppo parlamentarePCI Dati generali Partito politicoPartito Comunista Italiano Titolo di studioLaurea in giurisprudenza ProfessioneDocente universitario Pietro Barcellona (Catania ),  filosofo. È stato docente di diritto privato e di filosofia del diritto presso la facoltà di giurisprudenza dell'Catania. È stato membro del Consiglio superiore della magistratura.  Si laurea in Giurisprudenza nel 1959. Nel 1963 consegue la libera docenza in Diritto Civile e insegna a Messina. Dal 1976 al 1979 è componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Ha diretto il Centro per la Riforma dello Stato, fondato con Pietro Ingrao.  Nel 1979 è stato eletto deputato nelle file del Partito Comunista Italiano ed è stato membro della commissione giustizia della Camera fino al 1983 .  A causa della sua formazione teorica materialista, ha suscitato nel  molto scalpore la sua conversione raccontata nel libro Incontro con Gesù.  Docente emerito di filosofia del diritto all'Catania. Altre opere: “Diritto privato e processo economico” (Jovene Editore); “L'uso alternativo del diritto, Laterza); “Stato e giuristi tra crisi e riforma, De Donato, Bari); “Stato e mercato tra monopolio e democrazia, De Donato); “La Repubblica in trasformazione. Problemi istituzionali del caso italiano, De Donato); “Oltre lo Stato sociale: economia e politica nella crisi dello Stato keynesiano, De Donato); “I soggetti e l’intersoggetivo della norma” (Giuffrè); “L'individualismo proprietario, Bollati Boringhieri); “L'egoismo maturo e la follia del capitale, Bollati Boringhieri); “Il Capitale come puro spirito: un fantasma si aggira per il mondo, Editori Riuniti); “Il ritorno del legame sociale, Bollati Boringhieri); “Lo spazio della politica. Tecnica e democrazia, Editori Riuniti); “Dallo Stato sociale allo Stato immaginario. Critica della ragione funzionalista (Bollati Boringhieri); “Laicità. Una sfida per il terzo millennio, Argo); “Diritto privato società moderna, Jovene); L'individuo sociale, Costa & Nolan); “Politica e passioni. Proposte per un dibattito, Bollati Boringhieri); “Il declino dello Stato. Riflessioni di fine secolo sulla crisi del progetto moderno, Ed. Dedalo); “Quale politica per il Terzo millennio?, Ed. Dedalo); “L'individuo e la comunità” (Edizioni Lavoro); “Le passioni negate. Globalismo e diritti umani, Città Aperta); “Le istituzioni del diritto privato contemporaneo, Jovene); “Tensioni metropolitane, Città Aperta); “I diritti umani tra politica, filosofia e storia, A. Guida); “La strategia dell'anima, Città Aperta); “Diritto senza società. Dal disincanto all'indifferenza, Ed. Dedalo); “Fine della storia e mondo come sistema. Tesi sulla post-modernità, Ed. Dedalo, “Il suicidio dell'Europa. Dalla coscienza infelice all'edonismo cognitivo, Ed. Dedalo); “Critica della ragion laica, Città Aperta); “Diagnosi del presente, Bonanno); “La parola perduta. Tra polis greca e cyberspazio, Ed. Dedalo); “L'epoca del postumano, Città Aperta); “La lotta tra diritto e giustizia, Marietti); “Il furto dell'anima. La narrazione post-umana, Ed. Dedalo); “L'ineludibile questione di Dio, Marietti); “L'oracolo di Delfi e L'isola delle capre, Marietti,  Elogio del discorso inutile. La parola gratuita, Ed. Dedalo); “Viaggio nel Bel Paese. Tra nostalgia e speranza, Città Aperta); “Incontro con Gesù, Marietti); “Declinazioni futuro/passato. Poesie, Prova d'autore, Il sapere affettivo, Diabasis); “Il desiderio impossibile, Prova d'autore”; “Passaggio d'epoca. L'Italia al tempo della crisi, Marietti); La speranza contro la paura, Marietti); “L'occidente tra libertà e tecnica, Saletta dell'Uva); “Parole potere, Castelvecchi, . Sottopelle. La storia, gli affetti, Castelvecchi);  La sfida della modernità, La Scuola, .  978-88-350-3599-2 Pietro Barcellona e la pittura Una delle più grandi passioni di Pietro Barcellona, è stata senza ombra di dubbio la pittura. Comincia a dipingere all'età di 20 anni. Due sue opere si trovano in esposizione permanente presso il "Museo dei Castelli Romani". Un suo quadro fa parte della collezione permanente della Salerniana, Galleria Civica d'Arte Contemporanea "Giuseppe Perricone". Vanta diverse personali:  1959"Mostra Città di Catania"; 1997"Galleria Arte Club" di Catania, con testi critici di Manlio Sgalambro e Salvo Di Stefano; 2001"Galleria Arte Club" di Catania. Espone un nucleo di ventiquattro opere sul tema "La città della donna" con testo critico di Giuseppe Frazzetto; 2002"Tensioni metropolitane" presso "Fondazione Luigi Di Sarro" di Roma; 2002"Galleria Quadrifoglio" di Siracusa; 2002"Fondazione Filiberto Menna" di Salerno; 2003"Mitologia del quotidiano" presso "Galleria La Borgognona" di Roma, con testi in catalogo di Simonetta Lux e Domenico Guzzi; 2003"Contrasti" presso "Galleria Tornabuoni" di Firenze, con testo in catalogo di Fabio Fornaciai e dello stesso Barcellona; 2004"Museo dell'Infiorata" di Genzano; 2006"L'impossibile completezza" presso il "Museo Laboratorio di Arte Contemporanea" di Roma, Patrizia Ferri e Mario de Candia; "Il desiderio impossibile" presso "Le Ciminiere", Sala C2, di Catania, con testo critico di Mario Grasso. Saggi sull'opera di Pietro Barcellona  Su Pietro Barcellona, ovvero, riverberi del meno, Atti del Convegno di Studi su alcune opere di Pietro Barcellona, Mario Grasso. Prova d'Autore, .  978-88-6282-154-4 W. Magnoni, Persona e società: linee di etica sociale a partire da alcune provocazioni di Norberto Bobbio, Glossa Edizioni, Milano,  M. De CandiaFerri, Pietro Barcellona raccontato dai suoi amici, Gangemi, 2006.  978-88-492-0933-4 T. Greco, Modernità, diritto e legame sociale, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», XXXI (2001), n. 2,  517–541. S. Pegorin, Emergenza Antropologica. Pietro Barcellona e la lotta in difesa dell’umano Riconoscimenti Il 29 marzo , il Comune di Misterbianco (CT) gli intitola una piazza.  Note  Pietro Barcellona, su CameraVIII legislatura, Parlamento italiano.  "Pietro Barcellona: Mi converto, dal Partito Comunista a Gesù Archiviato il 18 maggio  in .", Ragusa News.  l'Unità, 11 maggio 2003: "Pietro Barcellona, Il Piacere di Dipingere"//archiviostorico.unita/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook& file=/golpdf/uni_2003_05.pdf/ 11CUL31A.PDF&query=Andrea%20 carugati Archiviato il 4 marzo  in .  Corriere della Sera, 1º febbraio 2006. Omaggio a Pietro Barcellona pittore, giurista e filosofo.//archivio storico.corriere/2006/febbraio/01/ Omaggio_Pietro_Barcellona_pittore_giurista_co_10_06017.shtml  Inaugurata la piazza intitolata al prof. Pietro Barcellona | Misterbianco.COM Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Pietro Barcellona  Napolitano: Pietro Barcellona fu un protagonista in Italia. Messaggio del Colle ai funerali del giurista, ex parlamentare Pci e membro laico del Csm[collegamento interrotto] articolo pubblicato da La Sicilia, 9 settembre , sito lasicilia. Filosofi italiani del XX secoloFilosofi. Pietro Barcellona. Keywords: i soggeti e le norme, filosofia siciliana, Barcellona, comune di Messina. Conte di Barcellona, lo stato imaginario, i soggeti, l’intersoggetivo della norma, communita intersoggetiva, discorso futilitario, societas, communitas, socius, seguire, ‘follow’, Toennies, communitario, stato keynesiano, stato imaginario, anima smartita, conflitto e cooperazione sociale, anima smarrita, communitas, immunitas, sociale, societas, discorso inutile, Grice, end of conversation, goal of conversation, deutero-esperanto, linguaggio privato, i soggeti, l’intersoggetivo. --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barcellona” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790203619/in/dateposted-public/

 

Grice e Barié – Enea – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “”My favourite of Barié’s is his parody of Apel: “il noi trascendentale”!” -- I like Barié; he commited suicide, which is not that rare among philosophers – same percentage than the general population – cf. Durkheim, “Le suicide: a sociological enquiry,””. Grice: “Barié tried to play with the idea of the transcendental, and he did – he applied it first to “I” (‘l’io trascendentale’). When I wrote my thing on personal identity, I preferred the pronoun ‘someone,’ to stand for ‘I’, ‘thou,’ and the allegedy THIRD ‘person,’ ‘he.’ – Barié has also edited Vico’’scienza nuova,’ and provided a ‘compendium’ of the SYSTEMATIC kind, favoured by some, of the history of philosophy, with sections on ‘roman’ philosophy (“l’epicureanismo romano,” “lo stoicism romano,”) --.”  Grice: “Perhaps the closes Barié  comes to me is in his ‘The concept of the ‘transcendental,’ since I struggled with that in “Prejudices and predilections,” where I feign to think that perhaps ‘transcendental’ is too transcendental an expression and should be replaced by ‘metaphysical,’ but my tutee, Sir Peter, being more of a Bariéian, disagreed wholeheartedly!” – Grice: “I cherish Apel’s comment on Barié: “Surely, if we are going to have ‘l’io trascendentale,’ we need at least ‘l’altro trascendentale,’ or as I prefer ‘il tu trascendentale.’” Partendo da posizioni kantiane pervenne a una posizione da lui stesso definita neotrascendentalismo, scuola di pensiero di cui fu il fondatore. Nato il 19 ottobre 1894, si avviò agli studi di diritto che concluse solo a seguito del primo conflitto mondiale, che lo vide impegnato inizialmente come ufficiale di cavalleria e poi come aviatore. Nel 1924 ottenne la laurea in filosofia.  Inizialmente attestato su posizioni kantiane (La dottrina matematica di Kant nell'interpretazione dei matematici moderni, 1924, e La posizione gnoseologica della matematica, 1925), nel corso del suo progredire intellettuale Barié perviene a una posizione filosofica critica nei confronti della dottrina kantiana. Di questo passaggio è emblematica l'opera Oltre la Critica, del 1929, che mette in luce le difficoltà della dottrina precedentemente sostenuta.  Il periodo metafisico Oltre la critica segna il punto di svolta dell'attività filosofico-intellettuale di Barié, che comincia a sviluppare un interesse metafisico, forse dovuto all'influenza di Piero Martinetti, del quale era stato allievo. In questo senso il filosofo, nel suo primo approccio alla metafisica, si pone su un binario che era già stato di Spinoza, salvo poi rendersi conto del fatto che anche la posizione spinoziana è in realtà insufficiente per tentare di risolvere il dilemma della relazione essere-pensiero. Si ha quindi l'approdo di Barié al pensiero leibniziano, testimoniato dell'opera del 1933 La spiritualità dell'essere e Leibniz.  L'approdo al neotrascendentalismo e Il Pensiero Libero docente dal 1929, ottiene la cattedra universitaria nel 1933 spostandosi di conseguenza a Genova, Roma e infine Milano, nella cui università succede al suo maestro Martinetti nella cattedra di filosofia teoretica. Consapevole del fatto che, per quanto superata, la lezione antidogmatica di Kant non poteva essere completamente ignorata, Barié inizia una profonda revisione del proprio sistema teoretico che lo porta a diminuire drasticamente le sue pubblicazioni (di questo periodo sono il Compendio sistematico di storia della filosofia, 1937, e Descartes, 1947) e che culmina con la pubblicazione de L'io trascendentale (1948). Nel 1950 fonda l'istituto di filosofia dell'Milano con lo scopo di renderlo centro propulsivo di una discussione filosofico-culturale con le realtà filosofiche del tempo che si sarebbero confrontate con la nuova visione di Barié, adesso orientato verso una concezione di filosofia come metafisica, ossia di metafisica quale causa della realtà sensibile e del pensiero. Con lo stesso scopo nacque nel 1956 la rivista Il Pensiero. Altre opere: “La posizione gnoseologica della matematica – e dell’arimmetica in particolare” 7 + 5 = 12” (Torino, Bocca); “Oltre la critica della ragione e del giudizio, il criticismo (Milano, Libreria editrice lombarda); “Spirito e anima: La spiritualità dell'essere e Leibniz” (Padova, CEDAM); “Compendio sistematico di storia della filosofia con particolare attenzione alla filosofia romana sino Cicerone” (Torino, Paravia); “L'io trascendentale non-psicologico” (Milano-Messina, G. Principato); “Il concetto trascendentale” “Il trascendentale” (Milano, Veronelli.  Note  Atti del V Congresso Internazionale di Filosofia, Napoli, 1924  riproduzione fotografica (p.1-109) da OpalLibri antichi  riproduzione fotografica (p.110-202)  Davide Assael , Giovanni Emanuele Bariè, Milano, CUEM, 2008. Davide Assael, "Il neotrascendentalismo di Giovanni Emanuele Barié", in Rivista di Storia della Filosofia, 2009; (4),  731–759. Davide Assael, Alle origini della scuola di Milano: Martinetti, Barié, Banfi, Guerini e associati, Milano, 2009.  Milano Accademia scientifico-letteraria di Milano Università degli Studi di Milano Scuola di Milano  Giovanni Emanuele Barié, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giovanni Emanuele Barié, su sapere, De Agostini.  Giovanni Emanuele Barié, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Giovanni Emanuele Barié, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.  Filosofia Università  Università. Giovanni Emanuele Barié. Keywords: Enea, lo stoicism romano, Enea, eroe romano, eroe stoico, Catone, il noi trascendentale, vico, storia vichiana, arimmetica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barié” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51789801666/in/dateposted-public/

 

Grice e Baricelli – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Marco dei Cavoti). Filosofo. rice: “Italian philosophers can be eccentric; Baricelli started commenting Plato but his masterpiece is a philosophical tract on sweat, as experienced by the athletes Plato was familiar with!”Medico, chimico e filosofo di fama italiana ed europea, Giulio Cesare Barricelli- nacque a San Marco dei Cavoti nel 1574 (o 1575) e fu da molti, pure erroneamente, ritenuto originario di Benevento o di San Marco Argentano in Calabria.  Erudito e studioso di poliedriche attitudini e capacità, studiò medicina e si interessò di filosofia, tanto che ancora giovanissimo fu autore di commenti alle opere di Platone, mentre nel pubblicò l'opera in quattro libri De hydronosa natura sive de sudore umani corporis, sulla natura e la terapia della sudorazione umana, nelscrisse l’Hortulus genialis, edito a Colonia e Ginevra ove raccolse antidoti e sudi sulle intossicazioni, e successivamente diede alle stampe il Thesaurus secretorum, opera in cui sono elencate le cure ed i rimedi per svariate malattie e problematiche quotidiane.  Nel 1623 pubblicò poi un trattato sull'uso del siero del latte e del burro come medicamento, intitolato De lactis, seri, butyri facultatibus et usu, e nello stesso anno gli fu conferita la cittadinanza beneventana. Cultore di studi umanistici Barricelli scrisse anche alcuni epigrammi latini e morì in Benevento tra il 1638 ed il 1640.  A San Marco dei Cavoti, nel corso degli anni, gli vennero intitolati un antico circolo ricreativo (sec.XIX-XX), la scuola elementare (1942) ed infine la strada ove si trovava l'abitazione in cui visse, già denominata Via Pastocchia, che ospita anche un monumento in suo onore, opera dello scultore Giulio Calandro (1989).  A proposito dell'intitolazione della scuola, su espressa richiesta dell'allora commissario prefettizio Mario Jelardi, l'insigne storico Alfredo Zazo propose la seguente epigrafe che ne riassume le doti i meriti:  A GIULIO CESARE BARRICELLI CHE DEL RINASCIMENTO EBBE LO SPRITO INFORMATORE E LA VASTA ATTIVITA' PROFUSE NEL CAMPO DELLA SCIENZA MEDICA DELLE LETTERE E DELLE SPECULAZIONI FILOSOFICHE IL COMUNE DI SAN MARCO DEI CAVOTI A RICORDO ED INCITAMENTO PER LE GENERAZIONI CHE IN QUESTA SCUOLA SI EDUCANO NEL FERVORE E NELLA FEDE DEI NUOVI GRANDI, AUSPICATI DESTINI DELLA PATRIA XXVIII OTTOBRE 1942XX E.F.  Opere. “De hydronosa natura sive de sudore umani corporis”; “Hortulus genialis”; “Thesaurus secretorum De lactis, seri, butyri facultatibus et usu. Alfredo Zazo, Dizionario bio-bibliografico del Sannio, Napoli, Angelo Fuschetto, Giulio Cesare Baricelli, 1989 Andrea Jelardi, Dizionario biografico dei Sammarchesi, Benevento. nis Hortuli Genialise RERVM MEMORABILI VM , QVAE IN HORTVLO Geniali continentur elenchus . A Beſton accenfus,perpetuòarder. A cos. 12. poribus effe &tus procreari. Admirandumauxiliuin advefica calculum , qwo abſque inciſione diffoluitur de expurgatur. 211. • Alapides renum vefica frangendos mirabile remedium . 204 Ammantium lac ab alimentis recipere qualita tem . 174 Agricola nonſemel tempeftates e Serenitates pre dicunt. Abſyntbiumroborat ventry Abfynthij Romani mira i 170 Abſalonformararus. Acorescapitis bufonefanartit Achatis lapidismirabilis Acetum ad i &tus venenosov Acetiſcyllitici miraoperato 371. Adam eratſapiennriſsimus Aegyptiſ in annimenfura 233 Aegyptiorum opinio de elementis. Isbe Aepyptij in morborum -Chrafacileadiguem recara 178 Aemorrhagia( electumprefidiuna : 176 . ( Aegypti hierogliphicis vacabant, 2085 Aegyptiorumarcana ait quartanam Aegyptijregesopera magnifica do admiranda an . Liquitus conftruxiffe.zi. Aegye MONACENSIS. REGLA BIBLIOTHECA Tunt. Aegyptiorum in condiendiscorporibus obferuatio. Levis ſalubritatem ad vite produktionem maxå moperè videmusconducere. 34 Aegyptiorum Auditim ir lapidis á vefsica extra Sione Aegyptij quomodoignea prefidia component Aerisnatura quomodo nofcatur Afflictionem tribuere intellettum . Agricolafilicibus in horreis cur vtantur. 200 Agricola cwufdam interitus. Alexandri mors.quo veneno fuexit caufata Alexandri ſudoredolens. 197 Alexandri uder.fanguineus. Alexandrimagnanimitas in ftudiofos Amazones mammas dextras ſecabant. Amoris originis controuerfia Amantes surfacile irafcantur, Ambarum vi ebrietatemfaciat. 307 Animalia quadam Arni tempora pradicero. 224 An transformatio realis detur. An animal in igne viuere poſsie. 18 Anni computum diuerfimode fa &tum Animalia ex putri materia non ſemper extitiffe. Anicularum quarundam facinona. Antimony in vitrum redu & io. Anuli Bubali ad gramphum vtiles: 98 Anularis digitus cordi amicus. 100 Antora napello inimiciſsima. 175 Anginaprafocatina vt compefcatur. 197 Animalia a vteerikus Dis dicata, 226 58 Anguil 214 290 306 343 120 Anguillarum cum Aquilone affe &tus Animantiumcobur à cominé oritur. Anni climacterici quales. Annibalisſtratagema in boftes. Anniprefagia à quercus galiis: Ancitodorum aliquor obferuationes. 171 A priteftium virtus mirabilis. 162 Apri ægrotantes hederam quarunt. Api efum infauftum veteribus, 165 Apri dentes adanginan dompleuritidem vtiles Apes imminente pluuia adalucaria redeunt Apiumri usherbafcelerata; Apum mirabilisſagacitasdan officium Aqua mirabilis ad viſusdefectum Aquilinumlapidem partum accelerare , 126 Aquafrigidaqualiter apparetur. 314 Arcades qualiter annum computabant. 39 Archelai Regis in populos immanitasi go Arboris ficusmirabilisnatura: Arietislingualantium ostendit. Araneorum reła in medicina vfurpata Arbores quandoquein lapides mutati. 90 Artemiſia quando in radicibus carbonem producati Articulares dolores quomodo curentur. Archelaus Rexaſtronomie ignarus Ariſtotelis opinio demularum ortu . Ariftotelis rerum indagator , Ariſtolochia piſces ftupidosfacit. Archelaus turrim incombuſtibilem fecit: Aſphaltirisla 'usmirabilis natura, Apronomia medicis neceſaria Ararum vomitu humores expurgat. Aparagor um 2u corporis nitorem producit. 245 Afphespropè halico ibum fiupidi. 272 Aſparagi vi mirabiliter erefcant. 279 Ap.dum natura qualis. Athenien esfacerdotes cicutam comedebant Atrila canis instarlatrabat Athenienfium ura erga fiicos Aues vfu Taxi nigra fiunt. Auri vfus in medicina Aufonij locus de mecha uxore Afilici odor vermesgignis Bafilijanhabitat pelicudinibm Aphrice Ibid . Bafilifcum haudàgallo excludi. Bardana mira vis in affe& u uteri. Bituminis vis in hiſterica paſs. Braſsica, dorura fimul fatahereunt. Bruta aliquot lafciuiffe in fominas, Bryonia mira virtus in affe&tu-matricis. Braſsica fuccus contra ibrietatem . Britânnurum præfidium in furiofos. Bubuloftercore colicam ,anari. Bufonis lapis cóntra vinena . Bufonis.mira propriet as in Aſcite. Arnes dura utfiant teneriores. Canes.obmutefcunt vmbra Hyena. Capramaximèepilepſia tentatur, Capillorum defluussm laudano curare Cani Canicula exortum à veteribus previſum , Carnes cocta ,quomodo crude videantur. 161 Canes fabrorum exiguos habent lienes Cancri vini quomodo co &tifimulentur Capre in luftinis montibuseuomunt Capilli noftri plantis affimilantur Caftratilienem , dan vitella ouorum deglutire ne. queunt. Cauſtica remedia ,qualia adftrumas Caryophillgte vis adcorporismacular. 287 Caftorei teftespropèrenes adeffe Caminus quo fumum non emittet, Calphurnius beftia uxores dormientes necabat.33% Catelli membrorum dolores confopiunt, Cacodamonem mali nnncijpraſagiumattuliffe.32 Calendula folis amica. 341 Capiuacceiopinio de menftruofanguine Cantharidum mira vis nocendi Carthaginienfium prefidium ad deftillationes in . fantium . Cati.cerebrum hominesdementat. Cornilacrymaſworesſuſcitat, Corui renouantnr eſos ferpenris Cervi carnes ad vita produftionen . 107 Cepamab Hyppocrate deteftari. (109 Ceruorum vita longiſsima 281 Cerius Alatus Francorum inſignie Cerninum penem.conceptum facere. Ceraforum aqua epilecticis vtiliſsima 348 Chamedrij mira vis ad lienofos Chalcanti vfus quidoperetur Chymici forebantapud veteres: Cibm ܫܐ 306 Chuslapidusquomodo apparetur. Cicutam uterinum furorem domare Cicuta virginum mammas detumat. 344 Cynorrhodi radix ad hydrophobiam Cyminum hominibupallorem inducere. Cyprinorum vfuspodlagricis infeftus. 135 Cyprini officulü caluarisad spilefiä mirabile Clarorum virorumexitus. Lorui morientiúm fæditatem fentiunt, 1j2 Colicu dolor quomodofanetur. 88 Collegium veterum pro tuendaſanitate. ) 2OS Cotoneorumfeminaadcombufta. 208 Confedtio fenibuspraftantiſſima Corpusutglabrum reddipofit Corpora venenatá vtnofcantur. 24% Coralline vis adlumbricos Corniplanta hydrophobiam ſuſcitat Consensus de disensus animantium Corneliu Celji valetudinis precepta . Creationis mundi opiniones. 10 Croci metallorum.compofitio. : 29% Crinesmulierum qua via denfiores fiant Cupreff folia Strumas auferre. Cur fit vtquis clauos vomere videatur. Cucumeres oleum abborrent. Cur quiti impronisè moriantur. D. Ature flores Defunium capillorum ab hydrargiro, Demoris afturia apud indos. IS Democrittfedulitas in olei caritare . Demofthenes quomodocuraffet lingue impedimen 14.290. Denti. 306 174 Dentium dolores bufonis tibia janari: 10% Dentium ftupor àportulacaremouetur Dentium dolores paſtinaca marina radio conquieſterr Defipientia mulieribus familiaris, Digiti annularis ſympathia . 160 E. EBura quoartificiocolorentur. Ebriy variafufcipiunt deliria , 312 Echini ſagacitas in ventorum mutationibus. 41 Elephant's in fæminam mirusamor. 81 Empiricorumremedi4periculofa Epistola quomodo in ouo celetur Equam grauidam marem admittere. Equagrauida fomas occiditur,abortit Equorum teftes ad ſecundas depellendas praftan . tiſsimi. 317 Equusphaleris accinctus acrior.fot. 363 71 Asies rugata quomodo emendentur. Faciem hominis diuerfimode alterari, 42 Familia in Creta mire faſcinatrices Faces ardentes ex Betula corticibus. * 339 Fætor extin &ta lucerna grauidisperniciofu , 48 Febricitantium fitis qualiter compefcatur Febrem à quodum pifceillico exitari. 194 Fæmina aliquot inrares mutate, , 160 Fæmina pruritu corripiuntur in pudendis in prima menftriornm eruptione. -Fæcula Brionie in affecte vteri Feniculorum femina aliquando exitialia Filij Filij â parentibus figna recipiunt. Ficorum efumfudoremparerefætidum  Filices ab agris qualiter exterminentur. Flores in Aegypto fine odore. 145 Flamma quomodo in aqua excitetur. 176 Fluuij aliquot mirabilis natura. Fructum vinearum , iumentorumg interitus pre ſagium Ferarum natura in hominibus mirum in modum deft. 8a Fons mirabilis apud Garamantes. 299 Frigida post pharmacü exhihita, felici fucceffu Fraxinum ferpentibus inimicum : Furiofi in pleniluno,magis infaniunt. Futi vulnera quomodo curentur. Fungi ubi in lapides mutentur. 90 fumus hydrargiri quid efficiat Galenu,Medicorum princeps Aline appenfo milui capite furisunt. 188 Galega, defcordij vis contra peftem . Gallinarum.stercus adfungorum viru . 276 Gallinarum adeps quomodo diu ſeruetw .. 28% Gallina quomodofæcunda fiant. Gentium.don populorum ingenia. 17€ Germanorum mos circa coitum . 72 Gigantes quando in orbe fuerint, Gymnofophifta apud Indos mirabiles. Grauidationis muliersus affertio. 7 % Grauida mulieres marein admittunt. 73 Grauida conceptü quomodo valeant occisltare. 22 Grauidaaliquando fætupariuntfine vnguibus. Gra 200 Greuide mulieres curpallida. 139 Greci de Iudeorum monumentis nihiladduxe 189 H. Auftulus aqua matutinus falubris . Heclaignis aqua nutritur Hemicrania Gagate fubmouetur. 133 Homicrania à carduo benedi&to fanythr. 216 Herfetes ceroro tabacci coufanari. Hellebori nigti ele&tio in Anticris. Hederam cumvino habere diſcordiam Hemorrboidailisherbe mira virtus, 340 Hellebori nigriextra & nm . 160 Hybernie miraaerisſalubritas, Hidropsà viridi lacerto confanata Hydrophobosè poto catuli congulo aquam illico ap petere. Hippocratis opinio de balbisdefe&tiua, 74 Hydrargiri minera quomodo reperiatur. Hyppiatriquo studioftellas albas in equorum fu cis confingant Hydrophobia rara dicuffion 54 Hydrargiri mira natura. .183 Hydrargirum remedium eft advermes. Hydrargirum utilead celidolorem Hydrargirumremedium in pofte. Hydrargirum defluuium capillorum facere. Hominis vite longitudinis breuitatis figna, Homo repertus mira vaftitatis. 170 Hominumcur aliquotfubtilioris, vel graffiorisin . genijfiant. 187 Homines Principis vitam imitantur. 17 320 326 Horai. 61 Homines inuenti miragracilitatis. 245 Hominis compofitionismirabilia Hominesquomodo fiant abfemy. 327 Hominum corpora olim vafta Ibis in degyptofolum moratur, Ignispraſidra admorbos fele &ta . 303 Infantes à quibusnutricibm ladandi. 23 Infantis inumbilicum animaduerfio. Indi ante Hiſpanorum tranfitum variolas baud paffi funt. 88 Infania ex folano fyluatico quomodo emondetur.85 Indus quidam longiffime vite. Infantes eiulareautoladein mammillu , Infantium ruptura ut curentur. 100 Infantes vipreferuentur ab epilepfie. Infantes ànutricibus mores recipere 270 Infantis umbilicum conceptum facere. 334 Inser Lupum eAgnum diſcordia . Inter brafficam , de vitesfympathis. 338 Iumenta clitellaria fibilo , cantu á laboribus fubleuari Aminas aris& vitrileo extrahi Lapidis ignem redensis compofitio. Lapathiam camas duras,teneruofacit, Lacerta apudIndosmira magnitudinis, Lu ,fanguisaliquandopluers viſs. Lepusannis decemviueredicitur . Letargicos à Satureia vigiles fieri. Leonardi vatri de partu opinio. 102 237 Leones Leonesaftatttertianam patiuntur. 348 Leporumnonomnes hermaphrodui, 294 Leo timet Gallung. ISO Linteaapud Indos igne depurari, Littera aurei coloris quomodofiant: Lignum èviſco Latum diſcutita Lienem adcorporis turpitudinem valere 191 Lolium praun inducit ſyptomata . 86 Lolij nocumenta Aceto fanari. Ibid . Lups afpe&tu homines obmuteſcunt. Irupi pauci reperiuntur,ones autem multa Zapi quomodo ouibus nacere nequeant. , 106. Lumaca lapispartum ,accelerat Ludi in conuinijsfeftiuiquales, 19 Lupi,canes, doFeles ut curentur, 175 Lupi in fenio ſerpentesin renibus.generant. 234 Luna confinusad inferiora, mirabilis. 236 Lue gallica canis infeftus 243 Lumbricosquandoquegenerari virulentos MAmirimum vitulum àfulmine non ladi, izg Aris yubri admiranda : Maleficas artesir Septentr. exerceri 176 Mascitius, quàm fæmina animatur , 182 Maritimarumtempestatumprafagia Maculanigre in morbisquid portendant. Mădragoravitibus infundit vim ſoporiferam :214 Mares in mammillisſapè Lachabent.. 323 Marina pallinace radiusad dentiumdelores yti lis. Mommarum sum vtero ſympathis Medicinepraktamsia quanta fit .. Menftrualisfanguinis immanita , 92 Medea an fuerit venefica. 138 Memoriaquo prafidio augeatur. 138 Mercury pojisura in hominūnatiuitatibus, quan tum valeat. Mergorum i anferum proprietas contraHydropho biam .. 49 Mellis vfu vita vtiliffimus. 285 Medicina multa abanimalibus capta . Meſpulilignum ab ab ortu preferuat. Menftrua plerifqs fæminis in fenio. Mirabiles in hominibusproprietates dari. Mithridates inculpatè venena bibebat. Mithridatis antidotum ad venena . Mirafontis inEpgroproprietas , 285 Mille pedum preparatio adcalculos. 223 Mille folium aduulnera conſolidanda . Morborumprauorum natura , 69 Morus planta prudentiffima . Morfusquidam à cane rabido latrauit. 1893 Mors inArthritide quandofuccedat. 190 Mures futurorum praſcj. Muftela cur rutam comedat. Multa prafidia ab animalibus homines accepije. 316 Mulierum capilli quomodo in vermes mutentur.zo Monftruofa Dæmonis apparitio. Mulieres pregnantes vt nofcantur. Muftella fanguisadepilepfiam . 197 Mundi creatio .ornatus. Mullus sterilisatem producit. 167 Mulierum pinguedoſuamis. 22 67 Mutin 140 Mulieresrarò inebriantur. Mulorumgenuspropagare nequit. Mulieresin. Ponto animalibus.nocentes . 247 N : 64 392 Natura presidentia in brutis .. Natsuitates.hominum quando ob'eruende 230 Natura arcanaprovira producenda. Neronis crudelitas quoque pads a nutrice wiginem fumpfit . 26 . Nero Tapfiam magnificauit. Nereides, Sirene lepe vifa fust : Nili proprietu admiranda 10 Niues rubentes in Armenie. Nodi in vmbilico infantis quid sotentas Nuxairiftica quomodofiat vigore for 1 1 20 % 139 O Learum fterilitatis preſagium : olei, vini,fegetumquefterilitatis prefagium. olei balneumproconkulfis laudatum . aleun amigdalarum dulcinm advariolarum veftigia probibendu. olea Minerka a yeteribu dicata: 114 slei cinemani raracampofis. 194 elina olinarum oleum adunguium pannas. tur. Par 200 Oleum latris colicum affe& um domato 108 Oleum lixiuio miftum albeſcit. 332. Opthalmia aliquando.folo afpe & u communicar 203 @ris ulceraquomodofanemtur: Oryalus viſu auriginoſos.sanat.. 203: Orestis cadauer odto cubitorum . fa de corde Cersui.corina uznena.. Oxes capite mouentpluuialmininente. Quesalba ubi nigrefiant. 352 P Arimdi difficultasquandoqueà curto umbi lco prouenit. Paracelfafalſaopinio dehomunculipartu. 108 Panaritiumqualiter illico fanetur . Parthi, Scytheque quo venenofagittas linjrent.318 Pestilentitemporeinter precipua præfidia.neris 18 Aifcatio fummum iudicatur. Papauer agreſte contra pleuritidem , Papauer ſolisfpheraminfequitur, Perfa.aliis coquinas replebant: Pediculicorpora morientium relinquunt 79 Beftem ex occulta antipashia oriti. 147 Penna Ibidis ſerpentes-terret, 339 Perniones:quomodo fanentur: Phalangii'ueneni opera. Phrensuci cur fortiſsimifint, Phrenetidem exnigro-corallio quiefcere 146 Bhreneticialiquando mirabilia loqui. Pharmacum dare, quando periculofum . 242 Philomenaà vipera deuoratut. 288 jot 3.1 $ 276 1:59 Pifa 102 Piſces marinifalubres, japidi, Pifiesfrixi quomodo in venenum tranfeunt. 72 Pici mirandulani ingenium ; 183 Picem cum oleo habere colligantiam Pici opinio de fcientiarum varietate. 16 Portulæca foment contra lumbricosa Plurimamèterra furfum rapi iterumque deorfumi cumpluuiis precipitarz. 333 Polypodijmira viscontra cancrosa 239 Porri caputquomodo augeri pofsit: 25+ Potentia imaginatiua in conceptu mirabilis . 295. Planta fimileseffe&tu fimiles , vinute... 77 % Pluvia imminentisprofagia. Plumburglans in coli dolorepraffans. Prognoftica tempestatis pluusoſa. Prafodiam mirabile ad calculos 337 Preſedia admiranda inangina. Pfli, do Marfi ferpentibus amici. Pulchritudo, deformitas afpeétuo quid portono. dat . 175 Pulchritudo corporis quo termino confitna . $ . Euella à teneris veneno odusara . 36 Pulſus deficientes anfemper mali, 140 Queen Vanium profit neris puritasin peffe. 103 Wartanarii improuifo rimore fananiky. Mr. Qua via volucrumpennacolorentur. 199 Quartana quomododebellerur. ***** Quibuscorpusflorsfcit,his lien decrefcit. 219 Quo artificio es aduratur. 153 QuorumdamiAnimalium vitalongitado 117 Quorumdam animalium naturl . Quorumdam homină virtutes, & ornamenta. 196 quo artificio mares ab. uxoribus. [tyfcipere vales 235 Quo Artificio duriſsimafaxa frangerevaleamus.30 Quomodo in urdieriſomasexcitari valeamus.341 mks. R Aneterreftris oleum aditrumas ! Rexbarbarumcidoniatum gravidisfummum medicamentum . 263 Rerum Sympathiam in aliquot brutis Admirabi. lem effe; . 113 Rută inter alexiteria medicaméta cõnumerari, 49 Rores marini virtus miranda , 123 Ruta mira. vis contra venenum . S jabbarici junijmiraproprietas, Sanguis menftruus quandoque ex oculis velgingi uis excluditur, 77 Salis prunelle virtus,de compofitio. 149 Sartyriam carnofum venerems excitat ,flaccidum vero extinguat. 706 Sanguis menstrualisexucis, ſcarabais venenū . 218 Sanguis caninus hydrophobis vtilis. Saliua bominisfcorpionesnecat . 317 Scarabei miraproprietas. 280 Scarabai cornuti vis in febre ciendo . 223 Sciffure laborum.usmanuum remed . 262 Scythe quomodo diuabfque cibo vivant: 3:32 Berpentesquibus fufficibusarceantur. Sene&tutisincommodah Sepermusinter mafculos meră retinet virtutã.226 14 128 Serpeniums ona, velgenitura in pornfumptaSerpenting gignunt. 319 Singulis quopatto cohibeatar, Socij Diomedis in volucres conneri . Solis confuxm ad inferiora maximus. Solatri potencia contra parafitos. 40 fomniorsuspreſagia à Deoconcedi. 238 Sodami -Gomorrbi fruétus vari. 342 Solis defe & us quomodo comprehendatur. 343 Spurij robuftiores legitimis fuus . 95 Spe& acula veterum vbi celebratamagis. Spuweis epilepticis non femper filo Spatiuwvil e fecundum Acryptias. Stygis Arcadiemortifera natura . Sirumarum mirum remediusa. 100 Strumaper vrisano quandoquepurgalai 257 Sterilituin bomine ytdiriwratur SAMIremedium temporepeffu. 210 Succinum parium mulieris accelerare , Syrupus fpinæ infeftorie ad temelusume. SS SwimeisterSidera calidißima . T. sbacci vw apud Iudos. 15 Talpeoleum ad Aruma. 257 Taurifanguis inter VEREBANwerari. 29 Taurilapillu veſice contracalcules. Taum Philoſopbw famen cabiberet . Ferro lenonia contra ventna . Tbagfia mira vis in facillasi . SO Thappa 319 274 T 93 138 213 105 - Thapſia veſsicas, do ademata excitat. 9 Torpedinismira vis in capitis dolores. Trauli,cobalbi,do femilingues unde finns . Tuberum efufrequenti hominescadunt. 13? Aleriane vis contra epilepfiam , V Variola ,morbilli affe&tmnoni, 74 Verruce quomodo extirpentur. Verbena vis in capitis doloresi Verbena virtus contra frumas . 89 Vermium in corporibus hominum varia figura 18 periuntur. 93 Vermes rubei in cerebro adnati. 134 Verbafci florss Sole aecedente decidunt, 137 Veterum fepulchra mitèconftrudia . 158 Veterum ruditasdo, in foribendovarietas. 197 Vena ſarustella ſpleneticis auxiliatrix Veterum in nuptiisconfuetudo. 275 Veteres equoram lacrymas admirabantur. 192 Venenumà diſsimili extinguigecontra , 309 Vermes in cordis.capſula exorti, 322 Ventorum mutationes ab Echmo previderi. 41 Vifusacies,in quibus fueritadmiranda. Víres collapſa odoribus reſarciri poffunt. 47 Vitrioli, com fulphurisoleumad vermes. Vipera catellosfuosparit,utnutrit. 60 Vipera inter ſerpentes fola parit animal vinã.ibe Viperamorſus Hellebori nigri radicibus fanan. Vinum pro Afthmate ſele&tum Vito longena quomodo apparemme. 361 zur . Vina Vina alba quomodo rubra fant , Virginitatismulierum figna . Vitrum quo modo diuidarur. Vinum venenatumquibus profuerit. 29L Vinum à veteribusfeminis interdi & um . 304 Vifcum quercinum epilepticis falutare. 318 Vitri puluerem calculus comminuere. 344 Vimivſus elephanticisfalutaris. 325 Vlcera formicantia quomodo breui fanentur. 59 Vricornu proprietas, bet cognitio. Volatilium ,piſciumque fecunditatispreſagia. Vrtica folia ſalutem , vel mortem informi in lotio prefagiunf.  DeMedicinepraftantia. Edicina decçio demiſla eft: ita Mercurius Trifmegiftus apud Aegyptiosſapientiſsi. profectoad fluxilis natura goltre remedium Deus altiſsimus ho minibus conceſſit; vt fanitatem conſer . uare, &perditam recuperare commodè valeamus. lofa autemà vitæ conftituto termino, & à morte nequaquam viuen . sia omninoliberare; ſedcorpora à cor suptione, & feftinadiſſolutione præfer uarepotius iudicatur. Amazonescur mammasdextras refecauerint. Mazones illæ, tantum à ſcriptori bus celebratæ ,propterea fibi má. mas dextras refecari curabant, vt magis A armis HORTYLYS GERIAITS. armis gerendis aptæ fierent; vel potius Demannum , & brachiorum impedire • tur motus. Mihi zutem Galeni opinio 7. Aphor. 43.ex fententia Hippoc. admo dum placet; qui has mulieres id feciffe aferuit, vt manus dextra robuftior cua detet.Hocautem à ratione alienum mi. nimèeft, quippe nutrimentum ,quod in mammam dextram à natura diſtribui debebat,totum in manum , & brachium immittebatur. Strab . lib . 11. Olearum fterilitatis prefagium . Ergiliarum occultatio , & emerso Sucularum tempeftuofi fideris, fi pluuiofam tempeftatémouerit , & vitis, &olei germinationé fuffocabit.Ex hac cauſa Democritus olei præuifa caricate, magna vilitate oliuas in toto co tractu coemit, mirantibus , quipaupertatem , do & rinam , & quietem homini oble & a . mento cffeſciebant : at vt apparuit cau . fa , & ingens dinitiarum acceffio ,reftituis mercedem , contentusleita probaffe, 0 . pes fibi in promptu eflc cum vellet. Ex Fran, luncino in Sphæra. V IVLII CÆSARIS BARL. CELLI & SANCTO MARCO, Do&oris Medici, & Philofophi, Hortulus Genialis. DeMedicinepraffantia. Edicina decçio demifla eft: ita Mercurius Triſmegiſtus apud Aegyptios ſapientiſsi musfcriptum reliquit. Hát profecto ad fluxilis natura noltre remèdium Deus altiſsimus ho minibus conceffit; vt fanitatem confere uare, & perditam recuperare commodè valeamus. lofa autem à vitæ conftituto termino, & à morte nequaquam viuen. sia omnino liberare; fed corpora à cor ruptionc, &feftina diſſolutionepræfer uarepotius iudicatur. Amazones cur mammasdextras refecauerint. AMiszonesilla, tantum àfcriptori .. mas dextras reſccaricurabant,vt magis armis HORTVLVS GERIATS. armis gerendis aptæ fierent; vel potius De manuum, & brachiorum impedire tur motus.Mihi autem Galeni opinio 7 . Aphor. 43.exfententia Hippoc. admo. dum placet; qui has mulieres id feciffe aferuit, vt manus dextra robuftior cua deret.Hocautem à ratione alienum mi. nimé eft, quippe nutrimentum , quod in mammam dextram à natura diſtribui debebat,totum in manum, & brachium immittebatur. Strab . lib.11. Olearum fterilitatis præfagius . Ergiliarum occultatio , & emerGo Sucularum tempeftuofi fideris , fi pluuiofam tempeſtatemouerit, & vitis, & olei germinationé fuffocabit. Ex bas cauſa Democritusolei præuifa caritate, magna vilitate oliuas in toto co tracta coemit, mirantibus , quipaupertatem , do & rinam , & quietem homini oble & a mento effe ſciebant : at vt apparuit cau . $ a , & ingens dinitiarum acceffio ,reftituit mercedem , contentusleita probaffe , o pes Sbi in promptu effe cumi vellet. Ex Frap, lundino in Sphæra. V BA KICELLI O aqua Nili, Nilifluminisproprietas uædam aquæ reperiuntur, quæ fæ . cunditatem proprietate quadam inducere celebrantur: ita eſt quæ ſua vi nitroſa, vt voluit Seneca 3 . Natur. quæſt. natura. fæpè vteros per petua fterilitate occluſos aperuit , & conceptumfecit: Vnde mulieres in AE gypto,vtfcripfit Ariſtot.quinos, & qua ternos frequenrer fætus edunt ; ratio non alteri tribuitur, quàm Nili aquæ , quæ illis in potu familiariſlima eſt. De Mundicreatione. N qua Anni parte Müdus à Deo crea tusfuiflet,diſcordes interſe ſcriptores funt, vt Hebræi , Iſmaelitæ , Chaldæi, Arabes,Aegyptij,Græci, & Latini.Mula ti enim in Aeftate, nonnulli in vere,alij verò in Autumno conditum fuifle con tendunt. Moyles fuiſſe in Autumno affe . rere videtur, cum in Geneli dicat, Ger minet terra berbam virentem , &facientem emen, Glignum pomifera faciens fru &tung iuxta YO & TVLVS GENIALIS. iuxtágenusfuum.Ex Aegyptijs nonnulli A eſtate creatum afferunt. Inter Latinos Cardinalis Aliacenfis vere nouo condi tum voluit.Inſuper variant,quia Plane tas aliquot afferunt in mundi principio fuiſſe creatos in fuis domibus: Solem ſci licet in Leone, Lunam in Cancro, Martē in Scorpione, Saturnum in Capricorno, Venerem in Libra,Mercurium in Virgi ne, Iouem in Sagittario. Alij , Planetas volunt, in fuis altitudinibus, præter Mercuriú ,omnes fuiffe collocatos. Que autem opinio fit verior , D.Thomas 4 fons dif. 2. artic. 8. videnduseft. Murium fagacias. Vres ex ônibus animalbusquo dám do cognofcuntur. Cum enim domus aliqua conſenuit, &ruinamaliquam iamcom minatur, primi ſentiunt; & reli & is fuis cauernis, priſtiniſque fiabitationibus, domum relinquunt, properè fugientes, aliudque domiciliú quærunt. Aelianus de var, hift.lib.z.& Leuisius Lempius do fest. nat. Pluuja Mamodofuturorum præcij effe SARICELLI Pluuioſa tempeftatis Prognoſtics. ' Ergiliarum occafus matutinus , lo nubile Coelo accidat, hyené plu . uiofam denunciat,fi fermo Cælo ,alpe ram.Sic Veneris,aut Martis per Pleiades tranfitus aliquot dicbus pluuioſam ciet tempeftarem.Saturnus inſuper cum cor pore , aut radijs ad a &turum accedit, i dem minatur.Ex Plinio,óobferuat.Stadi. Agricola non femel tempeftates, & f renitates predicant. Vltos profe & o cognoui pafto res, plerofquc agricolas , quiin prædicédislerenitatibus , & tépeftatib. magnæ mihi erant admirationi,quare tanquamcnriofus fciſcitabar , qua via, &ordinc hęcſcirent?ratus forfan fimpli ces , &idiotas non poflc tanta certitudi . ne futura prænoſcerc ;nifi vel Dei mu. nere, vel Demonisa & uid fieret . Exre latu diuerfas ftellarum conftellationes abijs experientia cognitas , no & u , ani . maduerti:quarüobferuatione vera pre M dicunt HORT TITS GENIALIS. dicunt . Experti enim ſupt Pleiades in Autumno , quæ in principio no&is ori. untur cum Marte , velVenere mouere tempeftatem . Aréturum non fine gran dine emergere. Hadorum ortum & oc . cafum tempeftatem pluvioſam in regio . nibus noftris prænunciare; & alia , quæ in promptu tales habent, licet alijs no minibus hæc fidera nominent . Quare mirum non eft, priores ftellarum per fcrutatores circa carum prædi& iones multa nobis reliquiffe,cum id ſapientia , & obferuatione perfecerint, quod iam idiotæ fine magiftro facere valent. Valeriana miraviscótra epilephan . leriana ſylueftris, quęlpontènal. citur,præter innumeras, quæ ab au & oribus ei tribuuntur virtutes, hancia diù, in multis , atque in fe ipfo Fabius Columna in bifter, plant . expertam ape suit ,vt ſemel,velbis radicis puluerisco chlearij dimidium cumvino,aqualadte, aut alio quouis decétifucco & proggro sicómcditate, & ætate fumptü,epilep Valeri Ga correptos liberet. Extirpatur ante quam caulem edat , & puerisexhibetur, & preſertim infantibus, qui morbo hoc facilè laborant. Retulit auctor ſe multis puerulis lac propinafle ; multiſ“; amicis donodediffe : qui deinde diuino prius numine glorificato , puluerehuiusplan tæ illis reftitutá fanitatem affirmarunt. Transformationes hominumin beſtia as noneffe reales. Vædá monſtruoſæ hominü tranſ formationes in beſtias à multis au Storibus fcribuntur; & inter alias, de il la Maga famoſiffima Circe, quæ ſocios Vlysis in deftiasfertur mutaffe : de Ar codibus , qui forte ducti tranſnatabant quoddam ftagnum atq; ibi conuerteba tur in Lupos: de Diomedis ſocijs, qui in voluitres conuerſi ſunt , plurima'addu cunt. Hoc non fabuloſo mendacio ,fed hiftorica affirmatione multi confirmat, vt in fpec. natut.Gib. Vincentius Beluacenſis retulit. Aflerunt enim (vt ajtSolinus )velmagiciscantibus, vel her barum veneficio in feras corpora tranſ formari. Dicunt in experimento Neuros populos Aeftatis tempore in lupos mu tari, deinde fpatio, quod his attributun eft exacto, inpriſtinam faciem reuerti, Anautem huiuſmodi trasformatiorea . lis ſit vel illufivè facta àDemone,D.Au guft.lib. 18. de ciuit. Dei ita nodum enu. cleauit: Quod transformationes homi numinbruta animalia,quæ dicuntur ar te Dæmonum faétę ,non fuerint fecun dum veritatem ; fed folum fecundum apparentiam . Quippe opus hoc tantum Deieft ; vt in Concil, lacro A Acyrano fancitum eft. • Demonis aftutia apud Indos. Erba, quam Tabacchum appella mus , apud Occidentales Iodos in magno cratpretio .Cum eniminter hos dere graui agebatur ,ad Sacerdotemil. lico accedebat,quitotuoegotiúexpone bát. Sacerdos auté corá illis fronde , vel furculum Tabacchiſumebat, qua carbo . nibus inic & ta, fumum peros, & nares ex . cipiebat , & inftar mortuiin terrá cade bat. Paulo poſt conſumptis fumivirto bus in cerebro, reſponsa, ſed ambigua, prout Dæmones perilluſiones, & fimu Jachra fuggefferant , populo dabat ;qua tanquam religioſa, & veriſsima cunati recipiebant. Ita profi eto hominum ini. micus Gentiles decipere confueuerat. Monardes de rebus Indicis. Quid Picusdefcientiarum varietate fentiret. CH *Vm quodam die Ioannes Picus Mi Urandula de fcientiarum varierate diſſereret,in Hebrçorú ,inquii ,Philofo phia, omnia funtveluti quodam numi ne facra, & in maieftate veritatisabdita Ceu prodigia quædam , & arcana myfte sia . In Græcorum veròdifciplinis, in genium , acumen , & omnigena eruditio apparet , vt nulla vnquam gens fuerit, quæ dicendi copia , & ingenij elegancia cam illis poffitconferri .InRomanaved sò Academia, ca ferè omnia, quæad ci. witaté, & vitæ morespertinent, &graui. * , & copiosè funt explicata,ac magni fica NORTÝ Ers GENIALIS. P. ficè diđa. Sic ve grauitas maximè Roo manis, & imperijmaieftas,Grçcisinge nium, &acumen; Hebræis do & rina fe . cretior , & quaſi diuinitasaſiribi poſsit, Crinitus da honeft. diſcipl. lib.g. Subditos , Principis vitam vtpluri. mumimitari Rincipis vitam fubditi maximopere imitantur. Hinc fa & um eft,vt ex Philofophica vita Marci Imperatoris, magnum virorum doctorum prouentu ærasilla tulerit. Solent enim plerumque homines vitam Principis æmulari iux . ta illud Platonis à Tullio in epift.ad Lé tulum reperitü : Quales fum in Republica Principes,sales folers effe cines.Quapropter ex bonitate Principis Marci, plurimila philoſophari finxerunr,vt abeo ditarë . tur. Ex Herodiano, & Xiphilino. Rutam allium ferpentibuset werfari. Vtä odor,allija; ferpentibus max ex teftimonio Ariſtotelis 9.de.biſtor. animal.c. 6. habemus muſtelam , cum dimicatura eft cum ſerpentibus , rutam comedere. Hac etiam ratione ducti Perfæ( auctore Simone Sethi ) coquinas allijs replebāt, vt ipfasà ferpentiú contagio tuerentur. Animaliaoriri, & viuere poſſe in ig ne compertum eft. Agna admiratione dignum eſt illud, quod ab Ariſt. s.de hiftor. animal.6.19.adducitur; animalia ſcilicet oriri, & viuere in igne,cum elementum hoc omnia comburat: & nullatenus pu treſcat. In Cypro, inquit, infulaærarijs fornacibusvbi , Calcites lapis ingeftus compluribus diebus crematur,beſtiola in medio igne naſcuntur pennatæ ,paulo mufcisgrandibus maiores, quæ per igne Saliant, & ambulent. Equidem fià tanto viro hocnon aperiretur ; vix credere homincs auderent , cum totum rationi aduerſetur; fed hæc, & alia maiora à po fentiſlimanatura fieri poſſunt, 10 Lacus HORTVLvs GENIALIS . C Lachs Affhaltitis mirabilis natura. Yommemoratione dignum puto Alphaltitis lacus naturam expo nere.Salfus ille quidem,ac ſterilis eft,fed tanta leuitate , vt etiam, quæ grauiſſima ſunt,in eum iacta fluitent:nec quiſquam demergi in profundum ne de induſtria quidemfacilè poſſit.Denique Veſpaſia mus , qui eius viſendica uſa illucaccelle sat, iuſfit quoſdam natandi infcios, vin &is poſt terga manibus, in altum deijci, & euenit omnibus, vt tanquam vi fpiri. tus farſum repulfi , deluper Auitarent. Joſepbas lib. 5.de bello Iudaicri.9. Piſces marinos falubriores, & fapidi. ores efe fluminum piſcibus. lices, tum pidiores, tum falubriores ſunt ijs, qui in fuminibus, ftagnis , lacubus, auc riuulis viuunt.Salfedo enim duriorem facit carnem , & fubtilioris fubftantiæ . Contra in piſcibus, qui ſunt in fiumini bus, &perinde eorú caro excrementitia eſt muccoſa, & infuauis. Vndeapud Co. lumellam extat lepidum didū. Philip pus cum ad Numidam hofpitem deue niſlet, & fibi è vicino fluminelupi for moſum appofitúdeguftaffet,ex puiſſet guc dixit: Peream ni piſcem putauerim ! vſque adco à Tyberino,velmarino dif. ferre putauit, vt illum piſcis nomine in. dignum iudicauerit. Mulieris cinni fogant ſerpentes, da in vermesmutantMr. ulierum capilli, quibustantopere gaudent, & pro quorum ſtructu ra in exornandis multum conſumunt te . poris ,cremáei, ferpentes abigere vifi sūt: fin autem in aquam inijciantur, in ver mes non diù retenti commutantur. Plurimos homines aqui per tenebras, de per lucem vidiffe. Erum natura opulentiſsima admi ſus aciem ,oculoſgue ſplendentes pręſti tit; vt multi felium more noctu vagari liberè potuerint. Legitur de Alexandro per tenebras æquè,ac per lucem vidiſſe; viſum adco acerrimum habuit Galenus, quod in lomnis, patefactis repentè pal pebris, magnamante oculos lucer via debat, vtiplede ſe fidem facit lib. 7.Hip port. Go Platon , plac.6.4. At mirabilior erat TiberijCeſaris proprietas; qui in tenebris exactè videbat;de qua re adeo admiratur Tranquillus, vt id pro mira culo ſcribat. Cibusfapidiſsimus quomodo apparetur. Viſapidissimum cibum habere de liderat, Gallinaceos pullos, qui la &te & panis micis laginati lipt, in menſa procuret, ij profe &to præſtantiſsimum ſaporem exhibent, mireque cum palate ineunt gratiam . Andereriam carycis nu tritus, tum ad medicinam, tum ad gula faporem eſt optimus, & piçlertim iccur. Vnde non mirum L in Inſula Hiſpa niola apud Indos, porci harundinibus zacchari faginatitantæ , ſapiditatis , & bonitatis ſint, vt febricitantibus etiam exhibeantur, Gigan eft muccofa, & infuauis.Vndeapud Co. lumellam extat lepidum di& ú. Philip puis cum ad Numidam hofpitem deuc niſlet, & fibi è vicino flumine lupi for mo ſum appofitú deguftafſet,exfpuillet guc dixit: Peream ni piſcem putauerim ! vſque,adco à Tyberino,velmarino dif. ferre putauit, vt illum piſcis nomine in . dignum iudicauerit. Mulieris cinni fogant ferpentes, do in vermes mutantur. ulierum capilli,quibustantopere gaudent, & pro quorum ſtructu rain exornandis multum confumunt té poris,cremári,ſerpentesabigere vifi sūt: fin autem in aquaminijciantur, in ver . mes non diù retenti commutantur. Plurimos homines aqui per tenebras, acper lucem vidiffe. REErum natura opulentilsima admi randam fæpiſsimè hominibus vi. ſus aciem ,oculoſque ſplendentes pręſti tit; vt multi felium more noctu vagari liberè potuerint. Legitur de Alexandro per tenebras æquè, ac per lucem vidiſſe; viſum adco acerrimum habuit Galenus, quod in fomnis, patefactis repentè pal pebris, magnamante oculos lucern vi. debat, vtipfe de ſe fidem facit lib. 7.Hip porr. Platon . plac.6. 4. At mirabilior erat Tiberij Ceſaris proprietas; qui in tenebris exactè videbat ; dequa re adeo admiratur Tranquillus, void pro mira culo fcribat. Cibusſapidiſsimus quomodo apparetur. QlideraGallinaceos , pullos,quila &e & panismicis laginatiſipt, in menſa procuret, ij profe &to præſtantiſsimum ſaporem exhibent, mireque cum palato ineunt gratiam. Anderetiam carycis nu tritus, tum ad medicinam, tumad gulæ faporem eſt optimus, & pięlertim iecur. Vnde non mirum G in Inſula Hiſpa niola apud Indos, porci harundinibus zacchari faginatitantæ , ſapiditatis, & bonitatis ſint, vt febricitantibus etiam exhibeantur, Gigantes in orbequando fuerint ? G. Igantum foboles paulo ante Dilu ( uium apparuit, patet hoc in Geneſi c.6.quando ingreſſi ſunt blijDei ad fili as hominum : poſt autem Diluuium aliqui fueruntgigantes , qui tamen non multo tempore durauerunt. Bonitas e nim naturæ ( vt inquit Abulenfis c. 3 : Deuteronomij) in cibis, & afpectu cæli ad terran habitatam remen humanum in tanta virtute continebat, vt tanti robo ris, & ftaturæ homines ætas illa produ. ceret; Poftea paulatim deficiente natu, ra,tanquam ad fenium múdus ifte decli . nauit, & humana corpora cum viribus minorata funt. Adfacies mulierü rugatas ſelectum præfidium . ( N gratiam rugatarum mulierum , & quæ maculas in viſu fortitæ fuerint, quo ſenium , turpitudinemque faciei abfcondere valcant, optimum adduca mus præſidium . Alumen tritum, & cum recentis oui albumine agitatum ,ſi dein de I HORTVLVS GENIALIS. 1 de ferbuerit in olla,& { patula ligno coti nuo mouebitur,in vnguenti ſpiſfitudi nem tranſit. Hoc f biduo , vel triduo facies mane & vefperi collinitur , non modò emaculari & erugari, verum ſum mepulchram &gratam eam reddi ani maduertent. Maxima eft folis excellentia , do in hec inferiorainfluxus. Am maximè Homerus Solis natura, & excellentiam admirabatur , vt illú Deorú patré,hominūá; vocauerit. Ipfe enimomniú aftrorú Rex eft, & tempora cuncta moderatur: annos,menfes, & di os diſtinguit, & efficit; nos fua luce læti ficamur, & eiuscalore ſanamur. Ipfe vi. rentes herbas, & terræ nafcentia germi. narefacit, & flores redolere. Ipſefruges, producit, fructusmaturat, aerem puri ficat, lucem affert, tenebraſque repellit, elementa tranſmutat,animalia gignit, gemmaſque pretiofas cum admirandis viribus ex terræ viſceribus mira virtute spitøre facit, Hominųm ipſe, cum ho mine BARACRILI Gigantes in orbequandofuerint? Glucos Igantum foboles paulo ante Dilu ( uium apparuit, patet hoc in Genefi c.6.quando ingreſſi funt alijDeiad fili as hominum : poſt autem Diluvium aliqui fueruntgigantes, qui tamen non multo tempore durauerunt. Bonitas e nim naturæ ( vt inquit Abulenfis 6. 3 . Deuteronomy )in cibis, & aſpectu cæliad terran habitatam femen humanum in tanta virtute continebat, vt tanti robo ris, & ftaturæ homines ætas illa produ ceret; Poftea paulatim deficiente natu , ra ,tanquam ad fenium müdus iſte decli. nauit, & humana corpora cum viribus minorata ſunt. Adfacies mulierürugat asſeleétum præfidium . Ngratiam rugatarum mulierum , & quæ maculas in viſu fortitæ fuerint, quo ſenium , turpitudinemque faciei abſcondere valcant, optimum adduca mus præſidium. Alumen tritum, & cum recentis oui albumine agitatum , fi dein de I HORTVLVS GENIALIS, de ferbuerit in olla, & ſpacula ligno coti nuo mouebitur,in vnguenti fpiffitudi nem tranfit. Hoc ſi biduo , vel triduo facies mane & vefperi collinitur , non modò emaculæri & erugari, verum ſum mepulchram &gratam eam reddi ani. maduertent. Maxima eft folis excellentia , din hec inferior ainfluxus** TO Am maximè Homerus Solis natura, & excellentiam admirabatur, vtillu Deorú patré ,hominúý; vocauerit. Ipſe enim omniú aftrorú Rex eft, & tempora cunctamoderatur: annos,menſes, & di es diftinguit, & efficit; nos fua luce læti. ficamur, & eius calore ſanamur. Ipfe vi. rentes herbas, & terræ nafcentia germi. nare facit, & flores redolere. Ipſe fruges producit, fructus maturat, aerem puri ficat, lucem affert, tenebraſque repellit, elementa tranſmutat,animalia gignit, gemmaſque pretiofas cum admirandis viribus ex terræ vifceribus mira virtute qpicere facit, Hominum ipſe , çum ho mine BARICELLI minegenerat,& tandem quicquid in ter ra oritur , & occidit , corrumpitur &ge neratur, in eius poteftate eft :fic ait Ari ſtot.z.degener.d corrupt. quod propter acceſsú , &receffum Solis in circulo ob liquo ,fiuntgenerationes, &corruptio pes. Hæc, & alia tali lideri Creator om. pium largituseft. Falfißimum eft Salamandramin igne viuere pole . B Ariftotelc, & Aeliano,Salaman dram non modò in igne viuere, verum etiam illum extinguere proditú eſt. His ſuffragatur Plinius lib.io.c. 67. qui tantum alleruit Salamandræ rigore elle,vt igné glaciei ad inſtar extinguat, Hi autem famigeratiſſimi viri dormi. tare videntur, cum omnia & comburi, & conſumi ab igne poſle iudicentur, Falſum ergo axioma eſt;breuique fpatio animalillud, antequã comburatur, licet rigidiffimú foret, in igne viuere verifia mile eft.Totú hocexperientia innotuit. Narrat enim Matthiolusin lib.2.6.56 .Dia foridisin agro Tridentino ,Veris,& Au. Tumpi tempore,maximam Salamandra rum copiam reperiri,fe autem ,vtexpe rimentum caperet eius , quodde Sala mandra vulgo fertur , plurimas in igne conieciſſe, fed eas prorſus exarſifle ,bre uique penitus eſſeconſumptas. Sabbaticifluuj admirada proprietas. I Nter Arcas , & Raphandas ciuitates (teſtimonio Iofephi.7.de bel. Iudaico ) regni Agrippę, Sabbaticus fluuius repe ritur, ita à leptimo die, quem ludzire ligiosè colunt, appellatus. Hic copiofus fluit, nec meatu ſegniseſt , mirabilemg; naturam obtinuit, liquidem interpofitis lex diebusà fonte luo deficit,audumq; & ficcum alueum relinquit. Quod auté mirabilius eft , nulla mutatione facta ſeptimo die fimilis exoritur, talemque continuo ordinem obferuare pro certo ab omnibus cognitum eft. Quam fitexitiofumpro lattandisine Fantibus vitioſas eligerenutrices. Vtrices pro lactádis puerulis ma lis moribus imbutas, vitiofas , in . B eptas, crudeles vel ſuperbas reijciendas exiſtimo: mites autem , benè moratas, fine vitio, & prudentes cligendas. Pueri enim ex ijs educati ob acceptum nutri mentum à parentum natura recedunt, & 1 ad nutricisvitia , vel prudentiam aliquá inclinationem habent. Indelegitur Ne Pi ronem crudeliffimum à fuis progenito ribus longè degeneraffe( quamuis pravá inclinationem vincerepotuiſſer) ijenim benigniffimi fuerant: ipſe autem à crue delillima nutrice lactatus, & connutri tus, propriam matrem interfecit. Menſtrualisfanguinis mulierum immanitas. Aximum contagium in mulieris i ei F credidit.Refert enim nouellas vites eius pernecari contactu ,rutam , & hederam illico mori, apesta & is aluearijs fugere, lina nigrefcere, aciem in cultris tonſor rum hebetari, æs graue virus & ærugi nem contrahere: equas , li lint grauidæ, ta &tas abortire,multaque alia pernicio famala ex illius contactw fieri tradidit. Sed longe à veritate diftar hic auctor: cuiuslibet enimmulierisfanguinēmen i ftruum virulentum effe falfamum eſt, quippe in ſana muliere, non differt & Yanguis à fanguine vitiumque illius in i quantitate tantum perliftit,vtbenè Ca piuacceusin fua Praxi recenſuit, fecus eft in morboſa muliere, ex menftruali enim iſtius fanguine nõmodopericula, quæà Plinio adducuntur, eueniunt, ve - rum etiam alia. Equidem canes epoto · menſtruo in rabiem vertuntur. Homi nes in he & icā , & phthiſim , fià veneficis, eis in potu tribuitur , deueniunt: Oleze contacte ſterili fcunt . Alia ctiam ex il lius virulentia contingunt, quæ reticere melius eſt. Frigidumpotumpoſt pharmacum af fumptum magnæ vtilitatis afue tis fuiſſe. Egrotabat oliin in Sicilia Prorex Ioannes à Vega: ſumptoque Phar maco ſegniter purgationem habebat. Medicusfamiliaris , vtaluum irritaret , juris pulli ſine ſale pararú cyathum co B 2 A ram Principe habebat ; illumque nau . ſeantem , & tale brodium abhor. rentem , vtebiberet exorabat. Super ueniens autem Philippus Ingraſsia , iua ris vice , libram aquæ frigidæ cum vn cia zuccarimediocris albedinis propi. mauit. Erat enim ille frigidæ potioni af fuetus,atqueiecore percalidus. At frigi. da cpota, deſtructa eft confeſtim naufea fedatilque nonnullis in ore ventriculi morſibus , talem è veftigio purgationé feliciter perfecit, vt gratias referre In graffiæ pro tali frigidæ potione,cupiens, argenteum illud vas,in quo repofita fri gida fuerat, pretij aureorum nummo. rum quinquaginta , gratiſsimo animo donauerit. Ingraff. de.frig.por.poft medic. Verrucas cuiufdam animalculi liquo reperfanari. Eferam quod mihi in Apuliæ quo dam loco, circa verrucas fucceflit. Expetebat à me quidá nobilis , qui ma. nusà verrucis nimis deturbatas habebat aliquod pro illis abigendis præſidium . Ego coram nonnullis multa ,quæ aliàs RII veriſſimaefle comprobaueram ,illicon it'o fulebam.Inter hosrufticusquidam ino to pináter,fe ele &tiffimum habere remedia pro ijs penitus dirimendis non rogatus I. faſſus eſt . Sciſcitor quale fit, animalcu Di lum eſſe dixit: ad experimentum veni Before mus, ægro confentiente. Ruſticus ani. i malculum inuenit. Hoc'in floribns 1. Eringij, & Cichorez æftiuo tempore uk moratur,eft coloris calaſsini, cum ma of culis rubeis, & quodammodo aſsimila tur proportionecorporiscantharidiyli y cet paruulum ſit. Acceperat aliquot 12 i- fticus, & ſingula in ſingulis verrucis d ... * gitis exprexit: exibat liquor quidam , o manus intumuit, & doluit,fed cum mo. derantia: intra tres dies detumuit, & fana facta eſt, nec verrucę ampliusviſę ſunt. Tauriſanguinem inter lethalia vene na connumerari. Nter atrociſsima, & fuffocantia ve nena Tauriſanguinem recenter epo tum connumeramus ; congelatur enim 2. in ventriculo, reſpirationemqueimpe s diens, hominem fuffocat. Themiſtocles B 3 Athe Inesta Athenienfis tanti veneni tentauit expen rimentum . Hic enim ciuium inuidia à Patria relegatus,ad Artaxerxem confu git, à quo diues factus eſt.Dum autem in patriam ingratiam Artaxerxis pugnare cogeretur,in Dianæ téplo ,hauſto Tauri fanguine, vitam cum morte commuta uit.Ex Plutarcbe . Quo artificio duriſsim afaxafrangen re valeamus. Aris ſaxa non alia re frangendag quam larido accenfo retulit Ola us.Hoc equidem rationi conſentaneum efle ducimus, cum pinguehumidum ,fax lique commiftum illud fit, ob id enim flamma potens & acris eſt diùque ma net. Annibal verò dum Alpium rupes, ingreſſurus Italiam , comminuereopta ret, faxa potentiſsimo igne concalefacta; acerrimoacetohumectabat;:ita enim ea molliebãtur,& in fruſta cædebátur, fra ctioniq; facilior erat locus.ex Tiro Liuip. De lapidis Asbeſti mirabilivirtutes LAsbeſtos lapis,qué Arabia, & Arcadia producit, fi verus & probus fuerit,femel accenſus perpetuam flammam retinere videtur.ExhocGentilestemplorú cane delabra conficere folebant, clarè ani maduertentes fortiſsimam flammam & i * inextinguibilem elucere, quęnecabima bribus,nec tempeſtatibus extingueba tur. D. Auguſtinus lib.21.deCiuit.Deiz. Athenis Veneris Phanum fuiſſe referty in quo de di&to lapide lucernæ conſtru Etæfuerant,quæ aliqua intemperie ex tingui minimè poterant. Aegypti Reges opera magnifica, &admirane da Antiquitus conftruxiſle. Pera ab Aegypti Regibus conſtria & a omni admiratione digna ſem per exiſtimaui. Hi porrò Labyrinthoi rum ,Pyramidümqueprimifuerunt au & tores, & Mauſolea fepulchra , & Obe. Hifcos erexerunt, Ferunt admiffo faci : nore, Pheronem Regem è veftigio vi- , Cum amififfe,decennioquecæcum -fúiſle. Vndecimo autem anno ab vrbe Buci, accepto Oraculo , quod viſum reci peret, fi oculos mulieris, quæ tantum B 4 lui ſui viri amplexibus contenta fuiſſet, cum terorumque virorum expers , lotio ab luiſet. Hic ante omnia vxoris lotiura tentauit , cum autem nihil cerneret in. finitarum mulierum vrinam experiri voluit; viſuque recuperato , præter eam (vxorem enim eandem duxit )cuius lo tio vilum accepit, omnes concremauit . 'Abea autem calamitate liberatus, cup alia in alijs templis donaria pofuit, om nia egregia ad memorię diuturnitatem , tum maximè memorabilia,ac fpe &tacu lo dignain templo Solis gemina faxa, quosobelos vocant à figuraverucēzenam cubitorum longitudinis ,octonum lati tudinis. Pelõdor. Virg.ex Herod. lib.z. Cacodamonem malinuncijpræfagium aliquando attuliffe. Arcus Brutus cumexercitu ex A Gia nocte media & profunda dum fplendidum erat lumen, & filentium vndique caftra tenebat , multa fecum memoria recolebat. Cum autem ad fe venire aliquem præſentiret, intentus MarcusBrutuscumexercituexA  intentus ad introitum afpiciens,horren dam , & monſtruolam corporis feri & terribilis ſibi aſliſtere imaginem reſpex it.Quis ( inquit)interrogans erutus,ho minum, aut Deorum es,quid tibi vis? quidad nos veniſti ?Murmurans ille,tu . us Ô Brute( dixit)malus genius ſum , in Philippis me videbis. Tum brufus nihil perterritus, Videbo, reſpondit,cogita . bundusqueaccubuit. Verum Caſsiana cognita clade deinde , cogitationeſque fuas videns, & fpes fallaces ſublapſas re tro referrifin Philippis fibiipfi mortem coniciuit.Ex Plutarcbo. olei, vini ,ſegetumgſterilitatis prafagia. Irij vefpertinus occaſus, fi biduoana teuertat, vel fequatur Plenilunium , fegeti rubiginem,&foreftentibus vre . dinem pronunciat. Procionis occafus veſpertinus,fi interlunio eueniat, flores ti yiti, & oleu germinanti iniuriam ex vredine adfert.Aquilæ verfpertinus ex. ortus, & Arduri occalus, in Pleniluniú B S incidit, & olei& vivi ſterilitatem , vtros quetum florente denunciat Ex Iunitino - deris falubritatem advitæproduction anem maximopere videmuscon : ducere.. N Hybernia quaſdam Infulas, ir quia bus homines longiſsimæ vitæ funt, re periri compertum eſt,tanta eft enim ibi: aeris ſalubritas,vtvita humanalongiſsi me producatur , Cum autem ad maxia . mam ſenectutem homines deueniunt, deficiente pauliſper humido radicali , caloris naturalis opera, quia anima pro-. pter complexionis bonitatem recedere: nequit , in corpore magni ſuſcitantur dolores : Idcirco illius regionis homie nes poft diuturnos labores, vitam aber forrétes , longèà propria regione fede portari procurant;præſertimque ad lo . cum minus falubrem , vbifaciliter mon n'antur. Abulenfis in Genef.c.2.6 . Anania: in Vnis .Fabrica . Linica.magna proprietatisapud! indos fiering 1 Maximi valoris lintea ex Asbeſti. no lino ,& Amiancho lapide con texere Indiani fo !ent. Hæc in ignem ; proie & a flammam quidem concipiunt, detrimentumautem nullum recipiunto Cum autem vſu commaculata Indi hæc lintea depurare coguntur, ( ſpreto more noſtro )non aqua,non cinere, vel ſmege mate vtuntur; fed in ignem proijciunt:: certiſsimoexperimento perdocti ab eo non cóluni modò; ſed potius-exempta. fplendeſcere,nihilqueillis deperire. Ta.. le Carolum V..Imperatorem nonnulli habuiffe ferunt. Mizaldus. Hominibus àgraui valetudine opa preffis varias hominum figuras appa: rnilleſepißime , expertum oft . Ignum ſpeculatione illud fempers primuntur valetudine ex affe &to cere. bro, an actu Demonis figare diuerſçapa pareant? Quippèno ſemel audiui, non . mullos. Dæmanes ,alios verò fæminas. B 6 vidiſſe, vt inter cæteros Alexander ab Alexandro de ſe teſtatur. Cum (inquit) Romæ ægravaletudineoppreffus eſſem iaceremque in lectulo,fpeciem mulieris eleganti formamibiplanè vigilanti ap paruiſſe confiteor, quam cum infpicerem diù cogitabundus,&tacitus fui, repu tans nunquid ego falfà imagine captus, aliter,atque res eſſetafpicerem ,cumque meos ſenſus. vigere, & figuram illam pufquam à me dilabi viderem , quæ nam illa effet interrogaui, quæ tum fubridens & ea quæ acceperat verba reſpondens, quaſi me planè derideret, cum diù me fuiſſet intuita diſceſlit. Quomodo au hæcfiani in lib. 1. de pita hominis difa fusè enucleamus. Hydropes lethales multoties ab occul. tis,abditiſq præfidiisdifparuiſſe. Vltiequidem morbinon à me dicorum remedijs, fed à caufis abditis curati funt.Refert Schenkius l.be 3.obferuat. Medicinal, Chriſtophorum quendamin deſperata hyeme, ab hs drope lethali hac via fanatum fuifle. Illi dormienti in Sole aprico lacertus viri. dis occurrit in laxatumque eius finum irrepfit, & toto cotempore, quo dormi. it,per tumentem ,nudatumqueventrem oberrauit. Poft horam expergefa & us lacertum in ſinu ſubfultare animaduer tit, quem veluci homini amicum & in noxium dimilit . Huic ab eo tempore hydropicus tumoromnis,citra alia re media intra paucosdies ſubſedit , & diſ paruit. Quicafus mirabilis eft: & non minori admiratione dignus, Bufonis fylueftris, quam fit proprietas. Hoc e nim animal fi per ventrem fcinditur, & fuper renes hidropici ligatur, aquofita tem per vias vrina, quæ in Aſcitelupet abundat,mirabiliter educit.Hoc VVie rus expertuseft,Napaulli ſecreto rema dio hydropicorum aquas Colubri a quatici lapide ventriapplicato ſenfim abfumunt. Infuper vituli marini pelle aquam corpori fuffulam Hermolaus Barbarustolli prodidit. Cæca igitur,& abdita via multos hoc morbo ſanari comperimus. B7 Mediana 38 BARICEL II Medeamà veneficiorum calumnia a Diogene fuilevindicatam . , moriæ ſcriptoresmandarunt,Meo . deam illam concelebratam magicis arti bus, maximam dediffe operam , ijſque latiſsime fúille inſtructam.Hic.n.apud Srobæum dicebat,Medeam fapientem , non veneficam fuifle, que acceptis mole libus, & effæminatishominum corpo , ribus confirmabat ipfa gymnaſijs,acex ercitationibus, & robulta vigentiaque reddebat.Hinc, vt veriſimile eft,faina emanauit, quod illa coquendo carnes hominibus ivuentutem reftitueret , Si . enim ad ea, quæ de ipfa dicuntur , quod nocturnis horis coram Luna proftrata maleficia fuo nudato corpore pararet , refpicimus, vt patet per Seneca in Tras gæd.7.Quod vero alia attinet de quie bus ipſam accuſent, neſcio quomodo. ab infamia eam liberare valeamus. ImPlenilunio vtplurimum furioſos: vehementius infanire Luna dum Soli opponitur , vehementius furiofos infanire obſerua-: mus: tunc enim ex. fuperabundantium humortin copia-cerebrum ad cranium vique intumeſcit ,eofque ad furiam du.. cit.Hac (vt reor) caufa, furioſos Britan . ni luna quarta decimaverberibus affli ., gunt,conſiderantesſailicet ſanguinem , & fpiritum tunc temporis efferuefcere.. Verbera.autem non fine ratione ad talie um ſalutem conferre videntur; vt enim larga proſperitas ad inſaniam homines, ducere potenseft:ſic dolor, & calamitas, prudentiam inducere conſueuit : quod , fapientiæPrinceps perbellè fignificauit: dum dixit, affli &tionem tribuere intele lectum.Bodinus in tbeat.net, Annicomputumdimēſuramàquin bufdamnationibusrudiordine fuiffeconstructiuni Noi.certus modusapud felos Ar gyptiosfemper fuit, eorum enim Sacerdotes ab Abrahamoedocti,& verá anni-menſura, & Solis curſumcogno., frese fcere valuerunt. Apud alias nationes di ípari numero, parique errore annus no tatus eft :fiquidem Arcades trium men. fium annum faciebát. Lauinij tredecim. Acananes fex.Gręci reliqui 314.diebus. Romulus annum decem menſibus, qui 304.dicbus conficiebatur ordinauit.Hic å Martio incipiebat,eo quod Marti fuo genitori credito, menſem hunc dicaue rat.Numa poft Romulum quinquagin. ta dies computo huic addidit, annum . que conſtituit 354.diebus. At. C.Cæſar Aegyptios imitatus , ad curſum Solis, quidiebus365.& quadrante conſtituie tur,annum dirigereftuduit. Céſorinus, & Suetonius. Solatri maioris, e Serpent arie mio norispotentiacontraparafitos mirabilis eft . Irabilis profecto Solatri maio. ris, fiue herbæ Bella donna radicis potentia eft: fi enim contrita, & exiccata vnius ſcrupuli pondere per horas ſex vino infunditur,illudque facacolatura uno homini potui datur,vt illecibum guftare nequeat,efficiet. Hoc paraſitis idoneum eft remedium ,hi'enim aperto ore,tanquãomnia deuoraturi,in menſa cófident;fed hac via pænas luent, quip pè alios vidcbunt comedentes, ipſi ta men inſtar Tantaliin menſa fameſcent. Vnde apud conuiuas ridiculi, & confuſi apparebunt.Sanantur hiconfeftim ace to bibito.Idem facit radix Aron , fiuc -minoris Serpentariæ in acetarijs recens contrita ;qui enim guſtauerit, apparebit Suffocari cibumque relinquet. Sanatur hie allio comefto . Ventorum ortum ,occafumque terre AremEchinuinmirafagacitatehomi nibuspraſagire. *ErreftrisEchini, quiautumnalitě. pore in vineis , dumoſilque fpinis verfari præcipuè conſueuit, in ortu oc cafuque ventorum præfagiendo mira l'eft fagacitas.Horum porrò latibula du obusconftru &ta foraminibus, quorum alterum Boream , alterum verò Auftrú reſpiciat,conſtructa reperiuntur. Pre fentientes autem Boream Auſtrum ,ali umve ventum fufHaturum , longè abe orum ortu , vnum vel alterum cauernæ meatum obturant; ventorum enim cog nitio-ijs innata eft, vtab ipſisſe tueri va Jeant.Hoc ordine Venatores Echinorú Jatibula , eorumque fagacitatem cond derantes, nulla ſtellarum obferuatione habita, fed folum ex cauernarum mea. tibus clauſis,velapertisVentorú indagia nem cófequentur. Ex Plutarcho in Dialog. Animi pudorem , timoremque hu . manorumcorporum diuerfimoda faciem alterare. agna inter animi pudorem , & ti morem cum vtrumque fit triſti . riæ foboles, videturdiſparitas:quippe in pudorehomines facie rubefcunt,timen tes verò pallefcunt. Natura( vt inquit Macrobius 7. Saturn. ), cum quid ei oc currit honeſto pudore dignum , imum petendo penetrat ſanguinem ,quo conto moto diffuſoque cutis tingitur,rubora; saluitur, Thelelius auté (vt ex Taſſone citatur M HORIVLVS GENIALIS. 43 citatur) faciem in pudore,voluit affe &iū recipere , & proinde erubeſcere. Hocà ratione alienum haud eft, fiquidem vo lunt Philoſophi naturam pudoretacta, fanguinem ,inftar velamenti ante fe ten dere.Experientia infuperhoc docet, e rubeſcentes enim manum fibi ante faci. em frequenter opponunt. At timentes palleſcunt,quia natura cũ quid extrinſe. teoccurrens metuit, in profundum de. mergitur: ita &noscum timemus,late bras quærimus, & loca occulta, Natura itaque defcendens ,vt lateat,fanguinem fecum trahit , quo demerſo dilutior cuti. humor remanet,pallorqueſuccedit. Animaliaex putrigenita materit inmundiprimordio minimè fuiffe. Væ ex putri materia generantur, ſex animalium genera communi ter exiſtunt . Quædam enim , vt bibio nes, quæ ſunt minutifsima animalia,ex vini exhalationibusfiunt,vt papiliones ex aqua.Quædã ex humorú corruptio pibus proueniunt : vt vermes in fter core,velciſternis. Quædam ex cadaue ribus, vt apes ex iumentis:crabrones ,fi ue muſcægrandes,quæ volando ſonant. Scarabæi liue mufcæ virides ex equis, vel canibus mortuis: fcorpius de caucti mortui carnibus:ſerpens de medulla ſpi næ humanæ. Quædam ex lignorum pu tredine, vt teredines , qui lunt vermek intra ligna , quando non abſcinduntur tempore debito , exorti. Quædam ex fructuum corruptione, vt girguliones ex fabis. Quædam ex herbarum corrup tela, vttinex.Hçc autem in mundiprin cipio immediatè à Deo creata fuiſſe, nulla ratio confiteri cogit,cum ipſa na turaliter ex corruptione procedant;poſt autem mundi exordium huiuſmodi ex corruptelis generationes eueniſſe verili mile eft;Deus tamen feminarias cauſas horum materijs indidit, fine quibusori. ri non potuiſſent.Abulenfis in Genefi 6.2. Defygis Arcadia mortifera natura, Alexandrimorte. Circa HORTVLVS Gerialis. ferunt, ille, CircaNonacrinin Arcadia ,fons quidá teperitur è petraexoriés, quęStyx ab in colis appellatur, tantæ mortiferæ natu rę, vt ſumma celeritate corrúpat corpo ra . Equidemprotinus hauſta ( Seneca teſtimonio 3 quaft.natur.)induratur,in Itarque gypſi ſub humore conftringitur, & ligat viſcera.Quia autem , nec odore, nec fapore notabilis eft ,fæpè fallit, nec ea epota,amplius remedio locus eft.Fe runt nonære,non ferro, non teſta aquí huiuſmodi continere,necaliter quam in equi vngula ferri poſſe. Huius vemeni potu ,magnumAlexandrum in Babylo . nia fuiſſeextin & um multi ſcriptoresre medico ,ob aquę feritatem in media po tione repentè veluti telo confixusinge muit; elatuſque (vt ait Iuſtinus) è conui yio ſemianimis, tanto dolore cruciatus eft ,vt ferrum in remedia poſceret, & è tałtu hominum velut vulnere indole . fceret. Achores tineafque capitis,ex bufonis oleofeliciter fanari. Dum 46 BARICELLI prope Luceriam Apuliæ ſemel me dicinam faceren , ibi quendam achori bus,tineiſque per multos annos turpi. ter affe & um ,cui varia fuerant applicata temedia,omnia tamen inutiliter , prop termorbi reſiſtentiam repperi. Tande noſtro conſilio hicele &tè ex pharmaco purgatus, folum linimento ex oleo in quo ad exactam co &tionem Bufo fue Rana terreſtris ebullierat, optime cura tus eft , quippe fimplici hoc remedio per paucosdies in capitevtens, fanus, & capillatus fa & us eſt; durante autem lini mento piliersortui,vulſellis à chirurgo extirpabantur. De Cerui lachryma, eiuſque in ciendo fudore potentia. Antæ creditur elle efficaciæ Cerui lachryma in Tudoreciendo , vt' li grana quinque vel ſex potui dětur, totü corpus fere folui iudicemus.De hac lo quens.Abinzoar lib. I.tra & . 13.6.6. le tria grana Azir filio Regij magiſtri equitum in lacte , vel aqua cucurbitæ, vel.roſatæ exhibuiſle:retulit,illumque à virulento ictero liberaffe.Hæcautem in Ceruis ante ceptelmum annum ( teſti monio Scaligeri)nulla eft,temporis au tem proceſſu generatur, & in iuglandis molemaccreſcit.Dicitur magnam habe read venenum efficaciam , vt in Afia fe Hiciſsimo fucceflu fæpè experiuntur. Vires infirmorum collapſas, odoribus refarciripoffe. Nfirmorum deperditas vires non potionibus modò,verum atqueodo , ribus reftaurari pofſe obſesuatum eft. Aiunt enim Democritú in dies aliquot, amicorumgratia pomi odore vitam fic bi prorogalle. Hinc multi panem cali dum vino odorifero immerfum nari busadmouentægrorum , quem a tem . poribus, & coſtis cataplafmatis more imponimus,vtique vires egrigie reſti tuimus.ConciliatorApponenſis mori. búdá vitá, ex croco , & caſtoreo cótuſis, vinoq; cómiſtis producere fecófueuifle tefta . 48 BARICELLI teftatur,ſenibuſque eam compofitioné exhibuiſſe , nullatenus olfa & u magis quam potu profuiſſe.Ferreriuslib.2.Me thod. De olei Balnei mirifica in morbis præftantia. O Lei Balneum , vt Herodotus anti quiſsimusmedicusprodidit, quià diuturnis affliguntur febribus, à laſsitu dine, vel neruoſarum partium dolori bus oppreſsis,conuulfis , & vrinæ , fup preſsis laudatiſsimum ,ac ſalutare efic remedium experimur. Vidit huius pre ſidij experientiam Heurnius in quoda extenuato, ac ferè exhauſto , dumeflet Patauij:illum enim validiſsima occupa uerat conuulfio,at tepidi olei pleno vafe immerſus,ac fotus fanuseuafit.In lib.no ftro de Hydron.nat. Adam & fuos contemporaneos, perfc. etiſsimamrerumnaturalium ha buiffe cognitionem . Nter aliasrationes, quas Abulenſis in Genef.in c.f.de longiſsima vitæ pri. morum parentum,quiannum ferè mila Jeſimum ateingebant,retulit,hácaddux it;quod'Adam'rerum naturalium perfe Etamà Deo cognitionem habuit.Intele lexit enimfru & uum , herbarum ,lapidú, lignorum , animalium , mineraliumque virtutes, & do&rinam , quibus vita hv mana diutius conſeruari poterat; quæ omnia contemporaneos,(vt ipfi etiam vitam producerent longiſsimèJedocuit. Hæc autem cognitio , & ex diluuio, & gérium diuifione perdita eft.Reperiun turtamenin præfentiarum multa mira bilia,naturęque ſecretiſsima apud ſapi entes, à temporuminiuria foslitan vin dicata; quæ aliquando hominesvidentes aut audientes, tanquam lupernaturalia opera admirantur Rutaminter alexiteria medicamenta connumerari: Nteralexipharmaca præſidia, Rutam minimęconditionis haud efſc perhia bent,fiquidem ieiuno ftomacho come fta multos à veneņiviçulentia liberaſſe C. degi BARICE ILI legitur. Dehac Athenæus in 3.Deipn.la . quens, Archelaum Ponti Regem fuos populos veneno interimete confue uifie fcribit, illos autem à quibufdam edo &tos, ob id antequam è domibus ea grederentur,quotidieRutam cdere fo litos à Tyrannicrudelitate.le.defendiffe. Solaſuſpenſione, capitiscruciatus verbenam mitigare. Trabilis eft Verbenæ proprietas M.in dolore capitis mitigando ; 'fi quidem à Petro Foreſto traditur hoc folo præſidio quendam fuifle perſana tum.Ille netlis remedijs, quamuis opti mis curari potuerat,non venæ ſectione, non ſcrupis digerentibus, neque steco &tis pilulis,cucurbitulis, nec alijs topic cis auxilijs. Cum autem nulla iuuarent semedia,ad collum Verbenaviridisafe penſa eſt, & fanus fa & us eft,lib.9.ebſer.3. Detkapſie virtute in fugillatis faci nandis,Neronisquecalle. ditate. Nero Imperator in ſui Imperij ex 36 ordio Thapfiam ,eiuſque excellé to tiam magnificauit; Ille quidem dumno . & u incederet incognitus , & in multos impetus faceret,nå ſemel facies fugitla Do ta ,cutifq;livida,piftula ; ab illis fuerat. L. Confeftim hic,ex Thapfia,thure , & cem ra commiſta,linimento ljuentem vifum collinibat ,quopræſidio antelucem à fe da ſugillationeliberabatur; dum autem die in populiconſpectu , faciem fanam oftenderet,facinoris ſui famam , & igno . miniam occultabat. Ex Durante in Her . 25 g. barie . I je obſtétricibus animaduerfio. præcidendo diligentia adhibenda eft;quippefi ni mium curtè vmbilicus religatur,ætatis progreſſu pariédi conatumreftringere, imminenti vitę periculo ,poteſt. Ex M46 mbiaCornace. De arboris ficusmirabili natura . I coctu faciles habere deſideramus, in arbore ficus eas ſuſpendemus, ita votum noftrum procul dubio aſſeque mur: credo forſitan ob acutum , & incil : uú odorem , quem arbor Ipirat id cauſa ri;velforſitan occulta cæcaque proprie tate.At quod mirabiliusin huius arbo . ris natura eft , Taurum indomitum , fe rumque in eodem alligatum manfuef cere tradunt. Neſcio autem annaturali via propter-odorem ,an aliqua antipa thia, quæ inter talia exiftat hoc eueniat. Audiui tamenà multis vtrumqueexpe rientia fuille confirmatum . Quomodoà vitriolo arislaminas.ex . trahere valeamus. Lui momenti illa cognitio , quomodo à vitrioloæris lamellę extrahantur,ape riam modum , qua facilitate id affequi valeamus.Bulliatur Romanumvitrio . lum in olla cú aquafontis: in eaque cha lybis lamina per horæ quaternionem demergatur : extrahito demum chaly bem , ipſumenim lamellis æris inftar suginis colligatum habebis, quęculcro radende fút, vt alias chalybem immera. gere pofsisznouaſquelamellas extrahe.. re. fiquidem tamdiù corradi poterunt, quouſq; Vätrioli portio in aqua fuerit. Arrigat aures ingeniofus; quia ex hoc : minimo principio multa, precipuèinre: medica, yrilia aſſequetur. oléum vitrioli ,&fulphuris rostris : lumbricos plurimumvalere. NITlfi magnis experimentis præſtana tiſsimum remedium ad puerors i lumbricoscomprobalſem ,haud audia . rem hic inter arcana ſele &tà fóre repezia nendum confiteri: quippe tanta eft eiuss virtus,& potentia, vt mortuos ferè pur erosè vermibus ad vitam trahat . Hic : induſtria paratur,In libris ſingulis aque fontis oleifulphuris, vel vitrioli chimi.. cè extractorum , aliquotguttulaadden dæ funt,ita vt aqua acidula frat, quæ pu eris,natuque maioribus danda eft diù noctuque ad placitum ,.e & enim præſtaa tiſsimæ virtutis 0 T! 10 Da DeCaraba mirabili virtute invuula cafum ,Amygdalaruamque tu . mores ArtinusRulandusvirin chimicis M celeberrimus in Amygdalarum inflāmatiene, & tumore, vuulæquecaſu ex humoribus à capite fluentibus exci tatis ſola Carabâmirabiliaparauit-Prie mo fuffimétum cófuebat,hoc modo ex . ceptü.Accipiebat Carabæ albiff . drach . 7.qua redacta in puluerem craſsiorem , & carbonibus impofita,fumus per infa dibulum ,ore excipiebatur ab ægro mar. ne,meridie, & veſperi, multa vtilitate, Accipiebatetiam fermenti veteris vnc .. & quam moreemplaftri linteolo indu cebat, afperfoque Carabæ albæ pul uere vertici imponebat per diem ,per noctem vero fequétem recens applica bat. Quibus paucis remedijs, &ex fola: quaſi Carabayquam plurimos à fauci um tumoribus, vuulæque cafu ,Amyg dalarumque inflámationibus oppreſlos perſanauit. Ex eiusCurationibus. Spina HorTvivs GENIALIS Spine infeftoriæ Baccas" ad. Tenaf mumexfalfapituita expertiſsimum verumque ad illum exiftere remedium . St mihi remedium pro Tenafmodo quadam fortafle mille kominum, qui endemiali fere morbo hic ſugebant per fanafle quam citiſsime . Syrupum ex Baccis fpinæ ceruinæ, fiue infectorice: Aromatario parariiufferam . Hæinfine: O & obris, cum bene maturuerint, collie guntur, exprefloque fucco cum melle vel Zuccaro ad formamfyrupi ducitur: additurque in fine maſticis, velzinzibes sis , anih, vel cinamomiad drach.j.vet? in maiori dofi, fi libuerit.Datur hic fy rup.ab vnce vſque ad duas cumpauco vino dilutus,abitemijs datur cum aqua cinamomi:epoto, cibatur eger,parceta men , & ieiuno ftomacho, præcipiturque ne dormiat.Equidem vna die fanaturę ger, foluitur enim aluus,abfque mole tia , & excretis féroſis .viſcidilg; humorib. Tolo hoc preſidio integrè liberatur C Ariet  mo Arietis linguam futurum in ouibus milanitium ,commonftrare.. M Irantur multi Virgilium in 3.. nere , vt linguam paftores conſpicere debeant, deſinant autem admirari , cau ſam enim adducimus ex Plinio, quipro pterea Arietum ora introſpici à pafto ribus voluit , quia cuius coloris ijlin guam habuerint, tále in fætibus gene randis forelanitium . Audiui à multis , hocyeriſsimum reperiri. Ouis enim e . tam cum vterum gerit ,fi linguam habueritnigram nigrum pariet agnum , fi albam album , & fic de aliis coloribus. Ridiculüm eft quod fertur; Bafilifcum àGalliouoexclwdi.. On modo à plebeiis verum atq;: à nonnullis ftudiofis , Bafilifcum : abouo galli veteris connaſci perhibe tur. Fingunthi ex aliquorum fcriptorú teſtimonio , quos eriam ego perlegia : Gallo decrepito , quiſeptimum , aut no.. olm , vel ad fummum decimum quar .. Na tum annum agat, ex putrefacto ſemine, aut humorum illuuie altiuo tempore, ouum conflári , ex quo ab eodemfoto ( vt à Gallinis alia fouentur oua ) Bafi... liſcusoriatur.Sed hoc animal nemo vio dit,habitat enim ( auctóre Plinio ) in Aphricæ folitudinibus: proinde hæc creo dere difficile eſt. Inſuper ſi hanc fpecie em mafculinam poſſe fætare conceſſum . eflet , contingeret etiam inalijs , quod minimèobſeruamus. Mihi aliquotoua: in experimentum à mulierculis allata fünt, dicentibusGallum peperiſſe : erát oblonga ,& in caudam ſerpentis quibuſ dá nodulis terminabátur:at hæc à Gallie nisex plurium ouorum minutorů col ligatura (cu kuperfætatione,non autem a Gallis fieri dixi. Homines ex impromiſo Lupi afpects : veluti mutosdo; attonitos fieri. Vlgatiſsimum illud eft, hominesex improuiſo Lupi aſpectuadeo mutos& attonitos fieri,vt nec fari , nec vociferari valeant. A Lupiquadá prietate id fieri aſlerunt , contenderse tes Lupum ,fiprior obuium quempiam conſpexeritillico vocem adimere, can demque illum luere pænarn ,ſiab homis ne prius videatur. Ad hænugæ ſuot.Si quidem ex terribilişimprouiloqueLu.. pi aſpe &tu ,homines terreri, timoteque concutiqveriſimile eft: ex timore autem: valido mébra frigefieri ex raptu ad in teriora fpirituum ,inde corporis, & ar.. tuum fieri impedimentu , vociſque pri uationem mirum non eft.Alijalia fin gunt, mihi autem hęc omnia ad folum timorem ,tanquamad caufam proporti Onatam reducere viſum eſt.. Multa facinoraàMagisanicalis perpetrari pole. Etulit Leonardus Vairus lib.1.de: Faſcino multas hac noftra tempe fate exiſtere aniculas, quarum impurie tate,nonpaucos effaſcinari pueros illofa quenonmodoin grauiſsimum incidere diſcrimen ,verum etiam acerbam fæpiſe fimè ſubire mortem . Pecudes inſuper: partuqalacte priuari,equospacreſcene R Falcin Cquote & emorislegetes abſque fructu colligi, arbores arefcere;ac denique omnia per ſum ire quandoque videri, AFucovulnera illata,Muſcis contri tisbreuifpatio perſanari.. " Vm quadam die apud amicos alie , quot cómorarer ,& læti in měla de more varia confabularemur; ecce vous ex ijs in ſuperiori labro à Fuco animali vulneratur,quo morſu ſtatim intumuit vulnus,cum maximo patientis dolore, Amici in riſum ſoli, patientismedelam minimeprocurabant.Ego quidem alias morfus hos curafle recordabar ; quare confeftim , vt nonnullas muſcas feruus meus caperet, iulli, quas contritas, dum fupermorfū impofuiſset,breuidolorie datuseſt ;.tumorq, cúmaximapatientis lætitia;aliorúg, admiratione detumuit, Quafacilitate vlcera formicantia dan cacoëthica fanarivaleant. Vidam amicus meus , cumir Hya pochondrijs,vicera formicátia,pra maque, quæ à nonnullis vermes dicun Q  tur,paffus eſſet, ſauitatcm ,poftmultat do & ifsimis medicis tētạta remedia , ac. quirere non potuit:ylcera enim licet fac pari viderentur ;renouationem tamen continuo recipiebanta,Vltimò poftan.. nos,& menfes in empiricum chirurgum incidit:quipaucorum dierum ſpatioita hominem perſänauit. Abluebat primo vlcera albo vino,tum ex - patellis -mari-. nis puluerem , fiue cinerem Ex Corici bus(exemptis interioribus) couſperge-. bat,vltimoherba marina vlcera coope riebat; faſciaque premebat, femel in die hoc vſus remedio vigintidierum fpatio , ægerconualuit. Procurauit arcanum a.. micus, & mihi fideliter communicauit, Fallſsimumeft, quod fertur Viperă o coitu mafculumoccidere,ipfamque asfuis.catultsinpartunecarie LAG Grauiſsimis au & oribusaffirma , mine) maſculi caput'abſcindere (ille.n.. infæminæ os caput inferit ) & fic củoca. sidere, ſed poenam täti facti illam luere. ſiquia fiquidem Viperinicaruliconcepti, gra-. Jiores facti vifceramatris cofrodunt,e am que occidunt. Sic voluit Plinius lib . 10.&Nicander in Thoriacis, quare Vipe. ram aiunt diciab co , quod vi pereat,aut vipariat.vtrumque autem falfifsimum effe , & experientia, & grauiſsimorum e . tiam ſcriptorum auctoritate cognitum eſt.Apollonius apud Philoftratum Vi... peram aliquando viſam fuiffe catulos ſuos; quos peperiſſet lambere , & expolire aſſeruit. Bodinus in nat.theatr.lib. 33 in Gallia,ad Clapum Pictauorú flumen , vbi Viperæfrequentiores ſunt, vtriuſq . fexus viperas lagenis vitreis inclufas fu iffe reculit;illafque peperife, & conce piſle vtroq; parente fuperſtite, Matthi olurs ex . Obferuatione FerdinandiIm perati Neapol.Pharmacopolæ Viperam parere catulos ſuos , & non occidiafts-, ruit;catuloſque-non viſcera matris,led membranas quibns incladuntur diſrúa pere. Quarerectiusſentimus,fi Vipera non à vi parere,vel perire dicimus,fed quafit quaſ Viuiparam , quod non oua, vtcæ .. teri ſerpentes, ſed viuum animal pariat. Iraulos , balbos, & femilingues fieri ob nimiam cerebri bumiditatem , VA communiseft fententia ab expe rientiaalienumreperitur. Rauli, & Balbi non ob cerebri hus midam intemperiem fiunt, vt ferè omnes autumant ; inueniuntur enim hi' modo calidi,modo frigidi,modo humi di,vel ficci, vt & reliqui, qui nec Traus li,nec Balbi funt;imò & hi modo ( putis " abundant ; modo ijs carent:quare non ob bumiditatem nimiam cerebri buiure modi Traulos-& Balbos fieri , fed obt varietatem mearuum , in intrimentis; pertinentibusad locutionem exiftenti um , docuit experientia.Porrò Trauli, qui literam R.exprimere nequcunt , in media palatiregione , vbi quartum eſt osfuperiorismaxilta , duo inueniuntur foramina, quæ nullo modo adeo aperta & obuia sút, vt ijs , qui optime loquútur, Balbis veròiuxta dentes maioraobſer . samus foramina,per quæ ſtillans pitui ta,linguamque irrigans in parte illa an . teriori,bleſam locutionem facit ;; vnde bleſi , & ſemilingues fiunt: quod fi hæc non eflent haud balbutarent, licet à ca pite copiofa defcéderet pituita, vtmul tis contingit, quiex hac tamné balbi non fiunt.Quare fententiaHippocratis2.A phor.32.malè verificatur, cum afferit, balbos ob frigidam , humidamque ca pitis intemperiem fluxu tentari: Auxio. enim talis & Balbis, & non Balbis fuc cedit : concurrit tamen hæc fluxio , vt caufa remota , qua aliquando cum pro zima,dicitur affe &tum facere poffe, fi. iunctatuerit :: fola autem facere nequit . vemale Hippocrates,& alijopinati ſunt ExSanctorio Sander.de pit.en.lib.3. Morbosperniciofos; velmortem ,veb affectus longitudineminducere. Jana ciuitate, & in circum vicinis propè Neapolim perniciofifsimi orto funtmorbi,vbiſectis aliquibus corpo , tibus, eorum Ventriculus bilis copiaz, vitellinæ plenus inuentuseft , eiuſque : tunicæ , & inteſtina eodem colore per tincta viſa ſunt. Meatusqui ad fellis; chiftim protendit , ab humoribuscraf fis, viſcoſis, & tenacibus obftru & us ea . rat. Fellis veſica diſſecta , bilis flaua haud inuenta eſt; fed eius vice atra , & inſtar atramenti nigerrima.Hepar quo ad externam partem album erat , in in terna autem nigrum , &atrum , veluti carbo accenſus, & extindus. Langueno tes,in febrium initio ,vomitu , &nauſea, moleftabantur. Eorum lotia craſla icte . rica , & fubrubra ſemper erant. Omnes. ferè erant icterici, & longo tempore,ſi : qui euadebant,indigebant, vt fanitatem acquirerent, Ex -Io. Bapt:Cauallario deMore bo Nolano, ſeu demorbo epidemiali Lupicur paucireperiantur, ouess autem multa Tidetur quafi abftrufum illud quxar , aucs autem multæ ?'profecto in partu plures lupaedit catulos,quamouis,quæ vnicum , vt plurimum parit; Inſuper o. ues, & agni in hominú alimoniam con tinuo occiduntur; luporum autem caro eſui apta non probatur; nihilominus Q. ues-agni, & arietes ſemper in maioriny mero reperiuntur, quă lupi.Huius cau fa, prima eftDei bonitas, qui tam imma ne animal in eius ſpecie excrefcere non permittit, in facra enim Gen. c. 7.Noe, vt ex omnibus animantibusnūdis fepa, tena, & feptenamaſculum , & foeminam in arcam tolleret monituseft:ex immu dis vero duo , & duomaſculum , & foe minam. Secunda cauſa luporum eft faga citas, & in propriam ſpeciemimmanitas. Hi enim ;cum rationesviuedi deficiunt, ob cibi inopiam in multo numero con ueniunt:atque in circulo vnus poft aliú currit;vt apud vulgum á villicisparatur ludus,diciturque Řotalupo;primusau tem,qui viribus deſtirutus, currere ne . quit &in terram cadit,fit aliorum cibus, renouaturque ludus ad omnium faturi taté.Hæceſt poitísimaratio huius ſpeci Vhelin ei decremen i , alius enim comedit alii um . Ex Aeliano vt reor, Antimonij in vitrum reductio, eiuſ quevires in medicina. 7ltri ſtibium ,quod in longis, & dif ficilibus morbis propinatur, in e . pilepfia fcilicet ,melarcholia ,podagra, elephanticis , reſolutione, in febribus quotidianis,tertianis, & quartanis,peſti fentia correptis, venenatis, hydropicis, tæphaleis, ictericis, & fimilibus; robu ſtis tamen corporibus , ita præparatur. Stibiū, quod ex auri fodinis colligitur, in puluerem tenuiflimum contunditur, teriturq; & fupra ignem in fi &tilio, rude ferrea,aut cochleari continuo agitando vritur, vſquedum omnis humor,ac fu mus euaneſcat, quod in ſex ,aut octo ho rarum fpatio expeditur:deinde calx có teritur, carilloque impoſita,in fornacē inter candentes carbones collocatur, & igne luculentiſsimo vrgetur,dū liqueſ. cat picisiftar,poftea ſuper marnorfun ditur,atq; fic ex Stibij vncirs duodecim, vitri ipfius hyacinthi modo pellucidi, wacja M vncias quinque coliges. Andernacus Co ment-z.Dialog.7.de nou . vet.med. Solo Metronchita auxilio mulieres offepragnantes ( omiſsis ceterisindio cys)experimur. Vlta apud fcriptores , quibusin primis menfibus mulieré præge nantem comprehendere valeamus, inu. dicia reperiuntur.Dienntmulti,lorij tab. fpe &tione grauidas nofci;fillud album , clarumque fuerit,in eoque atomi afcen dentes, & defcendentesapparuerint. Alt ex ſuppreſsis menſibus,deie &to appeti. tu ,vomitu , & nauſea ante prandiumid conſequuntur.Nonnulliex la & te in.ma millis,ex arterijs gulæ fi plus iuſto pul fant,ex lentiginibus,fi in mulieris facie oriútur,ex tumefa & is mámillis , & a ful co earú capitú colore pregnátes venatur. Cæteri tú ex his , tú ex pódese circa pe dé,ex: vmbilici egreſſu , ſiin dies fit ma ior, ex tumefa &tis venis , quæ vidétur in nariú angulis iuxta lachrimalia. Obfte trices.digitisexperiútur an vteriorificiáfue-fat claufum , vel apertum , ex claufo te nim grauidationem patefaciunt. Non défunt alij , qui Hippocratis Aphorifs mis confiſi hydromel, & fuffumigia e x periuntur,epoto enim hydromelle poſt cenam , fi tormina fequentur arguunt prægnantem eſſe mulierem .-Siilia fuf fumigio acuta per pudenda vfa fuerit , fiadnaresodores non perueniunt ', in dicant vtero eſſe gerentem.Hæc autem figna, quia pathognomica non funt ve lúti futilia reijcimus,& tanquam abſurdaad meros Empiricos committimus. Nonenim ex lótij afpe & u vere mulie rem efle prægnantem diuinare poſlumus,nam meatus vrinarius cum vtero : nihilcommunehabet,lotijque claritasy; albedo,& bulloſa granula in eo ,poflunt morbosetiam ſignificare , vtin cachochimo corpore ſæpius obſeruamus; hoc itaque indicium prægnantium verum non eſt :Nonexmenſibus ſuppreſsis ,nó ex vomita, &nauſea, ſiue appetitus de iectione hoc conſequimur: quia affc & i oneshęc ex multiscaufis, in m ulieribus, quæ pregnantes non funt, affe &tiones e uenirepoffunt. Non ex lacte in mam millis ; quia id etiá virgines habere pof Lunt,vt voluit Hippocr.Inſuper inult mulieresin primis menfibuslacinon ha bent: lacergo non eſt grauidationis ved irum indicium Pulſatio arteriarum gule, ſolito crebrior conceptum peculiariter haud arguit,quia ex retentismenfibus, {plenis & ventris tumore & ex pituita in -pe &tore colle &ta etiam fieri poteft.Len tigenes non in folo conceptuapparent, :: quippeſignumihoc,neque omnibus,nes queſemper competit, & in nonprægnā . tibusetiamifta fiunt.Mammillæ tumes fa &tæ ,earumque capitum fuſcus color, communiafignafunt &retentis menfi bus,& prægnantibus.Pondus circa pe & en ,non in grauidismodò fed , in rete tis menfibus, in mola, & veficæ calculo obſeruatur, Ymbilici egreffusex mul 6 tis caufis præter naturam fieripoteſt,nó ergo peculiare grauidarú indicium eft, Yenæ tumefadęin nariú angulis iuxta lachrimalia , non in grauidis.modo ap 7 parent , fed in quolibet abdomin's &fplenis tumore,& in occlulis menfi bus. Obſtetrices anatomiæ ignaræ de queunt intimumVteri orificium tange sc,licetmanibuscontractent,illud enim valdeà labijs matricis diftás eft,ipfe au té externá Vteri tantummodo orifici um tractare poffunt , quod femper, & grauidis , & non grauidis apertum ma net, experimentum Hippocratisde hy dromelle, & acuto luftumigio non æter næveritatis eft, vtGalenus & Auicenna comprobarunt. His itaque indicijs vere conceptum explorari non pofle expla natumeft.cognoſcimus tamen ſigno e uidenti & infallibili indicio prægnan tes mulieresin primismenfibusMitren chitæ fue Specilli, quo liquores in Vte rum inijciuntur,auxilio.hoc apud vete. resin magno vſu erat. Profecto ;li illius in foramen Vteriexternum apicemin . mittimus, quod fumma cum dexterita te finiftræ manusdigito indice inuenie . mus non enim quilibet inexpertus in yenirefciet, eft ſiquidem externum V. çeri foramé in vuluæ apice particula obe longa, & duriuſcula , quæ exigui penis puerorum exprimit imaginem)ſi ex pice ſpecilli liquor aliquis fuauiſsimus ficut efle vini tenuiſsimi pauxillumine forte exiſtente coneep'u fequatur:abt ortus) exprimitur, breui tractu votum I affequemur, Sienim obturatum eſt in timum vteri foramen , quod fit concep tu pera & o liquor Vterum non ingredi gur,& mulier faftidij njhil perfentiet. Sin autem ex intromiſlo liquore velli , cationem paruam pertulerit mulier: quod facile fiet ex maximo ſenſu parti um vteri,vưiquegrauida non erit; & V teri intimum foramenapertum reperiea tür, vt experientia liquoris oftendet. Sand.Sanctor.lib.1.de vitand error . Periculofum eft pifces frixesin humido locarefor matos fomedere; Nter magna venena piſciú frixorú , quireſeruantur inhumido, vel qui Aeterint cooperti calido vaſculo , eſus eft;bi enim in lethiferú cómutantur ver nenú , &fymptomata pernicioforú fun gorum corporibus inferút, quæ quan doq; non ftatim ,ſed poft diem , vel bi duum eueniunt : oportet igitur frixos pifces in loco aperto ,vtfrigeant, demita tere , fi venenimalitiam cupimus euita re.Ex ArnoldoVittan .lib.de venenis, 10 . Lałtis balneum procorporis decoratie onemultum præftare. Pud veteres lactis Balneum max A idve vu, illiusfiquidem lotione,corpora , & candore, & venuſta te vigebant. Hinc memoriæ proditum eſt Poppeiam Neronis vxorem quin gentas ſecum aſellas ducere conſueuifle, quarü lacte,vt candefieret , totü corpus balneabatur. Mercurialis de Decoratione. Germantantiquitùs corporis firmi tadinimaximèvacabant. M Agna profe &to faude Germano rum conſuetudo,digna iudicatur in corporum hominum vigore confir mando :ijenim legem habuerunt,neant te ætatis vigelimum annum , quiſpianti Venereis amplexibus commiſceretur, recte exiftimantes corporum viresà nim mis tempeſtivo coitu eneruari.Cefar 6. de belloGalico. Fæminas vtero gerentes , libenter : marem admittere :bruta autem grauida nequaquam . ! Olie Vam diſsideatmulier à brutis gra uidationis tempore, bene nouit A rift.7.de biſt. animal. cap. 4. Hæc enim ſigrauida clt, marem admittit,brutoru vero omniumſola equa coitum patitur à conceptų , reliqua autemminime. Ma nifeftifsimum eſthoc in ſpeciehumana mulierem grauidam coitum pati, & ap petere. Cicutam ,vterinum furoremex " : tinguere. Icet cicuta inter frigida connume. retur venena , præcipuè quæ in quis, &lacubus inuenitur,furoris tamen vterini, fiue Satyriaſis remedium it. Hic affectus Veneris eſt immoderatus appetitus , cum vteriardore , & delirio, Narrat Diuus Baſilius quaſdam vidifle fæminas, quæ Cicutæ potione rabioſas capiditates extinxerunt.Hoc legiturs. Liebe Homil.fup.Hexaemeron ,cuiusverbanotr nulli intelligunt de ciborum appetitu, ego tamen potiusadfurorem vterinum , &ad renereos incentiuosappetitus de ducerem , cuius auxilio compefcuntur: quippe Athenienſes facerdotes cicutæ vfu ,libidinisincendia extinguere con ſueuiſſeproditum eſt. Variolas &morbillosmorbos effe no yos, & hereditaria, &paterna prom prietate vagari. Agna eft difcordia inter feripto , origine. Aflerunt multi , hos fub nomi neexanthematum , veteres intellexiſſe, cauſaſque illorum reliquias efle excre mentifanguinis menftrui, quo nutriun fur fætusin vtero , & naturam , fiue calo . remnaturalem, ita exprimunt materiá, & efficientem . Alij minimeà veteribus fuille cognitos volunt , digladiantur que:num vitio .coli,vel ab internis cor. poris principijs apparuerint: quippe Arabes, quorú tempore cæpiffe hic mor buscreditur, eos peftem efle , fierique in pefte , & à corrupto cælo contendunt. de Equidem ante Arabum tempora nul lus-reperitur au & or, à quo morbos hos LT aut generatos, aut clare explicatos ha beamus.Proptereamulti latini, &non nulli inter ipſos Arabes, propter labem menſtrualem , lactis corruptionem , vi &tus rationem , & alias cauſas fieri fcrip ferunt.In tanta rerú difficultate , & ob > fcuritate.Hieronymus Mercurialis vir d octiſsimus, hosefle morbos hæridita o rios,ortúqueà cæli vitio temporeſcrip e torum Arabum , & proinde à veteribus haud fuifle cognitos enucleauit. Adhu ius viri opinionem libenter deuenie , quippęſi à menftruivitio, homines in ficerentur , quia hocab Euæ peccato à mundiorigine fempiternum fuit ,debu iffent homines hac menftruorum labe conta&i ſemper Variolas, & Morbillos pari,tamcn vec inprimaætate, nec poſt Noe,nec ante ſcriptores Arabes quem piam hos habuiſle , apertè legitur. Aperiunt iſtorú fundamentum efleiro walidú bruta fanguinea,hæc enim ( teſti monio Arift.6.de hiſtor.animal. 18. ) mé ſtruas purgationes habent, & inter cæte. ra Equus,Canis, & Alinus,tamen hæc à Variolis, & Morbillis non tentantur. At quodhuius reimagis negotium conua lidat,eft,Indosante Hifpanorútranſitú nequaquã Variolas paſſos, dirco non à reliquiis nutrimentià menſtruo fangui ne,velab iſtius excremento ortú ducunt Morbilli; quia ſià tali fuifsét variolarú, morbillorúq; origines,vtiq;ij hos mor bos experti fuiſſent. Legitur apud Ra mufiúIndiæ incolas,vitioCęliplurimos Variolis fuiffe extinctos, eoq;tempore, quo noftriáb illis gallicam luem accepe runt, cordemmet viciſsim à noftris Va riolas, & Morbillos recepiſſe.Suntergo hi morbi noui à Cælo productiprimò, cuius vitio adco homines fædati funt, vtin pofterosper hæreditatem maliſée minarias cauſas tranſmittant, proinde morbi hæreditarij dici merentur , quia paterna proprietate vagantur. Ex Mer. caridi. A1 th Dearaneorum telis,earumque ufuo inmedicina. Iro artificio Araneus telas ordi M tur , quibusmufcaspro vi&u ta . piat , hasad Tertianę febris circuitusde pellendos,multi præftantes, & celébres tempeftatis noſtremedici,non fine feli ci fucceflu in vfum præſtitere:fiquidem exiis , & populeo vnguento pilulas pam rant,corporiſque locis,horisaliquot an , - te acceſsionem ,in quibus arteriariume uidens deprehenditur pulfátio, colligātas &relinquunt; indė votum conſequun . tur. Ioannes Moibanus. - Natur& cautela inmenftrualimulier rum fanguine purgandomaxi-, ma eft , MalenAgna eſt, in depurandis femina rum corporibus à menſtruali luc, naturæ fagacitas ; quippe fi oculos habuerit meatus, quibus lingulis men fibus illam deponere conſueuerit,nouas adi illius expulfionem vias molitur. Proptera.multæ , ex oculis cruentas, laie. chrymas,aliæ ex narium venis farguinis profluuium emisêre,nonnullæ ſputa ru bentia pafſæ ſuntin menftruorum cefla tione.Ipfein quadam ancilla noſtra, cui menſtrua occlufa erant, ex gingiuisſan guinem profundere obferuati.Atquod magnam infert admirationem , multæ per minimum manusdigitum ,& per an nularem fingulis menfibusfanguinis fu . fionem habuerunt,vt in religiofa qua dama foeminanon menſtruante ter in fin niſtra manu Ludouicus Mercatus fami. geratus medicus obferuauit. Inter rutam do braſsicam nullam imao effe antipathiam . Xſèriptoribus in re ruſtica malti, fi . fecus rutam feratur, braſsicam illico arefcere tradunt. Aliam von adducant cauſam , & rationem , quam antipathiam, & diſparitatem quandam inter talium naturam.F utile autem eſt hotum argua. mentum , nulla enim inter rutam , & braſsicam.contrarietas eft, quia tamen alte . Elec  NO altera prope alteram areſcit, id in cauſam eſle poteft ,quiavtraque calida, & ficca - eft , inde facile euenire poteft , vt ob humiditátis inopiam altera, vel amba i ariditate perdantur. Pediculos morientium corpora miris Jagacitate relinquere. on leue à Medicis præfagium à pediculis in grauibus hominum valetudinibusſumitur . Hi profe &to in moritüris; quandờadeo intenfà eft huis morum corruptela, ve calor innaus re foluatur, vel putreſcat , circaventricule regionem , vel fub-mento, vbi maior eft " ealiditas congregantur,parteſque extrbó mas, tanquam calore proprio orbatasderelinquunt. Quodcalorem proprium penitus exſolui cognouerint, ab infirmi corpore mira celeritate longius abeſle: confpiciuntur. Lemnius. De Achatis lapidismirabili. natura A Chates lapis, qui ex India fertur, tum coloribus diuerſis , tum ve D4 piss TA m  nis variari confpicitur , ex quorum in .. terſectione diuerlæ imagines multoties, fabricamtur .Quod autem mirabilius eft, nuncferarum genera , flores, aut nemo ra,nuncvolucres, autRegum naturales, hic lapis portendir effigies : quippe fer tur in Achate Pyrrhi Regis, & capuri , & feptem arbores in quadam planitie ap parentes extitiſſe , Ex Camillo Leonardo de. lapidib. Ferarum natura in hominibus mie rum in modum deteftanda.. On eſt à ratione alienum , quod de Attila circumfertur , quod Canis more latraſſet : quippe Ioannes; Langius clari nominis medicus ab equi-. tibusComitis Palatini feaudiuifle retu lit, quod in Auftria homine, qui latra . tu ,ac curlus pernicitatecumcanibus co tenderet, & cũillisin ſyluis illæfus ve naretur,vidiffent. Hæcauténaturaabfq; dubio deteſtanda eft , quippe tales . im manes ſunt, & in hominum occiſiones procliues, vtAttila crudeliſsimus fuit, NRege in es Ees & in viuentium cædes pronus , à quo tot Vrbes, & populi vaſtati ſunt.. Non modòinfæminaslaſcinire homi : nesverum , etiam brutacernuntur . Omines laſciuire in fæminas, nec nouum ,nec inauditum eft cum anebo fub humana fpecie contineantur. Quod autem bruta in eafdem laſciuiant, mirabile eft,Plutarchus in Dialog. Ele phantem in Alexandria fæminam qua- - dam ,quæ coronas ſutiles componebat, fuiffeque Ariſtophano Grammatico rio ualem , adamaſſe retulit: A micę,per pla team tranſiens Elephas,&poma, & frum & us donabat, multiſque indicijs , & a morem , & ad fervitutem promptitudi nem declarabat,læpeque à latereafside bat, & laſciuè mammarum loca tange bat,Serpens etiam quidam (teſtimonio eiuſdem )puellam ardentiſsimè adama uit,no & u ad illam accedebat, placide. - que amplectebatur, &à latere dormie bat, luce autem aduentante nulla illata kelione diſcedebat.Parentes,ne à ſerpé tele . t n itas te læderetur, aliò puellam afportarunt: Ille autem ad amicam vltimo peruenit, quá nonmorefolito'amplexa,ſed qui dam amantium ira in illam irruit , ma nuſquepuellæ nodis vinciens,caudæ exe tremitate amicæ tibias verberebat, profecto præreritę fügæ ,atqueablentiæ: iniuriam vlcifci videbatur: Quomodofamine vterogerentes: conceptumvaleantoccultare. Aximam Sabini cuiuſdam Roe mani vxoris in occultando conceptu referam ſagacitatem , quo præfi dioaliæ confimiliter,fi optabuntfæmiö. næ à conceptionis.indicijs faciliter oe cultabuntur.Illa quidé dû aliæ mulieres; fecum lauabantur ventris tumorem ce .. Jare cupiens, vnguento , quo ruffas, & aureascomas.reddebat,ab vtero corpus vniuerſumlinire folebat. Illius erat vis pinguitudinem , ſiue carnis inffationem , aut laxitatem efficere , propterea com . Go: lange in corporis particulis vtebatur, Hlud tumeftumrepletumque redde MA bat, ventriſque tumorem ' occultabat. Parabatur( vt' puto )'vnguentum ex res bus rubificairtibus,& puftulas inducend tibus,calcefcilicet,auripigmento , tiap s. fia , & lulphure, hæc enim alijs rebus co --- mifta veteres ad capillorum cultum cad 1 piebát,ſin a.in aliqua corporisparticula applicantur ex magna caloris vijaut hu mores ex alto ad fummum :trahuntur; aut ipfis fuſis.gignuntur:flatus cutis, & extima corporisſuperficies attollitur, & in maiorem molem ducitur.Ex Plutarc... inlib - epwTikā . Fructuum , vinearum ,iumentorumga interitus praſagium . Agnun à mori germinatione ca Lpiturpræſagium , mörus enim . ideo à Theophraſto prudentiſsima vocatur , quia omnium nouiſsima gera minat , & pruinis non tangitur : Idcirco fructus, & Vineæ à mori germia minationeà pruinis liberi fünt. Ea tam menquando à pruina lædi contingit( fia: D G quidemosi M Ty & fiquidem læſam in Aegypto, vt in pſala mo77 legimusMoyfis , tempore prodia tur fuiſſe )Colimaximamarguitintema periem ,& proinde fructuum , vinearum . que interitum declarat.Atmaius ab vl. mo &perſicopræfagium capimus, quip pèvlmi, & perfici, folia , præter tempus decidentia ,peftem inomniiumentorű ,. &pecuino genere præfagiűt. Ex Cardano., Fætoremextinéta, lucerna vteroge Trentibus,infeftumeffe ,& ini. micuin ... Dor extinctæ lucernægrauis,adeo tur , vt in abortum faciliter conducat. Id : alleruit Ariſtot.8.de hiſt. animal.c.24 . vbi non modo mulierés grauidas,,verú . didit.Profecto malus odor fi odor. fi prægnana. tjú corpora ingreditur, quia fætus im becilliseft , & à quolibet alteråtur,facili negotio inficitur, eius caro tenerrima, & ſpiritus inde abortusſequitur.. At no Kemelextinctalucernæ fætor perniciē. quoque Ila He 4 i quoquc hominibus attulit, vt carbones in cameris teſtudinatis facere accenficó . fueuerunt. Duos monachos retulit Pe. trus Foreftus in obferunt . medicin..cum nodu cellam ceruiliariamintrașent , vt fæcem cbullientem exportarent,( fortè candela extincta )cum exitum non inue nirent,ſuffocatosfuiffe ,ac mancmortu . os effe inuentos. Infania ,&furori àfolanofluatico contrattis vinum potentiſsimnmfora gulare eſe prafidium . Olamur . fyluaticum , quodà multis Belladonna dicitur,tantæ eft immani tatis,vtinlaniam , &furorem hominibus eiusacinos.comedentibusinducat, AC cidit cuidam ( referente. Hieron. Trago dib.i.hiftor. ftirp.) quiin fylua plantam vi. derat talis calus: hicmultos decerpfit acinos, & deuorauit : altera verò die in tantam inſaniam ,& furorem deuenit, vt plerique illum à Dæmone obſeſlú cre derent.Intellecto tamenmorbo, vinum fortiſsimumà. Trago illi propinatum Spelaria D ? esto)  eft, quo facto conſopitus,paulòpoft con ualuit, & abfquelslione vixit, Lolium tritico ", alýſque cerealibus : commiftum varia hominibusfymptom mata attulille. Anis,in quo- lolium fuerit, ſtuporem quendam ,ac veluti temulentiam efi tantibusparit cum fòmno inexpugna . bili.Id Gatenus afferuit lib.1.de Aliment: facult.Etenim ( inquit )cum anni confti tutio praua afiquando fuiffet, lolium tritico affatim ispaſci contigit , quo haud feparato, quod paucus effet tritici prouentus ftatim quidem multis caput dolere cæpit ineunte æſtate in cutemula torum,qui comederant vlcera ; & alia fymptomatafunt fubfequuta, quæ fuc corum.prauitatem indicabant, Lolijta . mennocumento acetum efle præſenta Deum remedium iudicatur. Quare tum Htritico ,tum abalijs feminibus cerealio busdiligenterloliumfeparandum eſt. Scorpio Scorpioidem herbam Scorpionum : iltus feliciter fanara. Irabilis eft herbæ Scorpioidis in : M Scorpiones potentia,illi quidem huius tactu ,exocculta diſcordia exani. mantur, &intermoriuntur , tantam in ter eosanthiphatiam natura indidit.As' quodmirabilius eſt exanimati Scorpi. ones,fi Hellebori albi radice tanguntur; ad vitamreuocantur. Propterea.Scorpi oides,Scorpionum ictibus impoſita fe liciter & citilsimè illorum virus mor , - tificat,viculque perſanat ex, cuius prz . tentancain illos virtute à Scorpione now. men fumpfit, & Scorpioidesdi&ta eft. Mirabilesin biomiwibus proprietatesquase doger adfuiffe. Dmiranda profe &to in homini bus quandoque vifa funt. Regem Pyrrhum aiuntpollicemindextro pede natura habuifle , cuius , taču lies nelis medebatur : bunc cremari eum religae A réliquo corpore haud potuifle perhibet .. De Samplone legitur infacrisLitteris, quod in capillitio mirabilem contineret virtutem , qua aduerfis quibuslibet re fiftere audebat. Veſpaſianūtactu .& fali ua, & fine his quandoquenon paucis af feátibusmedicatumeffe tradunt.Ego e. quidem idiotam cognoui hominē, qui Ipuitione ſola in osinfirmi ranulas per fanabat, &licet primoafpe & u a&u De Monisid perfeciffe dubitauerim , quieui tamen ,cum fimpliciter curamagere illú : cognouerim . Dolorem colicum Bubulo ftercore per Sanari. Agnam Bubulo ſtercori" dolorem colicum fanandi indidit efficaciamquippè apud fcriptores legi, & à fide dignis audiuiffe viris afferit Geſnerus, illius potu complures ruſti.. cos fuiſſe liberatos,qui enim ftercus ari dú in iuſculo bibit, ftatim fanatur. Hinc apud multos mosortus eft ,vt nonnulli nonmodo ipſum excremét aridum ,ve rum.  1 E1 uum recens, & expreflum iufculis ebi bant, & melius habeant. Ego quidéru fticis tantummodo remedium præbe rem , nobilibus vero, ne nausean indu cerem ,non auderem ,cum nobiliora pro ijs habeamus præfidia , ſufficerent tali.. bus ex eodem ftercore cataplafmata, vt enim reor,ex proprietate tale auxilium colico dolore vexatis,ſubire confueuit. Epilepſiamfrumafqueverbena ako xilio evaneſcere. Aturalis Magiæ profeſſoresverbes: nam ( Sole Arietemi ) colle & am graniſque pæoniæ fociatam , contritam , & ex vino albo hauftam per colato , epilepticosinftar miraculi fana . re prodidere.Hoc exHermetetraditur. Nop.minoreft ejuſdem radicis efficacia, quippe collo eius appenfa, qui ſtrumas, patitur,mirū,ac infperatum adfert pra fidiumReferunt Aſtrologi hanc Vene ri effe dicatú , ffrumaſque delere ,quod Veneri ancilletur , quæ collo præeft, propter Taurum eius domicilium .. Ex. Durante inHerb. N 1 1 1 1 i Arbores quandoque in lapides commutantur: N Danico mari , iuxta Lubecenfem vrbem Alberti Magni'ætate, arboris ramus inkientus eft cum Nido, & pullis, qui cum in lapidem omnes, cum arboré & nido eflent conuerfi ,purpureum ta = men ,( vtipfe retulit Jadhuc colorem fa um retinebant. Georgius Agricola eti am memoriæ tradidit,in Elpogano tra étu, iuxta oppidum à Falconibus cog nominatum , Abietes integras cum cor tice in lapides verſås elle ,atque , quod maius eft, in rimisetiam porphyritidem Japidem continuifle , quod maximè foc Tertiſsimæ naturæ operibus tribuen dum eſt. Bardanamaiorcum mulieris piero magnam baber ſympathiami quæ MPerfomatia diciturinmulieris yra rum , magnaque eft cum illo eius fym. pathia , quippe illius foliun lämmo ca. pite geftatum matricem furſum tollit, fub planta pedis deorſum . Propterea huiufmodipræfidium aduerſus matri cis ſuffocationes,præcipitationes, ac tiſo locationes præſtantiſsimum à multis iudicatur. Ex Mizaldo, Quomodo literas axrei colorispinger . valeanks. VI T literas aurei coloris habere pole fimus,auri ſolia quot libuerit, eli gemus quibns mellis tres vel quatuor guttas miſcebimus, hæc infimul conte renda funt. ad vnguenti fpiſsitudinem , in ofleoque vaſculo conferuanda, Cum autem ad ſcribendum .huiuſmodi mir ftura vti volumus,aquæ gemmaræ ali quid addendum eſt; vt operi liquorap tior exiftat:ita profe & ò litteras habebi. musincomparabiles. Ex Alex. Pedemono Lano. Qyomodoveftigia; & défórmitates vario lis,&morbillis bomines poſsint. euitari. Ne 92  E morbillos. in facie , corporeque hominum remaneant , expertifsimum apud me, quod in publicam vtilitatem placuit aperire,eftpreſidium ,quo vten tes pueri puella quedeformidate , quæ ab ijs relinquitur , carebunt. Cum va riolæ, fiuemorbillimartruerint, & in medio oculi quafi albicantes enricu erint , quod eft fignum bonæ matura tionis,omni die bis oleo amygdalarum dulcium recers . expreffo plura leuiter oblinire oportet, donecexſiccentur , ita profe & ò, vt fæpius experiri libuit , ve Itigia non remanebunt; & quod melius eft,oleum hoc'excoriatas variolasmira . bilíter ad fanitatem perducit. Quantum in hominibus: vfus vene norum valeat. Ithridates fæpè veneno epoto , adeo venenorum tis auxilijs corpus diſpoſuit,vtcitra of fenfam venena ebiberet. Cum autem à Pompeio profiigatus eſſet,atque in ex trema:I trema fortunæ miſeria conſtitutus, è vi e taillæſus diſcedere feſtinabat, quaprop ter venenum hauſit , & pluſquam fatis eſſet,nectamen emori potuit,cum con tinuus venenorum vſus in hominum naturam pertranſeat.Ex Plinio . Inhominibus vermes figura maximè differunt. V 23 5 admodum funt differentes, quippe in quodam Antoniano CanonicoMon tanus obſeruauit.Hiccolico dolore tor quebatur , cuius moleftia Hierameram deuorauit,vermemque deiecit.Erat ille viridis, figura lacerti, ſed craſsior, hirfu . tusq ;, & pedibus quatuor innexus.Breui tempore à fera propulſa, canonicus obia ic:contra illa in vitrea phiala aql a plena, per menſes aliquot viua ſuperſtitit. Ex codemMontano lib.4.6.19 . Calculusrenum , veficæque in homi mibus, quopacto confumi valeat. Lapil  t Apillus, qui in Tauri veſica ,men {e Maio reperitur , magnam habet in conſumendo calculo efficacia. Hic fi vino imponitur , mutato paululum ſa pore, colorem croceum contrahit. De hocvino quotidierecens effufo , donec lapis vino impofitusomnino conſum peus lit, à calculo infirmos bibere opor. tet. Hac enim ratione, nó modo calculú comminui, verum etiam conſumi mul. tos experientia edocuit. Ex Quercetane. Filiosà parentibusfignum aliquod recipere , vulgatifsimumet. " Ilii omnes patrium aliquid, aut aui tum ad vnguema retinere folent,ver Tucam ſcilicet , vel cicatricem , vel effi giem ,velmores , autmanuum lineas.In domo noftra omnes à parentibus verru cam in brachio habuimus, & Marcellus filius meus ex me confimiliter. Proue niunt hæc à feminum miſcela , ſpiritu umquevtriuſq; parentis ſeminaliú,auo rumq; effuſione. Proptera etiá ſuccedit, File ( fire fi feminain filiorum generatione benc mifcentur,atque in minimas partesiun guntur) vt fætus robuſti euadant. Hac enim rationefpurij robuftiores exiſtunt quoniam ob amoris vehementiam , ve triuſque ſemina multum , beneque.co . ráiſcentur:Ex Cardano de subtit. go D: Marerubrùm in plantisproducendis terre vigorem obtinuiffe videtur, to Adel D mare rubrum afbos nulla in terra prouenit ,præter fpinam , quç dipras vocatur. hęc autem propter fer uores, &aquę penuriam rara etiam eſt, quippe non nifi quarto , quintoue anno pluit, & tuncquidem impetuoſe, breai quam te?mpore. At- in mariexeunt plantz , cat quelaurum & oleam appellant.Läu rus arię fimilis in toto eft, olea folio ta tum fru & um oleę proximuin his noftris oliuis parit , & lachrymam -emittit ,ex qua medici, Irftendo fanguini medica Hentủ compopunt: Cú auteaquỵ plures inceflerit,fúgi iuxta mare quodãin loco crum HM erumpunt,qui Sole tacti, in lapidem co mutantur. Ex Tbeophr.in 4. de hift.plan. Incapillorum defluuio ex Hydrargynı lac epotum peculiare iudicatur auxilium . . rifabris capillorum defluuium in ducere conſueuit, aliaque ſymptomata; quæ tales in mortis pericula conducunt. Pro huius immanitate, vtiin potu capri no lacte, illudque cum pane commede re,fingulare & expertum eft remedium ; quippe ſedata illius vi,atque potentia,à veneni morte liberanturægri, & piliite rum nafcuntur. Ex Foreſto in obſeruat.med . Inter Lupum , Agnum maximam effe antipathiam . Tantralis difcordia,vt ipfisemor. , tuis in eorum chordis id etiä eluceſcat. Si enim ex Lupi, Agnique inteſtinis, chordæ conficiuntur, in inftrumentis muſicis applicatas minime concentum vocefque lonoras reddere,fed continuo tadas Bo ta &tas dillonare obſeruatum eft :at quod mirabilius eſt , agninas chordas à Lupi funiculis corrodi , & confumi, fi fimul n repofitæ fuerint,comprobatum eſt. I demde Aquilæ , &anſerum plumis fer tur, Aquilæ enim pluma naturali antia pathia anſerinas poſitæ interplamas , vt docuit experientia eas conlumunt & corrodunt, Quadam pro Epilepſia admiranda reperiun. RiaabHoratio Augenio ioluiscá . (ult.pro epilepfia curanda magne efficacię proponuntur remedia. Primo lococarbo eftille odoratus, qui fub Ar timiſiç radicibusęſtiuo folftitio colligi tur, quiper dies40.infirmis,aliquocon ucnienti liquore exhibendus eft mane ieiuno ſtomacho.confircor ego cuidam , epileptico huiuſmodi remedium ada modumprofuiſſeSecundo loco ,Mufte lę fanguis adducitur , hic pręſtantiſsi. mus proepilepfia ſananda cenſetur,au. joris experimento, vidit enim fanatum E epilep probauit , fanari confueuit . Colligitur epilepticum fupra 25.annum ,ſolo huius fanguinis vfu potati ſcilicet ftatim at queè venis exiſtadvoc.ij. cum vnaacer. ti :Vltimo loco tefticuli Apri,aut faltem Verris fiueSuis domeſtici-Venere vtéris; &tefticuliGalliexiccati in furno mira biles cenfentur;hi in puluerem tenuiſsi. mèredađi, cum zuccaro mifcentur, & decem continuis diebus epilepticis ad drach.tres,cum aqualettonicæfelici cũ fuccefsu.exhibent. Flatuofam inmembrisconuulfionem lignoce peſcoperfanari, Onoulſio illa, quęà flatu in mufcus lis , & membrisoritur cum dolore, Chanc noftrirampham ,ſiue gramphum.yo cát)nodis ligneis à viſco , quod in quer. cubus'adnafcitur, vt experientia com С. viſcuin aftiuo tempore,Sole in Lepois fickere commorante,tunc enim perfectia onis complementumadeptum eft, Dc. bent nodi ligneiillius, loco patienti fu perponi, vtitarimfiatus: diffugiat ,pio gui ficco, renuiq; prædirum eftlignum , * aut occulta ratione, vtvoluirCardanus Confiteor,multis taleprælidium ad pre feruationem meconfuluiſie ,votumque $ fuiſſe aſſequutosſola iſtius ligni tuſpen y fone. Annult ex bubalorum cornibus | huiufmodi etiam dolores prohibere multa experientia, ex eodem Cardano i obferuati ſunt. Quomodo nonnullorum animalium vent num corpora vostra ingrediatur. Pedido Halangium cum aliquem momor . dit , quamuisparuum fit animal,ex . - iftimare tamen debemus, venenum ex ipſius ore , primo quidem in ſuperfici em ,deinde vero in totum corpus defer ri, Præterea marina turturis , ficuti , & terreni Scorpionis aculeus , quamuis ir extremam illam acutiſsimamque par temfiniatur , vbi nullum foramen eft , per quod venenum deijci pofsit,neceffe en eft vt excogitemus ſúbftantiá quianda ineſſe illi,aut fpirituale,autAgidam ,qnz E vt mole minima , ita facultate eft quam maxima.Siquidécú nuper fuiſſet quida ict Scorpione, videormihi eſle(inquit) percuſſus grandine:eratque omninofri gidus,frigidoq;fudore perfufus.Quip pe vbi exicta parte,pertotam iplamce leriter diſtributa fuerit venenivis,con tingiteam , endemrurſus.contactu ,in fingulas ſubiectarumei partium recipi: mox ex illis inalias continuas, done: in aliquam peruenerit principe :quo tem forémortis periculum inftar. Ad hanc remin primis conferunt vincula parti bus fupernis inie & a, abſciſsioque pare tium venenatarum . Noui equidem ru fticum ,quiepoto è viperis medicamen to , reſciſlo priusdigito euafit, ficut , & alium quendamqui ſola ſectione circa medicamen eſt liberatus. Hac Galat. 3. deloc. aff. Mirabile ad Strumas gurturis, ramicem , Adem44 Yemedium . Dmirandum remedium ad ſtru . A mas. Cupreſsi foljaneque teneri. ora ,neque duriora in puluerem com di minties, tortiuo vino confperges, atque ita volutabis , dum in fæcis corpus coe TH ant, inde fruma, velramex indecitur, pe tertio primum die foluitur medicamen tum , contractum locum inuenies, quidie o gitis-exprimidebec rurfus ad tres dies idem pharmacum applicabis,eodemque modofolues ,&exprimes;feptimodie, vel ad fummum pono , ſtrumæ velut miraculo abolebuntur. Valet etiam ada ramicégutturis, parotidas,omnemdur se ritiem , & ædemata. Hie tollerininhere fit.Chirurg.6... Peftilenti tempore in :er pracipua-prafidia: aeris re&tificatio fummum iudicatur. Mnilaudedignus, omniq; decore admirandus Hippocratesiudican dus eft ,qui peſtem illam ex AEthiopia ad Græciam venientem , non aliorepu lit auxilio, quá aeris purificatione.Præ cepit enim ,vt per totam ciuitatem ignes accenderétur ; qui non è fimplici folum materia ,fed etiã beneolenti conftarent. Qua propter , & coronas odoriferas , florefquearomata ,vnguenta pinguiſsi magrati odoris, & alia iucundosodores fpirantia, ciues igniſpargebant, quo paa Eto aer purusfa & useft ,& ijà peſte tuti fuerunt. Ea fuit magni Hippocratis dia ligentia. Ex Galeno. Portaldara fenuinis contra lumbricas: magna estefficacia. Nlumbricis necandis nonmodòPon tulacz aqua ftillatitia aptiſsima iudi.. catur ,verum etiam illius femen.Narrat enin : Arnaldus Villanoua , quendam puerum , dum effet in mortis periculo Conſtitutuspropter lumbricorum mula titudinem drach.jem . feminis Portula cæ cum lacte fumpfiffe,atque lumbricas multos emiſiſke,fuiffequeliberatum . Quorundam animalium vita terminus con. ftitutus,quis fit. epusannis decem viuere fertur, & Catus totidem . Capra o & o . Afinus triginta.Quisdecem : fed vir gregisfæpè quindecim . Canis quatuordecim , & quandoque vigintiTaurus . quindecim . Bos,quia caftratus,viginţi. Sus, & Pauo viginti quinque.Equus-vigioti,&non punquam triginta , inuenti funt, quiad quinquageſimum peruenerint.Colum biodo , vti etiam Turtures. Perdix vi. ginti quinque , vt &Palumbus, qui non nunquam ad quadrageſimumperuenit . Ex Alberto Låddoloresarticulares electuariano mirabile. Periam electuarium illud mirabia le , quo ego in doloribusiun &tura rum, & in arthritide cum felici fucceffua nor femel vfus fum . Huius auctor Pem trus Bayrus eft,licetipfe Galenicompofitionem efle dicat in -lib.18 : fuæ Praski. Confiteor fubito ſoluere finemoleſtia , ignitum caloré extinguere, & membra patientis adeo contemperare, vtmultas viderim , endédie, qua pharmacum acce. perant, à ſella ad locú propriúſine alte rius auxilio languētes redire. Capiútur Hermos Qua propter , & coronas odoriferas į floreſquearomata, vnguenta pinguiſsi magrati odoris, & alia iucundosodores fpirantia, ciues igni ſpargebant,quo paa cro aer purus fa & useft , &ijà peftetuti fuerunt. Ea fuit magni Hippocratis dia ligentia. Ex Galeno.. Portulara feminis contra lumbricos. magna est efficacia. Nlumbricis necandis nonmoddPon tulacæ aqua ftillatitia aptiſsima iudim . catur ,verum etiam illius femen . Narrat enin : Arnaldus Villanoua , quendam puerum , dum eſſet in mortis periculo! Conſtitutuspropter lumbricorum mula titudinem drach.jem . feminis Portula cæ cum lacte ſumpfiffe,atque lumbricas multos emifiſke,fuifíeque liberatum . * Quorundam animalium vita terminus.com ftitutus,quis fit. epusannis decem viuere fertur, & Catus totidem . Capraodo. Alinus triginta.Quisdecem : fed virgregis læpè. quin io rabia quindecim . Canis quatuordecim , & quandoqueviginti.Taurus quindecim . Bos,quia caſtratus,viginti. Sus, & Pauo viginti quinque.Equus-viginti, & non punquam triginta , inuentiſuật, qui ad quinquagefimum peruenerint.Colum biodo , veietiam Turtures, Perdix vi. ginti quinque, vt &Palumbus, qui nons nunquam ad quadrageſimum peruenit . Ex Alberto Laddolores articulares electisarianos mirabile . le,quo ego in doloribus iun & tura rum , & in arthritide cum felici fucceffu non femel vfus fum . Huius auctor Pew trus Bayrus eft, licetipſe Galenicompo fitionem efle dicat in lib.18. fuæ Brasti. Confiteor ſubito ſoluere ſinemoleſtia, ignitum caloré extinguere, & membra patientis adeo contemperare,vtmultos viderim ,eadédie,quapharmacum acce perant, àſella ad locú propriú fine alte rius auxilio languētes redire. Capiútur Hermodactylorum alborum à cordis fuperiorimundatorum , & Diagridii an .. drach.ij.cofti,cymini,zinziberis,cario phyllorum an.dracij.trita , & cribellata conficianturcum fyrupo fa & o exmelle , & vinoalbo inuicem coctis,donec ſyru. pi bene codi formam recipiant. Dofis eſtà drach. ij.ad drac. iiij.fecundum in firmi tolerantiam . Auctorconfitetur ter ab huiuſmodi doloribus fuiffe correp tum ,& femperinaurora huiusele & uarij ( quod Diacoftum vocat )vnc.ſem , acces piſſe, & in vna die conualuiffe. Ego dia-. gridium in minoridofi,exhibuifemper & beneſucceſsit. Periculofumeft Bafilicum continues adorari. Vantį ſit periculi, herbæ Baſilica frequens odoratus plenus,ex Hol Jerij exacta obferuationeperfpicitur. Quidam enim Italus ex continuo eius odoratuin vehementes, &longos inci-. dit dolores capitis ex Scorpionein cere bro epato ,cuius caufa morsconfequuta eft ck Ratio apud aliquot huius euentus,ea potiſsima eft, quod Bafilici folia ſub te. ftafi & ili putrefaéta in Scorpiones mu tentur, ex quo arguunt, frequentem o . doratum animalcula quædam Scorpio onuminftàr, in cerebro geocrare . Vte cumque tamen fit, Bafilici odoratus ad Syncopim , & animi hominum deliquia, mirumin modum prodelle compertum cfts Piſcem Torpedinem, dolores capitis àcaufa calida feliciter fanare. Nter fele & a , & quae dolores capitis à caula calida auferunt remedia ,Tor. pedo piſcis eft. Aitenim Celfus, quem ſequutus eft Seribonius Largus, huius Puciscapiti affricatu ,adeo tales dolores remoueri vtin pofteru redire nequeant. Cauſa torpedinis qualitas eft,ipfa enim viua in mari, & procul , & à longin $ quo velfi haftá; virgaveattingatur,tor porem piſcatoris mébrisinduceredici. tur, vt Plinius lib.23.prodidit. Idcirco etMatthiolus dixit) mirum non eft huiuſmodi affe& us, quodam ftupore : feliciter ſola confricatione fanare . Queex occulta natura proprietate fiunt, mirabilia videri. Aturæ arcana femper hominibus , admirationem præſticere:ratio eſt,, quia caufas ignoramusproprias, & pro .. pterea in ſpeculandis his ce pitamus, necaliud nobisreftat, quam føla admi. ratio. Quis enim non admiratur , cur: Hyænæ vmbræ conta & u , canesobmya. teſcant ?Cur Eryngium ore Capræſum . ptum totum gregem fiftat? CurGallina, appenfo miluicapite nunquam quiefcea. re valeant? Curappenſo allij flueſtris capite in ouis collo, quz in grege omnes antecedat, Lupi ouibus nocere neque.. ant? Profe &to hæc mirabilia funt , & in refum fympathias, & antipathias, & na- . turæ arcana reducuntur. Nonnulla animaliareiuuenefcere: proditur. Agnum natura quibuſdam anie. inalibus pro fene&tute euitandai , COA conceſsit releuamer , Ceruus enim elu , ſerpentum renouari dicitur , quippès dum fentit fene&tute fe grauari, ſpiritu, per nares è cauernis ſerpentes extrahit, fuperataque veneni pernicie ,illorum : pabuloreparatur.Colubri quoque alijq; ferpentes quoniamper hybernas latebras. vifum obſcurari ſentiunt, primo vere, maratro , feu feniculo feſe affricát,illud , que comedunt, ita vifum recuperant, &, exacuunt, & vetuſta tunica depoſitag pelleque priori reiuuenelcere dicuntur.. Qgorandam animalium carnes ad vitæ lorem . gitudinem palere. Longifsima vita aliquorum ami.. malium vel eorum proprietate, multi fapientés vitæ longitudinem in hominibusinuenire conati funt,volunt enim carnium efu longæ vitæ animali um ,vită poffe produci , re& ecenſulen. tes ſolidá nutrimentă,multú,diùq nutri R, & à morbis defendere. Hac ratione Ceruicarnesprecipuè iuuenisadlógitu L6 dinem vitæ valere autumant, Reculit Plinius quafdam nouifle principes fæ minas,omnibus diebus Cerui carnes de paſtas, & longo ævo febribus, caruiffe .. Dioſcorides lib.z.longam ſençđuter cos agere dixit , qui Viperę carnibus, veſcuntur.Propterea Pliniuslib.13»An tonium Muſam Cæſaris Augufti medi cum dicebat, Viperas in cibis ijs dediffen qui ab vlceribus incurabilibus affligea bantur,ratus hoc auxilium , vitam illis, producere,atque omnesſanafle.Exlib.3; Conuiuij noftilitterarij. Abfürdan, ridiculain effe Paracelli opic. nionem ,de homunculi inpbialia vitrea g ! .. meratione, de partu . NPara Onmodo ridicula,ledinfanda eft: Paracelfi, damnatæ memoriæ opi-. niode homymauliconceptione, & partu .. Scripſitenimex feminehumano in ama pulla vitrea. conie & o :;: & aliquandiù : fub cquino, fuma, Itabulato , homun-. Cului culum gencrari . Vt autem hanc hypo .. thefimfaliam ille impiusdoceret, exo uo fumpfit conie &turam ,quod cum op ſeruaret in loco calido concludipofle, & ex eo tandem pulliim excludi, perſuaſit hoc idem in humano ſemine in vitreo vaſculo reclufo poffe contingere. Sed vana, & fabulofa ſunt eius figmenta, fi- . quidem ex putrefa& o femine, in an. pulla fub fimo recondita talis homun .. culi partus fieri nequit, qualis enim eft cauſa,çaliseffe & us conſequitur,proinde ex putrefacto nihil ,piſi corruptum ori .. tur. Infuper in fetusconceptu ,vt ex fa . ais:diuiniverbidecretis capitur,ſemen virumque viri: &mulieris concurrere opuseft ,præterhęęconceptio haud ori turniſi. fuerit vterus benetemperatus, tanquam hortulus à Deo deftinatus ad hanc prolem , cui fanguis maternns fi mulaffluar: quippè fi.materni- fanguinis deficeretappulfus,necfemenaugeri,nec ali planıę inftar, necpartes conformari pollenr,, vt omnium philofophorum E. 7 conſenlus eft. Ad hæc inter fætum, & vtero gerentem fympathia quædami requiritur , vr calorem , & nutrimená. tum à matre recipiat, & à fætu viuena te inatsis calor augeatur : & abia' ad cona coctionem , & produ &tionem feliciter fuccedant. Quæ omnia fallain effe Pas tacelfi coniecturam atgtrunt: ille enim non perfpexit in ouofemen , exquo puls dus fit , fimulcum alimento vernaculo conferri, & in teſta per fe porracea tans quam invteroquidemconcludi; ex qua pullus ali , & refpirare pofsit Semen vero humanum caloris, & fpiritus Cu iuſdam viuifici particeps , &conforss quorum vi , & beneficio fir generatio , antequam in vitream ampullam per funderetur , eodem temporis veſtigio exhalaret , & conceptio euanefceret: Hue aceedit, quod deeſt fanguis, quo femen nutritur, & augetur. Adde quod per ampullam vitream , fub fimo recon ditam tetas fpirare nequiret confuta .. maergofunt Paracelfiftarum fomnia ,& fabula fabulofa eorum magiftri conie & ura; & vana de homunculi partu affertio. Ex. Georgio Bertino Campano. In Armenia nines rúbentes fieri. Iues omnes(fublata philofophand tium ratione)albæ funt, & ita ius d cat fenſus, vtnon immcrito Plinius lib . 17. capite z : niuem vocaverit cæle ftiumaquarum ſpumam. Nihilominus Euftachius Homeri interpres , in Ara menia niues rubentes confpici retulit. Harumcolorçm multi fapientes rummi Aantes, non natura niues rubentes fieri, fed accidentaliter illic voluere. Illa enim loca minio luxuriant, cuius colo re ex halātiones , è quibus in Armenia ninesgenerantur , pallutæ , rubedincm . acquirunti. Pro quartana febrejſalitaremedia . A Rnaldus Villanoua pra fecreto ha. buit in febrequarrapaexhibere taxi barbaſsi radicem ex vino per dúashoras. mote acceſsioné, & Dominus osdecorde: Ceruiad drach . Itidemex vino alterator di& amocretico,ſaluta ,chamedrio ,chamæpithio, &myrrha ex fucco abfynthit ad ſcrup.ij.caftorei eriam , & bituminis anſcrup. ij. ex vino: Alij,vt quartanam excutiant , infirmis dum in acceſsione affliguntur, timorem ex improuifo incu tiunt. Proptera Titus Liuius fcripfit, Quin & umFabiuin Maximum in con fictu febre quartana fuille liberatum ... Terra Lemonia contra venena miram : babet efficaciam . Nterpræſtantiſsima auxilia contra venena,terra Lemniaconnumeratur , quæ ad Cantharides,& adLeporem ma rinú adeò pręſtat , vt quadam proprie. tate, deuorata , omnevenenum per vomitum expellat, quemadmodum mul tis experimentis hæc omnia didicifle. Galenusconfitetur, Lumacalapidem ,partümulierum facilitati. Icitur Lumaca, lapidem nobiliſsi.. me virtutis in capitcretinere, qué fi trio I tritum ftranguriofis liquore aliquo conuenienti dederis , vrinam foluere , i breuiterq; fanare comprobatum eft. AL mirabilem baberingrauidamulierecó. Senfum :quippe appenfam fi ſecum por tauerit,in abortum minimè incidet , fin autem tempore partus tritam ,cum vino capiet,multa facilitate pariet : fiquidem lapides himeatusmuèaperiunt, è qui-. bus fætui facilior datur tranfitus. Ex : Ifidoro.. Kamum fympathian in aliquet bruto mirabilem . elle Izaldus lib . 1. arcan : &Podinus: lib.3 ,theat.nat.obſeruatű ,exper tumque audiuiſſe aiunt,Vaccam ,Quem Equam , Afellam , Canem Suem , Felem ; fimiliaq, foeminei generis animalia do meſtica , & manfueta, dum vtero gerunt , autinterire , autabortum parere, fi mas ex quo conceperunt,ma&tetur autocci.. datur,tam valida eft,ac vehemens-illo rum inter fe fympathia. Hoc autem an verum fit ,confiteor, menondum fuiffe expertum .. oletno Oleam -arborem puritatis virginitate of amantifsimam . Liva fimanuvirginea plantatur , & educatur ,,vberiores fructus præbe redicitur:, vſque adeo puritatis eſtamā tiſsima, & labis nefcia. Hacde cauſa , ve Teor,abantiquis ſapientibus olea, Mi neruæ dicata, & confecrata füit. Audiui equidem àmultis , alearum à laſciuis mulieribus non femel fuifle collectas fructus,calq; fequenti amo parum fru & ificaſſe,ExCarolo Stephanointideraruftia Aftronomiam Medicis effe neceffariam . PRudens Phyſicus Aftronomiam in telligere debet, aliter perfe& usMe dicus effe nequit.Cum autem ægros -Cųe rare intendet, Lunam afpicereoporte bit, fi enim plena cſt,crefcitfanguis, & humiditas in homine, & beftiis, & me dulla in plantis , ita voluit Hippocr.inl. dediſciplina Mahemas: qui apud Galore peritur.Cum ergo quis in morbum in ciderit,fi Luna è combuſtione exit,tunc iei creſcit infirmitas vfque ad oppofitio bis gradum , quo tempore per a &to cceli themateaſpicienda Luna eſt ,an cum alia quo planetarum ſocietur fortunato , vel & infortunato ;numin malovelbonofue . titalpe & u ; & an dominúdomus mortis. afpexerit; ita enim de morte, & vita; de morbi longitudine , & breuitate infire morum accuratiusconie &turarepoterit.. Ex Hippers . 10ak . Ganjucto. Saturni,Martiſque coniun tionem inTauro , Bobuspeftilentiam pradicere futuram . A. Strologorum ex multaobſeruan tia decretum eft, cum Saturnus. Hupiter ,& Mars, vel iftorum duo fimul iun &ti fuerint ſub humano figno, cona. currenti ad eam ftellarum fixarun vea Denoforum animalium afpe & u ,morbos peftilentes hominibus effc futuros . Ex diuerſitate autem Zodiaci brutis quan doque contagium appariturum , faluis hominibus . Vnde notat Auguftinus Sueſſanus in comment.Apotelaſmatum Pro. Lomai ,non multis ante annis,obferualle, cum SaturniMartiſque coniun & io in Tauro horrendiſsima frigora'excitallet, magnam Bobus calamitatem eueniffe . Ques autem licet imbecilliores , füper tites tamen fuiffe . In Boues tamen pe ffis illa defçuit propter cceleſte fignum , ad quod terreftris Bos refertur. Quæfi fuiffet in Ariete , forfitam in Oues graf fata effet. Anno 1479. in figno humano Martis, & Saturni fuit coniunctio (tefti monio Ficini ) & peftis crudeliſsima ho mines inuafit ,,vt& prius anno1408. & omnium peſsimaanno 1345. ex trium Planetarium infimul conjun & ione. suffiiu bituminismulieres ab byfterice '. 3 Vltis experimentis comproba audio , , lieres ab vtero ſuffocatas lubitòad ſanie. tatem reuocari, & quod mirabiliuseft, Hyſterică extemplobituméacceſsionen corrigere, fiue crudum , fiue vſtum mu. licrum naribus admoueatur. Propterea mulieres,quętali pafsioni obnoxięfunt lans paſsione liberari. CA lana exceptum , fiue goſsipiocolloap penſum ,Medicorum conflio (Mizaldo · auctore ) in romullis locis habent , vt e, crebo olfactu paroxyſmum arceant. Cantharides quandoque ſolo olfa & u fangui. nens, veltactuècorpore euacuajſe. Antharidumvis , & venenú in fane guine purgando per vrinam, apud paucos incognita eft, quippe in potui ex ceptas non modò veſicam exulcerare , verumatque fuffocationes, & horrenda ſymtomatainducerecomprobatum eft . Imò tantæ feritatis funt, vt quandoqué & tactu ,vel olfactu hec efficiant,vt cui damchirurgo Mediolani ſucceſsit, qui bis fanguinisprofluuio correptus fuit per vrinam ,folum portando cauterium ex cantharidibus in Byrfa. Ex Micbarle Rafraljo. Podeortum fit adagium , Naniga Anticres. } MXneotericisMedicis,nigrum Vlta obſertatione &à prioribus, & neotericis , helleborum ad infanos, & mente captos peculiare auxilium eſſe, probatum eſt. Huiuspotio licet periculoſa fit , cú cau telatamen fumpta, mirabiliter ijs pro deffevidetur. Hellebori virtutem De. moſthenes innuere volebat , dum acti. onem mouens Aeſchini , vt ſeſe pur. garet helleboro dicebat .Hoc in Anti. cyris duabus ele&tiſsimum , & magniva. loris naſcitur, quo nauigare oportere a dagium , quiab intania Canari cupit vt Strabo lib.9 .Geograph,loquitur. Hinc Stephanus deHelleboro loquens addit, Anticorenſem quempiã fuiſſe , quiHer çulem dato Helleboro infania libera uerit, Grauidas simio fale prentes, parerifetus fine vnguibus. Noneftàratione aliepum , quodab Ariſtot.dicitur 7 de biftor.animal.c.4 mulieresgrauidas, fi nimio ſale in cibis vſæ fuerint,fætusparere finc vnguibus vngues enim ,vt dixit Hipporc.in lib.de care FOS . 1 Carnibusex glutinoſa, & viſcida materia geperátør,hincaecedenteGalitorum v. Tu,materia illa viſcida adeo attenuatur , &adimitur , vtfacilè illorum ortusde . ficiat.Comprobatur hocetiam in ladá, tibus, quibusex aſsiduo , & nimio ſali torum vſu ,lacomne, paulatim deficere conſueuit. Oui badiin conuiuijsiucundi,feftiuiquelas beantur. N conuiuijs profecto,vt hilariter'iu : Du { 11 X G 3 epulétur,tron femel ludi aliquotper io cum apparantur qui omnes in iftanti um riſus, &cathihnos mutantur. Inter multoshi erunt Feftiui:Si lintea;& map pæ calchanti puluere confricantur, qui foti fe deterſerint ea parte nigrifient;li ceti lintea prius candidiſsima apparue. sint.Si cultri fuccocolocynthidis, vela fòe ta & ifuerit,amara oíaex ijs incita le tiétur :ex afla fætida autem cuncta fæti da audientur:Si fuperpaſtillos nuper e fixos inſtrumétorü chordas minutim in difasproieceris inftar vermium à calore V contracte apparebunt, naufeamque rei inſcijs mouebunt. quibus vinum potui dabitur,cui caftancarum cruftæſubtili ter tritæ fuerint inie & xà ventris «crepi tibusſollicitabuntur. De amorisorigine aliquet controuerfia. OlentesPhyfici amoris originem , velpotius furoris amatorijreperi te indaginem ,ex correſpondenti homi num complexione, leu verius ex con formi ipfius fanguinis qualitate ,nempe calida proficiſcivolunt, hancenim como plexionem valde amorem gignere af firmarunt, Aſtrologi inter eos amorem exiſtere aiunt, qui in codem aftrorum gradu conſiſtunt,vel qui in aliqua con Itellatione ex æquo participant, & con formes ſunt,tunc enim fe redamare có . fingunt. Alij Philoſophi amorem naſci afferuerút, quoties noftra luminainde. fideratumobic&um conijcimus,voluat cnim quoſdam fpiritus ex ſubtiliſsimo, puriſsimoque fanguine cordis noftri in rem concupitam exhalare, acque ocyſsi * IN me ad mè ad oculos noſtros recurrere, ibique a in vapores'& 'humores refolui,quifen . fim ad correlapſi , diffuſiq;per corpus, in oculis, rei dilectæ quandam idem, inſtar fimulachri, & imaginis,non aliter , quam in fpeculo macula permanet ve nenofi oculi, vel menſtruatæ ,auriginoſi, aut fimili aliquo morbo infecti, impri munt.Hacde caufa miſerum amafium , hiſce nouisille &tum fpiritibus,qui natu ralem fuam fedem repetunt, & ad cor permeant , perditam libertatem fuam dolere , lamentarique cogi affirma. Nonnulli autem naturalis fcientiæ ad. 'modum ftudiofi ,cum multa de amoris fcaturigine eſſent imaginati;nec veram tam furiofi morbi originem inuenif. fent: in hæcproruperunt:Amorem effe neſcio quid ,natum neſcio vnde, qui vee wit neſcio quomodo, &accendit nefcio quo pa&to,certam aliquam rem , &per ſonam . Hominem apud Indos longiſsimam pitam babuiſſe. F Apud Lufitanicæhiſtoricæ fecènti ores ſcriptores(interquos eft Fer din . Caſtanneda:)fidei probatiſsimę, longa narratione, & certa, cuidam nobia li,apud Indosannorū, quibus vixit tre. to centorum , & quadraginta fpatio,iuuenis tæ florem ter exaruiffe, & ter refloruiffe : inuenimus:atque ex cuiuſdam Epifcopi relatu nouiterpercurrimus.(Hocprofe to mirabile eft , & paucifsimis à Deo conceſſum . At non minori admiratione illud dignum eft,quod à Langio de Or benouoproditur ,inſulam quádam fu . ifle repertam , Bonicam nomine,in qua fontis reperiatur ſcaturigo cuius aqua vino preciofior fenium epota in iuuen tutem cómutet. Ex lib. 1.debominis vita , vbi de Priorifla anu facta, & reiuueneſs eente fcribitur. Hydrargyriminer aquomodo inueniatur . Ńter metallica ônia ,hydrargyro ex cellétius vix inueniri aliud cryditur, cum ad infinita tale accómodetur.Soler tiinduftria opus eſt, vt vbi eius mineræ fit ſcaturigo coniectores deprehendant; propterea menſbus Aprilis, & Maiiſub aurora, ſereno autem cælo afcendétes , vapores in montibus fpe & ant; ſi enim inftar nebulæ fuerint, non altius feat tollentis,fed humillimæ, ac quaſi terrae ad hærentis , argenti viuiibi ſedem eſſe allequuntur. Ex Cardanode Subtil. Aqua mirabilis pro viſus obfuritate. Periam aquam , quam ſcribuntre ſtituiſſe viſum cęco nouem anno . rum.R.ſucci apij,feniculi, verbenæ ,cha medryos, pimpinellæ , Garyophilatæ, Caluię,chelidonię,rutę,centinodię,mor { usgallinæ,garyophyllorum, farinæ vo. latilisan.vnc.j. piperis craſsiuſculètrití, nucis muſchatę,ligni aloes an.drach . iij. Omnia imergătur in vrina pueri, & lex : ta partevini maluatici. Bulliátbreuite pore, tú exprime,& percola.Repone va le vitreo benè obturato.Hora sóni fingu . las guttas ſingulis oculis inftilla. Holler. Roris marinipraftantiſstma'virtutes, Lanta illa , quam Romani , & Itali Roſmarinum dicunt , inter plantas : nobiliſsima eft , magiſque quam ex F 2 iſtimetur excellens, quamuis mulcitu . dine, & frequétia vilefcat.Eftenim fem per virens,nulli nocens, & multis infir mitatibus inimica maximè comitiali morbo, quiferè dæmoniacuseſt. Radix eius cum melle purgatvlcera , tormini. bus medetur , & medendis ferpentum i & ibus cum vino bibitur.Prodeſt etiam contra morbum Regium in vino cum pipere. Et tanto contra maiora mala præualet, quanto maiori gaudet tutela, & fauore cæleſti, à quo omnis virtus confouetur. Naturefagacitas in difficillimis morbus fac mandis magna ift. Agna eft naturæ fagacitas in ali quot morbis ſanandis,qui medi. corum auxilijs perdifficilc eft,vt ad fa nitatem perducantur. Ketulit Alexan. der Veronenſis lib.2. Anatem.c.9.tr ulie rem Venetam ,acum crinalem , qua cirri capillorum intorquentur , quatuor die gitorum longitudine ore detinuiſle, dú obdormiſceret, fomnoque ſopitam de M glutif Etv ghuiuifle : decimo autem menſe, quod m mirabile eſt , per vrinam eminxiffe.Lan . Er gius etiá in alia iuuencula,quæ aciculam deuorauerat, id etiam eueniffe fcribit, e Naturæigitur induſtria maxima eſt. * Lapidis compofitio ignē fricationereddernisi. Ricatione cuiuſdam lapidis facilli meignem excutere poterimus. Hæc eius eft compoſitio. Capimus ſkyracis, calamitæ , ſulphuris, calcis viue, picise an.drach. iij. Camphorædrach.j,Alpalit . dre iij critahæc pobanturinvalesce Teoroptimèconcoctecca Hapidécouertátur.Hic panno fricatusu ceditur,fputo veròemoritur.ExRole! Naturam beftis,ad corporis t ütelammulta remedia indicaffe. PlurimaşürNaturæ beneficiaquebê ftiis fuiffe conceffa legimus.Hæcpro fectoruminans Plutarchus, præadmi. rationeinextaſin raptus,Maturan mulo.. to plura in pecudes, quam in hominem contuliffe dixit. Quippefibeſtijs Fors bus accidit.Naturamoxantidotum in F dicauit. Hinc Palumbes , monedula , merulę,perdices, Lauri folijs deguftatis humores fuperfluos expurgant. Lupi, Canes,Feles ſięgrotant,vel li excreme torum colluuie ftomachum , vel viſcera oppleta fentiunt, gramina comedunt ra , re perfufa,herbam frumenti, &rapiſtru decerpunt:quibus ſtomachum , aluumg; exonerant.Columbæ ,turtures,pullique gallinacei in morbis heliofelinum degu far. Teſtudincs morſus ſibi in flictos ci cuta perfạnant.Cerui volnerati dictami paſtufagittas , excutiunt.Ivuiteladůmu res venatur, ruta ſe munire confueuit,. vc validiuseosoppugnet. Vrlimandra-. * goram quærunt in mala valetudine. A. priauté egrotanteshedera ſe colligunt., Ceteraverò animalia pro virę tutela di uerfa alia retinent auxilia.Ex Arifter.pl njo,Nipho,&aliis . Lapidem Aetitem mulierum partus. accelerare. Maison Agnam intulitnatura Aetitilapi. diin partu prægnantium accele rando efficaciam : quippefiearum coxis argento cóuolutus partu inſtante fuerit ligatus, miram ytero generabit láxitam tem ,ex qua prægnantesfacilius parient. Ab Aquilis pręlidium hoc'captum reorg illa enim dum arctiores ſe ſentiunt & oua cum difficultate pariunt , Ae titem quærunt, ex quo laxiori matricis orificio facto ,leniusoua excernūt.Hinc Aeritis S-apis, Aquilinus di & us eft, quiaz Aquilă hos in nidum portant,ibiq;verii reperiuntur. Intellexi ex feminis, pria marias aliquot hos lapides in vſu ,& pre cio habere,beneratas partuslaboresfu Bleuare. Hellebori nigriradićem , Viperemorfus in bon Aysſanare. (N magna æſtimatione apud multosis Helleborinigri radix habetur, ipſa enim inter carnem, & pellem iumentià Vipera demorfiinſerta proculdubio faa - mat.Confiteor profe &to fubulcum qué dam porcorú numerüigne perfico, fiue cryſipelate peftilenti pollutum ( hunc morbum vulgares, eo quod porcorum caput in excreſcentiamagná deuenit,apo pellap (męobſeruante adfanitatéducti funt.. pellant Capoatto.) fola huius radice om .. nes incolumes feruaffe .In porcorum au. ribus cultello circulum ad viuum fane guinem formabat,deindecentro,ex ſtye. lo ferro perforato,radicisfruſtulum éfo. fingebat, ad paftumý;porcosmittebat, ita equidemſolo học auxilio , omnes Hippiatros in equorum faciepitorum euul, maculas albasfacere. N hominum canitie frequentescapil . larum euulfiones, vt nonnulliin viu habent,vituperantur, eo quod illorum cuulſa niaior generaturcmitics:Hippia atri enim cum maculas albas in equo-... tum facie fingere intendunt, frequeno tiſsime pilosextirpant, qua continuata euulſione,pilos excreſcere albos exper tum eft. Queapud Veteresmagis erantcelebrata: pectaculam Nterorbis terręcelebrata {pe& aculag, Mauſolæum , hoceft: 9.Maufoli ſepul chrum  ES Noun ehrum ;Coloſſus folis apudRhodiosios uisOlympici fimulachturm,quodPhidias -fecitex ebore:MuriBabylonis,quos ex . citauit Regina Semiramis; Pyramides in Aegypto ; Obeliſcus in via nobiliſsima Babylone à Regina ſupradicta erectus, Rodigingso Marinum Vitulum à Cåeli fulmine non mo leftari. O pauci ſunt ſcriptores,quiMaria num Vitulum , (multa obferuatiu. one peracta) à fulmine incolumem effe perhibent.Propterea Seuerum Imperaitorem Lecticam fuam Vitulimarinico riocontégi voluiſſe legimus,hoc enim animal ex marinis, à Cæli fulminemio nimè percuti audiuerat. Inde fa &tum elte vt veteres , pauidi,pefulmine ferirena tur , tabernacula ex iftiuspellibus con- .. tecta retinerent,ita profecto àCæli fula . mine præſeruari poflcputabant. ExPline. Captaminter bruta maxima Epilepsia tentari: Ippocratesin lib. de facro -morbou : H Fs (si liber ille genuinus eius est) vt ab ' Èpilepſia homines præferuari valeant monet , neque in caprina pelle decum . bendum effe,neq; eandemgeſtare opor tere,beneratus tale animal; maximè ab Epilepſia tentari. Hocetiam Plutarchus rerum naturalium perfcrutator indefef ſusaſleruit:propterea veteresSacerdotes ab eius carne,ve morbida,abftinuiffe fe runtur , neguitantibus aut tangențibus . modo, aliquid eiusmorbi induceretur. . Dinum in Asthmatisçura ſele &tiſsimim .". V TInum pro fanando Aſthmate ab , mo, quo pater eius cum fælici ſemper : fucceflu vſus eſt ,adducitur . Habet yie . ni dulcis , quaie potiſsimùm Verpacia eft ,non craſsi,ſedtepuis,mellicraticoctii an, lib .decem :puluer. Foliorum Tabe. bacciexicc.in vmbra vnc.j radicum polypodii quercini recentis,acminutiſ.. fimeconcili ync.iij.radicum hellenij re.. motomcditullio,& inciſarum unc. iij .. : ? macerentur horis 48.poftea verocolentur per manicam Hippocratis vocatam , conſeruetur vinum inloco frigido. Dá - tur vnc. vj. pro vice; ſingulis diebus , ; horis ante prandium quinque. Homines a phrenttide correptos sania fortiores fierii On pauci admirantur , cur homi. nesphreneticiflicet in ſanitate debiles fuerint prius ) ipfis fanis fortiores : euadant?Equidem à morbi naturato- · tum procedere verendum non eft : cum autem in phrenitide magis, ob exficca- - tionem lædantur nerui fenſitui, quam motiui, nulli dubium eft, tales quo ad motum ipſis ſanis fortiores, & debilio . res, quo ad virtutem fenfitiuam fieri; : ratio omnium eft,quia operationes,ner uorum fenfitiuorum humiditate magis perficiuntur: fecusmotiui. Huicadiun gitur, quod phrenetici ( mente læſa ). doloremnon fentiunt,idcirco fortiores.com Ek Arculano . Tuberum efufrequenti, bomines in epile Pliam incidere . 2 M2Aximopere ( ve valuit Simeon Zethus) ſuberum continuattis v fus vituperatur : adeo enim hornines crebro eorú eſu afticiuntur, vtepilepti ci;vel apoplectici fiant. Apud veteres autem in pretio habebantur,illifq; cum Colo quandam affinitatem ,nec niſi to . nante loue nafai, credidit antiquitas.. Vnde Iuuenalis: Facient optat atonitrus CHAS - Offri de corde Cerui à morfibus venenofas;hos minespreferu476. Irabilis eſt profecto oſsiculorum , proprietas , quæ in Ceruorum ; corde reperiuntur;geſtata enim ad præ feruandiim à beftiarum venenofarum morſibus, & i & ibusmaximeproſunt. In officinis tanquam præſtantiſsimum an .. ridotum contra venenum , & febres pe tulentes,hxc eſſa conſeruatur, &cum feelicifucceffu mediciindiesad hæc valere experiuntur : : multi tamen pre . ofic.cordis ceruipi, os.bubulum tradunt in magnam languentium perniciem , & ped.com M propi HORTVLVSGENIALIS 133 eterمه 27 that medicorum afamiam.Ex Alexan.fro Be Pedido. Hemicranian lapide Gegatisſummoueri. MW Vleo experimento Democritus: Hemicranian , lapidis Gagatis ſo'a ad collum appenfione tolli com .. probauis fcribit enim huiufmodi lapi. dem geftatum ſeinperniagis ponderare, quam antequam appendatur : quafi in eo quædam attrahendi in fe fe humo . rem ,à quo dolor in parte cranij fufcitam. tar proprietasreperiatur.Mercurialis . Epilepritof non perpetuoconcidere nee quefpumam facere. Vicomitiali morbo laborátnánili in magoa ventrico !orum cerebriz cralo s humoribus obftru & ione conci dere, & fpumam ferre confueuerunt: ſe cus vero in alijs cauſis, vtin quadapu.. ella Aretina Beniuenius obferuauit. In cidit illa in Epilepfiam , tamen neque concidebat,pequeexorefpumam emito. tebat. Sedſtanscaput hinc indecücere wice  uice , ac fi quid infpicere vellet mous bat; nihil interim loquens , nihil fenti ens.Cum auté ad fe reuerteretur, inter rogata quid egiflet, penitus ignorabat. Cauſam Beniuenius exiſtimauit , quod non caderet quod contra & io , & tenfio ad cerebrum non ferretur,cumfolus va por ſurſum aſcenderet : ex quonullor gore cerebrum ipfum intentum , abot dinatis motibus-reliqua membra pre feruare potuit. Vermes rubros in hominum cerebro , in qua dam epidemia natos effe. y Beneuenti,cum multi ignoto morbo decederent è vita , medici tandem , hoc morbo quedam mortuum incidere voluerunt, & in huius cerebro vermem cubeum breuem inuenerunt, quem cum mulrismedicamentis vermesoccidendi vim habétibus interficere nequiuiſſent, fruſta raphani inciſa in vino-maluatico vltimo decoxerunt,quo vermis occilus eft,atque hoc eodem remedio deinde - mili morbo , quali epidemico affe & i omness. Omnes curabantur. Foreftusex lib.Corne tỷ Roterodam. Capillorum defluuium ex Laudano curari. TOn femel morboacuto egrotantia bus (-ſiad fanitatem reducuntur è capite capillos decidere expertumelt. His facilliinè fuccurritur huiufmodilia nimento , quo 'capillorum defluuium non folum amouetur verú etiam amiſsi irerum renouantur. Laudanum cum vi. ño , & oleo rofato ad decentem vnguen ti fpiſsitudinem coquitur, quo caput v niuerfum linitur ; breuique capillatum redditur, Ex Bayro .. An empiricis tradararemedia,mortem ! non paucis:attulije.. ftrum baudelt, remedia, quæ ab Kempricis adhibentur, morté aliquádo hominibus attulife, ij a . nulla ra. tione, nullaq; methodofuffulti, fed fola experiméti indagine,nec caufasmorbo Tum verè cognoſcere,nec ordine auxilia applicare poſiúnt.Proptereamilesquida inmorboinueteratoluinepotis ,quicapi. Member Aximopere (ve valuit Simeon MZethus) ſuberum.continuattis V.. fus vituperatur: adeo enim, hornines crebro eorú cſuafticiuntur,vtepilepti ci;vel apoplectici fiatt. Apud veteres autem in pretio habebantur, illiſq; cum Colo quandam affinicatem , necniſi toe. nante loue nafai , credidit antiquitas.. Vinde Iuuenalis : Facient opfataronitrua , Cen45 -offi de corde Ceuiàmorfibus venenofisshos minespreferuatge -Irabilis eſt protecto oſsiculorum , proprietas , quæin Ceruorum corde reperiuntur;geſtata enimadpræ • Tóruandum à beſtiárum venenofarum I morſibus, & i& ibusmaximeproſunt.In officinis tanquam præſtantiſsimum an- . ridotum contra venenum , & febres pe.. bilentes, hæcoſſa conſeruatur , & cum . foelici fucceffumcdiciindiesad hæc va lere experiuntur : : (multi tamen pro . ofic.cordis ceruidi, osbubulumtradunt in magnam languentium perniciem , & M pedice medicorum afamiam.Ex Alz xan.fro Bem nedido. Hemicranian laide Gagatia ummoueri. Viro experimento Democritus Hemicraniam , lapidisGagatis fola ad collum appenfione tolli com .. probauis fcribit enim huiufmodi lapi. dem geſtatum ſempernagisponderare, quam antequam appendatur : quafi in eo quædam attrahendi in fe fe humo rem ,à quodolor in parte cranij ſuſcita.. tar proprietasreperiatur.Mercurialis . -Epileptites nonperpetuo concidere nee que fpumam facere, Vicomitiali morbo laborát nánili in magoa ventricolorum cerebria crais humoribus obftruatione eonci dere, & fpumam ferre confueuerunt: ſe cus vero in alijs caufis, vt in quadá pu ella Aretina Beniuenius obferuauit. In cidit illa in Epilepfiam , tamen neque concidebat,pequeexore fpumam emit tebat. Sed ftans caput hinc inde cucere vice, ac fi quid inſpicere vellet mout bat;nihil interim loquens , nihil fenti ens.Cum auté ad fe reuerteretur,inter rogata quid egiflet , penitus ignorabat. Caufam Beniucnius exiſtimauit , quod non caderet quod contra & io , & tenfio ad cerebrum non ferretur, cum folusva por ſurſum aſcenderet : ex quo nullori gorecerebrum ipfum intentum , ab of dinatis motibussreliqua membra præ feruare potuit, Vermes rubros in hominum cerebro , in quae dam epidemia natos effe. , Beneuenti, cum multi ignoto morbo ; decederent è vita , medici tandem , hoc morbo quedam mortuum incidere voluerunt, & in huius cerebro vermem rubeum breuem inuenerunt, quem cum multismedicamentis vermesoccidendi vim habétibus interficere nequiuiſſent, fruſta raphani inciſa in vino maluatico vltimo decoxerunt, quo vermis occiſus eft,atque hoc eodem remedio deinde se smili.morbo , quali epidemico affe & ij , omnes Nous ) omnes curabantur. Foreftusex lib.Corne- , i Roterodam . Capillorum defluuium ex Laudano curari. "Onfemel morboacuto egrotantia bus (-ſiad fanitatem reducuntur ) è capite capillos decidere expertumelt. His facillimèfuccurritur huiufmodilia nimento , quo capillorum defluuium non ſolum amouetur verű etiam amiſsi irerum renouantur. Laudanum cum vi . ño , & oleo rofato ad decentem vnguen ti fpiſsitudinem coquitur, quo caput y niuerfum linitur, breuique capillatum redditur, Ex Bayro .. An empiricis tradararemedia,mortem ! non paucis:attulife : ftrum baudelt, remedia, quæ ab tempricis adhibentur, mortéali quádo hominibusattulife,ijn. nulla ra . tione, nullaq; methodo fuffulti, fed fola experiméti-indagine,neccaulas morbo . Tum verè cognoſcere,nec ordine auxilia applicarepoflunt.Propterea miles quidā. igjorbo inueteratoluinepotis,quicapi N + 136 tis achoribus erat fædatus , finecautio . os,more empiricorum ,nec ætate obfer uata, vnguentum ex arſenico , ſulphure viridiæris , femine ſinapis confe&tum capiti appofuit;ita enim ex quodam lio bro remedium collegerat , & mane ſee quenti puer ille, qui erat duodecim an norum , in lecto mortuus inuentus eſt. Hi profe& o fru & us empiricorum ſunt. ExValefio.. Triplici auxilio homines longauam vitam Af quirerepofle. Ifi hominum frequens luxus exo NA vita songior,ſaniorquevideretur,hi ay tem in luxum ,epulas, & otia effuli, vix trigefimum exceduntannum , abſque. fene & utis aliquo veftigio ,vita enim los. gæua,non luxu ,& profufione nimia, fed triplici tantum remediocomparatur;fie quidem pareitas cibi , & potus , bonus cibus,& moderatum exercitiummorta - lium vitam, ex Philoſophorum decre to,producere valebunt.Bartholom .Males ** Dino Gagorio.  Nmin Quo paéto fingultum cohibere valeamus. Onleui angaſtia angultum ho• mines cruciare quandoque vide mus adeò quod multiin longiſsimā via. giliam huiuſmodi affe & u ducti funt, Multi funt, quieximprouifo timorem ſingultientibus incuitientes,votum alle quumtur : alij verò auricularidigito ito bentintus aures diu confricari;Lyfimam chus tamen apud Platonem , fternuta . mento afperfione aquæ frigidæ , & re {pirationis coñibitionefingultum cxčke ti propalauit. Quopado plebrios, tincios en admiration nem -dustus. Plebeiprofe &to qui populi parsfino plicior eft,ex leuifsima occaſione fa . cilè in admirationé ducuntur . Si optas autem vt adftantes credantvel magico Çarmine, vel quodammiraculo te open. rari, manècum Verbaſcum flores aperit æſtiuo tempore, iispræſentibus leniter moueto plantam : flores enim paulatim decidunt, & exiccatur, cum magno ile . lorum ftupore, fiquidem illius plantæ hæceſt proprietas, vt ( Sole accedente ) flores decidant. Quod fi magis irridere velis inutiliter aliquid murmurabis , vt admiratio excrefcat , vltimòtandemor mpia in rifum finiantur. Ex Porta . Memoriam è thure epoto maximè Augeri. Maximo hominibusadiumento eſt firma memoria , triftitiæ verò, & Jabori , imbecillitas, iis præſertim , qui bonarum litterarum ftudio incúberec ptant. Ita autem cófirmatur.Thus albife Gmuin in pollinem attritum ,& cú vino , li hyemsfuerit,velaqua deco & ionis paſ fularü, fięſtas;epotum ,inLunęaugmen . to ,oriente Sole, necnonmeridie, & oC- t caſu , mirum in modum memoriam aya gere fertur. Ex Rafi. Quo pačtofamis importunitascohibeatur: Vis Taurum Philoſophum , eiufq; mendo famisimpetu? profe& o dumfa . maemaximèmoleſtabatur, eius importurnitatem , compreſsis hypochondriis & ventris ſtri & ione compefcebat. Apud. Aulum Gellium . Mulierem grauidationis tempore pallefcere., debilioremque effe. TOnlinerationemulieres , quoté pore vterum gerunt, virore pallia dæ fiunt, purus enim illarú fanguiscono tinuò ex corpore deftillat, & in vterum à natura demittitur, vtfætú tú nutriat; tú eius procuret augmentü.Cum autem ipfis paucior in corpore-refideat fanguis neceſſe eſt fieri pallidas , atq; alienos ci Bos appetere.In ſuper exco ,quia fanguis folitusipfis minuitur,debiliores fieri ne celle eſt. ExHippocr. lib . 1. de morb.mulier .. Myrifticam nucem à vira geftat am , vigo rofiorem fieri. MIrabilis eft nucismyriſtice, quava cant muſcatam , cum homine fym pathia : ſi enim à viro.geftatur, nomodò vigore proprium cóferuare, verù etiam turgere,magifq;fucculentam , & ſpecio ſam ficrialkunāt, pręfertim fiiuuenilis adultæque ætatis homines circumferát Ex Liuinio Lem . Hepaticos, Gtienoſos decodochamading fanari. INter præſtantiſsima remedia, quæ I hepaticis, & lienofis adhibentur pri mum Chaniædrium locum retinet: fie nim ex aceto deco & a,per pluresdies ex . hibetur,hepaticos,atquelienoſos pro . culdubio fanat: multisequidem experi mentis comprobatum eft tale decoctí viſceraab infar &tu liberare:propterea ini febribus chronicis, eo quod obitruction tres mire abigat, fdelici fùcceffo à multis: pro fingulari ſecreto audio vſurpari. Pulfus deficientes,&intermittentes in ix . uenibus mortem prædicere, O Vanti timoris in languentibus,pul sus deficientes, vermiculantes, & formicantes exiſtant,apud Medicos notiſsimum eſt : ij enim ex proſtrata natura exorti,exitiú efle in foribus aftédūt. In . termittentes autem duorúpulfuum ſpa tie tio,non modò in omnibus fufpe & i ha bentur, verum etiam omnibus maxime iuuenibus exitiofifunt; diſséticGalenus, qui in pueris, &fenibus non ita fore ti mendos afleruit.Huius rei habuitexse. rimentum Proſper Alpinus in Iacobo Antonio Cortulo octuagenario,pleuri. tiro , & febreardente vexato , cui pulfus fuerunt cùm intermittentcs, tum defi cientes; tamen ille citò conualuit.lib.s. de med. method . Mitbridatis Regis , ad venena maximum Antidotum . D Euico Mithridato Rege maximo, in eiusArcanis Pompeius inuenifle in peculiari commentario ipfius manu exarato compofitionem antidoti dici Inr.Cóftabat ex duabus nucibus ficcis ite ficis totidem , & ruræ folijs viginti fimul tritis, addito falisgrano.Si aliquis hoc iciunus allumeret , rullum ei venenum nociturum illa die affirmabat, Ex Plinio. ONO Slidera Quo artificio offa , velebora colorari valeant. I offa,vel ebora coloratahabere de lideramus,ca in primis oportet abim munditiis purgare; deinde in aluminis aquadecoquere,tum demumin vrină , vel calcis aquam in qua diffolutum fit verzioum , rubrica, aut cæruleus color, fiue alius quem volumus immittere , & vna iterum coquere.Cum autem perfri gerata in eodem etiam liquore fuerint, extrahenda ſunt; & pulchra, & bellè tin eta habebimus . Alexius Pedemont. BRICA Bryonieradicio è vinoalbo decoctum , hyfte. ricam paſsiorem reprimere. Ryonia in fedandamulierum hyſte rica paſsione,egregiam habere vir tutem multis experimentis dicitur.Ex multis obſeruationibus in quadam mu liere, quæ quotidie ferè per multos an nos hocaffectu laborauerat, à Matthio lo experta eft. Hæccum ſemelper heb. domadam , cius confilio , ſub fccti ingressum , vinum album , in quo ip fius radicis vncia efferbuerat, hauſſet ex illa paſsione optimè conualuit. Ne tamen amplius in fuffocationes deueni ret vteri,perannum integrum hoc me dicamento vía eſt, nec morbus iterum recidiuauit. Quo fuffitu Serpentes venenati à domibus, velpradiis arceantur. Vlta equidem reperiuntur, quo rum ſuffitus adco o diolus eſt, vtà loco, vbi is. fiat ,penitus arçeantur. Scribit Florentinus in Geo pon. Venenatam feram numquam accef luram , vbi adepsceruinus, aut radix Centaurij maioris , autLapisGagates aurDictamus creticus,aut Aquilæ , vel Milui fimus cú ftyrace miftus fuffatur. Ex Gal. autem habemus in lib.de med. fac. parab.ad Solonem.Pyretrum , ful phur,cornu ceruinum , pinguedinem ,& pulmonem Afini accenfum ,ac fuffitum , cuncta animalia venenoſa efficaciter fu - gare compertum elle . Herpetes exedentesTabucoicereto felicitors Sanuri. Terorymus Aquapenders inl.:.de Tumoy prenat.6.20.5xedcotes her petes teſtatur curaſſe quoad totum cor pus, ex ſero Caprino expurgatione con fecta,fæpèautem cum fa !fæ parille de co & ione:partes affectas aquis therma lbus D.Petri lauabat,vltimoiis , felici cum fucceſfu ſequens admouitCeratú . R.Succi Tabacci, ſeu herbæ Reginæ vnc. iij.Ceræ citrinæ nouiſsime.vnc. ij.Refie næpinivnc.j. Rofinz Tyerebintinæ vnc.j.Oleimyrtini quantum fuffic. pro formando Ceroto. Vina alba, qua induſtrie inrubramu tentur. A Lba vina abſque vllo detrimento in rubra( auctore Mizaldo ) tatim Conuertuntur,lipuluerem mellisad du rilsimă conliltentiam deco&i , & ficcati in vinum albuin proiecerimus, & tran Suaſandomiſcuerimus,Idautem minori faſtidio efficier lapathorum radix , fi re cens, vel ficca in vinum mittitur. Flores in Aegyptoprope Nilum inode tar os exiftere. O Dorin ficco fundatur , eidemq; in nititur;hinceuenit(auctore Theop . 6.de cauf.plantar .) vt fru & us agreſtesvro - banis ſui generis odoratiores,eo quod - ficciores exiſtant vrbanis,habeátur.Heç quoq; caufa eft,quod in Aegypto mini mèodorati flores naſcantur;vt n . Plini - us prodidit, Aegypti aer à Aumine Nile tum nebulofus, tum roſciduseſt : cuius cauſa odor in foribusadimitur. Abfynthium ventriculum roborare ſo lum adftri& ione. Vantam Abſynthium in roboran do ventriculo vim retineat,in mul. tis locis à Galeno exprimitur :bancau tem virtutem non ab amaritudinem fed propter adftri & tionem abfynthio inefle verfimilc eſt. Conſtat hoc totum ab eius fucci natura , qui corroborandi facultate deſtituitur , ex eo , quod ter rez partes, in quibus adſtringendi vis poſita eſt, ab ipſo feparantur. Succus itaque folum amarulentiamhabet, quz tantum abeft, vt ventriculum roboret, fed vt potius illum infeſter. Ex epote Chalcantho, albos pilos è capi te decidere . Icet Chalcanthi, fiuc vitrioli vſus, e reſumpti, apudGalenum ſuſpeatus habeatur: à multis tamen audio maximè commendari. Inter graues fcriptores , Rbaſes eft,qui 29. Continentis, 6.24. ſe habuifle amicum quendam ſcribit; qui potata vitrioli drachma, propènoctem pilos omnes , quos in capite habebatal bos, abiecit.Res profe &to mira eft, pbrenitidem ex nigro Coralio felicitar Sanari. Oralium nigrum , quod Antipallas, fiue Antipatkes dicitur,inPhrenitide morbo corrigendo , & fanando perquá Airam habere facultatem exiſtimatur. Hoc nigerrimi.coloris eft , & ob varie. tatem in magno precio tenetur, & cótra huiuſ HORTvĆvs G & NI ALIS. 14h ** Merete huiuſmodi affectum tanquam præftan tiſsimům remedium vſurpatur. Ex Ense lio de Gemmis lib . 3 : Lethargicosà Satureia capiti admota excitari. Vltis experimentis obſeruatum reperio,Satureiam cumfloribus vino incoctam , & calentem occipitiad . #motam , Lethargicosdifficili ac pertina E ci sono oppreſlos, ac veluti raptos exci tare, & reuocare.Vt autem curæ folici $, or fit exitushuius decoctiguttæ aliquot fe infirmiauribus inftillandæ funt. Hana diſchius. I peftilentias quasdam occulta anispat hia ho minum corpora depafcere. M Vlta reperiuntur,quæ occulta qua dam antipathia , cun &tis hominis bus aduerfantur. Huiuſmodi fuit aura illa peſtilens, quæ ex arcula aurea in quá miles forte quidam inciderát ( referente Iulio Capitolino ) in Babylonia orta eft, Ex hac nata fertur peſtilentia , quæ in - de Parthos orbemý; compleuit. Huic haud abfimilis , vel prauior vtique fuit G peſtisilla, quæ anno 1348.ab oriente in cipiens ( teſte Guidone Cauliacenſi ) vniucrlum fere orbem peruagata eſt , tảntaq; lauitie peragrabat, vt vix quar ta hominum pars ſuperſtes euaferit. Bra M . Infantes eiulare quoties lar, nutricum mammas papillas pangit. Slidua experientia comperimus f A mammasnutricum , & papillas lancinat, & pungit,quippead infanculos tunc nu trices redire videntur ftatim ; cum pa pillarum mordicationem , ſiue vellica. tionem ſentiunt. Duplici autem id fieri caufa credendum eft; vel quia quo tem porecoctionem infantulus perfecit, eo dem momento nutricis vbera complen . tur , vel quia tutela Angeli Cuftodisin fantis nutricem ad officium , leuiſsima vellicatione follicitat.Hoc verius vide. tur eo ,quod modo citiusmodo tardin fanteseiulant: & vtriuſq; ſtatus non lem per idem eft. Ex Bodino lib.3.Theanatu. Sales Han 7 Salis Prunella virtus, &compofitio. al prunella ,ob fingularem vim do lores mitigandià quauiscaufacalida &inflammatione excitatos, quam reti- , net, a nodynum minerale à chymicis apo pellatur. Eius compoſitio talis eſt:Para tur ex,nitro optimo ; quod in cruſibulo. funditur, paulatim ſuperinijciendo flom res ſulphuris,quieiuspingaedinem tole Junt, idqueadeo pellucidum , purum que reddunt; vt fi luper lapidemmar moreum effundas; omninò clarum, & dlaphanuin appareat vitri inſtar: quod ? đšinde Sal ſjuelapis prunelle.dicitur,Sa lutare eit remediú ad ardentiſsimills febrem Hungaris familiaré extinguento - dam , & edomandam :cuius ferocia tana' ta eſt, vt ægrotantium linguas prorſus nigras, & prunis ardentibusfimiles ef ficiat. Cum autem tanti ſymptomatislę . vitia extinguatarhuius vlu ,leniatur , & opprimatur: Sal prunellæ apellatus eft . Eft præterea idem remedium magnum diureticum ,& diaphoreticum . Querceta mus in Pharmacopes. 63 Hy ilico appetere. 1 adduxeram : qui Leonem, Gallum ve.. Hydrophobos è poto Catuli coagulo aquami Iris laudibusCatuli coagulum in Aetio, ex tollitur : Illud enim fi femel tantum ex aceto Hydrophobici guftauerint;ſta rim eos,aquæ pofus cupiditatem capere: ob id medicamentum hoc præftantiſsi muth iudicamus, in huiuſmodi enim afa fe & u , nulla falus ſalubrior iudicatur , quam aquæ potus : quo deficiente,mors in foribus ſemper eſte Cur Leo Gallum timeat abfolutaz " izquifitio. CVVmquodam die Cercelliani gra tia apud Carolum Cifellum luriſ conſult. clariſsimum , meique amiciſsi. mum effem , forteinter nosde Gallina tura orta fuir diſputatio ; illa preſertim , cur Leo illum timeret ? Pro dubii folu . tione Ficinú inlib . z . de vit a celit. compar: reri ſcripfit, eo quod in ordine Phoebeo, Gallus eſt Leone ſuperior. Hoc etiá ex Proclo confirmare volui, qui, Apollinca Dæmonem ;qui alias fub Leonis figura apparuerat, ftatim obiecoGallo diſpa ruiffe prodidit. Ifle-autem quia bonarú Jiteraum citra legalem fcientiam admo dumftudiofus et contraria rationeLeo i . nis timorem euenire contendebat. Ada ducebat Leonardum Vairum in lib . 1. de Fafcino , quiex Gallorum oculis ſemina i quædam , ac fpiritus exire profitetur gr I quibus Leonib'dolor,acmeror incredia bilis inčuciatur, inde veluti effafciñatas ritere.Ego quidem licera Lucretio hac etiam opinionem fuftentari viditlemi tamen poft ,pleraque vltro , cirroque inter nios de re hac ventilata ;confeſſus füi apud me neutram opinionem vide ti validam . Vbienim naturales rationes præualēt,nec ad Aftrologicas,nec adoc cultascófugiendium eft.Leonesquoniá bile faya, & copiacaloris abundant,faci le fit,vt ex fonoraGalli voce comoucka tur:ita profecto Canesex leui etiam al 2 , G4 terius 30 D 3 BARICEL II terius latratu faciunt. Infuperrubicun da Galli criſta ,flammæinftar rutilantis , primo afpectu ,colorisratione,bilem in Leonibus celeri motu excitat, vt panni rubri armenta quædam fugare, & mo uerefolent,inde fit , vt quodammodo Leones &afpe&tum , & Gallivocem ti meant. Haud tamen credendum eft in iis ( ledato primo impetu ) perpetuotimo. rem ex hac beftiola durare, & induci poffe. Corues , morientium feditatem ſentire , ob id fuperte&um infirmorum crocitare. Orui, quia hominibus meliorem habent odoratum , vt voluitÀrift , corporis morituri fætidum odorem de longe fentiunt: fecus eft in hominibus, licet prope maneant. Propterea ſuper te & um infirmiCorui volitant, &cro . citant, quando eius corruptio , &fædi tas magna eft, vt ea paſcantur: huiufmo dienim animalium genusrerum foeti darummaximeauidum eſt; quibus pa fcitur: Charlie [ citur : idcirco in bellis , &in peftilenti tempore , cum corpora mortuorum vel hominum velarimaliū humi ia&a funt; Coruorucopiaprcualet.Homines vulga tes, & quiparú prudétes funt;dů Coruos crocitantes fuper te &tum infirmiaſpici unt, illum moridebere afferunt:hoc au . tem falfum eft: ii enim tantum fæditaté inſequuntur. Sæpè tamen Déus permit tit Dæmonesin Coruorum , & aliorum animalium forma ſuper domos : vel in domibusmorientiúapparere, quando be ftialiter vixerút. Et Bernardino de Buftis. Quo artificio es aduratur, ut cinnaba. ricolorem acquiraté Iæsvífum colore cinnabari, & ad ru bedinem verlum habere volueris , o quemadmodum vult Diofcorides ; AC i cipe æristaminascuttricoftę profundas: non ſint autemęris alias fufi, quia in hoc ſemper ſtannum commiſtum eſt, Has e ſuper ignitos carbones apta, cum autem i illæ rubeſcere incipient,ſulphurispul. . uerem tenuiſsimum leniter deſuper có iicito , Sleepin ijáto', videbisenim (cellante fulphuris Máma) Pris ( quamu'as euidenter extra hi,& euelli.Tumodol.perfe & e nó pol. Te cuelli cognoueris , addito ſulphur . remtoties, quouſque lamulæ eradicari videantur :caue tamen nevrantur , & ad nigredinem vergant. Extinéta tandem Sulphuris flamma, & refrigeratis lami . nis;æris rubei ſquamulas habebis magni valoris ,quasloco Hydrargyri præcipi- . tati in medicamentis recipies alias aut tem huius vires apudGalen . & Dioſco videto . Theodorus Ga4, quedinfelicitertex Arist,', deHydrophobia conuerterit, à crimine abfoluitur. Heodorus Gaza vir do & iffimus, dumArift.tex.8.de hiftor,animal.c. 22 traduceret ,omnia animantia voluit à Cane rabidodemorfa , ip - rabiem ági ,. ac mori , excepto homine. Hoc autem qqantum ſit falfum ,quotidianademon Strát obferuantia. Homines n. demor fi; in rabiem aguntur, & pereunt; niſi Tectè curentur, vtcuidam (pauci sunt menses) hic iuueni accidit, quià Canc rabido in manu demorfus, nullo adhibi, to to medico, fed folum circulatoribus com fiſus, in 40.die in furorem deuenit; quo temporelicetme parentes vocaffent,fas s &o tamen preſagio,quodbreuimorere I retur , tanquam deploratū reliqui. Hęc igiturTheodoritradu & io pleroſq; in vi rioslabyrinthos deduxit:multin .,tum i vtGazá defenderent,tum iavtArifto telem ab erroris ſuſpicione vindicarent, textum ita acceperunt animantia omnia à cane rabido correpta interire, hominē 3 verò folum abſque periculo non ferua. rizita expoſuitIulius Pollux. Alii verès inter quos eft Leonicenus, textum malè fuifle conuerfum , veleſle depra suatum contendunt , & fic loco a pocos i legendum mpirs afferunt , quafi ho mocorreptus, &in rabiem , & mortem deueniret , fed non ita citiùs, vt ceteris animalibuscontingit.Hic fenfus quoad - negotij veritaté ver eſt,quiahômo pro i pter oprimú téperamétum , tardius, qua: cætera violatur:tamen Ariſtotelisinten . 2 tionen 856 BA'R ICELLI tio neutiquam eſt ipfe enim ex profeſſo hominem à rabie, & morte ſeruari fcri pſit ,cuius textů Gaza fideliter traduxit, neque deprauatum , neque commutan dum exiſtimo , quia mens Philoſophi peruerteretur. Vtauté Ariftopinjoom nibus innoceľçat; hydrophobiamin ho minemorbum elle nouum , illiuſq;tem peftateincognitum proponimus,ex quo iure expofuit animantia omnia é: Canis rabie emori, homine excepto,quia hæc lues in homine nondú innotuerat. Con-. firmat opinionem noftram Plutarchus 8. Sympoſiacorum , in probl.9. dum exfen tentia AthenodoriMedici ſcripfit, hy drophobiam eſſe morbum nouum, atq; apparuiſſe tempore Aſclepiadis, qui Sub Pompeio Romæ claruit. Confir mant etiam hoc Scriptores ante Aſcle piadem , quideHydrophobia mentio . nem aliquam haud faciunt:e od lima. nifeſtum fuiffet, non video cur lub fie lentio tantum morbum occultaſſent, E go quidem Hydrophobiam antiquitus haud extitiſſe,perſuaderemihi nonpof fum :innotuiſſe autem veriſimile eft, nó ob aliud , niſi quia morbushic non ſtaa tim à vulnereaperitur : Siquidem multi in 40.die rabiunt, aliqui poft fextum , autoctauum menfem ,vel etiam poſtane num , vt fcribit Gal. Auicenna adnota - uitpoftfeptimum ; Albertus poft duo decim.Propterea antiquitus,&precipue Ariſtotelis tempeftate,huius morbi cau fa nóaduertebatur à Medicis innoteſce bat quidem aquę timor taméàcanisvul nere & tabiem , & illa praua ſymptoma ta oriri imaginabantur: idcirco Ariſto teles etiam , interillos , hominem com morſum à canerabido ,necrabidum fi eri,nec emori ſcripfit. Alai radicem pro expurg andis vomitu te nacibushumoribus à ventriculo,effico cißimum eleremedium . Vanta Git Affari radicis non modo in ciendo yon: itu ,verum etiam in expurgandis àventriculo. & ab eius par tibus, humoribus craſsis & tenacibus ef ficacia ,fapientum aliquot edocuit obler : uatio : fiquidem multinon folum in vis tiis ventriculi, ſed etiam in quartanafea bre , aliisque longis affectibushac eua cuationefeliciſsimo cũfucceflu va funt.. Præparatur è fcrup.ij.aut Drach.j.radio cis Affari, quæ in hydromelite, aut para fularum decocto fit diſſoluta , cuitan - tillum cinamomi, &firupi violar. ade iicitur. Ex Fernelio. In conftruendis ſepulebris veteresfuiffeadu! modum diligentes... Xáca Veteres in conftruendis fer Epulchris, webantur diligentia:id circo admiratione maxima dignum eft illud , quodà Ludouico Vluenarratur memoria patrum fuorum fepulhrim fuifleerutum , in quo ardens lucerna inuenta eft.Hæcibidem ( vt infcriptio ata * teftabatur Jante Ann.M.D.condita'erat, - & poſita: manibusautēcontreccata , ex templo in puluerécóuerſa eſt.Ex Langit. Ganicula exortum à veteribus maxime fuiße obferuatum . Canis cAničulæ exortus antiquitus à prifcis ex eius colore, deami ſtatu côtecturam capiebant. Illan, fiobfcurior, & veluti : caliginofa oriebatur, graui, & peftilenté foreannu;ficlara & pellucida ſalubre ac proſperu predicebant.Heraclides Põticubi . Aegyptiorum de'quatuor elementis opinio. Vatuor elementa feceruntAegy , & fæmiam conftituunt. Aerem marem iudicant,quà ventus eft, feminā, quà ne bulofus , &iners . A quam virilevocant mare,mulieréómnem aliam.Ignévocát maſculum ;qya arder fáma; & fæminami quà luct;& innoxius eft tactu. Terram fortioré marem vocent;faxiscautibusq; fæminçnomen aſsignant , tractabili ad culturam . L: Senecakb.z.Natur. Quaft. Pbreneticos aliquandomirabilia loqui. Mirabile eft, quod aliquádoin Phre« neticisobfcruamus,isturum enim , aliquot(benè inflammato cerebro )}in guaLatinaloqui vel carmina cóponere cum . BARICIILI cum prius fuerint eorum igna viſ funt, fed quod mirabilius eſt, Nicolaus Flo rentinus refert, fe fratrem phrenericum habuiffe , qui futura pradixit, quæ euer nerunt, ita vt eius prædictiones magna ex parte poftea veræ inuentæ fuerint:de quibus tamen fanusexiftens,nullam ha: bebat cognitionem . Infantium rupturn ; qua via Sanare: valeamus. Vltis obferuationibus , nullum remedium ; Salubrius infantium rnpturis inueniri expertum eſt, quam extritis cochleis, thure, &oui albumine emplaftrum confectum . Hoc enim fi pare in affi &tæ apponitur,& infantes eo temporinlecto detinétur miram in fa nando' affectu retinet efficaciam . Ex Matthiolo . Digitum anularem , maximam cum cords retinere ſympathiam . Valem anularis digituscum corde habeat confenfum , in animi defe & ibus, & in fyncope experimur. Qui e. nim à talibus paſsionibus vexantur,vel. licato articulo anularis digiti,feu medi. ci , vel attritu auri ad eundem cum croci momento eriguntur. Per hunc prefecto vis quædamrefocillatrix ad cor perue nit ,ex qua ab animidefe & u collapſi vi gorantur, & in priftinam valetudinem redeunt. Ex Lennio. Carnes code quomodo cruda vje deantur. N lautis conuitiis,nevoraces gulofi que carnes coctas comedant, ticarti ficium parabimus.Excipitur:leporis,aut agni ſanguis , quem congelatum , & fico. catum in puluerem comminuemus,hic : fi fuper carnes coetas fpargitur ftatim foluitur, illæq; colorem proprium mu tantes ſanguinofæ videbuntur, venau feabundus, reijcias. In comeffationi.. bus contra paraſitoshoc eſt ele &tumra medium . Ex Vuerckero ... Adoris plcera , labiorumque fciffuras exper HomasThomaiusin Idea fuivirida rij , Nicolaum Zannonem Chirur. gum THI 16.2 BARTICE L L 1" , guim Rauennæ retulit , mirabili fucceffu : & artificio,oris, gingiuarum linguæ ,& : palari, nulla alia re, quam radicis penta phyon, fiue quinque foliorum decocto vlcera fanare,atque labiorum fciffuras linimento ,ex oleoamygdalarum dulci-, um , cera, &maſtice , quam breuiſsimè adianitatem perducere. Exapri tefticulis,fterilitatem in bomi nibus remoueri. MA Agnaeft vxoratis inquietudo , & Gerileſque exiſtere : propterea.vt à xan to infortunio liberentur, prolemq; ha beant,peraliquot dies ieiuno ſtamacho vir, & vxor cum iure galli veteristeſti culorumapri,que verrisin vmbra exico catorum puluerem capiant:ita profectò. breui tempore optatumadipiſcentur , vt in multisfterilibus ex quacunq; cau « fa non ſemel expertum eft.Ex Democrito. Bufonistibiisdentium doloreseuanefcere.'. Nter maximos cruciatus à quibus ; dolo. HORTVLVS GENIA IJS , 163 doloresperniciofiſsimiexiſtimătur,ad? cò quod multi & in animideliquia ,& in manias deuenerint , multi etiam in vitę deſperationem.Huius doloris remedio. um in odioſo & abominabili animali natura repoſuit. Aperiam hoc arcanum maximum. Tibiæ Bufonis , fiue' ranz terreſtris à carnibus mundatæ , fi fuper dentes condolences fricabuntur,imme diatè dolorem remonent; adeoque cru ciatus ceffabit, vt quafi in dentium ſum perficie dolor collocatusvideatur. Ex. perire modo , & fruere tanti arcani theo fauro. Ex Florauanté. Cepam ab Hippocratemaximèdeteftario ' £pam Hippocrates afpeétu inagis, quam efú coinmendauit, viſu bonā, elu malam elle dicens. Idcirco lucubram tionibus, & litterarum ftuţiis addi& is fùmmècauenda eft : oculos enim vitiati &viſum obtenebrat,bilemque exacuit.. Villicis, & folloribus, qui literis non ind . cumbunt huius eſús maximè collauda tur: eius enim calore vires ad opera exercitanda magnopere excitantur.Ex Plinio. . C Anima 164 B1 : 1 c : L L / , Animalibus naturam non modo terra , perum etiam fi um pra termino conftituiffe. Agna fuit conftituendis terrarum terminis, & fitu quibufdam animalibus: ne simul vbique viuentia , & hominibus & fibi ipfis perpetuo effent nocumento. Pro pterea animalium pleraque in diuersű à proprio addu &ta fitum vtplurimum ægrotant, & moriuntur. Hinccolligi musin Meda , Sylva Italia , non niſiin : parte repeririglires. In OlympoMaceo doniæ monte Lupi minimè habitant, nec in Creta Infüla . In Africa nec Vrfig. nec Apri , nec Cerui, necCapreæ viden tur : In Illyria , Thracia , & Epiro Afini paruigenerantur : In Scythica terraa .. tem , &Celtica neclunti Alini, nec vio . uunt Leones in Europa, Pantheræ in Aſia, Ibisin Aegypto lolum commora tur. In Creta: nec Vulpes, nec Vrfifunt, necaliud animal maleficum pręter Pha langium . In Ebulo Cuniculi non funt, [catent HORTVLVS GENIALIS 165 1 FO 11 [ catent in Hiſpania, & Balearibus, In Seripho inſula Ranæ ſuntmutæ ,illæ au tem fialiò transferuntur , vocales fiunt. In Italia mures aranei venenati ſunt hos tamé regio vltcrior Apenninohaud generat. Ceruiin Hellesponto ad alie nos fines non commeant. In Ithaca illati lepores no viuunt. Sunt & alia animalia quæ in determinatis locis , &non vbiqi viuunt, & generantur. Apjefum in menfis apud Veteres infauftum extitiffe. X veteribus maiores nullum A pij genus in cibis admittere folebant defun &torum enim epulis feralibus ab ipſis erat dicatum , vtex Chryfippo Pli nius retulit. Multiautem non folum ex hoc, quia ſepulchra coronabantur,Api umà veteribus fuiſle damnatum à men ſis , fed etiam quia eius eſu viſus dimis nuitur, & Epilepſia generatur autumát: vnde à Mcdicis nutrices moneri conſue lo, ( frequenti enim huius vſu , lactum decrementum , tum malam recipit qua titatem ECO 9 . i > 166 BARICELLI Samen litatem )vt ab Apio abſtineant,ne lacté tes in morbum comitialem proni fiant. Dicunt in eorum caulibus nonnulli cru diti ſcriptores vermiculos naſci, eoſque fterilefcere, qui comederint in vtroque fexu : Satyri teſticulum carnofiorem Veneris in . cendia excitæreflaccidum vero extinguere. Atyrium ; quod Canis teſticulos vo cant,magnæ apud fapientes eſt conſi derationis:in hoc enim,tum Venerem excitandi,tum reprimendi à natura vi. detur eſſe remedium collocatum . Quip pè maior planta bubulus, quiplenior, & mollior eft ,ex ſuperflua &ventola eius humiditate, in potu aſſumptus Veneris incendia excitate cóſueuit: minor verò, qui flaccidior, & aridior eft illa reprime re,Veneremque extinguerevidetur. Ob id( vt aiunt) in Theſſalia mulieres molle teſticulum in la &te caprino ad ſtimulan . doscoitus,& bibere,& hominibus inpo tu ;præparare ſolent.Quod autem in Sa tyrio mirabilius eft,aiunt, alterú alterius in poo HORTVLVSGENIALIS. 167 Sier o in potu ſumptų potentiam & efficaciam refoluerezlı vterque teſticulusvpà exhi betur. Sterilitatem hominibus,à fterilibus animali " bespoffe prouenire. I verum eſt , quod ab Athenæo pro dicur,Malluin ter in vita parere,relis quoque tempore fterilem efle, quod in eius vtero naſcantur vermiculi, à quibus femendeuoratur non abfque rationeex iftius naturahomines pofle fterileſcere . Terpſicles apud eundem dicebat.Mul lus enim fi viuusin vino fuerit fuffoca . arus,atque id vir biberitçrei venerea -o peram darenon poffe creditur , quod ex 3 Plinio etiam confirmatur , qui veneris incendia extinguere fcripſit. " 5. Cynorhodiradicem ad Hydropbobiam pluri mum valere. Dmorſum canis rabidi vnicum " A Pemedii,quodá oraculoroperti proponit Pliniuslib.8.cap.41. Hæc radix Hlueftris roſæ eft , quæ Cynorhoda apl pellatur.NarratB.Fulgofius de quadam s fæmina quæ per ſomniú admonita eft, vt 12 Hvide vtradicem Cynorhodi filio à cane ra. bido demorſo , & aquas iam metuenti præberet, quæ ftatim ex Hifpania affer ri curauit radice qua Hydrophobicus ce , lerrimè fanitati fuit reftitutus. Ex Gem . m4Cofmacrit. lib.1. ap 6 . Hominis vitam quibusfignis long am ,velbres nem metiamur. Ominis vita pomo perfimilis effe videtur; quod aut maturum ,deci. dit Spóte,aut ante iniuria tempeſtatum , ventorumue impetu deijcitur. Vitae breuis figna colligimus , raros dentes, prelongos digitos,ac plumbeum habere colorem . Contra longæ , incuruos hu meros, nares amplas, & tria ſigna primis contraria, multos ſcilicet dentes, breues digitos , craſfosque atque clarum reti. nere colorein Forcius. Extra£tum Hellebori nigri ad morbos inue ter atosmagnaeffe praftantia. N thrities atqueaffectibus inueteratis, iiſque potiſsimum , qui ex atro , & meo lancho HORTVLVS GENIALIS. 169 T! ta ļ lancholico humore excitantur, extra Ecü migriHellebori,remedium praſtancil efimum femper clle inueni.Capianturnie gr Hellebori radices à fordibus purga tæ , & in pila terantur groſſo modo: in fundantur vino albo,& in vafe terreo e bulliantur quousquc radices benè emol liantur, quo facto prælo exprimantur,& iterum in vaſe terreo leniter ebulliat (deic & is tamen radicibs) quod fucrit expreſsum . Acquiret fuccus ( piſsitudi nem inftar picis, quicum modico cinna. somo ,& pulucre aniſorum miſcendus eft. Dofis in grandioribuseft fcrup.ſem . in minoribusà granis quatuor vſque ad ſex. Datur cum zuccaro in forma pilalar . Confiteor in obſtructionibus, in c pilepticis , retentione menftruorum ex cralforum humorum infarctu , & in alijs inueteratis affectibus, mirabiles huius remedij fucceflus vid.Conficitur eti , am extra & um fine expreſsionc, & cffi . - Cacifsimum cſt. AdLejenem induratum ejufqueobfrationen efficacifsimaprafidia TE 3 Inte 170 BARICELLI Nter ea remedia, quelienem , &fple. neticos ab obſtru &tionibus liberare reperta sút,mihi femper ex voto fuccef GtAbſinthijRomanideco &tum ,ieiuno ftomacho epocú ,quod à Cornelio Cel fo fummècoromendatur:Vt autem eura felicior ſuccedat poft cibum ,aqua Fabri ferrarij; in qua pluries ignitum ferrum extindum fit , Lienoſis præbenda eft. Experientia id totum manifeftauit, ani Talia enim apud huiulmodi fabrose nutrita, ob eiuspotum , exiguos habere lienes obferuatur. Beniuenius , ciuem Florentinum per feptennium ſplenis fcirro malè affe & um curaffe gloriatur, atque ſolo eſucapparorum , & aqua per lanalle .Debenttamé hæc remedia mul to tempore vfurpari ,vtfcopú attingat. Hominem quendam fuiffe repertum , mira vaftitatis,&ingluuiei. NdixeratMaximilianusCæſar Ann, MDX I.apud Auguſtú comitia: quã. do illi vir quidam , prodigiofæ vaftita tis, & craſsitudinis oblatus eft ;at in illo incredibilis, & inſatiabilis erat ingluuies itavt integrű virtulü crudun ,vel ouem IMDEE HORTVLVS GENIALIS. 171 UN It incođá vna vice deuoraret, nec taméfa . mem expleta diceret. Ferunt( vt Surius) hominēBorealibus regionibus ortú fuiſ fe , vbiob locorú frigora folent homines elleedaciores.Hoc taménon folú in Scp tentrionalibus partibus,verú etiam alibi bi repertú cft :Voraces n .fupramodú fuifle referunt Aeliano auctore lib.3.de var. hift.) Pityreú Phrygem , Cambeten Ly dium ,Charidamcleonymu,Pifandrum , Charippum ,Mithridatem , Ponticum.Et e Anaxilas comicus dicit, Cefiam quendā infinitæ voracitatis extitifle . Antidot erum aliquet contra penenum ab ſeruationes. Rcareca Viperamorfus, per impofi tioné tormentille à campo penſili colle etę,illico liberatus eſt,Altercum ingen ti dolore, & ardore premeretur fuper | dextra spatula, & ita angeretur, vt vix ſe s pedibuscontinere , oculis videre , & lo . qui poſſet , veritus neà fcorpione eller comorſus,oleum bibit,multú vomuit,& à dolore leuatus eft, & quod mirabilius, Ha  in ſpatula nihil erat ſigni,vbi prius fue rat dolor.Quidametiamà fimili dolore, & tremore correptus ex aflumpto Bolo armeno cum aceto ſubito cuafit.Puellus etiam putredinem timens, & vermes al fumpfit Scordeum , &liber fa & us eft. Ex Franci.Thomaſio depeste. Quoartificio Cancri pixiextemplo sodi vi deantur. Inum ſublimatum , fiue aqua vita magnam habet efficaciam ia rubi ficandis cancris viuis : propterea fi vis homines in admirationem dicere,accipe viuos Cancros atque in vino fubliaato fubmergas, ita enim confeftim ruber cent,acli perco &ti eflent cantaeft illius aquæ caliditas, & energia,vt inſtar ignis exardeſcat: admiratio tamen indenaſci cur, quod rubefa & i,& viui ab aqua e . cmpti ambulent. Quorradoflamme excit etw inagha. I calcem non extin & am accipias,Sul & lalnitrum in partes æquales , ac bene omnia fimul ailccas, puluis perabitur, qui forqui in aqua proiectus inflammabitur, ac ducem reddet: quod parui mométi haud Berit,prçcipuè ſinodu luce indigebis.Po e terit id fieri in valčulo aqua pleno, vt™ quidá amicusmeus dū no & u in itinere lefſerexpertus eft,qui totum mihi fideliter comunicauit. 9 vbivigent morbi, ibi maximè remedia oriri. M.Agna eft Naturę prouidentia ia ado iuuandis hominibus,quippè obſeros suatú eft ,vbi aliquimorbi copiosè vaga . ctur, ibi remedia accomodataad illlorum exterminiūnaſci voluiffe .Hincinaphri bea, quę ferpentú eft feracißima,aromata? tanquã eorű veneno antidota,oriuntura In Argo Scorpiones plurimi videntur; propterea ibi Locuſta adverſus Scorpio . nesinſurgensnafcitur : ApudIndos Os cidentales Gallica lucs viget,ibi lignum SanaaGuaiacum di& á exoritur , & il . lincad nosdefertur.Catharides veneno ierodunt:ex illis remediú caput , alias & e pedes earum exiftere obferuamus.Quia Stellionibus mordentur, iiſdem in potu Ghana fumptis,fanantur Crocodili adeps, fi in ipfius vicera inftillatur,ſuo veneno me deri videtur. Scorpiones,Draco mari. nus, & Paſtinaca contriti , & eorum pla gis impofiti,procul dubio fanánt. Na. pellusmortiferum venenum eft, vbita men nafcitur,ibi Antorareperitur.cuius radices cốntra Napelliperniciem ,fingu Jare ſuntpræfidium . Animantium lac ab alimentis recipere gut litatem . Lacomnein animantium corporibus alimeati recipere qualitatem adeo verum et vt demonftratione nonegeat: liquidem nutrices ex prauo in vidure giminenon ſemel infecifle infantesvifa funt,hac etiá caufa lacin ijs modò.craf fum ,modò liquidum ,aut ferofum cer nitur,eo quod cibusaut craffus, aut in eiſsius fuerit,modò infantium cóftrin git aluum ,modò ſoluit ,quod vel con ſtringentia vel foluentia nutrices come derint,Hocin pecoribus etiam manife ftum eft:in locis enim vbi hæc fcamoniú Helleborum ,aut mercurialem comedit, vtiq; lacomne ventré,& ftomachūſub vertit: quemadmodú Dioſcorides in Iul ftinis moribus contingere prodidit: vbi ficapre albúveratrū pro pabulo habue i fint, primo foliorúpaftueunmere, & ea rá lacnauſea n epotứcreare atq; ftoma chúvomitionibus offendere ait: Cum a .. adftringétibus pabulis,robore,lentiſcogs frondibus oleagincis, & terebintho pe cus hocveſcitur, lac ſtomacho accómoe datiſsimügenerare veriſimile eft. Ex pulcbritudine, da deformitate aſpoetuse' mures viuentibus coniectusari. MAgmá nobis afpe&tus pulchritudo veldeformitasnon folurn in homin I nib ,fed etiã animalibus,& plátis preſtaci cóiectură,qua benignos vel prauosmon res & naturas veoarifolemus ; intuitu nó pulchri corporiszfpeciofiq; afpe &tusmité naturam , benignofq ;moresin homine illo perfiſtere conieéturamus: contrain I deformicorpore,turpiafpe & u timemus. enim neſcio quid calliditatis, & malitie i In animalibus laudamus catellos, canes Venaticos , & ſagaces , venamur in eis benignam naturam , & mites mores: ( 6 .. tra in Maloſsis,inLupis,Pantheris, & fi milibus, timemus crudelitatem , maliti am , & voracitatem . In plantisex pul chritudine venamur falutares naturas , ex deformitate autem noxias, Rola,Li lium, & Iris nobis præftát argumentum , quamplurimis pollere virtutibus: con tra Cicutam , Aconitum , Napellum.ex deformitate enim plantarumhuiuſmo di,mortem nobis poſſeinducere arbitra arur . Ex Poria in pbyſiognom . 1 : partibus Septemrionalibu sdeficitate tes exaceri. Laus Magnus de gentibus Septena. rrionalibus loquens: Sunt (inquit ) Biariniidololatrę, & hamaxobii,Scytha. rum more,atquein falcinandis homini.. bus inftru & iſsimi ; quippè oculorum , aut verborum , aut alicuius alterius rei maleficio , homines fæpe ad extremam maciem deducút & tabefcêdo perdunt.. In hamorrhagia fele&tißimum praſidium . Nfluxu fanguinis narium copioſople.. 5i9; & in animi deliquia, & fyncopim deur. . perati intercant. A periam quod mihi deueniunt , multoties etiam tanti peri cali bicmorbus eft,vtægrià ſalute deb u ,fem * per adhibere profuit.Burſa paftoris co I trita, ficum ouialbugine, & aceto ,com i mifta fuerit, & frontiapplicatur , confe * ftim fanguis conftringitur;ve mihinon £ femel in infirmorumcuracontigit. Vi in febricitantibus fitis, lingua ardor compefcatur. Nfebricitantiú querimonijs ex ſiti, & linguæ ardoribus, Criſtalli vfus inter præcipua iudicatur remedium . It lad enim fi diù in aqua frigida agitatur, &ore deindedetinetur , fitim & calore corrigit, atque linguam humectat : ma ioris tamen virtutis eft lapis albus, qui in lysacis capite reperitur. hic porrò ſub lingua agitatus non modo fitim ca loremquerefrenat; verum etiam faliva in ore excitat: vnde febricitátibus,& ma kimè, fiticuloſis prælentaneum iudicae tur effe præadium . Ex Lemnio. Skolen Al ignis prefidia fuiſsimè in morbis CW AX : dis Aegypties TerueTATE. Var Aegyptij admodum proclives in languentium cura,adignea prælia dia eligeada,propterea vftione vtuntur afthmatelaborantibus,in ſtomacho frie gido,humidoque ab humorumque dea Auxu, &facibus repleto,Hepar,& Lic nem obduratum , &refrigeratum ,multa cum vtilitate inucunt; Hydropicos ſub vmbilico, &fub hypochondrio finiftro linea petia ignita adurunt. In doloribus dorfi,lumborum ,colli , & orenium arti culorum ,in ſpina dorli ,lumbis,collo , & alijs partibusdolore cruciatis,hocpræſi-. dium frequentant, In tumoribus à crue. dis, pituitofisquc humoribus generatis ad ignem confugiunt, tanquam auxiliú quod citò multosmorbos curet, inopia queproprium efle autumant. Ex Alpines de Medic. Aeg opri.. Centium , & populorum ingenia bifuris , prouerbäs: excogitari.. Vlius Scaligeri vir acutiſsimi inge nij,Gentium ,& populorum naturas tum ex hiſtorijs, tum ex prouerbijs, at que ex ore vulgi ita excepir. Alanoruto luxus:Africanorum perfidia: Europeorü acritas.Mótani afperi. Campeſtres mol liores,deſides.Maritimi prædones, mi ftis tamen moribus: eadem ratione In fulani quoqueſunt.Indimobiles, inge nioſ, magiæ ſtudioſi,numcro fidenteso Affyrij,Syri ſuperſtitioſi. Perſæ , Medi Baštriani,Pyrrhi,Scythæ ,Sibi,Phryges , Cares,Cappadoces,Armeni,Pamphilij, mercenarij, atquealijsbellicoſi, Aegyp tiz ignaui,molles, ſtolidi, pauidi. Afria cres infidi ,inquieti.Aethiopesanimofi, pertinaces , vitæ mortifque iuxta con temptores. Thraces,Myfi,Arabes,Mo. ſchouitæ, Pæones, Hungari,prædones. Illyrij, Liburni,Dalmatrz , iactabundi, Germani fortes , limplices, animarum prodigi, veri amici, verique hoſtes,Sue. tij.Noruegij.Grunlandi, Gorri, beluæ , Scoti non ininus. Angliperfidi, inflati, feri,contemptorës,ftolidi,amentes, in ertes, in hoſpitales ,immanes. Itali con Atatores irrifores ,fa &tioſi , alieni fibiip kis bellicofi,coacti,ferui vine ( cruiant, E H Dci 318 ! CEL: 1 : 1 : Dei contéptores. Galli ad rem attenti, mobiles,leues,humapi,hoſpitales ,'pro-. digi,lauri,bellicoli,hoftium contempto ges,atque idcirco ſui negligentes, impa rati, audaces , cedentes labori, equites, omnium longè optimi.Hifpanis vi& us, afper domi,alienis menfis largi, alacres, bibaces,loquacesyia & abjadi lor 3.Poc-, tices. SCMabaum ,Solis Lunaque coniunčtionen piuentibus oftendere. Irabile eft, quod à natura Scara-. bæus animal notifsimúedidicit, omnibus enim Solis, L'unaque coitum apertè demonftrat.Hicex bibulo fter core pilulam ab ortu, ad occaſum totá . döverlans, in orbis imaginem effingit, quam xxviii.diebus peracta humiicro beobruit ibique candiu abfcondit , dum ZodiacuniLunaambiens fiat interme.. itiis,& fileat:tum foueamaperit, & fide- . THM coniunctionem denuncians,nouam pralem cdit : hæc enim eft iftius beſtio la necalia nafcendi origo Ex Mizeldo.i. exo  # Bobilin 2x Quorundam aimalistu natur & .. Oseft conftans , afinus piger,equus: libidineincenditur, petitąue impe.. tnosè femellam ;lupusmiteſcerenequit; Vulpes inſidiola, aſtuta callida: Ceruus timidus;Formicalaborioſa:Apis parca: Canis gratioſus, ad amicitiam propēlus, Leoſolitarius,expers focietatis,nunqua pabulum externum admittens, tanta vocis magnitudine, aut fonitu , vt ſolo Tugitu celerrimaanimantia profternat; Visſa pigerrima,ſolitaria ,corporegraui, compacto, indiftin & o: Panthera vehea menis,& ad impetus faciendospropenfa, pernixoyedi& a quaſitota fera.Anguis fæniculi paſtu oculorum lippitudinem carat: Formica temporishyberni pabu lum æfiate condit:Item - fides in canibus, in elephante manſuetudo,ftudium ore of natus in Pauone, çura vocis amanæ ſuam, uiſque in Lufcinia.Forciuss. Cervorum vitam ,eße lengisimam . Piabat Magnus Alexander poſteria -jari, Ceruorum vitæ loogicudinem oftenders,propterea multoscapi iuſsit, quibus aureos torques in collo in neđi voluit : in ijs temporis curri culum erat expreffum , &Alexandri deo creturn ; illorum aliquot poft centum annosab Alexádri morte capti fuerunt, qui adhuc ætatis ſenium minimè pręfe ferebant.Ex Plinio. Mafculinum fuum citius in ptero , gianfo mining animeri.. X omnium ferè Scriptorum opi nionemaremfætum citiùs in vtero , quam fæminam animari capitur , aiunt enim marem io dextra parte matricis ex feminecalidiori concipifæminam : verò ex ſemine frigido, ſiue minus calido in finiftra partematricis, quæcomparatiuè ad alteram frigida eft .Hincmasdie40. foemina verò 80.vel90..vt plurimuma nimaridicitur:quod frigidum tardum fit ,&pigrum in ſua operatione: calidum . autem velox: idcircò virtutem forma tricem invno femine velocius, & citius mébra organizare, & formare, quam in alio obferuamus. Ex DominicoTbolofano fuper Leuit.cap. 1 o. Pici HORTVLVS GENIALIS 183 PictMirandulaniingenium , quam maximè collaudatum . A ,& , + PiciMirandulani,& ingenium , & & multiplicem do & rinam collaudabant, & miro ordine extollebant:Quando(in quit Picus) ron eft,vthac in re mihi,aut meo ingenio velitisbiandiri: quin refpi.. cite potius afsiduis vigilijs, atq; lucu brationibus,quàm noftro ingenio plau 9 dendum : & fimul aſpicite fupelle & ilem noftram ,atque librorum thefauros:oité I debat porro Picus bibliothecam egre . gio ornatuconſtructam ,atque omnigem nis libris ex varia eruditione refertam . Ex Crimite InHydrargyro onnis metallica Supernatare. Akreexcepto . Ercij,vel fi mauis, Argenti viui; proprietas mirabilis cit, quòd , omnia mineralia ferè,vtplumbum , fer Tum, æs, & alia ponderotiſsima( excepto . auro )in eo fuperpatent: aurum ditem , * fundum petir , & eius recipit, cola rem , quiignis tantùm opeabfumitut & in fumú mali odoris refoluitur. Hu. jus nidor , & virulentia nauſeam , nocu mentumque adftantibus inducit : inde membra ſtuporem recipiunt, & nerui relaxantur; vt fæpifsimèip inauratorio bus obferuatur . Ex Lem . oleicinnamomai rara o pretiofa como pofitio,plerisque incognita . Icinnamomiolcum ad diuerfas infira : mitates parare optabimus caperec portet , cinnamomicontriti lib.j.quam adinftar liquid : pultis cum oleo amyg- : dalarum dulcium commiſcere ftude bimus, tum demum duodecim dierum ſpatio in loco tepido clauſo vaſculo fituabimus , poftmodum ex torculari totam id exprimatur fortiter : hac ett nim methodo oleum , odoris, .coloris, & faporiscinnamomihabebimusad vo tum . Hocadvires reparandas, & Vio letudinem conferuandam rarum eft ro medium, prodeft parturientibus, & in ftomacho debilitatotam interius,quàna exterius vfurpatur; ngritudines frigi 18g A E das arcet , & in partibus corporis ro u borandis eft tantæ efficaciæ , vt vix ale v toruin conſimile inueniatur remedium .. e Marimum Herinaechin tempeftates:mariti w pracognofcere . Dmiranda profecto: eft' Marini Herinacei proprietas : hic paruus pifciculus eſt, nullatenus tranquillita tis tempore naturali propenſione futu ram præcognoſcit tempeftatem . Ea im. minente ita fe præparat : faburram fa cit , lapidem ore percipiens , ne maris flu & us,vndaqueimpetuofæ facile eum diocodimouere , atque huc illuc in pellere valeant. Nautæ id afpicientes : fucuram tempeftatem à piſciculo hoce . do & ti percipiunt, ob id anchoras & fue . des, & fe ipfos parant, tempeſtatibus maris reſiſtere poſsint.Ex D.Ambrofia, Miracuimdam fontis in Epiro Proprietasi A naturz proprietas illius fontis , qui in Epiro ( vbi Dodonæi louis tema . plum olim inftru &tú erat , quacaufa hic faces facer di &tus eft ) inuenitur. Ille fri. gidus eft, & immerſas faces , ſicut cx teri extinguitcum : autemfine igne pro culadmouentur,mirabiliter accedit , A bulenfis fuperGeref.cap. 13. de hoc menti onem facit , afferitque huiuſmodi pro prietatis cognitionem Adam , & conté poraneis fuiffe apertam , diluviogue & gentiumdifperfione effle perditam .vide Pomponium Melam . mHecla ignem emiffum ,ficcis.extingui, to que verò nutriri. Dmirationem , &fidem omnem ſuperaret, ignem ab aqua nutriri, & non extinguiintelligere,nifiGeorgi us Agricola,vif noftræ tempeftatis me moria dignus,oculatus adfuiffet in He cla .Narrat hic in Inſula Irlandia mon tem nomine Heclam exiftere ,, ex quo ignis emittitur,vt hodie in Vulcanopro. pe Siciliam ,Sicaniam dicam , & Puteo lis in loco vocato le Fumarole , obſer uamus. Ille autem à cæteris diſsimilis ficcis extinguitur, aqua verò alitur. Ex lib:noftro de Hydrom :Naty. Hominum aliquot fubtilioris , plerofque au tem groſsioris ingenij adeffe. Ropterea Aftrologi, & præcipuè Al. bumas,hominum aliquos fubtilioris i ingenij,aliquosverò groſsioris inueniri volunt: quia in eorum natiuitate Mer . curius, vel bonam ,vel malam habet pòa' fituram.In quorú enim natiuitate Mer. curius in domo,velexaltatione Solis fue sit, ij ſunt ingenio prædici; fi verò fuerit + in domo Lunæ , nafcuntur groſsioresor Ptolemæus, Bropoſ. 70. in quorum ortu | Luna reſpicit Mercuriú , fapientes fieri voluit;contra autem amentes:quiaLuna virtutes naturales infundit,Mercurius verò rationales:vnde eum virtutes naa turales,quibus corpusguberdatur , rati onem reſpiciunt, ille nafcitur sapiens; cùm autem non refpiciunt, amens. Hac etiam de cauſa efficitur mentis hebes, & obliuiofus, qui in natiuitate Mercurium babuerit retrogradum : fi enim dire &tus fuerit,ingenijceleris fiet. HancAſtrolo . gi ducunt rationem , quòd ftellæ nóim. peditæ ,luas faciant naturales operatio nes ; oppoſitum autem ,fiimpediuntur. Hisdecaufis frequenter Aſtrologosve sa pronoſticare de moribus hominiume" accidit ; non quòd ita neceſſariò eue. niant, fi homo per voluntatem , ratico pis legem magis, quam ſenſusſequi vo luerit:fed quia pronuseſt ad ſequendum appetitum fenfitiuum , in quo Aſtra influunt. Raxael. Matr. in Addit. Bartol.. Bibyl. Galenum omniumporiamcorporis , folum perfe& ifsimè inter veteres, morbos Caraffe. Ratapud Aegyptiosinuiolabile de cretum, vt fingulis morbis , finguli adhiberentur medici. Hinc illorum 0 . cularii, auricularij, & alterius ,morbo rum nomenclaturæ aliquot vocabantur: arbitrabantur enim fieri non pofle, vt v nus omnium curarum difciplinam re&tè teneret; quamuis in vnadoctus habere tur , vt BaptiftaFulgofuslib. 2. adnota uit . Galenus tamen illic temporis inter veteres , naturæ miraculum , omnium corporis humani partium , tanquamfa. E pientiſsimus,morbusperfe& ifsimè fo lus curare nouit. In lib.de Pet . Art.Med.c.2. Grecos feriptores de Iudeorum monumenti rutibi pertractafle Riſteas , cuiushodielibellus extat de Translatione In terpretum ,refert; Ptolomeum Philadel phum , fecundum Aegypti Regem poft Alexandrum , quæluille ex Demetrio Phalereo, quem ille inſtruendæ biblio thecæ præfecerat, curGræci ſcriptores, .nullá dehiftoriis, &monumétis ludæo rummentionem feciſſent reſpondiffe autem Demetrium , tentafle quidem id facere Theopompu,& Theode&tem ,no biles in primis fcriptores, & quedá ex lu .. dæorum monumentis ioleruiſle fcriptis fuis: fed mox taméluifſe temeritatis pe nas:illum enim amentia : hunc cæcitate diuinituspercuflum ; ſed poftea mali fui caufam agnofccntes, & ex animo dolen tes, placato Deo ,ſanitari elle reſtitutos. Eufebius lib.8 De Prapar. Euang. A Cane qido demo- fum , inftarCanis la traffe proditumeft. Ex corrupta imaginatiua non femel à cane rapido commorh latrare vifi funt:cognouit enim NicolausFlorenti nus quendam , quià cane rapido morſus, curationem vulneris minimè quæfiuit; exercuit hic per dies 35.negotia ſua abſ. que læſjone, maneautéfequentis diei è lecto ſurgens retrò vxorem ſuam inftar canis ſtetic, cæpico;pofteam latrare : dú autemab illa reprehenderetur,lubridés ſurrexit, idque pluries eadé die reperi uit. Serò corrupta ex eius ratio, & die 40.mortuusà morſu illato repertus eft. In Arthritidey Chiragra , quando mors fuccedas. Arò mortem in Athritide, & Chi R corporis ignobilibus humor refideat; hinc (nouo haud fuperueniente morbo) tales àmortis periculo , vexatidoloribus vindicantur. Has tamen mori com pertum eft , quando circa finiftrum pectoris finum , cui cordis turbinatus mucro ſubeſt humorum colluuies den cumbat,atque Gniſtræ manus digitus an Bulan  Di mularis nodum acquirat, ac valde intu i meſcat.ex Lemnis. Lienen ad -corporis tarpitudimem maximè Talere, Vantacoloristurpitudine,qui ab in dicuntur,exiſtant, in dies obſervamus, non modò in illius obftru &tionibus, verùm atqueScirrhis, alijſque tumori - ribus. Hioc iure dicebat Galenus z.de Natur. Facult. Quibus corpus florefcit, his lienem decreſcere,ac vice verla,qui bus lien creſcic, illis corpus tabeſcere, & o vitiofis repleri humoribus. Caufa om nium eft, quòd lien ab infar &tu fa & us imbecillis,nequit( fa &ta humorum ſeparatione in Hepate) melancholicum fuc cumad ſe attrahere : hinc demiflus ille cum fanguine corporisatro colore ani . bitum maculat. Iumenta clitellaria in itinare fibilo , da Cana In à laboribus fubleuni. Vlicęconcencusſongriſ numeri maximè homines delectant, ob id multi & cymbala , & alia muſica inftrumenta frequentant, vt animus à mæftitiis fubleuetur. Hac coniectura obferuatum eft :iumenta clitellaria in la boribus , & itinere , cantu , & libilo al leuari:propterea mulones, vt muli, ce seraqueiumenta dicellaria,& tarcinam , & alia onera minus laboriosè fentiant, tincionabulorum torques in illorú col. lisfufpendunt, quorum fonitu , huiuſ modi valdedele &tari cognouerunt , & perinde refici, & à laſsitudinc fubleyari. Ex Vairo kb.z.da Fafcine, Mafalas nigras in acutis morbis apparentes, exitium prefagics. Neer ligna , mortem languentiuni , quæ præſagiunt in febris acutis , illud maxime obſeruatu iudicaui dignū , quod à Sauonarola multa experientia com probatum eft. Sienim infacie, ſeu genis ægrerum ,maculæ nigræ obortæ contpi cientur,prcculdubio languentis exitium minantur ,quippè venenofæ , & peftiferę materiæ in corpore predominiú redun dere arguunt, ex quo mors ſubſequitur. Has IS HORTVLVS GENIALIS 193 2 Has cum obſeruaſiet Sauonarola, ex tali ľ prognognoſtico ,magnumhonorem fua ifle confequutum refert. Acetum adictus venenofos epotumplurimum valere . X Cornelij Celli obferuatione ace tum pertum eſt:quippecùm puer quidam ab j. afpide ictus eſſet , & partim ob ipſum vulaus,partim ob immodicos æftus, fiti premeretur,cum in locis ficcis aliumhu morem nó reperiret,acetum , quod fortè ſecum habebat, ebibit , & liberatus eſt: coniecturandum eft acetum , quamuis refrigerandi vim habeat , habere etiam difsipandi,quo fit, vt terra reſperſa co spumet. Propterea eadem vi veriſimia le eft, fpifleſcentem quoq; intus humo. rem hominis , ab eo diſcuti , & fic dari fanitatem , lib.s.de ictu afpidis. A quodam piſtisgenere febrem illico ex citari. N Arota flumine Inſulæ Zeilã quod . dam piſais genus reperiri referunt, quod manuapprehéfum febrem accen , 1 dat.Equidem piſcesillic neutiquam el culenti ſunt , liceat flumen fitpiſcofiſsi mum , qui tamen piſcem febrium appel fatum retigerit,confeftini à febre corri pitur;ſed quod mirabilius eſt , demiſſo piſce, ftatim liberauit.Cardanus, & 566 lig.in Exercit. Fæminas in maresfuiße commutatas fabulo fum non est . Pudmultosauctores ex pluribus obferuationibus notatum reperio , foeminas in mares quandoque commu taras fuifle:referam folum, quod tempo reFerdinandi I.RegisNeapolisfueceſsit. Erat Salerni quidarn Ludouicus Guara rea , à quo quinque filiæ fufceptæ funt, quarum natu maioribus duabus, alteri Francifcæ , & alteri Carolæ erat nomen. Hæ ambæ cùm perueniffent addecimu quintum annum ,in mares mutatę funt: ijs enim genitalia membrainſtar marių eruperunt,mutatoquehabitu pro mari bushabiciſunt: Franciſcus, &Carolus nuncupati.Ex Fulgoro. Sene & utis incommodatam corporis quàm Animai NKINGT ANTUT : Quanta fint in fenibus, & corporis, & animi incommoda , non modò à Scriptoribus, verùm arquecontinua,ob feruatione experimar ,vt iure afferere libeat,hanc hominis poftremam ætatis $ partem miferrimam iudicari. Mortales enim cùm ad fene &tutem perueniunt * cor eorum affcum eſt,caput tremulú , (piritus languidus, anhelitus færidus, frons caperata, corpus recuruum , nares mucores deftillant , vifus debilitatur, i capilli decidunt, dentesputreſcunt. In fuper ſenes ſunt iracundi, inexorabiles, moroſi,nimis creduli, rarò obliuiſcun . tur iniuriarum ,laudantveteres, prælen tia damnant,triſtes ſunt, languidi, iniu cundi, & alperi:ſuntauari,ſuſpiciofi , o. neroli,difficiles.Exquibus fene &tutem fentina, & cloacam efleomnium ford ú, & immunditiarum ætatis noftræ confia tendum eft.Ex Lauren . Cupero. + Magnum Alexandrum , corporis ſudorem ha buiffe redoleni em . Rat Magnus Alexander tam re & a humorúarmo I 2 nia, E 196 BARICELLI nia , & temperamento conftitutus, vee iusanhelitus odorem balſamiexpiraret; imò fudor, quem è corpore emittebat, tanta ſuauitate, & fragrantia redolebat, vt quoties eiuspori recluderentur , gra tiſsimis odoribus perfufus crederetur. Quod autem mirabile , & difficile credi tu eft ,cadauer eius tam fuauiterſpira bat , vt aromaticis ſpeciebus repletum efle iudicauerint.. Ex Quinto Curtio,& lib. noftro de Hydron .Natur. Diuerfe quorundam hominum virtutes , ornamentA. P tibus,tumanimi magnificentia col. laudantur,omnes in paucis earum per. fe &tionem , confirmant. Porrò Ablalo nisformam , & pulchritudinem extol lunt:robur, &fortitudinem Sampfonis: fapientiam Salomonis : agilitatem , & celeritaté Afaelis:diuitias, & opes Creo G : liberalitatem Alexandri:vigorem , & dexteritatem Hectoris : eloquentiam Homeri: fortuuam Augufti: Iuftitiam Traiani: zelum Ciceronis. Veteran Baderoase no canna, & in papyro penna fcribebate Veterim ruditas, &infcribendo vari Arbara equidem ,& mifera erat ve teruminfcribendo ruditas:ij enim primò in cinere, deindein corticibus, & folijsarborum ,pofterin lapidibus,mox in lauri folijs, exinde in laminis plum beis,conſequenter in pergameno, & tan dem in papyro fcribere politiſant.Erat præterea illis in modo fcribendi , ins Itrumentorum diuerfitas: in petrisenim: . ftylo ferreo, in folijs penicillo , in cinere digito,incorticibus cultro in pergame. Eorum etiam atramentum varium erat, primum fuit liquor pifcis illius, quem nos ſepiam appellamus;deinde mororú fuccus;ad hæcex fuligine caminorum ; mox eft fynopica rubrica ,aut minio; vl. timò tandem ex galla ,gummi,, & vitrio o lo fieri cófueuit. Bx Strabonede situOrbis. $ InAngira prauosatiuspilulami rabiles Periamnunc pilulas meas maxi mæ efficacia , quibus in angina 3 prafo А pręfocatiua à cratsis frigidiſý; humori bus exorta, ſéper cu felicifucceeflu vfus fum.Interalias obſeruationes, in quibus tale medicamétum libuit experiri, luc cefsit calus in R. Petro de Stephano Archipresbytero Cercelli, qui ferè fufa focatuserat , quare vocatus anno 16156 vt eius ſaluti confulerem ; cognito mora bo, quòd ex craſla & viſcida à capite de ftillatione fieret, pilulas meas in aurora exhibui,non fine loſephi de Simoncin medicinaDo&oris, mei collegæ admis. ratione, qui rennebat quodammodo. medicamentum . Eratpilularum come pofitio ex trochis , alandahal, & Aloes an.Scrup.Sem.j.Diagrid.Scrup.Sem.cú ſyrup.de líquiritia conficitur maſſa. Ex hac plurimępilulæ ,vtfacilius æger de glutiret , confe&tæ fupe:Hisdeglutitis, iuriscicerum fubitò cya mbum propine . re foleo ,quemadmodum in hoc feci, qui fine moleſtia euacuauit, & breui delituit dolor & gulętumor,benè reſpirauit,be nècomedit, & vna die fanus factus eft, cummaxima multorum admiration & lgtigia. His pilulis vfus eftGalenus ad linguam tumefactam , vi lib . 14. Method s med. ſcriptum reliquit: Capitis noftri capillos, plant arumnatura mo ximè aRimilari. M Agnácapitisnoftris capillicumplá tis retinent fimilitudine: quemaddum n.plantę nónullæ humoris defe& u . inarefcétes contabeſcút,aliç verò alienis naturæ ipfarum humoribus occurſantes: o pereunt; fic &capitis noftricapillisaccia: -1 dit :vel n.ex humiditatisdefe & u ,quanu. triútur ; vel ex eiuſdé prauitate corrum- 3 puntut , & decidunt.inc defluuiú & alir eapillorūdefe& us in cap'oriútur.Ex Gal. Qya dia volucrum pennits varite coloribus tirgere valeamus: I volucrú pennas variisco !oribus tin-- , gere 1 ter abluereoportet; mox in aqua alumi.. nis decoquere,atq; du calent,in aquá cro co colorarā , ſi flauas eas cupimus, conii. * ciemus:lina.cæruleas, in fuccú, aut vinü acinorú ſambuci vel ebuli.In diluto fio . ris æris virides fiunt: codémodo colore minij,atraméti, alteriusue coloristin &tas habebimus. Agric  Poftulanie,à meluannesBerardinus Agricolas, Filicibus pro frumentoconfervant do in borreis pri. Oftulauit Mazzocca à Vitulano,magna expe cationis adoleſcens, ob flagrantem in ſtudia amorem , cuius familjaritas apud me gratiſsima eft:CurAgricolę pto fru mento conſeruando, filicibus pro ftra gulis in horreis vtantur ; Equidem hu ius ingenium , & animi indolem fepè de miratus fum : proptera in recurioſiſsima complacere volui.Vtuntur Agricolæ fie 1 cibus in horreis, vt cerealia à corrupte la præferuent: quippè filix à proprietate generationi obeft, hinc agrifilice pleni reputantur fteriles. Hinc filix epota ne cat vermes, &ex aluo deiicit: in grauie dis necar fætum , mulieresque reddit ſteriles: quapropter multa ratione agria cula ( 1.cet tanti arcaniline ignari) filio cibus pro frumentorum ſtragulis vtun ter : quia illorum corruptioni maxime refiftuor. Terrestres Lumbrices digitorum panaricium : fanats. Panae  sol PAnaricium in latere vnguium accidit, &interapoftemata numeratur,quod tantum inducitdoloris, vt patiens , ne . que diu , nequenoctu dormire valeat. Prohuiuscuratione, & dolorislenitione multimultafcribunt : egoprofe & dcer. tiſsimo experiméto multoties compro baui, lumbricos terreſtres viuos ſuper pánaricium alligatos,præfertim in prin . cipio ,mirabilitet apoftemacompefcere, & fanare , vt vix diei fpatium affe &tus pertranſeat. € Galega, atqueScordimir am ,contra lüemo peffifentemefe efficaciam . M Trabile obſeruamus Galege , & Scordii efle virtutem cótra febres malignas , & peſtilentes ; fi quis enim Galegęfoliainacetariis, autcarniú iure femetindiefumplerit,afebre hactutus, & incolumis præferuabitur. Idem (Gam leni teſtimonio ) Scordium efficere pro batum eft:fiquidem ex.veterum quorú , dammonumentis aduerfus putredinem Scordium fingulare effe. remedium tra đitur, vt j.de Antid.capaz. legimus:nam Is cum nteremptorumcadauerain pręliog multosdies infepulta máſillent; quęcund que ſuper ſcordium.fortè fortuna cocia derant, multò minùs aliis computrue . runt; ea præfertim particula,qua(cerdi um attigerant:ob quáremomnibus per ſuaſum eft,tam reptilium venenisquàm noxiis medicamétis quæ corpusputred ſcere faciunt, fcordum aduerfari. Anni bal. Camil En. Nodos . in infantis ombilico filiorumrume-, rum haud oftendere. * - 103 Pleriqueexnodis inkantis primènato bliorum numerum ex eadem matre: naſciturumcognoſcere profirenturthoc autem caretratione;fæpèenim fit , vt illa moriarur , aut cafta viuat:vel plutesge neret filios, & pariat , quàm nodorum numerus exiſtat;fiue plures viros habeat: è quibuscum alio plures, cum alio paung ciores filios fuſcipiat. Proptereà certio . kiratione afferendum ,in nodorum vm bilici primi infantis coniectura , exiſtin , mosfæcundosvteros plerumque plures ! nodosininfátis parerevmbilicofteriles; miebe autem paucos, eofque non ad vnguem diſtincos, vt frequens obſtetricum obą feruatio demonftrat, & vt euentui hæc talia, vtplurimum concordare.viden i tur. Ex Carda. 8.de Oryalum quem ſolo afpeétu auriginoſosbom . mines ſanare. Irabile eſt, quod de Oryalo aue ecircumfertur. Hæc potrò talem dicitur fuiſle naturam ſortita, vt icteria cum affectum , à quo homines plerum que moleſtantur, ad ſe valeat ſolo oculorum afpectu attrahere; proinde vocao tur I &teribus,fiue Galgulus à multis, ab ' Ariſt. autéin biftor.animal.Goryon. Sed 1 quod mirabilius eft, auriginofus homo ab alite viſus fanatur,ales verò moritur. Homines, quandoque ſolo intuitu Ophtbaho miam contrahere. Vita obieruatione animaduerti Ophthalmiam fiue lippitudinis morbũ quádoq; contagiosú elle, & folo perinde afpe & uab hominibuscontrahi:: oculi enim tunc adeò perniciofam vim . $ retineat , xt in alios propriumaffectum , 6 ciacus  ejaculari valeant. Pulchra ratione hoc Vairuslib.j.de Fafci, quomodofieri por fit, differuit:Siquidem animus malèaffe & us fuum quoque corpusmalè habet; ob id fianimusaliquomcrore, aut vi. tio afficitur,colores.corporisetiam im mutar:ſi enimab inuidiacentatur,pallo re, &croceoscolore corpus. inficit . Inde fitetiam ,winuidia tabefcentes ,ftocle. Jos.inaliquem . liuentes.defigunt, animi fimul venenum vibrent, & quafivirule .. tis iaculis confodiant.Proptereamirumi non-ef , hominesaliquando ſolo.aſpe & uindippitudinemincideres,vt Hieron nymus, Thomafiusmedicusinſignis, (dú ipfe Neapoli ftudijs.vacarem ) defeipfo. teftatus eft. Adlapidessenum,din neficefrangendos mine rabile remedium .. Vidam -medicus ecuditus, ad lapin desfrangendostanquam admiran dium.parauit cibum ,cuiusefficaciam a . dedimirabilem eſle cognouit,včad.lapi.. desexpellendos non folumà renibus,& retisa ;ſed etiamab anulo comedentis, efficacius remedium haud confedus fu . erit.Paraturex hepate , pulmone, reni. bus,tefticulis cum priapo hirci , quæ cú & croco , cinnamomo , & mellemifcentur , ac ijs hirci inteſtina implentur.Doſis fint duæ, aut tres.buccella Res porrò mon ftruofa ,faveraeft.Ex.Micbaele Pafebl. lib. 1.Metbed.Meck . Veterum medicornmpro conferuanda Sanin tate collegium lans Rifx potentiſsimus Afiæ , & Syrie, quialter Alexanderdi &tus fum, it ( vt ex Ariftiin libisecret.fiuede Regin . Principa.habetur)medicos præftantiores exregionibus Indiæ , GregiæMediæ , , ac aliarum mundi parcium congregauit, quibus impofuit ,vttalem inuenirent medicinam , qua fi homo vteretur , nec. medicis ,nec adia: mediciņa indigeret, pollicitufque fuitRex dirüsimus maxi mumpræmiumefle daturum.Illi autem pro maturèconfülendo e rrium dierum fpatio postulato collegiú iniuére. Mox ad Regem cùmomnes cffent requiſiti Sanages Grocus Medicinæ peritiſsimus, qui pręter ceterosdo & trina & fciētiarua tilabat omniú conſenſu Regiindicauit, quòd fumere quoủibet manè aquábisplez noore,efficiat,vt homo fanusperfiftat, &alia haud indigeatmedicina.blocpro feccò à rationealienu non eft:vtenim in Arabum , Græcorumque antiquifsimis voluminibus inuenitur,aqua ponderofitatis ratione ad ftomachi fundum ten dit,auget calorem , & citiùs comprimit, & digerit cibos, digeftionig; maximè au : xiliarur,ceteriſk; mébris corporispluri múconducit. Fabrorú exemploid torú inquiritur, quiin accenſoscarbones mo dicum aquæ conijciunt,vt ignis vi'maioriaccendatur.Idcirco binos aquæclear ræ hauftus manè potare , menfe Iunio præſertim , propter choleram reprimen dam , multum confert ad fanitatem cone feruandam . EfBurtbolam . Moles in lib. de; ſanit.tuer.. Alexandrum Magnum fudorem fanguineum in pugna habuiſſe. * Vdare fanguinem puruminteradri Skadar randa, quæ rard luccedunt,puimera . SUT  1 tur :vbenim in aliquot fudorex láguinis i iclore cruentus corpore malè affecto, : vifuseft; & is nequaquam fineadmiratie one, & iftuporezita di illeexputo danguis : nexortusfuerit,atquein corpore fano; ) vtique maiorem præſtat-negotijcaufam inueftigandi cupiditatem ; vt futiſsimè nobisinlib.de Hydraniofazatura.olimedia to pertraétatuet Referam nunc quod , Magno: Alexandro euenit; dum eſſet in extremevitae pcriculo conftitutus.Is cũ, in pugna quadamedererum fumma cum Indis.decertaters lub @ diarioque milisere deititueretoMilqucadedcholera:luccés, [useftzvékotocorpore purú languinédes fudauerit; Barbariſgulecotus igneis filáns misardere vifus fit.Hocautemtantum ijs terroris-ingcfsit, vt fe Alexandra.com mittere coactant, Lüpathium rantie darworetaſtas,tenetrier mas, efung aprusreddere. Rat apud veteres Lapathiorum vfus , pecu liare,eft,vt carnes; &vedulia cú hiselixata vel link dugaa yesulta, & coriacea ,terit titatem, & mollitiemacquirant.Propte . rea ,quòdcibos concoctu faciles przſta , bant,& aluumemolliebant à vecerum à mélis raròhujuſmodi abfuifle legimus. Catoncorum feminum :muccaginem combusa fionibus maximèopitulai Nter præftantifsimaauxilia, quæ có buftionibus: adhibentur' , feminun cotoneorum muccagipesretinent prin cipatum . Referam:Petri Foreſti in pro prio filio experimentum , Ille matri obo. fequioſus,,cümtefta carbone ignito re pletamkappostaret,cecidit & igneoculos. combuftitit : Putem cum temen cotone . orum in quâ raſaceam coniecifset,atq; muccagineoculosiçpiusabluiffet;mira culi-infarpuer-comualuitabfq; combus ftionis veſtigio. Hoc etiãauxilio in f. milibus cafibus feliciſsimè ſemper vsű fuiffe ,idemconfirmat, In lib.6 . Obf. Medo Aegyptiospermotas figuras,fenfus,or. rummemoriameffingereconfueuiffe. A Egyptiorum fcientia,quia inter cæterasprecelleroreratapud ve teres , ( illa enim ab Abrahan originem habuit) dcirco ,& rudimento , &Hiero glyphicis ferè occulra indicabatur. Si à qui illorum primi per figuras animaliú ( CornelijTaciti teftimonio)léfusmétis elfingebant, & antiquifsimamonumera humanæ memoriælaxis impreſla cer. auntur, & literarum inuentores perhi. bentur. Hinc in quibufdam Obeliſcis: - látcerę reperiuntur,quæRegum illorum diuitias, acpotentiamdeclarant. Per a - pis enim fpeciemmella conficientis Re. gem oftendebant. Siquem memorem s fignificare volebant; leporem aut vul. pemauritis auribus, quod fummieſlent auditus,& inlignismemoriæ ,effingebát: fi veròmalum crocodilum :fi velocem , vel rem citò factam ,accipitrem ; quonis hæc aliarum fermè auium fit velociſsie ma. Si inuidum , anguillam , quòd cum piſcibus fit intociabilis.Si iuſtum ,oculü: Gliberalem , dextram manum , digitis paſsis:fiauarunn ,ijfdem compreſsis.Per inſtrumenta quædam , & membra hu . mana pleraque fcribe Jant. De bis vide Pie arium , Diodorum , Srabonem . lum  ritatem , &mollitiem acquirant.Propte . rea, quddcibos concoctu faciles præſta , bant,& aluumemolliebant à veterum à mėlis raròhujuſmodi abfuifle legimus. Cotoncorsimfeminum -muccaginemcombuso fionibus maximè opitulari. Nter præftantiſsimaauxilia, quæ có . buftionibus adhibentur' ,, feminum , cotoneorum muccagines retinent prin cipatum .Referam :PetriForeſti in pro prio filio experimentum . Illematri obo... fequiofus,cum teſtá carbone ignito re pletamkappúrtaret cecidit& igncoculos, combuft Pitemaeumtemen cotone . orum iniquárafáceam conieciſset,atq ; muccagineocalosiçpiusabluiffet;mira. culiinffarpuce -Conualuitabſq; combus ftionis veftigio. Hoc etiãauxilio in fi milibus cafibus feliciſsimè femper vsű fuiffe ,idem confirmat, In lib.6.obf. Medo Aegyptiospermotasid pguras , fenfus, re rum memoriam effingere confueuiffe. Aegyptiorum fcientia,quia inter teres , ( illa enim ab Abraham originem habuit) dcirco,& rudimenen,& Hiero glyphicis ferè occulta indicabatur. Si qui illorum primi per figuras animaliú 5 (CornelijTaciti teftimonio )jēlusmétis - elfingebant, & antiquifsimamonuméta humanæ memoriæfaxis impreſia cer . auntur, & literarum inuentoresperhi. bentur. Hinc in quibufdam Obeliſcis látceręreperiuntur,quæ Regum illorum diuitias, ac potentiam declarant. Per a pis enim fpeciem mella conficientis Re. gem oftendebant. Si quem memorem ſignificare volebant; leporem aut vul pem auritisauribus, quod fummieſſent auditus, & inlignis memoriæ ,effingebát : fi veròmalum crocodilum : lì velocem , vel rem citò factam ,accipitrem ;quonis bec aliarum fermè auium fit velociſsi ma.Si inuidum , anguillam ,quòd cum piſcibus fitinfociabilis.Si iuftum , oculu : G liberalem , dextram manum , digitis paſsis:fi auaruin ijfdem compreſsis. Per inſtrumenta quædam , & membra hu . mana pleraque fcribe vant. De bis vide Pie. crium ,Diadorum ,cSrabonem . Quamethodo peftilenti tempore àluenos tueri yalcancus . Retiofa,acbreuis theriaca reperitur, qua homines ab aere peſtilenti , ad jun & o vitę regimine,præferuari poſsúr: Sumuntur caricæ ,nuces iuglandæ, folia rutæ , &iuni peri baccæ pondereæquali, confundanturfimul, atq cum aceto ro faceo , vel communi diffoluantur; mox per pannum colentur, fuauiterg; expri mantur;ſuccus verò, qui percolabit,fero uetur : vnúenim iftius cochleare, mane ieiuno ftomacho ſumptum ,non finit illa die hominemà peſtilentia corripi. Ex Alpbane de Pefter Olivarum oleum unguium pun &tura mira biliter fanare. IN fedando dolore vnguium expun , Aurisacu,vel ferro ,atq; iisperſanan dis,nullam remedium oleo oliuarum fa lubrius inuenitur; confiteor multa oba feruatione,multisa; experimentis id toa tum comprobaffe. Honefta mulier ; ac vnicè dilecta , Laura de Otaro, mea vxor cariſsima, no femel, dum varia-ad femi liæornamentum ,acu contexerer, in vn guibus digitorum pun&a eft; limplicita menoleo oliuarumio puncturiscollini to ;&dolor confeftim euanuit , & falus introducta eſt.Ego profe & ò ſemel pun . aus ferri cufpide ſubter pollicisvngue com ſanguinis effufione, fubitò ad lini mentum ex oliuarum oleo, antequam aquamtetigiſſem ,deueni;quo adhibita dolor delituit ,atque vulnus vnà breui ter , & conſolidationé, & fanitatéhabuito Admirandüauxiliü ad vefica calculã ,quoabt que inciſione diffoluitur,& expurgtur. Nter admiranda auxilia, quæ ad cal INTE culoſos adhibentur, connumerandum iudico remedium , à do &tiſsimo Hora tio A ugenio experimento confirmatú in epiftolis addu& um ,quo abfque inci fione in vefica multorum Japides com minuit,& expurgauit.Réferam qua via id, innotuita Aegrotabat calculo veſicæ cuiuſdam Typographi filius Romæ poft varia aſſumpta remedia ,cùm nulla lub fequutá noſlet ytilitatem ,fecaricupidus; de pretio cû Nurfino artificecóuenerate propterea Sacerdotem iufsit accerf ri, vt ſumptis Ecclefiæ facramentis , fex le &tione moreretur , animæ fuiffet confultum.Religiofus ex focietate Iefu , audita confeſsione, proponit illi phare macum ,de quo in leipfo , & in alijs peri culum fecerat: expeririæger voluit, & magna aſsiſtentium admiratione fana s:Pharmacum ita erat concinnatum . Puluerris Millepedum præparar,drach, i.ad fummum Scrup.iiij.aquæ vitæ vnc. Sem.iuris cicerum rub.vnc. ix.velx.ca piatæger calidum ,horis quinque ante prandium . Efectus medicamenti talis fuit. Horarin duarum fpatio totum corpus incalefcebat, anguſtiabatur z grotus fitiebat , ac ferè loco ſtare non poterat,aliquandocirca pubem dolores vrgebant.Vrina hora quinta cceperunt cralsiores:feddi,fed non multæ.Secunda die à pharmaco contingebant eadem , fedvrinæcopioſiores, & craſsiores.Ter tia labulumapparuit multum . Septima tandem adeò plena fabulo vifæ funt , ve rectequis diceret,easnihil efte quamfabulum aqua diflolutum : omnia in me liorem ftatum redigebantur, ita vt, qui proximèincididebebat, liber abomni malo nona fuerit die. Miliepedum ad calculosRenum VP fuca preparatio. PRæparantur Millepedes ad Renum Velicæque calculos talimodo r.Az fellorumquam volueris quantitatem , vinoquealbogeneroſo abluito diligen ter , mox in ollam copiicito nouam , vi tro obductam , lutoque aliquopiam ile lam incruſtato , demú in furno exiccen tur ,ita vt poſsit in tenuem puluerem rc . digi; tumverò affunde vini ciufdem gee neroli quantum poterunt imbibere , & rurfus exiccato , ac tertiò imbibito & exiccato vt ſupra,quartò veròpuluerem irrorato aqua fragarum deſtillationis &olei exCalchanto Scrup.j. permifce to inuicem , & exiccato rurſus : vbi verò fic fuerit exiccatum in tenuiſsimumque puluerem redactum ,feruetur in vale vi. treo ,aureo ,yelargento . Es codem . Frequentem ficoram efum fudorem parere abominabilem . Licetficorumvfus multa hominibus commoda părturiat; ran & ij citifsi mè nutriunt, & impinguant corpora, aluum emolliunt, & per vrinas, & per ambitum corporis non pauca excernunt excrementa : tamen eorum continuus, & frequens vfus fudorem generat abomi. nabilem, & corporis fæditatem ; indici um huius rei eft , quòd illorum eſu pe diculorum copia innaſcitur. Hinc apud Rhodiginum lib.6 .Antiquar. teet. Anchie molum , & Moſchuni Sophiſtas,legitur tota vita fuiſſe hydropotas,acficis modò folitos veſci, & tamen robuſtos extitiflc, ſed adeò fætentes,vt propter abomina bilem fudorem certatim in balneis aba. liis excluderentur. Mulieres eximiam , &fuauemrerinete pinguedinem . Orpora mulierum fuauiori, & ma: ori fulciuntur pinguedine, quàm hominium ipſa,quæ profe& ò ob ſiccitaa tis, dominium ,minùshumidi, & oleofia C ttatis retinere videntur. Propterea apud Plutarchú 3.Sympol -4.habemus, vbi mul sta cadauera promifcuè erất cóburenda, veterú tempeftate, temper decévirorú vnú mulier brcímiſceri ſolitú : qualiil lud vnú tantú ſuppeditaret pīguedin is, vt cętera faciliùs cócremari valuiſsent, Aſtu demonum , mirabiles in hominum.cor poribus effectus procreari. : ribus Dæmonis aftu cffectus con ců , ſpiciuntur, vt quando quis euomat am icus, clauos , pilos,oflamagna: vel quòd plumæ in lecto fint ingeniofifsimè con ferta :multæ enim de iis obferuationes apud Hieronymum Mengum in Malleo Maleficar. Paul:Grillandum , & Delrium reperiuntur. Quomodo autem hæc fieri pofsint, talis eft ratio : aut enim ifta funt Diaboli illufiones,ita quòd ea videátur, quz vera non funt, fiue per a&iua natu ralia hoc efficiétia, ſiueper acrifiam ,fiue per aeriscondenfationem ;aut funt vera; quippe Diabolusinuifibiliter huiuſmodi in hominis ftomacho intulit, & exinde viſbi.  Emin viſibiliter educit,licet ram magna vide antur ; nam &ea diuidere , & integrare poteft faltem apparenter,eò quòd loca ſiter huiuſmodi corpora, & partes eorú, ad nutum moueantur, & ad inuicem con glutinéter,Deo non impediente. Summa Sylueftrina de Malefic. Carduum Benedi& um ab Hemicrania homi. nes preferuare . X India Carduum Benedi& um pri mùmomniumad Imperatorem Fri dericum honoris gratia fuiſle miſſum multi hiſtorici autumant , quod miris laudibus, ob peculiares eius virtutes, planta hæccelebrabatur,&obidà mula tis Carduus Sanctus dicitur. Hæcenim venena lupcrai, &confert cùm vlceri bus , tùm vulneribus, eft præfentaneum remediumad peftem , necat vermes, & vtero prcdeft, & in cibo , & potu viit pata , ab immenfoillo præferuat capitis dolore, quemHemicraniam vocant. Ex Trago. Infantes preferuari Apoplexia .Epilepfia fumpto prime fyropo de Cichor.cum Rhabar. vei Corallio, aut ſucco Rute . tibus morbus epilepticus,apud au * Etores noftros paſsim legitur , ob id af. feetus hic vocanturà nonnullis iLorbus * puerilis , liue mater puerorum : Vtau iem cùm ab Epileplia , cùm apoplexia ghi præferuari valeant, multa obſerua tioneexpertum eft,iis,antequam lacgu ftent, in primo ortu prebendo fyropum in cichorea cum Rhabarbaro drach. ii.ab $ hacluepræſeruari ,vt Nicolaus Florer - tinus fatetur. Arnaldus Villanoua Co mit rallium laudat:nam fi diligenter triti të y Scrup .Sem , infans hauſerit cum lacte , antequam aliquid guſtat, nunquam in Epilepſiam incurrere obſeruauit. Ego quidem Marcello ,Hieronymo, &Mare i co Antonio filiolis meis ſuccũ ruiæ cum modico auro ad ſcrup. ii. cuilibet dedi, antcquam lac guſtarent, &gratia Deiab Epileplia immunes exiſtunt.Helionora, K. quæ nunc ablactatur , feremortua nata eft fumptoque & ieiunato paruo cochle airo ſyropi de Cihor. cum Rhabar.re uixit , epilepfiam nunquam adhuc palla eft. Menſtrualem mulieris fanguinema Tontta # nimaliaefe venenum . Nter naturæ arcana reponendum eſſe iudicaui,quodàMetrodoro Sceptio traditur demulierismenftrualifangui ne.Mulieres fiquidem fimenſtruationis ſpatio nudatæ ſegetes ambiunt, erucas, vermiculos,fcarabços,ac alia noxia ani malcula decidere faciunt. Tale enim à natura ijs virus inuentum eft.Non folú autem huiuſmodi animalculis menftru alis mulierum fanguis nocere creditur, verùm atque grandioribus; quippè cao pes, ex Plinij teftimonio menftruofan guine guſtato, in rabiemutari vifi funt, quorú morſus inter difficillimos mora ſus fanatu reputatur. At de re hac fupe riùsaliàs tractauimus. Thapfiam veficas,do ademata corporifuper poftam excitare. Magna profectò eft Thapſiæ effi cacia in veficis , & ædematibus ge nerandis ,idcirco à nonnullis in peftife Eris febribus vbi veficantia neceffaria súc cum felici ſucceſſu vſurpari audio.Cùm autem corporis locum aliquem inflare quis deſiderat, veloſtentationis, vel cu o riofitatis gracia, ponatur Thapfia in low i co conftituta:ibi enim breui veſicas , & ædemata excitabit; vt tandem citra læ fionem id ſuccedat & breui etiam fol jů uantur, cheriacam linire, vel curninum , i aut acerü fuperponere oportet. Ex Car dano lib.8.devaret. | Antivfum inmedicinapro conferuanda va letudine mirabilem obtinera proprie Mlimbi Irabilis efficaciæ aurum in medi Lcina eſt :quippe innumeras illud pro corporis tuenda fanitate retinet vir. ? tutes.Eiusvſusin vino maximèexcellit capiunturpropterea aurilamellæ , quæ ignitętoties in vino extinguútur,donec ferueat iſtud,mox colatur, & vſuiſerua tur. Vigum bocpotatum ventriculo imbecillo fuccurrit , concoctionem ad iuuat,foedum colorem emédat, & prin . cipalia membra coroborat , & rcſarcia. Proinde obferuatum reperio,cor ab illo roborari prauos humores calore fuo abi fumi,vitales ſpiritusclarificari, hepatia que plurimum prodeffe fua virtute ile lius vſum . Multi certiſsimo experimen , to huiufmodi vinum vitam prolongare cognouerunt,fpiritufque fynceros face re,atque virestotius corporis renouare Nonnulli leproſis multum conducere Scribunt,ve ex Mizaldo , & Zacharia à Puteo capitur. Quercetanus Auri falia in aliqua betonicæ ,autabfinthij confer lacommiſta, ac deglutita ſua fpecifica facultate vétriculú corroborare fcripfit, Aliquot animalia ex nature eorumfimili tudine à veteribusfais Dầsfuiffe dicat . veterum infania in rum falſa religione: quippe,& i nimalibus cultum reddidiffe,infinitis ae lijs federibus, & naturalibusrebuscircú . fórtur. Inter alia , quædago apud eos PO animalia erant, quæ ex naturæ illorum proprietate, & fimilitudine, vtreor, ali quibus Dijs reperiuntur fuisſe dicata. Hinc Canis Diana { ace: eft, Aquila lo 1 ui, Tigris Baccho,Pawo luponi,LeoCy beli,EquusNeptuno,Cygnus Apollini, Anguis Aeſculapio , CoruusPhoebo A finus Libero ,GallusMarti,Colúba Vara neri ,No& ua Mineruæ , Lupus Marti, Anſer Iunoni,Soli Phenix.Ex Fonio. Veri V nicornu proprietas, eiusque cognisio, Erum Vnicornu, quod in febribus peftiferis propinatur languentibus veilitate maxima,in fyncopemaximo. Pere prodeffe videtur.Illud auté non ex eo cognofcitur, quòd bullas excitet , vt plerique hominum ignari perſuaſi ſunt: hocenim quodlibet cornu etiam facit: fed alia , diuerfaque methodo. Hoc eſt præcipuum experimentum . Si ſcobem eius củ arſenicogallina,turturi,aut co lumbædeuorandum dabimus, fi fuper Itesmanſerit, vel vnicornuftatim poft arſenicum fumptum datum fuerit)verí K 3 & legitimum Vnicornu pronuntiabi mus. Alii in aurificis fornacem demit. tunt, fiodorem cornu à ſe emittet,ve rumefle prędicapt.Nonnulli experime toʻreferunt, quòd in vftionepon omni no comburaturſed , augeatur potius minimeque in vſtione fætorem cornu *habeat, tt in cornu ceruinioexperirilor elet. Ex Føreſto. Oxo artificio mulierum cinni crocei euadant. CApillorum cullui mulieresmaximè vacát , illud autem iisoprabilìus eft, vt Aauitiem acquirant. Referam mo dum , quo votum aflequi poſsint. Su mito Rhabarbarifabæ magnitudinem , fæniGræci, croci fylueftris , liquiri tiæ tabacci, corticum aranciorum quan .. titatem adtui libitum , paleæ triticæ ft . militer, his quernum cinerem addito,, & incoquito , vt tribusdigitisdefcen dat aqua , inde lauentur capilli : tanta enim fauitie“ redundabunt , vt illos aurcos eſledicas., . Ex Porta in Phitogn . tipios A4 itib...Adexcitandum in fenibus nauralem caló lorem , eorum ; vires deperdit assenquandika confectio præftantiſsima. "Heſauris profecta comparanda eſt , Marſilio Fici 4. no , in lib.z.devita producenda , Medicina Magorum appellatur, quippe ſpiritus , naturalem , vitalem , & animalem fouet, confirmat,& Toborat; & proptereaſenie bus præſtantiſsima eſt. Conſtat hæcex thurisvnc.ij . myrrhæ vnc,j. auri in fo lia ducti drach. fem . contundere fimul į tria oportet, atque aureo quodam mero confundere, & in pilulas ducere. Sumi kä tur huius-mifturæ portiuncula inaurora ieiuno ſtomacho ; in æftarecum aqua: roſacea ; in hyeme verò cum exiguo Quomodo febris in aliquo confeftim induci palent.. VI febrem in aliquo velad oftentatio .. nem , vel ad remedium , curioſi tatemque inducereoptabimus,(fiquidem in conuulfionibus , parakyſi , aliisque frigidis affe & ibus,non parumaliquádo K4 febrew meri potu . 14 Sheh  febrem excitare profuit , ) Scarabe cor buti in oleo decoquantur, illogue arte ria brachialis iniungatur: tanta enim eſt corum potentia , vt confeftim febris, & accenſiones corporis criantur. Ex Car Nuno. Amultis animalibus anni tempora precognoſci. Tdcntur profe & ò plerac; animalia anni temporaprecognoſcere:fiqui dem ex corum inſtinctu , illa homines commentiuntur. Grues enim autumni tempore ad loca calida peruolant, hye mis frigora fugientes. Hirundines ver nali tempeftate ad regiones noftras re meant. Ficedulæ , coturnices . aliaque multa volucria , in anni temporibus,pa bula commutare,aliaque loca adire con ſpiciuntur. Hæc autem non Ver , Autu mnum,vel Hyemem dire & è præſentiút, quemadmodum nonnulli falsò ſibi per fuafi funt ; fed verius ex facta alteratio neà calido , vel frigido in eorum corpo ribus ,fiue occulta qualitate ,has viciſsi sudines facere cognouerunt. Am ago Amantis ex leuiſsima quidemoccafione sie furcenfere folent. : Viperditè amant ,leui alioqui mo mento iraici videntur : ratiohuius rei eft , quiainiurias, licet leues , graues iudicant. Grauefiquidem exiftimatur, vtilleiniuriam in te committat, cui ma ximeplacere ftudeas. Cæterùm quem admodum fubitò dolet», qui contra fui habitus propenfionem facere quippiam conátur ; ita &amantem facere conſpi cimas ;moxtamen rixarum ,& odisper nätde , rurfusque fupplex iugumſubacta ceruice repofcit.Ex Leona dojachine, IN Plenilunio , Nouilunio Pharmaci ex bibitionem àMedicis maximè deteftai. Vlra rationc à Medicis in. Pleni junio , & Nouilunio Pharmacam ehitatur: fiquidem Luna ,cùm interme Hriseftzomhiijo caret lumine,atqueſub radijs lotaribus ia &ta , & proinde ſolica caret humiditate, quo fit vt corpora ne ftra magis licca maneant, & virtusteten trix robuftior exiſtat. Idcirco fin No puilunio ipharmacum ægris exhibetur;a K 5 abfquedubio humores noxiosagitabit, atqueob retentricis facultatis inobedie. entiam parum euacuabit.InPlenitapig ob Lunç porentiam corpora noftu yali de calefcunt,humoresque augetur,Hing In pleniluniis no &tesicalidioreselle ex perimur,cuius caufa , cailorem à centro ad circumferentiam attrahi, verilmile : eſt's quas propter fihumores, corporis: noftriad ambitum tendunt, procul dus bio pharmacum improbatur:illudenim à circumferencia ad centrum trahitmg . tumque natureperuertit , quo facilefut cedit ;vt virtus kadetur,&humorumsys tiacuatio ,velmale,veldeprauana.coring gat: Ex loann,de Pitch 19continuatamaſculorum generatione Jep, LR timanm mirabilembakere virtutem . : TIG apud multos fcriptores repe rifles, feptimun mafculum com tinuatæ generationis mirabilem habere virtutem interhæc noftra embammata minimehoc adieciſlem . Volunt enim quando aliquis ſeptem filios maſculos Continuatim & inter eos fæminam nul,  Quod autem in Hydrargiro mirabile pullam ſuſcipiat, ſeptimum mirabilem virtutem & ftrumas , & alios plerofque effe & us retinere ſanandi, An autem ve rum fit , ncſcio ,cupio tamen à fapienti bus experiri. Forum Hydrargiri , fuperpofito yclamine, 1: in molem Mercuriimatari, Yrifices dum valamineralla inau . rare cupiunt , Hydrargiro pro bo peremoliendo vtuntur ; illud autem in igneimpofitumin fætores grauem , & fætidas exhalationesreſoluitur,pernici--- ofas quidem , niſi abijscautè'euitantur. iudicatur, eft iftud, ſiſuper illius fumá linteolum extendimus, in quo colligi. poſsit , vtique in argentum viuum fu moſitas illa icerum conuertitur , & Hya, drargiram renouatur. Experimur hoc . etiam in carbonum fumofitatibus in traffas fuligines reuertuntur , licet die uerfimodè ab Hydrargiro,Ex Lemnie. Eæculas Bryonia viera mundificando mirane babere pirtutem . 5 K Singularis profe & ò fæcularum Bryo. niæ ,tum pro matrice muodificanda, tum ad hiſtoricas ipſius paſsionesſanan das eſt efficacia :quippe ex multis expe. rimentis comprobatum eft,in huiuſmo di affiEtibus curadis inter remedia,prin cipatum habere. Referam ipfarum con ſtructionem , Exprimatur pręło ex Bry onix conciſis radicibus, & contufis fuca cus.crit primò turbulétus,idcirco in va ſe aliquo afferuādus eft , vefæcalisma . teria ſubſideat: detineatur in locofrigi doper paucosdies; in hoc enim fpatio finclinato vaſculo,viturbulenta aguia) Separetur, & proijciatur) fæces albiſsi mas inſtar amyli in fundo inueniemus quas iterum in pluribusvafculis vitreis, aut terreis diuiſasin vmbra vt, exiccen tur feruabimus;ita protectòintra paucas horaşexiccabitur, & formáanjyli acqui rarexpreſlum , quã Bryonize foculá no minamus.Hac fingipoſſunt pilulex.aut xij. granorum pondere, & cú palico ca ſtorci, & alfęferidę ſummü; ac precipuú. aratur remediú cótra affcctusnarratos. Fæculæ huiufmodi etiamfi diffoluütur, inaqua florum faþarú pro fuco ad orna tum mulierum ,paneaſque defendas ef ficacifsimæ funt.Ex Quercerano, Miſaldo, &Zubariaà Puted. Millefolium ad conſolidande vulnera misam babere potentiam. Lurimis experimentis comprobatú audioMillefólij virtutem ad vulne rum coitionem , indielğue nouis obſer : uationibus confirmari.Referam folum quod ab Hellerioin Chirurg.adnotatur. Cuidam deciſus naſus erat,qua osin car tilaginem definit: Ruſticus propenden tem partem alteridigitis coniunxit,her bam tuſam ,& èvino nigro tritam ,quod Millefolium appellant,impegit , rudius omnia colligauit, vede celerrimè reſti . tit fanguis profuens, & vulnus pulchra e cicatrice brcui coijt. Chymicam aztem, reterum tem ; eftate floruiſe. Pud Veteres i maximo prctio ars p !eriſq ;illiusftudio vacabátur:inginte s A K7 enim diuitiarum copias illa methodo homines componebant,quibus ditiores facti cum Regibus bellum adibant.Pro . pterca DiocletianumCæſarem legitur poftquam Achillem Aegyptiorum Du cem o & omenſcsin Alexandria obſeſsú : profligaflet, omneschymicæ artis libros , diligenti ſtudio conquiſitos, deflagral. fe: pereparatis opibus , Romanisfacilè . repugnarent. Ex Suidt, oOrolio. Quoartificio corpus glabrum reddi : poßit L Itet varüs modis corpus depilatum ; &glabrum reddipoſsit,nulla tamen via præftantior eft ,Varronis teftimo nio , quàm loca lauare aqua; vbi Bufo nes decocti fint,donecad tertiam redcat: - quippè- fi tali decocto corpus Jauetur, proculdubio glabrum ,&fine pilis had bebitur. . Natiuitatis hominum tempora à multis : obferuari On leuis profectò eſt.multorem : ſcriptorum obſeruatio in homia . EN lp mum natiuitatis tempore: à multis enim occafiopibus temperamenta corú. variant, &plerique àrnaturæ terminis, roaximédiftrahantur. Porròquiinipfor terremotus i momento nafcuntur femper patent in tonitru ſemper lan guidifumo qardenet Cometa coex ar ... dendi complexjoneargentesfuntainter's Lühiikempordebiles cuadunt, vel fals, temi Ariſtotelis teftimonio ) melan-; eholici , & atrabile laborantes. Hydárrgýrum non effe vendnum in paura : fumptums quam itme', fed adver : mes nes andas exiftere remedium ydrargyrum , vel fimauisargenti vionm , quodà multis venenum exiftimatur, feliciſsimo fucceflu contra vermes exbibeturjzáptægue certitudi- . nis illud in Hiſpania reputatur , vtmu lienes, tenellis pueris , quila ĉçis vomi.. ty laborant, ad quantitatern granorum trium in propria fubftantia propinare audgár:bacn, via morbuscellare videtur: frequen A Hedmare frequentatisexperimentis. Ego quidem viduam mulierem curani, quæ nouem dierum fpatio vomitibus continuis ex vermibuslaborauerat, & ferè triduono comederatznec cibum retinere valuerat. Haiccùm fcrup.ij. bydrargyri mortifica tii , cum tantillo adoniipropinaffem abfque vlla moleſtia peraluum centum , & pluresemifitvermes, &eademdie lis berata eft , & folita exercuit domi, & foris negotia,magna profe & ò parentum ſemper eventu , domique continuò a quamhabeo , in quaHydrargyrum , in . furum retineo , illaa que puerulis pro vermibus libentiſsimèconcedo , nec ad hucquempiam ex illo noxiam recepifle expertus ſum . Vfuseft hoc remedioad vermesmecandos,MatthiolusHoratius, Augenius, & plerique alii celebres viri, qui omnes huiusauxilii maximè extol. lunt beneficium . Datur pueris in lub: ftantia Scrup. ji grandioribus Scrup.ij. vel drach.j. Corrigitur illud , & nrore ficatur in mortario vitreo cum zuccaro rubeo : ibi enim tam diù conteritur , vt in partes inuiſibiles diffoluatur; ne au tem in priſtinam formam iterum redeat, * olei amigdal,dulc.gurtulas binas adde re oportet, & cum zuccaro rof. violato , vel cidoniato ieiuno ftomacho languen mtibus propinatur.Sciant igitur curioſiin hac dofi nullum præbere periculum ,in # maiori tamen non dedi,neque concede tem :licet apud Aufonium Epigram.10. o legatur hydrargyrum contra medicinas venenofas valere. * Datura flores , com ſemper, hominem in ri(was; concitane. M ! Tra eſt Daturæ potentia in faſcinan .. dis , vt ita dicam , hominum men tibus , adeò quòd , qui illiusflores, vel Temen ſumpſerit , à riſu , cachinnisque non defiftat,donec més alienata ex plan tæ viribus in priſtinem redeat tempera mentum, Apud Indos à furibus Datura vfurpatur;fores enim , vel femen in ci bos eorum , quosdepredari volunt, exhi. bent, & in mentis alienationé, & in riſum 2. conci .  MA it concitant: ita profecto furádi parantin duftriam.Durat illorum riſus, & mentis error, viginti quatuor horarumtermipc.. Ex Gozdab Horto . Lupesſenio confectos in renibus venenoſosgeo net areſerpentes. Agnum profectò in præſentiarü arcanum aperio , multis hucuſ. que incognitum de luporum natura. Il lud eft,cur à Lupis animalia commorfa modòfanentur,modòautemmoriantur.. Anquòdluporum aliqui venenoſi, ali qui verò ſine veneno exiftant?Equidem CarolusStephanus lib7 Jus Agricult.cap.i. ſe obſerualle fatetur, ib Luporum fenum renibus,primò ferpentes vno pede.Jona giores , & breuiores, qui temporisſpa tio venenauſsimi effecti,Lupum enecás. Hac via facilius nobis tribuiturconie &tura deLuporum morfibus.Si enimle piiuuenes fuerint , animahaa, momor derint , ex benigniori eorum natura, mortem baud inferunt,vtmultoties ob feruamus, niſifortè.vulnera in principi buscorporis fuerint locis, vel tá grádia, vimori neceflc fit.Sin auté ſenio fuerint confe & i,proculdubio leuiſsimo morſu animalianecabút,propter peculiare ve nenum inLupo delitefcens,quod víu ve nit,vtpieraq; præmorla animalium , vel moriantur, velmembrum morſum pu treſcat, vtfaltem difficillimè curetur. Ex. Gaſp Benkino. Qualiartificio ab vxoribus homines mafcu losfilios fufcipere pale ant. Vita à Scriptoribus ad marium M reperimus:hæcautem præcipua , & ve riora effe exiftimaui.Primovthomo ex exceatur,folidiorig;vtatur cibo ,atq; ra rius cócubat: ita n . & calidius & fpiflius fe . méeuadit,fita; prolificum , & aptiſsimum ad marium conceptum . Secundo mater, & incongreffu fuper latusdextrum recubat & à coitu confeftim fuper illud conqui elcat: Siquidem Hippocratesmaſculosin dextris,fæminas verò in finiſtris genera- . ri ſcripſit.In dextris enim ab Hepate fo . uetur ſemen ,quod eſt calidum : in ſini. ftris autem à liene frigido quoquo pa.; do refrigeratur , & ad fæminarunt 3 conceptum'præparatur.Tertiò ſpiranti tibus Aquilonibus concubant, Auſtris vero defiftát:Aquilo enim admares fuf. cipiendos accommodatiſsimum eft ,Au fter verò ad fæmellas. Capimus huius rei ab ouibus experimentum , quæ fiflá. te Aquilone concipiunt, marem ferunt; Auſtro autem foeminam . Multi , inter quos Cardanus eft,ad marium concep tum Mercurialis maſculæ elum extol lunt,hæc duos quafi coleos pro feminie bus habet, & ab vtroq; coniuge depaſta, marem inducere occulte vi exiftimatur. Magnumele in hac inferiora Lune con fluxum . Trabilis profectò eft Lunæ vis in hæc inferiora: ipfa enim noctes illuminat, & fuper humida poteſtatem haber,marisfluxus, & refluxus per quae draturasfuas intētiùs, & remifliùs facit; quippèdum oritur,maria intumeſcunt, & in æftuariafluunt, quoufque ad circu. lum meridianum illa perueniat; cùm autem ad occafum inclinat , Oceanus ab æftuarijsrefluit ingurgites; quando ſub M Orizonte , percurrit,mare ad confueca æftuaria conuertitur, quoad nocte me dia meridiei circulum Luna atringat; poſtremdcùm ad Orienté tendit,Ocea Rusquoque ad folitos alueos regurgitat. Ipſa in Agricultura rebus dicitur do , mina;propterea antiqui gentiles, qui in terræcultura proficere optabant, Lund libamina ſpecialiter obtuliſſe dicuntur; y ocabatur Diana, ſiue Latonia virgo, aut Plutonia coniux velProſerpin. Leonardi asri deOdtimeftri pariu ſenten tiamdebilem effe. Peculatur Vairus in lib. 2.de Faſcino, Cur partus odimeſtris vitalis mini mè lit,innuit hic, vir alioquin doctus, talem partum non viuere, ob femen im perfectum :quia non datur ſemen (vtar guit )quod ad illud tempus fætu procre. are valeat: ſicutin genere triticiquod dam eft ,quod tribus menſibusgignitur; quoddam verò, quod nouem menſibus: fed debile eft huius fundamentum , quá do in Hifpania, & Aegypto o & imeltres partusões vitales efle perhibcãt:Potior ergo concluſionis ratio requiritur,quam nos alibi tábgemus. somniarumprofagizà Deo diuinare, aliqus bus bominibus concedi. On omnibusfomniorum diuina N doconcellavidetur,fed quibusà Deo ex ſpeciali gratia permittitur. Qui anim fomnia proprio ingenio diuirare intendunt ( dempta fomniorum intere pretatione, quæ & caulis naturalibus in naſcitur , quorum præfagium ad media cos pertinet) aut cæcutiunt , & delirant; aut dæmonum fallacijs inuoluuntur. Iofeph apud Pharaonem , & Daniela pud Regem Chaldæorum ( vt infacris habemus) quia diuina afflati erant ſapi entia, fomnia diuinabant.Propterea mi niftris fuis Pharaonem audita fui fom . nijinterpretatione,dixifle legitur: Num inueirepoterimustalem virum , quifpiriru Deiplenusfit ? & Rex Babylonis ad Da. nielem :Audiui de te,queviäm fpiritum De orum habeas, ce ſcientia,inselligentiaq, as Sapientia amplioresinuentafunsin tq.ExTa úello . Inter Polypodium , & Cancrosmagxam in. eſſe antipathiam . Axima videtur inter polybodie M , i quòd fi polypodiumſuper cancirú abie ceris viuum , breuiſpatio tum pedum cortices,cum vngues ille eijcier:tanca eft i iſtius plantæ in illum particularis viru 3 lentia,& efficacia.Ex Mashioto, Ć Dengan Ibidis , ferpentesattonitos reddere. Irabilis eſt ibidis pennarumvis M contra ſerpentes , quippe fi illius penna ad illorum quempiam inijcitur , Confeſtim in veſtigiogreffus hæret: ad mirabiliustamé eft, quòd ſerpens quer pis frondibuscontacta moriatur , quare circulatores aftantibus mirabilia fæpè protrahere à racione inconucniens elle a non debet:multa enim iis funt, quæ ad i mirandaiudicantur:quemadmodum eft Viperam viſo Fago perterri:experimé. " to enim probatum eſt , illiusramo ante hocanimal iniecto , veluti attonitú fie si, nec ampliusmoueri Hoc etiá cuenic Gha . ti ſi barundine feuilsime percutitur : fin verò iterum eadem vipera incutitur confirmari videtur , & fugam repentè adire. Mulieres rard inebriari, acbrd autem ſenes, Ontrariam naturam ſenile corpus, Contd & muliebre fortita funt:ob id mulie. res rarò ab ebrietate corripi afpicimus, crebò tamen'ſencs. Mulier quidem hu mida eft, vtà cutis cenitate ,& fplendo re.comperimus , fenex contra ſiccus , cucis afperitas&ſqualor confirmat. M11, lier ex aſsiduis purgationibus fuperfluú exonerat; ſenex autem ex corporis duri . tie,luperfluanonexcernit.Mulieriscor. pus, quia variis purgationibus crat de putatum , pluribus foraminibus fuit có fertum ; non ſic ſenis corpus ,propterea naturales meatus à corporis ſiccitate, & duricie potiùs obſerantur. Hæc funt în caula , vt ebrii fenes facilè fiant , muº lieres verò perquàm rard . Nam fià mu. liere largè vinumfuerit hauſtum , illud magnam mulieris humiditatem incidens,vtiq;vimluam perdit; dilutiulý; fit , & cerebriſedem non petit: nam per. varia foramina mulieris illius vapor re Currit , & celeriter eius fortitudo euanel cit.In ſenibus vinum contrarietatem no recipit: quia corpusillorum ficcum eſt; ob id vinum firmiter adhæret, cerebría que petit , quia in durioribus membris; & aridis(vt ita dică ) exhalatio nulla fit: hincab ebrietate facilècapiücur. Ex MA crobio 7.Saturn. Qua induſtria in vrgenti fomno, quis vac leat excitari. Agnus Alexander,vt ingerendo imperio, occupatior eſſet,magnú contra ſomnum excogitauit remedium , quoſi quis vtetur,facilèin ſomni graui tate excitari valebit. Ille Vas æneu pro pè lectum conſtituebat, & pilamæneam fiue argenteam manu compreſſam ha bebat,brachiumque ſuper vas illud ap tè componebat,vt pila in ſomno elapſa in æneum procideret, & à fonitu excita retur, & furgeret.Mira equidé fuit hu. ias ingenij dexteritas , licet hæc Alexandri dormitatio potius quàm fomnus dici poſsit.Ex Ammiano Marcellino. Quibusfignü corpora venenata cognoſci yaleant. L Icet venenorum genera multa fint, ex quo difficile fit omnia figna repe rire,quibus cognofci valeant,afferam ta men qua mcthodo corpora, quæ venenü fumpferint,intelligere poſsimus. Porrò magna fit in corpore commotio , dum quis venenum hauferit;præcipuè fiillud calidæ fuerit naturę:doloribus enim va lidis ,atqueacutis in ſtomacho , & inte kinis torbonibus languens cruciabitur, præcordiorum fentiet anguſtiam , fati gabitur vomitu,& fuxu ventris , ſudor fuſcirabitur in fronte cum vultu frigi do : colorægri erit pallidus , pulſus de bilis, inzqualis, & inordinatus ,fynco pi , &animi deliquiis affligetur. Hæchi omania, vel in maiori parte fuccedunt, o porter celerrimèinggris.vomitum pro uocare, vt aflumptum vencnum eiicia ur. Ex pal.Vilan. Luem Gallicam non modò homines,fed canes etiam inuidere. Tanta eft morbi Gallici quandoque immanitas, vt non modò ex vno lan guente,vel reſpiratione,tactu, autcom merci oplures homines ea lue polluan tur; verùm atque canes , ſi vicera , vel vnguenta infirini lingere potuerint.Ex I perientia hoc edocuit ; viſus eft enim & quidam canis Gallica lue captus, quihe I riſui emplaſtra linxerat. Ex obformatore if Iulii Scaligeri. 6. Poet. Quotermi nocorporis hominispulchritudo conftitui debeat. Arii equidem funt Scriptores in conſtituendo termino longitudi nis , & latitudiniscorporis pulchri:ihter quos, ſententia loannis Goropii, in fua Gigantomachia , magis acceptanda vide tur à fapientibus:colligit exHomeride Creto longitudinem hominis pulchri de bere eſſe quatuor cubitorum , latitudi nem verò vnius cubiti. Cymrinum bominibus palliditatem corporis inducere. More Multa profectd ſunt , quæ vultus colorem hominum deflorare ob ſeruantur: fiquidem panis hordeacęi v fus facit homines pallidos.Ex Ariftot. A quælutulentæ potus, vſus ſalitorum , & immoderata Venus valde colorem de . turbant: inter ea tamen , quæ ex proprie. tate decolerare putantur, Cyminivſus, &olfactus eſt. Duo enim de hoc exem pla habentur apud Plin.lib.20.C.24.V. num fe &tatorum Portij latronis, qui, ve illius imitarenturpallorem ,cymino fre quenter vtebátur:alterum eſt Iulij Vine dicis ,qui, vt Neronen falleret ,palloré Sibicymino conciliabat. Ex Mercurialide Decorat . Regem Archelaum maximè Aſtronomie fi iffe imperitum . T minibusneceffariaiudicatur,vt malè ciuitates, refpublicas;hominumo; cætus fine illorumobſeruatione ij con leruare valeant.Vtique horum ope té pora,annos, menſes , & horas metimur, &ſine his in, varia labyrintha inuolui mus mur.Hoc apertè ille imperitus Aſtrono miæ Rex Archelaus oftendit,qui (vt vi ri ſummæ fidei fcriptú reliquerunt) ob Solis Eclipfim ,cuius caulam ignorabat, * tantotimore correptus eft ,vt regiam is clauferit,filium totonderit, iudicia è fo ro fuftulerit , & iuriſdi& ionem penitts en intermiſerit: vltimum enim orbis diem . eſſe arbitrabatur.Ex Magino. Mira grecilitatis quofdam bomines fuilfe repertos. X Aeliano,& Athençoquofdam ho mines extremæ gracilitatis fuiſſe * colligimus:legitur enim quendá Arche ftratum vatem fuiſſe, qui captus ab ho ftibus tantæ gracilitatis repertus eſt, vt cùmlanci apponeretur , pondus vnius obolihabuiſſet,quod incredibile,& ferè ridiculum exiftimatur.Philetas Couse . tiaminuentuseft , quem ex gracilitate E vſque adeò inualidum fuiffe fcribunt, vt ne à vento deijceretur , pondera ferrea pedibus, & foleis geftare coge { retur, Anguit. Emine Anguillas cumAquilone mirambabere fyme putbiam . Trabilis profe & ò conſenſus eſt, quem Anguillæ cum Aquiloni.. bus habent : ipfis enim ſpirantibus fex. dies fine cibo, & aqua has viuere fertur; cum Auftrisautem diſſentiunt, quippe his flátibus diu ſine cibo, & aqua illæ vi.. uere non poflunt. Ex Bodino in Theat. Aſparagorum vſum corporis facere pitorem . Nter ea ,quæ nitorem ; &pulchritudia nem tur, Aſparagorum vfusconnumeratur, cuius efficacia à multis in corpore colo.. rando ferè mirabilis iudicatur. Aſpara .. gi fætentem reddunt arinam , & perilla pratos corporis expurganthumores:eb: id mirum non eft ,fi,ijs euacuatis,corpus reliquum non modò odoratum redda tur, ſed etiam nitidum , & coloratum : quippeex humorum prauorum conge. rie, & palliditas , & defloreſcentia nobis jonaſcitur, quibus ceflantibus, ceſat de . formitas, & colornitidus exoritur. Ex Auicenna. Picem cum oleo; maximam babere colli gantiam . E X congeneri ferènatura Picem , Rea ſinam , & hujuſmodi, magnam cum oleo affinitatem retinereobferuamus:fi manus enim pice , vel refina fædantur vtique eas oleum extergit,idque ob col" : Tigantiam oritur. Oleum furfur tollit, furfur aqua eluit; aquam demumlintco: ficcamus.Ex Cardino Mularumgenuse propriapecieminime propag ari: MVlasequidem ,& monftraconfimis lia,nec parere,nechium genus prou pagare obferuamus:id fieri aiuntmulti;. ab improportionato generandi tempe ramento : veriùs tamen cum Bodino in Theau.Natur: hot contingere exiftimo, une fpecierú fit infinitas : natura enim in finitatem abhorret. Ariſtoteles in Syria fupra Phænicesmulas parere ſcriplīt ; & Theophraſtus in Cappadocia illas genus 3 , propagare voluit:tamen hoc veriſimile haud eſt. Propterea magis credendum reor , in illis locis Aſinarum quoddams: genus oriri mulabus conſimile , potiùs, quàm mulas , quarum partus à noftris. prodigiofus, & funeftus effe dicitur , vt Iulius Obſeq.inlib de prodig: adnotauit. Leones, Sole in Leone'peragrante,a'febribus, moleftari: Irabileeſt, quod in Leonumfpecie contingit,dum Sol Leonis cælefte fignum ingreditur:ijenim à febre tertia.. na in toto fyderis fpatio excruciantur:a deà quòd fateri oportet , talium genus cum hoc fydere antipathiam habere & tertianam recipere'; proinde Leoninaà multis hæcfeprisapperiatur,bene iudi. cantibus, Leonemeſſe peculiarem . Leo. nes hoc temporetertio quoque die paſo cuntur,neciemel etiam accidit, vt bidu um ,veltriduum inediam ſufferāt, Ster custunc ficciſsimum , & vrinam fatente excernunt,vt Ariſtotelesadnotatum re liquit.Aiuntmulti, hocà natura forſitan eſſe factum ,vt ferociſsimæ beſtiæ quo quo pacto cohiberetur impetus, & à fre quentiori rapina coerceretur. Quo HORIVLVS GENLADIS. 149 Quo artificio in fenibus barbas, albofque cam pillosdenigrare pale amus. Eferam notabilem miſturam qua , ' R Jeant.Sumito lixiuij communis quantú volueris, decoque in eo faluiæ , & lauri folia cum corticibusiuglandium viri. dium ; mox laua , aut ablue madefa &ta fpongia :ita enimnigredinem compara bis, quæ diu durabit, &lætaberis effectu . Ex Porta : Mergum ,& Anferem aquaticum in Hydrsa phobiam plurimum valere Ntercuncta animalia adnotauit Arie ftoteles Anſerem aquaticum folùm non rabire , ob id à multis huius efum in Hydrophobia maximè celebrarur: mirifico autem experimento contra ram . bidi canis morlus valere dicitur Mergus qui in aquis & maridegit, quippe ab Ace. tio ,eius eſu Hydrophobosillicoaquam efflagitare narratur. Lacertasmira magnitudinisapud Indos iz... Meniria NInfula Sancti Thomę, quçdam La IN Ls certæ ſpécies miræ reperitur magnitu dinis,quæ admodum illius gentibus fa miliaris, eft .In Ioſula etiam Capraria,, quæ vna èFortunatis eft , ingentis ma gnitudinis hæc animalia cerpūrur;habis tatores autépro ijs interficiendis , bom . bardis,fiue ſolopetis,alijfque bellicis in . ftrumentis vtuntur. Ex Amate Luſsin Dia. ofcer. In educandis iuuenibus , miran fulle aibe: niexfium induftriam . Moser Oserat Athenientum in iuvenum educatione, vtij cothurnicibus, fio uc qualeis, aut gallis pugnantibus ftudi. an impendcrent:Solent enim hiermo. di volucres,vfquead extremam virium defeâionem certare . Qulo exemplo ad ſubeundapericula ; & vulnera contem merida, ifamınabant iuuencs increpan tès au :bus minus ingenioſos effe homi. nes, non debere.Exsotino apud Lucianum Serpentum eumapudl kudosfrequentari.. NCuba Inſula penes Indos ,ferpentes loua totius corporis ipecie, ac forma prediti inueniuntur,quippe ſelquipedis IM I plerumque longitudine exiftunt,& ex terra, & aqua viuunt:Quod autem apud illas rationes mirabilius videtur inlay tioribusmenfis, horum animalium e fum ,tanquam ibum ſapidiſsimum free quentari.Fx Petro Bembo. Quomifico,Po ticaput; inmiram intumeſcentiam redderevaleamus. NterAgriculturæ arcana, non infimi momenti methodus eſt, quaporri cam put in tumorem magnum reddere poro Gimus.Aperiam abftrufum artificium :Si enim porri caput ,arundine, vel ligneo ſtylo pupugeris,atq; raporum ,vel cucu- merum fomen vti foramine occultaueris proculdubio propria capeo in tan tamtumorem deuenire, vtid prodigio- fum iudicetur, Ex Mizaldo. Iwer Fraxinum , &Serpentes miram adeffe Antipathiami Raxini fuccus ad ferpentum morfuss mirabili fuccelu à medicis vſurpa nec fine ratione : hanc enim plans tam Serpentes, ex occulta antipathia ji miro odio infequuntur : fiquidem illius L6 yobras OX tur , 252 BARICELLI vmbras tùm matutinas,tùm veſpertinas euitant,& lógiusaufugiunt. Retulit Pli nius lib. 16.cap. 13.ex fraxino experi. mentum quòd figyrum frondibus fra xini,& igne apparatur, in cuius medio ſerpens lit proiectus,procul dubio ferá in ignempotius, quàm in fraxinu aufu gere:tantusefthorum diffenfus , &co. culta ſerpentum inimicitia. , Virginitatem in mulieribus, qua viaexperizi: paleamus. L Apathiū maius in aperienda mulica rum virginitate aftantibus magnam retinet efficaciam : ſi enim ex huius folijs faraturfuffumigium ,fiue hęc fuper ig . nitos carbones inijciuntur,vteffument, vbi mulierum fit corona , cum odor ad pudenda mulieris perueniet, illius bon. nitatem,vel malitiam oftendet: quippe fi viro copulata fuerit,abfque dubio v rinabit, fim verò fuerit virgo ,vrina po tiùs conftringitur, quam emictatur.Ide etiam faccre autumant,lignum Agallo chum , fiue Xiloaloem , vel femen portu-, acæ fi fuper carbonesiniecta,adeò effu ment HORTVLVS GENIALIS. 253 L ment, vt ad pudenda mulieris odor va leat penetrare: mouetur enim in deflo ratis vrina quantò citiùs , fecùs verò in virginibus.Ex.Perta . Quomodo ex duabus aquis claris, lac effings re illud valeamus.quod Virginale Pocatur. Ac illud,quodà pleriſque ob colo Cris ſimilitudinem ,liue ex nouo ori gine, Virginale appellatur, ex duabus , aquis artificiosè corifedis exoritur ad multa equidem corporis mala yti. Lifsimum .. Eius modus talis eft . Su mito lithargyrij in puluerem redacti Vnc.ija acetialbivnc.si.commiſta infi- , mul per filtram lineum deſtillato, & a quam clară habebis.Vtautem alteram componas , fumito Salis gemmæ Vnc.), Aquæ cómunis, fiuepluuialis claræ Vnc. Mimiketo fimul, & fic bimas habebisa quas magni valoris. Cùm verò vel ad oftentationem , vel curioſitaré fiue ne. celsitatem lac Virginale conficere opta bis,aquas vtrafque coniungesfimul mil cendogita profectò confeftim laquor la L7 Ereus BA RICE E L'T M deus ſuſcitabitur , qui Virgineusvoca . tur.Verrucæ in manibus fi hoc lacte per dies aliquot beneconfricantur , euanef cunt. Impetigines,omneſq; faciei macu . læ ,rubores, & ex foleardores , hoclini. mento facillimè curantur. Caftrates lienem ,velonorum vitellós durios ? res deglutire non poffe. Irabilc elt i : lud,quod in caftratis, circa cibum obferuatur : hi enim nec lienem ,nec duriores ouorum vitels losdeglutirepoffunt, vt frequentiſsima apud multosinoleuirexperientia.Retulit Bodinus in ſuoTbea.tales priùs fame fe necari pati, quàin lienem vorare por fe.Huius reialia non creditur effe ratio, quã xſophagiiſtorú ex nimia adipecoão | guftatio, & cóftri& io; cũ auté lienis fub-. Itātia spõgiofa &flatuoſa fit,atq; in mã. ducationemagis infletur;facile fit , vtiji i ex ælophagi anguftia talem cibum deo to glutire nequeant. Eadem ratio eftino uerum vitellisdurioribus', qui ex ſuba Itantia glutinoſa,per anguftum non facie la tranſeunt. Spatium humanæ vita , centum annorum fom cundum degyptios compenſariin . teruallo . in . * " Vriofa magis, quàm veritari confo näns mihi videtur Aegyptiorum aliquotopinio,dehominum vitęmenfu, ra :quippe illorú multi , qui medcata cadauera feruart conſueuerant , ex quada conic & ura à cordis humani ponderede fumpta in eam deuenerefententiam , ho. minisviram centum annorum fpatio de Gniri.Sumebant experimentum in cora poribus, quæ fine labemoriebantur; ho rumenim anniculi duarum drachmarú. pondtrisgcorretinere videbantur , bini quatuor;& fic in iingulis annis, quo in anno quinquagelimo bomines centum . drachmiscor in pondere retinere affiras mabant:à quinquagefimo binas : dracha mas fingulisannis decreſcere , atque à cordis pondere detrahi , minuijè dicea. bant, &fic in anno centefimo ad primum , fui ponderis: fecundum iftorum conie ... awan ,corredibat.Ex Teicntio / arrone.. 256 BARICELLI Claro Pblibotomiam ex vena ſaluatella , pleneticis: plurimumprodeffe. "VrabatGalenus ſpleneticum qué dam ;& cumdiù (vtipfe narrat)de illius cura eſſet ſollicitus,atque diligen . ter remedia quæreret quadam nođeſó niauit,fe in infirmo de vena faluatella, quæ eft interminimú,& annularem ma nus digitos ſäguinétrahere; quod fecit, & fanatus illeeſt. Hoc diuinæ bonitati tribuendúexiſtimo, quæ multoties, ho mines per bonosfpiritus dirigit , vt ca perficiant, quæ in corpornm valetudine concernuntur.Ex Bartbol.Sibylla. Gymnoſophiftas apud indosmire,viſus, &in genij dexteritatis inueniri. MIIrabile profectò illud eft; quod de -Gymnoſophiſtis quibusdam apud Indos narratur. Hienim ab exortu , vf quead Solis occaſū ; oculis contentiscan . didiſsimi fyderis orbē intuentur,inglo bo igneo rimantes fecreta quædam ,a renilgue feruentibus perpetem diem al ternis pedibusinfiftunt.Ex Solino. Qui HORTVLVS GENIALIS, ' Quibus auxilysforumarum materia ,per pri nis paleasensachari. Bseruatum eft huiufmodi præfi O sibus euaneſcere.Adhibentur primò in firmis aliquot clyfteria, ex fucco bryo niæ, & mercurialis,oleo , & fale concin nata, quibus patiens tum gelu, tum ma. terias.viſcidas copiosè purgari videbi . tur:mox cum oleo amygdalaru dulciū, vel mali aurantij coleis , manè dilucu .. lo , cantharidum præparatarum grana quinque,velſex iuxta corporis naturama. capiet.Cantharides autem per horas 24 .. in aceto infundantur,deindeexiccentur, &in puluerem reddantur.Hic enim ea. rumpræparationis modus eſt. Huiul modiauxilijsftrumarummaterias, vri pas euacuari compertum eft., Obferua uit hocDo & orPhyficusJoannes Domi. nicus Donnus,cuitis familiaritas,animi queindoleseſt mihiſemper gratiſsima, mihique tale remedium communicauit; robuſtis tamen corporibus folú adhibe ducéleo: ex illius enim experiméto do lors BARCE- 1 II! lores ad inftar parturientis circa pe &tine tale præſidium commouereaudiui. Alijs etiam modis , & auxilijs (trupęcurătur, quippe fioleo ,in quo rana terreſtris,tal pa vellacerto, ( vulgò dicitur racano )fi ue lacerta magna vocata ebullierit , diú ftrumæ,purgato corpore, liniantur,abf que dubioexiccátur, & euaneſcunt.Het animalia viua prius in oleo fuffocantur, cùm ad carnium ab oſsibus ſeparationé ebulliunt, & oleum mirabile ad ftrumas componitur. Nonpulliad earum extir . pationem caufticis vtunturmedicamen tis, quorú potentia caro aperitur , & ftru mæetiacuantur.Componuntur hęc talia ex arſenici fublimati drach.j. lithargyrij aur. & aluminis roccean.drach.ij.fabari vftulatur:numero quinq; hæc in pulue. rem reda & a cum frumenti farina,aceto que acerrimo mifcentur , & fit malfa , è qua orbiculi, vel plancentulæ formantur & exiccantur in Sole, vel furno,admoué tur fuper ſtrumas , &fpatio horarum24. opus perficiunt, Alexandri Magni magnanimitas in pofteros: ftudiofas. MVlta ratione Alexander Macedo Magnusdi& us eft',cùm eius excel lentia non modò in litteris apparuerit.. Ille quidem , vt Ariftoteles de animali bus hiftoriasfcriberet,multa liberalitate in pofterum vtilitatem , octingenti auri talenta , cum tribus hominum millibus dedit, vt fyluas,aularia , & viuaria, omnis . generis diſquirerét, & opusab ipio per.. ficeretur.Illi autem per Europain ,Afriw . - Cam , & Afiam peragrantes,multa anima : tium gencra ad Ariſtotelem attulerunt, quarum difle & ionibus , de vniuerfa fen? rè horum natura accuratiſsimè Philofon phus fcribere potuit.Ex loanne Bodeno. I WA Mulieres quafdam in oculis, equi effigiem , pel: geminaspupilas babere compertum eft. NO On rarò quædam mulicres magæ reperiuntur, quæ vt plurimum a- . niculæ funt , hominibus , animalibusý; vilu ,nocentės. Solent hæ in fingulia, acut 160 BARICELLI oculis, velgeminam habere pupillam , ( vt HieronymusMengus de Arte Exe orciſt. adnotauit ) vel equi effigiem , quemadmodùm nonnullas Pontumin colentes habuiſſe legitur. Referuntex iftarum oculis quofdam emittiradios, qui non ſecus iacula & ſagitrę pro homi num cordibus faſcinandis exiftunt , ità profe & ò totü pernicioſa quadam qua litate corpus inficiūt,breuique velnullo temporis conſumpto interuallo,homie nes,bruta,ſegetes,arbores polluunt , & ad interitum tæpè deducunt. sanguinem caninum HydrophobosCupareba PotumAutumant Galenus N Serapio,& pleriq;fapiêtes,fangui nis canini potu, canisrabidimorſum ca. rari teftantur : quæautem fit ratio,apud hos non legitur. Referam tamen , quæ àMarſilio Ficino in lib. z. de Vit.produc. adducitur. Ego opinor ( inquit) ſali ziam canis rabidi venenoſam , impreſ fam hominis pedilæſo,per venas paula tim ad corafcendere more veneni, nifi quid HORTVLVS GENIALIS : 261 quid in tereadiſtrahat.Si igitur interim canis alterius fanguinem ille biberit,fan guis illecrudus ad multashoras natat in ftomacho , eum denique velutperegrie - num deie & uro per alium . Interea cani. pus languis ifte,faliuam caniná fuperio ra membra prenſantem , priufquam ad præcordia veniat, deriuat ad ftomachű : ná &in canino ſanguine virtus eft ad faa liuamcanis attrahendam , & in ſaliuavia ciſsim viftus ad fimilem fanguinem proſequendum . Venenum igitur à cor defemotum , fanguiniqueimbibitum , in aluo natanti, vnà cum ſanguine per inferiora deducitur , hominemque ita relinquit incolumen . Corallinam , ad puerorum vermes necandos maximè laudari. COMOrallinæ , quam plerique muſcum marinum appellant , in puerorum ť vermibusnccandis,miraeft virtus, & cf. ficacia .Hanccirculatores in plateis vene dere folent,talegue remedium ad lum bricorum internecionem , fummis lau . dibus extollunt. Profectò à veritate in hoc 262 BARICELLI hoc negotio haud abſuot:hoc enim cão teris medicamentis, in rehacaccommo datis,excellétius eft:experimento fiqui. dem comprobatum eft non modòlum . bricos interficeretale præfidium ; verùm atque eadem die , cùin aſtantium admi ratione, oxpellere, vtiure dixit Mat thiolus, quòd quandoque viſus fit puer, quiex aſſumpra huiuspulueris drachma, a centum vermes excreuerit. Qua induſtria , labioram ,meruum , capia tamgmamilarum citifsimèfifuras fanate vale anus. Periam ele &tiſsimum præfidium , A tumque mamillarum fiffuris feliciſsimo fucceflu fere millies vfus fum . Sumiro lithargyrii argent, myrrhæ , zinziberis an ,vncj.redigantur omnia in puluerem fubtilif . & ex cera recenti, melle,& oleo oliuarum ad fuffic. fiat vnguentú. Vfus talis eft : primò liniantur fifluræ ex hu mana ſaliua , mox defuper in tela exten fum applicetur vnguentum ,ita cquidem paucis diebus fanantur, Rhabarbarum cidoniatan , y terogerensabs que periculoalue exonerare. IN graudis mulier bus, cùm grandi inorbo affliguntur, magna cautela ſo lent medici medicamenta cuacuantiae ligere: vel enimhaud porrigunt,ne con Ceptum diſperdant, & matrem occidant; velmitiſsima, & benigniſsima excogi tant, & propinant. Multi Rhabarbarum ob eius caliditatem , & amarulentiă recu fát: ſed perperá quidé, quádo illud cido nio Correptú, inter ele& ifsima &benig piſsima connumerari debeat, Rcferam i qua induftria à Ludouico Mercato ,viro celeberrimo,prçparetur.Sumanturcoto nea, ab interraneis repurgata , tes diuifa, ( ſed fuperftite pellicula , quæ valde eft odorata) in aquadonec tabuc rint ebulliant: mox per linteum colata, & exprefla , optimolaccaro coquantur, & dumid fit,adiicies ad lib.j. huius con diturz,vnc.j.Rhabarbari. Doſis cuius fit vnc.j.vel Aliud cidoniatum compo nitur, quod eftgratius, & abfq; moleftia efficacius euacuat. Diuidatur cidopium &fub God &in par 1 (264 & fublatis feminibuscủfolliculis, parti um ciuitates puluere optimi Rhabar, negligenter triti,ac Drach.j.velj.- aut ij.imp cátur, vel, ſi affectus poftulaueri agarici tantundem , vel foliorum ſene; mox vniantur cidonij partes , papyro que inuoluantur, & ligata in clibano ,vel furnello coquantur ad perfe &tam co & i onem ;poftremò abie &tis medicamentis internis, pulpa manducetur. Hoc pro fe & ò medicinæ genus fecurè cuacuat, & viſcera omnia corroborat. Animantium robur animi, à femine inge terari. Vanta fit feminis efficacia, in aoda. cia hominibus comparanda , nullo aliomedio ſecuriùs cognoſcitur, quàm caſtratorum natură compéfare.Hipro fextò ſtatim atque teftibus priuantur, animi robur amittunt, atque máſueſcár: fiquidem & à fpirituumcopia, & calore potiſsimùm naſcitur audacia , quæ in teſtium natura valde { pongiola ge . merantur , & ab ijs in corpus deferuntur.Ob id Galenus,in lib.1.de femine ,le méSolicóparauit, quod ſuo fulgoreorbe illuſtrat;iuxta cuius fulgorcs ſemē,& ipi rituú ,& caloris potentia, ferè corpusil luſtrare admonemur.Hinc Aegyptijſa pientiſsimi,cum Regem fractum , hebe temq; repreſentare volebant,meritò Ti. phonem caſtratum pictabant benè ani maduertentes,nil poſle verius hominem infirmum oftendere,quàin hominem fie nc ſemine. Aegyptiorum aliquot ad Quartanam febrens ſecreta experimenta . х bris quartanas Aegyptis familiaria ſunt , hoc pro ſele &tiſsimo remedio ha bent,ægrotisdeco &tum ex menta para. tum ad femilibram ,calidum cum (polio ſerpentis puluerizatibinisdrachmisan te accefsionem per horam propinare.A , lij cum decocto affati temporeacceſsio nisvomitum procurant cum felici fuo . ceffu.Sunt & nonnulli,quiante acceſsio nem pilularum drachmam exhibent. M He exagarici,gentianę,caftorei,mytrhe, rutæ an , drach.ij.piperis longi,calamia romatici,crocian . fcrup.iv.theriacæ an tiquæ drach. iij.conftant, & cum ſyrupo de granat. dulcib.conficiuntur. Aliis ve ſitatiùs eft ,exhibere drach. agarici,cum myrrhæ ſcrupulo, diſſoluram in pulegi deco & o, Ex Alpino de Medic. Aegyp. Auesbacciarum taxi eſu nigro colore fieri. Axus inter plontas virulentiam ha bere maximam videtur: quienim fub iftius vmbra dormire audebit, in grauem affe & ionem incidet. In baccis autem venenum potiſsimum viget.nam à viris comeftæ ,ventris profluuia, atque funefta pericula mouent : boues illarum vfu moriútur, quemadmodum &peco ra ,ffortè has comederint, Aues verò iftarum eſu minimè moriuntur , penna rum autem color in nigrediné mutatus, Chelidonium Lapidem MIT APN epilepfiam baberepirtutcm . VIItrus Chelidonii lapidis à pleriſque maximè extollitur: prelentaneum enim Epilepticis réputatur remedium , adeò quòd non pauci iſtius vſu à tanta morbi forociate liberati funt. Feruntin . Autumni principio ,Luna creſcente, hũc lapidem à ventre hirundinis extrahi, & contricum aliquo liquore epilepticis in potum propinari:quippe facultatem re tinere dicitur, tenacem , & vifcidum hu morem, qui caufa caducimorbi eſt exica candi. Multi,chelidonium non folùm elu , fed etiam ſola ſuſpenſione, Epilep ticos à proprietate ſanare contendunt, Ex Lomnio. Miram interafpides, & halic acabum inejſe Antipathiam . Irabilem natura inter alpides, & halicacabum , quemaiorem veſi cariam inuenit diſlenſum , & antipathi am :ijenim , fi iuxtà huiuſmodi plantæ radices quoquo pacto corpora admoue rint,tanta ſtupiditate, & fomnolétia cor Tipiontur, vt amplius nequeant excitari. Ariftotelem rerumcaufis maximum noſcena dis adhibuiffe ftudium M M 2 Erat Aristoteles adeò cauſarum re , Erum cognitionis ftudiofus,vedie cilè quiefceret , nifiad quæfitum exas ctum ſcrutinium deueniret : ob id cumà. graui valetudineopprimeretur,atq; me dicus citra morbicausa,pleraq; vetaret, fertur(teſtimonio Polybij ) sc.medico dixiſſe:Nemecures,vt bubulcú , & for forem ; fed prius caufas ediſſere, & ita pre ceptistuis facilè memorigeratum habe bis.Cum autem in Chalcide exularet;ati que Euripi , qui inter Aulidem Bcotia portum,& Eubeam infulam ſuntaugu iti freti,feptiesinterdiu noctuq;alternis fluctibus ſtato tempore refluerent , ille maris recurſus excogitans,atque caulam reddere non valens, tanto mærore affe & us eft ,vtmorti occumberet. Ex Iufting Martyr. Infates a nutricib mores,& téperiē recipere, nfantes profe & ò à nutričibus non foi lùm circa temperiem, fed etiam mo res multum recipere videntur.Ob id fat pienterà veteribus,Romulum à lupafu. idela &tatum , proditum eſt , velhocfinx I ering HORTVLVS GENIALIS 26 erint, vel vera narrauerint; fuit enimRo mulus ferinis moribus , callidus, fortif limus, & incommodipatientifsimus.At præter hunc,multosà feris enutriros, & educatos legimus; num autem hoc ijs, ex animi feritate fuerit tributum peſcio . Scribitur Cyrum à cane fuiſſe nutritum , TelephumHerculis,filiumà cerua,Pelia Neptuni filium abequa , Alexandrum Priamià vulpe,A egiſthum à capra,quo rum inores,apudScriptoresnoti ſunt,vt apertènofcamus , quid nutrices infanti bus afferant.Equidem quià capra lactá tur,ftulti fiunt, & fälaces;& ita hircuselt;. quare ex hac conie & ura tales euadere in .. fantes , quales fuerint& nutrices com perimus;fed mores virtute animi mode fari poffunt. Qdo artificio vitrum diuidere valeamus. Icet vitrú folum ab adamante , cùm plicabile haud fit, diuidiinueniatur, tamen alia induſtria etiam compertú eft illud poſle diuidi,vt Cardanusrecenſuit Hic eft modus: Filum fulphure, & oleo irabue, L M3 370 imbue,locum circunda,accende, repete, donec locus optimècalefcat;mox confe ftim alio filo , aqua frigida madefa&to circundato , & vitro in eo loco fractum , &diuiſum habebis.Ego quidéalio artie ficio , & fecuriori vitrum , diuido ,caſug; hoc mihi notuit. Habebat quadam die cyathum vitri vino ſublimato,fiue aqua vitæfemiplenum , ad curiofitatem non nullorum amicorum ,a quamin flammá, accenfa candela ,reddidi, vt vinum fub. limatum accendi folet , confuiripta all tem flamma , cyathusin medio diuifus eſt ,atque co potiſsimùm loco , quema qua fupernatans attingebat.Ita ex curio . loexperimento , vitruin diuidere apud alios amicosnon lemel valuir Gallinaceum ftercusà fungorum virulentia bomines tueri . ' Vngorummalitia,ex multorum ex .. perimento , pleroſquevita priuauit quia autem homines ab illorum elu ob luxus abſtinere nequeunt,referam quid àGaleno,tanquam arcanum ,pro iſtorú. Fe virulentia extirpanda,leu ſuperanda ada notetur.Erat in Myſia medicus quiho mines penè ſuffocatos ab elu fungorum ad vitam ducebat, remedioa; tanquam arcano quodam vtebatur: huncprecibus exorauit , vt tantum auxilium aperireta Stercus gallinaceum ille adduxit , quo contrito ad- læuorem vtebatur , & cum : oxycrato ,autoxymelite propinabat in firmis, qui celeriter omnesadiutiſunt. Hoc vſus fuitmox in quibuſdam Vr- r banis Galenus, & verum inuenit : nain: qui præfocabantur , paulò poftvome bant pituitofum humoré omninò cral hiſsimum , & exindeplanè liberati funt. Infuper Myſius ille vtebatur huiuſmodi præſidio in diutinoColi dolorecú oxyo melite,propinato vino , velaqua , cum felicifsimo fucceffu lob id Galenus ex Bolilongo dolore fpafmo correptos,ta li remedio quoſdam perſanauit: nam & hoc colicum doloremaufert, qui caufa ſpaſmi eſt.Ex Gal.16.simplic.cap.io . Varia deliramenta di vini potentißimipotua.r exoriri. M 41 Multa Vlta equidem deliria in ijs,quia vino potentiſsimo inebriantur, fecundùm humorum in corpore prædo-. minium ſuſcitari ſolent:quippe iltorum nonnulliin riſum maximum mouentur, aliqui plorant,pleriq; vociferantur , alij . profund ſsimo lomno quiefcunt.Refert Alphinus,in lib .de medic, degypt. muliere quandam à vini potu largiori ebriam , primònimis euafifle hilarem ,atq; in ho.. mines la ciuiffe, quoscomplectebatur, & ofculis tenebat;moxèrifu , & cantu , ad ram , & furias deueniffe ex quibus fami.. liares eam pertimentes, præcauebant;de. inumin mæftitiam ,vtdefun &tos lamě. tabili voce deploraret;poftremò à fom . no oppreflam ,omnem ebrietatem digef fiffe.Caufa omnium eft , quia vinum pri mòcalefacit,fecundò adurit,tertiò refri gerat; ſi potésfuerit , & immodeſte poti. Ego profe & ò quendam cognoui, qui a pud Marchionem primum Sancti Marci dominum meum erat in culina,vt lances vaſaque culinaria in dies-collueret ; vo cabant Iulium Colauentre. Hic epoto vino grandi, quodBeneuento pro domi 13 ni menſa forebatur in tam immanemde uenit ebrietaté, vt Dæmoniacus appare ret ,os,manufq; extorquebat,in fe ipfum fæuicbat, ia &tabatq; membra, & infinita agebat deliramenta. Aulæ Sacerdos fa cris libris accingebatur ad exorcizandú hominem : quando vocatus , ebrium illi effe faffus fum ,meoqueiuſſu ferula,mo Te puerorum , circa nates,flagelliſá; con tačius, breui ebrietatem dereliquit. Syrium inter fydera.calidißime exiſtere matuth. , Riente Syrio tantum aëris concipi.. præ ardore langueſcant ;canes in rabiem trahuntur;furiunt viperx , & ferpétes ; ftuant mariajaer occultam nocendi qua . fitatem recipit;ſemina, ia era ſub tali ſy dere,minimènafcuntur : talis profectò eft Syrij natura. Exlib.2.de Hydr.natur. Viterum in nuptis mulieribus varios fuiffe mores, o confuetudines. . 3 MS Non 274 BARICELL ) : N.DE dumprima On vna equidem apud Veteresin . nuptis fæminis erat confuetudo: quippe conſueuerát homines in finuPer. fico, littoreg;Orientali , Virgines nobi. les nubiles haud deflorare , nifi brachijs , margaritarıım ļineis ornatæ incederent:: ab id illæ in magņo.erantprecio.Deſije. a nuncmosille, & margaritæ vilius illice. muntur.E « Garzi4 ab Horto . Catullus, in nuptijs Pelei, Tetbidw , aliam natat con ſuetudinem , Virgo nupta , noctecun marito erat concubituva , ita tra & abatur:ante coitum eiuscollinen .. fura filo circumdato meníurabatur,mae nèhocrepetebant,quòd fi latius , quam vt filo comprehenderent, collum inueni ebant, defloratam ça nocte cenfebant:ſin : Vitò dibilomaius,integram , aut antea. fuille deuịrginatam habebant. Aļijalias. habuere confuetudines . Pupauetagrefte mirabiliter Pleuriticum mere bum fanare, Efeet Galenuspapaueradolores miti gare , atq; interanodyna reponiina multis locis referat;tamen agrelte,pleu , ritiden HORTVLVS GENIALIS 275 ritidem ,in lib deremed paras.facil.confel, - fus eſt perſanare. Aperiam quodà mo nacho empirico mirabili fucceflu in hoc morbo fa & um vidi.Hic folia & ſemina agreſtis papaueris,in vmbra exiccata,ſe cum continuo deferebat:cum autê quis laterali morbo infeftabatur , eius confr lio ſanguinem à brachio ſecundum ca 1 nones extrahi curabat,mox deco&ú fo liorum in brodio pulli collatum , cum drach.j.velj- iplius papaueris ſeminis capillamentorum , quæ poft colaturam addebãtur,capiebat tepidè , & ieiunio * ſtomacho. In loco doloris hæc Epithe. cata adhibebantur.Parabantur ex pul yere roris marini, & ſalis,farina , & aqua" tres placentulæ ,quæ ſuper calido latere in firmam ſubſtantiam ducebantur : hiss locus,epithematis inſtar,fouebatur , & breui tim dolor euanefcebat , tum etiá : apoftema rupebatur , & infirmus ad fa. lutem magna admiratione priftinam rew . dibát, Corni plantam , Singuinarie,vel SörbiHydrom phobiam curatam fufcitare. 1.1 ter 276 BARICE ILI INE Je Nterrerum admiranda, connumera tur aliquot plantarum energia , quæ ſopitam , atque curatam in hominibus Hydrophobiam ſuſcitare, & renouare couſueuere. Pluries etenim obferuatum reperio à Canerabidocommorfos, fi plă tam corni, yel fanguinariæ tetigerintan . te annum exa & um , velfub forbo dor mierint, ineuitabiliter in rabiem incide. Tę. Salius in lib.de affe& . part, virus hoc potius à toto ſubſtantia , quàmàtempe ramenti ratione ſufçitari prodidit; nec enim à taląu , necab vmbra intemperi es introducipoteſt. Itaquemirabileelt, ab iis lopitam rabiem renouari, quod. fieri non poſſet, niſicum rabidalue , ha plantæ aliquam haberent antipathiamy cuius alia potior haud adduci poterit ratio, quam tetigimus, quod huiufmodi a proprietate hocperficiant. Qua induſtria penenum illumptum deſcen.. diffe ad gibbum Hepatis pèlinteftina . rognoſcere valeamus. .. iquopropinato,nullamajor me dicis, difficultas exoritur , quam veneni refidentiam reperire , vtritè ca adhibe antur pręfidia , quæ talia oppugnare re perta ſunt. Si enim venenum fuerit in ſtomacho,vomitum proderit excitare; fecus autem ,li tranſiuerit hepatis regio nes,Hiceft modus. Ponaturoui vitellus cumalbugine , cum infirmi lotioin ma tula ;fiinfra paucashorasnigrefcit, & fee tet, venenum adiecoris gibbú peruenit ; Tip verò rugetur,çitrinefcat, & non fæte at, inteſtina haudtranfiuit. Hinc indica tionem corradimus, veneno ad inteſtina Traiecto ,non conferre vomitum prouo care, ExBAYTO . Plantas peduconfimiles ;congeneres retine YENİKHI€s . MVltis experimentiscomprobatum Teperio ,plátas,fruticelý; ligna, quę quadã aſpectus ſimilitudine cóueniunt, congeneres retinere vires.Sic multi mea dicorum peritiſsimi locolingniGuaiaci, Buxo vtuntur;loco falſę parillæ,ſmilace it aſpera, loco ſaſſafras, žylucftrifoeniculo; pro polypodio , filicecligunt; protipfa M 7 na  nyhor leum pro myrto,liguitrů ; pro ea buio,fambucum ;pro china radicem no ftræ arundinis;pro Rhabarbaro , hippo lapathú.Hçcn.facie corporeg; aſsimilá . túr,proindecöſimiles vires habere exia ftimatur. Exlib.noftro de Hydran. Natur. Inter Arundinem . Fräcem ,may nam inefſe extipathiam. Aturali quodam odio inter ſe Fi lix , &Afando diſsidere videntur : moritur enim filix, quæ ab arundinem : plantis circundatur; & arundo quæ à fio licum virgultis: quo dudi experimen to agricolæ , arundinis folia in colendis agris, vomeribus alligant , perſuaſi ab iſtorūdiſſenlu, ſilices ab agris extrudere, &,vt audio votum in dies conſequütur. Apri dentem ad Cynanchen , Pleuritiden mirabiliter valere. Agna eft efficacia dentis Apriin NA ! uis eius oleo linino excipitur , ac locus affe &tus tangatur cum pennę' extremitaa: tę,cx Arnaldo, & Auicenna habetur ,bảo morbum præfeptiſsimè curari.In curan da pleuritidenon minor eft virtus eius. propterea folent practicantes admiſcere tum fyrupis,tum electuarijs huiufinodi dentis puluerem ,benèpoſcentes ab oc ! culta,&aperta proprietate talem pulue rem prodeſſe: quippè extenuādi, & exic , candi vim habet. De hocdente mirum . feribitur;occiſo enim Apro recentar,ip fius détes adeo feruere referüt, yt capil losadmotos nonnunquam comburant. Id accidit., quia Apricalór magous eſt; dumý; occiditur, ira & exercitatione fer uefcit ; proinde dentespropter denſam ſubſtantiam , magnamrecipiunrcalidita tem ,cuius indicium ipmaeſt. Aparagos ju arundineros fatosmirabiliter ex . crefcere. FAximuseft inter arundines, & af par gos naturalis cófenſus;idcir... Iragos, & pulchriores, & core pore ?s atq; ſapidiores habere op tabit,ue, arundinetis leminare procu rabitquippe ex naturali ſympathia mi rum in modum excreſcere, & germinare , animaduertet. Meani co qui MVltis profe& ò notiſsima eft, an Viero gerentes eſu cotoneorum induftrios; acuri ingenij parere filios.. Mirab Trabile eft illud , quodà multis de cotoncorum proprietate affirmari audio : ſi enim.grauidæ mulieres ,quàm læpius cotones-comedere folitæ fuerint, filios & induſtrios , & maximaingenij pårere dicuntur:fiquidem cotoneis mia ram hanc facultatem ineffe credunt . A. liud autem mirum in ijsreperiri apud Mizaldum legi,grauidas mulieres háud parere, velfalte difficulter fætum ede re,ſi in cubiculo , quotempore partus fuerint,cotosca feruauerint : credo ex eorum conftringentiodore, velocculta . rationeid euenire. Heder am cum vinomiram habere diſcordiam . tipathia , quæ inter hederam , & vinuinànatura infita eft; fi enim ex hc deræ trunco cratera componitur, in qua vinum dilutumfuerit impofitum ,pro cul dubio vinum confeftim effluesfun detur aqua verò intus retinebitur,adeò vini impatiens hedera exiſtimatur.Hoc ducti experimento nonnulli in vinise mendis hederæ poculis vtuntur : ita e quidem num purum , vel dilutum vi num exiftat;examinani, & cognoſcunt, Volatilium piſciumg;fecunditatis,Ginteria. Tuprafagia . Oletin quibuſdam annis animanti bus quædam peculiaris peſtis graſſa ri;hinc fit,ve ( liannus valde pluuioſus extiterit(auium , volatilium , bombycú ſericeorum ,araneorum ,erucarum ,inte .. ritum videamus;piſcium verò ftirpiúq;: fertilitatem , & valetudinem .Annus ay . tem ficcusvolatilibus (apibus excepris) falutaris iudicatur;piſcibus verò perni... ciofius:ficut enim in angulto aere, obim . pediram reſpirationein ,fuffocamur, vi. uereque nequimus;ita piſces in anguſtis aquis concluſi diu vicam agere mini mè poſſunt. Gallinarum adipem( accharo obuolutam ,vor modò a corruptela preferuari;verùm atque oleum redderepretiofis fimun . Mira BARICELLI Mina Ira equidem eft facchari virtus, in conferuandis àcorruptela adi pibus. Cum quadam hyemePrudenria filiamea gallinarum adipes collegiſſeter acfaccharo albo benè conuolutasin va ſculorepofuiflet,æftate ſubſequenti, il lud oleo femiplenum reperit, adeòpel lucido, vtcumad medeferret excellen tius haud inueniri poffe iudicaui. Hoc licet illa pro exornandis capillisvtere tur, tamen pro mitigandis corporis do loribus,pro carnis ( cabritie tollenda, ae liifque infirmitatibus vtiliſsimum effe į cenfeo :Quod autem mirabiliusiudicaui: adipes illas:poft multos annos conſerua.. tas, eodem colore,atqueodore , quo re- : centesin vafculo fuerunt claufæ anim aducrti. A quodam Chirurgo amicoet ia nintellexi,humanam adipem faccha. ro conuolutam ;per longifsima tempo ra à carie, & rancido præferuari: quodiſi. ita eſt, credo in omnibusanimantiumde. dipibus id euenire.Qrare Magpatú cor pora condienda melius faccharo imple. ta, quàm aromatibus pofle conſeruari crederem ;eò magis, quia hoc præſidio , corpora in propriocolore, vi deadipe dixi perfifterent. Cucameres naturali odżo oleumabborreres - aquam verò appetere. INteſtina iudicatur diſcordia, quæ in, ter cucumeres, & oleum ineft: nam , & ijaquam ,appetere.à lege naturæ viden . tur.Proinde virentes , atque è propriis . plancis pendentes, vafcula ff aqua plena ſübterhabuerint,adeò longius extrahús , tur, vtaquam inſequiex certitudine ex. iſtimentur; fin autem oleum fub his fue. rit eie & tum procul dubio in feipfos, ve Juti vncus, retrahuntur;fiquidem ij olei impatientes ex naturali antipathia co gnofcuntur.ExMatthiolo, Mandragoram pitibusapplántatam ,vim il tis infundere ſoporiferam . T Antam habét Mandragora inducena, di ſoporem efficaciam , vteius pom vel comeſta, vel odorata,quandoque ca taphoram exuſçirent. Illud autem mi rabilc eft, vitibus Mandragoram com plantatam, propriam iis naturam infun-. dere, adeò quòd vinum ex huiuſmodi: confectum ſophrem bibentibusinduce reconſueuerit, vt Rhodiginus adnota-, uit. De Mandragora Iulius Frontinus hiſtoriam feripſit Strathagemwoz.Arn balà Carthaginenfibus cõrra Afrosmit. ſus fuerat, qui cùn ſciret gentem illam vini auidam eſſe,in quibuldam vini do liis, quæ in caſtris habebat, Mandragore copiam coniecit,indeleui comiſſo bello, ex induſtria celsit, fugamque ſimulauit. Barbari,occupatis caltris ,auidèmedica. tum merũ cùmhaufiffent, in captapho ram lapſi ſunt, & ab Annibale trucidatia: Quando, Aegypti mortuorum corpora come dire foleant: E condiendis mortuorum corporibus, Aegyptiorum ex monumena tis multa , tum ab Hérodoto , tum à Cæ . Jio Rhodigino exempla afferuntur. Ae gyptii enimmortuoscondiunt, atq; do mi feruant: Ageſilai cadauer cera condi. tum fuit , yt & Perfæ facere folent; Alex andri corpus melle colitum eſt. Apud Iudæos exmyrrha, & aloe cadauera con diebantar,vé apud Ioanné Euangeliſtam cap. Iceportabile equindependenciaenels C. 19. legimus: quippeNicodemus myr rhæ, & alocs ad libras fermè centum mi. furam fecit pro corpore Ieſu Saluatoris noftri condiendo. Magorum eratmos, non humare fuorum corpora, nifià fer - ris ante laniata forent : Affyriorum Re gure fepulchra in paludibus condita fu ile tradunt. Mellis vſum , vita hominibus inducere diuturnitatem . Nenarrabili equidem potentia mel , corruptione cuſtodire valeret, à natura productúeft:propterea Plinius l.20.maximè huius virtutem ad miratur, ClaudioqueCæſari Hippocen taurum , exAegyptoin melleallatum , vt citra cariem eſlet, commendauit: nam & hoc corpora computraſcere non ſinit ; fiquidem multi fenium longum mulſi tantum intinctu tolerauêre.Celebre eft mellis exemplum in Pollione, qui cen tefimum annů excefsit: hicenim ab Au . gufto interrogatus, qua ratione, &ani mi, & corporis vigorem , maximè cuſto difíet ,hocreſpódiſſe fertur :Melle intus, foris oleo . Proditur etiam Corficæ in fulæ populos, ex aſsiduo mellis vfu , vi. tæ acquirere diuturnitatem , cuius rei li cet Diodorus non comprobet exemplu eò quòd mel Corficú peſsimum cente at, tamen non per hoc vſum mellis ad vi tæ produ & ionem improbauit. Gulinas ouaparere quolibet anni temporefi femina urtica, velcanabisin cibis habuerint. Scripſit Ariftoteles6.de Hiftor.animal. cap. 1 , Gallinas toto anno oua parere, exceptis duobus menlibus brumalibus. Hoctamen tempore , quo à fætura deti ftunt, ferninis vrtica, & canabis auxilio faciliter gallinæ fæcundantur :fienim in cibis iſtorum ſemina Ticca comederit, procul dubio tota hyemis tempeſtate , non modò calidis temporibus oua pari ent. Hæc profectò earum corpora cale . faciunt, & ad fæcunditatem diſponunt. Curyepbylatam infantium maculas è corpo Olent tenella infantium corpora , dű vtero exiftunt materno , maculis 0 pore extricare. Solenereexiftuntmaterno, quibusdam , næuis, lituris , veruciſque , quæ à matris imaginatione fiunt, com maculari: hæcporrò quali ſigilla impri muntur, &difficulter poft ortum elui poſluņi. Pro iis delendis principatum habetCaryophyllata , cuius vis ,& po tétia in huiuſmodi maculis extricandis, mirabilis iudicatur.Sumitur enim plan ta hæc cum ſuis radicibus in fine menfis Maij, quo tempore virtus vigorofror eſt atque à terreitate emundata , in alem bicco deftillatur , mox ex aqua ſtil lata infantium lituræ maculæque Tæpius lauantur , abſque dubio, eua . Deſcunt. Vrrica folia in lotio infirmi cuftodita , vitam , vel interitumpreſagire. Ira equidem , ex abdito naturæ eſcrutinio , in vica,morteq; infirmi praſagienda, vrticæ virtus ,&potentia eft . Si enim recensplanta extirpatur, ac -24.horarum ſpatio ia ægri lotio aderua tur, vtiquefiviridis colore permanebit ex multorum experimentis,falutem , & vitam infirmiſignificare dicitur:fin auté haud A cantu haud viridis cuſtoditur,colorema; mura bit,mortem , velgrauepericulum deno tare, Ex Caftore Durante. Philomelam axem miro conſenſu à viperade. pafci. Vis Philomela cx cantu dulciſsi mo omnibus cognita eft; incogni tus autemeiusconfenſus eſt, quoà Vipe rà depaſci permittit:dum enim ſub ar bore,in quacantans auis fuerit, viperam viderit paulatim ex illa defcendit ,&ad viperam accedit, vt illi fiteſca. Ex Thoma Tomai. Caftorem fià canibus inuaditur, minimè te fticulos fibi amputare. Linius,Solinus, & grauiſsimorú Scri ptorum multi,caftorem fibi teſticu . los amputare referunt, quoties venato tes ipfum canibus aggrediuntur quafi confcius exiſtat,quod(ijs reciſis ) à mof tis periculo ſit ereptus; fiquidem vena tores hæc infequuntur animalia , vt ex his accipiant,quodad medicinam vſur patur.' Rci autem veritate hi om . nes grauiter errant ; quippe caftor, Ppioru testiculi iuxta ſpinam inclufi funt, vt multis ex anatome obferuatum . eſtiſte rum error ex velicis quibuſdam ortus eft, quæ in vtroque, maſculo & fæmina, loco teſticulorum pendent, flauo plenæ liquore ad medicinam vſurpatæ . Has vocant caſtereum aromatarii, teſticuii autem minimè lunt. Quo atsficio miliciæ Duces , vt hoftes offen danti gnemmiſsilem perniciofum -con ponere valeant. APeriam potentiſsimiigpis miſsilis, fiue artificiari compoſitionem ,cuius potentia tanta eft , vt eiusminimaItilla non modò hominem viuum , verùmat que ferrum comburere valeat. Sumun turſandaracæ factitiæ lib. 1o. ſulphuris viui lib.4.oleiè rafa, fiue ex adipealbur ni ftillari lib . 2. ſalinitrifib.j. thuris lib.j.camphoræ vnc.6.vini ſublimati, fi ue aquævitæ optiinę vnc.14 .Omniahọc lento igne bene mifceátur; deinde fupa obuoluta , atque accenſa in ollis , in ho ſtes inijciuntur. Ignishic , infernalis di citur,tum ex eo ,quòd mirabilia agat; tū N atque ex Paracelfi impij ceſtimonio, qui retulit fc à quodam Dæmone fuille hunc ignem edocum . Demoſthmen lingua duritiem , quibuſdama Lapillis confregiffe. DEmetrius Phalereusalloquutus.com, quomodo fibi curaſſet linguæ impedi menta ſciſcitatus eft.Habebat enim ille linguam duram , & ſcabram , &proinde adoratoriam exercitationem impoten. tiſsimam ). Sanatam refpondit atque la . xatam fuiffe linguam raſpondit ex non nullis lapillisoreretentis, quibus loqui conabatur.Cuius Demofthenis præfidi í um difficilem habentibus loquutionem faluberrimum iudico , vtexpeditius fer mo citari valeat.Ex Plutarcho. Vinum quoddam àferpentibus venenatum , pleroſque àdifficillimis morbisconfanaffe. Trabilise{t hiltoria,quęáProlpe Milocro Alpino ,lib.4.de Medic.Method . de vino à ſerpentibus venenato affertur In cella vinaria quidem ciuis Ferrariz inter alia,vinidolium habebat, quod (i ne operculo diù apertum extiterat : - & proinde compluresſerpentes,quos vul gus angues, & anzasappellant,ingreſsi in vinum ſuffocati, & putrefa& i fuerát. Multiægroti ex febribuschronicis; atq; difficillimis vexati morbis ignari,quod ſerpétes in eomortuielent, vinum à ci ue emebant illud , quod guſtui gratum iudicabant, & breui fanati ſunt. Alij ab huius viniſama ſuaui, cum paucos dies bibillent,itidem lanati funt , & poft hos alijitidem eodem modo fere innumeri. Quare vinidominus tantæ vini faculta tis admiratusvinum e dolio torum edu xit, & ferpétes complures ſemi putridos inuenit,qui ré manifeſtá planè fecerunt. Veteres equorum lacrymas inter auguria recepiſſe. Agnifaciebant veteres equorum Llachrymas, atq; ex ijs auguriun vaniſsimumrecipiebant.Propterea ante Cæfaris mortem ad Rubiconemcqui dedicati ab eo flebant,idquemagno au gurio excerptum eſt. Illorum autem N 2 inanitas,ſiue ruditas vt ita loquar, mani feftiffima nobiseft :fiquidétépeftate no ftra fæpius equos collachrymātes afpici mus , necperinde ex ijs alicui ſiniſtri quid accidereobſeruamus. Vt ipſe non Semelexpertusfum , æftate potiſsimum equos lachrymari conſpexi, idcirco vel illorum naturá efle,velmorbú iudicaui. Crocimerallorum compofitio. Fferam Quercetani, Croci metal. Jorumcompoſitionem , qui potens medicamentum tam vomitiuum , quàm purgatiuum fimul eſt, variisque affecti bus accommodatum . Præparatur cum zquis partibus MagnefiæSaturninæ, & Nitri inuicem mixtis, & inflammatis in quodã crucibulo vt vtar artis vocabulis, & remanebit quædam materia calcina ta in colore Hepatis, quz puluerizata, rubicunda apparet inſtarcroci Martis, quæque dulcoranda eft: Doris -grana x. vel xij.cum vino ,aut ațio liquore. Hominis compoſitionis mirabilia . Ntet mirabilia, quæin hominis com I pofitionecontingunt,illud quidem mirum HORTVLVS GENIALIS. 293 mirum eft,quòd tali corporis fit colla tusproportione,vt partes omnes pera . que toti cópofito correſpondeat. Licet auto in eius ftatuia nec certa nec deter , minatareperiatur mēſura;ex hominibo enim aliquibreues,aliquilongi ſunt;la pienus nihilominus perfectioré homi. nis ſtaturam è ſex pedibus cóftareiudi cauerunt , vel quod ſaltem feptem non trárcédar.Interproportiones voluit Vi truuius cubitum quartam partem totius corporis exiftere; eandemſ;penſurat . eſſed capitis vertice , ad pectorisinitisko Manus longitudo à cõiun &tione ad mee dijdigiti extremūcorporisdecimapars : eft.Facies à capillorum radicibus ad ex® tremum barbę,eade eſt menſura.Maior pollicis coiú & io,oris eftaltitudo.Tota manustotius faciei menfura eft, Maior iudicisconiun &tio ,frontiset altitudo, cilijs fcilicet ad capillorum radices ; cæ teræ autem iftius coniun & iones , nafi longitudinem oftendunt:Hominisproe funditas, ſi ſub brachiis, pe& ore , & hu merismeluratur,ftaturæ illiusmedietas : 3 reperi 292 BARICE I 1.1 inanitas,ſiue ruditas vt ita loquar,mani. feftiffimanobiseft :fiquide tépeftate no ftrafæpius equos collachrymātes afpici mus , necperindeex ijsalicui finiftri quidaccidere obſeruamus. Vt ipfe non femelexpertus fum , æftatepotiſsimum equos lachrymari conſpexi, idcirco vel illorum natura efle, velmorbú iudicaui. Crocimet allorumscompofitio. Fferam Quercetani, Crocí metal. A medicamentum tam vomitiuum ,quàm -purgatiuum fimul eſt, variisque affecti busaccommodatum . Præparatur cuin zquis partibus Magneſiæ Saturninz, & Nitri inuicem mixtis, & inflammatis in quodá crucibulo vt vtar artis vocabulis, & remanebit quædam materia calcina ta in colore Hepatis,quz puluerizata, rubicundaapparetinftar croci Martis, quæque dulcoranda eſt: Dofis -grana x . . vel xij.cum vino,aut alio liquore. Hominis compofitionis mirabilia . I' poſitione contingunt, illud quidem mirum mirtim eft,quod tali corporis fit colla tus proportione,vt partes omnes pera quetoti copofito correfpondeat. Licet autē in eius ſtatura nec certa ,nec deter , minata reperiatur mēſura ;ex hominibe enim aliquibreues,aliquilongi ſunt; la pienas nihilominus perfectiorë homi nisſtaturam è ſex pedibus cóftareiudi cauerunt , vel quod faltem feptem non trárcédat.Inter proportiones voluitVi truuius cubitum quartam partem totius corporis exiftere;eandemg;menfurami eſea capitisvertice, ad gedorisinitiúko Manuslongitudo à cõiun & ionead mes dijdigiti extrema corporis decimapars : eft.Facies à capillorum radicibus ad ex tremum Barbę,eadé eſt menſura.Maior polliciscóiú & io,oris eftaltitudo.Tota manustotius facieimenfura eft, Maior Indicisconiun & io,frontisettaltitudo,a cilijs fcilicet ad capillorum radices; cæ teræ autem iftius coniunctiones , naf longitudinem oftendunt:Hominisprop funditas, fifub brachiis,pe & ore, & hu merisméluratur, ftaturæ illiusmedietas. 3 rreperitur. Cæteræ partes cum aliistra. bentrationem ,vtſuperius tetigimus. Apedumnaturam mirabilem effe. IN Neer terreftria animalia,Aſpidum ne , tura mirabilis iudicatur. Ex his enim mas & fæmina infimul vitam agunt, ta . tula; amoris affectus inter ambdsinge ritur, vtfi cafu illorum alter occiditur viuens occiforem infequi , quouſque fo dj,necem vlciſcatur,hauddeſinat.Quod autem mirabilius eft,ex Plinij, & Ifidori Teſtimonio , occulta proprietate occiío on noicit,( talem ifs natura indidit ) igi quemIrruit, licet in quantovis hominu agmine reperiatur. Præceptum ergoo . mnibus eflc velim ,vtocciſo iſtorum ani malium quopiã,celeri fugaiter occiſor arripiat,ne à compare animali veneno fiſsimoinfeftetur, Leporesomneshaudeffe bermaphroditos ,con traVeterum opinionem . Mneslepores vtriufq; lcxusexiſte re voluerunt Veteres, quod & M. Varro ctiam tradidit. Error tamen eſt, vt diuturna docuit experientia, quama feulos fculos à fæminis lexu eſſe diſcreros cognitum cft. Porrò tantorum inſcitia, abhoc, vt reor,ortaeft, quia in leporum genere lępius, quàm in aliis animantibus hermaphroditos reperimus : inde Hee brei naturæ arcana intimiùsſubodors tes, leporéfæminino vocabulo léper ex planarunt,ARNEBETH , eò quòd in iis foemineusſexuspræualet magis.Rej ve ritate noomncs hermaphroditiſunt ,vt ex peritiſsimis venatoribus audiui; exic & ione multorum cognoui,ficut.com iam Bodinus edoctus fuit ,vtivrhluth confitetur. Equidem Hermaphrodig plurimi funt,fedfæcunditatem fervita . rumminimè recinéignecmares vnquam vtero gerunt, necminus fuperfætant. Mirabilen eße Imaginationis po tentiam n vtero gerentibus imaginationis po tentia apertè cognoſcitur.Si enim illæ inter virorum amplexus, & fuauia,ali quid intensè cogitauerint, facilè in in .. fántium corporisexternis partibus imax ginata imprimunt. Hinc variæ rerum formar Ire N  forme ,næui,lituræ , verrucæ , & alia figa na in infantibus impreſſa conlpicimus, Lingmultæ ex leporum obeutu fætuse- , dunt ſciſſolabello,aliæ fimis naribus,ore diftorto , vultumonftruofo ,labris turpè prominentibus,corporedifformi,ocu- , liſq; horrendis infantes genérant : quia conceptus , vel grauidationis tempore, turpia,monſtruoſa,& horribilia fixa co gitatione excogitarunt-Fæminisidcirce, præſertim nuptis,pulchrasimaginesda mihaberecófulerem ,atq;à turpibus av effe ,ne pręuia imaginatione fætus mó. Atruoſos, turpefá; concipiant. Veteres, Climaftericos annos admodum ti muiffe . 1 A mationis apud Aſtronomos exi ſtunt &re vera videtur in quolibet anni feptenario quædam hominis mutation deò quod , ficuti in morbis dies criticos timemus,ita in vita hominum annosClin mactericos,qui à multis ſcalares dicun tui, quòd gradatim eueniant.Sunthi an ni, 7.14.21.28.35.42.49.56.63.70.77.81 91.Inte hos annos 49.63. magis periculosos credunt; quiaconſtant è feptenario , duplici, &nouenario complicato,obfero uatumq; àgrauibus auctoribusreperio , maioremhominum partem io anno 63. moricontingere.Idcirco hos veteres ada modumpertinebant,& , vt capiturin Gellio lib . Auguftus itaſcripfit ad Ça ium nepotem :Spero te lætum , &bene uolum celebraffe , quartum & fexagefi mumannum natalem meum :nam ,vt vi des,Elimactericum communem fenio rum omnium , tertium & 'fexageſimum annum euafimus. Dehis tractatum edi dit Iofephus de Roſsi à Sulmona vtilem &jucundum . fMundiprimordiisinter homines, es ferpema tes antiparhiaminfurrexiffe. IRRreconciliabile odium eft, quod inter homines,& ferpérescadit,adeò, quòd expauefcit homo fi ferpentem inuenit, antvidet;magis autem fæmina : fiquidé obſeruatum audio gravidam mulierem ( vifo ferpéte )præ timore abortire.Hu . ius difcordia illa ratio potiſsima eft quodàmundiprimordijs ínterkanc, & QUnca Semuan -illum Gt ſtatuta inimicitia, & irreparaa bile odium , quo altera-, alteram fpecia em inſequatur. Carolum V I. Francorum Regem , Ceruum 4 latumpro infigniprimò habuiße. Iluanettum Rex Carolus venandi cauſa fe contulerat , canum latratibus excitatusin fugam Ceruus, æneam tore. quem collogerere viſuseſt, quem vena bulis,aut ferro appeti Rex prohibens,in calles, & retia compellit.Erarin torque latinis litteris infcriptum :HocmeCçſar donauit. Exeotempore Caroluserua alatum pro inſigni habuit ; &alii,regibus inſignijs ( quęlilijsaurcis tribus conftát) circa latera, Ceruos duos apponere con fueuerunt. Gaguilis in vita Carol . V I. HANC. Reg . Insaanimantia confenfum , &difcas diane ineffe. Vllidubium inter animantia fym pathiam , & antipathiam efle inter trpiantes ſubditur: fiquidem muſtelam miro eiulatu in bufonis os deuorandam inueherelegimus; & bufonern in ferpen Npathi Lisa I tis,botræ vocati, os ingredi.Inſuperci cutam , fturno eſle cibum ; homini vero venenum in dies obſeruamus: atqueveo Fatrum cotumices nutrire , hominem autem lædere non eft ambiguum . Senaterem quendam , exconiuge liberos ſur dos, &mutosfufcepiffe omnes. nature . omnesex , &mutos ſuſcipi,itaequidem à Fernelio obferuatum eft in quodā Senatore.Cre didit Ambianus huius reiobfcuram , & cæcam eſſe rationem , mihi autem altera fubeft, quæa Phyficis minimè differt: fi quidem auditio grauis , atque ſurditas quæ à natalibus viſa fit à conformatio nis vitio exoriens , hæreditarios mor bosgenerare creditur, & perinde libe ros, exhuiuſmodivitioſis,ſurdos, &muin tos excitari:fæpè autem non in filiis,ſed ! in nepotibus hæclues oriri videtur. Apud Garamantes. mirabilem fonterros obferuari, Dmiranda profe& ò, eft fontis il.com ARJiusproprietas, quiin oppido Der 1 bris apud Garamantes reperitur. Hices nim die friget, no&c verò æftuat; adeò quòd memoratu incredibile videtur, quomodoin tambreui temporis fpatio tantam natura ſui faciat varietatem . Equidem , quinoéte fontem afpicit , ibi flammasignefqueæternos exiſtere cres dit :quiautem die hyemales ſpectat: fca. tebras, vtique fontem perpetuò rigere exiſtimat. Propterea Debris apud mudi nationes inclyta eſt : eius enim aqua qualitatem excæleſti vertigine,mutare confpiciuntur.Ex Solino. Quo artificio Caminus per ſuperiorem "api cem ſolum fumum emittere valeat. N Caminorum fru & ura ,.non modi aim tufferimus laboris , ne ignis fi molimtesin nos ipfos erumpant: fiqu. dem in ventorum mutationc facile fit, vt fumi quandoque potius defcendant; quàmadapicem aſcendant : ventorum enimvisillos deprimit , deſcenderequc percaminum cogit. Egotale ad fumi ferlum impulfionem excogitaui artif . simm .Struktur Caminus, cuiusfuperius fafti . zor faftigiu rotundú fit ,ibique foramen la pidibus fi &tilibus conſtructum fit : mox ahenum inſtar tympani ex-ære, in cuius latere feneſtella extracta ſit, fuper lapi des affigito: ftylifớ ferreisfubcingito; ita tamen ,ve intus vagari, mouerique commodèpoſsitapta demum fuper fer reos ftylos , & lebeten?' ex ære infuper vexillum,quod feneftellam fubiec dia recto habeat,taliq ;induſtria ,vtin quo libet vexilli motu, moueatur , & calda riumin gyrum ,ita profe & ò è feneſtella , ventis oppofita,fumuserumpet, & non deſcendet.Pleriq;, vt fpero, huit noftro fcruinio ,ineliorem addent Atructuram . meamque opinionem noníſpernent. Adconftruendum celerrime Horologium muncrabile in paritte. Ncoritruendis, pingendiſque ſolari , bus Horvlogiis, non modo lintā me ridianam ,opuseft imienire, vthorarum tempus fidele reperiamus, rerum atque Ortum , & Occalum , Borcam , &All ftrum cum Aquinoctia, & Solftitia: in is.n. Solarismotusquarnaxime variat. N 7 Ego quidem , vt labores fugiamus, tale excogitaui artificium .Globum planum . extabula lignea formato in cuius medio ftylus ferreus ſitus fit;diuidito mox glo. bum lineis,ex centro ad extremum du cendo illius in 24,portiones, demumin globiapice horas ſignato , &vltimo in patiete contra Solis radios affigito. Vt auté ex Solaribus vmbris diei , horas ve nari poſsis,Horologium portatile afpici. conglobumý; ad horam illam accommo. dato :ita profectò ,abfq;alio auxilio , ce ferrimèHorologiumvmbratile in pari cre habebis.In Aequinoctijs, & Solftitijs 1 eodem portatilis Horologijauxilio ,fa. cillimè ad horarum æqualitatem globů reducere poterimus. Infancium pir uitam , è capitefluerem , quo artificio Chartaginenſes fiftere procurandTing, Xinfantium pituita , in capiteredú . dante,plerique fuecedunt morbi in . ter alios , morbus comitialis exoritur, qui à multis puerilis vocatur, quòd ijs,ve plurinum ,eueniat .. Vt autem infantes ab huiuſmodi pręſèruarent Pæni, illorú vedas capitis lana ſuecida inurere ,pitu. itainý; fuentem hoc præfidio compefa cere conſueuerunt. Athiopes infantes te ditos,ab ipſo quoq; natali die ,in fronte adurút,ita profe & ò tumcapitis, tumo culorü humorfiftitur. Apud Inſubress. ex teſtimonio Mercurialis, & pleroſque populos,veícribit Scipio Mercurius ,l ditos infantes fetonein collo muniunt, quod falutáre experti funt aduerſus mor . bos,qui à capite Huunt, Inmise rasis pluuie,quapotiora ixdiceniny præfagia. pluuiam imminentem ,tum ex Gallo rum cantu intempeſtiuo,tum ex fre quenti cornicis crocitarione multi præ dicunt.Hisautem addendum puto muf cas( ca imminente)pulice's , pleraqzani malcula à furore vexari, intentula;mer il dere :hæc enini à vaporum inaerem ctc . rationc à radijs falar bus perturbantur. Infuper ( pluuia imminente )odoris fra . grátia in floribus sétitur;apes ad alueária - sedcut;bufones, vermeſi;èterraakédut 304 BARICELLI Brina vifa eft per dies præcedentes; catti manibus caput, quafi linientes , compri munt; ouescapitacommotient:afini hu miles habent aures; ftercora fumát, ma legue olent.Horum omniumratio , va poresàSole exhumidisfublatifunt:pro. inde animalia,cerebra humida habentia, nonnulla magis extorquentur. Vinum à Verrribus fuiffe mulieribus inter di& um . Agna fuitVeterum à vinivfuab . Itinentia :illudautem adeò muli. eribus erat interdi & um ,vtcapitale iudi. cium inirct,quæ vinum biberet. Porrò inoleuit confuetudo,vtcognati, & affi. mes, mulieres ofcularentur, ore explo rantes , an ex vinum bibiffent. Idem ve fusMafsilienfibus, Mileliis , pluribus ; Græcorum , &Barbarorum gentibusin ,. valuit, apud quos muliereshydropota , & viri erant abftemiz: Intermemoran da illor um temporum ,EgnatiusMetel fus, vxorem , quod vinum biberet,fufte necafe dicitur. Quo artifii io è plumbo Antimonii flores ex Habere paleamase Ape nij, fiue Stibinon femel extrahere Periam artem,qua flores Antimo à plumbo valui, quo præſidioin multis corporis affe & ionibus feliciſsimo euétu voor.Capito Plumbicampanam , è qua aromatarij rofarum aquam ftillatitiam extrahunt; hæc habet æris fundum : tu verò txargilla eligito ,quodacerrimoa etto fupra medietatem implendum con fuilo ,eaq; induſtria ,qua rofæ ftillantur, in aceti deftillatione carbonibus bene ignitisagendum cít:caue tamen , ne totus fillet acetum , ne aqua extracta vftioné fentiat.Hæcaqua auri colore eft, fapore xerò facchari, & mellis; mirabilis tamen tum in potu , tum extrinfecè vfurpata , ob ftib j flores ex plumbo extre & os. vomitu , & aluo purgat, ob id frigidis affectionibus ,obſtructionibusý; vtiliſ. fima' : In vlceribus putridis , fætidis acoribus, ſcabie, herpere exedente , & aliis huiuſmodi,maximi eſt valoris.Doe ſis in potu ſît vnc.ij. Deforisad placitū. Clarorum virorum exitum aliquot inte felicem fuiffe Aniene fluuio Aeneas poft tot vi. & orias, torque clara facinora periiffe dicitur: nec diſsimilisRomulo , Cæfari, Alexandro,Annibali ,Scipioni, Iugur thæ ,Mithridati , atque alijs innumeris mors ſucceſsit :per quàm n. pauci viriex iis, qui clari,atque illuſtres tum virturi bus, tum fortuna habiti funt, quos non infælix exitus,tanq : á pro exemolo ,fós offentäuérit porterial text caligero. Defipientiam , mulierum natuefamiliarem indicati. MVlieres vtero gerèntes,fiàphrenia tide capiuntur,Galeni teftimonio , rarò confanefcere legimus , vt fcribit tamen Cælius Aur.femper minus graui ter,minuſquc periculosè, quam viri,mu lieres ægrotant.Hoc autem , vt Merci. sialis opinatur,ab alia ratione continge re non poteft, quam ab ipfarum natura, cuius familiarius eft defipere,quam viri. Mirabile Annibalis, contra Romanos nauala fratagemia. Nfolita ,& mirabilis Annibalis milita Eisafutia contra Romanos iudicarur: hic enim bello naturali cum iis dimica . curus, cum impares vires habere anim aduerteret,rale ſtratagema inuenit. Ser pentibus, quorumvenenumconfeftim enecat,pleraſq;ollas impleuit,opertasq ; repente in hoftes iaculatus cít, quorum ictibus plurimi cecidere.Hifceftratage matibus vir hic tanquam alter ſerperis, multoties hoftium manus effugere con fucuit.Ex Gdenoin lib.de tbet.Akrijon Ambarum cum vino alicui exbibitum , cena feftiminducere ebrietaisn . Mbarum , quod à vulgo Ambrageye ſea vocatur,fomiſsisatiopam falfos opinionib & bituminofis fontibus,qui in maris profunditate exiftunt, oritur, Hocautem primòliquidum eft ,cùm ve rò aquarum impetu ſurfum rapitur , ex aerisfrigiditatecondenſatur , & Amban rum fir:Siquidem in maris concauo, ple raq; mollia,teneraque obfèruantur, & interalia Coralliú , quod ex aqua exea ptum , citiſsimè lapideſeit. In Ambaro illud mirabileiudicatur, quod ab alique antequam vinum hauriat,odoratum , ina sttar ebrii eladat : cum vinoa, propina tū ,confeſtim notabiléinducere ebrieta tem multis experimentis eft comproba. tum. Ex Simeone Sethi Greco auctore. oleam Lathyris Tympaniam , Colicas , affe& iones mirabiliter ſanare. Irabile quidem ,quod è Cataputię -ſeminibus extrahitur, oleum eft , quippein expellendismorbis,qui à filao tu luccile;frigidis oriuntur, principem habet locum.Contundantur huius ſemi na, atq; in aquatam diùebulliant,vt ex cocta videantur;mox oleum in aqua fu pernatans cochleari colligendúeft. Mos eft apudIndos tale oleum cómodius per decoctionem, quàm expreſsionem cola ligere.Vfurpaturhocfeliciſsimofuccef. fuin Tympania ,colicis, iliaciſq;dolori . bus,ftomachiaffe & ione,aurium furdita te,atq, in iis morbis,qui à ſuccis frigidis, fatua;fiunt. Huius gutta aliquo lique re in potu ſumpta aquam citrinam euan euat,in articulorumq; doloribus pitui tam , humoreſque frigidos. Extrinfecè vfurpatur in omni Hydropis ſpecie : vbi HORTVLVS GENIALIS 309 vbi tamen flatuofitas viget , maximam in expellenda proprietatem habere vi detur. Ex Don Garzia ab Horto. Verenum à diſsimili extingui; à fimili vero angeri. Hocpropriumelle veneni,àfapien Lrioribus proditur, à diſsimili ex. tingui, & a ſimili augeri, & robuſtius fi erizea propter non femel à perfidisho minibus exhibita venena nullius valo risfuifleobſeruatum eft,cùmeadiſsimi libusfuerint fociata. Aconitú , & Napel lus miram retinent vim necandi, com pefcitur accamen corum potentia à ve neno diſsimili, ex quorum diſsimilitu dine,vtriuſq;vis hebetatur.Mira eftAu. fonii hiſtoria de vxore mæcha, quzma rito venenum propinauerat, vt a. illud robuftius effet, Hydrargyrum miſcuit ex quo toxici virtusdempta eft , & vir immunis euafit. Hoc epigrammate ille monftrat; Texica Zelotypadedit vxor mecha marito, Necfatis ad mortem , credidit effe datum : Miſcuit  HA Mifcuit agente lethaliapandera viui, Cogeret vt celerem visgemindanecem . Digid at ber fiquis faciunt difiseta venenü; Ansideram fumet,quiſociala bibet. Ergo inter fefe dum noxia pocula cortant, Cele lethalisnoxafalurifora Protinus,Go Vacuos duipetiêre receffiua, Lubrica deie& is,quaria nota cibis. Quanpia cura Deumprodeft crudelier vxor, Elçüm fata voluns,bina venena juuans. Cornelij Celfy de valetudine fanorum bomsi num conferuandatutißimapræcepta . Nter grauiſsimosmedicos,& fcripto res,nemo eft,qui in conſeruáda fano rum hominú fanitate oculatior exiſtat. Afferă ciusverba ', ytfaluberrima iſtius præcepta rectius intelligantur.Sanus ho mo,qui,&bene valet, & ſuæ (pontis eft, nullis obligare fe legibusdebet , ac neq; medico,ncq; dcalipta egere.Húcoportet varium habere vitæ genus , modo ruri eſſe,modòin vrbe,fæpiuſý; in agro : na uigare, venari,quiefcere interdum : fed frequentius fe exercere.Siquidé ignauia corpus hebetat labor firmat; illa matură lepc ſenectute,hic longăadoleſcentiá reddir. Prodefteciâincerdúbalnco interdú ,aquis frigidisyti;modòvngi,modòipsú negli gere:nullú cibigenus fugere,quopopu. lus-vtatur:interdú in cóuiuio eſie, inter. dum ab eo ſe retrahere:modò plus iufto, modò no ampliusaffumere:bis die poti us quàm femel cibú capere , & fèper quá plurimum ,dummodo hunc concoquat. Secl vt huiusgenerisexercitationes cibi queneceſſarij ſunt;ficathletici, ſuperua. cui. Nam , & intermiſſus propter ciui. les aliquas neceſsitates ordo exercitati. onis,corpusaffligit, & ea corpora , quæ more eorum repleta funt,celerrimè , & fenelcunt, & ægrotant. Hæc firmis ſer : uapda fune ,cauendumquene inſecunda valecudine , aduerfæ præſidia cenſum mantur.Ex lib.i. Socrati à familiariDeironcde Plasonis indole Somnium fuiffe immiſſum. Solene quandoq;malifpiritus homi nibus fomnia ingerere futurarum re rú , vel Dei permiflione, vel vt nos ipfos dedecipiant. Hinc Socratem legimus, vidiffe per ſomnium ,oloris pullum ſibi in gremio plumefcere , qui continuò exorcispennis & expanfisalis, in altum aduolans , fua tiſsimos cantus edebat. Poftridie Pla tone adducto, hic eft ( inquit ) Cygnus, quem ego præterita nocte cam fuauiter canentem fomno videram . Hocfomnium , ve fcribit Henricus de Aſsia , à fpirira fa. I miliari , ſub forma Cygni, quem Athe nienſesVeneri dicarunt , fuit immiſsum Socrati, vt Platonem in diſciplinam re ceperit ' , à quo , quum ipſe uilil ſcrie ptum reliquerit , dulciſsimi ipfius & Caluberrimai fermones proderentur, Magia ſeu inc antatianis ris . Onmeras eſſe præftigias, quæ magica ? arte efficiuntur ; multis exemplis notum eft , fed vno in primis , quod deſcribere vifum eft. Rufticus quidam magnis doloribus ventriculi vexaba tur :: quos etfi variis, medicameutis depellere cogar zur illi tamen non 1 ceffarunt , fed potius in dies recrudeſcere vifi funt. Quare agricola doloruin impati ens , cultello ſibi guttur abfcidit. Dum au tem tertio die mortuus ad fepulchrum ef ferretur, à duobus chirurgisin magna ho. minum frequentia, illius ventriculus iraci. fus eſt. In ee ( res mira , & prodigiofa ) lignum teres, & oblongum ,quatuor excha. lybe cultri , partim acuti , partim ferræ in . ftar dentari, ac duo ferramenta aſpera re . perta fuerunt:quorum fingulaſpithamęlos gitudinem excedebant. Aderat, &capillo. rum inuolucrum globi inftar. Credibileen fanè, hęcin ventriculi cauitate congeſta fu iffe, non alia arte, quàm Dæmonis aftu ,& dolo. Quo artificio epiftolam , in ouo celatam alicui afcribere valeamus Nter ſcripturarum furtiuarum arcana non infinum locum tenere exiftimo , in ouo epiftolam celare , atq; amico ſcribere, Videbis enim oui putamen illæſum , mun . dung; illo tamen exempto, difruptos; cha paeteres apparebunt. Aperiam ſecretum . S ? Atramento, ex gallis, alumine &aceto con. fecto , in ouicortice literas ſignabis, votum pffequeris. Has oportet in Sole calente ex ccare , mox ouum in muria concoquere ita enim à cortice characteres euaneſcune, & ad interna gradiuntur:ſiquidem putami. ne exempto, notæ oui durato albumine in ueniunturEx.Carolo Stephano. In aquafrigida captanda maximum veterum fuiffeftudium . Aximam antiqui curam adhibebát, vt aquam frigidam pro ætatis in. cendio temperando conferuarent: quareex niuibus eam parabant , vt Athenæusretulit . Dequa re perbellè loquebacur Seneca , & panas montium in voluptates transferunt, Alexandrini aquam Soletepentem , in fene ftris ad ventorum incurfus exponebant , vt poctu frigeſceret;manè autem inte Solis or ruin hani ponebant , folijſque lactucæ , ac que pampinis iniectis frigidam tuebantur. HocGalen.parrat.6 . Epidemior. Plasarchu: 6.Sympus cotibus & filicibus aquæ inietti hoc fieri fcripfit. Neronis autem in re har ftudium nobiliſsimum fuiffe proditur: ise genim , vtninis voluptate, ablque njuisia iniuria fruererur , feruentem aquam vitro immifiam in niues refrige jarimandabat:Ex Heur nie. Ecua Fæminas in prima menftruorum eruptione in Venerem maximè incitari. e Erunpune,fceminis bera exurgunt:Pana guis ille,inftar occifi animalis videtur, atq ; in maiori copia erumpit , cùm vbera ad du os digitos prominent, que tempore puella rum vocem in grauiorem mutari confpici. mus, Illud autem maximè adnotandum eft , in prima menſtruorum eruptione puellas in pudendis,valida tentigine, prurituque core ripi,ex quo ad Venerem incitantur : quare per tempus illud cautè cuſtodiri exiſtimo. Ex Arift.7.de Hift.anim . Qua induſtria Aegypti lapides à vefica,abfiga incifione extrahant. Irabile quidem eſt Aegyptiorum ftudium in extrahendo lapide à ve fica abſque inciſione, quando noftrates me dici, lapidarij ſine illa facerenequeant , idque cum magno languentium vicę periculo. Hiligneam cannulam accipiunt , octo di . gitorum longitudine, & digiti pollicis latia tudine in opere abfoluendo. Hanc colisca nali admouent, fortiterque infufflant;neau . tem flatus ad interioraperueniat , extre . mū pudendimánu altera perftringunt , fo . samen deinde cannulæ claudunt , vt virga 0 % cabang M N eagalisiotumeſcat, latiorq ; fiar. Quo facto miniſter digitoin ano pofito, lapidem pau Jatim ad canalem virgæ, atq; in eius vasex tremun deducit. Quivbipræputio lapidem appropinquare ſentit,cannulam à virgæ ca nali fortiter, impetug; amouet, & lapis ex . trahitur. Ex Alpino. Mult a praſidia ab animalibus, bomines accepiffe. On pauca equidem præſidia funt, quæ ad hominum tutelam ab animalibus accepta ſunt. Chelidoniæenim virtutein ad oculorum morbos ab Hirundine accepi . mus, quæ hanc conquirit herbam ,vt furorú filiorum oculos, vel vitiatos, vel.cæcos cu rer, Fæoiculi virtutem ad eandep tutelam ab'anguibus didicimus, Ab Ibide, quæ in ftar Ciconię auis eft, clyftris vſum habui mus: nam & illa roftre marinamaquam al lumere folet, illoſ; pro clyfteri vtitur, vt ventrem nimis onuftum exonerare valeat. Inſuper marinus equus, Hyppopot mus di etus, venarum fectionein nos docuit: illef . quidem mala oppreffus -valetudine, ad re center fuccifas arundines graditur , acutio . riſ ;cuſpidefanguinem è cryrjuin venis adi mit. Quod autem in hocmirabile eft, vela guinem cohibeat, in fimo, vel cono volutatur , & ica vitam tuetur, & fanguinem fim ftit. Ex Plinio, alis. Equorum teft :cilos ad ſecundas depellendas miram babere pirt utern . Ingularis profecto Equi teſticulorum ad nulierum fecundasdepellendas eft pro prietas, adeò, quod teftatur Genſerus in e pift. Rufticum quendam , quinquaginta in puerperis feliciter hoc vſum fuiſſe reme dio . Vfus eit & Horatius Augerius in plu. ribus mirabili euentu: præſtantiſsimuin id circo à grauibus auctoribus indicatur re ne diun),nam , & pluribusiam deploratis pro fuit.Capiunturteſticuli equ: caftrati ,& tria ftillatim conciſi in forno exiccantur, quorü puluis quantum capitur tribusdigitis è jure bibendas datur in neceſsitate; idé; fi opus eit, bis, auc ter reperitur. Humanam faliuam Scorpiones interimere. Ominum faliua Scorpionibus infe ttiſsimum venenum eít, adeò quòd ca tacti confeftim intereanc . Porrò ijs, ſaliua fora ſubſtancia aduerfaelt, ve Galenus lib.io fimp, medic. experimento confeffus eft; ist . nim à fola faliua morientem vidit Scorpio. nem, id ; celeriter patientem à faliua elue riencium , aut fit jentium ; tard autem ab 3 illis,qui cibo, potuque fuerant impleti,ina. liis autem proportione, Apium riſus,bominesridendo interfi. cere. Scelerata eft herba quæ Apiamrifusdicia cur, quod ridendo homines interficiar: fi quis enim gnftauerit ieiunus vtique ridendo exanimabitur, vt Apuleiusteftatus eft : Ex hacillud adagium ortum habuit :Sardonius siſus; nam & Sardonia eriam vocatur.Porrò on ex rifu , qui hác guftauerint, moriuntur fed potius ,vt placet Saluſtio neruos labio rum , & orismuſculosillius, qui eam come dit, contrahere facit,adeò , vtridendo mori videatur. Qua induſtria Partbi, Scytheque Sagittarum aciem venenajunt: AR'thorum , Scytarumque toxicum , quo fagicrarum acies inungi folebant , humano fanguine, & viperinaſanie confta bat , tantæquc feritatis erat hoc venenum , ve leui tactu animal interimerer , Equidem Scythæ viperas recenter enixas venantur , eaſque diesal.quoccontabelcere finunt, do necip fapien putre.cane, mox com visus hominis fanguine in ollam effuſo , eam ex quifite coopertam ; fimoque obrutam com putrefcere finunt , cuius demum .1 . ick or fan . PAT fanguini ſupernatans, fiue ferum cuni vipe rarum faniecommixtum lethale Scytharum toxicum eft. Ex Arift. Plinio, & Langio. Succinumpterogerentibus exbibitum , mire partum accelerare. Mvicis experimentis comprobariaudio ſuccinum parturientibus drach. ſemis pondere ex vipo albo potui dátum, mirè par tuin accelerare. Hoc eriam facit eius oleum , fi gutta tantum ex aqua verbenæ parturienti propinatur.Quidātamen medicusHetrufcus (Fallopii teftimonio )exhibebatfcrup.i.bora• cis in decoctomatricariæ , velfabinæ diffolu tæ difficulter parientib.mirag; faciebat: bre ui enim temporis fpatio feetus,vel viuus,vel mortuns egrediebatur. Habebat ille medi euis pro arcano præftantiſsimum hoc auxili um tamen neſcio quomodo postea fuerit de fetum . Ex Andernaco Serpentum oua genituramí per imprudētiam in petu haufta,ſerpentesin corpe ribus procreare: Dmiranda fuccedunt quandoq; fym dem imprudenter cum ea femina , vel ova ſerpentú hauriuntur, è quibus moxſerpentes generantur. Genſerus in lib 2. hift animal cap, de Ranis Rubetis, bufones in ventriculis in reftinifq; hominum haufta eorum genitura, fieri, &nutriri probauit. Iacobus Manlius, in lib.experim.in cuiuſdam equitis, exhau * Ita cuiufdam lacunæ aqua, vbi erantſemina Serpentum , in ventriculo plures angues fu . iflegenicos prodidit: quibus per internalla extractis, medicorum auxiliis, fanus factus eft. Leuinus Lemnius Vermiculos cauda tos , atg; infolita forma beſtiolas vomitu ciectas nouit. In nonnullis lacertas à phar . maco fuifle eductas obferuatum eft, vt Gé. maCoſmocrit vidit. Quare maxima in a quæ potu hominibus opus eſt animaduerfi . one huiufinodi exhanftis, pernicies corpo . Tis conſequatur. In deſperato coli dolore Hydrargyruin, v4. glandem plumbeamexbibitam , multos confanaffe. Irabile videtur, Hydrargyrum ,quod à mulis venenum reputatur, in der. peraro coli'dolore exhibitum , plurimun prodell:. Equidem Marianus Sanctus , ex multorum confilio , qui ab hoc lethali mor bo fanati fint, fuadet, fi obstructio perfeue rauerit, & fæces per os extrudantur , hau fire cum aqua fola argenti viui libras tres, Probat hic exratione vinetuin feu duplicatű inteltinum Hydrargyri pondere explicari, fæces detrudi,vermelý; fi ibi fuerint interi . mi , &ægrum liberari . Haud ab hoc difsi mili auxilio quidam nobilis , poft alia ten tata ad morbi huiuſinodi acerbita tem ma . chinamenta, liberatus eft. Hic hauftis olei amygdalarum dulcium fine igne extraćti vnc. iij.cum vino albo, &aqua parietariæ mixcis, mox deuorata glande pluoibea ar gento viuo illita , planè à colico cruciatit euafit, illamque exano abſquelaborerede didjt. Ex Pareo lib. 16. Infæniculorumfeminibus, vim quando que exitialem deliteſcere. Grauibus ſcriptoribus comprobatur, ſerpentes fæniculorum elu , &fene ctam exuere,&oculorum aciem rnonare. Hinc iis affricantur oculi anguium, vt vo . tum affequantur, Ex attritu foeniculorum feminibus, praya quædam imprimitur qua litas, è qua venenati producuntur vermi. culi,quorum eſu multi in peſsima deuene . runt ſymptomata, &ab alexiteriis rarò ad iusj funt, tanta huius veneni potentia eft. Quare foeniculorum ymbelli,antequam co. medantur, aperiantur, & diligenter concu, tjantur, vtå vermibus emundentur. Præ, OS Habis A A ſtabit al quantifper in frigida macerare. Ex Balthajaro Pifanello, Noua admirandag; prafidia, ad Ang i nam , gutturules apoflemata. Fferanı fingularia auxilia, è quibus ex grauiſsimis fcriptoribus, ad anginam & gutturis apoſtemata mirabilia contigiffe proditur.Lignum hederæ ad gutturis apoſte . mata à proprietate valere fcribit Ioannes Marquardus: quippe obſeruatum eft , come dentem excochlearihederæ ligneo, fiue bi. bencem in aliquo ipfius vafe ligneo, num quam, vel raro in gutturis , vel vuulæ apo . temaińcurrere, Rubeta cocta , &pro em plaftroSynachicis impoſita,cófefim liberat. Vermes.quandog, in cordis capſula pro creari , è quibus mors ſubitanea pleriſqueexoritur. Abulofum haud eft, vermes in cordege : nerari. Hoc enim Melues docet , Holle rius, Marth . Cornax , Alexius Pedemonta . nus, & alij loan , Hebenftrit, in lib . de Pette, Principem quendam ex morbi fæuitia peri iffe narrar, cuius cadauere diffecto , vermis albus præacito roſtello , eoq; corneo præ. ditus, cordi adhęreſcere deprehenfus eft . Exmedicis, ſucco alii feram hanc, tanquain ex indubitato remedio, interimi probatü eft . Petrus Sphererius ( vt ScheukinsBarratti  lem fiorentinum morte fubitanea correpti, atq; diſſecatum obferuauit, in cuius cordis caplula vermis viuus repertus fuit. Aiunt multi certiſsimo experimenco-ficco allii,ra phani , & nafturtii hos vermes pecari, qui, ex teſtimonio Pedemontani, in corde deli teſcentes,ſyncopim , Epilepfian , & mortem inferre folent. Mares pleroſque in mamillis, mulierum instar, lac producere. Icet marium mamillæ fpiffa carne in fuiffe productum obferuatum eft. Nouit hoc Arift. vtlib . 1. dehiſt. animal. docuit. Veſali us non femel id confpexiffe in 1: 4. 15. Anat. commemorat, & Hieronymus Eugubius in libell, de lacte: fic & Cardanus,lib. 1. de Sub til. qui ianuæ vidit Antonium Denzium , è cuius mamillis lactis tantum profluebat , vt infantem fernè lactàre potuiffet. At hifto ria, quæ affertur ab Alex. Benedicto mira. bilis eft : aitenim , Syrum quendam ,mortua coniuge, è qua infans ſupererar, ybera filio admouiffe, ècuius ſuctu tanta lactiscopia i pupillam manauit, vt exinde loco matris nn trire valuerit. Ego quidem in duobus filiis meis, in primis diebus à partu obferuaui, ab obftetrice.mamillas cofrectatas, lacimpulſo (magno multorum ftupore) emififfe: idậ; in aliis etiam infantibus contpexi, Lumbricosquandoque tantaprocreari pi Tulentia , vt interior a corporis perfurare valeant. Nfanda equidé fymptomata à vermibus aliquando proueniunt: refert enim Om bibonus, lib. 4. de morb. infant. Lumbricos ex vmbilico cuiuſdam erupiffe. Tralliani teſtimonio habemus, hæc animalia ob ali menti inopiam inteftina laceraffe , fuiffe ob ſeruatum . Id etiam ab Aegineta confirma tur : jofuper Hollerius confpexit , vermes per inguina, & vmbilicum prorupifle. Ma . gna igitur cura opus eſt in horum redua dantia, ne interioracorporis valeant lace fare , A Infamis vmbilicam , & Ceruinumpenem mirabiliter conceptumfacere. Lexander Benedictus, 1.30. de curand. morbis,vmbilicü infantis, qui fponte caditquoquo , modo in ciboſumprú, fiigno rauerit mulier,adconceptum facere , pro . didit;illumg; in brachialibus à muliere ge ftacuin conceptum inhibere eredir. Cerui. aum inſuper penena aridum , & in fari . namredactum , oboli pondere, à coitu forminis datum ; procul dubio ad concipien . dum prodeffe experimento probat, Baueri. us tamen conf: 50.vterum ceruinum fingu lari dote ad conceptum valere prædicat, Vlmi vſum , recentem Elephantiafim curare fuiffe obferuatum . Inquam certum remedium, Vimi vfus in curanda recenti Elephantiaſi à laco. bo Douinero , lib.Tic.7 . prædicatur. Vidit enim adoleſcentem tali affetu laboranté, & decoctionis Vimi vſu ( factis faciendis ) conualuiffe . Ea equidem pro omni potu vte barur in quolibet paſtu , cum pauco vino al. bo, &cantiſudores mouebantur graueolen tes, vt vix illos cuftodes ferre poffent. Ita viſcera purgabantur, &magaa yrinæ copia excernebatur, quibus excretionibus fanus factus eft . Cyprinorum efum podagricis elle infeflum . Vamuis inter piſces, Cyprinusnobi. lifsimus exiftimetur , cum optimum præbeat nutrimentum , exquiſitiſsimigsexi Atat faporis; tamen podagricis infeftuin ef. fe obferuatum eft. Nouit enim podagroſum Iulius Alexandrinus ( vt retulit lib . 15.6. 6.. de salubr. ) cui Cyprinorum efu pinguium, parata érat femper podagra, ve in manu illi th effet, eo pacto accerfere, cùm vellet . G Puluere pellis leporine, perniones à Sep tentrionalibusfanari. Laus, lib . 2. Rerum Septentrionalium , , tilsimè perniones experiri fcripfit, qui mor bus, non aliis ab iis fanatur remediis, quàm puluere pellis leporinæ. Plinius verò Rapú domeſticum feruen's calcaneis impofitúla . nareretulit. Ego ex Carolo Séephano, inlib. de Ragraria, in quodam expertus ſum reme dium , & bene fucceflit. Accipit ille , ficos crematos, è quorum puluere, & cera yngné tum parat;hoc pernionibus impofitum bre uiliberat patientes. Hydrargyrum loco amuletigeftatum à pefte faſcinog corpora defendere. Arfilius Ficinus, & P. Droerus, in lib . M , fienim auellana perforatur , &extracto in . teriori nucleocum acicula, argento viuote pletur, & collo fuspenditur; mirum in mo dum à peſte corpora tuta reddit: ira profe etò à peftifera lue fæniente fe defenderuut multi. Hoc eriam præfidio mulieres lactan . tes, à faſcivatricibus, ne lac fic ademptum, quo infantes alendi funt, præferuari poffe, i Thomas Iordanus, in libe dePefte, prodidit. - Q " ppe multis experimentis obferuatum re , tulit (hoc fecum geſtao - ullas prorſus laga. ruin , lamiarú aut ftriguin infidias lacrátibus nocere. CNICO Meſpili lignum ,collo appenfum grauidas ab abo orth preferuare. Wm quadam æſtate apud D. Ioannem Nicolaumn Cucillum Brancacium , mei amantifsimun, ytpuerum curarem interef ſem , fortè inter me , & Doininam D. Man. já Cotoneam e Toleris, eius vxorē, de abor tus præſeruatione, tunc vtero gerentem , có : uentum est. Retulit domina hæc Meſpili li gnum collo appenfum mirè ab abortu gra uidasdefendere;idq; millies à fuis maiori bus foiffe expertum . Confiteor in plerifq ;, tale lignum fuifle à me expertum , atq ;certú , & rarum remedium ſemper inueniffe fe: fi quidein multæ aborrientes, & dolore , & fã . guinis fluxu ( appeofo ligno reſtrictæ ſunt, &ab abortuſeruatæ , adeò quòdined parti cularem virtutem abortú prohibendiinefile seor, Qua induftriabomines abſtemios reddere valeamus. Vleis experimentis comprobatum re perio Anguillas, vel Mullos in vino M fuffo peri sfuffocatos vini faftidium inducere : & enim ex eo bibant homines, procul dubio abfte mii fiunt. Infuper philoſtratus in vita Apol loni , ona noćtuæ elxaca, & infantibus pro cibo allata, hydropotos in tota vita illos reddere ſcripſit. Mizaldus, Ragam viridem , ex iis, quæ in fontibus ſaliunt, viuam in vi. no fuffocatam , idem efficere , fi tale vinum potetur, prodidit. Rotundam Ariſtolochiam mirè piſces ftu pidos reddere. Ira eſt Ariſtolochiæ virtis in piſces: ipfa enim illos odore ad fe al licit,moxftupidos reddit. Proprerea fi eius radicem contritam , calciq; commiſtam , fiue eius decoctionem cum calce pacato flumine aut maris littore piſcatores confpergent, piſces agminatim confluere videbunt. Ili autem puluere deguftata, veluti examina ti ſupernatantes capientur. Puellam veneno ab infantia nutritam , Alexandro ab Indorum Rege fuiße miffam . Ndorum Rex Alexandri fortunæ inuidés, vt illum interimeret , miræ pulchritudi nis mifit puellam, ratus forfitan Alexandru confeftim cum ea concubiturum. Illa au tem Nappelli veneno ferè à cunabulis erat educata , propterea more Serpentum ſcin tillances habebat oculos. Hos Ariftotelesar piciens, caue tibi ab hac ( dixit ) 6 Alexan der; nam virus peftilentiſsimum alit , vode tibi exitium paratur. Poft paucos dies pleri q; proci huius commercio venenari periere ex quo Ariſtotelis praſagium mirabile fuit iudicatum . Ex Auerroe. Quale fitigneum prafidium , quodin morbis ab Aegyptis, & * Arab.bus vfurpatur. N lib . deMedicina Aegyptiorum prodi. dit Alpinus, quo pacto illiin morbis cor . pora adurant. Accipiunteniin lineam peti . am cubiti longitudine, latitudine verò tri um digitorum , quam ad formam pyramydis aptant goſsipioque implent; ipfius latior pars, parti adurendæ applicatur, alterumg; capuc accendunt, comburió; cam dia per miteant, ye faſciculus crematur. Continuò ramen dum cutis vritur, ferro circumcirca accingunt carné,ne caloris incendio aliqua oriatur inflammatio .Hocinfuperinuolucro parando obſeruant, vein medio meatus ex iftar fafciculi: ita enim euentatio fue refa piratio aliqua paratur, In vftione autem per aćta offium medulla in carneaduſta, quoad eſchara cadat yantur.Hic vrendi modusAe. gyptiis & , Arabibus familiaris eft. Olim in Creta familiasquaſdam mirè faſes: natricesadfuiffe A quoſdam , tum fæminas in hiſce parti bus animalibus, pueriſque laudando faſci num attuliffe: adeo quodij;fiad ouile, por cileque quodpiam adiuiffent,confeftim in teritum pleriſque produxiffe: Quare mirum haud eft, quod legitur in Creta quaſdam fa. milias adfuiffe, quæ laudando faſcinum is . ferebant. His profectonatura quædam ferè venenofa efficitur, & ex oculis inde fpiritus efflant venenatos,quibusanimalia ,pueri, & grandiores faſcino maculantur . Laudando autem venenum promptiusoperatur : fiqui dem laus propria, gaudium affert, quo cordis fpirituumque dilaratio oritur, & veneno . a ditus præparatur.Ex Fracaſtorio - de fymp. sta Antypat.rer. Cyprint verticis oſsiculum mirabiliter Epilep. ticisfubuenire. N Cyprini caluarix vertice quoddam re peritur ofsiculum triangulare lapidisin ftar, quod in curanda Epilepſia ; principeng loců obtinereaiunt. Táta enim efficacia epi lepticicis fubuenit, vt morbusis numquam reuertatur,Hoc, vbifuturæ in vertice calua six Cyprinicômitrútur intus fubfiftit,prop I cerea terea ſi illa capello penetratur, ſtacim fora profilit ,Andernacushoc ofsiculum nummi Germanici cruciferi appellati,magnitudine exiſtere prodidit ,atque ſalutare eſſe Epilep fiæ remedium , Calphurnius Bestia Romanus qua pia vxores dormientes interemerit. Nonnulliex veteribus in venenisnofçé & dili gentiam inter alia Aconitum venenorus omnium elle ocyfsimam comprobarlot : fi quidem tactis huiufinoti veneno genitali bus lexus faninini animaliuin , eodem die mortem inferre viſiun eft.Hacvia Calphur nius beitia , veditaretur forſiçan , vxores dor mientes interemit , de quo à M.Cæcilio ac cufatus eft.Hincilla -atiox peroratio eius in digito mertuas. Confimili induftria Ladica laus Neapolis Rex , cum cuiuſdam medici Prochytami filiam adamaret , cum eaque concumberet , Florentinorum confilio ex cinctus eſt , AcetoStitillitieo Bythagoram vitam longiſsi meproduxiße. Afecit:feripfit enim eius viulongāhonia nes vitá conſequi, & vfquead eius extremum : finem permanere integrè, & dextra valetu dine.lole cu quinquagefimum ageret awaum  hoc remedio vfus eft &eius vfu ad centefi. muum , & decimum ſeptimum productus et integer & nulla vnquam aduerfa valetudine tentatus : cuius optimam facultatem admira. tus, confanguineis co umuuicauit, vt illings vfum haberent. Oleiom lixiuio mixtum in lattis fpeciem tran fire. ' rmè experimen : o oleum lixiuio mixtú, fi diuag retur,in lactis ſpeciem tranfire, comprobatum eſt: eft enim lixiuium tenue, atque calidum ,oleum autem cum aêreum fit à lixiuio attenuatur, & proinde aerem con cipit,ex qua albedoiunaſcitur. In aquis etis am, quæ diu agitantur,lactis ſpecies quædam exoritur ex confimili induſtria. huius indi. In cium ſpuma eft, quæ cun fic tenuis , aérem concipit , & dealbatur, Ex Cardano. Quainduftria Scythe abſque cibo , potu per plures diesexiftant. Miraett herba Scythicæ operatio, qua scythæ per plures diesfiue cibo , po - tuque viliere dicuntur. Hanc ij circa Boeri. am inueniuntcreſcentem , & ad famem ficou timque tolerandam vtuntur: fi quidem guftu dulcis, vt liquiritia eft , & in ore detenta fa mis, fitifq; fenfum habetar, Idem apud cales C : Hippice præſtat, eò quòd hæc planta equis confini HORTVLVSGENIALIS 333 confimilem generet effectum . Aiuntmulci, Scythas his herbis duodesos eriam dies, fac mem, &ſicim non ſentire.Ex Martbiolo. Catellos calorem natiuum augere , membros rumque dolores conſopire. P Ro excitando nativo calore , membro . rumque cruciatibus demulcendis, Carelo li præſtantiſsimi( Galeni teſtimonio ,7. Me thod med.)exiſtimantur:illorun autem hu . ius naturæ haud omnes habentur, fed ijpræ cipuè ,quibus pilus concolor eft . Propterea in Chiragra , podagra, & in omni Arthri. tis fpecie cruciatus , quamlibet efferatos, parti affectæ adhibitos s præſtantiſsime confopire àmalcis comprobatuni repe ris . plurima è terra furſumtapi, iterumque deorfum cum pluuis pracips tari, Aximam yellera,rang,vermiculi,lapil li,ligna,vabijgeneris frumentacealac, fanguis, & id genus alia terræ permixta, quæ cum pluuijs quandoque præcipitari afpici. mus, , nobis præftant admiracionem , adeo quod à cafu infolito plerique perterriti, Cæli mipas metuunt; Celiat aixen admira. tio ,fi eorúcauſas penfitamus:hæc enim pri mo 334 BARICELLI mò ventorum effluuijs, ventorumque inipe tu terræ permixta furfum feruntur,mox cum pluuijs iterum deſcendunt. Propterea nec ſemper mirum ,autinſolens à ſapientibusiu dicatur: CorneliusGemma, inCoſmitriticaca 6.hæc caufas legitimas à coeleftibus Syzygi. is habere prodidit: fed tamen eo vſque pro gredi ſoiere,cum fpecie fua, tum magnitu dine,vt etiam in portentis principem inue niant locum, Cum Pſylis, &Marfis, Serpentes haudbabere inimicitiam . M Irabile eft, Serpentes, quià mundi pri uerfam ,inimicitiainque iniuere,cum - Pſyl lis, & Marfis nec odium nec difconuenienti am retinere, Neceſſe ctenim elt, ve ijs aliqua miftio non omnino contraria oriatur,auto dor , autaliud , è quo fpecies minus ingraca videatur ; ita profecto inter homines ipſos. criam contingit: quandoque enim fine cauſa nonnullos odimus,alios amamus,prout re sum.fpecies ad animam noſtram perue. niunte, quibus conuenientiam , & diſconnenientiain capta mus. Ex Fracastor rian - ) Oling HORTVLVSGENIALIS. 339 Olim vasta, ego robuſtafuifle bominuincor pora . Vamuis Plinius,cæteriq ;ſcriptores, ho ninum corpora , robur, vitam ſemper imminui conquerantur;tamen olim Gigan ces extitiffe, &vaſta hominum fuillecorpo . ra negandum non eft.D.Auguftinus lib.15.de Ciuit.Dei.dentem gigantis in quodam flu mine inuentum fuiffe prodidit,quiminutim diuiſus,centum ex noftris dentes ſuperabas. De Pailante ſcribitur admirandum.Hic Ae neam contra Turnum Regem Rutilorum adiuuit , mortuustandem , & fepultus , vbi nunc Roma eft, ( reference Solino)Anno O. atingefimo poft Chriftum Dominum dam quiædam ædificia Romefierentcafu in ſepul chro quo arte mirabili cum lucerna ardenti códitus erat, inuétus eft, & integer erectus altitudinem nuricapite excellebat.Quid de Aiace, & quid de Turno ; & de ingenti ,faxo , quodvterque in hoftem conjecir , referatur nouúhaud eſt.Quid tandem de Oreſte, filio Agamemnonis,cuiuscadauer oéto cub tirá longitudinem excedebat, atque de alijs in numerisdicatur,apud fcriptores reperitur. Idcirco præter ftirpem giganteam ,quæ poft diluuiumimminuca eft, alia corpora vastitatem & robur maximum retinuiffe conce. dendum eft ; in præfentiarum verò homi. num corpora huiuſmodi comparata , tam pufilla funt, vt præ illis inania effe videan tur. Ex Helinando Chronographo. Equum Phaleris accin&tum pulcbris, acri oremfieri. , chris ornantur phaleris, tum acriores, tum pulchriores iudicentur. Eſt de his cla. rum exemplum de Bucephalo Alexandri, qui phaleris accioétus Regijs neminem præter Alexandrum ( teftimonio Aeliani) ad fe aſcendere paciebatur , & quoderat 18 illo mirabilius, veaſcenſus facilior effet , demittebatur cum dominus equitare vole bat.Phaleris autem remotis ,quilibet medi. aftinus aſcendere, &tractare poterat. Ego quidem domimulam habeo ,cuius tanta eft ſagacitas,vt fi feruus meus ephipium parat, habenafque illa humilis ,demiffa , & quafi gaudens perfiſtic,viAernatur, hilariſque in . cedit, & acrior : fin autem clitellas, calcitro fa, indomita, feraque confeftim fit , necta lem ſarcinam , niſi vinctis pedibus ferre ſu Atinet , adeò quòd feruus ab opere defiftere cogitur. Exitiofißimum effe homini,ſub Lunaradijs ſomnum facere. Vnæproprium eft,in hæc inferiora hu miditatem immittere: quare exitioſum elt,lub eius radijs diu dormire; quippè dor mientes obleruatum eft ægrè excitari , atque proximos infanis fieri, Lunæ vires in lignis, quæ ad ædificia colliguntur,potiſsimum ex perimur:conciſa enim Luna creſcente , funt ferè emollira per humoris conceptionem , idcirco tanquam inepta à fabricis reijciun rur. Agricola 'experimento cognouerunt, fruméta de agris in Lunæ diminutione colo lecta diutius ficca permanere. Hæc à veterie bus Lucina vocabatur , & à parturientibus inuocabatur : Lunæ enim diftendere rimas corporis,meatibuſgue viam dare munus eft: propterea, tale ſydus partui ſalutare, illum. queaccelerare putabant. Archelaum ,Mithridatispræfe&tum , ligneam turrim incombuſtibilem confeiffe. Dmiranduin profectò iudicatum eft AArchelai,Mithridatispræfe&ti,cótra Syllam commentum :hic enim turrim ligue. ain iocombuſtibilem condidit,quam fruftra ille incendere conabatur. Erat currista. bulata alumine collinita , in ijs autem cruſta durior erat obducta, & alumen , plumbique albi 238 BARICELLI E albicineres pigmentis copioſè commifti: quia induſtria ab igne feruata ſunt. Confio mili artificio ,Ceſar ex larigna materia cir . ca Padum ,Caftellum etiarn conftruxit, Ex Lemnio. Viſcum quercinum fola fufpenfioneEpilepti. cis fubuenire. X grauibusfcriptoribusmultiorbicua losè viſco querciofola ſuſpenſione vulgari filo transfixos idem præftare in 2 molienda,& præcauendaepilepfia tradunt, quod peonię maſculæ radix ,aut ſmaragdus è collopendens efficere creditur, Reculit Iacchinus in Epilepticerum curatione, fe mel ea ratione,qua ligno guaiaco vtimur, Viſcum quercinum per dies 40. propinafre, & profuiffe quidem , non tamen Worbum abituliffe,nequelicuilleiterum id temedij iofaciliori morbo experiri. Isterbraſsicam o vites maxisnum ineſe dif fenfum . Focabilis equidem difcordia inter braſsicam , & vites reperitur, propte reade Reruftica fapientes fcriptores, VICCE à braſsica offendi, deterioreſque & fucco , &odore, fi ſecusplancatur, fieri prodidere. Experimento hoc comperitur:nam gerinen ijspropius cu accellerit, auerſü ab inimico Notabilis compulſum odore retrograditur. Infuper G inollam , vbi braſsica elixatur, vini vel mi nimum conijcitur, quippe nec braſsica cona coqui vnquam poterit , & quod mirabilius eft, colorem proprium amitter. Hacmotira tione ſapiéres,ebriis braſsicæ ſucçú propinát, quo ebrietas ſubitò foluitur. Conuiuates pa riter, ne à vini copia potenciaģ; offendantur ( Germanorum inftar ) braſsicam crudam primò comedere debent : ita enim viruna ad ſatietatem , abfq; ebrietaris periculo haua rire valebunt. Cati nigerrimiefum cerebrum , homines dementare, Ericulofum eft , verſicoloris, &maximè nigerrimicati cerebrum alicui efirm prz bere: ad iufaniam enim homines ducit, & quod peius, cerebri meatus obftruit , ſpiri. Etuſý; impedit animales, Inter fcriptores Per trusApoinenfis, huius efuadeò io ſanirehow' mines dixit,vt præftigiis quafiobnoxii videa antur. Ponzertus pariter cati pilos venenoſos eſſe prodidit, citly; anhelitumfebrem heoti cam induccre. Exbetulacorticibus, ardentesfaces comparari Etulæ cortices non modò ignem confe. tim recipiunt, verùm atque flammam pariung  Mha pariunt ardentem ; quo fit, vepleriq; faces, pro noctis obſcuritate fuganda , ex iis com. ponaot, bene rati lucidiorem has flammam , quãpini fædam parere: ex liquore autem picis inſtar, qui dum vtuntur deftillat, oriri hociu dicatur , cuius natura cùm facile accendatur, mirum haud eft: talem effectum producere. Hæmorrhoidalemn berbam contactu Hamer rboides fünare. Ira eft Hæmorrhoidalis vis, & poté. tia in perfanandis Hæmorrhoides: fi enimhuius radicibus, Hæmorrhoidales do lentes tanguntur, atq; illæ per diem circa fe. mur ferantur , & mox in camino fumanti ( afpendantur, procul dubio effectusfanatur: fiquidé Hæmorrhoides que atq ; radices ex iccărur, fiaccelcıyor: qua caufa herba ab effe ctu nomen deduxir, nec immeritò: namin iftarum infiammatione, &doloribus , fi hu us radices contufæ applicantur, confeftim , & dolor, & inflammatio mulcentur. Ex Ex Tante. Marine Paltinuca radium ,identium do loresmitigare. entium dolores multis experimentis ex Marinæ pattinacæ radio mitigari vifi func; huius eniin radio, qui in piſcis cauda cpa, situr , dentes tanguntur, & gingina ſcari. ! x herbis non paucæ Ecale ſcar ficantur , quo præſidio quan cítiſsime dolor euanefcit. Prodidit Dioſcorides , lib . 2,64p. 9. radiuin hunc dentes frangere, & e urcare.quomodo autem hoc perficiat docu it Plinius lib. 3. cap 4. Conteritur enim is, & cum Helleboro albo miſcetur, quorin miſtura fi dentes illiti fuerint, fine vexatio ne extrahuntur, Plerasg, berbas, Solisexortum , & occafuma ostendere, Solis ortum , & OC cafum noffe videntur tantaq;huius lyde. ris ſectandi,talibus auiditas nafcitur, vt Gr. miter inter kas, & folem magnam in ſe lym pathiam credamus. Profe&to fos calendula in Solis ortu aperitur, &in occafii clauditur; ex quo villicorum horologium à nuleis di citur. Sequuntur Solis fphæram non modo papauer , & illudtithymalli genus, quod vo. cant helioſcopon ; ſed etiam malua , lupini & cichorea; intenſius autem Lotus herba re ctatur, &exortum quotidianum , &occafum noſcit. Hæc ( Theophrafti teitimonio ) cau lem, &florem veſpere mergit, & circa me. diam noctem tota in lacum irruit , & adeo occulcatur , vt nec manu admiffa quis valeat inuenire , verciturmox panlatimg; erigitur , &in Solis exortu extra aquas confirrgit; for P 3 reing  Temą; aperit, & patefacit , caliterá; etiam num confulit , vc alièab aqua abeffe videa quarum Sodo Qualssin Sodomi, & Gomorriveſtigiso riantur fru & us. LtiſsimiDei decreto quinq; vrbes 211a ciquicus incentæ ſunt wuum , & Gomorrhum præftantifsimæ fiudj erbantur.Harum in fauillis quædam noſcú . tur veſtigia; Giquidem cæleftis ignis reliquiæ adhuc perfiftunt. Quod autem illic admira bile perfpicitur .viridancia fpectantur poma, formaci vuarum racemi, nec quis elt, qui e dendi haud cupiditatem habeat: illa. autem manibus capta faciſcunt, & in cinerem refol. uuntur, fumuggsexcitant, quafiadhucarde ant. Ex Egeſippalib . 4 . Magnam inter vterun , ammasinef Seſympathiam . On exiguus inter mulierum vterum , & mammas contéplatur confenfus: quip pe alterum alterius pathema oftendere on laruamus, A venis inter has partes coniunctis maximè ratio ošteditoriri ſympathiá:ex iis e nim materias ab vtrifq; contentis transferring &exonerari experimur.In menftruorum re dundantia Cucurbitula fub mammisappofita , fluxum cohiberi ab Hippocrate docemur,  Lactis copia in puerperis dum magna grauit q; fuerit, die feptimo puerperii octauo, 10 nog; in vterum à naturaefunditur. Suppreisi menfes in virginibus , & viduis caftis , non femel io mammasrefiliunt, & la & tis copiam fuſcitant. In mulierum pubertate accedente menftruo vtramq; parteni creſcere vidernus. Quo artificio Solis defectumfirmiter com prehendere paleamus. Aria induſtria pleriq; conantur folis defectam deprehendere;hocautem có pertum eft, artificio illius defectionem fir miter apprehendi, Pelues hora inſtanti capi. antur , quæ non aqua , fed aut oleo, aút pice implendæ ſunt; ratio enim fuadet, humorem pinguem non facile curbari , atq; imagines perinde, quas recipit conſernare. Equidem in magines in liquido & immoto tantum appa rereconfueuerunt, propterea in olen, & pi. ce , commodius, & firmius, quomodo Luna Solilc opponat, & illum abſcondat accipere poterimus. Ex Seneca in Natur. Quaft. Virginummammillarum tumorem acis cuta impediria Ac inter alias, cicuta pollet efficacia, vt contufa cum vmbeila, atq; virginü B H mammillis impofita , tumorem , & excref centiam valeat prohibere; fortaffe nutrimé cum impedit, quo minus augeantur, vt in pu crorun tefticulis fuccedit, fi hæc adhibetur: ijenim reatibus alimenti obtufis facilè ex iccantur. Aperiani in hoc loco quod à Bon doletio nultis experimentis comprobatum Teperio de piſce Squarina: hicenim mulie. rum mammis fuperpofitus, illas adeò con. ftringit , ve virginum mammillæ appareant; credunt multi in genitalibus eundem fimili ter effectum producere. Quercusgallis, anniprafagia comparari. Napoleon Onmodò à Plinio , verùm atq; à plea riſq; rei rufticæ ſcriptoribus obſerua tum fuiffe comperio, à gallis quercus maio sibus præfagium aliud anni, quodapud vece res in magno fuiſſe pretio,&opinione legi. tur. Aperiuntur gallæ, quando integræ funt, ibig; muſca, aranea , aut vermiculus repe . ritur : fiquidem planta hæc in gallis huiuſmo di aninialium gignere confueuit. Si mufca volar, angi fertilitatem & bellum futurum præſagiunt ; ſin vermiculus repit , annonæ carentiam arguunt; fi autem aranea profiliet fummam caritatem , & peftilentes affectus prædicunt. His ego adderem , præfagia hu . iufmodi , fi Deo placuerit, confimiles ſecta . tur elientus. Vitri puluerem , calculos comminuere. ron folum Galenus, fed Anicenna, & mouendos vitri puluerem excollunt quomo do autem hæc fieret , plurimum infudiui; tandem quæ ab Abecizoare componitur,mihi ex voto ſucceſsit, & vitrum adurere didici. Capitur vieri albi , & perſpicui fruftulum , quod terebinthina coll nire oporter totum , nyox tandiù in prunis detinere, veexcandel. cat; hoc demum in aqua exſtinguicur, ſepti. eſg; iteratur, primò tamen linitur, fecundò cxcoquitur, vltimò extinguitur; quo peracto , vitrum conteritur, & in puluerem lubciliſsi mum mutacur. Propinamus languentibus au rei pondus vel drach.j. cum vino albo, & ef ficaciter calculos comminui experimur. Quo artificio aëris naturimexplorare valeamus. Eris qualitatem , & naturam cum ex plorare libuerit , fpongia bene ficca, atq; munda ſèreno cælo per noctem fub diuo exponenda eft; illa eniin fiſicca mane fuerit, ficcu's P5 АБЫ  liceus & aër erit ; fi humecta,nimbolus; fi anoll cervda,humidus,acroridus Inſuper ft recente pané eadem induftria expofueris , di corrupto,ficuin contrahere videbitur ;à fic co , fiec ficcus;ab Humido aucem, à ftacu pro prionon mutabitur.Siaër fuerit peftilens, carnesexpofitæ corrumpuntur,atque colo rem mutant;fic eciam & adipes.Siaércraf fus erit,patebit in marmore, & filicibus, qnę in cali natura admodum madere folent; cós tra verò in aere'tenui, liges humidus eſſet , hę enim in tali con ica humeſcunt. Ex CATO dano. Quali fratagemate homines, mortui Š videantur. Vltis experimétis confirmatum repe rio fublimatum , ffue aqua vitæ cum fale miſce tur, ac in patina ( ſublata qualibet alia lua ce ) accenditur in cabiculo, nocturno tem pore, vbi homines reperiantur; fiquidem ipfi immobiles fuerint, fpeciem mortuorús repræſentabunt. Pleriq; vt Aethiopes fin gant , lucernam accendunt oleo plenam, cum quo ſepia atramentum fit dilucum , fi we calchantuni, aut ærugo, nec fine ratio ne:oftédit enim ,lux eorû colores, quæ in iis sát quæaccédācur: oportet tamen iu cubi culorcliquas luces adimere, Nerein VA No Nereidesfaciehumana dy venufta, prezi que fuifferepertas Ereides, quas vulgus Birenas appela lat, plurimæ in locis maritimisinué tę funt;quodauté cátusdulcedine nauigātes hein foporem perliciant, & capiant,nos. in lib . 1. de Hominis vita, abundedifferui mus, vbi de Tritonibus, Nereidibus, ho. minibuſqs in maridegēribas, quos marinos vocant tractatur ; Poetarumq; fabulæ eno . dantur, Vidithas Theodorus Gaza & Gee orgius Trapezont ius, homines nagnæ e ruditionis : Gaza in Pelepomeno exorta maris tempeftate, Nereidem proiectain in lidcore reperije viuentem , & fpirantem , ynleu hrniano, facie decora , corpore fqua mis hirto ad pubem vſq , cætera autem ia locuftæcaudam definebant: ad hanc viſen dam magnus fuit concurſus, illa tamen e vac maefta , crebrog, ſuſpirio fatigata & frequentia hominum circumdata gemitus dedit & lacrymas emiſit,quibusmacus mi. fericordia,ad mare deduxit, vbimagno im petu fluctus fecauit , & ex oculis omnium cuanuit. Quid Trapezontius, pleriqs. alii viderint, in loco cita. to narrauimus De Apunx natura, earumque mirabiliſa gacitate . Tu quidem anceps fui in fcrutanda A pummellificatione,foetu , & cera:nam & apud auctores magna reperitur controuer. fia , num illæ ge nerent , & aliundeprolem habeant.Poft auem exactum fcrutinium cu iufdam amici va lido experimento Ariftoter lis opinionem veram eflecomprobaui;fiqui dem Apese floribus fauos conftruunt, exar borum lacryma ceram fingunt, & mella ex aëris'rore captant.Hæ primum fauos confi . ciunt,mox fotin collocant , ore calidum ſpirantes,vt vitain recipiat.Mellificanræfta . te, & autūno cibi caufa ;mel autem autinale cleatius eft.Foetus in vere ferotino debilis fit : nã & naiori ex parte emoritur. Multi aiunt oliuas, & examinum copiam cógenerem ha . bere nataram : nam fi altera augetur, alcera abundans fit: fi vna deficit ,altera deprimitur ratio eft:nam mella ficcitates augent;lobo . lem verò imbres; quofit, vt ſimuloliuæ , & sopia examinam fit. Vinorum aliquot existere genera natura mirabilis. R aliquot vinorum genera mirabilis naturæ quod ? co A quod vua & guftu , & fenfuà cæteris minime diſcrepanr, nec vinum á ymis; tamen quod Heracliam Arcadiæ fit, viros reddicinfancs epotum , & mulieres fteriles: & apudcabyni. am Achaiæ abortum facic: & in Thiffo vi num quoddam lomaum producit; quoddam verò, vigiliam Ex Tbeophraſto lib.9. Plant. Quoartificio ignem manibus abſque læfione tractare valeamus. Pud plerofque fcriptores inueni, ig nem fine læſione poffe tractari , fi tri . tomaluauiſco cum ouorum albumine , ma.. nus liniuntur,ac defuper alumen inducitur.. Hoc autem experimentuin à Magno Alber to captum eſt, apud quem aliud legitur hu. ius negotijartificium :fi enim Ichthyocolle, & aluminis æquales partes capiuntur , & ad inuicem commiſcentur, fiacetum his ſuper funditur; quicquidtali miſcellanea illitum in ignem proijcitur , vtique non comburie tür. Menftrua in ſenio ferèquibufdam fæminés 46 cidere. Vàm fallax fit tum Ariſtotelis, tum ali orum iudicium ,quodin mulieribuscir ca quadragefimum annum ,fiue quinquagefi mum menftrua deficiant, quotidiana demone strat experiencia. Mulierem hic cognoui, Qyour P7 Victoriam nomine , eamque honeftam & bene morigeratamshuic in anno 45.méftrua ceffarunt, & faufta valetudine vixit,cum au tem fexagefimum ferè annum attingeret, ce teilli menfes rubei,bonique coloris redie. De vberague , quæ priusflaccida erant,more: virginum turgidula facta ſunt lactifque tan ta copia impleta ,vt impulſu ferretur: quarez, vt puerulú filiæ fuæ lactaret àmeadmonita eft. Alteram cognoui, quæ vfque ad annum 65.femper menftrua paffa, & hodie viuit , & menftrua fingulis menfibus fuentia habet Hæcautem raròcontingunt.. Bufonislapidem contra venena mirabileinha bere virtutem . Pleriſque lcriptoribus excollitur lapiss ille terreſtrisinuenitur: ſiquidem contra venena folo contactu valere expertü eft ; propterea inflationes abeftijs venenatis illatas diſcute re, venenúq; elicere aiut.Scribit Lemnius, tu mores, & dolores ex forieibus,araneis, vel pis,fcarabeis,gliribus, aliifuevenenofis 2 . nimalibus caufatos fclo lapidis blaul do attritu.euanef cere HORTVLVS GENIALIST 1 Aquarum Fluuios natur& mirabilis repe $ rire. N multis locis aquarum exortas, mira cfficaciæ inuenirilegimus Scribit Arift. in terra Aſsirithidæ aquas naſci , quas cum oues biberint,moxgs inierint, nigros agnos generare. In Arandria dnos ineffe fluuios ad .. notauit, quorum alter candorem , alter nio gritiem facit pecoribas:at Scamander am gis, quem Homerus Xanthuniappellauit , fia uas reddere oues creditur . Mirabilers in concepta imaginationis effe per rentiam Maginationis potentiam tam miram effe Phyfici confitentur ve viſa per cóceptum in partu fæpiſsimè eluceſcant. Referam hi ftoriain admirandam ex Ludouico Vives 12 ; de Ciuit.Dei de huius negotio conſcriptam In Brabantia Buſco ducis quædam vrbs eft, in qua more eiufdem Prouinciæ quodam die rempli vrbis feſtum celebratur, quo tempore varii ludi apparantur.Sunt aliquot, qui ſtato die diuorum perſonas induunt:nönulli vera Dæmonů.Ex his vnus cū viſa puella exarfif. fet, & demúfaltado ſe ſe recepiſſet , & apreprā Vt er at perfonatus vxore fua in le &tum con . ieciſiet,ſe exeaDanonem gignere velle di.. cells  D cens , concubuit , & concepit inulier: clim autem in partuinfantem peperiffet,'s fimul ac primum editus eft, Calcitare cæpit forma, quali Dæ nones pinguntur. Dentium .stupores à portulaca confeftim amoueri : Entium ftupores,qui ab acidis.edulijs Connarci confueuere,ex aqua aut luc co , vel frondibus portulacæ commanfis , quam citifsimèdiffoluuntur.Ipfe cum qua- . damæftate cùm fiti maxima , tùm dentium : ftupore affligeretur,cömanfis ipfius frondi bus , &à fit , &à ftupore fubito liberatussú, Ab amico quodam audiui parculacæ fuccúi collinitum ,abfque dubio verrucas exter minare,mihiautem experiundi locus haudi adhuc datus eft. Ex Aphrodiſeo , Ceraferum aquam ftillatitiam in Epilepfia ! fummumeſſeremedium . Ninitis experimentis Ceraſorum aquam 10 laccurrendis Epilepticis conprebari reperio propierea à loanneAgricola in lib .. Herbar.maximèetiam extollitur . Qua pro vita producenda inter arcana natu 12 connumerentur. APudreru naturalium (crucatores acer rimos inueni, idque in arcanis conſer wari Hellebori nigri fólia Saccharo cómilta degluci INTHE HORT:VL VSGEN I AL-deglutientem ad iuglandis magnitudinenia in offenſam valetudinem, ad ſenectutem vſ. que conſeruari.InfuperSilicem ignitum lin . teiſque parum madidis inuolutum ,& pedi. bus applicitum ,pernicioſos valetudinis vaki pores extrahere. Quoartificio in mulieribuscrinesdenfiores, copiofiores comparare paluamus. Nter ſelectiſsima prælidia, quæ ad capil lorum copiam generaodam ineffe cre duntur ,Maluæ radix connumerari poteft :: fi enim caput mulierum livinio lauatur in quo elixa fit maluæ radix, & deinde fucco maluæ crines, inungantur, profecto ya bercim prouenient, & cicila fimé. Giulio Cesare Baricelli (n. San Marco dei Cavoti) è un filosofo.  De hydronosa natura sive de sudore umani corporis Hortulus genialis Thesaurus secretorum De lactis, seri, butyri facultatibus et usu  Indice   baricelli — implicatura sudorosa — de hydronosa natura — de medicinae praestantiae — amazones cur mammas dextras resecaverint — olearum sterilitatis praesagium — nili flumines proprietas — de mundi creatione — murium sagacitas — pluviosa tempestatis prognostica — agricolas non semper tempestates et serenitates praedictunt — valeriana miravis contra epilepsiam — transformationes hominum in bestias non esse reales — daemonis astutia apud indos — quid picus de scientiarum  varietatis sentiret — subditos principis vitam ut plurium imitari — rutam et allium serpentibus adversari — animalis oriri et vivere posse in igne compertum est — lacus asphaltritis mirabilis naturae — pisces marinos salubriores et rapidiores fulminibis esse — mulieris —  hominos — cibus — gigantes in orbem — mulieres — excellentia — 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— vermes — mamillis — lumbricos — infantis — elephantiasim — cyprinorum — leporine — hydrargyrum — gravidas — homines abstemios — aristolochiam — alexandro — morbis — creta — cyprini — calphurnius bestia romanus — aceto — oleum — scythae — catellos — plurima — martis — robusta hominum corpora — equum — homini lunae — mithridiatu — viscum — vites — betulae — haemorrhoidalem — dentium dolores — sodomi — uterum — solis — virginum — praesagia — vitri — aeris — homines — facie humana — apum natura — vinorum — ignem — menstrua — virtutem — aquarum — in conceptu imaginationis esse potentiam — dentium stupores — epilepsia — pro vita producenda — mulieribus — Giulio Cesare Baricelli. Keywords: sweat, il sudore umano, sudore e la regola, stirgilo, amore, Socrate, Aristotele, controversia sull’origine del sentiment dell’amore, Socrate, l’idea di causa in Aristotele.   Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baricelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691256836/in/photolist-2mKMcL9

 

Baroncelli – compassione – filosofia ligure – filosofia italica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Savona). Filosofo. Grice: “I like Baroncelli – he can be hyperbolic – “Mi manda Platone,” surely he only requested! My favourite is his ‘compassione,’ which is ‘calco’ of ‘sumpatheia’ and therefore at the core of my balance between conversational egoism and conversational altruism.” Flavio Baroncelli (Savona) filosofo  Nato e cresciuto a Savona, si laurea in filosofia all'Genova nel 1969 con relatore Romeo Crippa, di cui diventa assistente.  Insegna Storia dell'età dell'Illuminismo all'Trieste.  Dal 1977 al 1981 è di nuovo a Genova, dove tiene la cattedra di Storia della filosofia moderna.  Nel 1981 diventa ordinario all'Università della Calabria. L'anno successivo ritorna a Genova dove prende la cattedra di Filosofia morale.  Nel 1988 un grave incidente motociclistico durante una vacanza in Turchia lo allontana per qualche periodo dall'insegnamento e dalla ricerca, attività che riprende all'inizio degli anni novanta come visiting scholar all'Madison, nel Wisconsin.  Nel frattempo collabora con molti quotidiani e periodici, come La Voce di Indro Montanelli, Village, Il diario della settimana, il Secolo XIX.  Tornato a Genova, diviene molto amico del filosofo Franco Manti, segretario generale dell’Istituto Italiano di Bioetica. Riprende la vita accademica per allontanarsene a causa della malattia che lo porterà alla morte sopraggiunta nel 2007.  Il pensiero di Baroncelli ripropose un'etica planetaria alla luce del mondo globalizzato, invitando a riconsiderare i valori e le identità storiche dei gruppi umani occidentali riorientandoli a favore di un sistema di valori e di identità individuali e culturali di tipo mobile e pluralistico. Ha qualificato le varie culture come sistemi aperti in grado comunicare e di essere traslati o esportati ovunque nel mondo, nella convinzione che gli esseri umani appartengano tutti alla stessa specie e siano tutti abitanti dello stesso pianeta.  Pensiero e la ricerca Profondamente influenzato da David Hume e dallo scetticismo inglese, si è occupato in prevalenza di temi etico-politici come il razzismo, la tolleranza, il liberalismo e il politically correct.  Altre opere: “Un inquietante filosofo perbene: saggio su Davide Home” (La Nuova Italia, Firenze); “Sulla povertà, idee leggi e progetti nell'Europa moderna, Herodote, Genova-Ivrea); “Il razzismo è una gaffe” “Eccessi e virtù del "politically correct", Donzelli, Roma); “Viaggio al termine degli Stati Uniti Perché gli americani votano Bush e se ne vantano”  Donzelli, Roma); “Mi manda Platone, Il Nuovo Melangolo, Genova Saggi "Giustizialismo" in Ragion Pratica, "Post-fazione" a Lysander Spooner, No treason, "Etica e razionalità. Un finto divorzio?" in Materiali per una storia della cultura giuridica, Il riconoscimento e i suoi sofismi" in Quaderni di Bioetica,  "Come scrivere sulla tolleranza" in Materiali per una storia della cultura giuridica.  Note  Franco Manti per la fondazione Pubblicità progresso, su pubblicitaprogresso.org. 7 maggio  (archiviato il 7 maggio ). Franco Manti, Diversity, Otherness and the Politics of Recognition , in Nordicum-Mediterraneum,  14, n. 2, Akureyri, , Ospitato su archive.is. Citazione: To Flavio Baroncelli, a friend I met only too late, / whose lively intellect, critical sense, friendliness / and clever irony I just had time to appreciate.  Info dalla pagina del Dottorato in filosofia dell'Genova. Registrazione audio[collegamento interrotto] dell'intervento a una trasmissione di Radio 3 dall'archivio RAI Trascrizione di un dibattito con gli studenti sulla tolleranza dal Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche di Rai Educational Necrologi Archiviato il 16 marzo 2007 in . di Giorgio Bertone, Vittorio Coletti, Salvatore Veca e Pietro Cheli. Altri dello scrittore Bruno Morchio e dell'amico Daniele Miggino. Sezione speciale della rivista Nordicum-Mediterraneum dedicata a Flavio Baroncelli. Pagina di Wordpress su Flavio Baroncellicon alcuni testi inediti. Flavio Baroncelli. Keywords: compassione, filosofia ligure, Home, etica, ragione, giustizia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baroncelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790110604/in/dateposted-public/

 

Grice e Barone – linguaggio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I like Barone, but I’m not sure he likes me! You see, in Italy, there’s ‘scienze filosofiche,’ and ‘scienza’ was indeed a way to describe philosophy! But at Oxford, you have to take the great go! Lit. Hum., and I doubt Barone did! – ginnasio e liceo, as the Italians have it! Therefore, his views on ‘filosofia e linguaggio,’ never mind his rather pretentiously titled ‘logica formale,’ ‘logica trascendentale,’ ‘algebra dela logica,’ etc. have little to do with, well, Italian!” Laureato in Filosofia a Torino nel 1946 come allievo di Augusto Guzzo e Nicola Abbagnano, visse a Viareggio. Professore di Filosofia teoretica all'Pisa (1957), dove fu preside della facoltà di Lettere e filosofia dal 1967 al 1968, fu poi docente di Filosofia della scienza (1987) nonché direttore dell'Istituto di Filosofia nella stessa università (1960-80). Insegnò anche Filosofia morale alla Scuola Normale Superiore di Pisa dal 1958 al 1974.  Si dedicò soprattutto a studi di storia e filosofia della scienza, pubblicando numerosi libri. Nel 1979 curò l'edizione italiana delle opere di Niccolò Copernico. Socio nazionale dell'Accademia delle scienze di Torino (dal 12 febbraio 1985), della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti in Napoli, e dell'Accademia Nazionale dei Lincei, a Milano fu presidente del Centro del C.N.R. di studi del pensiero filosofico del Cinquecento e del Seicento in relazione ai problemi della scienza.  Pensiero Particolarmente interessato alla filosofia di Nicolai Hartmann, Barone ne trasse spunto per un confronto tra la dottrina realistica e quella neoidealista. La sua riflessione filosofica si sarebbe poi focalizzata sui problemi epistemologici e della filosofia della scienza.  Come pubblicista affrontò temi etico-politici sul rapporto tra individuo e società dal punto di vista della ideologia liberale e liberista.  Il tema principale delle opere di Barone riguarda la filosofia della scienza e la storia della scienza e della tecnica. Si deve a lui la prima pubblicazione in Italia di una monografia sulla filosofia neopositivistica.  Il suo pensiero si contraddistingue per lo stretto rapporto tra epistemologia e storiografia della scienza, settore, questo, in cui Barone ha preso in particolare considerazione il tema della nascita dell'astronomia moderna, da Niccolò Copernico a Keplero e Galilei.  Intorno agli anni sessanta, inoltre, Barone si è dedicato con particolare attenzione agli sviluppi culturali, epistemologici e filosofici della nascente informatica.  Altre opere: “L'ontologia di Nicolai Hartmann” (Edizioni di Filosofia, Torino); “Rudolf Carnap, Edizioni di Filosofia, Torino); “Wittgenstein inedito, Edizioni di Filosofia, Torino); “Il neopositivismo logico, Edizioni di Filosofia, Torino); “Assiologia e ontologia: etica ed estetica nel pensiero di N. Hartmann, Torino); “Leibniz e la logica formale, Edizioni di Filosofia, Torino); “Nicolai Hartmann nella filosofia del Novecento, Edizioni di Filosofia, Torino); “Logica formale e logica trascendentale,  I, Da Leibniz a Kant, Edizioni di Filosofia, Torino); L'algebra della logica, Edizioni di Filosofia, Torino) Metafisica della mente e analisi del pensiero, Edizioni di Filosofia, Torino) 1748: viaggio di Hume a Torino, Edizioni di Filosofia, Torino); “Mondo e linguaggi” (Edizioni di Filosofia, Torino); “Determinismo e indeterminismo nella metodologia scientifica” (Edizioni di Filosofia, Torino); “Concetti e teorie nella scienza empirica, Edizioni di Filosofia, Torino); “Nicola Copernico, Opere (F. Barone), UTET, Torino); “Immagini filosofiche della scienza, Laterza, Roma-Bari); “Pensieri contro, Società Editrice Napoletana, Napoli); Teoria ed osservazione nella metodologia scientifica, Guida, Napoli); Verso un nuovo rapporto tra scienza e filosofia, Centro Pannunzio, Torino); La fondazione dell'ontologia di Nicolai Hartmann (F. Barone), Fabbri, Milano); Leibniz , Scritti di logica (F. Barone), Zanichelli, Bologna). Note  Francesco Barone, Neopositivismo, in Enciclopedia del Novecento, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, 1979  Barone, Francesco, in TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Sito ufficiale, su francescobarone.  Francesco Barone, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Barone, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Barone, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Francesco Barone, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Francesco Barone, .  David Hume, il filosofo della non certezza di Francesco Barone, La Stampa, 26 agosto 19763. Addio a Barone il filosofo che diffidava dei paradisi in terra di Dario Antiseri, Corriere della Sera, 28 dicembre 200131, Archivio storico. Francesco Barone. Keywords: linguaggio, assiologia, la semantica di Leibniz, la sintassi di Leibniz, logica matematica, logica formale, logica trascendentale, logica aritmetica, Hume a Torino, simbolo, logica simbolica, Leibnitii opera philosophica, assiologia ed ontologia, mondo e linguaggio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790459935/in/dateposted-public/

 

Grice e Barone – dialettica fiorentina – filosofia italiana – Luigi Speranza (Alcamo). Filosofo. Grice: “I like Barone; at last a priest that takes Italian humanism SERIOUSLY!” --  Dopo avere finito gli studi teologici nel Seminario Vescovile di Mazara del Vallo, fu ordinato sacerdote il 13 marzo del 1937. Frequentò, quindi, la Pontificia Università Gregoriana di Roma dove conseguì la laurea in Filosofia il 19 giugno 1946, trattando la tesi dal titolo: L'Umanesimo filosofico di Giovanni Pico della Mirandola.  Ebbe subito la nomina di Canonico della Collegiata di Alcamo, poi dal 1949 al 1956 quella di Vicario foraneo e Visitatore dei Monasteri; dal maggio 1951 fu nominato anche Canonico Onorario della cattedrale di Trapani.  Nel mese di novembre 1956 fu pure nominato Cameriere Segreto Soprannumerario di Sua Santità; fu quindi professore di lettere e filosofia del Seminario di Mazara del Vallo e, per 16 anni, delegato Vescovile alla dirigenza dell'Istituto Magistrale legalmente riconosciuto "Maria Santissima Immacolata" di Alcamo.  Per diversi anni, è stato anche Rettore della Chiesa della Sacra Famiglia e della Badia Nuova; inoltre è stato membro del Consiglio Presbiteriale diocesano e docente di Filosofia presso il Seminario Vescovile di Trapani. Altre opere: “Il Santuario; Alcamo); “La Nuova parrocchia di S.Oliva; ed. Bagolino, Alcamo); “Giovanni Pico della Mirandola profilo biografico del celebre umanista; ed.Gastaldi, Milano-Roma); “L'Umanesimo Filosofico di Giovanni Pico della Mirandola Studio del Pensiero Pichiano; ed.Gastaldi, Milano-Roma); “Quattro saggi; ed. Accademia degli Studi "Ciullo", Alcamo); “Donna IdealeIdeale di donna; ed. Accademia degli Studi "Ciullo", Alcamo); “Didactica Magna di Comenius (traduzione italiana); ed. Principato, Milano); “Scuola Libera, ed. Bagolino, Alcamo); “Il Vero Maestro -Lineamenti di educazione; ed. Bagolino, Alcamo); “Verità e Vita; ed. Cartografica, Alcamo, De hominis dignitate, di Giovanni Pico della Mirandola, Firenze); “La Congregazione di Gesù Maria e Giuseppe nella chiesa della Sacra Famiglia di Alcamo, Accademia di studi Cielo d'Alcamo); “La più bella preghiera, Alcamo); “Antologia pichiana: letture filosofico-pedagogiche; ed. Virgilio, Milano); “La docta pietas, di Sebastiano Bagolino erudito alcamese del sec.XVI; tip. Bosco, Alcamo); “Maria fonte di Misericordia e Madre dei Miracoli Patrona di Alcamo; tip. Sarograf, Alcamo); “Dialogo con gli invisibili; tip. Bosco, Alcamo). Note  trapaninostra,//trapaninostra/libri/salvatoremugno/Poesia_narrativa_saggistica/Poesia_narrativa_e_saggistica_in_provincia_di_Trapani_02.pdf  Tommaso Papa, Memorie storiche del clero di Alcamo, Alcamo, Accademia di studi Cielo d'Alcamo, 1968.  Tommaso Papa, Memorie storiche del clero di Alcamo, Alcamo, Accademia di studi Cielo d'Alcamo, 1968. trapaninostra,// trapaninostra/ libri/salvatoremugno/ Poesia_narrativa_saggistica/ Poesia_ narrativa_e_saggistica_in_ provincia_di_Trapani_02.pdf. 14 giugno .  Vincenzo Regina Tommaso Papa 305357714  Identities-305357714 Biografie  Biografie Cattolicesimo  Cattolicesimo Letteratura  Letteratura Categorie: Presbiteri italianiInsegnanti italiani del XX secoloFilosofi italiani Professore1914 2004 29 aprile 22 novembred Alcamod Alcamo. Giuseppe Barone. Keywords: dialettica fiorentino, pico, umanesimo toscano, pico, pichiano, pichismo, uomo, degno, la degnita dell’uomo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51789692301/in/dateposted-public/

 

Grice e Barsio – dialettica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Filosofo. Grice: “I like Barsio – he reminds me of G.Baker – there he is, Baker, succeeding me – and an American! – as tutorial fellow in philosophy at St. John’s, and dedicating his life to Witters – So when reminiscing, in my “Predilections and prejudices” about them years, I said, “God forbid that you dedicate your life to the oeuvre of a minor philosopher like Witters – it’s good to introject into a philosopher’s shoes as you attain to grasp the longitudinal unity of philosophy, but look for a non-minor pair of shoes!” – “Barsio is a radically minor philosopher – in that, he never had to grade – I always hated grading and seldom did it! – since he lived under the Gonzagas at Mantova – and he just phiosophised to the sake of the pleasure he derived from it! My favourite is his elegy to his enemy, Pomponazzi – but his satirical curriculum vitae is fantastical, but possibly true!” -- Noto anche come Vincenzo Mantovano, frequentò le corti del marchese Federico II Gonzaga e di sua moglie Isabella d'Este, alla quale pare avesse dedicato il poemetto Silvia e la corte del marchese di Castel Goffredo Aloisio Gonzaga, al quale dedicò il poema latino Alba. Studia filosofia a Bologna. Altre opere: “Silvia, poemetto in tre libri, Pamphilus; Alba, dedicato al marchese Aloisio Gonzaga, signore di Castel Goffredo; Labyrintus, dedicato a Federico II Gonzaga. Ireneo Affò, Vita di Luigi Gonzaga detto Rodomonte, 1780, Parma., su books.google. 18 luglio .  Gaetano Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani, Milano, 1859., su books.google. Giuseppe Coniglio, I Gonzaga, Varese, 1973., su books.google.  Vincenzo Barsio, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  ICCU. Vincenzo Barsio., su edit16.iccu. Marsio. Vincenzo Barsio. Keywords. dialettica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barsio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51715493552/in/photolist-2mMVquy

 

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Grice e Barzaghi – scuola di anagogia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Monza). Filosofo. Grice: “Barzaghi is a genius; the Italians hate him! In his “Compendio di storia della filosofia,” there’s no mention of Cicero!” – Grice: “Barzaghi is the Italian Copleston – what is it with religious minds – cf. Kenny – that have this inclination towards the longitudinal unity of philosophy?!” – Grice: “Barzaghi just ignores the most prosperous period in Roman philosophy; not so much Romolo, but whatever happened in Rome after that infamous ‘embassy’ of Carneade, an Academian, Critolao, a peripatetic, and Diogoene di Celesia, a stoic!” --  Direttore della Scuola di anagogia, fondata dal cardinale Giacomo Biffi. Discepolo del filosofo Gustavo Bontadini e frate domenicano, è stato l'interlocutore privilegiato di Emanuele Severino sulla questione di Dio e del cristianesimo.   Nella sua opera Oltre Dio, Barzaghi si interroga dapprima sull’essenza del cristianesimo per giungere ad affermare la necessità, per il credente, di assumere alcune fondamentali posizioni filosofiche riguardo la vera comprensione della realtà: «Se il Cristianesimo è essenzialmente la partecipazione della vita di Dio, cioè della vita eterna, per comprenderlo occorrerà porsi dal punto di vista di Dio, cioè dell’eterno» (p. 13). Secondo Barzaghi, l’Essere assoluto «non può essere inteso come qualcosa accanto ad altre cose, e conseguentemente diviene il punto di vista rigoroso per l’ispezione del tutto» (p. 17). In questo senso, la filosofia di Emanuele Severino, che si presenta come alternativa al teismo, offre in realtà per Barzaghi il fianco a un nuovo percorso argomentativo in favore dell’esistenza di Dio (un Dio però non inteso come oggetto: da qui il titolo dell’opera, che evoca esplicitamente un’espressione di Dionigi): se ogni cosa è eterna, e tale dunque è anche il suo apparire, esso deve continuare ad apparire, eternamente, anche quando “non appare”. «Dunqueafferma il filosofo –, se tale apparire non permane nell’orizzonte dell’apparire che è la mia coscienza, perché consta l’apparire-scomparire dell’ente, deve comunque continuare ad apparire […] in modo determinatissimo, dunque alla sola scienza di Dio cui eternamente appaiono gli eterni. Non ammettere questa scienza di Dio, cioè Dio, significa ammettere che l’apparire, che è pur un non-niente, sia un niente nel momento in cui non appare più determinatamente, individualmente» (p. 24). Questa scienzachiamata nel linguaggio tomista scientia Dei visionis«ha la fisionomia dell’apparire infinito di cui parla Severino nei suoi scritti» (p. 17).  Nel pensiero barzaghiano, il punto di vista sub specie aeternitatis (dal punto di vista dell’eternità) diventa la condizione imprescindibile di tutta la riflessione teologica e filosofica. In teologia, solo questa prospettiva riesce a rendere metafisicamente plausibile l’affermazione rivelata dell’«Agnello immolato nella stessa fondazione del cosmo» di cui parla il libro dell’Apocalisse, così da poter parlare di una «inseità redentiva dell’atto creatore». Nella riflessione filosofica, poi, la prospettiva sub specie aeternitatis consente di avere uno sguardo «dialetticamente onninclusivo», per cui ogni ente rispecchia in sé l’eternità del tutto e di ogni altro ente secondo la nozione di exemplar.  Ne Il fondamento teoretico della sintesi tomista, Barzaghi propone appunto l’idea di exemplar come cardine speculativo, approfondendo e oltrepassando la proposta di S. M. Ramírez, neotomista spagnolo (1891-1967) di individuare nella “dottrina dell’ordine” la struttura più sintetica di tutto il pensiero di Tommaso d'Aquino. L’exemplar rappresenta «il minimo di complessità per muoversi nel massimo della complessità» (p. 31). Ma per compiere questa operazione di analisi, occorre esprimersi attraverso l’analogia, «riflesso logico gnoseologico dell’ordine ontologico [e] mezzo inventivo ed espressivo del conoscere» (p. 47), che acquisisce conseguentemente una notevole importanza nel pensiero di Barzaghi. Nell’esemplare (exemplar) si trova il centro della spiegazione causale, dal momento che in esso si presenta in modo simultaneo tutto l’ordine che lega le cause aristoteliche: il fine, l’agente che intende il fine, la forma implicata, e la materia che la deve accogliere. E l’esemplare trascende la mera dimensione funzionalistica: in quanto contiene tutto (compreso l’esemplante nel suo riferirsi all’esemplato), è una totalità, e possiede quindi caratteristiche di liberalità e assolutezza: è «sottratto alla dipendenza e al dominio» (p. 90). In una frase, che sintetizza bene il punto di vista anagogico della filosofia e della teologia di Barzaghi: «Dio, conoscendo se stesso, conosce tutte le possibili realizzazioni similitudinarie della propria essenza, cioè tutte le essenze create e creabili» (p. 96). Seguendo infine l’esempio specifico di Bontadini, suo maestro, egli fa risiedere nell’atto creatore intemporale la consistenza della totalità delle cose, cioè delle creature, giacché queste sono «nulla come aggiunta a Dio» (p. 98). Secondo tale prospettica dell’exemplar, si può così realizzare, senza aporie dogmatiche, la visione del Deus omnia in omnibus (Dio tutto in tutto).  Il dibattito con Severino Il primo dibattito fra Giuseppe Barzaghi ed Emanuele Severino avvenne nel 1995 nella forma di disputa tra le posizioni della teologia cattolica tomista e quelle della filosofia severiniana. Il dibattito trovò, al di là delle aspettative degli organizzatori, alcuni punti di possibile convergenza, che portarono il filosofo-teologo alla pubblicazione di Soliloqui sul divino (1997), in cui l’autore cerca per la prima volta di rileggere le intuizioni di Severino in un modo che egli definirà più tardi voler essere quello con cui Tommaso d'Aquino, filosofo e teologo cristiano, leggeva e faceva tesoro dell’insegnamento filosofico di Aristotele, filosofo pagano. Ciò rese il rapporto fra i due pensatori un dialogo di reciproca conoscenza e stima. Il 2 novembre 1999 Severino dedicò a Barzaghi un articolo sul Corriere della sera, in cui indicava il sacerdote monzese come il fautore del più interessante tentativo di riportare la sua filosofia al contesto cristiano da cui si era volontariamente staccato. In tale articolo, il filosofo ateo definiva “aperto” il dilemma sulla possibilità o meno per il cristianesimo di porsi come casa abitabile per l’uomo contemporaneo, a patto però di diradare, sull’esempio di Barzaghi, la nebbia che circonda il discorso religioso attraverso una ripulitura dei concetti a partire dal punto di vista dell’eterno. Seguirono poi altri dibattiti pubblici, come quello del 29 novembre 2001 a Milano e quello del 12 giugno  a Bologna. Altre opere: “Metafisica della cultura” (Bologna, ESD); “L’essere, la ragione, la persuasione, Bologna, ESD); “Diario di metafisica. Concetti e digressioni sul senso dell’essere, Bologna, ESD); “Soliloqui sul divino. Meditazioni sul segreto cristiano, Bologna, ESD); “Philosophia. Il piacere di pensare, Padova, Il Poligrafo); “Oltre Dio, ovvero omnia in omnibus. Pensieri su Dio, il divino, la Deità, Bologna, Barghigiani); “Maestro Eckart, Cinisello Balsamo, Ed. San Paolo); “Anagogia. Il Cristianesimo sub specie aeternitatis, Modena, ETC); “Lo sguardo di Dio. Saggi di teologia anagogica, Siena, Cantagalli); “Compendio di storia della filosofia, Bologna, ESD); “Compendio di filosofia sistematica, Bologna, ESD); “La Fuga. Esercizi di filosofia, Bologna, ESD); “L’originario. La culla del mondo, Bologna, ESD); “Il fondamento teoretico della sintesi tomista. L’Exemplar, Bologna, ESD); “La maestria contagiosa. Il segreto di Tommaso d’Aquino, Bologna, ESD); “Il Riflesso, Bologna, ESD); “Lezioni di dialettica, Bologna, ESD); “Il bene comune secondo S.Tommaso d’Aquino, in “Communio”  L’alterità tra mondo e Dio: la verità dell’essere e il divenire, in “Divus Thomas”, Ambientazione teologica del concetto di “gioia”,in I. Valent , Cura e la salvezza. Saggi dedicati a Emanuele Severino, Bergamo, Moretti & Vitali); “I fondamenti metafisici della mistica, in M. Vannini, Mistica d’oriente e occidente oggi, Milano, Paoline,  La potenza obbedienziale dell’intelletto agente come chiave di volta del rapporto fede-ragione, in “Angelicum”, Articolazione teoretica della teologia trinitaria in chiave tomistica, in A. Petterlini, G. Brianese, G. Goggi , Le parole dell’Essere. Milano, Bruno Mondadori, Desiderio e abbandono. Maestro Eckhart e Tommaso d’Aquino: le due facce di un'unica metafisica, in C. Ciancio , Metafisica del desiderio, Milano, Vita e Pensiero); Anagogia epistemica, in R. Serpa , Antropologia, metafisica, teologia. Studi in onore di Battista Mondin, filosofo, teologo, ciclista, Bologna, ESD); L’unum argumentum di Anselmo d’Aosta e il fulcro anagogico della metafisica. Essere logici nel Logos, in T. Rossi , Figurae fidei. Strategie di ricerca nel Medioevo, Studi, Roma, Angelicum University Press, Anagogia: voce in “Enciclopedia Filosofica”, Milano, Ed. Bompiani, L’epistemologia teologica di Tommaso d’Aquino. Analisi e approfondimento, in G. GrandiL. Grion , Rivelazione e conoscenza, Soveria Mannelli, Rubbettino,L’intero antropologico. Con Gentile oltre Gentile verso una rifondazione metafisica dell’antropologia tomista. Ovvero le virtualità tomistiche del discorso filosofico sull’autocoscienza e la corporeità umana, in “Divus Thomas”. Il luogo poetico e contemplativo del sapere filosofico-teologico. L’anima del giudizio scientifico, in “Divus Thomas” Mistica cristiana come estetica assoluta, in  Mistica forum, Bologna, Lombar Key, Fenomenologia, metafisica e anagogia, in “Divus Thomas”, Il bisbiglio del “Logos” e il suo riflesso nella ragione, in “Divus Thomas”, Il destino sempiterno dell’Occaso. L’inseità mistica della ragione, in A. Olmi , L’eredità dell’occidente. Cristianesimo, Europa, nuovi mondi, Firenze, Nerbini, La commozione come filosofia del valore. Saper nuotare negli affetti. L’ambiente invisibile della vita cristiana: il Fondamento, in V. Lagioia , Storie di invisibili, marginali ed esclusi, Bononia University Press, Bologna, Abitare teologicamente la natura. Lo sguardo metaforico di Tommaso d’Aquino. Teoresi e struttura. Riflessioni e approfondimenti sulla rigorizzazione bontadiniana, in “Divus Thomas” Creazione dal nulla o relazione fondativa, in S. PinnaD. Riserbato  Fenomeno & Fondamento. Ricerca dell’Assoluto. Studi in onore di Antonio Margaritti, Città del Vaticano, Ed. vaticana, Anagogia e teoria del fondamento, in “Divus Thomas” Metafora. La trasparenza nella trasposizione, in M. RaveriL. V. Tarca, “I linguaggi dell’Assoluto, Milano, Mimesis, , L’eternità dell’essente in teologia, in G. GoggiI. TestoniAll’alba dell’eternità”. I primi 60 anni de ‘La Struttura Originaria’, Padova, Padova University Press, Dibattito con E. Severino, in “Divus Thomas” . Il quadro anagogico e i segreti della musica di J. S. Bach. La Ciaccona e il Contrappunto XIV de L’Arte della Fuga, in “Divus Thomas” 2 (),  13-27. Note  A. Postorino, La scienza di Dio. Il tomismo anagogico di Giuseppe Barzaghi...  Data l'importanza dell'anagogia nel pensiero di Barzaghi, gli è stata commissionata la stesura dell'omonima voce sull'Enciclopedia filosofica (Bompiani 2006), nonché, sul versante teologico, la voce «mistica anagogica» sul Nuovo dizionario di mistica dell’Editrice vaticana.  RaiCultura: Dio e il concetto filosofico di eternità del Tutto  Dialogo tra Emanuele Severino e Giuseppe Barzaghiparte 1 e parte 2  E. Severino, Nascere. E altri problemi della coscienza religiosa, Articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 2 novembre 1999  Dionigi, I nomi divini (testo critico di M. Moranicommento di G. Barzaghi), Bologna, ESD, , II, 3.  All'alba dell'eternità. I primi 60 anni de 'La struttura originaria' (UniPa)  Apocalisse 13, 8  Cfr. G. Barzaghi, Lo sguardo di Dio. Nuovi saggi di teologia anagogica, Bologna, ESD, ,  157-270  Santiago María Ramírez op, De ordine placita quaedam thomistica, Salamanca, San Esteban, 1963.  G. Barzaghi, Lo sguardo di Dio. Saggi di teologia anagogica, Siena, Cantagalli, 200333.  UniPdL’eternità dell’essente  RaiScuola: Giuseppe Barzaghi. Dio e il concetto filosofico…  Si veda ad esempio: E. SeverinoG. Barzaghi, L’alterità tra mondo e Dio: la verità dell’essere e il divenire, in: “Divus Thomas” 3 (1998),  57-81.  E. Severino, Nascere. E altri problemi della coscienza religiosa  Dialogo Severino-Barzaghi a Milano  Giornata di studio dello Studio filosofico domenicano di Bologna  RaiCultura. Giuseppe Barzaghi, Dio e il concetto filosofico di eternità del Tutto su raicultura. Interviste ai filosofi: Giuseppe Barzaghi su youtube.com. Giuseppe Barzaghi. Keywords: scuola di anagogia, ana-gogia, il quadro anagogico, anagogia, greco ‘anagogia’. Implicatura storica, la porta di velia, girgentu, l’implicatura di milesso, il segno di boezio, filosofia italiana. Scuola di anagogia, Bologna, fidanza, Aquino, filosofia romana, carneade, l’ambassiata greca a Roma, filosofia, la scuola di Crotone, l’impicatura di Gorgia di Leonzio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barzaghi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790037784/in/dateposted-public/

 

Grice e Barzellotti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “The good thing about Barzellotti’s treatment of Cicerone’s dialettica is that he pours in all his expterise on two fields: Italian mentality, Roman mentality – so he can understand, in a way an Englishman cannot, the way Cicerone dealt with the ‘dialectic,’ Athenian dialectic, if you wish, and turned it into a ‘Roman’ dialectic --. He of course never considers English interpreters, only German! And refutes them!” -- “You’ve got to love Barzellotti – he is critical of the idea of ‘Italian philosophy,’ but not of what he calls ‘The Oxcford school of philosophy,’ – Philosophy has no country-tag; she belongs to humanity; a DOCTRINE, or a school, may have a ‘national’ identification – And part of the problem with Italian philosophy is that there was Italian philosophy before there was Italy!” Grice: “My favourite is his tract on Cicero, who he sees as an Italian!” -- Senatore del Regno d'Italia nella XXII legislatura. Allievo di Terenzio Mamiani e di Augusto Conti, entrambi filosofi spiritualisti, si professò poi seguace del Neokantismo. Si interessò soprattutto alla storia della filosofia con particolare riguardo ai problemi di psicologia artistica e religiosa. Ebbe la cattedra di Filosofia morale alle Pavia nel 1881 e di Napoli, nel 1887. Nel 1896 divenne professore di Storia della filosofia all'Roma. Fu ammesso all'Accademia nazionale dei Lincei nel 1899. Nel 1908 fu nominato senatore del Regno d'Italia.  Fu iniziato in Massoneria nella Loggia Concordia di Firenze, appartenente al Grande Oriente d'Italia.  Altre opere: “La morale nella filosofia positive” (Firenze: M. Cellini); “La rivoluzione italiana” (Firenze: Successori Le Monnier); “La nuova scuola del Kant e la filosofia scientifica” (Roma: Tip. Barbera); “David Lazzaretti di Arcidosso (detto il santo), Bologna: Zanichelli);  “Monte Amiata e il suo profeta, Milano: Fratelli Treves); “ “Santi, solitari, filosofi: saggi psicologici” (Bologna: Nicola Zanichelli); “Studi e ritratti, Bologna: Zanichelli); “Taine, Roma : Loescher); “L'opera storica della filosofia, Palermo: R. Sandron). Note  Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, 200526.  Virginia Cappelletti, Giacomo Barzellotti, in Dizionario biografico degli italiani,  7, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970. 20 novembre . Giacomo Barzellotti, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1930, giacomo-barzellotti. 20 novembre . Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Giacomo Barzellotti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giacomo Barzellotti  Giacomo Barzellotti, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giacomo Barzellotti, su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Giacomo Barzellotti, su accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca.  Opere di Giacomo Barzellotti, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Giacomo Barzellotti, .  Giacomo Barzellotti, su Senatori d'Italia, Senato della Repubblica.  Filosofia Filosofo del XIX secoloFilosofi italiani Professore1844 1917 7 luglio 19 settembre Firenze PiancastagnaioAccademici dei Lincei. Se questa ricostruzione, che vengo tentando, del movimento filosofico nella seconda metà del secolo XIX in Italia,dovesse rigida mente obbedire alle leggi di una storia della filosofia,alcuni scrit tori,che rientrano nel nostro quadro,ne andrebbero certamente esclusi. Lo notammo a proposito di T. Mamiani;e torna opportuno dichiararlo per Giacomo Barzellotti. La prima legge della storia della filosofia è, che il suo oggetto è costituito dal pensiero filosofico, ossia dalla metafisica, o concezione della realtà, che voglia dirsi.E però non potranno far parte di essa gli spiriti che a questa conce zione non abbiano comunque lavorato,o che non ne abbiano sentito il bisogno o che non ne abbiano avuto le forze. Il Mamiani non ne ebbe le forze, benchè vivamente desiderasse di pervenire a una filosofia, e ben presto creasse a se medesimo l'illusione di esservi pervenuto. Il Barzellotti pare invece che non abbia sentito il biso gno ; e, ingegno letterario anche lui, abbia cercato nell'attività este tica piuttosto che nella speculativa il vanto di scrittore : più accorto in ciò e sia detto a sua lode del Mamiani, che per voler essere quel che non era, non fu nè anche quel che fino a un certo segno,avrebbe potuto essere. Il Barzellotti, invece, è stato uno degli scrittori italiani più noti e più letti dell'ultimo trentennio del secolo: il suo nome può dirsi a buon dritto che sia divenuto popolare : il solo forse tra quelli di scrittori di cose filosofiche. Chi non ha letto i due volumi di saggi pubblicati dallo Zanichelli : Santi, solitari e filosofi (1) e Studi e (1)Santi, sol.efil., saggi psicologici, Bologna, Zanichelli,2.a ediz.,1886. ritratti?(1).A questa popolaritàegliappuntoaspirava,consciodelle attitudini del suo ingegno; e ha messo da parte i problemi, a cui non era nato. Li ha messi da parte come fanno tutti quelli che limettonodaparte,--negandon e il valore. Ma nell'averlimessi intanto da parte per suo conto è il suo merito e il segreto della sua fortuna letteraria. Rileggiamo una confessione, che è nella prefazione ai Santi, solitari efilosofi: « Più d'una volta al sentirmi chiedere quasi come tessera d'ingresso ai posti distinti dell'insegnamento o al favore di certi cenacoli letterari o filosofici una di quelle professioni di fede assoluta nei dommi di qualche sistema,ho pensato involontariamente a quelle domande che le signore fanno spesso nei giuochi di sala o nei loro albums profumati, mettendo vi in mano illapis per la risposta:-- Guardi, mi faccia ilpiacere di dirmi o di scrivermi qui, subito,che cos'è l'amore,e poi che cosa ella pensa dello Shakespeare epoianche,secrede, del Goethe;ma chelarispostasiabreve,la prego,non più che dieci righe,perchè,quaggiù,vede,ha da seri vere anche la mia nipotina ». Vale a dire:il Barzellotti ha bensì aspirato ai posti distinti dell'insegnamento filosofico.C'era avviato,era quella la sua car riera:e l'ha percorsa ormai tutta con onore,fino alla cattedra di storia della filosofia nell'università di Roma ; ma egli non ha potuto mai persuadersi che per occuparsi di filosofia bisognasse aver fede assoluta in un sistema:che per mangiar frutta,direbbe Hegel, bi sogna contentarsi di mangiare ciliege,pere,uva ecc.Non che pro prio abbia ricusato la filosofia, in generale. La sua filosofia l'ha avutaanche lui; ma «diametralmente opposta» aquelladichigli venne sempre chiedendo a qualesistemaegliaderisse;opposta «appunto in questo: che il suo resultato più sicuro, e ormai consentito da quanti oggi vivono la vita intellettuale dei nostri tempi, si è la dimostrazione critica dell'impossibilità di chiuder la mente umana inunaforma sistematica d'interpretazione dell'universo da potersi dire definitiva per la scienza».Un'opposizione,come puòvedere chiunque abbia studiato con mente filosofica la storia della filosofia, affatto illusoria:fondata sopra quella confusione dell'universale e del particolare (per rispetto al concetto della filosofia) messa in canzonatura da Hegel nel luogo citato dell'Enciclopedia. In realtà, nessuna forma sistematica ha voluto mai essere definitiva; ma s'è (1) St. e ritr., ivi, 1893. sforzata di organizzarsi a sistema, per essere qualche cosa di filoso fico, per vivere nel pensiero, che non può esser pensiero senz'esser uno. E lo stesso Barzellotti nota una volta che perfino il Kant,il grande avversario dei sistemi,costrui anche lui la sua Critica in forma complicata ma strettamente organata di sistema. E che questo orrore dei sistemi significhi, pel Barzellotti,non negazione critica della metafisica (com'egli, si vedrà,avrebbe voluto significasse), ma, a dirittura, liquidazione,anzi evaporazione della filosofia, negata nella sua universalità perchè negata in tutte le sue forme particolari;loattesta,non foss'altro,ladichiarazioneseguente: che il valore intimo di cotesta sua superstite filosofia « sta tutto nel penetrar ch'essa fa oggi del suo spirito critico i metodi e la parte più alta delle scienze naturali e matematiche non meno che delle morali».Sit diva, dum nonsitviva.L'ideale delfilosofo,Helm holtz (tante volte citato dal Barzellotti): un fisico. Voltando,quindi,in effetti le spalle alla filosofia,ilBarzellotti sentiva bene di non dover riuscire ostico ai nemici della filosofia, ossia agl'ignoranti di filosofia. Le sue idee intorno a questo punto della secolarizzazione delle menti, riescono molto interessanti e istruttive, perchè aiutano a intendere tutta la psicologia dello scrit tore:« Tra noi in Italia,oggi,lo so da lunga esperienza,solo a far balenare un momento sul frontespizio d'un librolatestadifilosofia c'è da vedersi impietrar davanti dallo spavento o dalla noia quante facce di lettori s'eran chinate a guardarlo ». Di chi la colpa ? Della filosofia o dei lettori? Il Barzellotti avrebbe una gran voglia di gettarla tutta addosso alla prima ; m a poichè una certa filosofia deve credere di coltivarla anche lui,una filosofia invisibile perchè cela tasi nelle scienze speciali o nell'arte, un pochino di colpa l'ha pur da dare ai lettori, lamentando « quell'abito come lo chiamerò d'antipatia o di pigrizia mentale? – che nella scienza e nell'arte ci fa rifuggire dalle forme più alte e più complicate del pensiero, che ci sanno di aspro o di esotico ». Ma , s'intende, il maggior torto è della filosofia: È l'effetto del discredito meritatissimo, in cui la filosofia cadde tra noi parlando per tanto tempo il gergo barbaro del pensare e dello scri vere di troppi ormai che ne hanno fatto una casistica da medio evo in ritardo,e che,o predicassero dal pulpito delle nostre scuole ortodosse,o negassero Dio e l'anima mettendo in cattivo italiano i loro imparaticci francesi, inglesi o tedeschi, hanno nella filosofia impedito tra noi quasi sino ad oggi quella definitiva secolarizzazione delle menti che per tutto fuori di qui segna da un pezzo l'avvenimento della cultura moderna. In Italia,un lettore che abbia familiare l'abito di mente inseparabile dalla cultura e dalla scienza contemporanea,è raro che,aprendo per distra zione o in mancanza d'ogni altra lettura,un libro di filosofia,non lo faccia con quello stesso viso con cui un giornalista della capitale si la scia,in viaggio,dare le ultime notizie di una crisi ministeriale da un suo corrispondente di Cuneo o di Brindisi.E avrà anche torto;ma che dire,quando il fatto stesso del mancare tra noi un pubblico di lettori per la filosofia mostra chiaro che in Italia la filosofia non sa,meno rare eccezioni,farsi leggere,cioè non sa pensare e scrivere,non voglio dire coipiùepeipiù,ma almeno coipiùcolti,con coloro che pensano;il che poi significa ch'essa non vive ancora tra noi la vita della mente contemporanea? La filosofia, per vivere la vita di questa mente contemporanea, deve abbandonare il suo barbaro gergo. Si potrebbe pensare dataluno che l'unico movimento di qualche vigore che si sia avuto in Italia negli ultimi tempi,è quello hegeliano di Napoli. Ma quello, secondo il Barzellotti, riuscìpiùascuoter elementi,chea fecon darle di germi durevoli,a cagione appunto della sacra tenebra delle formule, nella quale i più di quegli scrittori s'avvolgevano, del gergo tra barbaro e bizantino che facevano parlare al loro pensiero oracoleggiante (1). Ma, che cosa è questo gergo e quest'oracoleggiare se non la forma specifica della filosofia,inaccessibile,naturalmente, non solo ai più, ma anche ai più culti, quando la loro cultura non abbracci anche la filosofia; e la filosofia non liquida o vaporante nellasuaastrattauniversalità,ma solidaeconcretanellasuccessione progressiva delle sue forme storiche, fino a quella, alla quale una determinata ricostruzione della storia mette capo? E la secolariz zazione dello spirito, e il farsi leggere della filosofia che altro p o s sono significare se non distruggere quella differenza specifica che costituisce il valore del grado spirituale proprio della filosofia ? Intendiamoci: non già che il filosofo debba scriver male. Il Barzellotti dice della Vita del Vico che « ha dal lato letterario il difetto di tutti i libri delgranfilosofo: èmalescritta»(2). E non è vero,com'è vero invece che è « mal composta,oscura,involuta ). Oscuro e involuto rimase appunto gran parte del pensiero delVico; e quindi l'oscurità e l'involuzione della forma. Ma il Vico scriveva benissimo,esprimendo con efficacia potente d'immagini i (1) Vedi lo scritto Il pessimismo filosofico in Germania e ilproblema m o . rale dei nostri tempi, nella N. Antologia del 1.0 maggio 1889, p. 56. (2) D a l r i n a s c i m e n t o a l r i s o r g i m e n t o , P a l e r m o , S a n d r o n , 1 9 0 4 , p . 2 0 1 . suoi concetti; ma,s'intende,quando avevadeiconcetti:laddoveè certo, come lo stesso Barzellotti dice, che a lui mancò « la co scienza chiara, luminosa del proprio pensiero, che è la parte prima ed essenziale dello scrittore ». In altri termini, egli non pervenne alpossessocompletode'suoiconcetti,parecchideiquali,enon i secondarii, rimasero in uno sfondo di penombra in quella gran mente che così largo giro ne volle stringere nella sua speculazione, sbozzata con persistente lavorìo intorno a una materia non veramente omogenea,tradistoriaedifilosofia.IlVico scrive male dove e in quanto pensa male ; e questo è il Vico che non conta nella storia. Ma ilVico che conta, il filosofo vero e proprio è uno scrittore sommo.E non potrebbe essere altrimenti,perchè l'arteelafilosofia non sono due muse sorelle,ma l'unico Apollo,lo spirito,che non sale alla filosofia se non attraverso l'arte, e non supera mai se stesso, come avvertì per primo Aristotile, se non conservando se stesso, crescendo sempre sopra disè.– Chiscrivemale,perciò,appunto perchè scrive male non è filosofo. Ma lo scriver bene del filosofo non è lo scriver bene del poeta;altrimenti verrebbe meno la differenza, tra l'uno e l'altro, che nessuno vuol negare. E comeil poeta scrive sempre bene se vien poetando, così il filosofo scrive bene anche lui se, anzi che pensare a scriver bene, pensa piuttosto e riesce a filosofare, anche a costo di finire per ravvolgersi in un gergo. Non c'è pure il gergo della poesia? O non era poeta chi diede l'espressione classica della impopolarità essenziale delle forme alte dello spirito nell'odi profanum vulgus? Pel Barzellotti,invece,il filosofo può farsi leggere,se si contenta di metter da parte la filosofia. Nella menzionata confessione, premessa ai Santi, solitari e filosofi (1), lo dice chiaro : « lo vorrei, senz'aver l'aria di presumer troppo,poter dire press'a poco quello che un amico mio diceva ai lettori d'un giornale,annunziandovi la prima edizione del Lazzaretti: perdonate a questo libro quel po' di filosofia che l'Autore ci ha voluto,a ogni costo,mettere (giacchè patisce, poveretto!,diqueste malinconie);perdonateglielaingrazia di quel tanto dipiùedimeglioche illibro visaprà farpensare oviracconteràovidescriverà come opera d'arte».Vedremo fra pocoinche consiste quel po' di filosofiadacuiilBarzellottinon s'èvoluto mai distaccare;ma non bisogna dimenticare,che quel che di più e di meglio egli ha inteso di mettere ne'proprii scritti (1) Santi, p. 52 n. Perchè dunque parliamo qui del Barzellotti, e in questa parte dedicata ai platonici Ecco: queste note, senza voler essere propriamente una storia,mirano piuttosto a rivedere criticamente i giudizii correnti intorno agli ultimi scrittori italiani di filosofia. Ora il Barzellotti, per giudizio comune, avrebbe partecipato al movimento dei nostri studii filosofici, e avrebbe agito nella cultura nazionale appunto come filosofo. Domandate ai suoi molti lettori se egli sia uno scrittore di filosofia o un prosatore, un artista; novantanove su cento vi risponderanno che è sì un artista,ma un artista-filosofo, o meglio un filosofo-artista; uno dei pochi, o il solo dei nostri filosofi, che abbia saputo liberare la scienza della forma pedantesca della scuola e del barbarico gergo abituale, per esporla in saggi eleganti, ossia in maniera accessibile a tutte le persone colte e di gusto. Ripeterebbero, insomma, quel che il Barzellotti stesso ha sempre pensato e detto di sé. Perchè, bisogna pur dirlo, niente riesce più a render perplessi e a sviare igiudizii,di questa specie di sofisticazioni della scienza,operate dai secolarizzatori o popolarizzatori della medesima. Il po ' di filosofia viene apprezzato non in ragione del suo valore,che può esser nullo,ma in ragione dell'arte, in cui si diceepuò parere che si siamesso; l'operad'arte,egual mente, non è giudicata con tutta la severità che si userebbe verso le opere di arte pura, che non avessero quella difficoltà di una materia ribelle all'elaborazione artistica; e i critici letterarii, inetti a giudicare quel po'di filosofia, indulgono a quell'arte gravida o s a z i a d i s a p e r e. Perchè , s e h o d e t t o c h e il B a r z e l l o t t i è u n a r t i s t a p i ù che un filosofo,non credo poi (se mi è lecito proprio questa volta una digressione letteraria (1)) che possa dirsi un artista finito, e che il suo capolavoro (ilLazzaretti) siaun capolavororiuscito. È ilmeglio riu scito di questi suoi tentativi artistici, pel senso vivo del paesaggio e dell'anima popolare di quell'angolo della Toscana, in cui il B a r è al di qua della filosofia: è qualche cosa che può far pensare,una riflessione morale e psicologica;è soprattutto opera d'arte.Dello scritto su David Lazzaretti, che può forse considerarsi come il ca p o l a v o r o d e l B a r z e l l o t t i , il q u a l e i n e s s o si p r o p o s e b e n s ì d i f a r e u n o studio di psicologia religiosa,lo stesso autore dice che « vorrebbe essere,se pure non pretende troppo,un'opera d'arte,ma senzadar nel romanzo ».(1) Vedi in questo fasc. l’art. del Croce, pp. 337-8. zel lot ti era vissuto fanciullo, e tornato spesso a rinnovare le sensa zioni dei primi anni.Ma anche lì quel po'di filosofia come stuona in quell'ambiente pastoraleenell'ingenua psicologiadel misticismo lazzarettiano! E come appiccicato è lo studio sull'origineelosvol gimento e i caratteri di quel moto religioso sulla cornice dell'im mediata azione, in cui l'autore l'ha voluto inquadrare, per aver agioa descrivere meglio iluoghi,che furono scena dei fatti del Lazzaretti,e individuare itipi de'suoi seguaci!L'azione, troppo povera,è una gita di caccia,a cui l'autore per altro non partecipa, restando sempre in disparte ad almanaccare sull'anima del barocciaio di Arcidosso.Dopo la caccia c'è una colazione,sull'erba;e alacolazione questa volta pare pigli parte anche il Barzellotti Ma quale parte? Egli titrova nel cerchiounuomo del paese, Filippo, il,bigonciaio, un discepolo del Lazzaretti ; e subito ne profitta, dicen dogli che avrebbe avuto caro di sapere « molti particolari intorno aDavid e alla vita che i suoi seguaci avevano fatto con lui in quelluogo »,lisulla torre di Monte Labbro.Il lettore,nemico della filosofia, a cui il Barzellotti s'indirizza, s'aspetterebbe la conversa zione dell'autore con Filippo,il quale dovrebbe farci entrare a poco a poco con i suoi ricordi in tutto quel mondo morale che l'autore civuolrappresentare.Difficileimpresa,certo;ma soloachi,come ilBarzellotti,non avesse davvero il suo Filippo rivelatore vivo e parlante nella fantasia; sibbene gli scritti del Lazzaretti,gli appunti delle relazioni fornitegli da amici del luogo,le deposizioni dei lazza r e t t i s t i, e p o i i v o l u m i d e l R e n a n , e l e o p e r e d e l l ' H a r t m a n n e q u a l che fascicolo del Nineteenth Century sul tavolino. Il Barzellotti,che pure ha scritto un bel saggio sulla sincerità nell'arte,in quel punto della sua opera non si ricorda di quelle sue giustissime idee : e dopo aver detto come inducesse Filippo a parlare,continua : « Mi rispose con un leggero atto della testa che acconsentiva,e ci mettemmo tutti amangiare ».Ma alla conversazione non ci fa assistere.«E ora mi pare da vero tempo che anche i lettori conoscano per :filo e per segno i fatti cui ho accennato tante volte, e li conoscano, quello che più importa,in ordine alle loro cause e alle condizioni sociali e morali de'luoghi, o, come oggisidice, dell'ambiente nelquale ebbero origine ».E segue infatti il corpo,per dir così,dello studio sul Lazzaretti: centoquaranta pagine (1), in cui Filippo e la colazione sondimenticati.Poi l'autoreripiglia:«Questecosemi andavano per la mente cinque anni dopo la morte di David mentre co'miei (1) Santi, pp. 121-262. amici stavo nel piazzale davanti all'eremo di Monte Labbro.Passato quel silenzio profondo dei primi bocconi. »;– e torna a saltar su finalmente Filippo,che però il B. non ci fa mai udire.Sicchè nel l'immaginazione dell'artista durante quella colazione,oltre che per tutte le considerazioni seguenti sul carattere della fede di Filippo, ci sarebbe stato il tempo per andar pensando a tutte quelle 140 paginediroba! L'elementodescrittivoedrammaticorestaaffatto estraneo e sovrapposto allo studio storico-psicologico. E questa so vrapposizione,questa mancanza di fusione,che accuserebbe per sè, quando non vi fossero le dichiarazioni esplicite dello scrittore,le sue preoccupazioni artistiche, mentre egli realmente non si mette mai inunasituazionesinceramenteartistica,sonoilmaggiordifetto che io vedo in questi suoi tentativi d'arte.- E un altro mi sia lecito anche notarne,che è in fondo una conseguenza del primo,e mi fa tornare al mio soggetto speciale: la lungaggine, la prolissità dello scrittore:difetto da lui stesso additato come uno degli effetti più gravi della rettorica, della vuotaggine di gran parte della lette ratura italiana. « Solo chi ha poco o nulla da dire dice sempre di più di quello che dovrebbe dire »(1).Appunto,la esiguità del con tenuto spirituale del Barzellotti gli ha fatto scrivere molte e molte pagine a cui s'attagliano parecchie delle osservazioni da lui fatte intorno a cotesto difetto della letteratura italiana, dominata dallo ideale umanistico.Non c'è scritto di lui in cui sia detto breve e chiaro quello che l'autore s'è proposto di dire;e spesso si stenta ad afferrare il suo concetto, tra le molte parole non abbastanza precise e determinate,in cui egli si sforza d'esprimerlo,cioè di concretarlo,quasi per una serie di approssimazioni al pensiero, che non si riesce afermare inuna formavivente.Tipica,per questo riguardo,mi sembra la prolusione letta a Napoli nel 1887:La morale come scienza e come fatto e il suo progresso nella storia (2). E valga per esempio questo squarcio,che ne tolgo a caso: Perchè è bene che io lo dica fin da ora,o signori,anche a titolo di quella schietta professione di fede scientifica che mi pare d'esser tenuto a farvi qui.Il modo in cui io concepisco la legge intima dell'organismo e della vita delle scienze morali o,meglio,delle scienze che io chiamo più propriamente umane,e quindi dell'etica,che se ne può dire quasi il centro, non è quello stesso che pare presupposto da quanti oggi ponendo, (1)Dal rinascimento al risorgimento, p.206. (2)Rivista ital.difilos.del FERRI, a.I, vol.II(1887), pp.3-33. con ragione, l'esperienza a fondamento di tutto il sapere umano,non di stinguono con qual divario profondo il processo di costruzione ideale del pensiero scientifico sui dati sperimentali si faccia nelle dottrine naturali e in quelle morali e storiche. Là l'ufficio, l'opera della scienza sta nel ritrarre, nel rilevare a uno a uno, sino a i piùintimi, i tratti della fisonomia eternamente immota e impassibile della natura, che anche nel l'inesausta ricchezza delle sue produzioni, ripete eternamente se stessa; stanel far penetrare,se posso dir cosi,la parola,più e più criticamente riveduta delle teorie e delle ipotesi,quasi scandaglio che tenti un fondo impossibile però a toccare mai tutto,sempre più verso l'ultima espres sione approssimativa di un vero che, inesauribile in sé,sappiamo però essere e durare ab eterno eguale a sè stesso. Ed ecco perchè, una volta messe queste scienze sulla via maestra del metodo sperimentale, e fu, o «signori, merito imperituro dellafilosofiadelsec.XVI, latradizione del l'acquisto lento, faticoso, ma sicuro del vero,vi si stabili con una fermezza che non ha pur troppo riscontro alcuno nella storia delle scienze del l'uomo e della società. In questa l'opera ideale costruttiva,la funzione che vi ha il pensiero scientifico di assimilare a sè il vero dei fatti sperimentati e osservati e di trarlo quasi in sostanza sua, è, mi pare, tutt'altro. È un farsi, uno svol gersi della vita e dell'organismo riflesso della scienza insieme con quello spontaneo del vero umano e sociale che si spiega,che fluisce inesauribilmente ricco, fecondo e vario ne'secoli.E l'occhio delle scienze morali, intento a scrutarne le leggi,è simile a quello di un osservatore che da punti di prospettiva via via sempre nuovi studiasse, camminando, le forme,le proporzioni e la direzione di un'immensa folla di oggetti che gli simostrano dinanzi. Sbaglierò; ma a me pare che, tolti i fronzoli e i particolari inutili, il pensiero adombrato in tutta questa pagina sarebbe stato espresso forse più chiaramente, se si fosse detto press'a poco così: lescienzemoralisifondano,alparidellescienzenaturali,sul l'esperienza;ma siccome la natura è sempre quella, el'uomohauna storia, le verità scoperte dalle scienze naturali hanno una stabilità e fermezza incompatibile con quelle via via determinate dalle scienze morali, alle quali spetta di seguire il processo storico del loro o g getto. Egli è che al Barzellotti, mente coltissima, è mancata proprio quella qualità ch'egli è andato sempre cercando:l'intimità,il con tatto dell'anima con le cose. Quindi l'artifizio e lo stento,la forma levigata, elegante,ma alquanto vuota e sonora. Le sue professioni difedefilosofica,percuilodovremmo aggregareaineokantiani, sono semplici adesioni formali, spesso ripetute con la premura di chi tiene ad apparire spirito moderno, del proprio tempo (come (1)Nella N. Antologia del 15 febbraio 1880,pp.591-630. (2)Fil.sc.ital., 1878,XVIII,42-3.(3)Pag.38n. egli ha detto di sè tante volte); ma non corrispondono a una par tecipazione effettiva della sua mente ai problemi critici e morali, ridestati dal ritorno a Kant.Lo scritto,che secondo lo stesso Bar zellotti, dovrebbe essere più significativo per questa sua adesione al criticismo (La nuova scuola del Kant e la filosofia scientifica contemporanea in Germania ) (1); e al quale egli infatti s'è riferito ogni volta che ha voluto documentare l'affermazione sul suo in dirizzo di pensiero,è un'esposizione informativa,condotta innanzi senza un indizio di vero consenso, che le considerazioni dei neo kantiani trovassero nell'anima dell'autore. E quando verso la con chiusione questi dice che « la natura relativa d'ogni nostra cogni zione sensata è inconciliabile colla pretesa che ha il dommatismo di determinare positivamente l'essere delle cose in se stesse, di poter penetrare sino alle sostanze e alle forze ch'egli suppone al di là de'fenomeni » non puoi dire sicuramente se questo sia il pensiero di chi scrive,o il pensiero di quegli scrittori di cui que sticihaparlato. Meno che meno potresti cogliere ilpensierodel Barzellotti nel suo precedente scritto La critica della conoscenza e la metafisica dopo ilKant (1878-79), lavoro prevalentemente storico, per cui l'autore si attiene più alle storie del Fischer e dello Zeller, che alle fonti originali.In una storia dell'idealismo postkantiano,di cui questo scritto voleva essere un saggio (ma si arrestò allo Schelling), un n e o k a n t i a n o v e r o n o n p u ò n o n f a r apparire i s u o i c r i t e r i i filosofici; e non c'è sforzo d'oggettività storica che possa fargli dire che l'interpetrazione realistica (a cui tenne sempre più fermamente lo stesso Kant) della critica risponde alla lettera del kantismo,e l'interpetrazione idealistica del Maimon,del Beck,del Fichte, ri sponde piuttosto allo spirito. Un neokantiano non avrebbe scritto che il concetto realistico del noumeno (come qualche cosa che è in sè,indipendentemente dalle forme del conoscere,ed opera sui sensi)è in Kant un residuo del dommatismo antico che la Critica non era mai riuscita a spogliarsi interamente, e che stuonava coi risultati negativi e idealistici della dottrina della conoscenza;e che era una contradizione (2): un pensiero non pienamente consentaneo a se stesso in ogni sua parte (3).Al Barzellotti il partito di superare idealisticamentelaCritica,come feceilFichte,dopol'Enesidemo, pare «ogni giorno più,non che consigliato, imposto inesorabilmente dalla necessità logica che trascinava le dottrine del Kant alle loro ultime conseguenze» (1).– Ma tutto questo è detto,anziripetuto, non con l'accento energico di una convinzione maturata per proprio conto;sibbene con quella stessa indifferenza che è propria di chi osserva da spettatore assolutamente disinteressato. Che cosa pre cisamente debba pensarsi di quel benedetto noumeno,che è lo spettro pauroso dell'idealismo moderno,non sembra che sia affare che tocchi l'animo del Barzellotti: il quale potrà dirsi a sua voglia neokantiano(2);ma nonfarà mai ilneo-kantiano,perchè non sen tirà mai veramente il problema filosofico. E non ha fatto quindi nè anche ilplatonico,benchè all'indi rizzo dei platoneggianti italiani egli si accostasse ne'suoi scritti gio vanili,il principale dei quali è la tesi Delle dottrine filosofiche nei libridi Cicerone (1867),in cui si vede ancora lo scolaro di A. Conti edi T. Mamiani.Egli doveva pensare anche a sè quando,discor rendo della Filosofia delle scuole italiane,— della quale fu sempre uno dei compilatori ordinarii,e se ne poteva dire la sentinella avan zata verso le letterature filosofiche straniere,di cui scriveva una cronaca;– disse: «I collaboratori di quellaRivistahannopienali bertà di pensiero e di discussione ; anzi varii tra di essi professano dottrine molte diverse da quelle del Mamiani ; ma si raccolgono intorno a lui come al rappresentante più autorevole di quel moto speculativo,che aiutò il nostro risorgimento e ci riscosse da una inerzia intellettuale di più che due secoli » (3). Anche al Barzellotti, insomma,piaceva di essere un filosofo delle scuole italiane,insieme col Mamianielasuaonrevolgente.Anche aluipareva,p.e.,che il«merito innegabile della scuola hegeliana(diNapoli)apparirebbe maggiore allo storico imparziale,se essa avesse tenuto più conto delle disposizioni naturali e tradizionali dello spirito italiano » (4). Egli dunque si mise nella schiera del Mamiani ; e io non potevo staccarnelo, non avendo potuto trovare ne'suoi scritti la dottrina filosofica sua, che ne lo separasse. (1) Pag. 45 (2)Vedi specialmente le proteste nella pref, ai Santi,p.xxm n. (3) La filosofia in Italia, nella N. Antologia del 15 febbraio 1879, p. 630 (4) Ivi,p.639. (1) Nella Rivista difilos,scientifica, 1882,vol.I,pp.496-525. (2 ) P a g . 4 9 8 . (3) Cosi nel libro sul Taine qui appresso cit.,p. 168 dirà sempre : « La dot trina idealistica chefa del mondo sensibile esterno un mero ordine di fenomeni e di segni datici dalle sensazioni, debba dirsi, per ora almeno, l'ultima parola della scienza, venuta a confermare la parte indubbiamente vera delle teorie del Berkeley e del Kant ».Vedi poi l'articolo su L'idealismo di A. Schopenh. e la sua dottrina della percezione, nella Fil. dellesc.ital.,1882, XXVI, 137-65; la cui conclusione favorevole ai filosofi che « tempo e spazio accolgono in se elementi , a u n t e m p o , ideali ed empirici, subbiettivi e  obiettiv i , h a n n o il l o r o e s s e r e e la loro legge così nel pensiero come nelle cose,così in noicome fuori di noi – non vedocomepossaacc larsiconl'idealismoberkeleiano!Masipuòpar lare di contraddizione ? (4) Credaro nel Grundriss di UEBERWEG-HEINZE,I,1,364. ( 5 ) C f r . L a m o r a l e c o m e s c i e n z a e c o m e f a t t o , n e l l a R i v . i t a l . d i f i l o s ., 1887,II,15-16elapref.aiSanti,p.xxi n. Nella prolusione con cui iniziò a Pavia il suo insegnamento ufficiale universitario, nel 1881, Le condizioni presenti della filosofia e il problema della morale (t), puoi ravvisare tutto lo scrittore. Ivi più schietta la professione di fede neo-critica: l'idealismo da Fichte a Hegel accusato non solo di aver voluto costruire luni verso da un sol punto, con un solo principio assoluto,ma di avere altresì dimenticato « quello che le aveva lasciato detto il maestro, che cioè,se i fatti senza le idee sono ciechi,queste alla lor volta, non cimentate coll'esperienza, riescon vuote e ingannevoli » (tra vestimento del genuino pensiero kantiano e disconoscimento del genuino pensiero hegeliano); la riflessione filosofica definita per artifizio(2); approvato- comegià nella Morale della filosofia positiva (1871)– l'indirizzo psicologico-sperimentale dato dagl'inglesi alla filosofia dello spirito; fatto buon viso alla loro teoria della re latività del conoscere (dove l'autore vede un kantismo ricondotto addietro fino a Berkeley (3); dato corpo in certo modo a quella specie di eccletismo, che gli è stato talvolta attribuito (4), e a cui egli stesso in alcuni scrittisi può dire che abbia accennato parlando di una mediazione tra il criticismo e l'evoluzionismo (5); rifatta un'altra volta la storia del ritorno a Kant, nonchè della scuola spe rimentale inglese,per conchiudere che oggi il filosofo « non prova più in sè quello che pure era,ed è tuttora,così proprio de'meta fisici, il sentimento superbo di un preteso primato sui cultori dell altre scienze, la vana persuasione di potersi segregare da loro nella solitudine di un infecondo sapere assoluto, superiore alle indagini pazienti de fatti e all'esperienza, e ambizioso di tutto darle, senza nulla riceverne ». Qui si abbandona,come ognun vede, esplicitamente l'eterno proposito della filosofia. Niente di superiore ai fatti e all'esperienza. Il filosofo non deve aspirare se non,come tutti gli altri scienziati,a fornire col proprio lavoro alcuni pochi tra gl'infiniti dati, tra le infinite verità d'esperienza e di ragionamento a c cessibili alla mente umana nel suo sublime tentativo d'interpretare l ' unità delle cose e delle loro leggi. Nien t ' a l t r o c h e d a t i ! Non c e r t o «un'assolutadisperazionedelvero»,ma «una fede assai condizionata nel valore di quelle forme del vero che la mente umana accoglie in sè successivamente »; un « abito di mente critica inquisitiva per eccellenza, che non riposa mai o quasi mai in una conchiusione, che rifà di continuo i proprii convincimenti ». Abito di mente, insomma,da spettatore,non da artefice della verità. E chi lo afferma si vede bene che,accortosi della vanità di questo affaticarsi perenne nel tentativo sublime,quanto a sè,intende mettersi da un canto,e stare a vedere.Qui, nella ricerca della verità, non c'è l'anima del Barzellotti.Di questa ricerca egli non vede se non una vita vana,dicui nessuno spirito può vivere.Onde vidirà: l'uomo è nato non tanto a pensare quanto ad operare.E per operare ci vogliono quei saldi convincimenti,che la scienza non può dare. Perciò è che la filosofia non può prendere il luogo delle credenze religiose. Il Barzellotti non dice propriamente perchè, e gira attorno a questo problema,che è dei più delicati circa il valore della filosofia. Ma fa alcune osservazioni,che ritraggono lo spirito dello scrittore. Non tutti possono vivere su principii, che siano il risultato del ragionamento; infiniti sempre attingeranno la norma delle azioni « dal cuore,dall'immaginativa, dalla fede, dalla per suasione affettuosa immediata,da un che in somma non ragionato, m a sentito e i n t u i t o » . C o n t r o c h i c r e d e , c o m e il R e n a n , che p o s s a la scienza un giorno trasformare e governare tutta la vita,bisogna notare che « delle due forme di conoscenza ond'è capace la nostra mente,la concreta e diretta,o vuoi intuitiva, ha sull'astratta e sulla riflessa infiniti vantaggi nella pratica della vita. Se non che,tale appunto quale è,ottimo istrumento e guida all'azione,la conoscenza intuitiva ha in sè questo di più specialmente proprio e suo e d'op posto all'indole del sapere scientifico.; appunto perchè concreta, particolare e attinta dalla viva esperienza e quasi dal contatto delle cose e degli uomini, essa è tutta individuale, e per ciò incomunicabile:più che vera e propria cognizione, potrebbe dirsi un certo tatto finissimo. La scienza stessa., in ciò ch'essa ha in sè di più intimo e d'organico, presa come un tutto che si muove e vive d'una vita inseparabile da quella d'ogni mente che l'ha in sè e l'ha fatta sua propria, riesce non meno individuale e incomunicabile di quello che sia l'intuito, l'arte, l'esperienza immediata,la convinzione istintiva ». Qui n d i l ' i n e f f i c a c i a della scienza ; q u i n d i il segreto della forza delle religioni,che s'impossessano di tutto l'uomo. Perchè la religione abbia quest'afflato, che manca alla scienza, il Barzellotti non dice.E la verità dell'osservazione consiste,a parer mio ,nell'esperienza personale dell'autore, di cui essa deve ritenersi un indizio. È la scienza sua,da cui egli si sente ingombra la mente,non riformata l'anima,che non può cacciar di nido la religione.Se la metafisica, l'alta veduta speculativa investe tutto l'uomo nei grandi pensatori, egli è che il pensatore in fondo è un artista.Onde ilBarzellotti plau dirà al pensiero del Taine (in Idéal dans l'art): « che tra i diversi modi,in cui l'uomo coglie la verità delle cose,il più potente e il più vero è l'Arte.Essa infatti penetra,per dir così,giù sino al cuore del grande organismo della natura,e non si limita a darcene,come falascienza,soloilprofiloesterno,leleggigenerali quantitative,ma ce n'esprime l'intimo senso,ce ne fa sentire nel loro lavorìo se greto le forze vitali, le potenze originarie e germinali » (1). E al Taine tributa la gran lode di aver avuto « anima e mente da ca pire come la scienza,che ci dà solo gli elementi generali e comuni dei fatti e delle cose,non riesca nello studio dello spirito umano a rendercene tutto il vero, se non è compenetrata con l'Arte, che intuisce il particolare, l'individuale, ciò che sfugge all'analisi e al l'astrazione » (2), E l'autore continua : « Qui sta con buona pace dellapedanteriatogataditanticheoggisichiamanodotti– la superiorità dell'Arte,se siagrande e vera, sulla scienza pura, quanto al comprendere l a vita, il c a r a t t e r e e i sentiment i u m a n i . Si può esser certi infatti che nessuno specialista, nessuno scienziato nello stretto senso della parola,arriverà mai a scuotere una di quelle grandi verità della coscienza e dell'ordine morale,che finora sono state trovate tutte dai fondatori di religioni, dai metafisici sommi – artisti del pensieroessipure— daipoeti,dagliscrittori,da co loro che il volgo degl'indotti e dei dotti chiama uomini non p o sitivi » (3). (1)Ippolito Taine, Roma, Loescher, 1895,pp. 191-2. (2) Ivi, p. 149. (3) Pag. 150. E così ci accostiamo al po'di filosofia del Barzellotti: a quel po'almeno, che è la nota metafisica vera e sincera, che risuona nel l'anima sua. E questa nota suona spesso negli scritti del Barzellotti, benchè non sia che una nota.La religione,dice in uno scritto su L'idea religiosa negli uomini di stato del risorgimento (1887), è «qualcosa di analogo all'artee d'irriducibile,per una legge del nostro spirito,ad altre forme della sua vita interiore »: « la cer tezza delle verità religiose venirci dal sentimento e dall'intuito, e appartenere a un ordine affatto diverso da quello della certezza che cipossonodare le dimostrazioni della ragione» (1).– Enellostudio La giovinezza e la prima educazione di A. Schopenhauer e di G. Leopardi (1881): « L'uomo, egli (lo Sch.) soleva dire con parole che esprimono forse l'aspetto più nuovo e più vero della sua filo sofia, ha le sue radici nel cuore, non nella testa » (2). Quindi quel sentimento,che in uno scritto,anche precedente,sullo stesso Schopenhauer, è detto « ormai cessato da un pezzo in Germania; ma dura tuttavia, e cresce nei lettori colti d'ogni paese.: quello del bisogno che tutti abbiamo,ma che in specie gli studiosi hanno di stringersi in più intima armonia colla natura e colla realtà » (3). Questo estetismo o misticismo estetizzante venne al B. dai ro mantici tedeschi,dallo Schopenhauer,oggetto di suoi studi insistenti? Certo non ha che vedere col suo preteso criticismo, che è uno scetticismo ingenuo, appenalarvato. Ma visiriconnettenelsensoche, dimostrandoci il temperamento spirituale dell'uomo, ci fa inten dere la sua naturale avversione alla vera e propria filosofia.Questo estetismo a me pare appunto la tendenza naturale del suo spirito; e non prende infatti la forma dimostrativa e sistematica,che in altri scrittori si atteggia almeno a una critica gnoseologica del natura lismo, dal Barzellotti non mai fatta; ma resta sempre una ten denza, che determina l'indirizzo degli studii del Barzellotti, quando egli trova la sua strada.Più che un concetto pensato e ragionato dalla sua mente,è un carattere reale della sua mentalità:per cui egli si può dire che abbia trovato la sua strada quando ha comin ciatoascrivereisuostudiieritrattiesaggipsicologici,intorno a scrittori,indirizzi di cultura,epoche o popoli:dove non ha certo teorizzato sulla tendenza, che ho detto, ma ha obbedito ad essa, cercando il concreto, l'individuum ineffabile, con l'intuizione del (1) D a l r i n a s c . a l r i s o r g ., p . 163 . (2 ) S a n t i , p . 4 1 5 . (3) Op . cit ., p . 4 0 5  - l'artista, vedendo, come egli disse, « nello studio dell'uomo oltrechè un'arte d'intuito e di divinazione felice,la lenta opera d'una scienza che ormai ha saputo prendere la sua via in disparte dai sistemi »: rimettendo,insomma,in armonia sè con se stesso, riducendo tutta lafilosofiaall'arte, cui natura più lo traeva. Se nonsivogliadire arte,dicasi storia; ma illavoro mentale del Barzellotti non mira al di là della rappresentazione individuale del concreto.E questa è la sua filosofia; la quale ha inteso a «unireilpiùpossibile- egli dice l'arte alla scienza » e « provarsi a ritrovare sui modelli vivi, che danno la storia, le biografie intime e l'osservazione delle cose sociali,quanti più poteva dei tratti veri,parlanti di quell'anima umana, che la scienza delle scuole e delle accademie ci ha per troppo tempo fatta conoscere solo in copie vaghe,generiche,lavorate di fantasia e di maniera »(1). Da S. Agostino al Lazzaretti, dalla psicologia delle tentazioni a quella del pessimismo filosofico, dal Taine al Nietzsche, dallo spi rito paganeggiante del rinascimento alla tempra morale della deca denza, alla religiosità dei nostri uomini del risorgimento, al river bero della nostra anima nazionale nella letteratura, il Barzellotti dall'8o in circa ad oggi si può dire che abbia raccolto tutte le forze della sua mente intorno a particolari problemi storici di psicologia, cercando così attraverso i procedimenti intuitivi dell'arte quella ve rità alla cui visione non s'era potuto elevare col metodo razionale del pensiero speculativo:spargendo, in verità,gran copia di osser vazioni fini ed acute principalmente sulla storia dellaforma mentis, com'egli ama dire, del popolo italiano.Se incotestaarte, peraltro, egli sia riuscito di solito a toccare il segno,non è il luogo questo di ricercare: se dovessi esprimere il mio giudizio,direi che per sif fatte indagini di storia psicologica al Barzellotti manca,per otte nere la rappresentazione piena e viva dell'anima umana,ciò che forma davvero lo storico e l'artista: lo sguardo diretto all'intimo della individualità; la quale non si potrà mai ricostruire,se non s'affisa prima di tutto il centro vitale del suo organismo; laddove il Barzellotti gira troppo con considerazioni e divagazioni generali intorno ai personaggi e agli stati morali presi a studiare.E gli manca altresì, per lo più, quella piena e diretta conoscenza dei particolari, in mezzo ai quali soltanto è dato d'imbattersi negl'individui vivi, in quelle anime vere, che il Barzellotti è andato cercando. (1) Santi, pp. XII-XIII. Di questa sua veduta estetizzante dello spirito umano bisogna ricordarsi per intendere nel loro genuino significato i motivi della comunicazione fatta dal Barzellotti intorno al metodo storico nella trattazione della storia della filosofia al congresso romano di scienze storiche nel 1903 (1): contro la quale insorse il vecchio Lasson in nome della universalità della ragione e della scienza (2). Pel Barzel lotti la filosofia dev'essere rappresentata dallo storico come la filo sofia di una nazione o di un'altra,quale in una certa epoca essa si costituisce in stretta attinenza con tutte le condizioni della cultura circostante, e sulla base degli abiti e delle forme di mente individuali del filosofoo prevalenti nel tempo dilui.E certo una storia per ogni parte compiuta della filosofia non può non tener conto ditutta cotesta condizionalità dei sistemi filosofici; ma ad un patto: che si rammenti non essere la condizionalità, nè qui nè altrove, la realtà condizionata;e quando tutta la cultura contemporanea che agi sullo spirito di Kant sia nota,e tutta spiegata la psicologia per sonale di questo pensatore e del suo secolo,restare tuttavia da in tendere tutta la sua filosofia, in quel che ha di veramente filosofico, ossia di valore universale ed eterno. Qui la verità affermata dal Lasson,edal Barzellotti disconosciuta, per quel suo occhio, fatto per vedere il particolare,cieco all'universale. E poichè l'universale è l'intimità vera delle menti speculative,anche qui ei conferma ilsuo difetto di attitudine vera a penetrare nell'intimo degli spiriti. Egli vede i p e n s a t o r i, e n o n v e d e il pensiero; e però non vede n è a n c h e veramente i pensatori.Ne son prova isuoi molteplici saggi sullo Schopenhauer e sul Kant. Ma il Barzellotti è stato forse letto invano per la cultura intellettuale e morale italiana? Io non credo:non èstato un filosofo, e neanche un artista riuscito; ma è pure stato un nobile scrittore, che ha agitato molte menti e molti cuori intorno a questioni morali e religiose troppo trascuratetra noi; è statoun lucidospecchio di molta parte della cultura filosofica straniera contemporanea;ed è stato un forbito scrittore, imitabile esempio ai pedanteschi filoso fanti italiani degli ultimi tempi. (1) Di alcuni criteri direttivi dell'odierno concetto della storia, che re stano tuttora da applicare pienamente e rigorosamente alla storia della fi losofia, massime di quel periodo che va dal Rinascimento a Kant, negli Atti d e l C o n g r . i n t e r n . d i s c . s t o r . ( R o m a ).  Fra i più malagevoli ufficj della Critica istorica è per certo il determinare come e quanto contribuisca l'inge gno di ciascun popolo alla sua grandezza intellettuale e civile, di quanto egli sia debitore alle tradizioni dei suoi maggiori,o alla civiltà delle nazioni contemporanee; que stione ardua , e più che alla storia appartenente alla F i losofia, perchè risguarda una legge intima ed arcana della natura,onde nell'armonia delle facoltà umane s'avvicenda l'operare e ilpatire,ilconservareeilprodurre,la reve renza alle tradizioni e la libertà dell'ingegno inventivo. Alla difficoltà d'un tale esame,la quale cresce a misura che ci avanziamo verso i tempi più antichi,in cui fanno difetto i documenti e le notizie necessarie ad illustrarne la storia, sono dovuti i giudizj severi di molti critici in torno alle lettere e alla filosofia de'Romani; giudizj che introdotti da un pezzo nelle scuole,e avvalorati dal quasi comune consentimento,negano del tutto o quasi del tutto indole nuova ed originale alle manifestazioni dell'ingegno latino. Gli argomenti che si allegano per sostenere tali sentenze io mi dispenserò dal recarli, e perchè assai noti nella storia delle lettere e della filosofia, e perchè tutti 1   Questa ultima affermazione tanto più è conforme alla storia,in quanto,sebbene la maggior parte dei critici odierni ricusi da un pezzo nome autorità di filosofo al senatore romano , è per altro consentito da tutti che i suoi scritti filosofici si conservarono chiari per benefica efficacia lungo tutta la decadenza delle lettere e delle scienze latine, e per avere mantenuto e trasmesso nei principj dell'Era cristiana, e giù pel Medio Evo le dot trine della filosofia greca alle scuole de'Padri e de'Dottori,  2- concordi nel sostenere che ai Romani , poco atti sin da principio per naturale tempra d'ingegno, e distolti per lunga età dalle intestine discordie, dalla brama del d o minare e dall'esercizio delle armi, e finalmente abba gliati dallo splendore della civiltà greca,mancò una libera disposizione a ritrarre e a creare il vero ed il bello negli esercizj della scienza e dell'arte.(Degerando, Brucker, Tennemann,Ritter,Kuehner ed altri).Ai quali argomenti quando per sè non rispondesse abbastanza la ragione istorica,la quale vieta potersi sempre dedurre da ciò,che un popolo fece in certe condizioni di tempi e di civiltà, quello che in altre condizioni avrebbe potuto e saputo fare; se non mostrasse il contrario la scuola dei Giure consulti,che dalla coscienza del genere umano e dalle forme logiche greche compose con tradizione costante quella scienza del gius costitutrice delle nazioni europee, se l'Eneide emula all'Iliade, Lucrezio maggiore d'Esio do,la Commedia di Plauto,le storie di Livio,di Sallustio, di Tacito, la Satira togata di Giovenale e di Persio, l'Elegie di Catullo non indicassero assai che il genio latino,libero nella imitazione,seppe aggiungere all'ideale del vero e del bello greco un che d'universale e di so lenne, un certo senso pratico e positivo, e un'intima ri velazione degli umani affetti, ignota fin allora ai Gentili e resa più perfetta dal Cristianesimo,io mi restringerei alle sole opere filosofiche di Cicerone,che sono, parmi, una fra le prove maggiori del come la scienza deinostri padri, modestamente operosa, recasse la sua parte alla civiltà universale.   e all'età delRinnovamento.(Ritter,Hist.dela Phil.an cienne,tom.IV, p. 136,e nota 2,Paris, 1858,Ladrange. Kuehner,M. T.Cic.inphil.ejusq.partesmerita.Ham burgi, 1825, P. V. C. IV. Epil.) La storia della Fi losofia ci mostra di fatto che Cicerone fu a’Padri latini molto in pregio,e segnatamente a Lattanzio che lo chiama eccellente, e lo cita nel de Opificio hominis, e nelle In stitutiones divinæ più volte; poi a sant'Agostino che ri conosce dall'Ortensio la preparazione al cristianesimo, e in più luoghi della Città di Dio,e altrove lo cita o ne tira le dottrine; altresì a san Girolamo che tanto l'amò da riferire in una sua epistola il sì famoso castigo avu tone divinamente, poichè, meglio di cristiano, meritava chiamarsi Ciceroniano.Fra iDottori più principali è noto come Boezio togliesse da Tullio il pensiero sulle consola zioni perenni della filosofia, e apparisce lo studio che di questo egli fece sì da'pensieri e sì dallo stile; come san Tommaso ne arrechi l'autorità in più luoghi della sua Somma,comeDante lomeditasse;piùtardinelsecolo decimosesto Erasmo lo esaltava con lodi famose, e nel decimosettimo l'Autore della Scienza nuova attingeva in parte dal libro de Legibus il pensiero d’un gius ideale eterno celebrato nella città dell'universo col disegno della Provvidenza. Ad una fama sì lunga e sì costante, e che per certo doveva avere una causa non soltanto, come si afferma generalmente, in quella forma popolare e spontanea, onde le dottrine del filosofo latino si porgevano all'educazione morale e civile, m a nell'intrinseco loro valore speculativo, non disconosciuto nè anche oggi da uomini egregj (Forsyth, Life ofCicero,London,1864,vol.II,XXV,p.282),con trastano singolarmente i giudizj di alcuni critici piùre c e n t i . L a o p i n i o n e e s p r e s s a d a t a l i g i u d i z j, a v o l e r l a r i a s sumere in breve,è la seguente:M. T. Cicerone,ingegno universale, acutissimo e disposto ai combattimenti dell'elo quenza, più che alle severe indagini speculative, pensò e compì negli anni del suo ritiro dalla pubblica vita un compendio largo, chiaro, eloquente della filosofia greca  3   in servigio dei suoi connazionali digiuni sino a quel tempo di tali studj, o costretti ad attingerli da fonti greche. Da questa pretesa insufficienza dell'ingegno speculativo di Tullio,dal fine pratico e letterario ch'e'sipropose,e dal difetto di studjpreparatorj la Criticamodernadeduce la natura delle sue dottrine; le quali,benchè guidate sempre da criterio sano, e da una retta applicazione del senso comune,non vanno troppo addentro nei fondamenti della scienza, affermano per lo più senza esame maturo, nè costituiscono,come le dottrine dei migliori filosofi greci, un largo e ben architettato disegno di scienza.(Brucker, H i s t . C r i t . P h i l ., V . I I , p a r . 2 , p . 1 . C . 1 . T e n n e m a n n , G. Bernhardy, Grundriss der Römischen Litteratur. Braunsweig, 1862, pag. 769, $ 119.) 2. Facendoci a cercare l'origine di tali giudizj abba stanza severi,parmi se ne potrebbe addurre innanzi tutto unacausaassairemota,ma inparterelativaalmodoben differente, con cui gli antichi e i moderni giudicano il valore di certi uomini e di certi principj. Tale è la ri forma cominciata in Italia col Bruno, col Cartesio in Francia, e in Inghilterra con Francesco Bacone,che spez zando ogni autorità del passato,e quanto sino allora un'eccessiva venerazione avea recato a fastidio,proclamò l'assoluta libertà della riflessione filosofica, l'assoluta novità dei sistemi. C o m e s'intendessero quella libertà, e quella novità ; e quali resultati ne seguitassero alle let tere, alle scienze, alle arti,al vivere privato e civile,come se ne avvantaggiasse o ne patisse la Morale e la Reli gione,la Scuola,la Famiglia e lo Stato,non è qui luogo a mostrarlo,e le son cose oggimai troppo note. Nè io voglio negare i benefizj innegabili della riforma,e soprat tutto di quella introdotta nelle scienze sperimentali dal Galilei,eda FrancescoBacone;chè,selariflessioneli bera ed esercitata desunse mirabili frutti di dottrina da ogni campo dell'umano sapere, e se ne avvantaggiò la scienza dell'uomo, ne crebbero l'erudizione, la filosofia, le discipline morali e civili; perfezionò i suoi metodi la Medicina, si levò gigante la Chimica ,la Geologia sfogliando  -4   illibrodellanaturavilesseleetàdelmondo;se tanti incrementi ne provennero alle industrie e alle manifat ture, onde il viaggiatore trascorre paesi e province con v e l o c i t à p i ù c h e u m a n a , e i n m e n d ’ u n b a l e n o il s a l u t o r i congiunge gli amici,benchè separati dalla immensità del l'oceano, di tutto ciò alla riforma della filosofia è debi trice l'Europa. M a le è pur debitrice di quella inquieta brama del sapere speculativo, onde si successero sistemi a sistemi del tutto nuovi sui più impenetrabili misteri della conoscenza umana,e quel nuovo si cercò da molti nell'inusitato e nello strano più che nel vero ; così co minciata in Italia ed in Francia la licenza della rifles sione esaminatrice sui fondamenti della filosofia, ecco il panteismo superbo del Bruno, del Campanella e dello Spinosa;poi,scontenti del panteismo,ci diedero dottrine dualistiche il Malebranche e il Guelinx , l'idealismo e il sensismo ci vennero dal Berckeley e dal Locke,lo scet ticismo dal Bayle e dall’ H u m e ; più tardi le sconfinate immaginazioni degli Alemanni,e un ridurre Dio e l'uni versoall'uomo,dall'uomoalpensiero,dalpensieroall'idea, dall'idea novamente alla materia, ed ultima conseguenza di tutto uno scetticismo più sconsolato, un correre con tinuo a una felicità e a una beatitudine ignota senza rag giungerla mai ;ecco i resultati dell'aver voluto tutto inno vare !Posta in tal guisa la filosofia su questo cammino delle restaurazioni assolute, e detto una volta che la scienza dee rifar la natura (non,come è chiaro,dovere anzila scienza presuppor la natura tal quale essa è, con tutti i suoi dati, con tutte le sue relazioni, dover verificarla, non annientarla ), l'indirizzo introdotto nell'esercizio del pensiero filosofico da quella folla di sistemi eccessiva mente inquisitivi, doveva esser tale,che quando poi,sof fermata un istante la foga delle invenzioni, il pensiero istesso si sarebbe rivolto sopra i suoi passi, e ne sarebbe nata compiuta e perfetta la storia della filosofia, quella storia ritenesse come presupposto del suo metodo, che unico,o quasi unico criterio per giudicare della eccellenza di un filosofo e della sua filosofia, fosse l'assoluta indi  5-   6 pendenza del pensiero esaminatore dallo stato della n a turale certezza, fosse in una parola la compiuta novità del sistema. A questo criterio, desunto dallo scetticismo e padre di parziali opinioni, furono conformati più o meno quei metodi falsi e incompiuti che si seguirono da oltre mezzo secolo in qua nello scrivere storie della filosofia, onde ne derivò in Francia e nella Germania una folla di libri, come ad esempio la storia comparata dei sistemi del Degerando,e la storia del Tennemann,dove si giudi cano le varie filosofie alla stregua del problema sull'ori gine dell'umane conoscenze, e dall'avvicinarsi che esse faccian più o meno alle dottrine del criticismo di Kant; e un tal criterio ci spiega come più tardi negli storici più temperati e meno imparziali,segnatamente Alemanni, e nei filosofi delle altre nazioni, immuni dal criticismo, continuasse ereditato dalla riforma questo soverchio studio dei sistemi inventati, esclusivi, che ricusano dalla natura qualunque presupposto sull'efficacia delle potenze conosci tive, e se ne avvalorasse l'opinione levata a cielo ne’diarj e ne’libri di filosofia, sulla così detta individualità d'ogni sistema,e incomunicabilità delle dottrine speculative. C o n siderate le quali cose,non dovrebbe far maraviglia se quel tempo che corse tra lo scorcio del secolo decimosesto e i principj del decimosettimo,quando Italia e Francia,stanche dell'autorità abusata dagli scolastici, volevano innovare tutta quanta la scienza (e fu allora appunto,come nota il Brucker, che si tentarono i primi lavori speciali sulle dottrine dei Romani e di Cicerone),se quel tempo, dico, non era troppo opportuno a giudicare imparzialmente una filosofia studiosa delle più antiche e venerate tradi zioni.E nel vero anche piùtardi intuttoilsecoloXVII, se n'eccettui coloro che rifiutarono i dubbj del Cartesio, m a tennero il suo metodo d'esaminare la coscienza, quali il Bossuet, il Fénelon e i più segnalati di Porto Reale, agli altri che s'appresero ai dubbj, e venner giù giù n e gando i pregj dell'antichità,nemici d'ogni tradizione,non poteva andare a genio davvero quella riflessione modesta e tranquillamente efficace che il grande oratore avea 1    recato sulle verità eterne della coscienza, desumendone le armonie universali delle dottrine greche temperate dal senno e dalla moderazione latina. (Vedi l'opinione che ebbero diTullioilPomponaccio eilCampanella,citatidal Brucker,pag.49,tomo II,notaa.) M a d'altra parte, se per ispiegare questa opinione si nistra invalsa in Europa contro la letteratura e la filosofia d'un popolo,che fu per eccellenza il popolo delle tradi zioni,giova riportarci alle sorgenti diquella Critica, ec cessivamente nemica al passato, questi giudizj poco reve renti che oggi si ripetono dai più, apparvero solo nella Storia della Filosofia nata ne'principj del secolo passato in Germania ed in Francia.Tra ifrancesi,per tacere dei p i ù a n t i c h i , il D e g e r a n d o v i s p e n d e il c a p . X V I I I d e l l a s u a Storia comparata dei Sistemi,dove enumerati prima gli ostacoli che impedirono ai Romani un proprio esercizio dell'indagine speculativa,nota opportunamente non essere stata abbastanza osservata dał comune degli storici la grande efficacia che ebbe l'ingegno latino sulla Filosofia trapiantata di Grecia, ond'essa assunse colore ed indole più positiva, e dalle soverchie astrazioni si ricondusse al reale. Passa poi ad esaminare gli scritti di Cicerone nel quale rinviene le note distintive d'ogni altro filosofo ro mano,cioè una scienza desunta dalle greche tradizioni e composta con metodo ecclettico dalle scuole differenti, una scienza accessibile ad ogni intelligenza educata, e confa cente a spirar vita nell'eloquenza, ne'costumi, nell'arte politica; scienza supremamente pratica e applicabile agli individui e agli stati. (Histoire comparée des systèmes de philosophie considérés relativement aux principes des connaissances humaines, par M. Degerando, tom. III, parte I, 1823.) Giudizj assai meno temperati comparvero inAlemagna, dove fiorendo mirabilmente le discipline filosofiche e isto riche, e pubblicandosi tuttodì lavori speciali che illustrano con somma accuratezza ogni parte delle lettere antiche, prevalse però più che altrove la severità della Critica, che negava ogni nota originale alle lettere e alle scienze  C   Tra i critici alemanni va innanzi agli altri in ordine di tempo e di autorità Giacomo Brucker vero fondatore della Storia della Filosofia.Ma considerando però il ca pitolo dove egli parla della filosofia de'romani e di Cice rone,ti accorgi tosto che quell'uomo dottissimo moveva egli pure dal presupposto non esservi stata in Roma che una semplice continuazione delle scuole greche ;e secondo le varie specie di queste scuole divide lo storico il suo trattato intorno alle dottrine romane annoverando Cicerone tra iseguaci della Nuova Accademia ;quantunque confessi poco appresso ch'ei non seguì alcuna forma particolare di setta,ma inclinò a quel Sincretismo istituitoda Antioco. Veramente ilBrucker nel proporsi ilquesito,perchè mai i Romani e Cicerone non crearono una filosofia propria,non ne accusa, come oggi il Forsyth, la infelice disposizione dell'ingegno latino (the unmetaphysical character of the Roman intellect.Life of Cicero,vol.II,p.282);ma quanto ai Romani in generale ei ne trova la causa nelle occupa zioni della vita civile, e nella setta Accademica, che cri ticando e sindacando tutti isistemi,svogliava gl'intelletti da nuove speculazioni ; e quanto a Cicerone, nella natura del suo ingegno, più immaginoso assai che penetrativo, ond'egli (dice lo storico) preferiva il probabile all'esame profondo del certo, e delle greche dottrine rappresen tava nelle sue opere la parte viva e oratoria più che il severo ordine dei giudicj e delle deduzioni,e la generale armonia del sistema.(Brucker,Hist.Crit.Phil.,tom.II.) Al giudizio dato dal Brucker si avvicina in gran parte quello del Tennemann ,e nelle loro opinioni v'ha molto di vero e di certo, oltre la solita accuratezza nella esposi  8 latine, appoggiandosi ben di frequente a così deboli prove da far credere quasi che la movesse un'infelice gelosia di nazione. Ora da qualche anno in Inghilterra e nella stessa Germania si torna con più studio al passato, e molte parzialità si correggono ; ed io sono certo che ri composta in pace l'Europa,ilprimo debito di giustizia alle memorie latine lo pagheranno gli scrittori di quelle grandi e generose nazioni. 1   zione dei fatti;ma per quanta possa essere la reverenza dovuta ai due storici insigni della Filosofia, come non accorgersi che il loro esame,informato da un criterio an ticipato e parziale, riesce insufficiente a cogliere il vero significato d'una dottrina, come quella di Cicerone, la cui nota essenziale consiste nel rifiuto d'ogni opinione di setta, e in un principio universale, che supera ogni si stema ? M a se tanto può dirsi a buon dritto del Brucker e del Tennemann, merita più speciale considerazione l'esame assai temperato,e per certo ingegnoso,che fece degli scritti filosofici di Tullio, Enrico Ritter nella sua storia della Filosofia antica. 3. Le indagini dotte e meditate del Ritter movendo dai tempi antistorici della Filosofia,e procedendo lungo i tempi della civiltà indiana, ionica e delle colonie italo greche fino all'origine delle scuole socratiche, da queste al loro declinare e disperdersi in una confusione di sistemi sparpagliati e sofistici, giungono a quello ch'ei chiama terzo periodo dell'antica filosofia, all'età che intercede tra ilcadere delle repubbliche greche sotto la romana, la rovina di quest'ultima, e il sorgere del Cristianesimo. Due cause potenti egli allega del nuovo indirizzo preso in quella età dalla filosofia greco-romana,e le ritrova nella storia delle due nazioni, che allora si ricambiavano una vicendevole efficacia nelle lettere, e nelle scienze, e nel vivere privato e civile. Nei Greci, perchè la costoro scienza impoverita oramai dall'uso eccessivo della facoltà creatrice nei tempi anteriori, dallo scadimento della li bertà e dei costumi, e costretta, per accomodarsi all'in gegno e all'educazione dei nuovi dominatori,a vestire le forme ed il metodo d'una disciplina scolastica, non d e sunse più le sue dottrine immediatamente dalla riflessione, ma ritornò agli antichi sistemi,li paragonò,li esaminò, li accordò, desumendo da essi stessi e incompiutamente, non dalla natura intima del pensiero, il principio del l'esame e dell'accordo. Nei Romani, perchè essi non of frirono ai Greci alcuna guarentigia di riforme scientifiche,  -9   ma vissuti sino a quel tempo in mezzo ai tumulti della vita civile,e fra lo strepito delle armi,tranne una certa tendenza, che li moveva agli ordinamenti giuridici, nè la natura, nè la educazione loro si porgeva punto alle indagini della scienza. Quindi (osserva ildotto Alemanno) era ben naturale che, date quelle condizioni morali,civili e scientifiche, dall'accoppiamento dell'ingegno greco e latino derivasse un Ecclettismo erudito; derivò infatti; e di questa filosofia, l'indole della quale è sostituire la li bertà della scelta alla libertà dell'ingegno inventivo, accomodarsi alla natura degli scrittori,abbandonato l'or dinamento scienziale non fidarsi all'esame, e se occorre, attenersi principalmente all'autorità del consentimento comune,eitrovò la più importante manifestazione,oltrechè nel pendio generale dei tempi,nella vita,nell'animo e nelle opere di Cicerone. Ei ne considerò con raro accor gimento la vita,e vedendo come la parte ch'ei tiene nella storia della Filosofia, è perfettamente d'accordo con quella che occupò nella storia civile dei tempi ; come furono le medesime qualità e gli stessi difetti che, se lo levarono alto nella vita pubblica e nella filosofia, non gli consen tirono per altro di giungere al sommo e nell'una e nel l'altra, ricercò queste qualità e questi difetti nell'indole di lui, e non gli parve rinvenirvi accoppiata alla vivezza dell'ingegno oratorio, al sentimento squisito del diritto, all'amore per gli altri,e particolarmente pe'suoi,all'ope rosità indefessa,a una rara previdenza dell'avvenire,quella sicurtà in sè stesso e quella fermezza di volere che costi tuisce il grande scrittore e l'uomo di stato. Condotto, egli dice,dall'efficacia di condizioni esteriori a filosofare, come nella sua gioventù, mentre applicava la filosofia all'esercizio dell'eloquenza,egli avea frequentato le prin cipali scuole di Grecia, così nel suo ritiro dalla pubblica vita non seguì una dottrina particolare, ma trascelse il meglio di tutte; la quale incertezza di studj, che non a p profondivano la scienza, ma la assaggiavano appena, ri sentiva della incertezza della sua condizione politica, perchè ei scrisse le sue opere principali durante gli scon  10   volgimenti del primo triumvirato,la dittatura di Cesare e il consolato di Antonio,tempi calamitosi per la libertà, nei quali escluso da ogni ingerimento civile, e fuggendo il cospetto degli scellerati, andava consolando la sua soli tudine colle meditazioni della scienza.Era quindi ben naturale che il grande oratore, vissuto da lunghi anni in tanto splendore delle pubbliche faccende, non si ripo sasse volentieri negli ozj solitarj delle sue ville ; la d e bolezza innata dell'animo suo, come gli avea impedito di rimaner fermo al governo delle cose civili, di valersi della sua autorità per contrastare ai principj della ti rannide cesarea, ora gl'impediva di darsi a tutt'uomo agli studj della filosofia; ed ei ne scriveva ad Attico, e all'amico dipingeva con vivi colori questo penoso on deggiar ch' ei faceva tra l'amore onde era tratto agli studj, e il desiderio di prender parte ai pubblici affari, tra la sfiducia sua nelle consolazioni della scienza,e una sublime speranza che lo levava al disopra delle umane cose. Da queste intime qualità dell'indole di Cicerone deduce l'istorico Alemanno la natura della sua filosofia, ch'è,secondo lui,un moderato scetticismo,espressione fe dele di animo titubante;scetticismo moderato,perchè seb bene talvolta, oppresso dal peso delle sventure proprie e della patria, ei mostri dubitare del vero eterno e della virtù, nondimeno conserva sempre intemerata la nobiltà d e l l a v i t a , e il d e s i d e r i o d i u n a m o r t e g l o r i o s a ; m a t u t t a v i a scetticismo, perchè riconoscendo la natura assoluta del vero, ammette solo come verosimili le dottrine che ne d e rivano, e dubitando interroga tutte le scuole, prende ad esame tutte le opinioni greche,e accordandole insieme più con intendimento politico, che con vero criterio di scienza, ne vuole arricchire il patrimonio della romana letteratura. Sennonchè tra le varie dottrine in cui si di videvano le scuole greche, una ve n'era che s'accordava mirabilmente agli intendimenti, e all'ecclettismo scettico abbracciato da Cicerone; e questa era la dottrina della Nuova Accademia.Se Tullio infatti poneva ilfondamento della filosofia in un dubbio moderato sui principj delle  - 11 -   umane conoscenze, la Nuova Accademia , guidata allora da Filone, che gli era stato maestro nella sua giovi nezza, riconosceva come legittimo questo dubbio, e lo temperava con la verosimiglianza ; se l'oratore romano voleva che le dottrine della filosofia conferissero ad a d destrare il pensiero e la parola negli esercizj della elo quenza, nessuna scuola si porgeva meglio a questa di sciplina della scuola dei Nuovi Accademici, che oltre all'essere stata sempre frequentata da uomini eloquentis simi, si riduceva in sostanza a un metodo disputativo ; infine se egli raccoglieva le principali dottrine della filo sofia greca,per comporne una scienza accomodata all'in gegno eall'educazionefilosoficadeisuoilettori,laNuova Accademia,che disputava contro tutti e di tutto, che la sciava al filosofo la maggiore libertà dei proprj giudizj, gli si porgeva opportuna a disegnare in brevi tratti ai Romani lo stato della filosofia passata e contempo ranea, ad innamorarne i lettori, senza perderli in vane e astruse dottrine, o incatenarli a un sistema. Cice rone dunque (secondo l'opinione del Ritter) come ecclet tico dubitante,come oratore e come espositore della filo sofia greca ai Romani, abbracciò le dottrine della Nuova Accademia ;e va notato particolarmente, sì perchè questa è l'opinione più universalmente accettata intorno alla vita filosofica di Tullio, e alla parte che tengono le sue dottrine nella storia della filosofia, e perchè il comune degli storici ricollega quasi sostanzialmente a quel si stema le sue opinioni sulle parti principali in cui si divide la scienza. Così opina anche il Ritter, e prendendo ad esame le opere tulliane, secondo la tripartizione plato nica della filosofia più comune agli antichi (egli avverte però che,stante l'incertezza dello scrittore e delle dottrine e la loro qualità, tutta pratica e positiva, la distinzione delle tre parti non è abbastanza spiccata), rinviene in tutte più o meno chiaro,più o meno deciso il dubbio della Nuova Accademia. V'ha dubbio deciso nella parte fisica, perchè ivi abbondavano più che altrove le dispute e le contradizioni dei filosofanti; dispute sulla natura delle  12   cose, dispute sull'esistenza e sulla natura di Dio e sua provvidenza, sulla natura dell'anima e sua immortalità ; e di tutti questi veri Cicerone o dubita compiutamente,o ammette solo una leggera verosimiglianza. V'ha dubbio anche maggiore nella parte logica, anzi è questa la più povera e la meno determinata di tutte le sue dottrine,e perchè ei la collegava meno d'ogni altra agl' interessi pratici della vita,e perchè il sensismo degli Stoici e degli Epicurei, che aveva a combattere, non potea tener fronte agli argomenti della Nuova Accademia ; finalmente v'ha dubbio manifesto anche nella morale, perchè s'ei con traddice ricisamente alla ignobiltà delle dottrine epi curee, la controversia tra gli Stoici e i Peripatetici l o lascia indeciso da un lato tra un'idea trascendente della virtù, a cui lo muove la grandezza dell'animo romano, dall'altro la fragilità di natura ; incertezza che pure lo segue nella politica, e nelle attinenze della politica colla morale. Talchè il Ritter movendo dal presupposto che  la filosofia di Tullio non fosse che eloquente dell'indole particolare dello scrittore e dei tempi, negò ogni certezza e ogni legame di scienza in ciascunasuaparte;ogniconcatenamentologicaledelle tre parti tra loro (perchè quella logica e quella fisica non sono per lui che un'appendice della morale, considerata da Tullio com'arte pratica della vita); negò ogni unità di disegno scientifico, perchè mancava allo scrittore l'unità del principio fondamentale, posto dalla riflessione, e a cui rispondesse l'universale armonia del sistema.Onde a rias sumere in breve ciò che rappresentino alla mente del l'istorico tedesco le dottrine tulliane,direi ch'e'le con siderava qualcosa più e qualcosa meno d'un ecclettismo; ma una scelta a cui manca e libertà di riflessione e cri t e r i o d i s c i e n z a . ( H i s t . d e l a P h i l . a n c ., l i b r o X I I , c a p . I I , vol.IV,ed.cit.) una manifestazione 13 Se noi ci siamo alquanto trattenuti nell'esporre le opinioni del Degerando, del Brucker e del Ritter,è stato segnatamente per due ragioni ; la prima perchè poteva recare non piccola luce intorno ad una questione che   abbiam preso ad esaminare,e su cui sono infinite le dispute dei critici e de'filosofi, il giudizio degli storici migliori che vanti la nostra scienza ; e in secondo luogo affinchè i pochi cenni, che ne abbiamo dato,muovano gli studiosi a ricercare con maggior diligenza le variazioni e iprogressi, che ha fatti sino a noi la critica sulle dottrine filosofiche di Cicerone. Questa critica non pare immeritevole di qualche considerazione, perchè rappresenta quasi in sè stessa quel moto graduale dell'esame, e quel lento c h i a r i r s i d e ' p r i n c i p j s u p r e m i , c h e g o v e r n a n o i f a t t i, o n d e si generava in Europa la storia della filosofia. I primi tra questi storici,come Stanley e De Burigny, che nuovi del cammino, e spaventati dalla grandezza dell'impresa, fecero lavori imperfetti e meglio tentativi di storie, che storie vere, o tacquero affatto, o poco parlarono di Cice rone che nella modestia delle proprie opinioni (magnus opinator) non aveva dato un sistema. Negli storici se guenti, che abbiamo citato, e segnatamente nel Brucker quella critica comincia a chiarirsi;vi si medita con più ampio concetto la parte che ebbero i Romani nell'adu nare le greche dottrine, nel farle proprie, e trasmetterle a noi;Cicerone v'è considerato,non già come un filoso fastro qualelochiamò ilPomponaccio,ma comeunvasto e ben disciplinato intelletto,che,scorrendo ilcampo della filosofia greca, ne chiamava a rassegna ad uno ad uno i sistemi. E contuttociò quella critica era ancora ben lon tana da un esame profondo e spassionato delle dottrine tulliane; dovevansi emendare molte inesattezze, tor via molte preoccupazioni (qual era,per esempio,quella che faceva di Cicerone un perfetto seguace della Nuova Ac c a d e m i a , e u n e c c l e t t i c o d u b i t a n t e ), e , q u e l c h e s o p r a t t u t t o importava,trattandosi di M. Tullio,che tanto ritrasse da Socrate e nel metodo e ne'principj,conveniva cercare per entro alle sue dottrine l'immagine della vita e del carat tere dello scrittore. Tale intendimento apparisce in alcune memorie del sig.Gautier de Sibertche hanno per titolo,Examen de la philosophie de Cicéron, lette all'Accademia francese  14   15 delle Iscrizioni e Belle Lettere, nella seconda metà del secolo scorso ; dove si esamina accuratamente la parte oggettiva delle dottrine tulliane, si dimostra il vincolo di sistema che le congiunge , e si difende dalle accuse di scetticismo la fama del grande Oratore. Lavoro merite vole di molta considerazione per sanità e profondità di giudizj, se a questa non nocesse talvolta l'aver guardato più alla materia delle dottrine che alla loro forma scien tifica, e considerato Cicerone come filosofo compiuto e dommatico in ogni parte,anzichè avvolto di continuo nelle dispute degli opposti sistemi.(Mémoir. de l'Acad. des I n s c r i p t . e t B e l l . L e t t ., v o l . X L I , X L I I , X L V I .) A questi difetti sembra (come vedemmo) riparare in gran parte l'esame del Ritter, che sebbene ritenga molto delle sue opinioni private e di quelle della filosofia che lungo tempo ha dominato in Germania, nondimeno rias sume in breve quanto di meno inverosimile può dirsi sul preteso ecclettismo ciceroniano. E dirò anche di più, che l'esame del Ritter, fondato com'è in una conoscenza profonda delle opere di Cicerone, contiene innegabili verità, qual è quella,per es.,che nello svolgimento delle dottrine del grande Oratore esercitasse una singolare efficacia i suoi tempi, la sua nazione, la sua indole propria; che speciale qualità di questa indole fosse sovente un ondeggiare fra la fiducia e la dispera zione del vero e del bene eterno,e che a queste dubbiezze contrastasse efficacemente il senno pratico della natura romana .M a d'altra parte noi siamo ben lungi dal credere che il dotto Tedesco,e quanti innanzi e dopo ne tennero le opinioni, abbiano considerato nel suo vero aspetto l'indole delle dottrine tulliane; chè, se non può negarsi da un lato esservi in esse un che di necessariamente re lativo alle condizioni dei tempi e alla natura dello scrit tore, e quindi mutabile, non necessario e contraddicente alla natura assoluta e apodittica della scienza,non è men vero dall'altro ch'ei pur rinvenne nell'intimo delle dot trine contemporanee, e nello studio profondo dei veri eterni specchiati in sè stesso e negli altriuomini,un cri    16 terio certo, universale, infallibile da costituirvi la scienza. V’ha dunque nella filosofia di Cicerone questo che di oggettivo e di soggettivo, di relativo e di assoluto, di mutabile e di necessario ; m a l'una e l'altra qualità si ricollegano insieme per nodi di universale armonia ; armonia di relazioni tra l'uomo di un tempo e l'uomo di tutti i tempi,tra il romano e l'abitatore di tutta la terra, tra Cicerone oratore e politico e Cicerone filosofo; armonia esterna e oggettiva a cui risponde quell'altra interiore, attestataci dalla coscienza, tra il pensiero e l'affetto, tra la volontà e la ragione,tra l'intelletto e le verità immortali. E certo a queste considerazioni, disco nosciute dal Ritter e dagli altri critici Alemanni, badò Raffaele Kuehner,autore sin qui del più compiuto esame delle dottrine di Cicerone ch'io mi conosca,edito in A m burgo l'anno 1825,quando rispondendo al quesito pro posto da uomini dottissimi ; se Cicerone meritasse o no il nome e l'autorità di filosofo,pensava che algrande Ora tore s'appartiene giustamente quel titolo per l'ampiezza dell'ingegno,la vasta cognizione delle dottrine contem poranee, l'uso ch'egli ne fece volgendole in latino a cul tura e ammaestramento dei suoi concittadini, e infine per la facoltà unica in lui, ond'egli seppe abbracciare tanta mole di scienza, fissare l'indagine della riflessione sulle verità principali, e comparando tra loro le varie dottrine, ricomporle coll'efficacia del proprio giudizio in unità di sistema.(M.T. Cic.in phil.ejusq:partes merita, Auc.R. Kuehner.Hambur.1825. Pars altera.Cap.VI; Utrum Cic.philosophus judicandus sit,nec ne,anquiritur, pag.130.) E questi pajono anche a m e i meriti veri e innegabili del senatore romano ; e nondimeno ogni qual volta io rileggo quelle sue opere, nelle quali spira tanta univer salità di pensieri e d'affetti, universalità veramente latina, incui ilvero è sìprofondamente immedesimato col buono, e tutta s'accoglie la sapienza delle scuole socratiche, mi pare che la critica delle sue dottrine possa ricevere a n cora notevoli perfezionamenti, sempre che col chiarirsi    Posto ciò, non sarà difficile, parmi, determinare con sufficiente chiarezza in quali confini si contenesse l'effi cacia che l'ingegno di Cicerone ebbe nella riforma della filosofia quand'essa fu trasferita di Grecia in Roma, e in quali vicendevoli attinenze stiano tra loro quanto di già meditato e discusso gli venne dalle scuole d'oltremare, e quanto vi seppe recare egli stesso rivolgendo il pensiero sui fondamenti della scienza , questione che (conforme a quanto è detto più sopra) noi ci siam proposti di chia rire nel presente discorso, fermandoci a tre punti segna tamente :cioè,qual era la condizione della filosofia greco romana ai tempi di Cicerone, e con qual metodo egli esaminasse e combattesse le dottrine delle principali scuole tentando di conciliarle ; finalmente qual filosofia derivasse dalla deliberata opposizione e dal metodo compositivo del l'Oratore latino.  successivo di quella legge,che regola la filosofia nel tempo, se ne va perfezionando la storia. Ora quella legge può solo spiegare, a mio avviso,l'ufficio della filosofia de’Giu reconsulti e di Cicerone, e dall'ufficio desumerne la na tura e i principj. Può spiegarne l'ufficio, già manifesto e considerato da molti rispetto alla Giurisprudenza e agli ordini militari e politici, alla Religione e all'Architettura, che è di comprendere in sè il buono degli altri popoli, tentando ridurlo a nuovi ordinamenti di scienza; può spiegarne la natura, che è appunto quella comprensione universale, tanto diversa dall'ecclettismo, che procede per accozzamento disordinato dei sistemi,anzichè ricomporre le intime relazioni delle verità naturali sul disegno della coscienza;finalmentepuòspiegarneilprincipio,cheèl'esa me dell'uomointeriore,contrappostosull'esempiodiSocrate al dubbio , o all'esame arbitrario e imperfetto dei sistemi contemporanei; tre punti importantissimi, a mio parere, e che, ben meditati, danno luogo a chiarire i principali problemi esaminati sin qui dalla critica sulle dottrinedel sommo Oratore. 17 2   18 1, Gli storici più reputati della filosofia si accordano tutti in mostrarci un manifesto scadimento delle dottrine greche,il quale apparve dopo il fiorire dell'antica Acca demia e del Peripato, e crebbe fino ai tempi di Tullio, accompagnandosi,come suole avvenire il più delle volte, colle vicende degli ordini privati e politici. I quali sin dalla prima metà del secolo V avanti l'èra volgare venuti a mirabile altezza d'incivilimento, e generatori in pochi anni di tanti miracoli di virtù e di dottrina, quanti presso altre nazioni può appena rammentarne la storia di molti secoli,mancata la virtù che liaveva nutriti,prima ancora d'invecchiare, si corruppero e precipitarono, rappresen tando in sè stessi un'immagine stupenda, abbenchè fug gitiva, della vita dell'uomo. E invero la gioventù della Grecia fu tutta in quei memorabili anni ne'quali i suoi figli per ben due volte ricacciarono in Asia gl'invasori Persiani, in quei combattimenti ne'quali la sua m a rina doventò signora del Mediterraneo, ne crebbero i suoi commerci e le sue industrie, ne trassero argomento a sublimi ispirazioni i poeti e gli artisti; così da quel primo incitamento si propagò in tutte le repubbliche greche,e segnatamente in Atene, un moto fecondo d'opere, d'istituti,di dottrine,d'eleganti costumi,che nutriva in sè nella crescente corruzione del Gentilesimo germi di rinnovamento,fecondati più tardi dalla riforma di Socrate e dalla filosofia di Platone, nelle dottrine de'quali tu vedi scolpita quella vita operosa del pensiero e de'co stumi popolareschi, quel conversare continuo, quelle di spute in piazza e per via, quella reverenza delle tradizioni sacre,quel sentimento profondo del divino e dell'immor tale che accompagnava la giovinezza del popolo greco. Ma passata appena una generazione dal fondatore del l'antica Accademia, le conseguenze della malaugurata guerra del Peloponneso si facevano sentire,l'abuso scon II.    umana  19 sigliato delle libertà cittadine recava frutti di servitù, e la Macedonia invadeva.Chè se quella può dirsi con qual che ragione l'età virile del popolo greco,nella quale raf forzatosi di potenti ordini militari e principeschi sotto il regno di Filippo, portò guerra con Alessandro nel cuore dell'Asia,vendicandoiTrecento delleTermopili,èquesta una virilità che giàdeclina a vecchiezza;e n'è indiziola filosofia d'Aristotele,superiore a Platone nel severo or dinamento scienziale, e nell'indirizzo fecondo dato alla riflessione sul reale e alle scienze d’esperimento,ma su perato da lui nella sublimità della dialettica, nella vi vezza delle tradizioni sacre, e nella idealità del sistema. M a ormai la discesa dei tempi non si poteva più tratte nere ; e la Grecia passata dal dominio degli Spartani a quello de Macedoni, dai Macedoni, morto Alessandro e diviso il regno nei successori, sotto un tritume di piccole tirannidi, non ebbe nè anche, come più tardi avrebbe avuto l'Italia del secolo XVI,un legame di alleanza poli. tica fra i suoi stati tanto da conservare un'effigie qua lunque d'unità nazionale,e mancò,come l'Italia del se colo XVI,di quella efficacia di salde istituzioni che una monarchia prudente suole introdurre nei popoli guasti da libertà licenziosa. N o n è quindi a maravigliare se quella stessa Atene, che avea veduto un Pericle non attentarsi a spogliare delle apparenze civili l'autorità quasi regia consentitagli dai cittadini, pativa più tardi la signoria d’un Demetrio di Falera,e quel popolo istesso,che avea punito di morte Socrate accusato d'irreligione, salutava col nome d’iddio un Demetrio Poliorcete, e lui pro fanatore d'ogni cosa e divina accoglieva nei sacri penetrali del Partenone. Sono questi i segni più indubitati della vecchiaia d'un popolo, e quel lento e continuo scadere dell'ingegno e della vita del popolo greco, oltrechè negli ordini politici,appariva in ogni altra parte della sua civiltà. Scadevano sempre più gli ordini materiali, perchè a quel primo moto di commercj e d’in dustrie,nutrito dalle libere istituzioni,era succeduto quel solito languore, quel ristagno d'operosità, che è conse   guenza necessaria (e noi lo sappiamo) delle arti dei go verni assoluti;e la signoria de'mari, ristretta per l'in nanzi agli stati del continente e dell'Arcipelago greco,si allargava ora ai Fenicj, agli Asiatici, agl’Italioti.Si cor rompevano i costumi, e la corruzione tanto più rapida procedeva, quanto più nel crescente oscurarsi delle anti che tradizioni si sentivano funesti gli effetti delle cre denze gentili; e quella vita di raffinata eleganza non più temperata dal moto e dalla severità dell'educazione re pubblicana, si affogava ne'diletti del senso; e al senso, non più al pensiero, servivano le arti del bello divenute adulazione di tiranni e di meretrici; infine di tutto ciò come causa ed effetto risentivasi la filosofia, di rado a v versando, più spesso secondando il pendio della corrut tela universale. E noi, lasciato da parte lo scetticismo, che fece un breve e inopportuno tentativo in Pirrone,di remo più specialmente dei principali sistemi fioriti in questa età, e che spiegarono maggiore e più diretta effi cacia sulla filosofia latina. 2. Onde mossero dunque questi sistemi? Ritenendo essi qual più qual meno , sebbene con notevoli alterazioni, il metodo e il fondamento delle dottrine socratiche, co minciarono da un ritorno ai sistemi che avean posto fine all'età antecedente della filosofia italogreca, ritorno evi dentissimo negli Stoici, e che ci spiega com’essi, mentre derivarono da Socrate la loro morale,e ne ritennero in parte il dualismo, retrocedettero in fisica al panteismo degl'Ionj, e come contrastando alle lusinghe dei tempi coll'idea sublime del bene, li secondarono poi brutta mente desumendo la causa e la ragione suprema dalla materia e dal senso. E anche questa volta la confusione del panteismo nacque da un modo fantastico e altutto ar bitrario di conciliare ciò che si presenta alla ragione ed al senso,la immobilità dell'essenza e la mobilità del fenomeno, il mutabile e l'immutabile, l'ente e il non -ente, il neces s a r i o e il c o n t i n g e n t e , il r e l a t i v o e l ' a s s o l u t o ; e p i ù , d a u n pervertimento del concetto di causa prima.Per pensare, 0,meglio,immaginare quella conciliazione, bisognava porre  20   un unico principio, in cui esistessero ab eterno identifi cati in stato di quiete una potenza ed un atto indeter minati ambedue, e che si determinassero poi al momento in cui l'universo dall'indeterminatezza primordiale dovea passare alla forma e agli atti successivi.Gli Stoici y'an darono alterando il concetto di causa prima. Causa, essi dissero, è ciò per cui una cosa s'effettua; ora niente pro duce un effetto, che non sia corpo ; dunque l'essenza uni versale di tutte le cose è un che di corporeo; e quindi essi partivano dal punto direttamente opposto a quello dacuierano mossiPlatoneeAristotele;chè,sel’Ateniese e lo Stagirita concepivano la materia come negazione di essere (to un ow), e il primo segnatamente poneva l' es senza assoluta nell'incorporeo e nell'intelligibile,gli Stoici invece concepirono la materia corporea come il primo principio e l'intima realtà delle cose tutte. M a che cosa era questa materia ? Questa materia primitiva ch'è in Platone e in Aristotele, e che più tardi troviamo negli Scolastici, senza qualità e senza forma, sostanza oscura, infinitamentepassivaesuscettibilediforme,infinitamente divisibile,è una finzione immaginativa,è una vTÓGeols (nel doppio significato antico e moderno) collocata a capo delle cose tutte per ispiegarne in un modo qualunque la possi bilità,ed eludere l'antico assioma ex nihilo nihil;ma non avvertivano que' pensatori che, se v'è un caso in cui l'as sioma abbia un vero valore, è appunto questo,poichè la materia pura potenza è un che vuoto,nudo ed inefficace, è il nulla vestito dalla fantasia delle qualità del reale. Cercata la causa nel seno medesimo dell'effetto, anzi iden tificata coll'effetto, il germe del panteismo doveva svol gersi necessariamente,e sisvolse.Come?Si tornò al di namismo di una parte degli Ionj, e poichè fondamento del dinamismo è l'ammettere che il moto fenomenale delle cose si faccia per isvolgimenti di forze intrinseche ad esse, si concepì nella essenza intima dell'universo,che a somiglianza d'Eraclito dicevasi dagli Stoici essere il fuoco artificioso, rūp témuczor,un'energia primitiva,un che infinitamente attivo,cagione unica di tutti i fenomeni  21   22 delle cose,e della loro forma determinata,perchè traendo ad atto le forze intime della materia, ne va foggiando questo univers0 sensibile,(τον θεόν σπερματικός λόγον όντα ToŬ zoopov.Diog.L.,VII,136,e Cic.,De N. D.,libroII, cap. XXII,e pass.). La falsa induzione che per vizio d'antromorfismo finge le potenze e gli atti universali della natura ad esempio delle facoltà umane,non si arresta qui, ma informa da cima a fondo la fisica degli Stoici. Essi considerando che in noi principio primo di moto e d'at tività è l'anima, chiamavano anima quella virtù infor matrice delle cose tutte, e l'universo rassomigliavano a u n g r a n d e a n i m a l e ; p e r c h è, d i c e v a n o (u s a n d o u n a r g o m e n t o di panteismo rigoroso adoperato più tardi dal Campanella ), se le parti del mondo sono animate,sarà animato anche il tutto, e se le varie parti del corpo sono mosse dall’anima, e l'anima è governata dalla ragione, anche i moti del mondo proverranno dall'anima universale, il cui princi pato risiede nella ragione. Quest'atto, anima e ragione dell'universo per gli Stoici era Dio ; e quindi si capisce com'essi trasportando sempre nel divino le facoltà del l'umano,concepisseroDiodaunlatocomeprincipio prov vidente e ordinatore, e dall'altro come energia primitiva, come causa e unità di tutti imoti fenomenali,e perchè,m e n tre lo simboleggiavano sotto la cieca e inevitabile neces sità del destino (dep.zpuéva), che contenendo la materia l'agitava di causa in causa con movimento perpetuo, attribuissero a questo spirito divino abitatore della m a teria la divinazione delle cose future.(Cic.,De N. D.,De Divin .,De Fato,pass.)Concependo in tal modo la materia come contenuta e vivificata intimamente dall'unità della forza divina (unità che per il principio della filosofia s o cratica distinguevano in forze secondarie ed opposte),non è maraviglia che gli Stoici, tornando anche in questa parte agli Ionj,attribuissero qualità divine alle grandi potenze della natura, come agli astri,agli elementi,ai vizj, alle virtù,e segnatamente all'anima umana,e ne deri vasse la loro interpretazione fisica delle mitologie. Quindi dai principj della loro scienza naturale uscivano la logica e    la psicologia.Che cosa è l'anima?Essa per gli Stoici,come tuttele altre cose,come Dio stesso,ècorporea;ma come forza primitiva e principio di moto partecipante all'atti vità universale, intimamente è divina ; e la sua unione col corpo la immaginavano come una compenetrazione, sì per il loro principio della compenetrazione delle so stanze, e sì per la somiglianza, che l'anima dell'uomo ritiene coll'anima universale compenetrante e vivificante l'universo delle cose;e come quest'anima universale, seb bene distinta in altre forze seconde,è in sè stessa prin cipio unico de'moti e de'fenomeni delle cose, così in noi tutti i fatti dell'anima riducevano all'unità del principio dominatore (nepovezov ) che è fonte e causa motrice delle facoltà seconde. E qui è notevole assai,che mentre l'in dirizzo dato all'osservazione dell'uomo interiore dalla riforma di Socrate salvava gran parte della psicologia stoica dalle conseguenze materialistiche del principio che la informava, quella loro inclinazione a studiare i soli fenomeni della materia ricomparve nella dialet tica, e ne proveniva il sensismo. Movevano anche que sta volta da un cattivo concetto di potenza e di causa. E valga il vero. A quel modo stesso che in fisica aveano pensato la prima potenza e la comune possibi lità delle cose come un che vuoto e privo naturalmente d'entità e d'efficacia, così immaginarono nell'anima la possibilità del conoscimento come una potenza nuda, inefficace e priva di contenuto,simile, dicevano, ad una pergamena senza caratteri (ώσπερ χαρτίoν άνεργον εις c.Troypapiv ), dove , svegliatosi l'atto dell'anima (come l'atto primitivo di Giove nella materia) all'occasione delle sensazioni, imprime le rappresentanze o le pav Tuoive delle cose. Che cosa poi fossero queste fantasie è facile a immaginarlo, e ce lo dice anche il nome. Nel quale comprendevano gli Stoici la totalità dei fatti interiori presenti alla coscienza ed originati tutti dai sensi, nè potevano dare al conoscimento altra qualità in fuori dalla sensibile, e perchè l'anima umana,come parte delDio animantelecose tutte,ritiene ilsuo modo  23 -   24 di conoscere,che conforme alla sua natură è un cono scere sensitivo, e perchè essa stessa l'anima è corpo, e perchè, l'essenza universale di tutte le cose essendo cor porea, non si può dar conoscenza se non di corpo. Or che ne veniva da ciò? Ne veniva che ammettendo essi da un lato ogni conoscenza derivare dai sensi, dall'altro non potendo negare la natura dell'intelligibile necessaria, assoluta e profondamente opposta alla natura del sensibile, ponevano le idee come una trasformazione della sensa zione operata dall'anima, precedendo in tal modo i sen sisti francesi. M a , di grazia, sì gli uni che gli altri sfug givanoforseallanecessitàdellacontradizione?Ne rimaneva una intrinseca al loro sistema e maggiore di tutte,quella cioè di negare all'anima un primo principio, una capa cità naturale al conoscere e immaginare ch'essa poi ve nutale la materia di fuori, doventi all'improvviso o p e rante e di operazioni tutte sue proprie. M a in tal m o d o il sensista tira più là la questione, e non la risolve; per chè,quando eisarà pervenuto a un dato termine dellasua dimostrazione, io gli mostrerò com'ei si trovi in opposi zione diretta ai principj su cui l'ha fondata. Dice:Nego nell'anima qualunque notizia primitiva e fontale delle idee;e aggiunge:ecco però come nell'anima stessa si generano quelle idee.L'oggetto esterno fa impressione sui sensi; i sensi per mezzo dei nervi comunicano le i m pressioni al cervello,e l'uomo acquista l'idea dell'obbietto s e n t i t o . M a è q u i a p p u n t o d o v ’ i o p r e g o il s e n s i s t a a d a r restarsi. Poichè, manifestatasi in noi la notizia, che al certo provenne dall'occasione de'sensi, se la mente si volge a considerarla nella sua natura,vi riconosce bensì da un lato un referimento esterno all'obbietto onde spe rimentammo l'efficacia causale,ma d'altro lato vi scuo pre anche una più intima e segreta relazione cogli atti dello spirito, e coi sommi principj del vero, obbietto i m mediato della potenza conoscitiva.Tale contradizione che deriva dal confondere insieme la natura del sentimento e delle cose e la natura ideale, non potranno mai fug gire i sensisti, se pure essi non vorranno ammettere la    conseguenza più legittima del loro sistema,vo'dire il m a terialismo; al qual proposito bene osserva il Leibniz nei Nuovi Saggi (lib. II), che coloro i quali s'immaginano l'anima informa di una tavoletta,o di un pezzo di cera,in cui nulla sia scritto prima della sensazione, trasferiscono in lei le condizioni passive e inefficaci della materia. Se consideriamo adunque attentamente il sistema de gli Stoici,esso ci si presenterà da un lato come un pan teismo, dall'altro come un dualismo. È un panteismo se guardiamo a ciò che, secondo il Ritter, ne formava il d o m m a fondamentale, all'unità primigenia e finale delle cose tutte e al concatenamento o consenso delle parti della natura informata dall'anima universale e divina, ond'era costituita per gli Stoici la legge del Fato ; ma è invece un dualismo,se vi meditiamo la opposizione tra Dio anima del mondo e il corpo del mondo, tra la m a t e r i a e l a f o r m a , il p a s s i v o e l ' a t t i v o , il p i ù e m e n p e r fetto nelle esistenze, l'unità assoluta di Dio e la diversità delle cose,diversità che pur dee terminare una volta rientrando nella indifferenza primitiva di Dio. La quale opposizione, che ha reso non ben definito il giudizio di parecchi istorici sulla qualità di questo sistema, io credo derivasse non tanto da quella medesima incertezza tra la confusione dell'età orientale ed italo-greca e il nuovo bisogno delle distinzioni dialettiche, che è pur manifesta nelle dottrine di Platone e d'Aristotile,quanto dall'avere gli Stoici, più assai de'loro predecessori,esagerata l'in duzione che dalla notizia dell'uomo litrasportava a quella dell'universo e di Dio. E fu qui dove peggiorarono assai dai sistemi anteriori. Peggiorarono in fisica, perchè seb bene Platone nel Timeo dimostrasse che l'universo tutto quanto era animato,e Aristotile,adombrando per via con trariaildivenirehegeliano,trasformasselamateriaintutte lecose,ambedue silevaronpiùalto,eoltrequell'universo animato e al di là di quella materia,l'uno contemplò l'Ar tefice divino, da cui s'irraggiava nelle cose e nelle anime la luce degli esemplari eterni , e l'altro intravide il fine supremo desiderato dalla universale natura ; peggiora  25   3. E d ecco circa in quei medesimi anni, nei quali fioriva Zenone Cizico,e spiegava le sue dottrine infette di panteismo e di dualismo (verso l'a. 300 prima di Gesù Cristo), apparire la negazione particolare dei sensisti e degli idealisti con Epicuro e con Arcesilao. E quanto al primo, chi ben consideri la sua filosofia, vi troverà un nuovo e sempre crescente pervertimento delle dottrine o anteriori o contemporanee ; chè se già era cattivo indi zio in Zenone e in Crisippo l'imitazione degli Ionj e d'Eraclito, fu pessimo in Epicuro il ritorno ai sofisti della stessa età italo-greca,e segnatamente a Democrito. Notammo anche come nonostante la rigidità e l'altezza della morale stoica,vi si scorgeva chiaro un esame s e m pre più imperfetto e parziale dellaumana coscienza;ora questo è anche più manifesto negli Epicurei, i quali non si contentarono come gli Stoici, lasciate da un lato le naturali tendenze,di porre la virtù e la beatitudine in un sublime disprezzo dei beni della vita ;m a scesero più basso restringendo l'una e l'altra al godimento dei piaceri del corpo; e riducendo i piaceri dell'animo alla speranza e al ricordo dei piaceri del senso.Nel che essi secondavano bruttamente l'abbandono sensuale dei tempi ; nè già mi reca maraviglia,in quella età in cui,rotto il freno ad ogni licenza, si maturava negli ozj voluttuosi la servitù della  26 rono in logica,stante che se Platone,giunto alla nozione suprema dell'essere,se ne faceva scala per salire agli universali divini, e Aristotile distinguendo dal senso l'in telletto, poneva in quest'ultimo l'apprensione dell'uni versale, gli Stoici non ammettevano che il senso, e dal senso desumevano la necessità della scienza ; peggiora rono finalmente in morale all'osservazione compiuta e perfetta delle tendenze naturali, qual era nell'Accademia e nel Peripato, sostituendo un esame sempre più povero e sminuzzato della coscienza morale,onde il concetto del bene diventò più che umano , e quell'idea solitaria e i m passibile della virtù parve quasi uno scherno in mezzo alle infinite sventure deitempi.(Cic.,De Fin.,IV,V. Ritter,XI,L. 1,2,3,4.)   - 27 Grecia,quando laNuova Commedia svelavaagliocchi delle moltitudini affollate le più seducenti sembianze del vizio,e ne'ginnasj d’Atene convenivano le meretrici a disputare co'filosofi,immaginarmi Epicuro che siede dettando nei suoi giardini in mezzo alle gioje del convito i precetti della morale.Eppure più secoli dopo in una etànon meno ar rendevole al senso di quella d'Epicuro,e che precedè di poco quel tuono di uno dei più grandi rivolgimenti eu ropei, v'ebbe chi nelle scuole de'filosofi difese Epicuro mostrando velato nei suoi precetti morali sotto l'appa rente arrendersi al senso un rigore più che da stoico ; m a q u e l r i g o r e , n o t a b e n e C i c e r o n e ( D e F i n ., L . I I ) , e r a un finto stoicismo e una maschera da saggio,che mal si addiceva sul volto del filosofo gozzovigliante,era una sod disfazione ch'e’dava,malgradosuo,all'autoritàdelsenso morale e della pubblica opinione. E poi,se quel sistema mancava d'ogni fondamento scientifico,come poteva cer care nella necessità dei principj ilpernio della morale ?E che tutto per Epicuro fosse relativo,contingente,fuggitivo, nulla universale,necessario e assoluto, lo mostra il con cetto ch'e’s'era fatto del giusto,stabilito da lui come una norma destinata a tutelare la vita del saggio,e che quindi mutava sostanzialmente a seconda degli interessi civili.Posto così a capo dei precetti morali il puro sen timento animale,non poteva non derivarne una logica (o,come Epicuro la chiamava,una Canonica) che peggio r a s s e il s e n s i s m o d e g l i S t o i c i e n o n m o v e s s e u n p a s s o o l t r e la sensazione. Infatti, mentre gli Stoici andavano almeno fino all'idea che proveniva dalla percezione, e passavano dal soggetto all'oggetto per l'attinenza di causalità (Vedi Cicerone nel secondo degli Accademici),Epicuro,lasciata da parte l'idea,riconosceva il criterio del vero nella sola realtà della sensazione, e negando che dal senziente si desse certo passaggio all'entità del sentito, lastricava la via all'idealismo degli accademici e alle dottrine scet tiche d'Enesidemo e di Sesto Empirico. Infine; negata ogni interiore attività dello spirito, riconosciuta nella sola opposizione dei resultati sensibili la verità e la    falsità della sensazione,ristretti i fondamenti delle inda gini scientifiche alla pretta significazione delle parole, a m o 'dei Nominalisti; ecco in due parole la logica degli E p i c u r e i ( C i c ., D e N a t . D e o r ., L . I. C . X X V , 1 0 . ) N è a d i verso cammino si volgeva la fisica fondata da Epicuro sull'atomismo meccanico di Democrito.Ora,se ben con sideriamo, questa dottrina naturale del filosofo di Samo paragonata al dinamismo stoico è un nuovo perverti mento della ragione scientifica,e più che con la filosofia del senso si accorda con quella della materia. E di fatto, laddove gli Stoici che avean molto de'materialisti, pur trascendevano il fenomeno sensibile,e vi rinvenivano l'intima energia, l'intimo atto che dava vita e movimento alle cose, gli Epicurei lasciando da un lato la potenza nascosta, se ne stavano contenti agli effetti, cioè alle trasformazioni esteriori delle molecole materiali. Quindi la dottrina d'Epicuro intorno agli atomi, mentre,come nota il Ritter, ha l'apparenza d'essere la confutazione della sua logica materiale fondando tutta la scienza del mondo su quelle nature elementari, non accessibili al conoscimento, n'è invece (dico io) la riprova maggio re, perchè io non veggo in quelli atomi se non un abbaglio di fantasia che pretende spiegare in modo ar cano i fenomeni più ovvj dell'aggregazione e della dis gregazione molecolare.(De Fin.,L.I.)Che manchi,come io diceva più sopra,nelle dottrine del filosofo di Samo qualunque criterio di scienza, si vede quindi da ciò che in quelle intimamente repugna fra i principj e le con seguenze. Egli non ammetteva nell'ordine dell' essere niente che non cadesse sotto l'apprendimento dei sensi; ma poseaprincipiodituttelecoseilvuotoimmensoegli atomi nè sensibili in modo alcuno nè intelligibili. (De Fin .,L. 1. 6.) Credè immaginando la spontanea diversione degli atomi dalla perpendicolare, sottrarsi alla inesora bile legge del Fato ; m a s'imbattè in un'altra potenza non meno cieca e inconcepibile, nella potenza del caso. (De N. D.,L. I;De Fato, C. X.) Finalmente un ultimo indizio di quanto poco conto ei facesse dei veri i m m o r  28   tali presenti alla coscienza dell'uomo, è che voleva spe gnere per mezzo delle sue indagini fisiche quel concetto arcano dell'infinito per cui la nostra mente dalle cause seconde si leva fino alla Causa prima, quell'intimo senso di stupore e d'ammirazione che destano in noi,le tempeste, ifulmini,le meteore,icieli sereni,lenottistellate,le so litudini de'mari, voce della natura a cui risponde dal profondo dell'anima un'altra voce che ci parla di Dio. (Lucr.,De rer.nat.,Ritter,L.X,C.II.Vedianche gli op. di Plutarco tradotti dall'Adriani: 1. Che non si può vivere lietamente secondo la dottrina di Epicuro ;2. Della superstizione.) 4. Contemporaneo d'Epicuro, e un poco posteriore a Zenone,poneva Arcesilao i fondamenti dell'idealismo ac cademico . L'incertezza delle notizie intorno alla sua vita e ai suoi scritti ha dato occasione a purgarlo dall'accusa di filosofo dubitante,dicendosi ch'e'non negava ilpositivo delledottrinesocratiche,ma soloopponevailsuodubbio temperato al dommatismo stoico di Crisippo (Vedi Gautier de Sibert, Mem . de l'Ac. des Inscrip. et Bell. Lett., tom.XLIII),e Sant'Agostino nel libro Contra Academicos, L. III, p. 111), ci rappresenta questa dottrina come un domma filosofale, svelato prima nell'insegnamento del l'antica Accademia , e ristretto poi nel mistero all'appa rire del sensismo stoico, e adombrante l'intimo significato della filosofia di Platone : due essere i mondi , uno intel ligibile, l'altro sensibile; quello vero, verosimile questo, perchè fatto a somiglianza degli archetipi eterni; del primo per via delle idee generarsi nel saggio la scienza, del secondo una semplice opinione di verosimiglianza.M a quando io penso che il vescovo d'Ippona dettava quel libro poco innanzi la sua conversione, scampato appena dal dubbio della nuova Accademia, e che per guarire lo scetticismo inveterato del tempo cercava le più riposte armonie della sapienza antica colle dottrine cristiane, attingendo principalmente a fonti neoplatoniche; quando ritraggo dalla testimonianza concorde dei più deglistorici che Arcesilao andò più là di Socrate, dicendo non po  29   30 tersi nè anche sapere di saper niente, che aprì scuola d'insegnamento pro e contro ogni opinione, negando in tal modo il vero assoluto e ammettendo soltanto quello relativo ai principj d'ogni sistema ; e che finalmente quel suo idealismo operò direttamente sul dubbio univer sale degli Empirici ; allora son tratto ad attribuire a un pervertimento delle dottrine Socratiche, e alla efficacia de’tempi quello che Agostino riferiva al semplice accor gimento d'Arcesilao.(Cic.,De Oratore,III,18.)Socrate opponendo all'orgoglio del sofista la modesta affermazione del saggio,negava potersi trarre da una cavillosa dialettica l'onnipotenza della ragione, e dalle dottrine meccaniche degli lonj il conoscimento intimo delle cose.Platone tenne fermo quel dubbio, temperandolo col conosci te stesso, e sceso a considerare i più riposti veri dell'umana coscienza, vi riconobbe il combattimento della ragione coll'appetito, dell'intelletto colla carne, quel non so che d'immortale e di terreno ch'è in noi, e che lampeggia nelle serene aspi razioni del vero,del bello e del buono,e s'abbuja nelle tempeste de’sensi;quindi trasportando quell'intimo co noscimento all'esteriore forma delle cose,e al giudizio della loro perfezione, ne derivò la dottrina dell'ente e del non ente, della üln e del c o s . E qui (si noti) consisteva essenzialmente il positivo e il negativo delle dottrine platoniche. Poneva egli, è vero, da un lato il concetto della scienza nel salire dai particolari agli universali,da ciò che muta a ciò che non muta, dalla sensazione al l'idea che rappresenta l'essenza, e il fondamento della sua dialettica stabiliva nel cogliere fra i molteplici ele menti de'fatti particolari il concetto supremo che tutti li contiene.Ma d'altra parte mosso dall'idea trascendente della scienza,e dalle tradizioni delle dottrine panteistiche orientali ed eleatiche, onde germinava il dualismo, egli faceva del particolare, del mutabile, del sensibile un che intimamente oscuro,e non soggetto al conoscimento,perchè partecipante della materia che è l'opposto dell'ente,e alle MatematicheeallaFisicaindagatricede'fattinegònome di scienza.Si dirà forse ch'e'rimediava a questa dualità ri    conoscendo necessaria attinenza tra gliArchetipi divini e le cose, e nella mente dell'Artefice eterno che le informava della perfezione di quelli, e nella mente dell'uomo per via della reminiscenza, onde per lui si dava reale pas saggio dalla opinione al sapere; m a la illazione del d u b bio, che scendeva dalle premesse del suo sistema,non si arrestava, perchè, se a Dio è coeterna la materia,e l'una è negazione dell'altro, chi mi assicura che fra termini sì disparati possa darsi attinenza di conoscimento ?nè,derivato da Dio l'intelletto, basta la sola ipotesi ch'egli fingeva della preesistenza degli animi nostri in una vita anterio re,e un debole legame di verosimiglianza tra iparadigmi e le cose,'per verificare la certezza di quelle notizie che civengonodaicontingenti.E perfermo,indebolitacosìdal principio della filosofia platonica la relazione tra il cono scente e ilconosciuto,non v'era che un passo a negare o l'uno o l'altro di questi due termini; e il termine intelli gibile negarono gli Stoici, alle cui innovazioni aveva aperto la via il semi-panteismo materiale del Peripato, e quella negazione sensistica esagerarono gli Epicurei col restrin gersi nello studio della materia ; restava a trarre l'altra conseguenza del sistema platonico negando il sensibile, e ciò fece Arcesilao colla sua dottrina ideale-scettica, scetticismo però non al tutto compiuto, perchè non n e gava l'entità del vero nelle cose, m a poneva soltanto in dubbio la loro corrispondenza reale coll'apprensione del l'intelletto. È dunque vero in parte quel che affermava Agostino che la dottrina della nuova Accademia (o media che voglia chiamarsi) ebbe la sua ragione d'origine nel fondo del sistema di Platone,e la sua ragione di svolgi mento nel sensismo contemporaneo di Crisippo, m a è anche vera l'osservazione del Ritter che quel metodo di dubbio fu corruzione del metodo socratico, e resultò dall'idea della scienza qual era nell'antica Accademia,idea troppo trascendente la certezza naturale,e che togliendo l'atti nenza tra il soggetto e l'oggetto imprigionava il pensiero nella coscienza solitaria, e al dualismo innestava la Cri tica della conoscenza.(Ritter,tom.XI,C. VI.Conclus.)  31   La quale non ancora matura e compiuta in Arcesilao si svolse nei successori,perchè,laddove il filosofo Pitano sostenendo la sua tesi contro i sensisti moveva special mente dalla fallacia de'sensi e dall'oscurità della materia; Carneade,che gli successe,introdusse in quella tesi maggior rigore scientifico,quando esaminò ex professo l'entità della relazione inclusa nel conoscimento, e distinguendo nella percezione sensitiva o rappresentazione due lati,uno ri feribileall'oggetto,l'altro al soggetto,mostrò XIX secoli prima del Kant non darsi vera certezza del sapere, per chè il conoscente trae in propria forma la materia del conosciuto. V'ha egli dunque un nuovo peggioramento in Carneade ? Sì ; perchè e'negò fede espressamente alla validità della ragione, dicendo non potersi dare un crite rio certo pel ritrovamento del vero, e dovere contentarsi il sapiente della semplice verosimiglianza; onde per lui l'idealismo accademico si accostò sempre più alla nega zione universale, che compiendo le dottrine anteriori di Pirrone, ricomparve più tardi;e n'è prova evidente il pas saggio ch'e'fece dal dubbio sui fatti esteriori al dubbio sull'entità oggettiva delle idee universali che si specchiano nella coscienza, manifestato da lui ambasciatore per gli Ateniesi in Roma nel discorso sulla giustizia,dove to gliendo nota d'universalità e d'assolutezza al concetto del bene,abbattevaifondamenti dellamorale(Cic.,De Rep., L. 1. Ritter,L. XI,Cap.VI.) 5.E ildiscorsodiCarneadeudivanoaffollatiiRomani, nella cui patria splendeva quella gran scuola paesana dei Giureconsulti dove l'idea della personalità umana ,e la n o zione del dovere e del diritto si desumevano da principj d'immortale necessità, e dove la natura della legge dovea definirsi più tardi congenita alla natura di Dio.(V. Cantù, St. Un.Brucker,Degerando,Ritter,Kuehner.Cic.,Tusc.IV, 1,2,3.) È noto infatti come fino dal secolo XVII G. Batt. Vico nel suo libro De antiquissima Italorum sapientia indagando nella storia de’fatti umani iprincipj universali che reggono il sapere, trovasse vestigj di antichissime e profonde speculazioni ne'linguaggi primitivj d’Italia ; il  32   che,se non prova che presso quei popoli, come ad esem pio i latini (intesi per lungo tempo e unicamente ai ne gozj civili),fiorisse un vero e proprio esercizio d'indagini scienziali, mostra però che v'era nel loro ingegno un'in tima disposizione a filosofare. E questa disposizione d o veva attuarsi quando ilpensiero latino libero dalle stret tezze presenti, e sollevato a un ideale più ampio,dal sen timento di nazione si sarebbe volto a considerare l'umana natura specchiata in sè stesso, e nell'universalità della storia. Queste erano le preparazioni e le cause del fatto ; l'occasione esterna venne dalla celebre ambasceria di Cri tolao, Carneade e Diogene babilonese. (A. di R. 585. V. gli autori soprac.) Volgeva intanto a metà ilsecondo se colo innanzi l'Era volgare,e Roma,vinto Antioco in Asia, distrutta Cartagine,e sottomessa definitivamente la Grecia colle guerre Macedoniche, e colla memoranda presa di Corinto,riceveva dai vinti la tradizione delle arti e delle discipline civili per parteciparle novamente e sott'altra forma all'Europa ed al mondo. Ma quelle arti e quelle discipline che giungevano d'oltremare non più informate dalla libera spontaneità dell'ingegno dei padri, educato alla scuola del sentimento civile e del magistero divino, ma guaste dal dubbio della nuova Accademia,e infette da signorie corruttrici e da profonda sensualità di costu mi,trovarono nei Romani dismesso l'abito della severità antica, e omai volgente a rovina quella repubblica inde bolita dalle mollezze d'Affrica e d’Oriente .(Sallustio, C a til.,C.X.c.f.XI.XIV.)Non èquindiamaravigliarechenon ostante i tentativi di molti ingegni valorosi, dall'unione di due civiltà semispente non nascesse un grande rinno vamento ; chè ogni rinnovamento è possibile quando nelle rovine dei popoli s'accoglie una favilla immortale di vita, e un impulso efficace li risospinge ai principj; non possibile allora,in quelli anni ultimi dell'Era pagana, in cui, ecclissato ogni lume d'antiche tradizioni, spenta la famiglia e ridotto in pochi lo stato, Europa, Affrica ed Asia precipitavano nella barbarie. Nè c'inganni quel moto apparentemente efficace di letteratura e di scienza m a  33 era 3   nifestatosi nelle città greche, e nelle corti di Pergamo e deiTolomei.Tranne inRoma,dovefinoallamorted'Au gusto durarono potente incitamento alla libertà degl'in gegni le sembianze,e la memoria degli ordini repubblicani, nel resto d'Europa nell’Asia e nell'Affrica le lettere e le scienze doventarono trastullo di principi e di cortigiane, o sollievo di popoli in gioconda schiavitù sonnecchianti, o (come apparisce da Filone Ebreo,dalla Kabbala,da Apol lonio Tianeo,Moderato, Nicomaco,Plutarco,Apuleio ed altri) doventarono contemplazione solitaria di pochi stu diosi, onde alla spontaneità dell'arte che crea sottentrò l'erudizione ragunatrice dei commentatori e degli illustra tori, e il panteismo greco -asiatico da cui poi derivarono gli Alessandrini; e un vero e fecondo avanzamento ebbero soltanto le scienze matematiche e d'esperienza sostenute dai principi e dalle città mercantili e dalla agiatezza dei tempi.Ma d'altra parte (ed è un esempio che s’è rin novato più volte) indietreggiavano ogni giorno più le di scipline speculative;nè solo (come vedemmo)quanto alla materia,ma altresì quanto alla forma scientifica dei si stemi ;perchè, se è legge connaturata all'umano intelletto che in quella dirittura necessaria di relazioni, che passa tra il soggetto esaminato e la riflessione esaminatrice, consista intimamente il metodo d'una scienza,una volta guasta o distrutta la notizia dei veri principali, se ne scom piglia l'indirizzo della riflessione, non si ravvisa più chiara l'integrità della coscienza su cui cade l'esame,e n'è dis fatta la scienza. Richiamando ora in breve le cose discorse, che mai ci mostra la storia della filosofia da Socrate a Cicerone ? N o n altro che un continuo scadere della riflessione scientifica da sistemi più ideali e che al sentimento del divino e del l'immortale accoppiavano il rispetto delle più antiche e v e nerate tradizioni, ad altri infetti di materialità e dispregia tori d'ogni magistero divino ed umano ;quindi da dottrine che offrono più ampio disegno di riflessione,e più perfetto ordinamento scienziale,si sdrucciola ad altre che alla c o m prensione totale della coscienza e delle sue relazioni fanno  34   seguire un esame monco,spicciolato,minuzioso,eaimetodi positivi e dogmatici (benchè misti di legittimo esame) im e todi semplicemente negativi e gl'inquisitivi.Questo è il pen dío naturale del pensiero filosofico in quell'età,che dalle altezze del disputare platonico ci conduce nelle ruvide a n gustie di alcuni trattati aristotelici,dagli archetipi eterni, all'anima informatrice della materia corporea, poi al Dio animante di Zenone e agli aridi sillogismi di Crisippo per terminare nel materialismo d'Epicuro, e nella negazione della nuova Accademia ; che infine dalla interpretazione sublime della Mitologia,qual era in Platone,ci guida all'in terpretazione fisica e storica degli Stoici e d ' E v e m e r o . M a la nuova Accademia di contro alle dottrine d'Epicuro,se non forse quanto alla materia, era un nuovo peggiora mento quanto alla forma scientifica, perchè Epicuro rico nosceva almeno molti veri, e offriva un disegno di pro prie dottrine sulle principali teoriche della scienza ; gli Accademici negavano soltanto, e, tranne poche e sparpa g l i a t e a f f e r m a z i o n i i n f i s i c a e d i n m o r a l e , r e s t r i n g e v a n o il soggetto della filosofia al problema del conoscimento ; ora da questo idealismo che solo ammetteva pochi veri par ticolari, e scioglieva ogni attinenza del conoscimento coi proprj obbietti, non v'era che un passo alla negazione scientifica d'ogni verità della scienza, e da questa al d u b bio popolare e grossolano e ai sistemi empirici e positivi che non sono più scienza. E anche allora fu detto o sot tinteso da uomini dottissimi che unico criterio del vero era il mancare d'ogni criterio,che la scienza era ilm e todo,e che unica e naturale forma del pensiero filosofico era la storia ;e da questi abbagli di critica stemperata che sirinnovano anche oggiinFrancia,inAlemagna einItalia, nacque l'ecclettismo erudito degli Stoici e de'Peripatetici, e le dottrine empiriche d'Enesidemo e di Sesto,come oggi dagli eccessi della critica Kanziana pullularono gli E m p i rici Alemanni , l'Ecclettismo del Cousin e la Filosofia P o sitiva di Augusto Comte.In quelle condizioni della filosofia era,com'oggi,indispensabileunariforma,elariforma,come moto contrario alle cagioni del male, dovea consistere  35   segnatamente nel tornare ai princip j della coscienza n a turale, abbracciando la universalità dei suoi veri, e affer mando interoeindivisibileciòchelesetteaffermavano spar pagliato e diviso.Fu questa l'opera immortale di Cicerone, e a tentarla egli ebbe occasione e conforto dalle q u a lità dell'ingegno latino, mosso da antiche tradizioni e da indole propria allacomprensione delle attinenze scienti fiche, dallo stato politico e civile di R o m a , e dal contrasto ai dubbj che laceravano la scienza. Di fatto, se era pos sibile una riforma in tanto scadimento di civiltà e di dot trine, più che altrove ella dovea tentarsi in Italia ed in R o m a , dove le sacre tradizioni primitive s'erano conser vate più schiette per opera degli affetti di famiglia e d e gli ordinamenti civili ; durava ancora potente l'efficacia della civiltà etrusca ed italica, ed ora dilatato il dominio romano all'Europa, all’Affrica e a gran parte dell'Asia, vi correvano,come a centro comune delle genti conosciute, la scienza, la letteratura, le arti, le industrie, compagne della grandezza, e vi s'accoglieva,quasi a compire la m a e stà della gran repubblica dominatrice,lacoscienza del ge nere umano.Quindi in Roma era più che altrove potente ilsentimento dell'universale,condizionenecessariaal na scere della Filosofia.D'altra parte,se volgiamo gli occhi alla Grecia,ci si presenta un turbinìo d'opinioni e di sette a cui non tien dietro la storia ; la filosofia era lacerata in sistemi che ponevano la scienza nel paralogisma, e sempre più tralignanti dagli istitutori scendevano il pen dío della negazione universale ; gli Epicurei e i Cirenaici, facili secondatori della corruttela dei tempi, ogni giorno più sprofondavano nell'ateismo e nel senso ;i Platonici e iPeripatetici,come Cratippo,Stasea,AndronicodiRodi, Alessandro Afrodiseo si diedero all'erudizione, e poichè non sapevano creare nulla di nuovo,rimestarono con cri tica infeconda le dottrine anteriori; lo stoicismo con P a nezio e con Possidonio, allontanatosi dall'aridità delle dottrine di Zenone, favorì l'eloquenza trattando la filoso fia in modo più popolare,e ravvicinandosi alle altre scuole socratiche; ravvicinamento anche più manifesto in Filone  36 -   e in Antioco,contemporanei ambedue e maestri di Cice rone, l'ultimo dei quali segnatamente intese a conciliare il Portico colla nuova Accademia,e riconobbe la validità del conoscimento. Infine secondavano da un lato quell'in dirizzo le dottrine romane qual più qual meno imitatrici delle greche, e perciò prive di u n metodo proprio e di proprie speculazioni; mentre dall'altro lato (sebbene al quanto più tardi) si apparecchiava nelle dottrine de'N e o platonici e Neopitagorici greci un congiungimento tra la sapienza orientale e le scuole socratiche. Sembrerà forse a qualche lettore che dettando questi cenni sui principali sistemi antecedenti a M. Tullio,ci siamo allontanati di troppo dai confini di una semplice introduzione ; m a il rimanente di questo discorso farà m a nifesto che a ben chiarire la natura del filosofo nostro,i suoi intendimenti,lefontidellesueopereeilconcettoche egli ebbe di riformare e riordinare la scienza, era neces sario distendersi alquanto intorno alle scuole precedenti e contemporanee e all'efficacia loro sulle parti della filo sofia. Per fermo allorchè l'oratore latino, fuggendo nella solitudine di Tuscolo e di Cuma il cospetto degli scelle rati,poneva mano all'Ortensio(A. di Roma 709 in circa), appariva,come ben notailRitter,una straordinariapo vertà di speculazioni scientifiche in tutta Europa ; poche e sparpagliate verità rimanevano intatte nei fondamenti del sapere; l'umana coscienza illuminata una volta dai principj morali, allora in quella rovina d'ogni umano prin cipio taceva, e al mancare della materia desunta dalla considerazione dell'animo umano ,la forma scienziale, seb bene apparentemente raffinata, impoveriva ogni giorno. Impoveriva di fatti la logica, venuto meno colle dottrine di Zenone il vero concetto del principio e dell'atto del conoscimento, e ridotta da Arcesilao e da Carneade a cogliere solo, sfuggendo gli universali, le contradizioni particolari dei varj sistemi;il semipanteismo stoico e dei Platonici posteriori, confondendo sempre più l'ente col non-ente, il finito coll'infinito, il relativo coll'assoluto, uccideva la fisica e s'attraversava al buon uso dei m e  37   todi sperimentali; la morale per ultimo risentiva d'ogni setta,massime della epicurea, le cui ultime dottrine ve nute in luce nel secolo scorso dai papirj Ercolanesi colle opere di Filodemo Gadarense, contemporaneo e famigliare di Cicerone, testimoniarono anche una volta la vacuità e i vaneggiamenti di una scienza decrepita.(Vedi Hercu lanensium Voluminum quue supersunt.Nap.,1793.) Pertanto in quelle condizioni di civiltà e di dottrine due sole vie rimanevano aperte all'indirizzo del pensiero speculativo; o un ecclettismo erudito, o un ritorno all'uni versalità e all'unità della scienza coll'indagine dell'uomo interiore,del senso comune,e delletradizioniscientifiche e religiose ; impresa che, sebbene difficilissima e degna di sublimi intelletti, non poteva esser sorgente a specula zioni copiose, mirando più che altro a sceverare il certo dall'incerto,il teorematico dal problematico, il necessario dal mutabile, il consentito dal disputato. La qual cosa, mentre è una conferma dei meriti di Cicerone come filo sofo,e della modesta grandezza della sua dottrina, ci spiega il divario notevole che lo distingue dai filosofi contem poranei, e la brevità delle speculazioni latine; e di fatti, se è vero che la storia della filosofia ci offre a quegli anni in Grecia ed in Roma un ecclettismo erudito, testimo nianza imperfetta dell'universale disposizione degl' inge gni a ritornare sul passato, e a ricostituire la scienza sull'armonia delle attinenze universali, è anche vero che Cicerone, solo tra i suoi contemporanei, tentò ridurre l'ec clettismo romano a vera e propria forma di scienza, imi tatore e seguace di quella scuola dei Giureconsulti, che desumendo dalle consuetudini e dal gius naturale la santità delle leggi, aveva aperta la via ad un ritorno della rifles sione filosofica sulla coscienza morale.  38   1. Quella sentenza del Segretario fiorentino, che af ferma,doversi ogni umana istituzione ritirare verso i principj,fa manifesta a chi consideri il cammino del pensiero e delle opere umane nelle età della storia,una legge di scadimento e di progresso, di barbarie e di ci viltà, di rovine e di restaurazioni, che si verificò in ogni tempo, così negli ordini civili,come in quelli della filo sofia. La ragione di questo fatto m i sembra chiara e nel l'un caso e nell'altro;è chiara negli ordini civili,iquali, se hanno per principio e per fine l'adempimento delle necessità umane e la conservazione del viver sociale,una volta allontanati da quello riescono a contraddire la loro natura ; è chiarissima poi nella scienza, e massime nella filosofia, che costituita nel proprio essere di scienza pri ma da un ripiegarsi della riflessione sul pensiero come pensiero,e sulle verità universali,ricereimmediatamente dalla natura ilproprio soggetto,ipostulatiedilmetodo. La filosofia dunque,come scienza sovrana che ha imme diatamente innanzi a sè la ragion di sè stessa, è ripen samento del pensiero naturale e delle sue leggi,è,in una parola, ripensamento della natura ; la qual cosa concessa ,  PARTE SECONDA. ESAME DELLE DOTTRINE FILOSOFICHE DI CICERONE. I.   sembra doversi dedurre ch'ella abbia altresì nella natura la possibilità di un indefinito svolgimento, e la possibilità delle proprie riforme, se pure non vuol pensarsi che l'ef fetto sia inadeguato alla causa, e la vita dell'animale e della pianta alla virtù generativa del proprio germe.A chi affermando diversamente volesse mostrarmi, o che il pensiero non vale a trar fuori dalle prime notizie, con progresso indefinito di dimostrazione,la scienza, o che la riflessione del filosofo può introdurvi alcunchè non sup posto antecedentemente dalla natura, io addurrei per ragione la coscienza, spettacolo sublime dei fatti interni e dei più ardui problemi sulle verità principali,evidente e misterioso ad un tempo,dove si acchiude come in ger me la possibilità del sapere che si svolge ne'secoli, ad durrei per ragione la storia,che ci mostra d'età in età i più grandi intelletti muovere alla ricerca del vero ignoto dall'affermazione compiuta della coscienza, deftinirne le più alte questioni concordemente alle tradizioni più a n tiche, e alla parola del genere umano e di Dio, e fra i delirj e i vaneggiamenti delle sette conservare e tra mandarsi l'un l'altro la Filosofia perenne. La testimonianza più lampeggiante di questa verità ne’secoli pagani sono per certo le due riformedi Socrate e di Cicerone ; entrambi trovarono la filosofia perduta in dubbiezze infinite; entrambi la rilevarono con uno sforzo supremo tornandola alla coscienza ; l'Ateniese divino in gegno, e iniziatore fecondo di un moto speculativo che non è ancora cessato;più modesto intelletto ilRomano, ma non meno benemerito della buona filosofia,per avere tentato, solo, in un popolo nuovo fino allora a ogni eser cizio di speculazione e nell'universale scadimento della civiltà e della scienza, ciò che il Maestro avea potuto compireincondizionimeno avversedelsapereedeipub blici costumi. Per convincerci di ciò,basta paragonare la Grecia dei tempi di Socrate con Roma dei tempi di Ci cerone.E nel vero quel principio di corruzione e di sfi nimento che il paganesimo già da lungo tempo recava in sè stesso, s'era mostrato segnatamente in Grecia sin dal  40   - 41 D'altra parte i tempi in cui Cicerone, nato in Arpino di famiglia provinciale (il terzo giorno di gennajo l'anno A. C. 106, coss. C. Atilio Serrano, e Q. Servilio Cepione), venne a R o m a per apprendervi l'esercizio dell'eloquenza, che gli fosse via alle cause del fôro e al pubblico arringo, eran tempi di più profondi rivolgimenti civili, conse guenza delle due grandi questioni che da lunghi anni empivano la storia romana,la prevalenza degli Ottimati sopra la plebe, la prevalenza di Roma sopra il resto di Italia e del mondo. (Cantù, St. Univ .) Già sin da quando tonò la prima volta nel fôro la potente parola de'Grac chi, un moto profondo in favore delle franchigie popolari e dei diritti di cittadinanza romana s'era venuto propa gando in Roma e nel rimanente d'Italia, e quel moto crebbe cogli anni, e coll'ampliarsi della potenza repub blicana, e ruppe finalmente nelle dissensioni civili di Mario e di Silla, e nella guerra sociale. Cominciarono allora que'tempi pieni di sedizioni, di esilj e di sangue, ne'quali la libertà, mantenutasi per tanti anni incorrotta , fu solo istrumento dell'ambizione di pochi, e la gloria militare, guarentigia d'indipendenza, venne adoperata a sovvertire le leggi; non più libera nel fôro la parola degli oratori,non più inviolata la persona e le sostanze d'un cittadino romano , dispersa la pubblica ricchezza, venduti a chi più li pagava i consolati e le amministra  l'entrare della guerra del Peloponneso; poichè pessimo segno del decadimento di un popolo è sempre il succedere delle interne gare alle lotte d'independenza ; m a il vivo agitarsi della gente greca, calda ancora di gioventù vi gorosa,ne'commerci,nelle riforme civili,ne'viaggi,nel l'agricoltura, nelle arti, manteneva allora negli ordini materiali e politici qualche seme di bene,e negli ordini in tellettuali volgeva le menti allo studio amoroso del vero l'efficacia della filosofia italo-greca, che avea recato dal l'Oriente gran parte delle tradizioni primitive, la fantasia greca, intesa a rendere l'animo interno nelle manifesta zioni dell'arte plastica, e infine una gagliarda educazione del pensiero nella dialettica de sofisti.   zioni delle province , interrotti i giudizj, annullati i d e creti del senato e del popolo ; così passarono i settanta anni precedenti al regno d'Augusto, finchè l'abuso della libertà messe capo ad un governo assoluto.Causa di tanta rovina fu per fermo la crescente corruzione d'ogni principio morale, chè una libertà partorita dal sangue di tanti uo mini grandi, e da secoli di virtù, non si perde senza crollare i fondamenti dell'edifizio civile ; e qual fosse a quel tempo la pubblica moralità in Roma ,ce lo dice Sal lustio complice e accusatore dei delitti narrati. (Sall., Catil.,cap.X,XI,XIV.)Quellacorruzione,profondanegli ordini civili, non appariva minore negli ordini dell'intel ligenza ; innanzi tutto perchè, il progresso intellettivo di un popolo non andando mai scompagnato dal suo pro gresso morale,e la scienza essendo un che vivo, affet tuoso, e supremamente civile, l'armonia del sapere col l'armonia della vita è legge innegabile nella storia delle nazioni; e secondariamente perchè la scienza era stata sino a quel tempo più spesso istrumento di dominio in mano degli Ottimati che manifestazione della coscienza e dell'indole latina. Scendono da questi fatti due considerazioni impor tanti sul nostro filosofo. Prima che, mentre (come nota più d'uno storico) la letteratura e la filosofia fu colti vata in Roma dai principali uomini di stato come arte di governo, Cicerone mostrò co’suoi scritti ch'e'fece della scienza e della cultura, non già un istrumento per domi narelarepubblicaesalireaglionori,ma,uomo dipace qual era,e conservatore degli ordini civili che avean for mata la gloria degli avi, studiò la scienza del vero l'arte del bello per contrapporla alla corruttela de tempi, e all'oscurarsi d'ogni principio morale. La seconda con siderazione è che Tullio s'oppose segnatamente, e con maggior vigore che a qualunque altra,alla dottrina degli Epicurei.Ora,se consideriamo che l'epicurea era quella fra le scuole contemporanee che avea posto più profonde radici in Roma,e che mentre ciò era al certo l'effetto della civile corruzione, ne doventava poi alla sua volta  42 e   2. M a qui c'imbattiamo subito in una questione i m portante. - Cicerone fu egli soltanto condotto a filoso fare da cause straordinarie ed esteriori? quando si pose a scrivere aveva egli profondamente meditato sui più ardui problemi della vita e dell'animo umano ? possedeva quell'ampiezza e universalità di studj speculativi necessaria per indirizzarlo nella via della scienza? — Parecchi cri tici tra i quali il Ritter,ilDegerando, e il Bernhardy lo hanno negato, e affermarono non potersi chiamare filosofo vero esso che nella sua gioventù avea studiato la filosofia come semplice istrumento dell'arte di persuadere. Sembra altresì che una simile domanda gli fosse stata fatta da talunifraicontemporanei,quandoudiamo luistesso,il testimone più autorevole nella storia della sua vita, re plicare espressamente dicendo : io nè cominciai tutto a un tratto a filosofare, nè da’primi anni della mia vita consumai in questo studio mediocre opera e cura,e allora, quando meno parera, io era maggiormente intento a filosofare (De Nat.Deor.,I,III,6);parole che potreb bero forse sembrare dettate da soverchio amore di sè stesso,seiprimiindizj che ci rimangono de'suoi studj, e le opere antecedenti alle filosofiche non mostrassero assai che ilsuo ingegno,giovanissimoancora,sivolse'sui principj, sui metodi e sui più ardui problemi della Scienza prima. Della qual cosa uno fra gl'indizj più certi si è l'ain piezza e la comprensione ch'e'diede a'primi suoi studj, indizio notevole per chi ricordi il disprezzo che i più fra i Romani contemporanei affettavano verso la filosofia e le lettere greche.Ma inCicerone,appena ventenne,appa risce un sentimento vivo,e quasi direi religioso,dell'unità della scienza; poeta elegante e vigoroso ne'primi anni, poi traduttore di cose greche,udiva i più eccellenti m a e stri d'ogni filosofia, studiava con Q. Mucio Scerola il giure, coi più autoreroli cittadini la scienza delle cose  43 una causa, vedreino essere immenso il beneficio che il grande uomo recò alla sua patria, più ancora che come riformatore filosofo, come riformatore civile.   civili, la declamazione con Esopo e con Roscio, ed ebbe a maestri di rettorica Molone Rodio, e Demetrio di Siria (Cic.Brutodal91allafine;Forsyth,ThelifeofM. T: Cicero,chap.I,II,III.London,1864).Nutrito l'ingegno con tanta larghezza di cognizioni, appena si fece avanti nel foro,si accorse,com'egli stesso ci dice (Brut.93,e pro A r c h i a , V I ) , c h e a c o s t i t u i r e il p e r f e t t o o r a t o r e n o n e r a s u f ficienteladestrezzaelacopiadellaparola,ma bisognava che la materia scientifica desse pienezza e fondamento alla forma dell'arte; quindi ei considerò sin d'allora la filosofiainunmodo involutoecomprensivocomeunascienza che abbracciava le regole della vita,dell'arte oratoria,del diritto, d'ogni disciplina umana e divina, philosophiam matrem omnium benefactorum benequedictorum(Brut.93); omnis rerum optimarum cognitio,atque in iis exercitatio philosophia nominatur (De Orat., III);concetto univer sale, che apparisce in uno fra i primi suoi- scritti, nel -de Inventione, dove parla delle virtù secondo le dottrine platoniche, e introduce l'eloquenza fondatrice delle città e del consorzio civile. Un tal concetto che certo doveva poi chiarirsi cogli anni, e uscirne un disegno più specifi cato di dottrine morali e speculative, mostra che il suo amore per la filosofia si accrebbe col suo progresso nel l'eloquenza, talchè in lui (come osserva ilRitter) l'ora tore preparò lo scrittore in filosofia, ed anzi leggendo attentamente il De oratore, il Brutus e l'Orator vi senti spirare da cima a fondo un alito di speculazione di scienza.Il dialogo De oratore è finto a imitazione del Fedro, e la tesi sostenuta dei disputanti appartiene intimamente alla filosofia, poichè trattasi ivi di sta bilire se l'eloquenza sia una dottrina universale od un'arte, s' ella debba restringersi al puro esercizio del la parola, o allargarsi alla scienza delle cose divine ed umane. E qui v'è contrapposto deliberatamente nelle stesse persone dei disputanti il concetto più ampio e più universale,e per conseguenza più filosofico,che Ci cerone avea del sapere, al concetto parziale e negativo de'suoi contemporanei; Crasso infatti, che rappresenta  44   l'opinione dell'Autore, movendo dal principio che una sola è la sintesi delle materie scientifiche,e che su tutte può e deve cadere l'esercizio dell'eloquenza,reputa ne cessario al perfetto oratore quasi tutto lo scibile u m a n o , e conferma questa sentenza coll'autorità degli antichi presso i quali l'arte del pensare e del dire erano state sino ai tempi di Socrate indivisibilmente congiunte (III, 14, 19.). Lo stesso argomento è trattato nell'altra opera Orator, dov'egli cercò pure l'ideale dell'oratore perfetto assumendo a principio le idee archetipe di Platone ; talchè l'armonia della scienza colla vita, dell'una e dell'altra colla letteratura e coll'arte,l'accordo della materia scien tifica colla forma oratoria, e della ragione col gusto, costituisce nei libri rettorici di Cicerone una vera e pro pria unità di concetto . Considerando questo principio universale,a cui il filo sofo latino rannodava le discipline letterarie,e l'alto sen timento ch'egli ebbe dell'arte, io sempre meglio mi per suado che la vita d'oratore e di politico fu per lui un apparecchio necessario agli scritti speculativi. Più tardi, allorchèlalibertàvenneinmano degliscellerati,eilgran cittadino si astenne volontariamente dall'esercizio della pubblica vita,tornò agli studj non mai interrotti dalla giovanezza, cercandovi la pace che gli negava l'animo addolorato per le sventure civili,una nuova occasione ad esercitarvi l'eloquenza muta nel senato e nel fôro, un mezzo per confortare a virtù le fiacche generazioni, e arricchire la letteratura della sua patria di questa nuova gloria, sino a quel tempo non partecipata coi Greci (Tusc.,II,5,6,7,8,9,10;I,1,2,3;III,3;De divin., I , 1 3 ; D e o f f ., I I , 1 , 2 ; A d f a m ., V , 1 5 ) . C h i c o n s i d e r a s s e partitamente un solo di questi fini, senza comprenderli tutti nell'unità della mente e dell'animo dello scrittore, mostrerebbe di non averlo compreso ; a lui l'inclinazione oratoria e l'amor nazionale porgevano il pensiero di un nuovo accordo della scienza coll'arte nelle opere di filo sofia, onde si aprisse questo nuovo campo intentato agli ingegni latini; i mali e le necessità del suo tempo gli  45   consigliavano le dottrine morali e civili come riforma dei costumi corrotti, e dall'intendimento letterario,nazionale e morale insieme congiunti e contemperati uscì per l'ef ficacia dell'ingegno,degli studj anteriori, e della riflessione psicologica, la riforma speculativa. La quale armonia di cause determinanti e di fini fra l'animo dello scrittore ed i tempi, è notevole in Cicerone ; perchè vi si fonda quella unione socratica tra il vero ed il buono, onde la filosofia di lui, come quella d'ogni socratico, tanto più è affermativa e solenne,quanto più gli argomenti metafisici hanno attinenza colle ragioni morali, nè ciò per quello che oggi si chiama senso pratico , e che si crede diviso dalla ragione speculativa, m a perchè appunto la ragione prima del conoscimento si riconosce identica colla legge dell'operare . Se tali erano i fini, con cui si accinse a filosofare, tra l'indole positiva e morale delle sue dottrine, e il loro cri terio speculativo non v'ha per fermo alcuna contradizione, chè anzi quella contradizione apparente,che il Ritter e il Bernhardy han creduto di rinvenirvi, si dilegua tosto quando raccogliamo dalla piena lettura delle opere filo sofiche un'idea complessiva del concetto della filosofia, e seguendo le varie definizioni ch'egli ne diede,perveniamo fino al punto in cui concepisce chiaro l'ordine scien ziale.  46 Il primo e più notevole concetto ch'egli ebbe della filosofia, considerata come vera dottrina, si è di una scienza moderatrice delle azioni e istitutrice della vita: vitæ philosophia dux, virtutis indagatrix, expultrixque vitiorum ; animi medicina philosophia ; a questo propo sito il conosci te stesso di Socrate ei lo prendeva in un senso puramente morale, senso che apparisce più volte nella Repubblica,e nelle Leggi, e nelle Tusculane, dove si agitano questioni relative alla vita e ai costumi,e per quanto abbiamo da chiari indizj appariva pure nell’Orten sio,opera perduta,dov'ei tesseva l'elogio della filosofia rac comandandola allo studio dei concittadini come dottrina su premamente morale e civile.(V.Hort.,fram.,e specialmente   47 il fram . 21, L. I. ed. di Lipsia pag. 284, vol.III,p.IV.) Ora siffatto concetto involgeva di necessità un criterio scientifico; innanzi tutto perchè chi medita l'ordinarsi d'una dottrina scienziale, qualunque ella sia,ad un eser cizio d'operazioni, si suppone averne penetrato l'intima essenza in cui quel principio regolatore risiede; e poi perchèilverorelativoallavita,sebbene manifestoin noi pel sentimento morale, s'attiene alle parti più vive e più affettuose dell'essere umano,ond’è mossa la rifles sione a ripensare da sè stessa e con proprj principj l'ordine speculativo delle conoscenze. Pervenuto a tal punto il filosofo, non ha da fare che un passo per racco gliersi nella coscienza morale, e quindi trar fuori con metodo ascensivo e discensivo d'induzione e di deduzione tutto quanto il disegno dell'edifizio scientifico ; la qual cosa apparisce a chi prenda ad esaminare in Cicerone l'ordinamento logico degli scritti morali. Dove si scorge (e lo mostreremo a suo tempo) com'egli procedendo di passo in passo nell'induzione, dall'idea morale di legge e di diritto, che lampeggiava nella coscienza d'ogni cit tadino di Roma,si levò a concepire un ordinamento di relazioni e di gradi dagli esseri inferiori a'supremi; re lazioni che intercedevano tra Dio e l'uomo per l'eccel lenza della ragione, tra uomo ed uomo per somiglianza di natura intellettuale e socievole ; e quindi usciva una specie d'equazione ideale tra Dio e le creature, tra gli enti ragionevoli, e i non dotati di ragione, per la reci procanza dei doveri e dei dritti;e vi s'acchiudevano in germe Teologia naturale, e Antropologia, Cosmologia e Filosofia del buono. Questo largo disegno di veri morali fu il principio da cui Tullio moveva nella via della scienza, e lo mostrano i libri politici e civili antecedenti in ordine di tempo alle altre opere speculative. 3. Ora soffermiamoci un poco.Mostrato così per suc cinto quale idea egli avesse della Scienza prima e dei suoi principj, domandiamo che cosa debba pensarsi sul dubbio accademico quasi universalmente a lui attribuito. La questione su tal soggetto,disputata a lungo dai critici    e storici della Filosofia, durante il secolo scorso,mentre gl'ingegni si dividevano incerti tra l'amore dell'antico e la curiosità del nuovo,e l'Enciclopedia affermava dogma ticamente le sue negazioni, mosse ne'più de'casi dal pre supposto che Cicerone,come seguace della Nuova Acca demia,ponesseildubbiouniversaleafondamentodiscienza. Così opinò il Bayle,e,sebbene alquanto meno risoluti,lo affermarono il Brucker,ilDegerando e ilBernhardy.Per combattere una siffatta obbiezione non rimanevano alla critica che due sole vie ; o negare di pianta lo scettici smo della Seconda Accademia, o rifacendosi da un nuovo e più accurato esame delle dottrine di Tullio, cercare quale e quanta efficacia vi esercitasse quel dubbio, o come metodo semplicemente,o come principio fondamen tale ed interno. La prima di queste vie fu seguita dal sig.Gautier de Sibert in una memoria scritta da lui sui Nuovi Accademici,la seconda da Raffaele Kuehner.Ma il critico francese,sebbene dottissimo,quando volle mostrare che la Nuova Accademia non negava la possibilità della scienza, contraddisse alla storia, nè rispose al quesito del come conciliare la certezza dei libri morali di Tullio col dubbio quasi assoluto d'Arcesilao e di Carneade ;l'Ale manno mostrava invece con maggior verità come il filo sofo nostro, seguace della Nuova Accademia quanto al metodo inquisitivo dei veri particolari,ne temperasse per altro il dubbio ravvicinandolo alle fonti socratiche. Ma ilKuehner,cheraccolseconstudioletestimonianze fatte da Tullio ne'più de'proemj sulla bontà e la modera zione del suo metodo,non ha considerato abbastanza nei libri morali come a quel precetto apparentemente negativo dinoncercarecheilprobabile,edirattenerel'assenso,con trappongasempre,ad esempiodiSocrate,l'altrosuprema mente affermativo del conosci te stesso.Nè il tornare che egli fa tante volte a raccomandare ilfamoso placito del savio ateniese, si prenda come artifizio rettorico,o come vano e miserabile ossequio alle tradizioni. L'esame più diligente e spregiudicato delle sue opere (io lo affermo sin d'ora) mostra che il dubbio universale e sistematico, il dubbio  48   di Carneade,del Cartesio e del Kant,non antecedeva nella mente dell'oratore-filosofo allo stato di scienza.Egli,prima d'esserefilosofo,come uomo,come romanogiàsisentiva e si riconosceva nel vero;e quel vero,a cui l'animo spon taneamente piegava sin da'primi anni per inconsapevole virtù di natura,l'intelletto glielo mostrava più tardi adu nato, e come raccolto nell'evidenza interiore; evidenza non solitaria,non priva d'oggettività,non fenomeno puro, quasi paesaggi riflessi sulla tela da magico apparecchio dilenti,ma uno spettacolo interno,a cuirispondevano. tre grandi attinenze dell'uomo con sè stesso,coll'universo e con Dio ; un'armonia d'enti che la scienza dovea tras formare in armonia di principj. » Nam quum animus cognitis perceptisque virtutibus, a corporis obsequio indulgentiaque discesserit, volupta  sedDelphico deo tribueretur.Nam quiseipsenorit,primum 49 A questo proposito ci giova riferire le sue parole tolte da un luogo eloquente del dialogo delle Leggi,dove egli stesso in propria persona descrive il concetto ed il metodo della scienza prima. « Ita fit (così il testo latino, che io trascrivo per maggiore esattezza secondo l'ediz. di Lipsia riveduta dal Klotz) ut mater omnium bonarum rerum sit sapientia, a cujus amore Græco verbo philosophia nomen invenit, qua nihil a dîs immortalibus uberius, nihil florentius, nihil præstabilius hominum vitæ datum est. Hæc enim una nos quum ceteras res omnes tum quod est difficil limum docuitutnosmet ipsosnosceremus:cujuspræcepti tanta vis et tanta sententia est,ut ea non homini cuipiam , aliquid se habere sentiet divinum ingeniumque in se suum sicut simulacrum aliquod dedicatum putabit , tantoque munere deorum semper dignum aliquid et faciet et sentiet, et,quum se ipse perspexerit totumque temptârit,intelliget quem ad modum a natura subornatus in vitam venerit quantaque instrumenta habeat ad obtinendam adipiscen damquesapientiam,quoniamprincipiorerumomniumquasi adumbratas intelligentias animo ac mente conceperit, quibus illustratis sapientia duce bonum virum et ob eam ipsam causam cernat se beatum fore. 4   temque sicut labem aliquam dedecoris oppresserit, o m n e m que mortis dolorisque timorem effugerit, societatemque caritatis coierit cum suis , omnesque natura coniunctos suos duxerit,cultumque deorum et puram religionem su sceperit,et exacuerit illam,ut oculorum ,sic ingenii aciem ad bona eligenda et reiicienda contraria, quæ virtus ex providendo est appellata prudentia, quid eo dici aut co gitaripoteritbeatius?Idemque quum cælum,terras,maria rerumque omnium naturam perspexerit eaque unde ge nerata,quo recurrant,quando,quo modo obitura,quid in his mortale et caducum,quid divinum æternumque sit viderit, ipsumque ea moderantem et regentem paene prehenderit seseque non unius circumdatum mænibus loci, sed civem totius mundi quasi unius urbis agnoverit,in hac ille magnificentia rerum atque in hoc conspectu et cogni tionenaturæ,diimmortales,quam seipsenoscet!quod Apollo præcepit Pythius, quam contemnet, quam despi ciet, quam pro nihilo putabit ea,quæ vulgo ducuntur amplissima! » Atque hæc omnia quasi sæpimento aliquo vallabit disserendi ratione, veri et falsi iudicandi scientia et arte quadam intelligendi quid quamque rem sequatur et quid sit cuique contrarium . Quumque se ad civilem societatem natum senserit, non solum illa subtili disputatione sibi utendum putabit, sed etiam fusa latius perpetua oratione, qua regat populos, qua stabiliat leges, qua castiget i m probos, qua tueatur bonos, qua laudet claros viros, qua præcepta salutis et laudis apte ad persuadendum edat suis civibus,qua hortari ad decus,revocare a flagitio, con solari possit adflictos factaque et consulta fortium et sa pientium cum improborum ignominia sempiternis monu mentis prodere. Quae cum tot res tantæque sint, quæ inesse in homine perspiciantur ab iis, qui se ipsi velint nosse, earum parens est educatrixque sapientia. » (De Leg.,I,XXII,XXIII.)  50 Qui s'espone a dettatura del nostro filosofo il suo metodo dell'osservazione interiore induttivo e deduttivo, quale uscì dalle dottrine di Socrate e di Platone, e si   51 continuò, accolto dal Cristianesimo , lungo le scuole m i gliori dell'universale Filosofia. Vi si distinguono tre cose : lo ciò che antecede ; 2o ciò che accompagna ; 3o ciò che sussegue alla scienza. 1° Lo stato che antecede la scienza non è il dubbio, m a un riconoscimento pratico e speculativo dell'ordine universale.L'uomo ha innanzi tutto un sentimento ar cano della sua somiglianza con l'Essere infinitamente perfetto; e quel sentimento della dignità umana, e quel l'aspirazione all'immutabile e all'assoluto in cui vero e buono sono congiunti, e la ragione procede da uno stesso fonte identica colla legge morale, risveglia in lui l'evidenza intima de principj speculativi, ond’e’si leva alla cognizione di sè stesso e di Dio, capisce pei mezzi l'eccellenza del fine a cui nacque, e costituendo in ar monia pensiero e volere,premette la riforma morale di sè stesso alla riforma speculativa.Due condizioni del sog. getto rendono possibile in lui la contempla zione dell'og getto che è scienza:prima la retta disposizione dell'animo purificato spiritualmente dalla morale, l'istinto sociale educato dalla vita civile, l'istinto religioso santificato e nutrito dal culto; in secondo luogo rende possibile la scienza la capacità delle potenze conoscitive, che non sa rebbero potenze ordinate alla notizia del vero,se un che di determinato e d'efficace, se una verità prima non le costituisse tali nell'essere loro;ma è prima necessaria la retta disposizione dell'animo,perchè ilpensiero avvalorato dalcuore (animo acmente)ravvisinell'intellezioneprima (adumbrata intelligentia),un po'confusa e indeterminata, le notizie riflesse. 2o Ciò posto, si procede allo stato di scienza,e il filo sofo movendo dall'esperienza interiore, col soccorso della Dialettica dottrina delle conseguenze e conciliatrice dei contrarj, levasi alle ragioni supreme dell'essere, del co noscere e del fare,si forma i concetti d'origine e di fine, di contingente e di necessario, di temporaneo e di eterno, che gli sono via a discendere di nuovo alla notizia di sè stesso e del mondo , notizia comprensiva ed univer    52 sale che lo palesa inferiore soltanto a Dio , eguale ai suoi simili, e cittadino dell'universo. 3. Dall'ordine universale della Scienza prima discen dono due dottrine applicate, e strette in vincoli di co munanza fra di loro : la eloquenza civile e l'arte dello stato . Tali erano per Cicerone i fondamenti, ed il metodo della scienza. Ora ecco, secondo che riassume un istorico recente della Filosofia, quali erano isuoi criterj: « Nella coscienza di noi stessi Cicerone, come Socrate,più di So crate forse perchè romano ,sentiva l'universalità del vero, distinta dalle opinioni particolari,e l'amore che tende al vero, e l'essere nostro sociale e religioso, relazioni uni versali anch'esse ; e però egli inculcava sempre di fermar l'occhio in ciò ch'è proprio dell'uomo,ossia nella retta ragione (De off, I e II passim ); e contro gli Epicurei fa valere gli affetti più generosi dell'animo (ivi, e negli Acc.e ne'Tuscul.e quasipertutto);echiama insoste gno il senso comune e le tradizioni umane e divine.Così ne' libri Tuscolani (I, 12) adopera l'autorità del senso comune a dimostrare l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima umana,e dice ne'Paradossi contro gli Stoici: « Noi più adoperiamo quella filosofia che partorisce copia di dire, e dove si dicono cose non molto discordi dal pen sardellagente.»(Proem.)E nelleseguentiparolede'Tu scolani si vede com’ei raccogliesse,di mezzo alle opinioni varie,le tradizioni universali de'filosofi e le divine;« Inol tre,d'ottime autorità intorno a tal sentenza (cioè l'im mortalità dell'anima) possiamo far uso; il che in tutte le questioni e dee e suole valere moltissimo (in omnibus, caussis et debet et solet valere plurimum ); e prima, di tutta l'antichità (omni antiquitate); la quale quanto più era presso all'origine divina (ab ortu et divina progenie ) tanto più forse discerneva la verità.» (Tusc.,I,12).E tra'filosofi, ch'egli cita,preferisce appunto Ferecide,come antico,antiquus sane;e indine conferma l'autorità con quella di Pitagora e de'Pitagorici;il nome de quali, egli dice, ebbe per tanti secoli tanta virtù che niun altro    paresse dotto (S 16). E dice più oltre che, secondo Pla tone,la filosofia fu un dono,ma quanto a sè,una inven zione degli dèi : « Philosophia vero omnium mater artium , quid est aliud,nisi, ut Plato ait,donum , ut ego, inventio deorum ? » ($ 26.) Nel che s'accenna il principio divino della Sapienza e della tradizione.(Conti,St. della Filo sofia, part.I,Lez.XVIII.) 4. Se per ciò che risguarda i principj e i fondamenti della filosofia egli mosse direttamente da Socrate affer mando la chiarezza naturale del soggetto scientifico,e l'efficacia della conoscenza, quanto poi al metodo più propriamente detto, indagatore dei veri particolari, fu se guace, o come ci dice egli stesso,restauratore della Nuova Accademia (deserte discipline et iam pridem relicte ), restaurazione che, a mio parere, può e debbe chiamarsi una vera riforma; perchè l'idealismo d'Arcesilao e di Carneade tralignava nel dubbio, e, piuttosto che all'An tica Accademia , si ricongiunse agli scettici dell'età italo greca e a Pirrone; m a Tullio attingendo alle fonti socra tiche si riscontrò nelle tradizioni genuine della sua scuola. Questo fatto s'è rinnovato in Italia nel secolo XVII, quando Galileo Galilei tornando al vero metodo aristote lico dell'induzione, restaurava la filosofia naturale ; più peripatetico in ciò, come egli stesso scriveva al Liceti,di tutti i peripatetici de'tempi suoi.  53 Riassumendo il tutto in poche parole, Cicerone attri buiva alla filosofia universalità di fini, di principj e di metodo, e tutto ciò comprendeva,come Socrate,nel senso generalissimo della voce sapienza, talchè dopo averla descritta ne'libri oratorj come un semplice esercizio di raziocinio, e in alcune opere morali come una dottrina puramente pratica e positiva,ne'Tuscolani e nel secondo libro degli Officj la chiamò con significato più largo : scienza delle cose divine ed umane e delle loro cagioni. Suolsi affermare comunemente dai critici e dai filosofi che Cicerone diè prova di scarso ingegno speculativo non componendo le sparse verità in un sistema ordinato. La quale accusa vuol bene determinarsi; perchè,se con essa   si nega che Cicerone aggiungesse copiose speculazioni alla materia delle dottrine contemporanee, e che componesse le verità antecedentemente trattate dalle scuole socrati che in un compiuto e perfetto sistema, ha ragione la cri tica, m a la critica ha torto,se vuol negare che a Cicerone mancasse qualunque disegno di scienza, o un proprio cri terio per l'ordinamento formale delle dottrine. L'affermar ciò, rispetto a Cicerone, importerebbe nel vero affermarlo pure di Socrate,e d'ogni altro riformatore; chè il sistema della filosofia di Tullio (se così vuolsi chiamarlo), come quello di Socrate, non è ordinato secondo un disegno po sitivo corrispondente all'ordine del soggetto ripensato dalla coscienza, m a si svolge nella stessa opposizione alle sette, e in quella opposizione egli scuopre il concetto della scienza,e il metodo,e i criterj che gli son guida,indizio manifesto che,mentre da un lato egli demoliva le dot trine sofistiche dei contemporanei, edificava dall'altro sui fondamenti incrollabili della coscienza umana. Ora si avverta come il considerare in tal modo questa temperata efficacia della speculazione di Tullio, che ri pensa e rifà le dottrine degli altri con un proprio criterio positivo di paragone e di scelta,in contrapposto alla pas sività negativa dell'eclettico erudito che ricopia quelle dottrine e le raguna nella memoria ,anzichè comporle nella riflessione; è metodo forse non seguito fin qui dai prin cipali critici di Cicerone,e tale che potrebbe condurre a meglio comprenderlo e giudicarlo col chiarire molte que stioni, tra le quali non ultima quella sull'uso ch'egli fece dell'autorità quanto ai fonti delle sue dottrine,trattata a lungo in Germania, e sì bene dal Kuehner nel capitolo quinto, parte seconda della Dissertazione citata.  54 E tale è il metodo che noi abbiam preso a seguire, ond'escono alcune conseguenze e regole pel nostro esame. I n p r i m o l u o g o , p o i c h è s o l o p e r n o s t r o a v v i s o , il c o n t r a p porre Tullio a'suoi contemporanei può dimostrare quanta altezza d'ingegno e potenza d'analisi gli abbisognasse per isceverare dalla confusione de'sistemi le verità principali, chiarirle e ordinarle in forma di scienza, terremo l'uso   d'esporre ogni volta le principali opposizioni de' sistemi, e poi qual giudizio ne recasse il filosofo latino.In secondo luogo avremo questo a principio di critica, notato da altri, che, poichè le opere di Cicerone sono per la m a s sima parte dispute scritte, e, come tali, ritraggono nei varj personaggj il conflitto delle opinioni, e le nature differenti degl'interlocutori, convien distinguere con ogni diligenza quando egli riferisce la propria, e quando l'opi nione degli altri, quando egli stesso prende parte al dia logo, o si tien fuori, quando tratta ex professo una m a teria,oquandosoltantol'accenna(V.Degerando,Brucker, Kuehner, Middleton .) Finalmente si consideri bene che l'ordine di questo ragionamento mostrerà come una pro gressiva verificazione dei principj supremi nella mente di Tullio, a misura ch'egli passa dalla filosofia fisica alla logica, e poi alla morale ; ed è perciò che qualche argo mento interrotto in una parte delle dottrine, verrà ab bandonato e poi ripreso in un'altra, quand'egli,conside randolo sotto un aspetto diverso, sempre più lo verifica, e sempre più lo chiarisce. Le fonti da cui trarre le dottrine di Cicerone, sono principalmente i suoi libri di filosofia, che ci pervennero la maggior parte, se n'eccettui le traduzioni Oeconomica Xenophontis (scritta forse l'anno p. u. c.670, o il se guente),Protagoras ex Platone (lavoro giovanile secondo Quintiliano.) Timæus de Universo (trad., come app. dal p r o e m ., d o p o g l i A c c a d e m i c i , c i o è d o p o i l 7 1 0 d i R o m a ) ; i libri vriginali, Hortensius de philosophia (2 libri del l'anno forse p.u.c.709),Consolatio de luctu minuendo (scritta dopo la morte della figlia avvenuta nel 709, poco prima dei Tuscolani), D e Gloria (2 libri, compiti circa alla metà del 710), Commentarius de virtutibus (incertadata),Cato,sivelausM. Catonis(709),Deiure civili in urtem redigendo; de'più fra'quali rimangono frammenti. Gli altri, non interi tutti, e che in ordine di tempo si distribuiscono cosi: De republica (6 libri scritti dal 700 al 703 di Roma),De legibus(6 libri,composti dopo il De republica), Paradoxa (avanti il Giugno  55 e   del 708),Academicorum (ne fece due edizioni dette Acad. priorum in 2 libri, e posteriorum ,in 4 libri;della prima c'è rimasto il secondo libro, della seconda il primo ; anno 709),De finibus bonorum et malorum (5 libri del 709 di R.); Tusculanarum disputationum (5 libri, cominciati l ' a n n o d i R o m a 7 0 9 , c o m p i t i il 7 1 0 a v a n t i l a m o r t e d i Cesare),De natura Deorum (3libri,compostitral'estate del709egl'idjdiMarzodel710),De Divinatione(2libri, cominciati il 710), De fato (un libro scritto a corredo dei due precedenti), De officiis (tre libri cominciati nella seconda metà del 710), Cato major de senectute (un li bro, scritto e pubblicato il 710), Lelius de amicitia (id.scritto dopo il Catone maggiore av.gliOfficj);furono variamente distinti dai critici secondo la loro materia e la forma. Il Ritter li distinse in riposti ed in popolari, clistinzione che più esattamente potrebbe ridursi all'altra de'dialoghi speculativi, come i libri Accademici, de'Fini, delle Leggi,della Natura degli Dei ;dagli scritti che hanno È noto quanto siasi discusso tra i critici sulle dale dei libri di Ci cerone.Cilusa principale del dissenso è il non trovarsi d'accordo quauto al determinare l'anno della nascita dell'Autore. 1 Forsyth lo dice nato il 3 d i g e n n a i o , 1 0 6 a v . C r i s t o ( 6 4 8 d i R o m a ), m a a g g i u n g e i n n o t a a p . 2 , che, secondo il calendario Giuliano, egli sarebbe nato l'ottobre del 107 (647 di Roma). In questo anno pongono la sua nascita il Middleton, il Kuehner ed altri autori meno recenti;onde seguita che,mentre, a cagione ll'esempio,essi fanno il De consolatione,l'Orlensio,gli Accademici, il De finibus e le Tuscolane, del 708 di Roma, (av. Cristo 46 e 62 della vita di Cicerone),eleopere De Natura deorum,DeDivinatione,DeFato,De Offi riis, Cato Vajor e Lælius, del 709 di Roma (45 av.Cristo c 63'della vita di Cicerone); il Forsyth e l'edizione di Lipsia del 1854 (riveduta dal Clolz so quelle dell'Orelli e dell'Ernesti), riferiscono i primi cinque trattati al 7 0 9 d i R o m a ( 4 5 a v . C r i s t o , 6 2 d i C i c e r o n e ), e g l i a l t r i a l 7 1 0 . N o i s t i a m o col critico di Lipsia, e col Forsyth,perchè mollo recenti,e temperati assai nei giudizj.Del resto di parecchie opere si conosce la data.Intorno a quella del De Republica e De Legibus rimane qualche incertezza. Il dott.P. Richarz. in una dissert., De politicorum Ciceronis librorum tempore natali (Wir ceb., 1822), stabilisce avervi speso Cicerone oltre a dieci anni, e averli pubblicati nel principio circa del 703 di Roma.Questa ed altre molte dis sertazioni di critici tedeschi e francesi,citate da noi,ricevemmo dalla cor. tesia dell'illustre A. Vannucci, a cui rendiamo pubblica testimonianza di gratitudine.  56   un fine pratico,ad esempio gli Officj,dell'Amicizia,iPara dossi, le Tusculane e qualche altro. Noi abbiam seguito l'altra distinzione più principale, ammessa da tutti icri tici, e che fino a un certo punto concilia l'ordine logico dei libri coll'ordine di tempo, tra le opere fisiche (De matura Deorum ,De divinatione, De fato, e il Somnium Scipionis parte della Rep.), le logiche (Academicorum , Topica, De inventione,etc.),lemorali(Definibus,Tuscu lanarum,Paradoxa,Delegibus,Deofficiis,De republica, De senectute,De amicitia) ;avvertendo che la distinzione non siprenda troppo assoluta,ma che si guardi alla qua litàche prevale.Fonti secondarj,ma dausarsiconmolto riserbo,sono,secondo nota opportunamente il Middleton nella vita di Cicerone,le Orazioni e l’Epistolario; e noi vi aggiungiamoleopererettoriche,segnatamente ilDe Ora tore e l'Orator. La distinzione accennata delle opere fisiche,logiche e morali risponde al concetto della scienza, e al metodo della antica Accademia seguito da Tullio nell'ordina mento generale delle dottrine, e ne partisce la filosofia nelle tre grandi teoriche dell'essere, del conoscere e del l'operare. Premessi questi principj generali, si passi ora al l'esame più specificato delle dottrine. II. 1. Il prendere ad esame con quella larghezza e dili genza,che è necessaria allacriticaistorica,levarieparti delle dottrine tulliane, è cosa invero che ricerca un abito non ordinario di osservazione, e un sentimento vivo delle attinenze scientifiche; perchè, sebbene, come fu notato nel capitolo antecedente, non si trovi nell'Arpinate un pieno disegno di filosofia ordinata a sistema, basta leg gere alcuno dei suoi libri speculativi per accorgersi tosto ch'ei ritraeva da Socrate,non soltanto ilmetodo esterno del disputare e la sobrietà dell'esame, m a altresì quella  57   58 riflessione larga e compiuta, onde l'Ateniese coglieva nel l'universo delle idee la unità della scienza. E di fatto socratici veri sono, come ben nota il Ritter,tutti coloro che videro chiaramente la necessità di collegare la scienza de'fatti interni con quella dell'universo, l'osservazione morale coll'esperienza e la fisica colla psicologia. Nes suno dunque fu più vero e perfetto socratico del nostro Autore. Anch'egli si accorse, come già il suo Maestro , che se un sentimento naturale, abbenchè indeterminato, dell'attinenza tra il pensiero nostro e gli oggetti, mosse la riflessione ne'primi passi della scienza a riconoscersi per illusione identica col mondo esteriore,illusione da cui poi i Pittagorici, gli Eleati e gli Ionj traevano il pantei smo,e uscì la dialettica de'sofisti, un secondo passo a ristorare la scienza caduta nella materia e nelle astra zioni eccessive, doveva essere l'affermazione dell'uomo interiore, e di quella sintesi intellettiva e morale, sola realtà oggettiva, in cui mirando il pensiero potesse rav visaresèstessoinattinenzacollecose conDio.Suquesti fondamenti Socrate restaurava la vera dottrina dell'es sere,dottrina che tratta di Dio,dell'universo e dell'uomo, considerati nella loro esistenza, natura e relazioni su preme, e abbraccia in sè le scienze fisiche e matemati che, la teologia naturale, la psicologia e la cosmologia. Tutto ciò veniva compreso dagli antichi sotto il nome universale di Fisica (usato in più luoghi da Cicerone ), e la Fisica includevano nella Filosofia, perchè questa trat tando degli enti nel loro ordine universale contemplato interiormente dalla coscienza,porge alle dottrine d'osser vazione esteriore il soggetto e i principj. Or qui bisogna avvertire che questa unione intima delle parti scienziali, sentita vivamente dalle scuole antiche italiane, e confer mata da Socrate (il quale, nemico della fisica sofistica degli Ionj,favorì invece coll'osservazione interiore la fisica buona), dava occasione, come sempre, ad un bene e ad un male ; il bene era l'altezza della riflessione scientifica, che comprendendo nell'unità de'principj l'intelligibile e il sovrintelligibile, la natura e il divino, scorgeva sempre    59 più addentro i legami che stringono la teologia naturale, la psicologia e la cosmologia ; il male era che le scienze sperimentali così intimamente collegate alla filosofia spe culativa,mentre se ne avvantaggiavano da un lato rispetto all'universalità, traendo dall'accordo colle altre parti del l'umano sapere occasione a più vera e perfetta compren sione della propria materia, dall'altra ne scapitavano quanto ai metodi, allorchè all'osservazione esteriore o induttiva, che sola ci può condurre alla notizia dei corpi, si volle sostituire la deduzione, che da pochi generalissimi, posati a priori, scendeva di salto, come nota Bacone , al particolarede'fatti.Due fontiperennid'errorenellescienze sperimentali furono pertanto il panteismo e il dualismo ; ilprimo,perchè,data l'unità di sostanza,ne consegue la medesimezza dell'ordine ideale col reale,onde deduce il filosofo darsi vero passaggio dalle idee alle cose,senza necessità di sensata esperienza ; il secondo, perchè, fatta coeterna a Dio la materia,ne viene alterato il concetto di finitudine, e il mondo si pensa non più finito e tem poraneo, m a infinito ed eterno, e animata la materia e incorruttibiliicieli;pertalmodo panteismo edualismo ci diedero la fisica fabbricata a priori, quale fu nelle scuole dell'India,nelle Pittagoriche, nelle Eleatiche,in Platone, negli Stoici e nei Peripatetici del medio -evo. Le quali considerazioni son necessarie,parmi,a chiunque voglia esaminare la metafisica di Cicerone, e chiarire come mai,mentre lafisicasuperioreeledottrinesuDio, sull'uomo e sull'universo sono fondate da lui sopra prin cipj sì alti, vi prendono pochissima parte e indiretta le indagini sperimentali. Ai tempi dell'Arpinate in cui, venuta all'ultima cor ruzione laGentilità,si rinnovarono esiesageraronotutti gli errori delle età anteriori, quello strano accozzo delle scienze fisiche colle metafisiche era venuto al suo colmo, e potente occasione di scetticismo era il contrasto delle opinioni. Ora v è un luogo sulla fine degli Accademici primi,dove Tullio descrivendo in persona propria la di scordia delle sette contemporanee nelle tre parti della    scienza,e volendo mostrare come quella discordia giusti ficasseildubbiodellaNuova Accademia,sitrattienepiùspe cialmente sulle dottrine de'Fisici (Acad., 37, 38, 39). D a quel luogo apparisce che il panteismo e il dualismo italo-greco spingendo all'eccesso l'induzione astrattiva, per stabilire l'identità della sostanza prima, avean con cepito a priori un'essenza nascosta e universale delle cose distinta dalle loro qualità manifeste pel senso,e che si convertiva in tutti gli elementi ; m a sulla natura di quest' intima essenza si disputava segnatamente tra le scuole pittagorica, eleatica ed ionica. D'altra parte sor geva questione tra le differenti scuole socratiche sull'or dine e sui destini dell'universo;gli Stoici ammettendo una continua successione di mondi, affermavano temporaneo il presente ordine delle cose ; Aristotele lo diceva eterno ; i primi trasportando l'immagine dell'uomo nel principio supremo, concepivano Dio provvidente nei particolari e negli universali ; m a Stratone da Lampsaco e Democrito gli rifiutavano ogni ingerimento nelle cose del mondo, inentre Aristotile,accordandogli la provvidenza dei generi e delle specie, gli negava quella dei particolari. Tal m e todo di ragionare a priori sull'essenza delle cose,occulta intimamente all'umano intelletto,non piaceva a Tullio, ond'e'consigliavaun piùmodestosapere;mostravacome la notizia, che noi acquistiamo de'corpi, movendo dagli effetti, non comprende l'intima essenza e l'efficacia delle cause, e se all'occhio stesso dell'anatomico, che pur p e metra ne'corpi, non si manifesta l'attività che li avviva, molto meno ella si manifesterà al Fisico, che non può tagliare e dividere la natura delle cose per indagare i fondamenti su cui posa laterra.(39.)Procedendo di questo passo l'Autore faceva vedere negli Accademici, nei T u sculani e nel libro della Natura degli Dei,come i dubbj opposti alle eccessive affermazioni de'Fisici intorno alla essenza delle cose si trasportavano dalla Nuova Accade mia sull'esistenza,natura e destini dell'anima,sull'esi stenza e natura di Dio e sue relazioni coll'universo, e sulle altre principali verità della scienza.  60   61  Nei luoghi citatiadunque e in qualche altro ancora,in cui l'oratore latino dipinge il dissidio delle scuole sulle verità naturali, non può negarsi ch'egli si faccia seguace della Nuova Accademia ; e non pertanto s'ingannerebbe col Ritter chi, attingendo di preferenza a quei libri che han fine principalmente metodico, e dove le dottrine della Fisica superiore si toccano per incidente, ne inferisse il dubbio universale di Cicerone sui fondamenti di tutta la scienza. Nella fisica ciceroniana si vuol distinguere infatti le verità problematiche dalle teorematiche ; le prime ri feribili all'intima essenza e natura de'corpi, alle leggi de’loro moti,alla costituzione fisica dell'universo ;l'altre risguardanti l'esistenza e natura di Dio , dell'uomo e del mondo, considerati nell'ordine loro e relazioni supreme. Quanto ai problemi naturali,egli non impugnava la pro babilità che la scienza pervenisse a risolverli, e, come primo presupposto somministrato dalla filosofia alle dot trinesperimentali,ammetteva lapercezionede'corpi;ma di contro all'orgoglioso dommatismo degli Stoici, degli Ionj e degli Eleati gli pareva assai più degna del saggio la modesta verosimiglianza della Nuova Accademia,e fu per certo impresa vantaggiosa alla Fisica, in una età come quella quando gli errori del panteismo,e il difetto dei metodi e degli istrumenti toglievano fede alle verità di sensata esperienza, professare una modesta ignoranza del vero per arrestare in tal guisa i rapidi progressi dello scetticismo universale. E lo scetticismo, diceva Cicerone, si sarebbe aperta la via quando que'filosofi dommatici non avessero considerato, come sentenziando con assoluta certezza di cose occulte e dubbiose, si toglievano poi l'autorità d'affermarne altre d'evidenza maggiore; os servazione importante e che mostra come anche rispetto alla scienza sperimentale Tullio non professasse un dub bio assoluto, m a riconoscesse un ordinamento di gradi dal verosimile al certo.(Acad.prior.,41,e De repub.,I,10.) M a la prova maggiore si è che, mentre le intermi nabili e vane questioni ond'era ingombra la fisica, lo la sciavano sconfortato e dubbioso,un desiderio,quasi direi   62 giovanile,nutrito dall'ingegno potente e dall'animo roma no,loinvogliava delle indagini naturali,di quelle indagini onde ci leviamo sopra noi stessi, e dispregiando la picco lezza delle umane cose,proviamo un vivo sentimento del divino e dell'immortale. « Nè anche io penso (così scrive Cicerone)che sidebbano tor via tali questioni dei fisici; poichè viè un certo naturale alimento degli animi nel considerare e contemplare la natura ;ce ne sentiamo inal zati,e fatti più grandi, e nel pensiero delle cose supe riori e celesti dispregiamo queste nostre del mondo come leggiere e di nessuna importanza ; anche l'indagine stessa di cose grandissime e occultissime diletta oltremodo ; se poi c'imbattiamo in qualcosa che sembri verosimile,l'ani mo nostro è compreso da quel piacere che supremamente è degno dell'uomo.»(Acad.prior., De fin.,IV,5).Innamo rato quindi della fisica, come fonte di più alte specula zioni, egli rigettava le fantasie grossolane di Democrito e d'Epicuro (De fin.,I,6);lodava Zenone perchè imitatore dell'antica accademia diligente indagatrice della natura ( D e f i n ., I V ) ; e i q u e s i t i d e l l a f i s i c a c h e l o m o s s e r o g i à vecchio a tradurre il Timeo di Platone, gli avevan det tato qualche anno avanti le pagine più eloquenti del trattato sulla Repubblica; il ragionamento di Filo e lo stupendo sogno di Scipione.(De rep.,I,17,VI,9 e De fin.,IV,5;Tuscul.,V,23,25).  Due conseguenze,per quanto ci sembra,discendono dal contesto generale dei passi sopraccitati,e da una lettura complessiva dei libri fisici di Cicerone : 1o che il filosofo latino, a misura che dalla ricerca delle cose sensibili, e dell'essenza loro occulta all'intelletto dell'uomo,argo mento de problemi, si levava col discorso induttivo ai teoremi della scienza, scopriva illuminate da una luce interiore le verità più alte, sebbene in mezzo alle tene bredelgentilesimononardissedeterminarle;2ache,ofosse la dottrina stoica a cui pendeva,o l'indole viva e meri dionale del suo ingegno, nella natura egli sentiva e rico nosceva il divino; e tale attinenza sentimentale e logica della sua mente tra ilfinito e l'infinito,tra il contingente   e l'assoluto, tra il temporaneo e l'eterno gli era scala a pensare la relazione ontologica;e questa poi per abito alsemipanteismo-dualistico di Platone e degliStoici lo conduceva probabilmente a immaginarsi l'intelletto umano emanato da Dio,e Dio e le creature supreme disgiunte dall'universo de'corpi. In questo metodo che sale per gradi di verosimiglianza dalla natura al divino, metodo improntato sulle meditazioni socratiche,sta l'essenza della fisica di Cicerone,e n’escono chiarite e per ordine le sue dottrine sull'esistenza e natura di Dio, dell'universo e dell'uomo, sulla provvidenza e sulla libertà dell'arbitrio. 2. La dottrina sull'esistenza e natura di Dio tiene il primo luogo nella fisica di Cicerone.La causa di questo primato apparisce evidente innanzi tutto per la sovranità incontestata dell'idea di Dio nella scienza. Dio, oggetto necessario e reale assoluto ed eterno che si manifesta come prima causa al di fuori di sè stesso nell'universo degli e n t i , e li g o v e r n a v o l g e n d o l i a d u n f i n e i m m o r t a l e , c h e n e è prima legge,in quanto si rivela all'intelletto dell'uomo nel mondo degl'intelligibili,come ragione prima,signoreggia per fermo tutto l'ordine scienziale ;e infatti,sebbene l'inda gine della coscienza interiore sia principio e fondamento al sapere nell'ordine della riflessione, è pur certo che i veri, i quali si dicono da’filosofi più noti rispetto a sè stessi, e son centro d'infinite relazioni, come quello di Dio,partecipano all'uomo quell'ampia veduta ideale,che sola lo conduce alle armonie della scienza. Nè il primato del concetto di Dio si menoma punto se la mente sale da ciò che muta a ciò che non muta,e dalla natura al di vino, una volta ch'ella v’ascende guidata da un concetto necessario d'attinenza causale, attinenza di termini cor relativi, l'uno dei quali è Dio stesso presente con arcana e invisibile efficacia nel soggetto pensante. Anche senza l'unitàassolutadeipanteisti,lafilosofiasicompone dunque in forma di scienza,e la psicologia e la cosmologia si congiungono insieme nel massimo problema della teologia naturale.La qual cosa è assai provata dal metodo di S o crate, che movendo dalla coscienza produsse in Platone  63   64 u n a c o m p i u t a a r m o n i a d i s i s t e m a , e a i u t o il f i l o s o f o l a t i n o , venuto in tempi di povere e scucite speculazioni, a ser bare un vincolo di dottrine nei suoi libri di fisica, che scritti in ordine successivo di materie e di tempo,debbono quindi esser presi ad esame da noi come un solo trattato. Premesse queste cose, viene spontanea la domanda : quale fosseilpensierodell'oratorelatinointornoaDio.Se dopo una attenta lettura dei passi delle sue opere, dove tal pensiero s'accenna,e un diligente ragguaglio di questi passi tra loro,ci facciamo tal quesito, verrà spontanea pure larispostach'eglidell'esistenzadiDio,diquelladell'anima e sua immortalità, della provvidenza e del libero arbitrio non dubitava,e soltanto accoglieva una più o meno decisa incertezza quanto al determinarne la natura ; e il suo criterio in sì ardua questione della filosofia era un vivo intuito e un sentimento più vivo dell'eccellenza e della armonia delle cose palesata internamente dalla coscienza morale, esternamente dai principj supremi di universale consenso.(Kuehner,Pars.IV,c.11,p.VIII.B. P. van Wesele Scholten,Dissertatiophilosophico-criticadephi losophiæ ciceronianæ loco qui est de Divina Natura . Amstelaed,1783,c.I,V,p.35).Inquestocriterioioravvisoil riformatore e il filosofo vero ; il riformatore, perchè m o veva da ciò che v’ha di più vivo e di più efficace nel l'uomo, dall'autorità delle tendenze morali, il filosofo, perchè non se ne stava già al testimonio privato e indi viduale,ma con deliberata indagine scientificacercavale note del vero nella ragionevole natura dell'uomo, e nel suo carattere d’universalità. Tale osservazione è degna d'es sere avvertita sin d'ora,perchè parecchi istorici della filo sofia,tra iquali anche ilRitter,considerando ilmodo ora dubitativo,oradommaticoconcuiCiceronesiesprimeinsif fatta dottrina,ilsuo riserbo nell'accettare le opinioni degli altri, nell'esaminarle, nel ventilarle, han voluto dedurre che egli in questa parte,filosofo di non troppo sottili spe culazioni, più che a una severa riflessione, se ne stasse al sentimento individuale destituito da criterj scientifici. (Ritter,Hist.,L.XII,c.II,p.112. Brucker,Degerando.)    M a questi storici non hanno considerato a quali tempi si abbattè Cicerone ; tempi di sfrenate passioni, di orribili scelleratezze, di guerre sterminatrici, ne'quali ogni fon damento dell'edifizio civile crollava, e la scienza,abban donato il sublime ministero di propagatrice del vero, si prostituiva alguadagno.Alloralavocedelsenso comune e degli affetti naturali, alterata dalla Gentilità, non so nava nelle plebi,quale una volta,testimone dei veriuni versali e delle tradizioni primitive; la voce del popolo non era più quella di Dio. Allora la tradizione scienti fica, che ravviata da Socrate s'era andata continuando, benchè con notevoli alterazioni,lungo le scuole socrati che, pervertita dagli ultimi sofisti avea perduto ogni sen timento del vero;talchèalfilosofo,chenon avesse voluto o bestemmiar colle plebi o delirar coi sapienti, non ri maneva che cercare iprincipj della scienza nella propria natura non corrotta e nell'antichità veneranda. Ecco il fondamento che cercò Cicerone alle principali dottrine della teologia,ed ecco icriterj che lo guidarono in mezzo ai ravvolgimenti delle scuole sofistiche. Qui per altro è necessario notare che,quando diciamo che in tempi di sì corrotta filosofia Cicerone ebbe e metodo, e indagini pro prie,e guide non fallaci del vero,noi non lo rappresen tiamo immune del tutto dalla funesta efficacia delle dot trinecontemporanee,nèintendiamoch'e'fossesìfortunato da ravvisare scevre d'errore nel santuario della coscienza le verità principali.- Ebbe egli compiuta e perfetta n o tizia della natura di Dio e delle sue perfezioni ? conobbe senza mischianza d’errori i d o m m i della spiritualità e i m mortalità dell'anima umana ?ravvisò semplici e schiette, senza infezione di panteismo e di dualismo,le attinenze dell'Ente supremo coll'intelletto dell'uomo e col mondo ? - I o so che tali quesiti furono proposti più volte dagli storici della filosofia, e poichè parve che Tullio non s e m pre rispondesse chiaro e deciso all'esame dei postulanti, gli fu negato nome e autorità di filosofo, e valore d'in gegno speculativo. (Brucker lo difese dall'ateismo ; redi Bayle,Diz.Art.Spinoza).E veramente la conclusione  65 5   Il metodo ch'e'si propose apparisce manifesto dai tre libri D e natura Deorum ; e tal metodo discende dal fine di tutto iltrattato.Or qual eraquelfine? Chiamare  66 scenderebbe di necessità dai principj, quando si potesse provare che la riflessione scientifica s'è trovata in ogni tempo nel medesimo stato di certezza di contro al sapere naturale e al soggetto della scienza,o che lo spirito umano nonsegueun cammino diprogressivosvolgimentonellaetà dellastoria;e sela criticamoderna immune da preoccupa zioni, adoperasse sempre una stessa severità imparziale nell'esame d'ogni filosofo. M a la cosa procede ben altri menti ; perchè da un lato il razionalismo alemanno coi suoi seguaci d'ogni paese, che ammette ogni perfeziona mento scientifico come un prodotto spontaneo e succes sivo della ragione nel tempo,non potrebbe,senza rischio di contraddire ai principj del proprio sistema, negare che la forma logicale e il fondamento delle dottrine dei filo sofi antichi sia rispetto a quel de'moderni notevolmente imperfetto ; d'altra parte il filosofo del Cristianesimo, che afferma oscurate e corrotte prima della venuta di Cristo le tradizioni e le verità primitive, e restituite dalla parola rivelatrice del Verbo quelle tradizioni e quelle verità all'intelletto dell'uomo redento, non può non ravvisare nelle dottrine cristiane un perfezionamento notevole delle dottrine gentili; infine, ed è conseguenza del già detto, nessuno rimprovera ai filosofi Indiani, Italo-Greci, a So crate, a Platone, ad Aristotele l'ignoranza, l'errore e le manifeste dubbiezze intorno a parti sostanzialissime della scienza. Le quali cose premesse, è inutile,parmi, far conside rare al lettore di Cicerone ch' e' non vi troverà deter minato senza ondeggiamenti d'idee e d'espressioni il con cetto di Dio ; anzi dirò di più che tal concetto in parecchi luoghi delle sue opere (come nel De natura Deorum ) apparisce più assai negativo che positivo. Resta ora che cerchiamo in breve per quale indagine lenta e progressiva giungesse il filosofo nostro a una verificazione sempre m a g giore di quel concetto divino.   ad esame le principali opinioni de'filosofi intorno a Dio, discuterle,confutarle, e mostrare come le loro controversie sovra una parte sì nobile della scienza siano ben sovente occasione e pericolo di scetticismo. (I. C. I,1;C. VI, 13, 14.) Con questo intendimento venuto egli ad esporre l'occasione del dialogo, racconta come essendo stato invi tato nel tempo delle Ferie latine in casa dell'accademico C. Aurelio Cotta pontefice e suo familiare (fra il 676 e il 679 di R o m a ), e trovatolo insieme con C. Vellejo, che alloraavevavoced'essereinRoma ilprimotragliEpi curei,e Q. Lucilio Balbo,stoico da paragonarsi ai più prestanti fra iGreci, cominciarono questi a disputare, lui presente, della natura degli Dei, spartendo tutta la m a teria in tre punti principali ; vale a dire : se vi fossero Dei,quale fosse la natura loro,e quale intervento aves sero nelle cose del mondo e degliuomini.La qual spar tizione è conservata in appresso sì nell'esposizione delle dottrine di Vellejo e di Balbo, come nelle risposte di Cotta, che replicando ogni volta a ciascuno di loro, li confuta entrambi. Il dialogo sulla natura degli Dei,che è dei più im portanti fra i libri speculativi del nostro autore, si riduce in sostanza a una esposizione viva ed eloquentissima delle incompiutezze dei sistemi sofistici, contraddicenti alla c o scienza e al suo naturale riconoscimento, e si vede quivi come gli errori più perniciosi sul concetto di causalità prima che è fonte a noi del concetto di Dio,accumulati da secoli, corrompevano allora le speculazioni gentili. Il panteista, immedesimando Dio colle creature, pervertiva l'idea della sua natura infinita e assoluta, introducendo nell'ente senza difetti il maggior de'difetti,la negazione dell'infinito e dell'assoluto ; il dualista che svolge l'unità primordiale del panteismo, segregando il Creatore dalle cose create e indiando la natura, si perdeva nella contra dizione immortale di due infiniti coeterni, onde moltipli c a n d o D i o , l ' a n n i e n t a v a ; il m a t e r i a l i s t a e l ' i d e a l i s t a l ’ u n o affogato nel senso, l'altro confinato nella fredda solitu dine dell'idea, o si vedevano dileguare il concetto di Dio  67   68 tra i fenomeni della materia, o lo perdevano di vista nelle indefinite astrazioni; m a l'uno e l'altro riuscivano a n e garlo,perchè sempre si nega per necessità di sofisma l'evi denza non affermata per difetto di logica. Ora egli è a p punto questa legge inesorabile dell'errore che Cicerone volle rappresentare mettendo alle prese l'Epicureo con lo stoico, e sottoponendoli entrambi al sindacato della Nuova Accademia. E invero quell'ardita e sconsigliata filosofia d'Epicuro che riesce sì lusinghiera vestita dello splendore di Lucrezio, si mostra in tutta la sua nudità nel discorso di Vellejo (Lib.I,dal C. VIII al XXI).Po neva egli come certo che gli Dei sono,perchè la natura avea impressa negli animi di tutti la loro anticipata no tizia (apódnbev),e ne accennava vagamente l'essere e la figura, facendoli eterni e perfettissimi e conformati a si militudine umana,ma non da materia corporea e sensi bile,bensì da un fortuito accozzo d'immagini simili rin novantisi all'infinito (imaginibus similitudine et transi tione perceptis); gli Dei così costituiti dipingeva beati, e non curanti nè di sè stessi, nè delle cose pertinenti agli umani. Ora è chiaro che le conseguenze d'una siffatta dottrina eran ridurre la natura di Dio ad un puro con cetto della mente,ad un'immagine d'inerzia non conci liabile coll'ordine e col moto d'ogni cosa creata. Ma a più alto concetto di Dio si levava lo stoico Lucilio. Gli Stoici che,come vedemmo nella prima parte,ammettevano contenuta nell'indeterminatezza primordiale della materia passiva, oscura, divisibile, capace all'infinito di forme un'intima energia che traendola all'atto ne costituiva la vita dell'universo, concepivano Dio in questa vita,e m o vevano per affermarlo esistente dall'universale consenso, dai prodigj,dall'armonia delle cose,e dalla eccellenza dello spirito umano. Sostenuta da questi argomenti la prova fisica della provvidenza di Dio che va dal C. XXXIII al LXVII del libro secondo, è uno dei più mirabili tratti dell'eloquenza romana . Giunti a questo punto,se esaminiamo la polemica della Nuova Accademia contro le dottrine d'Epicuro e di Cri    sippo (I, dal cap. 21 al 43, e tutto il libro terzo), ci si presenta la questione, a lungo agitata nelle scuole, qual sia in questo libro il vero pensiero di Tullio su Dio,e se il dubbio accademico si manifesti in lui sotto la per sona di Aurelio Cotta. I critici più antichi lo affermarono risolutamente, alcuni più recenti come lo Scholten, il Kuehner e il Ritter, con qualche riserbo. M a sì gli uni che gli altri si avvicinarono al vero senza comprenderlo a pieno ; perchè essi ponevansi ad esaminare quel libro preoccupati dal concetto che Cicerone conforme a ciò che dice in varj de'suoi proemj,e nel proemio del De natura Deorum (11),partecipassequivideltuttoildubbio fon damentale e sistematico, il dubbio di Carneade sulle verità principali; laddove bisognava invece considerare come il quesito proposto risguardasse intimamente il complesso delle dottrine, nè quindi potesse essere risolto badando a qualche frase staccata, m a solo serbando nell'esame la rigorosa armonia delle parti col tutto. Alla qual cosa, se non m'inganno, noi ci aprimmo la strada sin da prin cipio,quando distinguemmo nell'oratore latino due parti, e quasi due forme dell'indagine scienziale; per l'una, che chiamerei intrinseca e dommatica, egli si ravvicinava ai principj socratici, e ammetteva i fondamenti del vero nei fatti della coscienza ; per l'altra estrinseca e negativa, che eraildubbio dellaNuovaAccademia,moderatamente partecipato da lui, egli confutava i sistemi contemporanei con dedurre da più negazioni particolari una compiuta affermazione del vero. Assumendo egli in tal guisa le dot trine d'Arcesilao, più come istrumento metodico e inqui sitivo,che come sostanza delleproprie opinioni,ed anzi, quel che è maggiormente notevole, rifiutando il dubbio fondamentale sulla validità della scienza,stabilito da A r cesilao e da Carneade,doveva avvenire (siconsideri bene) che il fondamento delle teoriche tulliane contraddi più volte a quella sua apparenza di dubbio,talchè vi fos sero in lui quasi due persone distinte, l'una delle quali negava,l'altra implicitamente edecisamente affermava. Ora si avverta un poco come questa contradizione, non  69 1   però sostanziale,apparisca, più che altrove,evidente nel l'opera che noi esaminiamo; e come,introducendosi ivi da un lato Cicerone che assiste al dialogo senza prendervi parte, e dall'altro Cotta che vi sostiene la parte di con futatorecolmetododellaNuovaAccademia,èdato occa sione alla critica di verificare con bastante certezza le sue opinioni, raffrontando insieme la persona del ponte fice con quella dello scrittore. A persuadersi di ciò ba sterebbe considerare qualmente, se Cicerone intendeva celarsi sotto la persona di Cotta,era inutile allora che introducesse sè stesso;ma egli si dipinse là in mezzo a que'disputanti, chiuso in un silenzio veramente sublime, per rappresentare in sè l'immagine viva del sapiente, che, sebbene certo per natura di veri infiniti, tuttavia procede cauto e riguardoso all'acquisto della certezza scienziale. Noi affermiamo sin d'ora che Cicerone possedeva da n a tura la certezza del teorema che prendeva a chiarire, perchè egli stesso,alludendo a ciò nel proemio dove dis corre in persona propria, ci dice che le discordie dei dotti intorno a materie importanti sono occasione potente di scetticismo anche a coloro che han fiducia in qualche cosa di certo (I. 14); e perchè i due primi capitoli del libro primo sono un testimonio irrepugnabile del come il filosofo latino ponesse l'esistenza di Dio e la sua prov videnza sui fondamenti della certezza morale (I. Cap.II, 1, 2,3,4,5).Il dubbio di Cicerone nel libro De natura Deorum era dunque semplicemente verificativo delle ra gioni già possedute, e avea per fine sostituire alla cer tezza naturale la certezza scientifica. M a d'altra parte chi guardi le dottrine della Nuova Accademia, quali ci sono rappresentate nella persona di Cotta,che le conduce alle ultime conseguenze,siaccorge tosto che la loro indole negativa non era già apparente e metodica, m a procedeva dall'intima essenza dell'idea lismo d'Arcesilao, il quale dubitando d'una reale corri spondenza tra l'essere delle cose e le potenze conosci tive, dovea dubitare pur anco della certezza naturale e del senso comune, testimone per lui d'un'ingannatrice  70   71 evidenza. Questa è la ragione per cui Cotta nelle sue ri sposte moveva dal negare agli Epicurei ed agli Stoici la nozione preconcetta di Dio, attestata dal senso co mune.(I,21,23.III,3,7.)Ora siavvertacome la Nuova Accademia non affermando un proprio e fermo fondamento di vero negli umani giudizj, e solo una tal quale verosimiglianza eguale per tutti, mancava di prin cipj certi e positivi da costituirvi la scienza,e conseguen temente anche di un criterio sicuro a cui ragguagliare la critica de'sistemi contrarj. Questi sistemi, conforme alle opinioni della Nuova Accademia,non erano quindi alcun chè di vero o di falso secondochè si avvicinavano o si dilungavano dai principj irrepugnabili della scienza ; con tenevano tutti, sebbene in gradi differenti, la verosimi glianza concessa all'umano intelletto, e solo quando il legame logico, che intercede di necessità tra le conse guenze e i principj, non era strettamente serbato, allora soltanto si dava in essi l'errore. U n tal criterio, sostan zialmente negativo e relativo,abbisognava (sidirà)diun criterio positivo e assoluto desunto dall'evidenza de'prin cipj supremi,su cui posa incardinata la necessità logica d'ogni sistema;ma laNuova Accademia non vibadava, e ragguagliando ciascuna filosofia colle premesse del pro prio sistema, tentava coglierla in evidente contradizione. (Nelle opere di Cicerone passim.)  U n si manifesto contrasto tra il dubbio verificativo e scientifico del nostro Autore, e il dubbio scettico della Nuova Accademia apparisce in ogni passo de'suoi libri, in cui egli introduce la persona di qualche Accademico che confuta gli opposti sistemi; apparisce poi più evi dente che mai nella conclusione del De Natura Deorum , dove Tullio, uditi i filosofi disputanti, termina dicendo : la disputazione di Cotta (Accademico) sembrò a Vellejo (Epicureo)più vera;a me l'altra diBalbo (Stoico)più verisimile; il che è quanto dire che la Nuova Accademia dubitando di Dio si avvicinava agli Epicurei, mentr'egli, certo di questo vero,si allontanava dagli uni e dagli altri accettando in parte le dottrine del Portico.E che dim e   72 gliopotevaeglifareinmezzoalturbiníode’sistemi?Estinte quasi del tutto le sacre tradizioni, il consentimento p o polare offuscato dai vizj, da un lato, imbestiati nella materia negavano gli Epicurei la spiritualità del concetto di Dio, e la sua provvidenza, dall'altro negavano gli Accademici la efficacia del senso comune nell'affermare Dio,e sottili argomentatori lo contrapponevano al male; ai primi Tullio opponeva nel proemio citato la dignità dell'umana mente,ilbisogno innegabile della religione consentito da tutti;ai secondi,l'efficacia del testimonio universale,gli affetti dell'animo,isupremi principj della r a g i o n e e l a l i b e r t à d e l v o l e r e ( T u s c ., d e N a t . D e o r ., D e Leg.,passim);del resto egli pendeva verso gli Stoici,e perchè consentivano il consentito da lui, e perchè lo in namorava quel loro sublime concetto della umana eccel lenza e dell'armonia delle cose.Come poi egli movesse dalla coscienza morale, osservata al lume d'un criterio scientifico, sarà dimostrato in altra parte di questo dis corso col libro delle Leggi, dove l'efficacia esercitata nell'animo nostro dall'idea d'una suprema sanzione gli faceva porre a proemio di tutte le istituzioni civili Dio provvidente,e allegarne per prova la natura dell'uomo, solo fra gli animali, in cui sia innata la notizia di Dio, e alberghi un animo immortale originato dal cielo. (D e Leg.,I,7,II,7.) Premesse queste considerazioni, se ne possono dedurre tre cose : 1° Il vero intendimento di C i cerone nello scrivere ilDe Natura Deorum fu,esporre e confutare i principali sistemi contemporanei, e a tal fine egli assunse come istrumento metodico e inquisitivo il dubbio della Nuova Accademia,senza accettarne lo scet ticismo; 2o Cicerone non rappresentò sè stesso nella per sona di Cotta, m a soltanto la forma estrinseca del m e todo proprio ; 3o Il filosofo latino volle significare nelle parole del proemio, e della conclusione,e nel silenzio ser bato in tutto il dialogo ch'egli aveva di Dio un alto concetto, che quel concetto nella sua mente era certo di certezza naturale, m a che in mezzo alle tenebre del G e n tilesimo e alla discordia dei dotti,non ardiva determi  .   73 narlo in ogni sua parte, e sostituirvi una assoluta cer tezza di scienza. Ora si domanda, perchè non riuscisse a Cicerone definire a sè stesso questo concetto. 3. Dimostra l'Ontologia come l'intelletto dell'uomo investigando le proprietà metafisiche dell'ente in ordine ai concetti universali, distingue l'essenza dall'essere di una cosa;quella come idea generale rappresentante una possibilità di cose indefinita, questo un che d'attuale, di esistente e di determinato in sè stesso. Ora si badi che ciascuna cosa esistente, sebbene offerta all'intendimento dell'uomo dall'intelligibilità universale della sua essenza, in quanto è esistente,vale a dire in quanto è un atto reale dell'essere, cade per via de'sensi sotto l'apprensione delle potenze conoscitive,e come tale è appresa particolare e finita; dall'apprensione poi di molti finiti nella serie degli atti intellettuali la mente dell'uomo,soccorsa dalla rifles s i o n e , l e v a s i a l c o n c e p i m e n t o d e l l e c o s e i n f i n i t e . M a il c o n cetto dell'infinito, che è cima della piramide ideale,può es sere inteso in diversi significati; l'un significato che ci offre l'entità assoluta, necessaria e in ogni sua parte perfetta; l'altro che ci rappresenta una semplice entità indetermi nata,e un mero portato dell'astrazione mentale.Però seb bene un intervallo notevole disgiunga nell'intelletto del filo sofoedell'uomovolgareitreconcettidelfinito,dell'infinito e del non definito, merita di essere considerata quella ragione qualunque di rapporto e di similitudine per cui essi possono scambiarsi talvolta. La riflessione naturale aiutata dal lume della scienza e dalla pienezza delle tra dizioni divine, avea concepito ab antico, indi al termine dell'Era pagana ravvisò con evidenza maggiore nelle dot trine cristiane l'idea dell'infinito assoluto, dell'ente per essenza correlativa necessariamente all'idea del finito, vide in quest'ultimo, naturalmente determinato e imper fetto,come non darsi possibilità d'attoinfinito,così nean che necessità d'eterna esistenza,onde dedusse ilfinito procedere per atto creativo dall'infinito, il temporaneo dall'eterno,il contingente dal necessario.Tale è la teorica cristiana della creazione, fondata sopra una serie logica    - 74 di concetti, la cui necessità è confermata a noi tutti fino dai primi anni in una voce interiore che ci parlò sublimi cose di Dio,in un continuo desiderio,che ci travaglia inconsapevoli per tutta la vita in cerca d'una perfezione immortale. Nel procedere che fa la mente a questo apice dei concetti v’ha per altro un pericolo d'arrestarsi per via;chè sebbene ilsentimento e l'intuito dell'infinito non possa verificarsi nell'uomo senza una segreta unione del l'intelletto con Dio (qualunque poi sia questa unione,e in qualunque modo s'effettui), e sebbene per l'attinenza di creazione l'atto infinito ed eternale del Creatore costi tuisca nelle cose finite alcunchè di somigliante a sè stesso, cioè un'indefinita potenzialità d'atti,di forme, di m o menti,è però assurdo scambiare quell'attinenza coll'iden tità, e quella potenzialità indefinita coll'infinito che la pone.Tale assurdo è l'origine del concetto d'indefinito applicato alla causa creatrice.Fingasi ch'io pensi iltempo, lo spazio, o l'indefinita potenza del mio pensiero ; allora (e può facilmente avvenire ciò che tutti provammo alla vista di pianure interminate e di mari, o in un facile abbandono della mente a sè stessa), se in quell'arcana presenza di Dio la fantasia prende il di sopra sulla r a gione, io mi rappresento quell'ordine d'atti, di durate, di coesistenze come infinitamente continuato, continuato per una perpetua remozione di limiti che,a dir così,sono e non sono ad un tempo ; e quell'abbaglio di fantasia si muta in un concetto reale,ed io penso l'infinito,l'eterno, l'immenso di Dio sotto l'immagine d'indefinito.Così nacque ilpanteismo in Asia,in Italia ed in Grecia;e così pen sano l'assoluto i panteisti Alemanni, e l'Hegel segnata mente. Veduta la differenza d'origine dei tre concetti di finito, d'infinito e d'indefinito,si domanda ora quanto all'essere loro quale d'essi sia negativo. Per fermo l'infinito,se ne togli il materiale significato della parola, evidentemente nel suo concetto non ha nulla di negativo, desso che non ha limiti ond'è costituita negli enti la negazione dell'es sere; non limiti di contingenza,perchè necessario,non    75 limiti di tempo, perchè eterno, non limiti di modi e di mutazioni,perchè assoluta sostanza;anzi èinfinitamente positivo come causa infinita, e perchè dotato d'efficienza assoluta pone dal nulla l'effetto, e perchè ne rappresenta in sè in modo sopraeminente e immensurabile le perfezioni finite.Il finito poi da un lato è negativo nella sua essenza ideale, come rappresentante all'intelletto un che fornito di limiti, dall'altro lato è positivo nel suo essere come atto sussistente e determinato ; l'indefinito che è propria mente l ' i p o y dei greci, è negativo nell'essenza e nel l'essere ;nell'essenza c o m e astratta potenzialità del finito, nell'essere come un qualcosa che perennemente diviene, e non è mai ; e dico che è negativo in ogni sua parte, per che se il positivo del finito consiste nell'essere determinato come atto individuo e concreto,l'indefinito che nega quella i n d e t e r m i n a t e z z a , si r i d u c e a d u n a p r e t t a a s t r a z i o n e m e n talee per ultimaconseguenzarisolvesiinnulla.A chipoisi maravigliasse che ilconcetto d'indefinito,cima delle astra zioni, si fosse pôrto per tanto tempo e a tante nobili menti in luogo del concetto più naturale assai d'infinito a spiegare la divina entità, io addurrei per ragione lo strano giuoco della fantasia che nelle nature vivamente passionate si mesce alle operazioni delle potenze cono scitive, addurrei l'oscurarsi delle sacre tradizioni onde avviene che nell'animo abbandonato a sè stesso la divina luce dell'intelletto soggiaccia agli adombramenti del senso, e infine, ultima conseguenza di ciò,la superbia dell'uomo che Dio e l'universo volle rassomigliati a sè stesso. Io parlo cose ben chiare a chi abbia sufficiente notizia della Storia della Filosofia, quando dico che la Paganità tutta avanti l'Era volgare,e nell'Era volgare tutti i filosofi più o meno infetti di paganesimo ignorarono ilvero con cetto dell'infinito applicabile alla natura di Dio;dico il vero concetto,e non escludo che anche tra'pagani alcuni, e segnatamente Platone,vi si accostassero in parte; tale è l'evidenza suprema di quella idea all'umano intelletto, e tale il sentimento non repugnabile che la creatura rav vicina al Creatore.    - 76 Ma tornando alnostro filosofo,egli,come tuttipiùo meno gli antichi, come tutti i pagani, rimase molto al di qua dal concetto genuino e legittimo dell'infinito. C o n tuttociò,sebbene nel De Natura Deorum rappresenti del concetto di Dio la parte più negativa,tra perchè quivi egli procedeva per metodo d'eliminazione confutando i sofisti, e perchè mostrò avvicinarsi all'idea indefinita che ne avevan gli Stoici,è noto alla Storia della Filosofia che nelle sue dottrine s'incontra sovente l'altro concetto più positivo degli attributi dell'anima considerati come corre lativi, o analogici agli attributi di Dio. Questa teorica, accennata in fine del De Natura Deorum , ritorna negli ultimi capitoli della Repubblica,e nel primo libro dei Tusculani. Argomento di quei capitoli della Repubblica è il sogno di Scipione Affricano imitato dalla Repubblica di Platone, ed è necessario fermarvisi un poco, perchè, sebbene ivi si tratti dell'immortalità come premio delle virtù domestiche e civili, e perciò la materia contenga un intendimento morale,l'essenza di quelle dottrine si ri connette intimamente alla fisica.La ragione poi è chiaris sima. Nel fondo di tutti isistemi gentili, per quanto con nessiconsottilissimeprove,eanimatidaunintimoprincipio diidealità,siannidava pur sempre una ragione dimateria lismo, procedente dall'idea indefinita ch'essi qual più qual meno s'eran formati dell'infinito,e che originandosi da un ristagno dell'immaginativa nei fenomeni della m a teria e del senso,ivi la riconduceva pur sempre giù dalle altezze più metafisiche della scienza. I Gentili, e segna tamente gl'Ionj, considerando in tal guisa l'operare delle cause naturali,per quindi dedurne la prima causa del l'universo,tra i fenomeni esterni posero particolare atten zione al moto, e perchè al moto si riducono sostanzial mente tutte le trasformazioni della natura, e perchè al moto s'attribuisce in generale la causa de'fecondamenti terrestri; il moto poi richiede un'intima forza motrice delle sostanze, altrimenti non si spiegherebbe come , data l'inerzia della materia,dall'una sostanza e'si comunichi all'altra;ecco perchè negli antichi panteisti e semipan    77 teisti, e nei loro imitatori moderni primeggia il concetto di forza (Büchner, Forza e Materia ); applicate poi questo concetto delle forze particolari all'universalità delle cose, e immaginate un'unica sostanza a cui segua necessaria mente un'unica forza, e avrete il panteismo dinamico di Capila, degl'Ionj, del Timeo e degli Stoici.Questo sistema dinamico ritiene nel suo fondo l'impronta del pensiero che lo concepisce. Di fatto, poichè in esso la riflessione procede astraendo per ragionamento induttivo lungo una serie di cause modali dalla più manifesta e determinata ad una occulta e generalissima cui sidà ilnome di causa prima, e tra le cause modali,fornite di più intima e m a nifesta efficacia,l’anima,che ha coscienza viva del proprio essere,è tratta a concepire sè stessa per prima, ne viene che l'ultima causa si pensi ad immagine dell'anima come un alcunché diuno,origine difattimolteplici,presente col l'unica attività a ogni parte della materia informata,fonte di vita, di movimento,di senso. Stabilita questa dottrina panteistica,apparisce chiaro quali conseguenze ne prover ranno alla dottrina dell'anima. Il filosofo gentile che dal concetto dell'anima è tratto a pensare la causa prima dell'universo, e la natura di Dio che lo informa, discen dendo novamente da Dio e dall'universo in sè stesso, immaginerà l'anima d'origine e d'attributi divini (h u m a nus animus decerptus ex mente divina. Tusc.), ne spie gherà l'intima efficacia e il modo d'operare delle sue facoltà a somiglianza della natura divina, e finalmente confondendo l'eternità, attributo dell'ente infinito, col l'immortalità che appartiene agli spiriti finiti, farà eterna e immortale l'anima,dicendo con Platone che essa è una causa,origine di moto ad altre,senzaorigine essa stessa e p e r c i ò s e n z a f i n e ( D e R e p ., l i b . V I , c a p . X X V ; e T u s c ., lib.I,XXIII.). Questa è la sostanza del sistema panteistico (o semi panteistico) esposto dal filosofo nostro negli ultimi capi della Repubblica. Ivi descrivendosi in modo stupendo la costituzione dell'universo, si rappresenta la terra circon data dalle nove orbite dei pianeti animati da divine menti,    dei quali l'ultimo che contiene tutti gli altri,è sommo e principe Iddio. D a questi fuochi sempiterni disceso l'animo dell' Da queste considerazioni apparisce quanto sia intima mente collegata alla teologia naturale la psicologia del filosofo latino.Se noi volessimo recare per esteso la ra gione più generale di questo legame , e spiegare coi filo sofi recenti quel modo d'induzione correlativa, onde la mente negando al finito le sue limitazioni, si leva a cono scere l'infinito di Dio,trascenderemmo di troppo itermini della presente questione. Invero la notizia che all'uomo è concessa dell'assoluto divino,procedendo per analogie e rap presentanze il cui contenuto ci è pôrto da elementi speri mentali, dee riuscire di necessità inadeguata all'oggetto;  78 u o m o , è D i o e s s o p u r e c h e g o v e r n a e m u o v e il c o r p o come il Dio principe,l'universo;sempiterno,immortale, rinchiuso nel corpo come in un carcere,e desideroso della sua dimora celeste,dove restituito dopo la morte in premio delle virtù cittadine godrà eternamente la compagnia degli spiriti immortali.In questo luogo son chiare le remi niscenze di Platone e degli Stoici;ma degli Stoici v'è poco ; laonde io non vi riconosco col Ritter un prevalere del concetto stoico di materialità sul concetto della spi r i t u a l i t à d i v i n a ( H i s t . d e l a p h i l . a n c ., t o m o I V , p a g . 1 1 6 ) ; perchè, sebbene Cicerone volendo abbellire della fantasia le sue dottrine fisiche ai lettori romani,riproducesse ivi la parte più immaginosa e più sensibile del sistema pla tonico del Timeo,è noto come quelle immagini nascon dono nell’Ateniese una idealità di concetti sublimi,e più m'è argomento che Cicerone in questo luogo si scostò dagli Stoici, il vedere com’ei faccia immortale non sol tanto l'anima universale, m a anche le anime particolari, mentre per confessione del dotto Alemanno, « era con forme alle dottrine degli Stoici il ricusare all'anima indi viduale, come parte dell'anima universale, l'immortalità insensoproprio.»(Ritter, XII,cap.II,pag.116,Physique des Stoïciens. Vedi però nelle Confessioni del Mamiani , Ontologia, lib.IV,cap. VI, 150, acutamente accennata l'opinione contraria.)   inadeguata,io dico,perchè l'animo che giunge al concetto di Dio trascendendo infinitamente sè stesso,non può far sì che nelle conseguenze di quella induzione non soprabbondi tuttavia il sensibile e il contingente che si conteneva nelle premesse ; e perchè in quella via che dalla natura ci mena al divino,noi siamo ancora molto di qua dal ter mine che dovremmo varcare,sebbene pur di qua piova su noi la luce incommutabile dell'infinito riflessa dal l'universo a quel modo istesso che il sole, non ancora spuntato sull'orizzonte, si rifrange scintillando nel mare. È questa la vera causa per cui Cicerone, comecchè s'avanzasse d'assai soccorso dall'indole sublime,e l'universalità dell'ingegno latino, non giunse però (e lo vedemmo) al concetto ben determinato dell'infinito; ma è vero altresì che uno fra gli studj più belli della Storia della Filosofia si è il cercare nei suoi libri popolari e s p e culativi come il concetto di Dio,correlativo a quello del l'anima, si va grado a grado perfezionando nelle opere fisiche, finchè perviene alla sua pienezza nelle dottrine morali. U n primo passo di questa ardita speculazione noi lo vedemmo nel De Natura Deorum ,libro essenzialmente istorico e disputativo, in cui Cicerone, avvolto nella di scordia delle sètte,e inteso a paragonarle tra loro e a c o m batterle con ogni argomento,non sa affermar che ben poco, e si restringe all'esame delle altrui opinioni; tien dietro a questo nell'ordine de'suoi pensieri il Sogno di Scipione, dove il concetto di Dio si determina meglio, e apparisce anche più chiara la tendenza alle dottrine platoniche ; m a quelle dottrine sono trattate ampiamente nel primo libro delle Tusculane,testimonio del suo metodo che de sume i principj dell'osservazione intima della coscienza, e si sforza, trascendendo il creato, di profondarsi nel l'essenza di Dio. In quei capitoli si tratta dell'immorta lità, secondo il metodo della Nuova Accademia ;cioè vuol provarsi (giusta l'intendimento metodico del libro) come ammessa o non ammessa la indistruttibilità dell'anima umana,segua in ogni modo che la morte non è da te mersi; l'immortalità poi si dimostra movendo dalla tra dal  79   80 dizione degli antichi, tradizione efficace quod propius aberant ab ortu et divina progenie, dal consenso univer sale che è legge di natura, manifesto nelle consuetudini, nelle leggi, nelle cerimonie, negl'istituti, e dal senti mento naturale, onde alberga nelle menti degli uomini, e segnatamente dei grandi,il desiderio della gloria che Cicerone chiama con bella immagine un augurio de'se coli futuri. Sostenuto da tali prove la cui efficacia de riva dal fondo del pensiero platonico, egli per ispiegare la condizione dell'anima dopo la morte, ricorreva a de terminarne la natura, e contro gli Stoici che le aveano concesso un'immortalità temporanea,affermava con ra gione essere più difficile assai pensare l'anima rac chiusa nel corpo, che immaginarla libera da ogni m a teria, e tornata ad abitare nel cielo ond'ella è discesa. (I.XXII.)In queste parole si accenna la spiritualità che prevale tra gli attributi dell'anima ; sennonchè il nostro filosofo,che avea penetrato nel Cap.XXII ilvero senso scientifico della parola, dicendo: ciò che è spiri tuale, sebbene non percepibile al senso, andar soggetto per altro all'apprensione del conoscimento, venuto poi a determinarlo, rimase un po'titubante;onde,sebbenetra cinque elementi, che secondo Aristotele costituivano la sostanza terrestre, scegliesse il quinto non nominato, più che non inteso a costituirne l'essenza, e rifiutasse le gros solane fantasie d’Aristoxeno,di Democrito e d'Epicuro, quando se la immaginò separata dal corpo, necompose una dottrina non al tutto spirituale. (XVII,XVIII,XIX, X X , X X I .) C o n c e d a n s i q u e s t e i n c e r t e z z e , d a c u i n o n a n d ò assoluto neanche Platone, al bujo sempre crescente delle speculazioni gentili.Ma da modesti principj si leva il filosofo latino alla sublimità della scienza. Egli è tanto inclinato con Platone ad affermare l'anima come una natura perfetta e immune da ogni contagio colla materia, che la vuol rinchiusa nel corpo come in un carcere (X X , XXII);colle dottrine della filosofia moderna ne inferisce la semplicità dal sentimento unico ch'ella ha del molte plice;riproduce,come nella Repubblica, il noto argo    mento platonico tolto dall'eternità de'principj motori (XXIII),e chiama plebei quei filosofi (gli Epicurei)che non ne consentivano l'efficacia; espone anche l'altro che all'anima attribuisce l'immortalità per l'intuizione degli eterni esemplari (XXIV.).Che dunque inferiva da queste prove ? Egli stante la incertezza de'filosofi contemporanei , non si perdeva a determinare in che proprio consistesse l'essenza dell'anima, o dove la sua sede nel corpo ; atte nendosi al concetto di causa,rivendicava al ragionamento induttivo sui fatti interiori la sua validità di contro al l'induzione delle scienze sperimentali; e si volgeva agli empirici materialisti,maravigliandosi come negassero poter concepire l'essenzadell'animaseparatadalcorpo,essiche pur tanto poco conoscevano dell'initimo operare della materia ; argomento valevole anch'oggi a smascherare i pretesi nemici della Metafisica,se la reverenza alla ne cessità logica de principj fosse mantenuta nel fatto, come è predicata a parole,da quanti amano chiamarsi seguaci d e l l e d i s c i p l i n e s p e c u l a t i v e . ( T u s c ., I . X X I I , X X V , X V I I I , X I X ; C. f. Cato M . 21 , 23, de A m . 4. c. p .) Meditando i capitoli della Repubblica e delle Tuscu lane, alcuni del Catone Maggiore e del Lelio, e qualche squarciodelleOrazioni(Miloniana,cap.30,31),sivede in tutta la psicologia del nostro filosofo, anzi in ogni parte della sua fisica questo ritorno costante dell'induzione correlativa;nè sfugga all'osservazione del critico una nota importante di questa dottrina, e cioè che, sebbene parrebbe a primo aspetto avere Cicerone desunto la cer tezza scientifica della esistenza e delle perfezioni di Dio dalla contemplazione dell'universo e dell'animo umano, apparisce invece in più luoghi che un sentimento vivo del l'eccellenza di Dio,nutrito dall'indole religiosa, e dalle tradizioni latine, dà lume e certezza al concetto positivo dell'anima. E invero, se egli mostra talvolta di dubitare della semplicità e immortalità dell'anima u m a n a , dell'esi stenza di Dio e delle sue perfezioni infinite non dubita mai.«L'origine dell'anima umana,egli diceva nel De consolatione, non può in alcun modo trovarsi su questa  81 6   82 terra. Non v'ha in essa niente di misto, nè di concreto o di terrestre; niente d'aria, d'acqua o di fuoco. I m perocchè tali sostanze non sono suscettibili di m e m o ria, d'intelligenza o di pensiero, nulla hanno in loro che ritener possa il passato, prevedere il futuro, c o m prendere il presente ; le quali facoltà sono unicamente divine, e non possono in guisa alcuna essere venute nel l'uomo,se non discendon da Dio. La natura dell'anima è perciò d'una specie singolarissima, e da queste comuni e cognite nature distinta;talchè,qualunque esso sia,ciò che in noi sente e gusta,vive e si muove,deve essere per necessità celeste e divino, e però eterno. Infatti Dio stesso,che èinteso da noi,non può intendersi in altro modo che come una mente liberissima e pura,sgombra da ogni concrezione mortale, che vede e move ogni cosa, e sè stessa con sempiterno moto ; di questa sorta e di questa stessa natura è l'anima umana.» (XXVII, 66.) Con queste parole conchiude Cicerone nel primo dei Tu sculani la dimostrazione dell'anima e di Dio, dimostra zione mirabile per lucentezza speculativa, e per schietta e dignitosa eleganza; qui lo vedi abbandonato al nobile istinto del genio, e a un'immortale devozione pel bello, levarsi nel mondo degli universali, nella dimora degli spiriti eterni, e indovinare quasi sui vestigj di Platone i fondamenti ove posa la teologia del teismo; salvochè, se il lettore tien dietro al procedere delle prove, e al le game segreto che le connette,s'accorge tosto come per l'abito d'indurre dalle cause modali manchi alla sua d e finizione di Dio la vera trascendenza logica del concetto , sebbene (come vedremo) ve lo ravvicinasse d'assai nel primo delle Leggi la viva coscienza dell'ingegno latino. La maggior parte di coloro che ci hanno preceduto nella critica di Cicerone, hanno esaminato diligentemente l'indole delle prove a cui s'appoggiava la dottrina del l'immortalità, e alcuni andarono tant'oltre, nonostante le sue continue e ripetute affermazioni,che da certe epi stole consolatorie agli amici (la sedicesima e l'ultima del libro V,e la ventunesima del libro VI,ad Diversos)de    Principio etherio flammatus Iuppiter igni Vertitur et totum collustrat lumine mundum , Menteque divina cælum terrasque petissit: Quæ penitus sensus hominum vitasque retentat, Ætheris æterni sæpta atque inclusa cavernis. » (De suo Consul.1.II,v.De Divin.,1.I,c.11,§ 17.)  - 83 dussero ch'egli ne dubitava ; m a a queste accuse rispose vittoriosamente il Gautier de Sibert nell'Accademia di Francia,eilKuehner piùtardiloconfermava.Delresto per ciò che risguarda gli attributi divini, e se Cicerone ammettesse uno o più dèi,e se quest'unico Dio facesse veramente eterno,onnipotente,necessario,immutabile,e qual fosse conforme alla sua dottrina la condizione degli animi separati dal corpo, questione trattata da parecchi critici, io son d'avviso che tutto ciò non possa stabilirsi con assoluta certezza, varie opere del nostro filosofo es essendo andate perdute, nè trattando egli espressamente tali materie nelle altre che ci sono rimaste.E nondimeno per chi mediti senza preoccupazione i suoi libri v'è tanto ancora quanto basti a mostrare,come in mezzo a una re pubblica corrottissima e ad uomini scelleratissimi l'ora tore latino cercasse nel concetto genuino di Dio e del l'immortalità un degno conforto alle sventure civili, e un magnanimo entusiasmo alla sua parola propugna trice ultima delle libere istituzioni; egli che in uno dei suoi poemi,composto nel bel mezzo della vita politica, avea definito Dio con quella immagine sublime di vera poesia : 4.Oratornandoalladottrinateologica,questosegregare la mente dell'uomo da ogni natura corporea,e sublimarla a una parentela soprannaturale con Dio, il che è già accennato nel sogno di Scipione,dove nel senso platonico la natura materiale del corpo è opposta a quella del l'anima, e la vita nostra è chiamata una morte ci dà oc casione a stabilire un punto importante della fisica di M. Tullio, cioè il suo dualismo, o semipanteismo. Di tal dualismo mi pare sipossano arrecare due cause;l'una co   84 mune allaleggeconcuisisvolgonoisistemifilosoficinella storia,l'altra ristretta particolarmente all'ingegno di Cice rone.Quanto alla prima causa,se ricordiamo ilgià detto in torno al modo con cui l'uomo partendo da sè stesso conce pisce nell'indefinito del suo pensiero l'indefinito di Dio,e l'anima lungo la serie delle cause modali da sè,prima causa più manifesta e più vicina a sè stessa,immagina la divina causalità, intenderemo come fra le contradizioni del pan teismo quella che subito si porgeva più chiara alla riflessione esaminatrice,fosse la medesimezza dell'anima e di Dio infi niticollamateriafinita,passibile,imperfettaedalrifiutodi questa contradizione uscisse il dualismo di Dio e della m a teria,dell'anima e del corpo,dell'intelletto e del senso.Tal dualismo desunto da Platone, benchè in fondo contradit torio esso pure,indica un vivo sentimento dell'eccellenza di Dio e dell'essere umano , e mi piace riconoscerlo come proprio degli uomini sommi ; laonde è ben naturale vi dovesse aderire Cicerone, non tanto perchè innamorato degli esempj delle scuole socratiche la cui efficacia infor mava vivamente le dottrine romane, quanto perchè poco amante della incertezza delle scienze sperimentali, e testi mone egli a sè stesso dell'altezza dell'umano ingegno,la cui onnipotenza tante volte gli apparve ne'combattimenti immortali della tribuna. (Vedi più luoghi negli Ufficj e segnat. L. III, c. XLIV , ed opere pass.) E poi se quel dualismo soddisfaceva da un lato le aspirazioni dei più grandi intelletti, e metteva la notizia diDio al sicuro da ogni condizione del finito, d'altro lato il concetto astratto che dava di quello la scuola socratica faceva nascere il dubbio sul come spiegarne le relazioni, pur necessarie, coll'universo dei corpi. Tal dubbio implicava il solito quesito sul come conciliare l'ente col non -ente, il finito coll'infinito, il relativo coll'assoluto, la perenne mutabi lità de'moti fenomenali colla quiete immutabile dell'es senza prima, quesito continuamente proposto dalla G e n tilità,nè mai risoluto,perchè mancava a sciogliereilnodo il vero concetto d'attinenza creatrice.(Vedi Platone,Sofi sta.) Quindi la mente desaggj ondeggiava di continuo da    un termine all'altro di quella contradizione immortale. Enrico Ritter, più volte citato, esaminando il sentire del filosofo latino intorno a siffatto quesito, e rappresentando con vivi colori quell'opposizione ch'ei pose tra la natura e il divino, non ne conobbe forse la causa più vera ; la quale gli sarebbe apparsa evidente se in luogo di vol gersi soltanto all'indole dello scrittore, l'avesse cercata in questa contradizione che affaticava da più secoli la filosofia pagana. Ma il Ritter s'appose anche in parte, poichè quel vivo intuito delle perfezioni divine ed umane, e della differenza tra la materia e lo spirito che prima avea salvato Cicerone dalla dottrina d’un'unica sostanza, ora lo teneva sospeso nelle contradizioni del dualismo, massima delle quali era il contrasto tra la libertà divina ed umana e le leggi fatali della natura che spegneva ogni fede nella provvidenza, nel libero arbitrio e nella religione degli avi. Come il nostro filosofo mantenendo il dualismo inten desse di conciliare l'efficacia della prima cagione nelle cagioni seconde col moto necessario dell'universo, come spiegasse quell'atto misterioso di causalità con cui l'in finito si congiunge al finito, e lo comprende e lo sostiene senza identificarsi con esso, e, mentre faceva con Platone emanato da Dio l'intelletto,rivendicasse all'altra parte del l'uomo,identica colla natura sensibile,l'autonomia de'pro prj atti,e l'imputazione morale,è quesito di non poca dif ficoltà, sì perchè la sua dottrina fisica del dualismo non è abbastanza accertata,e perchè d'altra parte ne’libri che esaminiamo al presente, ma più ne'morali, s'incontrano affermazioni decise e ben ragionate sulla provvidenza di Dio e l a l i b e r t à d e l l ' e s s e r e u m a n o . ( D e L e g ., 1 1 , 7 ; 1 , 8 , F i n ., I V , 5;V,11;Tusc.,I,49,25;N. D.,I,2;Catil.,I,5;pro M a r c e l l o , I I I ; a d A t t ., I , 1 6 ; a d D i v ., V , 1 6 . ) C e r t o s ' e g l i non fosse nato nell'ultima età dell'era pagana, e avesse accolta quella teorica della creazione ex nihilo, chiamata giustamente da Terenzio Mamiani una delle maggiori conquiste ottenute dalla speculativa dei nuovi tempi sulle e t à t r a p a s s a t e , ( C o n f ., l i b . I V , 1 0 8 ) a v r e b b e t r a t t o d a l l a  S5   notizia di Dio creatore un concetto chiaro delle sue re lazioni col mondo, e i due ordini naturale e soprannatu rale gli sarebbero apparsi intrecciati fra loro per quel legame di causa che congiunge la teologia colla scienza del mondo.Ma Cicerone,come tutti igentili,rifiutavala dottrina della creazione, sebbene proposta alla mente dei filosofi e delle plebi forse dalla memoria d'antiche tradi zioni, il che mostra un frammento del libro terzo De Natura Deorum,conservatocidaLattanzionellibro secon do,c.8 delle Istituzioni divine. Esclusa la teorica del congiungimento tral'infinitoeilfinitoperattinenzacrea tiva,non rimanevano,come vedemmo, che due sole vie;o l'unità consustanziale di Dio e dell'universo,o l'assoluta separazione di questo da quello, del molteplice dall’uno, dell'assoluto dal relativo. M a la dottrina de'panteisti menata alle sue ultime conseguenze,oltre all'incorrere in quella lunga serie di paradossi e di antinomie che in parte accennammo, e la cui dimostrazione ha esercitato per tanto tempo l'ingegno de'filosofi d'ogni parte d'Eu ropa, repugnava secondo Cicerone all'indole pratica e positiva del politico e del cittadino ; laonde egli la c o m battè acutamente colle armi della Nuova Accademia nel quesito proposto dagli Stoici sulla divinazione o previ sione del futuro. Secondo questa dottrina che usciva dalle premesse della fisica di Zenone,l'uomo poteva prevedere ilfuturo daisegnidellecoseanimateodinanimate,essen dochè l'universo fosse collegato ab eterno da un ordine necessario di cause efficienti;ordine necessario nell'uomo, che era una particella o determinazione dell'anima uni versale;necessario nella natura,dove ogni fatto è gover nato da leggi, e racchiude in sè la ragione de'fatti con secutivi; necessario in Dio stesso che, immutabile per sè, si trasforma ne'fenomeni della natura come in uno svol gimento fatale della propria esistenza. Questa dottrina che si finge esposta dal fratello di Cicerone nel primo De divinatione,è poi confutata dal l'autore nel libro secondo; e quel dialogo è di somma importanza nellastoriadellecredenzeumane,perchè trat  86   tando la gran questione del soprannaturale agitata ai tempi di Tullio,riproduce nel calore della controversia quello stato penoso degli animi,sospesi nell'incertezza dei più nobili veri, e in un'età in cui la rovina del politeismo già preparava il rinnovamento cristiano. La conciliazione tra l'ordine necessario del mondo e l'autonomia dell'essere umano è accennata nell'operetta de Fato.Questo libro,o meglio questoframmento,dove si espone un dialogo avuto dall'Autore presso Pozzuoli con Aulo Irzio,console designato,nel 710 di Roma,fu scritto, insieme coi due libri della Divinazione,a supple mento dell'altra opera de Natura Deorum per sostenere la libertà dell'arbitrio contro il concatenamento fatale delle cause, e temperare le ultime illazioni de'panteisti e de'dualisti contemporanei. Il metodo dell'osservazione, applicato nei soli termini della natura sensibile,menava al lora(come oggi)alcunifilosofisperimentali ad accettarela dottrina del Fato (detto dagli Stoici eiuzpuévn),inteso come un ordine e una serie di forze,manifestanti la natura di cause , e che s'intrecciano fra loro d'effetto in effetto per leggi costanti d'antecedenza e di conseguenza.Ora è chiaro che da questa dottrina condotta alle ultime conseguenze, uscivaalteratol'ordineuniversale,eilconcettodinecessità che lo sovraneggia. Era alterato dal panteismo,dove ve rificandosi l'identità de'due ordini soprannaturale e natu rale,ogni atto fisico ed umano si riduceva a un deter minarsi necessario della causa divina ; era alterato dal dualismo che opponendo Dio allanatura,e immaginando quest'ultima come sospinta da un ordine fatale di cause intrinseche ad essa,non poteva spiegare in eterno come in quest'ordine naturale si dessero fatti liberamente o p e rati. Ma Cicerone si schermiva da questi errori ricor rendo alla osservazione interna, e al concetto di causa . Che cos'è la libera volontà?  87 salità poi non dee intendersi costituita dalla pura e s e m plice successione de'fatti,ma dallasuccessione lorounita coll'efficienza degli uni sugli altri.Or dunque (riprendeva ilfilosoforomano controCrisippo),argomentano benegli Una libera causa;lacail   Stoici dicendo che nell'ordine prestabilito della natura tutto si opera per cause antecedenti ed esterne, m a non hanno ragione se vogliono turbata questa legge della n a tura dall'operare dell'arbitrio ; « poichè quando diciamo di volere o non volere qualche cosa senza una causa, fac ciamo uso non buono di una consuetudine del linguaggio comune, intendendo dire, senza causa esterna ed antece dente, ma non senza una causa qualunque;di fattiil moto volontario degli animi ha tale natura che è in nostropotereeciubbidisce,non peròsenzacausa;chè la causa di tutto ciò è la sua stessa natura (XI).» Non ci è permesso riferire qual fosse in ogni parte la dottrina diTuiliosullalibertàdelvolere,perchè illibroDe Fato racchiude importanti lacune; m a apparisce però da più luoghi ch'egli la fondava sulla certezza dell'imputabilità degli atti umani,e per tal via si apriva il passaggio dalle opere fisiche alle morali,nel modo che appositamente e con ordine verrà dimostrato nel capitolo quarto. Concludendo, alle dottrine sin qui esaminate si re stringe le serie delle opere fisiche di Cicerone.Nelle quali vuolsi considerare com'egli avviluppato in una moltitu dine di sistemi contradittorj e negativi,e costretto ad esercitare l'esame della riflessione sopra una materia scientifica ingombra nelle parti più sostanziali dalle te nebre del sofisma, distinse le verità disputabili dai teoremi della scienza,sceverò con critica coscienziosa ilbuono ed il certo delle filosofie contemporanee ponendo l'una a ri scontro dell'altra, e temperandole ne'loro eccessi. Per tal modo le principali verità mantenendosi intatte, soc correvano il pensiero a ricostituire l'Ontologia nei prin cipj della scienza cristiana; e questo è davvero un m e rito insigne e innegabile della fisica ciceroniana, come altri notati da noi sono la sua temperanza verso le affer mazioni eccessive degli sperimentali, il concetto di Dio, ravvicinato alla dottrina di Socrate,e sciolto,per quanto erapossibileallora,dallecondizionielimitazionidell'uomo, la natura spirituale dell'anima,la sua libertà dimostrate in tempi di abbattimento morale e di costumi nefandi.Su  88   89 questi principj fondava l'oratore latino la sua fede religio sa ;chè se (come nota bene il Vannucci) « nella Divinazione ed altrove,allontanandosi dalle forme timide della Nuova Accademia ........ con argomentazione più forte che in ogni altro scritto combattè da arditissimo novatore le credenze usate già come istrumenti oratorj e politici,e mostrò il vano e il ridicolo dell'arte divinatoria, e dei prodigj, e delle imposture sacerdotali ; » Senatore e console di R o m a , egli voleva una fede ritemprata alle sorgenti incorruttibili della morale , e che diventasse vero fondamento alla rico stituzione civile della sua patria. 1. Se la scienza, come affermammo più volte, è un portato delle naturali notizie; se, ritenendo essa nel suo svolgimento la natura del principio che la informava, la unità dell'oggetto scientifico, riconosciuta dalla riflessione, si fonda in un primitivo ordine di veri presenti tutti al l'armonia della coscienza,che costituisce il soggetto scien tifico; nessuno può dubitare che i principj della teorica del conoscere, o della Logica non si colleghino intima mente con quelli della teorica dell'essere, coi principi dell'Ontologia. Il fondamento di questo legame che, a n teriore al fatto della scienza, si riproduce tal quale nella scienza stessa, ha la sua ragione nell'idea della persona lità umana, da cui, come da unico fonte, rampolla la triplice attività dell'esistere,del conoscere,dell'operare; l'ha nella stessa natura del vero che unico in sè, se lo esamini sotto duplice aspetto, è prima essere nelle cose, e poi si fa vero contemplato nell'intelletto. La medesi mezza delle due parti suddette della filosofia apparisce per modo indiretto nella continua attinenza che strin fra loro le questioni più importanti della logica e del l'ontologia dai più remoti principj della nostra scienza fino ai tempi a noi più vicini.È un fatto omai noto nella storia della filosofia come il quesito fondamentale della    90 logica : qual sia la relazione che corre tra l'ideale e il reale, quale la corrispondenza tra le leggi del pensiero e quelle della natura, e se dandosi passaggio dall'intelli gente all'inteso,se ne costituisca la possibilità della scienza, quesito contenuto ab antico nella materia delle specula zioni pagane, ricevesse la sua vera espressione scientifica dalle dottrine critiche della Riforma. È altresì noto ai di nostri come dalla posizione deliberata di tal quesito si diramarono due scuole;ilCriticismofranceseealemanno, e ilCriticismo cristiano,che cominciato dai Dottori e dalla buona Scolastica ne'tempi di mezzo,segue a fiorire segna tamente in Italia ai dì nostri. Ambedue queste scuole, di verse sostanzialmenteneiprincipjontologicidelsistema,dis sentono pure nella logica.La prima desumendo le sue dot trine dal panteismo e dualismo antico, resuscitato più tardi da un ritorno della civiltà cristiana ai dommi del Genti lesimo,disconobbe l'attinenza manifestatrice che per legge di natura intercede tra il pensiero e le cose, tra il sog getto e l'oggetto,e quell'attinenza odenaturò in identità colle dottrine d'un'unica sostanza,o ridusse a separazione ammettendo col Cartesio un'intima differenza tra le qua litàdell'esteso elequalitàdelpensiero,d'ondeilsistema delle cause occasionali del Malebranche, quello dell'ar monia prestabilita del Leibnitz e lo scetticismo del Bayle e del Kant. La seconda scuola movendo dal principio che la libertà del pensiero scientifico soggiace per legge di natura alla condizione di non potere alterare l'ordine necessario degli enti fra loro, trovava con sublime e trascendente concetto il legame dell'idealità col reale e nell'intima essenza dell'atto creativo di Dio, che pose primitivamente una coordinazione d'atti fra l'essere delle cose e gl'intelletti creati ; e in Dio stesso nella cui n a tura infinita e impartibile s'immedesima l'idealità colla realtà, la realtà dell'essenza coll'eterne idee rappresen tative e causative degli enti creati. Or che si deduce da c i ò ? C h e s e il p r i n c i p i o d e l C r i t i c i s m o, o n d ' è r i d o t t o a problema il teorema della conoscenza, ha un intimo ri scontro nei fondamenti della dottrina dell'essere, e i si    M a qui cade per altro una considerazione importante. Il panteismo e ildualismo,sebbene alterassero dai fonda menti la dottrina della conoscenza o distruggendo la re lazione ond' è manifestativo il pensiero, o affermando un'incomunicabilità primordiale tra ilsenso e la materia, principio di corruzione e d'ignoranza, e lo spirito eterno emanato da Dio, non negavano per anco esplicitamente nè l'un termine nè l'altro dell'attinenza conoscitiva;e quando in un sistema, sia pur guasta e corrotta,sia pure implicitamente negata,siconserva nell'intimo significato delle dottrine la piena comprensione del soggetto su cui cadelascienza,qualunquedisputaintornoaiprincipalipro blemi si offre sempre con probabilità di scioglimento alla riflessione esaminatrice. Quella probabilità cessa quando sensismo, materialismo e idealismo, negando due parti sostanziali del soggetto, l'intelletto e l'idea manifestante, causa e mezzo del conoscimento, e la cosa manifestata, termine della cognizione, si chiudono la via ad affermare i n t e r a l a n o t i z i a d e l l ' e s s e r e u m a n o , d e n a t u r a n o il l e g a m e che intercede tra l'ideale e il reale, e rendono impossi bilelapsicologia,ingannatricelalogica.Un breveaccenno di questa legge necessaria che si riscontra nella storia delle controversie filosofiche, l'abbiamo già fatto nella prima parte toccando dei sistemi principali che apparvero in Grecia dal primo scadere della scuola socratica fino ai tempi dell'Arpinate ; allora fu osservato da noi come a n dasse di pari passo coll'oscurarsi sempre maggiore dei veri principali e delle antichissime tradizioni l'impoverire della forma logicale dei sistemi,e come l'ultimo grado di questo scadimento fosse segnato dal sistema d'Epicuro, e dalle dottrine logiche della Nuova Accademia.Ora poi  91 stemi che alterarono questa dottrina sono contemporanei ai primordj della filosofia, antichissimo deve essere il fon damento del Criticismo; e ne sono testimonj le più strane teoriche sul modo del conoscimento procedenti dalla fisica de'sistemid'India, d'Italia,diGrecia,come,ad esempio, gli atomi di Capila,gl'idoletti diDemocrito,leimmagini fluenti d'Epicuro e di Lucrezio.   ci sia permesso venire su questo proposito a maggior particolari, perchè, giunti a questa parte delle opere di Tullio dove conviene esaminare la controversia tra gli Stoici e la Nuova Accademia sulle dottrine del conosci mento,rappresentatada luineilibriAccademici,importa massimamente il notare perchè e come ai tempi del filo sofo latino,o poco avanti,ilproblema fondamentale della logica si fosseristretto alla percezione sensitiva; e come dal punto diverso e dai confini onde le due parti dispu tanti consideravano il quesito intorno al conoscere, di penda il valore delle prove allegate, e il principio su premo che governa la controversia. 2. Venendo dunque al proposito, il sistema d'Epicuro e le dottrine della Nuova Accademia, non che lo scetti cismo e l'empirismo finale ci palesano quasi una spos satezza del pensiero greco,che non val più ad abbracciare la totalità del soggetto scientifico con quell'ampiezza di principj e di leggi con cui Platone e Aristotele l'avevano abbracciata;ma un peggioramentoimportantenellaforma scienziale già si notava nel sistema degli Stoici. Consi derate un poco la sostanza di quelle dottrine,e vi troverete due principj che danno a tutto il sistema due qualità e due aspettiben differenti.Il cardine del sistema di Ze none è infatti l'unità primordiale e finale delle cose tutte, la unità della sostanza prima indistinta e indeterminata, che poi si determina e si partisce per l'efficacia del prin cipio attivo e divino svolgendo da un unico germe la dualitàde'principj.La sostanzaprima,distintaallorain un'anima e in un corpo universali, causa delle anime e dei corpi particolari, costituisce l'essere del mondo che rappresenta la vita di Dio ; quella vita diffusa in tutte le cose animate ed inanimate le fa partecipare per un in timo principio di compenetrazione alla natura e all'effi cacia di Dio,e l'anima umana,ch'è più vicina a quella sorgente universale, ne ritrae maggiormente, informando e compenetrando il corpo, a somiglianza dell'anima uni versale, e come quella riducendo a un solo principio m o tore le facoltà seconde; talchè per gli Stoici dall'unità  92   dell'essenza prima esce identificato l'intelligibile col reale, il p e n s i e r o c o g l i o g g e t t i , l ' i n t e n d i m e n t o c o l s e n s o . C o n s i derato inquestegeneralitàilsistemadiZenoneabbraccia tutto intero il complesso dei veri palesati dalla coscienza, alterandone la natura col Panteismo.Ma se vieni ad esa minarlo più particolarmente, allora i molti principj con tenuti nel seno fecondo della materia prima,e in lei de terminati più tardi,Dio e materia,anima e corpo,intelletto e senso,pensiero ed oggetti,scompajono tutti,e siriducono ad un solo ; alla natura informe e indeterminata della materia. Allora ti apparirà vizio capitale di quel sistema la riflessione esaminatrice che, sebbene apparentemente voglia svincolarsi dal senso e dalla materia, concependo a m o 'degli Ionj dinamici nel seno dei fenomeni naturali un'intima energia infinitamente diversa dalla materia , e cagione di que'moti,non sa dominare la fantasia, e ab bandonata al pendío voluttuoso dei tempi,trasporta in quella forza primitiva e in Dio stesso,che la pone in atto, le qualità corporee. Così la dottrina degli Stoici sin dalle sue radici s'infettava di materialismo. Ora è tale il ri scontro dei veri principali nella legge necessaria del co noscimento , che, oscurato il concetto di Dio e delle cose, se ne oscura alla mente dell'uomo la nozione di sè stesso Non è dunque a maravigliare se per gli Stoici al mate rialismo in fisica tenesse dietro il sensismo in psicologia ; quindi,giàloaccennammo,alterato ilvero concettodi potenza conoscitiva,scambiarono inostril'occasionedel l'atto apprensivo, che ci viene dai sensi,colla causa intima di quello,veramente causatrice, che è l'attività dello spi rito;quindi,non bene distinto l'operare dei sensi e del l'immaginativa dall'operare dell' intelletto, diedero al complesso dei fantasmi le qualità del pensiero. In questo esame parziale e negativo delle facoltà del soggetto, quale ci offre la psicologia degli Stoici,si nascondeva per fermo una potente causa di scetticismo;chè movendo dal lato indiretto da cui la Stoa considerava il fatto dell'umano conoscimento , e negli angusti confini in cui restringeva la coscienza delle interne operazioni dell'animo,era facile  93   a sottili ragionatori trovare appiglio per dubitare di qual che cosa o di tutto.Vi si prestava la natura dell'idea, che avendo il proprio essere in un'attinenza manifestatrice, se la consideri identica ai fatti animali, ti doventa un mistero; vi si prestava la natura del senso, inesplicabile, oscuro e sostanzialmente erroneo, se non lo risguardi illu minato dalla luce dell'intelletto ; vi si prestava infine la fantasia perenne creatrice del falso, facile a denaturare coi più vivi colori del senso gli ultimi resultati della p o tenza astrattiva. Così dal sofisma degli Stoici (e sofisma vuol dire sempre difetto) germinava quello della Nuova Accademia . Chè , se fu cattivo abito della riflessione esa minatrice nelle dottrine di Zenone il fare ombra dei fe nomeni materiali allo splendore delle idee,e ridurre quasi ciò che v'ha di più vivo nell'umana personalità allo sviluppo meccanico delle funzioni apprensive,fu pessimo nella Nuova Accademia,non già l'opporre ilvero all’er rore,il compiuto all'imperfetto esame della coscienza,lo che essa non fece; m a profondarsi nelle sole astrazioni, m a restringersi nel pensiero vuoto,fenomenale, apparente, o al più negl'inganni d'un fallace conoscimento. Quindi a una negazione di negazione si riduceva ai tempi di Tullio, o poco innanzi, la polemica tra gli Stoici e la Nuova A c cademia.Ed ecco (ciò che cieravamo proposti a mostrare) perchè dopo i notevoli perfezionamenti che la dialettica avea ricevuto dalle scuole italica ed eleatica, da Platone e dall'Organo aristotelico, la teorica sulle fonti del cono scimento, complessiva di tanti veri, s'era allora ristretta alla disputa sulla percezione sensitiva.  94 Tal disputa , dipinta con tanta verità di colori da Tullio nei due libri degli Accademici Primi, e massime nel se condo (chè il breve frammento rimastoci del primo degli Accademici Posteriori, dedicato a Varrone, si riduce ad una semplice esposizione istorica delle principali scuole socratiche), rappresenta in fondo la lotta di tutti i tempi tra ildommatismo inconseguente e lo scetticismo presun tuoso. Quel venire ai cozzi di opinioni eccessivamente af fermative con altre assolutamente inquisitive era, come   dei nostri, un portato naturale dei tempi di Tullio,tempi di contradizioni profonde, nei quali, come oggi, da una parte tutto si disfaceva con rabbia sterminatrice, dall'altra con puntigliosa rigidità si sosteneva qualunque lato anche debole e imperfetto del vero,imperfettamente considerato. La superbia e ildisprezzo erano le armi con cui si scon travano i combattenti, e l'una e l'altro stavano bene a quelliuomini,eloquenti,come noi,nell'esaltareiprincipj, e non logici quanto conveniva nel dedurre da quelli le gittime conseguenze ; altrettanto facili ai propositi gene rosi,quanto difficilinell'eseguirli;filosofidaaccademia,e da piazza ; politici predicanti la severità antica nelle m o l lezze moderne ; uomini a cui mancava la lena di levarsi sulle ali del pensiero alle universali armonie della scienza nel vero,nel bello e nel buono,capaci soltanto d'impri gionarsi nelle angustie d'una dialettica ingannatrice o p ponendo sofisma a sofisma,contradizione a contradizione. Quindi massimo argomento in questo, come in simili casi, del difetto delle due parti che disputavano, era che, se tu esamini l'una e l'altra con animo non preoccupato, e poi non imiti il Cousin, che dall'accozzo fortuito degli errori volle ricomporre il corpo formoso della filosofia, quasi statua da brani dispersi sopra antiche ruine , m a cerchi di compirle ambedue colla pienezza dei veri atte stati dalla coscienza naturale, soltanto allora elle t'appa riranno perfette, e risoluta la tesi, ti vedrai brillare al pensiero la luce d'un irrepugnabile convincimento. La disputa è finta da Cicerone come avvenuta presso Baule in una villa d'Ortensio, presenti lo stesso Ortensio, Ca tulo e Lucullo. Gl'interlocutori principali sono Lucullo e Cicerone. Lucullo sostiene le parti d'Antioco (stoico) contro Filone (Accademico ); Tullio quelle di Filone con tro Antioco. Or qual era il principio da cui moveva, e quali i punti più segnalati in cui si spartiva il ragiona mento ? Qui occorre ridurci a memoria un'importante osser vazione del Ritter. Il quale nella sua Storia della filosofia antica, tenendo dietro all'indirizzo che la dottrina sulle  95   96 fonti del conoscimento avea preso da Aristotele in poi, quando nota la differenza segnalata che correva tra gli Stoici e il filosofo di Stagira, mentre questi moveva sì dalla sensazione, ma senza negare il resultamento del l'attività intellettuale dell'anima, laddove gli Stoici, più vicini in ciò agli Epicurei,cercarono di ravvicinare di più in più il pensiero razionale alla sensazione concependolo solo come una sua conseguenza e trasformazione, aggiunge inoltre che nell'evitare le grandi difficoltà, le quali si o p p o nevano alla dimostrazione di quel loro sensismo, si rias sume intera la dottrina degli Stoici intorno al criterio del vero (Ritter, L. XI , 3.). L'osservazione del Ritter è giusta. Di fatti per quella solita opposizione che trovi in ogni filosofo di setta tra le tendenze vive dell'animo e l'indirizzo artefatto della riflessione, si vedevano negli Stoici due disposizioni opposte che imprimevano qualità contradittorie al loro sistema; da un lato il pendio del l'età e il decadimento della forma e della materia scienti fica li inchinava al sensismo e alla meditazione incompiuta del soggetto su cui cade la scienza ; dall'altro la tradi zione socratica e la voce non muta del senso comune li chiamava ad abbracciare il complesso dei veri di natura, le facoltà dell'animo e i termini loro, e a rendere p o s sibilmente perfetta la forma scienziale ; antitesi d'opposte tendenze che pur si specchia in quell'ondeggiare continuo del loro sistema tra il panteismo ionio e il dualismo so cratico. Ora che ne veniva da ciò ? Dal lato imperfetto da cui gli Stoici consideravano l'umana coscienza quanto alla dottrina del conoscimento, resultava ch'essi sbaglia vano il concetto di potenza,di causa,di relazione, fonda menti primi di tal dottrina;quindi la loro logica si re stringeva alla dimostrazione del conoscimento acquistato per via de'sensi,di cui ponevano l'essenza nella rappresenta .zione vera o comprensiva (parrugia 2270)atlyn),ch'è un patire dell'anima,a cui risponde da un lato l'operare del l'oggetto sentito, dall'altro l'operare dell'anima stessa che conseguentemente alla sensazione ricevuta assente,giudica e ragiona.Ma qui,giovailripeterlo,stavalafallaciadell'ar    gomento;gliStoicimovevano dalnulla,edaquelnullaface vano uscire la pienezza del soggetto e dei principj costituenti la scienza.E veramente io non negherò mai alla buona filosofia che ilfatto della percezione sensibile,intesa come attinenza reale tra il sentito e il senziente, mi riporti al l'esistenza di due termini de'quali l'uno è causa esterna e occasionale della sensazione, l' altro è causa intima e veramente efficace; non negherò mai che l'illazione di causalità mi mova ad affermare la reale natura dell'ente che opera sugli organi de'sensi,e che il concetto di po tenza m'induca a concepire nelle facoltà conoscitive un qualcosa che le costituisca operanti,un che di positivo e d'efficace che risponde alla passività negativa del sentimento ; m a io nego agli Stoici quel loro metodo di facili illazioni, onde identificata la potenza intellettiva col senso volevano dedurre in virtù di universali prin cipj da una condizione passiva delle facoltà del sog getto l'efficacia dell'intendimento, e dalla sensazione mutabile e fenomenale l'incommutabile necessità della scienza.Ma ilfatodellalogicanon's'arrestava;egliStoici ristretti in tal modo nelle angustie dei fenomeni sensibili, tanto più quanto levavano lo sguardo alla cima del sa pere,rammentando le tradizioni del Sofo ateniese, vede vano l'importanza di ribattere le prove degli avversarj che paragonavano la mutabilità e l'incertezza de'fatti animali colla natura assoluta del vero contenuta negli universali concetti,onde germoglia e si sviluppa la scienza. Quindi proveniva il bisogno vivamente sentito da loro di movere da un fatto e da principj indubitabili ed evidenti (Acad.,II,VI,17);quindi la necessità di mostrare,primo, come si possa distinguere la rappresentazione falsa dalla vera ;secondo, come movendo dal reale della rappresenta zione apparisca che la mente stessa che è fonte dei sensi, e che essa medesima è senso,abbia una naturale energia per cui tende a ciò che la move al di fuori; mens ipsa que sensuum fons est,atque etiam ipsa sensus est,naturalem vim habeatquamintenditadeaquibusmovetur.(X,30.) Da questo concetto,fondamentale nella logica degli Stoici,  97   La prima parte cadeva sulla domanda : se la perce zione sensibile avesse impressi in sè certi segni della v e rità dell'oggetto rappresentato ; il che negava la Nuova Accademia,affermando che in una percezione,fosse pur vera, non era alcuna certa nota per distinguerla da una falsa; dubitavano dunque che per mezzo dei sensi l'entità della cosa sentita passasse tal quale ella era nell'appren sione del soggetto conoscitore. Posta in tal modo la que s t i o n e , è c h i a r o c h e p o i c h è il m e z z o d i p a s s a g g i o d e l v e r o conosciutodallacosa,occasionedelsentimento,allepotenze conoscitive, è il senso ed isuoi organi, conveniva innanzi tutto,a provare la realtà della cognizione, argomentarla dalla veracità naturale dei sensi.Dai quali movendo Lucullo ne afferma chiaro e indubitato il giudizio,nulla valendo, ei dice,gli artificiosi argomenti degli avversarj intorno alle false apparenze delle percezioni ; poichè : 1°,dato che i sensi siano sani,col buono uso ch'io ne faccio posso ret tificarne i giudizj,posso coll'esercizio e coll'arte aumen tarnemirabilmente laforza;2°,ilsensoèdimostratovero ne'suoi giudizj dal successivo lavorìo della mente sulla materia da esso somministrata formandosene i concetti delle qualità e delle specie che son via ai principj più universali, ai quali naturalmente l'intelletto dà fede, e tolti i quali ogni arte,ogni scienza,ogni regola della vita cadrebbe. Tutta la teorica si regge manifestamente sul principio di causa e di relazione. Se io, diceva Antioco, ho sperimentato in me l'effetto della percezione sensibile, questa mi riporta ad una causa per via d'una necessaria attinenza. M a Filone invece (e in ciò è imitato dagli scet tici odierni) ammettendo la possibilità del fenomeno come di un che vuoto,di una mera apparenza senza alcun con tenuto, poneva come probabile che la sensazione non ci scoprisse l'entità di veruna cosa. M a, riprendeva A n tioco, primieramente oltre i naturali giudizi e i giudizj scientifici, che nascono e si fanno manifesti in noi per l'occasione de'sensi, dal germe del conoscimento spunta  98 il ragionamento d’Antioco si dirama in due capi : della percezione e dell'assenso.   3. Il ragionamento di Lucullo, compreso dal quinto al ventesimo cap.del secondo librodegliAccademici,edove l'umano intelletto fa prova di quella forza irresistibile che in mezzo alle contradizioni del sofisma pur lo sospinge ai principj universali del vero, è uno dei più mirabili tratti della filosofia e della eloquenza latina, e chi n'ha seguito con gioja confidente il cammino,se poi si volge ad aspettare la risposta di Cicerone, gli par di vederlo quale si dipinge con vivezza egli stesso « non minus c o m motum quam solebat in caussis majoribus. » Egli per aprirsi la via a dimostrare la sua tesi, non move da una professione di scetticismo assoluto, m a bensì da una cri tica temperata ; e si fonda in special modo sull'argomento con cui Arcesilao avea combattuto Zenone, cioè sull'in discernibilità delle percezioni vere dalle false,onde avve niva che al sapiente non rimanesse alcun assenso deciso, m a una semplice opinione di verosimiglianza. Comunque sia, s'è domandato da molti : Cicerone non sostiene egli in questo libro le parti dello scetticismo accademico contro le dottrine stoiche della percezione ? non si professa più volte ne'proemj delle sue opere seguace della riforma  99 il fiore dell'appetito istintivo, il quale se voi mi negate avere persuoproprio enaturaltermineilvero,inquanto è conosciuto appetibile, io sono condotto ad affermare nell'uomo l'assurdo di più facoltà naturali che natural mente s'ingannano. Poi il falso non può mai essere ter mine dell'apprensione intellettuale,perchè ilconoscimento coglie di sua natura l'essere delle cose, ma il falso è appunto,rispetto al conoscimento,lanegazione dell'essere; dunque il falsonon può mai cadere sotto ilconoscimento. Finalmente, se nulla è vero, sarà almen vero questo che nulla è vero, perchè una scienza,una dottrina qualunque, per essere costituita nella sua natura, ch'è ordine di veri conosciuti,ha bisogno,come di un metodo e di un fine a cui vada e a cui giunga,così di un principio da cui mova indubitabile e certo. Lo stesso ordine di concetti desunto dal principio di potenza e di relazione regge a un di presso la teorica dell'assenso (Guyaute 985e»).   introdotta da Arcesilao ? non scrisse egli i due libri,che voi esaminate, per mostrare ai Romani l'ottimo metodo del filosofare sull'esempio della Nuova Accademia ? non han ripetuto e non ripetono ancora a una voce quasi tutti gli storici della filosofia che Tullio, seguace nella sua gio ventù dell'Antica Accademia, s'accostò già maturo alla Nuova, a cui lo traeva il suo istinto oratorio, lo scetti cismo de'tempi, l'animo incerto in tanta folla didottrine contradittorie, e la forma ecclettica di filosofia ch'e'si era proposta ? Dunque Cicerone nelle tre parti della scienza,emassime inlogica,seguitòildubbiodellaNuova Accademia.(Brucker,Degerando,Bernhardy,Ritter).Tal conclusione,di cui demmo qualche accenno nel cap.Idi questa parte,sebbene apparentemente provata da parecchj testi divisi del filosofo nostro, da varie sue esplicite affer mazioni,e segnatamente da tutto il tenore di questi due libri, dove e'prende con lungo ragionamento in persona di Filone a confutare la certezza delle notizie che ci ven gon dai sensi,e dove in ultimo contrappone ex professo la sua dottrina del dubbio sistematico e della probabilità alle contradizioni in cui si lacerava la logica contempo ranea, tal conclusione, dico, non regge avanti al tutto delle dottrine esaminate spassionatamente, e avanti a quella norma di critica, che ponemmo sin da principio,di badar bene alle opinioni che Tullio combatte,e ai metodi che rappresenta in sè stesso senza per altro interamente accettarli. Le affermazioni eccessive della critica odierna, bene merita per tanti rispetti della civiltà e della scienza,hanno la loro sorgente esse pure nel falso principio del Criti cismo speculativo, che togliendo il pensiero scientifico fuori delle sue naturali armonie con sè stesso, colle cose, col Creatore e col genere umano , non riconosce più nello scienziato e nel filosofo l'uomo,e fa della più socievole fra le dottrine un gergo incomprensibile e solitario.Bisogna invece nell'esame dei sistemi non uscir mai dalla n a tura di que'tempi, di quegli uomini, di quelle passioni, di que'pregiudizj, di quelle consuetudini; bisogna im  100   maginarsi i filosofi quali furono in realtà, disputanti e pensanti, uomini di tribuna e di tavolino, soggetti essi, come noi, alle contradizioni frequenti di qualche dottrina anche erronea concessa nel calore della disputa alle prove degli avversarj, colla interna coscienza, testimonio irrepugnabile al vero. Tale è più volte ilcaso di Cicerone, e tal metodo noi tenemmo nella parte fisica delle sue dot trine, e terremo nella logica e nella morale. Il Ritter scrittore accuratissimo nella critica'de'filo sofi,e alemanno davvero nella coscienziosa ricerca dei passi e dei documenti, talvolta, ci duole a confessarlo, compo nendo con disegno ingegnoso brani staccati di varie opere, ne fa resultare in conferma delle proprie opinioni un si gnificato che forse non germoglia dalla totalità del sistema. Così nell'esame della dialettica di Tullio, sebbene non n e ghi che il filosofo latino si leva al concetto dei principj e delle idee universali, cardine dell'intelligenza, pure af ferma che in logica ei riferì una singolare importanza al sentimento, pigliando questa parola nel significato in cui laintendono iRazionalisti,come di un che sostanzialmente opposto alla scienza, e soggetto alla cieca fatalità de gl’istinti.(Hist.,lib.XII,cap.II,pag.105,106).Ma inprimo luogo, oltrechè Cicerone (e lo vedremo meglio in morale) non fece mai del sentimento un qualcosa di opposto alla scienza, e anzi lo allegò sempre in un significato essen zialmente scientifico, quale una necessaria attinenza del l'affetto spirituale col vero (De Fin ., lib.II,passim ), è poi esattaabbastanzal'asserzionedelRitter,checioèiprincipj fondamentali della sua filosofia naturale lo conducessero alledottrinelogicheperviadellasensibilità?Sefosselecito affermare risoluto contro l'autorità dello storico insigne, direi invece che due cause,intrinseca l'una,l'altra estrin seca alle dottrine di Tullio,lo guidarono in logica a con clusioni direttamente opposte, e lo ravvicinarono (pro gressorarointantacorruzioneditempi)aidommi sublimi dell'Antica Accademia . In tal questione egli si trovò in mezzo al proprio semipanteismo e dualismo e alle dottrine materiali e sensistiche di Zenone. Non è egli vero che il  101   dualismo semipanteistico da un lato rifuggendo alle con tradizioni del panteismo che più repugnano agl'ingegni sovrani, e gratificando dall' altro agli affetti spirituali, segregò la materia da Dio, lo spirito dal senso,e pose la ragione del conoscere nella medesimezza fondamentale dell'intelletto divino e degl'intelletti secondarj ? Ora tal sistema, partecipato da quasi tutte le scuole socratiche e da Tullio,rompeva l'attinenzatrailpensieroeipensati, tra l'ideale e il reale, e restringeva l'intendimento alla semplice e inefficace visione degli universali. Se così è, pare che il filosofo latino dovesse essere ben lungi dal porre nei resultati delle potenze sensitive la certezza del conoscimento;e lo prova la sua fisica dove sull'esem pio di Platone si rigettano i metodi delle scienze speri mentali come incapaci di somministrare una sicura notizia de'corpi, e l'indagine naturale si ammette solo come via di levarsi in virtù di principj superiori ai veri della scienza soprannaturale ; lo prova la sua psicologia che tante volte contrappone il fenomenale della materia e del corpo al l'essenza dello spirito, che afferma il commercio dell'anima col corpo risiedere in una semplice comunicazione di moto , isensiesseresoloun emissariodell'anima,un'intelligenza ammezzata, e la personalità umana un gastigo. (Tuscul., De Leg.,De Rep.nel sogno di Scipione). L'altra causa estrinseca che allontanò Cicerone dalla fede che altri poneva nel conoscimento prodotto dai sensi, è l'opposizione ch'ei dovette fare al dommatismo degli Stoici, nella quale opposizione si vede che, mentre da un lato egli temperava colla moderazione dell'ingegno latino il dubbio eccessivo a cui l'avrebbero forse condotto le dottrine della Nuova Accademia, dall'altro sapeva con raro acume di logica smascherare e combattere le intime contradizioni degli avversarj. Qual era la fonte di tutte queste contradizioni ? Noi già la conosciamo ;era l'eterna differenza che corre tra il sentimento mutabile e fenome nale e l'incommutabile necessità della scienza. Questa necessità sembrerebbe a primo aspetto bastantemente di mostrata nel sistema degli Stoici dal porre ch'essi face  102   vano il conoscimento scientifico nel possesso delle idee pure, e nel rappresentarcelo quasi l'ultimo grado di ferma convinzione,a cui lo spirito umano perviene col passare pei gradi intermedj della ouzoté0:015 (adsentio) e della 2.zténnyes (comprehensio), movendo come da suo prin cipio dalla suurusis,o rappresentazione sensibile (visum ). (Ritter;Cic.,Acad.II,47).Ma,seconsideriamomeglio,gli Stoici con quella loro immagine della mano stesa e del pugno chiuso ed aperto determinavano in qualche modo l'idea di una differenza tra il sentimento e ilsapere,ma non uscivano dai fenomeni animali,non sapevano accen nare quella nuova parte essenziale intrinseca al soggetto, che congiunta colla oggettività della percezione costituisce il conoscimento; laonde la Nuova Accademia avrebbe po tutodirloro:è vero che ilsaperedifferiscedalsenso,che il possesso sicuro delle rappresentazioni resulta dalla c o n trazione e dall'energia dello spirito(TÓvos);ma sepervoi l'intelletto non è che il travestimento del senso,mostra teci orsù come la potenza derivi dall'impotenza, l'asso luto dal relativo, il necessario dal contingente. Ora la Nuova Accademia senza levarsi a questi principj universali ch'essa non ammetteva,ma, giusta il suo costume, no. tando piuttosto quelle contradizioni che sidesumevano dal sistema stoico paragonato a sè stesso, pure implicitamente li confessava. Fallita infatti agli Stoici la definizione del concetto della scienza dato per via dell'attività spontanea dell'anima,non rimaneva loro altro scampo che ridurre la ragione del conoscimento alla indubitabilità della p e r cezione vera.Ma come mai dimostrare tale indubitabilità? Questo mutamento notevole che doveva introdursi nel l'indirizzo della questione sul problema della conoscenza per la legge a cui è soggetta necessariamente la vita d'ogni sistema,è attestato dalla storia;perchè,come os serva il Ritter, i primi Stoici dimostravano la necessità del sapere per quella forza interna dell'animo che si mani festa nell'atto d'apprendere la sensazione,e pel bisogno d'ammettere qual termine della facoltàintellettivaeap petitiva il vero ed il bene ; laddove gli Stoici susseguenti,  103   al numero de'quali appartiene Crisippo, vedendo che ciò contraddiceva ai principj del sensismo,trassero alle ultime illazioni il sistema ponendo il criterio del conoscere nella rappresentazione vera che si manifesta da sè stessa come prodotta da un obbietto reale analogamente alla sua natura . Nonpertanto una grave difficoltà rimaneva sempre a risolvere anche dopo la modificazione introdotta da Cri sippo. Chè se il vizio fondamentale di tutta la loro dot trina stava nel disconoscere quell'intreccio d'attinenze interne ed esterne ond'è manifestativo ilpensiero;iprimi Stoici guardarono troppo al lato interno e soggettivo di quelle attinenze, mentre Crisippo, eccedendo per l'altra parte, si fermò unicamente all'esterno; e quindi rima neva sempre intatto il quesito, se la rappresentazione percetta offrisse piena e indubitata qual era la realità dell'obbietto rappresentato. E invero si ponga mente. Fingasi che un oggetto qualunque a cui noi riferiamo date proprietà di freddo, di caldo, di liscio, di ruvido, d'ottuso, di tagliente etc., faccia impressione sui miei organi s e n sorj,e che l'impressione, trasmessa per la treccia de'nervi al centro del senso, sia occasione a farmi concepire l'idea d'entità; se io esamino allora lo stato interno della mia coscienza, il fatto del conoscimento, unico in sè, mi si paleserà resultante da una mirabile armonia di fatti se condi, successivi bensì nell'esame della riflessione, con temporanei tutti nell'atto delle potenze spirituali.Ciascuno di questi fatti sarà l'operare d'una special facoltà, e cia scuna di quelle operazioni avrà il proprio termine ; io poi che mi faccio ad esaminare quel nodo d'attinenze tra il soggetto e gli oggetti, vedo che la qualità dell'atto conoscitivo resulta bensì dalla qualità di ciascuno di quelli atti secondi, ma la sua certezza proviene da una legge di natura che li costituisce contemporanei e correlativi. Fa'che io tolga via col pensiero o l'uno o l'altro di quegli atti e i termini loro, quella stupenda armonia di natura mi si spezza davanti agli occhi, e io cado di n e cessità nello scetticismo ; tolgo via l'impressione sensibile  104   Il sistema cristiano, che movendo dalla formula di creazione riproduce in uno stupendo ordinamento di veri palesati dall'intimo della coscienza l'universale armonia del creato, può soltanto offrire un'adeguata risposta ai quesiti dello scetticismo sulla questione del conoscimento ; perchè solo in quel sistema le attinenze dell'umano p e n siero con sè e cogli obbietti sono rigorosamente serbate, nè può lo scettico separando o negando creare vane a p parenze quasi dell'intelletto segregato in sè stesso,o della fantasia o del senso producenti fenomeni vani non retti ficati poi dal paragone dei giudizj mentali. L'ingegno di Agostino che meglio d'ogni altro comprese in sè stesso le armonie del Cristianesimo e della scienza de'Padri, dava un esempio del confutare cristianamente gli scettici nell'opera Contra Academicos, dove chiaro apparisce lo studio profondo degli scritti di Cicerone, e come quei  e 105 e il termine materiale ? e la conoscenza mi si presenta come un fenomeno soggettivo ;non vedo più l'azione dello spirito e il termine ideale in cui cade ? e il conoscimento doventa un qualche cosa d'estraneo a me stesso, un in ganno misterioso del senso e della materia.Quest'ultimo segnatamente fu il vizio fondamentale della dottrina degli Stoici nuovi, e in ciò,nota bene Cicerone, essi furono assai meno conseguenti degli Epicurei. Costoro movendo dal principio, che data unapercezione fallace mancava ogni criterio per verificare la certezza delle umane notizie, ponevano quel criterio nella realtà stessa del fenomeno sensibile, più conseguenti, dico, degli Stoici, i quali non ammettendo come veretuttelepercezioni,ma soloquelle che presentavano in sè l'evidenza della cosa percetta , nè riconoscendo d'altronde, come sensisti,la natura pro pria dell'intelletto a cui solo spetta il giudizio sui r e sultamenti del senso, si chiudevano la via per discernere la conoscenza vera dagl'inganni dell'immaginazione; e quindi a buon dritto la Nuova Accademia allegava contro gli Stoici i soliti argomenti della fallacia del senso degl'inganni dei ragionamenti sofistici. (Acad., I e II dal cap.28 in giù).   germi immortali di vero che il filosofo romano seppe raccorre con rara indagine scientifica nel suo tentativo di conciliare le scuole greche,producessero una vitaope rosa di scienza fecondati dal calore di una dottrina rin novatrice. Nel libro Contra Academicos Sant'Agostino serba a un di presso lo stesso ordine della disputa seguito da Lucullo e da Cicerone, move dagli stessi principj, ribatte le medesime contradizioni;ma un non so che di insolito, d'efficace, d'affettuoso che annunzia una civiltà e una religione nuova tu lo senti là dentro,e non tanto nello stile che, non paragonabile mai all'eleganza tulliana, ritrae pur qualche volta la vivezza e il brio del parlare improvviso, quanto nell'energia insolita dell'argomentare che sfuggendo iparticolari, dove facilmente sipuò intro durre il sofisma, si rifugia nell'evidenza de'principj s u premi. Ma ilmodo d'argomentare usato da Sant'Agostino non calzava agli Stoici; chè essi non ammettendo un'in tima e reale attività dello spirito distinta dal senso e capace di rettificarne gl'inganni, non potevano rinvenire nell'essere stesso della percezione segni indubitati ch'ella fosse verace; e il loro concettualismo non li lasciava af fermare contro il dubbio aceennato dalla Nuova Accade mia sulla validità del pensiero. Gli storici della filosofia ci han serbato in fatti memoria di una strana dottrina degli Stoici procedente del resto dall'intimo del loro sistema e da quella tendenza dualistica che vi si mesco lava ai principj del panteismo.Qual era questa dottrina? Gli Stoici ponendo in fisica per un lato la realtà delle cose nella sostanza corporea ,nè per l'altro costretti dalla logica riuscendo a negare del tutto l'essere delle idee universali, distinsero queste dal reale corporeo,e ne fecero alcunchè di non reale, ma capace d'essere concepito dall'intelletto ed espresso in proposizioni (Asztóv).Distin guevano quindi due specie di vero ; il sensibile contenuto nelle percezioni de'corpi, e il pensabile ristretto alle in tellezioni della mente,questo procedente da quello e a quello correlativo ; volevano con tale dottrina porre su stabili fondamenti la necessità de'principj in cui cade la  106 ..   scienza, nè gli acuti pensatori s'avvidero che, se l'idea può rappresentarmi il reale, ciò accade appunto in con seguenza ch'ella stessa è reale, non s'avvidero che n e gando qualunque conformità tra il concetto universale e l'essenza del concepito, si cade nel concettualismo rinno vato poi da Abelardo nei tempi di mezzo.La Nuova Accademia recava alle ultime loro illazioni questi falsi prin cipj della scuola stoica ; dal principio del sensismo traeva occasione a dubitare della veracità della percezione sen sitiva; moveva dalle conclusioni del concettualismo per negare la realtà del pensiero imprigionato in sè stesso, e diceva (argomento assai notevole infatti) la dialettica non potere giudicare delle leggi della geometria,perchè aliene dal proprio ordine di veri,non giudicare delle pro prie, perchè non può il pensiero rivolgersi sopra sè stesso per giudicarsi. L'argomento è di recentissima data,come ognun vede,e lo ripetono anch'oggi iseguaci del Comte, iPositivisti francesi. E recenti pure sono le conseguenze che ne deduceva la Nuova Accademia; poichè racchiuso una volta il pensiero in sè stesso, e negata la sua atti nenza colle cose reali,manca ogni criterio a risolvere il problema dei giudizj contradittorj,nè v’ha che un passo a dedurne che dunque la contradizione è una legge ne cessaria dell'intelletto. Questa ultima conclusione, che accenna per altro un notevole perfezionamento della rifles sione nelle teoriche del criticismo, è dovuta al filosofo di Conisberga,m a già è racchiusa implicitamente nei sofismi disgiuntivi della Nuova Accademia.(Ac.,1.II,15,16,29, 30, 31.) Costituita dunque in questi termini, la controversia sulle fonti del conoscimento conduceva la Nuova Acca demia a uno scetticismo assoluto,e noi già ne vedemmo non dubbj segni in Carneade ; m a era qui appunto dove Cicerone si arrestava temperando col suo vivo sentimento dei veri naturali e colla moderazione latina gli eccessi del metodo da lui fino allora seguito. Quindi usciva la sua teorica sulla verosimiglianza delle percezioni sensibili che riporterò così riassunta dal Ritter. « Les Stoïciens,en  107   108 admettant la possibilité de saisir quelque chose avec tant de précision qu'il ne puisse y avoir erreur,n'accordaient ce savoir qu'au sage. Ils ne faisaient donc en cela que de refuser cette espèce de savoir aux hommes ordinaires, car eux-mêmes ne pouvaient dire quel est l'homme qui est ou qui a été sage ; ils regardaient, au contraire, tout le monde comme insensé, et refusaient en conséquence le savoir véritable à tout le monde.Cicéron n'aspire pas à un pareil degré de savoir; mais il veut que le non -sage aussi sache quelque chose,c'est-à-dire, qu'il ait une per suasion de la vérité des phénomènes sensibles,sans cepen dant pouvoir y croir avec une parfaite certitude.Son opinion est, qu'il y a des impressions sensibles auxquelles nous pouvons nous fier, parce qu'elles ébranlent fortement notre sens ou notre esprit;mais sans pouvoir cependant les adop ter comme parfaitement vraies.Telle est sa théorie de la vraisemblance. Il ne veut pas faire disparaître la différence entre le vrai et le faux ; nous avons raison de tenir quelque chose pour vrai et de rejeter autre chose come faux; mais nous n'avons aucun signe certain de la vérité et de la fausseté.Il croit pouvoir prévenir l'objection,qu'il y a ce pendant ceci de certain,qu'il n'y a rien de certain en te nant aussi pour vraisemblable seulement qu'il n'y a rien de certain. C'est ainsi qu'il se purge du reproche que la théorie qui donne tout pour incertain est impossible dans la vie pratique, car cette vie se conforme à la vraisem blance, et la plus part des arts qui s'y rapportent avouent même qu'ils ont plutôt pour but la conjecture que la science. Il ne voit d'autre différence entre son opinion et celle des dogmatiques, si ce n'est que ceux-ci ne dou tent pas de tout ce qu'ils soutiennent;mais qu'il est vrai qu'il considère au contraire beaucoup des choses comme vraisemblables, qu'il peut suivre, sans pouvoir cependant les affirmer avec una parfaite certitude..... On voit bien que cette théorie de la vraisemblance s'éloigne un peu de la doctrine de la nouvelle académie, du moins telle que Carnéade l'avait exposée; car elle n'aspire pas à un art de tout rendre également vraisemblable et invraisemblable,    mais elle tient quelque chose pour vraisemblable, autre chose pour invraisemblable. Cicéron remarque même qu'en ce point il s'écartait de ses maîtres, particulière ment pour ce qui est des préceptes de la morale.Il avoue à la vérité qu'il n'est pas assez hardi pour réfuter le doute de nouveaux académiciens,par rapport à la morale, mais il désire les atténuer. » (Stor., vol. IV, pag. 108, 109, 110 tradotta dal Tissot.) 4. Il fondamento della teoria tulliana sulla verosi miglianza è dunque nella questione del criterio del vero; e qui, segnatamente nel giudizio sulle percezioni sensibili, apparisce il moderato scetticismo dell'oratore latino;m o derato, dico, e parmi sia chiaro dopo le cose predette che egli avvolto, come Socrate, in mezzo ai combattimenti del dommatismo e dello scetticismo eccessivo, serbò una norma scientifica nell'affermare e nel dubitare, temperò gli Stoici non accordando una fede illimitata al solo te stimonio de'sensi ; temperò gli Accademici sostituendo al loro dubbio,uguale per qualunque opinione,una graduata v e r o s i m i g l i a n z a n e ' c a s i p a r t i c o l a r i, c o m b a t t è g l i u n i e g l i altri rigettando il dubbio assoluto sui principj fondamen taliesulleveritàteorematiche.(Vediiproemj particol. De Off,De Div.,De Nat.Deor.,Acad.) La sua psicologia in quelle parti che si collega alla logica, sebbene qua e là i n f e t t a d e l d u a l i s m o s o c r a t i c o, f a f e d e c o m ' e g l i e m e n d a s s e il vizio della scienza contemporanea opponendo all' i m perfetta riflessione de'sofisti un esame comprensivo del umano soggetto. Con metodo induttivo egli moveva dalla coscienza, ed ivi,riconosciuti inaturali concetti dell'oltre naturale e dell'intelligibile, s'innalzava con essi alla c o gnizione dell'animo (Tuscul.,lib.I,cap.XXII);nell'animo distingueva la ragione dal senso;la ragione,sovrana delle facoltà umane,ha un immortale e quasi divino istintodel vero,legame primigenio tra il Creatore e icreati;isensi, satelliti e nuncj dell'anima,le danno di molte cose certa notiziaconfusaeammezzata,cheèun qualche fondamento alla scienza, e la scienza ne sorge per la libera efficacia dell'animo, che comprendendo in sè il particolare e ilm u  109   tabile dei sentimenti, si leva alle idee e alle nozioni uni versali; quindi i sensi ben guidati da natura,nè torti da mala educazione, hanno una naturale rettitudine al vero, nell'animo dove cade il libero giudizio della riflessione, ivi soltanto può introdursi l'errore.(De Leg., 1,23,26, 17,47;Tusc.,1,20;Ac.,1,8, 11,7.) Così col metodo induttivo di Platone egli sale fino ai principj più universali, d'onde col deduttivo d'Aristotele ridiscende ai particolari; e ne son prova i libri rettorici. Tra i quali merita speciale considerazione la Topica, o logica inventrice, intitolata a Trebazio giovane giurecon sulto e discepolo dell'autore,e dove ogni precetto è ac compagnato da esempj di giurisprudenza. In questo libro che ha per soggetto tutte quelle distinzioni e scomposizioni dialettiche che si ricercano per l'invenzione degli argo menti, e si operano sui concetti che ne sono signifi cativi, Cicerone divide la logica in inventiva e giudica trice, la prima delle quali parti porge gli argomenti per disputare,la seconda li dispone,li analizza e lim a neggia per persuadere.La logica Ciceroniana,osservata altresì ne'dialoghi,ed esposta nel De Inventione, e nel De 'Oratore, è in fondo la istessa logica d'Aristotele qualepiùtardisimodificònegliStoicienellaNuova Ac cademia, e l'accettarono in gran parte i giureconsulti romani e gli oratori ; la qual cosa, perciò che risguarda i Topici, si disputava lungamente, non sono molti anni, in alcune università tedesche, come apparisce da un'ac curata dissertazione,De fontibus Topicorum Ciceronis,di Giovanni Giuseppe Klein. (Bonnae 1844.) Ivi l'autore prendendo ad esame la questione proposta dai critici a n teriori,se e quanto e con qual metodo Cicerone seguisse in questo libro la Topica d'Aristotele che ci pervenne, ovvero se attingesse ad un'altra di presente perduta, come qualche critico mostrò sospettare; conclude dopo un dili gente ragguaglio dei due scrittori,che le opere loro quanto aiprincipj,e in molte partisecondarie,differiscono note volmente ; che Cicerone nella sua Topica non si propose (il che apparirebbe a prima giunta dal proemio) di fare  110   111 un semplice compendio dei libri Aristotelici;ma resulta da tutto il contesto avere l'oratore latino attinto la m a teria del libro dai Rettorici dello Stagirita e da alcuni precetti degli Stoici e della media Accademia,e poi averla composta col proprio giudizio in una forma di vera e par ticolare disciplina. Sui Topici di Cicerone scrisse con fine più filosofico un ampio e bel commento Severino Boezio,in cui la storia della filosofia ravvisa il primo passaggio tra le dottrine dei Padri e quelle de'Dottori,tra l'ultimo spirare della civiltà latina sotto le conquiste de barbari e ilprimo rinnovarsi delle lettere e delle scienze nella nostra Italia.Or quel c o m mento , che all'indole del trattato, già di per sè stesso analitico, accoppia il rigore della dialettica della Scuola, e congiunge i nomi di Aristotele, di Tullio, di Trebazio Testa e di Severino Boezio, mi rappresenta al pensiero l'armonia delle scienze giuridiche colla filosofia, dell'ana lisi colla sintesi,della dialettica colla storia, della pratica colla speculazione, dell'amore operoso e civile colla sa pienza cristiana. 1. Entrando ora a parlare dei libri morali, apparte nenti alla teorica sulle azioni, l'ordine della materia sembra invitarci, come facemmo nei capitoli precedenti, a dire qualche cosa in generale del disegno scientifico che li collega, e delle attinenze loro più immediate e più rigorose colle altre parti della filosofia di Cicerone. In vero la scienza morale nata sui rudimenti del senso co mune,quale Socrate la menava a conversare famigliar niente fra gli uomini ,e più tardi venne accolta e trasmessa sino a noi dalle scuole migliori, si può assomigliarla ad uno stupendo poema, se guardiamo la sublimità de'suoi veri,illegame che unisce i principj alle conseguenze,e l'armonia delle speculazioni colla parte più affettuosa dell'uomo e colla vita civile. Il principio n'è dato dalla  IV.   112 natura,presupposto indispensabile della scienza; chè la riflessione posta una volta su quel cammino ov'essa pro cedendo incontra e ravvisa ad una ad una leveritàpiù prin cipali della Filosofia, move dai primordj della vita vege tativa e animale ,manifestati nella puerizia dai sentimenti indefiniti e dagli istinti,passa su su agli inizj della vita razionale, allorchè quei sentimenti illuminati dallo splen dore della conoscenza si palesano come tendenze amorose al vero, al bello ed al bene; in quei termini riconosce la ragione di fine,ed il fine,considerato come qualcosa onde nasce armonia nelle operazioni d'un ente,guida la rifles sione al concetto di legge, d'un archetipo assoluto ed eterno che per mezzo dell'intelletto indirizza il volere a un'immortale destinazione. Principj naturali, bene, fine, legge ; ecco i concetti che, intrecciati mirabilmente fra loro nell'armonia della coscienza, costituiscono l'ordito dell'Etica,allaquale,considerataperquestorispettocome scienza direttrice della più nobile parte dell'umana n a tura, fan capo le altre scienze costitutrici della filosofia. L a F i s i c a , c o m e l a i n t e n d e v a n o g l i a n t i c h i, l a q u a l e m e ditando il principio primo dell'essere nell'universo e nel l'uomo,ne ravvisa facile il fine che nell'universo è un termine oltrenaturale di naturali armonie, desiderato dagli enti tutti, e nell'uomo è un'idea di perfezione immortale, appresa confusamente, nè mai raggiunta nell'ordine delle creature. La Logica, perchè trattando dell'ente sotto la ragione di vero,ne scorge facileilpassaggio alla ragione di bene pel concetto d'amabilità, testimonj i sentimenti più schietti della natura che antecedono ilvero e ne ger minano come tendenze ed affetti. Vi conduce la Scienza dei doveri e dei diritti;chè dovere e diritto sono concetti eminentemente morali in quanto da un lato discendono dall'idea della legge,le cui divine esigenze s'impongono alla coscienza degli enti creati,capaci di cognizione,pur ri spettando quelli enti nell'ordine della loro natura ; dal l'altro lato vengono su dall'idea dell'uomo,ente dotato d'intelletto e d'amore,che riconosce in sè e nel suo libero arbitrio la sanzione di quella legge,la quale osservando    113 si sente capace d’immortali destini. Così l'ontologia, la logica, la scienza delle obbligazioni e il gius di natura si appuntano, come in unico centro, nella morale, da cui pur si dirama il gius civile, la politica, la legislazione, la storia e ogni altra scienza meditatrice dell'uomo. Il Cristianesimo, dottrina e religione moralmente inci vilitrice, che nata in tempi di costumi nefandi operò un mirabile rivolgimento nella vita dell'uomo, ponendo a capo dei suoi precetti l'amore santificato da tanto sangue di martiri, e ad esempio dei nuovi costumi, l'immagine più che umana del figlio di Maria,il cristianesimo solo poteva dare un perfezionamento vero alle teoriche della morale. E quel perfezionamento lo diede allorchè dichia rando senz'ombra di dubbio l'infinita natura di Dio,la finita natura dell'uomo, si valse dell'idea intermedia di creazione per assorgere al concetto più puro delle loro attinenze, potè meglio chiarire l'idea di fine, di bene e di legge,ricostituire l'ordine dei fini nella natura in telligibile e sovrintelligibile, vedere l'uomo e l'universo ordinati a un disegno della provvidenza;e quindi,posto a capo di tutta la Filosofia il concetto di Dio, se ne sparse nuova luce sulle dottrine del soprannaturale e del naturale, sulla psicologia e la logica, sulla teorica dei doveri e dei diritti; le scienze politiche e civili e la storia ne apparvero nobilitate. Il che è tanto vero, che quel tendere continuo dalle miserie di nostra natura all'i m mortale, all'assoluto, all'eterno,può solo spiegarci le sca turigini arcane onde move un'aura d'ineffabile bellezza, chela scienza cristiana respira,sono ormai più che quat tordici secoli, dai dialoghi di sant'Agostino, e dalle let tere di san Girolamo in poi,sino alla Divina Commedia, alla Somma dell'Aquinate,e alle sublimi fantasie di Vin cenzo Gioberti. Considerate le quali cose, se alcuno mi domandasse onde accadde che la Paganità, in tanto e continuo sca dere di costumi e di scienza, riconobbe più volte, senza pur cadere in errori sostanzialissimi,le principali verità della morale,di che abbiamo esempj segnalati nelle Indie,  8   114 in Magna Grecia e soprattutto nelle scuole socratiche e in Cicerone nostro, addurrei per risposta la vivezza delle umane tendenze e l'efficacia de'sentimenti,che ger minando da naturaciportano inconsapevolialvero ignoto, l'istinto della socievolezza e l'amore per gli enti della medesima specie, che essendo un vivo bisogno dell'uomo, gli mantiene fresca nell'animo la voce degli affetti do mestici e civili, e infine la notevole differenza che corre fra l'apprensione astratta del vero e il sentimento che n'hai nella vita, onde spesso il filosofo discorda dal l'uomo, e il popolano e la povera vecchierella fanno a m mutolire coll'evidenza della rozza parola il superbo sa piente.In Grecia,e segnatamente inAtene,dove nacque Socrate, e dove si conservava nell'amore del bello e nei gentili attici costumi un germe di rinnovamento, rimase aperta la via a tornare sulle antiche tradizioni, attestate dalla coscienza e dal linguaggio, e a derivarne, come scintilla da selce,i principj della morale che fanno sì bella parte delle scuole socratiche. M a quei principj (già lo sappiamo) erano forse più facili a ravvisarsi l’età sus seguenteallasocratica,inRoma;e perchèinRoma s'era insanguinata e commista la civiltà dei popoli italici, in cui si manifestò ab antico una notevole inclinazione alla scienza avvivata dal sentimento e da fini di pratica a p plicazione,eperchè in Roma erafioritaefiorivalascuola dei Giureconsulti, il cui pernio era l'idea morale della legge e del dritto,e infine perchè, se una riforma era da farsi in tanta corruzione di civiltà e di costumi,in tanto scadimento delle relazioni domestiche e civili, e nella notevole prevalenza che da circa due secoli avean preso le dottrine epicuree, certo quella riforma dovea comin ciare dai principj della morale.L'Etica ciceroniana, che è uno dei più nobili tentativi fatti dall'umano ingegno per opporsi, senz'altro ajuto che l'evidenza del vero de sunta dalla natura viva, alla rovina d'un'intera nazione, era dunque preceduta da un grande preparamento; chè giammai si compie un gran fatto senza che nei tempi e nella società,da cui nasce,se ne acchiudano igermi.Ei    115 germi della riforma morale iniziata da Tullio furono, oltre le condizioni civili e politiche di tutta l'Italia e di R o m a , i Giureconsulti e le sètte, alle quali s'oppose il riforma tore; le splendide tradizioni delle scuole socratiche, e segnatamente idommi platonici,aristotelici e stoici;ivi egli mirando componeva il disegno scientifico della sua morale ;-m a quel nobile magistero l'avrebbe ajutato ad accozzare brani di verità,non a comporre una vera dot trina, a ragunare nella memoria, non ad unire nella ri flessione esaminatrice, s'e'non avesse avuto l'occhio in un principio più alto, superiore ad ogni opinione e ad ogni setta, nell'esemplare della natura considerata nel suo popolo, in Italia, in Grecia, in Europa , nelle genti tutte conosciute, e più viva in sè stesso, cittadino gene roso,scrittore sommo,oratore che tante volte dall'alto della tribuna avea signoreggiato gli umani affetti colla parola onnipotente. Questa meditazione profonda dell'uomo interiore, il cui fine era dedurre le ragioni del giusto dalle attinenze dell'anima e dell'universo con Dio,valse a Cicerone le accuse di quell'acuto intelletto che fu Michele Montai gne. M a il Montaigne, osserva opportunamente un altro scrittore francese, cercava forse troppo sovente materia al sorriso nell'invilire l'uomo e nel rassegnarlo tra i bruti;.Cicerone lo stimava creato a qualcosa di più alto e di più solenne (ad majora et magnificentiora quædam ), e riconosceva da Dio la nobiltà dell'umana natura,e l'ef ficacia della ragione e del libero arbitrio, per costituire la morale e con essa la vita civile su fondamenti non peri turi. Premesse queste considerazioni, l'Etica di Tullio, in cui Francesco Forti osservava rappresentarsi la maturità della ragion naturale presso gli antichi , si distingua i n nanzi tutto in due parti determinate intimamente dal l'indirizzo del suo pensiero speculativo nell'esame dei veri morali, estrinsecamente dalla forma filosofica de'trat tati. U n a parte è teoretica e principalmente speculativa ; e in essa Cicerone esaminò la ragione delle tendenze n a    turali nell'umano soggetto per ispiegare il problema sulla natura dei beni, e si levò coll'induzione da questo esame ai concetti universali di legge, di dovere, di diritto (De finibus, De legibus); l'altra parte, in cui prevale un fine pratico o di applicazione, movendo essa pure dai principj fondamentali, innanzi chiariti, scende a determi narli nella vita dell'uomo individuo e sociale e nelle dot trine sulle forme di governo (Tusculanarum , Paradoxa, De officiis,De republica,De amicitia eDe senectute).Se poi si considera bene,nella prima parte di tal distinzione, avvertita pure dal Kuehner, è compresa manifestamente un'indagine soggettiva e oggettiva ; soggettiva e ogget tiva ad un tempo,perchè nel problema, posto da Tullio intorno alla natura dei beni, la riflessione scientifica si volge da un lato sulle tendenze e sugli affetti spirituali, mentre dall'altro vi riconosce un riferimento necessario a qualcosa d'assoluto, d'immutabile,d'infinito, di essen zialmente oggettivo, all'esemplare di legge, da cui si ge nera in noi l'obbligazione morale; e quindi è che la teorica de'Fini si distingue nel filosofo nostro da quella del D o vere,e sorge fra l'una e l'altra, come centro unitivo delle armonie morali, la teorica della legge. 2. Ponendo mano impertanto all'esame della parte speculativa,cominceremo dalla dottrinadeiFini,trattata ex professo, e con intendimento al tutto scientifico, nel libro D e finibus, a cui fanno corredo con secondaria i m portanza, e con oggetto non immediatamente speculativo, le Questioni Tusculane, e l'operetta dei Paradossi. G i o vanni Rodolfo Thorbecke in una sua dotta dissertazione universitaria sul principio della Filosofia e degli Officj desunto dalle opere di Cicerone, osserva che il quesito dei Fini,o del sommo bene,occupa un luogo principalis simo nella sua morale. Il critico tedesco allega a questo proposito l'autorità stessa del nostro oratore,che più volte nelle sue opere , e segnatamente nel primo libro degli Officj (I,3),riferisce ilfondamento delle dottrine morali alla disputa sul fine dei beni,e nel De finibus nota oppor tunamente contro gli Stoici non potersi separare, come  116   Due metodi si presentavano alla riflessione esamina trice per risolvere il problema sulla natura dei beni. L'uno,che èmetodo comprensivo edessenzialmente scien tifico, necessario in qualunque parte della filosofia,e so prattutto indispensabile in questa, stava nel riprodurre esattamente coll'ordine del pensiero speculativo l'ordine del soggetto, nell'abbracciare quella stupenda armonia di tendenze e di fini, che ci manifesta l'uomo interiore senza nulla tralasciare,nullanegare,nullaesaminare im perfettamente. L'altro metodo invece, che s'informava dalle qualità negative e parziali del sofisma, consisteva nel dimezzare colla scienza ciò che la natura avea unito, nel considerare l'essere umano soltanto in certe sue dis posizioni e facoltà, tralasciando le altre, nell'offrire c o m e opera compiuta del vero e di Dio un informe viluppo di contradizioni e d'errori. Questa seconda fu la via torta e fallace seguita dalle sette grecoromane; quello il m e todo di Socrate e della coscienza tracciato da Tullio, come n'è testimone l'intero trattato de'Fini. La quale avvertenza occorre fare fin d'ora ;perchè parecchj storici della Filosofia trovarono anche in questa parte della m o  117 termini identici d'una stessa relazione morale, il principio dell'operare e il fine dei beni. Tale suprema importanza scientifica del trattato dei Fini si desume ancora dal con siderare che la materia di quel problema si estende per un larghissimo campo di relazioni intercedenti fra la psicologia e le dottrine morali.Invero il filosofo,che pone mano a risolverlo,bisogna che mova dai rudimenti di natura, comprenda con diligente esame tutto l'essere umano,e rifacendosi dalle prime tendenze,dove appena appena si manifesta l'affetto, e da quelle che palesano nel sentimento, nell'associazione dei fantasmi e nella m e moria lo svolgimento della vita animale, e il germe del raziocinio, si apra la strada ad esaminare tutto l'uomo nella conoscenza che più tardi acquista dell'essere pro prio,dei proprj doveri,delle prime notiziescientifiche,e a considerarlo come parte della famiglia, come individuo e come membro della civil società.   rale di Cicerone un appicco alle accuse;dissero non avere egli compreso il vero aspetto scientifico della questione dei Fini, e poichè, sprovveduto di un saldo criterio di scienza, tentava comporre le più disparate dottrine, quali erano quelle degli Stoici e degli Accademici e Peripatetici antichi, la tentata conciliazione provare anche una volta la povertà del suo ingegno speculativo (Ritter,Brucker ). A una simile accusa, benchè apparentemente sostenuta da validiargomenti,rispondemmo altravolta,eciparve che la prova più solenne e palpabile contro le afferma zioni dei critici avversi forse il prendere in m a n o le opere del filosofo latino, svolgerle con diligenza, ed esponendo que'suoi dialoghi pieni di tanta vita d'eloquenza e di speculazione, rappresentarlo,se fosse possibile,alla fan tasia dei lettori quale io me lo immagino là nelle cam pagne di Tuscolo e di Cuma seduto all'ombra della quer cia di Mario, e inteso a conciliare le negazioni de'sofisti nell'affermazione compiuta dell'umana coscienza. Il dialogo de'Fini è diviso in tre giornate,e ciascuna comprende una disputa,nella quale Tullio assume sem pre la parte di giudice e di confutatore, argomentando in favore d'Epicuro, degli Stoici e dell’Antica Accademia il consolare L. M. Torquato,M. Catone e L. Pupio Pisone. Il dialogo è introdotto ora nella villa di Cicerone in quel di Cuma,oranellabibliotecadiLucullopresso Tuscolo,e in fineall'ombrasilenziosadeplataninell'Accademiad'Atene. Per cominciare dalla disputa contro Epicuro,occorre qui rammentarci come nella prima parte di questa tesi esami nando le principali scuole che fiorivano in Grecia avanti i tempi di Cicerone, e tra queste la scuola epicurea, vi trovammo un nuovo e sempre crescente pervertimento delle dottrine anteriori o contemporanee,e come tal per vertimento consistesse,a nostro avviso, in un esame sem pre più povero e parziale del soggetto su cui cade la scienza, manifestato, segnatamente in fisica, col fermare l'osservazione al nudo meccanismo degli atomi,in logica con ridurre ogni facoltà dello spirito al senso, e nella morale restringendo la virtù e la beatitudine ai piaceri  118   del corpo e i piaceri dell'animo alla speranza o al ricordo dei piaceri del senso.Una siffatta dottrina,che spegnendo ogni più nobile tendenza dell'uomo, riduceva il sapiente alla condizione del bruto, subito la riconosci come il por tato d'un ingegno profondamente sofistico, solo il sofisma togliendo all'uomo l'intuito vivo delle armonie di natura ; chè, posto a capo dell'Etica il puro sentimento animale, se ne oscura la notizia dell'uomo, ente capace non solo disentimento,ma d'intellettoed'amore,noncapiscipiù la possibilità del dovere che dee cercarsi per sè,non già per diletto,e s'offende la dignità dell'umana natura e delle virtù ponendo fra esse la voluttà come una meretrice in u n ' a s s e m b l e a d i m a t r o n e . ( D e f i n ., L . I , I I , 2 2 , 4 , D e o f f ., I , C. II.) Tali sono gli argomenti, tolti altresì dalle in time contradizioni di quel sistema, che Cicerone vibra di rimando contro Epicuro colle armi d'una concitata elo quenza,e davvero la sua risposta a Torquato è un con tinuo contrapporre a un cattivo e sofistico esame del l'umana natura, un esame più alto e più vero delle sue leggi, de'suoi destini, del suo aspirare all'immutabile e all'assoluto;chèilnobile animo dell'accusatorediVerre, e del persecutore di Catilina e d'Antonio poneva da parte ogni dubbio combattendo nelle dottrine epicuree una tra le cause maggiori dell'affrettata rovina di R o m a. M a v'è un luogo,noterole su tutti gli altri,in cui l'Ora tore latino, volendo mostrare come l'affetto abbia efficacia viva e spontanea per ricondurci nel vero,rappresenta quella contradizione tra il pensiero e l'operare, tra le dottrine e la vita,non rara neppure ai dì nostri in uomini spon taneamente inclinati al bene per virtù di natura, e che han guasta la mente da malvage filosofie. In quel luogo egli si volge a Torquato, e invoca la sua coscienza di cittadino, il suo desiderio di gloria, le tradizioni de'suoi avi famosi e il suo magnanimo affetto alla patria in te stimonio delle dottrine da lui professate ; e gli chiede p e r chè mai non oserebbe sostenerle nei comizj, alla presenza del popolo, o in pieno senato. Crede egli con intimo coif vincimento unico fine della vita ilpiacere? E allora perchè  119   mai v'è tanta contradizione tra quello che fa e dice come cittadino e quello che sostiene come filosofo? Teme egli forse l'odio del popolo ? M a badi, risponde Cicerone, che in questo caso l'errore dell'intelletto non venga raddiriz zato dal cuore ; badi che il sentimento universale, onde ogni popolo della terra si leva come un sol uomo a con dannare Epicuro,non sia iltestimonio interiore e inappel labile della natura, repugnante alla teorica del piacere!  120 Questo intimo disaccordo tra la ragione ed il cuore, tra le dottrine della scienza e la vita civile, rappresen tato in Torquato, oltre al mostrarci un alto principio della filosofia di Socrate e di Tullio, che vuole il cono scimento del vero costituito da un'interiore armonia del l'affetto coll'evidenza, serve poi in questo caso a ritrarre mirabilmente i tempi dello scrittore, e a partecipare al dialogolavitaeilmovimento deldramma.I tempi di Cicerone in molte parti somigliavano ai nostri. Dismessa a poco a poco nelle mollezze la severità del costume, s'era affievolito negli animi umani, per l'abito fatto a dottrine sensuali, quel profondo discernimento del retto che non patteggia mai colla coscienza,e sdegna chiamare con altri nomi da quello che sono il bene ed il male. Quindi, come sempre avviene, l'errore nelle opinioni d o ventavapoicausanon lievedidecadimento neicostumipri vati e civili,e non pertanto alla corruzione profonda degli intelletti e delle volontà contrastava potentemente nei più, e in special modo nel volgo,l'efficacia ingenita dell'af fetto del bene. Ora questo che ad altri poteva sembrare niente più che un argomento di fatto della differenza tra le opinioni volgari e le dottrine dei filosofi, avea per C i cerone il valore di una prova scientifica, come testimo nianza resa dalla natura ai supremi principj morali, e questa testimonianza ei la vedeva,da un lato nell'efficacia degli affetti osservati in ogni individuo, e dall'altro nel riscontrarsi la veracità di questi affetti coi pronunciati solenni e infallibili del senso comune. • Sennonchè, mentre nel secondo libro de'Fini era i m presa di non grande difficoltà pel filosofo latino il con   futare Epicuro la cui dottrina mancava d'ogni severo prin cipio di scienza, la sua parte di giudice e di contradittore doventa non lieve quando nel terzo e nel quarto libro egli prende ad esame la morale del Portico difesa dall'autorità edalleparolediCatoneUticense.E invero,qualunquevolta a mostrare la solidità e l'ampiezza dei principj etici e speculativi su cui Zenone fondava la teorica de costumi, non bastasse il suo esame diligente dell'animo umano e degli affetti spirituali osservati in ogni età della vita, varrebbe soltanto ilrichiamare ch'ei faceva la morale, nelle sue parti più generali, ai sommi principj della scienza della natura . Il filosofo di Cittio avea fondato la sua dottrina sul riconoscimento pratico e speculativo del l'ordine naturale, espresso in quella sentenza :vivi confor me alla natura. Πρώτος ο Ζήνων ... τέλος είπε το ομολογ ouuevos rõ qurat Eno, così Diogene Laerzio ; e in quella sentenza, chi ben la consideri, si riconosce l'efficacia del l'insegnamento socratico, continuato in Zenone , onde a v veniva, e lo notammo più addietro, che, mentre la sua logica e la fisica erano infette da un esame parziale e meschinamente sofistico dell'universo e dell'uomo, la m o rale offriva un assai più largo disegno di veri speculativi. Il principio fondamentale dell'Etica degli Stoici era fuor d'ogni dubbio il concetto puro e assoluto del bene in attinenza cogli affetti spirituali;tuttavia se fu merito insi gne di quella dottrina che essi pervenissero a tale concetto dopo un largo esame psicologico delle umane tendenze,il vizio era che partiti dalla comprensione totale dell'essere nostro e giunti all'idea di virtù, restringevano ogni cosa a quest'ultima,non abbracciando più tutto l'uomo nello spirito e nel senso , nell'intelletto e nel cuore , in sè stesso e nelle condizioni esteriori. Le cose, diceva Zenone, si conoscono dall'uomo o per esperienza,o per giudizio di causa,o per analogia, o per raciocinio comparativo, e in quest'ultimo cade la notizia del bene , alla quale l'animo ascende universaleggiando da quelle cose che sono secondo natura (L. III, C. X. 33). Laonde dal concetto del bene come d'un che ideale, assoluto e simile soltanto a sè  121   122 s t e s s o , v e n i v a p o i il c o n c e t t o d e l l a v i r t ù , a l q u a l e l o s t o i c o saliva per la nozione intermedia d'onesto. Che cos'era l'onesto ? L'onesto per gli Stoici altro non era che la convenienza dell'atto umano colla natura, riconosciuta dalla ragione ; e quindi essi dicevano, avvolgendosi in un paralogisma, che poichè quel riconoscimento pratico e razionale avveniva nella pienezza delle facoltà intellet tuali dopo l'infanzia,che è quella età in cui le prime cose conformi a natura ( prima nature) (tá apota xato qusiv) si appetiscono inconsapevolmente,da queste prime inclina zionidellanaturamovevailprincipiodell'operare,ma non però quelle cose,che n'erano il termine, si annoveravano tra i beni. Questo principio era vero in parte, m a nel l ' e s a g e r a r l o s t a v a il v i z i o f o n d a m e n t a l e d e l l a m o r a l e s t o i c a ; l'esagerazione poi consisteva in considerare l'atto m o rale come avente a fine sè stesso, niente altro che sè stesso, nell'astrarre da ogni condizione esterna della vita privata o civile, e da quell'armonia che intercede tra la ragione e gli affetti, onde il libero volere o è condotto o conduce ; nel porre in petto al sapiente quella virtù fredda, impassibile, solitaria, divisa dell'universo e da Dio, come immobile quercia radicata nei macigni delle Alpi. Se poi si considera più addentro nelle ragioni isto riche del sistema, il concetto eccessivo della virtù ci p a lesa un vivo contrasto della morale stoica coi tempi. Qual fosse il secolo di Zenone facemmo vedere più in nanzi. Ora se immaginiamo in quel secolo un uomo di gagliardo volere e di generosi propositi, che ponga mano alla filosofia coll’intendimento di fortificare il co stume,e di avviarlo ad un fine più alto,subito si capi sce come a quell'uomo, profondamente ristucco dalla ignavia dei tempi, la vita del saggio dovesse sembrare una lotta continua della ragione innamorata del bene cogli affetti interiori, col rigoglio dei sensi, colle ree c o stumanze civili, e l'onesto una perfezione quasi supe riore all'umana, e conseguibile solo da pochi sapienti. (De finibus, tutto il libro terzo ; Kuehner e Thorbecke passim .)    Esponendo e confutando i principj più generali della morale stoica,abbiamo esposto in gran parte intorno a questa materia le opinioni del filosofo nostro. Solo ci ri mane da cercare in qual modo egli svolgesse le proprie dottrine morali in contrapposto alle dottrine del Portico, e come l'erroneo concetto del bene supremo da lui combattuto nel quarto libro, movesse la sua riflessione a pensare un più vero e men difettivo scioglimento del gran problema morale.Non v'ha forse luogonelleopere da noi esaminate,in cui questa facoltà potente dell'inge gno speculativo di Cicerone si faccia meglio manifesta, e con essa il suo metodo delle attinenze che concilia gli opposti sistemi nell'unità non divisibile dell'uomo. I principj su cui è fondata la confutazione, movendo dalle idee più comuni e più popolari intorno alla poca conve nienza delle dottrine del Portico colle necessità e cogli usi della vita civile (Capitoli VII, VIII, IX), procedono poco appresso a cercare le cause più remote del paralo gisma nei fondamenti del sistema avversario.I giudizi del filosofo latino, informati da un metodo rigoroso d'esame , cadono sempre sul concatenamento scientifico delle dot trine, e sulla loro armonia coll'indole del soggetto ; nè sembreranno,iocredo,eccessivamente severi,come parvero alKuehner,qualorasipensiche Cicerone,traisistemi maggiormente seguiti a'suoi tempi, preferiva ad ogni altro lo stoico, e che inoltre la storia moderna della filosofia riassumendo l'esame di lui sulle dottrine m o rali del Portico, solennemente lo confermava. In prova di ciò Enrico Ritter, più volte citato, considerando l'idea che del saggio s'erano formati gli Stoici, e su cui fonda v a n o l a m o r a l e , v i s c o p r e il p r i n c i p i o d ' o g n i l o r p a r a d o s s o , e di parecchie false opinioni sulla vita dell'uomo ; poichè, se da un lato, egli nota,si nascondeva in quella idea un alto intendimento civile, ne veniva poi necessariamente alterato il concetto della vita e dei doveri affermandosi quivi l'apatia del saggio, ovvero (come suona in greco quella parola) il suo affrancamento assoluto da ogni pas sione e da ogni causa esterna che turbasse la tranquillità  123 - .   del suo spirito. (Ritter, Morale des Stoïciens, T. III, pag.540.)Questaeraun'ambiziosaostentazionedelsommo bene,così la chiama ilnostro Oratore,ostentazione degna d'una filosofia da ottimati che faceva privilegio della s a pienza, e l'appartava lungi dalla modesta sublimità del senso comune. Laonde gli Stoici (prosegue Tullio), per non essere da quanto il volgo, mutavano i principj della natura,dicevano che l'uomo è anima e corpo,che visono nel corpo alcune cose desiderate da noi come beni ; m a poi,avendo fatto nell'uomo eccellente l'animo sopra ogni altra sua facoltà, designarono per modo la natura del bene sommo come se l'anima non sovrastasse soltanto,ma fosse unica parte della umana persona.(C.XII.) E qui è notevole davvero come ricercando il nostro filosofo le cause ultime dell'errore nel principio stoico del bene supremo,si va gradatamente avvicinando al con cetto positivo e scientifico della morale.Io dico che dalla confutazione degli Stoici esce un concetto positivo e scien tifico della morale, perchè quivi egli non segue le forme irresolute della Nuova Accademia, nè desume gli argo menti più validi dalle contradizioni relative e parziali del sistemaavverso,ma procedepiùinnanzi,indagasottilmente l'intervallo che separa il conoscimento diretto dal cono scimento riflesso, e pone la vera indole della scienza nel suo differire dalla natura,a quel modo che il compiuto differisce dall'incompiuto, l'attuale dal virtuale e il per fezionamento dal perfettibile. La scienza, dice Cicerone, move dai principjdi natura, e come tale ha nella stessa natura la possibilità d'ogni suo sviluppo ulteriore; la scienza non crea l'uomo,ma ne è un perfezionamento, non genera le notizie dirette,m a le chiarisce,le distingue, le corregge,le riduce a principj; non disegna ella stessa l'immagine dell'umana virtù, nè dispone l'uomo a desi derarla, m a trae in atto quelle essenziali e ingenite dis posizioni; talchè l'opera sua è un continuo avvicinarsi al concetto del bene,seguendo un archetipo eterno di perfezione, e somiglia all'opera dello scultore che riceve da altri già disegnata e delineata la statua per ridurla  124   125 poi a compimento colla virtù del proprio scalpello. « Ut Phidias potest a primo instituere signum idque perficere, potest ab alio inchoatum accipere et absolvere,huic similis est sapientia : non enim ipsa genuit hominem ,sed accepit a natura inchoatum. Hanc ergo intuens debet institutum illud quasi signum absolvere.Qualem igitur natura homi nem inchoavit? et quod est munus,quod opus sapientiæ? quid est quod ab ea absolvi et perfici debeat? Si nihil in quo perficiendum est præter motum ingenii quemdam , id est,rationem,necesse est huic ultimum esse ex virtute agere : rationis enim perfectio est virtus : si nihil nisi corpus, summa erunt illa, valetudo, vacuitas doloris, pulcritudo,cætera.Nunc de hominis summo bono quæ ritur. Quid ergo dubitamus in tota ejus natura quærere quid sit effectum? Quum enim constet inter omnes,omne officium munusque sapientiæ in hominis cultu esse occu patum , alii ne me existimes contra Stoicos solum di cere, eas sententias adferunt, ut summum bonum in eo genere ponant,quod sitextra nostram potestatem,tam quam de inanimo aliquo loquantur, alii contra, quasi corpus nullum sit hominis, ita præter animum nihil cu rant, quum præsertim ipse quoque animus non inane nescio quid sit -- neque enim id possum intelligere -- , sed in quodam genere corporis, ut ne is quidem virtute una contentus sit,sed appetat vacuitatem doloris.Quam ob rem utrique idem faciunt, ut si lævam partem negli gerent, dexteram tuerentur, aut ipsius animi, ut fecit Herillus, cognitionem amplexarentur, actionem relinque rent. Eorum enim omnium , multa prætermittentium , dum eligant aliquid,quod sequantur,quasi curta senten tia.Atveroillaperfectaatqueplena eorum,quiquum de hominis summo bono quærerent,nullam in eo neque animi neque corporis partem vacuam tutela reliquerunt.»  Questa bella dimostrazione, che il Kuehner annovera tra le dottrine interamente proprie di Tullio (Part. V , cap. 2), e che trascorre con tanta signoria di sè stessa dalle nature inferiori alle superiori, ponendo la legge che governa il sapere a riscontro colla legge dell'uni   126 verso, mostra quanto alto fosse pel filosofo romano il concetto della Scienza Prima,ed è uno splendido testi monio della sua potenza speculativa e dell'universalità dell'ingegno latino.Concepiva ilRomano lascienzacome un ripensamento della natura, e la natura, considerata nell'ordine che la informa, era per lui un'arcana ar monia d'attinenze ; talchè la scienza ei la immaginava come un ripensamento delle naturali relazioni, che in tercedono tra i varj gradi della vita nell'universo, tra le varie parti della natura fisica, intellettiva e morale nell'uomo, e poi tra la natura e la speculazione, e tra la speculazione e la vita civile. Filosofo vero è per lui chi ripete veracemente,tal quale gliela diè la coscienza, quell'armonia di natura;filosofo falso o sofista chi con fondendo o separando riesce a negarla. Quindi era sofista l'epicureo, che meditando l'uomo solo nella parte più bassa di sua natura, e chiudendo gli occhj davanti alla luce non estinguibile dell'intelletto, poneva nel piacere il supremo dei beni ; era sofista Erillo che disconoscendo la libera attività del volere, confinava la virtù nell'in tuizione inefficace e disamorata del vero scientifico; ma non errava meno lo stoico, che pervenuto al concetto di virtù movendo dalle naturali tendenze,a un tratto le a b bandonava per rifugiarsi in un ideale di sapienza che alla natura dell'uomo contraddiceva.(Cap.XIII,XIV,e glialtri sinoallafinedellibroIV;c.f.De legibus,I,C.XVI.) Considerata sotto questo rispetto,l'idea altamente c o m prensiva,che Tullio s'era formata della scienza morale, lo ravvicinava ai principj delle scuole socratiche.La ra gione parmi assai chiara;poichè,posto una volta,com'è di fatto, la scienza non essere altro che un fedele ripen samento dell'umano soggetto, e dall'ordine dei principj intrinseci ad esso venire l'ordine esterno costitutivo del metodo dilei;ammesso inoltre infilosofiailrinnovamento essenziale d'ogni riforma essere,come nelle istituzioni ci vili, un ritorno verso i naturali principj dell'animo ; da ciò consegue che la misura per determinare la bontà del m e t o d o d ' u n a s c u o l a , e il s u o a v a n z a r e o a l l o n t a n a r s i d a l    l'istituto riformatore,sarà ilparagone tra la pienezza della forma scienziale e l'integrità della materia esaminata; talchè, dato un degeneramento delle scuole successive dal principale istitutore, chi prendesse a confutarle richia mandole ad un esame più pieno dell'umana coscienza, s'incontrerebbe per via diretta negl'intendimenti del ri formatore. Tale è il caso da noi esaminato rispetto al filosofo latino. Il principio della morale delle scuole so cratiche è il conosci te stesso. Ora è noto quale fosse la pienezza e la comprensione del significato, che il filosofo ateniese dava a quel precetto in ogni parte della filosofia, e come il sentimento della perfezione ideale, connaturato all'ingegno greco, e reso più vivo dalle armonie pitta goriche,traesse lui,uomo di smisurato intelletto, a im maginare la virtù costituita da un armonico concorso delle facoltà umane fra loro e coi termini esterni, e a conce pire il cittadino nell'ideale dell'uomo perfetto. Tale indirizzo dell'ingegno greco nei principj costi tutivi della morale seguitarono Platone e Aristotele; ma l'uno, giovane della fantasia e dell'affetto,e nato in una civiltà, giovane ancora, e che serbava nell'evento delle istituzioni civili tutte le speranze d'un avvenire glorioso, sebbene affermasse l'effettuamento del bene assoluto non p o t e r s i d a r e q u a g g i ù , p e r c h è il b e n e a s s o l u t o è l ' e n t e i n finito, in sè e per sè sussistente,e partecipato solo im perfettamente dalle cose finite, pure faceva consistere la virtù in un continuo avvicinarsi dell'uomo a quell'esem plare immortale di perfezione, e riconosceva nei beni ter reni un'effigie lontana e appena un'analogia della beati t u d i n e e t e r n a ( Q u o i w s i s S e w . D e r e p . e T h e a e t . ). A r i s t o t e l e , ingegno più virile e più temperato e ritraente dai tempi, in cui,perduto il fatto delle libere istituzioni, se ne ve niva creando con affetto maggiore la scienza, se rinvenne il perfetto della vita nell'intuizione del vero specula tivo, si volgeva di preferenza alla pratica, e faceva del pensiero un semplice avviamento all'azione,della politica la parte principalissima della sua morale.  127 Il concetto del bene , rimasto assai indeterminato nelle   dottrine del figlio di Sofronisco, si bipartisce dunque nel l'Accademia e nel Peripato ; Platone lo congiungeva alla psicologia e alla dialettica ; Aristotele lo ravvicinava alla politica; con che, si avverta bene, noi vogliamo solo far notare certa speciale prevalenza nella forma scientifica delle due scuole, non già determinare una essenziale diver sitàneifondamentidellamorale.Chèlapienezzadell'osser vazione interiore, tanto raccomandata da Socrate, durava lungo tempo ancora nei successori d'Aristotele e di Pla tone, e fu tra le cause principali ond'essi, concordi con Zenone nel sostanziale del sistema, ne combatterono il metodo e il concetto del bene supremo come un trali gnamento dalle dottrine dei loro istitutori. Da queste considerazioni s'inferisce più cose.Primie ramente si comprende come il pensiero dell'oratore latino s u l l a t e o r i c a d e l b e n e m o r a l e , c o n s i d e r a t o s o t t o il r i s p e t t o semplicemente speculativo, sia universale, comprensivo e di un importante valore scientifico, sia un testimonio di più del suo risalire mediante un principio più alto e più generale,non certamente partecipato dalle scuole negative e sofistiche,aiverisupremicostituentilascienza.Da que ste considerazioni esce anche nuova luce sull’intendimento a c u i m i r a il l i b r o D e f i n i b u s . Q u e s t ' o p e r a è d i u n a s i n golare importanza per la storia della scienza morale, e, a considerarla bene, si vede che Tullio a fin di mostrare e chiarire la perfetta dottrina sulla natura del bene su premo , si valse del metodo più famigliare a Socrate e a Platone, metodo che potrebbe dirsi ab absurdis, assai usato nelle dimostrazioni dei problemi di Geometria ;pose cioè più concetti particolari e negativi del bene perfetto, e su via di contradizione in contradizione si levò elimi nando, e integrando insieme, al concetto più universale e più comprensivo. Per talmodo egli,imitando ilSocrate del Convito, del Fedro e della Repubblica,addestrava il giovane ingegno latino a scoprire nel particolare e nel mutabile delle opinioni l'idea universale che signoreggia la scienza. Conforme a tal metodo, se egli nel primo e nel secondo libro confutava Epicuro mostrando quant  128   fosse difettivo il suo principio che ponera il bene ed il fine nel puro sentimento animale,e se nel terzo e nel quarto esponendo e correggendo le dottrine del Portico richiamava i filosofi a meditarne la parte imperfetta, cioè il prevalere soverchio del principio spirituale e sog . gettivo nel concetto del bene;nel quinto libro intro dusse a coronamento della morale ilsistema dell'Antica Accademia e del Peripato. Questo libro è una sintesi di tutta quanta la scienza ; vi si studia l'uomo dai primi rudimenti della vita vegetativa e animale su su fino agli albori della vita intellettiva e morale ; vi si mostra come l'istinto primitivo della conservazione esca in sentimento, il sentimento germini in affetto,e quell'affetto,incerto e inconsaputo da prima, a poco a poco coll'apprensione più viva di noi stessi e della differenza che ci distingue dagli altrianimali,simuta inconoscimento;vis'insegna come debba la filosofia tener conto nelle sue meditazioni di questa piega üei sentimenti animali e spirituali, perchè le sono scala all'evidenza del vero che più tardi la ri flessione esaminatrice coglie nei penetrali della coscienza . Invero quando io leggo il trattato dei Fini non mi posso capacitare come vi siano stati alcuni critici che han vo luto scoprire nel quinto e nel quarto libro, e nella con ciliazione ivi proposta tra gli Stoici e l'Antica Accademia , non altro che un misero tentativo dell'eclettismo latino; poichè (giova ripeterlo)mentre investigava ilfine scientifi camente,Cicerone conciliava le scuole,ma integrando col metodo dell'osservazione interiore; procedeva sì ravvici nandoisistemide'filosofi,ma ilprincipiodellaloroarmo nia desumeva dall'esemplare della natura, ch'è sistema immortale di Dio.(Vedi riassunto e citato diligentemente ilDe finibus nella dissertazione già allegata di G. R. Thorbecke,e inquelladelKuehner,Part.V,4,5,6,7, 8,9,18,19,20. Vedi pure per ciò che risguarda ilconcetto di tutto il trattato l'importante dissertazione di G. Carlo Hinkel :D e variis formis doctrine moralis Peripatetico rum usque ad Ciceronem ,earumque cum cæterarum scho larum placitis comparatione.Marburgi Cattorum, 1839).  129 9   130 Il concetto scientifico della morale di Cicerone, quale noi l'abbiamo meditato sin qui,comprendendo nella sua pienezza tutti i principj costitutivi di quella dottrina, e unificando in un termine superiore,che era l'integrità del soggetto u m a n o , le contradizioni parziali delle scuole, dà luogo a risolvere una delle più importanti questioni mosse dagli storici sulla morale dell'oratore latino. I m perocchè ci spiega in qual modo, concorde coll'antica Accademia e col Peripato nei principj supremi e nel l'idea del bene e della virtù, quanto poi alle parti a c cessorie,che avevan per fine determinare il contegno del saggio rispetto a sè stesso,e nelle relazioni civili,egli se condasse talvolta gli Stoici la cui severità, civilmente con siderata,glipareva un argine saldocontrolastraboccata corruttela dei tempi. Procedendo con tal criterio, i libri attinenti a questa parte soggettiva della morale appajono informati da un solo ed unico disegno di scienza,e ven gono distribuiti per classi in ordine al metodo e agli in tendimenti. Infatti dall'opera dei Fini, la quale tiene la parte suprema dell'Etica, ch'io chiamai soggettiva, e discorre del bene e della vita con fine immediatamente scientifico, scendono conforme a questo principio le Q u e stioni Tusculane, e il libro dei Paradossi.Manifestano un fine positivo o d'applicazione e un esercizio di metodo le dispute Tusculane,dove in mezzo ai precetti stoici,esposti nella maggior parte dell'opera, traluce l'intendimento di offrire, in tanta corruttela delle pubbliche istituzioni e dei costumi romani,un alto esemplare del saggio,capace di volgere le menti a studj più generosi ; e divisa la filosofia in più questioni (loca),si prende in ciascuna a ribattere le istanze proposte col metodo della Nuova Accademia . Poi un semplice esercizio di metodo forense rivelano i Paradossi, nei quali Tullio poco dopo la morte di Catone Uticense prese a lodare secondo i principj stoici le virtù dell'amico, e mostrò agli studiosi dell'eloquenza come qualunque soggetto di filosofia, il più remoto dalle opi nioni volgari,si porgesse ad un utile esperimento dell'in gegno oratorio. « Ego vero (così egli dice nel Proemio)    131 illa ipsa quæ vix in gymnasiis et in otio Stoici probant, ludens conieci in communes locos.» 3. Insino a questo punto, esponendo fedelmente l'in dirizzo delle indagini speculative di Cicerone nella con troversia intorno al bene supremo,noi paragonammo volta per volta le sue opinioni coi principali sistemi contem poranei. Da quindi innanzi procederemo con metodo di verso e più spedito, giunti a parlare di quella parte della sua filosofia, dove egli si avvenne a minori opposizioni,e dove la sua riflessione era soccorsa più largamente dalle idee nazionali e dai principj del Diritto romano.  mente la parte soggettiva della morale,che,come vedem il fine dell'operare affetti e nel più intimo della coscienza mo sinqui,indaga umani , e col riscontro di Tullio non lieve di veri incer avvalorata indubitabili tezza alla riflessione più che altrove cadendo l'indagine affettuosa dell'essere mai dalla scienza, potea far velo al giudizio; separabile o perchè la discordia senza metodo più ragione i problemi e le controversie .Ma con si governa sicuro , e con più evidenti da sottili argomenti , offriva ai tempi esaminatrice .Forse perchè in quella oggettiva della nella quale egli,esaminate tendenze,el'istinto filosofale sulla umano,ilfomite delle sette vi avea moltiplicati principj morale di Cicerone la parte , ossia quella parte le naturali felicità, e ciò che per rispetto del della l'adempimento bene e alla suprema universale della legge e del dovere. E proprio feconda speculazione va dal soggetto all'oggetto dall'esame e conoscitive eterni, tanto più , come chi senta del fine, si leva al concetto idealità anche in , che quanto più il nostro questo è im fatto notevole ,trascende minuto delle potenze affettive alla contemplazione per la via della scienza degli intelligibili animoso procede della valle a una alleggerirsi vista interminata il respiro uscendo dal basso teorica della della filosofia di pianure e di mari. La e del dovere è dunque il fondamento legge civile di M. Tullio ; e certo a questa chiarezza dei sommi parte più delle passioni,non E vera degli ,perquanto nella piega a noi costituisce tempi di pensiero il sensibile,e passa   132 principj morali da cui ella è desunta,e dove il pensiero del filosofo latino si ferma per rinvenire le armonie più remote della scienza morale colle dottrine dello stato e della vita politica, conviene attribuire quella pienezza di speculazioni largamente intrecciate all'esame del mondo e dell'animo umano,onde il libro delle Leggi riassumendo le teoriche civili,si rannoda da un lato col dialogo dei Fini e coll’Etica soggettiva,e dall'altro cogli Officj e col libro della Repubblica. Talchè, a voler direpienamente il pen siero del filosofo romano, tutta la scienza morale sì del l'individuo come dell'umana famiglia, e la filosofia civile nelle sue più remote congiunzioni colle altre dottrine, muovono, come due maestose riviere di fiumi perenni, da quel fonte immutabile, che è il concetto della eterna legge . Le dottrine della filosofia civile di Cicerone furono da molti anni soggetto di lunghe e diligenti ricerche in Germania, in Inghilterra ed in Francia, tanto che su questa più che sopra qualunque altra parte delle sue opere forniscono le biblioteche copiosa materia di lavori storici, critici e dottrinali agli studj dei commentatori e dei filo sofi.La quale abbondanza di ricerche sulle dottrine posi tivedelfilosofolatinoprovennealcerto,cosìdaunatalquale novità e armonia di disegno scientifico che egli dava ai suoi studj sulla filosofia civile, applicandovi l'esempio di R o m a e i larghi principj della Giurisprudenza e del d i ritto latino;come da quell'opinione invalsa universalmente tra i dotti ch'egli avesse un ingegno più fecondo nel l'applicare che nel trovare,più acconcio ad esporre i pre cetti della scienza che a fondarne i principj per via di rigorose indagini speculative. M a niente è più contrario a questa opinione quanto un severo esame del libro De legibus. Meditando con attenzione questo dialogo,uno dei più eloquenti che mai uscissero dalla fantasia largamente inventiva del nostro filosofo, ti accorgi tosto essersi in gannati a partito coloro i quali sull'autorità di alcune poche parole di lui nel cap. VI : « quoniam in populari ratione omnis nostra versatur oratio,populariter interduin    loqui necesse erit », vollero indurre doversi annoverare questo trattato fra i libri mancanti di vera speculazione scientifica, e volti ad un fine semplicemente pratico popolare.Ora per risolvere una siffatta questione, non certo di poca importanza nella critica della morale di Cicerone, e risguardante quei principj che ne collegano le varie parti in u n disegno ordinato di scienza , io distinguo nel libro De legibus due rispetti parimente importanti in cui può essere considerato:un rispetto istorico, o giu ridico, e un rispetto semplicemente speculativo. E a par lare innanzi tutto del primo, non debbo lasciare indietro come dal 490,età della prima guerra cartaginese, al 628, anno della distruzione di Numanzia, mentre gran parte all'oriente e all'occidente d'Europa, e l'Africa stessa venivano in potere dei Romani, la repubblica (come dice il Forti) rapidamente si corrompesse.S'indeboliva a poco a poco l'ordine delle famiglie, si mutava la moderazione in crudeltà e capriccio, l'ossequio e l'ubbidienza in vile condiscendenza ai vizj con animo rivolto a sciogliersi dai legami della famiglia, perdera forza la religione del giu ramento ; nel VI secolo frequenti i privilegj, caduta in discredito l'autorità sacerdotale, frequenti le prorogazioni degl'imperj; indi a grado a grado cessava Roma dal l'avere una costituzione fissa e un prudente consiglio che la dirigesse, e s'avviava all'anarchia popolare. Di queste condizioni civili,che rendevano sempre più facile il vivere sciolto da ogni legge morale, dovea risentirsi la disci plina del dritto. La quale nata da una viva disposizione dell'ingegno latino a ricercare la suprema legge del vero nella moralità delle azioni, e guidata dalla sublime idea del giure che G. B. Vico riconobbe nel linguaggio dei primitivi italiani , si perfezionava tra il sesto secolo e il settimo a causa del bisogno vivamente sentito di ridurre le consuetudini a leggi scritte, per l'uso delle lettere greche, per lo studio dell'antichità necessario alla notizia delle leggi,e per l'efficacia della morale stoica.Va frat tanto la sparsa materia del diritto romano non si ordi nava in forma di scienza ; non già che molte massime  133   134 generali delle XII tavole e dei pretori non fossero d e sunte dall'intimo della filosofia, e che l'applicazione e lo svolgimento delle dottrine non desse impulso efficace al l'ingegno speculativo de'Giureconsulti.Vi s'opponeva un difetto,antico nella costituzione romana,percuicadendo in dissuetudine le leggi, spesso occorreva di rinnovarle, l'autorità troppo larga dei legislatori, onde, al dire di Cicerone, si studiavano piuttosto gli editti del Pretore e le opere dei Giureconsulti, che il testo delle XII tavole, e poi il moltiplicare delle massime e delle questioni per cui avveniva che la scienza, anzichè ordinarsi a sistema con universalità di disegno, si veniva soltanto applicando gradatamente ai bisogni civili. M a verso la metà del settimo secolo,quello stesso in cui Cicerone scriveva la Topica,eaRoma epertuttoildominiodellarepubblica s'era da un pezzo largamente propagato lo studio della filosofia e delle lettere greche,l'ingegno romano già esperto nell'esercizio della logica, e maturo all'abito della rifles sione interiore, cominciò a dare forma più rigorosa di scienza alle discipline del giure. Uno di coloro che più vi si volse, e che, per testimonianza di Cicerone,vi recò un vero abito del raziocinio nutrito da studj profondi di filosofia, fu il giureconsulto Servio Sulpicio,di cui si parla con molte lodi nel libro De claris oratoribus (XLI); e dopo lui il nostro filosofo, al quale chi legga il libro delle Leggi non può negare il merito insigne di avere meditato una riforma del giure, desumendone l'origine,come dice egli stesso, dall'intimo della filosofia, e tentato un codice del diritto pubblico per sopperire al bisogno,allora viva mente sentito,di ridurre a principj universali e a dise gno ordinato le sparse discipline del Diritto romano. (Libro I, e sey.) Ma questo stesso proporsi una riforma del giure e meditarne l'ordinamento scienziale, chi non vede ch'era già nella mente del nostro filosofo un naturale appa recchio all'indagine speculativa dei principj morali ? L'oratore latino a cercare che cosa è legge, mosse,come i giureconsulti odierni, dalla considerazione di due rispetti    nei quali la legge può meditarsi, cioè in quanto ella esiste nel fatto come regola coattiva delle azioni, ovvero in quanto ha una ragione d'esistere,o vogliam dire una origine razionale (Forti). Ei risguardò di preferenza il secondo rispetto, e cercando nella sua definizione l'ottimo ideale, « si rifece da un gius naturale anteriore alle leggi, variabili secondo il volere dei legislatori,norma razionale al paragone della quale si potesse distinguere la legge buona dalla cattiva, che in sostanza è una violazione del giusto sostenuta dalle forze della società. Questo termine di confronto delle leggi civili lo ravvisava nella legge di natura,ossia nella somma ragione dell'economia che gli dèi, signori dell'universo, avean posta nel governo delle coseumane.Da questofontederivavalagiustiziaassoluta ed eterna, che definisce il bene ed il male indipendente mente dagli stabilimenti sociali e dalle opinioni degli u o mini.Idea di assoluta giustizia,che,come Cicerone avverte egregiamente, non può star separata dalla credenza reli giosa in un supremo legislatore cui sia a cuore il bene e l'avanzamento dell'umanità. I comandi e le proibizioni di questa legge suprema sono noti agli uomini, secondo Cicerone,per natural lume di ragione, solchè essi vogliano esaminare se stessi e consultare la coscienza. Laonde è da considerare sapientissimo il detto dell'antico savio, c h e p o n e v a a f o n d a m e n t o d i s a p i e n z a il c o n o s c e r s è s t e s s o . Conoscendo sè stesso, l'uomo vede di essere naturalmente socievole,e va persuaso che la società è uno stato neces sario al genere umano.Vede eziandio che gli uomini tutti fanno una sola famiglia, che ha un padre e regolatore comune,che tutti ama ugualmente e gliobbliga a vicen devoli uffizj. » Francesco Forti, nome caro alle lettere e alla giurisprudenza toscana,così riassumeva nel I libro delle sue Istituzioni civili le dottrine del dialogo sulle Leggi ; ed io lo citai augurando che per suo esempio il trattato insigne del filosofo latino porgesse materia di larghe e fruttifere meditazioni agli studiosi del Diritto. Tra le cause adunque che dettarono a Cicerone il dialogo delle Leggi, sono in primo luogo da annoverarsi  135   136 l'incertezza del vero senso del giure per la moltiplicità delle massime,deglieditti,delle leggi,degl'interpretanti, onde spesso si perdeva il significato filosofico e morale nella aridità delle formule, ed era opera di scienza vera e fruttuosa il ricondurvi le umane menti ;poi una ragione politica che voleva richiamate ai principj morali le libere istituzioni;ed infine un contrasto alle scuole greche, e specialmente alla Nuova Accademia,la cui dottrina po teva riuscir fatale all'Etica e alla Giurisprudenza, fon data com'era,non già sull'osservazione interiore o sopra un vero criterio scientifico, m a sui deboli artifizj della dialettica e del sofisma (Lib. I, c. IV, e XIII). Ora si consideri bene come ilnotare diligentemente questo con trasto del filosofo latino colle scuole negative degli asso luti principj morali,ci mena a poco a poco a scoprire la parte altamente speculativa delle sue indagini intorno alle leggi,la quale dobbiam confessare avere sin qui assai poco considerata i critici e i commentatori. Eppure ogni età della storia (e lo notammo più innanzi) ci porge ampie e innegabili testimonianze di questo tornare della riflessione all'esame della legge morale e della genesi dei sommi principj che ne derivano, e si manifestano all'intelletto fecondi d'innumerevoli attinenze con qua lunque parte dello scibile umano,ogni volta che le dot trine dei sofisti pullulate dalla profonda corruzione civile e dall'intepidire del senso morale , ponevano il bene ed il giusto nell'attraimento degli istinti animali, e nel l'esca dell'interesse. In quei tempi di grandi sventure private e pubbliche, massima delle quali è per certo il dilungarsi degli ordini civili dalla notizia dei sommi prin cipj,gl'intelletti più alti,nutriti nella meditazione e negli studj dell'antichità, mossero la riforma morale da quella relazione chiarissima e primitiva che intercede tra l'in telletto e l'assoluto, e si manifesta nell'energia dell'im perativo morale.Questo intendimento di opporsi allo scet ticismo coll'esame della realità oggettiva del supremo concetto di legge,è manifesto nelle teoriche del Vico,è m a nifestissimo in quelle degli Scozzesi,e dettò le pagine più    137 eloquenti di quel famoso libro che s'intitola dalla Ragione pratica,sebbene l'affermare,come essofa,chelamia ra gione è un che d'imperativo, che la mia volontà vi si sente soggetta, e che quindi m'accorgo che quell'impero è universale e viene da Dio legislatore,creatore e prov vidente, sia pronunciato assolutamente contrario al si stema della scuola critica e alle dottrine del filosofo di Conisberga. M a poichè in questo luogo facemmo espressa menzione del libro della Ragione pratica,vogliamo invitare inostri lettori a seguirci in un paragone per certo singolare e inaspettato delle dottrine di due differentissimi ingegni. Il filosofo di Conisberga, abbeverato alle dottrine del C a r tesio, e seguace, benchè inconsapevole, dello scetticismo d i D a v i d H u m e , il K a n t c h e n a c q u e il 1 7 2 4 , e v i d e n e l l a seconda metà del secolo XVIII i primi baleni di quella filosofia, onde più tardi sfolgorava la rivoluzione fran cese, ammise a fondamento del suo sistema l'assoluta impossibilità di trapassare dal soggetto all'oggetto, rap presentando il pensiero racchiuso in sè stesso e pensante le cose con proprie forme o categorie. La qual dottrina, oltre al contraddire, come fa, alla natura del pensiero e all'evidenza immediata della percezione,e porre il filo sofo nell'assoluta impossibilità di edificare la scienza nel tempo stesso ch'egli sipropone ilproblema,se lascienza è possibile, distrugge ogni certezza morale, e vieta alla mente di aggiungere mai colla riflessione scientifica l'ori gine vera della legislazione assoluta. « Pel Kant (osserva giustamente il Mamiani) l'anima è onninamente legisla trice di sè medesima e crea l'assoluto dovere,crea,dico, non meno di un assoluto; e quella forza invincibile di approvare o di biasimare è pur fattura dell'anima, onde ella identicamente e simultaneamente è comando e obbe dienza, è autorità ed obbligazione, è diritto e dovere, è attiva e passiva, è finita e infinita (perchè ogni assoluto vero è infinito), e rimordesi talvolta amarissimamente delle azioni contrarie all'imperativo di cui ella stessa è autrice spontanea ..... Cotal dovere e cotale legislazione as    soluta che emerge tutta ed unicamente dall'umano sub bietto,appare nel Kant (se è lecito dirlo)più contradit toria assai che negli Stoici antichi e nei moderni panteisti germanici.Imperocchè appo entrambe le scuole la volontà e libertà umana si sustanzia in ultimo con la divina e assoluta. Quindi nelle loro dottrine morali ricomparisce la contradizione perpetua d'identificare azione e passione, finito e infinito e così proseguì;ma non vi si dee ravvi sare cotesta forma particolare di ripugnanza tanto più deplorevole quanto la scienza morale à un carattere sacro e interessa il genere umano e la vita civile più che altra disciplina quale che sia. » (Confessioni, V. I, Lib. II, pag.294,95.) Tale è pertanto la differenza notevole che corre tra le contradizioni morali del Kant e quelle del nostro filo sofo. Già vedemmo parlando delle dottrine sulla natura come da parecchj luoghi dei suoi trattati apparisca assai chiaro ch'egli, seguace del semipanteismo platonico e stoico,faceva consustanziali l'intelletto umano eildivino; la qual dottrina applicata nel dialogo delle Leggi avrebbe dovuto condurlo per legittima illazione a identificare la natura infinita del precetto morale colla ragione finita dell'uomo.Ora una volta ammessa questa dottrina,come mai poteva dedurne il filosofo l'azione trascendente e as soluta dell'imperativo morale sull'anima nostra? Come concluderne che la ragione perfetta, in quanto risplende dell'assoluto concetto del bene, s'impone alla mente e prende natura di legge? E d'altra parte è chiaro a chi sia mediocremente versato nella storia della nostra scienza c h e l ' o r a t o r e r o m a n o , il q u a l e r i f i u t a n e l l i b r o D e f i n i b u s la parte soggettiva della morale del Portico,come il su perbo concetto del perfezionamento umano ,l'indifferenza ai beni esteriori e l'eguaglianza delle imputazioni, qui nel dialogo delle Leggi ne accettò pienamente la parte oggettiva, vo'dire l'idea della legge eterna e i concetti dell'obbligazione e della città universale. Tale repu gnanza del semipanteismo platonico e stoico accoltoda Cicerone coll’autonomia dell'umano arbitrio, e coll'effi  138   Veramente non è ben chiaro se Cicerone si facesse mai tal domanda; ma , a dirla breve e come io la penso, il sentimento più naturale e spontaneo ch'io ritrassi dalla prima lettera del libro D e legibus, fu una ferma opinione che il filosofo latino movendo dalla indagine sul concetto di legge,soccorso dalle tradizioni del diritto romano, d o vesse riuscire a rappresentarsi quell'azione trascendente della legge morale sull'animo nostro siccome derivata dall'intima natura di un assoluto,distinto dalla ragione dell'uomo e a lei superiore. Argomento valevole assai per confermarmi in tale giudizio,è l'altezza a cui poggia l'indagine speculativa di Tullio,che allontanatosi dal l'esame particolare e sottile delle scuole antecedenti e contemporanee, e dalla parte soggettiva della stessa d o t trina stoica,riordinava la scienza tutta al lume dei sommi principj,più tardi usciti a fondamento della sapienza cristiana.  139 cacia trascendente di quella virtù onde si genera in noi l'obbligazione morale, involge un importante quesito di storia della filosofia. Nel quale si domanda, se il filosofo latino propose giammai nettamente innanzi all'esame della sua riflessione questa controversia da cui dipende il principio costitutivo dell'obbligazione e del bene m o rale; e se chiese a sè stesso come potessero mai conci liarsi l'identità di natura tra l'intelletto divino e l'intel letto dell'uomo con quel sentimento di soggezione assoluta che in noi s'accompagna all'impero della legge morale. Un'altra prova di non lieve importanza è altresì la dif ferenza notevole che corre tra i libri fisici e morali del filo sofonostro.In quellieglidubitailpiùdellevolte,e,meno che nei principj fondamentali,segue irresoluto leforme della Nuova Accademia;neilibrimorali partuttoun altr'uomo, e le sue conclusioni rivelano sempre una maravigliosa armonia del sentimento colla riflessione speculativa. A l tresì non v'è dubbio alcuno che i concetti correlativi di Dio e dell'anima umana e del libero arbitrio,assai inde terminati nel De natura deorum,nelle Tuscolane, nel Sogno di Scipione e negli Accademici primi,qui nel libro   140 delle Leggi profilano più nettamente le loro fattezze,e ne discende ordinata e architettata nelle sue verità uni versali tutta quanta la scienza.Il concetto di Dio sopra ogni altro giunge in questo libro ad un'altezza scono sciuta alla maggior parte dei filosofi antichi.Egli è rap presentato al lume delle tradizioni romane come inente eterna ed eccelsa che tuttoprovvede,che a tutto impera,e veste idue caratteri dell'arbitrio e dellam o ralità, che, al dir del Gioberti, ne costituiscono le origi nalifattezze.L'indaginetullianadellaleggesuprema pa lesa poi,per mio avviso,un vigore non ordinario d'ingegno speculativo.Posta a capo di tutto ilragionamento lano zione di legge universale come un riscontro delle leggi particolari e una misura intelligibile a cui ricorrendo si potesse apprezzare l'essenza delle cose giuste od ingiuste, tal nozione presentava in sè due rispetti intimi ambedue eambeduenecessarj.Lapoteviconsiderarecome idealità suprema,come infinitagiustiziaonde ilgiusto sipartecipa, benchè imperfettamente, alle cose finite, e come primo assoluto ed universale, che volgendo le menti alla comune dispensazione del bene porgesse quasi l'unità morale del l'umana famiglia. Considerata nel primo rispetto, la n o zione di legge si offriva alla mente del filosofo latino come idealità suprema e assoluta,e come un intelligibile primo che rappresentando ilperfetto nell'ordine della ra gione le si imponeva come regola dell'operare.Egli dunque concepiva quella nozione come un vivo riverbero dell'as soluto, e poichè l'assoluto è divino, e la sua idea si palesa partecipata come luce dall'alto nella perfetta ragione dell'uomo, unico di tutti gli animali che abbia innata nell'animo la notizia di Dio, quell'idea gli parve una partecipazione segreta ed arcana dell'assoluto nell'umano intelletto. Udiamo le sue parole: « Est quidem vera lex recta ratio,naturæ congruens,diffusa in omnes,constans, sempiterna, quæ vocet ad officium jubendo, vetando a fraude deterreat, quæ tamen neque probos frustra jubet aut vetat nec improbos jubendo aut vetando movet.Huic legi nec abrogari fas est neque derogare ex hac aliquid  una   licet neque tota abrogari potest,nec vero aut per senatum aut per populum solvihaclegepossumus,neque estquæ rendus explanator aut interpres ejus alius,nec erit alia lex Romæ , alia Athenis, alia nunc, alia posthac, sed et omnes gentes et omni tempore una lex et sempiterna et immutabilis continebit unusque erit communis quasi m a gisteretimperatoromnium deus:illelegishujusinventor, disceptator, lator, cui qui non parebit, ipse se fugiet ac naturam hominis aspernatus hoc ipso luet maximas p æ nas,etiam si cætera supplicia, quæ putantur, effugerit.» (Cic.,lib.III,De Repub.,XXII,33,riportatoda Lattanzio Instit.div.,1.VI,cap.8.)Stupendadefinizioneèquestadel principio regolatore degli atti umani,e tale da mostrare una volta per sempre che qualcosa più di una semplice continuazione delle scuole greche s'acchiudeva nei prin cipj dell'Etica romana . Vi s'acchiudeva la speranza e la promessa immortale del Cristianesimo! Considerato al lume di questi principj, il dialogo delle Leggi ci si offre come una sintesi vasta di tutta la scienza. Una volta posto con tanta chiarezza ilconcetto di legge nella cima dell'umana ragione,e l'umana ragione stretta da un legame arcano d'attinenza coll'assoluto, se ne chiariva alla mente del nostro filosofo la nozione di Dio e quella dell'uomo e dell'universo, e il fondamento primo dei doveri civili. La causa di tutto ciò era per fermo nel l'intima natura del metodo di lui,ilquale movendo dalla coscienza morale e dal vivo sentimento dell'obbligazione, coglieva nel suo stesso principio la più ampia e la più feconda di tutte le armonie scientifiche ; siccome quella in cui soggetto e oggetto si trovano unificati in un ter mine superiore e trascendente,onde poi si diparte,come da unico centro, l'ordine universale delle idee e quello dei fatti.La qual cosa non accade per certo nella ragione informatrice del sistema di Emanuele Kant, e degli altri critici e razionalisti moderni. In tali sistemi il pensiero (per valerci delle loro stesse parole) non esce mai da se stesso,non coglie la realità viva e concreta che è pre sente all'intuito, nè anche, dico, in questa parte della  141 -   filosofia de'costumi, dove la mente afferma ogni volta per ingenita necessità di natura l'indipendenza del pre cetto morale assoluto dall'atto informatore del nostro spirito. Non ha dunque la filosofia soggettiva un punto stabile e fermo in cui getti le prime fondamenta dell’edi fiziomorale,eillegameintimodeipensierichene con nette le parti, non avendo corrispondenza nella realità obbiettiva dei sommi principj,dee riuscire per necessità fenomenico, relativo e contingente. Eppure, come ben nota il Gioberti,vano è il voler riformare la dottrina del Buono senza risalire ai principj, che è quanto dire, senza considerarla come una scienza seconda,fondata sui canoni della scienza prima. (Del Buono,cap.III.) Questa nobile impresa, degna di un condiscepolo dei Giureconsulti romani, fu tentata dall'Autore del dialogo delle Leggi. L'esame della sua dottrina,solo che illettore se lo riduca per poco al pensiero, ci ha mostrato assai largamente che il metodo Socratico dell'osservazione in teriore lo condusse nei libri fisici e logici ad accettare il conoscimento come un dato legittimo della scienza,e nella disputa contro gli Stoici intorno al fine quel metodo istesso lo avvertiva doversi trovare la ragione constitutrice del bene per rispetto all'uomo nell'indagine piena dell'umano soggetto. Da questa cognizione dell'animo si levava il Romano per l'evidenza dei comandi morali alla notizia più perfetta di Dio,e lo concepiva come mente e ragione infinita in cui posa l'idea della legge eterna, di questa legge obbiettiva,immutabile, necessaria,anteriore a tutte le leggi civili, più antica d'ogni città e d'ogni gente, e coevaa quel Dio che governa laterraedilcielo.Da Dio è disceso l'uomo; egli uscito nel mondo ultimo degli ani mali, allorchè la natura fu disposta ad accoglierlo,benchè mortale nelle altre parti dell'esser suo,nell'animo è ge nerato da Dio.Egli solo quindi tra tutti gli animali ha notizia del Creatore, solo è capace di virtù, e può valersi in suo servigio dei frutti della terra, e inventò per a m maestramento della natura innumerevoli arti che imitate poi dalla ragione gli procacciarono le cose necessarie alla  142   vita. L'uomo dunque è primitivamente simile a Dio ;simi litudine che può vedersi dal fine a che la natura stessa lo destinava, e dai mezzi che gli diede a conseguire quel fine; conciossiachè prima ordinò la intera costituzione del mondo in suo beneficio, e all'uomo stesso diede conosci mento veloce, e del conoscimento ministri e satelliti i sensi,e gl'impresse nell'intelletto certe oscure nozioni di cose innumerevoli che furono in qualche modo fonda mento allascienza:Diede anche all'uomo forma dimembra acconce a significarne la natura intellettuale;poichè,mentre gli altri animali fece inchini alla terra per l'uso del pasto, il solo uomo rivolse al cielo quasi alla contemplazione del l'antica sua patria, e ne atteggiò il volto per modo che vi si leggesse profondamente scolpita l'effigie dell'animo.  143 Sarebbe lungo il seguire M. Tullio in questa larga deduzione dei veri morali e psicologici ch'egli trasse dal concetto di legge. Basti per noi l'osservare che son belle e vere dottrine, più tardi ripetute dai Padri e dai Dottori e dalle recenti scuole italiane,l'autorità assoluta dell'im perativo morale,la sua attinenza con Dio provvidente, l'idea dell'imputazione e dell'atto umano, e finalmente quella grande città in cui l'ordine mondano e sopram mondano si congiungono insieme nella universale comu nione degli spiriti eterni. (De leg., lib. I.) Esaminata la legge nel suo primo rispetto,vale a dire in quanto essa è obbiettiva,necessaria,immutabile, eterna, il filosofo latino passa a considerarla come un principio universale, che si dispiega al di fuori di sè stesso in un ordine di relazioni,ed è norma comune dell'operare agli umani intelletti. E qui egli veniva cercando la comunità del concetto di legge nella somiglianza di natura intel lettuale, onde avviene che a significare tutta quanta la umana specie vale una sola definizione,e principio del consorzio civile è la comune e vicendevole partecipazione del giure. « Non est enim (egli diceva) singulare nec solivagum genus humanum .» Quindi esce altresì nel primo della Repubblica la bella definizione della città, fonda mento alle sue dottrine politiche: « est igitur respublica   144 Il cardine della morale di Cicerone posa dunque m a n i festamente in questa dottrina delle Leggi, il cui merito insigne si è di avere volto le sparse discipline del diritto romano contemporaneo ad un ordinamento più razionale, e fondata la metafisica e la filosofia civile sopra principj assoluti di scienza. Questo intendimento del nostro ora tore è tanto più manifesto,in quanto che egli,dopo spie gata per ordine la dottrina della legge suprema, assume nel primo libro la questione più tardi agitata nel De finibus, e contro le dottrine di coloro che il buono misu ravano dall'utile, si distende a provare la virtù sola d e siderabile per sè stessa, e l'efficacia del buono venire dalla natura anzichè dalle mutabili opinioni. (XVII, X V I I I , X I X .) L a q u a l c o s a , m e n t r e è u n a p r o v a d i p i ù per mostrare come l’oratore-filosofo dai punti capitalis simi della morale, scendesse con unità di concetto alle più remote applicazioni, prende in fallo quei critici che supposero di fresco avere Cicerone abbandonato improv visamente la dottrina dell'Antica Accademia sulla legge naturale per accettare il metodo peripatetico nel suo più recente trattato dei Beni. M a innanzi tutto noi d o m a n diamo a quei critici come mai,se Tullio si ribellò più tardi alla ragione informatrice delle dottrine platoniche, qui nel libro delle Leggi espone con fronte sicura la stessa teorica trattata nei Fini ? In secondo luogo, fra le due opere v'è certo diversità nella ragione del metodo esterno (procedendosi deduttivamente nel libro delle Leggi, e induttivamente nel libro dei Fini), ma la diversità non involge alcuna contradizione; poichè nel trattato dei Beni, quando esaminava quella controversia da parte dell'umano  res populi; populus autem non omnis hominum quoquo modo congregatus, sed cætus multitudinis juris consensu et utilitatis communione sociatus,» dove egli af ferma ilnesso primitivo tra il diritto naturale e ildiritto delle genti, e contro Platone che attribuiva l'origine del consorzio umano alla debolezza degl'individui,riconosce invece quell'origine nella comunità di una legge assoluta e soprammondana. cætus 1 !   soggetto, affermò nella vita presente non pervenire l'uomo al compiuto adempimento del fine se non svolgendo e perfezionando ogni parte integrale di sua natura,laddove qui nelle Leggi salito ad un concetto più universale, m e ditò oggettivamente l'idea del buono e dell'obbligazione, riconoscendovi un'assoluta efficacia indipendente dall'atto dello spirito umano.Così da questi due larghissimi aspetti in cui può essere meditata la materia della scienza m o rale, e dove all'intelletto del filosofo appajono congiunti l'assoluto e il relativo, il contingente e il necessario, l'anima e Dio,deriva secondo la mente di Cicerone, il vero e più ampio concetto della dottrina sul buono. 4. La diligente esposizione impresa da noi degli scritti del filosofo latino ci ha condotti,come avranno osservato i lettori, a trattenerci alquanto intorno alla parte specu lativa delle sue dottrine morali, e segnatamente intorno ai due trattati De finibus e De legibus. La qual cosa abbiamo fatta coll'intendimento di porre innanzi agli occhi degli studiosi i principj fondamentali e il disegno scien tifico dell'Etica latina,esposta da Cicerone,sembrandoci che questo esame fosse stato assai leggermente condotto sin qui dai critici precedenti, i quali o tenerano Cicerone in luogo di un eclettico e di un moralista positivo e spe rimentale, o non facendo professione di filosofi, conside ravano nei suoi trattati meglio la parte istorica e lette raria che l'intimo nesso e il metodo speculativo delle dottrine.Eppure convien confessarlo) questa critica preoc cupata e parziale è sommamente contraria alla giusta estimazione dei libri speculativi di Tullio.Per essa avviene che i principj e la unità delle sue dottrine morali ci ri mane ignota per sempre ; ci sfuggono le più alte indu zioni che il grande oratore e i Giureconsulti adoperarono intorno ai pronunciati del senso comune,e riesce un fatto senza ragione alcuna quell'ampia utilità applicativa del l'Etica romana,da tutti riconosciuta,se il filosofo morale non ne rintraccia i principj nelle speculazioni più remote intorno al vero ed al buono.  145 10 Premesse queste osservazioni, veniamo ora alla parte   positiva dell’Etica tulliana, nella quale ci terremo più brevi secondo è richiesto dalla natura principalmente fi losofica di questo scritto. L'indagine che si contiene nel primo libro delle Leggi, porge naturalmente il passaggio dai supremi principj speculativi alle dottrine pratiche della morale, pel con cetto d'obbligazione e di vicendevole comunanza del giure, onde il libero arbitrio sperimentando in sè l'efficacia trascendente del precetto morale, e riconoscendovi un impero incondizionato che si dilata nell'universalità del l'umana famiglia, si sente stretto all'osservanza degli officj religiosi, individuali e civili. Officio dunque (così lo domandavano le scuole socratiche) è illibero conformarsi della virtù all'impero della legge morale. E importa assai determinare il significato scientifico della parola, perchè si capisca come la teorica dell'officio che ha tanta parte nel sistema del Portico,mentre discende immediatamente da quella del dovere (considerato nella sua genesi razio nale),ha poi certi suoi peculiari rapporti che la connet tono colla parte più positiva della scienza morale. Due specie d'officio distinguevano gli Stoici.L'officio retto o perfetto (29Tóptospa, zadrzov téheLov) che cade uni camente nel saggio,o in colui che abbia ottenuto l'ultimo grado del perfezionamento morale ;e l'officio comune,o m e dio (2997zov uésov),che era un ordinario conformarsi della virtù agli obblighi della vita privata e civile,o,come direbbesi oggi popolarmente,un fare da persona dab bene. Ora insorse controversia tra i critici, se Cicerone nel suo trattato, da tanti anni notissimo nelle scuole, de finisse scientificamente l'officio.IlManuzio eilFacciolati difesero Cicerone ; il Lilie con altri più antichi, citati dal Kuehner, giudicò veramente omessa quella definizione; mentre il Binkes,il Kuehner e ilGrysar avvisavano avere Cicerone definito soltanto l'officio medio, di cui prese a trattare espressamente nel suo libro,in quelle parole del capitoloIII,1.I:«medium officiumidesse,quodcur factum sit ratio probabilis reddi possit. » (Vedi Lilie, Comment.de Stoic.doctrin.mor.ad Cic.libr.De off.,1,  146   147  p.30;Kuehner,p.237;Fran.Binkes,Responsio ad quæst. juridicam etc., Franeq., 1818, pag. 11; Prolegomena ad Cic.libr.De Off.scripsit,C.I.Grysar,Köln,1844, pag.33.) Questa opinione dei commentatori tedeschi tanto più è conforme alla natura del libro D e officiis e al metodo espositivo che quivi si propose l'autore, in quanto che egli stesso ci dice nel capitolo III: due questioni potersi fare intorno all'officio; l'una che si riferisce al fine dei beni,l'altra che cade nei precetti ai quali in ogni parte si può conformare l'uso della vita ; parole meritevoli di speciale considerazione, conciossiachè mentre spiegano quell'intimo nesso scientifico che annoda le dottrine p o sitive colla teorica del bene morale, stabiliscono poi il vero oggetto del presente trattato,il quale non è altro, come giustamente osserva un critico moderno, che la determinazione dei nostri doveri particolari. Coloro d u n que che dal libro degli Officj prendevano argomento a ravvisare nel filosofo latino un mediocre valore scientifico, perchè egli trattando dell'officio non si solleva ai supremi principj della morale, non osservarono quale attinenza corra tra i libri speculativi e pratici della sua morale, onde egli investigato prima che cosa è il bene nell'umano soggetto (D e finibus), si leva alla nozione oggettiva di legge (D e legibus), e scende per ultimo alle applicazioni più remote dell'Etica nella vita privata e civile. (De of ficiis,De republica,De amicitia,De senectute.) Migliore giudizio invece recarono quei critici, segna tamente francesi, i quali considerando di preferenza questo speciale rispetto tutto positivo e civile, in cui possono meditarsi gli Officj, quindi desumevano i pregj e i difetti del libro. Infatti il trattato degli Officj non è un'opera semplicemente speculativa,o un'opera di psicologia. Ivi si richiamano, è vero,le altre parti delle dottrine m o rali, vi si accenna la distinzione stoica tra l'officio per fetto e l'officio comune,e il pensiero dello scrittore si leva talvolta a indagare la qualità morale degli atti nel l'intima natura dell'uomo,ma l'intendimento primo a   La gentilezza degli Attici educata nell'ordine m a t e riale della civiltà da fina eleganza di costumi , e dallo spettacolo d'una natura ridente, li traeva ad una viva e, quasi direi,religiosa ammirazione del bello,onde il pen siero dalla convenienza e armonia delle parti reali che genera il perfetto nei corpi,passava all'invisibile bellezza degli animi. M a in R o m a dove ogni istituzione fu vôlta sin da principio a rafforzare i legami che vincolavano il cittadino allo stato, e il rispetto delle relazioni civili superava a gran pezza gl'interessi domestici e il culto delle arti, regnava dominatrice siffatta la pubblica opi nione che in lei risedeva il solo e inappellabile arbitrio di giudicare le azioni. E per fermo i Greci considerando nella virtù la corrispondenza ideale che corre tra l'ar monia interiore dell'animo nostro e le forme più elette della natura sensibile,la nominarono bellezza, pei Romani la virtù sono quasi convenienza delle azioni colle leggi sociali. Laonde Cicerone che qui negli Officj la conside  148 cui mira quel libro, è un intendimento civile, e Tullio che lo compose dopo la morte di Cesare, quando to *nava per l'ultima volta nel fôro in difesa delle libere istituzioni, volle lasciare a suo figlio in luogo di testa mento il codice più compiuto della morale politica. A questo proposito nel libro degli Officj merita spe ciale considerazione una dottrina che pel modo in cui fu trattata da Tullio palesa un rispetto istorico,e un'atti nenza immediata colle istituzioni e coi costumi di R o m a . Tale è la dottrina del decoro (Tpétrov), esposta nel capi tolo XXVII del libro primo. Cicerone,osserva acutamente il Ritter, traduceva nei Paradossi la sentenza degli Stoici : crcpovovaysoró 2.016;ilsolobuonoèbello,collepa role: quod honestum sit,id solum bonum esse;onorabile è solamente ciò che è buono. Ora questo diverso concetto che i Greci e i Latini s'erano fatto della virtù, e che più volte ritorna nel De officiis, come in quel libro in cui Cicerone conformò forse maggiormente le sue dottrine morali al pensare e al sentire romano , si spiega assai facilmente ricorrendo alla Storia.   rava in un rispetto quasi esclusivamente civile, l'accom pagnava al decoro, o vogliam dire a quella luce esterna di onoratezza , onde la stessa virtù si porgeva all'ammi razione della pubblica coscienza. Considerato per questo rispetto, il libro D e officiis, mentre si attiene alle altre opere speculative, presenta nelle sue parti più sostanziale un vero ordinamento di scienza. Il filosofo latino seguì liberamente Panezio, e perchè autore di un ottimo libro intorno agli Officj, adesso perduto, e perchè assai temperato nelle dottrine dello stoicismo,come portava l'età.Da Panezio,eforseda Pos sidonio, continuatore di lui, trasse in gran parte le dot trine intorno all'onesto ed all'utile, che offrono soggetto ai due primi libri, e v’aggiunse del proprio la materia del terzo, ovvero il combattimento dell’utile coll'onesto, omessa dallo scrittore greco. La parte più bella e più filosofica di tutto il trat tato, e dove splende più pura la nobiltà dell'animo di Cicerone, è quella dov'egli toccando le relazioni della politica colla morale, biasima altamente quei fatti, nei quali l'interesse dell'utile pubblico avanzò le norme della giustizia e della onestà, e propone al figlio i più sui blimi esempj dell'antica virtù ne'quali l'animo ritem prando possa uscire incontaminato dalle scelleratezze dei tempi. E i tempi dovevano esser tristi davvero, se con sideriamo parecchj esempjd'ingiustizia contemporanea che Tullio ricorda al suo Marco, e ch'egli sebbene commessi da uomini potentissimi nella repubblica e amici suoi, ge nerosamente condanna.Nè dee far maraviglia che fosse cosìa chiconsidericomeildisgiungersidellamoraledalla scienza di stato è uno dei maggiori indizj della corru zione civile, e che tutto allora in R o m a precipitava a ro vina, religione, costumi, esercito , cittadinanza, popolo, senato, magistrati, privati ; e in quel rovescio d'ogni cosa e divina poneva i fondamenti sanguinosi la ti rannide degli imperatori. Nel terzo libro, discorse le attinenze della politica colla morale, passa il filosofo latino alle attinenze della  149 umana   morale colle altre scienze sociali, la Giurisprudenza e l'Economia. In queste pagine di Tullio, a sempre più smentire l'opinione di quelli che non trovano nei giure consulti romani le tracce d'una profonda speculazione,si vede chiaramente come la giurisprudenza latina, benchè costituisse da sè stessa un vero e proprio corpo di scienza con norme immutabili e fisse, con ordine scienziale di dottrine, desumeva da'principj della filosofia i suoi fon damenti ; il che mostra Cicerone citando parecchie que stioni esaminate dagli antichi giureconsulti, e definite con formule certe che più tardi assunsero la forza di legge.La qual cosa apparisce vie più manifesta quando ne' seguenti capitoli Tullio, dopo definite alcune questioni di morale, appellandosene al testimonio della coscienza e della retta ragione,quasi a riprova di quei principj ne cerca il riscontro nella più antica e venerata delle legislazioni romane, nella legge delle XII Tavole. Questo ricorrere ai più vetusti testimonj, oltrechè era proprio al metodo di Cicerone,che cercava nell'antichità più presso all'origine divina,le verità naturali più schiet te,e le prime tradizioni,ha qui un'importanza d'oppor tunità, perchè egli di fronte alla corruzione della morale civile voleva additare lo scadimento della repubblica. Lo che è chiaro in tutto il libro; chiarissimo poi dove avendo citato gli esempj di Fabbrizio e di Cammillo e dell'antico senato romano,soggiunge l'infamia di L. Silla che coll'autorità del senato raggravava i dazj antichi so pra alcuni popoli che se n'erano sciolti pagando, nè r e s t i t u i v a il d a n a r o ; e p r o r o m p e c o n m o b i l e s d e g n o : p i r a tarum enim melior fides quam senatus ! Il De officiis accolto nelle scuole d'Europa sino dal primo risorgimento delle lettere antiche, e stampato per la prima volta a Magonza il 1465, levò di sè tanta fama da affaticare per ogni tempo l'acume degli eru diti e dei commentatori. Un esame critico di questo trattato, che Paolo Janet chiama « il più belmonumento filosofico della letteratura latina, » fu recentemente pro posto dall'Accademia delle scienze morali e politiche  150   151 di Francia,e ne usciva nel 1865 il libro del signor Arthur Desjardins col titolo : Les devoirs, essai sur la morale de Cicéron . In quest'opera ricca d'ingegno, di filosofia e di larga dottrina in ogni parte della giuris prudenza e delle lettere antiche,l'autore con utile esem pio, che vorremmo rinnovato in Italia, prende a esami nare largamente il libro D e officiis, ne mostra le varie attinenze coi principj supremi della morale tulliana, e lo confronta coi migliori filosofi antichi, e coi giurecon sulti moderni. È un lavoro di critica larga e profonda, in cui la gravità del soggetto è abbellita dallo stile ele gantemente sereno. E accresce lode al critico francese la schietta imparzialità dei giudizj, onde egli intento solo a conoscere la verità, difese da ingiuste accuse la fama del grande oratore, ne osservò opportunamente le omissioni o la brevità soverchia per quel che risguarda i doveri verso Dio,la famiglia e noi stessi, e rappresentò il De officiis come un codice compiuto di Etica civile, in cui si ragiona dei doveri del cittadino verso lo Stato,e il concetto della umana famiglia e della carità universale perviene a tale altezza da annunciarci vicino il grande rinnovamento dell'Evangelo.  5. Dai principj della filosofia civile e dai precetti par ticolari intorno ai costumi si varca alla teorica dello Stato . Questafuesposta da Ciceronenel De republica,giudicato universalmente dai critici come una delle opere le più ori ginali del nostro autore.Gran parte ne andò sventu ratamente perduta,ma le reliquie del primo e del se condo libro fanno assai splendida testimonianza che l'ora tore latino vi avea diffuse largamente le memorie della antichità greca,legrazieseveredell'eloquenza,eigrandi insegnamenti della vita politica. Quando prese a trattare dello Stato,egli avea innanzi a sè due scuole egualmente illustri, egualmente seguite dagli scrittori: la scuola di Platone e la scuola d'Aristotele. Ma ei dovette certo considerare che l'ingegno dell’Ateniese, poderoso d'in venzione e di veduta speculativa, non intese forse nei termini del vero le attinenze della filosofia colla politica.   Il merito insigne di aver sostituito alle dottrine ideali l'autorità degli esempj, è pur quello della Repubblica di Cicerone. In quest'opera, spartita in sei libri, e condotta conlargaunitàdidisegno,ilgrandeoratoreimitò Pla tone nella forma letteraria e nel tono dello stile, del resto si attenne al metodo aristotelico ; e volendo fare opera nonsoloutileallelettere,ma vantaggiosaallapatriae alle più lontanegenerazioni,incarnòisuoiprecettinelgrande esempio di R o m a . L a dottrina sui reggimenti civili si r i duce alla disputa delle tre forme monarchica, aristocra tica e popolare, alle quali egli preferiva la mista, invo cando le ragioni d'Aristotele e di Polibio e tutta quanta la storia di Roma. 6. Da queste premesse esce a compimento delle dot trine morali la disputa sull'immortalità.E qui Cicerone lasciando al tutto le orme dei Greci, seguì l'indole pro pria e della sua nazione, e fece di quel problema una vera e compiuta dottrina. Forse l'incertezza in cui aveano la sciata la controversia sui destini dell'anima i panteisti  152 La quale, mentre ha bisogno per disegnare e applicare le civili istituzioni di ricorrere talvolta ai principj uni versali della natura,non può trascurare per altro nel l'ordine dei fatti le imperfezioni dell'essere umano, e quella lunga serie d'esperienze infelici per cui soltanto nella storia dei popoli si perviene ad applicare le istitu zioni alle necessità dei tempi. A questo metodo, chiamato da'Cesare Balbo un metodo razionale, si opponeva l'altro sperimentale d'Aristotele. Il filosofo di Stagira, disposto per natura d'ingegno a un accordo più perfetto della spe culazione col senno civile,e cresciuto alla scuola di Fi lippo e d'Alessandro, intravide con occhio più fermo le armonie delle dottrine scientifiche coll'esperienza, applicó alla scienza dello Stato quell'analisi sicura e paziente che negli ordini del pensiero e della natura lo avea condotto a creare la logica e la fisica; raccolse da ogni parte gli esempj dei governi migliori, li ordinò, li paragon ), li ridusse a principi, e ne trasse la sua Politica fonda mento della scienza civile.   Ma ataliprovediragioneedifattoaltreseneag giungevano per lui desunte dall'affetto individuale e civile. L'indole del suo ingegno, inclinato a quanto v'ha di più grande e di più sublime nelle opere della natura e di Dio, gli svegliava nell'animo un vivo desiderio dei sommi estinti, e massimamente di quelli la cui vita consacrata alla patria nelle scienze,nelle lettere,nelle arti,nei p u b b l i c i n e g o z j , li r a c c o m a n d a v a a l l a r i c o n o s c e n z a d i R o m a . Gran parte,e la più bella forse della sua vita,s'era pas sata nella società di quei grandi ; chè molti n'avea co nosciuti da giovinetto, e seguiti nello studio delle leggi e nella pratica del fôro; di molti avea udito favellare al padre e agli zii paterni, m a di tutti gli restava impressa nell'anima una memoria viva e costante, siccome di per sone domestiche e care.La vita lungamente agitata nei pubblici affari in tempi di grandi rivolgimenti, non gli tolse quest'abito di ritornare sul passato, e perchè vi pendeva l'animo naturalmente mite, e disposto a racco gliersi in sè stesso, e perchè la sua parte di conservatore lo menava in politica a desiderare il ritorno della virtù e d e g l i a n t i c h i c o s t u m i. P i ù t a r d i l e s v e n t u r e d e l l a p a t r i a lo strinsero a ritirarsi dalla vita pubblica, e allora la fantasia nutrita negli studj speculativi gli consolava spesso colle grandi memorie i dolori civili e le meditazioni della scienza. E quindi si spiega perchè quelle meditazioni,in cambio di riuscire una fredda copia delle opere greche, gli si convertivano spesso in dialoghi vivi e passionati,e l'abito di conversare coi s o m m i estinti gliene porgesse gli interlocutori, e si spiega altresì come la dottrina del l'immortalità occupi tanta parte nel Sogno dell’Affricano  153 e dualisti italici e greci, contribuì non poco a svogliarlo d'immaginarie astrazioni, e volgerlo a una via più sicura. Fatto è che nelle Tusculane,ma più nel De republica e negli opuscoli popolari della Vecchiezza e dell'Amicizia, egli chiese di preferenza le prove dell'immortalità alla coscienza morale, alle antiche tradizioni, ai riti delle tombe, al desiderio, connaturato nell'uomo, del divino e dell'assoluto.   154 e nel Catone Maggiore, dov'egli imitando il Socrate di Platone, paragonava sè stesso ai sommi che l'avean preceduto, e si consolava di speranze immortali.  Un'altra occasione, opportuna a indirizzare le medita zioni del nostro filosofo sulla controversia dell'immorta lità, e a dettargli intorno al soggetto affettuosi e mesti pensieri, fu per certo la morte della sua Tullia, avvenuta il mese di Febbraio dell'anno 709. Nelle solitudini della sua villa presso Astura, là dove avea in animo d'inal zare un tempio alla figlia perduta, egli scrisse un libretto che poco appresso indirizzò ad Attico, e che intitolava Consolazione. Su questo libro,adesso perduto,gli eruditi studiarono a lungo,e dai pochi frammenti che Cicerone stesso ci conservava ,e da quel che ne dissero parecchj scrit tori antichi,in special modo Lattanzio nelle Istituzioni di vine,tentarono restituire per sommi capi il disegno gene rale e lo spartimento delle materie. Francesco Schneider ne ragionava in una sua dissertazione dottorale del l'anno 1835 ,dove suppose Cicerone avere trattato a lungo dell'immortalità degli spiriti nell'opera della Consolazione, come apparisce in gran parte dal primo libro delle Tusco lane.La quale supposizione, che riteniamo a buon dritto per certa,ci fa grandemente deplorare la perdita di questo monumento della letteratura latina,una forse delle opere più originali di Cicerone,e da mostrare come il desiderio della figlia perduta gli volgesse a più gravi e più solenni ispirazioni l'ingegno naturalmente fecondo.   CICERONE;LORO PARTE NELLA STORIA DELLA FILOSOFIA. CONCLUSIONE . 1. Può sembrare opportuno ai lettori (se pure ne avemmo in questo esame della filosofia di M. Tullio) che noi dopo aver discorso delle scuole precedenti o contem poranee all'oratore latino,del suo metodo e concetto della scienza e finalmente dei libri fisici, logici e morali, con sideriamo adesso sotto un rispetto più universale il valore speculativoel'indoledellesue dottrine.La qual cosa,ol tre all'essere richiesta dalle leggi severe delle discipline scientifiche, in cui l'uso della sintesi non deve mai scom pagnarsi da quello dell'analisi,si porge opportuna a con futare l'accusa, che da alcuno potrebbe esserci mossa ,di attribuire al più grande degli oratori latini una potenza d'ingegno speculativo che mai per avventura non ebbe. La critica intorno alle opere dottrinali di Cicerone, ne gletta dagli eruditi e dagli storici più antichi, e infor mata a una severità eccessiva da quelli del secolo scorso e del presente, è tempo ormai che ritorni a più maturo esameeapiùimparzialigiudizj.Ma ciòammesso,non resta men fermo quell'altro supremo pronunziato che Tacito invocava eloquentemente in un'età scellerata come  PARTE TERZA. INDOLE, VALORE SPECULATIVO E FONTI DELLE DOTTRINE DI I.   156 norma dell'ottima condotta civile, e che comanda allo spirito umano di seguire una via lontana del pari dalla venerazione cieca, e dal disprezzo non ragionevole del l'autorità. A questa via ci siamo attenuti nell'esame delle opere di Cicerone.E non pertanto al critico che prende in mano quei suoi scritti così varj, così fecondi, dove si mesce tanta parte della vita e delle memorie latine, soprag giungono di tratto in tratto infinite difficoltà; non ultima per certo quella, avvertita altra volta da noi, di accom pagnarlo nell'indagine di tanti sistemi discordi, di racco glierne le sparse dottrine,e quindi ricomporle nell'armonia dei principj e delle conseguenze. La imparzialità delle opinioni, e il largo apprezzamento di quel tanto di vero e di buono, che si trova sempre in ogni sistema,mentre costituisce un pregio capitale della filosofia di Cicerone, fa sì che ella non si porga sempre favorevolmente al giudizio della critica odierna,la quale troppo più spesso vien cercando nelle materie speculative lo stupore delle invenzioni, anzichè la legittima novità dell'esame e delle attinenze scientifiche. Ma per contrario nulla v'è d'in ventato, nulla di strano nella filosofia di Marco Tullio. Ella è la filosofia del senso comune e delle grandi tra dizioni, la quale, per definirla con uno dei nostri filosofi, « non presume in alcuna cosa di saperne più là della stessa natura:ma di questa,invece, si dichiara attenta disce pola, e ne accetta i pronunziati siccome oracoli;.... filo sofia tanto riguardosa e modesta, quanto serena e sicura nei suoi giudicj,e della quale fu detto averla Socrate pri mamente levata dal cielo,e condotta a conversare fami g l i a r m e n t e i n m e z z o a g l i u o m i n i . » ( M a m i a n i , C o n f ., p . 2 4 , vol. I.) Tale è l'indole vera della filosofia di Marco Tullio; e contuttociò crediamo avere abbastanza mostrato in que sto nostro lavoro, come alla semplicità de'principj e dei metodi si congiunga,segnatamente nella parte morale,il procedimento rigoroso e l'unità di scienza.  Coloro poi che misurano il valore degli ingegni spe culativi dall'ardimento delle innovazioni, e giudicano   Marco Tullio una povera mente perchè dice egli stesso di professare dottrine non arroganti, e non molto disco ste dalle opinioni popolari, non hanno considerato a b bastanza in quanti modi si possa esercitare la spontaneità del pensiero nelle materie scientifiche. V'hanno infatti di quelle filosofie che esaminando e sindacando combattono gli errori de'tempi loro;ve ne hanno altre che esponendo un nuovo ordine di pensieri, ricostituiscono sopra diversi fondamenti l'edifizio scientifico;e nell'un caso e nell'al tro l'intelletto del filosofo è attivo nelle materie esami nate od esposte, e in quella efficacia speculativa v'ha pure sempre del nuovo. La critica e l'esposizione delle dottrine speculative, sebbene quanto alla forma estrin seca de pensieri sia opera d'arte, quanto alla materia è un esercizio rigoroso di ragionamento e di filosofia; im perocchè al critico, se non vuol fermarsi nella superficie, m a penetrare nel fondo e nell'anima delle cose,convenga rifare,a dir così,il concetto dell'autore e trasformarsi in lui stesso,convenga svelare illegame intimo che annoda le idee principali, concepirne una moltitudine di acces sorie, da cui soltanto rampollano quelle, vedere i trapassi e le attinenze più remote tra concetto e concetto,e scom posta la totalità del sistema, ricomporla poi novamente colla viva efficacia del suo pensiero. Apparisce da queste considerazioni che la novità e il valore speculativo delle dottrine di Tullio si potrebbe soltanto dedurre dalla critica assennata, e spesso profonda, ch'e'fece delle dottrine a n tecedenti e contemporanee, raccogliendo con rara lar ghezza di principj e d'esame quanto di meglio gli por gevano le scuole greche, per suggellarlo dell'impronta latina,e svogliare iconnazionali della imitazionede'fo restieri. Questa parte espositiva e confutativa delle greche dottrine, che tanto prevale nei libri tulliani, noi la m o strammo contrapponendo ai pensieri proprj del sommo oratore l'analisi de'sistemi da lui combattuti ed esposti; e tanto più perchè sappiamo essersi affermato piùvolte da critici insigni che mancò a Cicerone una notizia pro fonda della filosofia greca, mentre è cosa omai notissima  157   Cicerone adunque può innanzi tutto considerarsi come un istorico insigne della filosofia, degno d'essere raggua gliato con Aristotele e con Platone per l'ampio studio delle dottrine antecedenti e contemporanee. Chè se dai critici più recenti è tenuto a ragione come fonte non principale di storia, perchè spesso allega testi divisi, e perchè l'indole della sua riflessione scientifica lo menava non di rado,come Platone,a suggellare del proprio pen siero le dottrine d'altri sistemi, ogni età debbe essergli riconoscente d'aver campato tanta e sì nobile parte delle greche meditazioni dalla ingiuria de'tempi e dalla b a r barie degli uomini. M a d'altro canto, dopo una lettura ben considerata degli scritti tulliani, può egli negarsi che vi si rinvenga una parte dommatica, e un esercizio suo proprio della riflessione speculativa ? A una simile domanda ci sembra avere bastantemente soddisfatto nella parte antecedente di questo discorso coll'esporre ilmetodo di Cicerone nelle principali teoriche della scienza; e qui facemmo manife sto come un tal metodo di fina osservazione consistesse per lui nel ridurre ai semplici elementi delle verità prin cipali i sistemi, e, sceverati gli errori, comporre un'altra volta quelle verità nell'ordine del sapere. Difficile i m presa,che in tempi funesti alla scienza ricercava un in gegno universale, e un potente esercizio della riflessione. La quale,adoperata da Tullio al lume dell'evidenza in teriore, lo condusse a salvare dal naufragio dello scetti cismo le più nobili parti delle dottrine speculative.In Fisica mantenne la distinzione, quantunque non piena, tra il finito e l'infinito, il contingente e il necessario, la n a t u r a e il d i v i n o , l ' e s i s t e n z a d i D i o , d e l l ' u n i v e r s o e d e l l'uomo, la natura delle cose corporee inferiori alle spi rituali e all'eterne, l'ordine universale, la eccellenza della  - '158 nelle storie che la critica degli antichi scrittori, segna tamente per opera degli Alessandrini,fioriva ai tempi di lui, eruditissimo nella lingua de'Greci, da cui tradusse più libri di letteratura e di scienza, e che indirizzava i suoi scritti ai più culti ingegni di R o m a .   159 r a g i o n e , il l i b e r o a r b i t r i o e l ' i m m o r t a l i t à . I n L o g i c a t e n n e salda la capacità del conoscimento a cogliere il vero, il concetto di potenza, i sommi principj della ragione, la evidenza interiore, la distinzione tra senso e intelletto e il metodo inventivo delle conoscenze. Nella Morale al lume dei sentimenti interiori e del senso comune ricom poseilsistemaperfettodiquellascienza,e salendocon metodo induttivo dalle tendenze e dai fini della natura all'oggetto universale di legge e di dovere, ne seppe d e durre tutto l'ordine dei veri relativi alla famiglia, all'in dividuo e allo stato.Veramente se ad un uomo,apparso in quella età quando tutta la scienza,divenuta un pro blema, si lacerava fra i delirj di una moltitudine di so fisti, nasca il pensiero di ricomporla a sistema, e riassu mendo l'impresa di Socrate,raccolga le verità principali in una sintesi vasta; e se vissuto in mezzo ai pregiudizj di un patriziato superbo, e in tempi d'ateismo e di co stumi nefandi, egli invochi a soccorso della riflessione speculativa l'esame delle antiche tradizioni e delle verità fontali, contenute nella coscienza del genere u m a n o e nei piùnobiliaffetti,aquest'uomo,parmi,non sipossane g a r e il n o m e d i f i l o s o f o g r a n d e . L ' i n d a g i n e d e i d o m m i p r i mitivi e dei sentimenti nella natura e nel linguaggio dei popoli voleva in Cicerone un ingegno forte e addestrato a meditare, e un uso continuo dell'osservazione interiore. Del che sono splendido testimonio le Orazioni, l’Epistole, il primo libro delle Tusculane , il secondo e il quinto dei Fini e il proemio delle Leggi ; che esposti senza preoc cupazione rettificherebbero d'assai il giudizio sul valore speculativo dei suoi libri, e mostrerebbero com'egli esa minasse con vero criterio di scienza l'umana natura nelle varie età,nelle diseguaglianze de'sessi,degl'ingegni e de gli ordini civili, e sino dall'alto della tribuna, o seduto agli spettacoli del circo cogliesse le verità eterne della coscienza nelle manifestazioni spontanee del sentimento popolare . Parecchj critici di Cicerone,e segnatamente quelli che gli negano ogni facoltà d'ingegno speculativo,non hanno    160 inoltre considerato qual uso ei facesse della tradizione scientifica,e come, movendo dalla coscienza, contrappo nesse all'esame imperfetto e negativo de sistemi un esame comprensivo di tutto il sapere. Dissi più volte ch'egli moveva dalla coscienza ; e questo fatto dell'osservazione interiore, manifestissimo nelnostro filosofo,ogni volta che egli prende a trattare importanti materie morali, non può mai andare disgiunto nell'esame compiuto dei suoi scritti dallo studio ch'e'fece de'sistemi antecedenti e contem poranei, perchè ci porge la più intima ragione del suo metodo esterno, chiamato da molti impropriamente un eclettismo;e ci spiega come nella viva armonia dell'animo umano egli cercasse quell'unità informatrice delle sue dottrine,che il metodo sincretico d'Antioco e d'altri eru diti avrebbe indarno aspettato dall'accozzamento inge gnoso di cento scuole. Certo Cicerone non ebbe quella potenza inventrice d'ingegno speculativo, e quella rara f e l i c i t à d e g l i a r d i m e n t i m e t a f i s i c i, c h e e b b e r o S o c r a t e , P l a tone,Aristotele tra gli antichi,e tra imoderni Renato Cartesio, Emanuele Kant e G. Batt.Vico. Il suo ingegno non altrettanto acuto, rapido e penetrativo, quanto uni versale,comprensivo e solenne,più che in escogitare nuove dottrine, e in architettare sistemi mirabili per ipotesi a u daci e tirati a filo rigoroso di logica, piacevasi nel sot toporre ad esame le antiche dottrine,sceverarne gli errori, ribatterne le istanze,scoprire nuove armonie della ra gionescientificacolsensocomune,e iltuttopoi ricom porre in un vasto disegno di scienza concorde colle arti, coi costumi e colla vita civile. Nel che mirabilmente lo secondavano itempi.Allora,come era avvenuto nel secolo di Socrate,e come per molte parti accade ora nel nostro, si manifestava nella condizione delle discipline morali un'imperiosa necessità di riforma. L'eccesso delle specu lazioni avea spossati gl'ingegni, e la scienza e l'arte tor navano al vero della natura,unica fonte delle opere grandi. Era dunque suprema necessità deporre la vana superbia delle innovazioni assolute, farsi discepoli della natura, tornare agli adagj della sapienza popolare, e chiedere    alla tradizione de savj, non già il supremo criterio del vero,m a il sindacato delle opinioni attinto nella coscienza più eletta del genere umano. Tale è la parte modesta, e a un tempo solenne, che Marco Tullio rappresenta nella storia della filosofia. Se ne'suoi scritti prevale il criterio della tradizione scien tifica, perchè poco o nulla rimaneva da aggiungere alle speculazioni dei filosofi greci ; e se, parlando ai concitta dini innamorati della letteratura e delle dottrine stra niere, si mostra studioso al sommo dell'altrui autorità, confessa però nel 1° degli Offici, ch'e'non seguiva gli a n tichi come interprete, m a per proprio arbitrio e con li bero esame attingeva ai loro fonti. È scritto nel primo dei Fini che egli sosteneva quelle dottrine soltanto che erano approvate da lui,e vi aggiungeva un ordine pro prio di scrivere. Come poi quest'ordine di scrivere (si gnificante non altro che un ordine di pensieri) si esten desse per lui al collegamento necessario di tutta la scienza, te lo dice in quelle parole dei Tuscolani (II, 1): « D i f ficile est in philosophia pauca esse einota,cui non sint aut pleraque aut omnia.»  161 Noi dunque invitiamo gli studiosi delle lettere e della filosofia antica a prendere in più seria considerazione quella sentenza, divenuta pur troppo comune , che fa del filosofo latino non più che un seguace d'Antioco, e un modesto raccoglitore delle dottrine greche. Di quanto in tervallo egli si lasciasse discosti i migliori filosofi greci contemporanei può apparire assai manifesto a chi ricordi quanto è detto nella prima parte di questo discorso. Fra i latini poi non sapremmo chi contrapporgli,se non forse il dottissimo M. Terenzio Varrone suo familiare, rammen tato nel primo degli Accademici,e della cui filosofia per altro o poco o nulla sappiamo. Veramente, ammesso che l'oratore romano fosse un eclettico, nella schietta e ger mana significazionedellaparola,eglinon solo(siconsideri bene ) avrebbe dovuto accettare le principali dottrine della scienza tal quali gliele porgeva la Grecia, senza nulla mutare o innovare,ma l'autorità della tradizione scien 11   tifica sarebbe stata per lui unico e assoluto criterio per venire dall'opinione al sapere.Ma per contrario, esami nando nella loro pienezza le dottrine di Tullio, si vede ch'egli, anzichè inchinarsi a servile imitazione, intese l'uso dell'autorità come un legittimo ossequio della ra gione al vero riconosciuto per altrui testimonianza, e propose a sè stesso il gran problema (chiarito poi dai moderni) del passaggio dalla certezza naturale o volgare alla certezza scientifica. Pensatore e scrittore di cose fi losofiche in una età in cui la scienza si divideva tra un dommatismo eccessivo e uno scetticismo quasi assoluto, stimò che avrebbe ben meritato dell'umana ragione e della patria,seguendo una filosofia modesta in mezzo agli estremi del tutto credere e del tutto negare ; e scelse a suo metodo la verosimiglianza della Nuova Accademia senza parteciparne lo scetticismo. Condotto da questo metodo in mezzo alla confusione dei sistemi e alle rovine dell'edifizio scientifico, ne sottopose ad esame le princi pali dottrine, e nelle parti incerte e dubbiose ammise più gradi di verosimiglianza; le verità d'evidenza interiore affermò risoluto. Nella fisica sperimentale non ebbe che verosimiglianze; in teologia naturale, in cosmologia,in psicologia ed in logica ondeggiò tra il verosimile e il certo; nella morale soggettiva e oggettiva, nelle teoriche del Diritto e dello Stato si volse alla luce innegabile della coscienza e affermò con certezza assoluta. Talchè in cia scuna parte delle sue dottrine, e nella successione delle tre parti fra loro si nota quest'ordine di gradi che vanno dal verosimile al certo. Tale procedimento, che si attiene all'intimo del suo pensiero speculativo,l'osservi anche talvolta nella forma estrinseca e nell'ordine logi cale delle dottrine.Imperciocchè,mentre isuoi scrittisono per la maggior parte inquisitivi e disputativi,e la disputa ferve specialmente nelle teoriche dell'essere e del cono scere e nei principj della teorica dell'operare, quanto più procediamo nell'esame di questa, e dai giudizj dei sistemi particolari e dalle pure opinioni ci leviamo al concetto di Dio, che pose nell'umana ragione,a testimonianza di sè  162   163 stesso,laleggemorale,lacontroversia gradopergrado diminuisce,e questa parte,cominciata col De finibus,dia logo contenzioso, segue col D e legibus e col D e officiis, opere espositive, terminando colle dottrine della Repub blica, e co'dialoghi popolari dell'Amicizia e della V e c chiezza. Esaminando nella successione dei libri fisici, dialettici e morali questo procedimento del pensiero di Tullio, le sue dottrine ci rappresentano quasi un tentativo di ricom porre la filosofia nell'ordine perfetto delle conoscenze. Fu provato assai largamente nel Capitolo primo della seconda parte, e in più luoghi delle dottrine morali, come il nostro filosofo concepisse chiara la relazione che inter cede tra la pienezza del soggetto scientifico, su cui si volge il pensiero, e la unità oggettiva de'principj che danno legamento e connessione rigorosa alla scienzaprima. Certo,checchè ne dicano il Brucker e il Bernhardy (il secondo de'quali afferma che gli ultimi fondamenti del sapere rimasero dubbiosi per Cicerone),apparisce evidente dai libri morali che il nostro oratore seguendo la ragione informatrice del sistema platonico e dell'Etica di Zenone, intese la sovranità dell'idea del Buono nell'ordine delle cognizioni, e cercò in quel principio la più vasta di tutte le sintesi, che gli porgesse unificata e spiegata nelle più remote sue applicazioni tutta la scienza. La qual cosa crediamo avere posta sufficientemente in chiaro, esami nando il dialogo delle Leggi.  Ma il por mente a questa unità informatrice delle dottrine tulliane, ci spiana la via per vedere come il suo metodo conciliativo delle scuole particolari si risolvesse inun criteriointrinsecodiragione.Quistaildivario es senziale tra la filosofia di Cicerone e la filosofia degli eclettici. L'eclettico infatti raccogliendo le sue dottrine da sistemi contradittorj e infetti sostanzialmente d'errore, come non può sperare di levarsi mai colla riflessione a principj assoluti di scienza, così è costretto a scambiare la vera filosofia,che è semplice ed una,con un viluppo di multiformi dottrine senz'armonia e senz'accordo. La   verità,cheèingenita,assoluta,immortale,nonpuò uscire in eterno dall'accozzo fortuito del falso; e la scelta a b bandonata a sè stessa e senza un criterio intrinseco ed uno, mancherà sempre di principj saldi, universali, apodittici. La qual cosa non conobbe abbastanza quella scuola fran cese,fiorita nella prima metà di questo secolo, e a cui giu stamente si attribuisce la lode di avere spento il sensismo, e restaurati gli studj istorici della filosofia nella nostra Europa, quando sentenziava che i sistemi più avversi si compiono tra loro, e che lo spirito umano procede d'er rore in errore per cammino non interrotto alle armonie della Scienza prima. Ma Cicerone intese ben altrimenti il principio costi tutivo delle sue dottrine. Per lui la tradizione scientifica trovava un riscontro nell'esame immediato dei fatti in terni, e quindi egli desunse il criterio con cui variamente conciliava i sistemi. Ora a questo criterio che è la parte propria ed originale di sua dottrina, e che rappresenta un vero esercizio dell'indagine filosofale nel sindacato delle scuole particolari,fa d'uopo aver l'occhio per ve dere come e quanto egli attingesse ai fonti delle opere greche. Sennonchè in tal questione, come osserva il Kuehner, che ne disputava a lungo, e con rara diligenza, si affacciano naturalmente non lievi difficoltà. In primo luogo, perchè M. Tullio, fornito di varia e multiforme erudizione, volse in proprio uso tutte le migliori dottrine dell'antichità italica e greca; secondariamente, perchè parlando di un dato soggetto, non se ne stava contento all'autorità di un solo autore, m a interrogava la m a g gior parte di quelli che ne avevano trattato, moltissimi tra’ quali andarono per noi sventuratamente perduti ; e infine perchè il nostro filosofo o tace non di rado, o accenna di passaggio i fonti a cui attinse, o soltanto rammenta gli autori quando gli accade di confutarli. Passando poi a determinare il metodo con cui Cicerone attinse ai greci filosofi, osserva giustamente il critico te desco che questo metodo si esercitava in tre maniere. Traduceva egli dal greco, trasportando liberamente in  164   165 latino, tanto (come egli stesso ci avverte nell'operetta De optimo genere oratorum ) da serbare il colorito e la forza nativa del testo. Nelle altre opere filosofiche segui principalmente un solo autore, adoperandovi sopra con libera efficacia di riflessione ilsuo giudizio,e componendo le materie con proprio ordine di pensieri;ricorse ad altri scrittori ove quello che seguiva fosse riuscito mancante, e v'aggiunse del proprio.Era altresì suo costume inter rogare varj libri che avean preso a trattare un m e d e simo soggetto, e ove fosse stato possibile il conciliarli, trar fuori dalle loro dottrine un tutto perfettamente connesso ed armonizzato.Quindi,prosegue ilKuehner,è necessario al critico di Cicerone avvertire con diligenza gli scrittori da lui citati e accennati, raffrontare spesso i suoi libri coi grandi monumenti dell'antica filosofia, che ci pervennero intatti, osservare quello ch'egli trasse dai suoi maestri,e non piccola luce daranno le congetture assennate e prudenti.  Esposte queste norme più generali di critica, noi non seguiremo più oltre l'erudito tedesco nell'indagine minuta intorno alle fonti delle dottrine tulliane. Tale indagine infatti, oltrechè si allontanerebbe di troppo dal l'indole speculativa e dai confini di questo scritto,e riu scirebbe inutile al tutto per noi che non neghiamo avere il filosofo latino attinto le sue dottrine migliori dall'an tichità greca, è piena altresì d'incertezza e di congetture là dove i fonti originali andarono perduti, e dove riesce difficile lo sceverare quanto appartiene all'ingegno del nostro filosofo, e quanto debba invece attribuirsi all'au torità stessa dei Greci. Del resto, concludendo coll'au tore della dissertazione, M. Tullio ne'libri fisici, e in special modo nella disputa sull'immortalità,seguì princi palmente Platone ; nei libri logici e nella questione sul criterio della verosimiglianza e sulla percezione sensitiva , attinse dal Portico e dalla Nuova Accademia ; nei libri morali poi, discepolo degli Stoici e dell'Antica Accade mia e del Peripato per ciò che risguarda le dottrine speculative del bene e della legge, nelle materie politi   che e civili seguì a preferenza Aristotele,Teofrasto e P o libio. L a qual cosa per altro vuole essere intesa discre tamente ; poichè, a considerare bene il metodo con cui egli c o m p o s e i v a r j s i s t e m i, s i v e d e c h e , s e b b e n e i n p i ù l u o ghi attinse separatamente dagli Stoici e da Platone,tut tavia la natura dell'ingegno latino lo menava a tempe rare l'austerità degli Stoici colle massime dell'Ateniese ; il che fece in più luoghi, e segnatamente nel secondo libro della Natura degli Dei, e nel primo della Divina zione. Come poi usando le opere dei greci scrittori, è attingendo ai loro fonti la materia di sue dottrine, ei conservasse non pertanto la libertà dell'ingegno, con queste parole lo attesta il Kuehner : « Negari quidem non potest Ciceronem disputationes suas philosophicas e Graecorum fontibus hausisse ; sed græca non interpretis modo ad verbum in linguam latinam convertit,sed suum ipse iis adjunxit judicium,suum scribendi ordinem,viam rationemque atque orationis lumen.Reputemus nobiscum , quantum ingenii judiciique dexteritatis Cicero probaverit in hauriendis sapientiæ præceptis e græcorum philoso phorum monumentis. Nam ex omnibus omnium æta tum græcorum philosophorum disciplinis, ex hac ingenti materiæ quasi silva,ea delibavit,quæ ad fingendos mores sapientiæ præceptis,et ad omnem vitam conformandam vim omnino habebant saluberrimam. » (Epilogus). 2. Cicerone dunque , a riassumere il tutto in poche parole,non fu nè Stoico,nè Accademico, nè Peripate tico, m a fu vero Socratico con libertà di riflessione e di esame. Come Socrate, egli non compose un sistema per fetto di cognizioni, m a tentò una riforma; non pervenne agli estremi resultamenti delle indagini iniziate da lui, ma ne accennò la via più sicura;non chiuse tutta la scienza nell'ambito angusto d'un'ipotesi, d'un'inven zione o d'un fatto; m a assorgendo colla mente alla più feconda delle armonie scientifiche, che è la ragione m o rale, vedeva in un'occhiata spiegarsi da quella sintesi l'ordinamento necessario della scienza prima. Per certo l'ingegno onnipotente dell’Ateniese, la cui efficacia dura  166   da ventiquattro secoli nell'indirizzo delle dottrine specu lative, è unico esempio, e non mai superabile, nella storia della filosofia.Ma consideri un poco il lettore, come al filosofo romano,ingegno senza dubbio men vasto e meno inventivo, mentre si attraversavano per via le stesse dif ficoltà, e forse maggiori,non arrisero altrettanto propizie, quanto al greco, le condizioni dei tempi e dei pubblici costumi. Tullio non s'abbattè,come Socrate, ad un po polo,qual era quello d'Atene, poderoso della fantasia, supremamente inclinato da natura agli studj speculativi, e innamorato d’un amore infinito del bello e del per fetto.La gente romana,sebbene felicemente disposta a sentire ciò che è certo e applicabile fra i resultamenti dell'umano ingegno, sebbene disciplinata nelle deduzioni morali dal magistero dei Giureconsulti, ritenne per se coli quei costumi severi e quell'abito politico e militare, non facilmente conciliabile colla vita meditativa della scienza e dell'arte. Più tardi allorchè l'impero esteso a d u e t e r z i d e l m o n d o , e il v i v e r e a g i a t o , e l a n e c e s s i t à d i allontanare il pensiero dallo spettacolo della tirannia nascente, volgeva i migliori tra i Romani agli studj della filosofia, la Grecia, maestra ai vincitori d'ogni arte e di ogni disciplina civile, li trasse a sè, sviando la sponta neità degl'ingegni col facile diletto dell'imitazione.Chè, se ciò non può dirsi assolutamente delle lettere e delle scienze latine da chi consideri quel tanto d'originale che pur v'è nelle imitazioni di Lucrezio, di Catullo e di Virgi lio,e che sappiamo esservistato nei libridiVarrone,ora perduti,non resta men vero che tanta era laservitùdel pensiero ai tempi di Tullio da costringerlo a scusarsi pubblicamente per avere usata la propria lingua nelle materie speculative. Opera altamente civile, altamente romana fu adun que quella che imprese il nostro filosofo, procacciando di volgere il linguaggio latino alla significazione dei veri scientifici. Nel che, tanto più egli si mostrò gran maestro , quanto minori e maggiormente imperfetti erano gli esempi di coloro che l'avean preceduto. Amafinio e Rabirio  167   168 epicurei, rammentati da lui nel libro terzo delle Tusco lane (C. II),e ch'egli dice non averlettoneppure,scris sero primi di cose filosofiche in modo informe ed incolto. Più tardi Tito Lucrezio Caro esponeva splendidamente nelpoema De rerumnaturalafilosofiad'Epicuro;ma tutti questi scrittori, dei quali il secondo non era uscito dalle pastoje della poesia didascalica, non aveano potuto al certo esercitare un'alta efficacia sul linguaggio filo sofico di Roma,ristretti com'erano nelle cerchia d'un sistema povero e meschinamente sofistico.Noi dunque con corriamo ben volentieri nella sentenza del Ritter, assicu rando che soltanto ai tempi di Cicerone la filosofia volse in proprio uso l'idioma latino ; la qual cosa,per quanto è lecito pensarne ai moderni, può unicamente affermarsi dei libri di lui dove la lingua filosofica è già formata, e dove la parola si porge per modo mirabile ad ogni m o venza e inflessione del pensiero. L'impresa che Cicerone tentava, era dunque novissima, e l'istrumento ch'egli a v e v a f r a m a n o , il m e n o a c c o n c i o a c o m p i r l a . P e r c h è n o n si trattava già d'esporre le dottrine d'un solo filosofo, come avean fatto Amafinio, Rabirio e Lucrezio,ma con veniva volgersi a tutte le scuole, e addestrare il giovane linguaggio latino nell'intero ámbito della scienza.Talvolta, è vero, gli mancò la parola più appropriata al concetto, e ristretto entro i termini d'una lingua non disciplinata ancora nelle indagini troppo sottili, procedè incerto sulla significazione di qualche frase scientifica appresa dai Greci; m a nella maggior parte dei suoi scritti egli ebbe in grado supremo la facoltà di lumeggiare e colorire l'idea, e di far sì che il pensiero rispondesse nella p a rola, come figura bella in limpido specchio. Sentenziando ch'è vana impresa e da fanciulli voler dire con favella ornata le cose sottili, plane autem it perspicue posse, docti et intelligentis viri (D e fin ., III,5), seguì uno stile che fosse egualmente lontano dalla forma splendida degli oratori, e dalla aridità faticosa di parec chj contemporanei. Quinci egli trasse quel genere d'ora zione che negli Officj chiamò æquabile et temperatum .  8   L'ingegno universale e comprensivo di Cicerone a p parisce in ogni parte delle sue dottrine. Venuto , tuttora giovanissimo,inRoma,dove facevano capo le faccende d'Italia e del mondo,tollerante per natura delle altrui opinioni, e disposto a tolleranza maggiore dallo studio 1 Intorno allo stile filosofico di Cicerone scrisse con molta dottrina il prof. Michele Ferrucci, in un suo discorso De singolari merili di Cice g'one nella lingua ed cloquenza latina, edito recentemente in Pisa coi tipi del Nistri.  169 La severità della meditazione scientifica è in lui sempre solenne, m a variamente temperata dall'indole del sog getto;èsobriol'usodellemetafore;ilperiodo procede ora maestoso, ora interrotto, ora veloce, ora lento, a se conda della materia,e talvolta (come negli Accademici) imita il linguaggio familiare, talaltra (come nelle Tusco lane) sembra avvicinarsi piuttosto alla forma oratoria. Chi poi considerasse a parte a parte la varietà degli stili nelle opere differenti, osserverebbe potersi queste distin guere in più classi (modernamente in più maniere) cor rispondenti ai varj tempi in cui l'autore le scrisse. Il D e republica e il D e legibus, appartenenti al primo tempo, in cui egli era ancora indefessamente occupato nei negozj pubblici e del fôro, hanno più del carattere ora torio.Gli Accademici,ilDe finibus,ilDe natura deo rum,scritti nel 709 e 710 di Roma,poco prima e poco dopo la morte di Cesare, palesano uno studio delibe rato,continuo della severa forma speculativa; laddove nel De officiis, nel Cato Major e nel De amicitia t’av vedi come l'abito della meditazione e la lettura degli ottimi esemplari greci lo avessero condotto al miglior temperamento dello stile didattico colla forma oratoria. Imitatore delle melodie d'Iocrate, e innamorato dello splendore di Platone, ch'egli chiama il dio dei filosofi, lo seguì non soltanto nella forma estrinseca de' suoi trat tati, e nel metodo del dialogizzare, m a improntò sul Fedro, sulla Repubblica, sul Fedone, sulle Leggi i tratti più belli delle opere sue, rimasti fino a noi come uno dei monumenti più solenni delle lettere antiche.   170 imparziale che fece delle dottrine contemporanee, con trasse per tempo quell'abito universale d'osservazione, e quel sentimento delle armonie scientifiche, così vivo in ogni tempo nelle menti romane,in lui straordinario.Cre sciuto intempi funesti alla libertà,e testimone di quanti esilj e di quanto sangue contaminasse l'Italia la rabbia scellerata di Mario e di Silla, egli in mezzo allo strepito delle armi e all'imperversare delle civili discordie appli cava dì e notte con ardore inestimabile ad ogni genera zione di studj. Più tardi per restaurare la salute, inde bolita dalla pratica del fôro, si recò in Grecia, dove udì le scuole migliori, peragrò tutta l'Asia, si trattenne a Rodi,e tornava inpatria ammaestrato da una larga no tizia d’uomini e di cose,e dalla famigliaritàcoipiùpre stanti oratori. La sua eloquenza, nutrita negli spazj del l'Accademia, ebbe ampiezza misurata e solenne, tanto diversa dalla nervosa concisione di Demostene, e quale s'addiceva alla pienezza e solennità de'suoi pensieri.Ne la ragione intima dell'arte sua cirimane occulta,qualora si consideri nel De oratore, nel Bruto e nell'Orator il significato vastissimo ch'egli riferisce alla parola elo quenza. Quindi il largo concetto dell'unità del sapere, espresso in varj luoghi del D e oratore, e meglio in quella sentenza: « omnem doctrinam ingenuarum et humana rum artium uno quodam societatis vinculo contineri,» ci fa manifesto com'egli intendeva l'officio dello scrittore,e come nella sua vita di cittadino, d'oratore e di filosofo si mostrasse uno degli uomini più universali che mai siano apparsi nel mondo. Come uomo di stato, egli vagheggiò la carità univer sale del genere umano, e ne scrisse mirabili parole negli Offici e nelle Leggi.Giovane ancora,patrocinando lacausa di una donna Aretina, giustificò le pretensioni delle città italiane alla cittadinanza romana.Nel suo consolato sven tando la congiura di Catilina,salvava da pericolo certo e imminente la libertà di Roma,e tentava comporre l'or dine senatorio e l’equestre in un saldo partito contro il prevalere della fazione plebea.Come avvocato e come    oratore politico (così scrive di lui il Vannucci),«creò un nuovo genere d'eloquenza composto di tutto ciò che v'era di più bello a Roma e fra iGreci.Per giungere a questo con l'amore e con l'entusiasmo,che è padre di tutte le egregie cose, coltivò gli studj trascurati da altri, e con siderando che il poeta e l'oratore dal lato degli orna menti hanno, com'egli scrisse, molte cose comuni, con esercizj poetici ingentili e perfezionò lo stile latino. R i cercò i modelli più famosi dell'eloquenza romana,svolse i Greci,ne tradusse per suo uso le orazioni più belle.Sti mava che per esser grande oratore si vuol sapere ogni cosa,e avere tutte le dottrine come compagne e ministre. Quindi afforzò la sua ragione colle dottrine dei grandi filosofi, si arricchì della scienza del diritto, non lasciò niuno studio da banda ; e così apparecchiato rappresentò nel fôro la grandezza romana ingentilita dall'arte greca, e apparve come splendido esempio dell'oratore perfetto, di cui mandò a noi il ritratto ne'suoi scritti didattici.» (Studi storici e morali sulla letteratura latina, Firenze, F. Le Monnier, 1862.) Non è dunque maraviglia se, dis posto per abito di mente e per disciplina a sentire l’uni versalità in ogni cosa, espose più tardi ne'suoi scritti speculativi ilmeglio delle scuole greche,e tornando ai fon damenti e ai principj di tutto il sapere, vi cercò quel legame unitivo che desse vita e armonia alle sparse membra della tradizione scientifica. Seinluidopol'oratoreeilpoliticoconsideratel'uomo, dovrete riconoscere negli scritti speculativi profondamente scolpite le tracce del sentimento e dell'animo suo. In essi,quanto alla manifestazione degli affetti, ritrovi quella sua schiettezza d'indole generosa, quegli amori potenti di gloria, di famiglia e di patria, quell'abbandono di t e nerezza,ond'era caro finchè visse ad ogni anima gen tile, e l'incertezza dei propositi, che talvolta lo rese in feriore all'impeto degli avvenimenti, e un desiderio di lodi un po' troppo sincero lo sentì qua e là nell'irreso lutezza delle espressioni e nello stile maestoso non senza, pompa . L'esempio di Roma antica ch'egli seguì e studio  171   con amore,quale un perfetto monumento di sapienza ci vile,non gli tolse però di vederne e di biasimarne i difetti, come l'eccessivo potere del popolo che spesso trascorreva in licenza,l'abuso dell'autorità ne'patrizj,le guerre volte a istrumento di grandezza privata,la prolungazione degli imperj, idisordini quotidiani nel fôro, e quelle leggi agrarie e sui contratti, la cui promulgazione sciogliendo i diritti di proprietà e l'osservanza della fede,era un vero attentato alle basi della società civile.Dalla critica meno benigna si allegano alcuni passi dei suoi scritti politici in cui parve dimenticare i principj della giustizia e della moralità l o d a n d o il t i r a n n i c i d i o , t e n t a n d o g i u s t i f i c a r e c o l t i t o l o d e l l a c i v i l t à il p r i m a t o o p p r e s s i v o d e i R o m a n i s u l l e a l t r e n a z i o n i , ammettendo come teorica di condotta civile il cangiar partito a seconda delle circostanze.Nè io lo difendo da queste accuse;ma rammento solo per debito imparziale d'istoria, che le stesse ragioni recate da lui a' suoi tempi per giustificare le conquiste romane, sono state addotte in pieno secolo XIX da una delle nazioni più civili del mondo per iscusare non meno odiose conquiste;e che,se la storia non giustificò Tullio nel diritto,l'ha in parte giustificato nel fatto, mostrando di quanto lume di civiltà la moderna Europa sia debitrice alle conquiste romane. I giudizj intorno alla sua condotta morale e politica, già di troppo benigni nelle opere del Middleton , e del Niebuhr,troppo severi in quelle di Melmoth, Drumann e Mommsen,furono non ha guari saviamente temperati in un bel libro del signor William Forsyth, venuto alla luce in Londra il 1864, e di cui abbiam veduta quest'anno una nuova edizione. Tullio, così osserva sapientemente il biografo inglese, fu qualche volta debole, timido, irreso luto,m a a tali difetti rispose in altre condizioni di tempi con una nobile condotta civile. Ei si diportò da uomo e da cittadino nella congiura di Catilina, e nel finale c o m battimento contro il triunviro Antonio.Chè se non sem pre fu pari agli avvenimenti che lo incalzavano, se non sostenne coraggiosamente l'esilio, e restituito in patria, ondeggiò a lungo tra la parte di Cesare e quella di  172   173 Pompeo,bisogna considerare quanto difficili tempi fossero quelli a chi, come lui, non avea mai patteggiato colla coscienza, e riconosceva nella religione del giuramento, e nella santità dei costumi civili il principio tutelare delle libere istituzioni. Questo alto sentimento del buono,po tentissimo nel nostro oratore, è la ragione che diede sublimità vera alle sue dottrine morali ; e ci spiega c o m e nei libri degli Officj, della Repubblica e delleLeggi egli desunse i principj fondamentali della filosofia civile dal concetto più puro dell'onesto e della legge ; e vissuto in tempi nefandi intese a conciliare l'interesse dell'utile pubblico colla giustizia assoluta, nell'idea della famiglia, nell'idea dello stato,nel possesso, nella legislazione e nei diritti di guerra e di pace. · Tale pure è l'opinione esposta dal signor Gaston Boissier ne'suoi dotti articoli sulla politica di Cicerone, stampati nella Rivista de'Duc Mondi.  Corre adesso in Europa un tempo assai propizio alla critica degli scrittori latini.Invero gli studj che accompa gnarono fra noi ilprimo risorgimento delle lettere anti che, mossi da curiosità e da desiderio di un passato a cui la notte tempestosa dei tempi di mezzo sembrava aver cresciuto splendore, non mantennero sempre una giusta eguaglianza fra il libero esame e l'ossequio dovuto alle tradizioni. M a tal difetto venne largamente emendato in età più vicina, allorchè da molti si esaminò solo per negare,e le passioni politiche e religiose fecero impaccio più volte alla schietta manifestazione del vero. Oggi la quiete dei tempi,e questo nuovo ricomporsi d'Europa a monarchie nazionali,avvicinando i popoli tra loro e ren dendo sempre più facile il sindacato delle opinioni, per suade le menti a giudizj più severi e imparziali. Ne mancano esempj di queste nuove condizioni della critica odierna, segnatamente per ciò che risguarda gli studj del l'antichità latina; non ignorano infatti i nostri lettori che,mentre in Germania il Bernhardy e il Mommsen giudicarono con molta severità Cicerone, in Francia e in Inghilterra hanno parlato con bella temperanza delle sue   dottrine morali e della sua vita politica il Desjardins e il Forsyth. Fra noi gli studj istorici della filosofia o non furono sin qui troppo favorevolmente accolti, o rimasero oscuri nella solitudine dei gabinetti, mentre le lettere esercitavano un ufficio civile, e all'unità e all'indipen denza dava opera l'intera nazione. È tempo oggimai che torniamo a così nobili studj ;e la critica istorica e filoso fica faccia prova di richiamare nella memoria ricono scente degli Italiani la storia di quel popolo da cui venne il Desjardins e il Forsyth. Fra noi gli studj istorici della filosofia o non furono sin qui troppo favorevolmente accolti, o rimasero oscuri nella solitudine dei gabinetti, mentre le lettere esercitavano un ufficio civile, e all'unità e all'indipen denza dava opera l'intera nazione. È tempo oggimai che torniamo a così nobili studj ;e la critica istorica e filoso fica faccia prova di richiamare nella memoria ricono scente degli Italiani la storia di quel popolo da cui venne la prima luce delle nostre istituzioni. Allora soltanto le dottrine di Cicerone saranno meglio studiate e apprezzate, e la natura comprensiva dell'ingegno romano,dicuiegli fu esempio solenne, ci apparirà come una sintesi vasta e feconda in cui s'accoglieva la coscienza dei popoli antichi.Giacomo Barzellotti. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barzellotti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688392822/in/photolist-2mRLqgk-2mKwwoA/

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